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405-0 impaginato - Aracne · 2017. 9. 20. · lungo la valle e sopra i colli al sole nell’azzurro...

Date post: 16-Nov-2020
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A10 300
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A10300

Carlo Corsetti

Pia da Siena

ARACNE

Copyright © MMIICarlo Corsetti

* * *

Copyright © MMIIARACNE editrice S.r.l.

00173 Romavia Raffaele Garofalo, 133 a/b

tel. (06) 93781065

[email protected]

ISBN 978–88–548–1370–0

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: dicembre 2002

In memoria dei miei genitoriAdelaide Fabi ed Igino Corsetti

Era di maggio e tu cantavi al sole,o madre, la canzone della Piae di Ghino e di Nello, e le paroleil vento lieve le portava via

tra le vigne, gli ulivi e le violein note piene di malinconia,lungo la valle e sopra i colli al solenell’azzurro del cielo in signoria;

era di maggio, ed ora di lontano,sul Bosforo, dal Colle dei Cavalli,torna il tuo canto, o madre, maremmano

e porta a questi colli e in queste valliCastel di Pietra e il Lago di Mezzanotra papaveri rossi e crochi gialli.

Quando ero bambino, negli anni Cinquanta del secoloappena trascorso, vivevo nelle campagne di Velletri, in unalocalità detta Colle dei Cavalli, dove mia madre, lavorando lavigna, cantava per noi la lunga canzone del Moroni, certosenza conoscerne l’autore. Dal suo canto ho cominciato aconoscere e ad amare la Pia: un canto che talora ritorna sullevivaci colline del Bosforo, dove oggi vivo e lavoro lontano.

Ringraziamenti

Questo libro, a cui ho lavorato per anni, forse non avrebbe maivisto la luce senza il sostegno materiale e morale di quanti mi hannoaiutato ed il cui nome è davvero legione. Vada a tutti il mio ringra-ziamento. Con particolare gratitudine esso giunga ad Annalisa Testa,bibliotecaria del Liceo “Bruno Touschek” di Grottaferrata, che perprima mi ha sostenuto nella acquisizione di alcuni dei testi letterariche ora vengono ripubblicati in questo volume; a Renzo Pepi, dellaBiblioteca Comunale di Siena, per l’estrema disponibilità dimostrata-mi nel fornirmi la riproduzione di ogni testo di cui avessi bisogno; aVeraldo Franceschi, studioso attento della Pia, che mi ha accolto confine amicizia, mettendo a mia disposizione ogni sua specifica cono-scenza di storia locale.

Parte I

La questione storica

La questione della Pia

Intorno alla figura di Pia da Siena si è scritto molto,soprattutto nel corso dell’Ottocento e del Novecento, inun’appassionata ed appassionante ricerca della sua identità edella sua tragica fine. In questo saggio, introduttivo alla rie-dizione dei testi letterari, soprattutto ottocenteschi, che sonoincentrati sulla figura di lei e che costituiscono una bellapagina di letteratura italiana comparata per generi letterari,noi mostreremo anzitutto come dai celebri sette versi delquinto canto del Purgatorio di Dante emerga la questionedella Pia; vedremo poi come questa questione si sia sviluppa-ta nel corso dei secoli; studieremo quindi il testamento diNello della Pietra, dove si trova la chiave che risolve il miste-ro di Pia; ritorneremo infine al canto di Dante, il canto dellevittime delle fazioni politiche, per tentare una chiarificazionedefinitiva della vicenda di questa Pia che, al di là dalla fami-glia a cui essa appartenne, noi proponiamo, per il momento,di chiamare Pia da Siena, perché lei stessa si dice nativa diquesta città. 1

1 Dante, Purgatorio, V, 130–136: « Deh, quando tu sarai tornato almondo / e riposato de la lunga via, / seguitò ’l terzo spirito al secondo, /ricorditi di me, che son la Pia; Siena mi fé, disfecemi Maremma: / salsicolui che ’nnanellata pria / disposando m’avea con la sua gemma. » — Perquanto ne sappiamo, questi versi di Dante rappresentano la testimonian-za più antica sull’esistenza di Pia da Siena; ricordiamo, tuttavia, poichénon ne sappiamo altro, che in Poesie di Bartolomeo Sestini, precedute dallenotizie biografiche del poeta, raccolte da Atto Vannucci, Firenze, Le Mon-nier, 1855, p. 21, Atto Vannucci scrive: « Il rimatore Nuccio Piacenti aveanel secolo XIII celebrata e compianta in un sonetto la sventura della bellaSanese; e Dante in appresso ne avea riaccesa la conoscenza in quei cele-bri versi del Purgatorio. »

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1. La Pia in Dante. Discesa di balza in balza, di pena inpena, fino al centro della terra, la voragine infernale, « che ’lmal de l’universo tutto insacca », 2 e risalito quindi il faticosocunicolo naturale, che dal centro della terra li riporta fuori« a riveder le stelle », 3 Dante e Virgilio si ritrovano sulla pic-cola isola australe, da cui si innalza il ripido ed altissimomonte Purgatorio: « lo monte che salendo altrui dismala ». 4

Intento ad osservare lo splendore delle stelle australi, vistesoltanto da Adamo ed Eva, i progenitori del genere umano,Dante si vede improvvisamente accanto un vecchio solitario,dalla lunga barba e dai lunghi capelli grigi, la cui vista da solagià incute rispetto. Si tratta di Catone Uticense, 5 custode delPurgatorio, il quale, rassicurato da Virgilio sul fatto che essinon sono anime dannate fuggite dall’inferno ed informatosulle ragioni del viaggio ultraterreno di Dante, 6 li esorta ascendere fino alle onde del mare, dove Virgilio laverà il voltoa Dante da ogni sudiciume infernale ed in segno di peniten-za gli cingerà i fianchi con uno dei giunchi che crescono suquel lido, ed a proseguire poi il cammino senza tornare indie-

2 Dante, Inferno, VII, 18.3 Dante, Inferno, XXXIV, 139.4 Dante, Purgatorio, XIII, 3. Questo alto monte, sulla cui drammatica

orogenesi vedi Carlo Corsetti, Orogenesi e funzioni del purgatorio dante-sco, « L’Alighieri. Rassegna bibliografica dantesca », 1989, p. 54–58, sitrova nell’emisfero australe, proprio agli antipodi di Gerusalemme, sottocui si apre la voragine infernale dantesca; esso era stato già intravisto daUlisse e dai suoi compagni, in Dante, Inferno, XXVI, 133.

5 Per evitare di cadere nelle mani di Cesare e di dovere così assisterealla fine della repubblica in Roma e di ogni libertà repubblicana, dopo lasconfitta dei pompeiani a Tapso, Marco Porcio Catone (95–46 a. C.) siuccise ad Utica, a nord di Cartagine; di qui il soprannome di Uticense concui esso viene ricordato.

6 In Dante, Purgatorio, I, 70–75, Virgilio, alludendo a Dante, dice aCatone: « Or ti piaccia gradir la sua venuta: / libertà va cercando, ch’è sìcara, / come sa chi per lei vita rifiuta. / Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara/ in Utica la morte, ove lasciasti / la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. » —La vesta che Catone lasciò ad Utica è il corpo che allora vestiva la suaanima; il gran dì è il giorno della risurrezione e del giudizio universale, sucui vedi la Bibbia, Vangelo secondo Matteo, 25, 31–46.

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tro sui propri passi: sarà il sole ad indicare loro quale viaseguire per salire più facilmente l’alto monte. 7

Terminato il rito penitenziale e purificatorio, mentre l’au-rora diventa dorata, Dante e Virgilio vedono venire sul mareun vascello leggero che avanza velocissimo, grazie al solomovimento delle ali bianche di un angelo luminosissimo chelo guida ritto da poppa, e porta più di cento anime, le quali,sedute dentro la barca, cantano un salmo di liberazione. 8

Giunti a riva, l’angelo benedice le anime, le quali si slancianotutte sulla spiaggia, mentre esso ritorna indietro sulla suabarca veloce. 9

Ignare del luogo e vedendo Dante e Virgilio, le anime sirivolgono ad essi per chiedere la via. Mentre Virgilio rispon-de che neppure loro la conoscono, le anime si accorgono, conestremo stupore, che Dante respira. Si avvicinano increduleper meglio vederlo in volto, ed una di esse, riconosciutolo, sifa innanzi per abbracciarlo con un affetto tale che Dante èspinto ad abbracciarla a sua volta: ma invano, ché l’animache egli abbraccia è solo un’ombra! Si tratta di Casella, 10 unmusicista carissimo a Dante, che ora gli chiede di cantareancora per lui. Mentre Casella canta con voce dolcissima unacanzone di Dante, 11 e tutti ascoltano intenti, sopraggiungeCatone che rimprovera le anime per quel loro attardarsi erinviare così la propria purificazione: lievi e veloci le anime sidisperdono allora su per il monte Purgatorio. 12

Rimasti nuovamente soli, Dante e Virgilio si avanzano finoai piedi del monte, la cui pendenza è tuttavia talmente ripidada risultare impossibile a salire per chi, come loro, fosse

7 Dante, Purgatorio, I, 19–108.8 Si tratta del salmo che in latino inizia con le parole In exitu Israel de

Egypto, quando Israele uscì dall’Egitto, per cui vedi la Bibbia, Salmi, 113.9 Dante, Purgatorio, II, 12–51.10 Di questo Casella sappiamo che era fiorentino o forse pistoiese.11 Si tratta della canzone stilnovistica Amor che nella mente mi ragiona,

per cui vedi Dante, Convivio, III, dove la donna che ispira amore raffigurala filosofia.

12 Dante, Purgatorio, II, 52–133.

11La questione della Pia

privo di ali. Mentre Virgilio riflette su quale possa essere ladirezione da prendere per trovare un punto meno ripido,Dante vede venire un gruppo di anime, alle quali potrannochiedere la via per salire. Poiché esse camminano tanto lenteda sembrare ferme, Virgilio e Dante vanno loro incontro.Meravigliate alla vista dell’ombra proiettata dal corpo diDante, ma rassicurate dalla spiegazione di Virgilio, le animeindicano la direzione da seguire per giungere dove sarà loropossibile arrampicarsi su per la roccia.

Ma qui, prima che si avviino, una di esse chiede a Dante seegli l’abbia mai veduta sulla terra. Poiché Dante si scusa pernon averla mai vista, l’anima si presenta: si tratta dell’animadi re Manfredi, 13 il quale chiede a Dante di recarsi dalla figliaCostanza, per informarla che egli è salvo, perché in punto dimorte si era affidato alla misericordia di Dio, e che ha gran-de bisogno delle preghiere di lei, perché, essendo morto sco-municato, per ogni anno vissuto fuori della comunione conla Chiesa egli ne deve aspettare trenta in questo antipurgato-rio, prima di essere ammesso a purificarsi nel purgatoriovero e proprio; a meno che qualche anima buona, come lafiglia Costanza appunto, non preghi Dio perché abbrevi que-sta sua attesa. 14

Lasciate quelle anime e giunti nel luogo da esse indicato,Virgilio e Dante si inerpicano con grande fatica per una stret-ta crepa della roccia fino a raggiungere, stanchi, un ripianoche gira tutto intorno all’altissimo monte. Mentre, seduti, siriposano e parlano di quanto rimanga ancora a salire, essi siaccorgono della presenza di un gruppo di anime, sedute al-l’ombra di un pietrone. Tra queste anime si trova Belacqua,

13 Figlio naturale di Federico II, re di Sicilia ed imperatore, Manfrediaveva diciotto anni nel 1250, quando il padre venne a morte. Riuscito asuccedergli sul trono di Sicilia, Manfredi ne continuò la politica di soste-gno alle città ghibelline nella loro lotta contro le città guelfe e contro ipapi, i quali pertanto lo scomunicarono e concessero il regno di Sicilia aCarlo d’Angiò. Nel tentativo di impedire l’entrata dei Francesi nel suoregno, Manfredi cadde combattendo nella battaglia di Benevento (1266).

14 Dante, Purgatorio, III, 46–145.

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un fiorentino noto a tutti per la sua pigrizia. 15 Alla domandalievemente ironica di Dante, che gli chiede se non si affretti asalire perché è stato ripreso dalla consueta pigrizia, Belacquaspiega che in questo caso affrettarsi non servirebbe: poiché,infatti, per emendarsi dei propri vizi egli ha indugiato finoalla fine, prima di essere ammesso a purificarsi, egli deveaspettare tanti anni quanti ne ha vissuti sulla terra; a menoche qualche anima buona non ottenga con le sue preghiereche l’attesa gli sia abbreviata. 16

A questo punto, poiché il sole è già a mezzogiorno, Virgi-lio invita Dante a riprendere il cammino. Mentre si avviano,una delle anime sedute dietro il pietrone si accorge che Dantenon viene attraversato dai raggi del sole e sembra compor-tarsi come uno vivo. Colpito dal grido di meraviglia di quel-l’anima, Dante rallenta il passo per guardare indietro verso dilei, così da essere sollecitato da Virgilio a proseguire il pro-prio cammino, senza curarsi di quanto quelle anime possanodire di lui. 17

Mentre Dante, vergognoso per quel suo rallentare, accele-ra il passo a seguire Virgilio, essi notano un gruppo di animeche avanzano lungo la cornice che cinge di traverso il fiancodel monte, e cantano un salmo di penitenza. 18 Quando siaccorgono che il corpo di Dante non si lascia attraversare dairaggi solari, la meraviglia di queste anime è tale che il lorocanto si muta e si spegne in un “oh!” lungo e roco, e due diesse, come messaggeri, corrono da Dante e Virgilio per sape-re quale sia la loro condizione: di morti o di vivi? Alla rispo-sta di Virgilio che Dante è vivo e che onorarlo può risultareprezioso per esse, le due anime risalgono più veloci dellampo o di una stella cadente alle altre, che tutte insieme,come un esercito in fuga, si precipitano allora verso Dante e

15 Belacqua viene identificato con un liutaio fiorentino che nel 1302risulta morto.

16 Dante, Purgatorio, IV, 19–139.17 Dante, Purgatorio, V, 1–18.18 Si tratta del salmo che in latino inizia con le parole Miserere mei,

Deus, pietà di me, o Dio, per cui vedi la Bibbia, Salmi, 50.

13La questione della Pia

Virgilio. Visto il gran numero di anime che si accalcano intor-no ad essi, Virgilio invita Dante ad ascoltarle, ma senza perquesto arrestare il cammino. 19

Mentre invitano Dante a rallentare il passo ed a guardarese riconosca qualcuna di loro, così che poi ne riporti notiziasulla terra, queste anime dicono di essere tutte anime di per-sone uccise “per forza”, cioè con violenza e prima del tempo,e di essere state peccatrici fino all’ultima ora, quando, illu-minate dal cielo, pentendosi dei propri peccati e perdonandoai propri uccisori, esse uscirono dalla vita terrena pacificatecon Dio. Dante non ne riconosce alcuna, ma giura di esserecomunque pronto a fare per loro quanto esse volessero chie-dergli.

Prima, avanti a tutte le altre, parla l’anima di Jacopo delCassero, la quale racconta come egli sia stato ucciso dai sica-ri del duca d’Este e chiede a Dante, se mai si trovi a passareper Fano, sua patria, di invitarvi a pregare bene per lei,affinché essa sia ammessa a purificarsi delle sue gravi colpe. 20

Poi parla l’anima di Buonconte da Montefeltro, il condot-tiero aretino caduto nella battaglia di Campaldino, 21 la qualespiega perché il suo cadavere non sia stato mai ritrovato; epoiché né la vedova né altri si curano di lei, l’anima chiede aDante stesso di aiutare con le proprie preghiere il suo desi-derio di essere ammessa a purificarsi. 22

Parla infine un terzo spirito che, a differenza di Jacopo edi Buonconte, non racconta a Dante né come né perché néchi uccise il suo corpo, ma si limita a chiedergli di pregareper lui, 23 dicendo: « Deh, quando tu sarai tornato al mondo e

19 Dante, Purgatorio, V, 19–45.20 Dante, Purgatorio, V, 46–84. 21 La battaglia di Campaldino, tra i ghibellini di Arezzo, guidati da

Buonconte, ed i guelfi di Firenze, tra i quali era Dante venticinquenne,avvenne l’11 giugno 1289.

22 Dante, Purgatorio, V, 85–129.23 Queste inversioni di concordanza, per cui parlando di Jacopo e di

Buonconte si usa il femminile, mentre parlando di Pia si usa il maschile,conseguono al fatto che mentre per Jacopo e per Buonconte, due uomi-

14 CARLO CORSETTI

ti sarai riposato della lunga via, ti torni memoria di me chesono la Pia; Siena mi fece, Maremma mi disfece: se lo sacolui che prima, sposando, mi aveva inanellata con la suagemma ». 24

2. La Pia negli antichi commenti. Chi è questa Pia chedice di essere nata a Siena e di essere morta in Maremma?Come, quando, dove, perché, da chi fu uccisa “per forza”,cioè con violenza e prima del tempo naturale? Chi è quelcolui che si sa (salsi) ogni cosa e che prima, al momento delmatrimonio, l’aveva inanellata con la propria gemma nuzia-le? A queste domande i primi commentatori del testo dante-sco hanno risposto in maniera univoca per quanto riguardal’identità di quel colui, mentre hanno dato risposte diverseoppure hanno taciuto del tutto per quanto riguarda gli altriaspetti della questione. 25

Il primo a commentare, tra il 1324 ed il 1328, l’intera Com-media dantesca, fu il bolognese Iacopo della Lana, il quale, inmerito ai sette versi che Dante dedica a Pia da Siena, dice:

ni, Dante parla di anima, per Pia da Siena, una donna, egli parla di spiri-to; si tratta di un’inversione di certo intenzionale, attraverso cui Danteriprende e ricorda l’idea evangelica, secondo cui la parte immortale del-l’uomo, detta ora anima ora spirito, a differenza della sua parte mortale,il corpo, non è una realtà sessuata; in questo senso nella Bibbia, Vangelosecondo Luca, 20, 34–36, rispondendo ai sadducei, Gesù dice: « I figli diquesto mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sonogiudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non pren-dono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sonouguali agli angeli e, essendo figli della resurrezione, sono figli di Dio. »

24 Dante, Purgatorio, V, 130–136: « Deh, quando tu sarai tornato almondo / e riposato de la lunga via, / seguitò ’l terzo spirito al secondo, /ricorditi di me, che son la Pia; Siena mi fé, disfecemi Maremma: / salsicolui che ’nnanellata pria / disposando m’avea con la sua gemma. »

25 Avvertiamo che, eccetto un solo caso che indicheremo, per la letturadi questi antichi testi ci serviamo del cd–rom I commenti danteschi deisecoli XIV, XV e XVI, a cura di Paolo Procaccioli, indicando in nota l’edi-zione cartacea di riferimento, a cui lo stesso cd–rom rinvia per ciascunodi essi; per Pietro di Dante, invece, l’edizione cartacea è quella citata dallaEnciclopedia Dantesca, alla voce Alighieri Pietro.

15La questione della Pia

« Qui introduce a parlare uno terzo spirito, lo quale fu unamadonna Pia moglie di messer Nello da Pietra da Siena, cheandò per rettore in Maremma, e lìe per alcuno fallo, chetrovò in lei, sì l’uccise, e seppelo fare sì segretamente, chenon si sa come morisse; e però dice: Salsi colui, cioè lo mari-to, il quale la sposò e con anella e con gemme ». 26

Sostanzialmente identico è il commento del notaio fioren-tino Andrea Lancia, il quale conobbe personalmente Dante,restando in contatto con lui anche durante l’esilio. In effetti,nel commento che egli compose tra il 1330 ed il 1340, e chenel Seicento ricevette il titolo laudativo di Ottimo commento,Andrea Lancia dice: « Qui introduce a parlare madonna Pia

26 Commento di Jacopo della Lana, a cura di L. Scarabelli, Milano1864–1865. — Paganello, detto Nello, signore del castello di Pietra, nac-que verso il 1250 da Inghiramo dei Pannocchieschi, vassalli dei contipalatini Aldobrandeschi. Nel 1263, quando i Pannocchieschi, che eranoguelfi, fecero atto di sottomissione al Comune di Siena, allora retto daighibellini, vincitori contro i guelfi fiorentini nella sanguinosissima batta-glia di Montaperti (4 settembre 1260), a garanzia del mantenimento deipatti promessi dai loro padri, Nello ed altri due ragazzi dei Pannocchie-schi, suoi coetanei, vennero dati in ostaggio a Siena ed affidati, diceOsvaldo Malavolti, Dell’historia di Siena, Venezia, Marchetti, 1599, II, 2,p. 30, « a messser Guido di messer Orlando Malavolti col quale haueuanparentado »; più precisamente dall’atto di affidamento dei tre ragazzi, ilcui testo è in Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 135–137,risulta che Nello fu preso in consegna da Giovanni di Alberto da Pernina.Nel 1279 troviamo Nello podestà di Volterra. Nel 1285 viene ingaggiatoda Siena per l’assedio di Prata; nel 1286 partecipa all’assedio di PoggioSanta Cecilia; nel 1286 è comandante della Taglia Guelfa, cioè dell’al-leanza tra le città guelfe toscane; nel 1288 comandava la cavalleria sene-se, con la quale tuttavia sembra si desse alla fuga, mentre la fanteriarestava vittima dell’imboscata aretina presso la Pieve al Toppo. Verso il1289 divenne l’amante di Margherita Aldobrandeschi, contessa palatinadi Sovana, che lo nominò proprio vicario generale e da cui ebbe un figlio,ma che egli non riuscì a sposare, come invece, pare, allora avrebbe volu-to. Nel 1303, dopo avere già depredata Margherita di ogni bene feudale,Bonifacio VIII impose che Nello e Margherita si unissero in matrimonio.Nel 1310 Nello fu capitano del popolo di Sassuolo e nel 1313 fu podestàdi Lucca, dove amò una certa Chiarina, da cui ebbe un figlio maschio. Il9 marzo 1321 fece un testamento, al quale aggiunse un codicillo in data11 luglio 1322. Dopo questa data non abbiamo più notizie di lui.

16 CARLO CORSETTI

(un terzo spirito), moglie di messer Nello da Pietra di Siena,che andò in Maremma per Rettore, ed ivi per alcuni falli, chetrovò in lei, sì la uccise; e seppelo fare sì segretamente chenon si seppe. E però dice: Salsi colui ec. Cioè lo marito, ilquale la sposò con anello e con gemma ». 27

Come si vede, Iacopo della Lana ed Andrea Lancia, con-cordi a tal punto tra loro da far pensare che l’uno abbiacopiato dall’altro, dicono molte cose in merito a Pia da Siena.Dicono, anzitutto, che quel colui di cui essa parla era Nellodella Pietra; dicono poi che Nello era marito di Pia; diconoancora che egli l’uccise per punirla di una o più colpe trova-te in lei, senza precisare di che colpa si trattasse; diconoinfine che egli l’uccise mentre era “rettore” in Maremma.D’altro canto, riconoscono di non sapere come l’uccise, tantosegretamente, dicono, egli lo fece; e tacciono sulla data, sulluogo preciso, 28 sul nome della famiglia di Pia, segno eviden-te che essi ignorano questi particolari della vicenda. Maanche il fatto che essi dicano che Nello uccise Pia mentre era“rettore” in Maremma, cioè mentre vi svolgeva una funzionedi governo civile, quale quella di podestà che Nello in effettisvolse più volte, rivela che essi non conoscevano bene nep-pure Nello, che pure era personaggio relativamente ben notoed importante nella Toscana degli ultimi decenni del Due-cento e dei primi del Trecento.

Più brevemente, ma non diversamente da Iacopo dellaLana e da Andrea Lancia, si esprime, nella sua prima reda-zione, il commento che Pietro Alighieri, figlio secondogenitodi Dante, dedicò al poema paterno tra il 1337 ed il 1340. Ineffetti, senza accennare né al movente né al modo né alladata né al luogo preciso dell’uccisione di Pia, di cui tace

27 Ottimo commento, a cura di A. Torri, Pisa 1827–1829.28 Dante dice che Pia da Siena fu uccisa in Maremma, ma la Maremma

è grande. Anche se limitata alla sola Maremma senese, infatti, questaandava dall’attuale marina di Grosseto fino al Monte Amiata ed all’altoLazio, cioè fino ai monti che chiudono da occidente il Lago di Bolsena eracchiudono il piccolo lago vulcanico di Mezzano.

17La questione della Pia

anche il nome di famiglia, Pietro di Dante si limita a dire:« La signora Pia fu moglie del signor Nello della Pietra, ilquale l’uccise mentre era rettore in Maremma. » 29

Il primo ad affermare, quaranta e più anni dopo questiprimi commentatori, che Pia da Siena era stata una Tolomeifu Benvenuto da Imola, il quale scrisse il proprio commentoalla Commedia dantesca verso il 1380. In effetti, prima di pas-sare all’esame analitico dei sette versi che Dante dedica a Piada Siena, Benvenuto da Imola scrive: « Ed affinché la presen-te scrittura sia più chiara, bisogna anzitutto sapere che que-sta anima fu una certa nobile signora senese della stirpe deiTolomei, la quale fu moglie di un certo nobile milite, il qualefu chiamato signor Nello dei Pannocchieschi di Pietra, ilquale era potente nella Maremma di Siena. Accadde dunqueche una volta, mentre avevano cenato, e questa signora se nestava per proprio sollievo ad una finestra del palazzo, uncerto donzello, per ordine di Nello, prese questa signora peri piedi e la precipitò attraverso la finestra, sicché essa morìimmediatamente, non so per quale sospetto. E da questamorte crudele nacque un grande odio tra il detto signor Nelloed i Tolomei parenti della stessa signora. » 30

29 Il testo latino del Comentarium di Pietro Alighieri, a cura di A. Van-nucci, Firenze 1846, dice: « Domina Pia uxor fuit domini Nelli de Petra,qui dum rector esset in Marittima eam occidit. » — Anche se la sintassidel latino medievale non sempre coincide con quella del latino dell’etàclassica, l’uso del dum in unione con il congiuntivo esset, proprio dell’o-ratio obliqua, cioè del discorso indiretto di cui si serve colui che si limitaa riportare un’opinione altrui di cui non può o non vuole garantire la veri-dicità, potrebbe far pensare che Pietro di Dante nutrisse qualche dubbioin merito all’occasione in cui sarebbe avvenuto il delitto; in questo la tra-duzione sarebbe « mentre sarebbe stato rettore in Maremma ».

30 Il testo latino del Comentum di Benvenuto da Imola, a cura di G. F.Licata, Firenze 1887, dice: « Et ut presens litera sit clarior, est primumsciendum quod anima ista fuit quaedam nobilis domina senensis ex stir-pe Ptolomaeorum, quae fuit uxor cuiusdam nobilis militis, qui vocatusest dominus Nellus de Panochischis de Petra, qui erat potens in maritti-ma Senarum. Accidit ergo, quod dum coenassent, et ista domina staret ad

18 CARLO CORSETTI

Oltre a ripetere, precisando i commenti più antichi, che ilcolui di cui parla Pia era Nello della Pietra, marito di lei,membro della famiglia dei Pannocchieschi, signore potente,non “rettore”, nella Maremma senese, Benvenuto ci dice chePia fu della famiglia senese dei Tolomei e che fu uccisa perdefenestrazione su ordine di Nello; ma tace sulla data e sulluogo preciso dell’uxoricidio. Una novità assoluta, invece, è lanotizia che Pia fosse della famiglia dei Tolomei; notizia che,tuttavia, egli ci fornisce in forma piuttosto generica, 31 inquanto omette di dire il nome del padre di lei, « cosa cheavrebbe potuto e non avrebbe mancato di fare, se egli avessetrovato la notizia in uno spoglio dei documenti del tempo,dove tale indicazione non manca mai. » 32

Verso la fine del Trecento un commento anonimo, che pro-prio per questo motivo viene citato come Anonimo fiorentino,completa il commento di Benvenuto da Imola indicando ilmovente che avrebbe spinto Nello ad ordinare la defenestra-zione di Pia: la gelosia e la prospettiva di sposare la contessaMargherita Aldobrandeschi di Sovana. 33 Infatti, a proposito

fenestram palatii in solatiis suis, quidam domicellus de mandato Nellicepit istam dominam per pedes et praecipitavit eam per fenestram, quaecontinuo morta est, nescio qua suspicione. Ex cuius morte crudeli natumest magnum odium inter dictum dominum Nellum, et Ptolomaeos con-sortes ipsius dominae. » — Qualora si volesse vedere nell’uso del dum inunione con i due congiuntivi coenassent e staret il segno tipico della ora-tio obliqua o discorso indiretto, nel senso che abbiamo spiegato nella notaprecedente relativa al commento di Pietro di Dante, la traduzione sareb-be « mentre avrebbero cenato e questa signora se ne sarebbe stata ad unafinestra del palazzo per proprio sollievo ».

31 Ex stirpe Ptolomaeorum: della stirpe dei Tolomei.32 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 17.33 Margherita Aldobrandeschi nacque, verso il 1254, da Ildobrandino

Rosso, conte palatino di Sovana, esponente del partito guelfo e fieroavversario del suo omonimo cugino Ildobrandino, conte palatino diSanta Fiora, esponente del partito ghibellino. Nel 1270, Margherita sposail conte Guido di Monfort, vicario generale di Carlo d’Angiò in Toscana evincitore della battaglia di Colle di Val d’Elsa (8 giugno 1269), che inSiena provoca la caduta dei ghibellini e l’ascesa al potere dei guelfi. Nel1284, morto il padre, essa rimane unica signora del feudo di Sovana. Nel

19La questione della Pia

di Pia da Siena, l’Anonimo fiorentino, tacendo sulla data e sulluogo preciso, dice: « Questa fu una gentil donna della fami-glia de’ Tolomei da Siena, la quale ebbe nome madonna Pia:fu maritata a messer Nello de Panuteschi da Pietra diMaremma. Ora questa Pia fu bella giovane et leggiadra tanto,che messer Nello ne prese gelosia; et dolutosene co’ parentisuoi, costei non mutando modo, et a messer Nello crescendola gelosia, pensò celatamente di farla morire, et così fe’. Dice-si che prima avea tratto patto d’avere per moglie la donna che

1287, durante la Guerra del Vespro (1282–1302), Guido di Monfort vienefatto prigioniero dagli aragonesi che lo rinchiudono nelle carceri di Mes-sina e che in odio agli angioini di Napoli, di cui lo sapevano grande cam-pione, ve lo tennero fino alla morte, che sembra avvenuta negli ultimimesi del 1291. Verso il 1289, mentre il marito era prigioniero in Messina,Margherita entra in contatto con Nello della Pietra, di cui diventa l’a-mante, nominandolo proprio vicario generale, ma rifiutando tuttavia disposarlo, e da cui ebbe un figlio, Binduccio, allevato segretamente inMassa Marittima e morto nel 1300. Nel 1291, priva del marito e stancadelle probabili arroganze di Nello, Margherita ottiene da papa Niccolò IVche le venga assegnato come consigliere e protettore il cardinale Bene-detto Caetani, il futuro papa Bonifacio VIII (1294). Nel 1292, pochi mesidopo la morte del primo marito, sposa Orso degli Orsini, il quale muorenel 1295. Nel 1296, per interessamento diretto di papa Bonifacio VIII,sempre in cerca di feudi con cui arricchire i propri parenti, Margheritasposa un pronipote del papa, Loffredo Caetani, giovane scapestrato dicirca venti anni più giovane di lei, il quale dopo pochi mesi abbandona iltetto coniugale, pretendendo dal prozio papa la dichiarazione di nullitàdel matrimonio che lo stesso prozio aveva voluto. Nel 1298, lo stesso Lof-fredo denunciò al prozio papa gli amori che dieci anni prima Margheritaaveva avuto con Nello, accusandola di essersi sposata con Nello mentreera ancora vivo Guido di Monfort, suo primo marito. Bene interpretandoi desideri del papa, di cui era amico e che proprio per questo, cioè perchésicuro del risultato, contro i canoni ecclesiastici che limitavano il poteredei vescovi alla loro propria diocesi, lo aveva incaricato di indagarediscretamente sui fatti, autorizzandolo a dichiarare nullo il matrimoniodel pronipote e ad autorizzarlo a contrarre nuove nozze, qualora il pre-sunto matrimonio fosse stato accertato, il vescovo di Sabina, GherardoBianchi, sentenziò che il matrimonio di Margherita e Nello era avvenutoe che pertanto Margherita si era macchiata di bigamia. Per questa ragio-ne, il Bianchi dichiarò nullo il matrimonio da lei contratto con LoffredoCaetani ed autorizzò il pronipote del papa a contrarre nuove nozze, cosa

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fu del conte Umberto di Santa Fiora; 34 et questa fu ancora lacagione d’affrettare la morte a costei. Pensò l’Auttore ch’ellamorisse in questo modo, che, essendo ella alle finestre d’unosuo palagio sopra a una valle in Maremma, messer Nellomandò uno suo fante che la prese pe’ piedi didietro, et cac-ciolla a terra dalle finestre in quella valle profondissima, chemai di lei non si seppe novelle. » 35

Una chiosa, cioè una nota esplicativa, anonima del CodiceLaurenziano XL 7, risalente anch’esso al tardo Trecento, con-tinuando a tacere sulla data e sul luogo preciso, completainvece Benvenuto da Imola, da un lato indicando il nome delservo che avrebbe ucciso Pia da Siena e dall’altro lato preci-sando che questi era colui che aveva dato l’anello di nozze aPia in qualità di procuratore di Nello. Questa chiosa anoni-ma, infatti, dice: « Sappi, lettore, che questa Pia si fue unafanciulla molto bella nata d’i Tolomei di Siena, la quale fuemaritata a uno misser Nello dalla Pietra de’ Panochesi, il

che questi fece subito, sposando Giovanna dell’Aquila, giovane e riccaereditiera del feudo di Fondi, dalla quale si sarebbe tuttavia separatoalcuni anni dopo, come vedremo più avanti. Per difendersi dal papa che,per privarla dei feudi che suo padre deteneva dalla chiesa, le mosse guer-ra, sollecitando a fare altrettanto i comuni di Siena e di Orvieto, Marghe-rita si allea e forse sposa il biscugino Guido di Santa Fiora. Questo fattooffre il pretesto a papa Bonifacio di accusarla anche di incesto e di pri-varla così, con bolla del 9 marzo 1303, non solo di quanto essa detenevain feudo dalla chiesa, ma anche di tutti i feudi che i suoi antenati aveva-no ricevuto e tenuto dall’impero, trasferendo ogni avere di lei ad un altrosuo pronipote, Benedetto Caetani. Non contento di questi soprusi, pareche Bonifacio abbia allora anche imposto che Margherita sposasse Nello;ma la morte del vecchio papa ottantaseienne (11 ottobre 1303), liberan-do Margherita dal proprio persecutore, rese vano questo ulteriore abusodi potere ecclesiastico, in quanto i due si separarono subito, sempre chesi fossero sposati davvero. Pare che allora, rimasta priva di tutti i proprifeudi, la contessa Margherita sia vissuta per una decina d’anni ancora traRoma, in casa Orsini, presso le figlie, ed Orvieto, di cui si era fatta citta-dina al tempo in cui era vivo Orso Orsini, suo secondo marito.

34 Questa donna è Margherita Aldobrandeschi, contessa palatina diSovana, la quale, come abbiamo visto, pare avesse come quarto marito ilconte Guido, non Umberto, di Santa Fiora.

35 Anonimo fiorentino, a cura di Pietro Fanfani, Bologna 1866–1874.

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quale fue uno bello e savio cavaliere e in opere d’arme fecegrandissime ispese. 36 Fue vile uomo e poco leale, e dicesi chequesta sua donna egli la fece morire in Maremma, e ucciselauno ch’ebbe nome il Magliata da Piombino, famiglio deldetto messer Nello, il quale Magliata quando la detta donnasi sposòe a messer Nello, egli sì come suo procuratore lediede l’anello per lui; e però dice salsi colui che inanellata priadisposata m’avea con la sua gemma. 37 E dice che ’l predettoMagliata fue a farla morire, e la cagione, il perché il dettomesser Nello la fece morire, si fue ched egli amava la contes-sa Margherita, moglie ch’era istata del conte di Monforte.Andò tanto la cosa innanzi che, per torre la detta contessaper moglie, egli fece morire la detta madonna Pia sua donna,poi tolse la contessa. » 38

Nel 1481, cioè un secolo dopo il commento di Benvenutoda Imola, l’umanista fiorentino Cristoforo Landino diede allestampe un proprio commento alla Commedia; un commentoche rappresenta il maggior contributo del Rinascimento agli

36 grandissime ispese: grandissime imprese.37 Già nel testo adottato dalla Società Dantesca Italiana, come nell’at-

tuale testo critico stabilito da Giorgio Petrocchi, in Dante, Purgatorio, V,130–136, si legge: « Deh, quando tu sarai tornato al mondo / e riposato dela lunga via, / seguitò il terzo spirito al secondo, / ricorditi di me che sonla Pia; / Siena mi fé, disfecemi Maremma; / salsi colui che ’nnanellata pria/ disposando m’avea con la sua gemma. » Ma si deve sapere che, in altricodici antichi, come in questa chiosa laurenziana, il verso 136, ultimo delcanto, non inizia con disposando, ma con disposata; in alcuni altri si trovadisposato. Sulla necessità di adottare la variante disposata — per cui iltesto diventa « salsi colui che ’nnanellata, pria / disposata, m’avea con lasua gemma », da intendersi « se lo sa colui che con la sua gemma avevainanellata me, (che ero stata) già sposata (pria disposata) » — insisteran-no coloro che, nella seconda metà dell’Ottocento, sosterranno che Pia daSiena, detta dei Tolomei da Benvenuto da Imola in poi, andasseidentificata con Pia dei Guastelloni, vedova di Baldo dei Tolomei, che sipretendeva rimaritata a Nello della Pietra, identificato con colui di cuiparla Pia da Siena in Dante.

38 Il testo da noi trascritto rappresenta soltanto la prima metà dellachiosa anonima, citata per intero dalla Enciclopedia Dantesca, alla vocePia, e da Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 18–19.

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studi danteschi, ma che in merito a Pia da Siena, continuan-do a tacere sulla data e sul luogo preciso della sua uccisione,si limita a riferire sia la versione breve di Iacopo della Lanae di Andrea Lancia sia quella ampia di Benvenuto da Imola edei suoi ripetitori e completatori. A proposito di Pia da Siena,infatti, il Landino scrive: « Questa fu sanese et mogle di mes-ser Nello dalla Pietra da Siena. El quale essendo rettore inMaremma, la trovò secondo che si crede in fallo, et ucciselasì secretamente che non si seppe allora. Siena mi fè, perché aSiena nacqui, et disfemmi Maremma: perché quivi fui uccisa.Et perché il modo fu secreto dice, che colui el sa, el qualeprima disposandomi m’havea inanellata, i. era mio marito. 39

L’Imolese scrive, che questa Pia fu de’ Ptolomei da Siena,famiglia nobile; et essendo messer Nello molto potente nellaMaremma, spesso l’habitava, et un giorno essendo la donnaalla finestra, comandò a un suo sergente che la gittassi giù.Né fu molto nota la cagione, che a questo lo ’nduxe. » 40

Come si vede, il commento di Cristoforo Landino rappresen-ta la confluenza, ma non la sintesi, di due diverse tradizioniinterpretative dei sette mirabili versi che Dante dedica a Pia daSiena: due tradizioni discordanti tra loro, di cui abbiamo addot-to alcuni testimoni e di cui altri se ne potrebbero addurre. 41

Testimoni che, ricopiandosi l’uno con l’altro, finiscono per esse-re tutti concordi nel dire che la Pia dantesca fu uccisa o fattauccidere da Nello della Pietra e che Nello della Pietra era il mari-to di lei, mentre sono discordi o tacciono sul movente, sull’oc-casione, sul modo dell’uxoricidio e sul nome di famiglia di que-sta Pia da Siena, che solo i più tardi di essi, seguendo Benvenu-to da Imola, dicono genericamente, senza precisarne il nome delpadre, della stirpe senese dei Tolomei. Nessuno invece ci dice néla data né il luogo preciso in cui avvenne quel fatto di sangue.

39 i. era mio marito: ciò (i. sta per il pronome latino id) era mio marito. 40 Comento di Cristoforo Landino, Firenze, Nicolò di Lorenzo della

Magna, 1481.41 Altri commenti su questi versi sono in Enciclopedia Dantesca, voce

Pia; in Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 13–20; nel cd–rom Icommenti danteschi dei secoli XIV, XV e XVI, a cura di P. Procaccioli.

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3. La Pia negli storici senesi. La diversità di opinioni chesi trova tra i primi commentatori dei sette versi che Dantededica a Pia da Siena, si ritrova anche tra gli storici senesiche fanno menzione di lei.

Il primo storico in cui si trovi notizia di Pia da Siena è ilprete Sigismondo Tizio, autore nei primissimi anni del Cin-quecento di una voluminosa storia di Siena. Ma la menzionedel Tizio lascia molto perplessi; sia perché pone la morte diPia all’anno 1181, cioè una settantina d’anni prima dellanascita di Nello della Pietra; sia perché egli si meraviglia chePia possa essere stata attribuita ai Tolomei, perché, scrive, intanti anni vissuti a Siena, egli ha imparato che le donne Tolo-mei sono sempre state tutte onestissime e castissime. 42

Il secondo storico in cui si trovi ricordo dell’uccisione diPia è Giugurta Tommasi, il quale, negli ultimi anni del Cin-quecento, scrive una storia di Siena in cui si legge un incisodove l’uccisione di Pia, che egli dice dei Tolomei, viene postain relazione con gli amori di Nello della Pietra con la contes-sa Margherita Aldobrandeschi. In effetti, all’anno 1289, dopo

42 Nel testo latino, presso la Biblioteca Comunale di Siena, ms. B–III–6,I, 567, il Tizio dice: « Imolensis vero refert causam necis mulieris Pieignotam fuisse; nec defuere peritissimi senes in urbe senensi qui nobisreferrent hanc Piam ex nobilibus de Sticciano ortum habuisse; nosque, inurbe senensi diu commorati, honestissimas Tolomeas mulieres pudicissi-masque semper fuisse cognovimus ». — I nobili di Sticciano furono i Cap-puciani, uno dei quali, Bindino di Sticciano, sposò Fresca, figlia primo-genita di Nello della Pietra; da questo matrimonio nacquero cinque figli,cioè Nello, Nerio detto Bustercio, Barnaba, Francesca e Pia, che Nellodella Pietra ricorda nel proprio testamento per diseredarli tutti, perché iprimi due avevano aiutato il padre Bindino a sottrargli il castello di Mon-temassi. Quando i vecchi senesi dicevano al Tizio che Pia era venuta dainobili di Sticciano non parlavano della Pia moglie di Nello, ma della Piafiglia di Bindino di Sticciano e di Fresca figlia di Nello, o comunque face-vano confusione tra le due donne: tra Pia, la nipote di Nello, e Pia, lamoglie di lui. — Su questa confusione tra nipote e nonna, Simonetti, LaPia …Tolomei, p. 66–67, fonda la sua “seconda ipotesi” di soluzione dellaquestione relativa a Pia da Siena: l’ipotesi cioè di una Pia “maremmana”,in quanto originaria di Sticciano; ipotesi erronea, perché appuntoconfonde la Pia nipote di Nello, con la Pia, moglie di lui.

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aver narrato come Margherita, vinta dalla noia per la lungaprigionia del marito, da due anni detenuto nelle prigioni diMessina, 43 ed in cerca di un forte protettore dei propri feudie della propria libertà, accesasi fortemente per Nello dellaPietra, mettesse in atto lacrime e lusinghe per conquistarlo,il Tommasi scrive che Nello, « né considerando o l’infamiache ne veniva a lei o i pericoli ne i quali esso si avviluppava,uccisa Pia Tolomei sua donna senz’altra cagione hauerne, sidiede tutto in braccio all’amore di questa signora ». 44

Il terzo storico senese che ricordi la vicenda di Pia daSiena è Girolamo Gigli, il quale, nel 1723, sostiene che Pia daSiena sarebbe stata una Pia nata Guastelloni, sposata inprime nozze a Baldo dei Tolomei e poi, in seconde nozze, aNello della Pietra. In effetti, nel contesto di un più ampiodiscorso dedicato alla famiglia dei Pannocchieschi, giunto a

43 Si tratta del primo marito di Margherita, il conte Guido di Monfort,prima vicario generale del re Carlo I d’Angiò in Toscana e vincitore dellabattaglia di Colle di Val d’Elsa (1269), poi fatto prigioniero dagli Arago-nesi, nel 1287, in una battaglia navale durante le Guerra del Vespro, edallora languente nelle prigioni siciliane, dove sarebbe rimasto rinchiusofino alla morte, che sembra avvenuta negli ultimi mesi del 1291 o neiprimi del 1292.

44 Biblioteca Comunale di Siena, ms. A–X–73, 205v; le parole in corsi-vo costituiscono un breve inciso che il Tommasi annotò in margine allapagina con l’indicazione precisa del luogo del testo in cui inserirlo. Madiciotto anni dopo la morte del Tommasi, nell’edizione a stampa di Giu-gurta Tommasi, Dell’historia di Siena, Venezia, Pulciani, 1625, il breveinciso che ricorda l’uccisione di Pia non venne inserito all’anno 1289,come invece aveva inteso fare il Tommasi, ma venne spostato al 1295,anno in cui il Tommasi torna a parlare degli amori di Nello e di Marghe-rita, e dove ora, nel testo a stampa, si legge: « Diede anchora quest’annonuova materia di gravi ragionamenti l’insolenza di Nello della Pietra, ilquale hauendo, senza altra cagione hauerne, uccisa Pia Tolommei suadonna, s’era proposto di farsi moglie la Contessa Margarita, la secondavolta rimasta vedova; ma caduto da quella speranza, e gittatosi alla dispe-razione, tentò di vituperarla. » Poiché la storia del Tommasi fu ovvia-mente divulgata non nella sua versione manoscritta, ma nella sua versio-ne a stampa, essa venne poi sempre invocata per fissare al 1295 la datadell’uccisione di Pia da Siena, che il Tommasi invece, come abbiamovisto, aveva ricordato ed inserito all’anno 1289.

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parlare degli amori di Nello della Pietra con la contessa Mar-gherita Aldobrandeschi, il Gigli scrive: « Non sono lontanodal credere, che ’l Conte Nello facesse morire Pia sua Donna,o perché egli n’avesse giusto motivo, o forse per prenderequesta Contessa sì ricca, e sì bella. » 45 Quindi, dopo aver ri-portato gli ultimi quattro dei sette versi che Dante dedica aPia da Siena ed il commento di Benvenuto da Imola ripresodal Landino, il Gigli soggiunge: « Ma per la verità Pia non erade’ Tolomei, ma fu tale creduta, perché fu maritata prima aMesser Baldo d’Aldobrandino Tolomei, del quale era vedovanel 1290. Poiché certamente ella era figliuola di MesserBuonconte Guastelloni, come si vede a gli strumenti di casaTolomei. » 46

45 Poiché altri, come fa anche il Gigli, indicano Nello della Pietra con iltitolo di conte, il Lisini, La contessa palatina Margherita Aldobrandeschi,p. 49, nota 1, scrive: « Si avverte che Nello e gli altri personaggi del suoramo Pannocchieschi mai si qualificarono come conti, perché come moltialtri feudatari della Maremma non lo erano; e coloro che oggi gli attri-buiscono quel titolo sono in errore. Soltanto i discendenti del ramo diRanieri di Uggeri da Elci sono conti, e con tale titolo sono riconosciutianche oggi. La recognizione del feudo pare che venisse fatta dai due ramidella famiglia Aldobrandeschi. L’ultima recognizione del castello di Pietraa Nello Pannocchieschi e a Iacomo detto Globolo, figli del fu Inghiramo,è del 7 ottobre 1280. (A. S. S., Pecci, Spoglio delle pergamene dell’arcive-scovado a c. 102). »

46 Gigli, Diario senese, I, 30 giugno, p. 333–334; più avanti, in Diariosenese, II, 25 luglio, p. 44, nel contesto di un più ampio discorso sui Tolo-mei, mentre loda le donne di quella famiglia, il Gigli scrive: « Pia Tolom-mei, mentovata nel fine del quinto del Purgatorio di Dante, come Mogliedi Nello Pannocchieschi Conte di Pietra, vuol che portiamo qui la suadifesa contro coloro, che la tacciarono di poco onesta, e che perciò potes-se dare occasione al marito di privarla di vita. Imperciocché se vogliasipor mente a i sensi del Poeta pare, che della sua morte non se ne sapessela cagione. Ricordati di me, che son la Pia: / Siena mi fé, disfecemi marem-ma: / salsi colui che inanellata pria / disposando m’avea con la sua gemma.Che se donna di poco buon nome ella fosse stata, Dante nell’Inferno l’a-vrebbe riposta. Ma il Tommasi può sgombrare dalla mente di chi si siaogni dubbio, mentre nel libro 7. della 2. parte dell’Istoria di Siena, foglio138, ci assicura, che il Conte Nello commettesse un tale eccesso, tentan-do di vituperare la Pia per passare alle seconde nozze colla Contessa Mar-

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4. La Pia negli scrittori. Mentre i commentatori cercanodi spiegare il testo di Dante e gli storici cercano di ricostrui-re il contesto in cui quel testo è inserito, gli scrittori che nar-rano la vicenda di Pia da Siena da un lato fanno propria laspiegazione dei primi commentatori, secondo cui Pia erastata vittima della gelosia del marito, e dall’altro, seguendol’esempio degli storici, cercano di ricostruire un contestoverisimile che evidenzi la causa di quanto è avvenuto. In que-sto senso, tutti i testi letterari dedicati a Pia da Siena sono deiracconti eziologici, cioè dei racconti che vogliono mostrare lacausa di quella oscura tragedia.

Il più antico di questi scrittori, per cinque secoli unico col-pevolista convinto, 47 è il frate domenicano Matteo Bandello,autore prima del 1524 di una novella, certamente ispirata alBoccaccio e forse anche ad Enea Silvio Piccolomini, il futu-ro papa Pio II. 48 In questa novella, Pia da Siena, che il Ban-

garita di S. Fiora. » — In verità, il Tommasi scrive che Nello, perduta ognisperanza di riuscire a sposarla, tentò di vituperare ovviamente non lamoglie Pia, ma l’ex–amante Margherita Aldobrandeschi, rimasta vedova,nel 1295, del suo secondo marito, Orso degli Orsini, perché lei rifiutava disposarlo. Precisiamo anche che Margherita era contessa di Sovana, nondi Santa Fiora, titolo portato invece dagli Aldobrandeschi suoi cugini.

47 Recentemente, invece, in un suo lavoro teatrale intitolato Pia de’Tolomei, che egli ha avuto la cortesia di trasmettermi sia manoscritto siain una videocassetta registrata dal vivo al teatro Olimpico di Roma, ancheMichele Murgiano si dichiara decisamente colpevolista. Secondo lui,infatti, la Pia dantesca sarebbe colpevole di avere ucciso un primo mari-to, di avere più volte abortito i frutti dei suoi numerosi amori illegittimi,tra i quali egli pone una prolungata relazione incestuosa con il fratelloLamberto, l’unico uomo, egli dice, che essa avesse amato e che l’avesseamata in maniera soddisfacente.

48 La novella di Boccaccio, Decameron, II, 10, cui egli si ispira per l’in-soddisfazione sessuale della giovane moglie e per le vigilie e le astinenzeinventate dall’anziano giudice di Chinzica, viene citata dallo stesso Ban-dello; la presenza della Storia di due amanti, che Enea Silvio Piccolominiscrisse nel 1444, ambientandola nella Siena dei propri tempi, sembra pro-vata invece dal fatto che in entrambe le novelle il giovane amante, perintrodursi in casa della giovane amata, si traveste da facchino trasporta-tore di grano, riuscendo in tal modo ad eludere la sorveglianza del gelo-so marito di lei.

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dello dice dei Tolomei, è una giovane diciottenne sposata aforza al più che cinquantenne Nello della Pietra. Questagrande differenza di età rende Pia sessualmente così insoddi-sfatta da spingerla, nonostante il rischio e la paura di esserescoperta, a cercarsi in Siena un amante più giovane, capacedi farle con vigore e frequenza quanto il marito le faceva conlabore e latenza. Scoperta la relazione amorosa della moglie,il geloso marito la riporta in Maremma, dove egli era signo-re e dove la consegna ai propri sergenti che la strangolanosenza pietà, mentre lei chiede devotamente perdono a Dio.

Tre secoli dopo questa novella, l’antica interpretazione deiversi danteschi, secondo cui Pia da Siena sarebbe morta vit-tima della gelosia del marito, ritorna nel poemetto in ottavarima che Bartolomeo Sestini, ispiratore di tutti gli innocenti-sti moderni, le dedica nel 1822. Vi ritorna, infatti, con unavariante molto importante: Pia da Siena muore vittima dellacalunnia di un innamorato respinto, Ghino, il quale si vendi-ca del rifiuto di lei, facendo credere al marito Nello, di cuiegli è amico, che Pia lo tradisce; Nello allora, per vendicarsidel creduto tradimento di lei, rinchiude Pia in un suo castel-lo maremmano, situato sui bordi di un piccolo lago, dove leimuore di febbri malariche. Per questa via, pur restando vitti-ma della gelosia del marito, Pia da Siena diventa quella mar-tire della fedeltà coniugale, la cui triste vicenda di amore, dicalunnia, di morte, ispirando scrittori, musicisti, pittori,scultori, commuove l’Ottocento romantico ed attraversa ilNovecento popolare italiano.

5. La Pia nei documenti. Mentre i testi letterari ottocen-teschi diffondono, fino a farla generalmente apparire comeverità storica, la versione sestiniana, secondo cui Pia daSiena, che i più ormai dicono dei Tolomei, sarebbe morta vit-tima innocente della gelosia del marito, ingannato da un ven-dicativo innamorato respinto, nuove ricerche condotte negliarchivi senesi portano alla scoperta di alcuni documenti chepreparano la soluzione della questione della Pia dantesca.

Nel 1859, primo frutto di queste nuove ricerche d’archivio,Gaetano Milanesi pubblica sei documenti importanti, pre-

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sentandoli tuttavia con un titolo quanto mai sorprendente, 49

visto che proprio questi documenti indeboliscono la tesi, dalui enunciata nel titolo ma ripresa dal Gigli, 50 secondo cui Piada Siena, che la tradizione diceva dei Tolomei e moglie diNello dei Pannocchieschi, sarebbe stata una Pia dei Guastel-loni che, rimasta vedova di Baldo dei Tolomei, aveva contrat-to seconde nozze con Nello dei Pannocchieschi.

Abbiamo detto che il titolo è quanto mai sorprendente,perché questa tesi delle seconde nozze di Pia viene esplicita-mente smentita proprio dal primo di questi documenti, fattoin Siena il 20 settembre 1290; in questo documento, infatti,si legge che Pia figlia di Buonincontro dei Guastelloni, vedo-va di Baldo di Ildibrandino dei Tolomei, per ottenere dal giu-dice la tutela e la gestione dei beni dei suoi due figli, Andreae Balduccia, avuti dal defunto marito ed ancora bambini,rinunciò a contrarre seconde nozze. 51

Il secondo dei documenti pubblicati dal Milanesi, datato11 ottobre 1290, contiene l’inventario preventivo dei beni deifigli richiesto dal giudice a Pia dei Guastelloni al momento diaffidargliene la tutela e la gestione. Il terzo, privo della data edelle consuete formule di autenticazione notarile, contieneun elenco delle entrate e delle spese della signora Pia, vedova

49 Gaetano Milanesi, Documenti intorno alla Pia de’ Tolomei ed a Nellode’ Pannocchieschi suo marito, « Giornale storico degli Archivi Toscani »,1859, III, p. 17–45.

50 Gigli, Diario senese, I, p. 333–334.51 Nel documento, parlando in prima persona, il giudice racconta che,

presentandosi davanti a lui, « domina Pia filia domini Buonincontri deGuastellonis, relicta domini Baldi Ildibrandini de Talomeis, renunptiavitsecundis nuptiis, Velleiano senatusconsulto, privilegio mulierum, et omniiuri et legum auxilio; et coram nobis proposuit se velle subire tutelamAndree et Balduccie filiorum suorum subsceptorum ex dicto viro suo; acetiam petiit, quod ex nostro officio sibi concederemus administrandilicentiam. Unde nos adnuentes petitioni ipsius, ipsam dominam Piamdictorum Andree et Balducce filiorum suorum tutelam subire permitti-mus, et similiter administrandi licentiam: facto prius inventario de boniseorundem pupillorum [… e con l’obbligo di] reddere rationem sue admi-nistrationis adnuatim, durante ipsius offitio. »

29La questione della Pia

di Baldo di Ildibrandino dei Tolomei, che si dice tutrice diAndrea e Balduccia, orfani del predetto Baldo. Il quarto con-tiene il rendiconto delle entrate e delle uscite dal 15 novem-bre 1293 fino al 5 novembre 1294, giorno in cui esso vienedatato e presentato alla commissione di sorveglianza. 52

Il quinto dei documenti pubblicati dal Milanesi si dice fat-to, il 9 marzo 1321, nel castello di Gavorrano e contiene iltestamento del signor Nello del fu Inghiramo di Pietra deiPannocchieschi. Il quale, sano di mente benché infermo nelcorpo, timoroso del giudizio di Dio e non volendo moriresenza testamento, dispone anzitutto che, qualora egli venga amorire senza aver revocato il presente testamento, il suocorpo sia sepolto nella chiesa dei Francescani di Siena, aiquali egli lascia mille libre di denari senesi per la costruzio-ne di una cappella in onore di San Francesco e di un onore-vole sepolcro per lui.

Parimenti, a salvezza e rimedio della propria anima, comerisarcimento delle cose maltolte, illegalmente possedute esottratte, lascia mille fiorini d’oro, che i suoi esecutori testa-mentari, tra i quali egli pone la figlia Fresca, 53 distribuiranno

52 In merito a questi rendiconti di Pia dei Guastelloni, vedova dei Tolo-mei, Spagnotti, La Pia de’ Tolomei, p. 30–31, opportunamente osserva:« Ma conviene osservare come il primo rendiconto, più breve del seguen-te, non porti data alcuna né del periodo di tempo a cui si riferisce né delgiorno in cui fu redatto, e gli anni 1291–1292 che porta in capo nell’edi-zione dell’Archivio storico sono stati assegnati dal Milanesi; non ha quin-di, a mio parere, quel documento l’importanza del secondo, e doveva cer-tamente essere stato piuttosto un pro–memoria della casa Tolomei che unvero atto autentico, presentato a prova della gestione dalla Pia; il secon-do, invece, molto più preciso fin dal principio, si chiude con tutte le for-malità del tempo e dimostra di essere stato scritto per essere presentatodavanti alla commissione di sorveglianza. »

53 Per meglio sottolineare questo punto, di cui, scorrettamente, tacqueBartolomeo Aquarone, il quale, come vedremo subito, amò invece fon-darsi su una, da lui asserita, discriminazione testamentaria di Nello neiconfronti della figlia Fresca, come prova che Fresca era figlia di Pia daSiena, di cui Nello sarebbe stato l’uccisore, riportiamo il passo latino deltestamento di Nello; eccolo: « Ad predicta vero omnia exequenda, ut supe-rius dictum est, [Nellus] reliquit et fecit suos fideicommissarios, religio-

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a chiese, vescovi, monasteri, pievi, canoniche, frati, personeprivate, secondo le quantità e le intenzioni da lui stesso indi-cate nel testamento caso per caso; in particolare, come lasci-to di sua moglie Nera, da quei mille fiorini d’oro essi paghe-ranno 25 libre alla signora Clara, sua cameriera, e 15 librealla signora Falia, figlia del signor Caffarello di Gerfalco.

Parimenti dispone che, qualora il figlio della signora Chia-rina di Lucca volesse venire dalle parti delle sue terre e rico-noscersi come suo figlio, i suoi eredi siano tenuti a darglinutrimento e vestiti, almeno un buon cavallo ed armi, ed unbuon podere che gli consenta di vivere onorevolmente conarmi e cavallo. 54 Parimenti lascia alla signora Bartala, suamoglie legittima e figlia del fu Baldo del signor Cante dellaTosa di Firenze, 55 cinquecento fiorini d’oro come sua dote, lanomina tutrice della figlia Bianca, ancora bambina, e degli

sum virum dominum hospitalis Sancte Marie de Senis presentem, et quipro tempore fuerit, dominam Frescam eius filiam, uxorem Bindini deSticciano, et dominum sive rectorem hospitalis Misericordie de Senis,qui nunc est, vel pro tempore fuerit, et Baschieram dominam Bindi de laTosa de Florentia, et dominum Nerium domini Ubertini de Gaville. »

54 Nello della Pietra era stato podestà di Lucca nel 1313: probabilmen-te fu in questa occasione che egli conobbe ed amò la signora Chiarina,dalla quale era nato questo suo secondo figlio illegittimo; il primo erastato, infatti, Binduccio, nato dai suoi amori con la contessa Margheritaverso il 1290 e morto, cadendo in un pozzo, nel 1300, come prova la lapi-de posta sulla sua tomba nella chiesa dei Francescani in Massa Maritti-ma. — In merito a questa disposizione testamentaria di Nello della Pietraper questo suo secondo figliolo illegittimo, Aquarone, Dante in Siena, p.83, manifestando soltanto una parte dell’antipatia, clericale e bacchetto-na, che egli nutre nei confronti di Nello, commenta: « Stupendo quel sivoluerit confiteri suum filium esse! [Se avrà voluto riconoscere di esseresuo figlio.] E davvero che tale frase rivela forse il massimo pervertimentoin ordine a idee morali, da padre a figlio e da figlio a padre, come puredal padre alla madre fra loro. »

55 Oltre al nome del padre, Baldo di Cante della Tosa da Firenze, cono-sciamo anche il nome della madre di Bartala, cioè Baschiera, che, comeabbiamo visto, viene ricordata tra gli esecutori delle volontà testamenta-rie di Nello. Questo vuol dire che Baschiera doveva essere alquanto piùgiovane del settantenne Nello, mentre Bartala, figlia di Baschiera emoglie di Nello, doveva essere molto più giovane di entrambi.

31La questione della Pia

altri figli e figlie che dovessero avere, e le consente di conti-nuare a vivere onorevolmente sui propri beni per tutto iltempo che essa vorrà rimanere vedova. Parimenti assegna,come dote, mille fiorini d’oro alla figlia Fresca, moglie di Bin-dino di Sticciano, mille fiorini d’oro alla figlia Francesca,moglie di Manuello conte d’Elci, mille fiorini d’oro alla figliaBianca, ancora bambina. 56

Per tutti gli altri suoi beni mobili ed immobili, esclusi alcu-ni altri suoi lasciti, di cui omettiamo l’elenco, 57 per altreopere di beneficenza, come la costruzione di un ospedale conalmeno quattro letti, l’equipaggiamento completo di un buoncavaliere nel caso venisse bandita una nuova crociata, ilrisarcimento di chiunque entro due anni dalla propria morteavesse dimostrato di avere subito torti da lui e di non esser-ne stato ancora risarcito, Nello nomina erede il figlio o i figlimaschi che gli dovessero nascere da Bartala, sua attualemoglie legittima. Se invece non dovesse avere figli maschilegittimi, allora egli lascia come eredi, ciascuna per un terzodi tutti i suoi beni, la figlia Francesca e la figlia Bianca, men-tre la figlia Fresca avrà soltanto l’usufrutto del rimanenteterzo, il quale, alla morte di lei, tornerà in parti uguali allesorelle Francesca e Bianca; ma se Bindino di Sticciano, mari-

56 Da un documento da noi consultato presso l’Archivio di Stato diSiena, ms. A 58, Raccolta di denunzie di contratti di matrimoni, volume VI(T — Z), c. 89v, veniamo a sapere che, nel 1343, questa Bianca di messerNello della Pietra Pannocchieschi sposò Granello di Vanni di messer Gra-nello dei Tolomei; questo matrimonio da un lato rende, se ancora ce nefosse bisogno, altamente inverosimile, per non dire affatto incredibile,che Nello della Pietra avesse prima sposato e poi ucciso una Pia dei Tolo-mei, perché in questo caso la figlia dell’uxoricida avrebbe sposato un altromembro della stessa, potente, famiglia da cui era uscita l’uccisa, e dal-l’altro lato spiega il ritrovamento dello stemma dei Tolomei nel castello diPietra, in cui alcuni amici di Gavorrano vedrebbero la prova del fatto chela moglie di Nello della Pietra sarebbe stata una Tolomei: questo stemmavi giunse, infatti, non attraverso Pia moglie di Nello, bensì attraverso Gra-nello marito di Bianca figlia di Nello.

57 Una traduzione completa di questo testamento di Nello della Pietra,si può leggere in Simonetti, La Pia …Tolomei, p. 90–109.

32 CARLO CORSETTI

to di Fresca, o i suoi figli gli restituissero liberamente ed inte-ramente il castello di Montemassi con tutti i suoi diritti,Nello dispone che, in questo caso, la figlia Fresca erediti unterzo dei suoi beni, esattamente come le altre due sue figlie.Parimenti dispone che siano diseredati, ed esclusi da ognidiritto di eredità sui suoi beni, Nello, Nerio detto Bustercio,Barnaba, Francesca e Pia, figli e figlie di Bindino di Sticcia-no e di sua figlia Fresca, perché i predetti Nello e Bustercio,insieme al predetto loro padre Bindino, gli avevano sottrattoin modo proditorio, egli afferma, il castello di Montemassi.

Il sesto dei documenti pubblicati dal Milanesi si dice fatto,il giorno 11 luglio 1322, nel castello di Gavorrano e contieneun codicillo, con cui Nello della Pietra, sano di mente benchéinfermo di corpo, confermando per il resto il precedentetestamento e mutandolo invece per quanto in esso era scrit-to su questo specifico punto, nomina la figlia Fresca erededella terza parte di tutti i suoi beni con gli stessi diritti dellealtre sue due figlie, Francesca e Bianca; cassa ed annulla laprecedente diseredazione da lui decisa nei confronti dei cin-que figli ed eredi di Fresca; dispone che gli esecutori delleproprie disposizioni testamentarie non possano fare alcunacosa senza il permesso, il parere, l’assenso ed il consensodella signora Fresca, sua figlia predetta.

Pochi anni dopo, nel 1865, questi sei documenti pubblica-ti dal Milanesi sono ben presenti a Bartolomeo Aquarone,che li cita ampiamente nel suo libro sugli accenni a cosesenesi rintracciabili nella Commedia dantesca. 58 Ma la con-vinzione che Pia dei Guastelloni, vedova Tolomei, fosse la Piadantesca e che la Pia dantesca fosse moglie di Nello della Pie-tra lo porta a darne una lettura gravemente arbitraria e sto-ricamente scorretta, di cui noi ricordiamo le tesi principali,ma che una trentina di anni dopo, nel 1893, sarebbe statasmentita in radice dal ritrovamento di un documento, dalquale risulta che nel 1318, cioè diciotto anni dopo l’incontro

58 Aquarone, Dante in Siena, p. 79–93.

33La questione della Pia

di Dante con lo spirito di Pia da Siena, Pia dei Guastelloni,vedova Tolomei, era ancora viva ed attiva. 59

Convinto che il matrimonio tra Pia dei Guastelloni e Nellodei Pannocchieschi fosse realmente avvenuto, per spiegare ilfatto che nel proprio testamento Nello non fa alcun cennoalla figura di Pia, mentre accenna a Nera, sua moglie defun-ta, da cui, sostiene l’Aquarone, doveva avere avuto la figliaFrancesca, allora già maritata, e parla a lungo di Bartala, suamoglie vivente, da cui doveva avere avuto la figlia Bianca,ancora bambina, l’Aquarone sostiene che si era trattato di unmatrimonio segreto; « altrimenti, perché, e come, la tradizio-ne popolare avrebbe continuato sempre a denominar la Piadella casata de’ Tolomei che le conosceva? Perché non dirlainvece de’ Pannocchieschi? E se fosse paruto sconvenienteunire il nome dell’uccisore alla miserevole memoria della vit-tima, perché non dirla de’ Guastelloni? » 60

Quanto alla data, poiché il loro matrimonio non potetteavvenire, sostiene l’Aquarone, tra il 20 settembre 1290, giornoin cui, per ottenere la tutela e la gestione dei beni dei figli,Andrea e Balduccia, 61 ancora bambini, Pia dei Guastelloniaveva rinunciato a contrarre seconde nozze, esso dovette avve-nire, sostiene, dopo il 5 novembre 1294, data in cui Pia pre-

59 Alla luce dei calcoli che troviamo nella Enciclopedia Dantesca, allavoce viaggio, l’incontro tra Pia e Dante avviene il 10 aprile 1300, domeni-ca di Pasqua, poco dopo mezzogiorno.

60 Aquarone, Dante in Siena, p. 89.61 Dimentico della regola che nella sintassi latina disciplina la concor-

danza di un termine con termini di genere diverso, nel qual caso ilmaschile prevale sul femminile, e noncurante delle distinzioni di sesso trai due bambini ricavabili dai due rendiconti, Aquarone, Dante in Siena, p.85, trasformata la femmina in maschio, parla di « due figlioli, Andrea eBalduccio »; errore sorprendente, ma non unico, visto che, mentre Dante,Inferno, XXXIV, 85–139, dice esplicitamente che egli risale dal centrodella Terra, dove si trova, librato nel vuoto, Lucifero, fino ai piedi delmonte Purgatorio attraverso uno stretto e sconnesso cunicolo naturale (lanatural burella del verso 98), Aquarone, Dante in Siena, p. 79, inizia que-sto suo capitolo, intitolato Purgatorio V, scrivendo che Dante viene « tra-gittato dall’angiolo al monte del Purgatorio ».

34 CARLO CORSETTI

senta il secondo rendiconto; rendiconto che, sostiene, fu anchel’ultimo; dopo di che, cessata la tutela e la gestione dei beni deifigli, Pia riacquistò la libertà di contrarre seconde nozze.

Quanto al movente, l’Aquarone sostiene che il matrimonioavvenne “per forza”, cioè perché Pia era già incinta dellafiglia Fresca. Se così non fosse stato, sostiene, sarebberomancati i nove mesi necessari per portare a termine la gravi-danza e partorire la figlia: Pia infatti, sostiene l’Aquaronerichiamandosi in maniera arbitraria al Tommasi ed al Gigli,venne uccisa nel mese di luglio del 1295; 62 e venne uccisa,sostiene, da Nello della Pietra che, essendo tornato ad inte-ressarsi alla contessa Margherita Aldobrandeschi, rimastanuovamente vedova, mentre Pia sedeva su una finestra, lafece gettare giù dalla torre in quella parte del dirupo, su cuisorge il castello di Pietra, che la tradizione popolare, sostie-ne, indica « col nome di salto della contessa ». 63

62 Se invece di limitarsi a leggere il testo a stampa del Tommasi, l’A-quarone avesse avuto modo e voglia di controllarne il manoscritto, sisarebbe accorto che il Tommasi aveva inserito il ricordo dell’uccisione diPia dei Tolomei non all’anno 1295, bensì all’anno 1289, quando Pia deiGuastelloni, ancora sposata con Baldo dei Tolomei, di cui risulta vedovasolo nel 1290, non poteva contrarre seconde nozze con Nello della Pietra.Ma l’Aquarone si rivela arbitrario anche nei confronti del Gigli, al qualepure egli rinvia come a fonte della propria affermazione che Pia fossestata uccisa da Nello nel mese di luglio. Abbiamo visto, infatti, che il Gigliparla di Pia dei Tolomei sia al 30 giugno sia al 25 luglio, giorno in cui egliriporta il passo del Tommasi; ma l’Aquarone, tacendo di giugno, indicaluglio, perché a luglio più che a giugno finivano i nove mesi della gravi-danza che egli attribuisce a Pia dei Guastelloni, insinuando così che Nelloaveva fatto defenestrare la moglie subito dopo che essa gli aveva partori-to la figlia Fresca: particolare che lo rendeva ancora più odioso.

63 Aquarone, Dante in Siena, p. 90. — In merito alla individuazione delcastello di Pietra come luogo della morte di Pia da Siena ed in merito allatradizione popolare di cui parla l’Aquarone, uno studioso maremmanonato e cresciuto proprio in quei luoghi, Decimo Mori, La leggenda dellaPia, p. 67–69, nel 1907, scrive: « Anche il pensare che l’uccisione delladonna avvenisse nel castello della Pietra è ingiustificato, direi quasi arbi-trario, giacché né Pietro di Dante, né l’Ottimo, né Benvenuto, né l’Anoni-mo, né alcun altro de’ commentatori né degli annotatori da me citati, cidicono questo. Solo son concordi nel dire che l’uccise Nello della Pietra

35La questione della Pia

Che poi Fresca fosse proprio figlia di Pia, l’Aquaronesostiene risulti « primamente dal vederla tanto manomessadal padre nel primo testamento; 64 e poi trovandola, nel 1321,

in Maremma; ma la Maremma non è circoscritta a quel castello né al suoterritorio, e Nello possedeva, come ho detto prima, più castelli in Marem-ma in quel tempo. I castelli di Gavorrano, di Giuncarico e di Montemas-si, erano e sono vicinissimi a Pietra; e perché pensare per l’appunto che ildelitto della Pia fosse compiuto in questo? Perché Nello era il conte dellaPietra credo, non perché il Poeta, né altri sicuramente, ci autorizzi a cre-dere questo piuttosto che altri castelli; e perché, secondo l’Aquarone, latradizione tuttavia indica una parte del dirupo, sul quale sorge il castello,col nome di salto della contessa. Io, per quanto maremmano, e nato e cre-sciuto in tanta prossimità di Pietra, non ho mai sentito dire di questosalto della contessa, e per quante domande abbia rivolto a’ miei compae-sani, nessuno ho trovato che sappia di un tal nome dato a quella parte delcastello: ma ammesso anche ciò come vero, si può osservare molto facil-mente, che tale nome poté essere dato a quella parte del dirupo in conse-guenza della morte della donna come la narrano i commentatori, essen-do in quella parte la sola finestra conservata dal tempo. È anche da nota-re che la leggenda non parla di morte violenta per essere stata la contes-sa gettata dalla finestra, ma parla invece di febbri malariche. E possoaggiungere, non credendolo affatto inutile, che un giorno trovandomi alcastello della Pietra, e parlando con un guardiano di armenti, m’indicavaquale fosse il salto della contessa; ma allorché gli domandai, per fintacuriosità, perché si chiamasse così, egli mi rispose che non sapeva nep-pure che il dirupo avesse quel nome, solo aveva sentito dire (e n’ebbigrande sorpresa) che ci fu buttata da un servo villano e cattivo una cagnadel conte Nello che si chiamava contessa. Io risi a quella inaspettata estrana risposta e gli volli far capire come la Pia invece, morta per violen-za, fosse stata buttata da quella finestra. Egli francamente mi rispose cheaveva sempre sentito dire che la Pia era morta di febbri, e non per esserebuttata di lassù. E, come documento importante, secondo lui, mi citò lanovella in ottave del Niccheri. » — In merito a questa questione, mi sem-bra doveroso ricordare che Veraldo Franceschi, coautore insieme allamoglie Nella, troppo presto scomparsa, di due importanti contributi sullafigura di Pia da Siena e sul castello di Pietra, mi fa osservare come latorre, la cui finestra ancora si apre sul sottostante burrone detto saltodella contessa, sia un’aggiunzione al castello originario posteriore aitempi di Pia da Siena, la quale, dunque, non poté esservi precipitata.

64 Qui l’Aquarone allude al fatto che Nello aveva nominato le altre duefiglie, Francesca e Bianca, eredi ciascuna per un terzo di tutti i suoi beni,mentre a Fresca aveva assegnato l’usufrutto a vita di quel terzo dei beni

36 CARLO CORSETTI

madre di tre figliuole, Barnaba, Francesca e Pia. 65 Chi avreb-be osato nella discendenza del Pannocchieschi, continuarene’ propri figliuoli quel nome di Pia, se non la figliuola dellaPia stessa? » 66

paterni, che le sarebbe andato in eredità soltanto se il marito ed i figliavessero restituito a Nello il castello di Montemassi. L’Aquarone, cheinvece vuol vedere la vera causa di quel diverso trattamento nel fatto cheFresca era figlia di Pia dei Guastelloni, sostiene che discriminare la pro-pria figlia per una colpa del proprio genero era una punizione che dovet-te sembrare ingiusta anche a Nello stesso, tanto è vero che, scrive Aqua-rone, Dante in Siena, p. 88, « in un codicillo dell’11 luglio, cinque mesidappoi (indottovi forse da un confessore dabbene), [Nello] reintegrava inogni diritto di successione, pari alle altre due figliuole, la Fresca. » —Ancora una volta la lettura dell’Aquarone risulta preconcetta e parziale,in quanto egli omette di vedere o di dire che nel testamento del 1321,come abbiamo sottolineato riportandone il passo che, supponiamo,anche l’Aquarone avrà letto, Nello aveva posto la figlia Fresca tra i propriesecutori testamentari e che nel codicillo del 1322 egli la pone addirittu-ra al di sopra di tutti gli altri esecutori, disponendo che questi non pos-sano fare alcuna cosa senza il permesso, il parere, l’assenso ed il consen-so della signora Fresca, sua figlia. Segno questo, pensiamo, che la deci-sione di Nello di escludere la figlia Fresca ed i figli di lei dalla successio-ne ad un terzo di tutti i suoi beni, a meno che il marito Bindino od i figligli avessero restituito il castello di Montemassi, non solo aveva, forse, sor-tito l’effetto sperato, ma era anche stato verosimilmente concordato traNello e Fresca, nominata esecutrice testamentaria anche della sua stessaesclusione dall’eredità, come strumento di pressione sul marito e sui figli:altro che “confessore dabbene”!

65 Questo ricordo da parte dell’Aquarone dei figli di Fresca appare perpiù versi scorretto: intanto perché trasforma Barnaba, il terzo figlio diFresca, in una figliuola; poi perché dice che Fresca era madre di trefigliuole, mentre nel testamento di Nello, come abbiamo visto, essa vienericordata come madre di cinque figli e figlie: Nello, Nerio detto Bustercio,Barnaba, Francesca e Pia; infine perché omette di ricordare proprio i duefigli più grandi, Nello e Bustercio, che il nonno considerava corresponsa-bili con il loro padre della sottrazione del castello di Montemassi: perquesta ragione, nel testamento del 1321, li aveva diseredati, salvo reinte-grarli, insieme alla madre, in tutti i loro diritti ereditari con il codicilloaggiuntivo e correttivo del 1322.

66 Aquarone, Dante in Siena, p. 88–89. — Sarebbe facile rovesciare l’ar-gomentazione dell’Aquarone, facendo osservare come il fatto che Fresca

37La questione della Pia

Quasi trenta anni dopo, nel 1893, Pio Spagnotti pubblicaun “saggio storico–critico”, in cui riesamina l’intera questio-ne relativa a Pia da Siena, così come essa si era venuta costi-tuendo nei secoli attraverso i commentatori e gli storici;ristudia i sei documenti relativi a Pia dei Guastelloni ed aNello dei Pannocchieschi pubblicati dal Milanesi; discute erespinge tutte le tesi dell’Aquarone, di cui condivide quasisoltanto il rifiuto della tesi del Sestini, secondo cui Pia daSiena sarebbe morta di febbri malariche, ed i pregiudizimoralistici verso Nello. 67

Contrariamente a quanto sostenuto dal Gigli, dal Milanesie dall’Aquarone, lo Spagnotti ritiene che Pia dei Guastelloninon abbia nulla a che fare con Nello della Pietra; ritieneancora che, visto il silenzio assoluto del suo testamento su

abbia chiamato Pia una delle sue figlie potrebbe essere interpretato comeprova del fatto che Fresca non era figlia di Pia. Noi non lo rovesceremo;ma dimostreremo più avanti che Fresca era davvero figlia di una Pia: unaPia diversa dalla Pia dantesca con cui venne confusa.

67 Il livore moralistico nei confronti di Nello della Pietra acceca fino altravisamento grammaticale Spagnotti, Pia de’ Tolomei, p. 38–39, dove, aproposito dei lasciti che Nello, in esecuzione di una volontà della moglieNera, dispone a vantaggio della signora Chiara, sua cameriera, e dellasignora Falia del signor Caffarello di Gerfalco, incredibilmente scrive dilui: « Principe corrotto, lascia travedere dal genere dei lasciti tutta unavita randagia e rapace, perché, oltre i casi esplicitamente da lui ricordatidi birbonate commesse, se ne possono ammettere altre come di sottinte-so a tanta elargizione. Né sembra che tutta la sua malvagia abilità fossemessa a profitto nello spogliar chiese e conventi, perché, a volerne citareun esempio solo, troviamo un lascito di 25 libbre al suo cameriere Claro,ma col solo usufrutto, dovendo alla sua morte tal somma passare allamoglie Nera, verso la quale sembra nutrisse simpatie, trovandosi pocodopo legate 15 libbre a Ser Caffarello di Gerfalco, perché le consegnassealla Nera. » — Per facilitare un rapido controllo della fonte, che è allabase delle incredibili, calunniose, farneticazioni dello Spagnotti, riportia-mo il passo in questione del testamento di Nello; eccolo: « Item [Nellus]iudicavit et reliquit, de dictis mille florenis auri, domine Clare sue came-rarie, libras vigintiquinque den., quas dixit sibi iudicasse et reliquissedominam Neram eius uxorem. Item iudicavit et reliquit domine Falie serCaffarelli de Gerfalco, de dictis mille florinis auri, libr. quindecim den.sen., quas dixit sibi iudicasse prefatam dominam Neram. »

38 CARLO CORSETTI

questo punto, Nello della Pietra non abbia mai avuto unamoglie di nome Pia e che pertanto egli non abbia nulla a chefare con la Pia da Siena di cui parla Dante; infine, visto chedopo secoli di ricerche da parte delle migliori intelligenzenessun documento è venuto a confermarne l’esistenza, ritie-ne che Pia da Siena sia una figura leggendaria che in buonafede Dante credé storica, seguito poi da tutti i suoi commen-tatori, i quali furono tratti in inganno dal fatto che « Dantenon illustra se non personaggi storici ». 68

Pertanto, in conclusione del proprio lavoro, prendendopur atto del successo popolare incontrato dagli scrittori e daidiversi artisti che avevano preso a tema la figura e la vicendadi Pia da Siena, lo Spagnotti scrive solenne: « Plaudiamoadunque alle più belle manifestazioni di potenti ingegni, mainchiniamoci riverenti di fronte alla severa figura della storiache deve essere la verità personificata; e se potrà sembraretroppo grave asserzione, dopo sei secoli, quella che nega ognivalore reale alla evocazione poeticamente sublime di Dante,mi sia concessa almeno la prova de’ fatti e fino a che non siasorta con documenti di valore quella, potremo sempre ammi-rare tale sublime creazione del primo genio italiano, maammettere in essa un fondo di storica verità giammai, perchéfinora il responso della storia dà ragione all’opinione mia, perla quale da anni vado combattendo, che la Pia di Dante nonha valore storico o quanto meno non ha nulla a che vederecon la madonna Pia, nata Guastelloni, vedova Tolomei. » 69

Questo suo saggio era pronto per la pubblicazione, rac-conta lo Spagnotti, quando egli seppe che Alessandro Lisini,direttore dell’archivio di Siena, aveva pubblicato un docu-mento, datato 21 agosto 1318, in cui la signora Pia, figlia delfu Bonincontro, vedova del fu Baldo da Siena, rinunciandoad ogni proprio diritto, reale e personale, ratificava la vendi-ta di una casa che Andrea, figlio suo e del fu Baldo, e Magiamoglie di lui avevano fatto a frate Vanni di Ghida, procura-

68 Spagnotti, La Pia de’ Tolomei, p. 52. 69 Spagnotti, La Pia de’ Tolomei, p. 54.

39La questione della Pia

tore della casa dei poveri Santa Maria della Misericordia diSiena. 70

Entusiasta per la scoperta di questo documento che dimo-strava in maniera definitiva la fondatezza della sua tesi mini-ma, secondo cui Pia dei Guastelloni, vedova di Baldo deiTolomei, non era la Pia da Siena di cui parlava Dante, lo Spa-gnotti, in una breve appendice al proprio saggio, chiarì eribadì meglio anche la sua tesi massima, secondo cui Pia daSiena era una figura leggendaria, non storica. Quindi, in atte-sa che apparisse lo studio con cui il Lisini aveva promesso dimostrare come la leggenda sestiniana che illustra l’episodiodantesco non avesse alcun fondamento nella storia, 71 lo Spa-gnotti concluse il proprio libro, scrivendo: « Io non so quan-to il Lisini, nel suo prossimo lavoro, si accinga a dimostraredi leggendario intorno a questa sublime figura; ma io miaccontenterò di credere che Dante abbia cantato in buonafede quella Pia creduta storica. » 72

Una quindicina di anni dopo, nel 1907, Decimo Mori,attraverso un riesame delle testimonianze più antiche e dei

70 Spagnotti, La Pia de’ Tolomei, p. 55; questo documento, pubblicatoda Alessandro Lisini, Nuovo documento della Pia de’ Tolomei, Siena, Laz-zeri, 1893, venne ripubblicato dallo stesso A. Lisini, La Pia di Dante, « LaDiana », 1928, III, 4, p. 273–274, da cui poi lo ha ripreso, per ripubblicar-lo, Simonetti, La Pia …Tolomei, p. 121–123.

71 Il Lisini aveva concluso l’introduzione al proprio opuscoletto con ilbrano che leggiamo in Spagnotti, Pia de’ Tolomei, p. 57: « In uno studioche è mio intendimento di pubblicare dimostrerò come la pietosa leg-genda che illustra l’episodio dantesco, raccontata da molti e con tantagrazia cantata da Giovan Battista Sestini non ha verun fondamento nellarealtà della Storia ». — A proposito del nome di Bartolomeo Sestini, innota a questa stessa citazione, lo Spagnotti lamenta: « È destino di que-sto sventurato poeta di essere maltrattato ancora morto anche nel nome,perché di Bartolomeo è fatto dall’Ademollo [un autore da lui discusso nellepagine precedenti]: Abate Bernardo, dal Perino di Roma: Benedetto, e oradal Lisini: Giovan Battista. »

72 Spagnotti, Pia de’ Tolomei, p. 62. — Notiamo che il Lisini si ripro-metteva di dimostrare l’infondatezza storica della leggenda sestiniana,non l’infondatezza storica della Pia dantesca, come invece fraintese loSpagnotti.

40 CARLO CORSETTI

documenti più recenti, giunge alla conclusione che la rico-struzione della vita di Nello della Pietra e lo studio attento delsuo testamento del 1321 ne rivelano un’immagine moltodiversa da quella dell’uomo rozzo e volgare, moralmenteriprovevole, disegnata soprattutto dall’Aquarone. 73 In altritermini, sostiene il Mori, come Pia dei Guastelloni si è rive-lata persona del tutto diversa dalla Pia da Siena di cui parlaDante, così Nello della Pietra, personaggio storico ben noto,si rivela persona del tutto diversa dal Nello della Pietra di cuiparla “la leggenda della Pia”.

Convinto, tuttavia, che la leggenda della Pia avesse unnucleo reale, su cui Dante stesso era poco informato e che isuoi commentatori avevano ulteriormente intricato aggiun-gendovi particolari romanzati contraddittori tra loro, 74 ilMori si pone il problema storico di accertare se per caso nonfosse esistito un secondo Nello della Pietra diverso dal Nellodella Pietra di Inghiramo, di cui parlano molti documenti deltempo e di cui conserviamo, tra l’altro, il testamento del1321; e giunge a scoprire che in quegli stessi anni un secon-do Nello della Pietra esistette davvero: si tratta di Nello figliodi Mangiante, che il Mori crede cugino di Nello di Inghiramo,di cui invece era lo zio. 75

73 Mori, La leggenda della Pia, p. 50.74 Al termine della prima parte del proprio lavoro, Mori, La leggenda della

Pia, p. 75, scrive: « In conclusione io credo all’esistenza reale della Pia diDante, e non partecipo punto all’opinione dello Spagnotti, il quale suppo-ne che Dante, facendo eccezione alla regola, abbia rammentata una Piaimmaginaria. Ma credo altresì che Dante non avesse egli stesso notizie pre-cise e copiose sui casi della Pia, e si tenesse pago di accennarvi pietosa-mente. » — In verità lo Spagnotti, Pia de’ Tolomei, p. 62, aveva detto « di cre-dere che Dante abbia cantato in buona fede quella Pia creduta storica »,perché, aveva scritto a p. 52, « Dante non illustra se non personaggi stori-ci ».

75 A proposito di questi due Pannocchieschi, Lisini, Bianchi–Bandinel-li, La Pia dantesca, p. 33–34, scrivono: « Dai documenti dell’epoca risulta-no contemporanei due Pannocchieschi con lo stesso nome di Nello: uno,figlio di Inghiramo e signore di Pietra, l’altro figlio di Mangiante e zio delprimo. Da ciò è nata una prima confusione tra gli storici che spesso

41La questione della Pia

Si tratta ora di chiarire quale dei due abbia ucciso Pia daSiena: Nello di Mangiante o Nello di Inghiramo? Scrive ilMori: « Mentre la voce popolare ed i commentatori accusanoun Nello, i documenti che riguardano il figlio di Inghiramonon hanno un accenno al misfatto, anzi stanno, ripeto, in suadifesa, perché la Pia, secondo il Poeta Divino, i commentato-ri e gli storici, fu uccisa dal marito; e questo Nello non ebbenessuna moglie per nome Pia. E l’altro Nello? Di lui oltre allanotizia dell’esistenza e alle altre scarse notizie che ce lo dico-no capitano e capopartito in Massa [Marittima], non ho tro-vato altro. Credo che sia chiuso, e con ragione, nel silenzio enel mistero, come il delitto che egli, secondo me, commise ofece commettere. […] L’autore della violenza sulla Pia sareb-be stato dunque Nello Pannocchieschi figlio di Mangianteconte della Pietra, e la questione sarebbe ormai definita conl’accordo dei commentatori e di tutti. » 76

Risolto il problema del marito uccisore con l’individuazio-ne di un secondo Nello dei Pannocchieschi, si tratta ora dirisolvere il problema della moglie uccisa, individuando unaseconda Pia, diversa da quella Pia dei Guastelloni, vedovaTolomei, che non poteva più essere identificata con Pia daSiena, perché essa era ancora vivente nel 1300, quando Danteincontra lo spirito di Pia da Siena nell’antipurgatorio. A que-sto punto, compiendo il passo decisivo verso la vera Pia daSiena, il Mori scrive: « Non resterebbe ora che trovare lafamiglia senese a cui appartenne la Pia, sebbene sia difficile,dopo tutte le ricerche fatte, e non sia strettamente necessario,ormai, per assicurarne l’esistenza. Del resto avrei trovato una

hanno voluto attribuire all’uno fatti attinenti all’altro; ma è facile chiari-re la personalità di ognuno quando si ponga mente che Nello di Man-giante non ebbe quasi nessuna relazione con Siena (scarsissime sonoinfatti le notizie di lui nell’archivio senese); che quasi sempre è chiamatoPaganello anziché col diminutivo Nello; che mai ebbe la qualifica diSignore di Pietra, mentre all’opposto Nello d’Inghiramo è sempre desi-gnato con l’appellativo “Signore di Pietra”. Questo è il Nello che c’inte-ressa e di lui parleremo. »

76 Mori, La leggenda della Pia, p. 80–81.

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Pia che, almeno meglio delle altre a cui hanno pensato finoad ora gli storici e i commentatori, corrisponderebbe forsealla donna dantesca e, più che mai, a ciò che ne dice la leg-genda. Questa Pia sarebbe appartenuta alla famiglia Male-volti di Siena, e fu sposa di Tollo Pannocchieschi. Nel 1291rimase vedova, perché Niccolò e Gaddo Pannocchieschi, figlidel conte Gherardo di Prata, le uccisero il marito, loro zio,mentre un giorno usciva di chiesa, perché non voleva tollera-re le loro continue ruberie. Essi uniti con Ghino conte diBelforte erano corsi con mano armata e con la bandiera con-tro gli stipendiari di Massa. » 77

Quasi trenta anni dopo, nel 1935, Gaspero Ciacci, inun’ampia opera dedicata ai conti Aldobrandeschi, visto chealcuni commentatori ed alcuni storici avevano visto negliamori tra Nello della Pietra e la contessa Margherita Aldo-

77 Mori, La leggenda della Pia, p. 81, e nota 1, dove il Mori dice: « Perquesto fu pronunciato contro di essi dal potestà messer Guccio di GuidoMalevolti una condanna. (Archivio di Stato di Siena, cartapecore diMassa). » — In verità, l’omicidio di Tollo di Prata avvenne, non nel 1291come dice il Mori, ma il 30 settembre 1285, come si legge nel verbale delConsiglio Generale di Siena, fatto il 7 ottobre 1285 e pubblicato da Lisi-ni, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 153–156. — Visto che il Mori asostegno della propria ipotesi che Pia da Siena fosse Pia dei Malavoltinon citava che un solo documento, Ciacci, Gli Aldobrandeschi, I, p. 315,scrive: « Forse il Mori cedé senza accorgersene alla suggestione del nomedi una nuova Pia di cui parlava all’anno 1286 il Tommasi, del cui raccon-to sembra abbia seguito la traccia: “Nel principio di Ottobre i figliuoli delSignor Gherardo da Prata uccisero in quella terra Tollo loro Zio, uscendodi Chiesa, perciocché reprimeva le loro continue robbarie, e perché vole-va co’ Pannocchieschi conservare la pace condotta dalla Repubblica conmolta fadiga. Citati non comparsero, anzi negarono a’ Parenti di leiMadonna Pia Malevolti, Donna stata di Tollo, ed i piccoli suoi figliuoli. Erompendo i patti, s’opposero alle masnade de’ Sanesi mandate alla guar-dia di quella terra”. » — In merito all’anno dell’uccisione di Tollo di Prata,ci sembra opportuno rilevare che la differenza tra il verbale del ConsiglioGenerale di Siena, che indica il 1285, e lo storico Giugurta Tommasi, cheindica il 1286, dipende dal fatto che il Tommasi data dall’incarnazione diCristo calcolata secondo lo stile pisano, mentre il Consiglio Generale diSiena datava dall’incarnazione di Cristo calcolata secondo lo stile fioren-tino, che computava un anno in meno rispetto al computo pisano.

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brandeschi la causa dell’uccisione di Pia da Siena, dedicaalcune pagine anche a questa vicenda. Come già aveva fattoil Mori ed in fondo con gli stessi argomenti, il più importan-te dei quali è che nel proprio testamento Nello non parla diuna sua moglie di nome Pia, anche il Ciacci esclude che l’as-sassino di Pia da Siena possa essere stato Nello di Inghiramo,mentre ritiene più probabile l’ipotesi che sia stato Nello diMangiante, zio del primo Nello, la cui vita è meno nota diquella del nipote.

Quel che invece ed in ogni caso risulta certo, scrive il Ciac-ci, è che Pia da Siena non fu dei Tolomei, « per la sempliceragione che a’ suoi tempi non visse una Pia che fosse nata daquella famiglia o (fuor della Guastelloni) che vi fosse entrataper nozze. In conseguenza, se si voglia insistere nella creden-za che Dante riferisse, e non inventasse, i casi della soavissi-ma peccatrice, e con ciò si creda di seguire la tradizione inquanto imputa ad un Pannocchieschi la tragedia maremma-na, non si può concludere di più che Nello di Mangiante, odaltri con cui egli fu scambiato, facesse morire in Maremmauna gentildonna senese chiamata Pia. In realtà l’Alighieri nonha mai detto più di questo: non ha nominato i Tolomei; nonha nominato nessun Nello. » 78

Ma il Ciacci non si ferma a queste osservazioni, a cui altrierano pervenuti prima di lui. Stimolato dall’ipotesi avanzatadal Mori, secondo cui Pia da Siena poteva essere stata Pia deiMalavolti, moglie di Tollo di Prata, ucciso dai propri nipoti il30 settembre 1285, condotte ulteriori ricerche negli archivisenesi e convinto che i nipoti, oltre ad uccidere Tollo, avesse-ro anche rapito Pia, 79 il Ciacci perviene a pensare che il

78 Ciacci, Gli Aldobrandeschi, I, p. 314. I caratteri corsivi sono del Ciac-ci.

79 Dal verbale dell’adunanza del Consiglio Generale della Campana,fatto il 7 ottobre 1285 e pubblicato da Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Piadantesca, p. 153–156, non risulta affatto il rapimento di Pia da parte deinipoti presupposto dal Ciacci. Dal verbale risulta soltanto che gli amba-sciatori subito inviati da Siena, una volta giunti a Prata, chiesero ai nipo-ti di Tollo di lasciarli entrare e che « nobilem mulierem dominam Piam

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movente di quell’omicidio, in punizione del quale il Comunedi Siena mosse guerra agli omicidi, fosse di natura passiona-le. Scrive, infatti, il Ciacci: « Ed allora vien fatto di pensare se,traverso questa nebulosa, non possa trovar adito la più reali-stica supposizione che, al sorgere di quel lontano autunnodel 1285, si svolgesse in Prata una delle tante tragedie d’a-more che in ogni tempo ed in ogni luogo segnarono traccesanguinose su la trama della vita e della Storia. Non è singo-larmente suggestivo il fatto che il General Consiglio senese,mentre nell’adunanza del 7 ottobre [1285] con insuetareboanza levava alte strida in abominazione del delitto per-petrato dai tre Pannocchieschi, con deliberazioni di quelgiorno e dei tre seguenti ordinasse di preparare febbrilmentel’esercito, ma soltanto per la recuperazione di Prata e per libe-rare le figlie di Tollo? 80 Tale strano silenzio circa la persona chenella triste circostanza doveva certo campeggiare più di ogni

filiam domini Ranucci de Malavoltis, olim uxoris dicti Tolli et filias suas,eis reddi et restitui ». Da queste frasi si intuisce che Pia e le figlie eranotrattenute a Prata, ma non che erano state rapite; men che meno, poi,appare che fosse stata rapita soltanto la Pia, come invece, forzando ilsenso del testo, presuppone il Ciacci, per poter poi ipotizzare che Piafosse l’amante di uno degli uccisori del proprio marito.

80 Dal verbale dell’adunanza del Consiglio Generale della Campana,fatto il 7 ottobre 1285 e pubblicato da Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Piadantesca, p. 153–156, non risulta che la spedizione militare venisse deli-berata, come il Ciacci sottolinea scrivendolo con caratteri corsivi, soltan-to per la recuperazione di Prata e per liberare le figlie di Tollo. Dal verbalerisulta soltanto che, essendosi i nipoti di Tollo rifiutati di obbedire agliordini degli inviati di Siena ed essendo pertanto divenuti traditori e nemi-ci del Comune di Siena, il Consiglio deliberò di costituire un esercito « adrefrenandam malitiam predictorum proditorum de Prata, quod omni viaet modo cum solicitudine et vigore procuretur et fiat quod dictumcastrum de Prata et etiam filii Gerardi predicti perveniant ad manus etmandata Comunis et populi Senarum et de eorum malis operibuspuniantur ». Da queste frasi risulta che l’esercito fu mandato per recupe-rare il castello di Prata e per punire i traditori, mentre non risulta affattoquanto sottolinea il Ciacci, cioè che esso fosse inviato soltanto per la recu-perazione di Prata e per liberare le figlie di Tollo, ma non Pia, della quale, asuo dire, sarebbero forse stati già noti a Siena gli amori adulteri con unodei giovani nipoti assassini.

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altra, 81 credo possa scusarmi se ne deduco la probabilità che,sparsasi in Città la voce di precedente amoreggiar della Piacon uno dei giovani nipoti, il suo ratto possa essere stato cre-duto consensuale; così che i Senesi, mentre si accingevano apunire l’uccisione di Tollo ed a togliere ai ribelli, con la libe-razione delle sue figlie, un’occasione di ricatto, abbandonas-sero la vedova al suo destino; e che essa, acconciatasi più omeno liberamente con il suo rapitore, ed unitasi a lui inmatrimonio, per ragioni di gelosia o di altro, venisse poi ucci-sa. » 82

Pertanto, alla luce di queste considerazioni, il Ciacci scri-ve: « Qualcuno dunque potrebbe conchiudere che il tradizio-nale commento al canto V del Purgatorio, derivato da una pri-ma concisa affermazione, non confortata da nessuna testi-monianza ma poi, giù giù nel tempo, sviluppatasi in un pic-colo romanzo, sarebbe ormai da sostituire con il seguente:“Questa Pia fu figlia di messer Ranuccio Malavolti da Siena.Andò sposa a Tollo Pannocchieschi, Signore di Prata, che il30 settembre del 1285, all’uscita della Messa fu ucciso dainipoti. Uno di essi rapì e tolse in moglie la Pia che fece poimorire misteriosamente in un suo castello di Maremma, persospetti che n’ebbe.” Ma io non lo dirò — precisa il Ciacci —

81 La persona in questione è ovviamente Pia dei Malavolti.82 Ciacci, Gli Aldobrandeschi, I, p. 317–318. — In merito a queste gra-

tuite e calunniose affermazioni del Ciacci sulla da lui presunta facilitàmorale di Pia Malavolti, Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p.51, nota 1, osservano: « In queste righe troviamo un’altra imprecisione,poiché si assegna senz’altro ai Pannocchieschi il marito della Pia e ad unsuo nipote la colpa della di lei misteriosa fine, volendo per di più non soloaffacciare il sospetto (lo si dice esplicitamente più avanti) che la Pia si siafacilmente accomodata a darsi all’uccisore del proprio marito, maammettere anche che la sua condotta sia stata tale da dar luogo a sospet-ti e da provocare la di lei morte. Tutto è possibile ed anche una simile sup-posizione non è da rigettarsi a priori; ma quello che non si comprende ècome, dopo aver voluto riabilitare la fama di Margherita Aldobrandeschie perfino quella di Nello Pannocchieschi, l’on. Ciacci abbia voluto unirsiagli ormai troppi accusatori della Pia dantesca, quasi che questa fosse ilcapro espiatorio di tutti gli errori umani, quelli degli storici compresi. »

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perché per il primo riconosco l’opportunità di ulteriori inda-gini per mettere in piena luce la nuova figura della Pia de’Malavolti. Di fronte ad un argomento che affaticò tante intel-ligenze elette, mi parrebbe presunzione insistere troppo sulmio asserto. » 83

Nel 1939, dopo alcuni lavori preparatori, 84 esce finalmentelo studio su Pia da Siena che Alessandro Lisini, direttore del-l’Archivio di Stato di Siena, aveva promesso fin dal lontano1893. Uno studio che, condotto secondo il modello dell’esa-me critico, preventivo e sistematico, degli antichi commenti,delle testimonianze storiche e degli studi precedenti inaugu-rato dallo Spagnotti e continuato dal Mori, risulta un contri-buto veramente importante, soprattutto per il gran numerodi documenti d’archivio che esso utilizza, e di cui ci è sem-brato opportuno riprendere in sintesi le tesi e le argomenta-zioni fondamentali. 85

83 Ciacci, Gli Aldobrandeschi, I, 324.84 Alessandro Lisini, La Pia di Dante, « La Diana », 1928, III, 4, p.

249–275; Alessandro Lisini, La contessa palatina Margherita Aldobrande-schi signora del feudo di Sovana, Siena, Lazzeri, 1933, volume, questo dacui citiamo, estratto dal « Bullettino Senese di Storia Patria », NuovaSerie, Anno III, 1932, fasc. I, III, IV.

85 Per capire perché questo studio sia presentato come opera di dueautori, il Lisini e il Bianchi Bandinelli, giova leggere la breve nota pre-messa al volume, in cui il Lisini dice: « Le insistenze degli amici e di tantistudiosi mi hanno deciso a far terminare questo lavoro, per il quale daanni andavo raccogliendo il materiale. Ho detto far terminare, ma sonostato inesatto: la ricerca dei miei appunti sparsi tra mille carte e in parteanche perduti, lavoro più lungo e noioso delle stesse ricerche d’archivio,la ricostruzione del nesso logico dei diversi eventi così lontani da noi neltempo e infine la stesura di quasi tutto il testo, sono stati i compiti cui ilmio collaboratore ha dovuto assolvere, senza che io per la mia tarda età,che mi ha portato un grande indebolimento alla vista, potessi in qualchemodo aiutarlo. Solamente a lavoro finito ho ascoltato la lettura di questepagine che riflettono pienamente la persuasione che mi ero già fatta sullevicende della Pia dantesca e che ora vedo con piacere confermata daquanto ha esposto con indipendenza di criterio questo giovane studioso.Che la presente opera sia arra per lui di nuovi studi sulla meravigliosastoria della nostra gente. »

47La questione della Pia

Propostosi di togliere il velo, come egli dice, che il poeta, iltempo e le leggende avevano steso su questo personaggiodantesco, il Lisini si chiede anzitutto da chi e come Danteavesse avuto notizia della tragedia di Pia da Siena, sulla cuistoricità egli non nutre alcun dubbio. 86 Quindi, visto cheDante dimostra una conoscenza diretta di cose e personaggisenesi, 87 tale da far pensare che egli abbia soggiornato alungo e più volte in quella città, come del resto egli deduceanche da una frase del Boccaccio, 88 il Lisini ritiene che Dantedebba aver saputo della tragedia di Pia proprio a Siena, 89

dove egli dovette trovarsi, poco più che ventenne, quandoavvenne l’uccisione di Tollo di Prata. 90 Del resto, anche il

86 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 7, in merito alla stori-cità dei personaggi danteschi, scrivono: « Ciò lo dimostra anche il fattoche, se nella Divina Commedia incontriamo personaggi mitologici e quin-di immaginari, questi tuttavia sono tanto ben conosciuti nella tradizioneclassica, che si possono considerare come storici. Invenzione pura di fattio di personaggi non si riscontra mai nella Commedia e gli episodi conprotagonisti non appartenenti alla storia o alla mitologia, sono stati ispi-rati al poeta o dai rapporti avuti direttamente con quelli o dal vivo rac-conto di chi ne conservava ancora il ricordo. »

87 In Enciclopedia Dantesca, alla voce Siena, si legge: « Siena è fra lecittà toscane, a parte Firenze, la più frequentemente ricordata da Dante,sia direttamente sia attraverso i vari personaggi senesi, gli episodi di cuisono protagonisti, i fatti storici o di cronaca cui il poeta fa riferimento,talora anche nei dettagli o magari soltanto attraverso allusioni. »

88 Giovanni Boccaccio, Trattatello in laude di Dante, XX, per mostrarefino a che punto Dante fosse capace di concentrarsi nella lettura di quan-to gli piacesse, racconta che, “essendo una volta tra l’altre in Siena” e tro-vatosi nella bottega di uno speziale, in cui gli fu portato un libretto moltonoto tra i dotti e che lui non aveva ancora mai visto, egli si immerse a talpunto nella lettura da non sentire neppure che davanti alla bottega erainiziata e si svolgeva una festa con balli e grandi rumori di diversi stru-menti. A noi sembra, tuttavia, che la frase del Boccaccio, “essendo unavolta tra l’altre in Siena”, vada interpretata non nel senso che quella fosseuna delle volte in cui Dante si trovava in Siena, come invece la intende ilLisini, ma nel senso che quella era una delle volte in cui Dante avevadimostrato grande capacità di concentrarsi sulle cose che gli piacessero.

89 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 3–9.90 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 55–56, scrivono: « A

Dante dovette fare impressione la misteriosa fine della Pia, poiché, come

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fatto che Pia da Siena si presenti a Dante dicendo « ricorditidi me che son la Pia », potrebbe essere inteso come indiziodel fatto che la sua tragica fine non fu priva di notorietà nelsenese. 91

Quanto al perché Dante ponga lo spirito di Pia da Siena trale anime di coloro che furono « peccatori infino a l’ultimaora », 92 il Lisini dice: « Molto si è discusso sul significato diquesta frase, ma non ne vediamo la ragione, tanto esso ciappare chiaro. La Chiesa afferma che tutti gli uomini, anchei migliori, commettono giornalmente dei peccati e che daquesti non possono liberarsi senza il pentimento che seguealla confessione. Le anime dell’antipurgatorio sono salve per-ché in vita ebbero il pentimento dei loro peccati, ma, secon-do Dante, sono condannate a rimanere fuori del Purgatorioperché trapassarono senza i riti cristiani. Esse dunque furo-no peccatrici fino all’ultima ora della vita terrena; ma da ciòinvero non possiamo arguire quali siano stati i loro peccati. 93

abbiamo già accennato nell’esame delle possibili relazioni di lui conSiena, egli doveva trovarsi poco più che ventenne in quella città, quandoTollo da Prata, marito di Pia, dopo aver sottoposto alla Repubblica diSiena nel 1282 i propri castelli contro la volontà dei suoi consorti, rima-se vittima di un attentato da parte dei suoi nipoti, che non volevano la suaamicizia con Siena: quella uccisione fu l’inizio del calvario di Pia. »

91 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 9–10, scrivono: « È usan-za toscana premettere l’articolo anche ai nomi propri di persona, mentre ipuristi lo vogliono soltanto davanti ai cognomi. Quindi in ‘ricorditi di meche son la Pia’, si può intendere che Dante abbia messo quell’articolo secon-do l’usanza toscana, oppure al determinato scopo (la = lat. illa) di indicarela fama che ancora nel 1300 poteva correre nel senese di quella Pia. »

92 Dante, Purgatorio, V, 53.93 In maniera più sintetica ed efficace, Lisini, La Pia di Dante, p.

249–250, scriveva: « Dante, tra quelle moltitudini di anime che vi raffigura[nell’antipurgatorio], volle ricordarvi tre personaggi del suo tempo. Efinge di trovarli colà, non perché debban purgarsi di qualche particolarepeccato, di cui l’umana natura raramente va immune — se dovranno diquello mondarsi, ciò avverrà anche più tardi — ma perché usciti inaspet-tatamente di vita, si ridussero a pentirsi dei loro falli al momento estre-mo, e sebbene ne uscissero pacificati con Dio, morirono senza i riti e lecerimonie cristiane e senza onorata sepoltura in luogo sacro; quasi comequalsiasi animale bruto. »

49La questione della Pia

Chi dai due versi su riportati vuole strappare il significato chela Pia sia stata peccatrice per poca fede coniugale oppure chesia stata senz’altro innocente, lavora, a nostro parere, un po’troppo di fantasia. Dante non si pronuncia affatto, ma unainduzione se mai la potremo fare quando avessimo conside-rato tutto il contesto dei versi e delle notizie che abbiamo anostra disposizione. » 94

Forse proprio perché erano convinti di trovarsi di fronte aduna delle tante tragedie coniugali allora assai frequenti, gliantichi commentatori dei versi danteschi « trascurarono difare una diligente ricerca sulla identità dei protagonisti e,come al solito, nelle annotazioni parafrasarono il testo, frain-tendendo, a parer nostro, anche il senso dei versi ».95 Così, altermine di un’ampia ed accurata esplorazione dei testi degliantichi commentatori, il Lisini rileva che le versioni che essi ciforniscono sulle cause della morte di Pia da Siena, al di là delledifferenze e contraddizioni reciproche, 96 sono tutte concordinel presupporre che Nello sia stato il marito di Pia: « Quandoperò vedremo che Nello non ebbe mai una moglie di nomePia, 97 tutto il castello fabbricato dalle supposizioni dei com-

94 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 12–13. Quanto allalocuzione di Dante, Purgatorio, V, 52, che dice tutti “per forza morti” glispiriti tra cui si trova quello di Pia da Siena, il Lisini pensa che questalocuzione vada intesa nel senso lato di morte non naturale, ma artificiale,cioè di morte provocata dall’uomo, sicché, egli dice a p. 13, « non è dascartare a priori l’opinione espressa dal Sestini nel suo romantico poe-metto, dove fa apparire la Pia consunta dalla malaria e dal dolore. »

95 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 13.96 In particolare, in merito alla notizia di Benvenuto da Imola secondo

cui Pia da Siena fu della stirpe dei Tolomei, Lisini, Bianchi–Bandinelli, LaPia dantesca, p. 21, scrivono: « Che la Pia sia da ascrivere alla famigliaTolomei, non pare ormai ammissibile per diverse ragioni, e principal-mente perché di nessuna Pia nata Tolomei e vissuta al tempo di Nello siè mai trovato ricordo in Siena, ancorché da secoli ne sieno state fattericerche nei documenti senesi di quell’epoca che neppure oggi difettano.Ed è anche favola che tra i Tolomei e Nello Pannocchieschi sieno sorteguerre e discordie per causa della morte di Pia. »

97 Poiché, in verità, nel seguito della trattazione questa tesi secondo cuiNello non ebbe una moglie di nome Pia non viene più esaminata né argo-

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mentatori crollerà e non resterà che la considerazione dellasingolare unanimità di questi nel designare il Pannocchieschicome autore del truce delitto. » 98

In effetti, dopo aver esaminato quanto gli antichi storicisenesi avevano detto di Pia da Siena ed avere gettato un rapi-do sguardo sui risultati conseguiti dalla critica più recentedell’Aquarone, dello Spagnotti, del Mori e del Ciacci, passan-do ad esporre il proprio pensiero, il Lisini sostiene che tuttigli studiosi a lui precedenti, dal commentatore più antico alcritico più recente, 99 hanno frainteso il senso dei versi dante-schi; e lo hanno frainteso perché non avevano capito che inquei versi Pia da Siena non parla del proprio matrimonio, madel proprio fidanzamento, e che il colui di cui essa parla nonè il marito, ma colui che al momento del fidanzamento leaveva dato, per procura, l’anello del promesso sposo assente:non il secondo anello, cioè non l’anello di matrimonio, ma ilprimo anello, cioè l’anello di fidanzamento, pegno di fedeltàe promessa di matrimonio. 100

mentata, riteniamo che anche il Lisini, come lo Spagnotti, il Mori ed ilCiacci, la ritenesse dimostrata dal fatto che nel proprio testamento Nellonomina soltanto due mogli: Nera e Bartala.

98 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 22.99 Più precisamente, Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 54,

scrivono: « La nostra interpretazione non è del tutto nuova né arbitraria.Il commento anonimo del codice Laurenziano XV, 7 che abbiamo ripor-tato a suo luogo, vede in quel colui non il marito, ma un suo famiglio chedopo aver dato a Pia l’anello nuziale per conto del padrone, in un secon-do tempo, uccide la donna. » — In verità, il commento anonimo, a cui ilLisini rimanda, parla di un matrimonio, non di un fidanzamento, per pro-cura, e soprattutto dice che il marito della Pia dantesca era Nello dellaPietra, che è proprio quanto il Lisini intende negare con la sua tesi delfidanzamento per procura: tesi tanto ingegnosa quanto arbitraria, ed infondo non necessaria, come vedremo.

100 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 52–54; secondo il Lisi-ni, p. 53, Pia da Siena non aveva voluto dire « La causa della mia mortela sa chi mi ha sposato (o inanellato, che vale lo stesso) », come inveceavevano inteso tutti gli studiosi precedenti, ma aveva voluto dire, p. 54,« Morii in Maremma, e ciò lo sa bene colui che, andando sposa, mi avevadato per conto di mio marito, il primo anello. » — Benché, a p. 53, si dica

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Convinto che Pia da Siena sia Pia dei Malavolti, andata insposa a Tollo di Prata, e presupponendo che Nello della Pie-tra sia colui che le avrebbe dato per procura l’anello di fidan-zamento, il Lisini continua: « Del resto una simile interpreta-zione rimane convalidata da una duplice categoria di fattiaccertati: primo, la usata e normalissima abitudine in queltempo, di matrimoni o fidanzamenti contratti per procura; 101

secondo, le vicende singolarmente concordanti di Nello Pan-nocchieschi e Pia Malavolti, che lasciano ragionevolmenteadito alla nostra supposizione, come più avanti ampiamenteesporremo. Abbiamo già fatto notare la singolare unanimitàdegli antichi commentatori nel designare in Nello della Pie-tra l’assassino di Pia: fa meraviglia che essi siano riusciti adindividuarlo in tanta ignoranza dei fatti, ma forse dovetterotrovare quel nome in alcuno dei più antichi manoscritti delPoema, segnatovi come notazione marginale da Dante stesso

che questa interpretazione dei versi danteschi viene avanzata per evitaredi « tacciare Dante di oziosa abbondanza o di oscurità nel dire », perchéil ricordo della dazione del primo anello sarebbe comunque o superfluood oscuro, in verità il Lisini la introduce — ricavandola da una letturaarbitraria e cavillosa del pria dantesco che egli interpreta non comedovrebbe, cioè come prima (della morte), ma come più gli conviene, cioècome primo (anello) — perché la tesi che il fidanzamento di Pia da Sienasia avvenuto per procura e che Nello della Pietra sia stato il procuratoredi Tollo di Prata, gli permette di separare i due dati della tradizione,secondo cui Nello era il marito e l’uccisore di Pia, per sostenere poi da unlato che Nello, contro la tradizione, non era il marito di Pia e dall’altrolato che Nello, secondo la tradizione, era l’uccisore o comunque il respon-sabile della morte di Pia.

101 Lisini, La Pia di Dante, p. 253–257, mostra come nel senese del Due-cento il fidanzamento prevedesse la dazione di un anello e come questadazione spesso avvenisse per procura. Ma non spiega perché questa suainterpretazione non sia venuta in mente ad alcuno, tranne uno, dei primicommentatori che avranno pur conosciuto queste usanze matrimonialinon meno bene di lui. In ogni caso, non basta mostrare che spesso si face-va in un modo, per dimostrare che quella volta si fece in quel modo: nonbasta cioè mostrare esempi di fidanzamento per procura, per dimostrareche anche Pia si fidanzò per procura; l’individuale, infatti, non si lasciadedurre logicamente dal per lo più.

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o da qualcuno a lui vicino. In ogni modo qualcosa di vero intale designazione ci deve essere e noi pertanto l’accogliere-mo, finché le memorie sincrone non ci indicheranno un altronome che sveli più esplicitamente l’uccisore di Pia. » 102

Mentre l’identificazione dell’uccisore con Nello della Pietraviene fatta in base alla testimonianza unanime degli antichicommentatori, l’identificazione dell’uccisa con Pia dei Mala-volti viene fatta invece per esclusione; leggiamo: « Ma checosa ci fa supporre che proprio questa [Pia dei Malavolti] siala Pia di Dante? Esclusa una Pia Tolomei perché inesistente,esclusa la Pia Guastelloni perché provato che nulla aveva ache fare con quella dantesca, dovevamo pensare, come loSpagnotti, che il personaggio dantesco fosse stato immagina-rio? La leggenda era ormai sfatata, ma non potevamo pensa-re ad una Pia immaginaria, senza togliere ogni valore all’epi-sodio dantesco. Non vogliamo dilungarci sull’assurdità diuna simile ipotesi; diremo solo che […] una Pia puramenteideale, morta misteriosamente e adombrata da pochissimicenni, ci appare un’assurdità stonata e senza costrutto, inde-gna della mente di Dante. La nostra ferma persuasione che laPia sia realmente esistita, ci ha spinti alle lunghe ricerched’archivio, e al ritrovamento di alcune notizie su questa PiaMalavolti che ci è apparsa come l’unica, le cui vicende siadattano a quelle del personaggio dantesco. » 103

Identificata Pia da Siena con Pia dei Malavolti, per solleva-re il velo misterioso che ricopriva la vita di quella, il Lisiniricostruisce la storia di questa, scomparsa durante l’assedio diPrata (1285–1289), di cui egli ricorda con opportuna ampiez-za le fasi. Erroneamente creduti del ceppo dei Pannocchie-schi, la grande famiglia che nel Duecento si era estesa su granparte della Maremma toscana, i signori di Prata non eranoPannocchieschi, ma erano un ramo dei conti Alberti da Prato

102 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 54–55. 103 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 55–56.

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ed avevano militato con gli imperatori svevi, dal Barbarossa aFederico II, ottenendone riconoscimenti e benefici. 104

Da sempre, quindi, ferventi ghibellini, nel 1244 Gherardo,signore di Prata, si sottomise al Comune di Siena, allora roc-caforte del ghibellinismo toscano, e ne divenne cittadino,promettendo di difendere i senesi e di fare guerra per loro. 105

Dieci anni dopo, nel 1254, morto Gherardo in circostanzenon chiare, Adelasia, sua vedova, per avere una valida prote-zione, con l’autorità conferitagli dallo stesso marito, rinnovòil patto di sottomissione a Siena a nome dei suoi tre figliminorenni, Gherardo, Bertoldo detto Tollo e Rinaldo dettoNardo, i quali, una volta divenuti maggiorenni, cioè a tredicianni, avrebbero dovuto ratificare personalmente il patto. 106

Quando, dopo la battaglia di Colle di Val d’Elsa (1269), ilpotere in Siena passò in mano ai guelfi, i rapporti tra i signo-ri di Prata, da sempre ghibellini, ed i nuovi governanti sene-si si deteriorarono progressivamente fino al punto che, nel

104 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 58, scrivono: « I nostrivecchi eruditi, avendo transunto un antico documento di pace fatto, perdesiderio del Comune di Siena, dal conte palatino Guglielmo Aldobran-deschi con alcuni suoi subfeudatari, fra i quali figura un Pannocchia chefu letto da Prata anziché da Pereta, furono nel convincimento che quelcastello [di Prata] appartenesse alla famiglia Pannocchieschi, nella qualetal nome [Pannocchia] è comune. Ristudiata da noi meglio la famiglia diquei Signori [di Prata], possiamo dire con certezza che essa fu un ramodella celebre casata degli Alberti da Prato, la cui origine si fa risalire adun conte Ubaldo o Tibaldo, duca di Camerino e di Spoleto, vissuto nel sec.IX. A darne prova, oltre ai nomi di questa famiglia, ci vengono in aiutoalcuni sigilli del Comune di Prata del sec. XIV, oggi conservati nella col-lezione sfragistica del Museo Civico di Siena. » — A conferma del fattoche i signori di Prata non erano della casata dei Pannocchieschi si puòricordare che nell’atto di sottomissione al Comune di Siena, fatto il 19aprile 1282, nel palazzo dei Tolomei, e pubblicato in Lisini, Bianchi–Ban-dinelli, La Pia dantesca, p. 143–150, Tollo di Prata ed i suoi tre nipoti pro-mettono anche di fare pace con i Pannocchieschi e con i loro sostenitori.

105 Il testo dell’atto è in Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p.123–125.

106 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 59–63; l’atto è a p.127–131.

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1281, Gherardo da Prata rimaneva ucciso in Piazza delCampo, in Siena, nella mischia seguita ad un tentativo, di cuiegli era tra i promotori, di far sollevare il popolo senese con-tro il governo guelfo. 107 Rimasto unico signore di Prata, 108 egiudicando non conveniente restare ghibellino ora che iguelfi diventavano sempre più potenti in Toscana e gli impe-ratori tedeschi, dopo la fine della dinastia sveva, non avevanopiù alcun prestigio in Italia, Tollo decise di farsi amico deisenesi guelfi; ed il 19 aprile 1282, in Siena, nel palazzo deiTolomei, Tollo per sé ed i nipoti Fredi e Nicolò per sé e per illoro fratello Ceo, evidentemente ancora minorenne, promise-ro di essere amici di Siena e nemici dei nemici di Siena; diconsegnare per due anni ai senesi il cassero e la torre delcastello di Prata; di fare pace, generale e perpetua, con i Pan-nocchieschi e con i loro sostenitori; di contrarre matrimoniosoltanto con il beneplacito dei signori Quindici governatoridi Siena. 109

Non molto tempo dopo questo patto di amicizia e di aiutoreciproco con il Comune di Siena, Tollo di Prata prese inmoglie Pia, figlia di Ranuccio dei Malavolti, una delle piùnobili e potenti famiglie guelfe di Siena. 110 Stabilita la propria

107 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 63–67. — Sposato aduna donna di cui ignoriamo il nome, Gherardo, morendo, lasciava trefigli: Rufredi detto Fredi, Nicolò detto Naio e Gaddo o Maffeo detto Gad-duccio o Ceo; i primi due dovevano essere maggiorenni, cioè avevanocompiuto almeno dodici anni, mentre il terzo doveva essere minorenne,visto che nel patto di amicizia con Siena, stipulato il 19 aprile 1282 insie-me allo zio Tollo, Fredi e Nicolò si impegnano per sé e per il fratello Ceo.

108 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 63, nota 4, a prova delfatto che Rinaldo, l’altro fratello di Tollo, era morto prima del 1282, scri-vono: « Infatti nell’atto di sottomissione di Prata che vedremo farsi nel1282, Rinaldo non è più nominato tra i signori di Prata e in atti successi-vi si dice Gina [la moglie] vedova. »

109 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 67–70; l’atto è a p.143–150; una traduzione di questo atto si trova in Franceschi, La Pia de’Tolomei, p. 48–51.

110 A questo punto, Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 70,scrivono: « Per riallacciare quanto risulta dai documenti con la tradizio-ne della figura dantesca, occorre che ci sia concessa una congettura. Biso-

55La questione della Pia

dimora nel castello di Prata, i due sposi avevano avuto giàdue bambine, Cia e Gadduccia, quando, il 30 settembre 1285,domenica, uscendo di chiesa, Tollo venne aggredito ed ucci-so dai propri nipoti e da alcuni loro complici, tra i quali eraanche Ghino di Tacco. 111 Convocato d’urgenza, il 7 ottobre1285, dopo avere ascoltato come i tre figli del fu Gherardo daPrata, dopo avere ucciso il loro zio Tollo, amico di Siena, sifossero rifiutati di consentire agli inviati di Siena l’accesso alcastello previsto dai patti e di consegnare la moglie di Tollo,Pia di Ranuccio Malavolti, e le sue due figlie, il ConsiglioGenerale del Comune di Siena approvò la proposta del pode-

gna cioè pensare che l’obbligazione o la promessa di matrimonio fatta amezzo dell’anello venisse compiuta da Nello in qualità di procuratore diTollo; cosa ammissibile e non nuova a quei tempi, come abbiamo giàdetto. » E per rafforzare la verosimiglianza di questa congettura, nellastessa p. 70, nota 3, scrivono: « È da notarsi poi che fu presso questa fami-glia [Malavolti] che, come abbiamo visto [a p. 34], fu custodito [nel 1263]quale ostaggio della Repubblica, il giovane Nello della Pietra. » — Nonsappiamo su quali basi Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 34,affermino: « Nei tre anni e più di forzata dimora in Siena, il giovane Nellofu affidato ai suoi parenti Malavolti e dovette essere bene accolto dalleprincipali famiglie della città. » Diciamo che non sappiamo, perché lefonti a cui essi rinviano, cioè O. Malavolti, Storia di Siena, lib. II, parte II,pag. 30 e A. S. S. Dipl. Rif., 1263 Dic. 7, dicono cose diverse: il Malavoltidice infatti che i tre ragazzi Pannocchieschi furono affidati a Guido diOrlando Malavolti con cui essi avevano parentela, e lascia intendere cheil soggiorno in Siena di Nello durò soltanto un anno; il documento d’ar-chivio citato e pubblicato dagli stessi Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Piadantesca, p. 135–137, dice invece che Nello venne preso in consegna daGiovanni di Alberto da Pernina. Non sappiamo, dunque, su quali basi loaffermino; ma sappiamo a quale scopo lo facciano: insinuando che Nellodella Pietra e Pia dei Malavolti si erano conosciuti e frequentati già daragazzi, anzi erano vissuti nella stessa famiglia, si rendeva più verosimi-le sia la tesi del fidanzamento per procura sia l’ipotesi che Pia avesseseguito Nello nel castello di Pietra: “una vecchia conoscenza”, lo dirannoinfatti Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 104.

111 Dalle condanne pronunciate contro nove persone dal Comune diSiena, riportate da Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 88,risulta che i condannati avevano avuto responsabilità diverse: dei trenipoti, infatti, soltanto Nicolò viene condannato, insieme ad altri dueuomini, “perché uccisero Tollo di Prata”.

56 CARLO CORSETTI

stà, conte Guido di Battifolle, di mandare un esercito perrecuperare il castello di Prata e catturare i tre traditori enemici del Comune di Siena. Il primo a parlare a favore diquesta proposta era stato Biagio dei Tolomei. 112

Venti giorni dopo, l’esercito senese cingeva d’assedio ilforte castello di Prata, la cui conquista risultò comunquedifficile e tale da impegnare forze importanti. Ma questa con-centrazione delle forze senesi su Prata lasciava spazio ai ghi-bellini della Val di Chiana, i quali, credendo venuto ilmomento opportuno per riprendere la propria lotta antiguel-fa, 113 si impossessarono del castello di Poggio Santa Cecilia,da dove, collegati con Guglielmino degli Ubertini, vescovoghibellino di Arezzo, assaltavano il territorio circostante edimpedivano le comunicazioni tra Siena e le comunità rima-stele fedeli.

Così, a seguito dei fatti di Prata e di Poggio Santa Cecilia,in Toscana riprendeva una guerra generale tra guelfi e ghi-bellini che vide le guelfe Siena e Firenze alleate contro la ghi-bellina Arezzo, con alterne vittorie e sconfitte: i guelfi senesifurono massacrati dai ghibellini aretini in un’imboscata pres-so la Pieve al Toppo (26 giugno 1288), mentre i ghibellini are-tini furono definitivamente sconfitti dai guelfi senesi e fioren-tini nella sanguinosa battaglia di Campaldino (11 giugno1289), dove combatté anche Dante e dove morì Buonconte daMontefeltro.

112 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 81–85; il testo del ver-bale del Consiglio Generale è a p. 153–156; una traduzione di questo ver-bale si trova in Franceschi, La Pia de’ Tolomei, p. 52–54.

113 Si trattava in effetti di un momento difficile per i guelfi italiani: nel1282, con i Vespri Siciliani, era iniziata la Guerra del Vespro che avrebbeimpegnato per ben venti anni le forze angioine; nel 1285 erano morti siare Carlo I d’Angiò sia papa Martino IV, entrambi francesi ed entrambipilastri del partito guelfo in Italia; nel 1273 era stato eletto re di Germa-nia e dei Romani Federico I d’Asburgo, che sembrava accingersi a scen-dere in Italia per cingere la corona imperiale in Roma, e che intantoinviava propri legati a riscuotere imposte, reclutare fedeli, riaccenderesperanze.

57La questione della Pia

Solo allora, nel settembre del 1289, i senesi riuscirono adentrare nel castello di Prata, dove tuttavia trovarono soltantopochi abitanti: gli ultimi difensori, infatti, temendo di esseretutti impiccati come era avvenuto tre anni prima ai ghibelli-ni di Poggio Santa Cecilia (aprile 1286), erano fuggiti. I trenipoti di Tollo, invece, dopo avere affidata la difesa del castel-lo di Prata ai ghibellini maremmani, si erano da tempo unitialle forze ghibelline di Percivalle di Lavagna, vicario dell’im-peratore Rodolfo I d’Asburgo, dal quale, per garantirsi dallepretese di Siena, avevano ottenuto, in riconoscimento deiservigi prestati, un diploma, fatto in Rieti il 13 maggio 1288,che dava e rinnovava a loro vantaggio l’antica concessioneimperiale del feudo di Prata. 114

Quanto a Pia dei Malavolti, dice il Lisini, niente accennache essa sia stata ritrovata in Prata. 115 Si può essere certi, eglidice, che le autorità senesi fecero fare delle ricerche. Ricer-che che tuttavia ci restano ignote, perché tutte le carte ed iregistri degli atti del governo, in cui si sarebbero trovate quel-le notizie, vennero bruciate in Piazza del Campo, quando, nel1355, durante un tumulto popolare aizzato dai nobili senesie dall’imperatore Carlo IV, si volle distruggere ogni ricordo diquel Governo dei Nove che aveva retto Siena per più di set-tanta anni. Lamenta il Lisini: « Così quei ricordi che sareb-bero stati preziosi per noi, mancano affatto e rimane il miste-ro della fine di quella tragedia, che forse anche a quel temponon si riuscì a conoscere. » 116

In mancanza di documenti d’archivio, il Lisini supponeche, al momento di lasciare il castello di Prata, i tre fratelliabbiano affidato Pia dei Malavolti a qualche persona di lorofiducia, per potersene servire poi come ostaggio, qualora fos-

114 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 85–102; a p. 156–158si trova il testo del diploma concesso dal vicario imperiale ai nipoti diTollo di Prata.

115 Le due figlie, Cia e Gadduccia, forse erano già in casa degli zii mater-ni, al cui solo aiuto, come vedremo più avanti, esse diranno di esseredebitrici se non erano finite a mendicare di porta in porta per il mondo.

116 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 103.

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sero stati costretti a patteggiare con Siena. Più precisamente,vista l’unanimità degli antichi commentatori nel designareNello della Pietra come responsabile della morte di Pia, ilLisini pensa che i tre fratelli l’abbiano affidata proprio aNello che, dopo l’imboscata presso la Pieve al Toppo, 117 sem-bra allentasse i propri rapporti con Siena fino a passare tra isuoi nemici e che Pia stessa dovette seguire con fiducia, trat-tandosi, sostiene il Lisini, di “una vecchia conoscenza” e dicolui che le aveva dato l’anello di fidanzamento come procu-ratore di Tollo; dice il Lisini: « La responsabilità di Nellosarebbe stata quindi di essersi reso complice, prima, delsequestro della donna e, successivamente, di averla uccisa ofatta morire. » 118

117 Nella sanguinosa imboscata che i ghibellini aretini tesero ai guelfisenesi presso la Pieve al Toppo (26 giugno 1288), Nello della Pietra,comandante della cavalleria senese, sembra si desse alla fuga mentre lafanteria veniva massacrata. Per questo suo comportamento, alcuni stori-ci successivi, ma non i suoi contemporanei, accusarono Nello di tradi-mento della propria parte e di intesa con il nemico, a cui avrebbe rivela-to il percorso che l’esercito senese, di ritorno dal fallito assedio di Arez-zo, avrebbe seguito.

118 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 104. — Sulla colpevo-lezza di Nello della Pietra per l’uccisione della Pia, il Lisini aveva dunquecambiato opinione, visto che, in precedenza, Lisini, La contessa palatinaMargherita Aldobrandeschi, p. 100, aveva scritto in maniera lapidaria-mente efficace: « Ma di questo delitto nessuno poteva accusarlo perchénon lo aveva commesso. » — Quanto al modo in cui sarebbe avvenuta lamorte di Pia, Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 105–106,dicono: « Su questo punto ognuno può sbizzarrirsi come vuole: essa puòessere stata uccisa con un pugnale oppure con un forzato salto dallafinestra o può anche esser morta semplicemente di malaria o di dolore.Nello, ormai occupato negli amori con la contessa Margherita, aveva benaltro da pensare; ma siccome quella donna nel suo castello poteva rap-presentare un impiccio e anche un pericolo, nel caso che i senesi ne fos-sero venuti a conoscenza, può essere benissimo che egli abbia voluto sba-razzarsene. Non possiamo però escludere che egli possa averla dimenti-cata e che poi l’abbia trovata morta di malaria o di dolore… Insommanessuna supposizione può essere scartata a priori, anche perché nessunodi quel tempo e quindi neppure Dante saprebbe dirci qualcosa in propo-sito. »

59La questione della Pia

Poiché Prata era feudo imperiale, il Comune di Siena,avendolo conquistato con la forza, non avrebbe potuto con-servarlo legittimamente senza il consenso dell’imperatore: unconsenso che doveva risultare impossibile ottenere da partedi una città che da venti anni era ormai governata dai guelfi.Pertanto, in assenza di un tale consenso, per consolidareanche per via di diritto quanto già controllava di fatto, ilComune di Siena scelse di entrare giuridicamente in posses-so di Prata, acquistandone ogni quota di proprietà da chiun-que ne fosse detentore. Il 17 ottobre 1293 fu acquistata laparte detenuta da Gina di Ruggerino del Sasso, vedova diRinaldo, l’altro fratello di Tollo; il 19 ottobre 1306 fu acqui-stata la parte di proprietà che alcuni membri della famigliadei Tolomei vi avevano acquistato nel 1292; 119 il 29 dicembre1309 fu acquistata la parte detenuta da Fredi di Gherardo,ultimo superstite dei tre nipoti di Tollo di Prata.

Il giorno successivo, 30 dicembre 1309, il Consiglio Gene-rale del Comune di Siena decise di annullare tutte le con-danne precedentemente pronunciate contro Fredi e di riban-nirlo, cioè di riammetterlo sotto il proprio banno o protezio-ne giuridica. Il primo a parlare, con toni assai aspri e decisi,contro questa proposta di annullamento delle condanne pen-denti su Fredi da Prata, che in effetti venne approvata sol-tanto a maggioranza, era stato Andrea di Mino dei Tolo-mei. 120

A seguito di questa pacificazione di Siena con Fredi diGherardo, corresponsabile dell’uccisione del loro padre, Ciae Gadduccia, le due giovani figlie di Tollo di Prata e di Pia deiMalavolti, presentarono allora una petizione al Governo deiNove, su cui venne chiamato a deliberare, il 28 ottobre 1311,il Consiglio Generale del Comune di Siena. Nella loro peti-zione, le due giovani lamentano di essere state lasciate senza

119 Per questa proprietà dei Tolomei in Prata, vedi R. Mucciarelli, I Tolo-mei banchieri di Siena, Siena, Protagon Editori Toscani, 1995, p. 214–216.

120 I testi degli atti sono in Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca,p. 159–174.

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aiuto alcuno da parte della città di Siena, che invece avrebbedovuto abbracciarle come figlie, visto che Tollo, loro padre,era stato ucciso, da Fredi e dagli altri nipoti, perché era evoleva restare amico di Siena. Siena invece le aveva trattatecome estranee, quasi come nemiche, e le aveva private deibeni che Tollo, loro padre, possedeva in Prata, tanto che, senon fosse stato per l’aiuto ricevuto dagli zii materni, 121 essesarebbero state costrette a mendicare di porta in porta per ilmondo. Ma quel che è peggio, mentre Fredi, che avrebbedovuto essere perseguito come nemico perfido del Comune diSiena e come scellerato colpevole di crimini infiniti, era statoriaccolto sotto la protezione di Siena ed aveva ricevuto unagrande quantità di denaro, 122 esse, che avrebbero dovuto otte-nere il massimo favore ed aiuto, avevano invece ricevuto ilcontrario. Pertanto, affinché il Comune di Siena non persi-stesse nella sua ingratitudine, piacesse ai signori Nove ed alConsiglio trovare il modo più conveniente per soccorrere alleloro necessità ed indigenze di orfane, salvando l’onore delComune di Siena. 123

121 Da questo riferimento agli zii materni, deduciamo che, rimaste orfa-ne di entrambi i genitori, Cia e Gadduccia siano state accolte in casa deifratelli di Pia dei Malavolti.

122 Il 29 dicembre 1309, per la vendita delle dieci parti di possesso suventiquattro che egli deteneva sul castello e sul territorio di Prata, Fredidi Gherardo aveva ricevuto dal Comune di Siena duemila e cinquecentolibre di buoni denari senesi piccoli.

123 Il testo del verbale della riunione del Consiglio è in Lisini, Bian-chi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 177–180. — In relazione a questa peti-zione, Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 110–111, scrivono:« Nemmeno le notizie sulle figlie ci danno altri lumi sulla sorte di Pia.Quello che può destare una certa meraviglia è che nella lunga istanza pre-sentata al Comune di Siena, non venga mai rammentata la madre. Sevolessimo accusarla di una qualche colpa, potremmo anche qui trovarel’appiglio conveniente per supporre che la madre non venisse rammenta-ta dalle figlie perché, pur non conoscendone esse la di lei triste fine, erada loro però ben conosciuta la colpa che di tal fine era stata la causa prin-cipale… Vogliamo invece ben guardarcene, sicuri di non mancare con ciòal nostro dovere di storici imparziali, né di guastare il nostro lavoro coldefraudarlo di una conclusione fantasiosa. È infatti più logico pensare

61La questione della Pia

Furono avanzate diverse proposte di compensazione,preoccupate tutte di conservare il controllo di Siena su Pratae nello stesso tempo di riconoscere i diritti ereditari delle duegiovani figlie di Tollo, che in effetti ottennero, almeno perquesto aspetto, giustizia. Risulta, infatti, che nel 1321 Cia eGadduccia, ormai onorevolmente sposate e con figli, riven-dettero al Comune di Siena le quote di proprietà che avevanoevidentemente recuperato su Prata. 124

6. Il testamento di Nello. Tra tutti i documenti che abbia-mo incontrato e studiato, un’importanza del tutto particola-re spetta al testamento di Nello della Pietra, a cui ora dob-biamo tornare, per ristudiarlo in maniera ancora più attentadi quanto sia stato fatto finora, perché in esso ci sembra diavere trovato la chiave per risolvere la questione della Pia

che non si sia nominata la Pia per non destare un ricordo inopportuno.Sembra che in quel tempo Nello della Pietra avesse rifatto pace con Sienae che quindi dimenticata era la fine di Pia, come dimenticata la condan-na di Nello stesso. » — A noi sembra, invece, “più logico pensare” che,essendo finalizzata al riconoscimento dei loro diritti ereditari su Prata, lapetizione andasse impostata proprio come essa fu impostata, cioè insi-stendo sul fatto che Cia e Gadduccia erano figlie di Tollo, il signore diPrata: questo era il solido fondamento giuridico della petizione, a soste-gno del quale veniva poi introdotto l’argomento morale del diverso edingiusto comportamento tenuto dal Comune di Siena nei confronti diFredi, uccisore di Tollo e figlio di Gherardo, il nemico di Siena, e nei con-fronti di Cia e di Gadduccia, figlie di Tollo, l’amico di Siena, ucciso per-ché era e voleva restare tale. In questa prospettiva, ci pare, il ricordo dellamadre scomparsa non sarebbe stato tanto un “ricordo inopportuno”,quanto un fuori tema assoluto, visto che non si trattava di recuperare l’e-redità della madre, la cui immagine risulta comunque, indirettamente epositivamente, evocata dall’aiuto che i suoi fratelli avevano fornito allesue figliole.

124 Il testo dei due atti è in Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca,p. 180–183. In merito a questo ultimo acquisto di proprietà, Lisini, Bian-chi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 110, scrivono: « Nello stesso anno[1321] la Repubblica [di Siena] fa un accurato esame delle sue ragioni suPrata, chiamando i testimoni a documentare la sua ormai incontestabilee completa proprietà sul castello che poi, nel 1492, venderà per 7000fiorini allo Spedale di Santa Maria della Scala [in Siena]. »

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dantesca. 125 Noi crediamo infatti che, contro quanto è statopiù volte sostenuto, già dal suo testamento risulti estrema-mente probabile che Nello della Pietra abbia avuto almenotre mogli; una probabilità che diventa certezza alla luce di unaltro documento, pubblicato dal Caetani e ricordato, ma pur-troppo non adeguatamente utilizzato, dal Lisini.

Abbiamo visto a suo luogo che, nel proprio testamento,Nello parla di tre figlie: le prime due, Fresca e Francesca,sono già sposate, Fresca con cinque figli, Francesca senzafigli, mentre l’ultima, Bianca, è ancora bambina. Abbiamoanche visto che egli parla di due mogli: di Bartala, sua moglieattuale, parla in maniera distesa, sia per nominarla tutricedella figlia Bianca sia per disporre a favore di lei dal punto divista ereditario; di Nera, invece, egli parla soltanto per inci-so, cioè soltanto per dire che essa gli aveva lasciato 25 libredi denari da lasciare alla signora Clara, sua cameriera, e 15libre di denari da lasciare alla signora Falia, figlia del signorCaffarello di Gerfalco.

Di quale di queste due mogli sono figlie le tre figlie diNello? Bianca, la figlia bambina, è certamente figlia di Barta-la, ultima moglie di Nello, che nel testamento appare essereuna donna ancora giovane, tanto che Nello prevede che essapossa avere ancora dei figli e che, dopo la morte di lui,potrebbe volere risposarsi. Per queste stesse ragioni, Fresca eFrancesca, entrambe già sposate, non possono essere figlie diBartala, di cui anzi potrebbero essere addirittura più anzia-ne, soprattutto Fresca, che ha già cinque figli, due dei quali,Nello e Bustercio, in età tale da avere già aiutato il loropadre, Bindino da Sticciano, a sottrarre il castello di Monte-massi al loro nonno materno, Nello della Pietra, che proprioper questo li disereda. Ora, poiché Nello e Bustercio, i duefigli di Fresca, vengono considerati dal nonno corresponsabi-li insieme al loro padre di avergli sottratto Montemassi, essi

125 Il testo latino del testamento di Nello è in Gaetano Milanesi, Docu-menti intorno alla Pia de’ Tolomei ed a Nello de’ Pannocchieschi suo marito,« Giornale storico degli archivi toscani », 1859, III, p. 30–42; una traduzio-ne italiana completa di esso è in Simonetti, La Pia …Tolomei, p. 90–109.

63La questione della Pia

hanno certamente superato da qualche tempo i dodici anni,età in cui allora si veniva considerati maggiorenni, ed avran-no avuto, pensiamo, tra i quindici ed i venti anni; di conse-guenza Fresca, loro madre, dovendone avere più o meno ildoppio, avrà avuto, pensiamo, intorno ai trentacinque anni.Pertanto, poiché il testamento di Nello è del 1321, Fresca, suafiglia, sarà nata verso il 1285.

Fresca e Francesca non sono figlie di Bartala. Sono dun-que figlie di Nera? Se così fosse, Nera dovrebbe essere mortaprima del 1289, quando inizia la relazione amorosa tra Nelloe Margherita Aldobrandeschi. In effetti, se anche non sivolesse credere, come noi non crediamo, a quei commenta-tori e storici antichi secondo cui Nello avrebbe ucciso suamoglie proprio per poter sposare la contessa Margherita, sidovrà almeno tenere conto del fatto che nel 1298, quandoMargherita venne accusata e condannata in nome e perconto di papa Bonifacio VIII come bigama, perché, si sosten-ne, aveva contratto matrimonio con Nello della Pietra men-tre era ancora vivo Guido di Monfort, suo primo marito, nonrisulta che Nello venisse allora accusato e condannato comebigamo per aver sposato Margherita, cosa che sarebbe certa-mente avvenuta se all’epoca egli non fosse stato già vedovo.Che se poi questa mancanza di accusa di bigamia non fosseritenuta sufficiente a provare che verso il 1289 Nello era giàvedovo, bisognerà in ogni caso riconoscere che egli dovevaesserlo certamente nel 1303, quando papa Bonifacio VIIIimpose che Nello e Margherita si unissero in matrimonio,cosa che neppure un tal papa avrebbe potuto in alcun modoimporre se Nello e Margherita non fossero stati entrambivedovi. Pertanto, se Nera fosse stata la madre delle prime duefiglie di Nello e non fosse già morta nel 1289, essa dovevaessere sicuramente morta nel 1303.

Ma qui si pone un nuovo problema, perché Nello, che nel1303 era sicuramente vedovo, se Bonifacio VIII potevacostringerlo a sposare Margherita, in un documento di quat-tro anni dopo risulta separato da Margherita e sposato dapoco con un’altra donna. Questo documento è una lettera

64 CARLO CORSETTI

con cui il 7 maggio 1307, da Marsiglia, Carlo II d’Angiò,informato di quanto avviene dal cardinale Napoleone Orsini,ordina al figlio primogenito Roberto, vicario generale delregno di Napoli, di cessare di intromettersi nella causa diseparazione in corso tra Loffredo Caetani e Giovanna diFondi, e di revocare tutte le disposizioni fino ad allora adot-tate a vantaggio del suddetto Loffredo ed in danno di Giaco-ma di Catanzaro, madre della suddetta Giovanna di Fondi.Vista la grande importanza di questo documento per il nostrodiscorso, ma anche la sua notevole lunghezza, ci sembranecessario ed opportuno tradurlo comunque fino al puntoche più ci interessa.

Ciò premesso, leggiamo il testo della lettera regia: « CarloII al primogenito Roberto, vicario generale. Napoleone, car-dinale diacono di Santo Adriano, 126 legato della sede aposto-lica, ci ha inviato da poco una lettera, in cui, premessa unanarrazione sul matrimonio un tempo legittimamente con-tratto tra Loffredo Caetani, 127 nipote di papa Bonifacio di feli-ce memoria, e la nobildonna Margherita, contessa Palatina, esul divorzio poi seguito tra gli stessi, e sulla stessa Margheri-ta costretta ad andare matrimonialmente in sposa (matrimo-nialiter nuberet) a Nello della Pietra, 128 ed anche sul matri-

126 Si tratta del cardinale Napoleone Orsini, zio di Orso Orsini, il secon-do marito di Margherita Aldobrandeschi.

127 Il fatto che il cardinale Orsini dichiari legittimo il matrimonio con-tratto nel 1296 da Margherita e Loffredo Caetani significa che egli consi-dera illegittima la successiva dichiarazione di nullità che nel 1298 ilvescovo Bianchi aveva pronunciato in nome e per conto di papa Bonifa-cio VIII. Si trattava di ristabilire una verità storica a cui il cardinale Orsi-ni, che conosceva bene sia Margherita sia Nello, era interessato anche perragioni di famiglia. Se, infatti, il matrimonio di Margherita e LoffredoCaetani fosse stato nullo, perché Margherita aveva sposato Nello dellaPietra mentre era ancora vivo Guido di Monfort, suo primo marito, allo-ra doveva essere considerato nullo anche il matrimonio che essa, secon-do i suoi accusatori, aveva contratto con Nello ed a maggior ragione quel-lo che nel 1292 essa aveva contratto con Orso Orsini, nipote del cardina-le: con tutte le conseguenze giuridiche ed ereditarie del caso!

128 In merito a questo punto, che è l’unico a cui egli prestò davveroattenzione, restandone purtroppo impedito dal cogliere quanto subito

65La questione della Pia

monio contratto tra lo stesso Loffredo, separato da quella, ela nobildonna Giovanna, contessa di Fondi, ed inoltre sullareciproca separazione seguita tra i predetti Margherita eNello, e che lo stesso Nello al presente abbia già contrattomatrimonio con un’altra… ». 129

Chi è quest’altra donna con cui, nel 1307, dopo essersiseparato da Margherita, sempre che questo matrimonioimposto da Bonifacio VIII sia avvenuto davvero, Nello avevagià contratto matrimonio? Esclusa Bartala, perché altrimen-ti essa non apparirebbe ancora tanto giovane quattordicianni dopo, nel 1321, l’anno del testamento di Nello, nonrimane che pensare che quest’altra donna fosse proprio Nera,da cui Nello non sembra avere avuto figli e che nel testamen-to viene infatti ricordata soltanto per il lascito di 25 libre didenari in favore della signora Clara, sua cameriera, e di 15libre di denari in favore della signora Falia del signor Caffa-rello di Gerfalco; un lascito, questo di Nera, che, sembrando-

dopo si legge in merito alla nuova moglie di Nello, Lisini, La contessapalatina Margherita Aldobrandeschi, p. 115, scrive: « Da questa premessadel Cardinale con le parole matrimonialiter nuberet, sebbene non chiare,si dedurrebbe che, quando papa Bonifazio obbligò la Margherita a spo-sare Nello, in precedenza i due non si fossero mai sposati; ed era purnaturale, perché anche quando Nello fu cacciato da lei, il vero e legittimomarito, il Monforte, era sempre vivente: e Nello si guardò bene di vanta-re diritti coniugali con la Margherita. Perciò la costrizione imposta dalPapa a sposare Nello per sciogliere il matrimonio del nipote Loffredo, fugravissimo abuso di autorità commesso da Bonifazio VIII, che solo lamorte di lui poté annullare. »

129 In Gelasio Caetani, Margherita Aldobrandeschi e i Caetani, p. 35, leg-giamo: « Karolus secundus Roberto primogenito vicario generali. N(ea-poleo) Sancti Adriani dyaconus cardinalis, apostolice sedis legatus, qua-sdam nobis nuper litteras destinavit, in quibus, narratione premissa dematrimonio legitime iam dudum contracto inter Loffredum Gaietanum,felicis recordationis Bonifacii pape nepotem, et mulierem nobilem Mar-garitam comitissam Palatinam, ac de secuto postea inter ipsos divorcio,eaque Margarita coacta ut Nello de Petra matrimonialiter nuberet, dematrimonio quoque inter ipsum Loffredum ab illa separatum et nobilemmulierem Iohannam comitissam Fundorum contracto, de separacioneinsuper ob invicem secuta inter Margaritam et Nellum predictos, et quodipse Nellus iam cum alia matrimonium de presenti contraxerit… »

66 CARLO CORSETTI

ci dettato da riconoscenza verso quelle donne, non diremmoanteriore di decenni nel tempo; tutto anzi ci porta a pensareche nel 1321, anno del testamento di Nello, Nera non fossemorta da moltissimi anni: noi diremmo piuttosto da unadecina, cioè poco prima del 1313, anno in cui Nello vieneeletto e si reca come podestà a Lucca, dove ama quella signo-ra Chiarina, da cui ha quel figlio maschio illegittimo che egliricorda nel proprio testamento.

Così, volendo ripercorrere a ritroso la successione delle moglie delle amanti di Nello della Pietra, diciamo che Bartala, la gio-vane madre di Bianca, fu la sua ultima moglie; prima di Barta-la, egli aveva amato Chiarina di Lucca, da cui aveva avuto unfiglio maschio illegittimo; prima di Chiarina, egli aveva sposatoNera, da cui non risulta abbia avuto figli; prima di Nera, ceden-do alla prepotenza di Bonifacio VIII, egli aveva, si dice, sposatoMargherita Aldobrandeschi, di cui era stato l’amante una quin-dicina di anni prima, senza tuttavia riuscire a farsi sposare, e dacui allora aveva avuto un figlio maschio, Binduccio, morto, percaduta in un pozzo, nel 1300; prima di amare Margherita, egliaveva avuto un’altra moglie, la sua prima moglie, da cui glierano nate le due figlie maggiori: Fresca e Francesca.

Questa prima moglie di Nello della Pietra, della quale nonconosciamo il nome di famiglia, come del resto non conoscia-mo il nome di famiglia della moglie Nera, si chiamava sicura-mente Pia: la prova evidente è data dal fatto che i commenta-tori antichi la identificano con la Pia dantesca, cosa che certa-mente non sarebbe avvenuta, se essa non si fosse chiamataPia. A seguito di questa identificazione della prima moglie diNello con Pia da Siena, Nello della Pietra viene a sua voltaidentificato con colui che prima, sposandola, l’aveva inanella-ta con la propria gemma e che ora si sa (salsi) la causa dellamorte di lei: locuzione questa, salsi, in cui i commentatori vol-lero vedere un’accusa di uxoricidio, salvo poi dover riconosce-re che nessuno sapeva come Nello avesse ucciso questa suamoglie che ora, a loro dire, lo denuncerebbe a Dante.

Oltre che dall’identità del loro nome, dall’essere morteentrambe negli stessi anni (1285–1289), dall’essere forse

67La questione della Pia

l’una e l’altra di Siena, la confusione tra la Pia di Nello dellaPietra e la Pia di Tollo di Prata, cioè la Pia di cui parla Dante,dovette essere favorita anche da altri elementi, quali il fattoche entrambe avevano due figlie piccole; la forte assonanzadei nomi dei loro mariti: Nellus de Petra e Tollus de Prata; lavicinanza non solo toponomastica ma anche geografica delcastello di Pietra con il castello di Prata, a pochi chilometril’uno dall’altro, nello stesso circondario di Massa Marittima.

Né forse furono senza influenza, nel favorire la sovrapposi-zione e la confusione tra la Pia di Nello e la Pia di Tollo, e deiloro rispettivi mariti, da parte dei primi commentatori del testodantesco, la relativa notorietà e vicinanza temporale di Nellodella Pietra, morto da qualche anno soltanto, la relativa oscu-rità e lontananza temporale di Tollo di Prata, ucciso ormai daalmeno quaranta anni, ed il fatto che Tollo e gli altri signori diPrata furono a lungo creduti dei Pannocchieschi, cioè membridella stessa famiglia a cui apparteneva Nello della Pietra.

Ma, al di là di tutte queste coincidenze che avranno favo-rito la confusione tra le due donne e tra i loro mariti, lanostra scoperta di una prima moglie di Nello della Pietra dinome Pia non potrebbe essere invece vista come la provadefinitiva, fino ad ora sfuggita agli storici, del fatto che iprimi commentatori dicevano il vero, quando dicevano che laPia da Siena di cui parla Dante era la moglie di Nello dellaPietra, il quale conosceva bene la morte di lei, perché eglistesso ne era responsabile? La nostra risposta è negativa, peralmeno due ragioni che ci sembrano insuperabili. La primaragione, di natura estrinseca, è che, nonostante la relativanotorietà ed i molti nemici che certo non gli mancarono,finché egli fu in vita nessuno accusò mai Nello della Pietra diuxoricidio, 130 cosa che, se non altri, Bonifacio VIII non avreb-

130 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 105, fatte alcuneriflessioni a sostegno della tesi della responsabilità di Nello della Pietranella morte di Pia da Siena, scrivono: « Ma si dirà che queste supposizio-ni meritano il conto che se ne vuol tenere; ed è vero. Ad avvalorare peròla supposta colpevolezza di Nello, sta una condanna a morte pronuncia-ta contro di lui dal podestà di Siena, Pino de’ Vernacci, della quale rima-

68 CARLO CORSETTI

be certo mancato di fare, per aggravare in tal modo la posi-zione di Margherita Aldobrandeschi, accusandola di essereispiratrice, se non proprio istigatrice, di quell’omicidio. Laseconda ragione, di natura intrinseca, è che questa letturafinisce inevitabilmente, come infatti storicamente è finita,per fare di Pia da Siena una vittima del marito, anziché unavittima delle fazioni politiche, come invece fu la moglie diTollo di Prata e come infatti ce la presenta Dante, che per

ne ricordo nel libro delle condanne di quel Comune. Questa condanna[collimerebbe, essi spiegano in nota, con quanto disponevano gli Statutisenesi contro chi uccideva la persona tenuta in ostaggio, ed] è precedutadi poco da un’altra a 1500 lire di multa, conseguente un’accusa di unVanno di Montepescali, che sembra essere stato sequestrato da Nello odalle sue genti. Come si vede, il Signore di Pietra era in piena ostilità coisenesi. » — Ristudiata l’intera questione alla luce dei diversi documentida lui ritrovati, Simonetti, La Pia …Tolomei, p. 49, conclude: « Ma comun-que la condanna “in avere e persona” comminata a Nello da Pino de’ Ver-nacci [che fu podestà di Siena nel 1291], riguarda certamente la morte diVanni di Montepescali, poiché le sentenze riportate coincidono nel sensogenerale del reato compiuto e si raccolgono in un unico procedimentopenale. È impensabile che nello stesso foglio CXXXIV si possa parlare dipiù persone uccise, tanto meno di una Pia. Ed è altrettanto fantasioso,oltreché scorretto, voler accusare Nello di un reato che non può essere alui addebitato in mancanza di prove concrete. A meno che i sostenitoridella leggenda, indossando le vesti del giudice, tramutino il “si dice” inprova concreta. Sicuramente la condanna non venne eseguita, anche per-ché Nello era un personaggio troppo in vista e … a molti tornava più utilevivo che defunto. Quindi non sarà risultato particolarmente difficile tro-vare ragioni politiche per dimenticare od annullare gli effetti della sen-tenza di Pino de’ Vernacci. » — In sintonia con queste conclusioni delSimonetti, noi ci limitiamo ad osservare che non si tratta di dimostrarese Nello sia stato condannato a morte dal Comune di Siena, ma si trattadi dimostrare che egli sia stato condannato per avere ucciso sua moglie,che è cosa notevolmente diversa e mai provata, anzitutto perché, luivivente, nessuno mai lo accusò di uxoricidio; furono i primi commenta-tori del testo dantesco che vollero muovergli questa terribile accusa:un’accusa da cui egli, essendo ormai morto, non poté in alcun mododifendersi e che lo ha accompagnato per almeno settecento anni, In que-sto senso ci pare che egli abbia ben meritato quell’epiteto di “sventurato”con cui egli viene ricordato nella lapide apposta sul suo castello di Gavor-rano.

69La questione della Pia

questo la inserisce in un unico trittico con Jacopo da Fano eBuonconte da Montefeltro.

7. Ritorno a Dante. A questo punto, chiarito come la que-stione della Pia dantesca sia nata dalla confusione, operatadai primi commentatori del testo dantesco, e da loro passataa tutti gli altri, tra la Pia di Nello della Pietra e la Pia di Tollodi Prata, la prima morta magari di parto, la seconda scom-parsa durante l’assedio di Prata, torniamo al canto di Dante,per risolvere alcune questioni minori che ne hanno favoritoun’interpretazione storicamente e letterariamente distorta.

La prima questione che bisogna chiarire è che il quintocanto del Purgatorio dantesco, il canto delle vittime dellefazioni politiche, costituisce un trittico di grande unità con-cettuale ed artistica: Jacopo da Fano, Buonconte da Monte-feltro, Pia da Siena sono infatti accomunati da un destinonon soltanto di morte violenta, ma anche di non ritrovamen-to del loro cadavere: quello di Jacopo disperso nelle paludidel Brenta, quello di Buonconte travolto dall’Arno in piena,quello di Pia scomparso nella Maremma senese. 131 Graveerrore è stato quello di aver letto la morte di Pia da Siena inparallelo con la morte di Francesca da Rimini, narrata nelquinto canto dell’Inferno, 132 anziché in parallelo con le mortidi Jacopo da Fano e di Buonconte da Montefeltro. In conse-guenza di questo errore, Pia da Siena è diventata, come Fran-cesca, una vittima della gelosia del marito, mentre Dante lapone tra le vittime delle fazioni politiche. Tre morti e tre tipidi vittime: Jacopo rappresenta il politico, Buonconte rappre-senta il combattente, Pia rappresenta la persona comune, vit-tima di forze e di odi più grandi di lei, dei quali essa ignorale ragioni e gli scopi. Un trittico di grande efficacia: un tritti-co in memoria delle vittime di tutte le fazioni politiche.

131 In questo senso specifico di disfacimento organico del proprio cada-vere ci sembra da intendersi la locuzione disfecemi Maremma di Dante,Purgatorio, V, 134.

132 Dante, Inferno, V, 70–142.

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La seconda questione che bisogna chiarire è il significatoesatto della locuzione salsi, con cui inizia il penultimo versodel canto. Salsi è contrazione di sallosi, e compare soltantodue volte in tutta la Commedia dantesca: entrambe le voltenel Purgatorio. Nonostante la loro vicinanza semantica, salsinon va confuso con sallo, perché sallo vuol dire “lo sa” edallude a conoscenza di cosa notoria, 133 mentre salsi vuol dire“se lo sa” ed allude a conoscenza riservata a qualcuno. Così,dicendo « salsi colei che la cagion mi pose », Dante intendedire che la causa del proprio ravvedimento più che a lui ènota a Beatrice che gliela ha fornita. 134 Parimenti, dicendo« salsi colui che ’nnanellata pria », Pia da Siena intende direche il motivo della propria morte, cioè il motivo dell’assediodi Prata in cui essa ha trovato la morte, più che a lei è notoal marito, cioè a Tollo di Prata, il quale, essendo morto, nonpuò più dirlo ad alcuno, ed anche in questo senso se lo sa(salsi), cioè lo tiene per sé. 135 Grave errore è stato quello dinon tenere conto della rarità della locuzione salsi e di questasua sfumatura semantica in Dante. In conseguenza di questoerrore interpretativo, la disarmata e disarmante dichiarazio-ne di Pia di non conoscere bene la causa della propria morte,cioè la causa politica dell’assedio di Prata in cui essa ha tro-vato la morte, è stata letta come un’accusa, cifrata ma chia-ra, nei confronti del proprio marito; è stata letta, cioè, nelmodo più dissonante possibile con un’anima sì discreta egentile: un’anima che, come tutte le altre del suo gruppo, ha

133 In tutta la Commedia dantesca anche sallo compare soltanto duevolte e sempre per indicare una cosa nota a tutti; la prima occorrenza èin Inferno, XXX, 120, dove mastro Adamo, dicendo al greco Sinone « esieti reo che tutto il mondo sallo! », allude all’inganno del cavallo di Troia;la seconda occorrenza è in Purgatorio, XI, 66, dove Omberto di SantaFiora, dicendo « e sallo in Campagnatico ogni fante », allude al fatto cheil suo assassinio da parte dei Senesi è cosa nota in Campagnatico perfinoagli infanti (ogni fante), cioè ai bambini che ancora non sanno parlare.

134 Dante, Purgatorio, XXXI, 90.135 Dante, Purgatorio, V, 135.

71La questione della Pia

già perdonato al proprio uccisore ed ha appena chiesto aDante di pregare, una volta riposato, per lei.

La terza questione che bisogna chiarire è che i due versi,« Noi fummo tutti già per forza morti / e peccatori infino al’ultima ora », 136 con cui le anime dei morti del quinto cantodel Purgatorio si rivolgono e si presentano a Dante, non cidicono né il tipo di morte né il tipo di vizio di cui quelle per-sone devono ancora purificarsi. Questi versi ci dicono soltan-to che le anime che in tal modo si presentano a Dante sonoanime di persone che sono morte di morte violenta, primadel tempo naturale, senza i riti ecclesiastici, ma fiduciose inun rapporto religioso diretto con Dio, la cui luce le confortòa perdonare ed a domandare perdono. Se invece di guardarea Francesca da Rimini, si fosse guardato al trittico di cui Piaè parte grande e gentile, ci si sarebbe accorti che neppureJacopo neppure Buonconte vengono indicati colpevoli di unvizio o peccato specifico. Una grave svista che, distorcendo ilsenso morale e poetico del trittico, ha trasformato Pia daSiena, vittima ignara delle fazioni politiche, in “una France-sca pentita”, 137 che è immagine affatto estranea alle intenzio-ni di Dante, che finiscono per risultarne distorte.

La quarta questione che bisogna chiarire è perché o si tac-que il nome di famiglia di Pia da Siena o la si disse dei Tolo-mei. Tacque il nome della famiglia di Pia chi la confuse conla Pia di Nello, di cui ignorava, come noi, la famiglia di ori-gine. Benvenuto da Imola invece, che dovette compiere ulte-riori ricerche e che ci appare non solo il più informato maanche il più attendibile di tutti gli antichi commentatori, ladisse della stirpe dei Tolomei perché, pur continuando a cre-derla moglie di Nello, confondendo Nello con Tollo, le attri-

136 Dante, Purgatorio, V, 51–52.137 Lisini, Bianchi–Bandinelli, La Pia dantesca, p. 106–107, scrivono:

« Quello che resta per noi certezza, è che Dante non ha voluto, no,raffigurarci una Francesca pentita. In quei versi noi abbiamo sempre sen-tito, fin da quando li ascoltammo per la prima volta sui banchi della scuo-la, una profonda commiserazione per una grande sventura: la sventura diuna innocente. »

72 CARLO CORSETTI

buiva i caratteri della Pia di Tollo: egli infatti, a nostro avvi-so, pensava al quadriennale assedio di Prata, quando scrive-va che in seguito alla morte crudele di Pia « nacque un gran-de odio tra il detto signor Nello ed i Tolomei parenti dellastessa signora ». Nella vicenda di Prata, infatti, i Tolomei ave-vano svolto spesso un ruolo importante: nel 1282 il trattato diamicizia tra Tollo e Siena era stato fatto nel palazzo dei Tolo-mei, così che essi ne divenivano non solo testimoni, maanche mallevadori e garanti; nel 1285 il primo a parlare asostegno della guerra per occupare il castello di Prata e puni-re i nipoti di Tollo era stato Biagio dei Tolomei; nel 1306Sozzo di Alessio ed Alessio del fu Rinaldo dei Tolomei posse-devano quote importanti del castello e del territorio di Prata;nel 1309 Andrea di Mino dei Tolomei si era opposto ferma-mente alla cancellazione delle condanne pendenti su Fredi, ilnipote di Tollo di Prata. Questa presenza e questo impegnocostanti dei Tolomei a favore di Tollo e negli affari di Pratadovette far apparire l’affare di Prata come un affare dei Tolo-mei, facendo nascere pertanto la voce, giunta poi fino a Ben-venuto da Imola, che la moglie di Tollo di Prata, la Pia diRanuccio dei Malavolti, che si voleva recuperare insieme allefiglie, fosse della stirpe dei Tolomei.

Ancora una questione, inevitabile: come è morta Pia daSiena? Noi non lo sappiamo, come non lo sapeva Dante, ilquale certo lo avrebbe detto, magari accennandolo con unsolo aggettivo, mentre invece si è limitato a dire che essa èmorta “per forza”, cioè di morte violenta ed innaturale. 138

Così, sapendo che Pia dei Malavolti è scomparsa durante l’as-sedio di Prata, ma non essendone stato ritrovato il cadavere,accanto al suo nome noi scriviamo soltanto: dispersa.

138 A parte il fatto che egli ne considera responsabile il marito, ci sem-bra che la morte per defenestrazione, di cui parla Benvenuto da Imola edi cui secondo noi potrebbero essere responsabili gli stessi uccisori diTollo, si accordi bene all’idea di una morte violenta ed innaturale, qualeappunto è la morte “per forza” di cui parla Dante.

73La questione della Pia

8. Conclusione. Nata dalla confusione tra la Pia moglie diTollo, signore di Prata, e la Pia moglie di Nello, signore diPietra, la questione della Pia dantesca si risolve con la distin-zione di queste due donne e dei loro rispettivi mariti.

La tragica vicenda della moglie di Tollo, nata a Siena daRanuccio dei Malavolti e scomparsa in Maremma durante illungo assedio di Prata (1285–1289), ispirò Dante che la inserìcon toccanti parole nel potente trittico del quinto canto delPurgatorio, il canto delle vittime delle fazioni politiche, la cuitragedia prelude ed esplode nella violenta apostrofe « Ahiserva Italia, di dolore ostello » del grande canto successivo. 139

La brevità lapidaria del ricordo di Dante, l’accenno al mari-to, la vicinanza dei luoghi, dei casi e dei nomi dei personag-gi, la relativa notorietà e vicinanza temporale di Nello dellaPietra, la relativa oscurità e lontananza temporale di Tollo diPrata, il facile e suggestivo parallelo con Francesca da Rimi-ni, ricordata da Dante nel corrispondente quinto canto del-l’Inferno: tutte queste cose portarono i primi commentatoridel poema dantesco a confondere la Pia di Tollo con la Pia diNello, ed a vedere in lei la vittima della gelosia del marito.

O felix culpa! o felice errore! dobbiamo dire. Perché daquesta erronea trasformazione di Pia da Siena, da vittimadelle fazioni politiche in vittima della gelosia del marito, èfinita per nascere una terza Pia: la Pia dei Tolomei, figuradolente della leggenda letteraria e popolare, la cui vicenda diamore e di morte ispira le opere che oggi ripubblichiamo inmemoria di tutte le vittime politicamente ignare delle innu-merevoli guerre che hanno insanguinato ed insanguinano« l’aiuola che ci fa tanto feroci ». 140

139 Dante, Purgatorio, VI, 76.140 Dante, Paradiso, XXII, 151.

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Bibliografia

In questa nota ci limitiamo ad indicare, secondo l’ordine cronologicodi composizione e di pubblicazione, le fonti e gli studi fondamentali,nei quali è possibile trovare anche ulteriori indicazioni bibliografiche.

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78 CARLO CORSETTI

Parte II

I testi letterari

Avvertenza editoriale. Nella ristampa dei testi letterari rela-tivi alla Pia abbiamo ritoccato sia la grafia, specie nella eli-minazione della maiuscola iniziale del verso, sia la punteg-giatura, adeguando il più possibile entrambe all’uso odierno.Per renderne più agevole la lettura a chi mancasse di una suf-ficiente familiarità con testi letterari antichi, soprattutto poe-tici, abbiamo dato una versione in prosa dei quattro testi chesegnano le tappe principali di questa ampia pagina della let-teratura italiana: il canto di Dante, con cui inizia la vicendaletteraria della Pia; la novella del Bandello, che per primo leattribuisce una colpa d’amore; il poemetto del Sestini, che lapresenta come vittima innocente di una calunnia; la tragediadel Marenco, che la fece conoscere in Europa; la canzone delMoroni, che ne ha reso popolare la vicenda di amore e dimorte in tutta l’Italia centrale. Anche per non rendere ancorapiù voluminoso il lavoro, ci siamo astenuti da ogni osserva-zione di critica letteraria relativa ai testi pubblicati, limitan-doci a poche notazioni di natura storica e filologica. Così qui,oltre a ribadire che la Pia da Siena di cui parla Dante non fuuna Tolomei ma una Malavolti, ci sembra opportuno ricorda-re che Nello della Pietra, suo presunto marito, non fu ghibel-lino, ma guelfo, cioè della stessa parte politica dei Tolomei,dei quali egli fu dunque alleato, non avversario politico, comeinvece, a torto, dicono i testi che cercano di spiegare conragioni politiche la presunta inimicizia di Nello con il fratel-lo od il padre di Pia.

81

DANTE ALIGHIERI

PURGATORIO, V

1309–1313 ca.

Fig. 1 — Riproduzione dell’illustrazione premessa al primo canto del Pur-gatorio nell’edizione di Venezia, Giolito, 1555.

Presentazione

La seconda cantica della Commedia dantesca, il Purgatorio,si articola in tre parti: la prima parte è costituita dai priminove canti ed è dedicata alle anime che attendono di essereammesse a purificarsi; la seconda parte è costituita dai diciot-to canti compresi tra il decimo ed il ventisettesimo, ed è dedi-cata alle anime che si purificano, in gironi distinti e successi-vi, dai sette vizi capitali: superbia, invidia, ira, accidia, avari-zia, gola, lussuria; la terza parte è costituita dagli ultimi seicanti, dal ventottesimo al trentatreesimo, ed è dedicata all’in-contro di Dante con Beatrice nel Paradiso Terrestre sullavetta del monte Purgatorio. Mentre le anime ammesse apurificarsi sono sottoposte ad una pena specifica, in qualchemodo uguale e contraria al vizio da cui devono purificarsi, leanime che attendono di esservi ammesse non sono sottopostead alcuna pena specifica, da cui per contrappasso si possacapire da quale vizio debbano purificarsi, ma soffrono tutteper l’attesa a cui sono sottoposte. Questa mancanza di penespecifiche non ci consente di dire da quale vizio si debbanopurificare le anime, vittime delle fazioni politiche, che incon-triamo in questo canto; mentre il fatto che la loro vita terre-na sia stata stroncata “a forza”, cioè con violenza e prima deltempo, senza lasciar loro la possibilità di purificarsi adegua-tamente sulla terra, sembra ridurre la loro responsabilità econseguentemente anche la durata della loro attesa nell’anti-purgatorio. Questa, infatti, ci sembra essere la ragione per cuiDante le pone più in alto, cioè più vicine alla porta del pur-gatorio, non solo di re Manfredi, morto scomunicato, maanche di Belacqua, che aveva indugiato fino alla fine natura-le della vita prima di rivolgere a Dio i propri sospiri.

87

Nota sull’autore. Dante Alighieri nacque a Firenze nel 1265.Prese parte alla vita culturale, militare e politica della suacittà, di cui fu anche priore. Accusato di malversazione poli-tica, mentre era impegnato in un’ambasceria a Roma pressoBonifacio VIII, e non essendosi presentato a pagare la multaa cui era stato condannato, nel 1302 venne condannato amorte in contumacia; da allora visse sempre in esilio, ospitedi vari signori italiani. Nei quasi venti anni di esilio, scrisse ilsuo capolavoro, la Commedia, che Giovanni Boccaccio perprimo considerò e disse divina. Dante morì a Ravenna il 14settembre 1321.

Nota sul testo. Il testo del canto del Purgatorio che qui pub-blichiamo è tratto da Dante Alighieri, Commedia, a cura diEmilio Pasquini e Antonio Quaglio, Milano, Garzanti, 1987.

89Purgatorio, V

Io era già da quell’ombre partito,e seguitava l’orme del mio duca,

3 quando di retro a me, drizzando ’l dito,una gridò: « Ve’ che non par che luca

lo raggio da sinistra a quel di sotto,6 e come vivo par che si conduca! »

Li occhi rivolsi al suon di questo motto,e vidile guardar per maraviglia

9 pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto. 1

« Perché l’animo tuo tanto s’impiglia —disse ’l maestro — che l’andare allenti?

12 che ti fa ciò che quivi si pispiglia?Vien dietro a me, e lascia dir le genti:

sta come torre ferma, che non crolla15 già mai la cima per soffiar di venti;

ché sempre l’omo in cui pensier rampollasovra pensier, da sé dilunga il segno,

18 perché la foga l’un de l’altro insolla. » 2

1 Io ero già partito da quelle anime, e seguivo i passi della miaguida, quando dietro a me, puntando il dito, una gridò: « Guarda!non si vede il raggio splendere da sinistra a quello di sotto, e sem-bra che si comporti come uno vivo! » Rivolsi gli occhi al suono diqueste parole, e le vidi guardare meravigliate proprio me, propriome, e la luce che era interrotta.

— Quello di sotto è Dante che, nel salire il monte, va dietro a Virgilio; lameraviglia delle anime nasce dal vedere che, a differenza di quanto avvieneper loro stesse e per Virgilio, i raggi del sole non attraversano il corpo diDante, che anzi proietta la propria ombra.

2 « Perché il tuo animo si confonde tanto — disse il maestro— che rallenti il cammino? Che ti importa di quello che si mor-mora qui? Vieni dietro a me, e lascia parlare le genti: tu sta sal-

DANTE ALIGHIERI90

Che potea io ridir, se non « Io vegno? »Dissilo, alquanto del color consperso

21 che fa l’uom di perdon talvolta degno. 3

E ’ntanto per la costa di traversovenivan genti innanzi a noi un poco,

24 cantando ‘Miserere’ a verso a verso.Quando s’accorser ch’i’ non dava loco

per lo mio corpo al trapassar de’ raggi,27 mutar lor canto in un « oh! » lungo e roco;

e due di loro, in forma di messaggi,corsero incontr’a noi e dimandarne:

30 « Di vostra condizion fatene saggi. » 4

do come torre immobile, che non muove mai la cima, nono-stante il soffiare dei venti; poiché l’uomo, in cui da un proposi-to, germoglia sempre un altro proposito, allontana la meta dasé, perché l’uno fiacca l’ardore dell’altro. »

3 Che potevo io rispondere, se non « Io Vengo? » Lo dissi,cosparso alquanto di quel colore che talvolta rende l’uomomeritevole di perdono.

— Questo colore è il rosso di chi si vergogna.4 Ed intanto di traverso al fianco del monte, un poco davan-

ti, a noi venivano delle genti, cantando Miserere verso a ver-so. Quando si accorsero che io non lasciavo spazio al trapas-sare dei raggi attraverso il mio corpo, mutarono il loro cantoin un « oh! » lungo e roco; e due di loro ci corsero incontro inqualità di messaggeri e ci domandarono: « Fateci conoscere lavostra condizione. »

— Miserere, abbi pietà, è l’incipit, cioè la parola con cui inizia ilSalmo 50, il più famoso dei salmi penitenziali, composti dal re Davidper chiedere perdono dei due peccati da lui commessi: avere messoincinta una donna già sposata, Betsabea, ed aver poi comandato alcomandante del proprio esercito di disporre le truppe in modo che ilmarito di lei, Uria, fosse ucciso in battaglia; su questi fatti, vedi la Bib-bia, 2 Samuele, 11–12.

E ’l mio maestro: « Voi potete andarnee ritrarre a color che vi mandaro

33 che ’l corpo di costui è vera carne.Se per veder la sua ombra restaro,

com’io avviso, assai è lor risposto:36 fàccianli onore, ed esser può lor caro. » 5

Vapori accesi non vid’io sì tostodi prima notte mai fender sereno,

39 né, sol calando, nuvole d’agosto,che color non tornasser suso in meno;

giunti là, con li altri a noi dier volta,42 come schiera che scorre sanza freno. 6

« Questa gente che preme a noi è molta,e vegnonti a pregar — disse ’l poeta —

45 però pur va, e in andando ascolta. » 7

« O anima che vai per esser lietacon quelle membra con le quai nascesti —

48 venian gridando — un poco il passo queta.

5 Ed il mio maestro: « Voi potete andare e riferire a coloro chevi hanno mandati che il corpo di costui è vera carne. Se, come iopenso, si sono fermati perché hanno veduto la sua ombra, si èloro risposto abbastanza: gli facciano onore e può essere preziosoper loro. »

— Può essere prezioso perché può pregare e chiedere di pregare per loro.6 Io non vidi mai vapori accesi solcare così rapidi un sereno

di prima notte né squarciare nuvole di agosto al calare del sole,che quelli non tornassero su in minor tempo; e giunti là si dires-sero con gli altri verso di noi, come un esercito che fugge senzaalcun ritegno.

— I vapori accesi che solcano il cielo d’agosto sono le stelle cadenti,mentre quelli che squarciano le nubi della sera sono i lampi.

7 « Questa gente che preme verso di noi è molta, e ti vengonoa pregare — disse il poeta — perciò cammina, e camminandoascolta. »

91Purgatorio, V

DANTE ALIGHIERI92

Guarda s’alcun di noi unqua vedesti,sì che di lui di là novella porti:

51 deh, perché vai? deh, perché non t’arresti? 8

Noi fummo tutti già per forza morti,e peccatori infino a l’ultima ora;

54 quivi lume del ciel ne fece accorti,sì che, pentendo e perdonando, fora

di vita uscimmo a Dio pacificati,57 che del desìo di sé veder n’accora. » 9

E io: « Perché ne’ vostri visi guati,Non riconosco alcun; ma s’a voi piace

60 cosa ch’io possa, spiriti ben nati,voi dite, e io farò per quella pace

che, dietro a’ piedi di sì fatta guida,63 di mondo in mondo cercar mi si face. » 10

8 « O anima che vai per essere lieta con quelle membra concui nascesti — venivano gridando — ferma un poco il passo.Guarda se vedesti mai qualcuno di noi, così che porti di là noti-zia di lui: deh, perché cammini? deh, perché non ti fermi?

9 Noi tutti fummo uccisi un tempo con la forza, e fummo pec-catori fino all’ora estrema; qui una luce del cielo ci rese consape-voli, sicché, pentendoci dei nostri peccati e perdonando ai nostriuccisori, uscimmo fuori di vita pacificati con Dio che ci strazia ilcuore con il desiderio di vederlo. »

10 Ed io: « Benché io guardi nei vostri volti, non riconosco alcu-no; ma se vi piace qualcosa che io possa fare, o spiriti ben nati,voi ditela, ed io la farò per quella pace che, mi si fa cercare dimondo in mondo dietro ai piedi di così fatta guida. »

— Questi spiriti sono ben nati, cioè nati con un destino felice, perchéormai sono salvi e sicuri di salire « quando che sia tra le beate genti » delparadiso (Dante, Inferno, I, 120); inversamente, quelli che sono dannati persempre all’inferno, sono detti spiriti mal nati (Dante, Inferno, XVIII, 76;XXX, 48). — I mondi attraverso cui Dante cerca la pace sono i mondi ultra-terreni: inferno, purgatorio, paradiso.

93Purgatorio, V

E uno incominciò: « Ciascun si fidadel beneficio tuo sanza giurarlo,

66 pur che ’l voler nonpossa non ricida. Ond’io, che solo innanzi a li altri parlo,

ti priego, se mai vedi quel paese69 che siede tra Romagna e quel di Carlo,

che tu mi sie di tuoi prieghi cortesein Fano, sì che ben per me s’adori

71 pur ch’i’ possa purgar le gravi offese. 11

Quindi fu’ io; ma li profondi foriond’uscì ’l sangue in sul quale io sedea,

75 fatti mi furo in grembo a li Antenori,là dov’io più sicuro esser credea:

quel da Esti il fe’ far, che m’avea in ira78 assai più là che dritto non volea. 12

11 Ed uno incominciò: « Ciascuno crede nel tuo beneficiosenza che tu lo giuri, a meno che tu non possa fare quello chevorresti fare per noi. Sicché io, che parlo da solo davanti aglialtri, ti prego, se mai vedi quel paese che si trova tra la Roma-gna ed il paese di Carlo, che tu mi faccia la grazia delle tuepreghiere in Fano, sicché si adori bene Dio per me, affinché iopossa purificarmi delle gravi colpe.

— Il paese, cioè la regione, in cui Dante potrebbe un giorno andaresono le Marche, poste tra la Romagna e gli Abruzzi, da cui iniziava quelterritorio, l’Italia meridionale, su cui nel 1300 regnava Carlo II d’Angiò.

12 Io fui di qui; ma le profonde ferite, da cui uscì il sanguesu cui risiedevo, mi furono fatte in seno agli Antenori, là doveio credevo di essere più al sicuro: lo fece fare quello da Este, ilquale mi odiava assai oltre quanto avrebbe voluto il giustodiritto.

— La concezione secondo cui l’anima, cioè la vita dell’uomo, risiedenel sangue — in questo senso l’anima che parla dice « ’l sangue sul qualeio sedea » — è una concezione di derivazione biblica, su cui vedi la Bib-bia, Levitico, 17, 14. — L’anima che parla è quella Jacopo del Cassero da

DANTE ALIGHIERI94

Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira,quando fu’ sovragiunto ad Orïaco,

81 ancor sarei di là dove si spira.Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco

m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’io84 de le mie vene farsi in terra laco. » 13

Poi disse un altro: « Deh, se quel disiosi compia che ti tragge a l’alto monte,

87 con buona pïetate aiuta il mio!Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;

Giovanna o altri non ha di me cura;90 per ch’io vo tra costor con bassa fronte. » 14

Fano, fatto assassinare nel 1298 da Azzo VIII d’Este, signore di Ferrara,che egli aveva accusato di tradimento, mentre si recava come podestà aMilano, tenendosi prudentemente lontano da Ferrara e passando permaggiore prudenza per il territorio di Padova, di cui veniva consideratofondatore il troiano Antenore, donde l’epiteto di Antenori qui dato ai Pa-dovani.

13 Ma se, quando fui raggiunto ad Oriago, io fossi fuggitoverso la Mira, sarei ancora di là dove si respira. Invece corsialla palude, e le cannucce ed il fango mi impigliarono a talpunto che io caddi; e lì ho visto farsi un lago in terra del miosangue. »

— Di là dove si respira è sulla Terra, dove i viventi respirano, cosache le anime non fanno più nei mondi ultraterreni, perché qui essesono prive di corpo. — Mira ed Oriago, nelle cui paludi avvenne l’omi-cidio di Jacopo del Cassero, si trovano tra Padova e Venezia, sulla rivie-ra del fiume Brenta.

14 Poi un altro disse: « Deh, e così possa realizzarsi quel desi-derio che ti attira verso l’alto del monte, aiuta il mio desideriocon buona pietà! Io fui di Montefeltro, io sono Buonconte; néGiovanna né altri si preoccupano per me; per questo vado atesta bassa tra costoro. »

— Figlio di Guido da Montefeltro, di cui parla Dante, Inferno, XXVII,1–136, Buonconte fu capitano ghibellino di Arezzo ed in tale veste

E io a lui: « Qual forza o qual venturati travïò sì fuor di Campaldino,

93 che non si seppe mai tua sepultura? » 15

« Oh! — rispuos’elli — a pie’ del Casentinotraversa un’acqua c’ha nome l’Archiano,

96 che sovra l’Ermo nasce in Apennino.Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano,

arriva’ io forato ne la gola,99 fuggendo a piede e sanguinando il piano.

Quivi perdei la vista e la parola;nel nome di Maria fini’, e quivi

102 caddi, e rimase la mia carne sola. 16

95Purgatorio, V

inflisse una dura sconfitta ai Senesi nella battaglia presso la Pieve alToppo (1288), ricordata da Dante, Inferno, 13, 121, L’anno successivo,Buonconte trovò la morte combattendo contro i Fiorentini nella batta-glia di Campaldino (1289), a cui prese parte come feritore a cavalloanche Dante allora venticinquenne. — La Giovanna che non si cura diBuonconte è la sua vedova; gli altri sembrano essere una sua figlia,Manentessa, ed un suo fratello, Federico, allora podestà ad Arezzo.

15 Ed io a lui: « Quale forza o quale sorte ti portò così fuori daCampaldino, che non si conobbe mai la tua sepoltura? »

— Si noti che le tre anime che parlano in questo canto sono le anime ditre persone che hanno in comune non solo il fatto di essere state tutte ucci-se in circostanze poco chiare, ma anche e soprattutto il fatto che il lorocadavere non fu mai ritrovato.

16 « Oh! — rispose lui — ai piedi del Casentino traversa uncorso d’acqua che si chiama Archiano, il quale nasce in Appen-nino sopra l’Eremo. Là dove il suo nome diventa inutile, io arri-vai ferito alla gola, fuggendo a piedi ed insanguinando la pia-nura. Là perdetti la vista e la parola; finii la vita nel nome diMaria, e colà caddi e rimase soltanto la mia carne.

— L’eremo di cui si parla è l’eremo di Camaldoli. — Il punto, in cui ilnome dell’Archiano diventa inutile, è il punto in cui, vicino Bibbiena, essoconfluisce nell’Arno.

Io dirò vero, e tu ’l ridì tra’ vivi:l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno

105 gridava: « O tu del ciel, perché mi privi?Tu te ne porti di costui l’etterno

per una lagrimetta che ’l mi toglie;108 ma io farò de l’altro altro governo! »17

Ben sai come ne l’aere si raccogliequell’umido vapor che in acqua riede,

111 tosto che sale dove ’l freddo il coglie.Giunse quel mal voler che pur mal chiede

con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento114 per la virtù che sua natura diede.

Indi la valle, come ’l dì fu spento,da Pratomagno al gran giogo coperse

117 di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento,sì che ’l pregno aere in acqua si converse;

la pioggia cadde, e a’ fossati venne120 di lei ciò che la terra non sofferse;

e come ai rivi grandi si convenne,ver’ lo fiume real tanto veloce

123 si ruinò, che nulla la ritenne. 18

DANTE ALIGHIERI96

17 Io dirò la verità, e tu ridilla tra i vivi: l’angelo di Dio miprese, e quello dell’inferno gridava: « O tu del cielo, perché miprivi? Tu di costui te ne porti l’eterno per una lacrimuccia cheme lo toglie; ma io tratterò l’altro in modo diverso! »

— L’eterno è l’anima di Buonconte; l’altro è il suo corpo.18 Sai bene come nel cielo si raccoglie quel vapore umido che

ritorna in acqua, appena esso sale dove il freddo lo sorprende.Quella malvagia volontà, che cerca il male anche con l’intelli-genza, giunse e con il potere che la sua natura gli diede mosseil vento e le nuvole. Quindi, come il giorno fu spento, coprì dinebbia la valle da Pratomagno fino al grande giogo appennini-

Lo corpo mio gelato in su la focetrovò l’Archian rubesto; e quel sospinse

126 ne l’Arno, e sciolse al mio petto la crocech’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse;

voltòmmi per le ripe e per lo fondo,129 poi di sua preda mi coperse e cinse. » 19

« Deh, quando tu sarai tornato al mondoe riposato de la lunga via —

132 seguitò ’l terzo spirito al secondo —ricorditi di me, che son la Pia;

Siena mi fe’, disfecemi Maremma:salsi colui che ’nnanellata pria

136 disposando m’avea con la sua gemma ». 20

97Purgatorio, V

co; e rese il cielo di sopra così teso che l’aria pregna si trasformòin acqua; la pioggia cadde e ciò che di essa la terra non assorbìvenne ai fossati; ed appena confluì nei corsi grandi, si rovesciòcosì veloce verso il fiume reale che nulla la trattenne.

— La volontà malvagia che, unendo intelligenza e volere, provoca latempesta è l’angelo dell’inferno. — Qui l’Arno viene detto fiume reale, cioèregale, perché è il maggiore dei fiumi toscani.

19 L’Archiano impetuoso trovò il mio corpo gelato sulla foce;e lo sospinse nell’Arno e sciolse al mio petto la croce che con lebraccia io feci di me quando il dolore mi vinse; mi rivoltò per lerive e per il fondo, poi mi avvolse e mi coperse con la suapreda. »

— La sua preda è tutto ciò che di fango e di pietre l’Arno ha travoltonella sua piena.

20 « Deh, quando tu sarai tornato al mondo e ti sarai riposatodella lunga via — seguì il terzo spirito al secondo — ti tornimemoria di me, che sono la Pia; Siena mi fece, Maremma midisfece: se lo sa colui che prima, sposandomi, mi aveva inanella-ta con la sua gemma. »

— In merito a queste parole di Pia, qui notiamo soltanto che ricorditi èun congiuntivo esortativo da non confondersi, come pure avviene, con l’im-perativo ricordati.

MATTEO BANDELLO

NOVELLE, I, 12

prima del 1524

Fig. 2 — Riproduzione del frontespizio della prima parte di Matteo Ban-dello, Novelle, Lucca, Busdrago, 1554.

Presentazione

A due secoli di distanza dai mirabili versi danteschi, lanovella del Bandello inaugura la lunga serie di composizioniletterarie che nel corso dell’Ottocento e del Novecento avran-no come tema l’oscura tragedia di Pia da Siena, di cui essirenderanno popolare la figura e la vicenda. Ma, mentre Danteaveva taciuto il nome sia della famiglia di Pia sia quello diquel colui che Pia dice conoscere la morte di lei, il Bandello,accogliendo la testimonianza degli antichi commentatoridanteschi, identifica senz’altro Pia da Siena con una giovanedonna della famiglia senese dei Tolomei e la dice maritata aforza a quel colui che tutti i commentatori avevanoidentificato con Nello della Pietra. Tutti gli scrittori successi-vi seguiranno il Bandello nel dire che Pia da Siena fu mogliedi quel colui che conosce la morte di lei; non tutti inveceaccetteranno la sua identificazione di Pia da Siena con unadonna dei Tolomei e di quel colui con Nello della Pietra; nes-suno poi lo seguirà nel sostenere che la causa della tragediafu il tradimento coniugale di Pia, sicché il Bandello resterà alungo l’unico a considerare Pia da Siena colpevole di adulte-rio.

103

Nota sull’autore. Matteo Bandello (1485–1561) nacque aCastelnuovo Scrivia (Alessandria). Benché frate domenicano,egli condusse una vita più da letterato frequentatore di cortisignorili, come quella di Isabella d’Este a Mantova, che nonda religioso. Morì in Francia, dopo essere stato nominatovescovo di Agen dal re Enrico II. Autore di scritti in latino edin volgare, tra cui un Canzoniere petrarcheggiante, la suafama rimase legata alle Novelle, che furono molto note fuorid’Italia e da cui trassero spunto autori diversi, tra cui ricor-diamo William Shakespeare che per la tragedia Giulietta eRomeo trasse spunto da Bandello, La seconda parte de lenovelle, IX.

Nota sul testo. Il testo della novella che qui pubblichiamo ètratto da Matteo Bandello, La prima parte de le novelle, a curadi Delmo Maestri, Alessandria, Edizioni Dell’Orso, 1992, p.111–115.

105Novelle, I, 12

Il Bandello al vertuosomesser Pietro Barignano 1

Gli ultimi sonetti e il bellissimo madrigale che voine la villa di Montechiaro in Bresciana mi deste,come io fui in Brescia mostrai al nostro gentilissimomesser Emilio Emili. 2 Io non voglio ora stare a dirviciò che egli e io del vostro soave stile e de la vostraingegnosa e bella invenzione dicessimo. Solo vi diròche tra Montechiaro e Brescia io gli lessi e rilessi piùvolte per camino, e quanto più quelli io leggeva tantopiù cresceva il disio di rileggerli, il che anco a mes-ser Emilio avvenne. Ora per mandarvi una de le mienovelle, ve ne mando una che non è molto che inMantova, a la presenza di madama illustrissima lasignora Isabella da Este marchesana, 3 narrò il molto

1 Pietro Barignano, poeta ed uomo di corte, nacque a Pesa-ro verso la fine del Quattrocento, visse nelle corti di Pesaro, diUrbino, di Roma, e fu in contatto con i maggiori letterati delsuo tempo.

2 Emilio Emili, bresciano, tradusse il Manuale del milite cri-stiano di Erasmo da Rotterdam e compose alcune poesie co-me centoni di quelle del Petrarca.

3 Isabella d’Este (1474–1539), marchesa di Mantova, politi-ca energica ed abile, mecenate raffinata e munifica, fu onora-ta dai maggiori letterati ed artisti del tempo, dal Castiglione

piacevole messer Domenico Campana Strascino, 4 ri-tornando da Milano a Roma e avendo quel dì adiporto desinato con messer Mario Equicola 5 emeco. La novella è istoria, de la quale fa menzioneDante nel Purgatorio. Tuttavia io l’ho voluta mettercon l’altre mie istorie o siano novelle e a voi donarla.State sano. 6

MATTEO BANDELLO106

all’Ariosto, da Leonardo a Tiziano che ne dipinse un magni-fico ritratto.

4 Domenico Campani (1478–1524), detto Strascino, senese,fu poeta burlesco e visse nelle corti di Mantova e di Roma. Ladata della sua morte, il 1524, costituisce dunque il termineante quem, cioè prima del quale questa novella sarebbe statada lui raccontata al Bandello.

5 Mario Equicola (1470–1525), di Alvito (FR), fu al serviziodi Isabella d’Este e scrisse, tra l’altro, un trattato De natura deAmore, cioè sulla natura di Amore, ed una Cronica de Manta,cronaca di Mantova.

6 Gli ultimi sonetti che voi mi deste nella villa di Montichiariin Bresciana, come fui in Brescia io li mostrai al nostro signorEmilio Emili. Ora io non voglio stare a dirvi quel che lui ed iodicessimo del vostro soave stile e della vostra ingegnosa e bellainvenzione. Vi dirò soltanto che tra Montichiari e Brescia io lilessi e rilessi più volte, durante il cammino, e quanto più li leg-gevo tanto più mi cresceva il desiderio di rileggerli, la qual cosaavvenne anche al signor Emilio. Ora, volendo mandarvi unadelle mie novelle, ve ne mando una che non molto tempo fa inMantova, alla presenza della illustrissima signora marchesaIsabella d’Este, narrò il molto piacevole signore DomenicoCampana Strascino, di ritorno da Milano a Roma e dopo averquel giorno piacevolmente pranzato con il signor Mario Equi-cola e con me. La novella è storia; e di essa fa menzione Dantenel Purgatorio. Tuttavia io l’ho voluta mettere insieme con lealtre mie storie o novelle che siano, e donarla a voi. State sano.

Novella XIIUn senese truova la moglie in adulterio

e la mena fuori e l’ammazza.

Siena, mia antica patria, fu sempre, come ancooggidì è, molto di belle e cortesi donne copiosa, ne laquale fu già una bellissima giovane detta Pia de’Tolomei, famiglia molto nobile. Costei, essendo inetà di maritarsi, fu data per moglie a messer Nello dela Pietra, che era gentiluomo il più ricco alora diSiena e il più potente che fosse in Maremma. Ella,che contra il suo volere sforzata dai parenti l’avevapreso, si trovava di malissima voglia, veggendosibella e fresca di diciotto in dicenove anni e il maritodi più di cinquanta, che le faceva far più vigilie chenon insegnava messer lo giudice di Chinzicca a laBartolomea Gualanda sua moglie, e che non fannomolti spagnuoli quando vivono a le spese loro, ched’uno ravaniglio e di pane e d’acqua si pascono. E sepur talora Nello le dava da beccare, faceva il piùdelle volte tavola spendendo doppioni, di modo chela bella giovane viveva in pessima contentezza, etanto più s’attristava quanto che messer Nello per ilpiù la teneva in Maremma a le sue castella. 7

107Novelle, I, 12

7 Siena, mia antica patria, fu sempre, come è anche oggi,molto ricca di donne belle e cortesi, tra le quali fu una giovanebellissima detta Pia dei Tolomei, una famiglia molto nobile.Costei, essendo in età di maritarsi, fu data in moglie al signorNello della Pietra, che allora era il gentiluomo più ricco di Sienaed il più potente che ci fosse in Maremma. Ella, che lo avevapreso contro la propria volontà perché forzata dai parenti, sitrovava molto insoddisfatta, vedendosi bella e fresca tra i diciot-

Condussela tra l’altre una volta a Siena, dove a luiconveniva star alcun mese per una lite che aveva conla città a cagion di confini. Ella in quel tempo deli-berò a’ casi suoi provedere e tanto darsi a torno, cheavesse abondanza de la cosa di cui il marito le face-va tanta carestia e così estremo disagio. E avendoveduti molti giovini de la nostra città e ben conside-rati i costumi, le maniere, i modi e le bellezze di cia-scuno, le piacque meravigliosamente un giovanettode’ Ghisi chiamato Agostino, dal cui ceppo giovamicredere che sia disceso il nuovo mecenate e fautoredi tutti i vertuosi dei nostri tempi, cotanto buono ericco e sì liberale, cortese e amatore dei vertuosi, ilsignor Agostino Ghisi. 8 A questo adunque mettendo

MATTEO BANDELLO108

to e i diciannove anni, ed il marito di più di cinquanta, che lefaceva fare più vigilie di quante ne insegnasse il signor giudicedi Chinzica a sua moglie, la Bartolomea Gualanda, e di quantene facciano molti spagnoli quando vivono a spese loro, che sinutrono di un ravanello e di pane e di acqua. E se pure talvol-ta Nello le dava da beccare, il più delle volte faceva tavola spen-dendo doppioni, sicché la bella giovane viveva del tutto scon-tenta, e diventava ancora più triste in quanto il signor Nello perlo più la teneva nei suoi castelli in Maremma.

— La locuzione iniziale per cui Siena viene detta mia antica patria sispiega con il fatto che a narrare è il senese Strascino. — Nella novella diGiovanni Boccaccio, Decameron, II, 10, il giudice Ricciardo di Chinzica,troppo avanti negli anni per poter soddisfare la moglie, Bartolomea Gua-landi, che egli, imprudente, si era scelta troppo giovane e bella, cercava dimotivare la rarità dei loro rapporti sessuali con una lunga serie di vigiliee divieti religiosi noti a lui solo e vantaggiosi soltanto per lui. — Beccare efare tavola spendendo doppioni, cioè monete di molto valore, sono imma-gini metaforiche della sproporzione tra energie spese e risultati ottenuti.

8 Agostino Chigi (1465–1520), a cui la città di Siena tributòil titolo di Magnifico, fu tesoriere della Chiesa e mecenate mu-

gli occhi a dosso e, come vedere lo poteva, mostran-dosegli tutta ridente, fece di modo che egli s’avvideche amorosamente da lei era guardato. Onde nonschivando punto le fiamme amorose, a quelle aperselargamente il petto e mise ogni studio per far cheanco ella s’accorgesse com’egli per lei ardeva. Il chefu assai facile a fare, perciò che ella, come il vedeva,metteva per il sottile mente a tutti gli atti di quello.Ardendo adunque tutti dui, messer Agostino le scris-se un’amorosa lettera e per via d’una buona donna lene fece dare, e n’ebbe la desiata risposta. Era il com-mune desiderio di tutti dui di ritrovarsi insieme a ciòche amorosamente si potessero dar piacere, ma perla molta famiglia che messer Nello teneva era quasiimpossibile che da ora nessuna il Ghisi potesseentrarle in casa che non fosse veduto. D’altra parte,ella non poteva uscir di casa né andar in alcun luogo,che non fosse da uomini e donne accompagnata.Onde tutti e dui erano di malissima voglia, né sape-vano a’ lor casi trovar compenso. 9

109Novelle, I, 12

nifico: per lui Raffaello affrescò la splendida villa romana det-ta Farnesina.

9 Tra le altre, una volta la condusse a Siena, dove lui dovevarestare qualche mese per una lite che aveva con la città per mo-tivi di confini. In quella occasione ella decise di provvedere agliaffari propri e di darsi da fare intorno finché avesse abbondan-za di quella cosa di cui il marito le faceva carestia e così estre-ma difficoltà. E avendo veduti molti giovani della nostra città eben valutati i costumi, le maniere, i modi e le bellezze di cia-scuno, le piacque moltissimo un giovanetto dei Chigi chiamatoAgostino, dal cui ceppo sono propenso a credere che sia discesoil nuovo mecenate e fautore di tutti i virtuosi dei nostri tempi,

Ora avvenne che messer Nello fece da le sue pos-sessioni venire gran quantità di grani per la provi-gion della casa, avendo deliberato di star la seguentevernata in Siena. La Pia, che l’aveva inteso, ne diedeavviso al suo amante commettendogli quanto lepareva che dovesse fare. Egli, lieto oltra modo diquesto, si dispose a far tutto quello che la donna gliaveva scritto. Ora volle la sorte che quel dì che ilgrano arrivò messer Nello faceva far certo collegio didottori in casa del più attempato di loro per la litesua, e volle egli starvi sempre presente, di modo chedopo desinare fino a notte scura sempre nel collegiodimorò. Fu portato il grano in quel che messer Nellousciva di casa, e il suo fattore, fatti venir alcuni fac-chini, ordinò che il grano fosse portato sopra nel gra-naio. Il Ghisi, che vestito s’era da facchino, arrivò inquello, e sì bene s’era contrafatto che persona del

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così tanto buono e ricco e così generoso, cortese ed amatore deivirtuosi, il signor Agostino Chigi. Tenendogli dunque gli occhiaddosso e mostrandoglisi tutta sorridente appena poteva veder-lo, fece in modo che egli si accorgesse che essa lo guardava conamore. Cosa questa che fu facile a farsi, perché lei, appena lovedeva, faceva grande attenzione a tutti i suoi gesti. Alla fine,poiché ardevano tutti e due, il signor Agostino le scrisse una let-tera d’amore e gliela fece dare per mezzo di una buona donna, ene ebbe la risposta desiderata. Era comune desiderio di entram-bi di ritrovarsi insieme per potersi dare amorosamente piacere,ma a causa della molta servitù che il signor Nello teneva eraquasi impossibile che ci fosse un momento in cui il Chigi potes-se entrarle in casa senza essere visto. D’altra parte, lei non pote-va uscire di casa né andare in alcun luogo senza essere accom-pagnata da uomini e da donne. Sicché tutti e due erano moltoscontenti né sapevano trovare soluzione ai loro affari.

mondo conosciuto non l’averebbe. Onde fu dal fatto-re chiamato a portare il grano di sopra. Egli, chealtro non desiderava, preso il suo sacco in collomontò le scale e votò il sacco nel granaio. E sapendocome stavano le camere della casa, ché altre voltevedute le aveva, ne lo scendere, avendo avvertito adesser solo, entrò in un camerino e fermò l’uscio diquello, secondo che la donna scritto gli aveva, laquale attenta stava se il suo amante ci veniva. 10

Aveva quella cameretta un uscio che entrava den-tro la camera, ove ella allora s’era ridotta, e fingendo

111Novelle, I, 12

10 Ora avvenne che il signor Nello fece venire dai suoi posse-dimenti una grande quantità di grano per le provviste dellacasa, avendo deciso di restare l’inverno veniente in Siena. LaPia, che lo aveva inteso, ne diede notizia al suo amante facen-dogli sapere quel che avrebbe dovuto fare. Egli, più lieto che maidi questo, si preparò a fare tutto quello che la donna gli avevascritto. Ora la sorte volle che quel giorno che il grano arrivò ilsignor Nello facesse una certa riunione di dottori di legge incasa del più anziano di essi per la sua lite, ed egli volle starvisempre presente, sicché dopo il pranzo fino a notte fonda rima-se sempre nel collegio. Fu portato il grano proprio quando ilsignor Nello usciva di casa, ed il suo fattore, fatti venire alcunifacchini, ordinò che il grano fosse portato sopra nel granaio. IlChigi, che si era vestito da facchino, arrivò proprio in quelmomento, e si era travestito così bene che nessuna persona almondo lo avrebbe riconosciuto. Sicché fu chiamato dal fattorea portare il grano di sopra. Egli, che non desiderava altro, presoil suo sacco in collo salì le scale e vuotò il sacco nel granaio. Esapendo come erano disposte le camere della casa, perché leaveva viste altre volte, nello scendere, avendo fatto attenzionead essere solo, entrò in un camerino e ne chiuse l’uscio, secon-do quanto gli aveva scritto la donna, la quale stava attenta se ilsuo amante ci venisse.

di voler dormire si serrò di dentro tutta sola, e apren-do l’uscio trovò il suo caro amante, che di già queipanni facchineschi s’era spogliato e rimasto era inun farsetto di raso morello. Come ella il vide, cosìcon le braccia al collo basciandolo mille volte se gliavvinchiò, e medesimamente egli abbracciò strettis-simamente lei. Ma io non starò a raccontarvi perminuto le carezze che si fecero e quante fiate a lalotta giocarono. Pensi ciascuno di voi ciò che egli, seda dovero innamorato fosse, in simil caso farebbe.Avendo la Pia gustato quanto saporiti fossero gliabbracciamenti del suo caro amante e quanto insipi-di e rari erano quelli del marito, sì fieramente dinuovo ardore s’accese, che le pareva quasi impossi-bile poter vivere senza aver di continuo appresso ilsuo amato Ghisi. Medesimamente il giovane l’avevatrovata tanto benigna e gentile e amorevole, che glipareva d’esser in paradiso. Ella, dopo che alquantostette a trastullarsi con l’amante, uscì dal camerino eaperse la camera, e stata un poco con le sue donne,sapendo il marito non dever esser a casa fin a sera,ritornò dentro al camerino mostrando aver faccendeda fare. 11

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11 Quella cameretta aveva un uscio che entrava dentro lacamera, dove lei si era appartata, e fingendo di voler dormire sichiuse dentro tutta sola, ed aprendo l’uscio trovò il suo caroamante, che già si era spogliato di quei panni da facchino ed erarimasto in un farsetto di raso morello. Non appena ella lo vide,gli si avvinghiò con le braccia al collo, baciandolo mille volte,ed allo stesso modo egli abbracciò strettissima lei. Ma io nonstarò a raccontarvi nei particolari le carezze che si fecero equante volte giocarono alla lotta. Pensi ciascuno di voi che cosa

Quivi adunque lietamente dimorando insieme edivisando tra loro del modo che si potessero trovar del’altre volte in simil piacere, a ciò che secondo chequesta era stata la prima non fosse l’ultima, moltealtre cose dissero tra loro e divisarono, e non gliparendo di trovar nessun buon mezzo che piacesseloro, disse il Ghisi: « Unica signora mia e vita de lamia vita, quando vi paresse di creder al mio conseglioe che lo stimiate buono, penso che saria cosa facileche de l’altre volte ci trovassimo a goder insieme. Eper questo io sarei d’openione, vita mia cara, che voivedessi d’eleggervi una delle vostre damigelle de laqual possiate fidarvi, e a lei apriste il petto vostro, aciò che col mezzo suo io possa talora travestito venirin casa con quel modo che noi trovaremo esser ilmeglio. » La Pia, a cui non pareva aver donna in casache fosse a questo proposito, mal volentieri pigliavaquesto partito. Non di meno tanto era l’amore cheella al suo amante portava, che ancora che ci avesseveduto la manifesta morte era astretta di compiacer-

113Novelle, I, 12

farebbe lui, se fosse veramente innamorato, in un caso simile.La Pia, avendo gustato quanto fossero saporiti gli abbraccia-menti del suo caro amante e quanto insipidi e rari quelli delmarito, si accese così fortemente di nuovo amore che le parevaquasi impossibile poter vivere senza avere sempre accanto ilsuo amato Chigi. Allo stesso modo il giovane l’aveva trovata tal-mente benigna e gentile ed amorevole che gli pareva di essere inparadiso. Dopo essere stata alquanto a trastullarsi con l’aman-te, ella uscì dal camerino ed aprì la camera, e dopo essere stataun poco con le sue donne, sapendo che il marito non dovevaessere a casa fino a sera, ritornò dentro al camerino facendomostra di avere faccende da fare.

gli; pensando poi che si potrebbe pur alcuna voltacon lui ritrovarsi e aver di quei buon dì che comin-ciato aveva a gustare, e forse ancor qualche buonanotte, rispose a l’amante che metteria ben mente qualdevesse per segretaria di questi amori prendere. Inquesti parlamenti mescolavano più volte soavissimibasci e pigliavano anco quegli amorosi diletti chetanto dagli amanti si ricercano. Così passarono quel-la giornata con estrema contentezza. 12

MATTEO BANDELLO114

12 Qui dunque stando lietamente insieme ed esaminando traloro il modo per potersi trovare altre volte in simile piacere,affinché quella che era stata la prima non fosse anche l’ultima,dissero ed esaminarono molte altre cose, e non parendogli ditrovare alcun buon mezzo che loro piacesse, il Chigi disse:« Unica signora mia e vita della mia vita, se vi sembrasse benecredere al mio consiglio e lo stimaste buono, penso che sarebbecosa facile ritrovarci altre volte a godere insieme. E per questoio sarei del parere, vita mia cara, che voi provvedeste a sceglier-vi una delle vostre damigelle di cui possiate fidarvi, ed apriste alei il vostro petto, affinché con il suo aiuto io possa talvoltavenire in casa travestito in quel modo che riterremo essere ilmigliore. » La Pia, a cui non sembrava di avere in casa unadonna che fosse adatta a questo proposito, faceva mal volentie-ri questa scelta. Pure, tanto era l’amore che ella portava al suoamante che, benché ci avesse vista chiara la morte, era costret-ta a compiacergli; pensando poi che avrebbe potuto ritrovarsiqualche volta con lui ed avere di quei buoni dì che aveva inco-minciato a gustare, e forse anche qualche buona notte, risposeall’amante che avrebbe riflettuto a quale dovesse scegliere comeconfidente di questi amori. In questi discorsi più volte mesco-lavano soavissimi baci e prendevano anche quei piaceri amo-rosi che tanto sono ricercati dagli amanti. Così passarono quel-la giornata con estrema contentezza.

Su la sera poi la Pia aperse l’uscio del camerinoche rispondeva su la scala, e non v’essendo a quell’o-ra persona, fece uscir l’amante, il quale nel suo abitoda facchino col sacco in spalla e la sua fune a cinto-la, scese le scale e anco che di sotto fosse da qualcu-no di casa veduto, senza che alcuno il conoscesse viase n’andò. Restò la donna mal contenta del partir del’amante, ma tanto ben sodisfatta di lui, che le pare-va in quelle poche ore che era stata con lui avergustato e goduto assai più di piacere che non avevafatto in tutto il tempo de la vita sua. Il Ghisi altresìnon si poteva saziare di pensar quanta era stata lagioia che con la sua Pia aveva sentito, che veramen-te di nome e d’effetto era Pia. Ella poi, scielta tra l’al-tre sue donne una che le parve a proposito, a quellanarrò tutto l’amor del Ghisi e suo, pregandola nonsolamente a tener celata questa cosa, ma a disporsid’aiutarla, a ciò che talvolta il Ghisi si potesse trovarseco. Promise la damigella di far il tutto e d’essersegretissima, di modo che, adoperando tutte duel’ingegno loro, le venne alcuna volta fatto che ’lGhisi, ora vestito da furfante e ora da donna, siritrovò con esso lei, e dieronsi molto buon tempoparecchie volte, del che l’una e l’altra parte vivevacontentissima. 13

115Novelle, I, 12

13 Verso sera la Pia aprì l’uscio del camerino che dava sullascala, e non essendoci alcuno a quell’ora, fece uscire l’amante,il quale nel suo vestito da facchino, con il sacco in spalla e lasua fune a cintola, scese le scale e benché di sotto fosse visto daqualcuno di casa, se ne andò via senza che alcuno lo ricono-scesse. La donna restò poco contenta della partenza dell’aman-te, ma ben soddisfatta di lui, perché in quelle poche ore che era

Ma la fortuna, che di rado lascia che dui amantilungamente in pace godino il lor amore e in poco dimèle sparge sovente assai assenzio, disturbò questifelici amori, perciò che essendosi assecurati troppogli amanti, e usando meno che discretamente insie-me, avvenne che un vecchio di casa, cresciuto e alle-vato con messer Nello, s’avide un dì che la damigel-la furtivamente aveva messo fuor del camerino ilGhisi vestito da poltronieri. Il perché entrato insospetto di ciò che v’era, si mise molte fiate in aggua-to, per ispiar meglio la verità, e insomma s’accorseun dì che ’l Ghisi vestito da donna era uscito fuor delcamerino, e vide la damigella usar certi atti che piùgli accrebbero di sospetto, conoscendo manifesta-mente a l’andare e agli atti che era il travestito nonfemina, ma uomo. Ma non s’appose perciò che fosseil Ghisi od altri. 14

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stata con lui le pareva di avere gustato e goduto molto più pia-cere di quanto avesse fatto in tutto il tempo della sua vita.Anche il Chigi non poteva saziarsi di pensare quanta era statala gioia che aveva provato con la sua Pia, che veramente era Piadi nome e di fatto. Ella poi, scelta tra le sue donne una che leparve a proposito, le narrò tutto l’amore del Chigi e suo, pre-gandola non solo di tenere nascosta la cosa, ma anche di pre-pararsi ad aiutarla, affinché il Chigi talvolta potesse trovarsicon lei. La damigella promise di fare il tutto e di essere riserva-tissima, sicché, adoperando entrambi il loro ingegno, qualchevolta le riuscì che il Chigi, ora vestito da furfante ora da donna,si ritrovò insieme a lei, e si divertirono parecchie volte, cosa dicui sia l’una sia l’altra parte viveva contentissima.

14 Ma la fortuna, che raramente lascia che due amanti goda-no a lungo in pace il loro amore e in poco miele sparge spessomolto assenzio, disturbò questi felici amori, perché, essendo gli

Il perché quel dì medesimo disse il tutto a messerNello, il quale deliberando incrudelir contra le don-ne, e non osando far niente in Siena ove il parentadodella moglie era potente, messo ordine a le cose de lalite, si levò a l’improvviso con la famiglia da Siena, egiunto in Maremma ove era signore, poi che conforza di tormenti ebbe la verità da la bocca de ladamigella, quella fece strangolare, e a la moglie, chegià presaga del suo male miseramente piangeva,disse: « Rea femina, non pianger di quello che volon-tariamente hai eletto; pianger devevi alora che tivenne voglia di mandarmi a Corneto. Raccomandatia Dio, se punto de l’anima ti cale, ché io vo’, comemeriti, che tu muoia. » E lasciatela in mano dei suoisergenti, ordinò che la soffocassero; la quale, diman-dando mercè al marito e a Dio divotamente perdonodei suoi peccati, fu da quelli senza pietà alcuna subi-to strangolata. 15

117Novelle, I, 12

amanti diventati troppo sicuri e ritrovandosi in maniera menoprudente, accadde che un vecchio di casa, cresciuto ed allevatocon il signor Nello, un giorno si accorse che la damigella furti-vamente aveva messo fuori del camerino il Chigi vestito dapoveraccio. Ragion per cui, entrato in sospetto di ciò che c’era,si pose molte volte in agguato, per spiare meglio la verità, efinalmente un giorno si accorse che il Chigi vestito da donnaera uscito dal camerino, e vide la damigella fare certi gesti chegli fecero aumentare ancora di più i sospetti, riconoscendochiaramente dal modo di camminare e dai gesti che il travesti-to non era femmina, ma uomo. Ma non per questo capì chefosse il Chigi od altri.

15 Ragion per cui quel giorno stesso disse tutto al signor Nello,il quale, avendo deciso di punire crudelmente le donne e nonosando far nulla in Siena dove il parentado della moglie era

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Questa è quella Pia che il vertuoso e dottissimoDante ha posta in Purgatorio. Io ciò che narrato viho trovai già brevemente annotato in un libro di miobisavolo, ove erano molte altre cose descritte degliaccidenti che in quelle contrade accadevano. 16

potente, messo ordine alle cose della lite, partì improvvisamen-te con la servitù da Siena, e giunto in Maremma dove era signo-re, dopo che a forza di tormenti ebbe avuto la verità dalla boccadella damigella, questa la fece strangolare, ed alla moglie, chegià presaga del suo male piangeva miseramente, disse: « Malva-gia femmina, non piangere per quello che hai scelto volontaria-mente; dovevi piangere allora che ti venne voglia di mandarmia Corneto. Raccomandati a Dio, se ti importa qualcosa dell’a-nima, perché io voglio, come meriti, che tu muoia. » E lascia-tala in mano ai suoi inservienti, ordinò che la soffocassero; edella, domandando grazia al marito e perdono devotamente aDio dei suoi peccati, fu subito strangolata da quelli senza pietàalcuna.

— Si noti che la Pia del Bandello chiede perdono a Dio ma non perdo-na al proprio uccisore, mentre la Pia di Dante muore « pentendo e perdo-nando ».

16 Questa è quella Pia che il virtuoso e dottissimo Dante haposto in Purgatorio. Io quello che vi ho narrato lo trovai a suotempo annotato brevemente in un libro di un mio bisavolo, incui si trovavano scritte molte altre cose degli eventi che accade-vano in quelle contrade.

— Questa invenzione del libro del bisavolo, come anche il fatto che anarrare sia un senese, sono accorgimenti letterari che mirano a sottoli-neare la storicità dell’evento narrato.

BARTOLOMEO SESTINI

LA PIA.LEGGENDA ROMANTICA

Roma, 1822

Fig. 3 — Riproduzione del frontespizio di Bartolomeo Sestini, La Pia. Leg-genda romantica, Roma 1822.

Presentazione

Tre secoli dopo la novella del Bandello, il poemetto in otta-va rima del Sestini ripensa la figura di Pia da Siena e ne fa l’e-roina romantica che ancora vive nella mente e nei cuori dimolti. Della novella del Bandello il poemetto del Sestini con-serva la tesi, propria dei commentatori di Dante, secondo cuiPia fu sposa e vittima di Nello. Per il resto, il Sestini da un la-to ritorna a Dante e dall’altro lato introduce importanti no-vità. Ritorna a Dante, in quanto non dice il nome della fami-glia di Pia; né dice mai, del resto, che Nello sia della Pietra.Le novità riguardano la data, la causa ed il tipo di morte diPia; quanto alla data, Sestini è il primo a fissarla all’annodella battaglia di Colle, cioè al 1269; quanto alla causa, la Piasestiniana è vittima innocente di una calunnia vendicativa diGhino, il quale, respinto da Pia, fa credere a Nello, suo amico,che la moglie lo tradisce; quanto al tipo di morte, Pia muoreper consunzione da febbre malarica: una forma di morte cheal Sestini dovette sembrare più vicina, perché più lenta, aldisfecemi di Dante. La morte da malaria, allora creduta frut-to delle esalazioni delle acque stagnanti, induce il Sestini acondurre la Pia a morire in un castello sul bordo di un picco-lo lago che egli situa nell’alta Maremma laziale, e che per noicoincide con il lago di Mezzano, tra Latera e Valentano.

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Nota sull’autore. Bartolomeo Sestini nacque a Santomato(Pistoia) nel 1792. Studiò a Firenze, dove conobbe Ugo Fosco-lo. Dotato di facile vena poetica, cominciò a guadagnarsi consuccesso da vivere partecipando ad accademie di poesiaimprovvisata. Visitò così l’Italia dalla Toscana alla Sicilia,aderendo nel contempo alla Carboneria, e come carbonaro,nel 1819, fu arrestato a Palermo. Liberato per intervento delgoverno toscano, tornò in Toscana. Sul finire del 1821 passòa Roma, dove in tre mesi compose La Pia. Nel luglio del 1822lasciò Roma per Parigi, dove morì l’11 novembre dello stessoanno per congestione cerebrale. — Sul Sestini, vedi AndreaBolognesi, Bartolomeo Sestini di Santomato. Poeta e patriotatra ’700 e ’800, Pistoia, Brigata del Leoncino, 1999.

Nota sul testo. Il testo che qui pubblichiamo è tratto da Bar-tolomeo Sestini, La Pia. Leggenda romantica, Roma, Ajani,1822. Ripubblicato più volte nel corso dell’Ottocento con iltitolo, non sestiniano, di Pia dei Tolomei, il poemetto del Sesti-ni ebbe anche una traduzione in prosa francese: Pia, nouvel-le historique de B. Sestini, traduite de l’italien par Cardini,Paris, Lefebvre, 1832.

L’autore a chi legge

Nuove non sono in Italia le leggende, e nuova tam-poco 1 non è fra di noi la romantica poesia, benchéscevra di questo titolo; 2 nulladimeno molto rimane afarsi in quanto alle prime, essendo quelle poche checonosciamo di niun valore, 3 e non poco resta a ten-tarsi in quanto alla seconda, se vogliamo osservareche Boiardo, Ariosto, Alamanni, ed altri poeti roman-zieri 4 hanno sempre prese a celebrare le cose cavalle-resche dei Francesi, e di altre esterne nazioni. 5 Diquanto interesse, e di qual bellezza sieno però i fattiitaliani avvenuti nei feroci, melanconici, e supersti-ziosi tempi delle fazioni, lo denotano alcuni di essiper incidenza cantati dal Dante, e i poemi romanticidei forestieri, che ora tradotti, e letti con avidità in

125La Pia. Leggenda romantica

1 tampoco: parimenti.2 scevra di questo titolo: priva di questo nome.— Sestini allude alla discussione allora aperta tra i sostenitori della tra-

dizione classica ed i fautori delle novità romantiche, per cui si può vedereGiovanni Berchet, Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo (1817) edAlessandro Manzoni, Lettre à Mr Chauvet (1823).

3 di niun valore: di nessun valore.4 poeti romanzieri: poeti epici o narratori.5 Matteo Boiardo (1440–1494) scrisse il poema Orlando

innamorato; Ludovico Ariosto (1474–1533) scrisse il poemaOrlando furioso; Luigi Alamanni (1495–1556) scrisse il poemaGirone il cortese.

Italia ci mostrano, sovente tolti dal silenzio degnissi-mi argomenti della nostra istoria, 6 sui quali tacciono,e non a buon diritto, gli ausonici vati. 7

È per questo che io reputo una leggenda romanti-ca di argomento del tutto italiano, capace di riceverei colori poetici usati in tali materie dai riferiti nostriromanzieri, e meno disaggradevole 8 in questo secolo,che altre maniere di poesia delle quali sovrabbondia-mo; ed è per questo che io pubblico la Pia, subiettoper se medesimo caro a chiunque ha letto i quattromisteriosi versi della Divina commedia, che ne fannomenzione, 9 e che tessuto su quanto nelle Maremmeho raccolto da vecchie tradizioni, e da altri docu-menti degni di fede, mi ha dato campo di descriverealla foggia dei Greci alcuni celebri casi, 10 e luoghidella Patria, e gli antichi castelli feudali, e gli abiti, el’esequie, e i costumi dei nostri antenati, e di presen-

BARTOLOMEO SESTINI126

6 Sestini pensa probabilmente alle vicende di Otello e diGiulietta e Romeo riprese da Shakespeare.

7 gli ausonici vati: i poeti italiani.8 disaggradevole: sgradevole.9 Dante, Purgatorio, V, 130–136.10 Sestini allude soprattutto al poeta alessandrino Callima-

co (305–240) il quale, nelle elegie raccolte nei quattro libriche costituivano gli Aìtia, titolo che in greco significa originio cause, esponeva leggende rare di dei o di eroi, nate per spie-gare le origini di una data cerimonia, di un costume, di untoponimo curioso. Proprio per questa sua attenzione al con-testo maremmano, il poemetto del Sestini verrà ristampato,nel 1846, dall’editore Chiari di Firenze, con il patrocinio delGranduca di Toscana, corredato di belle illustrazioni e prece-duto da una Notizia sulla Maremma toscana, di cui il governogranducale aveva avviato la bonifica.

tare una catastrofe d’onde si può trarre altrettantamorale, e finalmente d’onorare, e difendere l’ancorgiacente memoria di quella bell’anima, che sì affet-tuosamente raccomandavasi nel Purgatorio al troppoavaro poeta, acciocché di lei si ricordasse, ritornandosulla terra ov’ella a torto avea perduta la vita e la fama.11

Debbo pertanto sperare che i cortesi lettori accet-teranno la mia buona volontà; e se gli vedrò 12 indul-genti nell’accogliere la povera Pia, benché vestita diruvidi e disadorni panni, mostrerò al pubblico alcu-ne altre di lei sorelle, che attendono la sorte della pri-mogenita per risolversi 13 a seguirla nella luce, o arestar nelle tenebre.

127La Pia. Leggenda romantica

11 In verità Pia non chiede a Dante di riscattarne la memo-ria, come invece aveva fatto per esempio Pier delle Vigne, inDante, Inferno, XIII, 76–78, ma gli chiede di pregare Dio per-ché affretti il suo passaggio dall’antipurgatorio al purgatoriovero e proprio.

12 se gli vedrò: se li vedrò.13 risolversi: decidersi.

Canto primo

1. Tra le foci del Tevere, e dell’Arno,al mezzodì, giace un paese guasto;gli antichi Etruschi un dì lo coltivarno,e tenne imperio glorïoso e vasto;oggi di Chiusi e Populonia indarnoricercheresti le ricchezze e il fasto, e dal mar, sovra cui curvo si stende,questo suol di Maremma il nome prende. 1

2. Da un lato i lontanissimi Appenniniveggionsi, quasi immensi anfiteatri,e dall’altro, tra i nuvoli turchini,di San Giulian le cime, e di Velatri;e dalla parte dei flutti marini,sempre di nebbia incoronati ed atri,sembrano uscir dall’umido elementoi due monti del Giglio e dell’Argento. 2

129La Pia. Leggenda romantica

1 Tra le foci del Tevere e dell’Arno, a mezzogiorno, giace un paeseandato in rovina; gli antichi Etruschi un tempo lo coltivarono etenne un dominio vasto e glorioso; oggi ricercheresti invano le ric-chezze e lo splendore di Chiusi e di Populonia; e dal mare, lungocui si stende ad arco, questo suolo prende il nome di Maremma.

2 Da un lato si vedono i lontanissimi Appennini come im-mensi anfiteatri, e dall’altro, tra le nuvole azzurre, le cime diSan Giuliano e di Volterra; e dalla parte delle onde marine, sem-pre incoronati di nebbia e senza splendore, sembrano usciredall’acqua i due monti del Giglio e dell’Argentario.

— Nota del Sestini: « Velatri — antico nome di Volterra. Dell’Argento:monte Argentario. Per gli altri particolari della Maremma, e suo clima,vedi Targioni, Viag. in Tosc. » — L’opera a cui qui il Sestini rimanda è Gio-

BARTOLOMEO SESTINI130

3. Sentier non segna quelle lande incolte,e lo sguardo nei lor spazi si perde;genti non hanno, e sol mugghian per moltemandre quando la terra si rinverde;aspre macchie vi son, foreste folteper gli anni altere, e per l’eterno verde,e l’alto muro delle antiche piantedi spavento comprende il vïandante. 3

4. Dalla loro esce il lupo ombra malvagia,spiando occulto ove l’armento pasca;il selvatico toro vi si adagia;e col rumore del mare in burrascal’irto cinghiale dagli occhi di bragia,lasciando il brago, fa stormir la frasca;e se la scure mai tronca gli sterpi,suona la selva al sibilar dei serpi. 4

5. Acqua stagnante in paludosi fossi,erba nocente, che secura cresce,

vanni Targioni Tozzetti, Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti dellaToscana, Firenze 1751–1754.

3 Non un sentiero segna quelle terre incolte, e lo sguardo siperde nei loro spazi; non hanno abitanti e soltanto risuonano deimuggiti di molte mandrie quando la terra torna ad essere verde;vi sono macchie aspre, foreste folte, superbe per i loro anni ed ilverde eterno; e l’alto muro di quelle antiche piante compenetra dispavento il viandante.

4 Dalla loro ombra malvagia esce il lupo, spiando di nascostodove pascoli l’armento; il toro selvatico vi si adagia; e l’irto cin-ghiale con gli occhi di brace, lasciando la fanghiglia, con il rumo-re del mare in burrasca, fa stormire le frasche; e se talvolta lascure taglia gli sterpi, la foresta risuona dei sibili dei serpenti.

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compressa fan la pigra aria di grossivapor, donde virtù venefica esce,e qualor più dal sol vengon percossi,tra gli animanti rio morbo si mesce;il cacciator, fuggendo, da lontanomonte contempla il periglioso piano. 5

6. Ma il montagnolo agricoltor s’involada poi che ha tronca la matura spica:ritorna ai colli, e con la famigliuolaspera il frutto goder di sua fatica;ma gonfio e smorto, dall’asciutta golamentre esala l’accolta aria nemica,muore, e piange la moglie sbigottitasul pan che prezzo è di sì cara vita. 6

5 Acqua che stagna in fossi paludosi ed erba nociva che cresceindisturbata rendono quell’aria pigra piena di vapori pesanti, dacui esce un potere velenoso, e quando più vengono colpiti dalsole, tra i viventi si diffonde un male terribile; il cacciatore, fug-gendo, contempla da un monte lontano la pericolosa pianura.

— Questo male terribile è la malaria.6 Ma l’agricoltore disceso dai monti se ne fugge, una volta che

ha mietuto le spighe mature: ritorna ai colli e spera di godere ilfrutto della propria fatica con la sua famigliola; ed invecemuore, gonfio e pallido, mentre esala dalla gola asciutta lanemica aria cattiva che ha respirato; e la moglie sbigottita pian-ge sul pane che è il prezzo di vita così cara.

— Nota del Sestini: « I campagnoli che abitano l’Appennino toscano, emassimamente quegli della provincia pistoiese sogliono andare per varimesi dell’anno a coltivar la Maremma; il frutto delle loro fatiche, e priva-zioni serve di sostegno a quella parte di famiglia che rimane al paese nati-vo; ivi ritornano nell’estate, meno alcuni che di frequente muoiono per l’a-rie mal sane, ove gli trasse il generoso desiderio di sollevare gl’indigenticongiunti. Questa generazione di uomini è piena di virtù, e pochi son que-gli che non cantino con grazia le loro leggende, e i canti del Tasso, molti di

7. Io stesso vidi in quella parte un lagoimpaludar di chiusa valle in fondo:del dì poche ore il sol vede, e l’immagodi lui mai non riflette il flutto immondo;e non s’increspa mai, né si fa vagoallo spirar d’un venticel giocondo,e ancor quando su i colli il vento romba,morte stan l’onde come in una tomba. 7

8. Le rupi che coronano lo stagnoson d’olmi vetustissimi vestute;crescon dove l’umor bacia il vivagnoi sonniferi tassi, e le cicute;talor del gregge il can fido compagnomorì, le pestilenti acque bevute;e gli augei stramazzar nell’onda bruna,traversando la livida laguna. 8

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essi anche improvvisano in versi; ed a questi costumi si riferisce l’ottava 45del terzo canto ove s’introduce a cantare uno di questi rustici poeti. »

7 Io stesso ho veduto da quelle parti un lago impaludarsi nelfondo di una valle chiusa; vede il sole soltanto poche ore algiorno, e l’acqua sozza non ne riflette mai l’immagine; e nonsi increspa mai né si fa bello al soffiare di un venticello gioio-so; ed anche quando sui colli romba il vento, le sue acquerestano morte come in una tomba.

— Noi riteniamo che questo lago sia il Lago di Mezzano, piccolo lagovulcanico, poco distante dal Lago di Bolsena, tra Latera e Valentano,nell’Alta Maremma laziale. Ricerche recenti hanno messo in luce restiabitativi sommersi dalle acque: questi resti, che in verità risalgono adepoca villanoviana, dovettero offrire lo spunto al Sestini per collocarvi,con caratteri di fantasia che peraltro fanno pensare ai laghi di Nemi e diRonciglione, il castello dove Nello rinchiude la Pia.

8 Le rupi che fanno corona allo stagno sono ricoperte di olmiantichissimi; dove l’acqua bagna il bordo crescono i tassi son-

9. Tempo già fu, che a piè del curvo montela cui falda allo stagno forma lito,torreggiante palagio ergea la frontefin da longinqui tempi costruito:fosso il cingea, cui sovrastava un pontemobil, di bastioni ardui munito;così difeso, il solitario tettod’inespugnabil rocca avea l’aspetto. 9

10. Occultando la fredda gelosiaond’era morso, a quel temuto ostelloti conducea, mal capitata Pia,il tuo consorte, sire del castello.Per far men grave la penosa via,a lui volgevi il volto onesto e bello,trattenendol con bei ragionamenti,che avean risposta d’interrotti accenti. 10

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niferi e le cicute; talora il cane, fedele compagno del gregge, mo-rì, avendo bevuto le acque pestilenziali; e gli uccelli, sorvolandola livida laguna, stramazzarono nell’acqua scura.

9 Ci fu già un tempo in cui ai piedi del concavo monte, la cuifalda fa da riva allo stagno, si ergeva un turrito palazzo costrui-to fin da tempi remoti; lo cingeva un fossato sovrastato da unponte levatoio, fortificato con possenti torrioni; così difesa,quella solitaria dimora sembrava una rocca inespugnabile.

10 Nascondendo la fredda gelosia da cui era morso, il tuosposo, signore del castello, ti conduceva, o sfortunata Pia, a queltemuto rifugio. Per rendere meno pesante quel penoso viaggio,volgevi a lui il volto onesto e bello, intrattenendolo con bei ragio-namenti, che avevano come risposta soltanto parole spezzate.

— La porpora è un colore ricavato da un mollusco racchiuso in un’o-strica (ostro).

11. Il caval con andar soave e tritooltre la porta, e va del peso baldo;ella ha nell’una man flagel guernitod’oro, e nell’altra il fren sonante e saldo;cela la bianca man guanto politod’una pelle color dello smeraldo;e l’ostro avvolge il piè che leggermentepreme mobil d’acciar staffa lucente. 11

12. Largo al turgido petto, all’anche stretto,col cingolo tra l’omero e l’ascella,affibbiato davante un corsalettole fa sostegno alla persona snella;trapunta a stelle di lavor perfettoveste al di sotto cerula gonnella:tale appar di stellato azzurro velocinto il secondo luminar del cielo. 12

13. Di fiorentina nobile testurazendado cremisin le stringe il fianco:

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11 Con passo leggero e tritante, il cavallo la porta oltre e va fierodel proprio peso; in una mano ella ha un frustino con guarni-zioni d’oro e nell’altra la briglia sonante e salda; un raffinatoguanto di una pelle color dello smeraldo nasconde la biancamano, e la porpora avvolge il piede che preme leggermente lamobile staffa di acciaio lucente.

12 Largo al ricolmo petto, stretto ai fianchi, con il cordoncinotra l’omero e l’ascella, un corsetto affibbiato sul davanti le fa dasostegno alla persona snella; al di sotto indossa una gonnellaazzurra, trapunta di stelle di esecuzione perfetta: così apparecinto di un azzurro velo stellato il secondo luminare del cielo.

— Il secondo luminaredel cielo è la luna, il primo è il sole.

in nodo si raccoglie la cintura,pendula cade poi sul lato manco;velloso pileo d’attica figura,cui sovra ondeggia un pennoncello bianco,le nere chiome in parte accoglie, e in partelibere cader lascia all’aura sparte. 13

14. Il faticoso andar per la forestafa che la dolce faccia il color prende, con che di verecondia una modestadonna subitamente il volto accende;l’acceso aspetto, il sol che la molestadi sudor l’empie, e più leggiadro il rende:come abbella, amaranto porporino,con le rugiade un limpido mattino. 14

15. Che rose fresche colte in paradisoson le gote, e le luci astri immortali,e sembra dalla bocca il dolce risoriso di nunzio che dal Cielo cali:il labbro è smalto di rubin, divisoda due file di perle orïentali,

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13 Le stringe il fianco un velo rosso di raffinata tessitura fioren-tina: la cintura si raccoglie in un nodo e poi cade pendula sul latosinistro; un cappello di pelle di foggia greca, su cui ondeggia unpiumetto bianco, in parte raccoglie ed in parte lascia cadere, spar-se al vento, le sue chiome nere.

14 Il faticoso avanzare per la foresta fa sì che il dolce visoprenda quel colore rosso con cui una donna riservata improv-visamente accende il volto per modestia; il sole che la molestale riempie di sudore il volto acceso e lo rende più bello: come unrosso porporino abbellisce con la rugiada un mattino limpido.

sembra la fronte or or caduta bruma,e il sen di pellican candida piuma. 15

16. Così varca costei l’ime Maremme,qual raggio che fra i nembi il sole scocche,e l’erba al suo passar par che s’ingemmedi fiori, e brami che il bel piè la tocche:sì vaga non mirò GerusalemmeErminia cavalcar fra le sue rocche,né l’Ercinia mirò sì vaga in sellapassar di Galafron la figlia bella. 16

17. Danno la via meravigliati i boschi,non usi a contemplar tanta bellezza,

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15 Perché le gote sono fresche rose colte in paradiso, e gli occhisono stelle immortali, e il dolce sorriso della bocca sembra il sorri-so di un angelo che scenda dal Cielo; le labbra sono color di rubino,diviso da due file di bianche perle orientali; la fronte sembra rugia-da appena caduta, ed il seno la piuma candida di un pellicano.

— Le bianche perle orientali sono i denti.16 Così costei entra nelle Maremme più profonde, come raggio

che il sole saetti tra le nuvole nere, ed al suo passare l’erba pareche si ingemmi di fiori e brami che il suo bel piede la tocchi;non così amabile Gerusalemme vide Erminia cavalcare tra lesue torri, né così amabile la selva Ercinia vide passare in sellala bella figlia di Galafrone.

— Situata in Germania, tra l’alto Danubio ed il medio Reno, la SelvaErcinia, di cui parla già Cesare e che oggi diciamo Foresta Nera, pressogli scrittori classici e classicheggianti rappresenta la foresta paurosa perantonomasia, simile in questo alla foresta maremmana ora attraversatada Nello e Pia. — Per Erminia, vedi Tasso, Gerusalemme liberata, III, 12; VI,62–96. — Per Angelica, la bella figlia di Galafrone fuggente nel bosco, vediAriosto, Orlando Furioso, I, 33.

l’ora natia di quei roveti foschidi scherzarle fra ’l crin prende vaghezza;ma il venticel che vien dal mar de’ Toschipiange mentre passando la carezza,quasi fosse il sospir della naturaantiveggente la di lei sciagura. 17

18. S’apron le ferree porte arrugginitedel castel stato da molt’anni chiuso,però che il castellan, le imputriditeacque schivando, avea l’albergo suso,ove una chiesa e molte case uniteerano erette dei vassalli ad uso,del vicin monte sulle verdi spalledonde il castel si domina, e la valle. 18

19. Entran la bella donna, e il cavalieronel limitar della magion ferale;non travagliata da verun pensiero,ella ricerca i vuoti atri, e le sale:osserva l’ampio, e sinuoso ostiero,e i nascondigli, e le ritorte scale,

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17 Non abituati a contemplare tanta bellezza, i boschi cedonomeravigliati il passo, e la brezza che nasce dai quei cupi rovetisi diverte a scherzarle tra i capelli; ma il venticello, che viene dalmar dei Toscani, piange, mentre passando la carezza, quasifosse il sospiro della natura che prevede la sua sventura.

18 Si aprono le ferree porte arrugginite del castello, rimastochiuso da molti anni, perché il castellano, schivando le acqueimputridite, aveva l’abitazione in alto, sulle verdi spalle del vici-no monte, dove per uso dei sottoposti erano costruite una chie-sa e molte case riunite, da dove si domina il castello e la valle.

donde si cala in cave di tenebre,che percorron del monte le latebre. 19

20. Vede alle mura, ed alle travi appesearmi smagliate di guerrier vetusti,e insegne nei civili assalti prese,rastelli, e sbarre d’alberghi combusti;legge descritte le onorate impresenei piedestalli degli sculti busti;e il loco estranio contemplando, sentegioia e stupor la giovinetta mente. 20

21. Era in mezzo al palagio d’echeggianteportico cinta spaziosa corte;al chiostro laterale eran davantespazi e colonne ottangolari e corte;sovr’esse d’archi un ordine pesantepensile sostenea muraglia forteche ergeasi a fil del peristilio, per liaerei campi sollevando i merli. 21

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19 La bella donna ed il cavaliere varcano la soglia della dimo-ra funesta; non tormentata da alcun pensiero, ella visita gli atrivuoti e le sale: osserva l’ampio e tortuoso ingresso, ed i nascon-digli e le scale attorte a chiocciola, per le quali si scende incavità tenebrose che percorrono le parti più interne del monte.

20 Appese alle pareti ed alle travi vede armi smagliate di anti-chi guerrieri, ed insegne prese negli assalti cittadini, inferriate esbarre di palazzi bruciati; legge le imprese onorate descritte suipiedistalli dei busti scolpiti; e contemplando quel luogo estra-neo, la mente giovinetta sente gioia e stupore.

21 Al centro del palazzo c’era un cortile spazioso circondato daun sonoro portico riecheggiante; davanti al chiostro laterale c’e-

22. Nelle quattro pareti interïoridel ricorrente portico sonoroeran dipinte a splendidi coloriantiche istorie di sottil lavoro;parean le forme rilevate in fuori,e detto si saria “parlan costoro”;e desto l’eco in quelle ereme sediparea sentirne il calpestio dei piedi. 22

23. Dardano quivi comparia primiero,e i Pelasghi il seguian col ferro in alto,finché, per riaver l’equin cimieroa lui caduto, si vedea far alto,e vincer l’inimico; e in quel sentiero,ancor coverto di sanguigno smalto,era da lui nobil cittade eretta,dal caduto cimier Corito detta. 23

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rano spazi e corte colonne ottangolari; sopra di esse una serie dipesanti archi pensili sosteneva una potente muraglia che siergeva a filo del peristilio, sollevando i merli per gli spazi delcielo.

22 Nelle quattro pareti interne del sonoro portico riecheggian-te erano dipinte a splendidi colori antiche storie di fatturaraffinata; le figure parevano sbalzate in fuori, e si sarebbe detto“costoro parlano”; e l’eco, risvegliato in quelle dimore solitarie,pareva riprodurne il calpestio dei piedi.

23 Qui per primo compariva Dardano, ed i Pelasgi lo seguiva-no con le armi alzate, finché, per riavere l’elmo equino che gliera caduto, lo si vedeva fermarsi e vincere il nemico; ed in quelsentiero, ancora coperto del colore del sangue, veniva da luifondata una nobile città, detta Corito dall’elmo caduto.

— Nota del Sestini: « Dardano, secondo Servio, fondò la città di Cor-tona nell’Etruria, e la chiamò Corito dal greco vocabolo [kòrys] chesignifica cimiero. Per lo rimanente della sua istoria in questa dipintura

24. Poi contendea l’eredità paterna,bel dominio di popoli felici:v’eran l’Erinni alla tenzon fraternarigorose assistenti, e instigatrici;e d’Asio, che le luci in ombra eternachiudea, tali apparian le cicatrici,che appressandoti a lui creduto avrestiche il sangue ti spruzzasse in sulle vesti. 24

25. A vendicarlo poi venia per l’onded’Atlante mauritan Siculo il figlio,parean d’armati brulicar le spondebrune per l’ombra di sì gran naviglio;e Dardano fuggiasi ai monti, dondechiara in affanni, in armi, ed in consiglio,

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espressa, vedi Joannem Marianam lib. I. de Reb. Hispan. C. 11. Tarconte,Mesenzio, Asila, personaggi etruschi descritti da Virgilio, l. 8, §10. » — L’o-pera cui qui il Sestini rimanda è Juan de Mariana, Historiae de rebusHispaniae libri, Toledo 1592. — Per Dardano, mitico antenato dei Troiani,vedi Virgilio, Eneide, VIII, 134. — Secondo Erodoto, Storie, II, 51, i Pelasgierano il più antico popolo che avesse abitato la regione di Atene. — Su tuttaquesta questione della fondazione di Corito, che il Sestini identifica con Cor-tona e che oggi viene identificata con Tarquinia, vedi l’ampio studio di Alber-to Palmucci, Virgilio e Cori(n)to–Tarquinia: la leggenda troiana in Etruria, Tar-quinia, Società tarquiniense d’arte e storia, 1998.

24 Poi combatteva per l’eredità paterna, bel dominio su popo-li felici; vi erano le Erinni che assistevano inflessibili ed istiga-vano alla lotta fraterna; e le cicatrici di Asio, che chiudeva gliocchi in notte eterna, apparivano tali che, avvicinandoti a lui,avresti creduto che il sangue ti spruzzasse sulle vesti.

— Le Erinni, che i Romani chiamavano Furie, erano le dee grechedella vendetta: esse perseguitavano il colpevole fino a renderlo pazzo. —Per Iasio, fratello di Dardano, che qui il Sestini chiama Asio, vedi Virgilio,Eneide, III, 168.

all’Enotria natal riedea sua proleper domar quanta terra illustra il sole. 25

26. Mesenzio, de’ cavalli il domatore,potea raffigurarsi all’opre conte;e contro lui sulle spalmate prorevenia fra i toschi giovani Tarconte;poi nel corpo del re, stranier signoreapria di sangue altrui succhiato un fonte;e il suol mordea fra l’altrui grida e il plauso,dolente ancor pel mal difeso Lauso. 26

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25 Poi, a vendicarlo, veniva sul mare il figlio Siculo del mauri-tano Atlante; scure per l’ombra di così grande nave, le rive pare-vano brulicare di armati; e Dardano se ne fuggiva ai monti, dacui illustre per affanni, armi e consiglio, la sua discendenza tor-nava alla nativa Enotria, per sottomettere tutta la terra che ilsole illumina.

— Enotria è il nome antico della parte meridionale dell’Italia, com-prendente Lucania e Calabria. — Atlante, il titano che, per essersi a luiribellato, Giove condannò a reggere la volta celeste sulle spalle e che Per-seo trasformò nella montagna situata nella regione che gli antichi chiama-vano Mauritania (Africa nord–occidentale) mostrandogli la testa di Medu-sa, era padre di Elettra, la prima delle sette Pleiadi, la quale, secondo alcu-ni dal re Corito secondo altri da Zeus stesso, ebbe i figli Dardano, Iasio eSicano; dopo che Dardano ebbe ucciso il fratello Iasio, il terzo fratello,Sicano, che qui il Sestini chiama Siculo, figlio anche lui di Elettra figlia diAtlante, muove alla vendetta di Iasio.

26 Dalle opere conosciute, si poteva riconoscere Mesenzio, ildomatore dei cavalli; e contro di lui sulle navi spalmate [di pece]veniva, tra i giovani etruschi, Tarconte; poi un signore stranieroapriva nel corpo del re una fonte di sangue che egli aveva suc-chiato ad altri; ed egli mordeva il suolo, fra le grida ed il plausoaltrui, dolente ancora per il mal difeso Lauso.

— Per Mesenzio e Lauso, rispettivamente padre e figlio, uccisi entrambi daEnea, il signore straniero, vedi Virgilio, Eneide, X, 762–908. — Per Tarconte,vedi Virgilio, Eneide, X, 290–307.

27. Dall’altra parte comparia Porsenna,cingente Roma d’inimico vallo;sul ponte Orazio qua brandia l’antenna,e là Clelia affrettava il gran cavallo;fermo qual tronco della nera ArdennaScevola all’ara, del commesso fallopunia la destra mal fida ministra,minacciando tuttor colla sinistra. 27

28. Ultimo, cinto il crin di sacre foglie,e invaso da celeste vaticino,v’era tra ricchi templi, ed auree soglieAsila sacerdote et indovino;sollevarsi parean le sacre spogliesul sen pregnante d’alito divino,parean cambiar le gote, e le lanoselabbra tali predir future cose. 28

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27 Dall’altra parte compariva Porsenna che circondava Romacon un vallo nemico; qua, sul ponte, Orazio brandiva la lancia,e là Clelia incitava il grande cavallo; accanto all’altare, immo-bile come un tronco delle nere Ardenne, minacciando ancoracon la sinistra, Scevola puniva dell’errore commesso la propriadestra, esecutrice malsicura.

— Per Porsenna, Orazio Coclite, Clelia e Muzio Scevola, le cui gestainsieme ad altre di storia romana futura erano state ritratte da Vulcanosul nuovo scudo di Enea, vedi Virgilio, Eneide, VIII, 626–654. — Regioneboscosa e collinare, le Ardenne si trovano nella Francia nordorientale, aiconfini con il Lussemburgo ed il Belgio.

28 Ultimo, con i capelli cinti di foglie sacre e invaso da profe-zia celeste, tra ricchi templi e soglie dorate c’era Asila, sacerdotee indovino; le sacre vesti parevano sollevarsi sul seno ripieno dispirito divino, le gote parevano mutare, e le labbra dalla barbalanosa parevano predire queste cose future.

— Per Asila, vedi Virgilio, Eneide, X, 175–180.

29. « Queste spesse città, questi lucentidelubri, e queste fertili colline,e queste vie di popolo frequentidiverran solitudini e ruine;e faran guerre le future gentiper dilatarsi nell’altrui confine,mentre sarà negata una coloniaal più bel suol della ferace Ausonia. » 29

30. Tal era l’ammirabil magisterio;ed era fama che gran tempo avante,un baron, dando ospizio a Desiderio,quando ivi giunse cavaliero errante,le prische prove del valore esperiovi avea fatte ritrar da un negromante,che con l’aita dei maestri stigiin una notte fe’ tanti prodigi. 30

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29 « Queste città numerose, questi templi lucenti, queste collinefertili e queste vie ripiene di popolo diventeranno deserti e rovine;e le genti future faranno guerre per espandersi negli altrui confini,mentre sarà negata una colonia al più bel suolo della fertile Auso-nia. »

— Ausonia è il nome antico dell’Italia centro–meridionale a sud del Teve-re.

30 Tale era il magistero mirabile; e si diceva che, molto tempoprima, un barone, ospitando Desiderio, quando egli qui giunseda cavaliere errante, vi aveva fatto ritrarre le antiche gesta delvalore italico da un esperto di magia nera, il quale fece così gran-di prodigi, in una sola notte, con l’aiuto dei mastri stigi.

— Nota del Sestini: « Desiderio, re dei Longobardi, secondo alcuni isto-rici, fu nelle Maremme etrusche; in Viterbo restano ancora molte memoriedella sua venuta in quelle parti. » — Duca di Tuscia ed ultimo re dei Lon-gobardi, Desiderio fu sconfitto nel 774 da Carlomagno. — Stige è il nomedi uno dei grandi fiumi infernali, sicché i mastri stigi sono i diavoli.

31. Colta da strania meraviglia vedela Pia tai cose; e mentre intorno gira,s’arretra il guardo se va innanzi il piede,e finché dura il giorno attenta mira;quando delle crescenti ombre s’avvede,nelle camere interne si ritira,ove ancor le riman molto a vedereallo splendor di lampade e lumiere. 31

32. Intanto il suo signor con bassa testadi qua, di là, di su, di giù va ratto;or si batte la fronte, ed or si arresta,e fissa gli occhi, e par di pietra fatto:com’uom non uso al fallo, e che si apprestameditato a compir nuovo misfatto:ma omai la notte, il sol nel manto ascoso,ciascun tranne costui chiama al riposo. 32

33. A mensa ei siede muto, e turbolento;stagli incontro la donna, e fissa i rai

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31 Presa da una strana meraviglia, la Pia osserva tali cose; ementre gira intorno, se il piede va avanti lo sguardo si volgeindietro, ed osserva attenta finché dura il giorno; quando siaccorge delle ombre che crescono, si ritira nelle camere interne,dove le rimane ancora molto da vedere alla luce di lampade e dicandelabri.

32 Intanto il suo signore, a testa bassa, va veloce di qua, di là,di su, di giù; ora si batte la fronte, ora si ferma, e fissa lo sguar-do, e pare diventato di pietra: come un uomo non abituato all’er-rore e che si prepara a compiere un nuovo, meditato, misfatto;ma ormai la notte, nascosto il sole nel suo nero mantello, chia-ma tutti al riposo, tranne costui.

più che nei cibi in lui, ché il turbamentomal celato ne ha scorto; e poi che assaistette in silenzio, grazïoso accentomovendo, gli dicea: « Sposo, che hai? »« Nulla. » — ei rispose, ed un amaro risochiamò sul labbro, e non fe’ lieto il viso. 33

34. Ma poi che il castellan la mensa tolse,e restar soli nella chiusa stanza,le bianche braccia al collo ella gli avvolsesiccome avea di far sovente usanza;poi nelle mani sue la man gli accolse,e con ingenua e tenera sembianzala strinse, e ne sperò bel cambio invano:qual di persona morta era la mano. 34

35. Tremò, s’impallidì, ma avvaloratada coscïenza di sentirsi pura,e visto che di seno avea levataper notarla domestica scrittura,

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33 A mensa egli siede muto ed agitato; la donna gli sta davan-ti e fissa gli sguardi più in lui che nei cibi, perché ne ha notatal’agitazione che egli nasconde male; e dopo essere stata a lungoin silenzio, iniziando con tono gentile, gli diceva: « Sposo, chehai? » « Nulla. » — egli rispose, ed abbozzò sulle labbra unamaro sorriso, e non fece lieto il volto.

34 Ma poi che il castellano ebbe sparecchiato la tavola, ed essirestarono soli nella stanza chiusa, ella gli avvolse le bianchebraccia intorno al collo, come era solita fare spesso; poi gliprese la mano nelle proprie mani e la strinse con espressioneingenua e tenera, e ne sperò, invano, una risposta gentile: lamano era come di persona morta.

pensò che avesse l’anima agitatadel censo avito in qualche acerba cura,e si scostò con femminil modestiaonde al suo cogitar toglier molestia. 35

36. Sciolse l’aurate fibbie, e delle schiettevesti spogliossi il colmo fianco, e il seno.Come fu tra le coltri, ed ei credettech’ella dormisse, sorse in un baleno,si mosse a lenti passi, e poi ristetteimmoto, indi ai sospiri allargò il freno,e con fioca sclamò voce dimessa:« O donna a me fatale, ed a te stessa! 36

37. Ecco il fin dei connubi inaugurati!Tu principio, tu fin de’ miei desiri,far potevi i miei giorni, e i tuoi beati;or sei cagion de’ miei, de’ tuoi sospiri;per placarmi, espiando i tuoi peccati,qui muori; io fra i rimorsi ed i martiri

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35 Tremò, divenne pallida, ma rincuorata dalla coscienza disentirsi pura, e visto che egli si era tolta dal seno una scritturadi casa per annotarla, pensò che avesse l’anima agitata da qual-che aspra preoccupazione per il patrimonio di famiglia, e confemminile discrezione si allontanò, così da levare disturbo allasua riflessione.

36 Sciolse le fibbie dorate, e si spogliò delle vesti perfette il fiancocolmo ed il seno. Appena ella fu tra le coperte, ed egli credé che elladormisse, si alzò in un baleno, si mosse a passi lenti, poi si arrestò,infine lasciò andare i sospiri ed esclamò con una fioca voce avvili-ta: « O donna fatale a me ed a te stessa!

morrò: vendetta avrommi e non conforto,ma teco starmi non poss’io che morto. 37

38. Spezzati dunque, o mio vil cor, per doglia,se non sai non amar, né di gel farte;ma se al disegno mio fia che tu vogliacontrastar, di mia man saprò strapparte. »Disse, e a passi sospesi in ver la sogliagiunto, si volse alla sinistra parte,e il guardo corse involontariamentesulla misera femmina giacente. 38

39. In un atto soave ella dormiva,piegata alquanto sopra il destro lato;fea letto al capo un braccio, e l’altro uscivadai lini, mollemente abbandonato;le inondava il crin sciolto la nativaneve del collo, e l’omero rosato;e tralucea del volto nella calmauna tranquillità di candid’alma. 39

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37 Ecco la fine delle nozze non bene augurate! Tu principio, tufine dei miei sospiri, tu potevi fare beati i miei giorni ed i tuoi;ora sei causa dei sospiri miei e dei tuoi; per placarmi, tu muoriqui, espiando i tuoi peccati; io morirò tra i rimorsi ed i tor-menti: per me avrò vendetta, non conforto, ma io non possostare con te se non da morto.

38 Spezzati, dunque, per il dolore, o mio vile cuore, se non sainon amare né diventare di gelo; ma se sia che tu voglia opporti almio piano, saprò strapparti con la mia mano. » Disse e, giunto apassi sospesi presso la porta, si voltò verso sinistra, e lo sguardocorse involontariamente sulla misera donna che giaceva.

39 Ella dormiva in atteggiamento soave, un po’ piegata sulfianco destro; un braccio faceva da cuscino al suo capo, e l’al-

40. Come al predone opposita procellavieta la fuga, a lui l’andar fu tolto,ed: « Oh — tra sé sclamò — quanto sei bella! »e in questo dir le si appressava al volto:tal forse Adamo contemplava, quellanotte da cui fu l’error primo avvolto,addormentata allo splendor degli astrila leggiadra cagion de’ suoi disastri. 40

41. In estasi rimase, e già le bracciacorreano al segno ov’era la pupilla,correa la bocca sulla rosea tracciach’era d’eterno fuoco una favilla,allor che scorse sulla bianca faccia,pari a perla eritrea, lucida stilla:dai propri lumi la conobbe uscita, avvampò di vergogna, e fe’ partita. 41

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tro usciva fuori dai lenzuoli, mollemente abbandonato; i capel-li sciolti le inondavano il bianco naturale del collo e la spallarosea; e nella calma del suo volto traspariva una tranquillità dianima pura.

40 Come una tempesta contraria impedisce la fuga al predone,così a lui fu impedito l’andarsene, ed esclamò tra sé: « Oh! quan-to sei bella! » e così dicendo le si accostava al volto: forse Adamo,quella notte da cui fu avvolto il primo peccato, contemplava così,addormentata allo splendore degli astri, la causa leggiadra dellesue sventure.

— Questa causa è Eva, per cui vedi la Bibbia, Genesi, 3, 1–24.41 Rimase in estasi, e già le sue braccia correvano al punto su

cui era lo sguardo, e la sua bocca correva sulla traccia rosea, cheera una favilla di fuoco eterno, quando sul bianco volto vide unalacrima lucida come perla eritrea: la riconobbe uscita dai propriocchi, avvampò di vergogna, e se ne partì.

— La traccia rosea è la linea delle labbra.

42. Partisti, o dispietato, e ti dié il cored’abbandonarla; e non vedesti comequa e là le man stese al nuovo alboreper ricercarti, e ti chiamava a nome,né ti trovando, sorse, e in vago errorescorrean le vesti, e le fluenti chiome:t’avria vinto in quell’atto mesto e vago,se stato fossi un’anima di drago. 42

43. Cerca e richiama, e niun risponder sente,onde si ferma, e sta dubbia, e pensosa;s’allegra alfine, udendo lo stridenteponte calando che al basso si posa;ode alcuno avanzarsi, e all’imminentevestibul corre tutta desïosa,ed ecco con le salde chiavi in manoapparirgli a rincontro il castellano. 43

44. E a lei, che impazïente del maritochiedea, rispose che poc’anzi al giornonella selva vicina a caccia er’ito,e innanzi sera avria fatto ritorno;

149La Pia. Leggenda romantica

42 Partisti, o spietato, ed avesti il cuore di abbandonarla; e nonvedesti come alla nuova alba ella stese qua e là le mani per ricer-carti, e ti chiamava per nome, e non trovandoti, si alzò, e le vestie le chiome scendevano in bel disordine: ti avrebbe vinto, in quelgesto mesto ed amabile, se anche fossi stato un’anima di drago.

43 Cerca e richiama, e non sente rispondere alcuno, sicché siferma e rimane dubbiosa e pensosa; finalmente si rallegra, uden-do il ponte che, calando stridendo, si posa in basso; ode avvicinar-si qualcuno e corre tutta desiderosa al vicino vestibolo, ed ecco,con le salde chiavi in mano, apparirle di fronte il castellano.

e come dal baron fu statuitoche, mentre sola ivi facea soggiorno,servitute a prestarle ei fosse intentoin tutto ciò di ch’ella avea talento. 44

45. Appagossi a quel dir la semplicetta,ma non raccolse l’usata quïete;tutto quel dì per casa errò soletta;e non piangea, ma avea di pianger sete,pensando ch’ei la man non le avea strettané di baci le fe’ le guance liete,e dal letto partissi inosservatosenza degnarla dell’amplesso usato. 45

46. Come quel dì fu lungo! Ombrosa uscìonotte dal lago, ed ei non fe’ ritorno;e invano intenta ad ogni calpestiostette, e ad ogni romor che udia d’intorno;occhio giammai non chiuse; alfine aprìol’Alba i balconi d’orïente al giorno,

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44 Ed a lei, che chiedeva impaziente del marito, rispose che pocoprima del giorno era andato a caccia nella foresta vicina, e cheavrebbe fatto ritorno prima di sera; e disse come dal barone erastato stabilito che, mentre lei vi dimorava da sola, egli fosse atten-to a prestarle servizio in tutto ciò di cui ella avesse desiderio.

45 A quelle parole l’ingenua si appagò, ma non ritrovò lacalma consueta; tutto quel giorno vagò tutta sola per la casa; enon piangeva, ma aveva voglia di piangere, pensando che eglinon le aveva stretta la mano né le aveva allietate di baci le guan-ce, e che se ne era partito non visto dal letto, senza degnarla delconsueto abbraccio.

e nell’alto orizzonte il sol pervenne:desta trovolla, e quel crudel non venne. 46

47. Quel giorno intero, e tutti gli altri dueattese indarno men viva che morta;ma quando al quinto dì venuta fue,e il castellano udì giunto alla porta,qual forsennata dalle scale giuecorse, sciolti i capei, la faccia smorta,e il vel stracciando, con grido affannoso:« Dove, dove — sclamava — ito è il mio sposo? 47

48. Così pria della sera ei dalla cacciariede? E mentre egli puote in quei desertiesser perito, e mentre il Ciel minacciastrani accidenti, rimanete inerti?Ma a voi non cale! Io stessa andronne in traccia!Io cercherò le grotte, e i campi aperti,e troverollo; o le fere, che guastohanno il bel corpo suo, m’avranno in pasto. » 48

151La Pia. Leggenda romantica

46 Come fu lungo quel giorno! La notte con le sue ombre uscìdal lago, ed egli non fece ritorno; ed invano stette attenta adogni calpestio e ad ogni rumore che udiva d’intorno; non chiu-se mai occhio; finalmente l’Alba aprì i balconi d’oriente al gior-no, ed il sole giunse in alto sull’orizzonte: la trovò sveglia, e quelcrudele non venne.

47 Quel giorno intero e tutti gli altri due attese invano più mortache viva; ma quando giunse al quinto giorno, ed udì il castellanogiunto alla porta, corse giù per le scale come una forsennata, icapelli sciolti, la faccia smorta, e stracciando il velo, con gridoaffannoso, esclamava: « Dove, dove è andato il mio sposo?

48 Così egli ritorna dalla caccia prima di sera? E mentre eglipuò essere morto in quei deserti, e mentre il Cielo minaccia

49. Così dicendo, verso la vicinaporta correa, che aperta fu pur dianzi,quando il rozzo scherano alla tapina,con mal viso, e mal cor parossi innanzi:« Sostate — disse — il signor qui destina,finch’ei non rieda, che madonna stanzi;e qui v’è forza dimorar solinga:d’uscir vana speranza vi lusinga. » 49

50. Raccapricciò la dolorosa mogliea tal dir che un abisso anzi le apria;e ben presaga omai che in quelle sogliedovea menar la vita in prigionia,proruppe in pianto, lacerò le spoglie,e di grida e di duol le volte empia;e non reggendo al duro accorgimento,semiviva cascò sul pavimento. 50

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strani accidenti, voi rimanete inerti? Ma a voi non importa! Iostessa ne andrò in cerca! Io cercherò per le grotte e per i campiaperti, e lo troverò; o mi avranno in pasto le fiere che hannoguastato il suo bel corpo ».

49 Così dicendo, correva verso la porta vicina che poco prima,era stata aperta quando il rozzo sgherro si pose davanti allameschina con cattivo volto e cuore cattivo: « Fermatevi, disse, ilsignore ordina che, finché egli non torni, madonna dimori qui; equi dovete abitare da sola: vi illude vana speranza di uscire. »

50 L’infelice moglie fu presa da orrore a quel discorso che le apri-va un abisso davanti; e ben consapevole che ormai doveva pas-sare la vita prigioniera in quelle stanze, scoppiò in pianto, laceròi vestiti e riempiva le alte sale di grida e di dolore; e non reggendoal duro provvedimento, cadde semimorta sul pavimento.

51. E poi che in guisa tal stata fu molto,sul cubito levando il corpo obliquo,restò seduta, e tra le palme il voltopose, muta pensando al caso iniquo: statua sembrar potea di marmo scoltoentro l’ingresso d’un sepolcro antiquo,se non vedeasi, pei sospiri, il largosen colmarsi, e scemar com’onda al margo. 51

52. Poi gli occhi alzando, anzi le chiare stelle,donde sgorgavano lagrime infinitegiù per le guance pria vermiglie e belleor somiglianti a rose scolorite,rose non colte in lor stagion, sì ch’ellesien sul secco cespuglio impallidite:« Sposo — dicea — così mi lasci e parti,e imprigioni chi rea solo è d’amarti? 52

53. Perché, se altrui perfidia, o mal concettotuo dubbio avvien che me non conscia incolpe,

153La Pia. Leggenda romantica

51 E dopo essere rimasta a lungo in quello stato, sollevandoobliquo il corpo sul gomito, restò seduta, e pose il volto tra lemani, pensando muta al caso ingiusto: poteva sembrare unastatua di marmo scolpito dentro l’ingresso di un sepolcro anti-co, se non si fosse visto l’ampio seno colmarsi ed abbassarsi peri sospiri come l’onda alla riva.

52 Poi alzando gli occhi, anzi le splendide stelle, da cui sgorga-vano lacrime infinite giù per le guance prima rosse e belle, ed orasimili a rose scolorite, rose non colte nella loro stagione, così chesiano impallidite sul cespuglio secco, diceva: « Sposo, così milasci e parti, ed imprigioni chi è colpevole soltanto di amarti?

contro le altrui calunnie, e il tuo sospettoascoltar non vorrai le mie discolpe?Veduto avresti almen, che a torto infettocredi il mio sen di maritali colpe,e che ancor t’amo sì, che più mi duoleil perder te, che il non veder più il sole. 53

54. E se fallanza involontaria e ignotaalla memoria mia pur t’era grave,e perché simular, né farla nota?Non ha amor fallo che pianto non lave,ed avrei pianto, ed a’ tuoi piedi immota,forse avrei volta del tuo cuor la chiave;né avrei lasciato il pianto e la preghiera,se rimessa da te l’onta non m’era. 54

55. E largo di perdon stato sarestia chi segni ti dié d’amor sì forte;e se implacabil stato fossi, e ai mestivoti sordo, e al dolor della consorte,

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53 Se avviene che perfidia altrui o un tuo dubbio mal concepi-to mi incolpino inconsapevole, perché non vorrai ascoltare lemie discolpe contro le altrui calunnie ed il tuo sospetto? Avrestialmeno veduto che a torto credi il mio seno infetto da colpemaritali, e che ti amo ancora tanto che mi addolora più il per-dere te che il non vedere più il sole.

54 E se pure ti era grave una mancanza involontaria ed igno-ta alla mia memoria, perché fingere e non farmela nota? Amorenon ha colpa che il pianto non lavi, ed io avrei pianto, edimmobile ai tuoi piedi forse avrei girata la chiave del tuo cuore;né avrei lasciato il pianto e la preghiera, se da te non mi era per-donata la vergogna.

o stanco del mio talamo, m’avresticolle stesse tue man data la morte.Oh! quanto era per me miglior ventura,che viva esser sepolta in queste mura! » 55

56. Sì disse; e a stento, ove posò la nottetornava, e steso sopra il letto il viso,con voci dalle lagrime interrotte,disse: « O vedovo letto, io fui d’avviso,quand’ebbi pria le membra in te ridotte,che tu mi aprissi in terra un paradiso.Oh! come or sembri squallido e deserto:non miro in te che il mio feretro aperto! 56

57. E in te morrò, che in brevi dì consuntosarà il mio fral da mille angosce e mille;né assistenza d’amica, o di congiuntoavrà il mio corpo lagrimose stille,né confidente man nel duro puntopietosa chiuderà le mie pupille;

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55 E saresti stato generoso di perdono a chi ti diede segni diamore così forte; e se fossi stato implacabile e sordo alle mestepreghiere della sposa, o stanco del mio letto maritale, mi avre-sti dato la morte con le tue stesse mani. Oh! quanto era per mesorte migliore che essere sepolta viva in queste mura! »

56 Così disse; e tornava con fatica dove aveva passato la notte,e poggiato il viso sopra il letto, con parole interrotte dalle lacri-me, disse: « O vuoto letto, la prima volta che raccolsi in te le miemembra, io credei che tu mi aprissi un paradiso in terra. Oh!come ora sembri squallido e deserto: in te non vedo che la miabara aperta!

e la mia madre ignorerà qual terrachiede i suoi prieghi, e il cener mio rinserra. 57

58. E fien brievi i miei dì, che sul confinesentomi omai dell’ultimo passaggio;ma i mali col morir non avran fine,che in morte ancor mi sarà fatto oltraggio:ah! che diranno le città vicine,quai non san che fallato unqua non aggio?Qual più resta conforto a donna grama,se perde oltre la vita anco la fama? » 58

59. Sorgea da forsennata in questo dire,e mordendo il lenzuol battea le piante;siccome ebra bassaride suol irea chiome sparse sull’Ismen sonante,e vedeasi ai balconi ire e redire,forte chiamando il dispietato amante;e urlavan seco in flebile ululatole sale dell’ostello inabitato. 59

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57 Ed in te morirò, perché in breve tempo il mio corpo saràconsumato da mille e mille angosce; né il mio corpo avrà assi-stenza di amica o lacrime di congiunto, né mano confidentechiuderà pietosa in quel duro momento i miei occhi; e la madremia ignorerà quale terra chiede le sue preghiere e racchiude lemie ceneri.

58 Ed i miei giorni saranno brevi, perché ormai mi sento sulconfine dell’ultimo passaggio; ma i mali non avranno fine conil morire, perché sarò oltraggiata anche dopo morta. Ah! chediranno le città vicine, le quali non sanno che non ho mai man-cato? Quale conforto resta più ad una misera donna, se oltrealla vita perde anche la fama? »

59 Così dicendo, si alzava come una forsennata, e batteva i

60. E chi non avria pianto a quella vista?Il castellan non già, d’una parolapur anco avaro, che persona tristala cortesia d’un motto ancor consola;e l’aborrita mensa a lei provvista,l’abbandonava in quello stato sola,tornando al colle a vincer le maligneaure col don delle volsinie vigne. 60

61. E diceasi per l’umile paesestar nel castello quella tanto chiaraPia, per cui fatte fur ben mille impresedai cavalier che la chiedeano a gara,

157La Pia. Leggenda romantica

piedi mordendo il lenzuolo; e la si vedeva andare e riandare aibalconi, come una baccante ebbra suole andare a chiome spar-se lungo il sonoro Ismene, chiamando forte lo spietato amante;e le sale del castello disabitato urlavano con lei in un flebile ulu-lato.

— Le baccanti erano le seguaci del dio Bacco, che i Greci chiamavanoDioniso, il cui culto sfrenato era celebrato lungo l’Ismene, il fiume chebagna Tebe.

60 E chi non avrebbe pianto a quella vista? Il castellano no dicerto, avaro perfino di una parola, perché anche la cortesia diuna parola consola una persona afflitta; e procuratale la mensaaborrita, l’abbandonava sola in quello stato, tornando sul collea vincere le arie maligne con il dono delle vigne volsinie.

— Nota del Sestini: « Volsinie vigne, vigne famose che si trovano nellevicinanze del lago di Volsinia. I loro vini sono i più pregiati nelle Marem-me. » — Questo riferimento al vino di Bolsena, unito al percorso che Nelloe Pia fanno uscendo da Siena lungo la via Francigena in direzione diRoma, come Sestini dice nel secondo canto, ottave 70–73, consente di col-locare il suo castello prigione della Pia sul Lago di Mezzano: laghetto cheoggi risulta di molto più ameno, benché susciti ancora un che di paniconel visitatore solitario.

per esser bella, affabile, e cortesesopra ogni altra europea donna preclara,e che sol per mirar beltà sì grandeveniano i proci dalle stranie bande. 61

62. Dicean ch’ella de’ principi stranierinon curando l’inchiesta, ed in non caleponendo il primo fior dei cavalieri,che per l’Italia avean fama immortale,ad onta del fratello, i suoi pensieriavea rivolti con amor lealea Nello, che con essa in Siena crebbe;e vinta ogni contesa a sposa ei l’ebbe. 62

63. Ed or con meraviglia di ciascuno,che avea la cosa oscuramente intesa,era da lui dannata al carcer bruno,in turpe fallo avendola sorpresa;così diceasi, ed abitante alcunoneppur coi detti ardia farne difesa;

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61 E per l’umile paese si diceva che nel castello stava quella cosìcelebre Pia, per la quale furono fatte ben mille imprese dai cava-lieri che la chiedevano a gara, perché era bella, affabile e cortesepiù di ogni altra famosa donna europea, e che soltanto per vede-re una bellezza così grande, i proci venivano da regioni straniere.

— I proci erano i principi pretendenti alla mano di Penelope, la mogliefedele di Ulisse, per cui vedi Omero, Odissea, I, 96–424; II, 40–256; XXII,1–501.

62 Dicevano che ella, non curando la richiesta dei principi stra-nieri e ponendo in non conta il fior fiore dei cavalieri che per l’I-talia avevano fama immortale, con vergogna del fratello, avevarivolto i propri pensieri con amore leale a Nello, che era cresciu-to in Siena con lei; e vinta ogni contesa, egli l’ebbe in sposa.

sol qualche femminetta, per la pieta,le offeriva una lagrima secreta. 63

64. Era nella stagion che il sole accendedel celeste leon le giube bionde,e mostra il mondo, che la faccia fende,le viscere di pioggia sitibonde;e sul gambo ogni fior languido pende,aride pendon le ingiallite fronde;e a stelle crudelissime in governoparean quelle Maremme un nuovo inferno. 64

65. Signoreggiò tal’anno nelle caldeMaremme nostre inusitata arsura:ignee colonne fino a terra saldeparean piover dal sole alla pianura;cadea il sol cinto d’infiammate falde,predicendo peggior l’alba futura.

159La Pia. Leggenda romantica

63 Ed ora, con meraviglia di ciascuno che aveva udito oscu-ramente la cosa, essa era condannata da lui al cupo carcere,avendola egli sorpresa in una colpa vergognosa; così si diceva,e nessun abitante ardiva difenderla, neppure a parole; soltantoqualche povera donna, per la pietà, le dedicava una lacrimanascosta.

64 Si era nella stagione in cui il sole accende la bionda crinie-ra del leone celeste, e la terra, che fende la faccia, mostra leviscere assetate di pioggia; ed ogni fiore pende appassito sulgambo, pendono aride le foglie ingiallite; e quelle Maremme, inbalia di stelle crudelissime, parevano un nuovo inferno.

— La perifrasi del sole che accende la bionda criniera del leone celesteindica che si era nel periodo del solleone, luglio–agosto, quando il solesorge nella costellazione del Leone.

Misera Pia! l’istesso cielo infaustoparve voler tua vita in olocausto. 65

66. Taccion l’opre de’ campi, i villanellifuggon la valle di lor vita ingorda,e nelle fratte appiattansi gli augelli,cinguettando con voce incerta e sorda;sol la cicala in vetta agli arboscellicollo stridulo metro i campi assorda,né contro al sole di garrir si stancafinché l’adamantin grido le manca. 66

67. Non più scorron sonando i rivi alpestri,né i fonti fuor delle petrose conche;né moto ha fronda nei gioghi silvestri,né i venti osano uscir di lor spelonche;sol misto al leppo dei fuochi campestri,che ardon le paglie dalle falci tronche,dalle roventi sabbie di Maroccoqual vampa di vulcan soffia Scirocco. 67

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65 Quell’anno nelle nostre calde Maremme dominò un’arsurainsolita: colonne di fuoco parevano piovere dal sole alla pianu-ra salde fino a terra; il sole tramontava circondato di falde in-fiammate, preannunciando ancora peggiore l’alba futura. Mise-ra Pia! Lo stesso cielo infausto sembrò volere in olocausto latua vita.

66 Tacciono i lavori dei campi: i poveri villani fuggono la valleavida della loro vita, e gli uccelli si nascondono nelle fratte, cin-guettando con voce insicura e fioca; solo la cicala in cima agli ar-boscelli assorda i campi con il suo stridulo canto, né si stanca difrinire contro il sole, finché il verso cristallino viene a mancarle.

67 Non scorrono più i sonori ruscelli montani né le fonti fuoridelle cavità pietrose; né si muove foglia sui monti boscosi, né i

68. Né più la notte del suo gel con viveperle cadenti i campi arsi rintegra,né al dolce nembo delle brine estivesi rinfranca l’erbetta, e si rallegra;e se dall’abbronzate infette rivedi vapori erge il sol nuvola negra,nella notte invisibile ricadele morti a seminar, non le rugiade. 68

69. Il notturno squallor non interrompezampogna o canto che d’amor si lagne;del faggio sotto le appassite pompenon più l’usignolin soave piagne;ma col continuo aspro concento rompeil silenzio dell’aride campagnetrillar di grilli, gracidar di rane,ed ululato di ramingo cane. 69

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venti osano uscire dalle loro caverne; soltanto Scirocco soffiadalle roventi sabbie di Marocco come fiamma di vulcano, emisto al puzzo caldo dei fuochi campestri che bruciano le paglietagliate dalle falci.

68 Né la notte ristora più i campi riarsi con vivide gocce checadono dal suo freddo, né l’erbetta si riprende più e si rallegraalla dolce nuvola delle brine estive; e se dalle rive infette resedure come bronzo il sole solleva una nuvola nera di vapori,nella notte essa ricade invisibile a seminare le morti, non lerugiade.

69 Né zampogna né canto che si lamenti d’amore interrompela tristezza notturna; sotto le pompose chiome appassite del fag-gio più non piange il piccolo usignolo; ma trillare di grilli, gra-cidare di rane ed ululato di cani randagi rompono il silenziodelle campagne riarse con il loro continuo concento sgradevole.

70. Quel giovin toro che i lunati cornibaldanzoso ostentò re dell’armento,e aguzzandoli al cortice degli orni,muggì sfidando alla battaglia il vento,fugge all’ombra il fervor dei caldi giorni,né più l’erba ricerca o il rio d’argento,e giace, e inchina il capo, e contro ai rarialiti di ponente apre le nari. 70

71. Il vïator sull’uscio dell’ospizioesce col sole, e l’orizzonte vistolistato a strisce fiammeggianti, indiziodi giorno del passato anco più tristo,non ha cuor di fidarsi a certo esizionel cammin d’acque, e d’alberi sprovvisto:e nell’albergo, ove restar gli spiace,languente, e a sé gravoso pondo giace. 71

72. Fra i muri del castel fatti di fuocogeme l’abbandonata prigioniera,né conforto trovar, né trovar locopuò da sera al mattin, da mane a sera:

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70 Quel giovane toro che, baldanzoso re dell’armento, ostentò lesue corna a falce di luna e che, aguzzandole alla corteccia degli olmi,muggì sfidando il vento a battaglia, ora fugge all’ombra il caloredelle calde giornate, né più ricerca l’erba o il ruscello d’argento, egiace e china il capo, e dilata le froge verso i rari aliti di ponente.

71 Il viandante esce con il sole sull’uscio del ricovero, e visto listatoa strisce fiammeggianti l’orizzonte, indizio di un giorno anche peggio-re di quello passato, non ha il coraggio di esporsi a sicura rovina nelcammino sprovvisto di acque e di alberi: e nell’albergo in cui gli spia-ce restare giace languente, come un peso che pesa a se stesso.

l’intenso ardor le vieta il sonno, e pocoè il refrigerio che dal sonno spera,che qualche sogno torbido la sveglia,e la ricaccia in odïosa veglia. 72

73. E più sembra che in lei l’ardor s’accresca,e il mal dell’esser sola in tai disagi,quando le torna a mente l’onda frescadi Fonte Branda, e di sua patria gli agi,e i colli, che odorosa aura rinfresca,e le mense, e le ancelle, e i bei palagi,ove dolce menò vita serenain temperato clima, e in terra amena. 73

74. Nel maritale albergo avea trovatauna fante vecchissima e devota,che degli avi di Nello al tempo natadi quei storia narrava a molti ignota,e più d’una lor colpa consumatain quel palagio nell’età rimota;

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72 Tra le mura del castello diventate di fuoco, l’abbandonataprigioniera geme né può trovare conforto né pace dalla sera almattino dal mattino alla sera: l’ardore intenso le impedisce ilsonno, ed è poco il sollievo che spera dal sonno, perché qualchesogno agitato la sveglia, e la rigetta in una veglia odiosa.

73 E sembra che l’ardore ed il male dello stare da sola in queidisagi cresca ancora di più in lei, quando le tornano in mentel’acqua fresca di Fonte Branda, e le comodità della sua patria,ed i colli che un’aria odorosa rinfresca, e le mense, e le ancelle,ed i bei palazzi, in cui condusse una vita serena in clima tempe-rato ed in terra amena.

— Fonte Branda è un’antica fonte di Siena, già rimpianta per le sue fre-sche acque da mastro Adamo, in Dante, Inferno, XXX, 78.

e che però di quelle sedi impuretolto possesso avean spettri e paure. 74

75. Ed aggiungea che v’erano i folletti,e vi solean le brutte streghe andarne,e succhiar dei rapiti pargolettiil fresco sangue, ed il cervel stillarne,e con osceni riti i lor banchetti,gavazzando, imbandir d’umana carne,ed apprestarvi i filtri, e le maliesotto le forme di rapaci arpie. 75

76. Or soletta la Pia nelle ripostesedi in mente volgea racconti tali;e come che, per mantener nascostele stanze al sole, e a’ caldi venti australi,dei balconi tenea chiuse le imposte,cadea l’un mal fuggendo in altri mali,dando largo alimento al suo timoreil buio, dei fantasmi genitore. 76

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74 Nella casa del marito aveva trovato una serva vecchissimae devota che, nata al tempo degli avi di Nello, narrava di essistorie ignote a molti, e più di una loro colpa consumata inepoca lontana in quel palazzo; e diceva che per questo spettri epaure si erano impossessati di quei luoghi impuri.

75 Ed aggiungeva che c’erano i folletti, e che le brutte stregheerano solite andarvi, e succhiare il sangue fresco dei neonatirapiti, e spremerne goccia a goccia il cervello, e con riti osceni,facendo baldoria, imbandire di carne umana i loro banchetti, eprepararvi i filtri e le malie sotto le forme di arpie rapaci.

— Le arpie erano mostri mitologici con il volto da donna ed il corpo egli artigli da uccelli rapaci.

76 Ora la Pia, tutta sola nelle stanze interne, rigirava nella

77. E stesa stando sull’ingrato letto,nasconde sotto il lin gli occhi soavi;e il solitario passero sul tettose ascolta o i tarli nelle vecchie travi,parle veder con minaccioso aspettoper la stanza trescar di Nello gli avi:si rannicchia la trepida, e dimandapiangendo aiuto, e a Dio si raccomanda. 77

78. Così vestale nell’avello occultosotto le glebe d’infamato campo,impaurita dal fallace culto,che a vivere, e ad amar l’era d’inciampo,del fioco lume seco lei sepultoal moribondo scintillante lampotremava, e le parea d’aver presentile furie con le faci, e coi serpenti. 78

165La Pia. Leggenda romantica

mente tali racconti; e poiché, per mantenere le stanze riparatedal sole e dai caldi venti meridionali, teneva chiuse le impostedei balconi, evitando un male, cadeva in altri mali, perché ilbuio, generatore di fantasmi, dava ampio alimento ai suoitimori.

77 E stando stesa sul letto sgradito, nasconde gli occhi soavisotto il lenzuolo; e se ascolta il passero solitario sul tetto o i tarlinelle vecchie travi, le pare di vedere gli avi di Nello ballare la tre-sca per la stanza: impaurita si rannicchia tremante, e chiedeaiuto piangendo, e si raccomanda a Dio.

78 Così, nella tomba nascosta sotto le zolle di un campo diso-norato, terrorizzata dal culto ingannevole che le era di ostacolo avivere e ad amare, la vestale tremava al moribondo lampo scin-tillante del fioco lume sepolto con lei, e le pareva di avere presen-ti le furie con le torce e con i serpenti.

— Le vestali erano sacerdotesse romane addette al culto di Vesta, deadel focolare e del fuoco; esse avevano il compito di tenere sempre acceso

79. Nelle notti spiacevoli e noioseper l’aspra angoscia, e per l’estivo ardore,alla fenestra traea l’affannosemembra, onde respirar l’aura di fuore:e mirava la luna, che le cosedi modesto tingea dolce colore,e specchiando al pantan le sceme guancefea l’onde negre scintillanti e rance. 79

80. Ed: « Oh! Luna, dicea, consolatricedella miseria altrui, tu confidente,e compagna dell’esule infelicedal Cielo abbandonato, e dalla gente,deh! non calar sì tosto alla pendice,non affrettarti verso l’occidente:non far che l’etra povero rimanga,e del tuo lume anco il difetto io pianga. 80

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il fuoco sacro nel Foro romano e di pregare per la salvezza del popolo,dello Stato e dell’imperatore; il loro servizio durava trenta anni, durante iquali dovevano condurre una vita austera e casta; quella che faceva spe-gnere il fuoco veniva punita severamente; quella che perdeva la verginitàera punita con la morte: veniva rinchiusa viva nella propria tomba.

79 Nelle notti spiacevoli e noiose per l’aspra angoscia e per l’ar-dore estivo, trascinava le membra affannate alla finestra perrespirare l’aria di fuori, e guardava la luna che tingeva le cose diun dolce colore sfumato e che, specchiando nel pantano le guan-ce non piene, rendeva scintillanti ed aranciate quelle acque nere.

80 E diceva: « Oh! luna, consolatrice della miseria altrui, tuconfidente e compagna dell’esule infelice, abbandonato dalCielo e dalla gente, deh! non scendere così presto lungo la pen-dice, non affrettarti verso l’occidente: non fare che il cielo restipovero, e che io pianga anche la mancanza della tua luce.

81. E il chiaror blando, che tempra il desiodel cor gentile, e di dolcezza inonda,liberale a me volgi, e in questo mionappo di duol stilla vitale infonda;e il veggente tuo raggio assista pioal termin di mia vita moribonda,e m’accompagni ove all’avello io scendae al vïator su quello indice splenda. 81

82. E se dal tempo, come avvien talora,scoperto il ver sarà, l’onor redento,verrà ‹il› mio sposo in questa terra; allorascorgilo ove il mio fral riposi spento;ei ben vorrà compagna avermi ancora,satisfarmi vorrà col pentimento,ma una pietra offrirassi ai di lui sguardi,e dovrà pianger perché venne tardi. » 82

83. Per lenta febre intanto attrita ed egra,tributava la vita al sozzo clima,

167La Pia. Leggenda romantica

81 E generosa volgi verso di me il tenue chiarore, che temperail desiderio del cuore gentile ed inonda di dolcezza, ed infondauna stilla di vita in questo mio calice di dolore; ed il tuo raggioilluminante assista pietoso al termine della mia vita morente, emi accompagni quando io scenda nel sepolcro, e splenda suquello come indice per il viandante.

82 E se, come avviene talvolta, la verità sarà scoperta daltempo, e l’onore sarà riscattato, il mio sposo verrà in questaterra; tu allora guidalo dove il mio corpo riposi spento; eglivorrà bene avermi ancora compagna, vorrà placarmi con il pen-timento, ma una pietra si mostrerà ai suoi sguardi, ed eglidovrà piangere, perché venne tardi. »

com’uom dai mali oppresso, e che si allegraper morte, e di campar non fa più stima;ed era scorsa omai l’estate integra,e d’autunno apparia la nube prima,che in improvvisa pioggia si risolve,l’odor destando della spenta polve. 83

84. Sorto un dì ch’ella già sentia mancarsi,e la salma restar di vita scema,vedendo dietro ai monti il sol calarsi,volle seguirlo con la vista estrema;e ai campi, e ai colli ancor di luce sparsiche ogn’uom, lasciando, desïoso trema,un sospiro e un addio per dar pur anco,al balcon trascinò l’infermo fianco. 84

Fine del canto primo.

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83 Intanto, consunta e malata per lenta febbre, ella rendeva lavita al sozzo clima, come un uomo oppresso dai mali, che sirallegra per la morte e che non intende più combattere. Edormai era trascorsa l’estate intera, e compariva la prima nuvo-la d’autunno che si scioglie in pioggia improvvisa, destando l’o-dore della polvere spenta.

84 Sorto un giorno che ella già sentiva mancarsi e sentiva ilcorpo restare privo di vita, vedendo il sole calare dietro i monti,volle seguirlo con l’ultimo sguardo; e per mandare ancora unaddio ed un sospiro ai campi ed ai colli cosparsi della luce cheogni uomo, al momento di lasciarla, desidera tremante, tra-scinò il corpo infermo fino al balcone.

Canto secondo

1. E alla velata vista le si offerseun povero eremita in riva al fosso,che riedea dalla questua con diversevettovaglie nel zaino, e un sacco in dosso;bianca avea barba, e ciglia al suol converse,e dalla nuca ogni capel rimosso;e su scabro baston curvo per viaorava, mormorando, Ave Maria. 1

2. Al chino tergo, all’abito, al canutomento ella riconobbe il solitario,e ricordossi che l’avea vedutofuor della cella, innanzi al santuario,starsi a chiedere a Dio grazia ed aiutocontro il nostro ingannevole avversario,sopra un colle di là poco lontano,alquanto fuor di strada, a destra mano. 2

169La Pia. Leggenda romantica

1 Ed alla vista velata le si mostrò in riva al fosso un poveroeremita che tornava dalla questua con diversi viveri nello zainoed un sacco in spalla; aveva la barba bianca, e gli occhi rivoltial suolo, ed ogni capello tolto dalla nuca; e curvo su un rozzobastone, lungo la via pregava, mormorando, Ave Maria.

2 Dalle spalle curve, dall’abito, dalla barba bianca ella rico-nobbe il solitario, e si ricordò che lo aveva visto fuori della cella,davanti al santuario, starsene a chiedere a Dio grazia ed aiutocontro il nostro avversario ingannatore, sopra un colle pocolontano di là, un po’ fuori mano, sulla destra.

— Il nostro avversario ingannatore è il diavolo.

3. E dall’alto il chiamò con fievol voce,dicendo: « Miserere, o padre santo;per lo tuo Dio che morir volle in croce,a por mente al mio mal t’arresta alquanto:cattiva in questo domicilio atrocetienmi il crudo consorte, e muoio intanto,e qui non ho chi l’ultime rispettivolontà sacre, e i miei ricordi accetti. 3

4. A te dunque ricorro, e se vedraia sorte un dì passar dalla tua cellal’uom, con cui, son due mesi, ivi passai,della vittima sua dagli novella:digli qual mi vedesti, e di’ che i raichiusi sposa innocente, e fida ancella,che gli perdono i malefici suie imploro anche da Dio perdono a lui. 4

5. E per dargli contezza che morendogli resi per mal far grata mercede,

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3 E dall’alto lo chiamò con voce fioca, dicendo: « Abbi pietà, opadre santo; per il tuo Dio che volle morire in croce, fermati unpoco a porre mente al mio male: lo sposo crudele mi tiene pri-gioniera in questa dimora atroce, ed intanto muoio, e qui nonho chi rispetti le ultime, sacre volontà, ed accolga i miei ricordi.

— Il termine cattiva del quinto verso è trascrizione del latino captiva eperciò significa prigioniera.

4 Ricorro dunque a te, e se per caso un giorno vedrai passaredalla tua cella l’uomo con cui io vi passai or sono due mesi, daglinotizia della sua vittima: digli quale mi vedesti, e digli che ho chiu-so gli occhi come sposa innocente ed ancella fedele, che gli per-dono le sue malefatte ed imploro anche da Dio perdono per lui.

« dagli — l’anel dall’anular traendo —dagli — seguia — l’anel ch’ei già mi diede,e di’ che come questo integro rendo,tale a lui rendo intatta la mia fede. »Disse, e del crin reciso ad una cioccaaggruppato, il gittò fuor della rocca. 5

6. E soggiungea: « Questa troncata trecciapur prendi, e se pastore, o peregrino,o qualche messaggera villereccia,che ver Siena rivolga il suo cammino,passa dalla tua casa boschereccia,alla madre che ignora il mio destinoinviala, e l’abbia del mio corpo in vece,sul qual spargere il pianto a lei non lece. 6

7. E sappia che, morendo, al Cielo io giuroche al mio sposo giammai fede non ruppi,

171La Pia. Leggenda romantica

5 E per fargli sapere che, morendo, in cambio del male gli resiricompensa grata, dagli », e togliendosi l’anello dall’anulare, « da-gli, seguitava, l’anello che egli un giorno mi diede, e digli checome rendo integro questo, così gli rendo intatta la mia fedeltà. »Disse, e lo gettò fuori della rocca annodato ad una ciocca dicapelli tagliati.

6 E soggiungeva: « Prendi anche questa treccia tagliata, e sedalla tua casa nel bosco passa pastore o pellegrino o qualchemessaggera contadina che diriga verso Siena il suo cammino,inviala alla madre che ignora il mio destino, e la tenga al postodel mio corpo, su cui a lei non è lecito spargere il pianto.

— Nota del Sestini: « Messaggera villereccia. Si trovano ancora al pre-sente nell’interno della Toscana alcune donne dette procaccine, cheseguendo un’antica usanza fanno periodicamente i loro viaggi a piede daun paese all’altro portando le lettere e le imbasciate. »

e le caste virtudi che mi furoispirate da lei mai non corruppi,onde la mia memoria dall’impurolaccio, in che giace avvolta, disviluppi,e il carnefice mio sia fatto accortod’aver dannata un’innocente a torto. 7

8. E ond’io mercé nell’altra vita ottenga,priega tu Dio, che i falli miei perdoni:di me che son la Pia ti risovvenganelle quotidïane orazïoni;e quando fia che accolta in cielo io venga,pregherò Dio che mai non ti abbandoni. »Sì disse, e nel compir l’estreme notecon le palme asciugò l’umide gote. 8

9. Tal se dal sommo d’altissimo massola sima agnella, che vi è incauta ascesa,nel lato ov’è il burron sdrucciola al basso,e fra la terra, e il ciel riman sospesa

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7 E sappia che, morendo, io giuro al Cielo che non ruppi maifedeltà al mio sposo, e non corruppi mai le caste virtù che mifurono ispirate da lei; sicché liberi la mia memoria dal laccioimpuro in cui essa giace avvolta, ed il mio carnefice sappia cheha condannato ingiustamente un’innocente.

8 Ed affinché nell’altra vita io ottenga pietà, tu prega Dio cheperdoni i miei errori: nelle tue preghiere quotidiane ti tornimemoria di me, che sono la Pia; e quando sia che io vengaaccolta in cielo, pregherò Dio che non ti abbandoni mai ». Cosìdisse, e nel terminare le ultime parole, si asciugò con le palmele guance umide.

sul caprifico o su sporgente sasso,bela né può salir né far discesa:l’ode il pastor dall’imo, ed a mirarlastassi, e si duol di non poter salvarla. 9

10. Alzate l’eremita avea le ciglia,quand’ella pria la voce alzò chiamando,e pien d’inaspettata meravigliaa mano a man la gia raffigurando,benché non fosse più fresca e vermiglia:un non so che di dolce, e venerandoin lei scolpito avea la doglia, senzainvolarne l’antica conoscenza. 10

11. Scadute ahi! troppo le sembianze raredall’esser primo comparian, qual suolel’astro che opaco nel parelio appare,pur mostra ancor l’immagine del sole,o stella che scolorasi sul mare,se l’alba sparge i gigli, e le viole,

173La Pia. Leggenda romantica

9 Come se dalla cima di un masso altissimo la sciocca agnel-la, che incauta vi è salita, sdrucciola al basso dal lato dove è ilburrone e rimane sospesa fra la terra ed il cielo sul fico selvaticoo su un sasso sporgente, bela e non può né salire né scendere: ilpastore l’ode dal basso e si ferma a guardarla e si duole di nonpoterla salvare.

10 L’eremita aveva alzato gli occhi, quando prima lei aveva alza-to la voce chiamando, e pieno di meraviglia inaspettata a manoa mano andava riconoscendola, benché non fosse più fresca erosea: il dolore aveva scolpito in lei un non so che di dolce e vene-rando, senza toglierne l’aspetto antico.

quando sembra restar vedovo il polo,e ne piange nel bosco il rusignuolo. 11

12. Raccolse il vecchio la gemma, e promessea lei di far quanto pregò il suo dire,aggiungendo che in Dio fidanza avesse,qual non fa eterno dei buoni il martire;e ancor seguia, ma l’egra più non resse,e venir men sentendosi, e morire,vacillante ritrassesi; ed immotoei restò, contemplando il balcon vuoto. 12

13. E veggendo che già sull’universostendea la notte i maestosi vanni,fe’ ritorno al tugurio, al caso avversodi lei pensando, e ai non mertati affanni.L’altro dì sorse, ed egli a Dio conversopregollo a ristorar del giusto i danni,

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11 Le eccezionali fattezze apparivano ahi! troppo scadute dallaloro condizione originaria, come è solito l’astro che nel parelioappare opaco e tuttavia ancora mostra l’immagine del sole, o lastella che si scolora sul mare, se l’alba sparge i gigli e le viole,quando il cielo sembra restare vuoto, e l’usignolo ne piange nelbosco.

12 Il vecchio raccolse l’anello, e le promise di fare quanto ilsuo discorso aveva pregato, aggiungendo che avesse fiducia inDio, il quale non fa eterno il martirio dei buoni; e seguitavaancora, ma la malata non resse più, e sentendosi venire menoe morire, si ritrasse vacillante; ed egli restò immobile, contem-plando il balcone vuoto.

dandogli lume onde prestare aitaa lei pria che dovesse uscir di vita. 13

14. Sorgea su bel declivio in piaggia molleedificato l’abituro agreste;eran di pietre i muri, erbose zollecopriano il tetto e tavole conteste;di retro ad esso rivestiano il colleintricate e densissime foreste,e il bianco ostello su quel fondo nerochiaro apparia da lunge al passeggiero. 14

15. Un picciol orticello era alla destra,distinto in bei riquadri a più filari;e in quello difendea siepe silvestrai frutti più alla vita necessari;qui l’eremita avea da fonte alpestraderivati gli umor nutrenti e chiari,e dell’ore del dì, fatto bifolco,quel che all’altar togliea donava al solco. 15

175La Pia. Leggenda romantica

13 E vedendo che la notte già stendeva sull’universo le ali mae-stose, fece ritorno alla sua casupola, pensando alla sventura dilei ed alle sofferenze non meritate. Il giorno dopo si alzò, e rivol-to a Dio lo pregò di porre riparo ai danni del giusto, illuminan-dolo per portare aiuto a lei prima che dovesse uscire di vita.

14 Edificata su un morbido spiazzo, la rustica abitazione sor-geva su un bel declivio; i muri erano di pietre, e zolle erbose etavole intrecciate ricoprivano il tetto; dietro ad esso, foresteintricate e densissime rivestivano il colle, e su quello sfondonero, da lontano, il bianco rifugio appariva nitido al passeg-gero.

15 Sulla destra c’era un piccolo orticello distinto in bei riqua-dri a più filari, ed una siepe boschiva proteggeva in esso i frut-

16. Era a sinistra un prato, e piante foltegli fean ombrella, e circolar serrame:l’avea piantate ei stesso, e venti voltele avea vedute rinnovar le rame;era in mezzo un altare, e di sepoltecreature l’ornava il nudo ossame:eravi sopra un cranio, ed incrociatieran femori e stinchi in tutti i lati. 16

17. Qui il fraticel di quel che fare in forserimase salmeggiando infino a sera,quando nel piano un cavaliero scorse,che galoppando in riva alla riviera,dirittamente a quella volta corse,cercando asilo incontro alla bufera,che parea minacciar pioggie dirotte,già cominciando ad oscurar la notte. 17

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ti più necessari alla vita; qui l’eremita aveva condotto da unafonte di roccia le acque nutrienti e chiare, e quello che delle oredel giorno toglieva alla preghiera, facendosi contadino, lo dedi-cava alla terra.

16 A sinistra c’era un prato, e piante folte gli facevano da ombrel-lo e da recinto circolare: le aveva piantate egli stesso e le aveva visteventi volte rinnovare le foglie sui rami; al centro c’era un altareornato dalle ossa nude di creature sepolte: sopra c’era un cranio, edin tutti i lati c’erano femori e stinchi incrociati.

17 Qui il fraticello, in forse su quel che doveva fare, rimase sal-meggiando fino a sera, quando scorse nella pianura un cavalie-re che, galoppando lungo il fiume, corse diritto in quella dire-zione, cercando rifugio contro la tempesta, che pareva minac-ciare piogge violente, mentre la notte già cominciava ad oscu-rare.

18. In quel tempo i villan spesso vedienoquest’uom d’aspetto torbido, e diverso,dall’arcione al caval lentando il freno,della boscaglia correre a traverso:anelante ha il cavallo il tergo, e il seno,di larghe striscie di sudore asperso,e sempre che lo spron sente alla panciacome locusta celere si slancia. 18

19. Mena le zampe impetuose innanti,e divorar le vie sembra nel corso:scherzan sulla cervice i crin volanti,e balzan flagellando il largo dorso;fumo esalan le nari, e le tremantifibre, e di calde spume inonda il morso;s’alza la polve, e in densa nube il serra,e sotto al calpestio trema la terra. 19

20. Giunto sul monte donde i flutti sozziscopriansi, e del palagio i grigi fianchi,

177La Pia. Leggenda romantica

18 In quel tempo i contadini vedevano spesso quest’uomo diaspetto cupo e strano correre attraverso la boscaglia, allentan-do dalla sella il morso al cavallo: il cavallo ha il dorso anelanteed il petto bagnato di larghe strisce di sudore, ed ogni volta chesente lo sprone alla pancia si slancia veloce come una cavallet-ta.

19 Muove impetuose le zampe in avanti, e nella corsa sembradivorare la via: i crini volanti scherzano sul collo e balzanoflagellando l’ampio dorso; le froge e le fibre vibranti esalanofumo, ed inonda il morso di spuma; la polvere si alza e lo chiu-de in una nuvola densa, e la terra trema sotto il calpestio.

frenava a un tratto il corridore, e mozzidetti gli uscian da’ labbri asciutti e bianchi:e tra i fremiti orrendi e tra i singhiozzigli occhi aggrottati, e già dal pianger stanchitruci rotava, e sull’ostello tetroteneagli fitti, e rifuggiasi a retro. 20

21. E giù correa precipitoso al chino,in balia del destrier tra gorghi e massi;davano l’erbe a lui vitto ferino,e tetto erano i rami e letto i sassi;lo additava tremante il pellegrino,ver l’abitato accelerando i passi;e fu creduto in tal secol ferrignodi quei boschi lo spirito maligno. 21

22. Ringraziò il frate la Pietà celeste,come d’appresso in lui lo sguardo intese,che al torvo sguardo, al viso, ed alla vestequel della Pia lo sposo esser comprese;

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20 Giunto sul monte da cui si vedevano le sozze acque ed ifianchi grigi del palazzo, tratteneva di colpo il cavallo, e dallelabbra asciutte e bianche gli uscivano parole spezzate: e tra i fre-miti orrendi e tra i singhiozzi ruotava truci gli occhi aggrottatie già stanchi del piangere, e li teneva fissi sul tetro palazzo, e sene rifuggiva indietro.

21 E correva a precipizio giù per la china, in balia del cavallo,tra gorghi e massi; le erbe gli davano un vitto selvatico, i rami gliservivano da tetto ed i sassi da letto; il pellegrino lo additava tre-mante, accelerando i passi verso l’abitato; ed in quella età di ferrofu creduto lo spirito maligno di quei boschi.

gli si fe’ innanzi, e d’accoglienze oneste,fattolo dismontar, gli fu cortese:il suo ronzin prima al coperto addusse,poi nel rustico albergo lo introdusse. 22

23. E mentre più si fea la pioggia intensa,e nero e spaventoso il ciel notturno,l’ospite siede, e per la doglia immensachina sul petto il volto taciturno;e il vecchio diessi ad apprestar la mensacoi cibi, frutto del lavor diurno,e della cella nel più atto locodi preparate legna accese un fuoco. 23

24. Arde il giovine crin d’arbori cionchi,e in sospeso lebete urta la vampa,e aperta sotto a quel coi corni adonchil’abbraccia mormorando, e in su divampa:stridon fra i lari i crepitanti tronchi,e abbagliante splendor la cella stampa,

179La Pia. Leggenda romantica

22 Il frate ringraziò la Pietà celeste, non appena fissò da vici-no lo sguardo su lui, perché dallo sguardo torvo, dal viso e dalvestito comprese che quello era lo sposo della Pia; gli andòincontro ed accoltolo con rispetto, fattolo smontare, fu cortesecon lui: prima condusse al coperto il suo cavallo, poi lo feceentrare nel rustico ricovero.

23 E mentre la pioggia si faceva più intensa, ed il cielo nottur-no nero e spaventoso, l’ospite siede e per il dolore immenso chinataciturno il volto sul petto; ed il vecchio si diede a preparare lamensa con i cibi frutto del lavoro diurno, e nel luogo più adattodella cella accese un fuoco di legna preparate.

e fa scoprir sulle pareti umilicroci, figure, e rustici utensili. 24

25. Poi che il cotto legume e il cerealepasto venne sul desco, e d’acqua il vase,che ognun le man vi stese, e il naturaled’esca e bevanda amor spento rimase,disse il vecchio: « Ancor notte alta non sale,né il sonno ancor le nostre membra invase,onde narrar ti vuo’, se alla memoriaben mi ritorna, una leggiadra istoria. 25

26. Su quella via che mena al mar, dov’oggipassasti qui venendo, in piaggia aprica,che giace all’ombra di due verdi poggi,son le reliquie d’una torre antica:ramarri, e gufi or v’han comodi alloggifra l’edre brune, e la pungente ortica,

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24 Arde la giovane chioma di alberi spezzati, e la fiamma urtanel paiolo appeso, ed aperta sotto di esso lo abbraccia, mormo-rando, con i corni acuti, e divampa in su: i tronchi stridono cre-pitanti nel focolare, ed uno splendore abbagliante si stampasulla cella, e sulle umili pareti fa scoprire croci, figure ed uten-sili rustici.

25 Poi che il legume cotto ed il pane ed il vaso dell’acqua ven-nero sulla mensa, ed ognuno vi ebbe stesa la mano, ed il desi-derio naturale di cibo e bevanda rimase sazio, il vecchio disse:« La notte ancora non sale alta, né il sonno ha invaso le nostremembra, sicché, se mi ritorna bene alla memoria, ti voglio rac-contare una bella storia.

e nell’etadi, che già fer passaggio,alloggiamento fu d’un uom selvaggio. 26

27. Vivea di caccia, e sol prendea diletto,mansuefatta l’anima proterva,nel posseder doppio tesoro eletto:un cristallino fonte, ed una cerva;vincea il primo in beltà qual mai più schiettofonte in porfidi sculti si conserva,né forse fu sì bella la fontanache finsero gli Achei sacra a Dïana. 27

28. Dall’ampia volta d’incavata roccia,scabra di spume, e gruppi cristallini,cadea l’onda sonante a goccia a goccianei nativi ricetti alabastrini,e raccolta in profonda erbosa doccia,sotto l’ombra dei platani, e dei pini,tacita e bruna sussurrando givaa nutrir l’erbe, e ad infiorar la riva. 28

181La Pia. Leggenda romantica

26 Su quella via che porta al mare, dove oggi passasti venendoqui, in un luogo aperto, che giace all’ombra di due verdi colline,ci sono i resti di una torre antica: ramarri e gufi vi hanno como-di alloggi tra le edere scure e l’ortica pungente, e nelle età già pas-sate fu l’alloggio di un uomo selvatico.

27 Viveva di caccia e prendeva piacere soltanto, ammansital’anima feroce, nel possedere un doppio tesoro pregiato: unafonte dalle acque cristalline ed una cerva; la prima vinceva inbellezza ogni più limpida fonte che si conserva in porfidi scol-piti, e forse non fu così bella la fontana che gli Achei scolpiro-no sacra a Diana.

28 Dall’ampia volta di roccia incavata, scabrosa per spume egruppi cristallini, l’acqua cadeva sonante a goccia a goccia nei

29. N’era geloso, e non soffria che armentivi appressasser le labbra, o vïatori,ed or godea coi derivati argentidel giardino inaffiar gli arbusti e i fiori,or della calda estate ai dì cocentiristorarsi, bevendo i freschi umori,or dalla caccia reduce, l’immondasudata polve deponea nell’onda. 29

30. Domestica cotanto era la belva,che dalla man di lui prendea pastura,e dove ogni altra timida s’inselva,seco ella stava ad abitar secura:scorrea nel dì per la vicina selva,tornando al chiuso quando il ciel s’oscura,e godea, colla fronte alta e superbadi fiori adorna, carolar sull’erba. 30

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naturali alvei alabastrini, e raccolta in un profondo canaleerboso, sotto l’ombra dei platani e dei pini, silenziosa e brunaandava sussurrando a nutrire le erbe, e ad infiorare la riva.

29 Ne era geloso e non sopportava che armenti o viandanti viaccostassero le labbra, e gli piaceva ora innaffiare gli arboscellied i fiori del giardino con le argentee acque che ne prendeva, oraristorarsi nei giorni della calda estate bevendo le fresche acque;ora reduce dalla caccia deponeva nell’acqua l’immonda polveresudata.

30 La bestia era così domestica che prendeva il cibo dalla suamano; e mentre ogni altra si rifugia timida nella selva, essastava sicura ad abitare con lui: il giorno vagava per il boscovicino, tornando al chiuso quando il cielo si oscura, ed amavadanzare festosa colla fronte alta e superba sull’erba adorna difiori.

31. Di corallo parean due rami grossinon anco usciti dalla man del mastrodel vigilante capo i lucidi ossi,ed era bianco il pel come alabastro,tranne gli snelli piedi alquanto rossie il collo che cingea ceruleo nastro,ov’era scritto negli estremi fiocchi:« Son sacra al mio signor, nessun mi tocchi. » 31

32. Un dì che, stanco, a togliersi l’usbergod’aspro cuoio, e a depor l’asta e la dagariedea con molte prede appese al tergo,vide la belva mansueta e vaga,accosciata anelar fuor dell’albergoper sanguigna nel piè recente piaga,e vide a un tempo intorbidato e bruttoper lorda tabe del bel rivo il flutto. 32

183La Pia. Leggenda romantica

31 I lucidi ossi del vigile capo parevano due grossi rami dicorallo non ancora usciti dalle mani dell’artista, ed il pelo erabianco come alabastro, tranne i piedi snelli alquanto rossi ed ilcollo circondato da un nastro azzurro su cui, nella parte estre-ma dei fiocchi, era scritto: « Sono sacra al mio signore: nessu-no mi tocchi. »

— Nota del Sestini: « Si è fatto rimprovero talvolta ad alcun poeta diaver dato le corna alle cerve. L’autore si crede scusabile dietro l’autorità diPindaro, Ode III. Olim. Strophe XI. Et cursu volucrem, et cornibus aureiscervam; il simile si può vedere in Euripide nell’Ercole, Ver. 376, e in Petrar-ca, Sonetto “Una candida cerva…” » — Gli autori citati dal Sestini sono:Pindaro, Olimpiche, III, 11: « e veloce nel corso e con le corna dorate unacerva »; Euripide, Ercole, 376; Petrarca, Canzoniere, 190, 1–2: « Una can-dida cerva sopra l’erba / verde m’apparve con le corna d’oro ».

32 Un giorno che, stanco, tornava a togliersi la corazza diruvido cuoio ed a deporre la lancia e la corta spada con molteprede appese dietro alle spalle, vide la bestia mansueta e bella

33. Ed ecco un cacciator che sopraggiunge,mentre il suo danno addolorato guarda:un cacciator che albergo avea non lunge,d’invida mente, e d’anima bugiarda;gran serpe che se slunga, e se raggiunge,che fischia, e par che i fior con l’alito arda,dice che visto avea sbucar dal bosco,turbar la fonte, e vomitarvi il tosco. 33

34. E che veduto avea dalla montagnascender, correndo sull’arsiccia sabbia,una bramosa attenuata cagna,fatta tremenda per morbosa rabbia:e la cerva inseguir nella campagna,giungerla e in essa insanguinar le labbia;onde la belva, per li morsi ch’ebbecolto il contagio, in rabbia ita sarebbe. 34

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ansimare accosciata fuori della casa per una ferita fresca e san-guinante alla zampa, e nello stesso tempo vide l’acqua del belruscello intorbidata e brutta per una sozza macchia.

33 E mentre guarda addolorato il suo danno, ecco che soprag-giunge un cacciatore: un cacciatore che aveva dimora non lon-tano, di mente invidiosa e di anima bugiarda; dice che avevavisto un grande serpente che si slunga e si ritrae, che fischia epare che arda con l’alito i fiori, sbucare dal bosco, sconvolgerela fonte e vomitarvi il veleno.

34 E che aveva veduto scendere dalla montagna, correndosulla sabbia arsiccia, un’avida cagna smagrita, resa tremendada rabbia contagiosa, ed inseguire la cerva nella campagna, rag-giungerla, ed insanguinare in essa le labbra; sicché la bestia,contratto il contagio per i morsi che ebbe, sarebbe andata inrabbia.

35. Crede l’incauto, e accendesi di sdegno,e che la fera in rabbia monti ha tema:dà mano a un’asta, e va senza ritegnosopra la imbelle con ferocia estrema;ella non fugge, ed all’amico indegnovolge supplici sguardi, e geme, e trema:l’atterra, ed ella le sanguigne gambedell’ingrato uccisor morendo lambe. 35

36. Al fonte, che credea di velen carco,sterpò col ferro le selvose scene,l’antro percosse, e ruinar fe’ l’arco,e fur sepolte le sorgenti ameneche, trovando all’uscir niegato il varco,tornar neglette alle nascoste vene;così il bel rivo vïolato giacque,e fuor più mai non trapelar quell’acque. 36

37. Poi che solo trovossi, e irrigar l’arsesemente al fonte più non fu concesso,

185La Pia. Leggenda romantica

35 L’incauto crede, e si accende di sdegno, e teme che la bestiavada in rabbia: afferra una lancia e con estrema ferocia vasenza ritegno sulla indifesa; essa non fugge e volge sguardi sup-plici all’amico indegno, e geme e trema: egli l’abbatte, ed essamorendo lambisce le gambe insanguinate dell’ingrato uccisore.

36 Strappò con la spada i fondali boscosi al fonte che credevacarico di veleno, percosse la grotta e fece crollare l’arco, e furo-no sepolte le belle sorgenti che, trovando ostruito il varco peruscire, tornarono trascurate alle vene nascoste; così il belruscello rimase violato, e quelle acque non trapelarono mai piùfuori.

che mancar le ricolte, e ricovrarsenon potè nell’ombrifero recesso,aperto il suo gran danno gli comparse:tardi s’avvide dell’error commesso,e sì gli venne in odio quel soggiornoch’indi partissi, e più non fe’ ritorno. 37

38. E ben fu saggio a non tornar dappoi.Oh! quanto affanno riserbato gli erase udito avesse, come udimmo noi,che a torto fe’ morir l’innocua fera,e il fonte ruppe, e ancise gli arbor suoi,che il cacciator con lingua mensogneraavea tessuto l’inganno esecrando,possesso sì gentil gl’invidïando. » 38

39. Con questo di parabole apparecchioil frate tentò l’ospite, e il compunse;a capo basso ei gli avea dato orecchio,ma quando dell’istoria al termin giunse,levò la faccia, e guardò fiso il vecchioche, commosso scorgendolo, soggiunse:

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37 Poi che si ritrovò solo e non gli fu più concesso irrigare conla fonte le sementi riarse, che mancarono le raccolte e non potéripararsi nel ritiro ombroso, il suo grande danno gli apparvechiaro: si accorse tardi dell’errore commesso e quella dimora glivenne così in odio che se ne partì di là e non vi fece più ritorno.

38 E fu ben saggio a non tornare poi. Oh! quanto affanno gliera riservato se avesse udito, come noi udimmo, che fece mori-re l’innocua bestia e ruppe il fonte e tagliò i suoi alberi a torto,perché il cacciatore con lingua bugiarda aveva tessuto l’ingan-no esecrando, perché gli invidiava un possesso così prezioso. »

« Questa gemma alla cerva ornava il collo. »— e l’anel della Pia tolse, e mostrollo. 39

40. Nello il vide, il conobbe, e si riscosse:« E dove, e quando — volea dir — l’avesti? »E come s’ei sognante egro si fosse,cui fantasma letal si manifestiche a lui qual per gridar fa tutte posse,par che stringa la gola, e il fiato arresti,rimase inerte, e la man che già stesaavea per torlo gli restò sospesa. 40

41. Ma l’altro il tempo colse, e a narrar presecome egli vide a mal termine giuntala relegata donna, e fe’ palesel’ambasceria che da lei fugli ingiunta,e che se pronto a riparar l’offesenon accorrea, la troveria defunta;e aggiunse ch’ei presentimento avea,quasi divin, ch’ella non fosse rea. 41

187La Pia. Leggenda romantica

39 Per mezzo di queste parabole il frate mise alla prova l’ospi-te e lo compunse; egli lo aveva ascoltato a capo basso, ma quan-do giunse al termine della storia, levò la faccia e guardò fisso ilvecchio che, vedendolo commosso, soggiunse: « Questa gemmaornava il collo alla cerva. » E prese l’anello della Pia, e lomostrò.

40 Nello lo vide, lo riconobbe, e si riscosse: « E dove, e quando— voleva dire — lo avesti? » E come se fosse un ammalato acui, mentre sogna, appaia un fantasma mortale che sembristringergli la gola e fermargli il fiato, mentre lui fa ogni sforzoper gridare, rimase inerte, e la mano, che aveva già stesa perprenderlo, gli restò sospesa.

41 Ma l’altro colse il momento ed incominciò a narrare come

42. E che oltre all’esser villania, e bassacosa l’imprigionar bella consorte,era empietà ch’ogni misura passasol per sospetti il darla a certa morte;che se Dio l’innocente perir lassa,gli dà compenso nell’empirea corte,ma il di lui sangue che vendetta gridafa sempre ricader sull’omicida. 42

43. Ond’ei temesse dell’Eterno l’ira,se all’innocente fea soffrir tal’onta,e quel verme che l’animo martira,onde il commesso maleficio sconta.Con tal dir, qual se l’austro estivo spirala neve a scior che brumal vento ammonta,il ghiaccio che cingea quel petto infranse,e al finir del sermon l’ospite pianse. 43

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egli aveva visto giunta a mal termine la donna rinchiusa, e fecepalese il messaggio che gli era stato imposto da lei, e che se nonaccorreva pronto a riparare le offese, la troverebbe morta; edaggiunse che egli aveva un presentimento quasi divino che ellanon fosse colpevole.

42 E che oltre ad essere villania e cosa bassa l’imprigionareuna bella sposa, era empietà che passa ogni misura darla amorte sicura soltanto per dei sospetti; che se Dio lascia perirel’innocente, gli dà compenso nella corte celeste, ma fa semprericadere sull’omicida il suo sangue che grida vendetta.

— La corte celeste è il paradiso.43 Sicché, se faceva soffrire tale vergogna all’innocente, egli

temesse l’ira dell’Eterno e quel verme che tormenta l’animo concui esso sconta il mal fatto. Con tale discorso, come se il ventoaustrale estivo spira a sciogliere la neve che un vento invernale

44. Ed: « O padre — dicea — sa il Ciel se mi angelo stato di colei che uccido ed amo,ma l’onor mio che maculato piangemi vieta salvar lei, che salva bramo;crudel m’appella, e fa’ se il puoi ch’io cangeconsiglio, ond’ella viva, io sia men gramo;ciò desìo, quanto duolmi che tu dica ch’io non sia giusto, e ch’ella sia pudica. 44

45. Creder non posso io già, che dell’oppostoho contezza, e questi occhi il sanno a prova.Mi odi, e linguaggio cangerai ben tosto.Pubblico fallo mascherar che giova?Tu che nei boschi, agli uomini nascosto,sol prendi cura della vita nuova,udito forse non avrai che volleIddio sconfitto il nostro campo a Colle. 45

189La Pia. Leggenda romantica

accumula, infranse il ghiaccio che cingeva quel petto, ed alfinire del sermone l’ospite pianse.

— Il verme è il rimorso che tormenta il colpevole.44 E diceva: « O padre, sa il Cielo se mi angoscia lo stato di

colei che uccido ed amo; ma il mio onore, che piange macchia-to, mi vieta di salvare lei che bramo salva; chiamami crudele efa’, se lo puoi, che io cambi parere, sicché ella viva ed io siameno infelice; desidero questo quanto mi duole che tu dica cheio non sia giusto e che ella sia casta.

45 Certo non posso crederlo io, perché ho conoscenza delcontrario, e questi occhi lo sanno per prova. Ascoltami ecambierai ben presto linguaggio. A che giova mascherare unacolpa notoria? Tu che nei boschi, nascosto agli uomini, tiprendi cura soltanto della vita eterna, forse non avrai uditoche Dio volle il nostro esercito sconfitto a Colle.

— Nota del Sestini: « Della rotta dei Sanesi a Colle fa mensioneDante, Pur. Can. 13. » — La battaglia di Colle di Val d’Elsa, che pose fine

46. Tu dei saper che al mal governo tolti,che orbò cotanti cittadini lari,pochi, e a mal termin rimanemmo, e voltifummo di fuga vil nei passi amari,e il terror ne incalsò finché raccoltidella città non fummo entro ai ripari;quivi io credea dal mio dolce tesaurodi tanti mali in parte aver restauro. 46

47. Ma quanto falla chi si persuase nella certezza dello ben futuro!Provvidi, pria d’andarne alle mie case,che fosse la natia terra in sicuro;e poi che queta la città rimasesotto lo schermo del munito muro,mossi verso l’albergo, allor che taceogn’opra, e il mondo si compone in pace. 47

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al governo ghibellino in Siena e che in effetti viene ricordata da Dante,Purgatorio, XIII, 113–119, ebbe luogo l’8 giugno 1269. Ma il ricordoche, in tutt’altro contesto, Dante fa di quella cruenta battaglia non giu-stifica in alcun modo la connessione che per primo il Sestini, nonDante, pone tra la battaglia di Colle e la tragedia di Pia da Siena, la cuimorte viene pertanto dal Sestini, non da Dante, datata al 1269.

46 Tu devi sapere che sottratti al cattivo governo che vuotòcosì tanti focolari cittadini, restammo pochi e ridotti a mal ter-mine, e fummo volti nei passi amari di vile fuga, ed il terrore ciincalzò finché non fummo raccolti dentro i ripari della città; quiio credevo di avere in parte ristoro di tanti miei mali dal miodolce tesoro.

47 Ma quanto sbaglia chi si persuase della certezza del benefuturo! Prima di andare alle mie case, provvidi che la terranatale fosse al sicuro; e poi che la città rimase quieta sotto laprotezione delle mura difese, mi mossi verso casa, nel momen-to in cui ogni opera tace, ed il mondo si ricompone in pace.

48. E giunto al limitar, Ghino, un amicousato in mia magion, venirne veggio:l’abbraccio memor dell’affetto antico,e della Pia novella gli richieggio;ed ei risponde: « A te dorrà, s’io dico;ma l’amistade è tal, che dire io deggio.Sappi che tua mogliera, il primo lacciomacchiando, altrui di furto accoglie in braccio. » 48

49. Pensa qual penosa ira, e qual vergognami prese; ma il tenor di quegli accentiparvemi aver tal faccia di menzogna,che ardito dissi: « Per la gola menti! »Ed a rincontro ei fattami rampognad’ingiurïar chi svela i tradimenti,s’offerse di mostrar, pria che dall’ortosorgesse il sol, che m’era fatto torto. 49

191La Pia. Leggenda romantica

— Questo preoccuparsi per la sicurezza della città, che sembra asse-gnare a Nello un ruolo di primaria importanza in Siena, porterà alcunicontinuatori del Sestini ad identificare Nello con Provenzan Salvani, ilcapo del governo ghibellino senese, senza peraltro riflettere al fatto che,essendo stato ucciso nella battaglia di Colle, egli non avrebbe potuto ucci-dere successivamente sua moglie.

48 E giunto nei pressi, vedo venirne Ghino, un amico abitua-le in casa mia; memore dell’antico affetto lo abbraccio e gli chie-do notizia della Pia; ed egli risponde: « A te dorrà, se parlo; mal’amicizia è tale che devo parlare. Sappi che tua moglie, mac-chiando il primo legame, di nascosto accoglie altri in braccio. »

49 Pensa quale ira penosa e quale vergogna mi prese; ma ilcontenuto di quelle parole mi parve avere tale aspetto di men-zogna che ardito dissi: « Menti per la gola! » Ed egli in risposta,dopo avermi fatto il rimprovero di ingiuriare chi svela i tradi-menti, si offrì di mostrare, prima che il sole sorgesse da oriente,che mi veniva fatto torto.

50. Col viso smorto, e il tremito ai ginocchi,con bocca amara, e con parlare incertorispondo che, se porre innanzi agli occhimi saprà della sposa il frodo aperto,non sol l’amistà sua farà ch’io tocchicon man, ma sempre gliene avrò buon merto;e più dicea, ma fe’ restarmi a mezzoquasi di febbre un gelido ribrezzo. 50

51. Vietò ch’io gissi nell’albergo infido,ove niun m’attendea fino al mattino,nella contrada essendo corso il gridoch’io fossi ito a spiar l’oste vicino,e mi appostò d’un suo parente fidonella magion rimpetto al mio giardino,il qual risponde in segregata strada,ove la notte alcun raro è che vada. 51

52. Qui stando ad aspettar che l’ora giugna,che del mio danno testimon mi renda,dico fra me: « Va’ dunque in guerra, e pugna,

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50 Con il viso smorto ed il tremito ai ginocchi, con boccaamara e con parlare incerto rispondo che se saprà pormi aper-to davanti agli occhi l’inganno della sposa, non solo farà che iotocchi con mano la sua amicizia, ma gliene avrò sempre buonmerito; e dicevo altro, ma mi fece restare a metà un gelidoribrezzo come di febbre.

51 Vietò che io andassi nella dimora infida, dove nessuno miattendeva fino al mattino, essendo corsa nella contrada la voceche io fossi andato a spiare il nemico vicino; e mi fece apposta-re nella casa di un suo parente fidato, dirimpetto al mio giardi-no, il quale dà su una strada appartata, dove è raro che la nottevada qualcuno.

e spargi sangue, e mena vita orrendaper tor le spose del nemico all’ugna,ond’ei la fama lor non vilipenda,se turpe offesa ed abominio immensodelle fatiche è il frutto, ed il compenso! 52

53. O beati color che d’onoratepiaghe coperti cader vidi estinti!Quant’era meglio l’ossa aver lasciatefra l’ossa dei fratei morti e non vinti,che tornar soli alla natia cittatee in ella i volti di terror dipintinon poter serenar, narrando i casidi quei che alla campagna eran rimasi. 53

54. Oh! quanto meglio era per me se avessichiuse le luci tra i fratelli miei,onde vivo a mio scorno non dovessiveder tra poco l’empietà di lei. »Questo io volgea tra sospir tronchi e spessi,

193La Pia. Leggenda romantica

52 Qui, mentre aspetto che giunga l’ora che mi renda testimo-ne del mio danno, dico tra me: « Va’ dunque in guerra, e com-batti, e spargi sangue, e conduci vita orrenda per togliere lespose dalle unghie del nemico, affinché egli non offenda la lorofama, se il frutto ed il compenso delle fatiche è un’offesa vergo-gnosa ed un’infamia immensa!

53 O beati coloro che vidi cadere morti, coperti di ferite onorate!Quanto era meglio aver lasciato le ossa fra le ossa dei fratelli mortie non vinti, che tornare da soli alla città natale, ed in essa nonpoter rasserenare i volti dipinti di terrore, narrando i casi di quel-li che erano rimasti sul campo!

e quasi di dolor morto sarei,se di speranza una lontana stellanon mi reggea nella crudel procella. 54

55. Giunta la mezza notte odo repenteun romor di persona che s’avanza:tosto da quella parte pongo mente,e apparir veggo un lume in lontananza,che fa gran tratto della via lucente,e d’un uom mi discopre la sembianza,che il porta in cavo vetro, ed è ravvoltonel mantel fino alla metà del volto. 55

56. Del giardin giunto all’entrata, in dispartesi alluoga, e fa dei convenuti segni;allor dal mio palagio alcun si parte,e fra l’ombra sui fior di brina pregnivien pel vial frondoso a quella parte;qui del ferreo cancel volge gli ordegni,e lo spalanca: rigido stridore

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54 Oh! quanto sarebbe stato meglio per me se avessi chiuso gliocchi tra i miei fratelli, sicché, vivo per mio scorno, non doves-si vedere tra poco la sua empietà. » Queste cose io rigiravo trasospiri spezzati e frequenti, e sarei quasi morto di dolore, se unalontana stella di speranza non mi reggeva nella crudele tempe-sta.

55 Giunta la mezzanotte odo improvviso un rumore di perso-na che si avvicina: faccio subito attenzione a quella parte, evedo apparire in lontananza un lume che illumina gran trattodella via e mi scopre l’aspetto di un uomo, che lo porta in unvetro concavo ed è ravvolto nel mantello fino a metà del volto.

dai cardini esce, e mi dilania il core. 56

57. Ma il buio ancor non fa ch’io ben discernachi sia: sol biancheggiar vedo una gonna;ma ratto salta nella parte internaquel che fuor si addoppava a una colonna,ed alzando la splendida lanternafa il volto rischiarar della mia donna:la riconosco, e d’ambo scorgo il doppioamplesso, e fin de’ baci odo lo scoppio. 57

58. Arsi a tal vista, e la man corse all’armi,e per essi assalir la strada io presi,ma Ghino mi trattenne, e fe’ restarmi;e il potea far, però che quando io chiesidi veder l’opra iniqua, ei fe’ giurarmiche non gli avrei per conto alcuno offesi,e che alla Pia non avrei fatto motto

195La Pia. Leggenda romantica

56 Giunto all’entrata del giardino, si colloca in disparte e fa deisegni concordati; allora qualcuno parte dal mio palazzo e fral’ombra, sui fiori del giardino pregni di brina, viene per il vialealberato verso quella parte; qui gira i congegni del ferreo can-cello e lo spalanca: un rigido stridio esce dai cardini e mi dila-nia il cuore.

57 Ma il buio ancora non fa che io veda bene chi sia: vedo sol-tanto biancheggiare una gonna; ma quello che stava fuori die-tro una colonna salta veloce nella parte interna, ed alzando lalanterna splendente rischiara il volto della mia donna: la rico-nosco, e scorgo il doppio abbraccio di entrambi, ed odo perfinolo scoppio dei baci.

di quanto egli a mirar m’avea condotto. 58

59. Ma non di proferito giuramentoreligïon temuta mi trattenne;forse lo sdegno, ch’ogni sentimentomi vinse, inerme il mio voler contenne,e sì mi conturbò, che in quel momentonon so dell’infedel coppia che avvenne;e quando poi d’essi spiar nel brunoaere volli, più non v’era alcuno. 59

60. Di più non sopravvivere all’ingrataingiuria fo proposito, e mi accingoa ritornar nel campo, disperatamorte cercando in glorïoso arringo,e per chieder licenza, onde a giornatavenir di nuovo, i passi incerti spingoove i padri a consiglio tuttaviaeran nell’aula della signoria. 60

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58 Arsi a tal vista, e la mano corse alle armi, e presi la stradaper assalirli, ma Ghino mi trattenne e fece fermarmi; e lo pote-va fare, perché, quando io chiesi di vedere l’azione iniqua, eglimi fece giurare che non li avrei feriti per alcun motivo, e che allaPia non avrei fatto parola di quanto egli mi aveva condotto avedere.

59 Ma non mi trattenne la temuta sacralità del giuramentopronunciato; forse fu lo sdegno, che mi vinse ogni sentimento,quello che contenne inerme il mio volere, e mi turbò così tantoche non so cosa avvenne in quel momento della coppia infede-le; e quando poi volli spiare di essi nell’aria imbrunita, nonc’era più alcuno.

60 Faccio proposito di non sopravvivere oltre all’offesa dell’in-

61. E giunto della piazza in sul principio,della piazza che al suol cavo si adegua,partir veggio i senior del municipio,e un corrier che inviato si dilegua;salgo a palazzo, e ascolto da un mancipioche nella notte istessa avean la treguapattuita con l’oste; e tolto il mezzom’è di render la vita a nobil prezzo. 61

62. Questo intoppo mi fe’ cambiar consiglio,e un gel mi serpeggiò per le midolle:l’impeto cessa, e penso che m’appiglioa compier opra mal’accorta e folle;quasi dell’error mio mi meraviglio,che se un giuro punirla appien mi tolle,e licito non è che omai l’uccida, posso almen far che del mio mal non rida. 62

197La Pia. Leggenda romantica

grata, e mi accingo a ritornare al campo, cercando morte dispe-rata in uno scontro glorioso; e per chiedere il permesso di veni-re di nuovo a battaglia, spingo i passi incerti dove i senatorierano tuttora a consiglio nell’aula della signoria.

— Il termine padri del settimo verso traduce il termine patres (con-scripti) con cui in Roma antica venivano indicati i senatori.

61 E giunto all’inizio della piazza, la piazza che si adegua alsuolo concavo, vedo partire gli anziani del municipio, ed uncorriere che inviato si dilegua; salgo a palazzo, ed ascolto da unservo che quella stessa notte avevano pattuito la tregua con ilnemico; così mi è tolto il mezzo di rendere la vita a nobile prez-zo.

— La piazza che si adegua al suolo concavo è Piazza del Campo.62 Questo ostacolo mi fece cambiare parere, ed un gelo mi ser-

peggiò per le ossa: l’impulso cessa, e rifletto che mi accingo acompiere un’opera incauta e folle; quasi mi meraviglio del mio

63. Deliberato di mostrar fierezza,quanto ogni gran nemico di pietate,di quel rigor che gli altrui danni sprezza,revocato da me sol nelle armate,armo l’anima amante, e non avvezzaa resistere incontro alla beltate;e inflessibil già fatto, in fronte accolgoritrosa calma, e alla magion mi volgo. 63

64. Ma il crederesti? oh! spirito mendacedel sesso femminil che l’uomo inganna!Nel talamo entro, ove ognun dorme e tace:la Pia sol odo, e il mio tardar l’affanna;sorge, me visto, e in lagrime si sface,e la soverchia assenza mia condanna;mentiti intanto abbracciamenti io prendosimulando, e mentiti altri ne rendo. 64

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errore, perché, se un giuramento mi vieta di punirla pienamen-te ed ormai non è lecito che l’uccida, posso almeno fare che nonrida del mio male.

63 Deciso a mostrare fierezza come ogni grande nemico dellapietà, armo l’anima innamorata e non abituata a resisteredavanti alla bellezza con quel rigore, che disprezza i dannialtrui, da me richiamato soltanto negli eserciti; e reso ormaiinflessibile, accolgo sul volto una calma reticente, e mi dirigoalla casa.

64 Ma lo crederesti? oh! spirito mentitore del sesso femminileche inganna l’uomo! Entro nella stanza nuziale dove ognunodorme e tace: odo soltanto la Pia, ed il mio tardare le procurapena; vistomi, si alza e si scioglie in lacrime, e condanna la miaeccessiva assenza; intanto, fingendo, io prendo falsi abbracci ene rendo altri falsi.

65. E chi potria ridir come composee lusinghe, e melate parolette:come narrò il dolor delle affannosenotti, in cui sola da me lungi stette!Chi non avrebbe in ascoltar tai cosefatte in un punto sol mille vendette?Pur la vita non tolsi alla ribalda,e non sapea di aver virtù sì salda. 65

66. Allora isveglio la famiglia, e dicoche mi sieno allestiti due cavalli,che mentre poste l’armi ha l’inimico,a tor nuovi sussidi, e armar vassallicon la Pia debbo andarne al nostro anticocastel, che dell’Etruria è nelle valli;ella mi ascolta, e con sereno aspettomostra del voler mio far suo diletto. 66

67. Partiam soletti, e lungo il campo ostilesotto l’ombra passiam dei padiglioni;risuona il vallo di lavor fabrile,e d’altri mille bellicosi suoni:

199La Pia. Leggenda romantica

65 E chi potrebbe ridire come compose e lusinghe e dolci paro-line: come narrò il dolore delle notti angosciose in cui stettesola, lontana da me! Chi nell’ascoltare tali cose non avrebbefatte mille vendette con un colpo solo? Pure non tolsi la vita allascellerata, e non sapevo di avere una virtù così salda.

66 Allora sveglio la servitù, e dico che mi siano preparati duecavalli, perché, mentre il nemico ha deposto le armi, devo anda-re con la Pia al nostro antico castello che è nelle valli dell’Etru-ria, per trarne nuovi aiuti ed armare vassalli; ella mi ascolta, econ aspetto sereno mostra che fa suo piacere del mio volere.

là si fan torneamenti, e qua le files’addestran de’ cavalli e de’ pedoni,e recano le carra, ed i giumentiviveri ai numerosi alloggiamenti. 67

68. E chi delle venute vettovagliesulla verdura apppresta le vivande;chi fa trabacche, e chi l’aduste paglie,per giacersi all’asciutto, in terra spande;chi rivede cimier, chi aggiusta maglie,chi fa la sentinella in sulle bande:scorron per tutto i duci, e il campo ferveal moto delle belliche caterve. 68

69. Quanto guerriero popolo! che fioredi gioventù! che valorosa gente!Questi soli potean del Redentoreritor la tomba ai re dell’orïente!Ma per fato l’italico valoresolo in pugna civil splende al presente.

BARTOLOMEO SESTINI200

67 Partiamo da soli, e passiamo lungo l’accampamento nemi-co, sotto l’ombra delle tende; il campo risuona del lavoro deifabbri e di mille altri suoni di guerra: là si fanno tornei e qua siaddestrano le schiere dei cavalli e dei pedoni, ed i carri ed i giu-menti portano viveri ai numerosi alloggiamenti.

68 E chi sull’erba prepara il pasto con i viveri arrivati, chi fabaracche, e chi spande in terra le paglie secche per riposarsiall’asciutto; chi controlla elmi, chi ripara maglie, chi fa la sen-tinella sui lati; i capi si spostano da per tutto, ed il campo ferveper le attività delle guerresche moltitudini.

Se ne vien questo dalle proprie mani,perché lagnarsi degli assalti estrani? 69

70. Oltre passando, valichiam le scarsedell’umil Tressa limpidissime onde;da lunge Radicofani comparsecoi balzi d’erbe poveri e di fronde,e verso le sue roccie acute ed arsevedemmo spiagge di viti feconde:in mezzo ad esse il verde monte siedea cui la fata Alcina il nome diede. 70

71. Le ville dal pinifero arboscellodette perdiam di vista andando al basso;ecco di Macereto il ponticelloche unisce sulla Marsa il rotto masso;questa è la Farma, lucido ruscello,che torto va con strepitoso passo;ecco il torbido Ombron, che mal si varca:qui, ristorati, traghettiam la barca. 71

201La Pia. Leggenda romantica

69 Quanto popolo guerriero! che fiore di gioventù! che gentevalorosa! Questi soli potevano ritogliere ai re dell’oriente latomba del Redentore! Ma per destino il valore italico al presen-te risplende soltanto in guerre civili. Se questo ci viene dalle pro-prie mani, perché lagnarci degli assalti stranieri?

70 Passando oltre, valichiamo le scarse, limpidissime, acquedell’umile Tressa; di lontano comparve Radicofani con i dirupipoveri di erbe e di alberi, e verso le sue rocce acute e riarsevedemmo distese feconde di viti: in mezzo ad esse siede il verdemonte a cui la fata Alcina diede il nome.

— Questo monte è Montalcino.71 Andando verso il basso, perdiamo di vista le ville che pren-

dono il nome dalla pianta di pino; ecco il ponticello di Macereto

72. E il dì già del meriggio i segni ha scorsi,e ancora al destro, ed al mancino latol’ispido monte appar nido degli orsi,e quel dal sasso inferïor nomato;qui le rovine di Soana scorsi,e più lontan Grosseto spopolatonei campi inospitali ed insalubri,di nottole ricetto e di colubri. 72

73. E mentre cala il sol, caliamo a valle,e cavalcando verso la marinadi Santa Fiora, a noi resta alle spallela gran montagna che col ciel confina;giunti al più largo, e riposato calle,inattesa su noi notte declina,e son costretto di pigliare alloggioin un povero albergo a piè d’un poggio. 73

BARTOLOMEO SESTINI202

che sulla Marsa unisce la pietra rotta; questa è la Farma, limpi-do ruscello, che corre tortuoso con passo rumoroso; ecco il fan-goso Ombrone che si varca con difficoltà: qui, ristoratici, attra-versiamo con una barca.

72 Ed il giorno ha già passati i segni del mezzogiorno, e sullato destro ancora si vede l’ispido monte nido degli orsi, e sullato sinistro quello che prende nome dal sasso inferiore: quiscorsi le rovine di Soana e più lontano Grosseto spopolato, neicampi inospitali ed insalubri, rifugio di pipistrelli e di serpenti.

73 E mentre cala il sole, caliamo a valle, e cavalcando verso lamarina di Santa Fiora, ci resta alle spalle la grande montagnache confina con il cielo; giunti al sentiero più largo e riposato,la notte discende inattesa su di noi, e sono costretto a prenderealloggio in un povero albergo ai piedi di una collina.

— La grande montagna che confina con il cielo è il Monte Amiata. —Benché queste indicazioni relative al percorso compiuto siano approssi-

74. E come era ristretto il loco molto,sendovi un letto sol pei passeggieri,fui con la Pia dal letto stesso accolto,e quivi amor mi vinse di leggieri:fuor di me, le baciai più volte il volto,e al petto me la strinsi volentieri,e per poco scordai la sua mancanza,e fu per vacillar la mia costanza. 74

75. E mentre mi abbandono ai dolci amplessi,e ad un diletto che sarà l’estremo,del giardino i colpevoli recessitornanmi a mente, onde mi scuoto e fremo,e quasi fra le braccia un serpe avessi,mi si drizzan le chiome, e di me temo:

203La Pia. Leggenda romantica

mate e non sempre identificabili con esattezza, esse sono tuttaviasufficienti a chiarire che Nello e Pia escono da Siena per andare non versosud–ovest, cioè verso Castel di Pietra, ma verso sud–est, cioè verso Bolse-na, percorrendo una di quelle varianti che, lungo il tracciato dell’anticavia Cassia, costituivano allora nel loro insieme la via Francigena. Delresto, già l’anonimo autore della Notizia sulle Maremme toscane, premes-sa alla riedizione di B. Sestini, La Pia. Leggenda romantica, Firenze, Chia-ri, 1846, p. 33, nota 1, aveva avvertito che il luogo, in cui il Sestini condu-ce la Pia, è molto diverso dal Castel di Pietra, e che la strada percorsa daPia e Nello è molto diversa da quella che dovrebbe fare per recarvisi chipartisse da Siena.

74 Ed essendoci soltanto un letto per i viandanti, perché illuogo era molto stretto, fui accolto con la Pia dallo stesso letto,e qui amore mi vinse facilmente: fuori di me, le baciai più volteil volto e me la strinsi volentieri al petto, e per un poco dimen-ticai la sua mancanza, e la mia costanza fu sul punto di vacil-lare.

balzo in terra, e com’uom dal mar scampatomi volgo al letto insidïoso, e guato. 75

76. Con mendicate scuse persuadocolei che cede alla stanchezza, e dorme;e quel loco ove già fui mio malgradoper cader, mi spaventa in mille forme,e impetuosamente fuggo, e vadoa cielo aperto sopra l’erbe a porme,e sto vegliando tra la densa frascaad aspettar che il nuovo dì rinasca. 76

77. E volgo i fianchi, e pianger tento, e scherminon trovo incontro all’indefesso affanno;cerco illudermi, e penso che può avermifatto l’aere scuro, o Ghino, inganno;ma in van consiglia il cor, gli occhi son fermia far testimonianza del mio danno:

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75 E mentre mi abbandono ai dolci abbracci e ad un piacereche sarà l’ultimo, mi tornano in mente i colpevoli nascondiglidel giardino, sicché mi scuoto e fremo, e quasi fra le bracciaavessi una serpe, mi si drizzano i capelli e temo di me: balzo interra, e come uomo scampato dal mare mi volgo al letto insi-dioso, e guardo con terrore e sospetto.

76 Con scuse trovate a stento, persuado colei che cede allastanchezza e si addormenta; e quel luogo, in cui mio malgradoero stato sul punto di cadere, mi spaventa in mille forme, efuggo impetuosamente, e vado a mettermi a cielo aperto sull’er-ba, e sto aspettando tra le folte frasche che rinasca il nuovogiorno.

tumultua il sangue, e tra di me con balbabocca parlo, e non dormo, e giunge l’alba. 77

78. E la Pia desto, e col favor del nuovogiorno al castel giungiam. Sorte che sonol’ombre, opportuno all’opra il tempo trovo,e ignara mentre dorme l’abbandono:lascio in custodia il castellano, e muovoper far ritorno onde partito sono,ma fuggo invan la cura, ch’or m’intoppadavante, or del caval la sento in groppa. 78

79. E sì com’era di me stesso uscito,uscii di strada, e da una forza ascostafui costretto a vagar pel vicin lito,pria di ridurmi alla paterna costa;sempre vita peggior trassi, e infinitoduolo il punirla anche a ragion mi costa,

205La Pia. Leggenda romantica

77 E giro i fianchi, e tento di piangere, e non trovo riparo con-tro l’instancabile affanno; cerco di illudermi e penso che puòavermi fatto inganno l’aria scura o Ghino; ma il cuore consigliainvano: gli occhi sono fermi a fare testimonianza del miodanno; il sangue tumultua, e parlo tra me con bocca balbettan-te, e non dormo, e giunge l’alba.

78 E sveglio la Pia, e con il favore del nuovo giorno giungiamoal castello. Sorte che sono le ombre, trovo il momento adattoall’opera e, mentre ignara ella dorme, l’abbandono: lascio acustodia il castellano, e mi muovo per tornare là donde sonopartito; ma fuggo invano l’angoscia, che ora mi urta davanti edora la sento in groppa al cavallo.

ed or mi è dolce, bench’io rea la creda,il trovar chi per lei grazia interceda. » 79

80. Qui tace, e sembra che argomenti chieggiadall’altrui carità, dalla dottrina,che sien sproni al suo spirito, che ondeggia,e per se stesso a perdonar s’inchina:gli par che al mal di lei modo por deggia,tanto il misero amò quella tapina,tanto sui bassi affetti avvien che s’ergaamor, se è grande, e in cor gentile alberga. 80

81. Pensando il frate stettesi alcun pocosull’umana miseria, e volti ai cieligli occhi, e tratto un sospir, da chiuso locofuori il libro traea degli Evangeli:l’aperse investigando, e aggiunti al fuocomolte d’irsute ariste aridi steli,l’espose al lume della lampa, e in basso,poi che il ciglio aguzzò, lesse tal passo. 81

BARTOLOMEO SESTINI206

79 E come ero uscito da me stesso, così uscii di strada e fuicostretto da una forza misteriosa a vagare per la vicinaspiaggia, prima di tornare alla collina paterna; trascinai unavita sempre peggiore, ed il punirla, anche a ragione, mi costaun dolore infinito; ed ora, benché io la creda colpevole, mi èdolce trovare chi interceda grazia per lei. »

80 Qui tace e sembra che dalla carità e dalla dottrina altruichieda ragioni che siano di sprone al suo spirito che ondeggia eche per se stesso inclina a perdonare: gli pare che debba porreun limite al male di lei, tanto il misero amò quella infelice,tanto avviene che amore si innalzi sugli affetti bassi, se è gran-de ed abita in un cuore gentile.

81 Il frate rimase un poco pensando alla miseria umana, ed

82. Era scritto in latin, perché la Chiesacattolica santissima di Roma,onde di Cristo la parola offesanon fosse col mutar dell’idïoma,divieto fea ch’ella non fosse resanella favella, che vulgar si noma:favella che, del Lazio al tronco inserta,fea risuonar l’Italia ancor deserta. 82

83. E il placid’Arno del sermon canoroil primo fior nutria tra i propri gigli,e superbo volgendo arene d’oro,sentia la gloria dei futuri figli;oggi a matrona, il cui primier decorodisparve e la beltà, par che somiglicostei che, ricca e bella ancor fanciulla,allattò mille cigni in aurea culla. 83

207La Pia. Leggenda romantica

alzati gli occhi al cielo, ed emesso un sospiro, tirava fuori da unposto chiuso il libro dei Vangeli: lo aprì cercando, ed aggiunti alfuoco molti aridi steli di ispide erbe, lo espose alla luce dellafiamma, ed in basso, poi che ebbe aguzzato gli occhi, lesse talepasso.

82 Era scritto in latino, perché la santissima Chiesa cattolicadi Roma, affinché la parola di Cristo non fosse offesa con ilmutare del linguaggio, faceva divieto che essa fosse tradottanella lingua che si chiama volgare: lingua che, innestata sultronco del Lazio, faceva risuonare l’Italia ancora deserta.

83 Ed il placido Arno, volgendo superbo arene dorate, presen-tiva la gloria dei figli futuri e nutriva tra i propri gigli il primofiore della lingua sonora; costei che, ricca e bella ancora fan-ciulla, allattò in culla dorata migliaia di poeti, oggi pare chesomigli ad una matrona il cui decoro e beltà originari scom-parvero.

84. Né solo allor fioria, perché presentela madre avesse non ben anco estinta,o perché fatta di straniera gentedruda non era, o dall’usanza vinta,ma perché allor degli uomini la menteera alte cose a concepire accinta,né v’eran quei che sull’ingiusta lancefanno alle cose prevaler le ciance. 84

85. Ma ritornando ad ordinar la teladel bel racconto abbandonato, dicoche ancor vivea di Tullio la loquela,benché non schietta come al tempo antico,e ogn’uom di non mendica parentela,e non affatto del saper nemico,l’avea familïar così che il testofu inteso, e acconcio al nostro eloquio è questo.85

BARTOLOMEO SESTINI208

— I gigli sono il simbolo di Firenze e la lingua sonora è la lingua ita-liana: la lingua « del bel paese là dove ’l sì suona », dice Dante, Inferno,XXXIII, 80.

84 Né allora fioriva soltanto perché avesse presente la madrenon ancora morta del tutto, o perché non era diventata l’aman-te di genti straniere o vinta dalla usanza, ma perché allora lamente degli uomini era impegnata a concepire cose importanti,e non c’erano quelli che sulla ingiusta bilancia fanno prevalerele ciance sulle cose.

— La madre della lingua italiana è la lingua latina.85 Ma ritornando a tessere la tela del bel racconto abbando-

nato, dico che ancora viveva la lingua di Tullio, anche se nonpiù pura come al tempo antico, ed ogni uomo che non fosse difamiglia misera e non del tutto nemico del sapere, l’aveva cosìfamiliare che il testo fu compreso, ed adattato alla nostra linguaè questo.

86. « E a Gesù volto al Tempio, i fariseie gli scribi un’adultera mostraro,e ponendola in mezzo: « Or or costeiin adulterio colta fu! » — sclamaro;« Or le mosaiche leggi a noi Giudei,che si lapidin queste comandaro. »E seguian per tentarlo, e corre il destrodi fargli accusa: « Che ne di’, maestro? » 86

87. Così tendeano allo divin figliuolocon tai dimande insidia manifesta;ma col dito scrivendo egli nel suolo,in giù mirava, e propendea la testa;e sorgendo di poi, disse allo stuolo,che pertinace ripetea l’inchiesta:« Chi senza pecca fra di voi si stima,scagli contro costei la pietra prima. » 87

209La Pia. Leggenda romantica

— La lingua di Tullio è il latino, essendo Tullio il nome di Marco TullioCicerone (104–43), il grande oratore e scrittore latino.

86 « Ed a Gesù diretto al Tempio i farisei e gli scribi mostraro-no un’adultera e ponendola in mezzo, esclamarono: « Costei èstata or ora colta in adulterio! Ora le leggi mosaiche hannocomandato a noi Giudei che queste siano lapidate. » E per ten-tarlo, e cogliere l’occasione di accusarlo, continuavano: « Chene dici, maestro? »

— Per le leggi mosaiche relative alla punizione degli adulteri, vedi laBibbia, Levitico, 20, 10; Deuteronomio, 22, 22.

87 Così, con tale domanda, tendevano un’insidia evidente aldivino figliolo; ma egli, scrivendo con il dito sul terreno, guar-dava in basso e chinava la testa; e poi, raddrizzandosi, disse algruppo: « Chi tra voi si considera senza peccato, scagli la primapietra contro costei. »

88. E di nuovo chinandosi, col ditosulla terra scrivea; ma partian quegliche di Cristo il responso aveano udito,ad uno ad uno, e precedeano i vegli;restar Cristo e la donna, e in piè salito,a lei che in mezzo stava ancor, diss’egli:« La gente che t’accusa or dove è ita?Nessun la tua condanna ha proferita? » 88

89. Ed ella: « Niun, rispose, o Signor mio. »« Né avrai da me condanna — il Signor disse —più non peccare, e vattene con Dio. »Tal’era il passo che Giovanni scrisse;e qual padre che assolve il figliuol rio,membrando quanto in terra un Dio patissepei figli rei cui volentier perdona,Nello a quella lettura ascolto dona. 89

BARTOLOMEO SESTINI210

88 E chinandosi di nuovo, scriveva con il dito sulla terra; maquelli che avevano sentito la risposta di Cristo partivano ad unoad uno, ed i vecchi andavano avanti; rimasero Cristo e ladonna, ed alzatosi in piedi, egli disse a lei, che ancora stava inmezzo: « La gente che ti accusa dove è andata ora? Nessuno hapronunciato la tua condanna? »

89 Ed ella rispose: « Nessuno, o mio Signore. » Ed il Signoredisse: « Né sarai condannata da me. Non peccare più e vattenecon Dio. » Tale era il passo che Giovanni scrisse; e come padreche perdona il figliolo colpevole, perché ricorda quanto Diopatisse in terra per i figli colpevoli ai quali perdona volentieri,Nello presta ascolto a quella lettura.

— Per il passo evangelico parafrasato dal Sestini, vedi la Bibbia, Van-gelo secondo Giovanni, 8, 2–11.

90. Ma d’abbagliante luce ecco un torrente,scoppia un gran tuon che altissimo rimbomba,par che le sfere squarci lo stridentefolgor che d’alto strepitando piomba:i mari e i monti echeggian cupamente,l’aere rintrona una continua romba,rimugghia il turbo, e schianta alberi e fronde,e in grandinosa pioggia il ciel si fonde. 90

91. Crolla il vento la cella, il gel sonantebatte e rimbalza a nembi in sul cacume,cader si senton le tegole infrante,e giù dal tetto gronda d’acqua un fiume;sorgendo il fraticel tutto tremante,a cui di man caduto era il volume,« Oh! qual notte, sclamò, forse iracondopei nostri falli Iddio subissa il mondo? » 91

92. E intuona le letane, e ogni beatochiama, e l’altro risponde: « Ora per noi. »

211La Pia. Leggenda romantica

90 Ma ecco un torrente di luce abbagliante, scoppia un grantuono che rimbomba altissimo, pare che lo stridente fulmine,che piomba strepitando dall’alto, squarci i cieli: i mari ed imonti echeggiano cupamente, l’aria rintrona in un rombo con-tinuo, il turbine rimugghia e schianta alberi e foglie, ed il cielosi scioglie in pioggia di grandine.

91 Il vento scrolla la cella, la grandine batte sonante sul tettoe rimbalza in nugoli, si sentono cadere le tegole spezzate ed unfiume d’acqua gronda giù dal tetto; alzandosi tutto tremante, ilfraticello, a cui era caduto il libro di mano, esclamò: « Oh! chenotte! Forse Dio, irato per i nostri peccati, inabissa il mondo? »

Poi dice: « Da ogni mal, da ogni peccato »— l’altro segue: « Signor, libera noi. »Poi propizio dall’un fu Dio chiamato,e replicava l’altro: « Esaudi noi. »E quando furo al fin delle preghiere,« Di noi — dissero entrambi — miserere. » 92

93. Al cessar delle preci par che allenteil temporal, né il turbine più nuoce;ma dal bosco vicin venir si senteun ululato di belva feroce,e un nitrir di cavallo, e una dolenteflebil ne vien sull’aure umana voce:l’animoso guerrier, di dare aitaaltrui bramoso, balza in sull’uscita. 93

Fine del canto secondo.

BARTOLOMEO SESTINI212

92 Ed intona le litanie, ed invoca ogni beato, e l’altro rispon-de: « Prega per noi. » Poi dice: « Da ogni male, da ogni peccato »,e l’altro continua: « Liberaci, Signore. » Poi dall’uno Dio fuinvocato propizio, e l’altro rispondeva: « Ascoltaci. » E quandofurono al termine delle preghiere, dissero entrambi: « Abbi pietàdi noi. »

— Nota del Sestini: « E intuona le letane. Si conserva ancora in Tosca-na, e soprattutto nelle campagne la pia costuma di recitar le litanie deiSanti, nel tempo delle grandini, e altre perturbazioni dell’aria che minac-ciano le case, e le campagne. »

93 Al terminare delle preghiere, sembra che il temporale rallen-ti, ed il turbine non nuoce più; ma dal bosco vicino si sentevenire un ululato di belva feroce ed un nitrire di cavallo, e sulvento ne viene una flebile, voce umana dolente: il coraggiosoguerriero, desideroso di dare aiuto ad altri, balza sull’uscita.

Canto terzo

1. E colla spada in man, donde provieneil suon, s’avanza, ed un cavallo mira,che legato ad un pin la redin tiene,e ringhia, e soffia, e scalcia, e in volta gira;dell’albero la buccia a romper vienela soga, che il caval di forza tira;quel sibila, vacilla, il crin commove,e un diluvio di stille al terren piove. 1

2. Un lupo intorno gli volteggia, e tentasulla schiena di lui saltar di furto;il guerrier fulminando a quel s’avventa,l’impiaga, e a terra il fa cader d’un urto;la man nel manto avvolta gli presenta,quand’ei di nuovo furibondo è surto,e come il lupo addosso gli si serra,l’inutil ferro cader lascia a terra. 2

213La Pia. Leggenda romantica

1 E con la spada in mano si avanza nella direzione da cui pro-viene il suono, e vede un cavallo che la redine tiene legato ad unpino, e che ringhia, e soffia, e scalcia, e gira in cerchio; la corda,che il cavallo tira con forza, viene a rompere la corteccia dell’al-bero; questo sibila, vacilla, smuove la chioma, ed un diluvio digocce piove sul terreno.

2 Un lupo gli gira intorno, e tenta di saltargli di nascosto sullaschiena; come un fulmine il guerriero gli si avventa contro, loferisce e con un urto lo fa cadere a terra; quando esso di nuovosi è alzato furibondo, gli presenta la mano avvolta nel mantel-lo, e come il lupo gli si stringe addosso, lascia cadere a terra laspada ormai inutile.

3. La man che il lupo addenta ei spinge e ingozzanelle rabbiose canne, e in stretta zuffaviene alle prese; e la pilosa strozzacoll’altra man tenacemente acciuffa,e al suol lo ficca coi ginocchi; mozzala vita ei sente, e si dibatte e sbuffa,travolve gli occhi, e tesi i piè distende,e molto del terren morto comprende. 3

4. Ma intanto l’eremita, che più tardovenia fosse l’etade o la paura,s’era rivolto ove ognor più gagliardosentia il gemito uman per l’ombra oscura;de’ lampi al lume gli si offerse al guardostesa nel fango d’un uom la figura,che se fosse uom non era manifesto,tanto era concio in modo disonesto. 4

5. L’anacoreta e il difensore invitto,accorso, nella cella trasportaro

BARTOLOMEO SESTINI214

3 Egli spinge ed ingozza nella gola rabbiosa la mano, che illupo addenta, e viene alle prese in una zuffa serrata; e con l’al-tra mano gli afferra saldamente la gola pelosa e con i ginocchilo ficca a terra; quello sente troncata la vita, e si dibatte e sbuf-fa, travolge gli occhi e distende i piedi tesi, ed occupa da mortomolto del terreno.

4 Ma intanto l’eremita, che fosse per l’età o per la paura veni-va più lento, si era diretto dove per l’ombra oscura sentiva sem-pre più forte il gemito umano; alla luce dei lampi gli si offrì allosguardo stesa nel fango la figura di un uomo, che neppure eraevidente se fosse un uomo, tanto era conciato in modo sconve-niente.

sulle pietose braccia il derelitto,e sulla lunga scranna il collocaro.Ma oh! quanto il cavalier divenne afflitto,quando del fuoco allo splendor mal chiaroriconobbe esser Ghin, benché di sanguee di loto coperto, e quasi esangue. 5

6. E Ghino pur lui riconobbe, e mentrevergognoso del suo strazio nefandole minugia premea sorte dal ventre,gli altri scarnati membri invan celando:« Convien — diceagli — omai che in te rientre,che amar più non mi puoi; commiserandodeh! non andar le mie mertate sorti,ché al giudicio di Dio passïon porti. 6

7. Io ti cercava, e non mi cal ch’io muora,se ti ritrovo, mentre mi rimanetanto spazio di vita, e tempo ancoraper dirti cose che ti sono arcane.

215La Pia. Leggenda romantica

5 L’eremita e l’invitto difensore accorso trasportarono sullebraccia pietose nella cella lo sventurato e lo posero su unalunga sedia. Ma oh! quanto il cavaliere divenne afflitto, quan-do allo splendore mal chiaro del fuoco riconobbe essere Ghino,benché fosse coperto di sangue e di fango, e quasi privo di vita.

6 Ed anche Ghino riconobbe lui; e mentre vergognoso del suoterribile strazio si premeva le budella uscite dal ventre, invanonascondendo le altre membra lacerate, gli diceva: « Ormai con-viene che rientri in te, perché non mi puoi più amare; deh! nonandar compiangendo la mia sorte meritata, perché porti ranco-re al giudizio di Dio.

Sappi che, mentre tu festi dimoradalla patria lontan, fiamme profanemi arser per la tua Pia, né il labbro tacque;da lei ne fui represso, e ciò mi spiacque. 7

8. E di vendetta nel desire acerbotutto l’amor che le portai conversi.Appo la rotta il primo dì, per verbodi un comperato messo discopersiche con false divise, a gran riserbo,misto ai fuggiaschi, che riedean dispersi,s’era introdotto nella nostra terrail fratel della Pia, che a noi fa guerra. 8

9. E, ascoso presso un terrazzan sapereavea fatto a colei che, per mirarlaanco una volta, a rischio di caderein man d’altrui, venuto era a trovarla,e che la notte istessa ei fea pensieredi venir nel giardino a visitarla;

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7 Io ti cercavo, e non mi importa che io muoia, se ti ritrovomentre mi rimane tanto spazio di vita ed ancora tempo per dirtidelle cose che ti sono nascoste. Sappi che mentre tu dimorastilontano dalla patria, fiamme profanatrici mi arsero per la tuaPia, e la mia bocca non tacque; ne fui rimproverato da lei, equesto mi dispiacque.

8 E mutai in aspro desiderio di vendetta tutto l’amore che leavevo portato. Il primo giorno dopo la sconfitta, grazie alleparole di un messo comperato, scoprii che con abiti falsi, ingran riserbo, mescolato ai fuggitivi che ritornavano dispersi, siera introdotto nella nostra terra il fratello della Pia, il quale ci faguerra.

che di te non temesse, essendo in curaquella notte del campo e delle mura. 9

10. Quell’innocente trama in quale aspettocolorassi, tu il sai tanto che al fine,quando il disegno lor venne ad effetto,un dolor ti recai senza confine;e com’ella per sé nulla avria detto,le cognatizie attese ire intestine,te pure a tacer strinsi, onde a vicendanon vi svelassi la mia tela orrenda. 10

11. Partisti tu, ma tosto giunse in Sienafama ch’era la Pia là prigioniera,ove tanta malizia l’aer mena,che in breve vista avria l’ultima sera.Allor mi corse il fiel per ogni vena,e m’assalse il rimorso in tal maniera,che a chieder pace in supplicanti notepentito corsi ai piè d’un sacerdote. 11

217La Pia. Leggenda romantica

9 E, nascosto presso un abitante del contado, le aveva fattosapere che per vederla ancora una volta, a rischio di cadere inmano altrui, era venuto a trovarla, e che egli pensava di venirea visitarla nel giardino quella notte stessa; che non temesse dite, perché quella notte ti prendevi cura del campo e delle mura.

10 In che modo dipingessi quella trama innocente tu lo saitanto che alla fine, quando il loro progetto venne a compiersi, tirecai un dolore sconfinato; e poiché ella per sé, considerate le ireinterne tra cognati, non avrebbe detto alcuna cosa, obbligaianche te a tacere, affinché non vi svelaste a vicenda la mia orri-bile trama.

11 Tu partisti, ma subito giunse in Siena voce che la Pia eraprigioniera là dove l’aria porta così tanta malizia che in breve

12. Quale ordinommi, sotto pene talida far temenza a un petto di metallo,di venir di te in traccia, e girne in qualilochi tu fossi, e non porvi intervallo,per risarcir la Pia dai duri mali,che fruttar le potea l’apposto fallo;e il fei, ma Dio m’ha tratto al passo estremo,onde, che sia tardo il rimedio, or temo. 12

13. Che forse avrà colei pagato il fiod’un error non commesso in carcer cupo.Or ben mi sta, se gastigommi Iddioentro le zanne del vorace lupo,che quando il nembo fuggir volli e, il miodestrier legato, entrai sotto al dirupo,quatto ei giacea nel mal capace speco,e venni per mio danno in lotta seco. 13

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avrebbe visto l’ultima sera. Allora il fiele mi corse per ogni venaed il rimorso mi assalì in maniera tale che corsi pentito a chie-dere pace con parole supplichevoli ai piedi di un sacerdote.

12 Il quale mi ordinò, sotto pene tali da far paura ad un pettodi metallo, di venire in cerca di te, ed andarne in qualunqueluogo tu fossi, e non porvi indugio, per risarcire la Pia dei gravimali che le poteva procurare l’errore imputatole; ed io lo feci,ma Dio mi ha condotto al passo estremo, sicché ora temo che ilrimedio sia tardivo.

13 Perché forse lei avrà pagato in un cupo carcere la pena diun errore non commesso. Or ben mi sta, se Dio mi castigò trale zanne del vorace lupo; perché quando volli fuggire la tempe-sta e, legato il mio cavallo, entrai sotto il dirupo, esso giacevaacquattato nella piccola grotta, e per mio danno venni a lottacon esso.

14. Or voi che adesso giunti a mirar sietel’esizio miserabile d’un empio,ad esser pii nel mondo apprendereteda questo di giustizia austero esempio. »Qui le pallide guance a lui fur chete,e più non resse al sopportato scempio;e il vecchio pio raccomandò all’Eternol’anima che aspettata era allo ’nferno. 14

15. Qual consiglio, qual cor, Nello, fu il tuo,ascoltando esser casta la consorte?Che anco rea la stimando, dal mal suocommosso, già sottrar pensavi a morte.Mirar l’estinto veggioti, e in tra duorestar pensoso, e poi sospirar forte,ed esclamar: « O Ghin, dove ne han trattila mia sciocca credenza e i tuoi misfatti! 15

16. Ma non d’Arbia sul margine patriziaprosapia mi produsse: io nei burroni

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14 Ora voi che adesso siete giunti a vedere la fine miserabile diun empio, da questo severo esempio di giustizia imparerete adessere pii nel mondo. » Qui le guance pallide gli si quietarono, enon resse più allo strazio subito, ed il pio vecchio raccomandòall’Eterno l’anima che era aspettata all’inferno.

15 Che pensasti, che provasti, o Nello, ascoltando che la sposaera casta? Tu che anche ritenendola colpevole, commosso dalsuo male, già pensavi di sottrarla alla morte. Ti vedo fissare ilmorto e restare pensoso in dubbio, e poi sospirare forte ed escla-mare: « O Ghino, dove ci hanno condotti la mia sciocca credu-lità ed i tuoi misfatti!

nacqui del Tauro o nella dura Scizia,e mi educaro gli arabi ladroni;ch’io non dovea suppor tanta nequiziain beltà che non ebbe paragoni,né agli occhi creder che accusar coleipiù cara a me degli stessi occhi miei. 16

17. E fui sì crudo? e posi in mortal sitola Pia, di me, d’Italia il più bel fregio?Ah! non sia mai tal vituperio uditoove la cortesia si tiene in pregio.Dirà qualcuno, e mostrerammi a ditodella cavalleria tutta in dispregio:« Questi è colui che inerme una vezzosafemmina oppresse; e gli era amante e sposa! » 17

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16 Ma non mi generò una nobile stirpe sui confini dell’Arbia:io nacqui nei burroni del Tauro o nella Scizia selvaggia, e mieducarono i ladroni arabi; perché io non dovevo supporre tantainiquità in una bellezza che non ebbe confronti, né dovevo cre-dere agli occhi che accusarono colei che mi è più cara dei mieistessi occhi.

— L’Arbia è il fiume che scorre ad est di Siena; il Tauro è la scoscesacatena montuosa situata nella Turchia sud–occidentale (Antalya); Scizia èil nome con cui gli antichi indicavano la regione compresa tra il Danubio,il Don ed il Mar Nero.

17 E fui così crudele? e posi in un luogo mortifero la Pia, l’or-namento più bello di me e dell’Italia? Ah! che una tale offesanon sia mai udita dove si tiene in pregio la cortesia. Qualcunomi mostrerà a dito, in disonore di tutta la cavalleria, e dirà:« Questi è colui che oppresse una bella donna indifesa; e gli eraamante e sposa! »

18. Misera sposa, i guiderdon son questiche sconoscente il coniuge ti diede!Per quell’immenso ben che gli volesti,per tanta a danno tuo serbata fede!Quai giorni lagrimevoli e funestimenati avrai nell’esecrabil sede!Esposta a morte, in man di vili schiavi,e ciò per opra di chi tanto amavi! 18

19. Ma or or, quando avverrà ch’io ti disserriil carcer, come sostener tua vista?Ben chieder non m’udrai che tu mi serriinfra le braccia e dal rigor desista;ma chiederò che fra gli stessi ferrime chiuda, a terminar vita sì trista,o di tua man m’uccida, se ti allettadisïanza di subita vendetta. 19

20. Ma in vane querimonie il tempo io spendo,mentre so che la misera languisce,aìta e alleggiamento non avendo

221La Pia. Leggenda romantica

18 Misera sposa, queste sono le ricompense che lo sposo ingra-to ti diede! Per quel bene immenso che gli volesti, per tantafedeltà conservata a tuo danno! Che giorni lacrimevoli e funestiavrai passati nella esecrabile dimora! Esposta a morte, in manodi vili schiavi, e questo per opera di chi tanto amavi!

19 Ma or ora, quando avverrà che io ti apra il carcere, comesostenere il tuo sguardo? Certo non mi udrai chiedere che tu mistringa fra le braccia e desista dalla severità; ma chiederò che michiuda tra gli stessi ferri, a terminare una vita così cattiva, oche tu mi uccida di tua mano, se ti attrae desiderio di vendettaimmediata.

da chi in lei, per piacermi, incrudelisce.Si accorra! e tosto! » E al vecchio si volgendo,che a terra su due lunghe asse ben liscecomposto avea di Ghino il corpo estinto,a seppellirlo il dì seguente accinto: 20

21. « Tu vien — disse — e mercé da lei m’impetra,che ti dee l’efficace intercessione. »Ciò detto, ancor che fosse ombroso l’etra,l’uno e l’altro cavallo in ordin pone,e il vecchio fa montar sopra una pietraper porlo agevolmente in sull’arcione,e lo assesta sul proprio palafrenoche più dell’altro è obbedïente al freno. 21

22. Partono in coppia e avvolgonsi per fuschevie, dove ancor l’acqua caduta stagnae sono ad or ad or fatte coruschedal balenar che alluma la campagna;e ormai son giunti alle pianure etrusche,

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20 Ma io spendo il tempo in lamentele inutili, mentre so che lamisera soffre, non avendo aiuto da chi, per piacere a me, infieri-sce su di lei. Si accorra! e subito! » E volgendosi al vecchio cheaveva composto il corpo di Ghino a terra, su due lunghe tavoleben lisce, pronto a seppellirlo il giorno seguente:

21 « Tu vieni, disse, ed impetrami perdono da lei, che ti è debi-trice della tua efficace intercessione. » Ciò detto, benché il cielofosse ancora oscuro, preparò l’uno e l’altro cavallo, e fece salireil vecchio sopra una pietra per metterlo agevolmente in sella, elo sistema sul proprio cavallo che obbedisce al morso più del-l’altro.

— L’altro cavallo è quello di Ghino.

che l’azzurro Tirren vagheggia e bagna,e in loco dove ascoltano mugghiareda lunge i liti al fremito del mare. 22

23. Cessata affatto è la procella, e i cupinugoli ai monti si ritiran lenti,e si odon dalle soggiogate rupi,rimbombando, cader gonfi i torrenti;entro ai lor cavernosi ermi dirupilottan stridendo incatenati i venti,e irate ancor della marina l’ondepiangono infrante all’arenose sponde. 23

24. Dice il barone allor, sovra ’l sentierol’altro aspettando che sen vien più adagio:« Se a me la notte non contende il vero,

223La Pia. Leggenda romantica

22 Partono in coppia e si addentrano per vie fosche, doveancora stagna l’acqua caduta e che di tanto in tanto sono resesplendenti dai lampi che illuminano la campagna; ed ormaisono giunti alle pianure etrusche, che l’azzurro Tirreno ammirae bagna, ed in luogo dove da lontano ascoltano mugghiare lerive al fremito del mare.

— Le indicazioni relative al viaggio di Nello e dell’eremita, contenutein questa ottava e nella successiva, non hanno la funzione di indicare inmaniera realistica il percorso compiuto dai due, così da poterne ricavarel’ubicazione topografica del castello–prigione della Pia, non hanno la fun-zione di rievocare in maniera suggestiva la grandiosità della tempestaormai cessata, ma di cui ancora echeggiano sia il mare lontano sia gli altrimonti.

23 La tempesta è cessata del tutto, e le nuvole cupe si ritirano lenteai monti, e dalle rupi sottostanti si odono i torrenti gonfi cadererimbombando; incatenati dentro le loro solitarie caverne dirupate,i venti lottano stridendo, e le onde irate del mare piangono ancorainfrante sulle rive sabbiose.

siam giunti, e prima ch’io non fea presagio. »Innanzi, a questo dir, spinto il destriero,scopre la nera torre del palagio,che giganteggia sopra il bosco opacoe nerissima gitta ombra sul laco. 24

25. Il cor gli balza a cotal vista e, in quellache andando del castel più si discopre,fiso lo guarda, e torbido favella:« Oh! dei grand’avi miei magnifich’opre,complici delle antiche stragi e dellamalvagità che il tempo in voi ricopre,retaggio io v’ebbi e a me in retaggio vennepur quell’usanza rea che in voi si tenne. 25

26. Qui spesso ai cavalieri pellegrinifur tolte l’armi e fur le donne offense;qui dei vassalli fur tratte pei crinile spose, invan di casto sdegno accense;e il sangue degl’incauti vicini

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24 Allora, mentre aspetta sul sentiero l’altro che se ne viene piùadagio, il barone dice: « Se la notte non mi ostacola la verità,siamo giunti, e prima di quanto io prevedessi. » A queste paro-le, spinto innanzi il cavallo, vede la nera torre del palazzo chegiganteggia sopra il bosco opaco e getta un’ombra nerissima sullago.

25 A tale vista il cuore gli balza e mentre avanzando gli simostra una parte maggiore del castello, lo guarda fisso e dicecupo: « O magnifiche opere dei miei grandi avi, complici delleantiche stragi e della malvagità che il tempo ricopre in voi, io viebbi in eredità ed in eredità mi venne anche quella colpevoleusanza che si tenne in voi.

bevuto fu sulle tradite mense,ove di carmi il trovator vendutodava alle sceleraggini tributo. 26

27. Pur, benché della perfida età nostra,in cui lume benigno non si scerne,non degenere io sia, l’atroce chiostranon vidi mai senza dispetto averne;ed or più spaventosa a me si mostraanco la faccia delle mura esterne:or che la mente a santa impresa ho voltache belle vi farà la prima volta. 27

28. Parmi veder sui vostri baluardia far la scolta morte taciturna,e inalberar due funebri stendardi,in cui teme soffiar l’aura notturna;e par che sulla torre un rogo guardie accenni con la man sul lago un’urna.

225La Pia. Leggenda romantica

26 Qui spesso furono tolte le armi ai cavalieri pellegrini e furo-no offese le donne; qui furono trascinate per i capelli le spose deivassalli, invano accese di casto sdegno; ed il sangue degli impru-denti vicini fu bevuto sulle mense tradite, dove il trovatore ven-duto dava tributo di canti alle scelleratezze.

— Nota del Sestini: « Son molto cantati dai nostri poeti gli usi prepoten-ti dei baroni nel tempo della cavalleria, come pure è noto che i poeti cosìdetti Trovatori facevan parte delle loro corti guerriere. »

27 Benché io non sia diverso dalla nostra perfida età, in cuinon si scorge lume benigno, pure non ho mai veduto l’atrocerifugio senza provarne fastidio. Ed ora mi si mostra più spa-ventoso anche l’aspetto delle mura esterne: ora che ho rivolto lamente ad un’impresa santa che vi farà belle per la prima volta.

Ah! la pira, la tomba e l’adre insegneson per qualcun che in questo punto spegne! » 28

29. Mentre ei delira, ecco dall’alta torreun picciol fuoco uscir che l’ombre fendee vacillando alla sua volta corre,e alfin sui saettati occhi gli splende:e or fugge, or torna, or si va basso a porre,or alto, or si dilegua, or si raccende,or d’intorno lievissimo gli ronza,e i capei ritti per terror gli abbronza. 29

30. Dando addietro tremò, l’occhio travoltovolgea d’intorno ricercando scampo,e fuggito sarebbe a freno sciolto,se sparito non fosse il fatuo lampo;sì sgomentossi, ei che di lance un foltobosco affrontò sovente ardito in campo:

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28 Mi sembra di vedere sui vostri baluardi la morte che fa taci-turna la guardia ed inalbera due stendardi funebri, nei quali l’a-ria notturna ha timore di soffiare; e pare che essa guardi unrogo sulla torre e con la mano indichi una bara sul lago. Ah! ilrogo, la tomba ed i neri stendardi sono per qualcuno che in que-sto momento si spegne! »

29 Mentre egli delira, ecco uscire dall’alta torre un piccolofuoco che fende le ombre, e corre ondeggiando nella sua direzio-ne, ed infine gli splende sugli occhi colpiti: ed ora fugge, oratorna, ora va a porsi in basso ora in alto, ora scompare, ora siriaccende, ora gli ronza lievissimo intorno, e per il terrore glirende i capelli come di bronzo.

tanto la ruggin di que’ secoli orbifea gl’intelletti grossolani e torbi. 30

31. La settentrïonal vedova notte,che sparse sull’Italia il nembo goto,non anco appien fugata avean le dottestelle che ornar d’Arabia il ciel remoto,e che da crasse qualità prodottefosser tali fiammelle era anco ignoto:anime confinate eran credutenon ancor degne d’ottener salute. 31

32. Stimavanle altri savi alme dannatea star dove commiser colpe rie,e a passar nell’abisso riserbatedopo il tremendo novissimo die;quai fosser, dissipar non seppe il frateall’uopo sì fantastiche follie,

227La Pia. Leggenda romantica

30 Balzò indietro tremando, volgeva intorno gli occhi stravol-ti cercando scampo, e sarebbe fuggito a briglia sciolta, se ilfuoco fatuo non fosse sparito; a tal punto si spaventò, lui chespesso in campo affrontò ardito un fitto bosco di lance: a talpunto la rozzezza di quei secoli ciechi rendeva grossolani e con-fusi gli intelletti.

31 La nordica notte priva di luce che la tempesta gotica avevasparso sull’Italia non era stata ancora cacciata del tutto dalledotte stelle che ornarono il lontano cielo d’Arabia, ed era anco-ra ignoto che tali fiammelle fossero prodotte da sostanze grasse:erano credute anime esiliate, non ancora degne di ottenere sal-vezza.

— La nordica notte è metafora dell’ignoranza portata dai barbari Gotinel mondo latino nei primi secoli del Medioevo, mentre le dotte stelle delcielo d’Arabia sono metafora delle scienze che gli Arabi presero dai Greciantichi e ritrasmisero all’occidente latino negli ultimi secoli del Medioevo.

perché godea di santo opinïone,ma non era in dottrina un Salamone. 32

33. Pur confortandol, come sapea meglio,si fece avanti e quel venia secondo;giunsero intanto il cavaliero e il veglioall’alta ripa d’un vallon rotondo,che del suddito lago si fa speglio,qual della bolgia è nel bacin profondo:da quell’altura in sull’opposta rivaquanto è grande il castel si discopriva. 33

34. Veggion da lunge pei balconi aperti,che ogni sala di lumi sfolgoreggia,e odono un lungo suon di canti incerti,onde la valle e la montagna echeggia;e dove il sacro campanil gli apertipiani e l’annessa chiesa signoreggia,

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32 Altri saggi le ritenevano anime condannate a restare doveavevamo commesso gravi colpe, e destinate a passare nell’abis-so dopo il tremendo ultimissimo giorno; quali che fossero, ilfrate non seppe al bisogno dissipare follie così fantasiose, per-ché godeva fama di santo, ma quanto a scienza non era unSalomone.

— Il tremendo ultimissimo giorno è il giorno del giudizio universale. —Salomone è il re d’Israele ricordato dalla Bibbia, 2 Cronache, 1,1–9,31, perla grande saggezza e la grande scienza da lui chiesta ed ottenuta da Dio.

33 Pure confortandolo come meglio sapeva, egli passò davan-ti e quello veniva per secondo; intanto il cavaliere ed il vecchioerano giunti sull’alta riva di un vallone rotondo che si specchianel lago sottostante che sta nel profondo bacino di quella bol-gia: da quell’altura, sulla riva opposta, il castello si mostrava intutta la sua grandezza.

ascoltan la campana della villache, a martel tocca, orrendamente squilla. 34

35. Stupiti vanno il lago costeggiando,e tosto giungon dietro a un monticelloche, tra il lago e la via la fronte alzando,lor nasconde la lama ed il castello;e il veggiono di nuovo oltrepassando,e di fiaccole e d’uomini un drappelloveggion gir, dal palagio, ove si estolleil rusticano borgo in vetta al colle. 35

36. Come chi vien da Vetulonia a Romaper quella via che sul burrato sporge,giù nel profondo il lago, che si nomadi Ronciglione, alla man destra scorge;gliel para poi d’un monticel la chioma,indi il rivede, indi altro monte scorge,e mostra il montuoso inegual suolodiversi laghi, e sempre un lago solo. 36

229La Pia. Leggenda romantica

34 Vedono da lontano, per i balconi aperti, che ogni sala sfol-gora di lumi, ed odono un lungo suono di canti indistinti, dicui echeggia la valle e la montagna; e dove il sacro campaniledomina la pianura aperta e la chiesa annessa, odono la cam-pana del villaggio che, colpita a martello, squilla orrendamente.

35 Stupiti vanno costeggiando il lago, e ben presto giungonodietro un monticello che, innalzando la cima tra il lago e la via,nasconde loro il lago ed il castello; e passando oltre lo vedonodi nuovo, e vedono un gruppo di fiaccole e di uomini andare dalpalazzo verso la vetta del colle dove sorge il rustico borgo.

36 Come chi viene da Vetulonia a Roma per quella via chesporge sul burrone, scorge a destra, giù nel profondo, il lago che

37. Così veggendo, trapassar costoro;e giunti dove il terzo colle manca,imprimono a livel del lago i lorovestigi, ed il castello han sulla manca;e già il mattino di porpora e d’oroveste l’alte montagne, e il ciel s’imbianca,e fan gli augelli e gli umidi cristallinovellamente risentir le valli. 37

38. Che omai col nappo argenteo e col canestropien di manna e di fior sorgea l’Aurora,ponendo in vetta all’Appennino alpestroil piè legger, che il sol da tergo indora:dal ventilar del suo bel vel cilestrola messaggera uscia piacevol ora,e l’annunziava all’umida vallea,ove pigra la notte ancor sedea. 38

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si chiama di Ronciglione; poi la cima di un monticello glielocopre, poi lo rivede, poi vede un altro monte, ed il montuososuolo disuguale mostra laghi diversi, e sempre un solo lago.

— Nel primo verso, come chi vien da Vetulonia a Roma, vediamo un’e-splicita conferma intrinseca al testo della notizia biografica secondo cui ilSestini scrisse La Pia durante il proprio soggiorno a Roma nell’inverno1821–1822.

37 Così vedendo, essi passarono oltre; ed arrivati dove il terzocolle manca, avanzano a livello del lago, ed hanno il castellosulla sinistra; e già il mattino veste di porpora e d’oro le altemontagne, ed il cielo si imbianca, e gli uccelli e le gocce cristal-line della rugiada fanno rivivere nuovamente le valli.

38 Che ormai con il calice d’argento e con il canestro pieno dimanna e di fiori sorgeva l’Aurora, poggiando sulla vetta delmontuoso Appennino il piede leggero, che il sole indora da die-

39. Dal vallon buio veggiono sul monte,che illuminano i raggi mattutini,il corteo luttuoso, e lor son contele sentenze dei cantici divini,che il colle quei non salgono di fronte,ma obliquamente, e son tuttor vicini;e quattro sottopongono la spallaad un feretro che in andar traballa. 39

40. Son della bara funerale ai lati,con torchi in man pel nuovo dì languenti,due lunghi ordini d’uomini incappati,che han nei cappucci le fronti dolenti: i cappucci, in due parti traforati,apron le viste ai loro occhi piangenti;bianche han le cappe, e il primo della schieraporta la croce con la banda nera. 40

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tro: dal ventilare del suo bel velo celeste usciva la piacevole ariamessaggera, e l’annunciava all’umida valle, dove la notte anco-ra sedeva pigra.

39 Dal vallone buio vedono sul monte, illuminato dai raggimattutini, il corteo funebre e distinguono le parole dei canticisacri, perché quelli non salgono il colle di fronte ma di traverso,e sono ancora vicini; e quattro sottopongono la spalla ad unabara che nell’andare traballa.

40 Ai lati della bara funebre, con in mano torce languenti peril nuovo giorno, stanno due lunghe file di uomini coperti dicappa che hanno nei cappucci le fronti dolenti: i cappucci,traforati in due punti, consentono la vista ai loro occhi pian-genti; hanno le cappe bianche, ed il primo del gruppo porta lacroce con la striscia nera.

41. Con oscura zimarra e bianca cotta, leggendo i rituali del mortorio,il sacerdote va tra gli altri in frottache intuonan supplicanti il responsorio:sul cataletto funebre tal’ottasparge l’acqua lustral coll’aspersorio,ed or mormora basso, ed alto or canta,e lo imita la turba tutta quanta. 41

42. Davide e le fatidiche sibillechiamando in testimon di lor parole,cantan come dovran tra le favillei tempi consumarsi e gli astri e il sole, e d’ira il giorno in cui con le pupilletorve Iddio mirerà l’umana prolee i morti lasceran le vecchie tombeallo squillar delle celesti trombe. 42

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41 Con tonaca nera e sopratonaca bianca, leggendo le preghie-re del funerale, il sacerdote va in gruppo tra gli altri che suppli-ci intonano le risposte: talvolta sparge con l’aspersorio l’acquapurificatrice sulla bara funebre, ed ora mormora basso, ed oracanta alto, e lo imita tutta quanta la folla.

42 Chiamando David e le sibille fatali a testimoni delle loroparole, cantano come dovranno consumarsi tra le faville itempi e gli astri ed il sole, ed il giorno d’ira in cui Dio guarderàcon gli occhi severi la discendenza umana ed i morti lasceran-no le vecchie tombe allo squillare delle trombe celesti.

— Questa ottava è una perifrasi dell’inno funebre cattolico Dies iraedies illa, giorno d’ira quel giorno, cioè il giorno della fine del mondo e delgiudizio universale, giorno profetizzato sia dal re David sia dalle sibille,cioè dalle profetesse del dio Apollo.

43. Cantano il Parce, il Tedet ed i tristidel provato da Dio, Giobbe idumeo,e l’elegia che tu, Sionne, udisticantar dopo il peccato al re jesseo;e par che da lontan cori non vistireplichin quel canoro piagnisteo,e sembra ogni boscaglia, ogni cavernachieder luce perpetua e requie eterna. 43

44. Percosso da tristissimo sospetto,dice al compagno il cavaliero allora:« Vanne e che fu domanda; io qui ti aspetto,che andar non so, tanto terror mi accora. »Sprona a quei detti il frate il suo ginnetto,e giunge a sommo il colle appunto allora,quando già sono entrati i funeralidella chiesa nei santi penetrali. 44

233La Pia. Leggenda romantica

43 Cantano il Perdona, il Mi annoia ed i lamenti dell’idumeoGiobbe, messo alla prova da Dio, e l’elegia che tu, Sion, udisticantare al re jesseo dopo il peccato; e pare che da lontano coriinvisibili replichino a quel compianto canoro, ed ogni bosca-glia, ogni caverna pare chiedere luce perpetua e pace eterna.

— Perdona e Mi annoia sono le parole iniziali di due delle lamentazio-ni di Giobbe, per cui vedi la Bibbia, Giobbe, 7, 16; 10, 4. — Sion è la roccadi Gerusalemme. — Il re jesseo è il re David; sul suo doppio peccato diadulterio e di omicidio, e sul suo pentimento, a cui segue il lamento e larichiesta di perdono a Dio, vedi la Bibbia, 2 Samuele, 11, 1–7; Salmi, 50.

44 Colpito da un sospetto tristissimo, il cavaliere dice allora alcompagno: « Vai e domanda che fu; io ti aspetto qui, perché nonriesco ad andare, tanto è il terrore che mi accora. » A quelleparole il frate sprona il suo cavallo, e giunge in vetta al colleproprio quando i funerali sono entrati nei sacri spazi internidella chiesa.

45. Ciascuno, a lui che attende, si nasconde,e le nenie lugubri più non ode;ma un altro canto ascolta in riva all’ondecon dolce malinconica melode:ed era un villanel, che l’infecondecoltivando del lago infauste prode,rompea la zolla con la splendid’arme,alternando il lavor con questo carme. 45

46. « Nelle foreste d’Appennin supernoLisa piangea, perché il prefisso giornoil desïato sposo al suol paternodalla Maremma più non fea ritorno;scorse l’estate e ritornò l’inverno,e nol rivide nel natio soggiorno;andarne volle a ricercarlo alfine,col padre che scendeva alle marine. 46

47. E riposando un giorno il fianco lassosopra una selce al termin della via,

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45 Ciascuno si nasconde a lui che attende, ed egli non ode piùle nenie funebri; ma ascolta un altro canto in riva all’onde conuna dolce, malinconica, melodia: ed era un giovane contadinoche, coltivando le infeconde, infauste, rive del lago, rompeva lazolla con l’arma splendente, accompagnando il lavoro con que-sto canto.

— L’arma del contadino è la zappa con cui egli lavora la terra.46 « Nelle foreste dell’alto Appennino Lisa piangeva, perché il

giorno prefissato lo sposo desiderato non faceva più ritorno alsuolo patrio dalla Maremma; passò l’estate e ritornò l’inverno, enon lo rivide nella casa nativa; infine volle andare a cercarlo conil padre che scendeva alle Maremme.

detto le fu che sotto di quel sassol’ultimo sonno il suo fedel dormia.Rivolse il padre ai patri colli il passo,ma non avea la figlia in compagnia,che dalla tomba la chiamò lo sposo;e in quella ricongiunti hanno riposo. 47

48. Del tosco montanaro ecco le sorti:morte germoglia ov’ei gittò sudore;ma per dar vita ai figli e alle consortiè invidïato fra di noi chi muore,però che d’essi, quando noi siam morti,verace è il pianto come fu l’amore;questa certezza i nostri affanni molcee anco il perder la vita a noi fa dolce. » 48

49. In udir quei concetti al cor gli scendetenace inesplicabile tristezza;l’antiveder, per cui dubbioso pende,gli fan quei detti divenir certezza;freddo ghiaccio le fibre gli comprende:par che di nuovo pianto abbia vaghezza,

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47 Ed un giorno, mentre al termine della via riposava il corpostanco sopra una selce, le fu detto che sotto quel sasso il suofedele dormiva l’ultimo sonno. Il padre rivolse il passo ai collinatali, ma non aveva la figlia in compagnia, perché lo sposo lachiamò dalla tomba; ed in quella riposano congiunti.

48 Ecco le sorti del montanaro toscano: germoglia morte doveegli gettò sudore; ma tra noi è ammirato chi muore per dare vitaai figli ed alle spose, perché quando noi siamo morti il loropianto è sincero come fu l’amore; questa certezza addolcisce inostri affanni, e ci rende dolce anche il perdere la vita. »

ed alfin furibondo e impazïentesi spicca e corre alla magion dolente. 49

50. Giunge, e niun vede, e niuno ascolta: regnasilenzio intorno spaventoso e muto;nell’uscio invan di penetrar s’ingegna,che il ferreo ponte in alto è sostenuto;e par che dai veroni un fetor vegnad’atro bitume dall’ardor soluto:fumo di torchi a nebbia misto ingombral’aer maligno, e le pareti adombra. 50

51. Fermo, a gran voce il castellano chiama,e indarno stassi alle risposte intento;e di chiamar la Pia pur’ebbe brama,ma gli mancò la lena e l’ardimento;gira per ogni parte, indi richiama,ma le inutili grida porta il vento,e quei muti balconi e quelle portetacenti gli favellano di morte. 51

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49 Nell’udire quei concetti gli scende nel cuore una inesplica-bile, tenace, tristezza; quelle parole gli fanno diventare certezzail presentimento per cui propende dubbioso; un freddo ghiacciogli afferra le fibre: pare che abbia desiderio di nuovo pianto, edinfine furibondo ed impaziente si slancia e corre verso la dolen-te dimora.

50 Arriva, e non vede alcuno, e non ode alcuno: regna intornoun silenzio spaventosamente muto; invano si ingegna di pene-trare nella porta, perché il ferreo ponte è trattenuto in alto; epare che dai balconi venga un puzzo di nero bitume sciolto dalcalore: fumo di torce misto a nebbia ingombra l’aria maligna,ed oscura le pareti.

51 Fermo, chiama a gran voce il castellano, ed invano sta

52. Del bronzo i tocchi e delle cere i fumi,l’esequie, il canto e le deserte mura,tutto gli svela della mente ai lumil’ultima irreparabile sciagura:precipita di sella e va fra i dumie i massi della costa in ver l’altura,e per non trita via d’altre più prontacon mani e piè verso il villaggio monta. 52

53. Da sassi e spine mal menato, e vintodal disagio, alla chiesa arriva retro,di terragne muraglie ad un recinto,che i cipressi coniferi fan tetro:fra i lenti rami lor chiama un estintol’upupa immonda in luttuoso metro,e ben mostrano i simboli di piantoesser quel della villa il campo santo. 53

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attento alle risposte; ed ebbe anche gran desiderio di chiamarela Pia, ma gli mancò la forza ed il coraggio; gira per ogni parte,quindi richiama, ma il vento si porta via le inutili grida, e queibalconi muti e quelle porte, tacendo, gli parlano di morte.

52 I rintocchi della campana ed i fumi dei ceri, il funerale, ilcanto e le mura deserte, tutto gli rivela agli occhi della mentel’ultima, irreparabile sventura: si precipita giù di sella e va tragli spini ed i massi verso la cima, e con mani e piedi montaverso il villaggio, per una via non frequentata, ma più velocedelle altre.

53 Mal ridotto dai sassi e dalle spine, e vinto dalla sofferenza,arriva dietro alla chiesa, ad un recinto di muraglie di terra chei cipressi coniferi rendono tetro: fra i loro lenti rami l’upupaimpura chiama un morto con verso luttuoso, ed i simboli dipianto mostrano bene che quello è il camposanto del villaggio.

— Sulla scia di un celebre passo di Ugo Foscolo, Dei sepolcri, 81–86, chesembra confondere l’upupa con la civetta, anche il Sestini considera l’upu-

54. Giunge, e vede al callar della muragliail ceduto caval del frate scarco;era questo un destrier di molta vaglia,leggero come stral di partic’arco; caro alla Pia, quand’ei dalla battagliariedea salvo recando il dolce incarco,d’orzo pingue, e d’avena il fea satollo,tergeagli i crini, e gli palpava il collo. 54

55. Piange il cavallo, e immobile e confusosogguarda torvo, e i brevi orecchi tende,china al suol la cervice, e il crin diffusocade nel fango, e per la fronte pende:pel turgido di vene equino musoun rio di grosse lagrime discende,e lava il fren d’argentee borchie ornato,e le briglie che sparse erran sul prato. 55

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pa un uccello lugubre ed impuro, mentre in verità l’upupa è un uccellosolare, multicolore, quasi privo di canto. Questa scorretta visione dell’upu-pa si ritrova, per esempio, anche in Antonio Somma, Un ballo in masche-ra, musica di Giuseppe Verdi, atto primo, scena sesta, aria di Ulrica.

54 Giunge, ed al passaggio della muraglia vede scarico del frateil cavallo che gli ha ceduto; era questo un cavallo di molto valo-re, leggero come freccia di un arco dei Parti; caro alla Pia, quan-do esso tornava dalla battaglia recando salvo il dolce peso, lei losaziava di orzo abbondante e di avena, gli asciugava i crini, egli palpava il collo.

— Dopo essersi insediati sull’altipiano iranico, nell’ultimo secoloprima di Cristo i Parti, la cui abilità nell’uso dell’arco era proverbiale, sce-sero verso la Mesopotamia, venendo così a scontrarsi con i Romani.

55 Il cavallo piange, ed immobile e confuso guarda torvo, etende i corti orecchi, china il collo al suolo, ed il crine cade spar-so nel fango, e pende per la fronte: lungo il muso equino turgi-do di vene discende un rivolo di grosse lacrime e lava il morso

56. E il caro condottier veduto appena,gli si fa incontro e il guarda, e a mano a mano,saltellandogli innanzi, ov’era il mena,e par dotato d’intelletto umano;e gli accenna nel mezzo all’inamenacerchia un cencioso e debile villano,che allora allor cavata fossa serra,gettando in quella la sottratta terra. 56

57. Corse alla sponda del recente avelloe vide: ahi! che non vide! Ei mise un acregrido tal che cader fe’ al villanellola marra dalle man rugose e macre;e nel tumul gettavasi, e di quello

239La Pia. Leggenda romantica

ornato di borchie d’argento e le briglie che errano sparse sulprato.

— Nota del Sestini: « Intorno al pianto dei cavalli, vedi Plin. l. 8,1,42,De fletu equorum: Praefugiunt pugnam et amissos lugent dominos/ Lacry-masque interdum desiderio fundunt. — Virgilio l. 11, v. 89: Post bellatorequus, positis insignibus, Aethon/ It lacrymans guttisq. humectat grandi-bus ora. V. Omer. Ili. lib. 17, v. 390. » — Gli autori qui citati dal Sestinisono: Plinio, Storia naturale, VIII, 1, 42, Sul pianto dei cavalli: « Fuggonola battaglia e piangono i padroni perduti, ed intanto versano lacrime didesiderio »; Virgilio, Eneide, XI, 89–90: « Viene poi Etone, il combattivocavallo, deposte le insegne, piangendo e bagnando il volto con grossegocce »; Omero, Iliade, XVII, 423–440, dove i cavalli di Achille piangonoPatroclo ucciso da Ettore.

56 Ed appena veduto il caro condottiero, gli si fa incontro e loguarda, ed a mano a mano, saltellandogli innanzi, lo conducedove era lei, e sembra dotato di intelligenza umana; e gli accen-na in mezzo alla triste cerchia un contadino gracile e cenciosoche richiude una fossa scavata proprio allora, gettando in essala terra tolta.

turbate avria le cavitadi sacre,se il frate ed altre genti di sull’orlodel tristo avel non accorreano a torlo. 57

58. Qui la sua Pia riconosciuta avea,ricoperta di terra insino al mento:morte nel volto suo bella parea,e lui che stava a seppellirla intento,quasi rapito dalla vaga idea,ove un gemino sol vedeasi spento,le caste membra avea coperte e il visodi offender colle zolle era indeciso. 58

59. Ella giacea qual mandorlo fioritonell’anno giovinetto in riva all’acque:venne la piena e, ruinando il lito,sull’arenoso letto il tronco giacque:lo sbarbicato ceppo è seppellitodal fango, e il fusto che sì schietto nacque,

BARTOLOMEO SESTINI240

57 Corse alla sponda della fossa recente e vide: ahi! che nonvide! Egli emise un grido così aspro che al povero contadinofece cadere la zappa dalle mani rugose e magre; e si gettava nellafossa, ed avrebbe sconvolto le sue profondità sacre, se il frate edaltre persone non accorrevano a toglierlo dall’orlo della tristetomba.

58 Qui aveva riconosciuta la sua Pia, ricoperta di terra fino almento: nel suo volto la morte pareva bella, e colui che stava inten-to a seppellirla, quasi rapito dalla bella immagine, in cui si vedevaspento un secondo sole, aveva ricoperto le caste membra ed eraindeciso se offendere il viso con le zolle.

sol fuor sovrastan le ramose spoglie,mostrando aridi fior, squallide foglie. 59

60. Sorto l’illustrator della natura,lanciando nella tomba il primo raggio,col vagheggiar la santa creaturaprestavale il pietoso ultimo omaggio;ma quando vide empir la sepoltura,e coperto di terra il bel visaggio,fra le nubi celossi e gemer parve,e a’ mortali quel dì più non comparve. 60

61. Nello quei pii frattanto aveano scortonella chiesa vicina; ivi si assise,vergognoso chinando il viso smorto,né pianse, né parlò, né sospir mise:parean, tant’era in pensier gravi assorto,sue membra dallo spirito divise,e fea del duol ritegno alla licenzadella casa di Dio la riverenza. 61

241La Pia. Leggenda romantica

59 Ella giaceva come mandorlo fiorito in riva alle acque nellaprimavera dell’anno; venne la piena e, franando la riva, il tron-co giacque sul letto arenoso: seppellito dal fango è il ceppo sra-dicato ed il fusto che nacque così dritto, fuori emergono soltan-to le spoglie dei rami, mostrando aridi fiori e foglie squallide.

60 Sorto colui che illumina la natura, lanciando nella tombail primo raggio, con lo sfiorare la santa creatura le rendeva ilpietoso ultimo omaggio; ma quando vide riempire la fossa, edil bel viso coperto di terra, si nascose fra le nubi e parve geme-re, e quel giorno non comparve più ai mortali.

— Colui che illumina la natura è il sole.61 Frattanto quei pietosi avevano visto Nello nella chiesa vici-

na; qui si sedette, chinando vergognoso il viso smorto, né pian-

62. Così di sotto alla celeste volta,nelle notti d’april serene e belle,suol del mar la spumosa onda sconvoltariverente acquetar le sue procelle,ed ha pace, mirando andarne in voltadel ciel le innumerabili facelle,e quant’ira tuonar sul flutto udissigeme sepolta negli equorei abissi. 62

63. Chi dirà come, la salma rimossa,tornonne al loco ove natura dorme!Ah! dove volgi il piè? Chiusa è la fossa,né più in terra vedrai le amate forme!Inginocchiossi sulla terra smossa,posando il capo sopra un sasso enorme:sparsa non lunge la gente seguacequell’immobile guarda, e immobil tace. 63

BARTOLOMEO SESTINI242

se né parlò né emise sospiro: le sue membra parevano separatedallo spirito, tanto era assorto in gravi pensieri, ed il rispetto perla casa di Dio faceva da freno all’eccesso di dolore.

62 Così sotto la volta celeste, nelle notti di aprile serene e belle,la spumosa onda del mare sconvolta è solita acquietare reve-rente le proprie tempeste, e trova pace nel mirare le innumere-voli luci del cielo muoversi in cerchio, e tutta l’ira che si udìtuonare sui flutti geme sepolta negli abissi di acqua.

63 Chi dirà come, rimossa la salma, se ne tornò al luogo dovela natura dorme! Ah! dove dirigi i passi? La fossa è chiusa, edin terra non vedrai più le amate forme! Si inginocchiò sullaterra smossa, posando il capo sopra un sasso enorme: la genteche segue sparsa non lontano guarda quell’immobile, e taceimmobile.

64. Tal nel deserto pian di Selinuntele vetuste colonne immote stanno,altre intere, altre tronche, altre consuntedal veglio antico dell’età tiranno,e in file ora interrotte ed or congiuntemalinconica siepe all’ara fannoe allo stranier che guarda il marmo sacro,mesto di non trovarvi il simulacro. 64

65. Pretese poi di satisfar la bellaanima che dal bel corpo si sciolse,vita menando penitente in quellamagion che a lei la dolce vita tolse.In Siena e nelle prossime castelladel fiero avvenimento ognun si dolse,et a distorlo venner di lontanoi parenti e gli amici, e sempre invano. 65

66. Ma quando si ascoltò per quei contornisuonar la tromba di novella guerra,

243La Pia. Leggenda romantica

64 Così stanno immobili nella pianura deserta di Selinunte leantiche colonne, alcune intere, altre spezzate, altre consuntedall’antico vecchio tiranno delle età, ed in file ora interrotte oracontinue formano una siepe malinconica intorno all’altare edal visitatore che guarda il sacro marmo, triste perché non vitrova la statua del dio.

— L’antico vecchio tiranno delle età è il tempo.65 Poi pretese di placare la bella anima che si era sciolta dal

bel corpo, conducendo vita penitente in quella dimora che a leitolse la dolce vita. In Siena e nei borghi più vicini ognuno sidolse del crudele evento, e per farlo desistere vennero di lonta-no i parenti e gli amici, e sempre invano.

d’avviso fu che terminar suoi giornimeglio era a scampo dell’avita terra;lasciar volle i mortiferi soggiorni,ma il monte non passò che il lago serra:eran già fatte le sue membra inferme,e infuso in esse della morte il germe. 66

67. E riedere al castello gli convenne;né durò molti dì, che una mattina,con quella sepolcral pompa solenneche accompagnò la Pia sulla collina,la morta spoglia sua traslata venneal campo ove giacea quella meschina;e sul comun sepolcro ancor l’acerbasorte ne piange il venticel fra l’erba. 67

68. Sotto l’assiduo martellar dei lustricadde il castello, e i diroccati branide’ muri suoi per empietade illustrifer tristo ingombro agl’infelici piani;

BARTOLOMEO SESTINI244

66 Ma quando per quei dintorni si udì suonare la tromba diuna nuova guerra, fu del parere che era meglio terminare i pro-pri giorni in difesa della terra degli avi; volle lasciare quei luo-ghi apportatori di morte, ma non passò il monte che racchiudeil lago: le sue membra erano ormai malate, ed in esse era infu-so il germe della morte.

67 Così dovette tornare al castello; né durò molti giorni, perchéuna mattina, con quella solenne pompa funebre che accompa-gnò la Pia sulla collina, la sua morta spoglia venne trasportataal campo dove giaceva quella misera; e sul comune sepolcro ilventicello fra l’erba ne piange ancora la sorte crudele.

crebber le limacciose onde palustrie ne coprir le fondamenta immani:or si odon lamentar sotto l’internevolte, converse in umide caverne. 68

69. E dicon che talor da quei rottamivoce profonda come d’eco emerge,e sembra che la Pia dal fondo chiami,ed ella appar sull’onde, e vi s’immerge;e quando scuote il vento i bruni ramidel folto bosco che sul lago s’erge,vi si odon canti e salmodie lontane,e arcano suon di funebri campane. 69

70. Né qui sveller virgulti o fender zollel’ausilïario agricoltor s’attenta;e salvo ritornando al natal colle,quando Maremma inospital diventa,la sera assiso sull’erbetta molle

245La Pia. Leggenda romantica

68 Sotto il continuo martellare degli anni il castello cadde, edi brani dei suoi muri diroccati, illustri per empietà, fecero tristeingombro alle pianure infelici; le limacciose acque paludosecrebbero e ne coprirono le fondamenta gigantesche: ora siodono lamentarsi sotto le volte interne, trasformate in umidecaverne.

69 E dicono che talvolta da quei ruderi emerge una voce pro-fonda come di eco, e sembra che la Pia chiami dal fondo, ed ellaappare sulle onde, e vi si immerge; e quando il vento scuote irami scuri del folto bosco che si innalza sul lago, vi si odonocanti e salmodie lontane, ed un misterioso suono di campanefunebri.

all’adunata gioventude intenta,l’udita istoria, che per lunga scendetradizïon di padri, a narrar prende. 70

71. E ciò narrando alternamente adocchiai parvuli scherzanti, ed or gli abbraccia,or gli fa mobil peso alle ginocchia,or dolce incarco alle robuste braccia;l’ode la moglie intenta alla conocchia,e la luna che a lei risplende in facciala concetta pietà, che muta cela,sulle bagnate guance altrui rivela. 71

Fine del canto terzo.

BARTOLOMEO SESTINI246

70 Né qui il contadino bracciante si azzarda a sradicare vir-gulti o ad aprire zolle; e ritornando salvo al colle natale, quan-do Maremma diventa inospitale, la sera, seduto sulla molle er-betta, comincia a raccontare all’attenta gioventù riunita la sto-ria udita, che discende da lunga tradizione di generazioni.

71 E mentre narra queste cose, osserva ora l’uno ora l’altro deipiccoli che scherzano, ed ora li abbraccia, ora li fa mobile pesoalle ginocchia, ora dolce peso alle braccia robuste; lo ascolta lamoglie, intenta alla conocchia, e la luna, che le risplende sulvolto, rivela agli altri sulle guance bagnate la pietà che lei prova,e nasconde in silenzio.

GIACINTO BIANCO

PIA DE’ TOLOMEI.DRAMMA STORICO

Napoli, 1836

Fig. 4 — Riproduzione del frontespizio di Giacinto Bianco, Teatro, Napo-li 1938.

Presentazione

Dopo la novella del Bandello ed il poemetto del Sestini, ildramma storico di Giacinto Bianco ritorna al Bandello nel-l’attribuire Pia alla famiglia dei Tolomei e nel dire Nellosignore della Pietra; ma per il resto segue assai da vicino ilSestini. Sembra anzi che la vera differenza tra il Bianco ed ilSestini sia dovuta al diverso genere letterario prescelto: quelche il poemetto del Sestini racconta ed accenna, il drammadel Bianco porta in scena ed amplifica. Così la rivalità traNello ed il fratello di Pia, che nel Sestini era soltanto accen-nata, nel Bianco viene amplificata fino a coinvolgere i Guelfi,tra i quali è Ugo, fratello di Pia, ed i Ghibellini, tra i quali èNello, marito di Pia; così viene amplificata la figura di Ghinoe viene messo in scena il suo incontro–scontro con Pia, il cuifare sdegnoso determina in Ghino la volontà di vendetta; cosìviene rappresentata la scena dell’incontro di Pia con il fratel-lo, che Ghino mostra a Nello come l’amante di lei. I punti incui invece il Bianco si allontana dal Sestini sono tre: il modoin cui egli fa morire la Pia, non per malaria ma per veleno; illuogo della morte, non più un castello su un piccolo lago vul-canico, ma un imprecisato castello delle Maremme di cuiNello è signore; la data dell’azione, che dura non due mesima una settimana e che, a differenza di quanto avviene nelSestini, non inizia la sera della sconfitta senese a Colle, 8 giu-gno 1269, ma la sera del 13 agosto, prima sera di unamomentanea tregua tra Guelfi e Ghibellini: una breve treguache prepara la ripresa di una guerra che, pur rimanendo sto-ricamente imprecisata, sembra preparare la battaglia diMontaperti (4 settembre 1260).

251

Nota sull’autore. Giacinto Bianco, scrittore e drammaturgo,nacque a Fasano di Brindisi nel 1812; diede la prima rappre-sentazione della sua Pia de’ Tolomei, a Napoli, il 19 aprile1836; morì a Fasano nel 1885. — Sul Bianco, vedi AquilinoGiannaccari, Fasano nella storia e nell’attualità, Fasano diBrindisi, Schena Editore, 1993, p. 64–68.

Nota sul testo. Il testo Ai miei lettori ed il testo Pia de’ Tolo-mei. Dramma storico che qui pubblichiamo sono tratti daGiacinto Bianco, Teatro, Napoli, Tipografia del Guttemberg,1838, p. 5–67; nello stesso volume, alle p. 68–72 si trova unarisposta che il Bianco diede ad alcune critiche mosse alla suaPia, e che noi non ripubblichiamo.

253Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Ai miei lettori

Voi pertanto, o artisti, che studiate di consolarela noiosa vita de’ mortali, moltiplicando loro idiletti colle opere de’ vostri ingegni, non isdegnatedalla filosofia, cioè dalla osservazione della naturaumana, di essere avvertiti, che tanto più vi obbli-gherete gli uomini, e tanto più avrete da loro diamore e di lode, quanto più darete di esercizio alleintime loro forze. Non cadavi dal pensiere, 1 che l’a-nimo nostro è capace di forti e lunghe agitazioni,di caldi e veementi affetti; e però chiunque si senteuomo, sdegnerà ogni languido e breve dileticare. 2

Vergogna, e gitta gli specchi, e le smaniglie Achille,appena vede lampeggiare spade e brocchieri. 3 (Pie-tro Giordani, Prose). 4

Egli è qualche tempo, da che volta la mente allecose teatrali, vari miei lavori di tal natura sono venu-

1 non cadavi dal pensiere: non vi cada (esca) dal pensiero:non dimenticate.

2 dileticare: titillare: solleticare.3 Vergogna … brocchieri: Achille prova vergogna e getta via

gli specchi ed i braccialetti, appena vede brillare spade e scudi.— Si dice che, per impedirgli di prendere parte alla spedizionecontro Troia, sua madre Teti vestisse Achille da donna e lonascondesse tra le giovani della regia di Sciro, dove egli fu poiscoperto da Ulisse con lo stratagemma del fargli vedere quellearmi a cui qui si fa allusione.

4 Riformatore ed anticlericale convinto e costante in politi-ca, prosatore raffinatissimo e capofila dei classicisti in lette-

GIACINTO BIANCO254

ti allo sperimento della scena; e le oneste accoglien-ze, ed il grazioso compatimento, di che mi sono statilarghi i miei concittadini, pare mi abbiano persuasoa durare in una carriera tentata per azzardo, prose-guita per inclinazione. Per lo che, grato alla lorobenevolenza e punto da un certo stimolo di amorproprio, comune ad ogni anima ben nata, mi è parsoassai convenevole cosa richiamare a novello esamequesti miei scritti, perché ripuliti alla miglior manie-ra di quel grezzo inevitabile nel primo getto, più sicu-ri, se non più degni, potessero venire alla pubblicaluce. Non che mi sia entrata in animo la lusinga didare in tal modo lavori perfetti e finiti, ché ben sentoineguali le mie forze a tanto peso; un dramma per-fetto non è l’opera né della fresca età, 5 né di tutti; egliè un’epopea in miniatura; e chi anche de’ più sommisi attenterebbe di ritrarre in piccola tela le immensecreazioni dell’Urbinate e del Buonarroti? 6 Ciò nonpertanto mi consola il pensiere di sentire in me assaibuon volere di toccare questa meta; ed i gentili delmio paese non vorranno certamente accagionarmi 7

né di soverchia confidenza nelle proprie forze, né diuna vana presunzione, se incoraggiato da loro mede-

ratura, Pietro Giordani (Piacenza, 1774–1848) fu il primo ascoprire ed a sostenere il genio del giovanissimo GiacomoLeopardi.

5 fresca età: giovinezza.6 L’Urbinate per antonomasia è Raffaello Sanzio (1483-

1520); il Buonarroti è ovviamente Michelangelo (1475–1564).7 accagionarmi: accusarmi.

255Pia de’ Tolomei. Dramma storico

simi, agognando a belle intraprese, vengo a dar lorouna picciola arra 8 di queste sante volontà.

Pertanto, scorrendo come di volo sulle condizionidel nostro teatro italiano, e generalmente sulle teo-rie dell’arte, un numero di questioni la più parte inu-tili sembra incespicare il cammino a’ buoni ingegni;e tu odi ancora discorrere delle antichissime unità ditempo e di luogo, del giro di sole di Aristotile, 9 e dimille altre quisquilie, che tornerebbe noioso anche ilrammentare: e molti, tenaci de’ vecchi precetti, e lipredicano, e vi stanno; mentre un drappello di piùardimentosi, rotte queste dighe del genio, han giàrinnegate sì fatte dottrine, aprendosi una stradanuovissima in mezzo agli anatemi 10 di molti, ed alplauso dell’universale. Di qui la dubitazione deglispiriti, di qui le polemiche accanite, di qui il disca-pito dell’arte.

8 una picciola arra: una piccola caparra: un piccolo pegno.9 Aristotele, Poetica, 5, 1449b 12–14; 24, 1459b 23–26; 6,

1450a 38–39; rifacendosi a questi passi di Aristotele, a parti-re dal Rinascimento i teorici teatrali sostennero la necessità,per chi avesse voluto scrivere una tragedia secondo le regoleclassiche, di trattare una storia unitaria (unità di azione) chesi svolgesse in un solo luogo (unità di luogo), e che durasseun “giro di sole”, cioè una sola giornata (unità di tempo); dife-se dai classicisti conservatori come garanzia di artisticità ecombattute dai romantici innovatori come limitazioni dellalibertà creativa (“dighe del genio” le dice qui il Bianco), le treunità furono al centro di una lunga polemica letteraria, a cuiprese parte anche A. Manzoni con una Lettre à M. Chauvet(1823).

10 agli anatemi: alle condanne.

GIACINTO BIANCO256

Fra tanti dispareri io stimai necessario, primadi metter mano alle mie cose, dovermi appigliaread una delle due scuole, e seguirla con animo deli-berato, perché i miei parti, 11 qualunque essi fosse-ro stati, si avessero una fisionomia ed appartenes-sero ad una certa famiglia. Nella fluttuazione miattenni al fatto, pensando che un artista debbeoperare ed affaticarsi pel diletto de’ presenti, e chein fatto di belle arti, se non è il più retto, è alme-no il più ricevuto il gusto del pubblico. 12

La fama ed i successi del teatro francese mi ave-vano incantato; la lettura delle loro opere, pienetutte di anima e di forte sentire, la rinvenni omoge-nea all’attuale incivilimento, e di qui la mia deter-minazione a seguirle. Né sia questo per alcunoargomento di scandali, se nato nella terra madred’ogni bell’arte io vada fin oltremonti a cercare iltipo 13 al mio lavoro; il difetto di tal genere di lette-ratura non viene a noi dalla incapacità a tentarlo,ma sibbene dalle condizioni del nostro medesimoteatro. Ivi le muse, oltre una verde fronda di lauro,danno a’ loro cultori ben altra mercede, per cui sigodono di quegli ozi beati tanto graditi al pastor

11 parti: scritti.12 pensando … pubblico: pensando che un artista deve lavo-

rare ed affaticarsi per il piacere dei presenti, e che in fatto dibelle arti il gusto del pubblico, se non è il più giusto, è se nonaltro quello più accettato.

13 il tipo: il modello.

257Pia de’ Tolomei. Dramma storico

mantovano, 14 e ne’ quali gl’ingegni si deliziano, elavorano a loro talento. Ma qui non è mia intenzio-ne muover querela di sorta alcuna.

Tropp’oltre io trascorrerei, se volessi venire spo-nendo 15 ad una ad una tutte le ragioni che han ritar-dato, e che tuttavia 16 ritardano tra noi siffatto svi-luppamento; e forse il naturale seguito delle cose mimenerebbe a scrivere innanzi tratto 17 un’apologia diquesti miei drammi invece di due parole di prefa-zione; per lo che 18 altri, se n’ha voglia, potrà sul pro-posito consultare le nuove poetiche, in cui e dotta-mente e profondamente si va ragionando sulloscopo e sui principi dell’arte, mentre io contento allamia semplice profession di fede letteraria vengo a’fatti. Leggete, e state sani.

14 pastor mantovano: questo pastore mantovano è Titiro, ilprotagonista della prima ecloga di Virgilio, Bucoliche, I,beneficato dal mecenatismo dell’imperatore Augusto.

15 sponendo: esponendo.16 tuttavia: ancora.17 innanzi tratto: fuori luogo.18 per lo che: pertanto.

259Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Personaggi

Pia de’ Tolomei.

Messer Nello della Pietra.

Messer Ugo de’ Tolomei.

Messer Ghino.

Magalotto.

Piero.

Oliverotto.

Quattro cavalieri.

Un donzello.

261Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Atto primo

La scena è in Siena. Il teatro finge 1 il palazzo de’signori della Pietra: gran sala di architettura gotica:uno scrittoio e delle sedie in costume: in fondo granbalcone a vetri di più colori che guarda sulla stradafuori la città: a destra la porta d’ingresso: a sinistraporta che mena alle stanze di Pia.

Scena prima. Pia sola.

Quanto son io turbata! Un sinistro presentimentomi sta nell’animo che mi va ragionando come di vici-na sciagura! Ah! questo cuore uso 2 a tremar sempreor per lo sposo or pel fratello non sa fingersi 3 chedisgrazie! Giusto Cielo, deh! abbiano fine una voltaqueste cittadine contese che da tanto tempo lacera-no sì crudelmente la misera Italia. Quante madri,quante spose non sarebbero consolate col restituirsi 4

alle une i figliuoli, alle altre i mariti! È già un annoda che arde fra noi guerra sì vergognosa ed io vivolontana da una tenera madre, da un vecchio genito-re, da un amato fratello; e perché? Per un folle impe-gno di parte! Ed il mio Nello? Il mio Nello, anch’es-

1 finge: raffigura.2 uso: abituato.3 fingersi: immaginarsi.4 col restituirsi: se venissero restituiti.

GIACINTO BIANCO262

so obliando 5 i legami dell’amicizia e del sangue nonisdegna combattere contro i propri congiunti, e melascia nella dubbia tema di crederlo or pericolanteper valore or morto per insidia 6. Ma deh! cessi un sìfunesto augurio. (Siede pensierosa.)

Scena seconda. Magalotto con un foglio, e detta.

Magalotto: — (Inosservato.) Siam già sulla sera eGhino non si vede. È forza 7 consegnarlo.

Pia: — Chi è di là?Magalotto: — Nobile signora. (Inchinando.)Pia: — Magalotto! Che rechi?Magalotto: — Un foglio.Pia: — Di Nello forse?Magalotto: — Non credo. Me lo consegnò in fretta

un uomo, il quale me lo die’ appena nelle mani, chesi dileguò subitamente: la sua aria era di chi sfuggegli altrui sguardi per tema 8 di essere riconosciuto.

Pia: — Porgilo. (Con contegno.)Magalotto: — (Consegnando il foglio.) Sempre ad

un modo.Pia: — (Guardandone il carattere grida involonta-

riamente.) Cielo! Mio fratello!

5 obliando: dimenticando.6 e me lascia … insidia: e lascia me nel dubbioso timore di

crederlo ora in pericolo a causa del suo valore ora ucciso coninganno.

7 È forza: si deve.8 tema: paura.

263Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Magalotto: — Suo fratello. (Fra sé.)Pia: — (Legge.) « Amatissima suora, 9 avvenga di

me quel che il Ciel voglia. Io ho fermato di vedertianche una volta 10 nella prossima notte. La lontanan-za di tuo marito, l’oscurità delle tenebre favorisconoil mio disegno. Fia che in tal guisa 11 io metta in pacequesto cuore agitato e ritorni ad affrontar con viep-più 12 coraggio i pericoli della guerra dopo aver datol’ultimo abbraccio alla diletta mia suora. » Mi scor-rono le lagrime dagli occhi.

Magalotto: — (Fra sé.) Piange!Pia: — « Inviami un tuo fedele, il quale mi sia di

scorta alla tua abitazione. Eccoti il mio indirizzo:Via Barrongelli, Taverna della Cappa Bianca: nelprimo salone a man dritta. Il segnale di convenzionesarà il motto Campaldino. Addio. Il tuo Ugo » Il mioUgo, sì, il mio buon fratello. Ah! il mio cuore mibalza per l’allegrezza! Erano dieci mesi che deside-rava di ascoltar la sua voce, di raccogliere dal suolabbro certa nuova dei nostri vecchi genitori.

Magalotto: — Si rallegra! (Fra sé.)Pia: — Ma come quivi introdurlo! Se mai si sco-

prisse! Un guelfo in casa della Pietra! Inviami un tuofedele, il quale mi sia di scorta alla tua abitazione.

Magalotto: — Si consiglia! (Fra sé.)Pia: — Quasi straniera tra que’ che mi circondano,

di chi fidarmi? Sovente il più buono è quegli che sa

9 suora: sorella.10 ho fermato … volta: ho deciso di vederti ancora una volta.11 Fia che in tal guisa: Avvenga che in tal modo.12 vieppiù: sempre più.

GIACINTO BIANCO264

meglio infingersi. 13 (Guarda Magalotto.) Se quest’uo-mo…

Magalotto: — (Fra sé.) E quando?Pia: — Sì; vinca questa volta l’amore sopra di ogni

altro e si riveda il fratello. Si esplori l’animo dicostui. — Magalotto.

Magalotto: — Son qua, signora.Pia: — Dimmi: è da molti anni che tu servi in que-

sta casa?Magalotto: — Potete contare una buona dozzina.Pia: — In questo frattempo, credo, avrai dato certi

contrassegni 14 di tua fedeltà?Magalotto: — Eh! signora, si può dire che sono

figlio del mestiere. Voi siete da poco entrata in que-sta casa, ma forse avrete inteso a parlare di un talMichele detto per soprannome il Malvivente; eppureera il più fidato servo di famiglia. Ebbene un giorno,mentr’egli sedeva giù sulle pietre del cortile, venne alui il padrone e gli disse: « Michele, questa notte avròbisogno di te. » « Eccomi pronto. » egli rispose. Lamattina seguente il padrone tornò a casa sano esalvo, ma il povero Michele non parlava più.

Pia: — (Fa un atto di compassione.) Dimmi: mes-ser Nello si è mai prevaluto 15 della tua opera in qual-che segreto affare?

Magalotto: — Si addimestica. 16 — Le mille volte; enon posso mai scordarmi cinque anni fa, quando i

13 infingersi: fingersi.14 certi contrassegni: prove sicure.15 prevaluto: avvalso.16 si addimestica: diventa più docile.

265Pia de’ Tolomei. Dramma storico

signori di casa Visconti erano rinchiusi in Milano; 17

messer Nello passeggiava con volto accigliato nellasala delle armi; di tanto in tanto brontolava non soquali parole; allora io che per un pezzo non gli aveatolto gli occhi da dosso, gli dico: « Ch’è stato, signorpadrone? » Egli mi guarda in faccia, e mi dice: « Que-sto foglio — e l’avea nelle mani — deve senz’altroessere in Milano o il migliore dei miei amici è per-duto. » « A me quel foglio. » — risposi subito.

Pia: — E tu?Magalotto: — Glielo recai in men di due giorni.Pia: — Ma in qual modo?Magalotto: — Travestito da pezzente; pareva il dia-

volo che cercasse l’ele mosina; l’accartocciai in unagrossa canna di Limonta 18 e tanto feci, tanto impor-tunai, finché giunsi a metter piede nel castello de’Visconti.

Pia: — (Fra sé.) Avessi trovato l’uomo che mi abbi-sogna. — Ebbene, Magalotto, io voglio mettere apruova la tua sagacia, il tuo attaccamento.

Magalotto: — Non avete che a parlare. — Stai fre-sca, se parli.

Pia: — Io attendo questa notte un uomo che desi-dero rivedere ardentemente; egli è poco esperto dellevie della città; i tumulti della guerra potrebberoessergli d’inciampo; senz’altro io bramo che tu gli siidi scorta.

17 I Visconti furono signori di Milano dal 1277 al 1447; sinoti quanto la cronologia del Bianco sia approssimativa.

18 canna di Limonta: canna di palude (dal gr. lìmne) usatacome bastone?

GIACINTO BIANCO266

Magalotto: — Pronto ai comandi della mia signo-ra.

Pia: — Anzi il tuo racconto mi fa sorgere un pen-siere. Va nelle mie stanze; spogliati di questi abitida bravo; indossa uno dei giubetti del tuo signoree, deposta la daga, 19 affibbiati al fianco forbitaspada da cavaliere.

Magalotto: — È il mezzo più sicuro per non essereimportunato.

Pia: — Scendi nella sottoposta scuderia e scegli ilpiù bel cavallo che si abbia il vanto di esser tornatovincitore dal torneo o dalla quintana; 20 sali in arcio-ne e recati in fretta alla Taverna della Cappa Bianca,in Via Barrongelli, che mena al Campo.

Magalotto: — E là?Pia: — E là, nel primo salone a man dritta, ti fia

noto un cavaliere che potrai con facilità riconoscereal motto di convenzione Campaldino. Unisciti seco-lui, 21 e pel sentiero il più sconosciuto qui cautamen-te lo conduci.

Magalotto: — Ho inteso.Pia: — Magalotto, eseguisci i comandi della tua

signora e lascia a me il pensiere di compensare i tuoiservigi come meriti.

19 daga: spada corta e larga a doppio taglio.20 quintana: giostra in cui il cavaliere correva a cavallo con-

tro una sagoma ruotante, vestita da saraceno, cercando dicolpirne con la propria lancia lo scudo, senza farsi a sua voltacolpire dalla mazza appesa all’altro braccio della sagoma col-pita.

21 secolui: con lui.

267Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Magalotto: — Sarete soddisfatta.Pia: — Va. (Ritirandosi.) Cielo, seconda tu i miei

onesti desideri. (Via.)

Scena terza. Magalotto solo.

Eh! il proverbio non falla mai: chi la dura la vince.Era propriamente in dispetto con me medesimo pernon poter cavar di bocca a questa nobile signoraneppure un et dei suoi segreti; e sì che ne avea anchede’ suoi. Alla fine me ne ha regalato uno che mi hacompensato delle perdite. Pareva che quel galantuo-mo di messer Ghino mi pagasse sempre sulla paro-la! Non dargli mai un contrassegno, una prova pal-pabile della mia vigilanza! Oh! come sarà lieto appe-na gli avrò scoperto il tutto; ma possa morire disubito, se non gli smungo uno scudo per parola;sono i proventi del mestiere. Ma adagio, adagio unpo’: io cerco di vendere la mia roba a troppo caroprezzo ed ho paura di essermi ingannato sul suovalore intrinseco. Quale importanza per messerGhino sapere che stanotte un uomo, cioè, siamo unpo’ più amanti del vero, suo fratello, venga a collo-quio con lei? Non è poi un rivale? Un guelfo, nonaltro che un guelfo! — Alla fin fine varrà perché micreda men neghittoso 22 nel riferirgli quanto si passiin questa casa. Oh! ma eccolo.

22 neghittoso: pigro.

GIACINTO BIANCO268

Scena quarta. Messer Ghino, e detto.

Ghino: — E così, Magalotto? (Pensieroso.)Magalotto: — Novità, messer Ghino.Ghino: — Novità!Magalotto: — E della più alta importanza.Ghino: — Buona lana, vorresti prenderti gioco di

me!Magalotto: — Io vi parlo del miglior senno del

mondo.Ghino: — Ma ch’è avvenuto?Magalotto: — In questa notte, qui v’ha un ritrovo.Ghino: — Un ritrovo!Magalotto: — Né più né meno.Ghino: — Torna suo marito?Magalotto: — Oibò! È poi un ritrovo con suo mari-

to?Ghino: — Con un amante dunque?Magalotto: — Nemmeno.Ghino: — E con chi? (Adirato.)Magalotto: — Con un uomo.Ghino: — Magalotto! Da banda 23 gli scherzi.Magalotto: — Messer Ghino, da più tempo che vi

servo avreste dovuto già conoscermi.Ghino: — Che sei un birbo astuto da ficcarla

anche al demonio.Magalotto: — E che ne’ suoi negozi non usa mai

giuocare alla zara. 24

Ghino: — Ma che intendi di dire?

23 Da banda: da parte.24 zara: gioco d’azzardo con tre dadi.

269Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Magalotto: — (Fa segno di voler moneta.)Ghino: — Che chiedi?Magalotto: — Oro; senza una buona borsa di scudi

belli e suonanti non sperate già che esca dal mio lab-bro una sola parola.

Ghino: — (Fra sé.) Maledetto!Magalotto: — Il segreto è massimo e vi accerto in

fede da galantuomo che ve lo vendo per poco.Ghino: — Dell’oro? Tieni. (Gli getta una borsa.)Magalotto: — Benissimo.Ghino: — Parlerai in tua malora? (Con ira mal

repressa.)Magalotto: — Eccomi a voi. Ma prima di mettervi

a notizia del tutto mi darete licenza di dirvi anche lamia. Possibile! Tanta premura per espugnare questatorre d’amore, e ne abbandonate la guardia per unintero giorno? Chi tardi arriva male alloggia.

Ghino: — Ma dove tendono questi tuoi discorsi?Magalotto: — In breve e vi spiego tutto. (A voce

bassa.) La Pia questa notte attende qui suo fratello.Ghino: — Ugo!Magalotto: — Ugo in persona.Ghino: — Ma egli milita dalla parte de’ Guelfi e

non potrebbe senza grave pericolo rientrare nellemura di Siena.

Magalotto: — Lo so; ed è per questo che la nobilesignora ne ha fidato a me, propriamente a me, ildelicato incarico, ed io in parodia da cavaliere 25 loscorterò qui col favor delle tenebre.

Ghino: — Dici tu il vero?

25 in parodia da cavaliere: travestito da cavaliere.

GIACINTO BIANCO270

Magalotto: — Verissimo.Ghino: — Ma a che viene?Magalotto: — Non lo so.Ghino: — (Fra sé.) Sta in guardia, Ghino: qui si

trama sicuramente contro di te. Si fosse ella accortadel mio progetto e qui chiama il severo Ugo. Ugopieno di certa austerità. Ah! questo improvviso arri-vo di suo fratello disturba tutti i miei disegni, 26 e nelmomento in che io credeva [di tenere] in pugno lapreda, ella mi scappa dalle mani.

Magalotto: — Messer Ghino, se la mia personanon vi serve in altro. (In atto di partire.)

Ghino: — E per dove? (Intertenendolo.) 27

Magalotto: — Alla Taverna della Cappa Bianca adaspettare il mio incognito.

Ghino: — Malandato! Tu dunque vuoi perdermi.Magalotto: — Mi fate un torto anche a pensarlo.

Chi vi ha detto « guarda! » non vuol ferire.Ghino: — Magalotto! Quel tuo sangue freddo…Magalotto: — Ma pretendereste che io restassi qui

colle mani in mano? Ghino: — No, ma almeno…Magalotto: — Il mio incarico è finito. La scolta 28 vi

ha dato la voce; armi dunque sul bastione e coraggionel ricevere l’inimico.

Ghino: — L’inimico! Sì. (Si ferma un momento, e poifra sé.) Ma quale idea mi si affaccia alla mente! Qual-che volta si concede alla pietà ciò che si è negato all’a-

26 disegni: progetti.27 intertenendolo: trattenendolo.28 scolta: sentinella.

271Pia de’ Tolomei. Dramma storico

more; sì, egli giunge all’uopo. 29 Ugo è un Guelfo ed unGuelfo non può senza violare le più sante leggi mili-tari metter piede qui ove abitano Ghibellini; bastevo-le pretesto a catturarlo. E poi, Nello l’odia, forse… Ah!che un genio protettore mi soffia nell’anima.

Magalotto: — (Fra sé.) Pare un mago nello scongiu-ro.

Ghino: — Magalotto.Magalotto: — Son qua.Ghino: — Sono grato a’ tuoi servigi.Magalotto: — Non quanto dite.Ghino: — Vuoi oro? Ne avrai, ed a tua posta; 30 ma

scolpisciti bene in mente le mie parole e studia di ese-guirne attentamente i comandi.

Magalotto: — Parlate.Ghino: — Va, ti affretta al luogo designato: ritrova il

cavaliere e cerca di trattenerlo colà, finch’io non siacomparso. Fra poco io ti raggiungerò; appena mi avraiveduto sedere a mensa, dileguati ad un tratto e quivimena l’incauto avventuriere. Magalotto, un pensieromi ronza nel capo e se la fortuna mi seconda, la ritro-sa cadrà 31 nelle sue stesse reti.

Magalotto: — Ma si potrebbe…Ghino: — Tu devi ignorar tutto, finché l’opera non

sia perfetta. 32

Magalotto: — Ma almeno…

29 all’uopo: a proposito.30 a tua posta: a tuo piacere.31 se la fortuna … cadrà: se la fortuna mi asseconda, la scon-

trosa cadrà.32 perfetta: compiuta.

GIACINTO BIANCO272

Ghino: — Va, sollecita, non indugiare un altroistante.

Magalotto: — Ho capito; si tratta di fargli fare ilcammino più corto. (Toccando la sua daga.) Ci rive-dremo.

Ghino: — All’osteria della Cappa Bianca.Magalotto: — All’osteria della Cappa Bianca.

Scena quinta. Ghino solo.

Ghino: — Oh! questa volta non mi fuggirà sicura-mente; la mia tela è sì bene ordita, che sfido a distor-narla: sì, cadrà nel suo medesimo laccio. Ella amatroppo il suo Ugo, e se lo vede in pericolo, che nonfarà per salvarlo? Ah! la mia anima già s’inebria delpiacere della vicina vittoria, e tutta intesa nel vicinoavvenire sente raddoppiare le forze intorno al cuore.Giammai la fortuna arrise così propizia a’ miei pro-getti. — Ma odo rumore; è dessa; 33 coraggio; ella è inmio potere. (Si cela.)

Scena sesta. Pia, e detto.

Pia: — (Va al balcone.) È già sera, finalmente. Oh!con quanta impazienza vedo appressarsi questanotte a cui ho affidato il più caro ed il più pericolo-so dei segreti; ah! no, tu non mi tradirai.

33 dessa: essa.

273Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Ghino: — (Fra sé.) Che mai cercherà col suo cupi-do 34 sguardo?

Pia: — Sì; io lo rivedrò, lo abbraccerò, il mio Ugo.(Un servo porta de’ lumi e messer Ghino vien fuora.)

Ghino: — Nobile signora. (Inchinando.)Pia: — (Fra sé con sorpresa.) Ghino!Ghino: — (Fra sé.) Ella si turba!Pia: — (Ricomponendosi subitamente.) Qual

nuova mi rechi dello sposo, o Ghino?Ghino: — Niuna. 35

Pia: — Verrà egli a casa questa sera?Ghino: — Non credo.Pia: — E perché?Ghino: — Affari di grave momento 36 forse lo trat-

terranno al campo, e libero dal suo ufficio a notteavanzata credo sceglierà meglio dormir sotto latenda che tornare alle domestiche mura.

Pia: — Respiro. (Fra sé.)Ghino: — A quel che vedo, nobile signora, sì fatta

nuova non lascia di arrecarvi un infinito piacere.Pia: — Non quanto ne arrechi a Ghino! (Con iro-

nia.)Ghino: — Perché niuno 37 meglio di me può valu-

tare il bene inestimabile di essere un’ora da solo asolo con voi, d’intendere quella voce, di bearsi inque’ sguardi; di…

34 cupido: bramoso.35 niuna: nessuna.36 grave momento: grande importanza.37 niuno: nessuno.

GIACINTO BIANCO274

Pia: — (Interrompendogli freddamente il discorso.)Ghino, ti sono poi noti i particolari di simile tratta-tiva?

Ghino: — Sempre la stessa. — Sì, signora.Pia: — E quali sono?Ghino: — Corre voce che l’inimico stanco del con-

tinuo battagliare ed estenuato di forze per la caldastagione che anche gli fa la guerra, ha domandatoqualche giorno di tregua; si sono ragunati 38 i capi delMunicipio e forse delibereranno per l’armistizio.

Pia: — Il Ciel lo voglia! Ma credi tu che possa tuttofermarsi per la prossima notte?

Ghino: — No, signora; e voi non avrete sicuramen-te obliato l’attacco, tre giorni fa, sostenuto dai nostri,quando i guelfi imbaldanziti per subitaneo vantaggiorespinsero l’esercito fuggitivo fino alle porte dellacittà; e se non era il valore di Nello e di altri pochiscelti guerrieri, la nostra causa si sarebbe forse de-cisa in quella giornata. D’allora i capi dell’esercitofremono di rabbia e ciascuno numera 39 delle frescheingiurie ed anela di vendicarle.

Pia: — Vendetta e sempre vendetta! fatale ognoraper chi la compie e [per] quegli su cui ricade!

Ghino: — Molti inclinano alla pace e parlerannoper questa, ma non senza lungo disputare seguirà ilvoluto armistizio.

Pia: — Piaccia al Cielo, ed abbiano finalmenteriposo e Siena e Verona e Firenze e tutto questo bel

38 ragunati: radunati.39 numera: enumera.

275Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Paese che diviso da lunghe guerre cittadine si fa se-gno di onta 40 allo straniero.

Ghino: — I vostri sensi sono degni dell’animo cheli concepisce, ma è pure onesta cosa vendicare ledomestiche ingiurie, mantener saldi i dritti dellapropria città, pugnare per le ceneri de’ nostri mag-giori. 41 E poi qual rammarico per una vostra pari?

Pia: — Ghino, tu parli in tal guisa 42 perché, edu-cato alle armi, fai tacere ogni altro affetto, quando tiparla quello dell’ira e del sangue; ma se tu fossipadre, se possedessi de’ figliuoli, se ti avessi una con-sorte…

Ghino: — Una consorte! (Con espressione.)Pia: — Oh! quanto diverso sarebbe il tuo linguag-

gio. Costretto in ogni momento a tremare or per lavita dell’uno or pei giorni degli altri, terresti comeesecrata 43 l’ora in cui si accese la prima scintilla diguerra.

Ghino: — Voi dite il vero!Pia: — E quali angosce non ti strazierebbero l’ani-

ma, se il malnato spirito di parte, peste e rovina ditutta Italia, venisse ad impadronirsi degl’individuidella propria famiglia o di altre a te care persone?Allora il fratello fugge dal fratello, il padre arma lamano contro del figliuolo, e pieni di rabbia e di maltalento corrono sul campo per distruggersi a vicen-da; né mai un italiano fu visto tornar vincitore, il

40 onta: vergogna.41 pugnare … maggiori: combattere in difesa delle tombe dei

nostri antenati.42 in tal guisa: in questo modo.

GIACINTO BIANCO276

quale non dovesse spargere lagrime sui frutti dellapropria vittoria.

Ghino: — Signora, voi ne parlate in modo…Pia: — Come se ne fossi la vittima.Ghino: — La vittima! Pia, sarebbe questa una

lusinga? E se io vi proponessi un mezzo, il più faci-le, con cui ravvicinarvi alla vostra famiglia, rendervia due vecchi ed affettuosi genitori, ad un fratello chevi ama più degli occhi suoi, Pia, qual compensootterrei dalla vostra generosità?

Pia: — Tutto, o Ghino.Ghino: — Ma l’intrapresa non va scompagnata da

pericoli.Pia: — Son pronta ad affrontarne mille, purché di

tutti i Tolomei e quei della Pietra io vegga formarsiuna sola famiglia.

Ghino: — Una sola famiglia! Ebbene ascoltate efate tesoro de’ miei avvisi. Già vi è noto; Nello è alcampo: le faccende della guerra non comportanoche si allontani per questa notte; i miei fedeli sonogià pronti: una buona scorta ci terrà immuni da ognisinistro; fidatevi di me: fuggiamo!

Pia: — Fuggire! E dove?Ghino: — Nelle nemiche trincee; colà ritroverete il

fratello, e fatti di tutti una comitiva muoveremo alpadre.

Pia: — E Nello?Ghino: — Che induri a sua posta 44 nelle fatiche

della guerra, se ha tanto a schivo le delizie della pace.

43 esecrata: empia.44 induri a sua posta: si ostini a suo piacere.

277Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Pia: — Ed il fratello? ed il padre?Ghino: — Applaudiranno alla nostra intrapresa.Pia: — Ed il mio nodo con lui?Ghino: — Resterà sciolto.Pia: — Ghino! (Sdegnosamente.)Ghino: — Qual maraviglia! Se egli mosso da tur-

bolento spirito di parte non ha ritegno di armar lamano contro i propri congiunti, se vago 45 di armi edi civile dissenso trascura i doveri di tenero marito,si apporrà poi a delitto 46 alla moglie se fugge in senodella propria famiglia, salvandosi così da un uomobarbaro e disumano?

Pia: — Ghino, tu mi fai raccapricciare.Ghino: — Meno raccapriccio, meno sbigottimen-

to, o signora, e ponete mente alle mie parole.Pia: — Ma quali sono dunque le tue mire?Ghino: — Quelle di togliervi ad un marito che vi

trascura, di ricondurvi al seno di un’amata famiglia.Pia: — E poi?Ghino: — E poi se tante mie sollecitudini, se tante

mie cure valgono a destarvi un qualche sentimentodi riconoscenza, di amo…

Pia: — Ah! non terminare: il tuo insidioso discor-so già mi fa presentire i desideri del tuo cuore; lamaschera finalmente è caduta e tardi mi avvedodella tua malvagità.

Ghino: — Calmatevi. (Guardando sospettoso d’in-torno.)

45 vago: desideroso.46 si apporrà poi a delitto: si imputerà poi come un delitto.

GIACINTO BIANCO278

Pia: — Sì, io credei che la tua assiduità, i tuoimodi gentili fossero cortesia, attaccamento per l’a-mico, ed invece gli ho ritrovati insidiosa seduzione.Va, esci da queste pareti; la tua presenza le contami-na; i tuoi sguardi mi avvelenano.

Ghino: — Pia, io perdono ad un primo moto disdegno…

Pia: — Ghino, parti, lasciami per pietà. L’animamia in tempesta ha bisogno di riprender coraggio, dipersuadere a se stessa che tutto quanto udii fu un’il-lusione, un sogno col quale tu volesti mettere aprova la mia debolezza.

Ghino: — Che dite mai? Ditemi piuttosto cheattendendo 47 meglio alle mie parole, apprendereteda questo punto a vieppiù stimarmi, 48 a tener piùconto della mia tenerezza, dell’amor mio. Sono giàpiù mesi da che quest’anima, ardente in un incendiodi amore, agognava 49 al piacere di questo desideratomomento; io l’ho agognato più e più volte, ed orache vi giungo, volete anche privarmi del bene di unamomentanea illusione?

Pia: — È questo dunque un fermo proponimento?Ghino: — Fermissimo. (Risoluto.)Pia: — Disgraziato! Ma giuro al Cielo, e non vi riu-

scirai: Pia de’ Tolomei non rompe fede a suo marito.Ghino: — Badate che l’amore non si cangi in odio.Pia: — Ed aggiungi delle minacce! Ah! che il mio

sdegno non conosce più limite.

47 attendendo: riflettendo.48 a vieppiù stimarmi: a stimarmi di più.49 agognava: aspirava con forza.

279Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Ghino: — Pia, oramai sono stanco.Pia: — Fa’ senno, 50 o Ghino: parti o ad un solo mio

cenno tu non oltrepasserai vivo la soglia di questacasa.

Ghino: — (Con calma beffarda.) Un momento dicalma ed ascoltatemi. Voi dunque non vi piegheretemai all’amor mio?

Pia: — Non mai.Ghino: — Ebbene da cavaliere vi prometto di ven-

dicarmi, ed atrocemente.Pia: — Qualunque vendetta non potrà mai aggua-

gliare l’offesa tentata contro l’onore mio.Ghino: — (Piano all’orecchio.) Pia, voi in questa

notte, qui, attendete un Guelfo.Pia: — (Sbigottita.) Un Guelfo! E chi?Ghino: — Ugo in persona.Pia: — Cielo!Ghino: — Egli cogliendo il destro 51 dell’assenza

del marito, verrà inosservato a colloquio in questestanze.

Pia: — E come il sapesti?Ghino: — Non vi curate come io mel sappia. 52 Ugo

è un nemico; Ugo è in odio a Nello. I miei fidi 53 giàsono all’agguato e non aspettano che un mio cenno,un mio solo cenno, ed il fratello resterà trucidato.Ora scegliete: o la morte di Ugo e l’indignazione diNello, o l’amor mio che solo può rendervi felice.

50 senno: attenzione.51 il destro: l’occasione favorevole.52 mel sappia: me lo sappia.53 fidi: fedeli.

GIACINTO BIANCO280

Pia: — Ah! che io sono tradita.Ghino: — Riflettete e decidetevi liberamente; ma

non vi sfugga al pensiero un tenero fratello che pro-scritto, ramingo 54 pone a rischio i suoi giorni perrivedere, per riabbracciare una suora, 55 la qualecolla sua ritrosia qui, qui stesso gli prepara lamorte; presente sia alla vostr’anima l’agonia morta-le di due vecchi genitori, i quali privi di ogni soste-gno lagrimeranno di dolore all’annuncio della per-dita di questo figliuolo, unica speranza a’ loro annicadenti; essi ripeteranno da voi 56 la loro sciagura, eprossimi a spirar dall’affanno, esecrando l’ora 57 inche vi misero alla luce, forse morranno maledicen-dovi.

Pia: — Ah! tolga il Cielo un sì funesto augurio. Maio sono ancora in tempo di riparare al male operato.— Magalotto, Magalotto!

Ghino: — Inutile domanda. Egli è già all’osteriadella Cappa Bianca, e forse a quest’ora viaggia colsuo incognito a questa volta. 58

Pia: — Voi dunque siete tutti in lega contro di me!Ghino: — Pia, una vostra parola e tutti siam salvi.Pia: — No, non mai. Va, corri, scanna la tua vitti-

ma, renditi un assassino, e contento a vedermi spi-rare fra le più penose ambasce, 59 godi del frutto della

54 proscritto, ramingo: bandito, fuggiasco.55 suora: sorella.56 ripeteranno da voi: faranno derivare.57 esecrando l’ora: detestando il momento.58 col suo incognito a questa volta: con il suo sconosciuto in

questa direzione.59 ambasce: sofferenze.

281Pia de’ Tolomei. Dramma storico

tua vendetta; ma viva il Cielo, e morendo io sapròsfidare un seduttore.

Ghino: — Pia! (Fa moto di avvicinarsi.)Pia: — Scellerato, allontanati! Ma oh! Dio, men-

tr’io qui parlo, forse l’innocente vittima già s’incam-mina al macello: i scherani han forse cerchiate 60

queste mura, e qui, qui stesso, nel buio della notte,sotto a’ miei occhi, il fratello morto: oh! Dio… (Cadesvenuta sopra una sedia.)

Ghino: — Ella è svenuta! Ma vincerò. (Fuggetemendo di esser sorpreso da solo a solo con lei.)

60 i scherani han forse cerchiate: gli sgherri forse hannoaccerchiate.

GIACINTO BIANCO282

Atto secondo

È notte. Larga osteria di campagna; sulla porta d’in-gresso un rozzo dipinto rappresentante un uomo rav-volto in cappa bianca; due tavole da mangiare.

Scena prima. Quattro cavalieri di parte Guelfa conbicchieri alla mano, ed Oliverotto.

Tutti: — (Bevendo.) Evviva l’Italia! evviva gl’italia-ni!

Oliverotto: — Che sia benedetta la sera del 13 ago-sto; almeno non si odono più a gridare quei bruttis-simi nomi di Guelfi e Ghibellini.

Cavaliere 1: — Eh! eh! il nostro Oliverotto; a quelche sento una qualche daga Ghibellina ti avrà misu-rate le spalle.

Oliverotto: — Mi guardi il Cielo, o cavaliere, chemi dicono di pesar più libbre.

Cavaliere 2: — Allora un qualche Guelfo non tiavrà pagato lo scotto. 1

Oliverotto: — Di questa gente poi ve n’ha fra gliuni e fra gli altri, ma non diceva per questo.

Cavaliere 3: — E perché dunque tant’odio controdi questi Guelfi e Ghibellini?

Oliverotto: — È perché quante volte si comincia asalutare 2 ai loro nomi dapprima si scambiano i bic-

1 lo scotto: il conto.2 salutare: brindare.

283Pia de’ Tolomei. Dramma storico

chieri, di poi si tirano fuori le spade e finisce per lomeno con una sfida. (Scoppio di risa.)

Cavaliere 3: — Ah! tu sei dunque un uomo di pace.Oliverotto: — Certo: nella pace si mangia e si beve

allegramente, e quel boccone che vi scende nello sto-maco fa la sua via ritta ritta senza trovare alcunintoppo. 3

Cavaliere 2: — Poltrone!Oliverotto: — Eh! cavaliere, non mi date così pre-

sto del poltrone; ché anch’io in tempi più burrasco-si, quando viveva la buona memoria di mia madre,ho servito da scudiere ad un tal di casa Amedei, 4 edho maneggiata la mia daga.

Cavaliere 2: — Ed hai ucciso?Oliverotto: — Neppure un’anima vivente.Cavaliere 3: — Va là, portaci del buon di Volsina. 5

Oliverotto: — Del buon di Volsina. (Via.)Cavaliere 1: — È un buon diavolaccio ed ha ragio-

ne di odiare tutto quanto gli fa dammaggio. 6

3 Cioè senza trovare il passaggio ostruito da qualche spada!4 Casa Amidei è l’antica famiglia fiorentina a cui una tradi-

zione, ripresa da Dante, Paradiso, XVI, 136–147, faceva risa-lire la divisione tra guelfi e ghibellini in Firenze: poichéBuondelmonte dei Buondelmonti, mancando alla promessafatta di sposare una donna di casa Amidei, ne aveva sposatauna di casa Donati, gli Amidei si vendicarono dell’offesa subi-ta, uccidendo lo stesso Buondelmonte (1216); la lotta sareb-be quindi continuata coinvolgendo sia i sostenitori dei Buon-delmonti, che furono guelfi, sia quelli degli Amidei, che furo-no ghibellini.

5 del buon di Volsina: del buon vino di Bolsena; cfr. Sestini,Pia, I, 60, 8.

6 dammaggio: danno.

GIACINTO BIANCO284

Cavaliere 2: — Per verità, quando ci salta la moscaal naso, noi altri non la risparmiamo né a uomini néa donne, e molto meno a fiaschi ed a bicchieri.

Cavaliere 3: — Massime 7 se ci riscalda un po’ ilgeneroso di Volsina.

Cavaliere 2: — Ma infine si sa. Chi vive in mezzoalle armi addiviene senza volerlo rabbioso iracondo,e alla menoma parola va subito in collera.

Cavaliere 3: — Ed allora si menano le mani a drit-ta ed a manca senza remissione.

Scena seconda. Oliverotto con de’ fiaschi di nuovovino, e detti.

Oliverotto: — Del buon di Volsina.Cavaliere 1: — Da bravo il nostro ostiere. 8

Tutti: — Beviamo! Evviva l’Italia! Evviva gl’Ita-liani!

Cavaliere 3: — Ma adagio, compagni, noi dimenti-cavamo il primo ed il più essenziale dovere: un buoncavaliere italiano non beve mai senza salutare la suadonna.

Tutti: — Certo. Che vivano dunque le belle donne!Che vivano pure! (Bevono.)

Cavaliere 3: — A proposito, Oliverotto, tu che seiistrutto delle istorielle 9 della città, ci sapresti dire chigode fama di bellezza in tutta Siena?

7 massime: soprattutto.8 ostiere: oste.9 istrutto delle istorielle: informato sulle chiacchiere.

285Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Oliverotto: — Ahi! ahi! che incomoda domanda.Scappo dalla pendola10 e cado nella bracia. 11

Cavaliere 3: — E così?Oliverotto: — Ma se si comincia colle donne, o

cavaliere, io ho paura che mi facciano più male ditutti i Guelfi e i Ghibellini.

Cavaliere 3: — E perché?Oliverotto: — Ma sì perché, a raccontarvela schiet-

ta, ne ho veduto delle brutte per questa buona razzadel genere umano.

Cavaliere 4: — E quando parlerai? (Con ira.)Oliverotto: — Ecco qui; non appena entrano le

donne e la festa è già ita 12 in fumo. Ma prima che iorisponda alle vostre domande, ditemi di grazia: laguerra è poi finita?

Cavaliere 4: — No, ma intermessa: 13 ci si è accor-data la tregua di cinque giorni.

Cavaliere 3: — Ma perché tale inchiesta?Oliverotto: — Perché! Perché in tempo di guerra

tutti sono intesi alle armi: le case restano senza imaschi e le povere donne…

Cavaliere 1: — Affè di Dio! 14 che tu la sai più lungadi qualunque altro.

Oliverotto: — Eh! cavaliere questi sono pericolitroppo noti: cui non notis, come diceva la buon ani-ma di mio nonno, cui non notis Ulyssis? 15

10 pendola: pentola, ché pende dalla catena sul fuoco.11 bracia: brace.12 ita: andata.13 intermessa: interrotta.14 Affé di Dio: a fede di Dio.15 cui non notis; cui non notis Ulyssis: « a chi non sono

GIACINTO BIANCO286

Cavaliere 2: — Anche del latino!Oliverotto: — Un po’ di tutto, cavaliere: in una

pubblica osteria v’è bisogno di tener merce di ognisapore.

Cavaliere 4: — Ma ti spiccerai una volta? Qual èdunque la più bella donna di Siena?

Oliverotto: — Ebbene, giacché dunque lo volete eme lo comandate con un certo tuono 16 ve lo dirò: Piade’ Tolomei.

Cavaliere 4: — Pia de’ Tolomei. (Con voce cupa.)Cavaliere 2: — È dunque vero quel che ne raccon-

ta la fama.Oliverotto: — Verissimo: è un angelo di bellezza.Tutti: — Evviva. (Toccando i bicchieri.)Cavaliere 3: — Evviva Pia de’ Tolomei. (Bevono.)Tutti: — Evviva.

Scena terza. Messer Ugo colla visiera calata, edetti.

Ugo: — (Fra sé, fermandosi alquanto sull’uscio.)Qui si beve al nome di mia sorella!

Oliverotto: — Perdonate, signori, giunge un altroavventore.

noti? »; « a chi non è noto Ulisse? » — Se avesse conosciutoanche le regole della concordanza latina, l’oste avrebbe detto:cui non nota (pericula ista); cui non notus Ulyxes; locuzioneforse ricollegabile a Virgilio, Eneide, II, 44.

16 tuono: tono.

287Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Ugo: — La tavola è vuota; sediamo. (Siede a mandritta.)

Oliverotto: — Vuol qualche cosa il cavaliere? (AdUgo.)

Ugo: — No.Oliverotto: — (Fra sé.) Parola da debitore.Ugo: — (Fra sé.) Ma non vedo l’uomo, che io cerco:

questi son tutti cavalieri; avesse mentito abito? 17 Manon sederebbe con essi!

Cavaliere 2: — Oliverotto.Oliverotto: — Son qua.Cavaliere 2: — (Piano ad Oliverotto.) Conosci quel

cavaliere?Oliverotto: — È tutto chiuso in armatura, ed ha

lasciato appena fuggir dalla visiera un cupo no.Cavaliere 2: — Ma tu credi…Oliverotto: — Che sia o un disgraziato o…Cavaliere 2: — Finisci.Oliverotto: — O un amante.Cavaliere 2: — E perché?Oliverotto: — E perché questa gente pazza per

donne suol farsela ordinariamente o ne’ cantoni dellevie ovvero nelle taverne, ove si danno alla voce coi… 18

voi già mi capite.Cavaliere 2: — Benissimo.Cavaliere 3: — (Riprendendo il discorso a voce

alta.) Ma finisci dunque di raccontarci la novella;sicché l’eroina di Siena è Pia de’ Tolomei.

Oliverotto: — Pia de’ Tolomei.

17 mentito abito: finto vestito.18 coi … : con i ruffiani.

GIACINTO BIANCO288

Cavaliere 3: — Ma l’orsa maggiore non va mai solaper le vie del cielo: avrà senza fallo 19 il suo amante.

Oliverotto: — Altro che amante; ha un marito belloe rosso come il sole, e dicono che tiri certestoccate… 20

Cavaliere 3: — Tanto meglio; un più degno compe-titore da scavalcar di sella. (Ugo fa un atto di sorpre-sa.)

Oliverotto: — Ma che competitore, che sella miandate raccontando; sapete voi che messer della Pie-tra ci metterebbe poco a spacciarli tutti?

Cavaliere 4: (Con aria cupa.) Forse sì e forse no.Oliverotto: — Eh! messere, state attento ché in tale

affare non si burla. 21

Cavaliere 4: — E via, balocco, 22 portaci dell’altrovino.

Oliverotto: — Pronto dell’altro vino. (Via.)

Scena quarta. Magalotto in abito da cavaliere, edetti.

Magalotto: — (Fermandosi maravigliato sullaporta.) Guelfi! Ed in sì gran numero! Avesse Ugomenato seco de’ compagni! (Fra sé.)

19 senza fallo: senza errore.20 stoccate: colpi di spada.21 burla: scherza.22 balocco: sciocco.

289Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Cavaliere 3: — Ma almeno questa tregua ci lascia ilcampo di bevere 23 e cantarellare a nostro talento:dopo cinque altri giorni fiato alle trombe e di nuovoin arcione.

Cavaliere 1: — Sicuramente.Magalotto: — (Fra sé.) Una tregua! Comprendo

tutto. Cerchiamo del mio uomo. (Entra.) Primo salo-ne a man dritta; se non m’inganno, eccolo. (Strin-gendo la mano ad Ugo.) Campaldino.

Ugo: — Campaldino. Siedi. (Piano a Magalotto.)Magalotto: — (A voce bassa.) Messer Ugo, io sono

incaricato dalla mia signora di scortarvi a casa inquesta notte.

Ugo: — È sola?Magalotto: — Sì.Ugo: — Bene. (Restano come ragionando fra loro.)

Scena quinta. Messer Ghino chiuso nel mantello, edetti.

Ghino: — Magalotto dovrebb’esser qui in compa-gnia di Ugo. Eccoli; son dessi. (Fermandosi maravi-gliato sulla porta.) Guelfi! (Entra.) Vi saluto.

Cavaliere 3: — Ed un altro! A me. (Ai compagni, poial nuovo arrivato.) Nobile cavaliere, che siate il benearrivato; quivi siam tutti amici, e se la vostra donnanon vi fa disdetta, 24 potete sedere liberamente.

23 il campo di bevere: la comodità di bere.24 disdetta: ostacolo.

GIACINTO BIANCO290

Ghino: — Un Ghibellino! (Allarga la cappamostrando l’insegna ghibellina ricamata sul petto.)

Cavaliere 3: — Per cinque giorni non v’ha più néGuelfi né Ghibellini; la tregua è segnata.

Ghino: — Già segnata!Cavaliere 3: — Sì.Ghino: — (Fra sé.) Sono con voi. (Siede mentre

Magalotto parte con Ugo.)

Scena sesta. Oliverotto di ritorno con degli altrifiaschi di vino, e detti.

Oliverotto: — Del nuovo vino.Cavaliere 2: — Qua, qua, ne beveremo tutti. (Mini-

stra 25 nelle coppe.)Oliverotto: — Cresce la brigata.Cavaliere 3: — E ciascuno saluterà la padrona de’

suoi pensieri.Gli altri tre: — Sì, alla padrona de’ nostri pensieri.Tutti: — Evviva colei che m’innamora! Evviva!Ghino: — Sono fallite le mie speranze! (Fra sé.)Cavaliere 3: — Cavaliere, poneste mente a que’ due

che poco fa uscirono di qui?Ghino: — Sì.Cavaliere 2: — Avevano del misterioso.Ghino: — Sì.Cavaliere 3: — Il primo è entrato in silenzio e colla

visiera calata; si è seduto colà e dopo pochi minuti siè visto comparire un secondo che, chiuso nella cap-

25 ministra: serve.

291Pia de’ Tolomei. Dramma storico

pa, gli ha prima stretta la mano e poi, mormorandonon so quali parole, gli si è situato vicino.

Oliverotto: — Imbrogli! Imbrogli! (Fra sé.)Cavaliere 3: — In tempi in cui arde una guerra sì

pericolosa e nella stessa notte in che si è pattuito unarmistizio simili figure sono di sinistro augurio.

Cavaliere 2: — Di sinistro augurio, o cavaliere.(Con espressione.)

Cavaliere 1: — Giuro al Cielo, e se qualcuno osainsidiarci alle spalle prometto che non vedrà il soledi domani. (Si alza.)

Cavaliere 4: — Possa io riputarmi indegno delnome di Guelfo, se con la mia azza 26 non gli spaccola fronte. (Si levano tutti.)

Tutti: — Un tradimento.Ghino: — Placatevi, nobili cavalieri; un italiano

non ferisce mai alle spalle.Cavaliere 1: — Sì, ma talvolta…Cavaliere 3: — (Dopo aver guardato Oliverotto.)

Quale sospetto! Oliverotto?Oliverotto: — Che chiedete? Cavaliere 3: — (Prendendolo per mano.) Dimmi e

guardati dal mentire, ci anderebbe della tua vita:saresti tu per avventura a parte delle insidie di que’vili? (Lo circondano tutti.)

Oliverotto: — Che dite, signore?Cavaliere 3: — Tu menti.Oliverotto: — Ma qual idea vi è saltata in capo;

così il Cielo mi scansi da ogni malanno come io dico

26 azza: mazza da combattimento.

GIACINTO BIANCO292

il vero. Chi sa cosa giri nel capo a que’ due meschi-ni, e voi…

Cavaliere 3: — Erano due cavalieri. (Insistendo.)Oliverotto: — Ma gli avete ben conosciuti?Cavaliere 3: — Due cavalieri dico, ed in incognito.Oliverotto: — Ed allora è bella ed indovinata. A

quest’ora faran già la ronda sotto qualche balcone.Ghino: — Di fatti…Oliverotto: — Di fatti, credetemi, ne avevano

tutta l’aria e specialmente quel primo; il qualearmato da capo a piedi e con una certa voce dadisperato indicava bene il risentimento per unaqualche infedeltà sofferta.

Tutti: — Eh! (Guardandosi li uni gli altri.)Oliverotto: — E poi, si sa, quando un nobile di notte

tempo arriva all’osteria in visiera bassa e pugnale alfianco, tenete per certa una impresa di amore.

Cavaliere 3: — Un’impresa d’amore!Oliverotto: — Senza dubbio: se conosceste quante

di queste facce da Rodomonte 27 mi capitano alla set-timana; ma già non mi danno un soldo di guadagno.Seggono muti muti come statue e dopo un lungopaio d’ore di fermata, al comparire di un qualchegiubetto, 28 via e chi sa.

27 Rodomonte: reso popolare da grandi episodi del poemaariostesco, Rodomonte è il guerriero valoroso, feroce, orgo-glioso per antonomasia, quale egli si mostra soprattuttodurante l’assalto dei Mori a Parigi e nel duello finale con Rug-gero, con cui si chiude L. Ariosto, Orlando furioso, XVI,19–XVIII, 25; XLVI, 101–140.

28 giubetto: farsetto.

293Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Ghino: — Io non so che risolvere. (Fra sé.)Cavaliere 3: — Basta, basta, sarà. Cavaliere, ma voi

siete pensieroso.Ghino: — Sì.Cavaliere 3: — Allora un altro bicchiere e vi lasce-

remo in pace.Ghino: — Come vi aggrada.Cavaliere 3: — Da buoni amici. (Toccando i bic-

chieri.)Tutti: — Da buoni Italiani. (Bevono.)Cavaliere 2: — Sul campo e da prodi, se l’uopo 29 lo

richiede.Tutti: — Addio Oliverotto. (Gli danno una borsa.)Oliverotto: — Servo di vostre signorie. (Accompa-

gnandoli.) Sono scudi belli e suonanti.

Scena settima. Ghino solo, camminando a passoconcitato per la stanza.

Ghino: — Tregua malaugurata! Ma chi mai posein animo a’ Ghibellini di pattuire in sì brev’ora unarmistizio! E non valsero a distornarli le anticheingiurie ed i novelli oltraggi della poco fa soffertaritirata! Tutta Italia non respira che guerra e quandoun’ora di guerra vogl’io, la guerra è spenta. Per cin-que giorni non v’à più né Guelfi né Ghibellini; Ugo ègià tornato un buon senese: già senza niun pericolopuò mostrarsi sulle vie, presentarsi a lei; ed il mio

29 l’uopo: il bisogno.

GIACINTO BIANCO294

divisamento 30 di catturarlo e ridurre così alle mievoglie la superba donna: tutto è svanito! Ma ognialtro, vinto per sì improvviso accidente, piegherebbeal suo destino; Ghino non mai. Oh! sì, io le inse-gnerò come quest’anima sa trar partito 31 dalla stessacontrarietà e che, se mi è tolto ogni mezzo per espu-gnare la di lei costanza, non per questo mi vienmeno la volontà di vendicarmi. (Resta alquanto pen-sieroso e poi.) Sì, ho risoluto! 32 Ti avrai invece il mioodio. Oliverotto! Oliverotto!

Scena ottava. Oliverotto, e detto.

Oliverotto: — Son qua, signore.Ghino: — Un uomo.Oliverotto: — Un uomo?Ghino: — Sì; e che sia pronto ed intelligente.Oliverotto: — Eh! per la prima potrei compromet-

termi, poiché, grazie al Cielo, a gambe stiamo bene;per la seconda poi…

Ghino: — Balordo, io ti chiedo un uomo!Oliverotto: — Allora se vi accomoda Rienzo, il gar-

zone dell’osteria…Ghino: — È anche molto.Oliverotto: — Ma vi prevengo che il povero diavo-

lo è cieco da un occhio e coll’altro sonnacchia finoalla mattina due ore dopo la levata del sole.

30 divisamento: progetto.31 partito: profitto.32 risoluto: deciso.

295Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Ghino: — Io non so chi mi tenga. (Con impazien-za.)

Oliverotto: — Ma perdonate, cavaliere, qual è poila vostra intenzione? Poiché se l’affare è di sommapremura, potrei…

Ghino: — Tu stesso?Oliverotto: — Se il bisogno è urgente.Ghino: — Urgentissimo, e ne sarai largamente

ricompensato. Tu devi montare in sella subitamentee di stretto galoppo recarti al campo. Ivi cercheraicon ogni sollecitudine di messer Nello della Pietra, epalesatogli 33 il mio desiderio di volerlo vedere perquesta notte in quest’osteria, qui lo conduci. Olive-rotto, adempisci esattamente a’ miei voleri e ti pro-metto tant’oro quanto non ne guadagni in tre mesidell’anno.

Oliverotto: — Corro come un daino.Ghino: — Ma ascolta. Se qualcuno…

Scena nona. Messer Nello, e detti.

Nello: — Ehi dell’osteria? (Entra.)Ghino: — Chi vedo!Nello: — Ghino!Ghino: — Nello!Oliverotto: — Diavolo! (Fra sé.)Ghino: Nello, tu giungi ed opportunamente.Nello: — E perché?Ghino: — Per cosa a te di sommo rilievo.

33 palesatogli: fattogli conoscere.

GIACINTO BIANCO296

Nello: — Tu dunque venivi in traccia di me?Ghino: — Sì.Oliverotto: — Signore, il tempo passa.Ghino: — Va, non ho più bisogno di te.Oliverotto: — Ma come, poco fa…Ghino: — Va, ti dico, ho rinvenuto chi cercava.Oliverotto: — Addio il saldaconto di tre mesi del-

l’anno. (Via.)Nello: — Ebbene parla; che avvenne? (Dopo aver

poggiato l’elmo e la spada sulla tavola.)Ghino: — Simuliamo pietà. — Nello, sfortunato

Nello, quanto ti compiango! Ahi! qual dolorosoufficio mi apparecchio a compire: rinnegherei quasiquesta santa amicizia.

Nello: — Ghino, le tue parole mi agghiacciano!Ghino: — E sì che la tua sciagura è tale da farti

cader freddo al suolo.Nello: — Ghino, non mettere più indugi: ogni

istante che si frappone all’annunzio di un mal che siteme è un nuovo male.

Ghino: — Sì, io ti paleserò tutto, io ti dirò tutto,ma prima tu dei promettermi che farai uso della tuaprudenza.

Nello: — È dunque grave la disavventura?Ghino: — Gravissima.Nello: — Ma che? Mi han forse calunniato? Mi han

morto 34 il padre?Ghino: — Ben altro, o Nello. La calunnia si smen-

tisce; si vendica il padre; ma il proprio disonore…Nello: — Disonore!

34 mi han morto: mi hanno ucciso.

297Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Ghino: — Sì, cercano disonorarti, se non l’hannodi già fatto.

Nello: — Disonorarmi! (Con ira e poi placato.)Ghino, tu menti.

Ghino: — Così pur fosse.Nello: — Ghino! Ah! no, io conosco troppo la

fedeltà della mia donna, il suo affetto per me; no, nonposso prestar fede alle tue parole; un demone al certomi parla per la tua bocca: tu menti per la gola. 35

Ghino: — Bella ricompensa in vero che tu dai a’miei servigi! Io mentire! Or va’, compi scrupolosa-mente gli uffici di tenero amico; disvela a’ mariti ipreparati tradimenti, che di grazie invece aspettatimercede di rampogne e di dileggi. 36

Nello: — Ghino, mio Ghino, dimmi che m’ingan-nasti. (Fremendo.)

Ghino: — Io lo vorrei, ma la tua infamia è tropponota.

Nello: — Già nota! Ah! Ghino, se vuoi che io nonti stimi un mentitore e non ti costringa col ferro allamano a rendermi ragione di una simile ingiuria,dammi, sì dammi più certa prova di quanto mi asse-risci.

Ghino: — Ed allora?Nello: — Ed allora sì, io ti avrò pel mio vero, pel

solo amico.

35 tu menti per la gola: tu menti tanto da meritare di essereimpiccato per la gola.

36 disvela … dileggi: rivela ai mariti i tradimenti così cheinvece di ringraziamenti aspettati un compenso di rimprove-ri e di scherni.

GIACINTO BIANCO298

Ghino: — Ella è perduta. — Ebbene innanzi tuttogiurami da onesto cavaliere che non farai mottoall’infedele di quanto ti apparecchi a vedere.

Nello: — Vedere!Ghino: — E che non recherai alcun male a colui

che ti offende.Nello: — E perché?Ghino: — Nello, i doveri di amico mi stanno a

cuore quanto quelli del sangue, ed io non potreisenza rimorsi adempire agli uni conculcando 37 glialtri. Sì, colui che sconsigliatamente macchia il tuonome, io tel dirò, mi è stretto coi vincoli della piùprossima parentela.

Nello: — Un tuo congiunto!Ghino: — Misero! Accecato dall’amore, ammalia-

to dagli artifici della bella ma pure insidiosa donna,non seppe farsi schermo di virtù contro gli assaltidel proprio cuore; restò vinto, e ciò mi cagiona unimmenso dolore.

Nello: — Quanto maggiore è il mio! Ah! Nello, tra-dito Nello! Ma chi, chi mai avrebbe anche sospetta-to che la modesta 38 figliuola de’ Tolomei, Pia, laquale dopo tante contrarietà superate e del padre edel fratello giurava di non amar che me, me solo,così in un subito cangiarsi, 39 tradirmi…

Ghino: — Amore non fu mai durevole in cuor didonna; leggiere come la piuma piegano facilmenteal nuovo adoratore.

37 conculcando: calpestando.38 modesta: costumata.39 in un subito cangiarsi: con un cambiamento improvviso.

299Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Nello: — E tu tenero, impareggiabile amico, aprezzo di tanto sacrificio qui venivi e correvi sullemie tracce per disvelarmi il fatale arcano ed io tioltraggiava! (Si ferma per un istante, e poi come giàrisoluto nel pensiero della vendetta con voce cupa.)Ma sarò vendicato.

Ghino: — Ma rammentati che io esigo prima il tuogiuramento.

Nello: — Sì, te lo giuro da onesto cavaliere.(Ponendo la mano sul petto.)

Ghino: — (Fra sé.) Ho vinto.Nello: — Ricada sull’infedele tutto il peso della

mia collera, ed impari morendo come si serbi fedead un Ghibellino.

Ghino: — La tua mano.Nello: — Eccola.Ghino: — Vieni e vedrai se Ghino mentiva. (Via.)

Scena decima. Il teatro è lo stesso del primo atto. Piasola.

Pia: — Io non ho più sangue nelle vene; una manodi ghiaccio mi stringe il cuore; e ad ogni ora parmiascoltare il lamento del mio Ugo moribondo. Ah!che in pensarlo soltanto io muoio. (Si odono dellegrida lungo la via.) Gran Dio! quali grida si elevanonel buio! Ah! che il perverso Ghino già compie i suoiatroci disegni. Son queste le grida di un popolo infu-riato. Ugo, mio Ugo, tu muori e per soverchio amar-mi. (Viene al balcone per accertarsi.)

GIACINTO BIANCO300

Scena undicesima. Messer Ugo con Magalotto, edetta.

Ugo: — Lasciami solo con lei. (Piano a Magalotto.)Magalotto: — Ubbidisco. — Si eviti il primo incon-

tro. (Via.)Ugo: — Pia.Pia: — Ugo! ma sei tu, Ugo! (Abbracciandolo.)Ugo: — Sì, io, io stesso. Ah! tu non più mi ravvisi,

sparuto 40 come sono dal lungo esilio e dalle duratefatiche.

Pia: — Ugo! Ma ti è forse qualcuno alle spalle? Laplebe infuriata che domanda la tua vita, il tuo san-gue?

Ugo: — No!Pia: — Qui, qui a questo seno tu ritroverai il più

sicuro asilo. (Lo abbraccia e quasi lo nasconde dietrodi sé.)

Ugo: — Pia!Pia: — No, che i perfidi non compiranno il loro

desiderio; i loro ferri passeranno me prima ditrafiggerti.

Ugo: — Pia! Ma tu vaneggi!Pia: — Malaccorto! 41 Ah! tu non sai che mentre

qui parli lo scherano 42 già forse t’insegue, già è peralzare il compro 43 pugnale. Ah! lascia, sì lascia cheio prima provveda alla tua sicurezza.

40 sparuto: smagrito.41 Malaccorto: Incauto.42 scherano: sgherro, sicario.43 compro: venduto.

301Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Ugo: — Ma è vana la tua cautela!Pia: — Ma quel crescer di popolo, quelle grida

lungo la via?Ugo: — Ed erano le voci di una plebe impazzata,

già lieta per la seguita tregua.Pia: — Una tregua!Ugo: — Sì, dopo dieci lunghi mesi di continuo

combattimento al fin ci è dato respirare alquanto, emettere nuovo sangue nelle vene per essere piùpronti alle nuove offese.

Pia: — Una tregua! dicesti tu una tregua! Dio, io tiringrazio.

Ugo: — Pia, ma tu poco fa parlavi come fossi certadi una tesa insidia?

Pia: — No.Ugo: — Ma quella tua confusione…Pia: — No, l’ignoranza del conchiuso armistizio, la

tema pei tuoi giorni, la vigilanza degl’iniqui, quellegrida poco fa lungo la via: tutto mi rendeva inquie-ta.

Ugo: — Povera suora! 44 Ne hai ben ragione. Difatti, se non era la tregua, Ugo de’ Tolomei non pote-va senza rischiare la sua vita rientrare nelle mura diSiena, recarsi a casa della suora, giungere fin qui.Fatalità crudele!

Pia: — Ugo, mio Ugo; ma di’, qual nuova tu miapporti del nostro vecchio genitore, della nostrabuona madre? Che dicono essi? Che fanno?

Ugo: — Miseri! Essi vivono al dolore ed all’affan-no. Da quel giorno che tu [fosti] presa d’amore per

44 suora: sorella.

GIACINTO BIANCO302

codesto Nello che ora combatte contro i propri con-giunti, spogliati dell’unica figliuola che lor rimaneva,traggono 45 una vita di pianto e di pene. Il tuo nomeritorna ognora sulle loro labbra, e dolenti ricercanoper la vuota abitazione la figlia che non è più.

Pia: — Povero padre! Madre infelice!Ugo: — Te non condanno che fedele a’ tuoi primi

giuramenti serbasti in fine la data fede, ma sin daquel tempo era a me presente l’irreparabile sciagurache or senza volerlo tutti ci grava; erano a me noti isensi 46 di Nello: egli usciva da un sangue troppo o-diato; era un Ghibellino, ed alla prima rottura dipace io me lo attendeva nemico.

Pia: — Ma e perché non parlar per la pace?Ugo: — Pace! Essa non è più per noi; Guelfi e Ghi-

bellini han divisa tutta Italia e la nostra terra saràcampo a loro discordie eternamente. (Prendendole lamano.) Pia, gli eventi della guerra sono incerti ed èben fortunato colui che dopo una giornata di armipuò dire a sé, a’ suoi cari, « io vi fui ». Un dì o l’altro,se questo civile accanimento non ha posa, il tuo Ugopotrebbe anch’egli cadere sotto il ferro nemico; maprima di esalare l’ultimo fiato, forte mi stringeva lavoglia di saper di te, del tuo stato, ed abbracciartianche una volta.

Pia: — Amoroso fratello. (Lo abbraccia.)Ugo: — Ma dimmi e guardati da una menzogna: ti

ama Nello?

45 traggono: conducono.46 sensi: sentimenti.

303Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Pia: — Assai, e malgrado tutti questi odi cittadininon mi trascura; e sovente lo udii a ripetere congenerosi sensi il tuo non meno che il nome delpadre.

Ugo: — Durante la sua assenza, ti avesse alcunorivolto uno sguardo men che rispettoso?

Pia: — Quale domanda! No.Ugo: — Ma dici tu il vero?Pia: — Sì…Ugo: — Mi accheto al tuo detto.Pia: — Ma perché un simile dubbio?Ugo: — Non ti farò un mistero. Questa notte, men-

tr’io muoveva a queste soglie, nobili cavalieri sedutia mensa parlavano di te, e nei loro discorsi, nei lorodetti mi parve scorgere un certo che d’insidia, diamaro dileggio per la tua virtù.

Pia: — No, mio Ugo; l’amore spesso ci finge 47 de’pericoli là dove non sono.

Ugo: — Nello fa dono della sua amicizia a mendiscreti; 48 Nello è un cavaliere dedito alle armi, esovente per desio di gloria passa le intere notti lungidalle domestiche mura.

Pia: — (Fra sé.) Ah! ch’egli indovina il mio stato!Ugo: — I nipoti di della Pietra 49 sono gelosi, ed

una furia è la gelosia.Pia: — Fratello!Ugo: — Basta, basta così. Ora che tutto vidi co’

miei occhi e che ti ho stretta fra queste braccia, io

47 finge: raffigura.48 a men discreti: a persone poco riservate.49 i nipoti di della Pietra: i discendenti dei della Pietra.

GIACINTO BIANCO304

torno più animoso a confortare i nostri vecchi geni-tori, loro apportando nuova di te e della tua felicità.

Pia: — Tu dunque ti allontani?Ugo: — È forza separarci. L’ora è già trascorsa; i

miei affetti si sono alquanto disfogati e posso conmaggior lena 50 tornare agli usati esercizi. Se Nellogiungesse…

Pia: — Ti comprendo.Ugo: — Non guastiamo l’opera già fatta. Addio

sorella.Pia: — Mio Ugo, prendi questo tenero amplesso, 51

e voglia il Cielo…Ugo: — Che non sia l’ultimo.Pia: — Per di qua, per la scala segreta del giardi-

no. (Incamminandosi verso la porta segreta del giar-dino, ove entrano abbracciati.)

Scena dodicesima. Messer Ghino, Messer Nello, edetti.

Ghino: — (Inosservati sull’uscio.) Eccoli.Nello: — Gran Dio! (Corre colla mano sull’elsa della

spada.)Ghino: — (Intertenendolo.) Nello, ti ricorda il tuo

giuramento.Nello: — (Con una cupa calma.) Sì, ma sarò vendi-

cato.

50 lena: vigoria.51 amplesso: abbraccio.

305Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Atto terzo

Il teatro finge 1 l’interno del castello delle Maremme:gran sala gotica con finestre tutte inferriate; a destraporta che mena nelle stanze interne; a sinistra balconeche dà sul cortile; in mezzo porta che conduce al difuora: delle sedie in costume.

Scena prima. Magalotto solo.

Magalotto: — Eccomi addivenuto ad un tratto 2 ilcastellano delle Maremme, il confidente di Ghino, ilbravo di messer Nello. Eh! la mia destrezza la vincesopra ogni altro. Però da che mi ritrovo in questatorre a custodire la mia padrona, una voce dimal’augurio mi va cantando all’orecchio: « Sta atten-to, Magalotto; chi vuol mangiare a due ganascecorre rischio di soffogarsi ». Per ora tutto è all’oscu-ro: ma se alla mia signora vien la voglia di parlare,non mi do di vita neanche fino a domani. Ma quelmesser Ghino è un vero demonio incarnato: haimbrogliato così le cose che sfido a trovarne il capo.Ma qual rumore? Il ponte è calato: qualcuno arri-verà. Oh! è il padrone! Pare che soffra gli esorcismi.

1 finge: raffigura.2 addivenuto ad un tratto: diventato di colpo.

GIACINTO BIANCO306

Scena seconda. Messer Nello tutto in rivolta, 3 edetto.

Nello: — Magalotto! Sei qui?Magalotto: — Ai vostri ordini. (Inchinando.)Nello: — Che fa ella? (Dopo di aver poggiato sulla

sedia il berretto e la cappa.)Magalotto: — È tutta rammaricata 4 per la vostra

lontananza.Nello: — (Con un sorriso amaro.) Rammaricata!Magalotto: — Ma non anche ha compreso il vostro

disegno. 5 Domanda continuamente di voi.Nello: — Ingrata! Ma come negar fede agli occhi

miei? Ma non la vid’io abbracciarsi? Oh rabbia!Magalotto: — Male! Cominciano gli atti di contri-

zione. (Fra sé.)Nello: — E come gentilmente l’accomiatava: 6 « Per

di qua, per la scala segreta del giardino. » Ma e seella… Ah! io temo di scoprire un arcano, 7 e che puretanto mi pesa sull’animo. (Dopo di essere rimastoalquanto pensieroso.) Sì, parlarle un’altra volta e rac-cogliere dal suo labbro medesimo l’ultima prova disì dispiacevole certezza. Magalotto, Pia a me.

Magalotto: — Obbedisco — Ahi! ahi! che io vedoaperto il trabocchetto. (Via.)

3 in rivolta: stravolto.4 rammaricata: afflitta.5 non ha anche compreso il vostro disegno: non ha ancora

capito il vostro progetto.6 accomiatava: mandava via.7 arcano: segreto.

307Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Nello: — Più rifletto, più l’anima quasi mi ragionadella sua innocenza; mi fossi ingannato? Ah! sareb-be la più dolce, la più desiderevole delle avventure.Ghino, crudele amico, tu hai distrutto in un punto ilpiù bel sogno di mia vita: tu hai piantato in questocuore il freddo pugnale della gelosia.

Scena terza. Pia, Magalotto, e detto.

Pia: — Eccolo! Come è cangiato! Io non ardisco diavvicinarmi. (Fra sé.)

Nello: — (Fa cenno a Magalotto di partire.)Pia: — Mio Nello, che mai ti affligge? Sul tuo volto

sta l’agitazione, il dolore, ed invano ti studii occulta-re a’ miei occhi quella segreta ambascia che da piùgiorni ti crucia. 8

Nello: — Sì. (Con voce cupa.)Pia: — Ma non son io la tua amorosa consorte? La

compagna colla quale hai tu giurato innanzi al Cieloed agli uomini di dividere i dispiaceri non meno chele tue allegrezze?

Nello: — Sì. (Con voce cupa.)Pia: — E perché nel punto in cui forse abbisogni

vieppiù dell’amor mio, della mia tenerezza tu fuggilontano e quasi abborri la mia presenza? 9

Nello: — No. (Con voce cupa.)

8 ed invano ti studii … crucia: ed invano cerchi di nascon-dere ai miei occhi quella angoscia segreta che da più giorni titormenta.

9 aborri la mia presenza: hai orrore della mia presenza.

GIACINTO BIANCO308

Pia: — Ma tu non mi vieni innanzi che in ariamesta, conturbata e sì mi accogli che ho pur ritegnodi avvicinarmi allo sposo, all’amico…

Nello: — Pia, non più: i tuoi detti sono un coltelloche mi passano l’anima; ma sì, te ne assicura, iosento un’altra forza che mi comanda severità, disde-gno.

Pia: — E contro chi?Nello: — Contro di… (Con ira, e poi calmato.) Con-

tro tutti gli uomini.Pia: — Nello, confidati alla sposa. Dimmi: ti aves-

se qualcuno soverchiato? 10

Nello: — Soverchiar me!Pia: — Io ti conosco e so…Nello: — Che l’ingiuria mi offende e che la vendet-

ta mi è dolce sopra ogni altra cosa.Pia: — Tu dunque la mediti?Nello: — Sì, ed atroce.Pia: — Ah! dunque ti sovrasta un forte pericolo.

Nello, palesalo alla tua amica.Nello: — Ma v’è tormento uguale al mio? (Fra sé.)Pia: — Ma tu taci e fremi. Ho dunque perduto la

tua confidenza.Nello: — No. (Prende una sedia e la fa sedere.) Pia,

ascoltami e da savia come mi apparisci, giudica tudello strano avvenimento. Viveva un marito tenero,innamorato, contento per possedersi una donna quan-to bella altrettanto virtuosa. Egli non respirava cheper lei; ogni suo detto, ogni suo fatto era rivolto a pro-

10 soverchiato: fatto prepotenza.

309Pia de’ Tolomei. Dramma storico

cacciare 11 all’arbitra del suo cuore nuovo argomentoda insuperbire 12 del proprio compagno. Un giorno,mentre lieto tornava a casa per depositare a’ suoi piedile nuove palme 13 raccolte in campo a forza di sudoree di stenti, un amico, no! un demone lo trattiene etutta gli fa nota l’infedeltà della moglie.

Pia: — Quale istoria! (Fra sé.)Nello: — Il generoso, che a troppe prove conosce-

va di quanto affetto lo amasse la sua compagna, die’sulla parola al calunniatore. Il cavaliere ammutì eforte pungendogli la voglia di dar credito a’ suoidetti, gli disse: « Vieni e vedrai coi propri occhi il tuodisonore. »

Pia: — Quale orrore!Nello: — Non è per anco 14 tempo d’inorridire, di

fremere. Entrano di soppiatto nella città; col favordelle tenebre giungono a casa ed ahi! quale infamia!là il marito si fa testimone della propria ignominia,e coi propri occhi, (Si tradisce per un momento.) sì,con questi occhi, vede la perfida abbracciare l’aman-te.

Pia: — Giusto Cielo!Nello: — Accomiatarlo.Pia: — (Balzando improvvisamente sulla sedia.)

Nello, dimmi in qual giorno l’infelice marito si ebbela piena certezza dell’infedeltà della moglie?

Nello: — La notte del tredici agosto.

11 procacciare: procurare.12 insuperbire: essere orgogliosa.13 palme: glorie.14 per anco: ancora.

GIACINTO BIANCO310

Pia: — Nello, io ti compresi.Nello: — Che!Pia: — Ah! tu sei tradito.Nello: — Scellerata! (Dando di piglio subitamente

alla cappa ed al berretto.)Pia: — Ascoltami.Nello: — Taci, io ho sorpreso il tuo segreto.Pia: — No, ascoltami per pietà.Nello: — Taci, non rendermi uno spergiuro. (Fugge

disperatamente.)Pia: — Nello, Nello, tu sei ingannato. Cielo! egli è

partito; la mia rovina è compiuta; Ghino si è vendi-cato. (Via nelle sue stanze facendo battere la porta.)

Scena quarta. Magalotto maravigliato nel sentirbattere l’uscio con troppa forza.

Magalotto: — Siamo salvi. Eh! io non la sbagliomai. Dal primo momento che intesi « Al castellodelle Maremme! », dissi fra me « È bella e spaccia-ta! » Questa torre ne ha vedute non poche di questecerimonie e non v’è angolo o salotto, il quale nonripeti 15 la sua istoria: il mio signore non ismentirà ilbuon nome di famiglia. Poco fa uscendo mi è parsoun indemoniato. Domani… Ma che altra figura èquesta? Oh! sì non m’inganno, è desso, 16 quella fac-cia da responsorio, il solitario Piero. Arriva giusto intempo.

15 non ripeti: non ripeta.16 desso: esso.

311Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Scena quinta. Piero, e detto.

Piero: — Buon giorno, Magalotto: che il Cielo tidia salute e bene.

Magalotto: — Grazie del buono augurio. Ma tucome sai il mio nome?

Piero: — Eh! io conosco ad uno ad uno tutti gli abi-tanti di questo castello ed anche i servi del signordella Pietra.

Magalotto: — È dunque da molto che tu abiti qui?Piero: — Circa cinquant’anni.Magalotto: — E ne hai?Piero: — Ottanta.Magalotto: — Fino al secolo.Piero: — Che il Cielo te ne accordi altrettanti.Magalotto: — Sicché di vent’anni 17 l’aria di Siena ti

parve malsana?Piero: — Sì, la guerra mise a sacco ed a fuoco l’a-

bitazione di mio padre: il maggiore de’ miei fratellimorì sul campo e dopo due mesi, poiché chiusi gliocchi alla mia buona madre, volli abbandonare iltumulto della città e venni a ricoverare 18 in questiluoghi.

Magalotto: — Ed ora abiti?Piero: — Qui vicino, a’ piedi della montagna.Magalotto: — A proposito, Piero; tu esci mai di

notte?Piero: — Qualche volta allorché la tempesta che è

sì frequente nelle gole di queste montagne, infurian-

17 di vent’anni: quando eri ventenne.18 ricoverare: rifugiarmi.

GIACINTO BIANCO312

do, fa straripare il torrente ed i bisogni di un qual-che mio simile smarrito per istrada mi chiamano adesercitare gli uffici della fraterna carità.

Magalotto: — Mi figuro già che ti sarai spessoincontrato con quella larva, con quel fantasma rav-volto in un bianco lenzuolo che si dice di aggirarsiintorno a questo castello.

Piero: — No, ma è un’antica tradizione.Magalotto: — Dicono che nelle lunghe notti d’in-

verno, quando è quieta la campagna e la luna è pros-sima a tramontare, apparisce una donna a bianco:ha in mano un funicello, 19 ed ora ritta ritta si fermanell’atrio a contemplare le finestre del castello, ora sivede in cima alla torre come volesse discoprire per-sona che arrivi da lontano. Già la storia ti è nota.

Piero: — Sì, vogliono che il vecchio signor dellaPietra l’avesse fatta strangolare per gelosia.

Magalotto: — È vizio di famiglia.Piero: — E quando questo demonio si caccia in

corpo di un uomo lo rende capace di ogni eccesso. IlCielo gli conceda remissione. — Ma la tua padronanon è qui?

Magalotto: — Sì.Piero: — Potrei vederla, salutarla?Magalotto: — E perché no? Ma temo non sia tanto

di buon umore.Piero: — È forse ammalata?Magalotto: — Poco meno.Piero: — Povera signora!Magalotto: — Ma zitto; eccola; viene ella stessa.

19 funicello: piccola fune.

313Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Scena sesta. Pia, e detti.

Magalotto: — (La inchina.)Piero: — Nobile signora.Pia: — (Fa segno a Magalotto di partire.)Magalotto: — Finirà questa tua superbia. (Fra sé

per via.)Pia: — Buon solitario, io ti ho veduto dal balcone

entrare le porte 20 del castello e mi sono affrettataall’incontro.

Piero: — Quanta bontà!Pia: — Ah! qui t’invia certamente il Cielo ed io

comincio a riguardarti da questo punto 21 non altroche come un suo messo.

Piero: — Iddio sovente si avvale de’ deboli permandare a fine le sue opere.

Pia: — Sì, buon Piero.Piero: — Ma siete forse inferma?Pia: — E quanto, o Piero! E la mia infermità è qui.

(Facendo segno al cuore.)Piero: — Ma che! Non vi ama forse l’illustre signo-

re messer Nello?Pia: — Mi amava, ma da che un falso amico pose

nel di lui animo il veleno della gelosia, io sono addi-venuta l’oggetto del suo dispregio, il segno alla suacollera.

Piero: — Che ascolto!Pia: — Non appena gli cadde in animo il sospetto

che altri avesse su di me rivolti gli sguardi desidero-

20 entrare le porte: entrare nelle porte.21 punto: momento.

GIACINTO BIANCO314

si, che pieno di amaro disdegno qui mi ha tratta 22

lontano dalla città, abbandonandomi in preda al piùvivo dolore.

Piero: — Ma la colpa non macchiò già la vostrafede?

Pia: — Mi gastighi il Cielo, se anche un pensierospuntò nella mia anima, il quale non fosse puro.

Piero: — E dunque?Pia: — Ma uno scellerato che sotto le sembianze di

tenera amicizia frequentava la mia conversazione,preso da sconsigliato amore tentò la mia onestà; iolo discacciai, egli fremé di rabbia e giurò di perder-mi 23 nella grazia del mio signore.

Piero: — Ed in qual modo?Pia: — Nel modo il più strano, il più inaudito, ed

io, sì io medesima, duro fatica ad indovinare le filadi questa trama vilissima; ma Nello dichiarò aperta-mente che la notte del tredici agosto, notte malau-gurata! raccolse le prove della pretesa infedeltà.

Piero: — Ma venne alcuno in quella notte?Pia: — Sì, ma egli era tale da non ingelosire l’ani-

mo di Nello; Ugo, il fratello.Piero: — Ma egli militava dalla parte de’ Guelfi?Pia: — Ed ecco il suo delitto. L’astuto Ghino, sì

l’ho pur nominato! ecco il perfido che maestro d’o-gni male artificio trasse partito da sì sfortunato acci-dente per ingannare il mio sposo. A te è già notocome Ugo, il quale ben prevedeva la prossima guer-ra, me distornava dalle nozze col signor della Pietra,

22 tratta: condotta.23 perdermi: rovinarmi.

315Pia de’ Tolomei. Dramma storico

poiché certo del suo attaccamento a’ Ghibellini;quindi stabilita fra loro irreconciliabile inimicizia;quindi l’uno guardingo sull’operar dell’altro; quindisospetta la fede del fratello. All’annunzio che il mise-ro rientrato in Siena veniva per rivedere la figliuolade’ Tolomei, tutte forse si riaffacciarono al suoanimo le cause dell’antica discordia, ed attizzatodalle parole di Ghino fu facile persuadergli una fuga,un tradimento…

Piero: — Ma e perché non dirgli tutto?Pia: — Io lo tentai, ma nell’atto che il mio labbro

confuso, tremante si accingeva a ripetere quel nomeabborrito, egli chiuse colle mani le orecchie e fuggìdicendo: « Taci, non rendermi uno spergiuro! »

Piero: — Uno spergiuro!Pia: — Io non intesi il senso di quelle parole, ma

certamente chiudono una nuova insidia.Piero: — Come i malvagi spesso si avvalgono della

religione per mandare a fine i loro pravi disegni! 24

Ma fate cuore, nobile signora; forse passato il primoeccesso di gelosia, messer Nello non tarderà a rico-noscere l’innocenza della sua sposa.

Pia: — No, Piero, non lo sperare; un presentimen-to mi dice che io non lo rivedrò più, che egli oggi odomani addivenuto smanioso, furente sfogherà su dime, sulla mia vita la sua collera.

Piero: — Che dite mai!Pia: — Non la prigione, non i patimenti, non la

morte mi addolora, ché un peso è la vita se si passanel dispregio de’ buoni; ma l’idea sola che la nuova

24 pravi disegni: malvagi progetti.

GIACINTO BIANCO316

della mia pretesa infamia giunga all’orecchio de’Tolomei che finora tennero un nome intatto ed ono-rato; il pensiero di lasciar dopo di sé una memoriaabbominata, causa di rossore a’ congiunti, agliamici, ah! questo mi toglie ogni coraggio e fa man-care la mia costanza.

Piero: — E pensate?Pia: — Di riparare, e nel miglior modo possibile,

alla mia disgrazia.Piero: — Ed in qual maniera?Pia: — Richiamando qui prontamente il mio Ugo,

il quale colla sua voce disveli a Nello il tremendoarcano. 25

Piero: — Ma egli fra un giorno 26 è già tornato unGuelfo.

Pia: — Ed in ciò la tua opera, o buon Piero, puògiovarmi, e moltissimo.

Piero: — Imponete.Pia: — Tu sei un vecchio venerando; la fama delle

tue eccellenti virtù ti concilia l’amore e la riverenzaanche degli uomini di armi; quindi potrai senzaverun 27 sospetto attraversare il campo nemico, recar-ti alla tenda di Ugo. Tu lo informa del mio stato, diglila mia disgrazia e lo vedrai subito montare in sella evenire al castello. Allora se il Cielo acconsenta che ioriveda un’altra volta il mio signore, la trama sarà sco-verta, palese la mia innocenza.

25 arcano: segreto.26 fra un giorno: da un giorno. — La tregua di cinque gior-

ni è scaduta il giorno prima.27 verun: alcun.

317Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Piero: — Eseguirò i vostri voleri.Pia: — Ah! Piero, quanto io debbo alla tua virtù; io

mi affido interamente a te.Piero: — Ed al Cielo che vorrà benedire la nostra

opera.Pia: — Va, dunque; ti affretta: io sono nelle tue

mani. (Via Piero. Pia rientra nelle sue stanze battendola porta.)

Scena settima. Magalotto solo.

Magalotto: — Ah! ah! come è corrucciosa! 28 Scom-metto che non l’avrà risparmiato neppure a fratelPiero. Eh! buona signora, se cammini di questopasso non troverai un cane che ti soccorra nelladisgrazia, e questa non è lontana.

Scena ottava. Ghino, e detto.

Ghino: — (Tutto sollecito ed anzante.) 29 Vi sonofinalmente arrivato, Magalotto.

Magalotto: — Oh! messere, vi siete ben fatto aspet-tare. Poco fa pensava propriamente a voi e diceva frame: « Possibile? che messer Ghino, il diavolo pre-sente a tutte le cose, non ha per anco spiato 30 ove sirimpiatti la lepre! »

28 corrucciosa: pronta a sdegnarsi.29 anzante: ansimante.30 pur anco spiato: ancora indagato.

GIACINTO BIANCO318

Ghino: — (Turbato.) Dimmi: Pia dov’è?Magalotto: — Eh! messere, meno ciera brusca 31 e

più buona grazia col castellano delle Maremme!Ghino: — Che? Tu il castellano delle Maremme?Magalotto: — Tanto bella! Ma che? Voi pare ne

siete sorpreso! E non son io destro quanto ogni altroper tirare su un ponte, serrare un chiavistello, cala-re fra l’oscuro un pugnale in gola al primo baffonesanese 32 ed in modo da non fargli profferir parola?

Ghino: — (Fra sé.) Meschina, in quali mani siritrova!

Magalotto: — Ma da quanto in qua, messer Ghino,con questa faccia da pentito? Ah! avea ben ragioneio, quando diceva di non volermi impacciare in simi-li affari: era certo di non ritrovar petti fermi come ilmio.

Ghino: — Messer Nello è qui?Magalotto: — No, e non tornerà per questa matti-

na.Ghino: — Allora potrei parlarle.Magalotto: — No.Ghino: — E perché?Magalotto: — Poco fa ebbe che dire col solitario

Piero: voi già lo conoscete: non la risparmia né abaffi neri né a barbe bianche. Sarà andata in collera,e quando io son rientrato, il povero vecchio se lasfilava per di qua ed ella si ritirava per di là: ha fattobattere l’uscio in maniera che mi è parso cadesse lasaracinesca del castello.

31 ciera brusca: faccia sgarbata.32 sanese: senese.

319Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Ghino: — (Fra sé.) Se ella mi dispregia, a che tantanequizia? 33

Magalotto: — Ma che? Voi mi fate una certa cera!Ve ne dispiace forse? Non si è piegata alle vostrevoglie, dunque che muoia: così avremo una taglia inmeno sul nostro capo.

Ghino: — (Fra sé.) Io inorridisco!Magalotto: — Per me ho sempre avuto in sistema:

quando si è appuntato lo stiletto 34 al collo di uno, nonbisogna ritirarlo prima di averlo passato da parte aparte.

Ghino: — Questi mi fa tremare. — Dunque?Magalotto: — Dunque venite qua, ascoltatemi e

poi dite se Magalotto non meriti il vanto del primobravo sanese. 35 Noi abbiamo la volpe in trappola.Messer Nello l’ha già finita colla Pia; due ore fa,uscendo da questa sala tutto infuriato, mi prese perun braccio e chinandosi al mio orecchio con vocesoffocata dall’ira mi disse: « Magalotto, la tua vita mirisponde della buona guardia di questa donna:quando avrai ricevuto il mio anello, che sia avvele-nata. »

Ghino: — Avvelenata!Magalotto: — Già, bevanda di uso, ultimo regalo

da nozze 36 che un nobile cavaliere fa alla sua donnatre mesi dopo il matrimonio.

33 se ella … nequizia: se ella mi disprezza, a che scopo tanta(mia) malvagità?

34 lo stiletto: il pugnale.35 sanese: senese.36 da nozze: di nozze.

GIACINTO BIANCO320

Ghino: — E tu?Magalotto: — Ed io alla prima occasione spero

farle tracannare il mio dolce sonnifero, ed ho fedeche non si sveglierà più.

Ghino: — Ah! che il mio delitto è consumato. (Viasubitamente.)

Magalotto: — Delitto! Il nome di delitto nella suabocca! Ah! non c’è più dubbio: il cervello di messerGhino è dato di volta. Ma non vorrei, basta! si solle-citi di eseguire i comandi del padrone e poi chevenga a darsi in colpa del peccato e farmi il peniten-te ravveduto. (Via per la porta di mezzo, facendo suo-nare al fianco le sue chiavi.)

321Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Atto quarto

Comincia la notte. La capanna dell’Eremita; sullaporta una rozza trave per sospendervi la lanterna; asinistra cammino 1 con fuoco acceso: da lontanoveduta del torrente che straripa: durante tutto que-st’atto si udranno ininterrottamente de’ tuoni conqualche lampo.

Scena prima. Piero solo.

Piero: — Qual terribile uragano! Il tuono rimbom-ba nella valle ed ai spessi lampi pare s’infiammi ilcielo: gli elementi si sono scatenati. Dio di bontà soc-corri tu a’ miseri viandanti e sii loro di guida nel peri-coloso cammino. (Si affaccia alla porta.) Ma chevedo! Un cavaliere tutto ravvolto nel mantello caval-ca sul ciglione della montagna; già scende al piano;come passa attraverso il folto degli alberi tra le fol-gori che lo accendono; già galoppa lungo il torrente!Ei cercherà senza dubbio un qualche ricovero: ah!potessi apprestargli 2 un qualche soccorso. Sì,sospendiamo all’usata trave 3 la lanterna dell’eremita,onde diriga qui i suoi passi. La religione mostraovunque una fiaccola di rifugio nel faro della vita.(Sospende alla trave la sua lanterna.) Ora sono più

1 cammino: camino.2 apprestargli: portargli.3 sospendiamo all’usata trave: appendiamo alla solita trave.

GIACINTO BIANCO322

consolato: l’adempimento di una buona opera portanel nostro animo una segreta consolazione. (Tornasulla porta.) Ma no, io non m’inganno: è questo il cal-pestio di un cavallo che cammina pel viottolo. Ah! ilCielo ha esaudito la mia preghiera; sì, sì eccolo.Cavaliere! cavaliere, chiunque voi siate, entrate, innome del Cielo qui troverete un asilo.

Scena seconda. Messer Nello tutto ravvolto nelmantello grondante acqua, e detto.

Nello: — (Con voce soffocata.) Sì, un asilo; la tem-pesta mi cerchiava per ogni parte ed io come unmaledetto fuggo dall’ira del Cielo. (Si toglie il man-tello.)

Piero: — Messer Nello! (Fra sé.)Nello: — Sono tutto bagnato.Piero: — Come è travolto. 4 — Potete rasciugarvi,

nobile signore. Ecco qui delle legna accese nel cam-mino.

Nello: — Sì. (Con voce cupa. Spande il mantello e sisiede al cammino.) 5

Piero: — Se non sdegnate, posso anche imbandir-vi una parca mensa: v’è del pane di elemosina ed unabuona quantità di ortaggio che questa mattina horaccolto dall’orticello che io coltivo colle mie propriemani.

Nello: — Ti ringrazio: poche ore di riposo e poi

4 travolto: stravolto.5 cammino: camino.

323Pia de’ Tolomei. Dramma storico

ritornerò a sperdermi nella foresta.Piero: — Ma perché non ritornare al vostro castel-

lo? Non è molto lungi di qui.Nello: — Al mio castello! No.Piero: — Ma l’uragano cresce, e se viene a dile-

guarsi per qualche momento, ritornerà senza fallo.Una lunga esperienza mi ha insegnato che similitempeste suscitate nel caldo della stagione soglionodurare tutta la notte, e parte anche del giornovegnente, 6 non senza danno de’ poveri viandanti.

Nello: — (Fra sé.) Venga almeno un fulmine em’incenerisca.

Piero: — E poi lasciar sola, desolata, l’illustrevostra signora…

Nello: — (Con ira.) Ma chi vi parlò di lei?Piero: — Il suo arrivo nel castello delle Maremme

ha posto tanta letizia negli animi di tutti, che rapidase ne sparse la voce ed a me, quantunque diviso 7 dalresto degli uomini, giunse anche la grata nuova. 8

Nello: — Mentisci.Piero: — Signore!Nello: — (Fra sé.) A tutti oggetto di ammirazione,

a me di dolore!Piero: — Ah! nobile signore, ne’ vostri atti, nelle

vostre parole, traluce una feroce ambascia che vitormenta e vi crucia. 9

Nello: — (Con voce cupa.) Sì.

6 vegnente: successivo.7 diviso: apportato.8 la grata nuova: la gradita notizia.9 traluce … crucia: traspare una terribile angoscia che vi

tormenta e vi crocifigge.

GIACINTO BIANCO324

Piero: — È questo il retaggio 10 di coloro che vivo-no quaggiù.

Nello: — No, di’ meglio: de’ buoni.Piero: — Sovente il Cielo invia la disgrazia per

mettere a prova le anime forti.Nello: — Ma a questa che io sostengo, il mio

coraggio vien meno.Piero: — È dunque disperato il vostro dolore?Nello: — Sì, disperato.Piero: — Ma qual colpa nella virtuosa, nella mode-

sta Pia? Perché ricader su di lei l’opera de’ tristi? 11

Nello: — Qual colpa! E se ti dicessi che ella n’è laprima, la sola cagione?

Piero: — Ah! ingannato signore.Nello: — Lo sospettai un inganno, ma la malignità

de’ casi miei distrusse anche questa illusione, laquale poteva per poco rendermi soffribile questa esi-stenza.

Piero: — Ma se il mio domandar non vi tornaimportuno, qual è poi il suo fallo? 12

Nello: — Quello che addolora il cuor d’un marito, eche ricoprendolo di ignominia lo sprona ad una giustavendetta.

Piero: — Dunqu’ella?Nello: — Fu infe… ma tu già mi comprendi.Piero: — Cielo, dammi tu che io possa togliere il

10 il retaggio: l’eredità.11 tristi: malvagi.12 fallo: errore.

325Pia de’ Tolomei. Dramma storico

velo dagli occhi di questo cieco. — Ma ne avete voiben certa prova?

Nello: — Questi occhi stessi videro la propria infa-mia, e n’ebbero vergogna.

Piero: — E conoscete voi colui che vi offese?Nello: — Nol posso. 13

Piero: — E perché?Nello: — Perché temo rendermi ad un tempo

marito crudele ed amico spergiuro.Piero: — Spergiuro!Nello: — Sì, Piero, la sequela 14 delle mie sciagure

è strana, stranissima; e tu intendila dal mio labbro ecompiangimi.

Piero: — Parlate, signore; i mali narrandosi altruisi fan men gravi.

Nello: — Un giuramento, o Piero, un terribile giu-ramento mi obbliga ad ignorare e per sempre ilseduttore.

Piero: — Ah! nobile signore, come i tristi han tesoun laccio alla vostra credulità; come la gelosia viaccieca sul più manifesto errore.

Nello: — Piero!Piero: — Sì, il mio parlare è libero perché non

teme la verità, e voi siete per anco 15 in tempo divedere il suo lume.

Nello: — Piero, non mettere in maggiore tempestaquest’anima.

Piero: — Anzi, no. Ah! potess’io rendervi alla

13 Nol posso: Non lo posso conoscere.14 la sequela: la successione.15 per anco: ancora.

GIACINTO BIANCO326

calma. Ditemi, nobile signore, la notte del tredici diagosto v’erano più nemici per Siena?

Nello: — Tu dunque sei a notizia. 16

Piero: — Silenzio su di ciò, e rispondetemi libera-mente.

Nello: — No; la tregua era già segnata. 17

Piero: — V’era alcuno che militava sotto le insegnede’ Guelfi, il quale per antico odio o per nimistà diparte 18 non osava più vedere la nobile figliuola de’Tolomei?

Nello: — Non so!Piero: — Neanche un congiunto?Nello: — Suo fratello! Ugo!Piero: — Ed era un Guelfo?Nello: — Sì!Piero: — E se egli tenero amatore di una sorella,

già divisa dalla propria famiglia da questa italianamania, 19 se desideroso di rivederla dopo dieci mesidi penosa lontananza, avesse osato riporre il piede 20

nella vostra abitazione?Nello: — Un Guelfo in casa della Pietra! Fosse

anche Ubaldo de’ Tolomei, il padre, era un nemico.Piero: — Ed aborrito nemico, perché Ugo fiero con-

tradiceva a queste nozze.Nello: — Lo rammento!

16 a notizia: a conoscenza.17 segnata: firmata.18 nimistà di parte: inimicizia di partito.19 questa italiana mania: questa italiana follia delle divisio-

ni politiche.20 riporre il piede: rimettere piede.

327Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Piero: — Ebbene Ugo, Ugo stesso, quantunque giàsicuro dagli insulti de’ propri concittadini per laseguita tregua, timoroso d’intorbidare 21 la pace diun affettuoso marito, la tranquillità di una amatasorella, come uomo, il quale si ritira da commessodelitto, abbandonava furtivo le vostre soglie in quel-la notte, abbracciando e forse per l’ultima volta lasua unica, la sua buona sorella.

Nello: — Piero!Piero: — Sì, nobile signore, ed in ciò vi sia mani-

festa la virtù della donna che vi possedete ed il nobi-le contegno di un cavaliere, il quale sebbene più epiù volte provocato da’ vostri ingiusti rimproveri,pure non obliava i doveri di tenero congiunto.

Nello: — Piero, è questa una ingegnosa istoria pervelare l’altrui delitto?

Piero: — La verità, nobile signore.Nello: — E come la sapesti?Piero: — Vi dirò tutto senza riserva. Ieri fui al

castello delle Maremme e chiesto ad un familiare sepoteva inchinare 22 vostra signoria, mi fu risposto dino; salutai invece la nobile signora de’ Tolomei. Ellaera abbattuta, dimessa e con un bianco lino si asciu-gava ad ora ad ora 23 le lagrime che le cadevano dagliocchi. Un naturale sentimento di compassione mi fe’curioso di domandarne la cagione; la sfortunata sin-ghiozzava, e con fioca voce ed a parole dimezzate mi

21 intorbidare: turbare.22 e chiesto … inchinare: e chiesto ad uno del servizio se

potevo riverire.23 ad ora ad ora: di tanto in tanto.

GIACINTO BIANCO328

narrò la strana avventura.Nello: — (Con un amaro sorriso.) Per muovere a

pietà gli stolidi!Piero: — Ah! signore, se in quel punto vi era dato

di vederla, di ascoltarla, io son certo che una lagri-ma involontaria sarebbe spuntata sui vostri occhi.Ella colle mani prostese 24 al Cielo giurava di essereinnocente e ne chiamava Iddio in testimonio; ed ioquantunque carico di anni e di disgrazie, non poteifare a meno di piangere.

Nello: — (Commosso.) Piangere!Piero: — E poiché mise termine al racconto, rivol-

ta a me disse: « Piero, ah! se avvien che tu lo riveda,tu lo rassicura, tu lo disinganna, tu lo riconduci alfianco della sconsolata Pia. » Nobile signore, non èquesto il linguaggio della colpevole; il delitto indurail cuore; ed il pianto scorre solo sulla guancia del-l’infelice e dell’innocente.

Nello: — (Sempre più commosso.) Ah! fossero purveri i tuoi detti. 25

Piero: — Verissimi; e se il vostro divieto non l’a-vesse impedito, ella già sarebbe sui vostri passi pertutta discoprirvi la vilissima trama; ma la severitàde’ vostri ordini, la durezza del castellano le vietaro-no l’uscita.

Nello: — Fuggire!Piero: — Ma per disingannarvi, per… (Si ode un

lamento nella montagna.) Un lamento lungo la via!Nello: — Sì. (Tremando e dubitando.)

24 prostese: protese.25 i tuoi detti: le tue parole.

329Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Piero: — E parmi di persona che domandi aiuto!Nello: — (Fra sé.) Cielo! Avess’ella…Piero: — Ma la pioggia cade a dirotto, il vento

soffia orribilmente. (Si torna ad ascoltare il lamento.)Nello: — (Risoluto.) Sì, anderò io stesso.Piero: — E dove, signore? (Intertenendolo.)Nello: — A cercare il languente. (Afferrando con-

vulso il suo mantello.)Piero: — Signore, fermatevi.Nello: — No! Piero, un dubbio…Piero: — I vostri giorni sono troppo preziosi.Nello: — No, Piero, lasciami, lasciami in preda al

mio avverso destino. (Esce in fretta.)Piero: — (Sulla porta.) Messer Nello, messer Nello,

che fate? ove traete? 26 Egli fugge come un lampo,dirige i suoi passi verso la scorciatoia, là dove siascolta il lamento, già si perde nel buio, io non lovedo più. — Ah! che il mio animo è combattuto damille timori; la sua mente è ammalata, travolta; l’iralo invade; il temporale imperversa… Dio, stendi tu latua mano in soccorso di questi smarriti. Chi sa qualedisgrazia avrà colto il viandante! Questi luoghi mon-tuosi, deserti; la campagna piena di pericoli, d’in-ciampi; la vicina selva infestata da malviventi. Dio,soccorri tu a chi ha in animo di operare il bene.(Torna sulla porta.) Ma che ascolto? No, non è questoil cader della pioggia sul tetto; non il sibilo del vento;è l’affrettarsi di persona che si avvicina a questotugurio! Tornasse egli a salvamento dopo aver libera-to quell’infelice. Ne riceverebbe da Dio sicura merce-

26 ove traete: dove andate.

GIACINTO BIANCO330

de. (Dopo di aver meglio guardato.) Ma sì, è desso. 27

(Chiamandolo.) Messer Nello! messer Nello!Nello: — (Di dentro la scena.) Per di qua, cavaliere,

per di qua.Piero: — È la sua voce: che sia benedetto.Nello: — Pochi altri passi e siamo arrivati.

Scena terza. Messer Nello sostenendo MesserGhino ravvolto nella cappa, col cappello tirato sugliocchi, e detto.

Ghino: — Io manco! 28

Piero: — Un cavaliere colle tempia insanguinate!Nello: — (Gli toglie il cappello.) Ah!Piero: — Messer Ghino!Ghino: — Sì, Ghino già prossimo ad esalare l’ulti-

mo fiato.Nello: — Ghino! (Prendendolo per la mano.)Ghino: — Nello! Io ti ritrovo.Piero: — (Fra sé.) Qual contratempo!Ghino: — È un giorno da che scorro come un for-

sennato per tutta la foresta: io sospettai non fossipiù tra i viventi.

Nello: — (Fremendo.) Morto!Ghino: — Ma tu fremi, e mi fissi sulla persona un

occhio di fuoco! Sì, tu ne hai ben ragione.Nello: — Ah! che i detti di Piero si avverano. (Fra

sé.)

27 desso: lui.28 Io manco: io vengo meno.

331Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Ghino: — Ascoltami; ricevi la confessione di unmoribondo; in quest’ora non si mentisce. Sì, Nello,non appena mi fu nota la tua indignazione controdella donna meritevole di purissimo amore, che micadde dagli occhi la benda: io fremetti all’idea delmio attentato e desiderava troncarne almeno i fune-sti effetti.

Nello: — Finisci, Ghino. (Con ira repressa.)Piero: — Signore, un pronto ravvedimento sana

ogni colpa.Ghino: — La mano degli assassini ha compita la

tua vendetta.Piero: — Fate animo, signore.Ghino: — Io raccolgo sulle labbra l’ultimo fiato:

Pia è innocente, l’incognito 29 fu Ugo.Nello: — Ah! sciagurato! (Fa atto di volerlo uccidere.)Piero: — (Intertenendolo.) Disdice a nobile cavalie-

re insultare un debole che muore.Ghino: — Io muoio. (Cade.)Piero: — Egli è morto.Nello: — (Guardandolo disperatamente.) Ghino,

disgraziato Ghino. La tua iniquità non ha misura.Ah! Piero, salvami da quest’inferno: non mi resta chela disperazione. Pia! ella forse in questo momentogià beve al nappo avvelenato. 30 Ella muore: io uccisiun’innocente. (Nell’atto di fuggire incespica sulla por-ta e cade.)

29 l’incognito: lo sconosciuto.30 al nappo avvelenato: al calice avvelenato.

GIACINTO BIANCO332

Atto quinto

Il teatro è lo stesso dell’atto terzo.

Scena prima. Pia sola.

Pia: — (Sfinita.) Sono trascorsi tre giorni, tre lun-ghi giorni di abbandono, di pianto. Ad ogni girar dichiavistello, ad ogni batter di porta credo rivederloed in vece mi torna innanzi la sinistra figura delcastellano. Io tentai di uscire da questa prigione,correre in traccia di lui e men fu vietato il passaggio.E quale maggiore certezza di essere io caduta indisgrazia del mio signore e che fra breve mi attendela morte! Ecco avverato il presagio di Ugo: « Sta at-tenta — egli diceva — i nipoti di della Pietra sonogelosi, ed una furia è la gelosia. » E Piero? Egli an-che mi ha dimenticata. Quale stato lagrimevole è ilmio! Ah! le forze cominciano a mancarmi: estenua-ta dalla veglia, dal digiuno, dall’ambascia 1 continua,forse non vedrò né anche il dimani. (Siede.)

Scena seconda. Magalotto con un foglio, e detta.

Magalotto: — (Fra sé sull’uscio.) Il veleno è dato.Che vengano ora lettere, cavalieri, archibugieri e sela portino in anima ed in corpo.

1 ambascia: angoscia.

333Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Pia: — Magalotto!Magalotto: — Illustre signora, v’è un foglio.Pia: — E per chi?Magalotto: — Per vostra signoria.Pia: — Ah! fosse di lui! — Porgimi.Magalotto: — (Fra sé.) Avrai un bel aspettare il

padrone.Pia: — (Nel vedere la soprascritta.) Ugo! Piero non

mi ha dunque abbandonata. — Chi lo ha recato?Magalotto: — Un vecchio da’ grigi baffi. Aveva una

cicatrice sulla fronte ed all’abito, al portamento mi èparso un soldato.

Pia: — È egli qui?Magalotto: — No, signora: appena me lo consegnò, mi

disse di ricapitarvelo sollecitamente, e poi se l’è data agambe.

Pia: — Bene. (Apre la lettera.)Magalotto: — (Fra sé.) Quale premura!Pia: — Ritirati; se qualcuno giunto alle porte del

castello darà fiato alla cornetta, che sia subito cala-to il ponte ed introdotto nelle mie stanze.

Magalotto: — Se fossi uno scimunito. — Saràubbidita. — Ti accorgerai fra poco qual serpe hai inseno. (Via.)

Pia: — (Dopo di aver chiuso l’uscio.) Ah! mio Ugo,da te solo io attendo la mia salvezza. (Legge.) « Sonoistruito di tutto: ecco avverati i miei dubbi. Ti rin-cuora. Resta ancora Ugo per te. Attendimi questamattina. » — Oggi dunque! Ah! io son salva. Ah! daquanto tempo io desiderava un tal conforto: io giàl’ottengo e sì mi ricerca tutte le membra che quasi miagita, m’inquieta. Sì, la gioia non meno che il dolore,

GIACINTO BIANCO334

se eccedenti, ci rendono infermi. Un brivido mi scor-re per le vene, ma è brivido di piacere, di contentez-za. Ma quale scalpitar di cavallo sento approssimar-si a questa volta? (Si affaccia al balcone.) No, i mieiocchi non s’illudono. Io lo riconosco alla sua brunaarmatura. Sì, è lui, il mio Nello, in compagnia diPiero, arrivano sotto il fossato. Magalotto! Magalot-to! Già odo la scolta 2 che chiama all’arme. Magalot-to! Magalotto!

Scena terza. Magalotto, e detta.

Magalotto: — Signora.Pia: — Va, corri, arriva il tuo signore.Magalotto: — Messer Nello!Pia: — Sì, io l’ho veduto entrare nell’atrio del

castello; è con lui il solitario Piero.Magalotto: — Maledizione! (Via sollecitamente.)Pia: — (Sulla porta.) Ah! eccolo; come è lieto! Io gli

leggo in volto i segni della gioia, del contento;respinge per ogni parte i servi, che gli fanno il debi-to omaggio, e Piero che a fatica lo segue. Nello, mioNello!

2 scolta: sentinella.

335Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Scena quarta. Messer Nello, Piero, e detta.

Nello: — (Di dentro la scena.) Magalotto! Magalot-to!

Pia: — (Sulla porta.) Nello, mio Nello, son qua.Nello: — (Abbracciandola.) Pia, io ti rivedo, io ti

stringo un’altra volta al mio seno.Pia: — Sì, io ti ho finalmente riacquistato.Nello: — Pia, ma è questo un sogno.Pia: — No, tu sei fra le mie braccia: fra le braccia

della tua amorosa consorte.Nello: — Ma dimmi, sei tu forse ammalata? La sof-

ferta ambascia, 3 la mia lontananza… Magalotto!(Chiamandolo.)

Pia: — No, no; io mi sento bene: questo momentomi compensa di tutto.

Piero: — Ottima signora.Pia: — Piero, buon Piero, quanto io debbo alla tua

generosità.Nello: — Sì, tutto si dee a quest’uomo. Ah! se egli non

era, la mia gelosia, te lo confesso, mi avrebbe irrepara-bilmente perduto. (Guarda sempre d’intorno cercando diMagalotto.)

Piero: — Il Cielo non lascia mai di rischiarare lamente de’ ciechi.

Pia: — Ma tu sei inquieto, i tuoi occhi si aggiranod’attorno e pare cerchino anziosamente 4 una qual-che cosa.

3 ambascia: angoscia.4 anziosamente: ansiosamente.

GIACINTO BIANCO336

Nello: — Sì. — Dio! fa che ella non sia la vittimadella mia gelosia!

Pia: — Nello!Nello: — Ma dimmi, Ugo dov’è?Pia: — Ah! tu già lo sai?Nello: — Sì, tutto mi disse questo buon vecchio

che nulla omise per tirarmi d’inganno.Pia: — Sì, egli verrà questa mattina; in quest’ora

medesima; tieni, eccoti un suo foglio. (Gli dà ilfoglio.)

Nello: — E tu lo richiamavi?Pia: — Per disingannarti, per acquietare i tuoi

dubbi.Nello: — Se tu me lo dici, io sono abbastanza rassi-

curato. 5

Pia: — Ma dimmi, e perché in quel giorno, quan-do cogli occhi pieni di lagrime io ti richiamava perdiscoprirti l’infernale arcano, 6 perché chiudendo lavia ad ogni mio detto…

Nello: — Io fuggii, sconsigliato! Piero: — Signora, un fatale giuramento lo legava

al segreto.Pia: — Vedi, ah! vedi se i tristi invidiavano alla

nostra felicità. Nello, mio Nello, s’è vero che io ho riac-quistato l’antico tuo affetto, se in questo momento diriconciliazione, di pace le mie preghiere non ti torna-no noiose, fammi una grazia.

5 io sono … rassicurato: basta a rassicurarmi.6 arcano: segreto.

337Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Nello: — Pia, da questo punto tu comandi al tuosignore.

Pia: — Io son donna, io son debole, deh! allontanaper pietà, sì allontana quell’uomo, di cui il solosguardo ci avvelena, ci contamina.

Nello: — Quell’uomo! Il tuo voto è stato già esau-dito.

Pia: — Come!Piero: — Sì, nobile signora, egli ha finito di vivere,

e morendo confessava il suo delitto.Pia: — Che!Piero: — Sì, messer Ghino, che acceso per voi

d’impuro amore aveva conculcata 7 la più santa ami-cizia, poiché al vostro virtuoso rifiuto vide spentaogni speranza, già correva sulle tracce del maritoper far nota l’innocenza della moglie.

Pia: — Cielo, io ti ringrazio!Piero: — Ma una mano 8 di ladroni o per dir meglio

Iddio lo ha colto: egli è morto.Pia: — Morto!

Scena quinta. Magalotto tutto sbigottito ferman-dosi inosservato sull’uscio, e detti.

Magalotto: — (Fra sé, con voce cupa.) Morto!Piero: — Sì.Pia: — Non più dunque una parola di oltraggio

per chi non è fra i viventi.

7 conculcata: calpestata.8 mano: manipolo.

GIACINTO BIANCO338

Magalotto: — Io non mi ritrovo più ne’ miei panni!(Fra sé.)

Nello: — Pia! ma tu tremi; il tuo volto si scolora;l’annunzio forse della di lui morte…

Pia: Sì; Nello, io mi sento male. (Contorcendosisulla sedia.)

Nello: — Pia! (Torna a chiamare.) Magalotto!Magalotto: — (Fra sé.) E come si fa a dirgli che è

avvelenata?Piero: — Signora. (Sostenendola.)Nello: — Pia, un freddo sudore già bagna la tua

fronte. Magalotto! I tuoi occhi nuotano in un livi-do…

Pia: — (Sempre più contorcendosi.) Ah! Nello…Nello: — (Rivoltandosi e non finendo né anche la

parola.) Magalotto.Magalotto: — (Piano a Nello.) Signore, ella è avvele-

nata.Nello: — Ah! sciagurato!Piero: — Che avvenne?Nello: — Dio! ella è già avvelenata.Piero: — Avvelenata?Nello: — Sì. Ah! perché eseguisti sì pronto i miei

cenni?Magalotto: — Signore! (Mostrandogli l’anello.)Nello: — Va, iniquo, t’invola a’ miei sguardi, 9 alla

mia collera. (Magalotto fugge.) Pia: — (In ginocchio a’ piedi della moglie.)Pia: — Nello!

9 iniquo … sguardi: malvagio, nasconditi ai miei occhi.

339Pia de’ Tolomei. Dramma storico

Nello: — Tu hai sorbito 10 il veleno.Piero: — E chi a lei lo diede?Nello: — Io, io stesso. Ah! che io sono punito della

mia gelosia. Piero, un antidoto, un rimedio…Piero: — Signore, non siamo più in tempo.Pia: — Nello, io muoio; io ti perdono; il tuo amore,

la tua stima già riacquistata mi rendono men dura lamorte.

Nello: — Dio! Piero, un rimedio per pietà.Piero: — Signore, ella spira…

Scena ultima. Un donzello, 11 quindi Messer Ugo.

Donzello: — (Sull’uscio.) Messer Ugo.Nello: — Oh! mio rossore! (Covrendosi il volto colle

mani. Entra Ugo.)Pia: — Fratello… (Sforzandosi di levarsi in piedi, ed

abbracciare il fratello, scusando coi gesti il marito.)Ugo: — Pia!Pia: — Io muoio. (Cade.)Ugo: — Ah! (Un grido disperato.) Ella è spirata!

Fine.

10 sorbito: bevuto.11 donzello: giovane servo.

SALVATORE CAMMARANO

PIA DE’ TOLOMEI.TRAGEDIA LIRICA

Venezia, 1837

Fig. 5 — Riproduzione del frontespizio di [Salvatore Cammarano], Pia deiTolomei. Tragedia lirica, Venezia 1837.

345

Presentazione

Dal dramma storico del Bianco deriva la tragedia lirica delCammarano, il quale introduce alcune importanti innovazio-ni che nobilitano la figura di Ghino. Il foglio anonimo con cuiRodrigo, fratello di Pia, avverte la sorella della propria venu-ta, viene consegnato dal servitore non a lei, ma a Ghino che,per vendicarsi di Pia, decide di far conoscere a Nello il pros-simo incontro di lei con quello che egli crede un suo amante.Nonostante le precauzioni prese, Nello non riesce a coglierliinsieme, sicché, furente, relega Pia nel castello delle Marem-me. Qui, mentre Nello torna al campo, giunge Ghino, perchiedere ancora una volta l’amore di lei: dalle parole di Pia,egli apprende che quella notte ella non aveva incontrato unamante, ma il fratello. Pentito per averla accusata innocente,Ghino corre in traccia di Nello che, sconfitto dai guelfi diRodrigo, si è rifugiato in un eremo; avvertito da Ghino, che vigiunge ferito dai guelfi e morente, Nello vola al castello, dovetrova Pia avvelenata dal custode in esecuzione di un suo ordi-ne precedente. Quanto alla data della morte di Pia, il Cam-marano la pone alle prime luci del 5 settembre 1260, l’indo-mani della battaglia di Montaperti, che egli peraltro pareconfondere con quella di Colle, perché a Montaperti i ghibel-lini senesi furono vincitori e non vinti, come invece sarebbeavvenuto nove anni dopo nella battaglia di Colle.

Nota sull’autore. Salvatore Cammarano nacque a Napoli nel1801; librettista molto prolifico, scrisse, oltre alla Pia de’ Tolo-mei, altri trentacinque libretti, tra cui Lucia di Lammermoorper Donizetti ed Il trovatore per Verdi; proprio mentre ulti-mava la stesura del Trovatore, egli morì, a Napoli, nel 1853.

Nota sul testo. Il testo che qui pubblichiamo è tratto da Sal-vatore Cammarano, Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica in dueparti, Venezia, Tipografia di Commercio, 1837; l’opera fu rap-presentata a Venezia, nel febbraio del 1837, con musica diGaetano Donizetti; l’anno successivo, essa fu data a Napolicon un finale lieto: Nello giunge in tempo per salvare Pia.

347Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Personaggi

Nello della Pietra.

Pia, sua moglie.

Rodrigo de’ Tolomei, fratello di Pia.

Ghino degli Armieri, cugino di Nello.

Piero, solitario.

Bice, damigella di Pia.

Lamberto, antico famigliare de’ Tolomei.

Ubaldo, familiare di Nello.

Il custode della Torre di Siena.

Coro di damigelle, familiari di Nello, guerrieri guelfi,guerrieri ghibellini, romiti.

Comparse di soldati senesi, soldati fiorentini, scu-dieri di Nello, servi di Nello.

L’avvenimento ha luogo prima nelle vicinanze di Siena,quindi nella Maremma toscana. L’epoca è dell’anno 1260.

349Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Parte prima

Scena prima. Sala terrena entro un castello de’ Tolo-mei. Familiari di Nello.

Coro I. Ancor del fosco notturno velotutto spogliato non era il cielo,quando ravvolto nel suo mantellosegreto messo giunse al castello.

II. Fu tratto forse dinanzi a Pia?Nello, il consorte, quell’uomo invia?

I. Lo accolse Ubaldo…II. Ei viene appunto!

Scena seconda. Ubaldo, e detti.

I. Di’, quel messaggio?…II. Dal campo è giunto?I. Reca novelle tristi, o felici?II. Parla!…I. Disvela!…

Ubaldo Udite, amici.(A voce bassa, ed in tuono misterioso.)

Né Pia né quanti le son dappressodenno contezza aver del messo.Crudel mistero colui m’apprese…

(Gli altri vorrebbero interrogarlo.)sol debbe a Ghino esser palese.V’allontanate.

Coro Fatal messaggio!Fra noi tremendo egli apparì!…

Qual di cometa sanguigno raggioche di spavento la terra empì!

(Si dileguano.)

Scena terza. Ghino, e detto.

Ubaldo Signor, giungi opportuno.

Ghino Il mio sospettoforse?…

Ubaldo Divien certezza.Sorpresi un foglio.

Ghino Di tue cure, Ubaldo,premio condegno avrai.(Ubaldo gli porge uno scritto, ed egli legge.)

« Quando sepoltofia nel silenzio della notte il mondo,inosservato per la via del parcoa te verrò: l’assenzadel tuo sposo abborrito a me conceded’abbracciarti la gioia, e tal mercedesoffrir mi fa la vita. » — O Pia mendace!Ov’è il rigor, l’austeravirtude ov’è, che rampognar ti feal’amor di Ghino? Ah! sempre, o fatal donna,separati ne avessequella tremenda eredità degli avi,

SALVATORE CAMMARANO350

la vendetta, il furor, né ghibellinotalamo accolta chi nascea di Guelfi,che tanto sventuratoor non sarei, né vinto e laceratoda rimorso infernal, d’un mio congiuntola sposa amando!

Ubaldo E che risolvi, o Ghino?

Ghino Chiesi vederla… Oh! se repulse ardiscioppormi ancor, paventa… un detto mio ti perde… Ove trascorro!… Ah! ne morrei da fiera doglia oppresso…

Ubaldo E tanto l’ami ancor?

Ghino Più di me stesso.Non può dirti la parola

qual desìo m’incalza e punge… La speranza che s’involanuove fiamme al foco aggiunge.Pia m’abborre, Pia mi fugge… ma non fugge dal mio cor.

Ah! l’incendio che mi struggeè delirio, e non amor!

Scena quarta. Bice, e detti.

Ghino Ebben?

Bice Venirne davanti a leipiù non ti lice.

351Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Ghino Chi a me lo vieta?

Bice Pia.

Ghino La cagione?

Bice Saper la dei.E Nello, anch’egli potria…

Ghino T’acqueta.Troppo dicesti!

Bice Nel mio linguaggioella ti parla: pensavi, e trema. (Parte.)

Ubaldo Muto rimani a tanto oltraggio!

Ghino Non ha favella un’ira estrema.(Dopo un momento di riflessione rende il foglio ad Ubaldo.)Rechi all’infida ignoto messoquel foglio…

Ubaldo Intendo: riposa in me.

Ghino Al campo io volo… e Nello, ei stesso,udrà qual onta costei gli fe’.Mi volesti sventurato?

Sventurata sarai meco… I miei pianti avranno un eco,il mio duol vendetta avrà.

SALVATORE CAMMARANO352

O mio core, o cor sprezzato,gemi indarno in questo petto… dei bandir qualunque affettoche somigli alla pietà.

Ubaldo Sì, tu fosti provocato…sarìa stolta la pietà.

(Partono da opposta via.)

Scena quinta. Appartamenti di Pia. Due porte latera-li: quella a destra mena alla stanza da letto: altra portanel fondo, dietro la quale un verone che risponde sulgiardino. Bice, e Lamberto.

Lamberto Surse la Pia?

Bice Surse anzi l’alba, e parmipiù dell’usato ancoragemente, irrequieta.

Lamberto Il suo cordogliopurtroppo è giusto! D’esecranda pugnail dì s’appressa: per lo sposo insiemee pel fratello, armatil’un contro l’altro e di vendetta ardenti,ella tremar dovrà!

Bice Malvagia etade!…Di sangue cittadin grondar le spadevedremo ancor!

353Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Lamberto Di Nellofu prudente consigliola sposa allontanar dal suo palagio,che scopo fia di militar licenza,se la tremenda oste di Flora 1 irrompenella cittade.

Bice E questa rocca, anticode’ Tolomei retaggio,scampo securo estimi tu?

Lamberto Fu dessainespugnabil sempre.Lo sventurato genitor di Pia,quando funesta ardea gara civile,qui ricovrò da Siena e l’ira ostilerespinse a lungo; ma consunto alfineogni alimento, per segreto calle(Egli getta come involontariamente uno sguardo sulla parete in fondo.)fuggì, sull’Arno raggiungendo i figlipargoli ancora e la consorte. Io posciatuttor qui m’ebbi solitaria stanza…

Bice Ver noi la Pia s’avanza.

Lamberto Io mi ritraggo… Alle sue donne accantolibero sgorghi dell’afflitta il pianto. (Parte pel fondo.)

SALVATORE CAMMARANO354

1 la tremenda oste di Flora: il tremendo esercito di Firenze.

Scena sesta. Pia, damigelle, e detta.

Dame (Invitando la Pia a sedere presso il verone.)Qui posa il fianco. È vivida

quest’ora del mattino,imbalsamata è l’aurache muove dal giardino:di vaghi fior smaltatove’ come ride il prato,qui tutto spira e parlaceleste voluttà…

(È vano! A confortarlauman poter non v’ha!)

Pia A voi son grata… ma non è quest’alma(Sorgendo smaniosa.)più di gioia capace.

Bice Almen di calmalo sia…

Pia Trista per me, funerea luceil sol diffonde e l’universo piange!

Bice Misera!

Pia In cor se mi leggessi, o Bice,del mio stato infelicemaggior pietade avresti!… (Oh! incertezza crudel!… Giunger doveapria del giorno l’avviso… Al suo fuggir, compro dall’oro, è forse

355Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

un ostacolo insorto?… Della torre il custodepotria con empia frodetradirmi?… Ah! no, ché di Rodrigo ei stessomi fe’ l’arcana prigionia palese.Eppur, donde l’indugio?… Ah! ch’io mi perdo!E fra tante dubbiezze in cui smarritaè la ragion, nel corecerto, ah! certo soltanto è il mio dolore! O tu, che desti il fulmine,

che al nembo il fren disciogli,le mie dolenti lagrimein tua pietade accogli… Quell’innocente vittimasalva e conduci a me.

No, tu non puoi respingerechi fida in te, buon Dio… Il voto, che fra i gemitial tuo gran soglio invio,è puro come gli angeliche stanno in ciel con te.)

Bice (Geme tutt’or la misera!…

Dame Calma per lei non v’è!)

Scena settima. Lamberto, e dette.

Lamberto Pia…(Traendola in disparte.)

SALVATORE CAMMARANO356

Pia Che fu?… Smarrito in voltosei Lamberto!…

Lamberto (Sottovoce.)M’odi.

Pia Ascolto.

Lamberto (Come sopra.)Tra le querce… accanto al rio…

dove il parco è più solingo,accostarsi a me vegg’ioun uom tacito e guardingo… Ei gettandomi dappressoquesto foglio, in tuon sommessodi recarlo a te mi dice,quindi fugge al par d’un lampo.

Pia (Pia prende il foglio e l’apre.)(Le sue note… Me felice!…

(Dopo aver letto.)Tolto è omai qualunque inciampo!…)

Lamberto (Osservando il cambiamento dal volto di lei.)(Il tormento a lei dà tregua!)

Pia (Qui fra poco il rivedrò!…)

Bice (L’atra nube si dilegua

Dame che la fronte a Pia velò!)

357Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Pia (Di pura gioia in estasiè l’alma mia rapita!… A lui dirò: « Sei libero,io ti salvai la vita!… »E amplessi, e baci, e palpiticonfonderemo intanto… e verserem quel piantoche di dolor non è!)

Bice, Lamberto, Dame

(Ella cessò dal pianto!Al ciel ne sia mercé.)

(Pia si ritira a destra; gli altri dall’opposto lato.)

Scena ottava. Interno del padiglione di Nello.

Nello Giurai svenarlo, ch’egli ardì col sanguede’ miei congiunti violar la paceda noi giurata, quando a Pia mi strinsesacro legame. Or della morte il ferrogli sta sul capo, e gemo!Gridato fu dal militar consessonemico della patria… Era concessoal mio pregar soltantoche nel segreto carcere la scuretronchi sull’alba il procelloso corsodi sua fatal giornata.Almen la sventurataPia, che l’ama cotanto, il fine acerbonon udrà del fratello… Qualcun s’appressa…

SALVATORE CAMMARANO358

Scena nona. Ghino, e detto.

Ghino Nello?

Nello Ghino!… Tu qui!

Ghino Mi traggealta cagion.

Nello Sembri agitato!…

Ghino È vero…A palesarti orribile mistero,a trafiggerti il pettoio venni.

Nello Ogni tuo dettomi fa tremar!

Ghino Tu n’hai ben donde! — Pia…

Nello Qual nome profferisti!… e qual mi turbanero sospetto!… No… spirto d’avernolo desta in me… Soccorri(Abbandonandosi fra le braccia di Ghino.)al tuo fratello: dimmiche fida è la consorte… Sgombra, deh! sgombra il mio spavento estremo.(Ghino getta sopra di lui un cupo sguardo, e rimane in silenzio.)Oh silenzio funesto!… Io gelo!… Io tremo!

359Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

È men fero, è meno orrendoil silenzio della tomba.

Ghino Il mio dir fia più tremendo.

Nello Ahi!… la morte in cor mi piomba!

Ghino Infelice!

Nello Omai favella.

Ghino Sei tradito!

Nello Il ver dicesti?

Ghino Ah! pur troppo!

Nello Io fremo!… Ed ella?…

Ghino (Esitante.)Ella…

Nello O Ghino, a che t’arresti?

Ghino È un’infida.

Nello (Tremante d’ira.)L’onor mio?…

Ghino D’atra macchia ricoprì!

SALVATORE CAMMARANO360

Nello E il tuo fulmine, gran Dio,la spergiura non colpì?

(Cade sur uno sgabello. Pausa.)Parea celeste spirito(Sorgendo e con tutta l’effusione del dolore.)

ascoso in uman velo!… Per me quel riso angelicoschiudeva in terra il cielo!… Il disinganno è giunto!Tutto distrugge un punto!… Il viver mio di lagrimesorgente omai si fé!

Ghino (Seppi nel cor trasfondergliparte del mio veleno:le mie gelose furiesquarciano pur quel seno.È omai scoccato il dardo… ogni rimorso è tardo… Gioia dell’alme perfideio già ti sento in me!)

Nello (Come colpito da rapido pensiero afferraGhino per la destra affissandolo acutamente,in guisa di chi cerca per gli occhi scrutare l’a-nimo altrui.)Tu mentisti: un tanto eccesso

no, quel cor non ha macchiato.

Ghino Testimon sarai tu stessodell’oltraggio a te recato.Come il ciel di luce privochiami al sonno ed al riposo,

361Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

alla Pia verrà furtivochi t’offende…

Nello (Con estremo furore.)Andiam!… Fui sposo!

Sol, che tardi… Il corso affretta… cedi all’ombre…

Ghino Ah! m’odi ancor…

Nello Più non odo…

Ghino Almen…

Nello Vendetta…

Ghino Pria…

Nello Son cieco di furor.(Qual uomo privo affatto di ragione.)Del ciel che non punisce

emenderò l’errore… Già il mio pugnal ferisce,dei rei già squarcia il core… Le palpitanti vittimeio premo già col piè.

Ghino (Sei pago, amor furente?S’appresta orrendo scempio… Le mie virtudi hai spente,m’hai reso un vile, un empio… Gioisci, esulta, o demone,

SALVATORE CAMMARANO362

e lei perdesti… e me!) (Nello esce furibondo, seco traendo Ghino per un braccio.)

Scena decima. Orrido sotterraneo, appena rischiara-to da una tetra lampada: in fondo un rastello di ferro,dietro cui passeggia un uomo d’armi. Rodrigo.

Rodrigo In questa de’ viventi orrida tomba,ove per sempre il raggiotace del giorno, il suon di fioca squillagiunge soltanto; dell’ombroso veloor si ricopre il cielo,e le stelle silentispargon luce suave… Ah! l’ora è questaarbitra di mia sorte!Fra speranza e timor, fra vita e mortemi balza il cor!… Paventoforse l’estremo fato?No; ma un pensiero!… Ah! pende dalla miaun’altra vita!… Oh dolce suora! oh Pia!… Mille volte sul campo d’onore

i perigli più crudi sfidai,mille volte la morte sprezzai,or la temo… ah! la temo per te!

S’io cadessi, al pietoso tuo corescenderebbe un acuto pugnale;e dischiusa la pietra ferale non sarebbe soltanto per me!

363Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Scena undicesima. Custode, e detto.

Custode (Deponendo sur una tavola una brocca d’ac-qua e togliendone i pochi oggetti che servironoad imbandire la parca mensa del prigioniero,dice sommessamente, ed in guisa che l’uomod’armi non possa notare che egli volge la paro-la a Rodrigo.)Omai l’istante è presso

del tuo fuggir. — M’ascolta:del custodito ingressocangiata fia la scolta;quella che dee succederecompra è da me. — Fa cor.

(Egli parte: odesi battere una campana.)

Rodrigo Il sen mi scuote un palpitoignoto a me finor.

(Un momento di silenzio. Comparisce nel fondoun drappello di armigeri: la guardia è cangiata.)L’astro che regge i miei destini(Sfavillante di gioia.)

sparge d’intorno nuovo fulgor!Impallidite, o Ghibellini,

io riedo al campo… io vivo ancor! (Il custode si mostra sull’ingresso, avvolgeRodrigo in un lungo mantello, gli pone sul capoun elmo, di cui abbassa la visiera, gli porge unaspada, ed escono cautamente frettolosi.)

SALVATORE CAMMARANO364

Scena dodicesima. Appartamenti di Pia, come nellascena quinta. Nello, Ghino, Bice, e scudieri di Nellodalla porta a sinistra. Un doppiere arde sopra unatavola: la porta del verone è chiusa.

Bice Dell’inatteso tuo venir la nuovasarà conforto alla dolente.(Entra nella stanza da letto.)

Ghino (Agli scudieri.)Udiste?

Ascosi fra le piante, ove la notteregna più densa e scura,cautamente vegliate: a queste muraun uom s’avanzerà; libero accessoegli abbia, uscir gli sia vietato.(Gli scudieri partono pel fondo; Ghino serranuovamente la porta del verone.)

Nello E tantodeggio aspettar la mia vendetta!

Ghino Nello,pensa che un detto, un guardopuò dell’ordita tramascompor le fila!…

Nello Non temer.

Ghino Che deifrenarti al suo cospetto…Eccola!

365Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Nello Oh! mio furor!…

Ghino Lo cela in petto.

Scena tredicesima. Pia, Bice, e detti. Bice si ritira perla porta a sinistra.

Nello Pia…(Abbracciandola con calma simulata.)

Pia Signor…

Nello Tu sei turbata!…Il tuo cor tremare io sento!

Pia No… la gioia inaspettata…la sorpresa… (Oh mio spavento!)

Nello (Empia!)

Pia Eppur non hai tu stessoun rammarco in volto impresso?…

Nello Io rammarco!…

Pia E sdegno… parmi.

Ghino (Piano a Nello onde esortarlo a rattenersi.) Nello!…

Nello È ver… giungeva al camponuova infausta a rattristarmi…

SALVATORE CAMMARANO366

nuova tal che d’ira avvampo!Il signor di Roccaforte…

Pia Sigifredo?…

Nello La consortesai di quale, e quanto affettoegli amava.

Pia E riamato…

Nello No… chiudea l’indegna in pettoturpe foco abbominato… Un codardo… un seduttore… vilipeso fu l’onore… Nell’onor son io ferito… (Cieco di rabbia.)Il tuo fallo è noto, è certo… Donna infida m’hai tradito!… M’hai d’infamia ricoperto!… (Avvertito da uno sguardo furtivo di Ghino, ripiega immantinente.)Sigifredo così disse,strinse il brando e si trafisse.

Pia Ed estinto?…

Ghino Vive ancora,ma per poco: Iddio lo chiama.Pria che giunga all’ultim’ora,abbracciar l’amico ei brama. (Accenna Nello.)

367Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Pia (O sospetto!…)

Ghino E quindi Nello,onde girne al suo castello,trasse innanzi a queste mura…

Nello E il vederti, amata sposa,fu mia prima e dolce cura.(Figger gli occhi in me non osa!)

Ghino Nello, andiam, che l’ora stringe.

Pia (Con gioia inconsiderata.) Parti?

Nello Sì. T’incresce!

Pia È ver…

Nello Troppo m’ami!

Pia (Cielo!… ei finge!)

Nello Io ti leggo nel pensier!(Ogni sguardo, ed ogni accento

manifesta il suo delitto!Il suo nero tradimentocome in core, in fronte ha scritto!Taccia ancor… ma più tremendala vendetta poi discenda… Onor mio contaminato,la rea coppia immolo a te.)

SALVATORE CAMMARANO368

Pia (Egli asconde un rio furoresotto il vel di finta calma!Ah! d’ambascia, di terrorecircondata, ingombra ho l’alma!… Odo un gemito… un lamento!… Veggo oggetti di spavento!… Un avello insanguinatopar che s’apra innanzi a me!)

Ghino (Ella ardea di fiamma impura,e scherniva l’amor mio!Di sue colpe la spergiuracon la morte paghi il fio… Con la morte? A questo accentofremer l’alma in petto io sento!… Il mio foco dispregiatotutto estinto ancor non è!)

(A Nello.)Vieni…

Nello Sposa…

Pia Nello…

Nello Addio.(Parte seguito da Ghino per l’uscio a sinistra.)

Pia M’atterrì la sua presenzapel fratello!… In ciel v’è un Dio(Con ristoro.)protettor dell’innocenza.(Chiude la porta a sinistra, ed apre quella delverone.)

369Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Scena quattordicesima. Lamberto, e detta.

Lamberto (Nella massima agitazione.)Ah! Signora…

Pia Tu, Lamberto!…Deh! che fu?…

Lamberto Si tende al certoun agguato… gente in armisi nascose…(Indicando dalla parte onde è venuto.)

Pia Egli è perduto!

Lamberto Donna! il sangue fai gelarmi!Di’?… non oso… Hai tu potuto?…

Pia L’uom che attendo è mio fratello…

Lamberto Egli!… Ciel, che festi! E Nello!Ahi! sciagura!… tardi apprendo… Io potea…

Pia Chi giunge?

Lamberto È desso…

SALVATORE CAMMARANO370

Scena quindicesima. Rodrigo, e detti.

Rodrigo Pia…

Pia Qual fulmine tremendo!…

Rodrigo Che!

Lamberto (Corre a chiudere la porta del verone.)Respira: è salvo adesso.

Pia E fia ver?…

Lamberto Segreta via,donde il padre un dì fuggìa…

(Si accosta alla parete in fondo, e rimossa unaporta della tappezzeria, scopre un uscio segre-to.)

Mira.

Pia Oh gioia!…(A Rodrigo.)

Ne minacciagrande rischio, ed incalzante…Esci…

Lamberto Ah! sì…

Pia Fra queste bracciaun istante, un solo istante.

Il fratel stringendo al pettopianger deggio… e palpitar!

371Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Rodrigo Tanto duolo… e tanto affettomi costringe a lagrimar…

Pia (Sempre tenendosi l’uno in braccio dell’altro e tergendosi a vicenda le lagrime.)Ah! ne tolse orrenda guerra

l’adorato genitore!… Cruda morte di dolorepoi la madre c’involò!…

Sventurati!… sulla terrasolo il pianto a noi restò!

Scena sedicesima. I suddetti, e Nello di dentro.

Nello L’uscio dischiudi, o perfida!

Lamberto Nello!…

Rodrigo Colui!…

(Odonsi frequenti colpi sulla porta a sinistra.)

Pia Non senti?Va…

Nello Traditori!(Rodrigo, fremente di rabbia, pone la mano sull’elsa, ma viene trattenuto da Lamberto.)

Pia Ahi misera!… Che indugi omai?… che tenti?…

SALVATORE CAMMARANO372

Rodrigo Egli osa provocarmi!… Io voglio…

Pia Ah! tu vuoi farmispirar d’angoscia, o barbaro,e di terror…(Intanto, soccorsa da Lamberto, ha condotto Rodrigo presso l’uscio segreto.)

Scena diciassettesima. Nello, Ghino, e detti.

Nello Ch’io svenientrambi… (Prorompendo dalla porta spalancatasi, con pugnale denudato.)

Pia Ah! fuggi…(Rovescia il doppiere nel punto istesso in cuiNello entra.)

Nello Oh rabbia!…

Ghino Ubaldo? Ubaldo?

Lamberto (Piano a Rodrigo e uscendo per l’uscio segreto, e tosto si rinchiude.)

Vieni…di lei pietade…

Pia Orribilesul cor mi piomba un gel!…

373Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Scena diciottesima. Servi con altri doppieri, Ubaldo,familiari, damigelle, uomini d’armi. Bice, e detti.

Nello Fuggì quel vil!…

Ghino Raggiungasi… (Molti uomini d’armi escono pel fondo.)

Nello (Scagliandosi, per uccidere la Pia.)Mori…

Ghino, Familiari T’arresta…(Disarmandolo.)

Bice, Dame Oh ciel!…

(Tutti insieme.)

Nello Son ebbro di sdegno… respiro veleno,non sangue, ma foco mi scorre nel seno…Quel ferro mi rendi… L’iniqua s’uccida… parola di calma non giunge al mio cor…

Egli ode soltanto la voce che grida:sterminio tremendo, vendetta, furor.

Ghino Quell’ira bollente per poco raffrena…

Familiari Per poco sospendi la giusta sua pena…

Ubaldo Pria vegga l’indegna spirar quell’arditoe senta le vene gelarsi d’orror;

SALVATORE CAMMARANO374

poi tutto grondante del sangue abborrito,il ferro di morte le immergi nel cor.

Pia Ah! m’odi… raffrena quell’odio feroce… Per lui di ragione è muta la voce!… In terra sprezzato, al trono di Dioil grido s’innalzi d’un misero cor…

Qui sangue si chiede; ah! versino il mio,ma basti… ma plachi un empio furor.

Bice, Dame Ei d’ira è furente… non ode consiglio… ha in petto l’inferno, la benda sul ciglio!Ah! fuggi… sottratti al fero consorte… non vedi ch’egli arde d’insano furor?

Le pende sul capo sospesa la morte!O notte funesta!… oh! scena d’orror!

(Pia sviene, intanto che Nello è condotto altro-ve.)

Fine della parte prima.

375Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

SALVATORE CAMMARANO376

Parte seconda

Scena prima. Accampamento dell’esercito fiorentino,presso una porta del sobborgo di Siena. Coro di guer-rieri, indi Rodrigo e Lamberto.

Coro Cinto di rosse nubi,sorgi, deh! sorgi, o sole:vieni a mirar se prolenon siam d’Italia ancor!

Col lampeggiar dell’armi,col fero suon di guerrat’invoca l’alma terrache madre è del valor!

Sorgi, e vedrai gremito,come di tronche biade,il suol di lance e spade,tinti di sangue i fior!

Lamberto Rodrigo…

Rodrigo Chi vegg’io!… Tu qui!…

Lamberto Pur giungo,pur giungo al tuo cospetto!Ben dieci lunghi giornipalpitar mi fu d’uopo, e vincer guerradi rinascenti ostacoli. Son io(Ad un cenno di Rodrigo i guerrieri si ritirano.)apportator di trista nuova.

Rodrigo Oh! Dio!…Che avvenne?

Lamberto Al tuo fuggir, Nello, frementedi cieco sdegno, a trucidar la sposail ferro alzò…

Rodrigo Perverso!…

Lamberto A lui sottrattafu l’innocente, ma del crudo in senol’ira non tacque: gemebonda, oppressa,vota di sensi, quella notte istessanella Maremma trascinar la fece,ove tra i morti stagniaura letal si beve, or che infuocatiraggi saetta il dì: nel suo funebrecastello, a Pia dell’inumano un cennoprigion dischiuse acerba,ed ivi… (Con orrore.)

Rodrigo Che?

Lamberto Forse… a morir la serba.

Rodrigo Ahi! sì barbara minacciadi spavento il cor m’agghiaccia! Fosco il sole, e tolta parmila favella, ed il respir!…

Se costar doveano a leitante pene i giorni miei,rio destin perché non farmi

377Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

cento volte pria morir?(Squillo di trombe, e movimento nel campo; tutto come segue.)

Lamberto Oh! qual tumulto!…

Rodrigo Squillanole trombe in suon di guerra!…

Lamberto Duci e guerrieri accorrono!…

Rodrigo Rimbomba e cielo e terra!…

Scena seconda. Seguaci di Rodrigo, e detti.

Seguaci Signor…

Rodrigo Che fu?

Seguaci Proromponoad inattesa pugnal’orde nemiche… Affrettati,l’acciar temuto impugna.

Lamberto Oh! fero giorno!…

Rodrigo Traggasiquel vecchio in securtà.(Alcuni scudieri partono con Lamberto.)

Seguaci Vieni…

SALVATORE CAMMARANO378

(A Rodrigo. — Vedesi nel fondo l’esercito fiorentino marciare affrettatamente.)

Rodrigo Tremenda folgoreil brando mio sarà.

A me stesso un Dio mi rende… Corro all’armi… alla vendetta… i tuoi nodi, o Pia diletta, io tra poco infrangerò.

Questa brama il cor m’accende,non desìo di falsa gloria… pel cammin della vittoriaal tuo seno io volerò.

Seguaci Foco d’ira il cor n’accende… sangue a flutti spargeremo… Ghibellini, al fato estremonulla omai sottrar vi può.

(Partono velocemente.)

Scena terza. Vecchia sala d’armi nel castello dellaMaremma: ingresso nel fondo, due porte sui lati: unadi esse mette alla prigione di Pia. Ghino, ed Ubaldo.

Ubaldo Tu, Ghino, alle Maremme!

Ghino Ah! di’: la Pia?…

Ubaldo Geme fra quelle mura, e si distruggeper lenta febbre.

379Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Ghino Ho d’uopovederla, Ubaldo… qui la traggi.(Ubaldo entra nella prigione di Pia.)

Ancorasull’adorato labbrostarà l’oltraggio e la repulsa? O vintadalla sciagura?… Fra la speme ondeggio,e fra il timor.

Scena quarta. Pia, e detto.

Pia Chi veggio!…

Ghino L’uomo che salvarti e vuole, e può.

Pia Tu!… Come?

Ghino All’amor mio t’arrendi,e pronta fuga…

Pia Taci,lingua d’averno… Chi sono io scordasti?

Ghino (Con disprezzo.)E chi sei tu?

Pia (Dignitosamente.)La sposa

di Nello.

Ghino Infida sposa.

SALVATORE CAMMARANO380

Pia Io!…

Ghino Non tradistiil tuo dover, l’onore?… In quella orribil notte un seduttorenon accogliesti?…

Pia Ciel!… Che dici!… AccolsiRodrigo, il fratel mio…

Ghino Donna… fia vero!…

Pia Crudele inganno!… Ah! dunquespergiura anch’ei, Nello, m’estima?… E quantocredei furor di parte,era gelosa rabbia!… Il fosco nembo,che intorno a me ruggìa,sparisce!

Ghino (Abbassa la fronte, e rimane alquanto silenzioso,come persona che medita a qual partito attener-si.)

Odimi, o Pia.Per sempre dai viventidi Nello un cenno ti separa, e Nellosveller giurò dalla sua fronte i raianzi che più vederti: Ubaldo è schiavodel mio voler: tu seigià nella tomba; dalla tomba Ghinosol può sottrarti, ed eglit’offre il suo core… o morte.

381Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Pia Iniquo!…

Ghino Scegli.

Pia Morte o colpa? Tu ben saila mia scelta.

Ghino Forsennata!…Scegli?…

Pia Morte.

Ghino Ah! tu morraidalle genti abbominata… e l’infamia un negro velosul tuo nome stenderà.

Pia Benedetta e pura in cieloil Signor m’accoglierà.

De’ miei giorni tronco il corsofia tra poco… ah! pensa, o Ghino,quale in cor ne avrai rimorso!

Ghino (Ahi! tormento!…)

Pia Errar vicinouno spettro ti vedrai… il mio spettro!…

Ghino Taci… (Ahimé!)(Ghino raccapricciato: Pia cangia il tuonosevero in quello della più commovente pre-

SALVATORE CAMMARANO382

ghiera, giungendo le palme e cadendo genu-flessa innanzi a lui.)

Pia Deh! ti cangia…

Ghino Ciel!… che fai?… Tu prostrata innanzi a me!

Pia Ti muova il gemito dell’innocente… la prece ascolta d’un cor morente;sorga del fallo in te l’orrore,rendimi, ah! rendimi vita ed onore… e la tua colpa fia cancellata,ed io col Cielo perdonerò.

Ghino (Mi scende all’anima il suo lamentoa ragionarvi di pentimento!Potrei lasciarla fra le ritortein braccio a lunga, terribil morte,e senza colpa disonorata?… No, tanto perfido il cor non ho.)

Pia Ah! nel tuo seno atrocenon giunge la mia voce!… Addio…

(Avviandosi alla sua prigione.)

Ghino (Nella estrema commozione.)T’arresta…

Pia Oh! giubilo!…Veggo negli occhi tuoi…

(Ghino cerca nasconderle il volto.)

383Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

La mal frenata lacrimainvan celar mi vuoi.

Ghino Donna…

Pia Perché t’arresti?… Finisci…

Ghino Ah! sì, vincesti… Corro a squarciar le tenebred’inganno sì fatale… Corro di Nello a spegnerel’ira crudel, mortale… Quindi a me stesso in coreun ferro immergerò.

Pia Che dici!… qual furore!…

Ghino Omai decisi.

Pia Ah! no.

Ghino Può la mia fiamma estinguersicol viver mio soltanto… Meglio morir, che viverein disperato pianto… Ah! sul mio freddo cenerespargi talvolta un fiore… a chi negasti amoreconcedi almen pietà.

Pia Sgombra sì nere immagini…

SALVATORE CAMMARANO384

a Dio solleva il core,e forza avrai per vincere un condannato amore.Scosso dal reo delirio,alla virtù rinato,raggio del ciel placatoil viver tuo sarà.

(Ghino parte; Pia si rende alla sua prigione.)

Scena quinta. Ubaldo. Egli viene dalla carcere di Pia,e ne rinchiude la porta. Si avanza uno scudiere, gliporge un foglio, ed esce. Ubaldo legge.

Ubaldo « Divamperà tremenda oggi la guerra,ed io spento sul campoforse cadrò. Non voglioche alla pena fuggir possa la colpa;quindi, se rivocato il cenno mionon è sin che biancheggil’alba del dì novello,mora la Pia, mora, lo impongo. — Nello. »

(Resta cogitabondo, qualche istante, poi volgeun guardo dove entrò Pia, e si ritira dall’oppo-sto lato.)

Scena sesta. Atrio d’un eremitaggio: a traverso del-l’intercolunnio si veggono le incolte lande dellaMaremma. La notte è inoltrata, il cielo è nerissimo, edimperversa una tremenda bufera. Piero, ed altri romi-ti.

385Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Tutti Il mugghiar di sì fera procellapar del Cielo funesta minaccia:par di Dio la tonante favellaquando all’empio la colpa rinfaccia!No, giammai più terribile guerrail creato sconvolto non ha!

(Si prosternano.)Divo Spirto, il cui sguardo penetra

ogni via degli abissi profondi,al cui cenno raggianti per l’etral’ampio giro descrissero i mondi,ah! placato sorridi alla terra,e del nembo l’orgoglio cadrà.

Piero (Sorgendo, e seco gli altri.)Un calpestio di rapidi cavalli,fra il sibilar de’ venti,l’udito mi colpì.(Mettendosi presso la soglia con un fanale sospeso nella destra.)

Qualunque siache dal furor di sì malvagia nottecerchi un asil, qui traggail passo errante.

Scena settima. Nello, con seguaci e detti.

Nello Piero…

Piero Io non traveggo!Nello!

SALVATORE CAMMARANO386

Nello Sconfitte dal nemico brando fur di Siena le squadre, e strascinatepel campo, entro la polvedi Manfredi le insegne… Al mio castellomovemmo, e l’orme nostreseguìa dappresso un folto stuol repentedi Guelfi… l’uragano, e la sorgentenotte ad essi ne tolse… I giorni mieideggio alla fuga!… Oh! rabbia!

Piero Gli ardenti spirti acqueta;ed al voler t’inchinadi Lui, che a torto non punisce.(Con grave accento.)

Nello O vecchio,una parola onde ferirmi hai detta!

Piero Di tua crudel vendettail grido risuonò: viva sepoltafu la tua sposa… Io di quell’alma, o figlio,i più riposti affetticonosco appieno, ché la tenni al seggioove il mortal ricevede’ falli suoi perdono. A me t’affida:rea di nefando eccessonon è la tua consorte.

Nello Solo un istante dubitar vorreidell’onta mia; dareiper quell’istante mille vite. Ahi! crudacertezza ho della colpa!…

387Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Pietà sì viva di colei tu senti?E pietade non hai de’ miei tormenti?(Gettandosi nelle braccia di Piero con abbandono di dolore.)Lei perduta, in core ascondo

una serpe… un dardo acuto… Per me tomba è fatto il mondo;parmi il ciel aver perduto.Ah! la perfida consorteio detesto… ed amo ancor!…

D’ogni strazio, d’ogni mortela mia vita è assai peggior!

(Si ode uno strepito d’armi,quindi un grido lamentevole.)Fragor di spade!…

Piero Un gemito!…

Nello Si corra…

Scena ottava. Ghino, e detti. Egli è ferito mortalmen-te: si avanza a lenti passi, ed appoggiandosi alla spada.

Tutti tranne Ghino Oh! Ciel!…

Nello Tu, Ghino!…

Piero e Coro Scena funesta, orribile!…

Ghino Compiuto è il mio… destino…

SALVATORE CAMMARANO388

Nello Ahi!…

Ghino Mi svenò… drappellodi Guelfi…

Nello E d’onde?…

Ghino O Nello… mi tragge… a… te benefica,celeste man… La Pianon è… non è colpevole…

Nello Fia vero!… E l’uom che ardìaVenir fra l’ombre avvolto?…

Ghino Era… il fratel…

Nello Che ascolto!

Ghino Lei salva… ed il mio… cenerenon maledir… l’amai… fui dispregiato… e… perderlaentro al mio cor… giurai…

Nello O Pia… Malvagio…(Mettendo la mano sull’elsa.)

Piero e Coro Arrestati… Il Ciel ti vendicò.

Ghino Io muoio… deh! perdonami…

389Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Piero e Coro (Supplichevoli a Nello.)Signor…

Ghino Per… do…(La sua parola tronca dall’ultimo singulto:Nello protende la destra sul di lui capo, in attodi perdono.)

Piero e Coro Spirò!

Nello Dal mio ciglio è tolto un velo!… Sì, Rodrigo… in campo egli era!… Ed il foglio!… ed ella!… Oh! Cielo!… (Alla sua gente d’armi.)Mi seguite…

Piero Ah! trista e neraè la notte… i nembi orrendiimperversano tuttor…

qui soggiorna, e l’alba attendi…

Nello (Come tocco dal fulmine.)L’alba!… l’alba!… Oh! mio terror!(Preso da tremito convulso, e con prorompimento di lagrime.)Dio pietoso, un cor ti parla

pien d’angoscia e di spavento…Tu soltanto puoi salvarla… opra, o Nume, un tuo portento… Ah! quell’angelo d’amoreserbi a me la tua pietà.

E l’inferno che ho nel coreciel di gioia diverrà.

SALVATORE CAMMARANO390

Piero (Onde in lui cotanto orrore!…)

Coro (Quale arcano asconderà?)(Nello parte precipitosamente; i di lui guerrieri lo seguono.)

Scena nona. Prigione di Pia. Sull’alto una finestracon spranghe di ferro: scala in fondo, alla cui sommitàla porta. Pia seduta sur uno sgabello, con la testaappoggiata ad una rozza tavola: ella è immersa in tor-bido sopore, pallida n’è la fronte, difficile è il respiro, esovente un tremore agita le sue membra. Ubaldo vienedalla scala, rilegge tacitamente il foglio di Nello, alzagli occhi alla finestra, albeggia: egli si trae dalle vestiuna ampolla, e ne versa il licore entro una tazza colmad’acqua, che sta sulla tavola.

Ubaldo A questo nappo beverà tra pocoil tuo labbro assetato, e dormiraiben altro sonno!

Pia Eterno Dio!(Con grido acutissimo e balzando in piedi spa-ventata.)

Respiro…Il mio pensier delirocreò nel sonno immagini feroci!A questo sen pentito(Come riandando ciò che le parve in sogno.) il consorte io stringea… quando nel fianco

391Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

l’acciaro insidiosogl’immerse un Guelfo… a’ piedi miei lo sposocadde spirando: balenò sanguignoun infernal sorrisodell’omicida in volto… ed era il volto di Rodrigo! Frattanto,spaventevole a dirsi!la morta spoglia alto levossi, e formevestì di truce dèmone!… Gli artiglinell’uccisor figgendo,mise un urlo tremendo,e con la preda si lanciò nell’imode’ spalancati abissi!… Orribil sogno!… Ah! la febbre cocentepiù cresce!… atroce sete mi divora!… (La coppa fatale si presenta al di lei sguardo,ed ella vi stende ansiosa la mano. Ubaldorimasto sempre indietro fa un moto, quasiinvolontario, per trattenerla, ma ristà imman-tinente. Pia beve.)

Ubaldo (Meglio è penar brev’ora,e poi riposo eterno!Al dì novello respirar più lieteaure mi fia concesso.)

Pia (Abbandonandosi a sedere.)Ah! La pietade, o Ghino,l’ale impenni al tuo corso… E tu vien, crudel che amai cotanto,a rasciugar d’un’infelice il pianto.Sposo, ah! tronca ogni dimora…

SALVATORE CAMMARANO392

al mio sen deh! vola, o Nello;dimmi: « T’amo… » ed all’avelloquesto accento mi torrà.

Ah! la Pia, se indugi ancora,preda fia d’acerba morte,ed al bacio del consortepiù risponder non potrà.

Scena decima. Nello con seguaci e detti.

Nello (Ancor dentro.)Pia?

Pia La voce!…

Nello (Come sopra.)Sposa?… Pia?…

Pia Egli!… Ah! dunque i miei sospiriCielo udisti!…

Ubaldo (Ahimè! che fia!…)

Nello Non vaneggio!… Tu respiri!… Gioia immensa!…

Pia Rea non sono…

Nello Sì, m’è noto… Il tuo perdono… (Volendo inginocchiarsi.)

Pia (Abbracciandolo.)

393Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

Al mio sen… Gran Dio!… non reggoall’eccesso del contento… tremo… agghiaccio… nulla veggo… Nello?

Nello Pia!… (Adagiandola sopra lo scabello.)

Pia Mancar mi sento…

Nello (È compreso da un atroce sospetto: i suoiocchi si rivolgono a Ubaldo che in preda al ter-rore cerca d’involarsi.)Che facesti, sciagurato?

Ubaldo (Gettandogli innanzi ai piedi il di lui foglio.)Surse il dì, né rivocatofu quel cenno…

Nello (Con orrenda ansietà.)Ebben?…

Ubaldo (Esitante.)Le porsi…

Nello Parla, o crudo…

(Odesi un procedere di passi concitati, e vocidi spavento che gridano.)

I Guelfi!…

Nello Parla.

SALVATORE CAMMARANO394

Ubaldo Un veleno.(Nello alza un grido disperato.)

Scena ultima. Rodrigo seguito da una schiera diGuelfi, e detti.

Rodrigo In tempo corsia salvarti…

Nello A vendicarla.Io la uccisi.

Rodrigo Che!…

Nello Nel senoella chiude un rio veleno…

Rodrigo Ah!…(Scagliandosi per trucidar Nello.)

Nello Ferisci.

Pia (Raccogliendo le sue ultime forze, e cadendo a pie’ di Rodrigo.)

No… che fai?

Rodrigo Donna…

Pia Colpa in lui non è… sposa infida… gli sembrai…

un rival credeva… in te.

395Pia de’ Tolomei. Tragedia lirica

SALVATORE CAMMARANO

(Rodrigo resta immobile atteggiato d’estremodolore. Ella si volge ora allo sposo, ora al fra-tello nell’ambascia degli estremi aneliti.)Ah! di Pia… che muore… e geme

se pietà… vi… scende in petto… fine all’odio… un santo affettol’alme vostre… unisca… ognor…

E per me… versate insieme… qualche… lagrima… talor…

(Tutti piangono amaramente: la spada fuggedi mano a Rodrigo. Nello si precipita fra le suebraccia, ed una lagrima di gioia spunta negliocchi di Pia.)Or la morte… a cui… son presso…

non ha duol… non ha spavento… è un sorriso… di contento… è del giusto… la mercé…

Da quel caro… e santo amplessoincomincia… il… ciel… per… me…

Rodrigo Pia!…

Nello Consorte!… (Ella spira fra le loro braccia.)

Rodrigo, Nello Agli occhi mieifosco vel ricopre il dì!…

Coro Ella è spenta, ma per leiNon la tomba, il ciel s’aprì!

Fine.

396

CARLO MARENCO

LA PIA.TRAGEDIA

Torino, 1837

Fig. 6 — Riproduzione del frontespizio di Carlo Marenco, Tragedie, I, Tori-no 1837.

401

Presentazione

Negli stessi anni in cui a Napoli appaiono il dramma sto-rico del Bianco e la tragedia lirica del Cammarano, a Torinova in scena la tragedia in endecasillabi sciolti di Carlo Maren-co che in parte si attiene al poemetto del Sestini ed in parteintroduce alcune innovazioni strutturali. Queste innovazionisono evidenti soprattutto negli ampi dialoghi tra i personag-gi che, se da un lato sono suggeriti dal diverso genere lette-rario, dall’altro approfondiscono in maniera significativa ladimensione psicologica del dramma. Così, mentre segue ilSestini nel presentare Pia come vittima innocente di unacalunnia d’amore e nel farla morire di malaria in un solitariocastello maremmano, il Marenco se ne allontana invece nelmostrare che Rinaldo, il marito di Pia, fin dall’inizio diffidadi lei, tanto che, partendo per la guerra, ne affida la custodiaal proprio amico Ugo, il vendicativo amante respinto ed umi-liato, che un giorno egli aveva riscattato dalla prigionia e chenella tragedia morirà, non per i morsi di un lupo feroce,come invece avviene nel Sestini, ma per le ferite da lui ripor-tate in duello con il padre di Pia: un duello che rappresentauna novità assoluta, simile a quella per cui Pia e Rinaldohanno una figlia bambina. Anche nella datazione il Marencosegue il Sestini e pone la tragedia di Pia in connessione conla battaglia di Colle (8 giugno 1269); ma, a differenza delSestini, egli identifica Rinaldo con Provenzan Salvani, ilsignore ghibellino di Siena che proprio a Colle vennesconfitto, ucciso e decapitato dal guelfo Cavolino dei Tolo-mei.

Nota sull’autore. Dopo aver compiuto studi di giurispru-denza, Carlo Marenco da Ceva (1800–1846) si dedicò intera-mente alla letteratura, scrivendo diverse tragedie di argo-mento storico, la migliore delle quali è proprio La Pia. Tra-dotta in francese, spagnolo, tedesco, e rappresentata anche inAmerica, questa tragedia del Marenco fece conoscere anchefuori d’Italia il nome di Pia da Siena e fornì la trama di baseai molti film che dai primi anni del Novecento fino alla metàdel secolo ne riprendono la vicenda.

Nota sul testo. Il testo che qui pubblichiamo è tratto daCarlo Marenco, Tragedie, I, Torino, G. I. Reviglio e figliolibrai, 1837. Questa tragedia del Marenco è stata tradotta infrancese: Pia des Tolomei, tragédie en 5 actes, en vers, de Char-les Marenco, Paris, Michel Lévy frères, 1855; in tedesco: Pia,Trauerspiel in 5 Akten, von Carl Marenco, Paris, Morris, 1856;in spagnolo: Pia de Tolomeo, tragedia en 5 actos, de CarlosMarenco, traducida libremente al castellano, Paris, Thunot,1857. Questa tragedia costituisce anche il punto di riferi-mento principale per i film che nel corso del Novecento sonostati dedicati alla Pia (1908; 1910; 1921; 1941; 1958), sui qualivedi Mauro Civai, E detto si sarìa: « parlan costoro ». Multi-medialità novecentesche della Pia, in Pia de’ Tolomei. Una leg-genda romantica, Torino, Umberto Allemandi, 1998, p. 68–70.

403La Pia. Tragedia

Prefazione

La Pia de’ Tolommei, bellissima gentildonna sane-se, maritata in Nello della Pietra cittadino di Siena,e possente barone in Maremma, 1 nel fior dell’etàscomparve improvvisamente di mezzo ai viventi, e ilmodo, e la cagione della sua morte sono coperti didense tenebre storiche. In ciò concordano le tradi-zioni tutte, che l’ultim’ora le venisse affrettata peropera del marito vendicatore di una vera, o falsa-

1 Nota del Marenco: « Benvenuti Imolensis Comment. inDantis Comm. ad Cant. V. pag. 1162. » — Il testo a cui il Ma-renco rinvia è il Commento sulla Commedia di Dante di Ben-venuto Rambaldi da Imola, il quale, commentando i versi cheDante, Purgatorio, V, 130–136, dedica a Pia, scrive, in latino,un passo che qui traduciamo in italiano: « Ed affinché lascrittura presente sia più chiara, bisogna anzitutto sapereche questa anima fu una certa nobile signora senese dellastirpe dei Tolomei, la quale fu moglie di un certo nobile mili-te, il quale fu chiamato signor Nello dei Pannocchieschi diPietra, il quale era potente nella Maremma di Siena. Accad-de dunque che una volta, mentre avevano cenato, e questasignora se ne stava per proprio sollievo ad una finestra delpalazzo, un certo donzello, per ordine di Nello — non so acausa di quale sospetto —, prese questa signora per i piedi ela precipitò attraverso la finestra, sicché essa morì immedia-tamente. E da questa morte crudele nacque un grande odiotra il detto signor Nello ed i Tolomei parenti della stessasignora. »

CARLO MARENCO404

mente creduta, od anche perfidamente supposta in-fame colpa di lei: 2 in que’ tempi, in cui la forza indi-viduale quella delle leggi di gran lunga vincea, sif-fatta violenza d’un uomo potente, qualunque si fos-s’ella, rimase impunita. 3 I pochi versi di Dante, cheaccennano a questa catastrofe, pel loro laconismo 4

creder fanno, o che presso ai contemporanei stessifosse la medesima, rispetto ai motivi, un arcano, och’egli commiserando alla femminea debolezza,come già quella dell’ariminese, 5 così la morte della

2 Nota del Marenco: « Vedi l’illustrazione degli ultimi quattroversi del Canto quinto del Purgatorio nel commento del P. Bal-dassarre Lombardi, edizione di Padova 1822. » — Il testo a cuiqui il Marenco rinvia è La Divina Commedia di Dante Ali-ghieri col commento del p. Baldassarre Lombardi M. C. oranuovamente arricchito di molte illustrazioni edite ed inedite,Padova, Tipografia della Minerva, 1822.

3 Nota del Marenco: « Da nessuno scrittore rilevo, che l’omi-cidio di Nello sia stato punito. Tomasi (stor. di Siena lib. VII.)sta contento al dire che l’insolenza del medesimo diede materiadi gravi ragionamenti. » — Nella edizione a stampa di Giu-gurta Tommasi, Dell’historia di Siena, Venezia 1625, libro VII,per gli eventi del 1295, p. 138, si legge: « Diede anchora que-st’anno nuova materia di gravi ragionamenti l’insolenza diNello da Pietra, il quale avendo, senz’altra cagione averne,uccisa Pia Tolommei sua donna, s’era proposto di farsimoglie la contessa Margherita, la seconda volta rimastavedova; ma caduto di quella speranza e gettatosi alla dispe-razione, tentò di vituperarla. » — La contessa in questione èMargherita Aldobrandeschi di Soana (1254 – dopo il 1213).

4 pel loro laconismo: per la loro brevità.5 L’ariminese è Francesca da Rimini, protagonista, insieme

al cognato ed amante Paolo, della tragica storia d’amore nar-rata da Dante, Inferno, V, 73–142.

405La Pia. Tragedia

sanese donna volesse d’un pietoso e pudico velo a-dombrare. Né siavi pertanto chi di rilassata moraleaccusi il poeta: ché altro si è la malizia di chi tenta,infiorandole, scemar bruttezza alle colpe; altro lamodestia di chi, sapendo quant’arduo sia il sentierodella virtù, compatisce fraternamente a chi cade.

Dall’aver Dante collocata nel Purgatorio e non giànell’Inferno la Pia, sembra, considerando l’inflessibilgiustizia di quel severo, sembra dico, a prima giun-ta ch’egli del supposto peccato la riputasse innocen-te. Ma a chiunque rifletta, ch’essa trovasi accompa-gnata a quell’anime negligenti, che il pentimentodelle gravi lor colpe fino all’estremo della vita pro-crastinarono, 6 sarà forza convincersi che rea dalmedesimo fosse tenuta. 7 E veramente quando all’i-dea di donna si associa l’idea indeterminata dicolpa, a quella colpa tosto ricorre il pensiero, che nelsuo sesso è la più vergognosa, e nel giudizio di moltila più degna di compatimento. Poiché se il giglio,perduto il candore, ogni suo pregio ha perduto, chivorrà non compiangere alla sorte d’un fiore, cuinatura per tutto pregio diede un candor sì dilicato efugace?

Tornando ai citati versi dell’Alighieri, da ciò che laPia s’aggira nel Purgatorio co’ peccatori, che di vio-

6 Nota del Marenco: « “Noi fummo tutti già per forza morti, / epeccatori infino all’ultim’ora: / quivi lume del Ciel ne fece accorti/ sì, che, pentendo e perdonando, fuora / di vita uscimmo a Diopacificati, / che del disio di sé veder n’accuora”. Ivi. » — Questiversi sono tratti da Dante, Purgatorio, V, 52–57.

7 sarà forza… tenuta: bisognerà convincersi che essa fosseritenuta colpevole dal medesimo Dante.

CARLO MARENCO406

lenta morte perirono, convien, parmi, inferirne, 8 chetal sia stata la forma del suo supplizio, che spazioalla conversione le concedesse. Infatti, comunqueun istante basti nel cuor umano al concetto d’unespiatorio dolore, 9 pure l’infelice Francesca, checolta dal marito in atto disonesto, fu da quello consubito colpo tolta di vita, non esitò il poeta a porlafra gli eternamente dannati. 10 Non correva dunquevoce a’ tempi di Dante, né che un paggio per coman-do del suo signore mandasse capovolta giù dal bal-cone la Pia, 11 né che il geloso consorte, trattala seco

8 convien, parmi, inferirne: si deve, mi sembra, concluderne.9 al concetto … dolore: per concepire un dolore di espiazio-

ne.10 Dante, Inferno, V, 73–142.11 Nota del Marenco: « “Accidit ergo, quod dum semel coenas-

set (Nellus), et ista Domina (Pia) staret ad fenestram palatii insolatiis suis, quidam domicellus de mandato Nelli cepit istamDominam per pedes, et praecipitavit eam per fenestram, quaecontinuo mortua est.” Benven. Imol. loc. cit. — Il Postillatore delCodice Caetano con poco diverse parole dice lo stesso: “Ista fuit laPia nobilis Domina de Tholomeis de Senis, et uxor Domini Nellide Petra de Panoteschis in maritima, quae cum staret ad fene-stram per aestatem, maritus eius misit unum famulum, qui coe-pit eam per crura, et proiecit deorsum, propter suspectum, quemhabuit de ipsa, et ex hoc ortum est magnum odium inter illasdomos” . » — Questi due commenti, concordi nel sostenere ladefenestrazione di Pia, possono essere tradotti così: 1) « Accad-de dunque che una volta, mentre (Nello) aveva cenato e questasignora (Pia) per proprio sollievo se ne stava ad una finestra delpalazzo, un certo donzello, per ordine di Nello, prese questasignora per i piedi e la precipitò attraverso la finestra, sicchéessa morì immediatamente. » 2) « Questa fu la Pia, nobilesignora dei Tolomei di Siena e moglie del signor Nello della Pie-

407La Pia. Tragedia

in Maremma, la facesse quivi per mezzo de’ suoi ser-genti o col laccio, o col ferro perire: 12 ma il dir cheMaremma la disfece, sembrami un’evidente allusionea quella lenta e dolorosa fine, cui l’aria pestilenziale,e il dolore di vedersi abbandonata dovevano final-mente condurla. Né qui mi s’opponga il titolo di pec-

tra dei Pannocchieschi in Maremma, la quale mentre per l’e-state se ne stava alla finestra, il marito di lei — per un sospettoche ebbe su di essa — mandò un servo che la prese per legambe e la gettò di fuori, e da questo nacque grande odio traquelle case. »

12 Nota del Marenco: « “Alcune cronache per verità narranoche Nello usò il pugnale ad accelerarne la morte.” Così Foscoloillustrando i versi citati. Scrisse il Bandello su questo lagrime-vole caso una novella a suo modo, la quale finisce così: “Mes-ser Nello … deliberando incrudelir contra le donne (la Pia, e lasua damigella), e non osando far niente in Siena, ove il paren-tado della moglie era potente, messo ordine alle cose de la lite,si levò a l’improvviso con la famiglia di Siena, e giunto inMaremma, ove era Signore, poi che con forza di tormenti ebbela verità da la bocca de la damigella, quella fece strangolare, eda la moglie, che già presaga del suo male miseramente piange-va, disse: — Rea femina, non pianger di quello che volontaria-mente hai eletto: pianger dovevi a l’ora… Raccomandati a Dio(se punto de l’anima ti cale) che io vo’, come meriti, che tumuoia. — E lasciatala in mano de i suoi sergenti, ordinò che lasoffocassero, la quale dimandando mercé al marito, ed a Diodivotamente perdono de i suoi peccati, fu da quelli senza pietàalcuna subito strangolata.” Ma le novelle di Bandello nonfanno testo di storia. » — Per la citazione foscoliana, vedi UgoFoscolo, Studi su Dante. Parte prima: Articoli dalla EdinburghReview — Discorso sul testo della Commedia, in EdizioneNazionale delle Opere di Ugo Foscolo, vol. IX, Firenze, LeMonnier, 1979. — Per la citazione del Bandello, vedi la novel-la da noi ripubblicata in questo volume.

CARLO MARENCO408

catori infino all’ultim’ora, onde gli spiriti, fra’ qualicostei s’annovera, vengono qualificati: ché il poetanon s’attien nelle frasi a matematica esattezza, edultima ora della sua vita poteva enfaticamente dirsil’intero corso del morbo, che la consumò lentamen-te, e fu come una lunga agonia di quell’infelice.Nella qual opinione mi conferma vie più quella del-l’eruditissimo Foscolo, 13 col quale vorrei poter esserd’accordo anche in ciò, che l’innocenza della Sanesedai riferiti versi risulti. Ma quantunque negar non sipossa, che dalla condizion degli spiriti, cui Dantel’associa, ell’appaia nel suo concetto rea d’un qual-che grave peccato, non poteva egli forse dalle volga-ri credenze, come altre volte fu, anche questa essertratto in inganno? Ad ogni modo il segreto sovra talmorte diffuso; il discordar de’ cronisti nel narrare lecircostanze di quella; la tristezza e perpetuo silenzio,

13 Nota del Marenco: « “Difficile riesce al presente il decidere,se affatto innocente fosse la donna; ma Dante la rappresentaper tale (donde ciò appaia io nol veggo). Il marito la condussenella Maremma, che ora, come allora, è distretto insalubre emortifero. Egli mai non disse alla sventurata moglie le ragionidel suo esilio in paese così pericoloso ed infesto. Egli mai nondegnossi di proferire lagnanza alcuna od accusa; ma visseinsieme con lei in freddo silenzio, senza rispondere alle interro-gazioni della donna, senz’ascoltare i richiami. Con tuttapazienza egli aspettò sinché l’aria pestilenziale ebbe distrutta lasalute di questa giovine dama. In pochi mesi ella morì. Alcunecronache per verità narrano che Nello usò il pugnale ad accele-rarne la morte. È certo ch’egli sopravvisse a lei, ma avvolto intristezza ed in perpetuo silenzio.” Foscolo. » — Per questa cita-zione, vedi Edizione Nazionale delle Opere di Ugo Foscolo, vol.IX, Firenze, Le Monnier, 1979.

409La Pia. Tragedia

in che, al dir di Foscolo, visse poi sempre il marito;l’autorità per ultimo di alcuni storici, che innocentela Pia, e calunniatore della medesima lo stesso con-sorte asseriscono; 14 queste tutte cose insieme prese,se la mia eroina non assolvono pienamente, spargo-no almeno sulla reità di lei non lieve dubbio: e neldubbio il sentenziar benignamente è cosa non lecitasoltanto, ma doverosa: né io stimo il poeta così esen-te dai doveri di storico e d’uomo, che siano in luiinnocenti fantasie i giudizii temerarii e mal coscien-ziosi.

Così a un dipresso parmi la pensasse il Sestini, lacui bella ed affettuosa leggenda nell’orditura del pre-sente dramma ho seguita in parte, e in gran partepur non ho seguita, come a chiunque l’un poemacoll’altro vorrà confrontare, si farà manifesto. E sic-come il prelodato Autore assevera 15 nella prefazione,d’aver su quanto nelle Maremme ha raccolto da vec-chie tradizioni e da altri documenti degni di fede, tes-suta la sua poetica novella, non sarò, mi lusingo,biasimato per questo, che nel disporre la mia dram-matica tela io non credetti dovermi dilungar troppodalla narrazione di tale, che su documenti degni di

14 Nota del Marenco: « “Diede ancora quest’anno nuovamateria di gravi ragionamenti l’insolenza di Nello da Pietra, ilquale avendo, senz’altra ragione, uccisa Pia Tolommei suadonna, s’era proposto di farsi moglie la Contessa Margherita, laseconda volta rimasta vedova; ma caduto da sì alta speranza, egittatosi alla disperazione, tentò di vituperarla.” Tomasi St. diSiena lib. 7. fog. 138. » — Per questa citazione, vedi G. Tom-masi, Dell’historia di Siena, Venezia 1625, VII, 1295, p. 138.

15 assevera: afferma.

CARLO MARENCO410

fede, o storici o tradizionali che siano, dichiara diaverla fondata: parendomi anzi esercizio non inde-gno di poeta, su non vergine tema, e sovra già notesituazioni, ispirarsi a novità di pensieri.

Io prego bensì l’indulgente lettore, che mi perdonialcune storiche violazioni, delle quali, siccome inno-centi mi parvero, e molto m’attagliavano inoltre, 16

così non mi feci grande scrupolo: e son le seguenti.1) L’aver il nome di Nello, del marito cioè della Pia,che facilmente coll’articolo del medesimo suono siconfonde, l’averlo, dico, mutato in quel di Rinaldo.2) L’avere a Rinaldo medesimo data a prestanza laqualità di Signore e Governatore di Siena; della qualdignità era invece in que’ tempi insignito Provenza-no Salvani, quello che Dante cita ad esempio dellavanagloria delle umane posse; quello del cui nomeToscana un tempo risuonò tutta, poi appena nellasua patria sen bisbigliava; quello che capitanò iSanesi a Montaperti contro i Fiorentini e la Legaguelfa toscana, e fu vincitore; li capitanò poscia 17

contro gli stessi avversarii presso a Colle di Valdelsa,e fu vinto, e il suo capo reciso, inalberato sur unalancia, fu portato, quasi trofeo di vittoria, per tuttoil campo nemico. 18 3) L’aver per ultimo al mio stes-

16 e molto m’attagliavano: e mi giovavano molto.17 poscia: poi.18 Nota del Marenco: « Dant. Purg. C. XI. — “Iste fuit quidam

nomine Provincianus Silvanus, Dominus nobilis civitatisSenarum, qui cum gente Regis Manfredi dedit illum terribilemconflictum Florentinis ad Montem Apertum… Hic Provincia-nus in 1269 cum Comite Guidone Novello, et cum gente Man-fredi venit ad obsidionem ad quoddam castrum, quod dicitur

411La Pia. Tragedia

so Rinaldo, per vie più immedesimarlo collo storico

Colle in comitatu Florentiae, et habuit 1400 equites, et octo mil-lia peditum. Tunc Florentiae erat quidam Vicarius Caroli Vete-ris, nomine Zannes Bertaldus, qui cum sua gente Gallica, etFlorentinis ivit contra praedictos. Senenses timentes sibi volue-runt recedere: sed in recessu fuerunt invasi ab hostibus, et faci-liter debellati. Provincianus captus decapitatus fuit, et incampo, per dictum Zannem Bertaldum. Cuius caput abscis-sum affixum fuit hastae longae, et circum portatum per cam-pum.” Benven. Imol. p. 1187. Chi desiderasse conoscer megliole circostanze della battaglia di Colle, veggale descritte da Gio.Villani, lib. VII. Cap. 31. » — Per la battaglia di Montaperti (4settembre 1260), vedi Dante, Inferno, X, 85–86; per la batta-glia di Colle di Val d’Elsa (8 giugno 1269), vedi Dante, Purga-torio, XIII, 115–119; per la figura di Provenzan Salvani, vediDante, Purgatorio, XI, 121–142. — Proprio a questi versi dan-teschi si riferisce il passo latino del Commento di Benvenutoda Imola citato dal Marenco, che possiamo tradurre così:« Costui fu un tale di nome Provenzano Salvani, nobile signo-re della città di Siena, il quale con la gente del re Manfredidiede ai fiorentini quel terribile conflitto a Montaperti … Que-sto Provenzano nel 1269, con il conte Guido Novello e congente di Manfredi, venne a porre l’assedio ad un certo castel-lo, che è detto Colle, nel contado di Firenze, ed ebbe mille equattrocento cavalieri ed ottomila fanti. Allora in Firenzec’era un certo vicario di Carlo il Vecchio, di nome Gian Ber-taldo, il quale andò contro i predetti con la sua gente france-se e con i fiorentini. I senesi, timorosi, vollero ritirarsi, manella ritirata furono assaliti dai nemici e facilmente sconfitti.Provenzano, preso, venne decapitato sul campo dal dettoGian Bertaldo; ed il suo capo tagliato venne infisso su unalunga lancia e portato in giro per il campo. » — Per la batta-glia di Colle, vedi Giovanni Villani, Nuova Cronica, VIII, 31. —Il Carlo che il testo dice Vecchio, per distinguerlo dal suo figlioe successore, è Carlo I d’Angiò, che fu re di Sicilia dal 1266 al1285 ed a cui successe il figlio Carlo II lo Zoppo (1285–1309).

CARLO MARENCO412

eroe suddetto, attribuito quel raro esempio di gene-rosa amicizia, che Dante accenna di Provenzano: 19 e

19 Nota del Marenco: « Così nell’undecimo del Purgatorio parladi Provenzano Salvani l’anima d’Oderisi d’Agobbio: “Quegli è,rispose, Provenzan Salvani, / Ed è qui, perché fu presuntuoso / Arecar Siena tutta alle sue mani. / … / Quando vivea più glorioso,disse, / Liberamente nel campo di Siena, / Ogni vergogna deposta,s’affisse; / E lì, per trar l’amico suo di pena / Che sostenea nellaprigion di Carlo, / Si condusse a tremar per ogni vena.” DantePurg. Canto XI. Il qual passo così commenta Benvenuto daImola (pag. 1188): “Quum quidam amicus Provinciani, captusin conflictu Conradini, detineretur in carcere Caroli victoris,adiuticatus morti, nisi intra certum breve tempus solvisset decemmillia aureorum, ipse Provincianus exposuit se ad mendicandumsuffragia pro redemptione amici. Nam posito banco cum tapetoin platea civitatis (campo chiamavasi la piazza di Siena), coepithumiliter rogare unumquemque ut conferret redentioni istius. Etsic in brevi collecta pecunia necessaria, liberavit amicum.” L’A-nonimo spiegando il verso “Si condusse a tremar per ogni vena”,dice: “E il tremare intendo che inducesse la vergogna del chiedere.Altri dice che il tremare nacque in lui dallo stare in abito allora dapoter esser morto lievemente da’ nemici suoi, de’ quali in Sienaavea copiosamente”. » — I versi citati dal Marenco, in cui Ode-risi da Gubbio parla di Provenzan Salvani, sono in Dante, Pur-gatorio, XI, 121–142. — Il passo latino del Commento di Benve-nuto citato dal Marenco, può essere tradotto così: « Poiché uncerto amico di Provenzano, catturato nella battaglia di Corra-dino, era detenuto nel carcere di Carlo vincitore, condannato amorte, se entro un certo breve tempo non avesse pagato dieci-mila monete d’oro, Provenzano stesso si espose a mendicareaiuti per il riscatto dell’amico. Posto infatti un banco con untappeto nella piazza della città, cominciò umilmente a pregarechiunque affinché contribuisse al riscatto di costui. E così, rac-colto in breve tempo il denaro necessario, liberò l’amico. » —Quella che Benvenuto da Imola chiama battaglia di Corradino èla battaglia di Tagliacozzo (23 agosto 1268), in cui Carlo d’An-

413La Pia. Tragedia

si è questo, che fatto prigioniero un suo amico nellabattaglia di Tagliacozzo, e da Carlo d’Angiò, cheincarcerato il tenea, dannato a morire se non paga-va la somma di dieci mila fiorini; Provenzano, le cuiricchezze a cotanto sborso non erano sufficienti,solo ed inerme piantossi nel foro di Siena: quivi,steso per terra un tappeto, nulla curando il pericolocui egli invidiato signore, fra tanti nemici ed emoli 20

la propria vita esponea, in sembianza di mendicodimandò ai cittadini l’elemosina pel riscatto del suoamico prigione. Il qual atto, che mentre lo scrivo,fammi, come suole in me il pensiero d’ogni attomagnanimo, correr per le chiome un piacevol brivi-do di commozione, fece conoscere al mondo e quan-to possa in nobile petto l’amicizia, e come quel gran-de non fosse dalla suprema possanza così corrotto,che non potessero ancor molto in suo cuore gli affet-ti privati; e come sia imponente anche fra gl’invidio-si e nemici lo spettacolo di una coraggiosa virtù.

Delle quali licenze le due ultime opportune misembrarono a crescer dignità al protagonista, ed im-portanza all’intero dramma, e a far sì che colla ma-gniloquenza del dialogo non contrastasse la pocaaltezza dei personaggi. E siccome nell’arti belle nonpoco suol darsi all’autorità degli esempi, valga a mia

giò sconfisse Corradino di Svevia (1252–1268), sceso dalla Ger-mania per recuperare, con l’aiuto dei comuni italiani ghibellini,quel regno di Sicilia su cui avevano regnato i suoi avi: cattura-to pochi giorni dopo la battaglia di Tagliacozzo, il sedicenneCorradino fu fatto decapitare a Napoli sulla pubblica piazza.

20 emoli: rivali.

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difesa l’esempio di un sommo tragico italiano viven-te, il mio caro e venerato Niccolini, il quale nell’An-tonio Foscarini, lodatissima tragedia, 21 non dubitòfingere contro la storia, che il padre di Antonio fosseDoge della Repubblica veneta: perocché non isfuggi-va a quel maestro dell’arte quanto, più che d’un sem-plice cavalier veneziano, sarebbero eroiche e dram-matiche le sventure di un figlio di Doge. Questaragione per analogia appropriata al mio caso, tantopiù deve giovarmi, quanto gli annali di Siena sono dique’ di Venezia men conosciuti e famosi.

Nell’altre allusioni ai tempi mi attenni il meglio chepotei fedelmente alla storia. Instabile, come in tutte lecittà libere d’Italia dalle fazioni divise, fu in Siena lacostituzione politica. Qual si fosse precisamente altempo di cui si tratta, dalle storie o cronache da meconsultate non consta. 22 Sembra per altro che unPodestà, un Signore o Governatore con limitata pos-sanza in pace, e senza limiti in guerra, i Consoli, nomecaro alle cittadinanze italiane, ed alcune assembleepopolari, tenessero in allora lo stato di quella terra, dicui più tardi gli ordini dei Nove, dei Riformatori, e delPopolo si divisero alternamente il turbolento gover-no. 23 Il Carroccio, ritrovato italico dei mezzi tempi, 24

21 G.B. Niccolini, Antonio Foscarini, Firenze, Piatti, 1827.22 non consta: non risulta.23 Nota del Marenco: « Vedi la Cronica sanese di Andrea Dei

sino all’anno 1280 inclusivamente. » — Per questa citazione,vedi A. Dei, Cronica, ed. Muratori, dalla colonna 11, relativaall’anno 1186, fino alla colonna 37, relativa all’anno 1280.

24 ritrovato italico dei mezzi tempi: invenzione italica delmedioevo.

415La Pia. Tragedia

guidava alla guerra il sanese esercito. 25 San Giorgionon indarno invocato nella battaglia di Montaperti,vedevasi effigiato sul principale stendardo, qual suolecomunemente dipingersi, in atto da liberare da imma-ne drago una vergine. 26 Gli armeggiamenti, e le gio-stre, il giuoco delle pugna, e quello assai pericolosodell’Elmora, nel quale i due terzieri della città, nonsenza spargimento di sangue e morte di cittadini, tra

25 Nota del Marenco: « Cron. San. di Andrea Dei all’anno1264. » — Per questa citazione, vedi A. Dei, Cronica, ed. Mu-ratori, colonna 34.

26 Nota del Marenco: « I Sanesi attribuirono la vittoria diMontaperti all’intercessione di San Giorgio, il nome del qualeforse era il loro grido di guerra (Vedi gli Statuti di Siena nellaCronica di Andrea Dei pag. 31. e 32. nelle note). A eternaricordanza di questo trionfo, e della protezione del Santo, iCavalieri di Siena di ritorno dalla battaglia fecero edificare unaChiesa in suo onore, ed ordinarono che ogni anno nel giorno alui dedicato si facesse una solenne festa così descritta da NicolòVentura: “In prima una selva, di poi uno uomo armato informa di San Giorgio combatta col dragone, e la donzella istiain orazione: questa si faccia a similitudine di San Giorgio, chenella città di Silenza liberò il Re, e la figliuola con tutto il popo-lo; e così a similitudine e’ Sanesi, perché furono diliberati datanta fortuna, ordinaro, che ogni anno si combattesse dinanzialla Chiesa di S. Giorgio uno Drago contrafatto, e una donzel-la stesse in orazioni, e questo combattesse con un uomo arma-to in modo di fera, e fusse ogn’anno a perpetua memoria.”(Cron. Citata pag. 32. nelle note). » — Per queste citazioni,vedi A. Dei, Cronica, ed. Muratori, anno 1260, nota 26, colon-ne 29–34. — In coda a questa nota, il Marenco riporta unaLegende de S. George, che egli trova nella Revue Germanique,anno 1836, distribuzione di dicembre, e che noi omettiamo.

CARLO MARENCO416

di loro con pertiche e a furia di sassi combatteano,erano a’ Sanesi d’allora non ingrato spettacolo. 27

Insalubre non men che in oggi era a que’ dì laMaremma, e tomba sovente de’ suoi forestieri culto-ri. 28 Il virtuoso coraggio di questi rustici, che paga-no non di rado a troppo caro prezzo lo scarso pane,che procacciano ai figli, il loro amore per la poesia,che sgorga spontanea da quelle labbra inerudite, soncose note abbastanza. 29

Nel 1264 i Tolommei, ch’eran guelfi, essendosicontro la dominante fazion ghibellina levati a rumo-re, vinti da questa, sgombraron la terra, e il lor pa-lazzo dal furibondo popolo venne distrutto. Nel1270 gli espulsi guelfi, tra i quali senza dubbio iTolommei, dopo la battaglia di Colle rimessi in città,

27 Nota del Marenco: « Cron. San. di Andrea Dei nelle noteN° 11 e 36. » — Per questa citazione, vedi A. Dei, Cronica, ed.Muratori, anno 1291, nota 36, colonna 41.

28 forestieri cultori: braccianti stagionali.29 Nota del Marenco: « “I campagnoli che abitano l’Appenni-

no toscano, e massimamente quelli della provincia pistoiesesogliono andare per vari mesi dell’anno a coltivare la Marem-ma; il frutto delle loro fatiche e privazioni serve di sostegno aquella parte che rimane al paese nativo; ivi ritornano nell’esta-te, meno alcuni che di frequente muoiono per l’aria malsana,ove gli trasse il generoso desiderio di sollevare gl’indigenti con-giunti. Questa generazione d’uomini è piena di virtù, e pochisono quelli che non cantino con grazia le loro leggende, e i cantidel Tasso: molti di essi anche improvvisano in versi”. Sestininelle note al Canto I. della Pia. » — Per questa citazione, vediB. Sestini, La Pia, I, 6, nota, ripubblicata in questo volume.

417La Pia. Tragedia

fecero per allora coi Ghibellini, ma non con sinceroanimo, pace. 30

Dimostrare con drammatica evidenza quanto lavirtù sia bella per sé stessa ed augusta; e quanto ilvirtuoso, caduto all’imo 31 della miseria e dell’abbie-zione, sia pur sempre invidiabile a paragon del vizio-so esaltato; collocar la virtù in cuor di donna: accop-piare cioè colla maggiore delle bellezze fisiche lamaggiore delle morali bellezze, e rendere in tal guisaquest’ultima altrettanto amabile quanto veneranda:pagar infine un giusto tributo d’onore a quel sesso,cui sol per lo più vilipende chi già un troppo inte-ressato ed ignobil culto gli rese, ecco lo scopo dellapresente tragedia.

All’autore meditante il carattere della Pia, duegrandi tipi stavan dinanzi: due famose donne cioè,da due famose storie celebrate, la romana Lucrezia,e l’ebrea moglie di Gioachimo. Vissuta la prima sot-

30 Nota del Marenco: « “In questo anno (1265) si levaro inSiena e’ Guelfi contra li Vintiquattro, e contra al popolo, e iTolommei cominciarono la battaglia a la Piazza a San Cristo-fano; e il popolo l’andò addosso, e sconfisserli, e arsero il palaz-zo de’ Tolommei.” Cron. di Andr. pag. 34. “In questo anno(1270) tornaro e’ Guelfi di Siena, rifecero Montelcino, e venne-ro a Lucigniano di Vald’Arbia, e poi posero oste a Munisteropresso a Siena un miglio; e fu loro Capitano il Conte di Monfor-te; e poi tornaro a Lucignano, e fecesi la pace co’ Guelfi, e tor-naro in Siena li usciti Guelfi per la festa di Santa Maria d’ago-sto.” Ivi pag. 36. A questa pace, comunque di breve durata,accennano i nove primi versi della Scena terza, Atto quartodella Tragedia. » — Per queste citazioni, vedi A. Dei, Cronica,ed. Muratori, colonna 34 e 36.

31 all’imo: nell’abisso.

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to l’influenza d’una morale, che il pregio della virtùpiù quasi nel nome che nella virtù stessa ponea, ed’una religione non atta per nulla ad incoraggiarl’uomo al più magnanimo de’ sacrifizii, l’ignoto;posta nel bivio di perdere o la castità, o la fama diquella, volle anzi pudica non essere che impudicaparere. Virtuosa nondimeno in ciò, che alla virtùconosciuta a’ suoi tempi non mancò punto; edabbandonando alla contaminazione le membra,serbò profondo nell’animo il sentimento dell’offesopudore; e vergognando per ultimo del maculato suocorpo, vi aperse col ferro tal varco, per cui l’animoinviolato ne uscisse. Così il nome di casta, che collavita s’avea meritato, meritossel pur colla morte: néun atto solo, cui, quasi a durissima necessità, repu-gnando si sottopose, cancellò in essa il lungo abitodella virtù. 32

32 Nota del Marenco: « “Vestigia viri alieni, Collatine, in lectosunt tuo. Ceterum corpus est tantum violatum: animusinsons: mors testis erit … Consolantur aegram animi, aver-tendo noxam ab coacta in auctorem delicti: mentem peccare,non corpus: et unde consilium abfuerit, culpam abesse. Vos,inquit, videritis quid illi debeatur: ego me, etsi peccato absolvo,supplicio non libero: nec ulla impudica Lucretiae exemplovivet”. Tit. Liv. Hist. lib. I. cap 58. » — Il testo latino citato,tratto da Tito Livio, Historiae ab Urbe condita, I, 58, può esse-re tradotto così: « Le tracce di un uomo estraneo, o Collatino,sono nel tuo letto. Tuttavia soltanto il corpo è violato: l’animaè innocente: la morte ne sarà testimone … Confortano l’afflit-ta di cuore, allontanando la colpa da chi è stata costretta sul-l’autore del delitto, dicendo che pecca la mente non il corpo, eche dove mancò l’intenzione manca la colpa. Vedrete voi,disse, quel che sia dovuto a lui; io, anche se mi assolvo dal

419La Pia. Tragedia

Posta nel medesimo bivio l’ebrea Susanna, inor-ridì sulle prime al pensiero, che il suo nome inteme-rato soggiacer dovesse ad una prepotente calunnia.Ma l’idea d’un Testimone invisibile, e del suo giornopalesatore, rincorarono la desolata; e ai due perver-si vecchioni gridò francamente, esser assai minormale affrontare innocente una rabbia caduca, checolpevole uno sdegno immortale.33 E s’anco il gemi-to di quella vittima rimasto fosse inesaudito, s’ancoIddio a farne trionfar l’innocenza non avesse susci-tato la spirito del giovane Daniello, io terrei di granlunga più felice Susanna che non i suoi comunquefortunati oppressori.

Questi due modelli sublimi tentai di fondere, percosì dire, in un solo, e formarne quello della miaeroina, la quale, se l’opera rispondesse al pensiero,unito all’altero e sdegnoso sentimento del propriodecoro, e alla maschia fierezza della Romana, avreb-be della giovine ebrea l’amor della virtù per sé stes-sa, e la fede in una giustizia futura.

peccato, non mi libero dalla pena, affinché nessuna vivaimpudica per l’esempio di Lucrezia. »

33 Nota del Marenco: « Daniel. cap. XIII. » — Per questacitazione, vedi la Bibbia, Daniele, XIII, 1–64.

421La Pia. Tragedia

Personaggi

Pia de’ Tolommei, moglie di

Rinaldo della Pietra, Capitano di Siena.

Tolommei, padre della Pia.

Ugo.

Un castellano.

Un guerriero.

Una contadina.

Una fanciulla di sette anni.

Sei castellani.

La Scena è in Siena, e nella Maremma Sanese.

423La Pia. Tragedia

Giornata prima

Casa di Rinaldo in Siena. Rinaldo, Ugo, i sette castellani.

Rinaldo Voi, quanti siete alle castella miedi Maremma preposti, oggi adunatinon senz’alta cagion tutti qui v’ebbi.Già di Fiorenza ai danni, ecco, ridestaSiena le mal sopite ire: già schiudeil guerriero suo tempio, e per novellitrofei bello e terribile fuor n’esceil sacro carro guidator dell’oste:già di Colle alle mura alta rovinaminacciando s’avvia. Voi, mentre in campoi’ m’affretto a guidar feroce in armiquesto popol, ch’io reggo entro le muracon pacifici studi, udite! Ovunquela mia privata Signoria s’estende,a questo fido(Additando Ugo.)

in fra’ più fidi mieiobbedienza e onor da voi si presticome a un altro me stesso. I contrassegnidelle mie rocche ei da me tien. Né d’armiterror, né di minacce, e non aspettopur di squallida fame a scuoter bastila fede vostra sì, ch’uom non difesoda tai simboli in esse unqua penètri,se non per porte dall’ariete aperte,e a gran prezzo di sangue. 1

1 Rinaldo: Voi, quanti siete preposti ai miei castelli di Ma-

CARLO MARENCO424

Primo castellano Il sangue miocadrà, Signor, sui custoditi merlifino alla goccia estrema, anzi ch’io manchial mio dover. Sulla mia spada il giuro. 2

Gli altri sei castellani

(Ponendo ciascuno la destra sull’elsa dellaspada.)Il giuriam tutti! 3

Rinaldo A questa guerra Iddiopropizio arrida, e a’ campion nostri in petto

remma, non senza una grave ragione oggi vi ho radunati tuttiqui. Ecco Siena già risveglia ai danni di Firenze le mal sopiteire: già apre il suo tempio di guerra, e bello e terribile, per nuovitrofei, ne esce fuori il sacro carro che guida l’esercito: già si diri-ge verso le mura di Colle, minacciando grande rovina. Voi,mentre io mi affretto a guidare in campo questo popolo ferocein armi, ma che dentro le mura io governo con occupazionipacifiche, udite! Ovunque si estende il mio potere privato, sipresti da voi obbedienza ed onore come ad un altro me stesso aquesto fedele tra i miei più fedeli. Egli riceve da me i simbolidelle mie fortezze. Né terrore di armi né di minacce, e neppurela vista della squallida fame basti a scuotere la vostra fedeltà,sicché uomo non difeso da quei simboli non penetri mai inesse, se non attraverso porte aperte dall’ariete, ed a prezzo dimolto sangue.

— Il sacro carro è il carroccio, simbolo della libertà comunale. — L’a-riete era una trave, con una testa di ferro, usata per colpire e sfondareporte e muraglie.

2 Primo castellano: Prima che io manchi al mio dovere,signore, il mio sangue cadrà fino all’ultima goccia nella difesadelle mura. Lo giuro sulla mia spada.

3 Gli altri sei castellani: Lo giuriamo tutti!

425La Pia. Tragedia

spiri come quel dì, che in Montapertisotto i pie’ nostri umilïò di Florala superba cervice, e nel lor sanguecancellò il patto delle tosche villecontro noi collegate. E quel celeste,il cui gran nome è a noi tromba di guerra,de’ mostri il domator, la cui virtudeall’innocenza e a la beltà fu scampo,per noi combatta coll’invitta lancial’equestre Divo. Ei delle sue bandierel’onor tuteli; e qual risplende in esseeffigïato, tal per noi si mostri,eroe tremendo e pio, che dalla polvesolleva i miti, e i vïolenti atterra. 4

4 Rinaldo: Iddio arrida propizio a questa guerra e spiri nelpetto dei nostri campioni come quel giorno che in Montapertiumiliò il collo superbo di Firenze sotto i nostri piedi, e cancellònel loro sangue il patto delle città toscane alleate contro di noi.E quel celeste, il cui grande nome è per noi tromba di guerra, ilvincitore dei mostri, la cui virtù fu scampo all’innocenza ed allabellezza, il divino cavaliere combatta per noi con la sua invin-cibile lancia. Egli protegga l’onore delle sue bandiere; e si mostriper noi come risplende raffigurato in esse, eroe tremendo e pio,che solleva dalla polvere i miti ed atterra i violenti.

— La battaglia di Montaperti, dove i ghibellini senesi sconfissero dura-mente i guelfi fiorentini, ebbe luogo il 4 settembre 1260. — Il divino cava-liere è San Giorgio, alla cui protezione i senesi ghibellini attribuirono lavittoria di Montaperti, costruendo in suo onore una chiesa.

CARLO MARENCO426

Scena seconda. Rinaldo, Ugo.

Ugo Di Montaperti al glorïoso nomequel di Colle, Signor, ne’ patrii fastiaggiungerassi a far più grande e belladel tuo valor la fama. 5

Rinaldo A me ragionaassai diverso il cor. 6

Ugo Che ascolto! 7

Rinaldo Io temola gran giustizia dell’alterne sorti.Parmi che Iddio nella fatal staderadi Montaperti e Colle equilibrandostia la fortuna, e rie sconfitte, e stragi,terribili del loco illustratrici,con altre stragi e avversità bilanci. 8

Ugo Pugna ragion dal lato nostro, mentredell’inimica in sui vessilli siede

5 Ugo: Nelle glorie patrie, signore, al glorioso nome di Mon-taperti si aggiungerà anche quello di Colle, per fare più grandee bella la fama del tuo valore.

6 Rinaldo: A me il cuore parla in modo molto diverso.7 Ugo: Che sento!8 Rinaldo: Io temo la grande giustizia delle sorti alterne. Mi

pare che Iddio stia equilibrando sulla bilancia del destino lafortuna di Montaperti e di Colle, e bilanci colpevoli sconfitte eterribili stragi che hanno reso illustre il luogo, con altre stragied avversità.

427La Pia. Tragedia

auspice il torto, e i suoi guerrier discorail malaugurio d’una causa iniqua.Dio nel ciel poserassi indifferentealle mortali cose, anzi che surgapropugnator d’ingiusta guerra. 9

Rinaldo Ingiustad’ambe le parti, poich’ell’è fraterna.Allor ch’io miro là schierati a frontedue per vesti, per armi, e per favellenon dissimili eserciti: « Ove sonoi segni qui d’inimicizia? » — io grido.« Gli eversor delle nostre are temutison questi forse, i barbari alle patrieleggi, e ad ogni civil culto funesti?E non potrian questi due campi avversiun sol campo formar, mescere in pacei lor vessilli, ed io che nell’un d’essil’ire comando scellerate e stolte,esser d’entrambi il duce, e di qui lungecon auspici miglior moverli a guerre,ove il vincer sia lode, e non vergogna? » 10

9 Ugo: La ragione combatte dalla nostra parte, mentre sullebandiere della parte nemica siede auspice il torto, ed il malau-gurio di una causa iniqua scoraggia i suoi guerrieri. Prima chesi alzi a sostenere una guerra ingiusta, Dio siederà in cieloindifferente alle cose umane.

10 Rinaldo: Ingiusta da entrambe le parti, perché è tra fra-telli. Quando guardo là schierati di fronte due eserciti nondiversi per vestiti, per armi e per lingue, io grido: «Dove sonoqui i segni di inimicizia? Sono forse questi i temuti demoli-tori dei nostri altari, barbari per le leggi patrie, e funesti per

CARLO MARENCO428

Ugo Signor!… 11

Rinaldo Di ciò non più. — Dimmi: di[Carlo

d’Angiò rammenti la prigion? La scuresul tuo collo pendea, ché immensa tagliaal tuo riscatto avea posta il tiranno,tal che vincea d’assai qual è più pingueprivata sorte. Al maggior Foro in mezzo,solo, in squallide vesti, inerme e nudodi satelliti il fianco allor di Sienail Dittator piantossi. Un negro pannosul suol distese, e di mendico a guisacon supplichevol voce i cittadiniinvitava a gittar ciascun pietoso,onde fornir del tuo riscatto il prezzo,su quello una moneta. I circostantiquella vista commosse: e ratto piovvesovra ’l funebre drappo un cumul d’oro… 12

ogni cultura civile? E questi due campi avversari nonpotrebbero formare un solo campo, mescolare in pace le lorobandiere, ed io, che in uno di essi comando le ire scelleratee stolte, essere il capo di entrambi e guidarli con miglioriauspici in guerre lontano da qui, dove il vincere sia lode enon vergogna? »

11 Ugo: Signore!… 12 Rinaldo: Non più di questo. — Dimmi: ricordi la prigione

di Carlo? La scure pendeva sul tuo collo, perché per il tuoriscatto il tiranno aveva posto una taglia immensa, tale chesuperava di molto ogni più ricca fortuna privata. Allora ilsignore di Siena, solo, vestito poveramente, senza guardieaccanto, si pose in mezzo alla piazza più grande. Stese per terraun panno nero e come un mendicante invitava con voce sup-

429La Pia. Tragedia

Ugo Ed io redento fui. 13

Rinaldo De’ miei nemici(il supremo poter molti ne crea)gremita era la piazza: ond’io mi stettiquella lunga ora della mia vita in forse.Pur non tremai, tanta pietà mi vinse. 14

Ugo (Con aperto risentimento.)Duolmi quandunque ricordar mi sento,non ancor rimertato, il beneficio.Le vie d’esserti grato alfin m’insegna. 15

Rinaldo Fin ch’io starommi in campo, e tu, se altrovepubbliche cure non ti chiaman, vegliasulle mie case; e del lontano amico

plichevole i cittadini a gettare, ciascuno pietoso, una monetasu quello, per raccogliere il prezzo del tuo riscatto. Quella vistacommosse i presenti ed un cumulo d’oro piovve rapido sul queldrappo funereo.

— Il Carlo qui citato è Carlo I d’Angiò, chiamato in Italia, contro Man-fredi di Svevia, da papa Clemente IV (1265). — Per questo episodio di sto-ria senese, vedi Dante, Purgatorio, XI, 121–142.

13 Ugo: Ed io fui riscattato.14 Rinaldo: La piazza era gremita dei miei nemici — il potere

supremo ne genera molti — sicché io stetti quella lunga ora inpericolo di vita. Tuttavia non tremai, tanto grande fu la pietàche mi vinse.

15 Ugo: Mi fa male ogni volta che mi sento ricordare ilbeneficio non ancora ricambiato. Insegnami finalmente il mo-do di esserti grato.

CARLO MARENCO430

l’onore almen, mentr’ei la vita arrischia,l’onor tutela. 16

Ugo (Attonito.)Io?

(Rimettendosi.)Che? Di casta donna

avventuroso possessor non sei?Quell’angiol di virtude ahi! troppo offendel’ombra sol del sospetto. 17

Rinaldo È ver,[l’oltraggio.

Pur mi s’è fitto in l’anima sì addentroquesto gelido verme, che a snidarlofinor fur vani e il suo costante affetto,e il lungo studio delle sue virtudi.Ah! pria che casta all’uom d’amor la facesplenda, tal far nel giovenile erroresuol del fragile sesso esperienza,che dagli strali del sospetto ei posciapiù riparo non ha; né trionfato

16 Rinaldo: Finché io me ne starò in campo, se necessità pub-bliche non ti chiamano altrove, tu veglia sulle mie case, e men-tre lui rischia la vita, tu proteggi l’onore, almeno l’onore, dell’a-mico lontano.

17 Ugo: Io? Che? non sei il fortunato possessore di una donnacasta? Ahi! la sola ombra del sospetto offende troppo quell’an-gelo di virtù.

431La Pia. Tragedia

difficilmente il verginal pudore,né profferto sull’ara il giuramento. 18

Ugo La Pia de’ Tolommei dal volgo tuttodell’altre donne, e dal comun costumelontana è sì, che convenir non puotegiudizio a lei, che singolar non sia. 19

Rinaldo Tu, sua stirpe nomando, il dubbio accresciche mi tormenta. Ella sbanditi piansedi Siena il padre ed il fratello, e tuttade’ Tolommei la schiatta; e può dall’altodi sue stanze mirar tepido ancorafumare il cener dell’ostel natìo.Del furor delle parti, a cui non puoteresister uomo, e cui m’opposi indarno,ella forse in suo core un mio ne incolpaintemperante, e di compagni schivo

18 Rinaldo: È vero, l’offendo. Tuttavia questo gelido verme misi è conficcato così addentro nell’anima che finora, per snidar-lo, furono vani sia il suo affetto costante sia la lunga osserva-zione delle sue virtù. Ah! prima che la fiamma d’amore risplen-da casta all’uomo, nel suo errore giovanile egli suole fare espe-rienza tale del sesso femminile che poi non ha più riparo con-tro le frecce del sospetto; e non giova né il pudore verginale dalui conquistato con difficoltà né il giuramento nuziale pronun-ciato sull’altare.

— Il gelido verme è il tarlo della gelosia che già possiede l’animo diRinaldo.

19 Ugo: La Pia dei Tolomei è così lontana dalla massa di tuttele altre donne e dal costume comune che a lei non può addirsigiudizio che non sia singolare.

CARLO MARENCO432

desìo d’alta possanza: e del rancoregià la segreta ruggine… 20

Ugo (Con gioia mal repressa.)Tu ’l credi?…

E n’hai tu prove… o qualche indizio? 21

Rinaldo Niunofinor… tranne il sospetto. 22

Ugo (Rimettendosi.)Ebben,

[dal senoquesto sospetto ingiurïoso scaccia.D’alma pura e gentil sincero specchioè quell’ingenua fronte; e il suo bel corenon è terren, dove il rancore alligni.Pur io qui tutto esplorerò, t’affida,con guardo acuto. 23

20 Rinaldo: Tu, nominando la sua stirpe, accresci il dubbioche mi tormenta. Ella pianse scacciati da Siena il padre ed ilfratello, e tutta la stirpe dei Tolomei; e dall’alto delle sue stanzepuò vedere fumare la cenere ancora tiepida della casa in cui ènata. Del furore di parte, a cui non può resistere uomo alcunoed a cui io invano mi opposi, forse ella in cuor suo dà la colpaad un mio smodato desiderio di potere supremo senza compa-gni; e già la segreta ruggine del rancore…

21 Ugo: Tu lo credi? E ne hai tu prove… o qualche indizio?22 Rinaldo: Finora nessuno… eccetto il sospetto.23 Ugo: Ebbene, scaccia dal petto questo sospetto ingiurioso.

Quella libera fronte è specchio sincero di un’anima pura e genti-le; ed il suo bel cuore non è terreno in cui metta radici il rancore.Tuttavia, fidati, io qui controllerò tutto con sguardo penetrante.

433La Pia. Tragedia

Rinaldo Ella qui vien. 24

Ugo Ti[lascio. 25

(Si ritira a sinistra.)

Scena terza. Rinaldo, la Pia, che esce dalla destra,avente nelle mani una spada.

Pia Questo brando, ch’io stessa ho con industrelavor fregiato, e pur di pianto asperso,dalle mie man ricevi. Esso del sanguefra l’ebbrezza, e ’l furor della vittoriati rammenti, che spose han pure i vinti:e, pietoso di me, sii mite alloraa chi più non resiste. 26

Rinaldo Oh donna! Oh[sensi

d’alma più che gentil!… Ma che? Tu piangi?Possano a più ragion pianger nell’ora,ch’ansie daranno a’ lor più cari addio,le donne fiorentine. 27

24 Rinaldo: Ella viene qui.25 Ugo: Ti lascio.26 Pia: Ricevi dalle mie mani questa spada che io stessa ho

adornata con ricamo sottile, ed anche bagnata di pianto. Essati ricordi, tra l’ebbrezza del sangue ed il furore della vittoria, cheanche i vinti hanno spose, ed allora, pietoso di me, sii miteverso chi non resiste più.

27 Rinaldo: Oh donna! Oh sentimenti di anima più che gen-

CARLO MARENCO434

Pia Ah! se ti cingadi nuovi allori il crin, se alla mie bracciati torni illeso Iddio; per quel soaveamor, ch’ambo ne lega, un mio ferventeprego esaudisci! Il brando tuo si tingasol di sangue stranier. Rispetta, o sposo,di que’, che Siena un dì chiamò suoi figli,le prezïose vite. 28

Rinaldo Intendo. Il Cielome pei sentieri dell’esilio amarispinga com’essi, e ad implorar mi tragga,qual essi fanno, la pietà straniera;e il santo amor di patria in me si canginel morbo che delira il natio locoo in empia sete di vendetta, ov’io,qual sia de’ tuoi, che nella pugna incontri,non n’eviti l’affronto: e se macchiatoritorno a te del sangue tuo, ch’io possad’obbrobrio andar coverto, esser nomatoun vile, e agli occhi della Pia parerlo. 29

tile!… Ma che? Tu piangi? Possano con più ragione piangere ledonne fiorentine nel momento in cui ansiose daranno l’addioai loro più cari.

28 Pia: Ah! se Iddio ti coroni di nuovi allori, se ti riporti ille-so alle mie braccia, per quell’amore soave che ci lega entrambi,esaudisci una mia fervente preghiera. La tua spada si tinga solodi sangue straniero. O sposo, rispetta le vite preziose di quelliche un giorno Siena ha chiamato suoi figli.

— Tra questi sono il padre ed il fratello di Pia che, esiliati perchéguelfi, ora combattono con i fiorentini contro Rinaldo.

29 Rinaldo: Capisco. Il Cielo mi spinga, come essi, sui sentie-ri amari dell’esilio, e mi conduca ad implorare, come essi

435La Pia. Tragedia

Pia Tu dell’alta tua sorte inver sei degno,anima generosa. 30

Rinaldo Assai compiangoa’ tuoi palpiti, o donna, a quel destino,che a paventare, a deprecar ti sforzadel conflitto vicin, qualunque sia,l’evento. I cari tuoi movon le insegnecontro i tuoi cari, e fia, chiunque vinca,perdente Siena, e tu congiunta ai vinti.Sei tu ben conscia a chi vittoria preghi,se a Fiorenza, od a noi? Se a que’ vessilli,che il tuo sposo dispiega, o forse a quelli,ch’esule il padre, ed il fratello or segue? 31

fanno, la pietà straniera; ed il santo amore di patria si cambi inme nella malattia che fugge il luogo natale od in empia sete divendetta, se io non eviti lo scontro di qualunque dei tuoi ioincontri in battaglia; e se ritorno a te macchiato del tuo sangue,che io possa andare coperto di vergogna, essere detto vile, eparerlo agli occhi della Pia.

30 Pia: Anima generosa, tu sei davvero degno della tua altasorte.

31 Rinaldo: Compiango molto i tuoi timori, o donna, e queldestino che ti costringe a temere il risultato del prossimoconflitto, quale esso sia. I tuoi cari muovono le bandiere contro ituoi cari e chiunque vinca sarà sconfitta Siena, e tu sarai con-giunta ai vinti. Sei tu ben consapevole per chi preghi vittoria, sea Firenze oppure a noi? Se a quelle bandiere che il tuo sposodispiega, o forse a quelle che il padre ed il fratello esiliati oraseguono?

CARLO MARENCO436

Pia Pace per tutti io prego: e se la guerraè nel senno di Dio, questo è il mio voto:vinca il mio sposo, e sia pietoso ai vinti. 32

Rinaldo A chi più sa benignamente usarladia ’l Ciel vittoria. Ah! tu obbliar non devidella guerra civil chi primo diedeil segnal qui: come da’ tuoi respintafu mia mite parola, e tu, che postaqual bandiera di pace eri fra noi,sai di quanto furor surse commossocontr’essi il popol tutto, e che impotentea resistergli er’io, però ch’io sonorettor qui, non tiranno. 33

Pia Io so, che degnodi miglior parentado era ’l mio sposo. 34

32 Pia: Pace per tutti io prego; e se la guerra è nella sag-gezza di Dio, il mio augurio è questo: vinca il mio sposo, esia pietoso verso i vinti.

33 Rinaldo: Il Cielo dia vittoria a chi sa usarla più benigna-mente. Ah! tu non devi dimenticare chi per primo qui diede ilsegnale della guerra civile: come dai tuoi fu respinta la miamite parola, e tu, che eri posta come bandiera di pace tra noi,sai mosso da quanto furore tutto il popolo si sollevò contro diessi, e che io ero impotente a resistergli, perché qui io sono reg-gitore, non tiranno.

34 Pia: Io so che il mio sposo era degno di un parentadomigliore.

437La Pia. Tragedia

Rinaldo Ah no!… Ma forza è separarci. Partedi me ti lascio nella figlia. Addio. 35

(Parte dal mezzo, e la Pia in un prolungatoamplesso lo accompagna.)

Scena quarta. Ugo.

Ugo Io l’amava in segreto. E mentre all’ombradel carcere straniero Ugo gemea,tu di tanta beltà lieto all’amplesso,o Rinaldo, volavi. Oh! ti fruttarole mie catene! E allor che di fruttarticessato avean, tu le sciogliesti, e vantodi generoso or n’hai. Quand’anco il tuofavor superbamente ricordatonon m’avessi testè, come poss’iograto esser mai della serbata vitaa chi pace mi tolse? Al cor mi rendila libertà, se del disciolto piedevuoi che grado io ti sappia. Oro, null’altroUgo a Rinaldo costa. A me Rinaldocosta il sangue del cor: costa il più caropensier dell’alma. Ah! per mio male ei nacque!e onor supremi, e bellici trionfi,persin della beltà l’inestimabilesorriso, tutto egli ha: tutto ei mi toglie,fuor che la vita, che per esso ho in ira.E della tua felicità starommi

35 Rinaldo: Ah no!… Ma dobbiamo separarci. Ti lascio partedi me nella figlia. Addio.

CARLO MARENCO438

spettator sempre? Se il civile scettrodi man strapparti, e dalla fronte i laurinon posso, almen di lei ch’amo (ed oh quantol’amo ad onta del tempo e del destino!)involarti gli affetti or ché non tento?E già forse i miei taciti sospiriella, o ch’io spero, interpretò. Già forsenel suo petto… D’ardir vie più m’accendequest’insolita speme. Oh! che vuoi dirmitardo, importun rimorso? Or che sì bellaalfin mi arride occasïon… Malcauto!Non fia mal scelta all’amorose insidiel’ora d’un mesto addio?… Ma se al consorte,com’ei sospetta, ella rancor portasse?… Eccola. Oh! quanta pur malgrado mioreverenza m’inspira! 36

36 Ugo: Io l’amavo in segreto. E mentre Ugo gemeva all’om-bra del carcere straniero, tu, o Rinaldo, volavi lieto all’abbrac-cio di tanta bellezza. Oh! ti hanno fruttato le mie catene! Equando avevano smesso di fruttarti, tu le sciogliesti, ed ora nehai il vanto di generoso. Se anche poco fa non mi avessi ricor-dato con superbia il tuo favore, come posso io mai essere gratodi avermi conservato la vita a chi mi ha tolto la pace? Rendimila libertà al cuore, se vuoi che io ti sia grato per avermi scioltoil piede. Ugo a Rinaldo non costa altro che oro. A me Rinaldocosta il sangue del cuore: mi costa il più caro pensiero dell’ani-ma. Ah! egli è nato per il mio male! Ed onori supremi, e trionfidi guerra, persino l’inestimabile sorriso della bellezza, egli hatutto: tutto egli mi toglie, eccetto la vita, che io ho in ira percausa sua. E me ne starò sempre spettatore della tua felicità?Se non posso strapparti lo scettro civile dalla mano e gli alloridalla fronte, perché ora non tento almeno di rapirti gli affetti dicolei che amo — ed oh! quanto l’amo, malgrado il tempo ed il

439La Pia. Tragedia

Scena quinta. Pia, Ugo.

Pia Ugo!… 37

Ugo Che[miro,

donna! Molli di lagrime recentison le tue gote. 38

Pia Meraviglia, credo,non fia; sì fresca è la cagion del pianto. 39

Ugo Pera… Se cara anco mi fosse, peradel tuo duol la cagion! Ma tu pensosadel periglio de’ tuoi,(Maliziosamente.)

qualunque sieno,non esser tanto. Di speranze lietei tuoi timor conforta. 40

destino! Ed ella forse già interpretò, od io lo spero, i miei silen-ziosi sospiri. Forse già nel suo petto… Questa insolita speran-za mi accende ancora di più ad osare. Oh! che vuoi dirmi tar-divo, importuno, rimorso? Ora che finalmente mi arride unacosì bella occasione… Incauto! L’ora di un mesto addio nonsarà mal scelta per le insidie amorose?… Ma se, come luisospetta, ella portasse rancore al marito?… Eccola. Oh! quan-ta reverenza mi ispira, benché mio malgrado.

37 Pia: Ugo!… 38 Ugo: Che vedo, donna! Le tue gote sono bagnate di lacrime

recenti.39 Pia: Non sarà meraviglia, credo; così fresca è la causa del

pianto.40 Ugo: Perisca… Se anche mi fosse cara, perisca la causa del

CARLO MARENCO440

Pia Ah! d’una sposamal tu comprendi il fero stato quandoa cento ostili punte è fatto scopoquel cor ch’ell’ama. E non potergli usbergofar del suo petto! E invidiar quel ferro,cui data in guardia è una sì cara vita! 41

Ugo Ben fra gli uomini tutti il più felicepuò nomarsi colui, che di tal donnail cor possiede. E qual suo merto, io grido,lui di tal sorte e tanto onor fea degno?E s’ei non ne va altero, e s’ei del propriodestin si lagna, è cieco: il don di Dioforsennato sconosce. O Pia! Tal avvi,che i favor tutti di fortuna a schernoavria di questo al paragon: che ferominacciar di tiranni, ardor di plebe,e invidia, e avversità, la stessa morteal tuo fianco sfidar, donna, oserebbe. 42

tuo dolore! Ma tu non essere così preoccupata per il pericolodei tuoi, quali che siano. Conforta con liete speranze i tuoitimori.

41 Pia: Ah! tu comprendi male lo stato crudele di una sposa,quando quel cuore che ella ama è fatto bersaglio di mille puntenemiche. E non potergli far da corazza con il proprio petto! Edinvidiare quel ferro a cui è affidata la difesa di una vita cosìcara!

42 Ugo: Può ben dirsi il più felice tra tutti gli uomini coluiche possiede il cuore di simile donna. E qual suo merito, iogrido, faceva degno lui di tale sorte e di tanto onore? E seegli non ne va fiero, e se egli si lagna del proprio destino, ècieco: misconosce, da pazzo, il dono di Dio. O Pia! Vi è uno

441La Pia. Tragedia

Pia Offri ai numi l’incenso, né del pesoopprimer me di non mertata lode. 43

Ugo Del domestico lare è nume verodonna a te ugual, se v’ha. Dovria Rinaldo,qual fa in segreto ogni anima gentile,reverente a’ tuoi pie’, come celestecosa adorarti, o Pia: non già dall’altosignoreggiare una beltà, di cuimolti felici si terrian se il lembodella veste baciar dato lor fosse. 44

Pia Quanto amar puossi, ed onorar mi debbe,m’ama ed onora il mio consorte. Ei certocon lodi insidiose il mio non tentaorgoglio femminil. Certo all’uffiziodi molle adulator la sua non piegamarital dignità. 45

che disprezzerebbe tutti i favori della fortuna in confronto aquesto: che al tuo fianco, o donna, oserebbe sfidare minac-ce feroci di tiranni, rabbia di folla, ed invidia ed avversità.

43 Pia: Offri agli dei l’incenso, e non opprimermi con il pesodi una lode non meritata.

44 Ugo: Vera divinità del focolare domestico è una donnauguale a te, se pure c’è. Come ogni anima gentile fa in segreto,o Pia, Rinaldo dovrebbe adorarti come una cosa celeste, reve-rente ai tuoi piedi: non già dominare dall’alto una bellezza dicui molti si riterrebbero felici, se fosse loro concesso di baciar-ne l’orlo della veste.

45 Pia: Il mio sposo mi ama ed onora quanto si può amare e sideve onorare. Certo egli non tenta con lodi insidiose il mio orgo-glio femminile. Certo egli non piega la sua dignità di marito allafunzione di languido adulatore.

CARLO MARENCO442

Ugo Non la piegassecosì a rei dubbi, e al dubitar giammai. 46

Pia Che? 47

Ugo (Con trasporto.)Ma s’uom v’ha, per Dio! che creder

[debba,donna, il tuo sesso di virtù capace, questi è il marito di colei, che in Sienaè di virtù sovrano esemplo. Ah! tropponelle scuole del vizio ammaestratofu da’ prim’anni, e sol nel vizio ha fede.D’un tal angiolo a me se tocca in sortefosse quaggiù la compagnia, ti giuroche tributato a’ suoi gran pregi avreinon fede solo, religïoso culto. 48

Pia Tu la virtude femminil miscredipiù ch’uom in terra: e poi che mal la guardadall’insidie il mio sposo, assai le crede. 49

46 Ugo: Così non la piegasse ai dubbi colpevoli ed alladiffidenza.

47 Pia: Che?48 Ugo: Ma se c’è uomo, per Dio! che debba, donna, credere il

tuo sesso capace di virtù, questi è il marito di colei che in Sienaè l’esempio supremo di virtù. Ah! troppo fu ammaestrato findai primi anni nelle scuole del vizio, e crede soltanto nel vizio.Se la compagnia di un simile angelo quaggiù fosse toccata insorte a me, ti giuro che ai suoi grandi pregi avrei tributato nonsolo fiducia, ma culto religioso.

49 Pia: Tu più di ogni uomo in terra credi poco alla virtù fem-

443La Pia. Tragedia

Ugo Donna!… 50

Pia Del sacro titolo d’amicote su tutti onorò dunque, de’ suoipiù arcani sensi ei te fea conscio, salvat’ha dunque a rischio della sua la vita,perché di rei sospetti a me accusarlodovessi, ingrato, e i suoi pensier tradirmi:que’ pensier, che sua grande alma rifiutanon appena concetti, ond’è che appuntoper porli in basso loco a te li fida? 51

Ugo Siffatti accenti… 52

Pia Addio. 53

Ugo Fermati! 54

Pia Ed[osi?…

minile: e poiché la protegge male dalle insidie, il mio sposo lecrede molto.

50 Ugo: Donna!… 51 Pia: Egli dunque ha onorato te più di tutti con il sacro

nome di amico, ti ha rivelato i suoi sentimenti più segreti, ti hadunque salvato la vita a rischio della sua, perché tu, ingrato,dovessi accusarlo davanti a me di sospetti colpevoli e svelarmii suoi pensieri: quei pensieri che la sua grande anima respingeappena concepiti, così che, proprio per deporli in un luogospregevole, li affida a te.

52 Ugo: Parole simili… 53 Pia: Addio.54 Ugo: Fermati!

CARLO MARENCO444

Te del mio sposo l’amistà soverchiafa riverito qui: ma pensa… 55

Ugo Ah! m’odi,te ne scongiuro, un solo istante m’odi! 56

Pia Se né la donna del Signor di Siena,né dell’amico in me rispetti, questaora solenne del mio duol rispetta.Lasciami. 57

Ugo E le mie lunghe ore di duolo,immenso duol, che ognor represso, scoppiaoggi malgrado mio, non m’otterrannoda te pietà, che all’ardir mio perdoni?Sai tu da quanto tempo ardo e sospiroper te? Qual sia dolor, quand’altri un benepossentemente agogna, ed ecco giungechi di tanto disìo, di tanti affannigl’invola il premio, né un sospir gli costa?Pur non si cruda a me sembrasti il giorno,che grave in un torneo colpito m’ebbel’avversa lancia; e di spavento un gridodal tuo bel labbro allor s’intese, e vistefur del tuo volto impallidir le rose. 58

55 Pia: Ed osi?… L’eccessiva amicizia del mio sposo ti renderispettato qui, ma pensa…

56 Ugo: Ah! odimi, te ne scongiuro, ascoltami soltanto unistante.

57 Pia: Se non rispetti in me né la donna del signore di Sienané la donna dell’amico, rispetta questa ora solenne del miodolore. Lasciami.

58 Ugo: E le mie lunghe ore di dolore, dolore immenso che, sem-

445La Pia. Tragedia

Pia Pera un senso incolpabile, che semefu a te di rie speranze! Io d’or innanzisoffocherò nel nascer suo fin questoturbamento gentil d’alma ben nata,che s’appella pietà, poi che non licea donna impunemente esser pietosa. 59

Ugo Tanto m’odii tu dunque? 60

Pia Io? Se tu forseti lusinghi l’onor dell’odio mio,sappi che odiarti io non potrei, volendo;e che la Pia… 61

Ugo Prosegui. 62

pre represso, oggi scoppia mio malgrado, non mi otterranno da teuna pietà che perdoni al mio ardire? Sai tu da quanto tempo ardoe sospiro per te? Che dolore sia, quando uno desidera grande-mente un bene, ed ecco che arriva chi gli toglie il premio di tantodesiderio, di tanti affanni, e non gli costa neppure un sospiro?Eppure non mi sembrasti così crudele il giorno che in un torneola lancia avversaria mi ebbe gravemente colpito; ed allora ungrido di spavento si udì dal tuo bel labbro, ed i rosei colori del tuovolto furono visti impallidire.

59 Pia: Perisca un sentimento incolpevole che fu per te semedi speranze colpevoli! D’ora in poi io soffocherò sul suo nasce-re anche questo turbamento gentile di un’anima nobile che sichiama pietà, visto che non è lecito ad una donna essere pieto-sa impunemente.

60 Ugo: Mi odi dunque tanto?61 Pia: Io? Se tu forse ti compiaci dell’onore del mio odio,

sappi che, anche volendo, io non potrei odiarti; e che la Pia… 62 Ugo: Continua.

CARLO MARENCO446

Pia Ama, o[dispregia. 63

Ugo Donna! Educato a tollerar gli oltragginon fui. 64

Pia Né io. 65

Ugo Che intendi? 66

Pia E l’uom [che meco

parla un linguaggio seduttor, m’oltraggia. 67

Ugo Se un istante d’obblio conoscer fettiil debol lato del mio cor, la partepiù robusta a tuo grande agio scoprirnepotrai, tel giuro, in avvenir. 68

Pia (Fieramente.)Malvagio

farai scoprirti in avvenir più sempre. 69

63 Pia: Ama o disprezza.64 Ugo: Donna! Non sono stato educato a sopportare gli

insulti.65 Pia: Neppure io.66 Ugo: Che vuoi dire?67 Pia: E l’uomo che con me parla un linguaggio seduttore, mi

insulta.68 Ugo: Se un istante di oblio ti fece conoscere il lato debole

del mio cuore, in futuro potrai scoprirne a tuo grande agio laparte più robusta: te lo giuro.

447La Pia. Tragedia

Ugo Non insultar, malcauta, ad uom che fartipuote infelice. 70

Pia Farmi rea chi ’l puote? 71

Ugo Seppellir posso in lagrime perenniquegli occhi a me fatali: sotto il pesodelle sventure umilïar, nel fangocotesto orgoglio traggere, forzartia maledir la tua virtù. 72

Pia (Con entusiasmo.)Nol puoi. 73

Ugo Del tuo sposo l’amor toglierti. 74

Pia Ahi[tristo!…

Ma chi torragli il mio? 75

69 Pia: In futuro ti farai sempre più scoprire malvagio.70 Ugo: Non insultare, incauta, un uomo che può renderti

infelice.71 Pia: Farmi colpevole, chi lo può?72 Ugo: Posso seppellire in lacrime perenni quei tuoi occhi a

me fatali: umiliare sotto il peso delle sventure, trascinare nelfango codesto orgoglio, costringerti a maledire la tua virtù.

73 Pia: Non lo puoi.74 Ugo: Toglierti l’amore del tuo sposo.75 Pia: Ahi malvagio!… Ma chi gli toglierà il mio?

CARLO MARENCO448

Ugo Rea farti agli [occhi

suoi. 76

Pia Ma agli occhi di Dio sarò innocente. 77

Ugo Non temi il disonor? 78

Pia Temo la colpa. 79

76 Ugo: Renderti colpevole ai suoi occhi.77 Pia: Ma agli occhi di Dio sarò innocente.78 Ugo: Non temi il disonore?79 Pia: Temo la colpa.

449La Pia. Tragedia

Giornata seconda

Luogo deserto. A destra un fianco della casa di Rinal-do. A sinistra, e nel fondo rovine praticabili della casade’ Tolommei. Notte. Rinaldo, Ugo.

Ugo Ufficio a entrambi doloroso impostom’hai, sì che grave or mi s’è fatto il pesodel beneficio tuo, poi che mi sforzia tal ricambio, che virtù sarebbel’esser ingrato. 1

Rinaldo Non è dunque un sogno?Non è un delirio?…(In tuono di cupa minaccia.)

Ascolta, Ugo. Se forsedi me gioco ti prendi, incauto sei. 2

Ugo Tu quel Rinaldo in sospettar sì dotto,quando più pura agli occhi miei parea,di tua donna la fede? 3

1 Ugo: Mi hai imposto un compito doloroso per entrambi,sicché ora mi si è fatto grave il peso del tuo beneficio, poiché micostringi a ricambiarlo in un modo che l’essere ingrato sarebbevirtù.

2 Rinaldo: Dunque non è un sogno? Non è un delirio?…Ascolta, Ugo. Se per caso ti prendi gioco di me, sei un incauto.

3 Ugo: Sei tu quel Rinaldo così abile nel sospettare, quandola fedeltà della tua donna appariva più pura ai miei occhi?

CARLO MARENCO450

Rinaldo E tu quell’Ugo,che i miei sospetti già biasmar s’udiva,e della donna mia magnificandogìa la virtù? Di’: m’ingannavi allora,o m’inganni tu adesso? 4

Ugo Oh! non avesseunqua me tratto d’un mio caro ingannoesperïenza! 5

Rinaldo Sì diverso han suonoda quel di pria le tue parole, ch’ioquel che mi creda inver non so. Vorreimal conosciuto infin’ad oggi averti:d’un mentitor, d’uno sleal, d’un vilestato finora esser vorrei l’amico:vorrei con mille oltraggi averti datodi tradirmi il diritto, anzi che compracol beneficio la crudel certezzadella tua fedeltà. Tutto, piuttostoche credere a’ tuoi detti, oggi vorrei. 6

4 Rinaldo: E sei tu quell’Ugo che allora andava rimproveran-do i miei sospetti e lodando la virtù della mia donna? Dimmi:mi ingannavi allora o mi inganni adesso?

5 Ugo: Oh! non mi avesse mai mosso la prova di un mio caroinganno.

6 Rinaldo: Le tue parole hanno un suono così diverso daquello di prima che davvero non so cosa credere. Vorrei aver-ti conosciuto male fino ad oggi; vorrei essere stato finora l’a-mico di un mentitore, di uno sleale, di un vile; vorrei avertidato con mille offese il diritto di tradirmi, anziché aver com-prato con il beneficio la crudele certezza della tua fedeltà.Oggi vorrei tutto, piuttosto che credere alle tue parole.

451La Pia. Tragedia

Ugo Agli occhi tuoi, non a’ miei detti crederedei tu. 7

Rinaldo (Mestissimo.)Meglio non era il nascer cieco? 8

Ugo A prestar fede a’ sensi miei faticadurai non poca anch’io: però non forastupor, se un giorno a negar fede a’ tuoitraesser te poche parole suedi lagrime condite e di lusinghe;e ’l tuo giusto furor l’infida mogliecader facesse accortamente interosull’amico fedel. 9

Rinaldo Tu… Non t’illuseuna falsa apparenza? Era ben d’essa,la mia sposa, la Pia, colei ch’hai vistacol favor delle tenebre alle suestanze guidar furtivamente un uomo?Ma quelle stesse tenebre a’ tuoi lumivelo far non dovean? 10

7 Ugo: Tu devi credere ai tuoi occhi, non alle mie parole.8 Rinaldo: Non era meglio nascere cieco?9 Ugo: Anch’io feci non poca fatica a credere ai miei sensi;

perciò non sarebbe meraviglia se un giorno poche sue parole,condite di lacrime e di carezze, portassero te a non credere aituoi; e la moglie infedele facesse abilmente cadere tutto il tuofurore sull’amico fedele.

10 Rinaldo: Tu… Non ti ha ingannato una falsa apparenza?Era proprio lei, la mia sposa, la Pia, quella che con l’aiuto delletenebre hai visto condurre furtivamente un uomo nelle sue

CARLO MARENCO452

Ugo Splendea la lunain ciel sereno. Da vicin, non visto,i sembianti spiarne, e la sua voceintender potev’io nascoso all’ombra,qual io mi stava, de’ cadenti muri,vigile in mio sospetto. 11

Rinaldo E udisti?… Oh! [degni

d’invidia, oh! cento volte avventuratique’ che, di Colle nel fatal certameper la patria pugnando, han ricopertodi lor lacere salme il pian cruento,e al disonor dell’armi nostre chiusieternamente i lumi! In fumo or itadi Montaperti cerco la gloria. Oh! alloritroppo presto appassiti! Ed io sostengopur questa luce? E da sì orrendo scempiode’ miei fratelli io duce lor qui riedo?E in tanto scorno della patria e miotrar consento la vita?… Ugo, il diresti?Nel campo là malaugurato, all’osteperdente in mezzo, e a le bandiere nostred’ogni parte cadenti, in fra la rabbia,la vergogna, il dolore, al pensier miocorse l’imago della donna amata,

stanze? Ma quelle stesse tenebre non dovevano fare velo ai tuoiocchi?

11 Ugo: La luna splendeva nel cielo sereno. Da vicino, nonvisto, potevo spiarne i volti ed ascoltare le voci, nascosto comestavo all’ombra dei muri cadenti, vigile nel mio sospetto.

453La Pia. Tragedia

e del mesto suo pianto: e tal mi punsepietà di lei, ch’a eterno lutto in predaabbandonar temea, che un disperatodesir repressi, e ’l mio destrier, che a mortecontro le fiorentine aste spronatomi portava, frenai; né più de’ vintil’ignominia temei, né punitoredell’infortunio il popolar scontento,né l’esule che torna. Oh infamia! Oh fossicolà gloriosamente anch’io caduto! 12

12 Rinaldo: E hai udito?… Oh! degni di essere invidiati, oh!cento volte fortunati quelli che nella fatale battaglia di Colle,combattendo per la patria, hanno ricoperto con le loro laceresalme la pianura insanguinata, ed hanno chiuso per sempre gliocchi al disonore delle nostre armi! Ecco ora andata in fumo lagloria di Montaperti. Oh! lauri troppo presto appassiti! Ed iosopporto ancora questa luce? E da una così orribile strage deimiei fratelli, io, il loro comandante, ritorno qui? Ed in cosìgrande smacco della patria e mio, io acconsento a continuare lavita?… Ugo, lo diresti? Là, nel campo sfortunato, sconfitto, inmezzo al nemico ed alle nostre bandiere che cadevano da ogniparte, tra la rabbia, la vergogna, il dolore, corse al mio pensierol’immagine della mia donna e del suo pianto triste: e mi colpìuna tale pietà di lei, che temevo di abbandonare in preda ad unlutto eterno, che repressi un desiderio disperato, e frenai il miocavallo che, spronato, mi portava a morire contro le lancefiorentine; e non temetti più né la vergogna dei vinti, né lo scon-tento popolare punitore della disgrazia, né l’esule che ritorna.Oh! infamia! Oh! fossi anch’io caduto colà gloriosamente!

— La battaglia di Montaperti, in cui i ghibellini senesi avevanosconfitto i guelfi fiorentini, era avvenuta il 4 settembre 1260; la battaglia diColle di Val d’Elsa, in cui i guelfi fiorentini sconfissero i ghibellini senesi,avvenne l’8 giugno 1269.

CARLO MARENCO454

Ugo Tempra del duol l’eccesso. A’ miei consigli,regger ti lascia: e tua parola espressami dona in pria, ch’alla tua sposa notoné per blandizie mai né per preghieredel fallo suo lo scopritor farai. 13

Rinaldo Vil sarei, se il facessi: e ancor ch’a’ vilistrettamente congiunto, io vil non sono. 14

Ugo Giura inoltre, che tacito ed occultodell’empia trama testimone or orasarai qui meco, né trarrai la spada,né farai motto, e placido nell’iradel mio disegno le ingegnose filanon turberai: bensì al mio zelo intera,qual già dell’onor tuo, di tue vendetteaffiderai la cura. 15

Rinaldo È mia la curadella vendetta: è mia. 16

13 Ugo: Modera gli eccessi del dolore. Lasciati guidare daimiei consigli; e per prima cosa dammi esplicitamente la tuaparola che né per carezze né per preghiere renderai mai notoalla tua sposa chi ha scoperto la sua colpa.

14 Rinaldo: Sarei vile, se lo facessi; e benché strettamente con-giunto ai vili, io non sono vile.

15 Ugo: Giura inoltre che tra poco sarai qui con me testimo-ne silenzioso e nascosto dell’empia trama, né tirerai fuori laspada, né dirai parola e restando tranquillo nell’ira, non turbe-rai le fila ingegnose del mio piano; ma, come già per il tuoonore, affiderai completamente al mio zelo la cura delle tuevendette.

16 Rinaldo: È mia la cura della vendetta: è mia.

455La Pia. Tragedia

Ugo Ma il tempo e il[modo

dispor ne lascia a me; né tu per troppoimpeto cieco di furor guastarla.Quanto diss’io lo giuri? 17

Rinaldo Alla vendettami guiderai? 18

Ugo Ti guiderò. 19

Rinaldo Lo giuro. 20

Ugo Or fra quelle rovine — e son rovinedella magion de’ Tolommei — celiamci. 21

Rinaldo (Raccapricciando.)Ugo!… E possibil fia?… 22

(Si odono suonare le tre di notte.)

Ugo Silenzio! L’orasegnata appunto suona. 23

17 Ugo: Ma il tempo ed il modo lasciali disporre a me; e nonguastarla per un eccessivo impeto di cieco furore. Quanto hodetto, lo giuri?

18 Rinaldo: Mi guiderai alla vendetta?19 Ugo: Ti guiderò.20 Rinaldo: Lo giuro.21 Ugo: Ora nascondiamoci tra quelle rovine — e sono rovi-

ne della casa dei Tolomei.22 Rinaldo: Ugo!… E sarà possibile?… 23 Ugo: Silenzio! Suona appunto l’ora fissata.

CARLO MARENCO456

Rinaldo (Sottovoce.)Infame schiatta

è questa inver de’ Tolommei. La patriacontr’essi irata il suo furor sfogavain poche pietre d’ogni senso prive.Io la vendetta mi farò nel sangue. 24

(Si ascondono dietro le rovine.)

Scena seconda. La Pia dalla casa, Rinaldo e Ugonascosti.

Pia È questa l’ora del convegno. È questoil loco. O fratel mio, qui favellarmisegretamente hai desïato, ed io,benché un esul tu sii, quand’anco deggiaappormel Siena a imperdonabil colpa,tel consentii, poi ch’una legge eternafa ch’io stimi dover ciò, che delittonoma la patria in sue caduche leggi.(Alzando la voce nel caldo dell’affetto.)Oh vien! t’affretta: ché la Pia t’attendeImpazïente.(Con voce più sommessa.)

E dal tuo labbro certedella battaglia udir novelle anela.Un secol d’affanni e di timori

24 Rinaldo: Questa dei Tolomei è davvero una razza infame.La patria, irata contro di essi, sfogava il proprio furore supoche pietre prive di ogni senso; io farò la mia vendetta nel san-gue.

457La Pia. Tragedia

si rivolse per me dacché il mio sposodal mio fianco s’è tolto. E ancor non riede!…Per la città sinistre voci intantospargonsi…(Si ode di dentro il tintinnio di una spadache batte due volte sopra un elmo.)

Il segno convenuto ascolto.Ei giunge. Il luccicar veggo dell’armi.È desso. 25

Scena terza. I precedenti. Un guerriero armato ditutto punto, e ravvolto nel mantello, s’avanza con cir-cospezione.

Guerriero (Sotto voce.)Pia!… 26

Pia (Sotto voce.)Gualtier!…

25 Pia: Questa è l’ora dell’incontro. Questo è il luogo. O fratel-lo mio, hai desiderato qui segretamente, ed io, benché tu sia unesiliato, anche se Siena dovesse imputarmelo a colpa imperdo-nabile, ho acconsentito, perché una legge eterna fa sì che io con-sideri mio dovere ciò che la patria nelle sue leggi effimere chia-ma delitto. Oh vieni! affrettati, perché la Pia ti attende impa-ziente e brama sentire dalle tue labbra notizie sicure della batta-glia. Da quando il mio sposo si è staccato dal mio fianco, per meè trascorso un secolo di affanni e di timori. Ed egli ancora nontorna!… Intanto per la città si diffondono voci infauste… Sentoil segnale concordato. Egli giunge. Vedo il luccicare delle armi.È lui.

26 Guerriero: Pia!…

CARLO MARENCO458

(Il guerriero si slancia verso di lei, e l’ab-braccia, dimostrando un qualche ritegno.)

Te dopo un [lustro,

il sai, riveggo: e mal ti raffiguroqui delle stelle al debil raggio, e tutto,qual sei, nell’arme chiuso. 27

Guerriero (Con voce affettuosa.)O suora! 28

Pia (Con affetto pur essa.)O

[miofratel diletto!…(Di nuovo dubitando.)

Ha suon più maschio e rudela tua voce, già sì gentil. 29

Guerriero L’han fattaroca l’assiduo militar comando,e la polve de’ campi. 30

27 Pia: Gualtiero!Dopo cinque anni, lo sai, ti rivedo; e ti rico-nosco male qui, alla debole luce delle stelle, e tutto chiuso comesei nelle armi.

28 Guerriero: O sorella!29 Pia: O mio amato fratello!… la tua voce, un tempo così

gentile, ha un suono più maschio e più rude. 30 Guerriero: L’hanno resa roca il continuo comando milita-

re e la polvere dei campi di battaglia.

459La Pia. Tragedia

Pia (Con ansietà.)Or ben, quai nuove

della pugna? 31

Guerriero Vittoria! 32

Pia Oh gioia!… Ahi[stolta!

Un inimico favellò. Chi furoi vincitori? 33

Guerriero Noi. 34

Pia Dunque perdentefu il mio sposo, e la patria. 35

Guerriero Odi. La[patria

d’ora innanzi siam noi. Me della stragenell’impeto rattenne, e qui mi spinse, qui, ’ve tornar trionfalmente io deggio,d’esul pure in furtivo atto mi spinseamor di te: che di qui trarti agognopria che te del marito a involver abbianole sventure. 36

31 Pia: Or bene, che notizie della battaglia?32 Guerriero: Vittoria!33 Pia: Oh gioia!… Ahi stolta! Parlò un nemico. Chi furono i

vincitori?34 Guerriero: Noi.35 Pia: Dunque fu sconfitto il mio sposo, e la patria.36 Guerriero: Ascolta. La patria d’ora in poi siamo noi. Nell’im-

CARLO MARENCO460

Pia Che di’?… Lassa! Fors’iovedova son? 37

Guerriero Tu d’un proscritto mogliesarai fra breve. Ricondurti al padredegg’io prima che seco a duro esiliocolui ti guidi. 38

Pia A lui rapirmi?… Crudo!Ciò nomi amor? 39

Guerriero Vieni… 40

Pia Mi lascia.(Veggonsi fra le rovine del fondo Rinaldo edUgo. Il primo colla mano sull’elsa dellaspada sta per iscagliarsi contro la Pia. Ilsecondo è in atto di trattenerlo.)

Pia (Con voce resa più forte dallo sdegno.)In[Siena

peto della strage l’amore che ti porto mi ha trattenuto e mi ha spin-to a venire in modo furtivo, da esule, qui, qui dove io devo tornarein trionfo, perché da qui bramo portarti via, prima che le sventuredel marito abbiano a coinvolgerti.

37 Pia: Che dici?… Me infelice! Sono forse vedova?38 Guerriero: Tra poco tu sarai la moglie di un esiliato. Io

devo ricondurti dal padre prima che colui ti conduca con sé nelduro esilio.

39 Pia: Rapirmi a lui?… Crudele! Questo chiami amore?40 Guerriero: Vieni…

461La Pia. Tragedia

fa’ che Rinaldo non ti colga.(Forte come sopra, ma con affetto.)

Ah! temoPer te!(Abbassando la voce, come atterrita.)

Funesto al vincitor potrebbedel vinto esser l’incontro. 41

(Ugo e Rinaldo sono scomparsi.)

Guerriero E quale al[padre,

che a te le braccia desïose tende,farò risposta? 42

Pia (Con dignità.)« La tua figlia, digli,

morir non dee nel loco, ov’ella nacque;e agli agi, al fasto del paterno ostellopreferisce l’esilio. » 43

Guerriero E deggio… 44

41 Pia: Lasciami. Fa che Rinaldo non ti trovi in Siena. Ah!temo per te! L’incontro con il vinto potrebbe essere funesto alvincitore.

42 Guerriero: E quale risposta darò al padre che tende versodi te le braccia desiderose?

43 Pia: Digli: « La tua figlia non deve morire nel luogo in cuiè nata; ed ai comodi, allo splendore della casa paterna, preferi-sce l’esilio. »

44 Guerriero: E devo…

CARLO MARENCO462

Pia Voimirate al volger dell’umane cose,né siate come que’, ch’han nulla appresodalla sventura. 45

Guerriero Or dunque addio. 46

Pia Me[misera!

Fatale è a me, qualunque parte in Sienasormonti, o caggia, che da’ cari mieil’esilio ognor mi scevri.(Con voce forte, piangendo.)

E quando fiache tutti in pace un muro sol ne chiuda? 47

Guerriero (Forte.)Non pianger, cara. Rivederti io sperofra poco. Addio. 48

(L’abbraccia e parte. La Pia rientra in casa.)

45 Pia: Voi osservate il mutamento delle cose umane, e nonsiate come quelli che dalla sventura non hanno imparato.

46 Guerriero: Or dunque addio.47 Pia: Misera me! Per me è fatale che, qualsiasi parte preval-

ga o cada in Siena, l’esilio mi separi sempre dai miei cari. Equando sarà che un solo muro racchiuda tutti in pace?

48 Guerriero: Non piangere, cara. Spero di rivederti tra poco.Addio.

463La Pia. Tragedia

Scena quarta. Rinaldo, Ugo.

Ugo Frenati! 49

Rinaldo Ah! no che[dato

più non vi fia di rivedervi mai! 50

(Mette mano alla spada.)

Ugo Nelle vene de’ prodi hai consecrataquesta tua spada, e profanarla or vuoi?Vendetta oscura a oscura man commetti. 51

Rinaldo (Prima trattenuto da Ugo, poi come mutan-do proposito.)Di lei, di lei vendetta io voglio! Oh! comeansia a vedersi, e irrequieta ell’era!Come tardar del suo notturno amantela venuta pareale! E se accoltoin sue stanze non l’ha, disonoratise non ha i lari miei, come solea,non pudor, non orror di sì gran colpa,ché già affatto n’è spoglia, era temenzadi me, che posso (a chiare note il disse),d’ora in ora sorprenderla. Ah! di moltelor parole al mio orecchio il suon non giunse…

49 Ugo: Trattieniti.50 Rinaldo: Ah! no, che non vi sia mai più permesso rivedervi!51 Ugo: Nel sangue dei valorosi hai consacrato questa tu

spada, ed ora vuoi profanarla? Affida un’oscura vendetta aduna mano oscura.

CARLO MARENCO464

Pur intesi abbastanza.(Dopo un istante di riflessione.)

Hai tu vedutocome agli atti, alla voce, rampognarloparea talor, respingerlo taloraquasi sdegnata? 52

Ugo E chi non sa che tuttasuol di sdegni e di paci avvicendarsidegli amanti la vita? 53

Rinaldo È vero. — Oh![quante

volte il brando snudar volli, e sovr’essifulminando scagliarmi, e mi rattenne,più che ’l tuo braccio, il giuramento mio,e del mio giuramento ancor più forteuno stupido orror, ch’anima e membratutto legommi all’incredibil vista! 54

52 Rinaldo: Di lei, di lei, io voglio vendicarmi! Oh! come sem-brava ansiosa ed inquieta! Come pareva tardarle la venuta del suoamante notturno! E se non lo ha accolto nelle sue stanze, se nonha disonorato la mia casa, come era solita, non era pudore néorrore, di cui è completamente priva, per una colpa così grande,ma era timore di me, lo disse chiaramente, che posso sorprender-la ad ogni momento. Ah! il suono di molte loro parole non è giun-to al mio orecchio… tuttavia ho sentito abbastanza. Hai vistocome dai gesti, dalla voce, talvolta sembrava rimproverarlo, tal-volta respingerlo quasi sdegnata?

53 Ugo: E chi non sa che la vita degli amanti è solita esseretutto un avvicendarsi di liti e di paci?

54 Rinaldo: È vero. Oh! quante volte volli sguainare la spadae scagliarmi come un fulmine su di essi, e più che il tuo brac-

465La Pia. Tragedia

Ugo Gli occhi tuoi stessi a mie parole alfineacquistar fede. La vendetta, or vieni,mediterem congiunti. 55

Rinaldo Han veramente,quel ch’io a te mal credea, l’han veramentequesti occhi scorto, e queste orecchie udito?Certa è dunque la colpa, ovver m’ingannanon so che di fallace? Eppur de’ sensimiglior strumento all’uom qual die’ naturaa conoscer le cose? E se mendacison essi, allor dirò che tutta mentenatura a me d’intorno, e l’universoè un’eterna menzogna.(Breve pausa.)

In error trattom’avria l’averno co’ prestigi suoi?Un demone non puote, o più malignod’un demone, un umano invido spirto,a turbar la mia pace avvolger oggidi sembianze ingannevoli i miei sensi,dell’intelletto con orribil’artioffuscarmi la luce, in mille guiseaggirarmi, sedurmi…

cio mi trattenne il mio giuramento ed uno stupido orrore,ancora più forte del mio giuramento, che alla vista incredibilemi legò tutto anima e membra.

55 Ugo: Alla fine i tuoi stessi occhi hanno procurato credibi-lità alle mie parole. Ora vieni, mediteremo uniti la vendetta.

CARLO MARENCO466

(Con voce terribile.)e tu esser quello? 56

Ugo Ben lo diss’io, che ’l tuo furor cadrebbesovra l’amico. 57

Rinaldo Io t’oltraggiai: perdona.Ciò, di ch’io quasi vagheggiar pareadianzi il debil sospetto, or mi spaventasiffattamente, che certezza è reso,che la smarrita mia ragion d’un velotenta coprirsi, e dal mirar rifuggecosì trista evidenza. — O tu che spintosì duramente al disinganno m’hai,donna che amai cotanto, e de’ mortalitu il più infelice, o perfida, mi rendi,

56 Rinaldo: Quello per cui io stentavo a crederti, questi occhil’hanno visto veramente e queste orecchie l’hanno udito? La colpaè dunque certa, ovvero m’inganna un non so che d’ingannevole?Eppure quale strumento migliore dei sensi la natura ha dato all’uo-mo per conoscere le cose? E se essi sono menzogneri, allora diròche mente tutta la natura che ci circonda e che l’universo è un’e-terna menzogna. Mi avrebbe tratto in inganno l’inferno con i suoiprodigi? Per turbare la mia pace, un demone o, più maligno di undemone, uno spirito umano invidioso, non potrebbe oggi avvolge-re i miei sensi con apparenze ingannevoli, offuscarmi la luce del-l’intelletto con arti orribili, raggirarmi in mille modi, sedurmi… equello spirito essere tu?

57 Ugo: Ben lo dissi io che il tuo furore sarebbe caduto sopral’amico.

467La Pia. Tragedia

trema! Non m’avrai tratto impunementea negar fede alla virtù. — Mi segui. 58

58 Rinaldo: Io ti ho offeso: perdona. La cosa di cui primaio sembravo quasi accarezzare il debole sospetto, ora che èdiventata certezza mi spaventa a tal punto che la mia ragio-ne cerca di coprirsi con un debole velo e rifugge dal guarda-re un’evidenza così triste. — O tu che così duramente mi haispinto al disinganno, o donna che amai tanto e tu, o perfida,mi rendi il più infelice degli uomini, trema! Non mi avraicondotto impunemente a non credere più alla virtù. —Seguimi.

CARLO MARENCO468

Giornata terza

Interno d’un vecchio castello in Maremma. Rinaldo,Pia.

Pia Questa dunque a’ tuoi piacque avi temutifra lande incolte e paludosi stagniromita, orrida stanza? A me sorrideil ciel, dolci son l’aure ovunque mecole spira il Signor mio. Pur, nol t’ascondo,lo squallor della vedova campagna,e l’aer faticoso, il cor m’han pienod’inusata tristizia. Eppur la stessainamabil Maremma asilo t’offremen di questo insalubre, e al par securo.Sposo, qui sempre abiterem? 1

Rinaldo Qui sempreabiterà chi d’abitarvi è degno 2.

Pia Che l’animo ti morda acerba cura,celar mel tenti invano. Tacito e fosco

1 Pia: Dunque ai tuoi temuti antenati piacque questa solita-ria, orribile, dimora tra campagne incolte e stagni paludosi? Ame il cielo sorride, le arie sono dolci, dovunque il mio signorele respira con me. Tuttavia, non te lo nascondo, lo squalloredella campagna desolata e l’aria pesante mi hanno riempito ilcuore di un’insolita tristezza. Eppure la stessa non amabileMaremma può offrirti rifugio meno nocivo ed altrettanto sicu-ro di questo. Sposo, abiteremo sempre qui?

2 Rinaldo: Qui abiterà sempre chi è degno di abitarvi.

469La Pia. Tragedia

t’ebb’io compagno della mesta via,e al mio frequente interrogar rispostaeran rotte parole, e mal repressaimpazïenza, e fremiti, e sospiri.E me pur della patria il desiderioaccora: e in te quest’angosciosa spinadal perduto poter resa è più acuta:pur sai, che speme di felice accordoi consoli ne dier. 3

Rinaldo Son vane cure,cui la pace del cor piangere è forza,patria e poter. Ho l’anima tempratacontro qualunque stral della sventura,questo sol tranne. 4

Pia Qual? 5

Rinaldo Tu ’l chiedi?…[Oh! niuno! 6

3 Pia: Che un’aspra preoccupazione ti morda l’animo, cerchiinvano di nascondermelo. Lungo la mesta via ti ho avuto com-pagno silenzioso e cupo, ed alle mie frequenti domande le rispo-ste erano parole spezzate, ed impazienza mal repressa, e fremi-ti, e sospiri. Il desiderio della patria accora anche me, ed in tequesta spina angosciosa del potere perduto è resa più acuta;eppure sai che i consoli hanno dato speranza di un accordofelice.

4 Rinaldo: Patria e potere sono preoccupazioni vuote per chiè costretto a rimpiangere la pace del cuore. Ho l’anima induri-ta contro ogni colpo della fortuna, tranne soltanto questo.

5 Pia: Quale?6 Rinaldo: Tu lo chiedi?… Oh, nessuno.

CARLO MARENCO470

Pia Rabbrividisco! — Per pietà mi spiegade’ tronchi accenti, e del fulmineo sguardoil tremendo mistero! 7

Rinaldo Nulla. 8

Pia Ah! mi[sembra

orrido più del loco il tuo pensiero! 9

Rinaldo (A parte.)Qui dunque ella morrà? Né la cagione… Ma l’ignora ella forse? 10

Pia Oh! Ciel! Che[vanno

mormorando i tuoi labbri in suon di sdegno?Sposo, che hai? La voce della Pianon ha più forza in sul tuo core alcuna? 11

Rinaldo La voce della Pia?… L’ho udita in punto!… 12

7 Pia: Rabbrividisco! — Per pietà, spiegami il tremendomistero delle parole spezzate e dello sguardo fulminante.

8 Rinaldo: Nulla.9 Pia: Ah! il tuo pensiero mi sembra più spaventoso del

luogo.10 Rinaldo: Dunque ella morirà qui? Né le dirò la causa… Ma

che forse lei la ignora?11 Pia: Oh Cielo! Che vanno mormorando le tue labbra con tono

sdegnato? Sposo, che hai? La voce della Pia non ha più alcuna forzasul tuo cuore?

12 Rinaldo: La voce della Pia?… L’ho udita bene!…

471La Pia. Tragedia

Pia Segui. Non mi fissar, deh! con quel tuosevero piglio insolito. Serenal’aspetto, e a me, siccom’io fo, sorridi 13.

Rinaldo (A parte.)La vittima sorride a chi l’immola 14.

Pia Il volto altrove a che ritorci? 15

Rinaldo (Abbracciandola in forza d’un involontario trasporto.)

Oh! sposa!… Ché morir non poss’io nella dolcezzadi quest’amplesso,(Da sé.)

che sarà l’estremo! 16

Pia Che parli di morir? Ben io d’affanno,se così fai morrò. 17

Rinaldo (Fieramente.)Trarti di vita

13 Pia: Continua. Deh! non mi fissare con quella tua espres-sione insolitamente severa. Rasserena il tuo volto, e sorridimi,come faccio io.

14 Rinaldo: La vittima sorride a chi la sacrifica.15 Pia: Perché rivolgi altrove lo sguardo?16 Rinaldo: Oh sposa!… Perché non posso io morire nella

dolcezza di questo abbraccio … che sarà l’ultimo!17 Pia: Che parli di morire? Se fai così, certo morirò io di

affanno.

CARLO MARENCO472

sol dovrian la vergogna e il pentimento. 18

Pia Vergogna io? Pentimento? 19

Rinaldo Or chi veggendoquella tua fronte intrepida e secura,non ti diria innocente? E allor che il vizioa se stesso fa plauso, e inverecondol’onesto ardir della virtude usurpa,chi può l’ira frenar, premere in pettoil desìo di vendetta, e udir l’estremevoci della pietà, che dolcementeva susurrando all’anima « perdona »? 20

Pia Strano linguaggio! Io nol comprendo, e quindiscolorar non mi fa. 21

Rinaldo Lo so, infedele,che dal tuo volto è ogni pudor disperso,

18 Rinaldo: La vergogna ed il pentimento soli dovrebbero fartimorire.

19 Pia: Vergogna io? Pentimento?20 Rinaldo: Chi vedendo ora quella tua fronte coraggiosa e

sicura non ti direbbe innocente? E mentre il vizio applaude sestesso e senza vergogna usurpa l’ardire onesto della virtù, chipuò frenare l’ira, reprimere in petto il desiderio di vendetta edudire le voci estreme della pietà che dolce va sussurrando all’a-nima « perdona »?

21 Pia: Strano discorso! Io non lo capisco, e perciò non mi fascolorare.

473La Pia. Tragedia

e d’averti sì tardi io conosciutarossor m’investe, ed ira. 22

Pia Indegno[oltraggio!…

Sposo! Se me vituperar non temi,te stesso almen rispetta. 23

Rinaldo Oh! quel ch’io[deggio

a me medesmo il so. 24

Pia Ma che ti feci,crudel? Ti spiega. In che t’offesi? 25

Rinaldo Ingrata!Io t’amai da’ prim’anni: e non pur consciod’amarti, io te vedea già ne’ miei sogniquasi un angiol del Ciel, che l’uom salutadi lieta visïone: e, desto, a lungomi durava nell’alma inebbrïatadel sogno la dolcezza. Ognor poi crebbequel primo affetto, e si fe’ adulto meco.Sacro all’imagin tua mi fei nell’alma

22 Rinaldo: Lo so, infedele, che dal tuo volto è sparito ognipudore, e mi prende vergogna ed ira per averti conosciuta trop-po tardi.

23 Pia: Insulto indegno!… Sposo! Se non ti importa di offen-dere me, rispetta almeno te stesso.

24 Rinaldo: Oh! quello che io debbo a me stesso lo so.25 Pia: Ma che ti ho fatto, crudele? Spiegati. In che cosa ti ho

offeso?

CARLO MARENCO474

segreto un tempio, e t’adorai, non comedonna mortal, ma qual del bello istessola diva idea, che nel pensier sol vive.Ché se breve follia dal sentier rettome talvolta sviava, alla tua caraimago i’ ricorrea, siccome suolead imagine santa un uom pentito,e rinascermi in petto allor sentìadella virtù l’amore. E tutto questoaltro stato non fia che un lungo inganno?E tu, Pia, m’hai tradito? E tu mi spoglid’ogni sua dolce illusïon la vita?Tu nella trista aridità del verola ricacci aspramente? Oh vicinanzamalaugurata delle case nostre!Oh! ben cadute al suol de’ Tolommeile infaustissime case, onde mi vennedi te, quasi malefica influenza,la prima vista, e ’l primo tuo pensiero! 26

26 Rinaldo: Ingrata! Io ti ho amata fin dai primi anni; e benchénon consapevole di amarti, io ti vedevo già nei miei sogni comeun angelo del Cielo che salva l’uomo con lieta visione, e destato-mi, nell’anima inebriata, mi durava a lungo la dolcezza del sogno.Poi quel primo affetto crebbe sempre e si fece adulto con me. Nel-l’anima mi feci un tempio segreto sacro alla tua immagine, e tiadorai non come donna mortale, ma come la divina idea del bellostesso che vive soltanto nel pensiero. Sicché, se talvolta una brevefollia mi sviava dal retto cammino, io ricorrevo alla tua caraimmagine, come suole un uomo pentito ad una immagine santa,ed allora sentivo rinascermi in cuore l’amore della virtù. E tuttoquesto non sarà stato altro che un lungo inganno? E tu, Pia, mihai tradito? E tu mi spogli la vita di ogni sua dolce illusione? Tula ricacci aspramente nella triste aridità del vero? Oh infausta

475La Pia. Tragedia

Pia Questi di gelosia furori insani,Ugo, il tuo falso ed esecrabil Ugogli accende in te. 27

Rinaldo L’amistà sua paventi,perché non fu come il tuo amore infida:quindi a me la calunnii. In quella notte(ahi! notte abbominevole!), che in Sienagiunse l’annunzio della mia sconfitta,dov’eri tu? Con chi, sleal, ristrettaa furtivo colloquio? Ah! nol sapevi,che le tenebre stesse ed il silenzio, per rivelar le colpe, hann’occhi e voce. 28

Pia (Con aria di trionfo.)Or sì, che assume l’innocenza oppressail suo nobile orgoglio, e d’un’infamecalunnia a trionfar tutta si vestela maestade, ed il poter del vero.Io lo dirò, benché sdegnarten meco

vicinanza delle nostre case! Oh ben rase al suolo le funestissimecase dei Tolomei, dalle quali, come un influsso malefico, mi vennela prima vista di te ed il tuo primo pensiero!

27 Pia: Questi tuoi folli furori di gelosia, Ugo, il tuo falso espregevole Ugo, li accende in te.

28 Rinaldo: Temi la sua amicizia, perché non fu infedele comeil tuo amore: per questo me la calunni. In quella notte — ahinotte abominevole! — che giunse a Siena la notizia della miasconfitta, tu dov’eri? Con chi, sleale, appartata in segreto collo-quio? Ah! non lo sapevi che, per rivelare le colpe, le tenebre stes-se hanno occhi e voce?

CARLO MARENCO476

dovessi poi. L’uom, che accennasti, quello,era… 29

Rinaldo Chi dunque? 30

Pia Il mio fratel,[Gualtiero 31.

Rinaldo (Con tremenda ironia.)Or sì profonda nella colpa, e dottaappien nell’arte del mentir ti veggo,e la giusta ira mia tutto si vestel’inesorabil suo rigore. Or sappi,che il tuo fratello — a te finor ciò tacquida più gran cura assorto… 32

Pia Ebben? 33

Rinaldo Di[Colle

nella pugna cader lo vidi estinto

29 Pia: Ora sì che l’innocenza oppressa prende il suo nobileorgoglio e, per trionfare di una calunnia infame, si riveste tuttadella maestà e del potere del vero. Io lo dirò, anche se poi tu doves-si sdegnartene con me. Quell’uomo, a cui hai accennato, era…

30 Rinaldo: Dunque chi?31 Pia: Il mio fratello Gualtiero.32 Rinaldo: Ora sì ti vedo profonda nella colpa e pienamente

esperta nell’arte del mentire, e la mia ira si riveste di tutto il suoinesorabile rigore. Ora sappi che il tuo fratello — finora, assor-bito da preoccupazione più grande, non te l’ho detto…

33 Pia: Ebbene?

477La Pia. Tragedia

nel primo assalto: né di Siena tecofra le mura abboccarsi unqua potea,se forse l’ombra sua colà non vennea rampognarti delle tue vergogne 34.

Pia (Confusa all’estremo si lascia cadere soprauna sedia.)Questo colpo m’atterra! 35

Rinaldo (Preso da impetuoso sdegno vorrebbe ucci-derla.)

Ora…(Trattenendosi, dice da sé.)

Ah! non[macchi

di ria femmina il sangue il braccio mio.Il mio primo pensiero omai si compia.S’abbandoni. 36

(Fa per partire.)

Pia (Veggendo partire Rinaldo, si alza e corre atrattenerlo.)

Rinaldo!… E qui mi lasci?…

34 Rinaldo: L’ho visto cadere morto, al primo assalto, nellabattaglia di Colle; e non poteva mai incontrarsi con te tra lemura di Siena, a meno che la sua ombra non venisse là a rim-proverarti le tue vergogne.

35 Pia: Questo colpo mi abbatte!36 Rinaldo: Ora… Ah! il sangue di una femmina colpevole

non disonori il mio braccio. Si compia il mio primo pensiero.Sia abbandonata.

CARLO MARENCO478

Ah m’odi pria! Per quanto in terra e in Cielov’ha di più sacro… 37

Rinaldo Scostati. 38

Pia Deh m’odi!Innocente son io. 39

Rinaldo Perfida! 40

Pia Il giuro.D’un nero inganno vittima… 41

Rinaldo Io, spergiura,l’ingannato son io. 42

Pia Deh per l’anticoamore… 43

Rinaldo Osi invocarlo? Oh! dell’indegnaMia debolezza al mondo orma non resti.(Trasportato da eccessivo furore vuol dal

37 Pia: Rinaldo!… E mi lasci qui?… Ah prima ascoltami! Perquanto in Cielo ed in terra c’è di più sacro…

38 Rinaldo: Scansati.39 Pia: Deh ascoltami! Io sono innocente.40 Rinaldo: Perfida!41 Pia: Lo giuro. Vittima di un oscuro inganno… 42 Rinaldo: Io, sono io l’ingannato, spergiura.43 Pia: Deh per l’antico amore…

479La Pia. Tragedia

dito strapparle l’anello maritale.)Pera… 44

Pia (Opponendosi)Che fai? 45

Rinaldo D’un esecrato nodopera il segno esecrato. 46

Pia Ahi crudo! E speri,ch’egualmente si franga un vincol santo? 47

Rinaldo (Gettando a terra l’anello, e calpestandolo.)Ogni vincol qual sia, che a te mi stringa,io lo frango, il calpesto. 48

Pia Almen risparmiatal cosa in tuo furor, che a te mi legapiù strettamente ancora. 49

44 Rinaldo: Osi invocarlo? Oh! nel mondo non resti tracciadella mia antica debolezza. Perisca…

45 Pia: Che fai?46 Rinaldo: Perisca il segno disprezzato di un legame disprez-

zato.47 Pia: Ahi crudele! E speri che ugualmente si spezzi un vin-

colo santo?48 Rinaldo: Qualsiasi vincolo mi stringa a te, io lo spezzo, lo

calpesto.49 Pia: Nel tuo furore risparmia almeno quella cosa che a te

mi lega ancora più strettamente.

CARLO MARENCO480

Rinaldo E che? 50

Pia La[figlia.

E strappar dalla figlia osi la madre? 51

Rinaldo Iniqua madre, da innocente proleti divido per sempre 52.

Pia Oh! chi fia mai,che pietoso m’uccida? 53

Rinaldo Empia! Il[rimorso. 54

(Parte, chiudendo la porta in faccia alla Pia,che vorrebbe seguirlo.)

Scena seconda. Pia.

Pia M’ha ripudiata. Si partì. Più mainon lo vedrò.(Ponendosi in ascolto.)

Già da me lunge il portacon precipite corso il suo destriero.Ecco, scomparve a me dinanzi il mondo!

50 Rinaldo: E cosa?51 Pia: La figlia. Ed osi strappare la madre dalla figlia?52 Rinaldo: Madre iniqua, ti divido per sempre da una figlia

innocente.53 Pia: Oh! chi sarà mai che, pietoso, mi uccida?54 Rinaldo: Empia! Il rimorso.

481La Pia. Tragedia

Al mio morir chi assisterà? Qual nomeinvocherò fra queste sorde mura?(Aggirandosi per la scena.)A chi volgermi più, lassa! Chi m’odeIn quest’orrenda solitudin? 55

Scena terza. Ugo, che esce improvvisamente da unaporta segreta, Pia.

Ugo Io.(La Pia mette un grido, al quale succedebreve silenzio.)Di che stupisci or tu? Possanza diemmiRinaldo, il sai, nei suoi castelli intera.Quel, che fratel credesti, era un venalestranier.(Dopo breve silenzio.)

Non lusingarti. Oh! del suo labbroall’eterno silenzio io già provvidi.Di molt’anni l’assenza, un’opportunasomiglianza di forme, e ’l dubbio lumefavoriron l’inganno.(La Pia inorridisce.)

Or questo ammira

55 Pia: Mi ha ripudiata. Se ne è andato. Non lo vedrò mai più.Il suo cavallo con corsa precipitosa già lo porta lontano da me.Ecco, davanti a me il mondo scompare! Chi assisterà alla miamorte? Quale nome invocherò tra queste sorde mura? Infelice,a chi rivolgermi? In questa orribile solitudine chi mi ascolta?

CARLO MARENCO482

magistero di fraudi, e ’l poter mio.Donna, ho ben io la mia promessa attesa? 56

Pia No. La virtù non maledissi ancora. 57

Ugo Quando della salute il fior consuntol’aure nocenti a mano a mano, e i pigrivapor delle mortifere lagunet’avranno, e l’egre membra, ed affannosol’anelito più sempre, accuserantiomai vicino il tuo sospiro estremo,al tuo sdegnoso orgoglio, a’ tuoi rigoriallor tu forse imprecherai, ma tardi. 58

Pia Non che temerlo, affretterò co’ votiil mio estremo sospiro, e avidamentespirerò l’aure, in cui si bee la morte.Oh! ti sien rese grazie almen per quel consiglio,

56 Ugo: Io. Ora tu di che ti meravigli? Rinaldo, lo sai, mi hadato pieno potere nei suoi castelli. — Quello che hai credutofratello, era uno straniero prezzolato. Non farti illusioni. Oh!ho già provveduto al silenzio eterno della sua bocca. L’assenzadi molti anni, una opportuna somiglianza di aspetto e la scar-sa luce hanno favorito l’inganno. Ora ammira questa maestriadi frodi ed il mio potere. Donna, ho io ben mantenuta la pro-messa fatta?

57 Pia: No. Ancora non ho maledetto la virtù.58 Ugo: Quando le arie nocive e le lente esalazioni delle mor-

tali paludi ti avranno a poco a poco consumato il fiore dellasalute, e le membra malate ed il respiro sempre più affannosoti annunceranno ormai vicino il tuo ultimo sospiro, alloraforse, ma tardi, tu imprecherai al tuo sdegnoso orgoglio, allatua severità.

483La Pia. Tragedia

se pure è tuo, che por mi fece in loco,onde più agevolmente al Ciel si varca. 59

Ugo Di questo loco a trarti appunto io venni,donna. 60

Pia Di tanto eccesso, e che? tu forsepentito… Ahi stolta! Scellerato a mezzoio te già quasi supponea. Perdona. 61

Ugo Fa senno. Il guardo intorno movi, e dimmi:quest’ostinata tua virtù finorache ti giovò? 62

Pia Quel ch’io soffrii per essa.L’ama più assai che pe’ suoi premii il forte,pe’ suoi travagli, alma codarda! Questison che nobile e bella a lui la fanno.La seguiresti tu, s’ardua non fosse. 63

59 Pia: Anziché temerlo, affretterò con le preghiere il mio ulti-mo sospiro e respirerò con avidità le arie in cui si beve la morte.Oh! ti siano rese grazie almeno per quel consiglio, se pure è tuo,che mi fece porre in un luogo da cui più facilmente si trapassain Cielo.

60 Ugo: Io sono venuto proprio a portarti via da questo luogo,o donna.

61 Pia: E che, forse tu pentito di una così grande enormità…Ahi stolta! Io già quasi ti credevo scellerato soltanto a metà.Perdona.

62 Ugo: Rifletti. Guardati intorno, e dimmi: che cosa ti hadato finora questa tua ostinata virtù?

63 Pia: Quello che ho sofferto per essa. Assai più che per i suoi

CARLO MARENCO484

Ugo Superbi sogni, splendide follieti seducon la mente. Io ti compiango.Ma più ancor che uno sterile compiantooffrir ti posso. A strugger io son prontol’opra mia stessa. Al tuo consorte ordireun’opposta saprò tela d’ingannital, che a te valga la sua grazia antica.Lunge, se il vuoi, poss’io da’ toschi lidiguidarti sì, che poi si stanchi indarnochiunque corra sui vestigi nostri:e la patria mi fia così perdutafelicità suprema. Io per te possocosa qualunque(In tuono di disperato rammarico.)

che virtù non sia. 64

Pia Se me dell’universo anco potessicrear regina, al regio stato io questainnocente miseria anteporrei.Una corona glorïosa in frontequi mi pon la sventura: e mal di gemme

premi, o anima vile, il forte l’ama per le sue sofferenze! Sonoqueste che gliela rendono nobile e bella. La seguiresti anche tu,se non fosse difficile.

64 Ugo: Sogni superbi, splendide follie, ti seducono la mente.Io ti compiango. Ma ti posso offrire anche più che uno sterilecompianto. Io sono pronto a distruggere la mia stessa opera. Altuo consorte saprò ordire una trama opposta di inganni tali cheti riporti il suo antico favore. Se lo vuoi, posso guidarti così lon-tano dai lidi toscani che poi si stanchi invano chiunque corrasulle nostre tracce. E la patria così perduta mi sarà felicitàsuprema. Per te io posso qualsiasi cosa, che non sia virtù.

485La Pia. Tragedia

s’adorneria sul trono il capo miocoronato d’infamia. 65

Ugo A te sul capoquest’infamia temuta è omai discesa.Scuoter la tenti invan. Che più ti resta?Cogliere in pace dell’infamia il frutto. 66

Pia Oh spavento! — E fia ver che tanto possala menzogna quaggiù? Dunque il mio nomeintemerato, il mio buon nome è spento?Inulta giacerà pur dopo mortela mia memoria, e per me sola un giornonon sarà di giustizia il giorno estremo?Ma che mi lagno io più? Forse ch’io sonomen per questo innocente, o tu men empio?Se al mio sposo in onore anco tornarmitu, mentendo, potessi, e nel più eccelsoseggio di gloria matronal ripormi,sdegno una lode, cui dissente il core;ed è lode l’infamia allor che i tristicompartono la fama. Oh! sia longevaquant’esser può: sul sepolcral mio marmoscritta altamente la menzogna duri,

65 Pia: Se anche tu potessi crearmi regina dell’universo, allacondizione regia io preferirei questa miseria innocente. Qui lasventura mi pone in fronte una corona gloriosa, e sul trono ilmio capo, coronato d’infamia, mal si adornerebbe di gemme.

66 Ugo: Questa infamia temuta ormai ti è discesa sul capo.Invano tenti di scuoterla. Che ti resta più? Cogliere in pace ilfrutto dell’infamia.

CARLO MARENCO486

e di secolo in secolo travolganell’obbrobrio il mio nome: il vero è eterno,e non s’affretta a rivelar sé stessoper questo appunto, che non muor giammai.Tu, che d’umano testimon non temi,che nella maestria delle tue frodisuperbisci, paventa. È un occhio in Cieloche le fosche caligini del mondopenètra, e pien di verità, di luceoltre i secoli un dì… 67

Ugo Da me frattantochi ti salva infelice? 68

Pia (Atterrita.)Ugo!… Ardiresti?…

67 Pia: Oh spavento! — E sarà vero che quaggiù la menzognaabbia tanto potere? Dunque il mio nome immacolato, il mio buonnome, è morto? Anche dopo la morte la mia memoria giaceràinvendicata, e soltanto per me l’ultimo giorno non sarà un giornodi giustizia? Ma perché mi lamento ancora? Forse che per questoio sono meno innocente o tu meno empio? Se anche tu, menten-do, potessi riportarmi in onore al mio sposo e ricollocarmi sultrono più alto della gloria femminile, io disprezzo una gloria che ilcuore non condivide; e quando i malvagi attribuiscono la fama, lalode è un’infamia. Oh! la menzogna viva quanto può, duri a lungoscritta sulla mia pietra tombale e travolga il mio nome di secolo insecolo nella vergogna: la verità è eterna, e proprio per questo non siaffretta a rivelare se stessa: perché non muore mai. Tu che non temitestimone umano, che insuperbisci per la maestria dei tuoi ingan-ni, trema. In Cielo c’è un occhio che penetra le fosche nebbie delmondo, e pieno di verità, di luce, oltre i secoli, un dì…

68 Ugo: Nel frattempo, infelice, chi ti salva da me?

487La Pia. Tragedia

(Con disperato coraggio.)Sull’alma mia tu nulla puoi. Di questomio fral privarti anco poss’io. 69

(Si accosta ad una finestra, e si pone in atti-tudine risoluta ed imponente.)

Ugo Che[tenti?…

(Vuole appressarsele: ma ad un suo gesto,che gl’impone di arrestarsi, colpito da invo-lontaria reverenza, si ferma.)Ond’è che il piede una possanza arcanapar che m’arresti? Minacciosa e baldaguata ella a me, che al suo cospetto tremo.Donna!… 70

Pia (Con maestà e forza.)Lo sguardo temerario abbassa.

Volgilo al fango vile, a cui somigli,e al qual sovente declinar lo suoliper non mirare il Ciel. 71

69 Pia: Ugo!… Oseresti?… Sulla mia anima tu non puoinulla. Io posso privarti anche di questo mio corpo.

70 Ugo: Che cerchi di fare? — Perché un potere misteriosopare trattenermi i piedi? Ella mi guarda così minacciosa esuperba, che davanti a lei io tremo. — Donna!…

71 Pia: Abbassa il tuo sguardo insolente. Volgilo al fangovile a cui somigli ed a cui sei solito abbassarlo spesso pernon guardare il Cielo.

CARLO MARENCO488

Ugo M’insulti ancora?Ah ch’io!… 72

Pia (Fatta maggiore di sé stessa dal sentimentodella propria dignità, gli dice con granforza.)

Più oltre il venerando asiloNon profanar della sventura. Parti. 73

Ugo (Attonito e quasi fuor di sé.)Non è dunque virtude un nome vano? 74

(Mentre Ugo parte, cade il sipario.)

72 Ugo: Mi insulti ancora? Ah che io!… 73 Pia: Non profanare più oltre il rifugio venerando della

virtù. Parti.74 Ugo: Dunque virtù non è una parola vuota?

489La Pia. Tragedia

Giornata quarta

Casa di Rinaldo. Camera con finestra praticabile.Notte. Rinaldo, una Fanciulla.

Rinaldo Figlia! Tu sola a me rimani. 1

Fanciulla Padre!… 2

Rinaldo E a te rimango io solo. 3

Fanciulla Ah! dimmi… 4

Rinaldo Ed[eri

tu comune d’entrambi affetto e speme.Per te sovente io d’imprecar m’astengoa quel nodo infelice, onde tu seisì caro frutto… ed ahi! talvolta in frontedi quel nodo esecrato aver mi sembrila maledetta impronta, e allor m’è forzadal mio petto divellerti. 5

1 Rinaldo: Figlia! Tu sola mi rimani.2 Fanciulla: Padre!… 3 Rinaldo: Ed a te rimango soltanto io.4 Fanciulla: Ah! dimmi… 5 Rinaldo: E tu eri affetto e speranza comune di entrambi. Per

te io mi trattengo spesso dal maledire quel legame infelice, di cuitu sei così caro frutto… ed ahi! talvolta mi sembri avere in fron-te l’immagine maledetta di quel legame odiato, ed allora sonocostretto a strapparti dal mio petto.

CARLO MARENCO490

Fanciulla (Sbigottita.)Dal giorno

che disparve di qui la madre mia,tu mi fai pianger sempre. Ov’è? Quand’iodi lei ti chieggo, e perché taci, o padre? 6

Rinaldo Cessa! 7

Fanciulla Forse morì? Pur non la vidialla tomba recar. Pur non vestisti le brune spoglie, che portar tu suoli,se alcun de’ nostri a morte vien. 8

Rinaldo Le[donne,

che a tua madre somigliano, assai priache scendano alla tomba morte sono:e pria che nelle vesti, altrui nell’almapongono il lutto, e nol depon giammai. 9

Fanciulla Che di’? Fors’ella provocotti ad iraun qualche fallo commettendo? Anch’io

6 Fanciulla: Dal giorno in cui la madre mia è scomparsa da qui,tu mi fai sempre piangere. Dov’è? E perché, o padre, quando tichiedo di lei, tu taci?

7 Rinaldo: Smetti.8 Fanciulla: Forse è morta? Eppure non l’ho vista portare alla

tomba. Eppure non hai messo i vestiti scuri che sei solito por-tare quando muore qualcuno dei nostri.

9 Rinaldo: Le donne che somigliano a tua madre assai primadi scendere nella tomba sono morte: e prima che nei vestiti,mettono il lutto nell’anima altrui, e non ve lo tolgono mai più.

491La Pia. Tragedia

fallii talvolta, e ti chiedea perdono,e l’ottenea. Non l’implorò peranco?Io per la madre, a te ’l chiegg’io. Perdona. 10

Rinaldo Sei tu un angiol del Ciel, che a me favella?Sei la voce di Dio, che mi ricordala dolce legge del perdon?(Quasi da sé per tutta la parlata.)

Che dissi!È dolce il perdonar quando l’oltraggiodi sangue sì, non di rossor ti copre,e lode di magnanimo, non tacciad’uom senza onore è il non punir la colpa.È dolce il perdonar quando colui,che t’offese, è stranier, né mai tuo corepalpitò contro il suo, né fu concettofra le braccia tue stesse il tradimento.Ma la metà di te medesmo offesaall’altra non perdona: e Iddio clementefu bensì della polve all’umil figlio,ma l’angiol fulminò. 11

10 Fanciulla: Che dici? Forse lei ti ha provocato all’ira, com-mettendo qualche colpa? Talvolta ho sbagliato anch’io, e tichiedevo perdono, e lo ottenevo. Ancora non l’ha chiesto? Te lochiedo io per la madre. Perdona.

11 Rinaldo: Sei tu un angelo del Cielo che mi parla? Sei lavoce di Dio che mi ricorda la dolce legge del perdono?… Che hodetto!… Il perdonare è dolce quando l’offesa ti copre di sangue,non di vergogna, ed il non punire la colpa è lode di animo gran-de, non accusa di uomo senza onore. Il perdonare è dolce quan-do chi ti offese è straniero, ed il tuo cuore non ha mai palpita-to contro il suo, ed il tradimento non fu concepito tra le tue

CARLO MARENCO492

Fanciulla Che parli?… 12

Rinaldo Oh![lasciami. 13

Fanciulla A chi n’andrò, se tu mi scacci?

Rinaldo (Come punto sul vivo, tragge un profondosospiro.)

Fanciulla Padre!Che hai? Di’, che ti feci?… Ah! se la madreteco qui fosse, non saresti mestoe sdegnoso qual sei. 14

Rinaldo Taci! 15

Fanciulla (Piangendo.)Respinta

ella non m’ha sì duramente mai. 16

stesse braccia. Ma la metà di te stesso che è stata offesa nonperdona all’altra metà; e certo Iddio fu benigno verso l’umilefiglio della polvere, ma fulminò l’angelo.

— Il figlio della polvere è Adamo, mentre l’angelo è Lucifero; per leloro rispettive colpe, vedi la Bibbia, Genesi, 3, 1–24; Vangelo secondoLuca, 10, 18.

12 Fanciulla: Che dici?… 13 Rinaldo: Oh! lasciami.14 Fanciulla: Da chi andrò, se tu mi scacci? Padre! Che hai?

Dimmi, che ti ho fatto?… Ah! se la madre fosse qui con te, nonsaresti triste e sdegnoso come sei.

15 Rinaldo: Taci!16 Fanciulla: Lei non mi ha mai respinta così duramente.

493La Pia. Tragedia

Rinaldo (Altamente commosso.)Figlia! Oh ambascia! Non più.(Con impazienza.)

Lasciami. 17

Fanciulla (Partendo.)Oh

[madre! 18

Scena seconda. Rinaldo.

Rinaldo Sin l’effigie sua stessa ho fastidita,poi che della beltà delle sue formemi ridesta l’imago: e a me sol gioval’idea de’ vizii, che le bruttan l’alma.Ogni altra è a me rimorso. Or donde sorgedi sì giusta vendetta in me il rimorso?Stato infelice il mio! Non so se il fallopiù m’attristi, o la pena: e più che ’l falloe la pena, d’orror m’empie la nostrasì ria natura, e ’l nome d’uom vergognami fa, pensando a chi simil mi rende!— Chi giunge?… Il padre di colei! 19

17 Rinaldo: Figlia!… Oh! angoscia!… Basta. Lasciami.18 Fanciulla: Oh! madre!19 Rinaldo: Persino la sua stessa somiglianza mi infastidisce,

perché mi risveglia l’immagine della bellezza delle forme di lei,ed a me giova solo l’idea dei vizi che le imbruttiscono l’anima:ogni altra mi è causa di rimorso. Ma donde nasce ora in me ilrimorso per una vendetta così giusta? La mia condizione è infe-lice! Non so se mi rattristi più la colpa o la pena; e più che la

CARLO MARENCO494

Scena terza. Tolommei padre, Rinaldo.

Tolommei Rinaldo! 20

Rinaldo Quando i consoli teco a nome miofermar quel patto, onde un sol muro entrambie una fossa or ne cinge, io della patriateco bensì la signoria divisi,questa non già dei miei privati larinon turbanda quiete. Ah! troppo lungauna de’ Tolommei dimora fecenell’ostel mio già sì felice; e ’l Cielopoi d’infortunio e di dolor colmollo! 21

Tolommei E tu quel sei, che d’animo alla pacerestìo, fiero, ostinato accusar tuttala mia gente solevi? A te più assai,che la prosperitade a noi già fosse,maestra di superbia è la sventura. 22

colpa e la pena mi riempie di orrore la nostra natura così mal-vagia, ed il nome di uomo mi fa vergogna, pensando a chi mirende simile! — Chi giunge?… Il padre di colei!

20 Tolomei: Rinaldo!21 Rinaldo: Quando in mio nome i consoli firmarono con te

quel patto, per cui ora ci cinge entrambi un solo muro ed un solofossato, io divisi con te la signoria della patria, ma non anchequesta quiete della mia casa privata, che non deve essere turba-ta. Ah! già una Tolomei restò troppo a lungo nella mia casa untempo così felice, e poi il Cielo la colmò di disgrazia e di dolore!

22 Tolomei: E tu sei quello che era solito accusare tutta la miagente di avere animo contrario alla pace, fiero, ostinato? Lasventura ti è maestra di superbia più di quanto la prosperità losia stata a noi.

495La Pia. Tragedia

Rinaldo L’encomio accetto, e aver mi vanto un corequal non è il vostro, a superbir sol usonegl’improsperi casi. — Or qui che cerchi? 23

Tolommei Quel ch’è mio cerco: e saper vo’, s’io deggiosovra la pietra sepolcral d’un prodefiglio nel campo dell’onor cadutopianger soltanto, o sull’oscura tombad’una figlia qual vittima immolatalagrimar anco: se il destin sol deggiomaledir della guerra, e insiem l’umanaferocità d’ogni destin più cruda. 24

Rinaldo Il reo tuo sangue maledir dovresti,e quell’istinto, ch’ha il peggior soventedi riprodur sé stesso, onde si facciala terra al seme de’ migliori angusta,e l’alito de’ tristi al buono infettil’aure ch’ei spira. 25

23 Rinaldo: Accetto l’elogio, e mi vanto di avere un cuorediverso da come è il vostro, perché il mio è abituato ad insu-perbirsi soltanto negli eventi infelici. — Che cerchi ora qui?

24 Tolomei: Cerco quello che è mio; e voglio sapere se devopiangere soltanto sulla pietra tombale di un figlio valorosocaduto sul campo dell’onore od anche versare lacrime sullatomba oscura di una figlia immolata come vittima: se devomaledire soltanto il destino della guerra od anche la ferociaumana, più crudele di ogni destino.

25 Rinaldo: Dovresti maledire il tuo sangue colpevole e quel-l’istinto di riprodurre se stesso che spesso ha chi è il peggiore,sicché la terra diventi troppo stretta per il seme dei buoni e l’a-lito dei malvagi infetti al buono l’aria che egli respira.

CARLO MARENCO496

Tolommei Dalle tue parole,figlio (ché tal nomarti anco mi giova),dalle delire tue parole io traggonon ira, ma pietà, ma reverenzad’un immenso dolore. Oh! della priscasua fierezza il crin bianco, e i duri affanniquest’anima spogliaro. Odi. La mortefe’ taciturno del vegliardo il tetto,già popolato: ed io qui vengo, e questiluoghi interrogo, ov’io trovar credeadi mia famiglia almen l’unico avanzoche rimaso mi fosse: ed ahi! rispondeall’iterate inchieste mie silenziomisterïoso; e stupefatta mormorain vario infausto suon la città tuttasovra ’l destin della mia figlia. Dimmi:viv’ella? 26

Rinaldo Vive. 27

26 Tolomei: Dalle tue parole, figlio, perché ancora mi piacechiamarti così, dalle tue parole deliranti io ricavo non ira, mapietà, ma rispetto, per un immenso dolore. Oh! i capelli bianchie le dure sofferenze hanno spogliato questa anima della sua anti-ca fierezza. Ascolta. La morte ha reso silenziosa la casa del vec-chio, un tempo popolata; ed io vengo qui, ed interrogo questi luo-ghi, dove io credevo trovare almeno l’ultimo resto della mia fami-glia che mi fosse rimasto; ed ahi! alle mie ripetute richiesterisponde soltanto un silenzio misterioso; e tutta la città mormo-ra stupefatta con diverse voci infauste sul destino di mia figlia.Dimmi: lei vive?

27 Rinaldo: Vive.

497La Pia. Tragedia

Tolommei Oh gioia!… 28

Rinaldo Aver conviened’ogni alterezza inver l’anima spoglia,basso invero il pensier per rallegrarsid’una figlia all’onor sopravvissuta,e non piuttosto deplorar che in fascemorta non sia; che il fulmine divinonon la colpisse il dì, che a me solennegiurò una fede, che in suo cor tradiva. 29

Tolommei Sovra il tuo capo il fulmine divino,sovra il tuo capo, o disuman, che toltaalle dolcezze del natìo soggiornouna vergin, sospir di mille cori,la seppellisti — ove non so — ma certoin loco orrendo, inabitabil, dovea umano orecchio ignoto, inutil, soloil suo gemito suoni. Ov’è mia figlia?Della paterna autoritade in nomealtamente io t’interrogo. Rispondi. 30

28 Tolomei: Oh gioia!…29 Rinaldo: Bisogna avere l’anima veramente spoglia di ogni

fierezza, avere il pensiero veramente vile, per rallegrarsi di unafiglia sopravvissuta all’onore, anziché rimpiangere che non siamorta in fasce, che il fulmine divino non la colpisse quel gior-no che solenne mi giurò una fedeltà che in cuor suo tradiva.

30 Tolomei: Sul tuo capo il fulmine divino, sul tuo capo, odisumano, che tolta dalle dolcezze del casa nativa una vergine,sospiro di mille cuori, la seppellisti, dove non so, ma certo inqualche luogo orribile, inabitabile, dove risuoni soltanto il suogemito, inutile, ignoto ad ogni orecchio umano. Dov’è mia

CARLO MARENCO498

Rinaldo D’una più forte autoritade in nomequesto dimando or io: quando fra i nostriguerrier nel sonno e nell’oblio sepoltiio sol vegliava in gravi cure, e a leipur volava dal campo il mio sospiro,dov’era allor la figlia tua, dov’era?Siena dormia sotto le tende, e scossequi le spose in lor vedova quietespesso da sogni, che avverò l’evento,balzar dal tetto trepide, e pe’ cariperiglianti, fra l’ombra ed il silenziomormorar la preghiera. Ah! la mia sposasola, la figlia tua dormì tranquillisovr’adultere piume i sonni suoi:e se la spaventò forse un fantasmafiglio del suo rimorso, era l’imagodel mio ritorno. Della sua perfidiavoi, talami traditi, attesto, e voi,troppo conscie pareti. E che mi giovada me reietta aver colei, se vivanell’alma, incancellabile, profondami funesta l’idea del suo delitto:se qui di lei tutto ragiona, e l’auraparmi fremere ancor della sua voce:se ognor ne’ sogni a me ne vien possentedell’antica lusinga, acciò più sempremi ridesti infelice? Oh! dalla tombame non perseguirìa più assiduo spettro,quando uccisa l’avessi: e non è crudo

figlia? Solennemente io ti interrogo in nome dell’autorità pater-na. Rispondi.

499La Pia. Tragedia

il rimorso così, né il pentimento,qual è il dolor, che del rigor suo giustoprova l’anima mia. 31

Tolommei Giusto?… Da ingannotu, da fallace opinïon securosei? Ma l’error sì agevolmente repe negli umani giudizii… 32

Rinaldo E che? Questi[occhi

31 Rinaldo: In nome di un’autorità più grande ora io domandoquesto: quando fra i nostri guerrieri, sepolti nel sonno e nell’oblio,io solo vegliavo in gravi preoccupazioni, e tuttavia il mio sospirovolava dal campo a lei, dov’era allora tua figlia, dov’era? Siena dor-miva sotto le tende, e qui le spose, scosse spesso nella loro vuotaquiete da sogni che gli eventi poi hanno avverato, balzarono trepi-danti dal letto e fra l’ombra ed il silenzio mormorarono la preghie-ra per i cari in pericolo. Ah! soltanto la mia sposa, la figlia tua,dormì tranquilli i suoi sonni sopra piume adultere; e se forse la spa-ventò un fantasma, figlio del suo rimorso, era l’immagine del mioritorno. Della sua perfidia chiamo a testimoni voi, letto matrimo-niale tradito e voi pareti fin troppo consapevoli. Che mi giova aver-la rigettata da me, se incancellabile, viva nell’anima, l’idea del suodelitto mi tormenta profonda; se qui tutto parla di lei, e l’aria misembra ancora vibrare della sua voce; se essa mi ritorna sempre insogno, forte dell’antica lusinga, affinché io mi risvegli sempre piùinfelice? Oh! lo spettro non mi perseguiterebbe in maniera più assi-dua, se l’avessi uccisa; e non il rimorso né il pentimento è così cru-dele come è il dolore che la mia anima prova per la sua giusta seve-rità.

32 Tolomei: Giusta?… Sei tu al riparo da un inganno, da unafalsa opinione? Ma l’errore scivola così facilmente nei giudiziumani…

CARLO MARENCO500

traveggon forse, o ’l mio intelletto è scemo?(Additandogli dalla finestra il luogo sottopo-sto.)Mira. Là dove ruïnar tue sedi,ruïnò d’una stirpe anco l’onore.Testimoni alla colpa erano quantein ciel stelle rifulgono…(Con raccapriccio.)

Di quellanotte parmi spirar l’aure infelici!Fra quegl’ingenti ruderi appiattatoer’io, quando l’indegna… Ah! mi ribollenovellamente nelle vene il sangue,e la destra sull’elsa anche mi corre,e mi sembra che il braccio un’altra voltam’afferri Ugo, e… 33

Tolommei Ti calma! 34

Rinaldo Ugo, ove sei?Lunge da Siena ove t’aggiri, o amico,da sì gran tempo? Or ché non può costui

33 Rinaldo: E che? Forse che questi occhi travedono od il miointelletto è indebolito? Guarda. Là dove le tue case andarono inrovina, è andato in rovina anche l’onore della tua stirpe. Tuttele stelle che risplendono in cielo erano testimoni alla colpa…Mi sembra di respirare le arie infelici di quella notte! Io eroappiattato tra quei grandi ruderi, quando l’indegna… Ah! ilsangue mi ribolle nuovamente nelle vene, e la destra mi correancora sull’elsa della spada, e mi sembra che Ugo mi afferriun’altra volta il braccio, e…

34 Tolomei: Calmati!

501La Pia. Tragedia

dal tuo labbro fedel…(Si ode di dentro un forte gemito.)

Oh! qual s’inteseun gemito qui presso?… Ovver m’illudeforse l’accesa fantasia?… Vaneggio?… (Suonano le tre ore.)Ahi! suonò l’ora terza! 35

(Cade come colpito da spavento sopra unasedia: silenzio.)

Tolommei (A parte.)Alta pietade

mi fa. Del traditor la sottil artegli è scusa, e il fallo involontario espiacon arcani dolori.(A Rinaldo, che rinviene.)

Odi. Quell’Ugoche nomavi testè, verace amicoè a te davver qual credi? E non ti caddesospetto mai sovr’esso? 36

35 Rinaldo: Ugo, dove sei? Dove ti aggiri, amico, da così gran-de tempo lontano da Siena? Perché ora costui non può dal tuolabbro fedele… Oh! che gemito si è udito qui vicino?… O forsemi illude la fantasia esasperata?… Vaneggio?… Ahi risuonòl’ora terza!

— L’ora terza che risuona nella mente delirante di Rinaldo sono le tredi quella notte in cui egli ha visto Pia abbracciarsi con il creduto amante.

36 Tolomei: Mi fa una grande pietà. L’arte sottile del traditore loscusa, e con misteriosi dolori espia la colpa involontaria. —Ascolta. Quell’Ugo che hai nominato poco fa, ti è veramenteamico sincero come tu lo credi? E non hai mai sospettato di lui?

CARLO MARENCO502

Rinaldo Il fatto, il fatto,non le vuote parole, ei diemmi in provadella sua lealtà. 37

Tolommei Pur quell’onestocure atroci dilaniano, e sembianted’implacabil rimorso hanno. 38

Rinaldo Che[ascolto! 39

Tolommei Lunge da’ luoghi popolati ei fuggeogni vivente aspetto; e ove più vesteselvaggio orror natura, erra solingo,pavido, irrequïeto, e ’l passo affretta,quasi inseguito, e si rivolge addietro.Su qual più d’Appennino erge la frontescosceso, alpestre giogo, ivi soventetrafelando s’arrampica, e dall’altogiù pe’ tremendi precipizii il guardoavido volve, e già sull’orlo pendere,già… Ma in quel punto un’invisibil destrapar rattenerlo: e lo diresti un uomodal Ciel dannato ad abborrir la vita,e a viver pe’ rimorsi. 40

37 Rinaldo: Il fatto, il fatto, non le vuote parole, egli mi hadato come prova della sua lealtà.

38 Tolomei: Eppure atroci tormenti dilaniano quell’onesto, edhanno l’aspetto di rimorso implacabile.

39 Rinaldo: Che sento!40 Tolomei: Lontano dai luoghi abitati, egli fugge ogni traccia

vivente, e vaga solitario, pauroso, inquieto dove la natura più

503La Pia. Tragedia

Rinaldo Il ver mi narri? 41

Tolommei Lui col bordon del peregrino in pugno,e in aspro saio penitente avvolto,pallido, macilento, e colla barbalunga sul petto e squallida, i cultoriattoniti mirar profughe l’ormeattraverso de’ campi, o in riva a’ fiumiagitar senza scopo: e v’ha chi ’l videalle soglie degl’eremi tranquilleapprossimarsi gemebondo in attod’antico peccator, che corre in cercad’un difficil perdon… Ma tocco appenail sacro limitar, s’arretra e fugge,quasi timido ei sia di vïolarlocon piè profano. 42

si riveste di orrore selvaggio, ed affretta il passo e si volta indie-tro come fosse inseguito. Spesso si arrampica ansimando suogni giogo dell’Appennino che più innalza scoscesa la cima, edall’alto volge lo sguardo avido giù per i precipizi orribili, e giàpendere sull’orlo, già… Ma a quel punto una mano invisibilesembra trattenerlo; e lo diresti un uomo condannato dal Cieload odiare la vita ed a vivere per i rimorsi.

41 Rinaldo: Mi racconti la verità?42 Tolomei: Con in mano il bastone da pellegrino, ed avvolto

in un rude saio da penitente, pallido, emaciato, con la barbalunga ed incolta sul petto, i contadini lo hanno visto attonitiattraversare da fuggitivo i campi o agitarsi senza scopo in rivaai fiumi; e c’è chi lo ha visto avvicinarsi gemendo alle tranquillesoglie degli eremitaggi, simile ad un peccatore antico che correin cerca di un perdono difficile… Ma appena tocca il sacro limi-te, si arresta e fugge, quasi temesse di violarlo con piede sacri-lego.

CARLO MARENCO504

Rinaldo E sei ben certo?… 43

Tolommei Io[stesso,

mentre in val d’Arbia ad espugnar castellacolla guelfa vittrice oste mi stava,da voci, che correan timide e vaghepria fui mosso al sospetto: indi mi diedil’orme a spiar del fuggitivo, e tantomi fu propizio il giusto Ciel, che in brevedi scontrarlo m’avvenne. Ei, come l’occhiosu me gli corse, allibbì, vacillaronglile ginocchia, fuggir volea: ma lì,come impietrito, immobile ristette,poi, sia disperazion, che in lui destasseun estremo coraggio, o che rimasoqualche nobile spirto in sen gli fosse,levò la testa alteramente, e tuttada sommo ad imo furïando scindersil’umil sua veste, e in ferrea maglia astrettesvelar le membra, e il brando al fianco, un lampofu. « Giudizio di Dio sui nostri acciari! »fieramente gridò. L’empio invocavail giudizio di Dio, ma in cor sua spemetutta degli anni alla ragion disparifidava: e non sapea quanto a tor valga,o ad accrescer vigore a un braccio umanola ragion della causa. Il brando io dunquesnudo, e vindice Iddio degl’innocentialtamente chiamando… Ma che giova

43 Rinaldo: Ne sei proprio sicuro?…

505La Pia. Tragedia

che alla tua mente allucinata il velod’un orribile inganno a strappar tardi?(Porgendogli un foglio.)Prendi, infelice, questo foglio, e leggi. 44

Rinaldo Che fia?… D’Ugo i caratteri son questi!(Lo scorre rapidamente in silenzio conmolta commozione.)Me misero, che lessi!… Oh! tradimento!… Sposa innocente mia, quanto fui tecoingiusto e crudo! 45

44 Tolomei: Io stesso, mentre me ne stavo in val d’Arbia conil vittorioso esercito guelfo ad espugnare castelli, fui primamesso in sospetto da voci che correvano timorose ed impreci-se; quindi mi misi a spiare le tracce del fuggitivo, ed il giustoCielo mi fu così propizio che in breve mi capitò di incontrar-lo. Non appena l’occhio gli corse su di me, egli allibì, gli vacil-larono le ginocchia, voleva fuggire: ma rimase lì, immobile,come impietrito. Poi, fosse disperazione che destasse in lui unestremo coraggio o che gli fosse rimasto in petto qualche nobi-le sentimento, alzò superba la testa, e fu un lampo strapparsicon furia la sua umile veste, e mostrare le membra strette inmaglia ferrea, e la spada al fianco. Fieramente gridò: « Giudi-zio di Dio sulle nostre spade! » L’empio invocava il giudizio diDio, ma in cuor suo confidava ogni speranza sulla differenzadi età, diversa dall’avere ragione, e non sapeva quanto possatogliere od accrescere vigore ad un braccio la giustizia dellacausa. Io sfodero dunque la spada, ed invocando a gran voceIddio vendicatore degli innocenti… Ma a che serve che io tardia strappare dalla tua mente allucinata il velo di un orribileinganno? Infelice, prendi questo foglio e leggi.

45 Rinaldo: Che sarà?… Questa è la scrittura di Ugo! Miserome, cosa ho letto!… Oh tradimento!… O mia sposa innocente,quanto sono stato ingiusto e crudele con te!

CARLO MARENCO506

Tolommei In avvenir tu credi,pria ch’a’ tuoi lumi, che ingannar ti ponno,a specchiata virtù. 46

Rinaldo (Dopo aver riletto il foglio.)Ma non fia poi

un inganno quest’esso, una menzogna?Non son d’Ugo i rimorsi un’ingegnosafola all’uopo tessuta? E non l’avrebbea se medesmo calunniar costrettola tua pietà paterna? A questo foglio,che tu stesso mi porgi, io ciecamentepresterò fede? 47

Scena quarta. Tolommei, non osservato da Rinaldo,avrà fatto un segno verso la parte ond’è venuto inscena. Al momento che Rinaldo profferisce l’ultimaparola, compare Ugo ferito nel petto, reggendosi astento, appoggiato a due guerrieri, smunto e pallidis-simo, con barba lunga, e in veste di peregrino lacerasul davanti.

Ugo Ad un morente credi. 48

46 Tolomei: In futuro, prima che ai tuoi occhi, i quali ti pos-sono ingannare, credi ad una virtù esemplare.

47 Rinaldo: Ma non sarà poi proprio questo un inganno, unamenzogna? I rimorsi di Ugo non sono una favola ingegnosaappositamente inventata? E la tua pietà paterna non l’avrebbecostretto a calunniare se stesso? Crederò ciecamente a questofoglio che tu stesso mi porgi?

48 Ugo: Credi ad un morente.

507La Pia. Tragedia

Rinaldo Oh! vista! 49

Tolommei Io qui nell’ora sua supremafei strascinarlo a confermar col labbro,poi che un debile spirto anco gli resta,di quel foglio le note. 50

Rinaldo Empio! E[potesti?… 51

Ugo Non teme ira mortal, giudice umanonon paventa colui, che all’atterritopensier dinanzi ha il Giudice divino,e l’eterna vendetta. Odi, Rinaldo:null’altra forza mi dettò lo scritto,che la forza del ver. Potea, volendo,meco trar nella tomba il mio segreto.Pria d’or svelato anco l’avrei: ma vintofu da troppa vergogna il pentimento. 52

49 Rinaldo: Che vedo!50 Tolomei: Io lo feci trascinare qui a confermare, nella sua

ultima ora, le parole di quel foglio con la sua bocca, poichéancora gli resta un debole spirito.

51 Rinaldo: Empio! Ed hai potuto?… 52 Ugo: Non teme ira mortale, non teme giudice umano, chi

davanti al pensiero atterrito ha il Giudice divino e la vendettaeterna. Ascolta, Rinaldo. Nessuna altra forza, se non la forzadella verità, mi ha dettato quello scritto. Se avessi voluto, avreipotuto portare il mio segreto con me nella tomba. L’avrei svela-to anche prima d’ora: ma il pentimento fu vinto dalla troppavergogna.

CARLO MARENCO508

Rinaldo (Con furore, in procinto di avventarsi su Ugo.)Tal delitto a punir fia troppo lentaquella ferita. 53

Ugo Oh! ti prevengo.(Si strappa le bende.)

A terrabrevi ritegni d’odïosa vita.(Cade.)Ah! non fugge col sangue il mio rimorso!Eternamente l’anima infelicemi roderà. 54

(Spira, e viene strascinato via dai due guer-rieri.)

Rinaldo Volo a’ tuoi piedi, o sposa.(A Tolommei.)Deh! tu meco ne vien del suo perdonoIntercessor. 55

Tolommei Pur che si giunga in tempo. 56

53 Rinaldo: Quella ferita sarà troppo lenta a punire un taledelitto.

54 Ugo: Oh! ti precedo. A terra, brevi ripari di una vita odiosa.Ah! il mio rimorso non fugge con il sangue! Mi roderà in eternol’anima infelice.

55 Rinaldo: O sposa, volo ai tuoi piedi. — Deh! tu vieni conme per ottenermi il suo perdono.

56 Tolomei: Purché si giunga in tempo.

509La Pia. Tragedia

Giornata quinta

Vasta campagna deserta e paludosa nella Maremma diSiena, sparsa di tumuli con croci, fiancheggiata daselve, e col prospetto in fondo delle montagne. A sini-stra la porta del castello di Rinaldo, al quale si va perun ponte levatoio praticabile, sospeso sur uno stagno.La Pia estenuata, pallida, tremante, esce dal castellocamminando a stento, e sostenuta dal Primo Castella-no.

Pia Sperai che almen dopo i diurni ardori,di questa luce al tramontar, più lieviavrei spirate negli aperti campi,e men fervide l’aure. E tu benignom’hai questa breve libertà concessa;di ch’io con voce moribonda il Cieloche te rimerti prego. Ah! non risposel’effetto alla speranza. Il sen non menoqui, che dentro alle mie squallide stanze,m’avvampano, e ’l respir soffocan questeaure maligne. Ecco, nel ciel d’ignitefalde, e di sangue in occidente sparso,d’un dì più tristo la minaccia io leggo:quindi all’occaso di mia vita anelo,e pavento il dimane. 1

1 Pia: Ho sperato che almeno dopo la calura del giorno, al tra-monto di questa luce, nei campi aperti avrei respirate arie piùleggere e meno infuocate. E tu, benevolo, mi hai concesso que-sta breve libertà, e di questo con voce moribonda io prego il Cielo

CARLO MARENCO510

Castellano Oltre l’usatofieri in quest’anno dal leon saettai rai nocenti il sol. Natura istessacontro il tenero fior di tua salute,par congiurata. Ah! non dovrìa coll’uomogareggiar di ferocia, e contemplandoquesta dolce beltà che si consuma,dell’immite stagion, del feral climadovrìa, se un senso di pietade avesse,temperare il rigor. 2

Pia L’infermo fiancosopra quel sasso adagerò.(Siede.)

Mi parvetalor, sognando, per fiorite piaggevagar agile e sciolta: e tutto allorail vigor delle mie giovani membracredei sentirmi. O colli ameni, ov’io

che ti ricompensi. Ah! il risultato non ha corrisposto alla spe-ranza. Queste arie maligne mi soffocano il respiro e mi incen-diano il petto qui non meno che nelle mie squallide stanze. Ecco,nel cielo cosparso verso occidente di falde infuocate e di sangue,io leggo la minaccia di un giorno peggiore: quindi anelo al tra-monto della mia vita e temo il domani.

2 Castellano: In quest’anno dalla costellazione del leone il solescaglia i propri raggi nocivi più forti del solito. La stessa naturasembra congiurata contro il tenero fiore della tua salute. Ah! essanon dovrebbe gareggiare con l’uomo in ferocia e, contemplandoquesta tua dolce beltà che si consuma, se avesse un sentimentodi pietà, dovrebbe attenuare il rigore della stagione crudele e delclima funesto.

511La Pia. Tragedia

col mio sposo solea gl’estivi rezzifruir giulivamente! O refrigeriodelle sanesi fonti, ed aer dolcedella terra natìa! 3

Castellano Donna!… 4

Pia Una gioia— ultima! — io qui mi promettea, l’aspettodella terra e del ciel col sospirosoavido sguardo del supremo addioabbracciando, bevendo. Oh! dimmi! È nebbiaforse, che vespertina all’aer levasidal paludoso limo, ovver discesesulle mie luci indebolite un velo?Del monte dell’Argento indarno io cercole oscure cime: e innanzi a me sol veggoriarse lande, sterili, d’umanovestigio nude, cui fan negra siepel’ombre giganti delle selve antiche.Tutto è lugubre qui! D’estivi insettimetro discorde e stridulo più tetrami fa cader sull’animo la noia.(Compare una contadina nel fondo, la qualesi pone in ginocchio sopra un tumulo.)

3 Pia: Riposerò su quel sasso il mio corpo malato. Talvolta,in sogno, mi sembrò di vagare agile e sciolta per campi fioriti,ed allora credei sentirmi tutto il vigore delle mie giovani mem-bra. O dolci colli, dove ero solita godere gioiosamente le frescu-re estive insieme al mio sposo! O refrigerio delle fonti di Siena,ed aria dolce della terra nativa!

4 Castellano: Donna!…

CARLO MARENCO512

Parmi lontan lontano udir la mestasquilla del dì morente. Il flebil suonom’intenerisce ed a plorar m’invoglia.— Oh!… qual donna vegg’io là genuflessasovra un sepolcro? Misera! La terrabacia pregando, e par che pianga. Ah! dunquesola qui la mia lagrima non scende:ho compagni al dolor! Deh! mi concedi,ch’io dappresso la vegga, e le ragioni. 5

Castellano (Alla contadina.)Per poco il tuo pietoso atto interrrompi,e a lei, che teco favellar desìa,rispettosa t’accosta. 6

5 Pia: Una gioia — l’ultima! — io mi ripromettevo qui,abbracciando, bevendo, con lo sguardo sospiroso, avido, del-l’ultimo addio la vista della terra e del cielo. Oh dimmi! È forsenebbia della sera che si alza in aria dal fango della palude,oppure sui miei occhi indeboliti è sceso un velo? Invano ioricerco le oscure cime del monte Argentario, ed innanzi a mevedo soltanto distese aride, sterili, prive di ogni traccia umana,a cui fanno nera siepe le ombre giganti delle antiche foreste.Qui tutto è lugubre! Il canto dissonante e stridulo di insettiestivi mi fa cadere più triste la noia nell’anima. Mi sembra diudire lontano lontano la mesta campana del giorno che muore.Il debole suono mi intenerisce e mi dà voglia di piangere. —Oh!… chi è quella donna che vedo là inginocchiata sopra unatomba? Misera! Bacia la terra, pregando, e sembra che pianga.Ah! dunque qui la mia lacrima non scende da sola: ho dei com-pagni di dolore! Deh! concedimi che io la veda da vicino, e leparli.

— Gli striduli insetti estivi sono le cicale.6 Castellano: Interrompi un poco il tuo atto pietoso, e rispetto-

samente avvicinati a lei che desidera parlare con te.

513La Pia. Tragedia

Contadina (Alzandosi, ed accostandosi alla Pia.)A me ti degni,

o Signora… Ma che? Del maremmanocrudel morbo in balìa languir tu sembri.Quanta pietà mi fai! Ma tu, che in voltola maestà d’un gran natal pur serbi,perché a spirar dalla città ne vieniqueste vampe omicide? 7

Pia A me ragionadelle mie no, ma delle tue sventure. 8

Contadina Deh! chi sei tu, che a lamentar gli altruii proprii mali obblii? Donna! La terra,che tutta irta di tumuli e di croci,quasi funebre campo, intorno miri,è una terra crudel, che a’ cultor suoi,premio de’ lor sudori, apre la tomba. 9

Pia E a me pur l’aprirà. — Segui. 10

7 Contadina: A me ti degni, o signora… Ma che? Tu mi sem-bri languire in preda al crudele male maremmano. Quantapietà mi fai! Ma tu, che conservi nel volto la maestà di unanascita grande, perché dalla città te ne vieni a respirare questefiamme omicide?

8 Pia: Non parlami delle mie sventure, ma delle tue.9 Contadina: Deh! chi sei tu che, per compiangere quelli degli

altri, dimentichi i tuoi propri mali? Donna! La terra che vediintorno tutta coperta di tumuli e di croci, come un camposan-to, è una terra crudele che a chi la coltiva, come premio dei suoisudori, apre la tomba.

10 Pia: Anche a me l’aprirà. — Prosegui.

CARLO MARENCO514

Contadina Sul capodel mio giovine sposo, ahi! duramentecolà discese. Una straniera spicamentre curvo ei mietea sotto la gravemeridïana sferza, uscìan letali,negri vapor dal maledetto suolo;e l’infelice, che beveali, comefoglia tremando al sol, languide e fessealfin le membra sul terren distese,e più non surse. Il lamentevol gridode’ pargoletti, che dimandan pane,impavido lo spinse a perigliosilavorii qui, ’ve spesso agl’inclementigenii del loco nel fervor dell’oprel’incauto agricoltor vittima cade.A sì gran prezzo alimentarne, o caro,perché volesti? Or nel percosso tettopiangon vedova ed orfani, imprecandoagli avari signor della Maremma,cui giova il frutto d’una gleba infaustacoltivata col sangue. 11

11 Contadina: Colà essa discese, ahi! duramente, sul capo delmio giovane sposo. Mentre egli curvo mieteva un grano nonsuo sotto il sole battente del mezzogiorno, dal suolo maledettouscivano vapori neri, mortali; e l’infelice che li beveva, treman-do come foglia al sole, alla fine distese le membra languide estanche sul terreno, e non si rialzò più. Il pianto lamentoso deipiccoli che chiedono pane lo spinse, coraggioso, ai pericolosilavori di qui, dove spesso nel fervore delle opere l’incauto agri-coltore cade vittima per le crudeli divinità del luogo. — Perchévolesti, o caro, alimentarci a così grande prezzo? Ora nella casacolpita piangono vedova ed orfani, maledicendo gli avari signo-

515La Pia. Tragedia

Castellano Audace!… 12

Pia (Alla contadina.)Ah!

[taci,né l’imprecar de’ miseri s’aggiungaa mie tante sciagure! E se al mio sposo,cui mal conosci, per le colpe aviteun qualche danno il Ciel minaccia, ah! tuttoscenda sul capo mio.(Silenzio. La contadina presa da rammaricoper l’imprudente detto, col quale offese invo-lontariamente la Pia, le chiede co’ gesti per-dono. Questa si stacca dal collo un riccomonile, e porgendolo alla contadina dice.)

Prendi. Sollievoall’inopia e al dolor porgi con questegemme, che a me di mie dovizie tanterimaser sole — e inutili. Ah! quell’una,che mi fu cara,(Accennando l’anello, che le fu tolto.)

e nel sepolcro mecocredea portarla, io più non l’ho. Strappatacrudelmente mi fu. L’ho vista a terragittar rabbiosamente, e nella polvepestar, frangerla… Oh ciel! Sul corpo miopiù lievemente tollerati avrei,

ri della Maremma che traggono vantaggio da una terra di mortecoltivata con il sangue.

12 Castellano: Insolente!…

CARLO MARENCO516

che sulla cara marital mia gemmasiffatti spregi. 13

Contadina Ah! datti pace! 14

Castellano Il Cieloio chiamo in testimon, che a quest’ufizioimpietoso io non nacqui. Andronne a Siena:pur contro il grave suo divieto andronneal tuo consorte, al Signor mio. Le antichemie cicatrici, e il non ignobil brandogli mostrerò: « Guerrier son io, dirogli:perché oltraggiar così del veteranol’onorata canizie: e quasi al mondogran penuria di vili anime fosse,a vil opra abborrita a forza pieghiun’alma generosa? » 15

13 Pia: Ah taci, ed alle mie sventure non si aggiunga la male-dizione dei miseri! E se per le colpe degli antenati il Cielominaccia un qualche danno al mio sposo, che tu conoscimale, ah! scenda tutto sul capo mio. Prendi. Con questegemme, che sole ed inutili mi sono rimaste di tante mie ric-chezze, porta sollievo alla miseria ed al dolore. Ah! quella solache mi fu cara e che credevo portare con me nella tomba, ionon l’ho più. Mi fu strappata crudelmente. L’ho vista gettarerabbiosamente a terra, e pestare nella polvere, spezzarla… OhCielo! Avrei sopportato simili disprezzi più facilmente sul miocorpo che non sulla mia cara gemma nuziale.

14 Contadina: Ah datti pace!15 Castellano: Io chiamo il Cielo a testimone che io non

sono nato per questo dovere spietato. Andrò a Siena: anchecontro il suo severo divieto, andrò dal tuo consorte, dal miosignore. Gli mostrerò le mie cicatrici antiche e la non igno-

517La Pia. Tragedia

Pia Ah! se tant’osi,dell’innocenza mia pur gli ragiona.Digli che qui ne venga — e che s’affretti,se la sua pace ha cara — a udir tal cosadal labbro mio, ché più tardi saputapiombar grave sull’alma e disperatoil pentimento gli farà… (Con entusiasmo.)

No, sposo!Pera la fama mia su questa terra,e con queste mie stanche ossa risurgasol nell’ultimo dì, se troppo acerboil disinganno esser ti debbe. — A luivanne tu dunque, e… che diss’io! Legatacon nodi inestricabili di fraudemi venne ogni discolpa.(Alla contadina.)

O amica! Almenosul tuo diletto lagrimata posala sepolcral sua terra, e nelle piecanzon de’ toschi mietitor lodatosuonerà il nome suo; ma sul mio capoeternamente peserà, ché lievefa la gleba ai sepolcri il pianto umano,e una santa memoria. Oh! la rugiadaquesti invan sitibondi ed arsi campiconsolar pria vedrai, che l’avel mio

bile spada. Gli dirò: « Io sono guerriero: perché insultarecosì gli onorati capelli bianchi del veterano? E perché pie-ghi a forza un’anima generosa ad un’opera vile, aborrita,come se al mondo ci fosse grande mancanza di anime vili? »

CARLO MARENCO518

mortal lagrima bagni. Una calunniadel mio nome s’indonna. Anzi che questemembra afflitte si sfascino, già toltam’è la vita dell’anima, l’onore,il mio femmineo onor, che già sì belloe illibato splendea: d’orrenda nubel’offuscò la menzogna, ed è omai spentosu questa terra, ove d’onor si vive.Giusto Cielo, vendetta! 16

Contadina Oh che mai sento! 17

16 Pia: Ah! se osi tanto, parlagli anche della mia innocenza.Digli che venga qui — e si affretti, se ha cara la sua pace — adudire dalla mia bocca cosa tale che, se saputa più tardi, glifarà piombare sull’anima grave e disperato il pentimento…No, sposo! Perisca la mia fama su questa terra e risorga conqueste mie stanche ossa solo nell’ultimo giorno, se il disin-ganno deve esserti troppo aspro. — Va dunque da lui, e… cosaho detto! Ogni discolpa mi venne legata con i nodi di unafrode inestricabile. — O amica! Almeno sul tuo amato posacompianta la sua terra sepolcrale, ed il suo nome risuoneràlodato nelle canzoni pie dei mietitori toscani: ma sul miocapo peserà eternamente, perché il pianto umano ed unasanta memoria rende lieve la terra ai sepolti. Oh! vedrai larugiada consolare questi campi invano desiderosi di acqua eriarsi, prima che lacrima umana bagni la mia tomba. Unacalunnia possiede il mio nome. Prima che queste membraafflitte si disciolgano, già mi viene tolta la vita dell’anima, l’o-nore, il mio onore di donna, che prima risplendeva così belloe puro: la menzogna lo ha ricoperto con una nube orribile, edormai esso è spento su questa terra, dove si vive di onore.Giusto Cielo, vendetta!

17 Contadina: Oh che sento mai!

519La Pia. Tragedia

Castellano A te fann’eco in dimandar vendettatutte l’alme pietose. 18

Pia Ah no! Perdono!E possa ancor nel mio supremo affannol’ultima voce mia suonar perdono.(Facendo alcuni passi per ritornare al ca-stello.)Addio luoghi infelici! A me v’abbellail pianto ond’io v’aspersi: e il Ciel più miteguardi una terra, che de’ fior si vestedel mio martirio.(Alla contadina.)

Tu, quando al novellobiondeggiar della messe amor trarrattisu quella tomba a piangere, dintornoguarda; e se mostra di recenti glebefare un tumulo noti… 19

Contadina Ah taci! 20

Pia Allora

18 Castellano: Tutte le anime pietose ti fanno eco nel doman-dare vendetta.

19 Pia: Ah no! Perdono! Ed anche nel mio estremo affannopossa la mia voce suonare perdono. Addio luoghi infelici! Ilpianto con cui vi ho bagnati vi rende belli ai miei occhi: ed ilCielo guardi più mite una terra che si ricopre dei fiori del miomartirio. — Tu, quando al nuovo biondeggiare delle messiamore ti condurrà a piangere su quella tomba, guarda intorno,e se noti un tumulo che mostra zolle recenti…

20 Contadina: Ah taci!

CARLO MARENCO520

ricorditi di me, che son la Pia.Siena mi fe’: disfecemi, tu ’l vedi,questa fatal Maremma.(Abbraccia la contadina.)

Addio! 21

(S’avvia col castellano per ritornare alcastello.)

Scena seconda. La Pia, il castellano.

Castellano Qual odorumor frequente? Calpestìo mi sembradi correnti cavalli. 22

Pia Ahimé! Tu faipossentemente palpitarmi il core. 23

Castellano Sì da lontano a questa volta io veggodue cavalier da due scudier seguitimover precipitosi. 24

Pia Ah! se l’un d’essiRinaldo fosse! 25

21 Pia: Allora ti torni memoria di me che sono la Pia: Siena miha fatta: questa Maremma fatale, lo vedi, mi ha disfatta. Addio!

22 Castellano: Cos’è questo rumore concitato che sento? Misembra un calpestio di cavalli che corrono.

23 Pia: Ahimè! Tu mi fai palpitare violentemente il cuore.24 Castellano: Sì. Da lontano io vedo due cavalieri seguiti da

due scudieri venire precipitosi in questa direzione.25 Pia: Ah se uno di essi fosse Rinaldo!

521La Pia. Tragedia

Castellano Nel castello or mecorientra. 26

Pia No: qui rimaner vogl’io.questo favor deh! non negarmi. 27

Castellano Oh mira!Già dall’arcione i cavalier balzaro.Ecco a’ scudier fidan le briglie, e avviansipedestri qui, ché il suol lubrico e mollefa perigliosa a’ corridor la via. 28

Pia Questi occhi, ahi! nulla veggono.29

Castellano M’inganno?Del mio Signor le insegne… 30

Pia Che dicesti! 31

Castellano E al portamento, agli atti…32

Pia Ebben?…33

26 Castellano: Ora rientra con me nel castello.27 Pia: No, voglio restare qui. Deh! non negarmi questo favore.28 Castellano: Oh guarda! I cavalieri sono già balzati di sella.

Già affidano le briglie agli scudieri e qui si avviano a piedi, per-ché il suolo scivoloso e molle rende pericolosa la via ai cavalli.

29 Pia: Ahi! questi occhi non vedono nulla.30 Castellano: M’inganno? I simboli del mio signore… 31 Pia: Che hai detto?32 Castellano: E dall’andatura, dai gesti… 33 Pia: Ebbene?…

Castellano Non[erro 34.

Pia Come?… 35

Castellano È desso. 36

Pia E fia ver? — S’anco ei[venisse

a uccidermi, ben venga. 37

Castellano Ah no! 38

Pia Di[caldo

sudor la fronte ho madida… Sostienmi.Tanta è la piena degli affetti… Io sentotutta tremarmi, e vacillar. 39

Castellano T’affida.Seco è il tuo genitore. 40

34 Castellano: Non sbaglio.35 Pia: Come?… 36 Castellano: È lui.37 Pia: E sarà vero? — Se anche egli venisse per uccidermi, ben

venga.38 Castellano: Ah no!39 Pia: Ho la fronte bagnata di caldo sudore… Sostienimi.

Tanto è grande la foga dei sentimenti… Mi sento tremare tutta,e vacillare.

40 Castellano: Affidati a me. Il tuo genitore è con lui.

522

523La Pia. Tragedia

Pia Ei pur?… 41

Castellano Col[padre

no, non verrìa, se qui crudel venisse. 42

Pia La gioia è che m’opprime. 43

Castellano Orsù, raccoglii tuoi smarriti spirti. A te vicinigià son essi. 44

Pia Li veggo! 45

Scena terza. Rinaldo, e Tolommei giungono affanno-si. La Pia fortemente commossa fa alcuni passi perincontrarli. Vuol parlare, ma non può articolar laparola.

Tolommei Oh figlia! 46

41 Pia: Anche lui?… 42 Castellano: No, non verrebbe con tuo padre, se venisse qui

con intenzioni crudeli.43 Pia: È la gioia che mi soffoca.44 Castellano: Su, raccogli le tue forze perdute. Essi già ti

sono vicini.45 Pia: Li vedo!46 Tolomei: Oh! figlia!

CARLO MARENCO524

Rinaldo Oh[sposa! 47

(Cade subito in ginocchio a’ suoi piedi.)

Pia Rinaldo!… 48

Rinaldo (Col viso basso.)Pia!… Mira; a’ tuoi pie’

[prostrato… 49

Pia Sorgi! 50

Rinaldo Il perdon del mio gran fallo[imploro. 51

Pia Tu… 52

Rinaldo (Sempre in ginocchio col viso a terra.)Dagli occhi strappata alfin la benda

mi fu. Sien grazie al padre tuo. Quel perfido. 53

Pia Di lui non più. Vieni al mio petto. 54

47 Rinaldo: Oh! sposa!48 Pia: Rinaldo!… 49 Rinaldo: Pia!… Guarda; prostrato ai tuoi piedi… 50 Pia: Alzati!… 51 Rinaldo: Imploro il perdono della mia grande colpa.52 Pia: Tu… 53 Rinaldo: Alla fine mi è stata strappata la benda dagli occhi.

Siano rese grazie al padre tuo. Quel perfido… 54 Pia: Non più di lui. Vieni al mio petto.

525La Pia. Tragedia

Rinaldo (Alzandosi, la fissa in volto.)Oh![vista!

Come cangiata!… Ahi me spietato, infame!Per mio castigo all’universo notasia la sevizie mia. Quest’innocente… 55

Pia (In tuon di scusa.)Rea mi credevi. 56

Tolommei Del supposto falloben grave fio scontasti! 57

(La Pia accenna dolcemente al padre ditacersi.)

Rinaldo Ah! sì, un crudele,un disuman io fui! Né i muti avvisi,stolto! mai seppi interpretar del core.Rinvigorir l’egre tue membra ponno:ma chi può mai delle sofferte angoscierisarcir l’alma? Il tuo perdon non merto. 58

55 Rinaldo: Oh vista! Come cambiata!… Ahi me spietato,infame! Per mio castigo, la mia crudeltà sia nota all’universo.Questa innocente…

56 Pia: Mi credevi colpevole.57 Tolomei: Ben grave pena hai scontato per una colpa pre-

sunta.58 Rinaldo: Ah sì, io sono stato un crudele, un disumano! Né

mai, stolto, ho saputo interpretare i silenziosi avvertimenti delcuore. Le tue membra malate possono riacquistare vigore; machi potrà mai risarcire l’anima per le angosce patite? Non meri-to il tuo perdono.

CARLO MARENCO526

Pia Il merti, e l’hai.(Al castellano.)

Deh! tu, uom pio, le lagrimeche risparmiasti al mio dolor, gli narraper suo conforto. — Io ti rividi, o padre,fuor d’ogni speme. — Quante cose, o sposo,vorrei dirti, e non so. Ma tutte, tutted’un’amorosa visïon nell’ora,ombra fedele, a te dirolle in breve. 59

Rinaldo (Con istupore.)Che?…(A Tolommei.)

Forse il morbo a delirar la tragge? 60

Tolommei Da questi infetti luoghi, o Pia, t’involaprestamente con noi. La tua saluterifioriran le pure aure di Siena. 61

Rinaldo Ah! sì! Qui presso un palafren t’attende.Vieni. Tu meco la sorreggi, o padre.Deh! vieni!… Incerto il passo movi… 62

59 Pia: Lo meriti, e lo hai. — Deh! tu, uomo pietoso, narragliper suo conforto le lacrime che hai risparmiato al mio dolore.— Io ti ho rivisto, o padre, contro ogni speranza. — Quantecose, o sposo, vorrei dirti, e non so. Ma tutte, tutte te le dirò trapoco, nell’ora di una visione amorosa, come ombra fedele.

60 Rinaldo: Che?… Forse il male la porta a delirare?61 Tolomei: Da questi luoghi infetti, o Pia, fuggi presto con

noi. Le arie pure di Siena faranno rifiorire la tua salute.62 Rinaldo: Ah sì! Qui vicino ti aspetta un cavallo. Vieni.

Sostienila con me, o padre. — Deh vieni!… Muovi il passoincerto…

527La Pia. Tragedia

Pia Oh![È tardi. 63

Rinaldo Che udii! 64

Tolommei Figlia, che avvenne? Oh! come[trema! 65

Rinaldo Sposa, fa cor. — Me sventurato! 66

Pia È tardi.Ma non men duole. Il mio rapito onoremi rende, pria ch’io l’abbandoni, il mondo.Tu l’amor tuo mi rendi. In pace or compiasiil sacrificio. 67

Rinaldo Ah! non morrai! Sarebbetroppo orribile, atroce il mio rimorso.(Nel delirio della disperazione.)Deh! se non vuoi che in disperati eccessil’anima io perda, o Pia, no, non morire! 68

63 Pia: Oh! È tardi. 64 Rinaldo: Che sento!65 Tolomei: Figlia, che è stato? Oh come trema!66 Rinaldo: Sposa, fatti coraggio. — Me sventurato!67 Pia: È tardi! Ma non mi addolora. Il mondo, prima che io

lo abbandoni, mi rende il mio onore. Tu mi rendi il tuo amore.Ora si compia in pace il sacrificio.

68 Rinaldo: Ah! non morirai! Il mio rimorso sarebbe troppoorribile, troppo atroce. Deh, se non vuoi che io perda l’anima ineccessi disperati, o Pia, no, non morire!

CARLO MARENCO528

Pia La fronte al Cielo… rassegnata piega.Vivi… al pensier di me… Vivi alla figlia… Dov’è la figlia?… Ove sei tu?… Rinaldo!… Più non ti veggo… A me la destra… Sposo!…La tua destra…(Accostandosi al cuore la destra di Rinaldo.)

Qui… qui… Padre!… Ah! 69

(Spira.)

Tolommei Me[misero!

Più non respira.(A Rinaldo con furore.)

L’opra tua contempla. 70

Rinaldo (Cavando la spada per trafiggersi.)Punir saprommi. 71

Tolommei (Disarmandolo.)Fermati! Con nuove

colpe espiar presumi, empio, le colpe? 72

Fine.

69 Pia: Al Cielo la fronte… piega rassegnata. Vivi… nel pen-siero di me… Vivi per la figlia… Dov’è la figlia?… Dove seitu?… Rinaldo!… Non ti vedo più… Dammi la destra…Sposo!… La tua destra… Qui… qui… Padre!… Ah!

70 Tolomei: Me misero! Non respira più. — Rimira l’operatua.

71 Rinaldo: Mi saprò punire.72 Tolomei: Fermati! Pensi di espiare le colpe con nuove colpe,

empio?

LIONARDO MORRIONE

PIA DEI TOLOMEI

Palermo, 1858

Fig. 7 — Riproduzione del frontespizio di Lionardo Morrione, Pia deiTolomei. Tragedia, Palermo 1858.

533

Presentazione

Mentre la tragedia del Marenco veniva da venti anni rap-presentata con successo in Italia e tradotta fuori d’Italia, Lio-nardo Morrione ne riprende liberamente la trama in una tra-gedia, anche questa in endecasillabi sciolti, in cui il canoneclassico della emulazione, cioè della competizione artisticacon l’autore a cui ci si ispira, appare da lui perseguito congrande impegno, anche se con minore fortuna letteraria. Ineffetti, a parte l’ormai classico nucleo sestiniano per cui Piamuore vittima innocente di una vendicativa calunnia di Ghi-no, ed a parte la rivalità politica tra i Tolomei ed il marito dilei, che da un lato egli torna a chiamare Nello ma dall’altrolato, seguendo il Marenco, identifica con il signore ghibellinodi Siena dei tempi della battaglia di Colle (1269) — anche sepoi, seguendo, senza citarlo, il Tommasi stampato, avverteche quella tragedia familiare sarebbe avvenuta nel 1295 —per tutto il resto il Morrione si pone in puntuale emulazionecon il Marenco: dalla innovazione minore per cui Pia e Nellonon hanno una figlia, ma un figlio; alla innovazione maggio-re per cui il tragico antagonista politico di Nello non è ilpadre di Pia, ma il fratello, che qui è amato amante dellaconfidente di lei, Imelda, mentre nel Marenco appare comecaduto tra i primi nella battaglia di Colle; fino alla innova-zione assoluta e finale per cui Pia muore pugnalata personal-mente da Nello nel proprio palazzo di Siena.

Nota sull’autore. Avvocato di professione e cultore di studiclassici, Lionardo Morrione da Menfi (1824–1896) fu autoredi poesie occasionali, scrisse su questioni di storia locale ecompose alcune tragedie di argomento storico, la più impor-tante delle quali è la Pia dei Tolomei. — Sul Morrione, vediFrancesco Valenti, Lionardo Morrione e Vincenzo Navarro,Sambuca di Sicilia, Edizioni Civiltà Mediterranea, 1992.

Nota sul testo. Il testo che qui pubblichiamo è quello di Lio-nardo Morrione, Pia dei Tolomei. Tragedia, Palermo, Tipo-grafia di Francesco Natale, 1858; il libro si apre con questadedica: « Alla memoria / di / Calogerina Amodei / nata Mor-rione / che alla venustà delle forme / unì / elevatezza di mentee cuore gentile / il fratello Lionardo / dolente / della immatu-ra dipartenza / di alma sì cara / queste pagine / o. c. »

535Pia dei Tolomei

Avvertimento

Verso l’anno 1295, 1 Siena, di altre calamità dolen-tissima, veniva turbata da una domestica tragedia dafare inorridire quanti serbano un cuore inchinevole 2 acompiangere le umane sventure: Pia dei Tolomei erala vittima infelice dell’ire tremende dello esasperatomarito. Dante immortalava quella bell’anima colricordarla nel suo divino poema; ed il Sestini in tempia noi vicinissimi, togliendola a soggetto 3 di care ispi-razioni, la figurava vestita di un verso assai maestevo-le 4 e leggiadro.

Varie sono intanto le opinioni profferite 5 dagliscrittori sul vero motivo e sul modo della morte diquella sventurata, di tal modo che dell’in tutto ri-mosso non rimane il velo del mistero.

1 Come abbiamo visto studiando la questione storica dellaPia, questa data del 1295 viene ricavata dalla edizione a stam-pa (1625) della storia di Siena del Tommasi, ed è non menoerronea ed arbitraria di quella del 1269, anno della battaglia diColle di Val d’Elsa, che il Sestini fu il primo ad avanzare senzaaltra motivazione se non quella che Dante, Purgatorio, XIII,115, parla di quella battaglia; una motivazione invero assaidebole, visto che Dante ne parla in tutt’altro contesto.

2 inchinevole: incline.3 togliendola a soggetto: prendendola come soggetto.4 maestevole: maestoso.5 profferite: esposte.

LIONARDO MORRIONE536

Sin d’allora credettesi, ch’ella rinvenuta dal mari-to, conte Nello da Pietra, in adulteri abbracciamen-ti, fosse stata da lui in un castello di Maremma con-dotta, ed ivi barbaramente di sua mano svenata,ovvero da un di lui valletto, mentre la misera da unverone godea la orezza 6 della sera, fatta in giù capol-volgere. 7 Fuvvi 8 chi d’ogni disonesta colpa prese adifenderla, mostrando che i versi dell’altissimopoeta fan chiaramente addivedere, 9 che anco a queitempi la causa di quella morte, era da una oscuratenebra coperta; poiché l’austero Ghibellino, 10 ovePia alle donne di equivoca fama fosse appartenuta,anziché nel Purgatorio, l’avrebbe in alcuna dellebolge dell’Inferno gittata. Tale altro 11 assicura che ilconte Nello, nel cercare con maligno animo di coprirdi vitupero la sua donna, consumasse cotantaempietà spinto dalle ingorde voglie di passare a se-

6 la orezza: il fresco.7 Nota del Morrione: « Benvenuto da Imola, Comento a

Dante. » — Per questa citazione, vedi Benvenuto da Imola,Commento sulla Commedia di Dante: Purgatorio, V, 130–136.

8 Fuvvi: Vi fu.— Nota del Morrione: « Gigli, Diario sanese. » — Per que-

sta citazione, vedi Girolamo Gigli, Diario senese, Lucca, Ven-turini, 1723, I, p. 333–334; II, p. 44.

9 addivedere: comprendere.10 Questo austero Ghibellino è Dante, il quale, pur essendo

guelfo (di parte bianca), era stato detto Ghibellin fuggiasco daUgo Foscolo, Dei sepolcri, 174, per la sua avversione alla poli-tica di papa Bonifacio VIII, che fu all’origine del suo esilio.

11 Nota del Morrione: « Tommasi, Storia di Siena. » — Perquesta citazione, vedi Giugurta Tommasi, Dell’historia diSiena, Venezia 1625, libro VII, anno 1295, p. 138.

537Pia dei Tolomei

conde nozze con la contessa di Santafiora rimastavedova di due mariti. 12

Nell’oscurità di simile motivo, e nel poco che glistorici e cronisti di quei tempi lontani ne dissero,resta libero al poeta il campo di scegliere tra le sva-riate opinioni quella che più si adatti al suo sentireed al maggiore effetto drammatico, aprendo il varcoall’invenzione, la quale, ove non venga a ritroso conla verosimiglianza, è primo elemento delle artibelle. 13

Nella presente tragedia, che come un saggio pre-metto alla pubblicazione di altri drammatici lavori,ho preso a cagione della morte della vaga sanese, 14

una delle più fatali passioni, che suole di soventeinvadere l’animo degl’incauti mariti: la gelosia. Equesta, dalla scelleratezza di un falso amico, chedispreggiato era nei suoi sconsigliati amori da quel-l’anima angelica e tetragona 15 agli assalti della sedu-zione, venne sì oltre spinta con subdola arte, cheseppe il marito Nello cacciare in una voragine dirimorsi e pentimenti irreparabili.

E per tanto, a dare un aspetto di maggiore rilevan-za al componimento, ed un rapido cenno delle fazioniche nel decimoterzo secolo dilaniavano il bel seno d’I-talia, ho ravvicinato la catastrofe che appartiene al

12 Margherita Aldobrandeschi (1254 — dopo il 1313), fucontessa palatina di Soana, non di Santa Fiora.

13 ove non venga … arti belle: purché non sia contraria alverosimile, è una componente primaria delle arti belle.

14 ho preso … sanese: ho preso come causa della morte dellabella senese.

15 tetragona: irremovibile.

LIONARDO MORRIONE538

1295, con un anacronismo che spero mi sarà perdo-nato, all’anno 1269 in cui Siena ghibellina e Firenzeguelfa combatterono la battaglia di Colle. E perché imiei interlocutori 16 avessero in quei bellici conflittiuna forza di alto interesse, ho qualificato il conte Nelloda Pietra come Signore o capitano di Siena, ed Evaldoqual vicario di Carlo di Angiò signore di Firenze, tut-toché 17 Provenzano Salvani stesse in quel tempo acapo della signoria sanese, 18 e Guido Monforte, 19 ovve-ro Gian Beroaldo a vicario di Carlo. 20

Con tali varietà mi sono ingegnato, per quanto èin me, a dare una lieve tinta di quei tempi di turbo-lenza e di ferocia, ed a porre in contrasto le più fortipassioni, onde interessare il cuore e la mente di chiascolta o legge, ed a rendere sempre più cara la virtùe detestabile il vizio. I savi intanto non mi defraudi-no della voce del loro avvertimento, e de’ loro lumi,perocché di essi sarò ognora per giovarmi. 21

16 interlocutori: personaggi.17 tuttoché: benché.18 Nota del Morrione: « Dante, Purgatorio, canto XI. » — Per

questa citazione, vedi Dante, Purgatorio, XI, 121–142.19 Nota del Morrione: « Leo, Storia degli Stati italiani. » —

Per questa citazione, vedi Enrico Leo, Storia degli Stati italia-ni dalla caduta dell’impero romano fino al 1840, versione initaliano dal tedesco, Firenze, Società editrice Fiorentina,1840–1842.

20 Nota del Morrione: « Giovanni Villani, VII, 31; Muratori,Annali d’Italia. » — Per questa citazione, vedi Giovanni Villa-ni, Nuova Cronica, a cura di Giuseppe Porta, Modena, Fon-dazione Pietro Bembo, Guanda Editore, 1990.

21 perocché … giovarmi: perché saprò sempre trarre profittoda essi.

539Pia dei Tolomei

Personaggi

Conte Nello da Pietra.

Pia dei Tolomei, sua moglie.

Evaldo, amante di

Imelda, principessa confidente di Pia.

Ghino, amico di Nello.

Un cavaliere.

Un fanciullo di otto anni.

Guerrieri ghibellini.

Guerrieri guelfi.

L’azione è in Siena.La scena nel Palagio e nel giardino signorile.

541Pia dei Tolomei

Atto primo

Scena prima. Pia ed Imelda.

Pia Imelda, vieni; al mio dolor frementedia triegua tua amistà. Nei duri affanni,se accolto vien da seno amico, è dolceconforto al core solo il pianto.

Imelda Insiememi avrai per sempre a lacrimar. Men triste del tuo non è questo cuor mio. Di affettivissi lunga ora, ed a’ verdi anni in senosolo un amor mi fé beata. In erbatronca la guerra ha la mia speme, e oscillatra vita e morte questo cor.

Pia Se vivimesta lontana da un amante, anche io uno sposo adorato ho in campo. Il vidi,cinto di ulivo, a me di accanto l’auradella pace fruendo, inteso a farmi,quanto può un uomo, ognor felice: io colsicome nei sogni dell’amor l’ebbrezza;e del contento in estasi rapita,cara allo sposo, a’ sudditi diletta,meno che donna, io diva fui. Malnatogenio di guerra l’itale cittadior scinde in parti, e le sovverte: acutosi erge il pugnal del fratricidio; e rottoin tai dissidi di ogni patto il nodo,

LIONARDO MORRIONE542

ove gloria splendea rosseggia il sangue.È fremito dovunque, orrida garadi furor guelfo e ghibellin; la strageogni core corrompe; ed ogni mente a ferocia rivolge. E nei conflittiche al pianto muovono, poteaa comun danno la natal mia terratrarsi dall’infierir? Sotto il vessillodel ghibellino ardire in Monteapertiella vittrice destò invidia: schiusedi Aldobrandino a pro di Siena i colmiaurei forzieri; 1 e i Pannocchieschi conticon le loro castella sottomise.Tanto valor potea non esser segnodelle spade de’ guelfi? In Colle or ardeguerra crudel sterminatrice; 2 in grembodella patria frattanto, accesi d’ira,patrizi illustri e rabidi 3 plebeia nimistà si destano; gavazzaognun nel sangue; ed il mio cor si struggetra funesti presagi.

Imelda Avverso un fatonoi danna tutti a lungo pianto.

1 Aldobrandino è Ildobrandino il Rosso, conte palatino diSoana; caduto prigioniero dei Senesi nella sanguinosissimabattaglia di Montaperti (4 settembre 1260), egli fu liberatosolo dopo aver pagato uno grosso riscatto di diecimila fiorinid’oro.

2 La battaglia di Colle di Val d’Elsa ebbe luogo l’8 giugno1269.

3 rabidi: furiosi.

543Pia dei Tolomei

Pia Ahi! mestapiù di ogni altra è quest’alma! Iddio cospargeil cammin di mia vita ormai di spinea calcarsi terribili: non puote più la vittoria lusingarmi; tuttomi torna infausto e mi spaventa. In furiadal popolo reietto il mio germano 4

dal suol nativo, di ogni ben spogliatoesule unissi insiem co’ guelfi. A Carlo 5

giura sul brando fedeltà: ricevealti in cambio da lui poteri; e correrotto 6 in Val di Elsa a truce guerra. In campoecco nemici i duo cognati. 7 Ah! vedi,vedi se a dritto or mesta io son! Se un votoalzar senza delitto al cielo io possa,che aspro rimorso non mi desti. Iniqua sarei consorte, o suora rea. Tu sola,tenera amica, puoi placar pregandol’ira ultrice 8 del ciel, la rabbia atroce,che, cieco nel desìo, sospinge all’armicol ferro in pugno il mio fratel, tu che hail’impero del suo cor. Tu puoi…

Imelda Potrei,

4 germano: fratello.5 Carlo: Carlo I d’Angiò, re di Napoli e Sicilia (1266–1285),

capo dei guelfi italiani. 6 rotto: veloce.7 I due cognati: Evaldo guelfo e Nello ghibellino, l’uno fra-

tello l’altro marito di Pia.8 ultrice: vendicatrice.

LIONARDO MORRIONE544

debol fanciulla, il ben che il cuor sospiraraggiungere, e tener?

Pia Melati accentioh quanta han possa 9 di donzella amantenel cor del prode che pure ama! Un detto,un cenno, un voto sol, che additi in le armiuna fronda di gloria, all’ardimento vieppiù l’accende: lo disarma e il chetase pace e amor detta il bel labbro. Al campovola; ti affretta; a noi soltanto avanza,dolce rifugio, questa speme. 10 È belloper la patria affrontar perigli; e fassisì eroina una donna. In mezzo all’armi,ove morte grandeggia, angiol saraidi pace consigliero, angiol dilettoche in amor cangerai gli odi fatali. Te ben felice! che ottener tra tuttel’itale donne ora potrai la famadi salvatrice della patria: un nomeche rispettar dalle venture etadifarà, qual ara, 11 il tuo sepolcro!

Imelda In senomaggior del sesso tu sai farmi il core. Sì; volerò: l’alba novella al campome vedrà tra le spade; è sacra, o Pia,alla patria mia vita: il ciel secondi

9 possa: forza.10 speme: speranza.11 ara: altare.

545Pia dei Tolomei

questa dolce speranza, e benedical’opra ardita che tentasi. Supremo,pari al periglio, il sacrificio or sia. Ah! se col pianto sopra il cor del prodeil trionfo io mi avrò, se otterrò il benedi una pace che anelasi, felicedi te più mi vedrai. Di guerra al gridopur rifugge il cor mio; pace mi è carapiù di ogni ben di questa terra. Ahi! sordos’egli alla voce dell’amor, più intesosempre alle pugne, il pianto mio, la preceporrà in non cale; tra gli ostili brandime vittima a turbare i suoi trionfimirerà nella polve; e un grido acutodell’ombra mia nelle ore del silenziolo colmerà di cupo duol, di affanno.

Pia Iddio ti assista!…

Imelda E sia la patria salva!

Scena seconda. Pia sola.

Salva la patria?! O dolce idea! Che destanel cuore, avvezzo a sanguinar per duolo,un senso arcano, un palpito. Di gioiasperata è desso il palpito; l’arcanodi mille voluttà, che a’ dì tranquilli,solo profonde 12 al mesto cor la pace.

12 profonde: infonde.

LIONARDO MORRIONE546

Di lieto fine, o sommo Iddio, coronaquesta, che attuta 13 le sventure e il pianto,infiorata speranza. Ah! tu, che un raggioconsolator versi nell’alma, ascoltala prece d’un’afflitta!… Assai di affannoversai lacrime amare; or sia che io possafruire il ben che il cor desìa?… Consuolo 14

il ciel non dona a’ miseri?… Nel pettosento agghiacciarmi il core!… Alla sventuradell’uom dannata è l’empia stirpe? Oh idea,tu desti in me fatal presentimento,e, quasi estinta la mia speme, orrendofai l’incarco del duolo. 15

Scena terza. Ghino e Pia.

Ghino In preda al piantoa che intristire il fior degli anni? Avversonon è, qual pensi, il fato tuo: tel pinge 16

in sì oscure sembianze accesa menteche or dechina 17 a mestizia. Un dì te vidi,come il Genio de’ fior, cinta di rosein bianche vesti passeggiar la reggiatutta gioia e sorriso; e all’alme oppresse,a cui sacra è beltà, tu, tu apparivi

13 attuta: attenua.14 consuolo: conforto.15 l’incarco del duolo: il peso del dolore.16 tel pinge: te lo dipinge.17 dechina: inclina.

547Pia dei Tolomei

quale angiol caro di un beato sognoche fa dolce la vita. Or sì piangente,benché leggiadra ancor, sembri lo spirtoche fra le tombe aggirasi. Ahi! ne gemeteco il cor di chi sente!

Pia Ai dì tranquillisol si addice la gioia; affanno e piantoquando è afflitta la patria.

Ghino E dessa 18 è salva.

Pia Ahi! di un color che il ciglio mio non vedeperché pingi 19 le cose? Ov’è sventura,che lega l’alme a sue catene, indarnovuolsi gaudio destare. Io fui beata,e al mio gioire i popoli, fedelial trono e all’ara, 20 di contento l’aurerespiraron tranquilli: or che fan grama, 21

rotti in parte, 22 la patria, in sul mio labbropuò stare il riso e dentro al cor la gioia?

Ghino Ah sì! Cessato è il parteggiar 23 tremendo:calma le ambascie; 24 e in te ritorna. Insonnipassò le notti e travagliati i giorni

18 E dessa: Ed essa.19 pingi: dipingi.20 all’ara: all’altare21 grama: infelice.22 rotti in parte: divisi in fazioni.23 parteggiar: dividersi in fazioni.24 ambascie: angosce.

LIONARDO MORRIONE548

chi la patria dilige; e in pien Senatoquesto labbro tuonò sì che, riaccesidi caldo amor tutti dei Padri 25 i petti:lieta un’alba or risorge. In Siena è spenta,mercé quei saggi, 26 ogni discordia. Un soloche accende i cuor sanesi è il voto: intieroa te serbar l’alto dominio. I nomidi Ottimati e plebei 27 più non si udranno,ché, strette a un patto le diverse classi,cittadini si appellano. Pel campo,che aita 28 chiede di agguerrita gente,poderosa preparasi falange 29

con l’arme in pugno a sostener quei drittiche giustizia fa sacri. Il ciel secondatutto a tue brame; a che serbar nel senodunque mestizia, ed addoppiar sospiri?

Pia A mestizia e a sospiri or più che dianziil nuovo ordin di che tu mi favelli 30

certamente ne chiama. Alma che curipoco gli affetti che a noi die’ naturarestar sorda potrìa. Fratello e sposoho nemici sul campo; e ancor che salva,(sien pur sinceri i detti tuoi) la patriada civil guerra sia, non potrei gioia

25 Padri: senatori (dal latino patres conscripti).26 mercé quei saggi: grazie a quei saggi.27 Ottimati e plebei: Magnati e popolani.28 aita: aiuto.29 falange: schiera.30 favelli: parli.

549Pia dei Tolomei

in mio cuore or destar senza delitto. Scena di scempio e di nequizia rea,ove sangue fraterno al suol si versi,è la strage di guerra. Ahi! da mie nozze,stretta con sacri vincoli di affettial più uman dei guerrier, quella io speravavita di pace che or mi fugge…

Ghino Infaustefur quelle nozze, a cui dal ciel non vennebenedetta la gemma. Amor non giunsevostre destre 31 giammai; né fia 32 che arridabenigna aura del ciel, quando il bel nodoIddio non stringa sulla terra.

Pia Ah! Ghinoassai travedi…

Ghino Deh! nol dir! Soltantoricorda il dì, quando col vel su gli occhicinta di fior, qual vittima, all’altaregenuflessa tu stavi; e mentre il labbro,non sospinto dal core, al « sì » schiudevi;qual non udisti gemito tremendoche fe’ intruonar del delubro 33 le voltee delle tede 34 impallidir la luce.Ah! quel lamento fu mandato allora

31 vostre destre: le vostre mani destre.32 né fia: né sia mai.33 delubro: tempio.34 tede: fiaccole nuziali.

LIONARDO MORRIONE550

da chi si accese a un tuo sorriso! Ei mesto,appoggiato al sepolcro, ove la polvedel padre suo dormìa, larga di piantoeffondeva una vena, e come estintolungamente si giacque. Era ei dal Cielosolo destinato a sposo tuo. Funestaragion di stato rintuzzò l’affettoche ti fea 35 più felice: un cor lasciastifra mille smanie derelitto: un vuotodi quell’amore ancor tu senti; e acerboricogli il frutto del tuo nodo.

Pia Ah! taci;letal veleno son tuoi detti. Audaceparli; e tu amico osi tradir…

Ghino Si spegne,per lui che invola la beltà non sua,la fiamma di amistà.

Pia Gran Dio!… che[ascoltò?

A Nello tu fido 36 non sei?

Ghino Ti amai,pria ch’ei te vide: io sol ti amai di santoe immacolato amore. A un tuo sorrisosperare, e amarti di un immenso amoree arder tutto di te, fu un solo istante.

35 fea: faceva.36 fido: fedele.

551Pia dei Tolomei

Ahi! tanta gioia egli mi tolse, e insiemecon la speranza anco la pace. E amicoche di amistà cole 37 i sacrati pattiad amico il cor toglie?… ed ei mel tolse.Ed amarlo poss’io?… serbargli un raggioanco tenue di affetto?… Ah! se mi vediappo lui 38 spesso a migliorar le sortidel suo dominio intento, o Pia, tel dico,pel ben nol fo ch’esso desìa. Ferventeamor per te solo mi muove. Apertoil cuor ti mostro. È amor che qui mi spingei tuoi sospiri a suggere, 39 e bearmidei tuoi begli occhi, del celeste viso,ch’io senza te più non saprei soffrirequesto avanzo di vita.

Pia Insani dettia me tu parli. Io fremo… E dove e quandodi amor ti diedi un lusinghiero vezzo?Allor che sposa col miglior dei prenci 40

mi fei lieta all’altar, tutto nel miotrasfuso intesi il suo bel cor. Di affettisi formò la catena, e Iddio fe’ sacrele anella indissolubili. L’amaisin da quel giorno; or più l’adoro, e languosempre d’intenso amore. Io di un sorrisote pria bear?! Sognata infamia. Il ciglio

37 cole: rispetta.38 appo lui: presso di lui.39 suggere: succhiare.40 prenci: principi.

LIONARDO MORRIONE552

mai così basso non mirò. Se il cuore,che unqua sì stolto non fu mai, 41 sentitoun moto avesse di un amor, che fora 42

condannato dagli uomini e dal cielo,prima svenarlo, che gittarlo in gremboa un insensato, avrei saputo.

Ghino Ah! donnatutto dell’onta 43 or sento il peso. Aprirtipotrei l’abisso or sotto i pie’…

Pia Potresti…

Ghino Farti vil con un detto. 44 Alta fidanzain me ripone il tuo consorte: il saicome geloso lo distrugge un foco,come ogni dubbio gli è fatal!

Pia Virtudedi puro amor non teme infamia.

Ghino Badache pur sei madre.

Pia E che temer?

41 unqua … mai: giammai.42 fora: sarebbe.43 dell’onta: della vergogna.44 Farti vil con un detto: Renderti spregevole con una sola

parola.

553Pia dei Tolomei

Ghino Le furiedi un dispregiato amor. Vampa si accendeentro il mio sen, che ogni argine distruggeed ogni fibra incenerisce. Ostaggioè mio già reso il figlio tuo: paventa, 45

se hai cor materno, pel tuo figlio.

Pia Oh stelle!che mai intesi! Ahi! crudel, tutto estinguil’umano senso e ti fai reo. Potrai?…

Ghino Spegnerlo.

Pia E non sentir gli strali 46 ardentidi un rimorso terribile, le spinedi colpevol coscienza, idra 47 fatale,che lacera e divora?… e non temeredi giustizia la scure?… Ahi! l’innocentein che ti offese? Ei d’ogni colpa è purocome del cielo un serafin… Ria 48 setedi vendetta ti strugge? Ecco la madre;svenala. E che più brami?…

Ghino Amore.

Pia Iniquoè quell’amor; né mai di dolci affetti

45 paventa: temi.46 gli strali: le frecce.47 idra: serpente.48 ria: colpevole.

LIONARDO MORRIONE554

esso si nutre, ma di sangue: or versatutto il mio sangue, io tel presento… Oh figlioa te scudo è la madre…

Ghino È indarno. 49

Pia Il fia,quando alla luce si chiuderan questi occhied agli accenti 50 il labbro mio. Tu d’uopohai di mia morte, 51 svenami: ricolmadei neri eccessi la misura.

Ghino Oh! cometutte le furie in me scateni!

Pia O figlio!a te viene la madre…

Ghino Arresta…

Pia Insano!

Ghino Ti ferma.

Pia Non sia mai…(Si odono rumori.)

49 indarno: invano.50 agli accenti: alle parole.51 Tu d’uopo hai di mia morte: Tu hai bisogno della mia

morte.

555Pia dei Tolomei

Ghino Qual rombo assordal’aer di grida?!…

Pia Ahi! forse al suol svenatocadde il figliuolo?!… Lasciami. Mi schiudilibero il varco; io vo’ nel sen raccorre 52

quella salma innocente… Ah sciagurato!così tu al pianto di una madre esulti?Nel delitto stai lieto?… Il ciel ti destiqueste mie smanie dentro il cuor.

Ghino Fatalipiù del tuo duol son le mie smanie. Cedi…

Pia Ah! pria morire…

Ghino … che io lasciarti…

Pia Crescepiù quel rumor.

Ghino Che fia?…(Affacciandosi ad un verone.)

52 raccorre: raccogliere.

LIONARDO MORRIONE556

Scena quarta. Imelda, Pia e Ghino.

Imelda Siena perduta!Son le falangi in fuga.

Pia Oh Dio! ricolmo è il calice dei mali!

Ghino Un nuovo sposoti presenta la sorte.

Pia Ahi! forse spentosul campo ei cadde?! Ah! come il cuor mi

[squarci,servo infedel, con mille dubbi… Il figlioe lo sposo perdo io…

Scena quinta. Nello, Pia, Ghino, Imelda, guerrierighibellini.

Nello Tra il duol funestoteco è lo sposo tuo.

Pia Fia ver!…

Nello Mi abbraccia,e attempra 53 i mali miei: nell’alma ahi!

[come

53 attempra: attenua.

557Pia dei Tolomei

del disonor mi grava il pondo! 54 Un fato,nemico orrendo all’opre mie, mi togliequanto è sacro al guerrier: gloria e trionfo.Forte io pugnai: sfidai la morte, un lauroagognando di onor; ma acuta ottengo in mercede una spina… Ah! perché estintomorte invocata non mi volle?!… Un nomecol mio morire alle venture etadi avrei chiaro lasciato, e su la tombatrofeo di gloria al figlio mio.

Pia Ti calma…

Ghino E fia del fato vendicata l’onta… E salvo tu, salva la patria fia…

Nello Anco col sangue mio.

Ghino

e guerrieri (Incrociando le spade.)Tutti il giuriamo.

54 pondo: peso.

LIONARDO MORRIONE558

Atto secondo

Scena prima. Evaldo chiuso nella sua celata. 1

Questa è mia soglia; e qui del fatal bandotutte vo’ vendicar l’arte. 2 Furtivomi appella amore in tal momento; e amore al nuovo sol qui intreccerammi il serto 3

de’ miei trionfi. Oh Imelda!… Oh amata suora!… 4

Quale entrambe movete in questo senoguerra di affetti in voi non cape! 5 Il sentosol’io, che fermo dispregiando il rischioove alberga un nemico, ardito or premoquesta regia diletta. A voi salvezza,dell’ardente amor mio diletti pegni,se pur vogliate, io reco; adempio i sacridi amante e di fratel doveri; e ascoltola voce di natura… Alcun si avanza!… O brando mio 6 mi assisti, io non paventodel più ardito guerriero… È dessa…

1 celata: elmo con visiera.2 In quanto guelfo, Evaldo era stato bandito da Siena ghi-

bellina.3 intreccerammi il serto: mi intreccerà la corona (di alloro).4 suora: sorella.5 in voi non cape: voi non capite.6 O brando mio: O spada mia.

559Pia dei Tolomei

Scena seconda. Imelda ed Evaldo.

Evaldo (Lacciandosi 7 la visiera.)Imelda!

Abbracciami, sono io.

Imelda Tu qui, mio Evaldo?!E come? Ah! dimmi…

Evaldo Che mi chiedi, o cara?Leggi, se il puoi, di questo core il fondo,leggi, e vedrai come d’amor sospinto,perigli estremi non curando, a’ piedil’ali fei pronte a rivederti, e a trartiinsiem con Pia dalla sventura. Ah! vediquali spoglie 8 mi cingono? Di estintoson pure esse divise: io l’indossai,pien di ardimento, in sull’ostil pianura,onde, misto a’ fuggenti, entrar furtivoe ignoto dentro Siena. Il ciel fe’ paghii voti del mio cor: benigno arriseai miei voleri; e benedisse il modocon la suora a salvarti. Or bada. Orrendapende sciagura sopra Siena, orrendoè il furor che m’investe…

Imelda Oh! cessa, Evaldo,deh! cessa per pietà! Pace una voltaparli al tuo cor, taccia vendetta.

7 lacciandosi: slacciandosi.8 quali spoglie mi cingono: quali vestiti mi avvolgono.

LIONARDO MORRIONE560

Evaldo Indarno.Unico voto è del mio core, è bramadell’alma mia, guerra, sterminio. Io venni,tel dissi già, salvezza a darti. Ratto, 9

se ancor tu mi ami, se risponder saial desìo che mi strugge, e che mi spingea tai cimenti 10 orribili, deh! tosto 11

loco segreto apprestami; la suorami adduci innanti; io vo’ salvarvi.

Imelda Guerradunque eterna vuoi tu? Lasciarmi in predalungamente al mio pianto, e ognor sospesasul destin di tua vita?… E questo è amore?

Evaldo Mi oltraggi tu; non è di alma che senteper un prode alto amor questa temenzache fa bianche tue gote. In guerra e in camposol si miete l’alloro, e fia più bellose da fanciulla unica amata un sertosia messo al crin del vincitor. Tu temi?Basso timore è questo, umile sensoche m’irrita e mi strugge. Ama il guerrierodi forte amor, come sue tempre ha forti,de’ suoi pensier l’amata donna: un dettodi lei, che spinge alle battaglie, all’armi,piu ché un sorriso gli è gradito. Oh Imelda,tu senza gloria e senza fama inerte

9 Ratto: presto.10 cimenti: scontri.11 tosto: subito.

561Pia dei Tolomei

al fianco tuo mi vuoi? Privar mio capodi una fronda mertata, e il mio sudoreche terso sia dalla tua mano? Io aneloquesto istante beato, io lo vagheggiodell’amor tuo questo divino pegnopiù d’ogni ben di questa terra; e in cielose pur sta scritto, che io soccomba in campo,prima che un nodo ci legasse; accanto,ombra beata, tutto dì mi avraii tuoi sospiri a suggere, a ispirartisensi di affetto e onore. Ah! tu nel senoin quegl’istanti sentirai più dolcela vita rifluir, gli ameni sognitornar ridenti alla tua vita…

Imelda Oh Dio!a tanto affetto io non resisto. Amorediede ai miei labbri involontari i detti. Della ghirlanda che l’onor fa bellaio te privar? Non fia giammai. Chi ti amadi caldo amor, più che tue aurate soglieadora in te le tue virtù guerriere.Di gloria pur questo mio cor si nutre,guerre fraterne abborre.

LIONARDO MORRIONE562

Scena terza. Apparisce Ghino dal fondo della scena, e,nel vedere Evaldo ed Imelda, si nasconde ascoltando.

Evaldo Il cor se nutridi gloria, sbigottir te non dovrannoi fremiti di guerra. Occulto asiloor dammi, Imelda; il tempo fugge; io premonemica reggia; e l’indugiar mi forarischio fatal terribile.

Imelda Partiamo;vieni: dischiuse le nascoste scaleor ti saranno del regal palagio; presso il giardin, nel deserto castello,che da costa il torreggia, 12 in pace attendila mezzanotte: sentirai di passiallor tu un lieve rumorìo: ti affrettatosto al cancello, e subito che un fiorevedrai volarti innanti ai pie’, tu appellalieve lieve la Pia, batti le palme,e sarai in braccio di colei.

Evaldo Sublimeidea! Dolce profferta! Io son felice.Andiam.

Imelda Mi siegui.

Evaldo Il mio destino è tuo.

12 che da costa il torreggia: che da vicino la sovrasta con lesue torri.

563Pia dei Tolomei

Scena quarta. Ghino si avanza sulla scena.

Alma, respira! La tarpata spemeali riprende, e vigoria. Qual destropuò dar fortuna più secondo? 13 O cedePia alle mie brame, o spalancar vedrassiorrido abisso alle sue piante. 14 Un drudo, 15

a un sol mio accento, nel fratel suo caroin mezzo all’ombre scorgerà il marito… Ma a me che vien?!… Si osservi… ella è.

Scena quinta. Pia e Ghino.

Pia Gran[Dio!

almen qui fosse il mio figliuol.

Ghino Signora;vieni, qui pure spiran l’aure: il coredell’uomo che abborri avvolta in pianto ognoratua beltà non desìa; vuolti felice.Pace una volta al tuo dolor; più gravecol peso delle lacrime il destinonon far che sempre torni. In te vogliamo,fior di beltà, pace, salute.

13 Qual destro … secondo: Quale occasione più favorevolepuò dare la fortuna?

14 alle sue piante: davanti ai suoi piedi.15 drudo: amante.

LIONARDO MORRIONE564

Pia Ah! Ghino,a che mi vesti di dorate larve 16

quel reo sentiero dove aprir si tentaun abisso a ingoiarmi? Appieno io veggioil nero inganno, e nella via sto fermadella virtude e dell’onor. Di pace,tu primo del mio duol fabbro, mi parlie in un mi togli il figlio mio?

Ghino Che intendo! 17

Dubbio fatal del tuo cor s’indonna. 18

Temi del figlio? E a che temer, s’ei caromi è più dell’alma mia? Santa pietadein me parlava allor che dal tuo fiancoaltrove il trassi, e per chetarlo in gremboal pio Tebaldo il dava. Ah! l’innocente,dissi tra me quando te vidi in pianto,perché soffrir? Perché ne’ suoi primi anniapprendere il dolor? Vada lontanodalle angoscie materne. Il fior che sbuccia, 19

se ingrato umore 20 irrigagli lo stelo,cresce avvizzito, ed è vicino a serapria che non pensi. E questo, o donna, il chiamidelitto abominevole? Virtudesacra è pietade; tu a vizio reo l’ascrivi?

16 larve: maschere.17 intendo: sento.18 s’indonna: si impadronisce.19 buccia: sboccia.20 umore: liquido.

565Pia dei Tolomei

Pia Virtù sacra è pietade, ove dal core,figlia innocente di leal ragione,sorge spontanea e cresce: è vizio, è fallose in finte forme da malnata fiammaprende origine e vita: è tal la tuapietà perversa. Non sì debol sono,credimi, Ghino, che io muti consiglioper finti detti. Ahi! di gentil manieradura necessità fammi un bisogno.

Ghino Bisogno?!… Ad ascoltar sì amari accentiquasi freme il cor mio. Rispetto, o donna,il debol sesso, il grado tuo. Sì bassonon pone il cor quell’uomo, a cui si affidaregno e penati; 21 lealtà mia veratu sola a vile puoi tener; l’ammirail tuo consorte e Siena.

Pia Oh quanto sei di quel di pria cangiato! Io veggio appienocome de’ rei, con subdoli raggiri,tutta l’arte conosci; e rinvenire, 22

fingendo amor, cerchi la via più breveche salvarti potrìa. Lascia agl’incauti…

Ghino Donna…

Pia Rispetta in me…

21 Presso i Romani, i Penati erano idoli protettori della casa.22 rinvenire: trovare.

LIONARDO MORRIONE566

Ghino L’onor del prence. 23

Pia E l’odalisca 24 che al suo schiavo impera.

Scena sesta. Ghino solo.

Scampo non avvi: ogni sentier precludevana alterigia. Vendicar mi avanzal’onor soltanto vilipeso. Ingratadonna, qual ti rimane a pagar fioin brievi ore vedrai 25… Feroci motitutti del cuore ergetevi; alimentogradito è all’uom vendetta; intiera svolgagiusto rancore di oltraggiato amantel’ordita tela.

Scena settima. Nello e Ghino.

Nello O mio fedel, ti ferma;e qui dell’alma rannodiamo insiemele possanze 26 a consiglio. Ancor mi sonodi me stesso signor; né fia che scemi 27

la virtù del coraggio. Un fato avverso

23 prence: principe.24 odalisca: l’amante (del sultano).25 qual ti rimane … vedrai: tra poco vedrai quale pena ti

resta da scontare.26 possanze: forze.27 scemi: diminuisca.

567Pia dei Tolomei

se mi diede sventura, ormai con l’armisaprò domarlo ed assegnargli legge.

Ghino E tu il potrai, ché la ragion di guerraben ti si addice, ed il comando è teco.Chi non verrà del brando tuo all’invitodei prodi invitti a vendicar le offesesopra il campo finale? In viso a ognunosfavilla il fuoco della pugna, e l’oraaspetta del cimento. Intieri affidail consiglio dei Padri, 28 in sua saggezza,a te i destini della patria. Prontotutto è al tuo cenno; ed ove il vuoi, sicurapotrai dare battaglia, e rinnovareformidabili scontri.

Nello Ardentementeio questo istante lo desìo, dell’ontedel disonore a vendicare il peso,anco, se è d’uopo, 29 col mio sangue. In pettovorace incendio mi divampa; e a dargliesca perenne affacciasi alla menteil campo ostile, su di cui macello,al suon degli oricalchi 30 e dei tamburi,si fa dei fidi miei. Ridotte in branischizzar ne veggio le cervella; e a fiumiversare il sangue, e accatastarsi estinti,e con gli estinti i moribondi, a cui

28 il consiglio dei Padri: il consiglio dei senatori.29 se è d’uopo: se è necessario.30 oricalchi: trombe.

LIONARDO MORRIONE568

dato non è sperare, a cui sui labbrimuore il sospiro dispregiato. All’iratutto mi muove; e degli illustri Padrila fidanza, che in me tutta si pone,mi sprona e m’incoraggia. Oh patria! Oh sposa!a vendicarvi già respiro: il brandomi sta nel pugno, e se ferir sa ancorain brievi ore vedrete… O mia consorte,tu pur l’alma mi affanni!…

Ghino Alla tenzone 31

rifletti, o prence, e non pensar di Pia.Cure di regno mai loco non dannoa domestici affetti.

Nello Ah! quella donnaprimo è dei miei pensier, l’idolo carodei miei sospir, della mia vita. Io gemoai suoi dolori, e dentro il cor si spandetutto l’orror del duolo.

Ghino Io pur vorrei,te n’abbi la mia fé, quel dolce oggettodi tanto amor render felice; e, tuttiposti in non cal 32 del dubbio i pensier tristiche travagliano l’alma, a te con nodiinfrangibili stringerla… e…

31 tenzone: battaglia.32 posti in non cal: posti tra le cose che non contano.

569Pia dei Tolomei

Nello Qual lampoda tali accenti 33 agli occhi miei rifulge?!Rompe un istante il tetro orror, per farlopiù terribile e truce!

Ghino Ai tuoi trasportiforse importuni, o inutili, deh! prence,pon modo alquanto ed al furor. Ben puotezelo ardente di suddito fedelequant’altri mai, dirti che il dubbio spessodi amor veggente è figlio. Oh ciel benigno,perché di selce non mi festi il core!

Nello Cupo mistero è il tuo parlar. Le furietutte di averno 34 già nel cor mi sentoscatenate ad affliggermi. Chi è il vileche di quest’alma togliere la paceosa nei dì della sventura?… Ahi! tuttoor sento il peso di mie smanie… Togli,togli le ambagi, 35 svelami, ché io fremo, tutto l’arcano 36 orribile.

Ghino Tu eccedi,signor, nei tuoi furori. A un lieve dettocosì facil t’appigli? Io non credeatuo spirto sì accensibile per vaghisospetti, che sparir potriano. Stolto

33 accenti: parole.34 averno: inferno.35 ambagi: angosce.36 arcano: mistero.

LIONARDO MORRIONE570

mi fui nel favellar; ma aprirti in pettouna ferita non volea. Ti calma,deh per pietà! pensa piuttosto al regno,che reclama da te pace ed aita. 37

Nello Mi è cara più del regno ahi! la mia donna,e più del serto 38 della Pia l’onore,e s’io perdo l’onor, tutto ho perduto.Parla; più Nello non favella a Ghino;impone il prence al suddito.

Ghino Signore!…

Nello Il voglio.

Ghino Deh! una grazia almen!

Nello Che chiedi?

Ghino Perdona; un giuro.

Nello Un giuramento mio?!

Ghino Sì; perché serbi alla consorte occultotutto, finché il vedrai.

Nello Lo giuro; e in pegnoecco la destra.

37 aita: aiuto.38 serto: corona.

571Pia dei Tolomei

Ghino Ah prence, a che mi astringi? 39

Il cuor mi trema! Un vortice di affanniaprir tu brami alla tua vita. Insiemescender l’arcano col mio muto frale 40

nel sepolcro dovea, tra l’ombre oscuredi un sonno eterno: tu lo desti; e un fieronel sen mi lasci orror di farti avversala donna tua.

Nello Forse è infedele?

Ghino Ell’erapura nel mio pensier come il sospirodi un primo amor, che l’anima rapiscedi romita fanciulla; e in sin dal giornoche la conobbi tal credeala. Mesta,tu assente, tutto dì nel regio ostelloa silenzio composta, il cuor volgeaa sentimento di pietà e di pianto.Bella così nelle movenze onestein cheta notte, ella volgea le pianteper l’aprico 41 giardino; e abbandonatesu gli omeri le trecce, in mezzo ai fioriche bagnava di lacrime, l’avrebbe,se incontrata l’avesse una virtudedel ciel, per suora sua scambiata.

39 astringi: costringi.40 frale: corpo.41 aprico: fiorente.

LIONARDO MORRIONE572

Nello (Alle dolci parole di Ghino dal furore passaall’affetto, e quasi estatico esclama in un tra-sporto.)

Oh incanto!Oh dolcezza! Oscurar sì bel candorein terra può la colpa? Ah no. Alla mentecerto nell’ore del silenzio il caro consorte rimembrava; e al mesto raggiodella pallida luna una preghieracalda, spontanea, a Dio per lui col piantoinnalzava, e taceva.

Ghino Era quel piantoavvelenato dal delitto. All’ombredei folti rami ella secura e solacredendosi, sciogliea pianti e sospiridal profondo del sen, mentr’io da un altoveron 42 la rimirava; e (il dico o il taccio?)allora udii con le mie orecchie, ch’ellatremante soggiungeva « io t’amo »…

Nello (Come sopra.)All’aure

dava in grembo quel detto, e lo inviavaal consorte lontano. Il cuor di Piacosì tu mal conosci. In quegl’istantifuori dei sensi sua bell’alma, un lene 43

sentìa conforto a’ mali suoi; vivea,unificata con la mia memoria,

42 veron: balcone.43 lene: lieve.

573Pia dei Tolomei

della vita degli angioli, d’idee.

Ghino Ella lontana dalla tua memoriavivea vita di sensi. Il dolce accentoudiron l’aure inorridite, e accesol’accolse un drudo. 44

Nello E tu il vedesti?

Ghino Un bassoparlar di amore, un suon di baci, un’ombrache tra vïali si estendea sparendoverso il cancello, il mio fatal sospettoconvertiro in certezza.

Nello E non volasti,un brando…

Ghino Io non potei…

Nello Tu pur m’inganni…

Ghino Tal tu dai cambio a fedeltà? Sepoltomi era in petto l’arcano: a che venisti,se in me fidanza non ponevi, a trarlocom’estinto da un’arca? 45 Io nol volea,ché so come gli sposi, avvinti al laccio di un vago volto, credono aver regnosopra quel cuor dov’è l’inganno. A Pia

44 drudo: amante.45 arca: tomba.

LIONARDO MORRIONE574

neppure un motto io profferii; soltantoil picciol figlio le ritolsi.

Nello Oh rabbia!E l’innocente?…

Ghino In salvo egli è.

Nello Sono io…

Ghino Tradito; e tel vedrai.

Nello Forse tu avresti?…

Ghino Prova a mostrarti. Di tacer varcatoè per me tempo, ché il dubitar tuo aperto,dopo fede costante, infrange il velodi ogni prudenza. Ebben, vedrai tu stesso,perdona il franco favellar, 46 se il servoo la consorte ti tradisce.

Nello Dunque?

Ghino Pressa 47 è la sera: l’atra 48 notte è il tempodel reo secreto, il tuo giardino il loco.Meco tu vieni; afforza il core…

46 il franco favellar: il parlare schietto.47 Pressa: Vicina.48 atra: senza luce.

575Pia dei Tolomei

Nello All’altavendetta sopra i rei. Vorace in pettoquale incendio mi bolle, ente 49 mortalenon puote in mente concepir. La destragià corre all’elsa, 50 e nell’idea di sangueil cor si spazia e si trasporta…

Ghino Il giuro, 51

deh! non scordar: di Dio con tal furoretu provochi lo sdegno. Inopportunal’ira tua cieca è in quest’istante.

Nello Orrendoè l’abisso…

Ghino Partiam.

Nello Son disperato!

49 ente: essere.50 all’elsa: all’impugnatura (della spada).51 Il giuro: Il giuramento.

LIONARDO MORRIONE576

Atto terzo

Scena prima. Interno del giardino con cancello pra-ticabile di prospetto. Da uno de’ viali a sinistra vedesidal vuoto che lasciano gli alberi un fianco del palagiosignorile. È notte. Pia ed Imelda.

Imelda Il loco è questo; qui liberi dettil’ora notturna a profferir vi porgedestro opportuno. 1 Che da Siena nasci,e a questa afflitta annodati amistadecol fratel deh! ricorda.

Pia Oh! quanto costiquesto istante al mio cor non sai. Costretta,vedi, mi sono a ricercar furtivain tempo oscuro un adito opportunoche al fratel mi congiunga. Ah! se desìo 2

pace, pensar tu il puoi. Fraterno e caroè il già versato sangue; e orror mi destaquel campo di delitti. Uniti a un patto,gran Dio, deh! rendi i traviati spirti, che si struggono a gara; e sul terreno,che festi bel di un tuo sorriso, innalzail vessil della pace!

Imelda Iddio esauditidi un cor sincero rende i voti. Amore

1 destro opportuno: occasione propizia.2 desìo: desidero.

577Pia dei Tolomei

apriva il varco in queste avverse soglieal tuo germano; 3 ah! non fia mai ch’ei restisordo un istante alla tua voce; un’ecodarà natura, e vincerai. Breve oraio fui con esso, poco dissi…

Pia Preghi,sospiri, e detti effonderò: secondi 4

il cielo il desir mio; dilegui intieroquesto che mi ange 5 rio presentimentodi sterminio e di morte. Oh! come al coree patria e sposo mi son sacri! Oh! comeper lor darei tutta la vita! Imelda,in petto…(Si ode l’orologio.)

Suona mezzanotte. Vanne; 6

l’occulte scale sian dischiuse. Avrassiper esse scampo il fratel mio.

Imelda Vederlo…

Pia Or tu non puoi. Supremo istante è questosacro alla patria: a’ fidanzati in senoamore or taccia, util sublime or parli.Udisti?

Imelda I voti nostri il ciel secondi!

3 germano: fratello.4 secondi: aiuti.5 ange: angoscia.6 Vanne: Vai.

LIONARDO MORRIONE578

Scena seconda. Pia si avanza tantosto 7 al cancello diprospetto, e gitta un fiore; indi Evaldo.

Pia Fratel!

Evaldo (Battendo da dentro leggermente palma supalma.)

Mia suora! 8

Pia Appressati.

Evaldo (Sul limitare.)Mi abbraccia;

e in questo amplesso 9 quanto sia conoscil’amor del fratel tuo.

Pia Non esitai…

Evaldo Ma rifinita 10 ti ritrovo. Orroreforse io ti reco?

Pia L’avvampante guerradi fiamme fratricide ahi! mi spaventa,non tu, mio Evaldo.

Evaldo E chi l’accese mai?Non io che in nome di re Carlo stringo

7 tantosto: subito.8 suora: sorella.9 amplesso: abbraccio.10 rifinita: sfinita.

579Pia dei Tolomei

la somma del poter; 11 fu il tuo consorteche sfidar volle il fiorentin valore.Se a quel sull’Arbia arrise il fato, in Colleopprimerlo dovea. Fiorenza è forte;ed era in dritto vendicar l’offesadell’avversa fortuna: il destro corse;e con la spada la vittoria ottenne. 12

Era per me sacro dover pugnarein mezzo a’ prodi, e spargere il mio sanguesino all’ultima stilla: al re doveva,che mi accolse benigno e mi fé duce,con grati sensi anco la vita. E questose pur non vi era alto dover, potevonon correre sul campo? Ah! tu rammenta,se non ti accieca un sconsigliato affetto,quando al Consiglio dei Sessanta il fieropopol sanese fece oltraggio, quale io non soffrii terribile onta! Incesoil mio palagio, 13 confiscati i beni,tutto disperso, come vil rubellecon gli Accarizi e i Salimbeni 14 mi ebbia torto il duro esiglio. In grembo accolto

11 in nome … poter: in nome di re Carlo (d’Angiò) detengotutti i poteri.

12 Il riferimento è alla battaglia di Montaperti (4 settembre1260), sul fiume Arbia, dove Siena ghibellina sconfisse Firen-ze (Fiorenza) guelfa, ed a quella di Colle di Val d’Elsa (8 giu-gno 1269), dove Firenze guelfa colse l’occasione favorevole (ildestro corse) e sconfisse Siena ghibellina.

13 Inceso il mio palagio: Bruciato il mio palazzo.14 Accarizzi e Salimbeni: Accarigi e Salimbeni: due potenti

famiglie di Siena.

LIONARDO MORRIONE580

allor dai guelfi, e col potere in pugnopotei volare alla vendetta: amore,sublime amor per te, non che speranza,che ravveduto il tuo consorte avesseun omaggio a me reso, ambo sul pettomi legavan le braccia. Ei tutto illusodal suo poter, che va in abisso, un spregio, 15

anziché onor, mi rese: il guanto a terragitta della disfida; e corre all’armi. Vile è il guerrier, che non risponde. Il brandonecessità fé uscir dalla vagina, 16

in che fermo si stava; e il mio dovereforte lo rese in campo.

Pia Aspersidel rio veleno, che dall’odio scendesono gli accenti del tuo labbro. In cimadi ogni pensier quello fatal del bandoti figgi in mente; e di atro 17 oblio ricopril’empia ragion che proclamollo. Ah! pensa,se giusto esser tu vuoi, che ombra di colpa non fuvvi mai del mio consorte. Ardea,siccome arde tutt’ora in mezzo a Siena,civil discordia, e nel furor di parteemesse il danno tuo. Sotto il vessillodella guelfa cittade, 18 a noi nemica,tu ricovrasti; e contro lei la guerra

15 spregio: disprezzo.16 vagina: fodero.17 atro: scuro.18 guelfa cittade: città guelfa: Firenze.

581Pia dei Tolomei

volle il popol sanese. Era dovere,benché del prence riluttasse il core,accogliere quei voti. Ah! quale è dunquela colpa di che parli? Il rio disprezzo,che venne a darti oltraggio? Al sen ti parliamor: cessi il pugnar, ché amante e suora uccidi in tai conflitti.

Evaldo Amante e suoravenni a salvar: tel dicano le vestiin che or mi avvolgo, e l’ardimento. Un saldoscudo su voi protendesi; né destraumana svellerallo. 19 Insieme a Imelda,donna dei mei pensier, per cui non temoperigli e morte, qui ti trovi il nuovooccaso. 20 Rispettar saprà irrompendol’agguerrita coorte 21 i cari luoghi,dove in nodo staranno Imelda e Pia.Celato arcano ti paleso…

Pia Evaldo!Deh per pietà! desisti. Il mio consorteoh quanto è caro a questo cor! Men durafora 22 la mia che la sua morte. Il salvadal baratro, che scavi, e amor congiungale vostre destre…

19 svellerallo: lo strapperà.20 occaso: tramonto.21 l’agguerrita coorte: la valorosa truppa (di Evaldo).22 fora: sarebbe.

LIONARDO MORRIONE582

Evaldo Suora mia…(Intenerito resta in pensiero.)

Pia Risolvi.

Evaldo Accordo pace…

Pia Oh Dio!…

Evaldo Se a me fia datoil dominio di Siena. A te concedo dal vassallaggio le dovute imposte. Questo patto d’amor se accetti, o Pia,al tuo consorte il narra.

Pia E questa è pace?

Evaldo Decida il brando, se la sprezzi.

Pia Adunquequi invan movesti?

Evaldo Per salvarvi io mossi.

Pia A duri patti non si dà salvezza.Amor non soffre vincoli, concede,e solo affetto in cambio ei vuole. Ardentesete di guerra è in te, languidi i sensison del tuo amore. Ebben giungi alla metaa cui t’innoltri: il verde allor pur cingala fronte tua; ma non sperar che salverestino Imelda e Pia. Trafitte entrambe

583Pia dei Tolomei

al suol distese rivedrai: fastoso,quando la reggia ti fia schiusa, il passovolger dovrai, se non t’investa orrore,su due freddi cadaveri, che amaroti faran il trionfo…

Evaldo Ah taci! ah taci!il solo udirlo è orror…

Pia Morte soltantopuò darmi pace. Ahi! che mia vita è resaarea crudel di affanni: il nume tronchiquesto debole stame. 23 In preda al pianto, dei giorni del mio sposo incerta, afflitta quasi povera ancella, insidïatapur nell’onore, ahi misera!…

Evaldo Che intendo?!In rischio l’onor tuo?!

Pia Da un falso amico…

Evaldo Ghino è quel reo?

Pia Il nomasti. 24

Evaldo E spento ei fia. Truce è il furor che m’ispirasti; il ferrosol vendicar può tanta offesa; ammenda

23 stame: filo (della vita).24 Il nomasti: Lo hai nominato.

LIONARDO MORRIONE584

non sperisi dal perfido; già è mial’onta ch’è data a te…(Si ascolta rumore.)

Rumore io ascolto;aprimi un varco: vo’ salvarti.

Pia In sonnotutta è la reggia.(Incalza il rumore.)

Evaldo Perdermi potrìaun solo istante… Addio…

Pia Salvami, Evaldo,lo sposo, il figlio mio, l’amica…

Evaldo Oh comemi lanci in braccio a mille affetti… Incalzavieppiù il rumore… dammi il varco.

Pia Andiamo.

(S’internano rapidamente nei penetrali del giardino,onde dalle scale secrete avere Evaldo libera fuga, e Piatrovarsi negli appartamenti del palagio. Nel fuggirecade dal fianco del guerriero un pugnale.)

585Pia dei Tolomei

Scena terza. All’istante del partire dei precedentivedesi sul fondo della scena al di là del cancello Nellofortemente trattenuto da Ghino, da cui a viva forzatenta di sciogliersi.

Nello Deh! lasciami: vo’ spegnere l’infamecoppia…

Ghino Signor, ti frena; il giuro sprezzi. 25

Nello Or non i giuri 26… il mio furore ascolto.

Ghino Perderti brami?…

Nello (Svincolandosi da Ghino.)Lasciami… Ti arresta,

sciagurato, alle terga 27 hai tu la morte.(Sguainando la spada.)

Ghino Mi ascolta… Dove corri?…

Nello Alla vendetta. (Via.)

Scena quarta. Ghino solo.

Raggiungerlo non può. L’uscio si chiude;e col tramato inganno ormai si compie

25 il giuro sprezzi: disprezzi il giuramento.26 i giuri: i giuramenti.27 alle terga: alle spalle.

LIONARDO MORRIONE586

il voto mio fervente. Il core è pagonel suo desìo. Vedrai, superba donna,qual sia baldanza stolta il far cruda ontadi uom prode al fido amore. Io ti adorai;or, dileggiato, 28 ti do morte… — Un ferroal suol?! Che fia? 29… Per l’ampia tela è dessofilo opportuno a me: tutto è secondo. 30

(Raccoglie il ferro caduto ad Evaldo.)

Scena quinta. Nello e Ghino.

Nello Sparito egli è; dove si asconde? Oh rabbia!Freno non soffre il furor mio. Qui unitiio vidi entrambi; ahi! tra i profani amplessila spada non piantava io ne’ lor cuori?Col sangue lor non sazïai la seteche mi strugge e mi vora? 31 — Iniquo, or esci;col tuo misura, se non sei vigliacco,il terribil mio brando.

Ghino Accheta l’ira…

Nello Io nol potrò senza vendetta. Il sanguesol può la fiamma di un tradito sposofar mite alquanto in sulla terra; è questo,

28 dileggiato: schernito.29 Che fia: Che sarà?30 Per l’ampia tela … secondo: Per la mia ampia trama esso

mi è un filo opportuno: tutto è favorevole.31 vora: divora.

587Pia dei Tolomei

mel credi, amico, unico mezzo. Al mondofavola vile è chi nel sen macchiatoreclina il capo di una sposa.

Ghino Anelisangue? Tu il verserai. Nascosto il drudonon fia che resti; tel prometto. È questostile 32 che ho in pugno arra 33 di amore a Pia:tutto adoprai; ma pure io l’ebbi; è dessoguida che mena ad indagar.

Nello Mel porgi.

Ghino Il lascia.

Nello (Strappandoglielo da mano.)Non sia mai. Con questo ferro

giuro vendetta innanti 34 a Dio.

Ghino Son lieto.

32 stile: pugnale.33 arra: pegno.34 innanti: davanti.

LIONARDO MORRIONE588

Atto quarto

Scena prima. Pia sta immersa nel più profondo dolo-re. Gira intorno lo sguardo quasi avesse alle sue spal-le un nemico da temere. Sospira e piange.

Ahi sorte rea! come in dolor volgestii miseri miei dì. Ben fui felice;obbietto 1 or di pietà. L’aura che spiraemmi 2 nemica; è pure avverso il suolo,che ingrato tienmi, e non m’inghiotte. È vitaquesta che io traggo? 3 Più di morte è dura,ché a me degl’infelici anco si togliel’ultimo ben: dei lari miei 4 la pace. Onor chiede il silenzio: in cor sepoltomorrà meco il rio arcan; 5 dovere è questodi fida sposa, né fia mai che n’abbiasentor lieve lo sposo. Ahi! me consumifunesto duolo; intiera pace ei goda. A piangere solinga mi abbandonaanco l’amica in tanti affanni. — Imelda!suora di fido amor, vieni, consuolal’alma che geme trambasciata. 6

1 obbietto: oggetto.2 emmi: mi è.3 traggo: conduco.4 dei lari miei: della mia casa. — Presso i Romani, i Lari

erano anime degli antenati protettrici della casa.5 rio arcan: segreto colpevole.6 trambasciata: tra le angosce.

589Pia dei Tolomei

Scena seconda. Imelda e Pia.

Pia In piantocosì mi lasci?

Imelda Il primo raggio appenadel sol lambe 7 le logge: or tu vorrestila vita consumar? Rasciuga il ciglio,e spera pace nel fratello.

Pia È vanoin lui sperar: funesta idea lo investe,e straripando lo trasporta. Orrendapende sciagura alla città. Posso iofrenare il pianto, chiudere le cigliaa lieve sonno, un’aura fruiredi pace e di consuolo? 8… Ahi! perché vibrasu liete vite i colpi, e della mia,ch’è sì grama, distoglieli la morte?Io morir bramo. Nella tomba almenomi avrò riposo; e qualche stilla 9 amicafarà lieve il mio sasso.

Imelda Ah cessa! ah cessa!Il cor mi spezzi per dolor! Rifuggea tai pensier quest’alma, che ritornaal gemere interrotto. Un raggio splendeancora in me di dolce speme. Umani

7 lambe: sfiora.8 consuolo: conforto.9 stilla: lacrima.

LIONARDO MORRIONE590

sensi di cavaliero ha il tuo germano,fervido cor, nobili affetti; al piantoei cederà di queste afflitte.

Pia Ahi! qualinon sparsi amare lacrime! Richiededominio il mio german; patto solo unoconcede per la pace. Il crederesti?Libera a lui Siena restar, le impostedel vassallaggio a me soltanto. O questounico patto, o fatal guerra.

Imelda E conscion’è il prence? 10

Pia Non fia mai che il sappia. Amaroannunzio non fo aperto. Insiem con esso io vo’ morire in mezzo all’armi.

Imelda Ah lasciaproponimento sì fatal! Se aitadagli uomini sperar non c’è concesso,scudo rimane agl’infelici, Iddio. Chi spera avrà mercè: dell’ara al piedevieni nel tempio; la preghiera a Dio,come il sospir dell’innocenza è cara.

Pia D’alme sublimi la preghiera è degnaopra ammiranda; 11 ma spezzare il giuro,

10 E conscio … il prence: E ne è informato il principe?11 opra ammiranda: azione ammirevole.

591Pia dei Tolomei

che unì due cori ad un sol patto, è scelo 12

condannato da Dio. Ritorce al suolo,come fumo di vittime profane,prece di moglie che divider niegacon lo sposo i perigli. Afflitta resto,e invoco morte.

Imelda Ed è tuo giuramento?

Pia L’ignori Imelda? Di compir lor giornigiuran le spose dei consorti al fianco:e se uniti alle gioie in stretti nodiamor li fece, anch’ei nel duol li annodae nella morte.

Imelda Oh me infelice!

Pia Vanne 13

tu sola al tempio. A Dio per questa reggiaalza fervente la tua prece: è in lui,la nostra speme. Ei scudo è a tutti: il mondoagl’infelici nulla dà.

Imelda Tu squarciin mille brani questo cor… Morireteco è mia brama…

Pia Non disfarti in pianto,ché morte mi darà riposo eterno.

12 scelo: delitto.13 Vanne: Vai.

LIONARDO MORRIONE592

Ma tu vivi felice, or che beatiti sorridono i dì; vita più dolcetra le delizie a te desìo. Ma quandosarai tu in braccio del german mio carobeata sposa, tra splendori ed agi,ricorditi di me che son la Pia:Siena mi fe’, deh non scordarlo! E allorache nel silenzio della notte il piedetra i fiori volgerai del tuo giardinol’odor libando, ah versa allor pietosauna stilla di pianto, ed un sospirosovra l’amica che l’eterno sonnosotterra dormirà!… Se pur fregiatodi benda vedovil, salvo da morte,presso il mio avello, 14 troverai lo sposocol tributo di un fior, ch’evochi l’ombradell’infelice che morìa di affanno,deh tu il conforta nel dolor; che viva,digli, pel figlio, e che a insolubil nodolà nel cielo l’attendo…

Imelda Ah taci! ah taci!Tu di terror mi colmi il petto. Il cielodisperda i tuoi presagi, e un raggio mandiche ne sollievi dalle angoscie. È mial’ambascia che tu soffri… Ah! se morirevorrai tacendo, non sperar che io lascite un solo istante; noi morremo insieme.

14 il mio avello: la mia tomba.

593Pia dei Tolomei

Pia Ti serba in vita. Tu potresti almeno,quando il tempo disperda ogni odio antico,pel figlio mio, se non per altri, un’auraottener di conforto. Egli nel mondoorfano reso, misero, infelicedegli anni suoi col crescere membrandoil perduto splendor, potrebbe un cupobaratro aprirsi ai piedi. Allor deh! stendipronta la destra per salvarlo.

Imelda Oh Dio!

Scena terza. Nello immerso nel più cupo dolore siavanza sulla scena senza punto accorgersi di Pia e diImelda.

Nello Sull’orizzonte di mia vita apparsotinto a gramaglie 15 è un fatal astro. Il corsopiega all’occaso; 16 ma in un mar di sangue,pria che tramonti, vedrà al suol… Vendettaper me sarà piena, solenne.

Pia Oh Dio!

Imelda Che orror!

Nello (Vedendole.)Di pianto non è questa, o donne,

15 tinto a gramaglie: colorato a lutto.16 all’occaso: al tramonto.

LIONARDO MORRIONE594

l’ora opportuna, essa è di morte. Orrendosudor già gronda la mia fronte, e il cuoreche sanguina lo preme. In mezzo a millefuneste idee, che fan balzar quest’almafra sirti 17 e scogli di sventura e all’orlodel precipizio l’avvicinano, una,orrida, pallidissima, gigantesopra tutte si estolle; 18 e più mi rendeterribilmente forsennato. Io paced’amor chiedo; e dipingo alla mia mentecari fantasmi, dolci sogni, affettid’innocente virtù: cerco tra l’ombre,quasi fanciullo innamorato, un’auradi contentezza, una virginea rosache rattempri il mio duol; ma amor risponde,imbavagliato d’atre 19 bende, in fieriorribili rimbrotti; e mi respingedove il sol tace; e in seno all’ombre infidetrovo la rosa a cui si avvinchia un serpeche l’aëre avvelena. Ahi! che mi è toltadi pace anco la speme; e divien mostroferoce, irresistibile, inumanol’uom cui s’invola 20 la speranza.

Pia Oh cielo!Non regge il cuore a tanti strazii! È straleil dir tuo arcano…

17 sirti: paludi.18 si estolle: s’innalza.19 atre: nere.20 cui s’invola: a cui viene tolta.

595Pia dei Tolomei

Nello E acuto stral, che devein brieve ora ferir. Strazio crudeleè il mio, soltanto il mio, che mi è rapitadal core anco la pace, e sangue carodovrò versare, e sperdere fremented’amore una reliquïa che io serbo. Il chiede onor? Sia pago. Or sopra il brandoinvolontaria la mia destra correpronta a ferire, e fulminare… Imelda!… Perdona a tai trasporti… il cor tuo pena… Solo mi lascia con la moglie; almenotutta potrò l’irresistibil fogaversar del mio dolor. Se a eterno piantonoi danna il fato, a che soffrir tu? — Parti.

Imelda Signor!…

Nello Lo voglio.

Imelda Eterno Dio! (Via.)

Scena quarta. Nello e Pia.

Nello Siam soli;or libera la fiamma uscir può intierada questo sen; dentro di lui repressasi agita sì che già sovverte e schiantaogni moto di amore, ogni bel sensodi tenerezza; e suscita voracefuoco alle fibre che alimento porgeallo sdegno, al furore, alla vendetta.

LIONARDO MORRIONE596

Vieni; discerni sotto il tatto i fieribattiti del mio cor che truce guerrami destano nel petto? Essi ad alta iragià mi accendono, e già…

Pia Tu di spaventol’alma mi colmi, e in mille brani squarciquesto afflitto cor mio. Dolor non avviche uguagli il mio soffrir: nelle tue smanietutto l’orrore della morte io veggio,e pur morire non posso io. Men crudafora la morte in tal momento, almenoio non vedrei di te lo strazio.

Nello Ancoradelle mie smanie tutto il nero eccessonon scende nel tuo cuor. Lievissima ombraapparsa è appena; ma divampa e scoppial’occulto foco; e già fatale incendiosorge a bruciar…

Pia Che pensi?!

Nello Un solo mezzoa vendicarmi. Oh come anela sangueil vilipeso onor! Come reclamapronta giustizia in fieri accenti! Avversoa duri sensi fui, quando d’accantodi tenerezza un angiolo mi stava;e mi ebbi pace: or disperato e truceche ho un demon infernal…

597Pia dei Tolomei

Pia Lampo d’orrore,oh Dio! qual mi traluce!…

Nello Il fiero lampodal mio pugnal balenerà. Segnatonel libro eterno è già l’istante; il coremuore agli affetti, e nell’idea rinascedi una vendetta desïata… 21

Pia Oh stelle!…

(Pia, agli ambigui ed arcani detti del marito, è nelmassimo abbattimento. Costui, combattuto dal piùviolento furore e da qualche lampo di affetto, presentala vera immagine della disperazione. Non ha fibra chenon gli tremi visibilmente; ed il suo aspetto è rabbuf-fato ed austero.)

Scena quinta. Nella violenta azione dei precedentiprorompe Ghino con rapidità grandissima.

Ghino Prence, in Senato il tuo venir si attende.

Nello Ahi! qual momento!…

Ghino Or tuo soccorso, e aitachiede la patria.

Nello (Risolutamente.)

21 desiata: desiderata.

LIONARDO MORRIONE598

Andiam… ma all’onde il[sole

ritornerà di orror compreso.(Viano.) 22

Pia Io manco!…(Spaventata da questi ultimi accenti svienetramortita a terra.)

22 Viano: Si avviano.

599Pia dei Tolomei

Atto quinto

Scena prima. Nello solo.

In periglio è la patria; ed il Senatoatterrito vacilla?… E la mia sposa?Ella è infedele?!… Oh patria mia perdonase or l’infamia crudel di una consortemi trasporta al furor. Dunque all’affettopronta mercede 1 è il tradimento?… Ingrata!E sì rispondi all’amor mio? Mi porgiguiderdone 2 d’infamia, e fingi amore?… Ahi stolto fui nell’adorarti, insanonel farti un’ara entro il mio core!… Or tacciaogni palpito vil, parli vendetta;e sappia il mondo, che dell’onor santocosì si terge l’atra macchia. Al campoio volerò; ma pria nel sen ti avrai,donna fatale, un duro ferro.

Scena seconda. Il cavaliere, Enrico, e Nello.

Cavaliere In braccioa te venirne volle il figlio: amoredi te lo spinge; ed io il secondo. 3

1 mercede: ricompensa.2 guiderdone: ricompensa.3 ed io il secondo: ed io lo assecondo.

LIONARDO MORRIONE600

Enrico O padre!

Nello O figlio mio; mi abbraccia; e questa attuta 4

guerra crudel di affanni.(Fa cenno al cavaliere che parta.)

Enrico E perché in duolosovente così stai?

Nello Deh taci, Enrico;del mio dolor non favellar.

Enrico Ma a forzami strappi il pianto tu dal ciglio; parla.

Nello Oh qual dolcezza nei tuoi cari dettimi scende in core a consolarmi!… Abbracciami.

Enrico Sì; abbracciami al tuo petto.

Nello Or dimmi,[Enrico,

ami la madre tua?

Enrico Sì; l’amo… quantote stesso.

Nello E in la mia assenza un cenno, un[vezzo

ti fé di amore?

4 attuta: attenua.

601Pia dei Tolomei

Enrico In me vivea soltanto. 5

Nello E mai di me ti favellava?

Enrico Sempre,sempre.

Nello Che narri tu?

Enrico Anzi piangevaper la tua assenza tutto dì.

Nello Piangeva?!(Quasi delirante.)Ahi pianto infame!

Enrico Quai tremendi vibrisguardi su me?… Io tremo!

Nello (Fuori di sé.) Aneli sangue,

tradito onore?… Il verserò… tua bramaappien satolla renderò.

Enrico Ti calma,ti calma per pietà! Per la mia madreche ti ama e adora ti scongiuro!…

Nello Ah! fruttomaledetto di lei; sebben fanciullo,

5 In me vivea soltanto: Viveva soltanto per me.

LIONARDO MORRIONE602

tu pur m’insulti? Mi dileggi? 6… In corevieppiù le smanie mi ridesti?… Ah puredi te dira 7 vendetta…(Lo tira per un braccio.)

Enrico O padre mio!…

Nello Ma, abbenché figlio di quell’empia, ei partepure non è del sangue mio?… Mi assisti,o Ciel! più non resisto a’ vari affettiche in cuor mi fanno ineluttabil guerra!(Cade convulso sur una sedia. — Pausa.)

Scena terza. Ghino e detti.

Ghino Prence, pel campo è già compiuta ogni opra:suoni lo squillo della tromba, e spintodall’ardimento il milite vedraivibrar la spada e palleggiar la lanciavendicatrice dei tuoi dritti. Il maree l’Alpi tra il terren dell’Arno e Sienaeternamente sien frapposte: il vuoleun popol tutto al soglio tuo fedele.

Nello E il popolo è a mio pro? 8

6 Mi dileggi: Mi schernisci.7 dira: spietata.8 a mio pro: a mio favore.

603Pia dei Tolomei

Ghino Tale lo resel’alta dei Padri 9 veneranda voce.

Nello Dunque cuore riprese ora il Senato?…Dunque?…

Ghino Vestirsi di un seren celestepar che si voglia l’avvenir; ma un varcoancor ci è d’uopo 10 sorpassar.

Nello Tranquillosorrideranne l’avvenir, se spentocadrà a’ miei piedi il traditor, che in visol’atra macchia scolpivami. Sì, è dessol’orrido passo che a varcar ci avanza:e strenuamente il varcherò. Tu in pegnoil nome ad indagar del reo giurasti.Ed io sperai felici effetti.

Ghino Ahi! tuttevane le mie cure tornar; ma un colpoche tu darai non troncherà l’ambasce 11

che ti struggono il core?

Nello (Dopo una pausa.)Ho risoluto. 12

9 Padri: senatori.10 ci è d’uopo: dobbiamo.11 ambasce: angosce.12 Ho risoluto: Ho deciso.

LIONARDO MORRIONE604

Enrico or vanne: qui mi avvia la madre;e tu rimanti con Imelda.

Enrico Io volo,io tuoi mali a lenir.(Via.)

Ghino Di Pia col sangue.

Scena quarta. Ghino e Nello.

Nello Ah fido Ghino! Or tu vedrai quai colpisaprà vibrar questo braccio.

Ghino È d’uopoormai che io parta. Tel dicea, che un altropasso rimane a sormontar: credestiforse, ch’ei sia dar morte al turpe drudo? 13

Ma pur desso non è. Sentore io mi ebbiduro, fatal, terribile. Qui in Sienacontro tuoi dì, nell’ire sue di sangue,né lieve è il grido, con armata genteEvaldo forse a congiurar si asconde.Squarciar quel velo assai mi preme; e un soloistante non vogl’io che scorra.

Nello E dondenuova sì infausta ti pervenne?

Ghino Orecchie

13 drudo: amante.

605Pia dei Tolomei

e delator, chi il suo buon prence intendecon fedeltà servire, ha cento e mille.

Nello Vanne tu dunque; e sia precipua curasquarciare il vel del tradimento. Adduci,se pur lo brami nell’impresa, Ubaldo,pronto a incontrare disperata morteper l’onor mio. L’opra è di te…

Ghino Ti affidaal mio noto valor. Ratto 14 di Piaprendi vendetta, ché pensier mio primosarà dar morte al tuo crudel cognato.(Via.)

Nello Ti assista il cielo nel fatal cimento! 15

Scena quinta. Nello.

(Tirando il ferro 16 trovato nel giardino.)È questo il ferro; e questo il cuor dell’empiain fino all’elsa passerà: lo chiedeardentemente onor tradito; e onore,pari all’offesa, avrà vendetta. Oh comedai molti affetti di pietà lontano,tra palpiti furenti, il cor nel dolcepensier di sangue or si trasporta! Oh comel’istante anela di vibrar!… Chi il ferro

14 Ratto: rapido.15 cimento: scontro.16 il ferro: il pugnale (di Evaldo).

LIONARDO MORRIONE606

nel sen profano di spergiura moglienon pianterà con alma forte? Al vileil disonore, il vendicarsi al prode.Ma ancor non viene? Olà! donna, ti appellavoce imperante del signor… Più frenol’ira non soffre; ai concitati motisi rompe il sen… terribile è la fiamma… Io non resisto!… Oh Dio!…(Dà per la scena due passi.)

Scena sesta. Pia e detto.

Pia Nello!

Nello Sì prestoai cenni miei risponder sai?

Pia Risparmiarampogne amare: agl’infelici è graveogni detto crudel. Per te prostratadono di fiori innanti all’ara 17 offrivamisti a una prece a Dio. Chi ci rimanein tanti affanni? Ei sol, che dei mortaliè padre, e lui pregava…

Nello Un rio velenosta tra le foglie di quei fiori. Il Dio,empia, oltraggiasti in quell’offerta: è vana

17 ara: altare.

607Pia dei Tolomei

finta pietà, mentito ardor, ché a terracaduto è il vel che mi offuscava il ciglio.

Pia Quai crudi accenti? Sul tuo labbro è impressoterribil sdegno: e chi tel desta?

Nello Un’empiamaledetta dal ciel, di affetti e giuriviolatrice disleale. Eppureper lei qui in terra il paradiso io mi ebbi,d’amor sublime: dopo Iddio, lei solaquanto può amare ente mortale io amai,credulo troppo, che a mia fiamma ugualefosse la fiamma del suo petto. Ahi quantoera fallace quella fé! 18 Per altrisi accendeva il cuor suo, mentre di vaniaccenti mi pasceva. Ahi cruda! In bracciodi un vil si dava, vituperio ed ontascolpendo al prode in sulla fronte. Ed avvi, 19

donna, delitto più fatal? Può inertestarsi in guaina l’affilato stile? 20

Può?…

Pia Qual mistero, giusto Iddio?!

Nello Misteronon vi ha, crudel; di te mi dolgo e parlo,

18 fallace quella fé: ingannevole quella fedeltà.19 Ed avvi: E c’è.20 stile: pugnale.

LIONARDO MORRIONE608

di te che all’astro del mio onore hai fattaria macchia orrenda…

Pia Io!

Nello Sì.

Pia Sono[innocente.

Nello Ti accheta: di garrir più non è l’ora;ora fatale è già. Breve è il contentodi chi tra l’ombre di una notte oscuravende la fé, l’amor giurato. Un Dioveglia dal ciel sovra i traditi; e spandevivida luce a discoprir le colpe.

Pia Per tutti è Iddio: chi può negarlo? E Iddioagl’infelici a discolparsi apprestaun pieno dritto.

Nello E ancor dischiudi il[labbro?

Pia Il posso, il devo, o sposo.

Nello Un dì poteviusar tal nome; il tuo misfatto i drittior t’invola 21 a ragion.

21 t’invola: ti toglie.

609Pia dei Tolomei

Pia Giudice mio,se pur concedi che così ti appelli,apri tue ciglia a vera luce, e vediil fascino 22 ove sei, dove ti spingea inabissarti nera infamia. Amaro,quando fia vano il pentimento, avraitu rimorso e dolor. Di tua colombati sarìa caro anco un lamento, e il mestolamento non udrai. L’avello stesso, 23

dolce ricetto del mio fral, 24 sarattiacre rimbrotto; e fuggirai frementeper stanze oscure alto ululando: « O morte!o morte! a che non vieni?… »

Nello Ingrata! E credicon lo spavento trattenermi il braccio? Eludermi ancor brami? Infamia credisenso di onor che a’ valorosi è vita?Ah! non credea che alma sleal si stessesotto angeliche forme! Assai delusoio fui sinora; è tempo omai che io struggal’ara di amor, dal pianto mio bagnata,e su i frantumi suoi rovesci a un colpoil capo reo dell’idolo spergiuro.

Pia Uccidimi, sì uccidimi; ma l’onte 25

d’ingiuste accuse almen risparmia. Appieno

22 il fascino: la malia.23 L’avello stesso: La tomba stessa.24 fral: corpo.25 l’onte: le offese.

LIONARDO MORRIONE610

veggio chi in seno i velenosi serpidi gelosia ti vibra. Il dirò aperto;e poi mi svena: di tua man mi è dolceanco la morte. Il perfido tuo Ghinoche a sedurre il mio onore e l’amor miooprò lusinghe e rie minacce, in pettoei tal ti accese spaventevol fiamma;sì, quel ribaldo…

Nello Non più accenti: assaividero gli occhi miei molli di pianto.

Pia E che vedesti?

Nello Non forzarmi…

Pia Parla.

Nello Nol devo.

Pia Per pietade!

Nello Oh rabbia! Il drudo. 26

Pia E dove?

Nello Nel giardin.

Pia Quando?

26 Il drudo: L’amante.

611Pia dei Tolomei

Nello Stanotte.

Pia Ah! t’illudesti; credimi. Se colpain ciò riponi, io non ho colpa. Un’ombraall’onor mio quegli non dava: vindicebensì ei si fece del mio onor.

Nello Spergiura;confessi il fallo e ti difendi? Infame,quanto non credi, è quella insana moglieche in braccio altrui si gitta, è rea di morte…Ah! vendicarmi sol mi avanza! 27 Il nomedimmi del reo.

Pia Pietà! che dir posso io?…Poss’io tradir sangue innocente e caro?…

Nello Scampo non avvi… Qual clangor 28 di trombeindistinto si ascolta; ei si avvicina;che sarà mai?(Si odono alla lontana squilli di trombe, evoci confuse, che vanno rapidamente avvici-nandosi.)

Pia Gran Dio! ne assisti!(Voci da dentro.)

EvvivaFirenze! Evviva Evaldo evviva!

27 sol mi avanza: mi rimane soltanto.28 clangor: suono forte.

LIONARDO MORRIONE612

Pia Oh sposo!…

Nello (Guardando da un verone..29)Un tradimento, oh cielo!… Io son perduto… Si diede in braccio la città al nemico;ei già s’innoltra nella reggia… Ah! tuttior mi han venduto. Ghino sol mi resta;ei solo il vero mi narrava.

Pia Il primoei ti tradiva.

Nello Più non reggo… ah muori… (La trafigge.)

Pia Ah!!…(Con un grido acutissimo.)

Nello Vendicato almen di te mi sono.

Pia Muoio innocente…

Nello Ancor m’insulti?

29 verone: balcone.

613Pia dei Tolomei

Scena settima. Imelda e detti.

Imelda (Occorrendo 30 rapidamente.)O Pia,

moriamo insieme; abbracciami… Che[veggio?!…

Oh colpo rio!…

Pia Deh! mi sorreggi, amica… (Si abbandona nelle braccia di Imelda.)

Imelda Ah prence?…

Nello Mi tradiva.

Imelda È inganno.

Nello Il drudoio vidi nel giardin.

Imelda Quello era Evaldo.

Nello Evaldo!(Grandissima sorpresa.)

Imelda Sì…

Nello Morir mi resta: incontrocorro al furor…

30 occorrendo: accorrendo.

LIONARDO MORRIONE614

Scena ultima. Prorompe Evaldo con molto numerodi guerrieri guelfi. Due scudieri trascinano Ghino chea stento si sostiene per le svariate ferite.

Evaldo Ti ho vendicato, o suora.

Ghino Col sangue… di un infame…

Evaldo (Abbracciando Pia.)Oh Dio!

Nello Innocentedunque ella muore?

Ghino Un angiolo è tua sposa… Io l’empio son… che t’ingannai… nell’onta,nell’onta del mio spregiato amor… Mi maledite…nel suo germano… un drudo rio… mostrai…(Cade estinto.)

Nello (Forsennato.)Oh Dio! Che feci?!

Evaldo Ahi sciagurato è giuntal’ultima ora per te…(Per iscagliarsi.)

Imelda Mio Evaldo!…

Pia Fine…oh Dio!… una volta… io muoio…(Si sforza di svincolarsi da Imelda, onde fre-

615Pia dei Tolomei

nare il fratello, e cade a terra spenta.)

Nello Ormai[non merto

da te pietà: mi svena; a me si addicemorte soltanto…(Buttando al suolo la spada, ed inginoc-chiandosi a’ piedi di Evaldo.)

Evaldo E morte avrai; tel giuro.

Fine della tragedia.

PIETRO FREDIANI

MAGGIO DELLAPIA DE’ TOLOMEI

Volterra, 1867

Fig. 8 — Riproduzione del frontespizio di [Pietro Frediani], Maggio dellaPia de’Tolomei, Volterra 1867.

621

Presentazione

Negli stessi anni in cui il Morrione scriveva la propria tra-gedia in solenni endecasillabi sciolti, Pietro Frediani compo-ne in quartine di facili ottonari il maggio con cui la vicendadi Pia da Siena entra nella letteratura popolare, la quale nediffonderà con il valore di una verità storica la versione sesti-niana, secondo cui Pia muore vittima della calunnia diGhino, innamorato respinto. In questa operazione letteraria,il Frediani introduce alcune innovazioni, la prima delle qualiriguarda la figura di un corriere che ha la funzione di intro-durre, commentare e concludere la rappresentazione. Quan-to alla trama, il suo maggio comincia con la battaglia di Colleche vede opposti Nello e Riccardo, rispettivamente marito efratello di Pia, ed in cui Ghino, amico di Nello, viene fatto pri-gioniero da Riccardo. Liberato ed inviato ad annunciare a Piache nella prossima notte, mentre Nello sarà impegnato a giu-stificarsi in consiglio, Riccardo si recherà a farle visita, Ghinoapprofitta dell’occasione per rinnovare a Pia la propria richie-sta d’amore: respinto da lei in malo modo, Ghino dopo aver-gli fatto credere che ella attende un amante, conduce Nello avedere Pia che introduce in casa un uomo. Quindi il maggiosi snoda intrecciando il Sestini ed il Bianco; ma nel finale,mentre tutti la piangono morta, Pia rinviene e riesce apacificare Nello e Riccardo.

Nota sull’autore. Pietro Frediani, pastore poeta, nacque aButi (PI) nel 1775, in una povera casa di coloni; a quindicianni già conosceva Dante, l’Ariosto ed il Tasso; fu autore dimaggi molto prolifico; morì nel 1857; in segno di onore vennesepolto nella chiesa parrocchiale. A Pietro Frediani è intitola-ta l’attuale « Compagnia del Maggio » di Buti.

Nota sul testo. Il testo che qui pubblichiamo è tratto dalMaggio della Pia de’ Tolomei, Volterra, Sborgi, 1867. Stampa-to anonimo e quasi senza didascalie, questo maggio si ritrovain due manoscritti conservati presso la Scuola Normale diPisa: il primo manoscritto, copiato nel 1895 da Angiolo Ber-nardini di Buti, il quale vi apporta tagli ed aggiunte, le dida-scalie e la partizione in atti e scene che riproduciamo, e dalquale apprendiamo che esso fu “composto da Pietro Fredia-ni”; il secondo manoscritto, copiato nel 1930 da Firmo Signo-rini di Buti, riproduce con lievi varianti il testo a stampa del1867.

623Maggio della Pia de’ Tolomei

Interlocutori

Pia sposata da Nello.

Riccardo fratello della Pia.

Nello marito della Pia.

Ghino amico di Nello, e amante occulto della Pia.

Eremita.

Castellano.

Soldati di Nello.

Soldati di Riccardo.

[Guardie dell’eremitaggio]

625Maggio della Pia de’ Tolomei

Maggio

[Prologo]

Corriere 1. L’onorata signoria,se benigni ascolteranno, 1

le sventure intenderannodell’afflitta onesta Pia.

2. Che accusata falsamenteda un amante disperato,la dannò lo sposo iratoa languir sola e dolente.

3. E racchiusa in vecchie mura,fra paludi ed aria infetta,condannò mesta e solettaa soffrir la sua sventura.

4. E del falso accusatoreudiranno i casi rei,che assai tardi di coleirisarcir volea l’onore.

5. E del rigido consortela catastrofe udirannoed il tardo disingannonel vederla in braccio a morte.

(Fine del corriere.)

1 L’onorata …ascolteranno: Se loro, onorati signori, ascolte-ranno benevoli.

Atto primo

Bosco.

Scena prima. Riccardo e soldati.

Riccardo 6. Su, Collesi, andiamo avantia investir nella pianura,colà dove non son murache difendan gl’insultanti.

7. E se alcun per trista sortesi agguatasse 2 in vil riposoo che stasse neghittoso,punirò di orribil morte. (Partono da destra.)

Scena seconda. Nello, Ghino e soldati da sinistra.

Nello 8. Ghino, osserva i movimentidel cognato e la sortita,ché fra l’ombra a lor graditanon succedan tradimenti.

9. Poni in ordine le schiere:fa’ che ognun da petto al tergoresti armato dell’usbergo 3

qual dei militi è dovere.

PIETRO FREDIANI626

2 agguatasse: nascondesse.3 usbergo: corazza.

10. E se l’ordin da me datoosa alcun di trasgredire,lo farò tosto morirecome reo di tal peccato.

Ghino 11. Obbedisco, o capitano,e farò che i tuoi soldatisi stian pronti e preparaticolla nuda spada in mano.

12. 4 Militari, è vostra curaprepararvi alla battaglia,perché Colle e la canaglianon ci assalga all’aria oscura.(Si ritirano a sinistra.)

Scena terza. Riccardo e soldati da destra, indi Ghinocoi suoi.

Riccardo 13. Miei soldati, ecco il momentodi piombar rapidamentesull’iniqua infame gentee decidere ogni evento.

14. Su, miei fidi, la contradaio vi addito: or me seguite;terminiam la nostra lite:io son primo a aprir la strada.(Entrano Ghino e soldati; si battono; Ghi-no resta prigioniero; partono a destra.)

627Maggio della Pia de’ Tolomei

4 Qui il Frediani nota: Si volta ai militari.

Scena quarta. Nello, frettoloso da sinistra, indi Ric-cardo.

Nello 15. Ecco qua, siamo assalitidalla truppa masnadiera:rovesciata è la bandiera,pieno è il campo di feriti. (Per partire da destra.)

Riccardo (Appena giunto si battono.)16. 5 Non fuggir, cedi, o fellone, 6

a fuggir non hai più strada.Nello Finché in pugno avrò la spada

non fia mai ch’io sia prigione. (Riccardo si ritira a destra.)

17. Fu disfatta la mia schieradai Collesi iniqui e felli, 7

che se Siena avea sei Nelliforse Colle più non era.

18. 8 Se un nemico dichiarato vinto avessemi fra l’armipace avrei, ma strano or parmilo star sotto ad un cognato.

PIETRO FREDIANI628

5 Qui il Frediani nota: Si battono tutti.6 fellone: traditore.7 iniqui e felli: ingiusti e traditori.8 Qui il Frediani nota: Si battono a soli.

19. Ritirarmi a render contodella causa mia perdenteche azzardai con poca gente:a scolparmene son pronto. (Parte a sinistra.)

Scena quinta. Riccardo, Ghino e soldati da destra.

Riccardo 20. Siena, Siena, a mano a manoti ho ridotto al tristo die:si vedran le profezieavverar del tuo Brandano. 9

21. O Senesi, or non avretepiù ragion di andare alteri:

629Maggio della Pia de’ Tolomei

9 Nato a Petroio, in Valdichiana, nel 1483, dopo una giovi-nezza da libertino, Bartolomeo Carosi, detto il Brandano, ini-ziò una vita di penitenza che lo portò a vagare per anni per laToscana, l’Italia e la Spagna: scalzo, vestito di sacco, con unteschio in mano, predicava nelle chiese, nelle vie, nelle piaz-ze, pronunciando severe profezie, per lo più in rima, contronazioni, città e potenti corrotti. Profetizzò anche la fine dellarepubblica di Siena e durante quella guerra (1552–1555)animò la resistenza popolare contro l’occupazione spagnoladella città. Morì a Siena il 24 maggio 1554.

— Questo anacronismo della citazione di una profezia delBrandano sui destini di Siena da parte di Riccardo subitodopo la battaglia di Colle (1269), cioè quasi tre secoli primache il Brandano esistesse, si spiega con il fatto che nellaToscana del Frediani il Brandano era ormai un personaggioproverbiale e perciò senza tempo.

già tra morti e prigioniericinquecento almen qui siete.

Ghino 22. Io son qua tra’ tuoi prigioni:fui costretto dal poterel’armi contro a sostenerede’ Riccardi miei padroni.

Riccardo 23. Noi di ciò non siamo ignari,e per questo a te concedolibertà, vita e congedo:torna pure ai patri Lari. 10

24. Nel tornar saluteraila carissima germana, 11

la mia Pia, da me lontanache a un nemico maritai.

25. Le dirai che a notte oscurapenso andarla a visitare,mentre Nello è in Siena a darerelazion di sua sventura.

Ghino 26. Alto duce, io ti son gratoné fia già ch’io possa maidella grazia che mi fairender te rimunerato.

PIETRO FREDIANI630

10 Presso gli antichi Romani, i Lari erano le anime dei de-funti protettrici della casa (focolare).

11 germana: sorella.

Riccardo 27. Vanne, amico, e caramentela germana mia saluta;dille a sera, all’aria muta,andrò a lei sicuramente.

(Si cali il sipario.)

Fine dell’atto primo.

631Maggio della Pia de’ Tolomei

Atto secondo

Camera.

Scena prima. Pia, e Ghino da destra.

Ghino 28. Posso, o Pia, posso una voltacomparire al tuo cospettosenza prendere a dispettola mia voce? Dunque ascolta.

Pia 29. Di venir tu sei padronedi altre cose a ragionare,ma sentir non vuo’ parlaredella sciocca tua passione.

Ghino 30. Guardi il Ciel se il detto miospiega a te gli antichi guai:già conosco e vedo assaiche da te sperar poss’io.

31. Son da parte del fratelloa narrarti come speravisitarti in questa sera,mentre sa che assente è Nello.

32. Questa sera rivedraiil fratello all’aere ombroso,e dimani il caro sposocon piacere abbraccerai.

PIETRO FREDIANI632

Pia 33. Venga dunque il buon germano 1

taciturno in queste mura:stimerò mia gran venturaribaciarlo in volto e in mano.

34. Venga poscia 2 il mio consorte,sola fiamma del mio cuore:fu per sempre il mio signore,lo sarà fino alla morte.

Ghino 35. Dunque io son tanto infelice,tanto vile agli occhi tuoi,che mirar neppur mi vuoi?Oh! dei cuori incantatrice!

Pia 36. Tel vietai, né ancor l’intendi,di parlare a me di amore.

Ghino Mi rubasti in petto il cuore:o mel sana o me lo rendi.

Pia 37. Quella lingua sì arrogantechiudi e sbarra; ho ben ragionedi bandir da mia magione 3

te qual stolto ed ignorante!

Ghino 38. Cruda donna, io giuro al Cieloche lo scempio è a te vicino:non mi morse mai mastinoche di lui non trassi pelo.

633Maggio della Pia de’ Tolomei

1 germano: fratello.2 poscia: poi.3 di bandir da mia magione: di scacciare dalla mia casa.

Pia 39. Vanne via, cervello scemo,a me dire è dire al muro:le carezze tue non curo,le minaccie tue non temo. (Partono: Ghino a destra, Pia a sinistra.)

Scena seconda. Bosco con giardino: Ghino e Nelloda destra.

Ghino 40. Alto duce, in questo giornoson venuto ad avvisarti,come servo a far mie parti,onde schivi eterno scorno.

Nello 41. Or tu informami da amico:cosa fa la sposa amata?

Ghino Fa una vita scellerata,disonesta: il ver ti dico.

Nello 42. Scellerata la mia Pia?Ah! che appena il crederei,se mirasser gli occhi mieisua supposta fellonia. 4

Ghino 43. Se mi giuri di taceresull’acerbo disinganno,la cagion di ogni tuo dannoti farò tosto vedere.

PIETRO FREDIANI634

4 sua supposta fellonia: il suo preteso tradimento.

Nello 44. Giuro al Ciel che non sariada me offesa e molestata;e neppur rimproveratadell’error sarà la Pia.

Ghino 45. Or che notte il manto nerostende ovunque, a quel balconevieni, o duce, in mia magionee vedrai se dico il vero.(Si ritirano in agguato a destra, con via dadestra.)

46. Vedi là quel viandantecon quel lume in cavo rame? 5

Di tua moglie il drudo 6 infamemuove a lei dubbiose piante. 7

47. Vedi tu come si aggira?Ora osserva: ella si affaccia,gli apre l’uscio e se l’abbraccia,l’introduce e a sé lo tira.

Scena terza. Pia e Riccardo.

Riccardo 48. Son da te, germana amata.Pia Mio carissimo fratello,

635Maggio della Pia de’ Tolomei

5 con quel lume in cavo rame: con quella luce nella concavalanterna.

6 drudo: amante.7 muove a lei dubbiose piante: va da lei con passi incerti.

entra qua nel nostro ostello, 8

u’ 9 è la mensa apparecchiata.

49. Come mai tu qui venisti?Riccardo Quivi venni a notte folta

per vederti un’altra volta:la cagion da Ghino udisti?

50. Ti salvai lo sposo amato,benché avverso a nostre mire,e non feci a lui soffrire,qual dovea, l’estremo fato. 10

Pia 51. Ti ringrazio, o buon fratello;prendi cibo e ti ristora,ma brevissima dimoradevi fare in quest’ostello. (Partono a sinistra.)

Scena quarta. Nello e Ghino da destra.

Nello 52. Chi mi regge? Io d’ira avvampo!Vuo’ troncar d’ambi la vita,come il reo e la madianita,ambidue trafitti in campo. 11

PIETRO FREDIANI636

8 ostello: alloggio.9 u’: dove.10 e non feci …fato: e non gli feci subire, come pure avrebbe

dovuto, la morte.11 Per questo terribile fatto di sangue, vedi la Bibbia, Nume-

ri, 25, 1–18, dove si racconta come l’israelita Zimri e la madia-

Ghino 53. Se sciogliesti al giuramentole tue labbra, or tu non deioltraggiar né lui né lei,né guastare il sacramento.

Nello 54. Dici il ver; ramingo, afflittopasserò la vita mia.

Ghino Sia peraltro in tua balìavendicar sì gran delitto.

55. Devi andar pel mondo errantedi altre belle a fare acquisto.

Nello Consiglier nefando e tristo,tu mi parli da brigante.

637Maggio della Pia de’ Tolomei

nita Chozbi vennero trafitti, mentre erano accoppiati nellapropria tenda, dal sacerdote Pinkhas con un solo colpo dilancia al basso ventre, in quanto colpevoli di accoppiarsimentre il popolo d’Israele piangeva, davanti alla Tenda delconvegno con Dio, il peccato di idolatria da esso commessoadorando le divinità delle donne di Moab, con le quali i suoiuomini si erano precedentemente accoppiati.

— Copiando il testo del Frediani e certo ignorando questonon notissimo episodio biblico, il Tognarini dovette vederviun errore di stampa che egli ritenne di dovere correggereriscrivendo questa quartina così: « Chi mi regge? Io d’iraavvampo / Vuò troncar d’ambi la vita / Come reo, e la mandiAnita / Ambi due trafitti in campo »; dove il reo è Nello, per-ché uccide la mandata, cioè Pia, mentre Anita, cioè colei chela manderebbe, è la personificazione per assonanza (garibal-dina?) della seconda parte del termine biblico madianitausato dal Frediani.

56. Andrò tosto 12 per ridurlacome merita il mio sdegno.

Ghino Su, con Dio, nell’arduo impegno,ché con Lui sai non si burla. (Parte a destra.)

Scena quinta. Nello solo.

Nello 57. Che farò con quell’ingrata:trucidarla con furore?Ora è offeso il nostro onore:vendicarlo a mano armata?

58. Ma che dico? Ah! no, già feigiuramento sul Vangelo:empio al mondo e odioso al Cieloper tal morte io diverrei.

59. Perdonarla? In me non sentotal valor: da me fu vistala sua colpa iniqua e trista,e il suo vero tradimento!

60. Chi dirìa che in sì ben fattimembri e faccia così bellasi racchiuda un’alma fella,Pia di nome e rea di fatti?

PIETRO FREDIANI638

12 tosto: subito.

61. Mi lusinga il cieco amoreriabbracciar sì vaghe membra,ma ripugna e ingiusto sembraumiliar tanto l’onore.

Scena settima. Pia da sinistra, e detto.

Pia 62. Mio consorte, come maistai così mirando a terra?

Nello Chi ha perduto onore e guerranon può lieto esser giammai.

Pia 63. Già fra l’armi sempre una delle due parti soccombe;or, mio caro, a te ne incomberassegnarti alla fortuna.

64. Vedo ben che tu sei sano;se perdesti, opraste assai; altra volta vincerai.

Nello Or fuggir si dee lontano!

65. Di adornarti ben procuracolle gioie e l’aurea gemma,ché alla villa di Maremmaio ti guido, stai sicura.

(Si cali il sipario.)

Fine dell’atto secondo.

639Maggio della Pia de’ Tolomei

[Intermezzo.]

Corriere 66. Per la Pia che soffre a tortoda empio amante il tradimento,onoriam quel sacramento 1

degli afflitti gran conforto.

67. Onoriam la gran regina 2

che dell’uomo il cuore vuole:renda fede al sommo soledell’eterna Unità Trina.

68. Lode al par dei Serafiniché conforta e dà coraggio,fasto 3 cibo al gran viaggiodi noi stanchi pellegrini.

PIETRO FREDIANI640

1 Questo sacramento sembra essere l’eucaristia, cioè la messa.2 Questa grande regina sarà o la Vergine Maria o la stessa

Trinità divina.3 fasto: fausto, favorevole.

Atto terzo

Castello.

Scena prima. Castellano, Pia e Nello che entrano dadestra.

Castellano 69. Mio padron, bene arrivato;io son pronto ai cenni tuoi.

Nello Ti saluto; e attendi poia quest’ordine privato.

70. Castellano, ascolta e siada te l’ordine eseguito:fuor che in questo a nessun sitopassi mai la sposa mia.

71. Somministra alla sua vitagli alimenti sin ch’io torni,mentre vo per pochi giornialla caccia in mia bandita. 1

Castellano 72. Tutto intesi, e tutto ancorad’eseguire ti prometto:servitù, custodia, affettouserò con la signora. (Nello parte a sinistra, il castellano a de-stra.)

641Maggio della Pia de’ Tolomei

1 in mia bandita: nelle mie terre.

Scena seconda. Pia da destra, indi il castellano.

Pia 73. Sposo amato, dove seiche non vieni al tuo riposo?Cessa omai di star pensosoné sdegnar gli affetti miei.

74. Castellano, ov’è il padronecui 2 non vedo e spunta il giorno?

Castellano Non temer, farà ritorno;si è portato in cacciagione.

75. Visitar le sue bandite,le sue terre e i suoi lavorie i suoi tanti agricoltorison per lui cure gradite.

Pia 76. Vi voleva tanto pocoquesto a me notificare;or staremo ad aspettarecome andrà a finire il giuoco. (Partono a destra.)

Scena terza. Eremita da destra e Ghino da sinistra.

Ghino 77. 3 Buon romito, a te mi volto:ho un pensier che mi divora,

PIETRO FREDIANI642

2 cui: che.3 Qui il Frediani nota: Pentito del tradimento si confessa dal-

l’eremita.

mentre, infame, a una signorainnocente fei gran torto.

Eremita 78. Caro figlio, i torti usatisiamo pronti a riparare,se si vuol l’alma salvareda enormissimi peccati.

Ghino 79. Una sposa al suo consorteaccusai di rotta fedecon astuzie, ed egli crede,n’è dolente e l’odia a morte.

Eremita 80. Guai a te! Se vuoi salvarti,devi subito svelarel’innocente e te accusaree di reo far le tue parti.

81. Altrimenti, o figliuol caro,guardi il Ciel, se tu morissi,piomberesti ai cupi abissia soffrir nel pianto amaro.

Ghino 82. Se il mio fallo è tanto grande,io lo vado a discolpare:per non più giammai peccare,partirò da queste bande. (Partono a sinistra.)

643Maggio della Pia de’ Tolomei

Scena quarta. Pia da destra, indi il castellano.

Pia 83. Dove sei, crudel mio Nello,che mi lasci abbandonata,dai viventi separata,in quest’orrido castello?

84. Se in tre dì non sei tornato,forse fia 4 che orribil fieranella selva, all’aria nera,t’abbia oppresso o divorato.

85. Là verrò con te, mio bene;e se a me la sorte toccache m’ingoi la stessa bocca,darò fine a tante pene. (Apparisce il castellano.)

86. Castellan, mi sia calatoper pietà del fosso il ponte,ond’io cerchi al prato e al monterintracciar lo sposo amato.

Castellano 87. Cara, un ordine che tengoattraversa il tuo disegno; 5

non vuò incorrer nello sdegnodel padron: però 6 non vengo.

PIETRO FREDIANI644

4 fia che: sarà che.5 disegno: progetto.6 però: perciò.

Pia 88. Dunque, ohimé! dal mondo assente,mi è vietato anche parlare;tornerommi 7 a sospirarenel mio carcere dolente.

89. Nasce il sole e qui mi trova,parte il sole e qui mi lasciaa soffrir la nuova ambascia, 8

a provar la pena nuova.

90. L’aria pessima che spirada quel lago micidialedarìa fine ad ogni malecol dolor che mi martira.

Scena quinta. Eremita da destra, e detta.

91. Padre santo che passateda quest’orrido castello,se vedeste mai il mio Nello,quest’annunzio a lui portate.

Eremita 92. Sì, ché spesso l’ho miratosul destriero 9 di passaggiopresso il nostro romitaggio,e sembrommi assai turbato.

645Maggio della Pia de’ Tolomei

7 tornerommi: me ne tornerò.8 ambascia: angoscia.9 destriero: cavallo.

93. E qual uomo che delira,si rivolge in ogni loco:or avvampa e par di fuoco,ora piange ed or sospira.

Pia 94. Se occasion di rivederlo,buon romito, avessi mai,da mia parte renderaiquesto a me funesto anello. 10

95. E a lui di’ che come intierorendo a lui quel cerchio d’oro,così rendo il mio decoro,la mia fede e cor sincero.

96. Che da lui trafitta io cado:per la noia e la tristezza,l’aere tristo 11 e l’amarezza,a morir ben presto vado.

Eremita 97. Offri al Ciel tue crude pene,cara figlia, e spera in Dio;e se vale il mezzo mio,saran sciolte tue catene.

98. Ove no, ti sia d’avvisoperdonarlo e sei beata.Io ti lascio, o figlia amata.

PIETRO FREDIANI646

10 questo a me funesto anello: questo anello che per me èfonte di sventure.

11 l’aere tristo: la malaria.

Pia Ci vedremo in Paradiso. (Partono eremita a sinistra, Pia a destra.Si cali il sipario.)

Fine dell’atto terzo.

647Maggio della Pia de’ Tolomei

Atto quarto

Camera.

Scena prima. Eremita, indi Nello frettoloso da destra.

Eremita 99. Ritorniam pronti alla cella,ché mancanza abbiam di Luna,molto più che l’aria imbrunaper vicina aspra procella. 1

100. Vedo qua venire in fretta cavalier brioso e snello.Giusto Cielo! Appunto è quelloche la Pia lasciò soletta. (Si ode tuoni e lampi.)

Nello 101. Buon romito, io chiedo in questatua magion 2 ricoverare:odo qua che freme in marealta ed orrida tempesta.

Eremita 102. Spiace a me, se male accoltovoi sarete a nostra mensa che legumi sol dispensa.

Nello Questi a me son cari molto.

PIETRO FREDIANI648

1 procella: tempesta.2 magion: casa.

Eremita 103. Dunque entrate, amico caro;adattatevi alla meglio;un frugal di lenti sceglionostra cena 3 e la preparo.

104. Qui sedete, e mentre il fuococuoce il cibo e ci ristora,strano caso occorso or orapermettete io narri un poco.

Nello 105. Narra pur, ché di ascoltarestrani casi ambisco anch’io,per veder se come 4 il miosi potrà paragonare.

Eremita 106. Abitava in questo monteun selvaggio cacciatorech’era avaro possessored’una cervia, un prato e un fonte.

107. Una cervia così bellacarezzava e dalle intattemamme sue spremeva il latte;e liquor sorbìa di quello. 5

108. Gli fe’ creder l’impostore,che invidiava il suo riposo,ch’avea morso un can rabbiosola sua cervia con furore.

649Maggio della Pia de’ Tolomei

3 un frugal… cena: scelgo un po’ di lenticchie come nostracena.

4 come: con.5 e liquor sorbia di quello: e beveva l’acqua di quella fonte.

109. Egli allora, entrato in rabbia,gran baston nodoso afferrae la cervia opprime a terrasemiviva sulla sabbia.

110. L’innocente bestia al suolonel morir carezza e lambe 6

al crudel le irate gambe,lui amando in mezzo al duolo.

Nello 111. La parabola comprendocome storia tutta mia,che fu cara sposa Piacui innocente affliggo e offendo.

Eremita 112. Deggio renderti l’anelloche da lei mi fu affidato, mentre fui da lei passatopellegrin dal tuo castello.

113. Mel gettò dal suo balconee una ciocca di capelli;lacrimavan gli occhi bellinel parlar questo sermone.

114. « Al carnefice mio Nelloquesto anello renderai,se occasion ti s’offra mai,padre mio, di rivederlo.

PIETRO FREDIANI650

6 lambe: lambisce.

115. Gli dirai che come intierorendo a lui quel cerchio d’oro, così rendo il mio decoro,la mia fede e il cuor sincero. »

Nello 116. L’innocenza e il cuor costantepuò vantar ma con gli sciocchi,mentre videro questi occhidarsi in braccio a strano 7 amante.

117. Vidi l’atto disonesto!L’introdusse in mia magione. 8

Eremita Sarà stata un’illusione: deh! non crederlo sì presto.

118. Rea foss’anco, il Cielo additaperdonare il suo misfatto,qual mostrò Gesù sull’attodell’adultera pentita.

119. Si drizzò da scriver bassoe intimò gli accusatoriche chi fosse senza errorile scagliasse il primo sasso.

Nello 120. Tu mi hai vinto, o buon romito,e per te disposto sono

651Maggio della Pia de’ Tolomei

7 strano: estraneo.8 in mia magione: nella mia casa.

dare a lei gentil perdono,purché facciamene invito. 9

Eremita 121. Dunque andiamo a ritrovarlae affrettiamci a far partita,ché vicina a escir di vitaparve a me nell’ascoltarla.

Nello (Guardando dalle quinte.)122. 10 Chi è colui che laggiù stesosul terren giacer si mira?Sembra agli atti un uom che spirada’ ladroni o fiere offeso. (Vanno a prendere Ghino ferito a fine. 11)

Scena seconda. Ghino e detti, [indi guardie dell’ere-mitaggio.]

Nello 123. Giusto Ciel! Che miro? È Ghino!Che ti avvenne, o sventurato?

Ghino La mia colpa, il mio peccatohan deciso il mio destino.

124. Io venìa di te cercando,per disdir la falsa accusa

PIETRO FREDIANI652

9 Purché facciamene invito: purché me lo chieda.10 Qui il Frediani nota: Nello con l’eremita trovano Ghino

sbranato da un lupo.11 ferito a fine: ferito a morte.

di tua moglie che racchiusasta per me colà penando.

125. E ti affermo, amico Nello,che in error ti fei mirarenon l’adultero abbracciare,ma Riccardo suo fratello.

Nello 126. Ti ricredi dell’errore?Tel dettò la tua coscienza?Voce fu di penitenzache ti ispira Dio Signore?

Ghino 127. La burrasca e l’aer cupoper fuggir, in fretta andaisotto un masso e vi trovaiappiattato ingordo lupo.

128. M’ha squarciato ventre e petto,come vedi; io moro: addio.Poni mente, amico mio,a quest’ultimo mio detto.

129. Va’, sprigiona 12 l’infelice,rendi a lei il primiero affetto;questo sia l’ultimo dettoche da me giustizia dice.

Nello 130. Sciagurato! Ahimé! qual sortecagionasti a un’innocente

653Maggio della Pia de’ Tolomei

12 sprigiona: libera.

che avea cuore, affetti e mentesolo intenti al suo consorte.

131. Io dovrei con questa spadaqui troncar tua trista vita,vendicar mia Pia traditae svenarti in questa strada.

132. Ma quel Dio, che esige pacefra gli offesi e l’offensore,ti punì, ti rese orrorea chi altrui gravar non spiace.

Eremita 133. Giù rampogna; 13 a compassionemuovi il cuore e non a sdegno,or che a’ tristi è fatto segno 14

ed è privo di ragione.

[A Ghino.] 134. Ti sarà la mia capannapronto ospizio e letto mio:vivi in pace e spera in Dioche i pentiti non condanna.

[Alle guardie.] 135. Voi, su cari, da fratelliaccogliete l’infelicee portatelo or che lice 15

del mio albergo entro i cancelli.

PIETRO FREDIANI654

13 Giù rampogna: lascia i rimproveri.14 or che a’ tristi è fatto segno: ora che è diventato un esem-

pio per i cattivi.15 or che lice: ora che è lecito.

136. Addolcite sua ferita,versando olio sopra a quella;e se a viver gli è rubella,lo indrizzate a eterna vita. 16

Guardie 137. Ah! su vieni, o disgraziato,esempio altrui del guiderdone 17

che può attendersi il fellone 18

che innocente ha calunniato.

[Si cali il sipario.]

Fine dell’atto quarto.

655Maggio della Pia de’ Tolomei

16 e se a viver … vita: e se rifiuta di farlo vivere, avviatelo allavita eterna.

17 esempio altrui del guiderdone: esempio per altri dellaricompensa.

18 il fellone: il traditore.

Atto quinto

Castello.

Scena prima. Pia e castellano.

Pia 138. Castellano, a me provvedidi un benigno sacerdoteche mi assista, ei sol che puote,negli estremi miei congedi.

Castellano 139. Mia signora, non poss’ioa’ tuoi preghi sodisfare:sol se possoti aiutarein offrir tue pene a Dio.

Pia 140. Caro, a Dio mi raccomanda,ché mi assista alla mia morte;e consola il mio consorte,se ritorna in questa banda. 1

141. Ah! che morte atroce e fiera,fra tormenti e crudi affanni,mi rapì sul fior degli annidi mia dolce primavera.

142. Di’ che qua sepolta io sonoper la vana sua credenza,

PIETRO FREDIANI656

1 in questa banda: da queste parti.

che di Dio la gran clemenzaprego umìl per suo perdono.

143. Ma che dico? ahimé! che sento!la mia vita mi abbandona:sudor freddo in me sprigional’alma mia dal corpo spento.

Scena seconda. Nello ed eremita frettolosi da destra,e detti.

Nello 144. Giungo in tempo! ove mi trovo!dell’afflitta al duro agone. 2

Castellano Ah! pur troppo, o mio padrone,l’alma uscì dall’umil covo. 3

Nello 145. Alma bella, il disingannoche tu oprasti nel mio cuoree il sincero tuo candoreche mi reca estremo danno.

146. Stolto me! che da me stesso oltraggiai sposa sì onesta;or l’insegna a me non resta che del mirto e del cipresso. 4

657Maggio della Pia de’ Tolomei

2 al duro agone: alla crudele agonia.3 l’alma uscì dall’umil covo: l’anima è uscita dal corpo.4 or l’insegna … cipresso: or mi resta soltanto il segno del

mirto e del cipresso (la tomba).

147. Infelice mia consorte,accusata ingiustamente!Or che so che sei innocente,ti ritrovo in braccio a morte.

148. Padre santo, ah! tu mi assistinel mio caso disperato,e se oprai da uomo ingrato, schiudi almen questi occhi tristi. 5

Eremita 149. Ti conforta, o figlio amato, e rimettiti a quel Dioche, se affligge, è sempre pio né di te si fia scordato. 6

Nello 150. Alma bella, vanne in paceal beato eterno loco;vengo anch’io con te fra poco: anzi adesso!

Eremita Ferma, audace! (Gli toglie la spada.)

151. Il suicidio è il mal più forteche dal Ciel fu proibito.

Nello Fa’ ch’io segua, o buon romito,la sgraziata 7 mia consorte.

PIETRO FREDIANI658

5 schiudi: apri.6 né di te si fia scordato: e non si sarà dimenticato di te.7 sgraziata: sfortunata.

Castellano 152. Non piangete: a me rassembra 8

torni in lei vital colore,ed il solito vigoreripigliar le lasse membra. 9

Nello 153. Dio volesse, santo padre,che così piacesse a Dio!Apri sposa, apri ben miole pupille tue leggiadre.

Pia (Rinviene.)154. Sposo, o Dio! sei qui! sentistipietà alfin del carcer duro?

Nello Vivi, o cara: io son sicuroche innocente tu patisti.

155. Torna in vita: io ben conoscoil sincero tuo candore.

Pia Torna a me lena e vigore:l’aere a me non par più fosco.

Nello 156. Torna in vita e me perdonala smaniante gelosia.

Pia Torno in vita e son la Piache di error più non ragiona.

Nello 157. Parlò Ghino a tua discolpa,parlò il Ciel coi suoi prodigi:

659Maggio della Pia de’ Tolomei

8 rassembra: sembra.9 le lasse membra: le membra stanche.

PIETRO FREDIANI660

torni, torni ai regni stigi 10

l’empio autor di tanta colpa.

Pia 158. Piaccia a te, mio caro sposo,col german riconciliarti: 11

gioveran le nostre partid’un accordo generoso.

Nello 159. Quanto, o Pia, ne sia capaceoprerò non già da follema farò che Siena e Colletra di lor tornino in pace.

160. Vanne in fretta, o castellano,al cognato e dilli comenostre rabbie or siano dome 12

fra di noi e del paesano.

Castellano 161. Obbedisco e vado in frettaa portar la tua proposta;tornerò con la rispostaquanto prima; qui mi aspetta.

10 ai regni stigi: ai regni infernali; lo Stige è uno dei fiumi delregno dei morti.

11 col german riconciliarti: riconciliarti con il mio fratello.12 dome: domate.

Scena terza. Parte il castellano a destra, poi di dentrodice a Riccardo.

Castellano (A Riccardo.)162. Capitano, a te richiedetregua e pace il mio signore.

Riccardo Veramente ha sì buon cuoreche si possa a lui dar fede!

163. Condannò la mia germana 13

a morir per un sospetto.Castellano Arte fu del maledetto

empio Ghin di lingua insana.

164. Confermato ha il suo delitto,innocente dichiarata;ei l’avea già perdonata:anche innanzi n’era afflitto.

Riccardo 165. Se così sta confermata,sia la pace alfin conclusa.Andiam dunque, come si usa,visitar la suora amata. 14

661Maggio della Pia de’ Tolomei

13 la mia germana: la mia sorella.14 visitar la suora amata: a visitare la sorella amata.

Scena quarta. Riccardo e il castellano entrando, edetti.

Nello 166. Gentilissimo cognato,sian le gare omai finite. 15

Riccardo Ebbe fin la nostra lite,quando vidi il tuo mandato. 16

Pia 167. Rinnoviamo i nostri amplessi,se la pace è stabilita.Sembra a me che a nuova vitadalla morte io risorgessi.

(Si cali il sipario.)

[Epilogo]

Corriere 168. Qui diam fine all’armonia 17

con benigna e pia licenza, ringraziando dell’udienzal’onorata cortesia. 18

Fine.

PIETRO FREDIANI662

15 sian le gare omai finite: ormai siano finite le guerre.16 il tuo mandato: il tuo inviato.17 Qui diam fine all’armonia: Qui poniamo fine al canto.18 l’onorata cortesia: l’onorevole cortesia che ci ha ascoltato.

GIUSEPPE MORONIdetto il Niccheri

PIA DE’ TOLOMEI

Firenze, 1874

Fig. 9 — Riproduzione di Giuseppe Moroni, Pia de’ Tolomei. Fatto storico,Firenze 1874.

667

Presentazione

Se il maggio di Pietro Frediani rappresenta la prima formadi letteratura popolare che abbia come tema la vicenda di Piada Siena, è tuttavia il poemetto ad ottave incatenate di Giu-seppe Moroni a diffonderne il mito in tutta l’Italia centrale.Pur utilizzando sia il Bianco sia il Frediani, il Moroni si attie-ne soprattutto al Sestini, di cui conserva il nucleo generatore— Pia è vittima di una calunnia — ma di cui abbandona ogniaccorgimento letterario, per riportare la vicenda alle dimen-sioni quotidiane ed umane di un fatto di cronaca familiare:un fatto di cronaca nera, come nella novella del Bandello, chematura all’interno del triangolo lui, lei, l’altro, e che il Moro-ni narra seguendo l’ordine naturale degli eventi: dalla parten-za di Nello per la guerra allo sdegnato rifiuto di Pia dell’amo-re di Ghino, dalla calunnia di Ghino alla vendetta di Nello,dalla incolpevole morte di Pia al tardivo pentimento di Nello.Una semplificazione creativa che, accelerando la catastrofefinale, imprime al poemetto una carica emotiva che lo rendepoeticamente vero: una verità poetica che, sostenuta dallaforza della sintassi musicale ripetitiva propria delle ottaveincatenate affascina e commuove gli ascoltatori.

Nota sull’autore. Giuseppe Moroni (1810–1880), detto il Nic-cheri dal sobborgo fiorentino in cui nacque, apprese l’arte delcomporre e del cantare ottave da un pecoraio, di nomeBastianino. Fin da ragazzo si guadagnò da vivere cantando leproprie composizioni per le osterie e le campagne toscane. Iltitolo di illetterato, che egli rivendica con consapevole orgo-glio delle proprie qualità, va inteso nel senso proprio di anal-fabeta che non sa né leggere né scrivere. Compose un grannumero di poemetti, tra cui il più celebre è Pia de’ Tolomei:stampata la prima volta nel 1873, conobbe una tale diffusio-ne, soprattutto orale, che ben presto il nome del suo autore fudimenticato ed essa venne considerata anonima, propriocome è anonimo ogni fatto di cronaca. — Sul Moroni, vediAnna Luce Lenzi, La fola dello stento. Studi e testi di letteratu-ra popolare, Modena, Mucchi Editore, 1988.

Nota sul testo. Il testo che qui pubblichiamo è tratto da Piade’ Tolomei. Fatto storico posto in ottava rima da GiuseppeMoroni, detto il Niccheri, illetterato, Firenze, Stamperia Sala-ni, 1874.

669La Pia de’ Tolomei. Fatto storico

La Pia de’ Tolomei

1. Negli anni che de’ Guelfi e Ghibellini,repubbliche a que’ tempi costumava,batteano i Cortonesi e gli Aretini,specie d’ogni partito guerreggiava;i Pisani battean co’ i Fiorentini,Siena con le Maremme contrastavae Chiusi combattea contro Volterra:non vi era posto che ’un facesse guerra. 1

2. Un signore di Siena che non erra,che della Pietra vien chiamato Nello,sposò la Tolomei onesta e sgherra,e un giusto matrimon passò con quello;nativa è Pia della senese terra,Piero diletto è il suo carnal fratello,e l’altro è Ghino, che adesso a voi vi dicoche Nello lo tenea fedele amico. 2

1 Negli anni che furono dei guelfi e dei ghibellini, a quei tempiusava le repubbliche, combattevano i Cortonesi e gli Aretini, eguerreggiava ogni specie di partito: i Pisani si battevano con iFiorentini, Siena aveva contrasti con le Maremme e Chiusicombatteva contro Volterra: non vi era posto che non facesseguerra.

2 Un signore di Siena, che non sbaglia e che viene chiamatoNello della Pietra, sposò la Tolomei onesta e fiera, che passò ungiusto matrimonio con lui: Pia è nativa della terra senese, Piero

GIUSEPPE MORONI670

3. Ecco che di Valdenza viene un plico,di carriera a cavallo una staffetta,e vi era scritto che il campo nemicolà si avanzava sopra al Colle in vetta;ritorna Nello e disse al suolo antico:« Digli ch’io vengo, il mio partir si affretta:presto sarò a trovare il reggimentocome va in poppa il vantaggioso vento. » 3

4. Corre e abbraccia la moglie in un momento,e disse: « Cara, devo far partenza:questo gli è un plico come a te presentoche mi chiama per Colle di Valdenza. »Rispose Pia con gran dispiacimento:« Pregherò la divina onnipotenza,l’Eterno pregherò con il cuor sinceroche torni a Siena vincitor guerriero. » 4

è il suo caro fratello carnale, e l’altro è Ghino, di cui ora vi dicoche Nello lo riteneva un amico fedele.

— Nel testo al sesto verso si legge un Pietro che correggo in Piero, per-ché questa è la forma che poi compare in tutte le altre occorrenze. — Lalocuzione che non erra del primo verso riprende il com’uom non uso alfallo di Sestini, La Pia, I, 32, 5.

3 Ecco che viene un messaggio dalla Val d’Elsa, di gran corsauna staffetta a cavallo, e c’era scritto che il campo nemico siavanzava là sopra Colle in vetta; Nello ritorna e disse al suoloantico: « Digli che io vengo e che la mia partenza si affretta: pre-sto sarò a trovare il reggimento come si va con il vento vantag-gioso in poppa. »

— La locuzione suolo antico indica la patria, che qui è rappresentatadal corriere, a cui Nello si rivolge.

4 Corre ed abbraccia la moglie in un momento, e disse: « Cara,devo partire: questo è un messaggio, come ti mostro, che mi

5. « Nello, da te grazia dimando e sperodi mandar scritto le cose come vanno. »Nello rispose: « Io ti sarò sincero,ti scriverò ogni dì e ogni mese dell’anno. »E intanto là si prepara un destriero:si baciano tra lor, l’addio si danno;monta a cavallo e la sua mano in briglia:il pianto a tutt’e due bagnò le ciglia. 5

6. Nello tragitta per la sua guerrigliae Ghino da fattotum vi resta;e Pia che di bellezze ha maravigliaeccoti Ghino che a pensier si desta:la conforta, la tenta e la consiglia, rispose Pia: « Che parola è questa? »Ghino raddoppia a tentar l’invito,per soddisfar con lei il suo appetito. 6

671La Pia de’ Tolomei. Fatto storico

chiama per Colle di Val d’Elsa. » Rispose Pia con grande dispia-cere: « Pregherò la divina onnipotenza, pregherò con cuore sin-cero l’Eterno, affinché torni a Siena da guerriero vincitore. »

5 « Nello, da te chiedo e spero la grazia di mandare scrittocome vanno le cose. » Nello rispose: « Io ti sarò sincero: ti scri-verò ogni giorno ed ogni mese dell’anno. » Ed intanto là vienepreparato un cavallo: si baciano tra loro, si danno l’addio,monta a cavallo ed in mano la briglia: il pianto bagnò le cigliaa tutti e due.

6 Nello viaggia per la sua guerra e Ghino rimane con ognipotere; e Pia che ha meraviglia di bellezze: eccoti Ghino che sisveglia all’idea. La conforta, la tenta e la consiglia; rispose Pia:« Che discorso è questo? » Ghino raddoppia l’invito tentatore,per soddisfare la sua voglia con lei.

GIUSEPPE MORONI672

7. « Taci — rispose Pia — iscimunito,traditore di Nello, iniquo e rio.E fai questo? Però non sia sentito:il tuo brutto parlar vada in oblio.Io penso a Nello caro mio marito,ché santo matrimon giurai con Dio. »Ghino non puole aver quel che ha tentato:si allontana da Pia tutto arrabbiato. 7

8. Piero a quei tempi anche lui soldato,fratello della Pia di lui sorella.Nello intanto tre plichi gli ha mandatoche perditore in questa parte e in quella;il quarto plico che gli fu portatoun annunzio di pace gli favella:si sospenda le guerre e si soggiornied ogni soldato a casa sua ritorni. 8

9. Piero fu il primo: con pensieri adornile notizie portava alla sorella

7 Pia rispose: « Taci, scimunito, traditore di Nello, ingiusto emalvagio. E fai questo? Ma non si sappia: il tuo brutto discor-so sia dimenticato. Io penso a Nello, mio caro marito, perchého giurato un santo matrimonio con Dio. » Ghino non puòavere quello che ha tentato: si allontana da Pia tutto arrabbia-to.

8 A quei tempi Piero, fratello di Pia sua sorella, era soldatoanche lui. Nello intanto le ha mandato tre lettere che è perdito-re in diverse parti; la quarta lettera che le fu portata le parla unannuncio di pace: si sospendano le guerre, ci sia tregua ed ognisoldato ritorni a casa sua.

nel giardino di lei ne’ bei contorni,e tante notte a favellar con quella;e Ghino, armato di calugna e scorni,più volte gli facea la sentinella;e Pia che aspettava di giorno in giornodi Nello il bramoso suo ritorno. 9

10. E Ghino, pieno di malizia e scorno,due miglia ne tragitta fuor di Siena;la sera, quando si perdeva il giorno,riscontra Nello e lo saluta appena:« Nello, se tu sapessi il grande scorno,il disonor che la tua moglie mena;ti vorrei confidare una parola,ma dei giurarmi di tenella in gola. » 10

11. Nello parlò: « Per me è nebbia che vola;mi conosciesti, pur io ti ho conosciuto. »E Ghino principiò con questa scuola:« La moglie la ti tiene per rifiuto;dal giorno in qua che la lasciasti solatutte le notti un amico è venuto;

673La Pia de’ Tolomei. Fatto storico

9 Piero fu il primo: con pensieri gentili portava le notizie allasorella nel suo giardino e tante notti restava a parlare con lei nelbel recinto; e Ghino, armato di calunnia e scorni, le faceva piùvolte la sentinella; mentre Pia aspettava di giorno in giorno ilbramato ritorno di Nello.

10 E Ghino, pieno di malizia e scorno, viaggia due miglia fuoridi Siena; la sera, quando il giorno terminava, incontra Nello edappena lo saluta: « Nello, se tu sapessi il grande scorno, il diso-nore che la tua moglie arreca. Ti vorrei confidare una parola,ma devi giurarmi di tenerla in gola. »

GIUSEPPE MORONI674

a mezzanotte nel giardin pian piano,se non ci credi, ti fo toccar con mano. » 11

12. Nello si turba nel sentir l’arcanoe si arrabbia tra sé con pena e doglie.Rispose Ghino: « Anderen ben piano,tutto sperimenterai della tua moglie:se quel che ho detto, ti ho parlato invano;noi varcheremo il muro entro tue soglie. »In quel giardino un nascondiglio vi era;nuvoli fitti ed imbrunita sera. 12

13. E l’undici di notte quasi gli era:in guardia se ne stava Ghino e Nello;si sente per la strada un di carriera,poi la corda tirò del campanello;e Pia in veste bianca va leggiera,consueta di aprire il suo fratello:capitan contro i Guelfi e fu guerrieroquest’Ugo detto, ma il suo nome è Piero. 13

11 Nello disse: « Per me è nebbia che vola. Mi conoscesti,anch’io ti ho conosciuto. » E Ghino cominciò con questo inse-gnamento: « Tua moglie ti tiene come rifiuto; dal giorno in poiche l’hai lasciata sola, tutte le notti è venuto un amante; se nonci credi, ti faccio toccare con mano, a mezzanotte, piano piano,nel giardino. »

12 Nello si turba nel sentire il segreto e si arrabbia tra sé conpena e dolore. Ghino riprese: « Andremo piano piano e speri-menterai tutto di tua moglie: se in quello che ti ho detto, ti hoparlato a vuoto; noi passeremo il muro oltre le tue porte. » Inquel giardino c’era un nascondiglio; nuvole dense e sera scura.

13 Ed erano quasi le undici di sera: Ghino e Nello se ne sta-vano appostati; si sente per la strada uno di corsa: poi tirò la

14. Principiava la pioggia e il tempo nero:la buona notte diede alla sorella;e Ghino a Nello dicea: « Guarda se è vero,se quel che ho detto a te è una novella. »Nello rispose: « Il gastigarla io spero. »E Pia in casa ne ritornò quella;e Nello e Ghino risaltò in istrada,dicendo: « Ognuno a casa sua ne vada. » 14

15. Nello tira la corda e non abbada:dalla rabbia strappò fune e catene;e Pia dicendo: « Che sonata rada!Questo gli è Nello mio, l’amato bene. »Di corsa l’apre e lui scotea la spada,ché di sangue bilioso ha pien le vene;entrano nel palazzo ai chiari rai:Pia te lo abbraccia e lui non parla mai. 15

16. Dicendo Pia: « Nello, cosa tu hai?Lo so, alle guerre fosti perditore;

675La Pia de’ Tolomei. Fatto storico

corda del campanello; e Pia, in bianca veste, va leggera, solitaad aprire al suo fratello: fu guerriero e capitano contro i guelfiquesti che è detto Ugo, ma il cui nome è Piero.

— Il fratello di Pia è detto Ugo nella Pia di Giacinto Bianco.14 Iniziava la pioggia ed il tempo era nero: diede la buonanot-

te alla sorella; e Ghino diceva a Nello: « Guarda se è vero, sequello che ti ho detto è una storiella. » Nello rispose: « Spero dipunirla. » E Pia se ne rientrò in casa; e Nello e Ghino risaltaro-no in strada, dicendo: « Ognuno se ne vada a casa sua. »

15 Nello tira la corda senza badare: per la rabbia strappò fune ecatene; e Pia diceva: « Che suonata strana! Questi è Nello mio, l’a-mato bene. » Gli apre di corsa, e lui scuoteva la spada, perché hale vene piene di sangue iroso; entrano nel palazzo ai raggi chiari deilumi: Pia se lo abbraccia, e lui non parla mai.

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un’altra volta tu rivincerai:levati le passion che tu hai sul cuore.E perché una parola non mi fai?Son la tua sposa Pia, il primo amore. »Di più si affligge e gli crescea l’affanno;senza parlare a letto se ne vanno. 16

17. Nello si addormentò, pensa all’inganno,ma non sapea che Pia era innocente:per cagione di Ghino, quel malanno,che fece disturbar la brava gente.Su il giorno, dicea Pia: « Perché mi se’ tiranno?Nello, ecco il mattino alba ridente. »Al collo li si avventa e te l’abbraccia,e lui con urti e spinte la discaccia. 17

18. Poi si alza Nello e dice a seria faccia,come son le parole dei guerrieri;disse: « Rizzati su, vo’ andare a caccia. »Ordina a un servitore due destrieri;la si pettina Pia e il manto allaccia,ma non sapea di Nello i suoi pensieri:

16 Diceva Pia: « Nello, che cosa hai? Lo so, alle guerre sei statoperditore; un’altra volta rivincerai tu: levati le pene che hai sulcuore; e perché non mi dici neanche una parola? Sono la tuasposa Pia, il primo amore. » Si tormenta di più e le cresceva l’af-fanno: senza parlare se ne vanno a letto.

17 Nello si addormentò, pensa all’inganno, ma non sapeva chePia era innocente: per colpa di Ghino, quel malanno, che fecedisturbare la brava gente. Sul far del giorno, Pia diceva: « Perchései crudele con me? Nello, ecco il mattino alba ridente. » Gli sigetta al collo e se lo abbraccia, e lui la scaccia con urti e spinte.

all’ordine sta lei e all’obbedienza;pronta è per la Maremma la partenza. 18

19. Nello coll’arme sua, Pia di arme senza,tutte due a cavallo ne montorno;ripete Pia a piena confidenza:« Nello, quando sarà il nostro ritorno? »Nello la guarda con finta apparenza,disse: « Starem laggiù per qualche giorno. »Venti miglia hanno fatto per quel sito:eccogli alla capanna di un romito. 19

20. E disse Pia: « Caro mio marito,mi sento arsione, prenderei da bere. »Nello tanto pregò questo romito,se un bicchier d’acqua ci avea per piacere;ed il penitente, buono e premunito,solo di coio ci tenea un bicchiere,e in nella strada prima di un balenoportò a’ passeggieri il bicchier d’acqua pieno. 20

677La Pia de’ Tolomei. Fatto storico

18 Poi Nello si alza e dice a faccia seria, come sono le paroledei guerrieri; disse: « Alzati su, voglio andare a caccia. » Ordinadue cavalli ad un servitore; Pia si pettina ed allaccia il manto,ma non sapeva i pensieri di Nello: lei sta all’ordine ed all’obbe-dienza. La partenza per la Maremma è pronta.

— Nel testo al quarto verso si legge ordina un servitore e due destrieri.19 Nello con le sue armi, Pia priva di armi, tutti e due monta-

rono a cavallo; Pia ripete con piena fiducia: « Nello, quandosarà il nostro ritorno? » Nello la guarda con espressione falsa,disse: « Staremo laggiù per qualche giorno. » Hanno percorsoventi miglia verso quel luogo: eccoli giunti alla capanna di uneremita.

20 E Pia disse: « Mio caro marito, sento arsura e prenderei da

GIUSEPPE MORONI678

21. Non si trattenner no un minuto meno:Pia lo ringrazia con nobile linguaggio,Nello lo ringraziò sopra il terreno,e il romito che osserva il personaggiocon gli occhi bassi e con la fronte al seno:« Iddio vi dia un felice viaggio. »Nello e la Pia un altro addio gli disse,e il romito con la mano gli benedisse. 21

22. E parton tutte due a luci fisse:solo Iddio ne’ due cori v’impenetra;eccoli là dove il Sestini scrisse:al detto poggio Castel della Pietra;picchiano al castellano che gli aprisse,lui vien di corsa e gli apre a faccia tetra:prende i cavalli e le due briglie in manoe gli porta alla stalla il castellano. 22

bere. » Nello pregò tanto questo eremita, se per piacere aveva unbicchiere d’acqua; ed il penitente, buono e previdente, aveva sol-tanto un bicchiere di cuoio, e nella strada prima di un lampoportò il bicchiere pieno d’acqua ai passeggeri.

— Nel testo al sesto verso si legge suolo di coio.21 Non si trattennero neppure un minuto: Pia lo ringrazia con

parole nobili, Nello lo ringraziò da terra, e l’eremita che osservail personaggio con gli occhi bassi e con la fronte al petto: « Iddiovi dia un viaggio felice. » Nello e la Pia gli dissero un altroaddio, e l’eremita li benedisse con la mano.

— Nel testo al primo verso si legge non si trattiensan.22 E partono tutti e due con lo sguardo fisso: solo Dio penetra

nei loro due cuori. Eccoli là dove scrisse il Sestini: al poggiochiamato Castel di Pietra; bussano al castellano, perché gliaprisse: lui viene di corsa e gli apre a faccia scura: il castellanoprende i cavalli e le due briglie in mano li porta alla stalla.

23. Gli custodisce e poi ritorna al pianoa vedere se Nello gli comanda;Nello tanto prega il castellanoprocurar di trovar qualche vivanda:che il viaggio di Siena gli è lontano,da mangiar qualcosa gli comanda;il castellano andò senza tardaree gli portò da bere e da mangiare. 23

24. Appen che hanno finito di cenare,Nello si rizza ed un sospiro vola,e le vece facea di passeggiare:lasciò in disparte Pia a mensa sola;e disse al castellano: « Non mancare:sacrosanta la sia la mia parola;

679La Pia de’ Tolomei. Fatto storico

— Al primo verso si legge e partan. — Contrariamente a quanto ingenere si crede, i versi terzo e quarto di questa ottava non sono una cita-zione, bensì una chiosa, una spiegazione, integrativa di quanto il Sestini(non) scrisse. In effetti, poiché il Sestini non scrisse il nome del luogo incui Pia fu rinchiusa, il Moroni, visto che Nello era signore del Castello diPietra, ritenne di poter colmare questa lacuna, assai grave per i suoi ascol-tatori di cantastorie, identificando il luogo sestiniano con Castel di Pietra;senza rendersi conto o senza curarsi del fatto che in tal modo egli nonspiegava ma tradiva il Sestini; il quale infatti, come abbiamo visto, porta-va a morire Pia non in un castello situato su un poggio, come è Castel diPietra, bensì in un castello situato ai bordi di un piccolo lago vulcanico,come è il Lago di Mezzano, tra Latera e Valentano, nell’alta Maremmalaziale.

23 Li custodisce e poi ritorna al piano a vedere se Nello glicomanda; e Nello prega tanto il castellano che procuri di trova-re qualche vivanda, che il viaggio di Siena è lungo, gli coman-da qualcosa da mangiare; il castellano andò senza indugiare egli portò da bere e da mangiare.

— Nel testo al quinto verso si legge mi è lontano.

GIUSEPPE MORONI680

nelle tue mani quella donna restae se la lasci fuggir, pena la testa. » 24

25. « Bada che non ti scappi alla forestae che non metta un piè fuor del castello. »Ed un’altra parola li manifesta:« Abbada chiuso sia sempre il cancello;sennò per te sarebbe trista festa,se trasgredisci alle parol di Nello;e se a quel che t’ho detto tu mancherai,al supplizio di morte tu anderai. » 25

26. « Domattina alle quattro inselleraii due cavalli che nella stalla io tengo;piano al cancello me gli porterai,io mi alzo presto e pria di te giù vengo. »Ritorna a Pia che ha lacrimosi i rai,disse: « Di andare a letto ne convengo. »E lei un mumentino la si consola,nel sentir fare a lui qualche parola. 26

24 Appena hanno finito di cenare, Nello si alza e vola un sospi-ro, e faceva finta di passeggiare: lasciò Pia in disparte, sola atavola; e disse al castellano: « Non sbagliare: la mia parola siasacrosanta; quella donna rimane nelle tue mani e se la lasci fug-gire, la pena è la testa. »

25 « Bada che non ti scappi nella foresta e che non metta unpiede fuori del castello. » E gli dice un’altra cosa: « Bada chesempre chiuso sia il cancello; se no per te sarebbe triste festa, setrasgredisci le parole di Nello; e se tu mancherai a quello che tiho detto, tu andrai al supplizio di morte. »

26 « Domani mattina alle quattro sellerai i due cavalli che honella stalla e me li porterai piano al cancello: io mi alzo presto e

27. Nello si posa sopra le lenzuola,mezzo spogliato ma non con carne nude;e Pia si spoglia tutta e la s’invola:abbraccia Nello ma lui non conclude;la buona notte è l’ultima parola,poi si addormenta e la sua bocca chiude;Pia lo richiama e gli va più rasente:Nello dormiva e non sentiva niente. 27

28. Di più si affligge e si facea dolente:di non aver risposta lei tormenta;siede sveglia due ore intieramente,poi da un grave sonno si addormenta.La mattina sul dì, alba ridente,Nello si sveglia e con l’orecchio tenta:sente che russa e placida dormìa;disse: « Questo è il momento di andar via. » 28

681La Pia de’ Tolomei. Fatto storico

vengo giù prima di te. » Ritorna da Pia che ha gli occhi pieni dilacrime, disse: « Ritengo bene andare a letto. » E lei per un attimosi consola, nel sentirgli pronunciare qualche parola.

27 Nello si posa sopra le lenzuola, mezzo spogliato ma noncarni nude; e Pia si spoglia tutta e vola nel letto: abbraccia Nello,ma lui non corrisponde; la buona notte è l’ultima parola, poi siaddormenta e chiude la sua bocca; Pia lo richiama e gli va piùvicina: Nello dormiva e non sentiva niente.

28 Si affligge di più e diventava dolente: il non avere rispostala tormenta; siede sveglia per due ore intere, poi si addormentaper un sonno pesante. La mattina sul giorno, alba ridente, Nellosi sveglia e tende l’orecchio: sente che russa e dormiva tranquil-la; disse: « Questo è il momento di andare via. »

— Nel testo al verso sesto si legge con l’orecchio e tenta; ed al verso set-timo si legge placita.

GIUSEPPE MORONI682

29. Piano come una mosca par che sia:prende scarpe, il cappello e le sue spoglie,e nel fondo alle scale si vestìa,e lasciò sola la dolente moglie;e in verso ai cancelli se ne gìa:vi era pronto i cavalli a quelle soglie;monta a cavallo e disse al castellano:« Abbada bene di eseguir l’arcano. » 29

30. Ecco che il chiaro dì non è lontano;Pia si risveglia e va per abbracciar Nello:e sente vuoto dove mette la mano;poi l’apre gli occhi: non vede più il mantello;disse: « O destino, o suolo maremmano. »Non vede più le scarpe né il cappello:presto si veste, sospirando esclama,e a voce forte il castellano chiama. 30

31. Gli fu risposto: « Cosa vuol, madama? »Lei disse: « Hai visto punto il mio marito ?»« Sì, l’ho veduto che la caccia acclama,e gli è due ore e mezzo che è partito. »

29 Pare che sia leggero come una mosca: prende le scarpe, ilcappello ed i suoi vestiti, si vestiva in fondo alle scale e lasciòsola l’afflitta moglie; e se ne andava verso i cancelli: i cavallierano pronti a quelle soglie; monta a cavallo e dice al castella-no: « Bada bene di eseguire il segreto. »

30 Ecco che il giorno chiaro non è lontano; Pia si risveglia eva per abbracciare Nello: e sente vuoto dove mette la mano; poiapre gli occhi: non vede più il mantello; disse: « O destino, osuolo maremmano. » Non vede più le scarpe né il cappello;subito si veste, sospirando esclama, ed a voce forte chiama ilcastellano.

« E dove è il mio cavallo che tanto lo ama? »« Gli ha presi tutt’e due, ben premunito. »E poi gli disse con serie parole: « Bisogna restar qua: partir non puole. » 31

32. Pia tra le nebbie la vedeva il sole:gli era le dieci avanti mezzogiorno;e la scote i cancelli e aprir non pole,e avea il castellan sempre d’intorno;si affligge, si strapazza, piange e duole;e si fa tardi e Nello non è torno;« Apri — gli disse a i’ castellan — l’ingresso. »« Signora mia — rispose — non c’è permesso. » 32

33. Riparte Pia a capo genuflesso,di più era tardi e s’imbrunìa la sera,e in camera tornò su i’ letto stessoe disse: « Sono in Maremma prigioniera. »E tante volte ripeteva spesso,piangendo si strappava la criniera;

683La Pia de’ Tolomei. Fatto storico

31 Le fu risposto: « Cosa vuole, signora? » Lei disse: « Hai vi-sto niente il mio marito? » « Sì, l’ho veduto che chiama alla cac-cia, e sono due ore e mezza che è partito. » « E dov’è il miocavallo che lo ama tanto? » « Ben previdente, li ha presi tutti edue. » E poi le disse con parole serie: « Bisogna restare qua: nonpuò partire. »

32 Pia vedeva il sole tra le nebbie: erano le dieci prima di mez-zogiorno; e scuote i cancelli e non può aprire, ed aveva il castel-lano sempre intorno; si rattrista, si maltratta, piange e si addo-lora; e si fa tardi e Nello non è tornato; disse al castellano: « April’ingresso. » Lui rispose: « Mia signora, non c’è permesso. »

GIUSEPPE MORONI684

poco mangiava e tutta appassionataper non saper la cosa com’era andata. 33

34. E di più si rendeva addolorata,dicendo: « Là per qualche selva folta,che non abbia qualche belva riscontratao qualche lupo ’un gli abbia fatto scorta. »Specie al marito gli era tanto grata,lì non vi era nessun che la conforta;disse: « Trista, sventurata, iniqua e ria,io non so di dove venga e quel che sia.» 34

35. Si vedeva il mangiare a economia,a guisa tale come carceriera;tante volte diceva: « Casa miadei Tolomei un paradiso ell’era. »E spesse notte la s’impaurìa,rodea de’ tarli in una trave intera:l’avea sentito dir da questo e quelloche abitava le streghe nel castello. 35

33 Pia riparte a capo chino, era ancora più era tardi e la seradiventava scura, e tornò in camera sullo stesso letto e disse:« Sono prigioniera in Maremma. » Lo ripeteva spesso tantevolte, e piangendo si strappava i capelli; mangiava poco e soffretutta perché non sa come sia andata la cosa.

34 E si affliggeva ancora di più, dicendo: « Là, per qualche fittaboscaglia, che egli non abbia incontrata qualche belva o chequalche lupo non gli abbia fatto la posta. » Lei era tanto affe-zionata al marito e là non c’è alcuno che la conforta; disse:« Infelice, sventurata, ingiusta e cattiva: io non so donde vengané cosa sia. »

35 Si vedeva dare il mangiare a risparmio, come si fa con unacarcerata; tante volte diceva: « La mia casa dei Tolomei era un

36. Intanto a Siena è ritornato Nello:se ne scarrozza e se ne va a cavallo;disse a Ghino: « L’ho chiusa nel castello:l’è prigioniera, non farà più il gallo. »« Hai fatto bene — rispose questo fello —così interviene a chi commette fallo;c’è tante donne, disse a voce piena, da divertirsi e consolarsi a Siena. » 36

37. E Pia, che soffre lagrimando e pena,stiede sei mesi interi solitaria:s’era ridotta come una pergamenadi sua freschezza e di bellezza varia.« Lasciami andare un mumentino appena —disse alla guardia — a prendere un po’ d’aria. »La grazia per tre volte e la gli chiede;quasi morta parea: glie la concede. 37

38. E dietro a Pia il castellano andiede;eccola giunta su sopra il balcone:

685La Pia de’ Tolomei. Fatto storico

paradiso. » E molte notti si metteva paura con i tarli che rode-vano in tutta una trave: aveva sentito dire da questo e quelloche in quel castello abitavano le streghe.

36 Intanto Nello è ritornato a Siena: se la spassa e se ne va acavallo; disse a Ghino: « L’ho chiusa nel castello: è prigioniera,non farà più il gallo. » « Hai fatto bene, rispose questo traditore,così avviene a chi commette errore; ci sono tante donne a Siena,disse a piena voce, per divertirsi e consolarsi. »

37 E Pia che soffre e pena piangendo, stette sei interi mesi dasola: dalla sua freschezza e varia bellezza di prima era diventa-ta gialla come una pergamena. Disse al guardiano: « Lasciamiandare appena un momentino a prendere un po’ d’aria. » Per trevolte gli chiede la grazia; pareva quasi morta: gliela concede.

GIUSEPPE MORONI686

da lontano un romito venir vedea capo basso e in mano avea un bastone;« Ferma, buona ventura, ferma il tuo piede:di una misera avrai tu compassione. »Il romito si ferma e andar non puolee osserva lei come guardare il sole. 38

39. Pia principiò con queste sue parole:« Ti riconosco, buon penitenziere:sei mesi interi fu che l’arsion volealla capanna tua chiesi da bere. »Il romito riflette e parlar vuole:« Era marito suo quel cavagliere? »« Sì — disse Pia — il mio marito è quelloche mi lasciò prigioniera nel castello. » 39

40. « Un piacer mi farai, caro fratello:se quel signore per caso tu ricombini,di santo matrimonio questo è l’anello,ed intrecciato della mia chioma i crini:vedrai colui riconoscerà quello;digli ch’io sono a gli ultimi destini;

38 Ed il castellano andò dietro alla Pia; eccola giunta su sopraal balcone: da lontano vede venire un eremita a capo basso edaveva un bastone in mano: « Ferma, buona ventura, ferma iltuo piede: tu avrai compassione di una misera. » Il romito siferma e non può andare ed osserva lei come guardasse il sole.

39 Pia cominciò con queste sue parole: « Ti riconosco, o buonpenitente: sono sei mesi interi che, costretta dall’arsura, chiesida bere alla tua capanna. » L’eremita riflette e vuole parlare:« Era suo marito quel cavaliere? » Pia disse: « Sì, quello è il miomarito, che mi lasciò prigioniera nel castello. »

te ne ringrazio e ti chiedo perdono,ma digli a Nello che innocente io sono. » 40

41. Parte il romito penitente e buono, ed in verso la capanna va pian piano,e tiene stretto il ricevuto dono;e Pia se ne partì con il castellano;disse: « Vieni con me, non ti abbandono:vedo un certo segnale là sul piano. »Inginocchiata una fanciulla v’erache a un suo defunto gli facea preghiera. 41

42. Si avvicina e gli dà la buona sera:« E tu che fai al cielo santa dottrina »;e alzando Pia la mano sua leggiera,da il collo si levò una crocellina:« Tientela per memoria veritiera,ché anch’io a seppellirmi son vicina:una tomba moderna qui vedraie le stesse preghiere a me farai. » 42

687La Pia de’ Tolomei. Fatto storico

40 « Caro fratello, mi farai un piacere: se per caso rincontriquel signore, questo è l’anello di un matrimonio santo ed èintrecciato ai miei capelli: vedrai che egli lo riconoscerà; digliche sono ai destini ultimi; te ne ringrazio e ti chiedo perdono,ma digli a Nello che io sono innocente. »

41 Parte il romito penitente e buono, e va pian piano verso lacapanna, e tiene stretto il dono ricevuto; e Pia se ne partì con ilcastellano; le disse: « Vieni con me, non ti lascio: vedo un certosegnale là nel piano. » C’era una fanciulla inginocchiata chefaceva preghiera ad un suo defunto.

— Nel testo al terzo verso si legge e tiene strinto.42 Si avvicina e le dà la buonasera: « E tu che fai santa preghie-

ra al cielo »; e Pia, alzando la sua mano leggera, si tolse una cro-

GIUSEPPE MORONI688

43. Ghino che in chiesa non ci andava mai,per caso giunse a Siena un missionario:predicava la fede che ben sai;Ghino ci andò ad ascoltar: oh caso raro;e diceva: « Ai bugiardi pene e guai,per i calugnatori non vi è riparo. »Sulle parole del predicatoreGhino si turba e gli batteva il core. 43

44. Monta a cavallo come da cacciatoreper star diversi giorni alla campagna.Eccoti della Pia il genitoree con il genero suo si accompagna:« Per la figlia, per il sangue e per l’amore,ei disse a Nello là sulla montagna,di te fu sposa e di me fu figliuola:noi ci anderem per una volta sola. » 44

cellina dal collo: « Tienitela come ricordo sincero, perché anch’iosono vicina ad essere seppellita: qui vedrai un tomba nuova e mifarai le stesse preghiere. »

43 Ghino che in chiesa non ci andava mai, per caso giunse aSiena un missionario: predicava la fede che ben conosci; Ghinoci andò ad ascoltare: oh! caso raro. E diceva: « Per i bugiardipene e guai; per i calunniatori non c’è riparo. » Alle parole delpredicatore, Ghino si turba e gli batteva il cuore.

44 Monta a cavallo come cacciatore, per stare diversi giornialla campagna. Ed eccoti il padre di Pia che si accompagna conil proprio genero: « Per la figlia, per il sangue e per l’amore, eglidisse a Nello là sulla montagna, a te fu sposa ed a me fu figlio-la: noi ci andremo per una sola volta. »

— Nel testo al secondo verso si legge per sta.

45. Nello disse di sì: passa parola,ordina due cavalli a un servitore;e Pia dicendo: « Oimé, qua sempre sola,Nello non vidi più né il genitore;eppur dei Tolomei io fui figliuola.Siena mi fé e alla Maremma muore. »Negli ultimi momenti che spiravadi Nello e i’ genitore dimandava. 45

46. Ed ambedue per la via trottava;eccoli giunti a una rozza capanna:la pioggia, vento, toni e balenava,il tempo di fermalli li condannadove un romito in orazione stava:recan saluti e il romito si affanna,al più giovane si volta e dice a quello:« Scusi, lei della Pietra è il signor Nello? » 46

47. « Sì. » — gli rispose e si levò il cappello;ecco il romito che principia intanto:gli fa vedere il ricevuto anello

689La Pia de’ Tolomei. Fatto storico

45 Nello disse di sì: passa parola ed ordina due cavalli ad unservitore; e Pia diceva: « Ohimé, qui sempre da sola, non ho piùvisto né Nello né mio padre; eppure io sono stata figliola deiTolomei. Siena mi fece e muoio alla Maremma. » Negli ultimimomenti in cui spirava, domandava di Nello e di suo padre.

— Nel testo al verso ottavo si legge i genitori.46 Ed entrambi trottavano per via; eccoli giunti ad una rozza

capanna: la pioggia, vento, tuoni e lampeggiava: il tempo li con-danna a fermarsi dove un eremita stava in preghiera: porgonosaluti e l’eremita si affanna, si volta al più giovane e gli dice:« Scusi, lei è il signor Nello della Pietra? »

GIUSEPPE MORONI690

che avea passato al matrimonio santo:« Me lo diede una donna dal castelloe mi pregò con doloroso pianto. »Nello accetta e a sé lo riguardava:di più i capelli che afflizione gli dava. 47

48. Sente a un tratto uno che gridavain disparte dicendo: « Aiuto, aiuto. »Nello e il romito subito ascoltava:« Quest’è voce d’umano che è caduto. »E ognun di questi là si approssimava,dicendo: « Caro, i’ che vi è intravvenuto? »Questo era Ghino che ferito e’ gli erada una belva mordace orrenda fiera. 48

49. E riconobbe Nello in quella sera,Nello in tal guisa riconobbe Ghinoche di sangue grondava dall’altera:« Iddio lo volse per fatal destino.Nello, la moglie tua che è prigioniera,io te la calugnai nel tuo giardino;

47 « Sì » gli rispose e si tolse il cappello; ecco l’eremita che in-tanto comincia: gli fa vedere l’anello che aveva ricevuto e cheegli aveva scambiato al santo matrimonio: « Me lo diede unadonna dal castello e mi pregò con pianto doloroso. » Nello loprende e se lo riguardava: soprattutto i capelli che gli davanopena.

48 Ad un tratto sente uno che gridava in disparte, dicendo:« Aiuto, aiuto. » Nello e l’eremita ascoltavano subito: « Questa èvoce umana di uno che è caduto. » Ed ognuno di questi si avvi-cinava a lui, dicendo: « Caro, che ti è accaduto? » Questi eraGhino che era ferito da una belva feroce, mordace ed orribile.

ti giuro avanti al cielo onnipotente:levala presto, perché l’è innocente. » 49

50. « La cagione son io se sta dolente;la cagione son io se l’è a patire;perché te la tentai segretamente:non volse a’ miei capricci acconsentire;per me non c’è rimedio certamente:perdon ti chiedo e me ne vo a morire. »Nello tutto ascoltò e poi fé partita,lasciò Ghino spirante all’eremita. 50

51. Per una scorciatoia via salitaripartir presto il genitore e Nello;e i due pensieri a camminar s’invitae istimolando ogni pensiero a quello;eccoli giunti a una spiaggia pulitadistante mezzo miglio dal castello:si ferman tutti e due, e ognuno ascoltadi una campana sonava a raccolta. 51

691La Pia de’ Tolomei. Fatto storico

49 Ed in quella sera egli riconobbe Nello e Nello in quelle con-dizioni riconobbe Ghino che grondava sangue dall’arteria:« Iddio lo volle per destino fatale. Nello, la moglie tua che è pri-gioniera, io te la calunniai nel tuo giardino; ti scongiuro davantial cielo onnipotente: liberala presto, perché lei è innocente. »

50 « La causa sono io se lei è dolente; la causa sono io se lei staa patire; perché te l’ho tentata in segreto: lei non volle acconsen-tire ai miei capricci; sicuramente per me non c’è rimedio: ti chie-do perdono e me ne vado a morire. » Nello ascoltò tutto e poi sene partì, lasciando Ghino che spirava all’eremita.

51 Per una via scorciatoia in salita, subito ripartirono il padree Nello: ed i due pensieri si invitano a camminare, perché ognipensiero li incita a quello; eccoli giunti ad uno spiazzo pulito,

GIUSEPPE MORONI692

52. Nello dalla sinistra poi si volta:vede dodici lumi e donne andava;disse a una fanciullin: « Chi è quella morta? »E gli rispose: « Una donna che stavasei mesi interi dentro a quella porta:sempre di suo consorte domandava;ch’è spirata sarà ventiquattr’ore;altro non posso dir, caro signore. » 52

53. Nello riparte con il genitorea gran carriera come fosse gara;si avvicinano là dov’è l’albore:di lumi contornata era la bara;« Fermate — disse Nello — per amore,che dentro qua c’è la mia gioia cara. »Alza la coltre alla bara per viae vede morta la dolente Pia. 53

54. Poi l’abbraccia e dice: « Moglie mia,chi sa quanto fu lungo il tuo dolore;

distante mezzo miglio dal castello: si fermano tutti e due, edognuno ascolta il suono a raccolta di una campana.

— Nel testo al primo verso si legge scorcitoia.52 Poi Nello si gira a sinistra: vede dodici fiaccole e donne che

andavano; disse ad una fanciullina: « Chi è quella morta? » Egli rispose: « Una donna che è stata sei mesi interi dentro quel-la porta: domandava sempre del suo sposo; saranno ventiquat-tro ore che è spirata; non posso dire altro, caro signore. »

53 Nello riparte insieme al padre di gran carriera come fosseuna gara; si avvicinano là dove è il chiarore: la bara era cir-condata di lumi; « Fermate — disse Nello — per amore, perchéqui dentro c’è la mia gioia cara. » Alza la coperta sulla bara invia e vede morta la dolente Pia.

l’anima tua alla sant’ara sia,imbraccio dell’eterno Creatore. »Poi quella si ricopre e vanno via: Nello si sviene e piange il genitore.Termino il canto e chiudo i versi mieidella dolente Pia de’ Tolomei. 54

Fine.

693La Pia de’ Tolomei. Fatto storico

54 Allora l’abbraccia e dice: « Moglie mia, chi sa quanto fulungo il tuo dolore; la tua anima sia sul santo altare, in braccioall’eterno Creatore. » Poi quella viene ricoperta e vanno via:Nello si sviene ed il padre piange. Termino il canto e chiudo imiei versi della dolente Pia de’ Tolomei.

Fig. 10 — Questa Trascrizione Base della Pia de’ Tolomei di Giuseppe Mo-roni rappresenta la base armonico–melodica su cui di volta in volta il sin-golo esecutore improvvisa il proprio canto. Ricostruita sulla testimonian-za di alcune esecuzioni, raccolte in diversi luoghi dell’Italia centrale, tragli anni Sessanta e Settanta del Novecento, e conservate presso la Disco-teca di Stato di Roma, questa Trascrizione Base è dovuta alla competenzaed alla gentilezza di Valeria D’Aversa.

GIUSEPPE BALDI

PIA DE’ TOLOMEI

Firenze, 1874

Fig. 11 — Riproduzione del frontespizio della Raccolta di canzonette ber-nesche in ottava rima, Firenze 1874.

701

Presentazione

Composta in ottave incatenate, una tecnica compositivatipica dei cantastorie che vi trovano un notevole aiuto mne-monico oltre che un modo ulteriore per dimostrare la propriabravura poetica, questa Pia de’ Tolomei del Baldi dipendeessenzialmente dal Sestini e, sebbene in misura minore, dalNiccheri; dipende dal Sestini per esempio in quanto non diceche Nello è signore della Pietra né precisa il nome del castel-lo dove Nello rinchiude e lascia morire la Pia; dipende dalNiccheri per esempio in quanto il suo racconto segue l’ordi-ne cronologico degli eventi. Quasi del tutto prive di punteg-giatura, come avviene nel linguaggio parlato, queste ottavedel Baldi sono costruite per semplice paratassi, cioè per sem-plice accostamento di eventi successivi, dei quali gli ascolta-tori non fanno alcuna difficoltà a cogliere il nesso causale inbase al principio secondo cui ciò che segue sarebbe causatoda ciò che precede.

Nota sull’autore. Di Giuseppe Baldi non siamo riusciti a tro-vare alcuna notizia biografica; pertanto ci limitiamo ad ipo-tizzare che egli fosse un cantastorie toscano contemporaneodel Niccheri.

Nota sul testo. Pubblicato anonimo in una Raccolta di can-zonette bernesche, a cura di Giuseppe Moroni detto il Nicche-ri, Firenze, Salani, 1874, p. 101–110, da cui riprendiamo iltesto che qui pubblichiamo, questa Pia de’ Tolomei vieneattribuita a Giuseppe Baldi da G. Giannini, Bibliografia dei“Maggi” stampati dalla tipografia Sborgi di Volterra, « Rasse-gna Volterrana », II, 3, 1926.

703Pia de’ Tolomei

Pia de’ Tolomei

1. Dietro le tracce del poeta tosco, 1

io canterò la desolata Pia,e noto ti farò quanto conoscose tu mi porgi orecchio, udienza mia.2

Timida se ne stava all’aere foscoper via della spietata gelosiache nutre in seno del consorte Nello,da Siena la conduce al suo castello.

2. Intatta conservò l’alma e l’anello,visse la Pia in tal desolazione;compare castellano iniquo e fello,che leggi più barbare gli impone,non sapendo che Ghino è stato quelloche l’ha condotta misera in prigione,che a Nello l’accusò per impudicaperché non poté farsene un’amica.

3. Nacque di stirpe là di Siena anticadella nobil famiglia Tolomei,ma la sorte gli fu cruda e nemicaappunto sul bel fior degli anni bei;

1 Il poeta tosco è Dante, nato a Firenze e perciò toscano(tosco).

2 udienza mia: ascoltatori miei.

GIUSEPPE BALDI704

si coniugò con Nello, avvien ch’io dica,e lui tutto portato era per lei;ella lo meritava, a dire il vero,un così valoroso cavaliero.

4. Nei tempi che si armava il popol nerocontro dei bianchi a far carneficina,3

lasciò la sposa il giovine guerrieroe a liberar la patria s’incammina;e tornò vittorioso a dire il vero,ciascun per dargli omaggio si avvicina;rassicurò l’addolorata Pia,che per lui giorno e notte non dormia.

5. Vien quindi il ladro 4 a imperversar la viadegli amplessi, de’ baci e dell’amore,ché l’uno e l’altro entro del cor nutriasinceramente un puro, intatto onore;dice a Nello e ti arresta l’empia arpia: « Io ti farò veder con disonore,a notte oscura, entro tue patrie sogliequel che usa farti l’adorata moglie. »

3 Le lotte tra guelfi e ghibellini qui vengono evocate con unrichiamo alla divisione avvenuta in Firenze, non in Siena, traguelfi bianchi filoimperiali e guelfi neri filopapali; forse quiopera il ricordo di Ugo Foscolo, Dei sepolcri, 174, dove Dante,guelfo bianco, viene detto “Ghibellin fuggiasco”.

4 Questo ladro è Ghino, in quanto cerca di rubare Pia aNello.

705Pia de’ Tolomei

6. Se Ghino non saziò l’infami voglieda lei che tante volte avea tentata,gli fa veder che un altro amante accogliein notte silenziosa e ottenebrata;in casa a suoi parenti lo raccogliedove del suo giardino avea l’entratae poi gli fa giurar privatamentedi star fermo, alla Pia di non dir niente.

7. Circa la mezzanotte un rumor sentee un lume vede entro sua abitazione,stride il cancello e un calpestio di gentegli par sentir, lui prese ammirazione,vede il lume calar, ci pose mente,vede la donna sua con un campione,ode il suono dei baci, e andò infuriandoe messe mano al suo tagliente brando.

8. E se non c’era Ghino, vendicandoi torti andava nell’istessa sera,ma il tristo adulator andò placandocol dir: « Non dirai niente a tua mogliera.Anzi il tutto tacer ti raccomando,come giurasti anima sincera. »E così Nello restò trattenuto;e poscia 5 n’andò via lo sconosciuto.

9. Immobile restò tacito e muto,ma colla bocca di amarezza piena,

5 poscia: poi.

GIUSEPPE BALDI706

quando coi propri lumi ebbe vedutodella consorte sua la trista scena;gli spiacque tanto non aver conosciutoil suo rival che l’urta e lo malmena,perché aveva in pensiero il guerrier fortecolle sue mani di dargli la morte.

10. Dopo di sua magione apre le porte,prende le scale e in camera s’invia,dove trova l’amabile consorteche lo aspetta, l’adora e lo desia,e gli fa vezzi con maniere accorte,l’abbraccia e stringe al sen; misera Pia:sente la mano dello sposo amante, che non la stringe, fredda e tremolante.

11. Quindi Nello fe’ core e tira avante,ordina in casa a suoi fidi scudieri,che sollecitin poscia nell’istantee gli portin bardati due destrieri,ché di andare in Maremma era anelante,al suo castello, avea fatto il pensieri,e in così lunga e malagevol viabrama aver la consorte in compagnia.

12. E lei di andar con Nello ne desìa,tutta contenta si pose in cammino;passan tende, pe’ boschi e tiran via,passando nel contado fiorentino, 6

6 Poiché queste ottave 12–15 sono una ripresa di Sestini, La

707Pia de’ Tolomei

ma dovenno alloggiare a un osteria,dov’era solo un piccol lettuccino: Nello arrossisce, si scoraggia e gemelà andar la notte a riposarsi insieme.

13. L’anima pura, che di niente teme,si spoglia e scopre le sue nevi intatte,nate da puro sangue e nobil seme,col suo bianco candor che vince il latte,che, a ricercar dall’ime parti estreme,non si posson trovar tanto ben fatte:i lumi, il biondo crine, il dolce viso,che un angiolo parea di paradiso.

14. Preso al laccio di amor restò Narcisodall’ombra sua nello specchiarsi al fonte:Nello si specchia al delicato viso,dove che di bellezza scorge un monte;ma con quella per poco siede assiso: la ricopre di amplessi e scorda l’onte, 7

ché l’avrebbe destato a compassioneposcia un cor di macigno o d’un leone.

15. Dopo l’insidie di quel rio fellone,di Ghino traditor, gli torna a mente:balza dal letto e intrepido si ponee colla bella fa l’indifferente;

Pia, II, 67–77, questo sorprendente accenno al contado fioren-tino si spiega soltanto con ragioni di rima.

7 l’onte: le offese.

GIUSEPPE BALDI708

che egli pensi alla guerra si suppone,niente non sa la tortora innocente. 8

Vien la diurna luce, e intanto Nellola conduce prigione al suo castello.

16. Quindi al castellano dice quello:« Questa ti lascio e tu la 9 baderai;che nessun ci ragioni, io ti favello,e sortir fora non la lascerai. »La Pia osserva l’opra di scarpello, ché veduto simil non ebbe mai:nella sala dell’atrio ove rispondevidde Nettuno e Teti in mezzo all’onde.

17. Quella nell’osservar l’idea confonde;vide alle mura ed alle travi appesearmi smalliate 10 che non si nascondee in sanguinei civili assalti prese,rastrelli e sbarre ed altre cose immondeche fur trofei dell’onorate imprese;nel veder dei trofei quello splendoresi sentiva gioir l’anima e il cuore.

18. Poi vide dipinto da più di un pittorel’assedio che a’ roman portò Porsena;e vidde Muzio sopra dell’ardoreche al braccio dar la meritata pena;

8 La tortora innocente è Pia, che non conosce l’ingannocalunnioso di Ghino.

9 la: le.10 smalliate: smagliate.

709Pia de’ Tolomei

vide un Orazio al ponte il suo valore,vide di battaglie una muraglia piena,e vide nel medesimo intervallola Clelia che afferrava il gran cavallo.

19. Ecco che intanto notte entra nel valloe di Febo spariti erano i rai; 11

porta i cibi il guardian per ristorarlo,Nello colla consorte stanchi omai;vede che egli non mangia, sta a guardarlo,dicendo così: « Sposo, che hai? »Egli arrossì, sorrise e gli rispose:« Niente. » E la verità così nascose.

20. Il castellan gli lascia 12 e si nascose,sparecchiato che egli ebbe a dar la mensa;vanno i coniugati a letto: Dio che cosenascono per man di barbara insolenza!Ella si spoglia e il bel color di rosescopre del suo consorte alla presenza:lo bacia e stringe al seno, come era usa,e lui tutto tremante la ricusa.

21. E lei del suo tremar niente si abusa, 13

si carca in letto, 14 e lui restò pensoso;

11 Ecco … i rai: Intanto ecco che la notte scende nel fosso(vallo) dell’orizzonte, ed i raggi del sole (Febo) erano scom-parsi.

12 gli lascia: li lascia.13 niente si abusa: non sospetta nulla.14 si carca in letto: si pone a letto.

GIUSEPPE BALDI710

si addormenta la bella a bocca chiusa,la guarda afflitto l’addolorato sposo,vede il candor che supera ogni cosae un braccio al capo suo serve a riposo;lui ragiona fra sé, la guarda e dice:« Me sfortunato, e tu vivrai infelice. »

22. E confuso si parte e più non dice,in preda al sonno lascia la meschina;sorte fuor del castello e si fa lice 15

sola lasciar la misera tapina;cammina errante per ogni pendice.Amore e gelosia, che lo trascina,or lasciando 16 andar per la foresta,e torniamo alla Pia quando si desta.

23. Stese le braccia e nel chiamar fu prestal’amato nome che più non risponde;sospira, piange, si agita e tempesta,percuote il sen, straccia le chiome bionde;poi sente un calpestio, ferma si arresta,il rumore del ponte che rispondee quindi vede entrare il castellano,il discortese, barbaro, inumano.

24. « Dov’è il consorte mio? » — dice all’insano;ed ei risponde allor con brusca faccia:« Quindi nei vicin boschi e non lontanoentrar lo vidi questa mane a caccia;

15 e si fa lice: e si fa lecito.16 or lasciando: Or lasciandolo.

711Pia de’ Tolomei

girava per lo monte e per lo piano,questa sera di voi tornerà in traccia. »Cessò i singulti a quel parlar di voloe in parte raddolcì l’acerbo dolo. 17

25. Ma non fu il male di quel giorno soloche lacerò fuori la mala accorta Pia:furon due mesi, oh! sommi Dei del Polo, 18

che più non vidde la sua compagnia;l’aria i polmoni gli infettò di volocon lenta febbre che ogni dì venìa:comete, eclissi, e aspre visioni e dure,spettri, sogni, larve e altre paure.

26. Brandì la morte la tagliente scureper troncargli la vita alla meschina.Un giorno del balcone all’aperturea prender aria a stento s’incammina;vede dal cancellato 19 sulle altureun frate che col zaino si avvicina,che venia recitando Ave Maria;e si consolò l’addolorata Pia.

27. Ella queste parole quindi gli inviaal solitario, e dice: « Padre mio,ricordati di me, che son la Pia,nelle tue orazion più grate a Dio.

17 dolo: dolore.18 del Polo: del cielo.19 cancellato: cancello.

GIUSEPPE BALDI712

Porta questi capelli a madre miae questo anello porta a Nello mio:è quel che mi donò; digli sovente:lo perdono e per lui moio 20 innocente. »

28. La consolò l’eremita riverente,e dopo breve istante più non vedeal suo balcon la misera dolente;allor verso la cella volse il piede,e il giorno di poi correr repente 21

un gran destriero infuriato vedee sopra un cavaliero; e il fraticelloconobbe e vide ben che gli era Nello.

29. Entro la grotta sua condusse quelloe cominciò, parlando pien di zelo:« Ho veduto una cerva, ti favello,tradita e mai non si cangiò di pelo. »Ed intanto veder gli fa l’anello,che gli fece venire il sangue gelo:lo riconobbe, e al servo del Divinotutta la storia gli cantò di Ghino.

30. Prende il Vangelo in mano il cappuccinoe le scritture a spiegar s’appresta.Si ode intanto un rumor per il vicino, 22

quando meno infuriava la tempesta:

20 moio: muoio.21 repente: veloce.22 per il vicino: lì vicino.

713Pia de’ Tolomei

sortivan fuori ivi e trovan Ghino,semivivo, al terren della foresta,e il suo destrier legollo stretto a un orno: 23

l’uno e l’altro a gran fretta liberorno.

31. Il tristo Ghino, nel vedersi attornol’eremita con Nello gli dicea:« Io di te ne cercai la notte e il giorno,e adesso di trovarti non credea;io ti turbai la quiete e il bel soggiornodi tua consorte splendida qual dea;quel che di notte tu vedesti, o Nello,era dell’innocente il suo fratello. »

32. « Per me tu la serrasti nel castello,ed io sono agli estremi di mia vita;ti addimando perdono, mio fratello. »E poi si volse e disse all’eremita:« Una lupa di me fece macello,pena dovuta a questa indegna vita. »Così parla e ragiona all’ultim’ore,e il frate raccomandalo al Signore.

33. Al fin condotto, esala l’alma e muore.E Nello preparato avea i destrieri;per riveder la Pia vanno di fuore,per vie scoscese e incogniti sentieri;veggono nel castello uno splendoredi lumi e torcie, lampade e doppieri, 24

23 orno: olmo.24 doppieri: candelabri a due o più bracci.

GIUSEPPE BALDI714

e le piccol campane del castelloche spesso rintoccavano a martello.

34. Avanti si introduce il fraticelloe sente il mormorio del sacerdote:Requiem eternam in questo lito e quellorispondon gli incappati 25 a chiare note;poi vede far la fossa al villanello,guarda la bella faccia e si riscuote:benché fosse da morte scolorita,si vedea di un Dio opra compita.

35. Anche Nello finir volle sua vita,dove spenta restò la sua consorte;chiede perdono a Dio, se l’ha tradita,con lacrime singulte e pianger forte;e così restò l’opera compita:il tutto venne a rimediar la morte.Esiston sempre in parte i suoi trofei,dove giace la Pia de’ Tolomei.

Fine.

25 incappati: incappucciati.

CAROLINA INVERNIZIO

PIA DE’ TOLOMEIROMANZO STORICO

Milano, 1879

Fig. 12 — Riproduzione del frontespizio di Carolina Invernizio, Pia de’Tolomei. Romanzo storico, Milano 1879.

719

Presentazione

Dopo tanti testi scritti da uomini, questa Pia de’ Tolomeirappresenta una doppia novità: si tratta del primo testo scrit-to da una donna e si tratta del primo romanzo, un genere let-terario allora ancora relativamente nuovo, che abbia cometema la vicenda di Pia da Siena: un romanzo che merita laqualifica di storico, con cui esso si presenta, perché narra unevento lontano nel tempo, mentre non la merita affatto perquanto riguarda la datazione e l’ambientazione, che in effet-ti risultano imprecise, generiche ed anche errate. Per la suc-cessione degli eventi, la Invernizio segue da vicino la tragediadel Marenco, di cui conserva perfino i nomi dei personaggiprincipali, senza tuttavia rinunciare per questo a variarne odintegrarne la trama con episodi ed aspetti presi da altri auto-ri. Si potrebbe anzi dire che il romanzo della Invernizio rap-presenti una sorta di versione in prosa della tragedia delMarenco: versione in prosa amplificata e variata, anche sequasi mai migliorata, con aspetti ed eventi tratti dal Sestini,dal Bianco e dal Moroni, dal quale per esempio riprende l’i-dentificazione del castello prigione in Maremma di cui ave-vano parlato il Sestini, il Bianco, il Marenco con il Castello diPietra di cui è signore il marito di Pia.

Nota sull’autore. Nata a Voghera nel 1851, Carolina Inver-nizio fu scrittrice estremamente feconda: si calcola che abbiascritto non meno di 120 romanzi. Molto letti ed amati soprat-tutto dalle donne della piccola borghesia, i suoi raccontihanno sempre come tema amori infelici e funesti. Tra i suoititoli più fortunati ricordiamo Il bacio della morta e La sepol-ta viva. Questa Pia de’ Tolomei rappresenta il suo secondoromanzo: il primo era stato, nel 1877, quello intitolato Rinao l’Angelo delle Alpi. Carolina Invernizio morì a Cuneo nel1816.

Nota sul testo. Il testo che qui pubblichiamo è tratto da Caro-lina Invernizio, Pia de’ Tolomei, Milano, Carlo Barbini edito-re, 1879; il testo del romanzo è preceduto da una dedica del-l’autrice alla sua « carissima cugina Fanny Fleissner vedovaCommoretti ».

721Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

Capitolo primo

La partenza

Spuntava tranquilla l’alba del 12 maggio dell’anno1266 1 e il dubbio suo raggio illuminava appena icomignoli dei più alti torrioni senesi, che già per lestrade vedevasi una massa confusa di gente, inmezzo a cui ondeggiavano i pennacchi dei cimieri escintillavano i ferri delle lance degli armati. Da ogniparte rumoreggianti, fitti, confusi aggruppavansidrappelli d’uomini, donne che a tutte le classi dellasocietà appartenevano. Era un chiedere ansioso, unprepararsi giulivo, un fremere d’impazienza, unaletizia che traspariva da ogni volto e rendeva piùvivido e scintillante l’occhio delle belle senesi e piùespressiva ed animata la fisonomia dei popolani edei guerrieri. Che stava per succedere? Una lottacrudele, tremenda; una lotta in cui molti dei cittadi-ni dovevano prendervi parte, non come spettatoriinscienti 2 di ciò che stanno per fare, ma come attoriprotagonisti.

1 Come vedremo anche in altre occasioni successive, nono-stante l’apparente precisione che, come in questo caso, viviene esibita, i riferimenti cronologici presenti nel romanzosono del tutto inattendibili: la battaglia di Colle di Val d’Elsa,tra i guelfi fiorentini ed i ghibellini senesi, avvenne infatti nel1269, non nel 1266, anno in cui avvenne invece la battaglia diBenevento, dove, eliminato Manfredi di Svevia, Carlo d’Angiòprendeva possesso del regno di Sicilia come vassallo del papadi Roma.

2 inscienti: inconsapevoli.

CAROLINA INVERNIZIO722

Firenze aveva di nuovo dichiarata guerra a Siena,onde schiacciare la baldanza dei ghibellini, solleva-ta in alto dalla rotta di Monteaperti. 3 Perciò i sene-si, desiderosi di nuova e splendida vittoria, eranotutti in agitazione. Nelle campagne vicine, si lascia-va l’aratro per brandire la lancia. Dalle officine, dallescuole, dai tuguri, dai palazzi dorati, ciascunoobliando le proprie cure, si apprestava a combatte-re. Le mogli cingevano le armi ai mariti e gl’incita-vano a non riedere che coronati dai lauri della vitto-ria; i bambini, cui si negava colle infantili loro armida guerra di seguire i prodi, piangevano di corruc-cio; i mariti, i padri non sognavano più che stragi evendette. Tanto può l’odio di parte!

Nel palazzo del conte Rinaldo della Pietra, capita-no delle armi di Siena, regnava lo stesso disordine,la stessa agitazione. Rinaldo aveva radunati a sé din-torno il fiore dei cittadini e dei castellani, onde ani-marli a vegliare indefessi 4 alla difesa dei loro castel-li e per riceverne il giuramento di fedeltà. Intanto, inuna stanza ornata di preziosi arazzi, fornita displendide guarnizioni e sfolgoreggiante della ric-chezza propria di quell’età, se ne stava tutta sola,immersa in silenzioso dolore una giovine donna.Era madonna Pia de’ Tolomei, moglie di messerRinaldo.

Alla luce del mattino, in semplice veste di brocca-to scuro, colle lunghe trecce che, disciolte dalla reti-

3 rotta di Monteaperti: sconfitta (fiorentina) di Montaperti(4 settembre 1260).

4 indefessi: instancabili.

723Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

cella, le cadevano in grazioso disordine sulle spalle,cogli occhi neri bagnati di lacrime, Pia de’ Tolomeiappariva ancora più bella, di quando allo splendoredi abbaglianti lampade, ornata di preziose gemme,veniva salutata regina delle feste e dei conviti. Vi erain lei alcunché d’ineffabilmente mesto e gentile, chescendeva dolcemente all’anima. Il volto pallidomostrava il soffrire del cuore. Un pensiero doloroso,intenso, continuo, aveva sbandito il sorriso, non lasoavità dalle sue labbra.

Uscita da una delle più nobili e più ricche famigliedi Siena, Pia de’ Tolomei fino dai più teneri anni fula gioia degli amici e della famiglia per l’indole affet-tuosa e l’intelligenza elevata; la meraviglia di tuttiper la bellezza squisita del volto, la perfetta elegan-za della persona. Andata sposa al conte Rinaldodella Pietra, che ella amava da lungo tempo, nel sor-riso dell’età e della bellezza, fra le ghirlande di fioriche le tributava il mondo, Pia de’ Tolomei non scor-geva pericoli a sé dintorno, né probabilità di dolori.

Ma erano i tempi crudeli delle lotte, delle discor-die fra i guelfi e i ghibellini. Il padre ed il fratello diPia, malgrado che la loro patria si reggesse a parteghibellina, 5 come la maggior parte delle città diToscana, tuttavia seguitarono ostinatamente la parteguelfa; perciò avvenne a loro ciò che avvenne a tantialtri. Siena li sbandì dalle sue mura e atterrò le lorocase, 6 le cui rovine sorgevano propriamente dinanzi

5 si reggesse a parte ghibellina: fosse governata dalla fazioneghibellina.

6 atterrò le loro case: rase al suolo le loro case.

CAROLINA INVERNIZIO724

al palazzo del conte Rinaldo della Pietra. Quello chesoffrì l’animo candido della Pia sarà più facileimmaginarlo che descriverlo. Il suo cuore gentilescoppiava per la lotta di due sentimenti egualmentegrandi, egualmente generosi. Ella avrebbe data lavita per amore del marito, ed avrebbe voluto vedersalvi, nella diletta patria, il padre ed il fratello. Lanuova che l’oste fiorentina si avanzava verso Siena,in compagnia dei fuorusciti senesi 7, le riempì l’ani-mo di segreto terrore.

Sola nella sua stanza, abbandonata sull’inginoc-chiatoio, Pia de’ Tolomei pregava e piangeva, nonristando 8 che per tendere le orecchie, onde racco-gliere i rumori della strada, del palazzo. Pia amavala patria sua, il suo Rinaldo, avrebbe voluto vederlovincitore, ma non poteva a meno di fremere nel pen-sare come tra i fuorusciti senesi, che si erano riuni-ti ai fiorentini e muovevano incontro a Siena, ellaaveva un fratello, un padre. « O mio Dio! » mormo-rava la gentildonna. « Quando finiranno i popoli ditrucidarsi a vicenda? Oh! come maledico a questiodi di parte, di Comune, che ci dividono. Abbiamovinto, Siena è nostra; ma il sangue sparso non èquello dei nostri fratelli? Oh! maledetta la gloria chesi compra ad un tal prezzo! »

Pia de’ Tolomei mandò un lungo sospiro e stetteun istante silenziosa, poi riprese con maggior fervo-re: « O Maria, tu che sempre esaudisti le mie pre-

7 La nuova … senesi: La notizia che l’esercito fiorentino siavvicinava a Siena accompagnato dai senesi esiliati.

8 non ristando: non arrestandosi.

725Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

ghiere, quando il mio cuore te le fece sanguinantid’angoscia, salva, deh! salva, il mio Rinaldo e rispar-miami il fratello ed il padre. Io cerco di farmi corag-gio, ma lo spirito è debole, è oppresso: queste grida,questi clamori incutono spavento nella mia anima.Maria, tu compatisci alle smanie di una poveramoglie, di una povera figlia, di una sventurata sorel-la, perché tu pure fosti figlia, sorella e sposa. »

La gentildonna chinò il capo fra le mani e stettequalche tempo in silenzio. In quel mentre apparvesulla soglia della stanza, un guerriero alto, slanciato,la cui completa armatura cresceva l’impressioneprodotta dalla gravità del portamento e dalla maestàdella fisonomia. Il cimiero alzato lasciava scorgere ilsuo volto nobile e serio, animato da due occhi neris-simi, che scintillavano come carbonchi. 9 Era il con-te Rinaldo della Pietra.

Egli si avanzò con passo sì leggiero, che Pia non siaccorse di lui, e fatti pochi passi si fermò estatico ariguardarla. Pia continuava a pregare. La luce del gior-no passando dall’ampio finestrone, pareva concentra-re tutti i suoi raggi su quella celeste creatura, dandoleun’apparenza quasi soprannaturale. Il conte la con-templò a lungo con un’espressione d’infinito amore.Ad un tratto però il suo volto si contrasse e le sue lab-bra lasciarono sfuggire un amaro sorriso. « Ella pregapei miei nemici. » — pensò Rinaldo. E quasi pertoglierla da quella meditazione, che gli pungeva l’ani-ma, mormorò sommessamente: «Pia! » La gentildon-na si rialzò precipitosa, e veduto il marito diè un grido

9 carbonchi: carboni accesi.

CAROLINA INVERNIZIO726

di gioia e si slanciò incontro a lui a braccia aperte,colla gioia negli occhi, sulle labbra, sulla fronte, intutta la persona. « Finalmente! Rinaldo, mio Rinaldo,io ti aspettava. »

Il conte guardò di nuovo quella graziosa testa,ombreggiata da folti capelli neri, che si piegava dol-cemente verso di lui, tentò di sorridere, ma in quelsorriso eravi un non so che di amaro e di triste, checolpì la gentildonna. « Ebbene, che vieni a dirmi? »— sussurrò Pia de’ Tolomei, divenuta tremante,stringendo con passione una mano del marito eguardandolo coi suoi begli occhi supplichevoli.« Vengo a dirti addio. » — esclamò Rinaldo, appog-giando le sue labbra sulla fronte della gentildonna, ilcui volto apparve colorito del più seducente rossore.

« Dunque è vero? Tu parti? Vai a combattere? »domandò ella in tuono 10 di scoraggiamento, volgen-do altrove la testa per celare le lacrime, che le spun-tavano sugli occhi. « Sì, mia Pia, l’ora del sacrifizio èsuonata anche per me. » — proruppe Rinaldo. « Bi-sogna che io ti lasci e chissà fino a quando. Ah! sonopur crudeli queste vendette che c’incatenano così!Ma Siena ha bisogno di me, del mio braccio, del mioconsiglio. Posso io rifiutare? » « Oh! no, no. » — dissel’eroica gentildonna con subitanea energia, sollevan-do fieramente la sua bella testa, gettando indietro lefolte chiome che le coprivano il viso e fissando negliocchi il marito. « Quando la patria chiama, ogni cit-tadino deve rispondere; chi nol fa, non è degno diessere amato. Adempi adunque al tuo dovere, non

10 in tuono: con tono.

727Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

tradirlo per me, perché forse, allora, mi saresti mencaro! » Un raggio di contento brillò sulla fronteannuvolata di Rinaldo. « Oh! possa sempre il tuocuore pensare così! » — esclamò. « Le tue parole miscendono come dolce rugiada all’anima, mi rendonolieto, felice. Poco fa, adunque, pregavi per me? »

« Per te, per la nostra diletta patria. » — mormoròPia con accento dolcemente commosso. « Ah! il miovoto 11 più ardente è di vedere una volta porre inbando queste discordie di cittadini, veder distruttiquesti partiti, e guelfi e ghibellini stretti tutti in unsolo amplesso. 12 Allora le nostre belle contrade sivedrebbero sicure dagli insulti dello straniero e nonsarebbero sradicate, tronche 13 da barbare mani. Mainvece, ohimè! queste gare parricide non concorro-no 14 che a sbranare una patria comune, ad immer-gere le famiglie nella disperazione, togliendo loro lepiù care speranze, i più teneri affetti. » Rinaldo tace-va, ma il di lui petto agitato, le guance accese, gliocchi pieni di fuoco, dicevano chiaramente com’egliapprovasse le parole di quell’angelo, che Dio gliaveva dato a compagna.

« Finora io nella vita non ebbi che una regola, ildovere, e l’ho costantemente seguito. » — continuòPia con gentile entusiasmo. « Figlia, adempii congioia ogni volere di mio padre. Sposa, non ebbi altro

11 voto: desiderio.12 amplesso: abbraccio.13 tronche: tagliate.14 gare parricide non concorrono: lotte che uccidono la

patria non contribuiscono.

CAROLINA INVERNIZIO728

desiderio che rendermi degna di te. Con te divisi lepiù care, le più pure gioie della vita, con te sapròdividere le amarezze. Soffrirò per la tua partenza,ma il dolore non mi farà mai dimenticare il dovermio. Pregherò per te e spero che Dio ti ritorneràsano e salvo fra le mie braccia. » Si tacque, perchévinta dalla emozione; ma dopo un istante, ripresecon voce divenuta suo malgrado tremante: « Ricor-dati però, mio Rinaldo, che io sono de’ Tolomei, e frale schiere nemiche ho un padre ed un fratello. MioDio, se doveste trovarvi a fronte… » E Pia de’ Tolo-mei abbandonò la sua testa sul petto del marito.

Egli sentiva il battito precipitoso del cuore di lei,il tremulo 15 di tutta la gentile persona, però 16 convoce commossa: « Calmati — esclamò — calmati; ioti comprendo, e ti giuro per le memorie sanguinosedella nostra storia, per le speranze più dilette dell’a-nima mia, che saprò morire io prima che insidiarealla vita di un Tolomei. Sono ghibellino è vero, manon odio i miei fratelli. Non saprei farmi traditoredella città, della famiglia; non volgerò il dorso alnemico, 17 ma in fondo all’anima desidero al pari dite che tutti ci stringiamo in un solo amplesso dipace. Siamo sanesi, 18 e non guelfi e ghibellini: lapatria è una sola! » « Oh! io lo sapeva bene che tu eriil migliore degli uomini. » — disse Pia con ingenua

15 tremulo: tremito.16 però: perciò.17 non volgerò … al nemico: non volterò la schiena al nemi-

co.18 sanesi: senesi.

729Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

ammirazione. « Rinaldo, tu hai l’anima di un eroe!Rinaldo, è così che si vince! » Uno squillo prolunga-to di tromba interruppe il sincero entusiasmo dellagentildonna. Rinaldo si staccò precipitoso dallebraccia della moglie ed appressandosi alla finestrane sollevò l’ampio cortinaggio. « Ecco il segnale d’al-larme che mi avvisa che è tempo di raggiungere imiei soldati. » — esclamò. « Non bisogna perdere unmomento. »

Diè un bacio ardente alla moglie, che l’avevaseguito; emise un lungo sospiro, poi, come sovve-nendosi 19 di qualche cosa, soggiunse fermandosi:« Oh! mi dimenticavo di dirti, mia diletta, che par-tendo, lascio a te vicino un amico fidato, un uomoleale che veglierà alla tua difesa, alla difesa delpalazzo. È il compagno della mia giovinezza, il mioUgo. » Pia de’ Tolomei trasalì e si fece pallidissima.« Egli ha le mie istruzioni. » — continuò il contesenza addarsi della commozione 20 della gentildonna.« Checché 21 accada rivolgiti a lui. Partirò più tran-quillo se mi prometti di aver fiducia in Ugo, di ascol-tarne i consigli, seguirli. » « Te lo prometto. » — bal-bettò Pia a mezza voce, impallidendo sempre più ecome in preda ad una vaga inquietudine. « Pure,benché il mio cuore inclini naturalmente alla mag-gior parte dei miei simili, prova un’avversione istin-tiva verso Ugo, né io mi confiderei seco lui. » « Il tuocuore questa volta s’inganna. » — disse Rinaldo con

19 sovvenendosi: ricordandosi.20 addarsi della commozione: accorgersi del turbamento.21 checché: qualsiasi cosa.

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forza, assumendo un cipiglio 22 così severo, che lofece parere quasi brutto. « Ugo è il più nobile cuoreche io conosca, ed è mio obbligo il desiderare divederti giusta, a suo riguardo. La sua abituale fred-dezza, la sua melanconia non provengono che dalleimpressioni lasciategli dagli antichi patimenti. » Piade’ Tolomei sorrise, come si sorride quando si hal’angoscia nell’anima e la si vuole celare. « Oh! luifelice, giacché ne parli così bene. » — mormorò.« Non mi abbisognano altre virtù per rendermeloaccetto. »

La gioia riapparve sul volto e negli occhi del contedella Pietra. Egli strinse ancora una volta al petto lamoglie, le dette un ultimo bacio, un bacio in cuipareva volesse esalar l’anima intiera, poi, pronun-ziando più cogli sguardi che colle labbra la parola« addio », se ne andò frettoloso. Pia de’ Tolomei colcuore affranto, coll’anima piena di un ignoto terro-re, s’inginocchiò di nuovo, di nuovo si diede a pian-gere ed a pregare.

22 un cipiglio: un’espressione.

731Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

Capitolo secondo

Ugo

Aveva trent’anni compiuti, ma le sue guance con-servavano tuttavia la freschezza, la grazia dellaprima gioventù. Il suo volto sarebbesi adattato beneugualmente ad un santo, come ad un bandito. Lachioma bionda e copiosa gli scendeva ben compostasopra le spalle. I lineamenti aveva belli, anzi bellissi-mi, ma il sorriso beffardo, che sfiorava leggermente,come una ruga, l’angolo della sua bocca; lo sguardotorbido, irrequieto ne scemavano di molto l’attraen-za. 1 Figlio dell’amore, 2 Ugo non conobbe mai coloroai quali doveva la vita. Allevato da un valente guer-riero ghibellino, Ugo fu avvezzo fino dai primi annia tutti gli esercizi del corpo. Cavalcava destramente,era sempre fra i primi nei tornei, nelle giostre, nellegualdane, 3 dove la svelta bellezza delle sue membra,dei suoi muscoli, la fiamma di nobile orgoglio, chegli brillava sulle guance, formavano il segreto sospi-ro delle gentildonne, l’ammirazione del popolo, l’in-vidia dei cavalieri.

Nel novero 4 dei molti amici ed ammiratori, Ugocontava il conte Rinaldo della Pietra, il quale erasi

1 scemavano … l’attraenza: diminuivano molto l’attrattiva.2 Figlio dell’amore: Figlio di una relazione amorosa illecita.3 La gualdana è una giostra, in cui il cavaliere cerca di colpi-

re lo scudo infisso in un braccio di una sagoma ruotante, senzafarsi colpire dal martello appeso all’altro braccio della sagoma.

4 novero: numero.

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molto affezionato al giovinetto, che lo divertiva collearguzie del suo spirito, lo sorprendeva coll’impetuo-sità del suo coraggio. A quindici anni, Ugo sentiva epensava ciò che si sente e si pensa dagli altri ai venti.Egli era conosciuto non tanto per il suo coraggio,quanto per l’imprudenza della sua vita avventata epei suoi odi implacabili, sì che spingeva all’estremoil soddisfacimento delle sue vendette. Il bel sessoparevagli indifferente. Egli diceva che l’amore, comela religione e la fede erano parole vuote di senso, foleinventate per aggirare il volgo. Ma il caso mostròaltrimenti.

Un giorno in un torneo, Ugo si era distinto comeil più destro e coraggioso; ma il suo braccio alfine sitrovò stanco e mentre accingevasi a ferire per l’ulti-ma volta l’avversario, questi riuscì a conficcargli laspada tra le connessure 5 dell’armatura e ad immer-gergliela nella spalla sinistra. Ugo fece per rimetter-si in equilibrio, ferire ancora, ma la spada gli caddedal pugno ed egli stesso stramazzò a terra, colla fac-cia rivolta al cielo. Un fievole grido, una sfumaturadi commozione, che l’abitudine 6 vinse appena ilcuore se ne fu accorto, si fece udire nell’arena. Ugogirò lentamente le sue appannate pupille dalla partedonde era uscito il grido e i suoi occhi si posaronosopra una giovinetta, vestita tutta di bianco, cogliocchi ancora dolcemente commossi e d’una bellezzacosì meravigliosa, che nessuna penna avrebbe potu-to tratteggiare o descrivere. Era Pia de’ Tolomei.

5 connessure: giunture.6 l’abitudine: l’abitudine ad autocontrollarsi.

733Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

Ugo provò una di quelle momentanee estasi, diquelle arcane sensazioni, che difficilmente è datogustarne due volte nella vita. Sparì il torneo, i com-battenti, il mondo intiero. Un volto pallido, com-mosso, una candida veste, era tutto ciò che Ugo rav-visava ancora; un debole grido, tutto ciò che inmezzo agli schiamazzi d’innumerevoli turbe, 7 anco-ra gli risuonava all’orecchio. Il dolore, la ferocia sidileguarono tosto 8 dalla fronte del giovine guerrieroper lasciarvi invece l’impronta di una soave, teneraespressione di felicità. Il sorriso apparve sulle suelabbra, poi svanì a poco a poco; gli occhi mandaro-no un lampo di desiderio, l’ultimo, poi si chiuserolentamente, ed Ugo non vide, né udì più nulla. Erasvenuto.

Appena guarito della sua ferita, Ugo non ebbe piùche un’idea. Essere amato da lei, da Pia, che gli eraapparsa come un angelo, come una creatura sopran-naturale: da Pia che egli omai 9 amava con tutta la vio-lenza, con tutta la passione di un carattere energico,esaltato. Ma Ugo era povero; Ugo non aveva un nomeda offrirle. Che importava? Allora le donne pregiavanopiù dei titoli, più delle ricchezze, il valore, la destrezza,l’audacia. Però 10 Ugo, immaginando di aprirsi collearmi un cammino agli onori, alla gloria, e rendersi cosìdegno di lei, prese parte a tutte le lotte fra i guelfi ed ighibellini. Sempre primo nei pericoli, egli non cono-

7 turbe: folle.8 tosto: subito.9 omai: ormai.10 Però: Perciò.

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sceva difficoltà d’impresa, che non affrontasse conentusiasmo. Sfortunatamente in uno di questi combat-timenti, Ugo cadde prigioniero nelle mani di Carlod’Angiò. 11

Carcere, ceppi, maltrattamenti: ecco il destino chetoccava ai prigionieri, che non possedevano fortunabastante per riscattare con grosse somme di denarola loro cattività. 12 Tale doveva essere la sorte di Ugo.Egli nulla possedeva al mondo, tranne il suo valore,onde disperava di poter liberarsi. Intanto la solitudi-ne, il silenzio, la brama degli amici, la poca luce delgiorno, le lunghe notti trascorse fra la febbre deidesideri, l’amore della libertà e soprattutto l’arden-tissima passione, che gli bruciava il cuore, avevanoabbattuto il suo spirito e reso il suo corpo uno sche-letro.

Un giorno, che sdraiato sulla nuda terra, Ugo male-diceva, imprecava alla sua sorte, udì aprirsi con vio-lenza la porta del carcere. Oh! come gli palpitò il cuorenel petto! Come la speranza gli accese il sangue nellevene! D’un balzo egli fu in piedi, ed ecco si trovadinanzi un uomo, un amico. Ugo getta un grido. « Seitu, sei tu Rinaldo! » esclama egli come un forsennato,gettandosi nelle braccia che il conte amorosamente glistendeva. « Sì, sono io, io che vengo a darti una buona

11 Fratello del re Luigi IX di Francia, nel 1265 Carlo d’An-giò (1226–1285) venne investito da papa Clemente IV delregno di Sicilia, di cui entrò in possesso nel 1266 dopo la bat-taglia di Benevento contro re Manfredi di Svevia che cercavadi impedirgli l’ingresso nel regno e che morì in quella batta-glia.

12 cattività: prigionia.

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novella: tu sei libero. » « Libero io! libero! » — gridaUgo fuori di sé. « Oh! io credo di sognare. Lascia chestringa le tue mani. Libero! Come? Parla. Ricordatiperò che io non voglio dover nulla ai nemici della miapatria: preferisco le catene al ricevere da essi unbenefizio. » « Calmati, calmati ed ascoltami: tu nulladevi ai nostri nemici. » « Oh! allora sei tu, sei tu che mihai salvato. Allora debbo a te, alla tua santa amicizia,la mia libertà! »

« Io, da solo, non avrei potuto far nulla. » — dissesoavemente il conte. « Il riscatto, che Carlo d’Angiòti aveva imposto, era così favoloso, 13 che le mie ric-chezze non sarebbero bastate a pagarne una solaparte. Che feci allora? Radunai a me dintorno i cit-tadini di Siena e rivestito delle insegne del miogrado, feci a loro noto il tuo coraggio, la tua prigio-nia, la sorte che ti era riserbata. Alle mie parole nonvi fu ciglio che rimanesse asciutto, non mano chenon venisse a porgermi il suo obolo. 14 In un istanteun mucchio d’oro era miei piedi: tu fosti salvo. »« Oh! amico mio, che potrò mai fare per ricompen-sarti? La mia vita istessa non pagherebbe la tuagenerosità. » « Non parliamo di gratitudine: tu nullami devi, perché io ho soddisfatto l’impulso del cuo-re. Non avresti fatto altrettanto al mio posto? Edoveva io lasciar perire il mio migliore amico, il piùvalente guerriero che Siena racchiude? Vieni, vienimeco: nel mio palazzo troverai il riposo che ti èdovuto, un asilo sicuro, un uomo che ti amerà come

13 favoloso: enorme.14 obolo: contributo.

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un fratello ed una donna che sarà felice di chiamar-si tua sorella. »

Ugo a queste ultime parole, colto da un funestopresentimento, divenne pallidissimo e retrocesse dialcuni passi. « Una donna dicesti? » — balbettò. « Tuhai dunque preso moglie? » « Sì, amico mio; ho spo-sata la creatura più bella, più pura che abbia maiilluminata il sole di Siena; ho sposata la donna chetu pure conosci e che più volte mi lodasti: Pia de’Tolomei. » Cosa avvenne allora nel cuore di Ugo?Nessuno avrebbe potuto dirlo. Ma il fatto sta cheegli strinse con una specie di frenesia le mani diRinaldo, balbettando: « Mi congratulo della scelta: èdegna di te » E un sorriso sinistro passò come unlampo sulle sue labbra.

Mezz’ora dopo i due amici salivano le scale checonducevano all’appartamento di Pia. 15 La gentil-donna li aspettava. Ella sorrise a Rinaldo e porse lamano a Ugo, dicendo con soavissimo accento: « Rin-grazio Dio che vi ha salvato. » La risposta spirò sullelabbra di Ugo. Gli parve cosa ridicola mostrarle conparole l’omaggio che ciascun suo sguardo le tributa-va. Egli la contemplava estatico.

La beltà di Pia era allora in tutta la sua pienezza.La rosa sbocciata vinceva in confronto il piccolo enascosto bottoncino. Giammai il sorriso di lei erastato così ammaliante: giammai i suoi occhi avevanoavuti sguardi tanto pieni di fascino. Rinaldo sorride-

15 Troppo rapido, per essere verosimile, questo spostamen-to in appena mezz’ora dalle carceri napoletane di Carlo d’An-giò all’appartamento senese di Pia!

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va della confusione di Ugo. Egli non conosceva ilsegreto dell’amico, che questi aveva sempre custodi-to gelosamente in fondo al cuore, ed era troppo feli-ce per dubitare di lui. Ugo cercò di rimettersi, baciòcon rispetto le mani, che Pia gli tendeva, e si diè aparlare con quei blandi e sommessi modi, sotto cui sìbene mascherava la doppiezza, la ferocia del suocarattere. Pure nei suoi occhi divampava una talefiamma, che mise nell’animo della gentildonna, unignoto terrore.

Quando fu solo, Ugo si abbandonò a tutta la pienadel suo dolore. Colle braccia incrocicchiate, 16 ver-sando lacrime di rabbia, il giovine passeggiava per lastanza, smaniando come belva ferita. « Fatalità —mormorava — ingiustizia della sorte! Perché ad al-cuni è dato essere così felici, ed altri così sventurati?Tutto agli uni, nulla agli altri! Il sogno della mia gio-vinezza è dunque svanito per sempre? Oh! Rinaldo,Rinaldo, tu mi salvasti per dilaniarmi il cuore: ionon ti devo più nulla! » L’alba sorprese Ugo almomento in cui, vinto dalla stanchezza, chiudeva gliocchi fatti rossi dal pianto versato, mormorandoancora una volta un nome: Pia.

Da quell’istante però Ugo apparve più calmo. Alvederlo così rispettoso, melanconico, affettuoso,sarebbesi detto ch’egli avesse intieramente dimenti-cato il passato, e che non pensasse più che a render-si grato al suo benefattore. Quanta forza non dovet-te fare a se stesso quest’uomo che internamente sof-friva tutte le torture della gelosia dell’amore, dell’o-

16 incrocicchiate: incrociate.

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dio, per conservare sì a lungo la maschera dell’im-passibilità? Dio solo avrebbe potuto dirlo. Per lospazio di sei anni, 17 Ugo visse nel palazzo del conte,avendo un assoluto potere sul cuore di Rinaldo,respirando l’aria stessa respirata da Pia: passandolunghe ore a contemplarla senza esser veduto, divo-rando in silenzio le sue lacrime, le sue gelosie, i suoitormenti. Soffriva ed aspettava! Allorché suonò l’oradella partenza di Rinaldo, il cuore di Ugo batté digioia febbrile. Egli non partiva con lui.

La sera prima il conte aveva chiamato l’amiconella sua stanza. Ugo si affrettò ad accorrere. Rinal-do col capo fra le mani pareva assorto in profondameditazione. Ad un tratto lo rialzò e scorto il com-pagno diletto, sorrise dolcemente e gli stese unamano. « Mi cercavi adunque? » — chiese Ugo con ac-cento soavissimo. « Sì, amico mio, sì; debbo parlartia lungo. Siamo noi soli? » Ugo trasalì. « Assoluta-mente soli, Rinaldo. Madonna si è ritirata nelle suecamere: i valletti sono tutti al riposo ». « Meglio,meglio così. Avvicinati, Ugo, ed ascoltami attenta-mente ». Ugo sedette come il più flemmatico degliindividui ed aspettò che Rinaldo gli svelasse intero ilproprio pensiero.

17 Caduto prigioniero di Carlo d’Angiò certo non prima del1266, perché questo è il primo anno in cui il re angioino guer-reggia in Italia, nel maggio di quello stesso 1266, in cui vienefin dall’inizio ambientato il romanzo, Ugo non poteva inalcun modo essere stato liberato ed ospitato da Rinaldo giàda sei anni.

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« Ugo — disse il conte dopo un istante di silenzi —domani io partirò per la guerra, ma tu non verraimeco. » Il cuore di Ugo battè con violenza. « Nonverrò teco? » esclamò fingendo un vivo dolore. « Nonvuoi dunque che io divida con te i pericoli, che tipossa salvare alla mia volta, come tu un giorno misalvasti la vita? » Rinaldo sorrise tristamente. 18 « Benaltra cosa io aspetto da te, mio fedele Ugo. Quandoio sarò lontano, chi veglierà alla difesa del miopalazzo, della donna che io adoro? Oh! amico mio,io non ho mai provato tanto affanno alla vigilia diuna partenza, come adesso; mi sento il cuore stret-to: le voci dei miei compagni d’arme mi giungonosgradite all’orecchio, soffro, ho quasi paura. »

Ugo strinse in silenzio la mano del conte. « Scac-cia questi tristi pensieri. » — disse quindi con dol-cezza. « Non lasciarti abbattere; tu tornerai presto aSiena vincitore. » « E credi tu che Pia mi amerebbeancora? » Ugo lo guardò sorpreso. « Qual dubbio tiagita l’anima? Perché vorresti che madonna Pia nonti amasse più? » « Perché ella in cuor suo desidera lavittoria dei guelfi. » « E via! » « Ed io sono un ghibel-lino. » « La diversità di parte non esclude l’amore. »« È vero, sai, è vero, perché io l’amo, l’amo più di mestesso, più di ogni cosa al mondo. E tu credi che ellami ami del pari? »

Sorrise Ugo d’un sorriso freddo e caustico, che perfortuna Rinaldo non ne sentì la forza. « Ne sonosicuro. » — rispose. « Madonna ha un’anima degnadi accompagnarsi alla tua: un genio superiore al suo

18 tristamente: tristemente.

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sesso. È saggia quanto è gentile. Si ammira in lei adun tempo la bellezza dell’anima e quella delleforme. » « Oh! come le tue parole mi scendono dolcial cuore. Nondimeno Ugo, non ti tacerò che da qual-che tempo mi crucciano 19 l’animo alcuni molestisospetti. Non ti pare che Pia sia addivenuta più taci-turna di quanto lo fosse per l’addietro? Vedi comeella preferisca la solitudine alle feste, sospiri senzache se ne vedano le esterne ragioni. Se ella m’ingan-nasse? Se mi preferisse un rivale? Che ne dici? »« Dico che sei tu che t’inganni, Pia pensa al padre eal fratello esiliati. » « Forse hai ragione: comincio acrederti; pur nonostante, non sono interamentetranquillo. Tu solo puoi rendermi la calma. » « Io?che posso fare per te? » Ugo pronunciò tali parolecon accento strano; ma la sua emozione si calmòistantaneamente ed il giovane ridivenne un freddoascoltatore.

« Più che nol pensi! » — esclamò Rinaldo. « Senti: ioaffido a te il mio palazzo, la donna mia. Veglia costan-temente sopra di lei. Fa’ che il tuo orecchio accolgaogni modulazione della sua voce, ogni sospiro. Indagaogni suo movimento: tu sei arguto e l’amicizia chenutri per me, centuplicherà la tua arguzia. 20 Parlalespesso di me, falle comprendere come io l’ami più diquello che mi vanti d’amarla, dille che non è mia lacolpa se vado a combattere contro i suoi fratelli: giu-rale che saprei prima morire, che insidiare alla vita diun Tolomei. Nota se quando le parli di me tace o sospi-

19 crucciano: tormentano.20 arguzia: acutezza.

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ra; se te lo proibisce oppure se lo desidera. Perorainsomma per me, 21 e quel poco che io ho fatto per te,l’avrai ricompensato oltre ogni misura. Accetti? »

Ugo si era fatto livido. Tutto il suo corpo era agi-tato da un tremito convulso. « Non sei tu il mio be-nefattore? Non sono io lo schiavo di ogni tuavolontà? » — diss’egli con accento sconvolto, sottocui mal si dissimulava la gioia. Rinaldo non vide lapallidezza di lui, la sua terribile agitazione; maquand’anche l’avesse scorta, l’avrebbe attribuita aqualunque cosa all’infuori del vero. « Parli così? » —rispose. « Non sia mai! Tu sei l’amico, il fratel mio:perdonami se ho contato troppo sul tuo desiderio diessermi utile. » E la voce di Rinaldo tremava per l’e-mozione. « Te ne sei avuto a male? » — proruppeUgo. « Oh! non vorrei per tutto l’oro del mondo aver-ti disgustato. Parti tranquillo: io veglierò sopra di lei.M’intendi? Non vi sarà sguardo, parola, sospiro, chesfuggirà alla mia vigilanza. Vedi? non mi affliggonemmeno nel lasciarti, quando so che anche quirimanendo posso contribuire alla tua felicità. »« Possa Dio benedire il tuo cuore riconoscente. » —esclamò Rinaldo in un indicibile trasporto di rico-noscenza, stringendo l’amico fra le sue braccia.

Ugo ricambiò gli amplessi del conte e quando uscìda quella stanza, il suo volto pareva trasformato.« Mi sembra di esser preso dalle vertigini. » — pen-sava. « Ah! Rinaldo, da te stesso hai firmata e con-trassegnata 22 la tua sentenza. Oh! se Pia mi amasse,

21 Perora insomma per me: Parla insomma in mio favore.22 contrassegnata: controfirmata.

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come sarei vendicato. » Ugo sorrise a questa sedu-cente idea. Egli sperava, sperava che la sua ardentetenerezza, la passione sostenuta per tanti anni, l’a-vrebbero esaltato nel cuore di lei! « In ogni modo,concludeva con un sorriso sinistro, se le mie speran-ze andassero fallite, a peggio andare, 23 Pia è nellemie mani! »

Ecco qual era l’uomo, a cui il conte Rinaldo dellaPietra aveva affidato l’onore della sua casa, di suamoglie!

23 a peggio andare: male che vada.

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Capitolo terzo

L’insidia

Scendeva malinconica la sera. In cielo stellato,placida luna sembrava promettere il lieto fine diquelle lotte feroci, immortali, mentre illuminava lebelle contrade di Siena, in quell’ora affatto deserte.Pia de’ Tolomei stava seduta presso ad un balcone,che guardava nel giardino, ombreggiato da grandialberi, i cui rami melanconici e neri, acquistandodai raggi della luna un aspetto ancor più solenne,producevano nell’animo della gentildonna un sensopenoso di mestizia, contro la quale chiedeva persinoun conforto all’eco dei suoi sospiri, che le sollevava-no il petto agitato. Una lampada ad arabeschi, postasu di un tavolino illuminava debolmente la stanza.Ma i suoi raggi cadendo verticalmente sul volto dellagentildonna, permettevano di notare il pallore dellesane guance, agitate da spasimi 1 nervosi.

Fino dal momento in cui Rinaldo era partito, Piadei Tolomei si era ritirata nel silenzio di quella stan-za, vietandone l’ingresso a tutti, onde aver pienalibertà di piangere e di sospirare. Dicendo però che lagentildonna rifiutava di farsi visibile a chicchessia, 2

m’inganno. Vi era un uomo al quale non veniva mainegato l’accesso di quel santuario di fedeltà coniuga-le; vi era un uomo che nel palazzo del conte Rinaldo

1 spasimi: spasmi.2 a chicchessia: a chiunque.

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della Pietra godeva un’autorità da padrone. Costui, illettore l’avrà già indovinato, era Ugo.

Egli si presentava in ogni ora del giorno nellestanze di madonna Pia, colla libertà di un uomo chesi sente munito di uno speciale privilegio. Pia de’Tolomei non ne moveva lagno né si avvisò mai 3 d’im-pedire quelle visite. Il suo Rinaldo l’aveva affidata adUgo; Pia ubbidiva a Rinaldo. Pure la gentildonnacontinuava a provare suo malgrado una specie didiffidenza verso il giovane. La presenza di lui arre-stava le sue lacrime, frenava i suoi sospiri, turbava ilsuo spirito. Occupata intieramente la sua anima del-l’immagine del marito, qualunque altro discorso leriusciva indifferente, disgustoso, benché ancora nonsapesse come sotto le parole di Ugo covasse una pas-sione ben più ardente del platonismo, 4 dell’indiffe-renza da lui vantata.

Erano passati sei giorni dalla partenza del conte,e dalle labbra di Ugo non era ancor uscita una solaparola, che potesse far comprendere le sue speranze.Il giovane cercava con fine arte d’introdursi nelcuore di lei; scandagliava a passo a passo il terreno,mostravasi a seconda dei momenti or mesto, or viva-ce, valendosi di quel linguaggio fiorito e brillante,particolare alla galanteria di quei tempi, ma che èaltresì il linguaggio, di cui la giovinezza appassiona-ta di tutti i tempi riveste i magnifici deliri della poe-sia, e che scenderà sempre direttamente all’anima diuna donna.

3 non ne moveva … mai: non se ne lamentava né pensò mai.4 platonismo: distacco dagli amori sensibili.

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Bisognava sentire con qual modulazione di vocecarezzevole, Ugo parlava della sua infanzia, dellasua giovinezza, inframmettendo ai discorsi indiffe-renti 5 le rimembranze di quegli anni, in cui Pia fan-ciulla e giovinetta rallegrava le paterne stanze. E quisoffermavasi con compiacenza, parlando con tantasoavità dei primi innocenti palpiti, delle prime sim-patie, che la gentildonna, senza accorgersi dell’arte, 6

tutta si commoveva. Ugo credette venuto l’istanteopportuno per dichiararsi, per far suo quel tesoro ilcui possesso lo 7 sospirava con tanto ardore. In quel-la sera in cui Pia stava seduta presso al balcone,assorta nel pensiero del suo Rinaldo, Ugo avevadeciso di tentare l’ultimo colpo. Egli si fece annun-ciare alla gentildonna da un paggio.

Pia de’ Tolomei, distolta bruscamente dalle suedolci meditazioni, guardò il paggio con aria quasisevera; esitò un istante prima di rispondere, perchéil suo cuore batteva con violenza senza che ellapotesse spiegarne il perché. « Venga. » — disse infinecon voce fievole. Si aperse il cortinaggio dell’uscio edUgo, vestito secondo il leggiadro aggiustamento 8 diquei tempi, si avanzò verso Pia e piegando un ginoc-chio a terra le baciò con rispetto la mano. La gentil-donna gli additò con la massima cortesia di sedere.Il paggio si era ritirato.

5 indifferenti: senza importanza.6 dell’arte: della tecnica di seduzione.7 lo: egli.8 aggiustamento: abbigliamento.

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Ugo tutto assorto nella contemplazione di Pia, nonosava più parlare. Egli che non era mai stato timido,tremava davanti a lei come un fanciullo: sentiva ilcuore battergli febbrilmente e non ricordavasi piùalcune di quelle frasi, che si era preparato per sedur-la. Pia de’ Tolomei non fece alcun movimento perinterrompere quell’imbarazzante silenzio. Ella pare-va ricaduta nelle sue riflessioni e teneva i bellissimiocchi rivolti al giardino.

« Madonna, disse infine Ugo con un leggero fremi-to nella voce, perché sempre così pensierosa, accan-to a quel balcone? Il luogo è assai mesto. » « Maparla un linguaggio arcano al mio cuore. » — rispo-se semplicemente Pia de’ Tolomei. « Da questo bal-cone io scorgo le rovine del mio palazzo e dai queirottami rivive una potenza di dolore melanconico: ilpassato mi scorre dinanzi come un sogno; mi rivedofanciulla, sorridente, felice: cessano gli spasimi, e lemie lacrime diventano più dolci. » Ugo scosse contristezza il capo e riprese con fine malizia: « A mesembra invece che da quelle rovine non dovrebberouscire che storie di affanni e di odio da incitare alpianto, alla vendetta. » Pia de’ Tolomei rialzò il suoleggiadro viso bagnato di lacrime, fissando un lungosguardo sul giovane, come se avesse voluto pene-trargli nell’anima.

« Madonna, continuò Ugo con accento peritoso 9 ecommosso, ho da darvi alcune nuove, che non vigiungeranno al certo sgradite. I fiorentini ci stringo-no colle armi, e fra poco entreranno in Siena vinci-

9 peritoso: timido.

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tori. » « E chiamate questa una buona nuova? » —l’interruppe Pia visibilmente turbata. « Non vi èadunque caro, madonna, riabbracciare vostropadre, vostro fratello, e vederli vendicati? » Pia de’Tolomei lasciò sfuggire un’esclamazione di dolore edi sorpresa insieme. « Ugo! » — disse quindi consevera gravità — « dimenticate dunque che sono lasposa di Rinaldo, dell’uomo a cui Siena affidò ilcomando delle armi? E volete che io speri la vittoriadei fiorentini, che io brami la rovina, il disonore del-l’uomo, di cui porto il nome e che possiede tutta l’a-nima mia? »

Ugo rimase attonito a quelle parole che non siaspettava, ma non essendo uomo da lasciarsi facil-mente avvilire e smuovere da un progetto, riprese:« Dunque nulla v’importa di vostro padre, di vostrofratello? » « Ugo, sono queste parole da dirsi ad unapovera donna che ha il cuore angosciato? Nonostan-te 10 vi risponderò. Dal giorno in cui giurai fede almio Rinaldo, la mia famiglia cessò di essere quellade’ Tolomei, per divenire quella del signore della Pie-tra. In quel giorno i miei doveri di figlia cessaronoper dar luogo a quelli di moglie. Amo mio padre emio fratello, prego Dio perché li salvi da ogni peri-colo, ma fra essi e Rinaldo, Dio stesso non mi per-metterebbe di esitare nella scelta. » Ugo aggrottò leciglia, si fece pallido, pur tuttavia cercando di con-tenersi: « Madonna — disse umilmente — voi sieteun angelo, la più celeste creatura che il cielo abbiamai inviata a compagna di un uomo. Oh! perché

10 Nonostante: Ciò nonostante.

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Rinaldo non vi ama del pari, del pari non vi stima ebenedice! » « Come, che volete voi dire? A che inten-dono 11 le vostre parole? » — esclamò Pia de’ Tolo-mei, visibilmente commossa, 12 rivolgendo di nuovo isuoi occhi sul volto di Ugo, che trasalì nel fissarli,come si trasalisce al cospetto di un interrogante chesta per istrappare i più colpevoli segreti del cuore.

« Madonna — replicò Ugo con un riso sdegnoso,avvicinando vieppiù 13 il suo seggiolone accanto aquello di Pia — sapete voi perché io, unico amico diRinaldo, non l’abbia seguito in guerra? Sapete per-ché egli mi abbia fatto padrone del suo palazzo, deisuoi vassalli, di voi? Non tremate, angelica creatura,egli piuttosto dovrebbe tremare di vergogna, giacchédi voi sospetta, giacché teme che voi gli preferiate unaltro. Sì, di voi bella e pura, che basta guardarvi unasol volta per vedere come il vostro volto riveli un can-dore singolare ed ispiri virtù ed entusiasmo; bastaudire un accento della vostra voce perché i cuori piùfreddi si accendono, si ammansano 14 i più feroci; divoi che quando passate per le vie vi guardano conamore le donne, con rispetto i grandi, il popolo congioia! Come mai un uomo che vi possiede puòannebbiare con un solo sospetto tanta fama, tantavirtù, tanta delicatezza? »

Pia de’ Tolomei che aveva ascoltato con profondaattenzione le parole di Ugo, balzò in piedi appena

11 A che intendono: A cosa mirano.12 commossa: turbata.13 vieppiù: di più.14 si ammansano: diventano mansueti.

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egli ebbe finito e lampeggiando fiamme dai nerisguardi. « Voi mentite! » — esclamò. « Voi insultate ilvostro signore. Come ardite parlare? E come hopotuto ascoltarvi finora? » « Potreste uccidermi, ma-donna — interruppe Ugo con accento di profondatristezza — ma io non vi ho detto che la pura veri-tà. » « Basta, Ugo, basta, andate: i vostri detti migiungono sgraditi. » Ma Ugo non aveva alcuna vogliadi ritirarsi e veduto come Pia de’ Tolomei fosse dinuovo ricaduta sul seggiolone, coprendosi il voltocon le mani, le si avvicinò continuando: « Madonna,non ve l’abbiate a male, perdonatemi se l’affetto chenutro per voi mi spinse a così parlare; ma quandosentii sulla vostra bocca parole di fede, ed amore, diabnegazione per lui, per lui che vi disconosce, nonfui più padrone di me stesso, non seppi frenare lamia emozione. » « Vi ringrazio delle vostre premure,ma andate. » — rispose Pia con amarezza, senza sol-levare il capo.

« No. Madonna, desidero che mi ascoltiate, deside-ro che sappiate come non soltanto adesso io abbiaimparato ad apprezzarvi. » Esclamò Ugo con voceconcitata, mentre i suoi occhi scintillavano di tuttal’indomata energia della passione. « Vi ricordate,madonna, del giorno in cui fui ferito sotto ai vostriocchi, in un torneo? » « Non lo ricordo. » — BalbettòPia macchinalmente, ancora colpita dalla dolorosaconfidenza del giovane, sebbene ella avesse sospettoche si trattasse di un’insidia di Ugo. Il giovane simorse le labbra: « Ah! io non lo dimentico più quelgiorno! Il grido che uscì dalle vostre labbra, mentre iocadeva a terra bagnato di sangue, mi rimase impres-

CAROLINA INVERNIZIO750

so nell’anima. Da quel giorno io vi amai; sì, lasciateche ve lo confessi. Oh! voi lo sapevate che io vi amava!Una donna non s’inganna mai. Non c’era bisogno cheio mi gettassi alle vostre ginocchia: voi sapevate che ilmio cuore non mi apparteneva più, io ve l’aveva dona-to e voi l’avevate tacitamente accettato. »

Pia de’ Tolomei fece per alzarsi, imporgli silenzio,gridargli che tutto ciò era una vile menzogna, ma lemancò il coraggio. D’altra parte Ugo fatto ardito delsuo potere, continuava: « Oh! quanto soffrii per lun-ghi mesi: quanto! Pure mi arrideva la speranza dipotervi fare un giorno mia sposa, la sovrana di tutti imiei pensieri, quando disgraziatamente fui fatto pri-gioniero di Carlo d’Angiò. Un giorno mi si annunziala mia libertà, sorrido al pensiero di rivedervi, ma ilsorriso non tardò ad agghiacciarsi sulle mie labbra.L’uomo che mi aveva salvato, mi aveva rapito ben piùdella libertà, della vita, togliendomi l’unica donnache io amassi al mondo! Togliendomi voi! » « Tacete,Ugo, tacete. » « No, ho continuato e voglio finire.Questo segreto mi soffoca: è troppo che io soffro. »

Pia de’ Tolomei per la terza volta tentò di nuovo dialzarsi, imporgli silenzio, ma Ugo non l’intendeva 15

più. Egli continuò con accenti e gesti febbrili: « Oh!quanto odiai quell’uomo: quanto! Pure non osavasepararmi da lui, per poter vivere a voi vicino. Cos’èstato di me in tutti questi lunghi anni, non sapreidirlo. Il sole ha illuminata la terra? Il cielo è semprestato sereno? Non lo so. Per me il sole ed il cielo era-vate voi. La mia vita è stata una battaglia continua, ad

15 intendeva: ascoltava.

751Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

ogni ora, ad ogni minuto, un supplizio senza nome,una tortura eterna. Quante volte vagheggiando ilvostro bel volto, io smaniava nel vederlo fatto pallidodai baci di un altro. O Pia, perché non vorreste con-cedere a me uno solo di quei baci divini? »

La gentildonna che aveva sempre tenuto il visonascosto fra le mani, alle ultime parole di Ugo, si alzòlentamente e indietreggiò di alcuni passi, ma senzatremare. Un coraggio sovrumano le brillava negliocchi, in tutta la persona: le narici aperte sussultava-no, i capelli sciolti le fremevano dietro le spalle. Vivao morta ella era risoluta a restare fedele a Rinaldo, acustodire gelosamente l’onor suo. « Ugo, io vi hoascoltato attentamente, diss’ella con voce fremente,avviluppando il giovane con un’occhiata d’indicibilesprezzo, 16 perché volevo vedere fino a qual puntoarrivasse la vostra infamia. Così, dopo aver insultatoil più nobile, il più onesto degli uomini, facendolocomplice di una vigliaccheria, supponendomi tantocredula da prestar fede alle vostre maligne insinua-zioni, credevate di abusare del potere che un uomoleale, un uomo di cuore, incapace di pensare qualanima bassa, qual vile serpe si celasse sotto le vostrespoglie, vi affidava, insultandomi colle vostre sfaccia-te proteste di amore? Ma io vi aveva da lungo tempoletto in cuore: i vostri infami raggiri mi sono noti.Ah! impallidite? Vi rampogna la coscienza e paventa-te il fulmine 17 del Dio delle vendette? Uscite Ugo,

16 sprezzo: disprezzo.17 vi rampogna … il fulmine: vi rimprovera la coscienza e

temete la punizione.

CAROLINA INVERNIZIO752

uscite subito e lasciatemi in preda al mio affanno. »« Madonna, ripigliò il giovane con voce interrotta, viassicuro che quanto vi dissi a riguardo di Rinaldo… »« È una menzogna, Rinaldo mi ama e mi stima, comeio amo e stimo lui: le vostre accuse non basteranno adisgiungere le nostre anime. Io potrei ottenere unariparazione ai vostri insulti; ma l’unica vendetta chevuolsi fare 18 di voi è il disprezzo. Uscite. »

Ugo scoppiò in un riso selvaggio. Col volto scom-posto, gli occhi iniettati di sangue, pareva una tigre inatto di divorare la sua preda. « Uscire, ah! ah! Pensa-te, o donna, che siete in potere di un uomo che nonmancò mai di raggiungere il suo scopo, di un uomoassetato d’amore. » « Sciagurato, osereste? » « Si osatutto, quando si ama come vi amo io. Ma non com-prendete che tutte le fiamme dell’inferno si sono acce-se nel mio cuore? » « Dite bene: dell’inferno, giacchénon vi è che un demonio, che possa avervi suggeritauna tale infamia. Voi mi vantate il vostro potere? Ionon sono in poter vostro, che la vita e la morte stan-no nelle mie mani: però 19 non vi temo! » « Ah! voi misfidate! voi mi odiate! » « Non vi sfido, né vi odio: vidisprezzo. Uscite. »

« Ascoltatemi, ascoltatemi per pietà. È un tormen-to atroce il mio: voi non potete comprendere quantoio soffra in quest’istante. Dopo tanti anni di sacrifici,di lotte, di affetto, sperava di rinvenirvi meno crude-le, di ottenere da voi una parola di conforto, ed inve-ce mi colmate di disprezzo, mi scacciate dalla vostra

18 che vuolsi fare: che si deve fare.19 però: perciò.

753Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

presenza. È possibile che io sia dannato a tantadisperazione? Madonna, dite che esigete, che possofare per dimostrarvi tutta la forza del mio amore? »« Togliervi dalla mia presenza e non comparirvi maipiù dinanzi. La vostra audacia è stata somma, masomma è altresì la mia indignazione. Lasciatemi. »Ugo fremette! La sua fronte si coprì di rossore: « Ah!così ricambiate chi ha tutto affrontato per posseder-vi! » — esclamò. « Guardatevene, o donna. Se finoraio fui un amante sommesso, supplichevole, ora saròun uomo che si vendica, un uomo che colpisce spie-tato, quando il suo braccio si leva. Rinaldo non è quiper difendervi, per salvarvi. » Ed Ugo ridendo di unriso convulso e sdegnoso si avvicinò a Pia. Questanon si mosse. Colle braccia incrociate, il volto palli-do ma calmo, gli occhi fissi cupamente immobili sulviso di Ugo, ella ripeté con voce tremendamentepacata: « Ugo, non vi accostate: lasciatemi. »

A questo suono che conteneva ad un punto 20 unasuprema preghiera ed una suprema minaccia, il gio-vine impallidì, ristette, quasi inchiodato da quellosguardo fisso sinistramente su di lui. Perché ad untratto Ugo si getta in ginocchio dinanzi alla gentil-donna ed abbassa il capo fino a sfiorarne la terra?Perché implora il perdono di lei che ha tanto offesa eminacciata? Perché il sudore bagna la sua fronte e lesue membra sono agitate da un tremito convulso?Nell’abbassare gli occhi al suolo, Ugo scorse unfoglio che era caduto dalle pieghe della veste dellagentildonna. Il primo pensiero del giovane fu che

20 ad un punto: al tempo stesso.

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quel foglio appartenesse ad un rivale. Cotesta 21 ideadurò un lampo, ma comprese un’eternità di tormen-ti per l’anima di quello scellerato. Non un grido però,non una parola uscì dalle sue labbra, ma il suo pal-lore metteva i brividi. Il secondo pensiero fu d’impa-dronirsi di quel foglio senza essere scorto. Ma in qualmodo? Dopo una breve lotta di sentimenti, trovòmiglior pensiero gettarsi ai piedi di quella donna, cheormai odiava più di quanto avesse mai amata ed allaquale giurava in cuor suo crudele ed efferata vendet-ta: « Perdono, madonna, perdono io era unpazzo. » — diss’egli con voce umile e faccia dimessa,raccogliendo prestamente e senza essere veduto ilfoglio che giaceva ai piedi della gentildonna. Pia de’Tolomei sempre pallida, indignata, non fece che sten-dere un braccio verso la porta.

Ugo comprese quel gesto. Livido di rabbia, feritodolorosamente al cuore ed all’orgoglio, egli si rialza ecogli occhi bassi, la persona vacillante, esce da quel-la stanza. Ma non appena il cortinaggio si chiuse die-tro di lui, Ugo drizzò fieramente il capo: il suo visoprese un aspetto feroce, spaventevole; un rauco gridouscì dalla sua gola, poi balbettò coi denti stretti e lavoce interrotta: « A noi due Pia de’ Tolomei! Tu midisprezzi, ma io ti odio! Oh! ti odio e non avrò pace,fino a che non mi sia vendicato! Finora sono stato unuomo debole, indeciso; d’ora in avanti sarò un demo-nio. Ed i demoni odiano gli angeli. Guai a te, Pia de’Tolomei, guai a te! »

21 Cotesta: Codesta (questa).

755Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

Capitolo quarto

Balduccio

Ugo stava per salire le scale che conducevano alsuo appartamento, quando s’incontrò faccia a facciacon un famiglio 1 di bassa statura e il cui triste ceffo, 2

veduto alla luce rossastra di una torcia, che illumi-nava la scala, dava l’idea del diavolo in persona, chestesse lì, al varco, ad aspettare un suo favorito. « Seitu, Masaccio? » — esclamò Ugo passato il primomovimento di sorpresa. « C’è qualcosa di nuovo? »« Sì, messere. È giunto al palazzo un corriere delconte, con un piego 3 per voi. Io lo condussi nellasolita casetta da voi indicatami per gli appuntamen-ti notturni e sono corso qui a cercarvi; già stava perentrare nelle stanze di madonna. »

Masaccio aveva un fare beffardo, che produsseuna strana sensazione su Ugo. Non sentì, come sipotrebbe credere, un moto di collera o d’irritazionecontro il suo famiglio; all’opposto provò una speciedi apprensione. Tuttavia la sua fisonomia si con-servò assai calma. « Conoscesti il corriere? » —domandò. « No, messere, ma è strano: avrei giuratodi vedermi dinanzi il fratello di madonna Pia, mes-ser Gualtiero. » Ugo trasalì e guardò attentamente ilservo: « Gualtiero, dicesti? E via, sei pazzo. » « Locredo bene, messer Ugo. Ma affrettatevi, giacché il

1 famiglio: servo.2 ceffo: muso.3 piego: plico.

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messaggiere 4 vi aspetta impaziente. » « Vado; laparola d’ordine? » « È la solita: Fedeltà… » « AllaLupa. 5 Sta bene: prendi questi due fiorini per te. Èinutile che ti raccomandi il silenzio. »

« Messere io non voglio penetrare i vostri segreti,se non vi conviene parlarmi. Voi mi pagate ed io viservo. Poco m’importa di sapere la ragione per cuiinvece di ricevere qui, a palazzo, i messaggeri delconte, me li fate condurre sì lontano. » Ugo non cre-dette opportuno di rispondere all’osservazione delfamiglio. « Presto, disse, corri a prendere la miaspada ed il mantello. Qui ti attendo. » « Sì, messere. »« Il morello è sellato? » « Da mezz’ora, messere. »« Benissimo: ricordati di vegliare attentamente finoal mio ritorno. » « Ai vostri ordini, messere. »

Mentre Masaccio saliva le scale correndo, Ugotrasse con un fremito il foglio che aveva raccolto aipiedi di Pia. Mentre l’apriva un sudor freddo imper-lava le sue guance. Ma appena scorse le righe, la suaemozione si calmò come per incanto ed un inferna-le sorriso passò sulle di lui labbra. Il biglietto eravergato 6 da Gualtiero de’ Tolomei e così diceva:« Sorella mia, io sto per muovere incontro a Siena,incontro alla terra dei miei padri. Oh! non è desìo 7

di vendetta quello che mi sprona a combattere con-tro i miei fratelli, ma desìo di rivedere anco 8 una

4 messaggiere: messaggero.5 Alla Lupa: Alla Lupa, cioè a Siena che, come Roma, ha

una lupa per simbolo.6 vergato: scritto.7 desìo: desiderio.8 anco: ancora.

757Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

volta le torri predate dei miei avi, il sepolcro di miamadre e tu, 9 sorella mia. Prega il Cielo per me. »

Ugo stette alquanto pensieroso dopo la lettura diquel biglietto, quando comparve Masaccio col man-tello e la spada. Ugo rimise il foglio nella borsa, siabbigliò con impazienza e uscì guardingo dal palaz-zo. Il cavallo attaccato ad un anello infisso nel muro,scalpitava con impazienza e mordeva il freno. Ugolo slacciò con prestezza, balzò in sella, strinse lieve-mente i ginocchi, allentò le redini e partì come unlampo. La notte era calma, ma oscura. La luna si eracelata dietro alcune nubi. Ma il cavallo di Ugo cono-sceva la strada e camminava d’un galoppo regolare epreciso. Intanto il giovane mormorava: « Oh! Pia de’Tolomei, per tanti anni io sono vissuto sepolto nelmio amore per te; d’ora in poi vivrò raccolto nel mioodio. Ad un tuo cenno io avrei fatto qualunque cosa,anche il bene: ora non ho più che un desiderio: fareil male. Tu mi scacciasti dalla tua presenza conamaro, insultante disdegno: un giorno ti vedrò aimiei piedi implorare pietà. »

Così fantasticando, Ugo giunse ad una straducolaangusta e tortuosa in fondo alla quale scorgevasiuna casa isolata, dove il giovane non entrava maiche in ore tenebrose, quando l’intera città riposavaquieti sonni. Benché la notte fosse, come dissi, oscu-ra, pur nonostante Ugo scorse subito, appoggiatoaccanto alla porta della misteriosa casetta, un guer-riero di alta statura, che teneva colla destra le brigliedi un cavallo da guerra.

9 e tu: e te.

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Scorgendo il nuovo arrivato, il guerriero fece unmoto per alzarsi e andargli incontro, ma Ugo lo pre-venne. Con un balzo fu a terra e avvicinatosi al sol-dato pronunziò a voce bassa: « Fedeltà… » — « AllaLupa. » — rispose il guerriero. Poi riprese: « Messe-re, è quasi un’ora che sono qui ad aspettarvi. Il capi-tano Rinaldo aveva affidato il messaggio a Monfal-cone, coll’ordine di portarlo subito al palazzo; peròMonfalcone desiderava prima di tutto vedere ladonna del suo cuore, e cedette a me l’incarico, facen-domi giurare che il messaggio non l’avrei consegna-to che a voi in persona. Ma giunto al palazzo delcapitano il vostro valletto volle per forza qui con-durmi. » « Tali erano i miei ordini e il capitano me nesaprà grado. » — rispose semplicemente Ugo. « Malega i cavalli a quell’anello ed entriamo in casa: quifa un buio d’inferno e non posso leggere. »

Così parlando Ugo trasse una chiave dalla borsa,aprì la rozza porta della casetta, prese la mano delguerriero, lo fece entrare e rinchiuse. Rimasero albuio perfetto. Ma Ugo era pratico del luogo e sem-pre tenendo il soldato per mano, lo fece salire unalunga scala, in cima alla quale trovarono un’altraporta, che il giovane spinse leggermente col ginoc-chio. Allora la mano d’Ugo abbandonò quella delsoldato per accendere una lampada, il cui chiarorepermise di vedere una stanza di pochi piedi quadra-ti, i cui mobili consistevano in un tavolo, due sedieed un armadio. Ugo additò al soldato una sedia, poisi diede a guardarlo attentamente. Masaccio non siera ingannato. Quel soldato aveva una strana somi-glianza con Gualtiero de’ Tolomei.

759Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

Ugo non fe’ motto. 10 Prese il piego suggellato 11 diRinaldo e l’aprì. Il cuore del giovane batteva con vio-lenza. Il conte della Pietra scriveva: « Amico e fratel-lo, ho triste nuova a darti. L’armata di Siena fu com-pletamente disfatta sulle alture di Colle. 12 Il mioesercito è in fuga: perduta la speranza di una rivin-cita. Ma non mi addolora tanto questa disfatta quan-to di aver visto Gualtiero de’ Tolomei cadere sotto icolpi dei miei soldati. Io sono innocente della di luimorte, ma peno uno strazio d’inferno. Come presen-tarmi a Pia? Sono giunto con pochi fidi 13 alle muradella città, ma non ho coraggio di dirigermi al miopalazzo. Ho timore di comparire in faccia a madon-na e ch’ella mi legga in volto il dolore per la mortedel suo diletto fratello. T’invio pertanto questo mes-saggio, perché tu mi raggiunga al palazzo del Comu-ne, dove io passerò la notte. Vieni; ho bisogno diconsiglio e di coraggio. Rinaldo della Pietra. »

Ugo lesse in un batter d’occhio il foglio vergatodall’amico, e un’onda di sangue gli salì al capo. Perfortuna la stanza era scarsamente illuminata e il dilui volto rimaneva nell’oscurità. Tremante come nonaveva mai tremato, quest’uomo che la morte nonaveva mai veduto impallidire; egli pensava: « Rinal-do è qui, in Siena; dunque la mia vendetta mi sfug-

10 non fe’ motto: non disse parola.11 il piego suggellato: il plico sigillato. 12 La battaglia di Colle di Val d’Elsa avvenne l’8 giugno

1269, cioè oltre tre anni dopo la seconda metà del maggio1266 in cui erroneamente la colloca la Invernizio.

13 fidi: fedeli.

CAROLINA INVERNIZIO760

ge. E se Pia parlasse? » Ugo stette alquanto pensie-roso; poi ad un tratto battendosi con forza la fronte:« Ho trovato! » — esclamò a voce alta. E fra sé: « Piade’ Tolomei, tu non andrai lungo tempo orgogliosadel tuo disprezzo: ho la vendetta nelle mie mani. »Ugo era uno di quei delinquenti, i quali una voltameditato un delitto, vanno fino in fondo, chiudendogli occhi e le orecchie ad ogni rimbrotto dellacoscienza.

« Ebbene, che decidete, messere? » — si azzardò adire il soldato, vedendo Ugo ricadere nelle sueriflessioni. « Ma, decido, decido… Dimmi come tichiami, amico mio? » « Balduccio. » Ugo lo guardòfissamente, come se volesse magnetizzarlo collosguardo: « Ebbene, Balduccio, decido di raggiunge-re il capitano al palazzo del Comune; ma Rinaldo aquest’ora non deve esserci ancora: è inutile che miaffretti. Balduccio, se io non m’inganno, tu devi aversete o desiderio di raggiungere i tuoi compagni ondeconsolarvi della disfatta 14 toccatavi, giuocando tuttala notte ai dadi: guarda, io ti leggo in cuore. » Bal-duccio arrossì: « Che io abbia sete è verissimo, nonlo nego, rispose, ma in quanto a raggiungere i mieicompagni: a che pro? La mia borsa è affatto vuota. »Ugo sorrise ed alzatosi trasse dall’armadio un boc-cale di vino prelibato ed un bicchiere: « Tieni e bevia tua posta, 15 amico mio: questo non t’impedirà didiscorrere. » « Al contrario. » E Balduccio si versò

14 disfatta: sconfitta.15 a tua posta: a tuo piacere.

761Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

senza complimenti parecchi bicchieri, che versò l’undopo l’altro nel suo ampio gorguzzule, 16 e quando sifu rinforzato il sangue di quel fragrante vino, si sentìil cuore allegro ed esultante e divenne più ciarliero.

Ugo non lo perdeva di vista. Egli trovava nel solda-to la fisonomia gradevole di un uomo che sembravadirgli: se me lo comandaste, io sarei pronto per voi agettarmi nel fuoco. « È dunque vero, amico mio, chesiete stati battuti? » — domandò Ugo dopo alquantosilenzio. « Narrami un po’ quanto avvenne. » « Eh! lafu una gran brutta giornata, messere: buon per voi chenon c’eravate! Fulmini e sangue! se aveste vedutoquale carnificina! Ma giuro a Dio che, se mi capitanelle mani uno di quei guelfi, lo vo’ scorticare vivo. Perl’inferno: io che sperava di far fortuna alla guerra, mene torno un povero soldato di ventura come prima.Sono tanti anni che combatto ed il demonio non mi hamai assistito. » « Hai dunque dell’ambizione? » « Mol-ta: ho sempre fantasticato di far fortuna. » « Ebbenesta di buon animo, amico mio. » Disse Ugo mantenen-do un tenor blando 17 di voce che seduceva ed incorag-giava. « Tutto a questo mondo e soprattutto la fortunadegli uomini è subordinata ad avvenimenti che non sipossono prevedere. » Balduccio lo guardò con fareattonito. 18 Ugo proseguì: « Il capitano, per esempio, miha confidato un piccolo piano pel quale mi abbisognaun uomo di destrezza, di coraggio, di valore. Io scelgote, perché mi piaci, ed ecco che la tua fortuna è fatta. »

16 gorgozzule: gola.17 un tenor blando: un tono dolce.18 con fare attonito: con espressione stupita.

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Balduccio era un po’ brillo: le parole sataniche diUgo finirono d’inebbriarlo. Egli rivolse al giovine unosguardo sfavillante di cupidigia, balbettando: « Mes-sere, voi non volete prendervi giuoco di me, è vero? »« Perché dovrei prendermi giuoco di te, amico mio? »— soggiunse Ugo con tutto l’aspetto della franchezzae della generosità. « Soltanto — aggiunse abbassandovieppiù la voce, quantunque nessuno potesse udirlo,avvegnaché 19 quella casetta fosse vuota, disabitata —debbo avvertirti di una cosa. Quando si fa societàcon me, bisogna essere muti come la pietra di unsepolcro, perché un’indiscrezione qualunque, perquanto piccola, è sempre seguita a breve intervallo econ sicurezza da un colpo di pugnale. » Il soldatofissò su di Ugo uno sguardo che rivelava un uomorisoluto, poi stese con atto solenne una mano: « Giu-ro sulla fede dei miei padri, pel sangue dei miei fra-telli, che se voi vi servite di me, io saprò ubbidirvi intutto e tacere. »

Ugo sorrise: « Va bene, credo al tuo giuramento edio in ricambio ti prometto, se sarò contento di te, difare la tua fortuna per tutta la vita. » L’occhio del sol-dato scintillò. « Del resto la semplicità della tuaparte ti rassicurerà sul buon esito dell’affare. Ascol-tami. Tu sai che io sono l’unico amico, il confidentedel capitano Rinaldo. » « Mel disse Monfalcone. »« Lo scudiero del conte ti avrà pur detto come mes-ser Rinaldo abbia per consorte una Pia de’ Tolomei,il cui padre e fratello seguono la parte guelfa. » « Ilso. » « Or bene, il capitano Rinaldo mi scrive che

19 avvegnaché: benché.

763Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

Gualtiero de’ Tolomei è rimasto ucciso sul campo dibattaglia. Sebbene questa morte, per ragioni diStato e di parte abbia colmato di gioia il capitano,egli teme l’odio di madonna che adora. Bisognaagire in modo che Pia de’ Tolomei non sappia subi-to la morte del fratello; per questo conto sopra dite. » « Non comprendo. »

« Vado dritto al mio scopo. Tu assomigli perfetta-mente a Gualtiero de’ Tolomei. Or bene, tu scriverai,o meglio scriverò io stesso per te, giacché per unavera fortuna conosco il carattere 20 di Gualtiero, amadonna Pia, chiedendole un abboccamento 21

segreto, notturno, fingendo temere l’arrivo di Rinal-do, che però è a parte di tutto. 22 Tu le dirai che la tuaarmata è vincitrice, che fra poco entrerete in Siena,che hai voluto vederla prima per condurla in salvoavanti che sia col marito bandita da Siena. Tanto,non dubitare, ella non ti seguirà: sarà abbastanzafelice di saper salvo il fratello; e noi intanto avremotempo per prepararla a ricevere la triste nuova dellamorte di lui. » « Ah! incomincio a capire. » « Ricor-dati che per sostenere bene la tua parte, abbisognamolta astuzia e coraggio. » Balduccio lasciò sfuggireun sorriso d’orgoglio. Egli era ben lungi dal sospet-tare che si tramava un’insidia contro la gentildonna;anzi rimase convinto di avere dinanzi a sé un uomocompletamente devoto al capitano Rinaldo e cheubbidiva senza dubbio ad un sentimento generoso.

20 il carattere: la scrittura.21 abboccamento: incontro.22 che però … tutto: che invece conosce tutto.

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Date alcune altre istruzioni al soldato, Ugo si alzò.Adesso che aveva combinato il suo piano infernale,in cui doveva precipitarvi una vittima innocente,Ugo sentiva la necessità di correre al più prestoverso l’amico. « Balduccio, io vado. Tu non muover-ti più da questa casa. Verrò domattina a darti nuoveistruzioni. Se hai sonno, puoi dormire appoggiato aquesto tavolo; se hai fame o sete troverai in quell’ar-madio di che soddisfare il tuo appetito e confortareil tuo stomaco. Al tuo cavallo penserò io stesso.Addio. »

Ed Ugo se ne andò chiudendo a chiave la porta elasciando il soldato immerso in una deliziosaebbrezza.

765Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

Capitolo quinto

I primi sintomi della vendetta

In una sala del palazzo del Comune, il conteRinaldo della Pietra aspettava con impazienza l’arri-vo dell’amico diletto. Venti volte Rinaldo si era fatto 1

alla finestra per scrutare nel buio della notte un’om-bra desiata; 2 altrettante si era posto ad annoverare 3

i passi che distavano dal suo al palazzo del Comune.Egli non sapeva spiegarsi la ragione di quel ritardo.Tutto ad un tratto, e mentre al colmo dell’impazien-za girava come un forsennato per la sala, si udì loscalpito di un cavallo sul selciato della piazza epochi istanti dopo la sala aprendosi mostrava la per-sona attesa: Ugo.

« Ah! finalmente! quanto tardasti! » — esclamòRinaldo con voce rotta e febbrile, correndogli incon-tro e baciandolo a più riprese con trasporto. « Da chiavesti il mio messaggio? » « Da Monfalcone. » Rinal-do calmò alquanto la sua agitazione; poi trascinatol’amico fin presso ad un tavolo, lo fece sedere, gli siassise 4 accanto e con accento commosso: « Ebbene,hai sentita la triste nuova? » — esclamò. « Siamo sta-ti schiacciati, battuti, massacrati. Di tutti i miei uo-mini, me ne sono restati ben pochi, e quei pochi quae là dispersi. Nessuno però ha mancato al proprio

1 si era fatto: si era avvicinato.2 desiata: desiderata.3 annoverare: calcolare.4 assise: sedette.

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dovere: abbiamo lottato sino all’ultimo momento;ma è giunta un’ora, in cui la resistenza diventavapazzia, pazzia senza scopo. Non ci siamo arresi,siamo fuggiti onde vedere 5 di salvare la città. Matemo, purtroppo, che bisognerà venire a patti coinemici. Oh! ecco oscurata tutta la nostra gloria diMonteaperti! » 6

Rimase un istante silenzioso, col capo fra le mani,poi riprese: « Io desiderava di correre al mio palazzo,onde rassicurare Pia da ogni timore e darle un bacioaffettuoso. Ma cosa le risponderei, quando mi chie-desse di suo fratello? Gualtiero è morto fra le miebraccia: io stesso lo feci trasportare lungi dal campoe ne accolsi l’ultima parola, l’ultimo addio: era per suasorella. » Rinaldo parlava con orgasmo 7 febbrile, conansiosa lena, 8 con una tristezza mista a sorda irrita-zione. Ugo l’ascoltava cogli occhi rivolti a terra, palli-do in volto e disfatto. Il conte della Pietra non tardòad accorgersi di quel turbamento e corruscando 9 lafronte: « Ebbene, che hai? non parli? » — chiese.« Sarebbe la notizia della nostra disfatta che ti cagio-na tanta emozione? » Ugo continuava a tacere. Rinal-do divenne inquieto: « Per l’inferno! — gridò. Nonaccrescere le mie smanie col tuo silenzio: parla! »

5 onde vedere: per vedere.6 La battaglia di Montaperti, in cui i ghibellini senesi

sconfissero duramente i guelfi fiorentini, era stata combattu-ta nove anni prima: il 4 settembre 1260.

7 orgasmo: eccitazione.8 lena: vigoria.9 corruscando: corrugando.

767Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

Parve che Ugo facesse un violento sforzo sopra séstesso: « Oh! come mi duole all’anima essere costrettoad aggiungere ai tuoi dolori un dolore ancora piùvivo. » — mormorò a voce bassa. « Ma tu lo esigi ed ionon posso più oltre tollerare di vedere un uomo nobilee buono, come tu sei, vilmente ingannato. » Rinaldosoffocò un grido ed impallidì. La luce, una sinistra lucesi faceva strada nella sua anima: « Che vuoi dire? Spie-gati. Forse Pia? » Ugo emise un profondo sospiro: « Ecosa vuoi che ti dica di più? Forse ti ho già detto anchetroppo. Coraggio, coraggio, amico mio. »

Rinaldo credeva di diventar pazzo: un brivido ner-voso gli scorreva per le ossa. Ad un tratto al suo stu-pore subentrò una pazza ira, un’ira che spinse al suocervello ondate di sangue e gli strappò dagli occhilacrime infocate. Afferrando per un braccio Ugo,gridò con voce rauca: « La verità, per Iddio, tutta laverità! » « Ebbene, ti dirò tutto; ma lascia il mio brac-cio: tu mi fai male. » « Hai ragione. » — balbettòRinaldo con voce fremente, asciugandosi il sudoreche gli scorreva dalla fronte. Ugo abbassò vieppiù lavoce: « Ti ricordi del giorno in cui partendo edaffidandomi la tua consorte, mi dicesti di vegliaresopra di lei, perché alcuni dubbi ti laceravano l’ani-ma? » « Ebbene? » « Ebbene, i tuoi dubbi diventaronorealtà: Pia t’inganna! »

Non un grido, ma un ruggito sfuggì dal petto diRinaldo. Ugo si aspettava quella terribile esplosione,ma non poté a meno d’impallidire. « E non bastava —esclamò l’infelice conte della Pietra — l’aver perduta lavittoria? Oh! perché non sono rimasto anch’io sulcampo di battaglia? Perché sono vissuto, se non per

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apprendere il mio disonore? E può darsi umiliazionemaggiore di questa: maggiore vergogna? Oh! no, èimpossibile, non può essere vero! Ugo tu menti: è unacalunnia orribile la tua, che pagherai colla vita. » ERinaldo furibondo stava per lanciarsi sul giovane. Ugonon si mosse: « Puoi uccidermi — rispose con calmoaccento — ma non ti ho detto che la verità. » « Chi tel’apprese? » 10 « Chi? ho veduto. » « Hai veduto, dici;che hai veduto? » « Che ogni notte, da che sei partito,un uomo entra dalla porticina nascosta dietro il giar-dino, dove madonna l’aspetta. » « E tu li hai veduti?Hai uditi i loro discorsi, non è vero? » « Veduti, sì;udite le loro parole, no! »

Rinaldo camminava per la sala a passi precipitosi.Il suo volto incuteva spavento. Gli occhi aveva pienidi sangue: i suoi denti digrignavano simili a quelli diuna belva, rinchiusa in una gabbia. Non diceva unaparola, ma tutto in lui palesava un’orribile agitazio-ne, un’impotente smania di vendetta. Ugo l’osserva-va attentamente e le sue labbra pallide si atteggiava-no ad un sorriso ributtante; i di lui occhi parevanoemanare un baleno sinistro.

« Una parola ancora, Ugo. Puoi darmi una provadei tuoi detti? » 11 « Lo posso, ma ad un patto. Che tunon provocherai alcun scandalo, perché questo rica-drebbe sopra di te. Pensa che nessuno dei tuoi fami-gli ha penetrato questo segreto: io solo che vegliavaindefesso 12 all’onore della tua casa. D’altra parte il

10 Chi te l’apprese: Chi te l’ha detto?11 dei tuoi detti: di quanto hai detto.12 indefesso: instancabile.

769Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

tuo rivale non è forse 13 il maggiore colpevole. » « Hairagione: è lei, è lei l’infame: oh! mi vendicherò. »« Ma la vendetta deve essere accompagnata dallaprudenza. » « L’avrò. » « Colui che vuole vendicarsi,deve tacere. » « Tacerò; andiamo. » « Non stanotte: ètroppo tardi; non vedi che già spunta l’alba? » « Hairagione; ma come presentarmi stamani a lei? soste-nere la sua presenza? Io non saprei contenermi. »« Tienti 14 nascosto per tutto il giorno al palazzo delComune. Io spiegherò a madonna la tua assenza: ledirò che sei costretto a star lontano per ragioni diStato. Domani notte sarò qui a prenderti. » « Vabene: calcolo su di te. » 15 « Non mancherò, non dubi-tare. Ma aspetta: ancora non ho finito di darti i mieiconsigli, le mie raccomandazioni. » « Che cosa c’èancora? » « Giurami, se hai caro l’onor tuo, se haiqualche affetto per me, di tacere e frenarti. »

Rinaldo si passò una mano sulla fronte, come sein tal guisa 16 avesse sperato di scacciarne le ideemoleste e con calma forzata: « Te lo giuro, disse, mirimarrò tranquillo. Ma appena avrò acquistata lacertezza del mio disonore: guai a lei! Io saprò ucci-derla, in silenzio, col veleno. » « Un veleno! » —ripeté Ugo con un sorriso feroce. « Questi sono stru-menti inutili, pericolosi. Un veleno? ucciderebbe ladonna e nulla più. » « E bisogna che ella soffra: èvero, tu ben mi consigli. Ugo, è poco la morte di un

13 non è forse: forse non è.14 tienti: tieniti.15 calcolo su di te: conto su di te.16 in tal guisa: in quel modo.

CAROLINA INVERNIZIO770

colpo per la donna adultera. » Rinaldo si esaltavaparlando. « Calmati, amico mio, calmati. » — disseUgo stringendogli una mano. « Coraggio. » Rinaldolasciò sfuggire uno scroscio di risa nervose e contono di amaro sarcasmo: « Oh! ne avrò, non dubita-re. » — disse. « A domani. » « A domani. » — ripetéUgo andandosene.

Appena fuori del palazzo, il giovane lasciò libero ilcorso al respiro. Con le nari dilatate, il petto gonfio,aspirò con una specie di acre voluttà l’aria dellanotte, e nell’ebbrezza della gioia lasciossi 17 sfuggireuna lunga risata, mentre esclamava sordamente:« Sarò vendicato! »

17 lasciossi: si lasciò.

771Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

Capitolo sesto

Il tradimento

Pia de’ Tolomei alla presenza di Ugo si era mostra-ta calma, altera, sprezzante, ma appena l’ombra delgiovine fu sparita, tutta la sua fermezza, il suo corag-gio, l’abbandonarono d’improvviso ed ella pianse,pianse lungamente, finché vinta dalla stanchezza sipose a letto e non tardò ad addormentarsi. Ma il suosonno, come succede sempre dopo una grande emo-zione, fu turbato da sogni stranissimi, spaventosi. Leparve di essere trasportata in un’orrida buia cavernae di trovarsi sola in balia di Ugo. Vedeva gli occhifiammeggianti del giovane fissi sopra di lei, sentiva ilsuo alito sfiorarle le guance, e le di lui braccia strin-gerla alla vita. Invano ella cercava sottrarsi a quellastretta che la soffocava, indarno implorava pietà. Ilgiovane le ripeteva: « Ne hai avuta tu per me? Finoraio sono stato la tua vittima, ora sono il tuo carnefice:il verme che volevi schiacciare, diviene il serpenteche ti soffoca fra le sue spire. »

Negli sforzi di una lotta disperata, Pia de’ Tolomeisi svegliò e fu con un fremito di viva gioia che si videsola nella sua stanza nuziale, già rischiarata da unprimo raggio di sole, che veniva a baciarle la candidafronte. Tornò pienamente in sé stessa, salutò con unsorriso quel bel raggio di sole, poi alzando al cielo lemani: « Dio ti ringrazio! » — esclamò con ineffabilefervore. « Io non aveva che sognato. Oh! ma quell’U-go mi fa paura; mio Dio, salvatemi da lui. Ed egli è

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l’amico di Rinaldo? A lui il conte affidava l’onor suo?Quale atroce beffa! Ah! io lo trovo doppiamenteabbietto e vile quell’Ugo, che da tanti anni spiaval’ora del tradimento, tramava il suo scopo sotto ilvelo della più santa amicizia. Devo io confessaretutto a Rinaldo? A che pro? Egli non mi crederebbe.Ah! io non devo contare che sopra di me, sopra di mesola. Non v’è che la colpa, che faccia paura! »

La gentildonna orò 1 un istante in silenzio col voltonascosto tra le mani e quando lo scoperse, la palli-dezza delle sue guance era svanita per dar luogo aduna fiamma di nobile orgoglio, che le raggiava sullapurissima fronte. Pia de’ Tolomei aveva chiuso nelsuo petto il suo dolore, dissimulata a sé stessa l’ap-prensione, per radunare tutti i suoi spiriti nell’amoredella patria e del marito. Chiamò quindi l’ancella pervestirsi. Questa, sebbene vecchia, non tardò adaccorrere. Ma Pia si accorse che aveva il volto lacri-moso, la persona dolente. « Che hai, Maria? Che ti èaccaduto? » « Nulla, nulla per me, madonna. » —rispose la vecchia in tono afflitto. « Ma ho saputo inquest’istante, che l’esercito senese è stato sconfitto edabbiamo il nemico alle porte. » Pia de’ Tolomei diè ungrido acutissimo. « E Rinaldo? il mio Rinaldo? »« Non dubitate, madonna, il conte è in salvo. » — siaffrettò a rispondere l’ancella cordialmente sollecita.« Ma vi fa sapere che non può lasciare il palazzo delComune, dove ha radunato il fiore dei cittadini, pervedere il da farsi, onde premunire la città da un pos-sibile assalto. Messer Rinaldo vi manda i suoi saluti,

1 orò: pregò.

773Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

vi prega di star di buon animo e spera di abbracciar-vi domani. Oh! che tempi! che tempi! » — conclusel’ancella sospirando.

Pia de’ Tolomei desiderò di star sola onde immer-gersi nelle sue riflessioni. Per tutto il giorno ella nonudì altro che i passi frettolosi dei famigli, 2 lungo icorridoi, mentre i loro discorsi non contrassegnava-no se non apparecchi 3 per difendersi in caso dell’in-vasione del nemico. Sul far della sera, un messo sco-nosciuto chiese di parlare alla gentildonna e quandosi trovò alla presenza di lei, trasse un foglio, che tene-va celato in seno e glielo porse.

Pia de’ Tolomei trasalì, riconoscendo il carattere 4

del fratello. Si affrettò ad aprirlo e lesse: « Sorella mia,abbiamo vinto: Siena fra poco sarà nostra. Ma primache io entri trionfante nella terra dei miei padri, desi-dero di vederti di nascosto. Approfittando di un mo-mento di tregua, sono entrato furtivamente in città.Seppi che Rinaldo si trova nel palazzo del Comune, népuò muoversi per tutta la notte. Fammi quindi averedal messo la chiave della porticina del giardino. Amezzanotte io verrò; un leggiero fischio ti annunzieràla mia presenza. Attendo con ansia l’istante di rive-derti. Rispondi tosto a piè di questo foglio 5 se possovenire. Gualtiero de’ Tolomei. » Pia ben lungi dalsospettare qual insidia si tramasse a danno dell’onor

2 famigli: servitori.3 non contrassegnavano se non apparecchi: non indicavano

se non preparativi.4 il carattere: la scrittura.5 tosto a piè di questo foglio: subito in calce a questo foglio.

CAROLINA INVERNIZIO774

suo, e desiderosa di riabbracciare il fratello diletto, siaffrettò d’inviargli per il messo la chiave con questasola parola di risposta: « Ti aspetto. »

Intanto il conte della Pietra non si era mosso dalpalazzo del Comune. Per tutto il giorno fu triste esilenzioso, cogli occhi rossi, il volto acceso e febbrile.Gli amici credettero che ciò provenisse dal dispiace-re di vedersi vinto e non osarono rivolgergli una solaparola. Cadeva intanto la notte: una notte bellissima,calma, serena. Non una nube in cielo, non la minimanebbia. La luna brillava in tutto il suo splendore. Ugoe Rinaldo cupi e taciturni, agitati da diversi senti-menti si avviarono a passi concitati verso il palazzodella Pietra. Battevano le undici quando giunserovicino alla porticina. « Un’ora, un’ora ancora d’aspet-tazione. » 6 — mormorò Rinaldo. Egli fu costretto adappoggiarsi al muro per comprimere con ambe lemani il petto, perché il cuore pareva che stesse periscoppiare. Infine si calmò alquanto e seguì Ugo.

I due amici attraversarono il giardino, e cercandosotto quei grandi alberi un posto all’oscuro, vi sinascosero ed attesero. Dal luogo dove si trovavano,essi scorgevano perfettamente la porticina del giardi-no e per una radura vedevasi il palazzo del conte. Ilpalazzo pareva immerso nel sonno, nelle tenebre; senon che, esaminandolo accuratamente, si sarebbescorto attraverso ai vetri di una finestra una luceincerta, pallida, misteriosa. Quella luce usciva dallastanza di Pia de’ Tolomei. Rinaldo riconobbe all’i-stante la finestra. « Ella veglia ed aspetta. » — mor-

6 aspettazione: attesa.

775Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

morò fremente. « Ma sarà per l’ultima volta. » « Co-raggio, amico mio, coraggio. » — insinuò Ugo mali-ziosamente. « Ricordati il tuo giuramento: sii calmo;avrai tempo a vendicarti. »

Passò un’ora, che per Rinaldo parve una eternità.Ad un tratto batté a lenti colpi la mezzanotte, e l’ulti-mo suono non era ancora svanito nell’aria, quando siaperse la porticina e apparve un uomo avvolto in unampio mantello, che gli teneva celata la metà delviso, mentre gli occhi sparivano sotto un’ampia visie-ra. « Eccolo, è desso. » 7 — sussurrò Ugo all’orecchiodell’amico, che soffocò a stento un grido d’indigna-zione. Balduccio, giacché era lui, il guerriero salaria-to, 8 si avanzò a passi timidi, tremanti, quei passi cheindicano un individuo che teme di essere seguito eche esita, esamina attentamente il terreno. L’ira, un’i-ra furibonda, atroce, mandava al cervello di Rinaldovapori di sangue. Con la mano sinistra tormentaval’elsa della spada, coll’altra teneva stretto, fino a spez-zarlo, il braccio dell’amico.

Intanto Balduccio lasciò sfuggire un lieve e pro-lungato fischio. Allora la finestra della camera illu-minata si aprì per intiero, senza strepito, un’ombradi donna si disegnò un istante nel varco, poi scom-parve. Cinque minuti dopo, Pia de’ Tolomei, avvoltain candidi veli, che la facevano parere quasi unavisione, moveva frettolosa incontro al creduto fratel-lo. « Oh! l’infame! » — susurrò Rinaldo quasi in attodi scagliarsi su di lei. Ma Ugo lo trattenne, e l’esortò

7 è desso: è lui.8 salariato: pagato.

CAROLINA INVERNIZIO776

di nuovo a calmarsi, ricordandogli il suo giuramen-to. Un mormorio di accenti sommessi, di sospiri,insieme a qualche parola indistinta, pervenivano al-l’orecchio del conte della Pietra, ed erano per lui tantipugnali, che si rivolgevano lentamente nelle ferite delcuore. Egli era certo dell’infedeltà della consorte.

« Gualtiero, mio Gualtiero, sei tu? » — diceva in-tanto la gentildonna, con voce sommessa e gentile,come un sospiro del vento, che agitava i rami dellepiante. « Sì, mia Pia. » Rispose a voce alta il soldato,baciandole le mani con trasporto. Poi aggiunse intuono sommesso: « Oh! sorella mia, quanto desidera-va di rivederti! » « Come sei cangiato, 9 Gualtiero. » —aggiunse la gentildonna tutta commossa: « La tuavoce non è più la stessa. » Il falso Gualtiero sospiròprofondamente. « Ho sofferto tanto. » — mormoròripetendo la lezione insegnatagli da Ugo: « Ah! lacommedia della vita non è sempre di un atto: le ghir-lande non sono tutte di fiori. L’esilio è terribile, miaPia. Oh! ma alfine è sorto il dì della vendetta. »

Pia de’ Tolomei si strinse delirante fra le braccia diquell’uomo, che ella credeva fratello, e susurrò: « Tuaspettavi il dì della vendetta? Tu? Ma non pensaviche fra le mura di Siena, avevi una sorella e che que-sta sorella era la sposa di un ghibellino? » « Io nonodio Rinaldo: no! Ma fino a che eravamo nel campo,fino a che ei ci disputava la vittoria, 10 fino a chedurerà ostinato nella difesa della sua piazza, 11 io lo

9 cangiato: cambiato.10 ei ci disputava la vittoria: egli ci contendeva la vittoria.11 nella difesa della sua piazza: nella difesa del suo posto.

777Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

considero come un nemico. » « Tu mi riempi di terro-re! » — mormorò Pia declinando 12 il capo sulla spal-la di Balduccio. « Tu dunque non pregasti per me? »« Pregai per te, per tutti. Tremai per il pericolo delmio Rinaldo, per il vostro. Il mio cuore combattutoda due diversi sentimenti, provò in sé stesso i colpidelle due armate nemiche, e chiunque vinceva echiunque era vinto, mi rendeva orribile nondimeno ela perdita e la vittoria. » « Tu sei un angelo, Pia, sei unangelo. » — disse Balduccio a voce alta. Poi, stringen-dola al seno, mormorò al suo orecchio: « Sai tu, per-ché a costo di qualunque pericolo io sia qui venuto?Perché desidero salvarti. » « Salvarmi? che dici? For-se il mio Rinaldo… » « Il tuo Rinaldo è vivo e salvo,ma in breve tu sarai la moglie di un proscritto, 13 per-ché le nostre schiere entreranno in Siena. Ah! tu nonsai quale triste diritto possa avere la schiatta 14 deivincitori. Vieni, vieni, io ti condurrò al padre no-stro. » « Oh! no, lasciami, taci. » — disse la gentildon-na con ispavento.

Poi, cercando dominare la sua emozione: « Giam-mai io ti seguirò. » — diss’ella con voce ferma. « Tusaluterai per me il padre mio e gli dirai che Pia nonabbandonerà mai l’uomo a cui ha giurata eternafede. Anche l’esilio mi sarà caro, mi sarà dolce divisocon il mio Rinaldo, che amo più d’ogni cosa almondo. » « Pia, mia diletta Pia, tu sei un angelo. » —ripeté Balduccio a voce alta.

12 declinando: reclinando.13 proscritto: esiliato.14 schiatta: stirpe.

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Il conte della Pietra fece per slanciarsi nuovamen-te sopra di lui. Ugo lo trattenne ancora, ma non potéimpedire che uno stridore di foglie non giungessefino alle orecchie della gentildonna. Ella si volseatterrita, ma nulla vide: nonostante mormorò a vocebassa, con accento di subitaneo terrore: « Hai tu inte-so? » « Che cosa? » « Uno strepito di foglie, di ramispezzati. » « Io nulla ho sentito: t’inganni Pia. » « In-fatti — rispose questa — è impossibile: mi sonoingannata; nonostante fuggi, te ne supplico: Rinaldopotrebbe tornare; fa che egli non ti colga: il vostroincontro potrebbe essere funesto. » « Ebbene, addiomia diletta, addio; non piangere: rivederti fra poco iospero. » E il mariuolo strinse la gentildonna al suoseno ed osò sfiorare colle sue labbra la fronte puris-sima di lei. Quindi se ne andò frettoloso.

Rinchiusa la porticina del giardino, Pia ritornò leg-giera come un’ombra nella sua stanza. Essa era giàlungi, 15 che Rinaldo si teneva ancora le mani sullafronte, per rimettersi dalla violenta emozione soffer-ta. D’improvviso, rialzandosi coi lineamenti scompo-sti, l’occhio acceso di sdegno, stese le mani nella dire-zione della finestra di Pia e con accento cupo:« Trema, o donna. » — gridò. « Impunemente nonavrai tradita la fede. Oh! qual supplizio potrei inven-tare per punirti? » « Te lo dirò io; vieni! » — esclamòUgo con un sorriso di gioia feroce, traendo l’amicolontano dal suo palazzo.

15 lungi: lontano.

779Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

Capitolo settimo

Il castello della Pietra

Tra le foci del Tevere e dell’Arno, verso il mezzodì,giace una contrada chiamata Maremma, celebre dalungo tempo per gli effetti perniciosissimi 1 dellamalaria. Ora 2 i campagnuoli che abitano l’Appenni-no toscano, sogliono andare per vari mesi dell’annoa coltivare la Maremma ed il frutto delle loro fatichee privazioni serve di sostegno a quella parte di fami-glia che rimane al paese nativo, ove ritornano nell’e-state, meno alcuni che di frequente muoiono per learie malsane, ove gli trasse 3 il generoso desiderio disollevare gl’indigenti congiunti. Ma nel 1266 4 quellacontrada era affatto squallida, deserta, ed il silenzioche ivi regnava ne accresceva la maestosa tristezza.Proprio in mezzo a queste campagne, ove spessevolte colla malaria, infierivano le guerre civili, erge-vasi maestoso l’antichissimo castello della Pietra.

Nulla di più tetro, di più selvaggio, di più isolatodi questo vecchio castello, con fosse limacciose,merli, ponti levatoi, feritoie, che colla sua moledominava i piani all’intorno, quasi per dar agio ai

1 perniciosissimi: dannosissimi.2 Ora: Oggi, nel XIX secolo, quando, parafrasando il Sesti-

ni, la Invernizio scrive queste righe.3 ove gli trasse: dove li condusse.4 L’insistenza su questa data conferma che la Invernizio

ignorava che nel 1266 la battaglia di Colle (1269) era ancoradi là da avvenire.

CAROLINA INVERNIZIO780

suoi signori di misurare collo sguardo la loro gran-dezza, la loro oppressione sugli infelici vassalli 5 chebagnavano di sudore la gleba e che maturavano incuor loro come un presentimento di libertà futura. 6

Il vento fischiava fra l’edera bruna e i cardi selvatici;la luna pendeva sovr’esso melanconica nel silenziodella notte e pareva rispettare quel nido di gufo. Delresto tristissime storie correvano all’intorno sulcastello della Pietra. Ognuno fino dall’infanzia avevaudito parlarne con gran terrore.

Sul finire di una calda giornata di maggio, pochigiorni dopo gli avvenimenti da noi narrati, unabreve cavalcata 7 si avviava al castello della Pietra.Era composta del conte Rinaldo, di madonna Pia de’Tolomei e di due vecchi servitori, carichi di viveri.Fedele alla sua promessa, il conte Rinaldo della Pie-tra, aveva chiusa in cuore la fredda gelosia, la rab-bia, la vendetta e si era mostrato alla consorte lamattina seguente la fatal notte, in cui aveva avuta lacertezza del tradimento di lei. Pia de’ Tolomei l’ac-colse con vera gioia. « Mia diletta, le disse il contecon voce soave, io sono stanco di questa vita pienadi noie, di lotte. I senesi hanno pattuito una treguacon l’oste nemica; 8 io non ho più nulla a far qui evorrei ritirarmi per qualche giorno nel mio castello

5 vassalli: sudditi.6 Forse non sarà superfluo notare che questa descrizione,

del tutto fantastica, non ha nulla in comune con il Castel diPietra, di cui il Sestini del resto non parla e che la Inverniziocon tutta evidenza non conosceva affatto.

7 una breve cavalcata: un piccolo gruppo di cavalieri.8 con l’oste nemica: con l’esercito nemico.

781Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

della Pietra, quel castello dei miei avi, che tu ancoranon conosci. Vuoi venir meco? Là potrò obliare lemie cure di Stato ed essere felice ancora. » Rinaldosembrava perfettamente calmo. Aveva tanto soffertoda due giorni in poi, che era giunto ad una cupaimpassibilità, che nulla poteva dissipare. Pia de’Tolomei, sicura dell’affetto del marito, fidente,accettò con infantile entusiasmo la proposta delconte. « Ho sempre sentito parlare del tuo castellocon terrore. » — rispose con incantevole sorriso.« Ma in tua compagnia mi parrà di trovarmi in uneliso. » 9 Rinaldo fece sentire quasi un gemito, maper non tradirsi corse a dare gli ordini opportunialla partenza.

Pia de’ Tolomei cavalcava con molta leggiadria unbel cavallo bianco dalla criniera maestosa. Ella pare-va ridiventata la gaia donzella di un giorno. Con leguance soffuse di un vivace rossore, il sorriso sullelabbra, Pia de’ Tolomei non tralasciava di cinguetta-re allegramente. Rinaldo stringeva i fianchi del suomorello con febbrile impazienza, e quasi che ilcavallo comprendesse quello che si passava nelcuore del padrone, precipitava il galoppo, sì che amala pena, Pia poteva tenergli dietro. « Allenta il tuocorridore, 10 mio Rinaldo. » — diceva la gentildonnacon incantevole e fanciullesco sorriso, accarezzandola groppa lucidissima del suo bel puledro. « Io desi-dero averti al mio fianco: il silenzio in questi luoghimi atterrisce. » « Ah! mi tarda l’ora di ritrovarmi al

9 un eliso: un luogo paradisiaco.10 Allenta il tuo corridore: Rallenta il tuo cavallo.

CAROLINA INVERNIZIO782

castello. » — rispondeva il conte con suono strozza-to. « Non senti come l’atmosfera è secca, oppressa? »

A misura che il giorno avanzava, la gioia di Pia de’Tolomei spariva. Ella guardava con un senso ineffa-bile di tristezza i monotoni paesaggi di quella stranacontrada, dal cui suolo, fanghiglia nera e senza con-sistenza, emanavano esalazioni mortali. Ella prova-va una specie di raccapriccio vedendo quegli alberiesili e tristi, che si tuffavano nell’acqua melmosa diquegli stagni verdastri. « Ecco il castello dei mieiavi! » — esclamò ad un tratto Rinaldo, stendendouna mano. Difatti in lontananza scorgevasi delinear-si nel cupo azzurro del cielo una massa nera, fanta-stica. « Ha un aspetto assai triste! » — disse Pia de’Tolomei. « Ma noi sapremo rallegrarlo col nostroamore. » Rinaldo digrignò i denti e lasciò sfuggireun sorriso beffardo, feroce. Il ponte levatoio eraabbassato e scricchiolò sotto le zampe dei corrido-ri, 11 ma la porta di ferro era ermeticamente chiusa.

I servi del conte diedero fiato ai corni. Alla primachiamata non rispose se non l’eco, che ripetea ilsuono, e parecchi cani da caccia, che abbaiarono dallor canile situato non lungi dal castello, nel recintoattorniato dallo stagno cupo e verdastro. Ma alsecondo squillo i battenti della pesante porta si aper-sero e comparve un uomo d’una sessantina d’anni,alto, ricurvo, colla lunga capigliatura bianca ed ilvolto ingiallito dagli anni e dalle continue febbri.Era l’intendente del castello. « Che il cielo vi proteg-ga, messer Rinaldo e madonna Pia: siete veramente

11 corridori: cavalli.

783Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

voi? » — esclamò il vecchio alzando la torcia accesain volto ai nuovi arrivati e ritraendosi alquanto ondelasciar libero il passo.

A Pia de’ Tolomei le si strinse il cuore passandosotto le volte impenetrabili e buie del castello. Pre-sentiva qualche cosa di straordinario e di grave, unfatto che influiva sulla di lei vita mutandola, e per-ché era inesperta ed inabile nel frenare le proprieimpressioni, i suoi sguardi interrogavano il conte.Ma Rinaldo non parlava. L’aiutò a scendere da caval-lo e la condusse in silenzio in un’immensa sala goti-ca, che fu tosto illuminata da molti doppieri. 12 L’i-natteso arrivo del signore della Pietra, non avevapermesso nessun preparativo per riceverlo e scusa-vano in certo qual modo l’abbandono ed il disordinenel quale si trovava il castello.

« Come tutto ha l’aspetto lugubre! » — disse Pia,osservando all’intorno le tappezzerie color scuro, iquadri terribilmente tristi, i mobili pesanti, su cuiera passata la polvere di tanti secoli. « È vero, questocastello è assai triste. » — rispose il vecchio inten-dente. « Nei secoli passati ha sostenuto tanti assedi,a quel che si dice. Prescindendo dall’aria cattiva chesi respira, il castello è qualche volta visitato dai fan-tasmi. » « Davvero! » — disse Pia scherzevole, bencontenta con tali discorsi di sfuggire a molesti pen-sieri. « Per fortuna io non sono paurosa ed ho mecoun cavaliere, che al caso saprà difendermi. » E men-tre il vecchio intendente usciva dalla sala per imban-dire la cena, Pia dei Tolomei si avvicinò al marito e

12 doppieri: candelieri a due o più braccia.

CAROLINA INVERNIZIO784

cingendogli il collo colle sue ammirabili braccia:« Che hai, mio Rinaldo, che non mi parli? » — chie-se con accento carezzevole. « Guardami, almeno,guardami; oh! come sei pallido: ti senti male? » El’accarezzava ancor più.

Rinaldo non fece alcun movimento per sottrarsi aquelle ardenti carezze, ma le sue labbra rimaseromute, le mani immobili, abbandonate. « Ma io noncomprendo la tua preoccupazione! » — continuavaPia stringendosi a lui tutta timorosa. « I miei occhicercano invano nei tuoi uno sguardo d’amore! Quellache ti ama con tanta tenerezza, avrebbe perduta la tuaaffezione, durante la tua lontananza? » Rinaldo si sen-tiva soffocare, non sapeva che rispondere. Per fortunain quell’istante entrò un servo apprestando 13 la cena, ePia de’ Tolomei si allontanò dal marito.

Cenarono in silenzio, serviti dallo stesso intenden-te del castello, poi Pia de’ Tolomei chiese di ritirarsi,sentendosi molto stanca. « Conducila nelle sue stan-ze! » — ordinò il conte al vecchio intendente. « Quin-di tornerai a me, che debbo darti alcuni ordini. » « Etu non vieni a riposare? » — chiese in atto dolce-mente commosso Pia de’ Tolomei. « Fra poco ti rag-giungerò, non dubitare. » — rispose Rinaldo senzadipartirsi 14 da quella terribile calma, che avrebbedovuto dar materia di riflettere alla consorte. Maquesta, persuasa che la freddezza di lui provenissedai pensieri della patria, si ritirò sommessa e tran-quilla. Rinaldo rimase solo.

13 apprestando: per preparare.14 dipartirsi: allontanarsi.

785Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

Venti volte, durante il giorno, il conte della Pietrafu sul punto di prorompere e abbandonarsi a tutte lefurie del suo risentimento, eppure si era contenuto.Egli non voleva che Pia indovinasse le sue amba-sce, 15 l’inferno che aveva nel cuore, e quando ella l’a-veva abbracciato, a malapena Rinaldo aveva impal-lidito. Ma la sua forza di volontà era agli estremi: losforzo che si era imposto lo soffocava; e quando Piade’ Tolomei lasciò la sala, egli si abbandonò a tuttala piena del suo dolore. Ella non lo vedeva più, nonl’ascoltava più, non poteva leggere le angosce dell’a-nima nelle sue sembianze; 16 egli era solo, tutto soloin quel tetro salone e gli era permesso di tremare,d’impallidire, di soffrire, di dolersi. Un gemito dirabbia sfuggì dal suo petto oppresso. Colle bracciaincrociate sul petto, la fronte torva, gli occhi stra-volti, Rinaldo passeggiava fremente su e giù per lasala, lasciando di tanto in tanto sfuggire paroleinterrotte.

« Ah! se ancora per poco qui rimaneva, io soffoca-va. Infame! come sa fingere, tradire! Suvvia, bisognafinirla questa odiosa commedia: il nuovo sole mideve trovare lungi di qui. Ah! Ugo, Ugo, tu ben miconsigliasti: questo castello par fatto apposta peruna prigione. L’aria mefitica 17 che qui si respira nontarderà a sformare quel leggiadro corpo, che ungiorno ho vagheggiato tanto. Sì, ho deciso: ella nonuscirà di qui che sformato cadavere. »

15 ambasce: angosce. 16 nelle sue sembianze: nel suo aspetto.17 mefitica: pestilenziale.

CAROLINA INVERNIZIO786

Fantasticava ancora, quando rientrò l’intendentedel castello. Il conte della Pietra lo sapeva d’indolecosì taciturna, da non temere che commettesseimprudenze. Valfrido era un vecchio celibe, i cuiparenti erano stati vassalli del conte; però 18 il vec-chio era devoto anima e corpo al suo padrone. « Val-frido, portami da bere e qui t’assida. » 19 — disse ilconte. L’intendente non tardò ad ubbidirlo. Rinaldosi versò una colma tazza di vino, quasi ne traessesperanza di calmare l’agitazione in cui era il suo spi-rito e la bevve in un fiato.

« Valfrido, dirai ai miei famigli 20 di tener sellati i ca-valli: fra poco io riparto. » « E madonna Pia? » « Ma-donna Pia rimarrà qui prigioniera. » — disse il contecon voce fremente, avvicinandosi a Valfrido e posan-dogli una mano sulla spalla. « Io la metto sotto la tuacustodia: falle guardia dappresso, non permettere chealcuno entri nel castello. Per qualunque domanda ellati rivolgesse sulla causa della sua prigionia, risponde-rai sempre il vero: che l’ignori; e vorrei, vedi, ignorar-lo io stesso. Esercita su di lei la più attiva vigilanza: lesia tolto ogni mezzo di corrispondenza. Sai quali cosedesidero da chi mi serve, pena la vita: occhio aperto,bocca chiusa, coscienza intrepida. Una parola basta achi la sa intendere! » « Basta così, intesi assai: il signorconte può calcolare 21 sopra di me. » « Va, adunque, eti ripeto: di’ ai miei famigli che stiano pronti. »

18 però: perciò.19 e qui t’assida: e siediti qui.20 famigli: servitori.21 calcolare: contare.

787Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

Valfrido uscì. Rinaldo si diede a bere di nuovo,sentendo le labbra inaridite. In capo ad un’ora,riscaldato alquanto dal vino, si alzò. « Bisogna che lariveda ancora una volta. » — disse. E presa una lam-pada si avviò a passo furtivo e vacillante nella stan-za della consorte. Era una camera grandissima, tap-pezzata di una stoffa color rosso bruno, col pavi-mento di abete nero e i cui mobili avevano quell’ariadi triste grandezza che si osservava in tutto il castel-lo. Una lampada notturna illuminava debolmente lastanza ed a quella luce funebre, oscillante, parevaquasi di vedere delle ombre sfilare lungo le cortinedel letto e ritrarsi nel fondo tenebroso della camera.Pia de’ Tolomei dormiva. La stanchezza l’aveva vintasulle sue apprensioni, sullo stesso desiderio di salu-tare anche una volta 22 il consorte. La notte era calda,e la gentildonna con un moto naturale, aveva getta-te all’indietro una parte delle coperte. Le sue spallebianchissime, deliziose, non avevano velo; l’incante-vole viso aveva composto a dolcissima quiete: dalleciglia socchiuse pareva irradiasse un raggio diamore.

Rinaldo contemplava come estatico quella donnach’egli aveva amato con passione, con delirio. Tuttele rimembranze 23 del passato si affollavano nella dilui mente. Egli la rivedeva bella, pudica, casta, piùsomigliante ad un angelo del cielo che ad una crea-tura mortale. Ed anch’ella l’aveva amato, sì, avevadovuto amarlo, perché aveva acconsentito ad essere

22 anche una volta: ancora una volta.23 Tutte le rimembranze: Tutti i ricordi.

CAROLINA INVERNIZIO788

sua moglie, malgrado l’odio di parte, che divideva leloro famiglie. « Ah — mormorava l’infelice conte del-la Pietra — perché mi ha tradito? Tradir me che l’a-mava tanto! » Rinaldo perdeva a poco a poco latesta. Egli già chinavasi delirante su quelle labbrarosee, tumide, che attiravano le sue. Ma in quell’i-stante gli si affacciò alla mente la scena veduta ingiardino. Allora il volto del conte si scompose terri-bilmente, ed egli si rizzò vergognoso, indignato con-tro sé stesso. « Ah! non sarò così vile! » — disse. Efuggì via da quella stanza come un dannato.

789Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

Capitolo ottavo

La prigioniera

Pia de’ Tolomei svegliandosi fu molto sorpresa dinon trovarsi accanto Rinaldo. Turbata e piena d’an-goscia, dischiuse il cortinaggio e guardò per tutta lastanza: Rinaldo non v’era. « Forse ho dormito trop-po — disse Pia de’ Tolomei cercando calmare le sueapprensioni con vaghe speranze — ed il mio Rinal-do, svegliatosi per tempo, non avrà voluto destarmie starà visitando il castello. » E balzò agile e sveltadal letto, si vestì in fretta e si appressò alla finestra.

Quella finestra dava su di una specie di belvederedominante quelle pianure infette da pessime acque,che ne imputridiscono l’aria e la rendono mortifera.Da lungi si vedevano i monti accumularsi gli unisugli altri, non lasciando scorgere se non strette val-late, ombreggiate da folte macchie. Una nebbiapesante s’innalzava dal fondo delle pianure e rende-va grave la vista ed il respiro. Pia de’ Tolomei siritrasse ben tosto. Profondo affanno le pesava sulpetto: tremava il suo cuore, senza sapere il perché diquell’angoscia. Ella uscì per correre in cerca delmarito. Traversando quelle lunghe, umide, desertegallerie, Pia de’ Tolomei provò un senso ineffabile dipaura e fu con vero sospiro di soddisfazione, che sivide venir incontro Valfrido.

Il vecchio intendente la salutò con rispetto e lechiese con brusco accento: « Madonna, desideraqualcosa? » « Desidero sapere dov’è Rinaldo. » « Mes-

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sere è partito stamani all’alba. » « Partito? per do-ve? » « L’ignoro. » Pia de’ Tolomei rimase di sasso.Ella si staccò la destra dal cuore e la portò alla fron-te. « Ma io sogno! » — mormorò. Poi, con voce soffo-cata: « E partendo, ha lasciato detto nulla per me?Non un messaggio, un saluto? » « Nulla; ha dettosolamente che sotto nessun pretesto lasciassi usciremadonna dal castello e qualora ella non ubbidisse aimiei ordini, impiegassi anche la forza. »

Raccapricciò Pia a tali detti, 1 ma non volendo inpresenza di quell’uomo mostrare il suo dolore, siritrasse nella sua stanza. « Ma io sogno. » — ripetél’infelice portandosi le mani alla fronte. « Chesignifica ciò, gran Dio? Io prigioniera? Io sottopostaagli ordini di quell’uomo? Rinaldo, Rinaldo, dovesei! dimmi perché fuggi! Ah! così ricompensi il mioaffetto, la mia fedeltà? » Qui si fermò improvvisa-mente; un dubbio, o piuttosto una certezza orribilel’aveva colpita. « Oh! sì, quanto mi accadde non puòessere che l’opera di Ugo, che si vendica del mio di-sprezzo. » — disse. « Egli mi deve aver calunniatopresso il conte. Ma come poté Rinaldo prestar fede aquel falso amico? Di quali colpe m’avrà egli accusa-ta? E perché non una parola, non un detto a lei, cheavrebbe potuto giustificarsi e provare la sua inno-cenza? »

Pia de’ Tolomei sentiva indebolirsele la ragione,mentre sfogava in lacrime il suo immenso cordoglio.Scorsero due giorni di ansia, di disperazione, di ab-battimenti. Dapprima ella aveva ricusato ogni cibo,

1 detti: parole.

791Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

poi la fame trionfò. Ella prese qualche ristoro, ma ilsuo cuore era così oppresso, che si sentiva soffocaread ogni istante. Verso il tramonto del quarto giorno,Pia de’ Tolomei sentì abbassare il ponte levatoio eduno scalpito di cavallo le ripercosse le orecchie.Rinaldo dunque ritornava? Valfrido aveva mentito!La gentildonna balzò in piedi pallida, agitata, e fissòsulla porta uno sguardo ansioso, anelante, impossibi-le a descriversi. Ma tosto mise un grido acutissimo edindietreggiò come se un demone le si fosse paratodavanti. Un uomo era entrato nella stanza e quest’uo-mo non era il conte Rinaldo della Pietra: era Ugo.

« Ugo, voi qui? » — balbettò Pia de’ Tolomei, convoce spenta, fissando sul giovane le sue pupille dila-tate con un’espressione di sdegno e di spavento in-sieme. « Sì, io. » — rispose Ugo con voce cupa, sba-razzandosi dell’ampio mantello che lo copriva.« Non vi prenda timore alcuno. » Pia de’ Tolomeiricuperò ben tosto la sua calma, la sua presenza dispirito. « E perché dovrei temere? » — disse conferma voce. « Solo mi fa stupore come voi vi presen-tiate qui, ove non siete atteso, né desiderato. » « Ven-go a vedere, se siete soddisfatta della vostra prigio-nia. » Pia de’ Tolomei trasalì e si fece pallidissima.« Io prigioniera? » — tentò di esclamare indignata.« Sì, prigioniera accusata e convinta d’infedeltà. »Pia de’ Tolomei mandò un nuovo grido acutissimo,ma riavendosi tosto e guardando il giovane confierezza: « No, non può essere: non è vero; o megliosì, demonio, voi siete l’accusatore, il calunniatore.Ma come poté il mio Rinaldo credere alla vostreinfamie? Ciò che non si può provare non esiste. »

CAROLINA INVERNIZIO792

Ugo diede in uno scroscio di risa, che fece rabbri-vidire la gentildonna. « Ma non si può negare, quan-do esiste una prova. » « Miserabile! che volete voidire? » « Vi ricordate, madonna, di quella notte incui riceveste in giardino uno sconosciuto? » Pia sor-rise alteramente. 2 « Se era sconosciuto per voi, nonlo era già per me. » — rispose. « Quell’uomo era miofratello. » « Vostro fratello? ah! ah! ah! Vostro fratel-lo? Ma ditelo a Rinaldo ed egli vi risponderà chevostro fratello Gualtiero de’ Tolomei è caduto sulcampo di battaglia nelle alture di Colle ed il contestesso lo fece trasportare dal campo e ne raccolse leultime parole, l’ultimo sospiro. »

Pia de’ Tolomei era divenuta livida e pareva cades-se in deliquio: 3 fu costretta a sedersi. Dal suo pettosfuggì un singhiozzo straziante e con accento colmod’indignazione: « Che? gran Dio? Chi era dunquel’uomo che io ho accolto, abbracciato? » « Era unsoldato di ventura da me salariato: un uomo che peruna borsa di fiorini acconsentì a rappresentare quel-la parte. » Ed Ugo non le fece grazia di alcun detta-glio, le narrò con crudele compiacenza come eglistesso avesse scritto il biglietto, e concluse: « Delresto, potete star tranquilla, quel soldato non par-lerà, statene certa; la notte stessa ebbe il premio ago-gnato: un buon colpo di pugnale; ah! ah! povero Bal-duccio, ecco la fortuna che gli è toccata! »

Pia de’ Tolomei, fulminata da tutte queste rivela-zioni guardava attonita, quasi istupidita, l’uomo che

2 alteramente: con superiorità.3 cadesse in deliquio: svenisse.

793Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

gli stava dinanzi. « Infamia, mormorava, infamia. »« Ah! voi mi vantavate la vostra virtù — continuòUgo — ed io vi ho mostrato come si possa disonora-re, in apparenza almeno, la donna più onesta delmondo! A che vi servì la vostra alterezza? 4 A farvirinchiudere, come colpevole, in questo castello, dalquale non uscirete più mai! »

Pia de’ Tolomei cercò di vincere con uno sforzopenoso la propria impressione, e mormorò: « Ah! edora venite qui per trionfare dell’innocenza chesacrificaste, come l’avvoltoio ed il corvo si pasconodell’agnello, cui prima strapparono gli occhi. » « No,io vengo qui per salvarvi. » « Salvarmi voi! » —esclamò Pia con un doloroso sorriso. « Sì, perché iosolo lo posso, come posso rendervi al vostro Rinal-do, far sì che la vostra innocenza sia conosciuta, lavostra memoria non venga denigrata; ma in cam-bio… » « In cambio? » « In cambio — ripeté Ugo lecui narici si dilatarono come quelle di una tigre —siate mia: un solo istante. »

Pia de’ Tolomei fece un gesto che esprimeva uninvincibile orrore: « Piuttosto mille volte morire checomprare la mia libertà, la mia innocenza ad un talprezzo. » « Badate che di qui non si sfugge, che mor-rete sola, senza conforti. Rinaldo nel suo orgoglio,nel suo amor proprio dolorosamente ferito, non sidegnerà chiedervi una discolpa. 5 Voi languirete apoco a poco come appassisce il fiore, cui cupo sovra-

4 alterezza: superbia.5 una discolpa: una giustificazione.

CAROLINA INVERNIZIO794

stante ceppo invola 6 la refrigerante rugiada e il rag-gio del sole. I vapori di queste paludi non tarderan-no ad alterare i vostri angelici lineamenti. Oh! lasciaquell’alterigia che a nulla ti serve: sii mia e saraisalva. »

Pia de’ Tolomei si rialzò lentamente e fissando sudi Ugo uno sguardo profondo e terribile. « Tentato-re, ti allontana! » — esclamò. « Tu non mi conosci:non conosci l’anima della Pia. Se l’improvvisa accu-sa, l’idea di una morte lenta, orribile hanno potutospaventarmi un istante, ora il mio spavento è cessa-to. Il disonore è quello che atterrisce per sempre.Chi vorrebbe salvare la vita a prezzo d’infamia? Chicangiare una coscienza pura, con giorni contamina-ti? Va’, esci, lasciami vivere senza rimorso e moriresenza spavento. » « Pensaci bene, ti ripeto: un’agonialenta ed orribile ti aspetta, una solitudine continua.Rinaldo ti contempla da lungi con occhio feroce e tidisprezza, il tuo nome è vilipeso: l’infamia che vor-resti evitare è attaccata a te per sempre. »

Pia de’ Tolomei l’ascoltava impassibile, quasisprezzante. Alle ultime parole di Ugo, fattasi piùnobile, più maestosa d’aspetto, esclamò: « T’inganniUgo, l’innocenza tosto o tardi si scopre. L’infamianon istà 7 nel perdere la stima degli uomini, ma inquella di noi stessi. Può l’uomo troncare i giornimiei, ma non perverrà a distruggere la mia fama.Mentre la terra mi abbandona, il cielo si apre e mi

6 cui cupo … invola: a cui il tronco cupo dell’albero che losovrasta toglie.

7 istà: sta.

795Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

mostra un Dio: quel Dio che morì vilipeso, calun-niato, ma la cui innocenza i secoli non hanno potu-to offuscare. »

Un riso secco, diabolico accolse le parole di Pia de’Tolomei. « Raccomandati a Dio adunque — esclamòegli con cinico accento — perché la tua virtù si fac-cia strada attraverso l’oscurità di queste nere mura-glie. Raccomandati a Lui, perché di qui ti tragga,perché purifichi quest’aria che ti circonda. Io tilascio, ma non ti dico addio, perché ci rivedremoancora; e forse allora sarai meno orgogliosa e vedraiche è preferibile un istante d’oblio a ciò che chiamii tuoi doveri, ad una morte lenta e vergognosa. »« Vattene, demonio! » — gridò Pia stendendo conatto solenne una mano. « Che Dio abbia pietà dellatua anima. » E rivolse le spalle 8 al giovine, che se nepartì tutto confuso ed umiliato.

8 rivolse le spalle: voltò le spalle.

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Capitolo nono

Un conforto nell’afflizione

Poche miglia distante dal castello della Pietra, sudi un piccolo promontorio, sorgeva una casucciasgretolata, cadente, in vetta alla quale era piantatauna croce di legno. Era quella la dimora di un pove-ro eremita. Nella stagione della malaria, il contadi-no fuggiva pauroso quelle micidiali vegetazioni; mail povero frate sembrava respirare sicuro l’aria pesti-fera. Sia che la stagione fosse mite e serena, sia cheimperversasse rigida e tempestosa, si vedeva semprequell’eremita per le colline, per le strade, curvo sottola bisaccia, accattando 1 di casa in casa, pei suoipoveri, il pane della pietà, l’obolo dell’elemosina.Non vi era ammalato a quei dintorni a cui egli nonprestasse quei servigi, quelle consolazioni, che nonsi comprano col denaro. Era proprio il tipo dellavera pietà, della perfetta religione.

L’eremita aveva sentito parlare più volte dell’infeli-ce prigioniera al castello della Pietra. « Ah! » — dice-vano un giorno alcuni contadini sospirando. « Cosaha mai fatto quella bella creatura, perché messerRinaldo debba ivi tenerla rinchiusa? Nessuno credepossa essere vero quello che si dice sul conto di lei. »« Ma che cosa si dice? » — domandò l’eremita trasa-lendo. « Che il conte l’abbia colta in fallo; ma nessunolo crede. Un’anima tanto pia, una creatura tanto edu-

1 accattando: mendicando.

797Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

cata non diviene colpevole in un istante. Ma intantoquella povera innocente langue, muore, senza lasciar-si sfuggire un lamento. » L’eremita sospirando alzò gliocchi al cielo. « Anche Cristo era innocente — disse —e fu calunniato; bestemmiato, tacque; possente, nonminacciò e morì perdonando. Madonna Pia è un’im-magine di Cristo. »

L’eremita sapeva che l’intendente del castello eraun vecchio burbero, senza cuore, taciturno, cheusciva di rado dal castello e non permetteva a nes-suno di accostarvisi. Fu grande quindi la sua sor-presa nel vederlo un giorno presentarsi al suo pove-ro romitorio. Valfrido aveva raddolcito il fiero sem-biante 2 e sembrò al fraticello che avesse le lacrimeagli occhi. « Padre — disse con voce commossa — viè una persona al castello che ha bisogno del vostroaiuto. Ho lottato a lungo con me stesso, non volen-do violare il giuramento fatto al mio signore; ma lapietà verso quella povera vittima, che sta per mori-re, mi vinse e sono corso a voi. » « Andiamo, andia-mo, figliuol mio. » — esclamò il vecchio eremita. « Eche Dio vi tenga conto della vostra buona azione. »

Uscirono in fretta dal romitorio. La giornata erabuia, nuvolosa. Contristava il cielo un vapore umidodi scirocco e l’aere denso toglieva quasi il respiro. 3

Nonostante il vecchio eremita camminava rapida-mente, tutt’assorto in un pensiero di sublime carità.Giunto vicino al castello, egli contemplò con un

2 il fiero sembiante: l’aspetto severo.3 Contristava … respiro: Un vento umido di scirocco rende-

va triste il cielo e l’aria pesante quasi toglieva il respiro.

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senso di viva mestizia quelle nere muraglie e pen-sando alla povera prigioniera ivi rinchiusa, sentì unalacrima scendergli lungo le gote, attrite 4 dal digiunoe dalla penitenza. Valfrido lo condusse per moltiandirivieni fino al limitare della stanza di Pia, poi siallontanò in tutta fretta, senza dire una parola.

Pia de’ Tolomei stava seduta presso al balcone a-perto, colle mani cascanti sulle ginocchia, il caporivolto all’indietro. Ed era quella la medesima Pia,che un giorno brillava sotto il cielo di Siena? Dov’eraandata quella splendida bellezza, sì tanto decantatadai poeti, dai trovatori di quei tempi? Quel soave,dolcissimo volto erasi in pochi mesi, tutto sformato.Quella pelle già sì bianca e delicata, si era ingiallita ependeva floscia ed arrendevole a tutti i moti dellagentildonna; quello sguardo già sì gentile, aveva per-duto tutta la sua vivezza: gli occhi si erano affondatinella loro cavità. Pia de’ Tolomei era divenuta pocomeno che un cadavere. Pure in quei suoi lineamenticosì alterati, eravi ancora tanta dolcezza di espres-sione, da farne quasi scomparire l’aspetto soffrente,mortale.

Ormai rassegnata al suo destino, Pia de’ Tolomeiattendeva pacatamente la morte, come il termine delsuo lungo soffrire. Nei primi giorni l’abbandono, l’i-solamento le furono insopportabili. Ella si aggiravasmaniosa per le sale del castello, chiamando Dio atestimonio della sua innocenza, invocando Rinaldoche non avrebbe mai più riveduto. Sentendo che lafollia s’impadroniva di lei a poco, a poco, si torceva

4 attrite: consunte.

799Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

le mani per la disperazione ed esclamava: « Mio Dio,mio Dio, toglietemi di qui: mi manca il respiro, misento soffocare. Che ho mai fatto perché debba sof-frir tanto? »

L’intendente del castello aveva finito a poco a pocoad intenerirsi a quel straziante dolore e cercava diconsolare del suo meglio l’infelice prigioniera. Piade’ Tolomei, commossa a quelle pietose cure cheValfrido le prodigava, lo pregava qualche volta arestare con lei. Allora Valfrido le raccontava le terri-bili storie di cui era stato testimonio il castello. Piade’ Tolomei l’ascoltava con una specie di compia-cenza, ma di mano in mano che il giorno cedevaluogo 5 alle prime ombre notturne, un senso di pauras’impadroniva di lei, un tremito convulsivo l’invade-va tutta: ella diveniva inquieta, ansiosa; mormorava-no le sue labbra, si aggrinzivano le sue mani; gliocchi girava intorno smarriti, come per invocaresoccorso e protezioni. Era il delirio della febbre, chele ardeva le vene, le sconvolgeva il cervello.

Valfrido scorgeva rabbrividendo quel corpo già sìbello, rigoglioso, sformarsi a poco a poco comecadavere: vedeva la vita fuggire lentamente da quelseno, come un sottile filo d’acqua si perde e spariscenell’arena. In una di quelle notti in cui l’infelicevaneggiando urlava, Valfrido riscosso dal suo sonno,sentì crescere la pietà per quell’infelice, si ricordòdel povero eremita, che viveva poco lontano dalcastello e decise la mattina seguente di correre in

5 cedeva luogo: lasciava il posto.

CAROLINA INVERNIZIO800

cerca di quel santo uomo, certo che avrebbe portatoqualche sollievo alla sventurata prigioniera.

Il frate, lasciato solo, rimase, come dissi, inchio-dato sul limitare della stanza, tutto assorto nellacontemplazione di quella martire dell’amore, dellafedeltà coniugale. Pia de’ Tolomei, volgendosi, loscorse ed un sorriso leggiadro le spuntò sul labbro.Tentò di alzarsi, ma le forze non la ressero, proste-se 6 le mani e con un filo di voce: « O padre — disse— qual consolazione è mai questa! Non è dunque unsogno? Invocava Dio, ed egli mi ha mandato uno deisuoi angeli. Oh! quanto lo ringrazio di avermi dataquesta contentezza prima di morire! » « Dio non sidimentica delle sue creature. » — esclamò l’eremitacon voce commossa, andando ad assidersi 7 pressol’infelice prigioniera. Poi le chiese con somma dol-cezza: « Come state, figlia mia? »

« Male, padre mio, male. Mi sento dominare da uncerto non so che di freddo, pesante, eccessivamentemolesto, che si ravvolge dentro di me. 8 Ho soffertotanto, padre: non mai un po’ d’aria libera, pura darespirare. Qui non ho sentito che un’afa continua; lecarni mi bruciano addosso, eppure tremo continua-mente. » Si tacque un istante, guardò il cielo sospi-rando, poi riprese: « Oh! è ben doloroso il vivere quisola, senza mai udire una voce soave, dolce, che miconforti. Le tenebre mi fanno paura. Io vedo dei fan-tasmi, che si aggirano per queste stanze e mi sembra

6 prostese: protese.7 ad assidersi: a sedersi.8 si ravvolge dentro di me: si rigira dentro di me.

801Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

che tendano le braccia e vogliano condurmi seco.Talvolta mi pare di essere già morta, seppellita, ed ilchiarore della lampada notturna mi mostra crani,ossi, che danzano a me dintorno e sembrano dire: lapolve deve ritornare alla polve. 9 Invano io grido alsoccorso: la voce mi vien meno, mi manca il respiro,e nessuno mi ode, nessuno mi ascolta. »

« Sventurata. » — mormorò il frate sommessa-mente, poi a voce più alta: « Temete dunque tanto lamorte? » — chiese. « Oh! non è la morte che io temo,perché ho il cuore spezzato. Ma quell’agonia lenta,continua: l’idea di chiudere gli occhi senza rivedereun volto adorato, senza udire una voce conosciuta,che mi chiami a nome, senza sentire una mano cherisponda alle lente strette della mia! Morire inno-cente, e nondimeno disprezzata da tutti gli esseri piùcari al mio cuore, disonorata in faccia al mondo.Oh! è orribile, padre mio, è orribile. »

« Povera innocente, non piangete così, non viaffannate, guardate piuttosto quel crocifisso, che vista dinanzi. Egli v’insegnerà cosa sia il sacrifizio.Egli che diede la vita per la redenzione di coloro chel’avevano offeso. Chi più vilipeso di lui? Chi più dilui saturato di vituperio, 10 d’infamia! Eppure né gliuomini né i secoli hanno mai potuto oscurare la dilui fama. State di buon animo, figlia mia: se alcospetto degli uomini ora sembrate una colpevole,verrà un giorno che la vostra innocenza brillerà piùfulgida della luce del sole. » « Lo spero, padre mio, lo

9 la polve … polve: la polvere deve ritornare alla polvere.10 saturato di vituperio: colmato di disprezzo.

CAROLINA INVERNIZIO802

spero. Però 11 io non serbo rancore a nessuno. Anchein mezzo ai tormenti angosciosi, che a ripensarli misi agghiaccia il sangue nelle vene, non un solo pen-siero di odio si elevò dai miei labbri, per l’autoredelle mie pene. »

Pia de’ Tolomei si tacque di nuovo: ella respiravacon somma difficoltà: un sudor freddo le bagnava letempie; la colse come un finissimo capogiro, unalanguidezza estrema le strinse il cuore. Riavutasialquanto, seguitò con voce affannosa: « Il mio Rinal-do, vedete, non è colpevole della mia morte: egli èstato orribilmente ingannato, altrimenti non miavrebbe qui rinchiusa. » « Sentite, figlia mia — mor-morò con voce commossa il frate — se avete alcunche da confidare, svelate tutto a me, poiché tutti isegreti non si debbono seppellire con voi, ed io potròancora una volta giustificare la vostra innocenza. »

Sopra il volto esangue della Pia, si diffuse un ros-sore gentile; ella esitò alquanto, ma poi vinta daimodi soavi, pieni di carità del frate, espose distesa-mente i fatti senza ometterne particolarità. 12 L’ere-mita che prestava attentamente l’orecchio non potéa meno di credere alla parola ingenua, al candore diquell’anima, che tutta a lui si confidava. « Ed ora chesapete tutto — disse Pia abbassando vieppiù la voce— non mi rifiuterete la grazia che io vi domando. Seun giorno v’incontrerete nel mio Rinaldo, diteglielovoi, che io sono morta innocente: lo protesto 13 di

11 Però: Perciò.12 ometterne particolarità: tralasciarne alcun particolare.13 protesto: affermo.

803Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

nuovo dinanzi a Dio, sull’orlo dell’eternità. Ditegliancora che io reco meco nel sepolcro l’amor vivo,incessante e più che terreno che ho sempre nutritoper lui. Ditegli che nella sua collera, nello spiritodella sua vendetta non uccida quell’Ugo, quel for-sennato: sul mio esempio gli perdoni. Dategli poiquesta ciocca di capelli — e se la trasse dal seno; —vedete padre: i più bei fiori l’hanno inghirlandata ungiorno, le gemme vi scintillarono sopra luminose e ilmio Rinaldo v’impresse più volte le labbra, ed ora èqui inerte, bagnata dal freddo sudore della morte. »

La voce di Pia de’ Tolomei si faceva ad ognimomento più debole; di tanto in tanto il suo sguar-do si spegneva e tornava a brillare più ardente e feb-brile. Pareva di vedere in quei sguardi la lotta dellavita colla morte. Facendo un ultimo sforzo, ella sitrasse l’anello nuziale, che portava al dito e passato-lo nella ciocca dei capelli, lo consegnò al frate.« Padre — mormorò — voi gli darete altresì quest’a-nello. Dal giorno in cui Rinaldo me lo pose in dito,io lo rispettai sempre come cosa sacra. Oh! ditegliche il mio amore verso di lui fu puro come l’oro diquesto anello, ripetetegli che fui innocente e fedele alui, che l’avrei attestato anche a costo della vita, eper questo sono morta. »

Al pronunziare di queste ultime parole, l’infelicedonna dette in uno scoppio di pianto: il frate stessoaveva le lacrime agli occhi. Passato quello sfogo, Piade’ Tolomei parve alquanto più calma, e continuò:« Padre, padre mio, dite al mio Rinaldo che si penta,che Dio gli perdonerà, come io gli ho da lungotempo perdonato; e noi potremo rivederci un giorno

CAROLINA INVERNIZIO804

in una patria migliore. » Tacque, perché vinta esfinita dagli affetti mestissimi e dall’infermità che lacrucciava. 14 L’eremita rimase ancora qualche tempocon lei e quando lasciò il castello, Valfrido si accor-se che piangeva come un fanciullo.

Pia de’ Tolomei stette fissa guardando la portadond’era scomparso il frate: le parve di aver sogna-to; se non che portando involontaria una manosopra l’altra si accorse che più non aveva in dito l’a-nello nuziale. Allora giunse le mani ed alzò al cielouno sguardo pieno d’infinita riconoscenza; tentò dibalbettare una preghiera, ma le sue labbra non det-tero alcun suono. Allora mise un lungo sospiro,lasciò ricadere il capo all’indietro, e chiuse gli occhi.Pareva dormisse: un dolce sorriso aleggiava ancorasu quel volto in cui non rimaneva più che la formaed il riflesso dell’anima, quell’ultimo splendore cherimane nell’estremo orizzonte, quando il sole è giàtramontato.

14 dall’infermità che la crucciava: dalla malattia che la tor-mentava.

805Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

Capitolo decimo

La giustizia di Dio

Il cielo era coperto di tenebre. Dalle nubi squar-ciate scendevano gli ultimi raggi del sole ad illumi-nare la pianura e pareva che l’avvolgessero in unvelo di sangue. Il vento soffiava sordamente traversogli alberi; cresceva il caldo e l’afa fino a togliere ilrespiro: un’angoscia inesprimibile stringeva l’animo.Si udiva un crescente sibilo: era la bufera che siavanzava sinistra e lenta, coprendo a poco a pocoquelle sterminate solitudini, che si chiamanoMaremme.

Un cavaliere percorreva solo quei desolati piani.Tanto rapido era il suo correre, che l’avresti dettoun’ombra raminga dalle riviere della Stige, 1 anzichéuna creatura umana. Da alcuni mesi lo si vedevasovente passare e ripassare in quei piani, sempremontato sullo stesso cavallo nero e tutto avvolto inun ampio mantello, che ne celava intieramente leforme, mentre le sue fattezze scomparivano sotto letese di un largo cappello. Spesse volte, al cader dellanotte, lo si udì gridare, parlare come un demente,poi fuggire col suo cavallo a precipizio, non appenaintendeva avvicinarsi qualcuno.

In quella sera il misterioso cavaliere si mostravapiù agitato del solito: egli stringeva i fianchi al caval-

1 dalle riviere … Stige: dalle sponde della palude infernaleformata dalle acque del fiume Stige, su cui vedi Dante, Infer-no, VII, 100–108.

CAROLINA INVERNIZIO806

lo, che precipitava il galoppo e passava come unavisione in mezzo a quella triste campagna: alcunicontadini, che in lui s’imbatterono, si fecero il segnodella croce, mutando lestamente il cammino. Intan-to più folte crescevano le nubi: cominciava a mug-ghiare il tuono e non tardò a cadere a rovesci lapioggia. Il cavaliere correva come il vento; il cavallospaventato dall’orrendo fracasso dei tuoni, dallascintilla dei lampi, che rivestiva la natura di unaspetto spaventoso e ferale, 2 si diè ad un corsa fan-tastica, precipitata, sorpassando ostacoli d’ogni spe-cie, valicando fossi, saltando cespugli, macchie,come se volesse sfuggire a qualche misterioso peri-colo. Il cavaliere sembrava inchiodato sulla sella. Ilampi si succedevano l’un l’altro con violenza. Ilcavallo preso da folle terrore, s’impennò, nitrì, con-tinuò a galoppare, finché stanco, spossato, affranto,cadde per non mai più rialzarsi.

Il cavaliere venne sbalzato di sella e gettato nellamelma. Egli non si era fatto alcun male. Si rialzò nono-stante con lentezza, e guardossi 3 attorno. Alla luce vivi-da dei lampi, scorse un romitorio poco distante, in cuivedevasi tremolare una debole luce. Il cavaliere stettealquanto indeciso, ma poi alzando la testa come chi hapresa una risoluzione 4 improvvisa, affrettò il passo e siavvicinò al romitorio, la cui porta cedette al sempliceurto della sua mano. Allora scorse una stanza di pochi

2 ferale: funesto.3 guardossi: si guardò.4 risoluzione: decisione.

807Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

piedi quadrati, guernita 5 di povere suppellettili e infondo alla quale un frate curvo dagli anni, attrito6 dalleprivazioni e dai digiuni, pregava in silenzio, inginoc-chiato ai piedi di una rozza croce di legno.

Il cavaliere stette a riguardarlo un istante: un sor-riso amaro gli corse sul labbro; poi con voce stri-dente e rauca: « Padre, mormorò, permettete che unpovero viandante, malconcio dalla bufera, si ricove-ri nel vostro romitaggio? » Il frate a quel suono divoce si scosse, si alzò e piantati gli occhi sullo stra-niero, lo squadrò a lungo fissamente. Lo sconosciu-to si era tolto il cappello e mostrava gli avanzi di fat-tezze regolari e dignitose. La capigliatura gli scende-va lunga e sparpagliata sulla fronte e sul collo; il suoviso aveva una tinta quasi verdastra: i suoi neri occhiincavati, mandavano all’intorno truci sguardi. « Ah!non m’inganno! » — esclamò l’eremita con vivacità.« Voi siete messer Rinaldo della Pietra. Dio, ti rin-grazio! Io non sperava di poterlo vedere così pre-sto! »

Messer Rinaldo, giacché era desso, 7 aggrottò leciglia a quelle parole e guardò il frate con aria smar-rita. Il povero eremita pareva aver riacquistato tuttoil suo vigore, la sua fermezza. « Sì, Dio è buono. » —ripeté con atto solenne. « Dio non permette che l’in-nocenza soffra a lungo. Egli vi ha qui mandato, per-ché io possa compiere il mio voto, salvare un’infelice,vittima della fedeltà coniugale. » Rinaldo continuava

5 guernita: corredata.6 attrito: consunto.7 desso: lui.

CAROLINA INVERNIZIO808

a guardare il frate con volto istupidito. Al di fuori latempesta si faceva più fiera: 8 un tuono tremendo,secco, terribile, succedeva senza posa ad un altrotuono: la folgore scoppiava ad ogni istante. L’eremitaafferrò il conte per un braccio e scuotendolo conforza: « Messer Rinaldo — gli disse — la voce di que-st’uragano non vi parla all’anima? Non vi dice comela natura stessa si spaventi per l’omicidio di un’inno-cente? »

Rinaldo fe’ un balzo e indietreggiò di un passo.« Come? che v’intendete dire? » — esclamò con vocee sguardi truci. L’eremita continuò con voce grave:« Messer Rinaldo, che avete mai fatto? Perché sep-pellire viva in quell’orrendo castello un’anima candi-da, educata, come quella della Pia? Voi sì giusto, sìpietoso, che non avreste condannato un vassallo, 9

senza prima averlo ascoltato, imprigionaste la vostrapia e buona consorte, senza prima averla udita? Èun’empietà per un semplice sospetto dannare amorte una creatura. » « Un sospetto, diceste? » — egli occhi del conte scintillarono con una feroce e-spressione di rancore. « Un sospetto? Ma non sai cheio stesso la colsi in fallo? Ah! la sua punizione è ungiusto castigo alla sua colpa! » « Se questa sua colpafosse esistita; ma quell’Ugo ti ha ingannato, ti ha tra-dito. L’uomo che vedesti in giardino fra le braccia diPia, era un soldato di ventura da Ugo salariato, e chePia credeva suo fratello Gualtiero. » « Ah! non puòessere: non è! » — esclamò il conte, aggirandosi furi-

8 fiera: violenta.9 vassallo: suddito.

809Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

bondo per il breve spazio della stanza, in preda aduna orribile incertezza. E quasi per soffocare unistinto di pietà, pieno di cattivo umore e col cuoreangosciato, stava per uscire. Ma l’uragano continua-va in tutta la sua forza.

In mezzo al rumoreggiare incessante degli ele-menti, si udì un lungo e prolungato grido, un gridodi agonia, di morte. Quel grido fece gelare il sangueal conte, e produsse una viva agitazione nell’eremi-ta. Mossi dallo stesso pensiero, i due uomini feceroalcuni passi fuori dalla capanna; ma la violenzadella tempesta era tale che dovettero tosto ritrarsi. 10

Ma la casupola stessa minacciava di sfasciarsi. « Inginocchio, conte! » — gridò l’eremita. « Forse la no-stra ultima ora si avvicina; ebbene, qui, sull’orlo del-la tomba, ti giuro che Pia de’ Tolomei è innocente.Ella stessa m’impose di dirtelo, ed aggiunse che tiperdona il tuo delitto, e muore lieta nella speranzadi rivederti, un giorno, in Cielo. Prendi questi capel-li, che l’infelice ti manda e li posa sul tuo cuore;tieni, questo è l’anello nuziale, che ella bagnò piùvolte di pianto innocente. Conte, inginocchiati eprega, prega Dio perché ti lasci ancora tanto di vitada rivederla e proclamare ad alta voce la sua inno-cenza. Io ti aiuterò nella tua preghiera. »

Il volto dell’eremita, mentre così parlava, parevaquello di un santo ispirato. La virilità delle sueforme, lo sguardo dolce, illuminato, la lunga e fittabarba che gli scendeva sul petto, facevano un singo-lare contrasto colla figura sinistra di Rinaldo, che

10 tosto ritrarsi: subito tornare indietro.

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col sopracciglio abbassato, la fronte corrugata dino-tava 11 abbastanza il combattimento che sostenevadentro di sé, sì che avresti detto voler nascondere asé stesso la sua debolezza. « Oh! se fosse vero! » —mormorava, palpando fra le dita convulse, gli ogget-ti inviatigli da Pia. « Se fosse vero! O padre, sa ilCielo quello che soffro! Pure io dubito ancora: dubi-to sempre. »

Proprio mentre pronunziava queste parole, si udìun altro grido, seguito poco stante 12 dalle parole: « Ame, aiuto: soccorso! » Messer Rinaldo e l’eremita sislanciarono fuori. La tempesta era cessata: il cielodivenuto tranquillo mostrava, in mezzo alle nubi, lacandida luna. A quel chiarore biancastro, il conte el’eremita scorsero una massa informe e sanguinosa,che si dibatteva sotto i denti di un lupo. Messer Ri-naldo era coraggioso: col pugnale che teneva alfianco, fu d’un balzo sopra il lupo. Il frate vide ilconte affrontare la belva e confondersi con lei in unasola massa. Rabbrividì e chiuse gli occhi. Contem-poraneamente udì un lungo e sordo grugnito, poi ungrido di trionfo. Il conte aveva colpito il lupo sotto ilventre ed aveva immerso il pugnale fino all’elsa nellecarni dell’animale. Il lupo era caduto fulminato.

Allora pensarono di sollevare il ferito, che parevasvenuto. Mentre Rinaldo si abbassava, il suo cuorepulsò d’una singolare ed inesplicabile emozione. L’e-remita e il conte, trasportarono quell’uomo sangui-

11 dinotava: esprimeva.12 poco stante: poco dopo.

811Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

nante, mutilato nella capanna. Allora solo 13 Rinaldolo riconobbe e mandò un’esclamazione di stupore.« Ugo! » — esclamò. « Ugo! » A questa esclamazione,il ferito aprì gli occhi, trabalzò 14 e fissando sul conteuno sguardo atterrito: « Ah, diss’egli, sei tu, tu,Rinaldo! giustizia di Dio! Egli mi ha lasciato ancoraalcuni minuti di vita, perché potessi salvare quellapovera innocente vittima della mia perfidia. » A que-ste parole, il conte trasalì e fece per lanciarsi sul feri-to. Ma il frate con un gesto solenne lo fermò.

Ugo era in uno stato spaventevole a descriversi.Aveva le braccia, il petto, il collo, orribilmente dila-niati dai denti del lupo; il volto era sformato, e met-teva i brividi a vederlo: « Rinaldo — mormorò convoce fioca — Rinaldo, deh! mi perdona! La tua Pia èinnocente; un’infelice passione mi acciecò: 15 io fui ildemonio che voleva sedurla. Ella non mi diè ascolto,ed io allora divenni furioso e giurai di vendicarmi. »E qui a voce bassa, interrotta, dagli spasimi e daisinghiozzi, narrò distesamente i fatti avvenuti, senzanulla omettere, sperando con questo di sgravare lasua coscienza dalle tenebre del rimorso. « Ma Dio miha punito. » — concluse Ugo con accento affannoso.« Mentre io stava per avviarmi al castello a pascer-mi 16 nell’agonia di lei, sorpreso dal turbine, ribalta-to dal mio cavallo, servii di pasto ad un lupo affa-mato. Dio però non permise che io portassi meco

13 solo: soltanto.14 trabalzò: sobbalzò.15 acciecò: accecò.16 a pascermi: a nutrirmi.

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nella tomba, il mio segreto. Ah! guai, guai a coluiche apre il suo cuore a voglie perverse, e non ascol-ta più la voce della coscienza! Ah! io la merito lamorte: io sono colpevole! Le mie mani sono piene disangue: io non vedo a me dintorno che spettri, fan-tasmi. Dio! Dio! come mi brucia il petto: come sof-fro. Muoio: perdono, perdono! »

Messer Rinaldo era rimasto curvo, annichilito,sotto il peso di quelle terribili rivelazioni. Ma ad untratto egli si drizzò fremente, il suo volto bruno sicoprì di un pallore nervoso, il suo occhio guizzò unlampo tremendo. « Miserabile! — esclamò — che tiaveva io fatto per attirare su di me tanta sventura?Io che ti aveva beneficato in mille guise, salvato daiceppi, dalla morte. Ah! Dio non ha punito abbastan-za il tuo delitto: i… » E si abbassò sul moribondocon truce cipiglio e minaccioso gesto. Ma l’eremitalo trattenne e con voce grave: « Fratello — disse —non vedi che la sua anima sta per partire? Giustiziaè stata fatta! Vuoi tu inveire contro un informe cada-vere? Fratello, perdona se vuoi essere perdonato. »

Il conte tremò in tutte le membra ed i suoi occhisi fissarono sullo spaventoso volto di Ugo, in cui leg-gevansi espressi a chiare note 17 il pentimento, l’ago-nia, la disperazione. Allora una lacrima spuntò sulleciglia di Rinaldo; un senso di pietà infinita invase lasua anima. Macchinalmente, egli stese una mano, econ voce affannosa, rotta dai singhiozzi: « Muori inpace, Ugo. » — balbettò. « Io ti perdono, così vogliaperdonarti Iddio. » Il moribondo tentò di alzarsi, le

17 in cui … note: in cui si vedevano espressi a chiari segni.

813Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

sue labbra mormorarono alcune interrotte parole, isuoi occhi si sbarrarono ancora una volta, poi sichiusero; la quiete e l’ombra della morte scesero suquelle fattezze, che tuttavia serbarono un aspettod’orrore, da non essere dimenticato giammai.

Messere Rinaldo ed il frate erano caduti in ginoc-chio ed orarono 18 per qualche istante presso quel-l’informe cadavere. Fu il primo l’eremita ad alzarsi.« Fratello — esclamò scuotendo un braccio del con-te, che lo guardava istupidito — fratello, tu hai anco-ra un dovere da compiere. Al castello, messer Rinal-do, al castello e Dio voglia che non sia troppo tardi,che Pia de’ Tolomei viva ancora! »

18 orarono: pregarono.

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Conclusione

Il pentimento

Il cielo si era rasserenato, come succede sempredopo un violento uragano. Placida, dolce e bellascendeva la notte: i venti riposavano tranquilli, laluna irradiava d’un soave splendore tutta la natura.Il tetro castello della Pietra appariva tutto illumina-to; spalancata era la gran porta; abbassato il pontelevatoio; nel cortile udivasi 1 un confuso mormoriodi voci e di preci. 2 Che avveniva? Pia de’ Tolomei eramorta: la sua bell’anima era ritornata al Cielo, dalquale era partita, e gli uomini e le donne dei dintor-ni erano venuti a levarne il corpo per rendergli gliestremi onori.

Pia de’ Tolomei era morta senza soffrire, sorriden-do. Valfrido, entrando nella stanza di lei, dopo cheera uscito il frate, la scorse abbandonata sulla pol-trona, colle mani giunte, il volto sollevato, gli occhisocchiusi ed un sorriso di felicità sulle labbra. Cre-dette che ella dormisse, si avvicinò con taciti 3 passie si accorse che non respirava più, che il di lei sonnoera quello della morte. Presto si sparse la nuova neidintorni e tutti, uomini e donne, si portarono alcastello onde onorare morta quell’angelica creatura,che avevano tanto compianta in vita. Ecco, i lumi

1 udivasi: si udiva.2 preci: preghiere.3 taciti: silenziosi.

815Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

brillano ancora un istante nel castello, poi da questoesce una lunga fila d’uomini e di donne che fannoala ad una bara scoperta, portata da quattro donzel-le, e su cui è deposta la salma della povera Pia,inghirlandata di fiori bianchi, simbolo dell’innocen-za, del candore dell’anima sua.

La processione camminava lentamente alternan-do meste cantilene: le torce accese mandano all’in-torno un chiarore rossastro, le voci scemano 4 sem-pre più, finché dileguansi affatto 5 fra gli andirivienidelle strade, e le tenebre del silenzio e della mortetornano a dominare il castello della Pietra. La piaprocessione non si fermò che al cimitero, dove eragià pronta un’ampia fossa, in cui la bara vennedeposta. Più dolenti s’alternarono allora i canti, conmolti gemiti mandarono l’ultimo addio al cadavere,poi la folla si allontanò, svanì e in quel campo del-l’eterno riposo, non rimase che il becchino che dove-va riempire la fossa. Ad un tratto, si udirono alcunipassi precipitosi, e poco dopo si vide comparire unuomo appoggiato al braccio di un frate. Era il conteRinaldo della Pietra.

Egli camminava a passi vacillanti, febbrili; il suopetto ansava 6 tremendamente; gli occhi fissi, sbar-rati in terribile guisa, 7 vagarono un istante all’intor-no, poi si fermarono smarriti sulla fossa in cui erastata deposta la Pia. Allora un grido o piuttosto un

4 scemano: diminuiscono.5 dileguansi affatto: si perdono del tutto.6 ansava: ansimava.7 in terribile guisa: in maniera terribile.

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urlo sfuggì dal petto di Rinaldo. Egli lasciò il brac-cio del frate, si precipitò ai piedi di quella fossa econ voce rotta dai singhiozzi: « Pia, Pia — esclamò— è pur vero? Tu sei morta: morta per cagion 8

mia? »Il becchino spaventato aveva lasciato cadere la

vanga ed era fuggito. Rinaldo della Pietra guardò allume di una torcia il cadavere di quella donna, cheaveva tanto amata e che egli aveva uccisa. Sebbeneil viso della povera morta fosse gonfio, sformate elivide le labbra, pur tuttavia il sorriso che tutto l’ir-radiava, lo faceva apparire quasi ancora attraente.Calde, spesse lacrime, ahi! pur troppo non sentite daquella per cui si spargevano, rigarono le guance delcadavere.

« Perdono, Pia, perdono. » — esclamava l’infeliceconte della Pietra singhiozzando. « No, è impossibi-le che Dio abbia voluto punirmi così, non mi abbiaconcesso un ultimo tuo sguardo, una tua parola diamore. Pia, mia Pia, non mi odi tu? Non vedi il miostrazio, il mio rimorso? Rispondi. » E Rinaldo si cur-vava fremente, delirante verso la fossa; ma allora ilfrate lo prese per il braccio e fissando su di lui unosguardo calmo e terribile ad un tempo: « Conte dellaPietra — disse — tu non puoi richiamare alla vita lamuta argilla. Se vuoi rivederla ancora Pia de’ Tolo-mei, se vuoi che Dio ti perdoni, prega e pentiti: lapreghiera ed il pentimento conducono al Cielo tantoquanto l’innocenza e la virtù! »

8 cagion: causa.

817Pia de’ Tolomei. Romanzo storico

* * *

Narra la tradizione che il conte Rinaldo della Pie-tra sinceramente pentito del suo misfatto, si ritirònel suo castello, dove visse molti anni rinchiusonella stessa stanza, dove Pia de’ Tolomei aveva esa-lato l’ultimo sospiro, finché una mattina fu trovatomorto nel suo letto, stringendo ancora fra le mani laciocca dei capelli e l’anello nuziale che Pia gli avevamandati. Quando il corpo del conte fu portato alcimitero, si vide accompagnare il modesto morto-rio 9 di lui, un vecchio curvo dagli anni, che piange-va profusamente e pregava. Era l’eremita.

* * *

Oggi del castello della Pietra non rimangono chepoche vestigia, 10 ma il ricordo e l’amore verso Pia de’Tolomei non si è estinto nel cuore degli uomini. Semai vi avvenisse 11 di viaggiare in quei luoghi, senti-reste da tutti quei buoni contadini raccontarvi lapietosa leggenda della Pia: alcuni anche vi mostre-ranno il luogo dove sorse il castello, dove Pia visseprigioniera, ed abbassando la voce vi diranno chel’anima dell’innocente contessa vaga sovente fraquelle rovine e spesse volte si ode uscire da essegemiti prolungati che poi finiscono in una melodiadolce e soave come le melodie degli angeli.

9 mortorio: funerale.10 poche vestigia: pochi resti.11 vi avvenisse: vi capitasse.

CAROLINA INVERNIZIO818

Sono pie superstizioni; ma chi non sa che anchenelle superstizioni dei contadini si racchiude un prin-cipio morale ed un immenso tesoro di poesia, atto a 12

risvegliare l’immaginazione di un poeta, di un roman-ziere? La storia non si seppellisce coi cadaveri dei tra-diti; essa vive nel cuore del popolo ed è quasi sempreil popolo che la mette alla luce colle sue poetiche leg-gende e pietose superstizioni!

Fine.

12 atto a: capace di.

PADREPIO DA PALESTRINA

PIA DE’ TOLOMEI

Foligno, senza data

Fig. 13 — Riproduzione del frontespizio di Padre Pio da Palestrina, Pia de’Tolomei. Storia in ottava rima, Foligno, senza data.

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Presentazione

Questa Pia de’ Tolomei del padre Pio da Palestrina è unariduzione, peggiorativa, della Pia de’ Tolomei del Moroni, del-la quale testimonia a suo modo il grande successo popolare.Inferiore per ogni aspetto al suo modello, questa Pia si carat-terizza soprattutto per il colore clericale che l’autore imponealla vicenda: un colore del tutto assente in Dante e vagamen-te latente negli altri scrittori, ma che ora finisce per trasfor-mare la novella romantica del Sestini in una predica in versidi argomento matrimoniale. Una predica da leggere piuttostoche da cantare, come dimostra anche l’abbandono dell’ottavaincatenata, tecnica evidentemente troppo difficile da padro-neggiare per un autore non privo di ambizione letteraria, matroppo modesto nella padronanza linguistica e soprattuttonella ispirazione poetica.

Nota sull’autore. Del padre Pio da Palestrina non siamo riu-sciti a trovare alcuna notizia biografica; dal titolo padre,deduciamo che fosse un frate, forse francescano; dal sottoti-tolo della sua Pia apprendiamo che veniva detto il Romano;dal luogo di edizione, Foligno, siamo indotti a pensare cheegli fosse attivo in Umbria.

Nota sul testo. Il testo che qui pubblichiamo è tratto da Piade’ Tolomei. Storia in ottava rima narrata da P. Pio da Palestri-na, detto il Romano, Foligno, Stab. Tip. Editoriale G. Campi,senza data.

825Pia de’ Tolomei

Pia de’ Tolomei

1. Nei tempi sanguinosi dei partitidi Vieri Cerchi e ser Corso Donati, 1

ovunque risuonavano infiniticozzi di spade e grida di soldati,s’udivano i lamenti dei feritibalenavan corruschi elmi ferrati:Pisa con Fiore,2 Chiusi con Volterra,in ogni loco vi regnava guerra.

2. In quei tempi, dicevo, in cui la terrasi dirompeva sotto il fero Nume, 3

una leggiadra ninfa, un fior di serra,bella in sembiante e proba nel costume,a nozze andava a un uomo che non erra.Cara ei l’aveva più degli occhi il lume.Era gagliardo e nel sembiante bello,e si chiamava Della Pietra Nello.

3. Apparteneva la gentil donzellaa quella nobilissima casata

1 I Cerchi, guelfi bianchi, ed i Donati, guelfi neri, sono fami-glie fiorentine rivali dei tempi di Dante.

2 Fiore: Firenze.3 si dirompeva … Nume: si dilaniava sotto il feroce dio; cioè

Marte, dio della guerra.

de’ Tolomei che, come viva stella,splendeva in Siena ed era assai stimataper valore, onestà ed ogni altra bellavirtù che, in quella età gentile e fiera,era retaggio d’ogni stirpe altera. 4

4. La giovinetta aveva nome Piae prima di sposarsi col suo Nelloviveva nella sua casa natiacol genitore e Piero suo fratello.Andata a nozze, la sua compagniafu sol colui che le donò l’anello.Solo in casa venìa, per puro invito,un certo Ghino, amico del marito.

5. Quand’ecco da Valdenza giunge un messoche porta a Nello l’ordin di partire,ché la guerra divampa ormai all’eccessoe al comando necessita ubbidire.Nello prende le armi al tempo stesso, ché la giurata fé non vuo’ tradire.Abbraccia lacrimando la sua sposa:« Solo per te mi dolgo, o mia amorosa! »

6. « Però nel tempo ch’io sarò lontanot’affido a Ghino, il mio fedele amico.

PADRE PIO DA PALESTRINA826

4 Per una svista dello scrittore o dello stampatore, questastrofe monca del secondo verso del terzo distico, cioè di quel-lo che avrebbe dovuto essere il sesto verso, e pertanto risultacomposta di sette versi, anziché di otto come sono tutte lealtre stanze.

Egli, che è cavaliere ed è cristiano,veglierà su di te, mentr’io il nemicoaffronterò; e mi sia forte la manosì ch’io sia degno del mio nome antico.Ritornerò ben presto vincitore A te mia sposa ed unico mio amore. »

7. Parte quindi pel Colle di Valdenza,mentre Pia s’inginocchia costernata,pregando la Divina Provvidenzache protegga il suo sposo e la casatacon la sua celestiale alta potenza.Poi, dalla prece sua rasserenata,s’asciuga gli occhi e quindi il viso bellovolge a Ghino, che reputa fratello.

8. Mentre attende lo sposo, il genitorele scrive che è partito per la guerraanche Piero, il fratello suo maggiorech’ella adorava, e il petto le disserranuovo acerbo e fierissimo dolore:« Quando la pace tornerà qui in terra? »E nuovamente prega il sommo Iddio:« Serba i miei dolci beni all’amor mio. »

9. Intanto Ghino, amico traditore,è tutto preso per la bella Pia:sente per lei un veemente, ardente amorenel vederla sì pien di leggiadria;e ghignando si dice in fondo al cuore:« O volente o nolente sarai mia. »E già pregusta i baci suoi roventi,gli amplessi e le carezze le più ardenti.

827Pia de’ Tolomei

10. E le parla così: « Dolce adorata,da gran tempo desidero il tuo affetto.Tu per me sei la dea più idolatrata!Se potessi guardare nel mio petto,vedresti quale fiamma s’è destatanel vederti qui sola al mio cospetto.Ricambia, dolce amor, l’affetto mio,e l’umile tuo schiavo sarò io. »

11. Avvampando di sdegno ella gli dice:« Non favellar di più, vil traditore!Mancare alla tua fede a te non lice:il mio sposo t’elesse a protettoredella persona mia, e ne fui felice.E invece vuoi insidiarmi nell’onore?Sei un infame e non sai quel che t’aspetta:Nello contro di te trarrà vendetta. »

12. Scornato, si ritira il traditore,meditando, nel suo pensiero rio,a colei, che sdegnar volle il suo amore,della ripulsa far pagare il fio:« Dovrai scontar col più fiero doloreil tuo diniego, o io non son più io! »Esclama con livore, e l’occasionel’aiuta nella truce decisione.

13. Era tornato dal cimento 5 Pieroe tosto la sorella andò a trovare.

PADRE PIO DA PALESTRINA828

5 cimento: battaglia.

Ma di nascosto, ché quel cavalieroera di una fazione militareavversa a Nello, e quindi nel misterodovea l’amata suora 6 visitare,sperando che i conflitti fra i partiticon la pace sarebbero finiti.

14. Ma dalla guerra torna pure Nelloe Ghino gli va incontro cavalcando.Giunto a circa due miglia dal castello,lo incontra, lo saluta e dopo, quandole notizie di Pia gli chiede quello,dapprima tace, quindi di rimandogli sussurra: « Purtroppo, sei un maritosventurato: la sposa ti ha tradito! »

15. Nello risponde irato: « Questa è fola! 7

Conosco appieno la consorte mia.Ritira, quindi, presto ogni parolache offender possa la mia dolce Pia.Chi la dispregia, mente per la gola,come tu menti, alma perversa e ria!Sappi che di chiunque la sospettacon la mia spada saprò trar vendetta! »

16. Ghino risponde: « Nello, tu lo saiche non è mio costume calunniaree mettere gli amici in mezzo ai guai,quando non posso i detti miei provare.

829Pia de’ Tolomei

6 suora: sorella.7 fola: favola.

Con te mentire non potrei giammainé la consorte tua potrei infamare.Ma ti posso provare in un istanteche la tua Pia si è fatta un bell’amante.

17. Lo riceve ogni sera nel giardino,e lietamente immersi nell’amoretrascorrono, tenendosi vicino,nelle notti serene, l’ore e l’ore.Se vuoi, stanotte stessa il tuo destinoconoscerai e vedrai che il disonoreinsozza la tua nobile casatae quella donde la tua sposa è nata. »

18. Suonava mezzanotte, quando Ghinounitamente al contristato Nello,giunge cauto nei pressi del giardino,che si distende a nord del castello.Si ferman quivi e vedono vicino,su un poggiolo 8 che sta presso al cancello,seduti poco lungi, in compagniae in dolce conversare, Piero e Pia.

19. Nello non riconosce il suo cognato,che tutto chiuso sta nell’armatura,e in ogni modo glielo tien celatoanche la notte tempestosa e scura.Avvampa di furor, ma consigliatoda Ghino attende, come più sicura,

PADRE PIO DA PALESTRINA830

8 poggiolo: piccolo rialzo del terreno.

una tarda vendetta, per punirel’indegna che la fé 9 volle tradire.

20. Il giorno dopo ei 10 torna al suo castello,fingendo di arrivare allora allora.Pia giubilante esclama: « O caro Nello,quanto ho sognato questa lieta ora!Benvenuto tu sia nel dolce ostello,dove con te la sposa tua dimora! »Ma Nello non risponde al suo sorrisoe, fosco e torvo, non la guarda in viso.

21. Ella, allora, gli dice: « Perché mai,ti mostri così cupo, o mio signore?Perché il bacio d’arrivo non mi dai?Se qualche affanno serbi nel tuo cuore,con il mio affetto ti consoleraie troverai conforto nel mio amore. »Ma Nello non risponde una parolaed ella sente stringersi la gola.

22. Alfine Nello, tanto per trovare un pretesto a spiegare il malumore,le dice che, purtroppo, il guerreggiarenon ha portato frutto, e il suo valorenulla è valso: l’armata ritiraresi è dovuta e concluder con doloreuna pace obbrobriosa: « Questo solo— le dice — è la cagione del mio duolo. »

831Pia de’ Tolomei

9 la fé: la fedeltà matrimoniale.10 ei: egli.

23. Pia crede a tutto quel che dice Nelloe dal pensiero ogni idea triste scaccia.Egli le dice poi: « Nel mio castellodella Pietra n’andremo. » E poi l’abbraccia.« Voglio passare un po’ di tempo belloe divertirmi un poco andando a caccia. »E, sì dicendo, ordina ai vassalliche insellino al più presto due cavalli.

24. Saliti in sella, lasciano l’ostellogli sposi, e lui le dà la destra mano;poi s’incammina verso il gran castellodella Pietra di cui Nello è sovrano.Quell’edificio forte, antico e bello,è sito in territorio maremmano;lunga perciò, per quanto lieta e amena,è la strada che al dolce nido mena.

25. Lungo la strada Pia dice al marito:« La polvere ed il sol mi dan l’arsura.Fermiamoci un momento in qualche sito,per godere un pochino di frescura.Vedo là la capanna d’un romitoche spicca gaia in mezzo alla pianura.Se ti aggrada, sostiamo qualche istante. »« Volentieri. » E si fermano lì avante.

26. Il romito, ch’è un uomo santo e pio,accoglie i due con grande contrizione,li benedice nel nome di Dioe poi si pone a lor disposizione.Pia dice: « Grazie, solo mio desio

PADRE PIO DA PALESTRINA832

è un po’ d’acqua a mitigar l’arsione. »Ed il sant’uomo subito s’affrettaa empire ad una fonte una brocchetta.

27. Bevuto e riposatisi, sen vannoringraziando il romito sì gentile;ed ancora parecchie miglia fanno,lui sempre torvo e lei sempre più umilee sempre rósa da un interno affanno,che il cor le punge come acuto stile:non sa che tema, ma d’un tradimentoha nell’anima sua il presentimento.

28. Alfine giunti al turrito 11 castello della Pietra e incontrato il castellano,scendono e senza far parola Nellole briglie del destrier gli 12 pone in mano.Poi invita Pia ad entrare nell’ostellodove egli comanda da sovrano.E dà ordine ai servi che in dispensaprendano cibi e vini per la mensa.

29. Finito appena di mangiare, Nellochiama in disparte il fido castellano,e dice: « Domattina dal castelloio partirò, ché debbo andar lontano.Ma la mia sposa resta in questo ostello.Guai a te se te la fai fuggir di mano:

833Pia de’ Tolomei

11 turrito: ricco di torri.12 gli: a lui (castellano).

libera ella sarà nella magione,ma come chiusa dentro una prigione. »

30. Alla mattina, infatti, mentre Piadorme e, nel suo dormir, sembra più bella,Nello si leva: con malinconiala guarda, poi discende e ratto 13 in sellasale e a galoppo se ne corre viaverso altri paesi e altre castella.Cerca di non pensare a lei, ma in corelo tormenta l’aculeo del dolore.

31. Intanto Pia si desta e cerca Nelloper ogni dove, ma lo cerca invano.Infine, mentre il suo visino belloimpallidisce, chiama il castellano:« Il mio sposo non è più nel castello,come mai? » « Eh, madonna, egli è lontano.È partito stamane di buon’orae molte miglia avrà fatte a quest’ora. »

32. « Ma tornerà? » « Lo ignoro, o mia signora.Nulla mi ha detto né l’ho addimandato. »« Ebbene, tornerà fra breve ora.Ora dammi un cavallo ben sellato,ché voglio andargli incontro. » Si scolorail volto del buon uomo, ed impacciatorisponde: « Non vi posso accontentare,ché voi dovete qui chiusa restare. »

PADRE PIO DA PALESTRINA834

13 ratto: rapido.

33. Comprende bene allor la gentil donnache nel castello è chiusa prigioniera.« Ma che mai ho fatto io, povera donna,da meritare tale sorte fiera? »E s’inginocchia e prega la Madonna.Ma intanto muore il giorno e vien la seraa stendere i suoi veli sul creato,ed ella piange ancora il bene amato.

34. Intanto Nello è ritornato in Sienae quivi si diverte sera e mane. Una vita di lusso lieto menae si trastulla con le cortigiane.Poi cerca d’alleviare la sua penatra i duelli, le giostre e le gualdane, 14

ma sempre gli sta fisso nella menteun pensiero: « Se Pia fosse innocente? »

35. Son trascorsi sei mesi. La dolenteè divenuta l’ombra di se stessa.E il castellano, che pietade senteper quella poveretta che ha riflessanei begli occhi la morte, è più indulgente.E un giorno, che la vede genuflessaall’altare, le dice: « Fuori andarevolete? Ma vi debbo accompagnare. »

835Pia de’ Tolomei

14 La gualdana è una giostra, in cui il cavaliere cerca di col-pire lo scudo infisso in un braccio di una sagoma ruotante,senza farsi colpire dal martello appeso all’altro braccio dellasagoma.

36. Ella accetta ed insieme al castellanosen va verso la casa del romito.Giunta, ansante, allo speco, 15 ella la manoal veglio bacia e poscia lo smagritovolto levando verso lui, pian pianodice: « Ho un dolore in cor, alto, infinito:muovetevi a pietade, padre santo,d’un’infelice: soffro, soffro tanto! »

37. E seguita così: « Di me serbateforse la ricordanza, o vecchio santo. »« Sì — risponde il romito — nell’estatevi soffermaste qui, ed a voi d’accantoera un bel cavaliere. Chiedevate riposoed un bicchier d’acqua soltanto. »« È vero, e quegli che mi stava a lato,era il mio sposo che m’ha abbandonato! »

38. « E per quale ragione? » « Non so niente;vi giuro, padre mio, che tutto ignoro —la bella Pia risponde ingenuamente— ed è per questo che intristisco e moro;ché d’ogni colpa mi sento innocentee il bacio della morte solo imploro! »Così dicendo, piange, ed il vegliardopietoso verso lei volge lo sguardo.

39. Ma calmatasi, poi, la donna alquanto,prosegue: « Ora una grazia da fratello:quando la morte avrà steso il suo manto

PADRE PIO DA PALESTRINA836

15 speco: spelonca, grotta.

su di me, consegnate quest’anelloal mio consorte e ditegli che tantol’amai. Si chiama Della Pietra Nello. »Così dicendo, sfilasi dal ditola fede 16 e la consegna al buon romito.

40. « Ed ora addio » — conclude; « quando in pacedormirò, qualche volta, in sulla sera,sopra la tomba mia, se non vi spiace,volgete al ciel pietoso una preghieraper la povera donna che vi giacee che non meritò sua sorte fera! 17

Forse, pentito, anche lo sposo mioverrà colà a prostrarsi. Padre, addio! »

41. Frattanto, in quel di Siena, stanco Nellodi bagordi e di giostre, e tormentatodal dubbio muove verso il suo castello,per saper della moglie che sia stato.Ed ecco che vicino ad un ruscelloei vede un cavalier venir da un lato:lo guarda e riconosce in quel signoredella consorte il vecchio genitore.

42. Il gentiluomo chiede della Piae Nello gli risponde: « È al mio castellorinchiusa, ché tradì la fede mia! »Il vecchio avvampa: « Bada bene, Nello,come parli! La tua è una vil bugia.

837Pia de’ Tolomei

16 la fede: l’anello nuziale.17 fera: crudele.

Nessun dei Tolomei fu vile e fello! »Allora l’altro dice: « Coi miei occhiio vidi un cavaliere ai suoi ginocchi! »

43. Il vecchio l’interrompe: « C’è un arcanocertamente, e la voglio interrogare.Andiam da lei e, se è vero che un insanoamor la prese, io stesso giudicarevoglio e l’ucciderò con questa mano,s’ella alla fede sua provò a mancare.Son padre, ma sarò giudice, Nello;andiamo senza indugio al tuo castello. »

44. Mentre dice così, molto vicino,si sente un grido acuto di dolore.Corrono i due, e chi trovano? Ghinoche, assalito da un orso con furore,aveva lacerato l’intestino,sì ch’egli l’alma è presso a render fuore.Il traditor li mira e di repente 18

a voce fioca dice lentamente:

45. « Pietà di me. Fui vile. Ascolta, Nello,e voi pure ascoltate, o mio signore.Mentre tu eri lontano dal castello,per Pia fui preso da un immenso amore.Ella mi dispregiò, ed allor, da fello,ti dissi che tradito avea l’onore.Quel che vedesti accanto a lei era Pieroil fratel suo. Tel giuro, son sincero. »

PADRE PIO DA PALESTRINA838

18 di repente: subito.

46. Quasi subito spira; e, galoppando,i due verso il castello della Pietramuovono, e intanto Nello va implorandoil Signore e il perdono al fallo impetra:« Oh, maledetto, maledetto quandoal traditore diedi ascolto! » E l’etra 19

fa risonar del suo pianto accoratoe sprona a sangue il suo destrier sfrenato.

47. Quand’ecco, per la china, un funeralevedon venire e il suon d’una campanaodon, portato dal vento sull’ale,e un’altra squilla risonar lontana.Nello, ch’è preda d’una pena arcana,ferma tutto d’un colpo l’animalee chiede: « Chi portate in questa bara? »« Pia Della Pietra, la signora cara! »

48. « Fermate! » — urla, e poi scopre il cataletto 20

con man tremante e vede allor di Piail sembiante smagrito eppur diletto.Allor grida demente: « Oh sposa mia,ch’eri stata per me l’unico affetto,io sol t’ho uccisa, e maledetto siacolui che volle avvelenarmi il coree dannarmi a insanabile dolore! »

839Pia de’ Tolomei

19 l’etra: l’aria.20 il cataletto: la bara.

PADRE PIO DA PALESTRINA840

49. Poi tra le braccia del padre di leisi getta, lacrimando: « Padre mio!Parente indegno fui de’ Tolomei!Perdonate e così perdoni Iddio!Orrenda pena per i falli mieimi sarà il non poter trovar l’oblio,ché, finché durerà la vita mia,scordar non mi potrò della mia Pia! »

50. Qui termina la storia della Pia,che i poeti chiamaron la dolente.Un’altra Musa che non questa miaoccorreria a parlare degnamentedi questa donna tutta leggiadriache amò, gioì, soffrì e morì innocente. E se con i miei versi ho osato tanto,vi chiedo perdonanza e smetto il canto.

Fine.

ANONIMO

LA PIA DE’ TOLOMEI.BEFANATA

Lucca, 1980

Presentazione

Come esempio della grande diffusione che la leggendadella Pia ha avuto nel teatro popolare toscano del Novecento,nella forma cantata propria del maggio, del bruscello e dellabefanata, pubblichiamo il testo della befanata Pia de’ Tolomei,secondo il testo adottato dalla Compagnia di Soiana (Pisa),stabilito da Daniela Menchelli, per il Centro per la raccolta elo studio delle tradizioni popolari della Provincia di Lucca. Sitratta di un testo che ha come modello narrativo la Pia delMoroni e che si raccomanda sia per la sua brevità e facilitàletteraria sia per la sua conclusione che segna la completatrasformazione della leggenda della Pia in un modesto cantodi questua da farsi in occasione della festa della Befana: uncanto in cui gli ascoltatori non cercano più la storia, che tutticonoscono bene, ma tornano a commuoversi al ricordo diquella tragica storia d’amore che le voci dei cantori rivivonoe ripresentano ancora.

843

Nota sull’autore. Non sappiamo chi sia l’autore di questaBefanata; per questa ragione lo indichiamo come Anonimo.

Nota sul testo. Il testo che qui pubblichiamo è tratto da LaPia de’ Tolomei. Befanata. Secondo il testo adottato dalla Com-pagnia di Soiana (Pisa), a cura di Daniela Menchelli, Lucca,Provincia di Lucca, 1980, di cui non riproduciamo il fronte-spizio, perché si tratta di un semplice dattiloscritto.

845Pia de’ Tolomei. Befanata

1.

Poeta Già che il permesso ce lo avete datofate attenzione, cari uditor miei.Ogni attore, vedete, è preparatocanteranno la Pia de’ Tolomei.

2.

Nello che da Ghino restò ingannato;misera Pia, quanto soffrì colei:la portò1 nel castello maremmano.Ora, attenzione, incomincerà il Befano.

3.

Befano Io vi vengo a salutaredi buon cuore, amata gente.Ascoltate attentamente:la Befana si va a cantare.

4.

Befana E quest’anno, uditor miei,ammirate di buon cuore:canterem pene ed amoredella Pia de’ Tolomei.

1 la portò: (Nello) portò la (Pia).

5.

Messaggero È arrivata una staffettae tu, Nello, partirai.In battaglia ne anderai:il nemico è là che aspetta.

6.

Nello Io ti lascio, cara Pia.Pia Tu mi lasci nei pensieri.Nello Tu lo sai: sono un guerrieri.2

Dammi un bacio, e vado via.

7.

E tu, Ghino, resteraia badare ai miei possessi;e di tutti l’interessial ritorno mi dirai.

8.

Ghino Io son pronto all’obbedienza:ti prometto e te lo giuro.Parti pur lieto e sicuro,ché si affretta la partenza.

ANONIMO846

2 guerrieri: guerriero.

9.

(Ghino alla Pia)Or guardiam se mi contenti:siamo soli, cara Pia.

Pia Traditore, fuggi via!Ghino Lo vedrai che te ne penti.

10.

(Nello al campo)Nello Ecco qua l’accampamento

dei nemici bene armati.Ho perduto i miei soldati,deo 3 fuggire nel momento.

11.

Piero Non fuggir, brutta canaglia.Nello Io son qua, non mi nascondo.

Al dovere corrispondo:sarò pronto alla battaglia.

12.

Due soldati Qui la guerra terminateda cognati e da parenti.Della pace siate contentied a casa ritornate.

847Pia de’ Tolomei. Befanata

3 deo: devo.

13.

(Nello incontra Ghino.)Nello Ora a casa son tornato.

Ghino, dimmi della Pia.Ghino Tutti i giorni in compagnia

ci ho veduto andà un sordato.4

14.

Nello Giura al cielo di non mentire.Ghino Te lo giuro sul mio cuore.Nello Mi ha ridotto al disonore,

la dovrò tosto punire.

15.

(Nello va da Pia)Nello Pia, con me tu ci verrai.

Anderemo al mio castello.Pia Io preparo il mio mantello,

e lassù mi porterai.

16.

Sento sete, o mio marito,e più avanti non so andare.

Nello Lo verremo a domandaredove alberga qua un romito.

ANONIMO848

4 ci ho veduto … sordato: ho visto andarci un soldato.

17.

(Al romito)Buon romito, per piacereun po’ d’acqua in un bicchieri. 5

Romito Io son pronto, e volentierila signora la può bere.

18.

Nello Di virtù ci daste 6 un saggio.Grazie a voi, buon padre amato.

Romito Ogni cuor sia consolato.Dio vi assista, e buon viaggio.

19.

(Nello al castellano)Nello Castellano, fai coraggio

e preparaci la cena.Ben lo sai, si vien da Siena,siamo stanchi dal viaggio.

20.

Castellano Mio gratissimo Signore,sono pronto all’obbedienza.Preparata avrò la mensa,sempre vostro servitore.

849Pia de’ Tolomei. Befanata

5 bicchieri: bicchiere.6 daste: deste.

21.

Nello Son venuto con la Pia;ora pronti andiamo a letto.Stai attento a quel che ho detto:quando dorme, fuggo via.

22.

Non ti fugga alla foresta,non ti sorta 7 dal cancello;stai all’ordini di Nello,ché per te pena è la testa.

23.

(Pia si sveglia)Pia Castellano, ov’è il mio Nello?

Mi ha lasciata addormentata.A me l’ordine l’ha datadi star chiusa i nel castello. 8

24.

(Nello a Ghino)Nello Ghino, più non sento pena.

L’ho rinchiusa e ’un vi è da dire.Ghino Se ti vuoi divertire,

tante donne trovi a Siena.

ANONIMO850

7 sorta: esca.8 i nel castello: nel castello.

25.

(Pia al romito)Pia Buon romito, per piacere,

se ascoltate mia preghiera.Son dannata prigioniera, 9

dal dolore e il dispiacere.

26.

Se incontrar potrete Nello,dite presto 10 l’abbandonoe morendo lo perdono.Gli darete questo anello.

27.

(A una donna in ginocchio)E tu misera che stailì pregando, qual tormento?

Donna Mio marito restò spentoe mai più dimenticai.

28.

Pia Anche a me, 11 se ti è concesso,dei pregar. Fra pochi giorni,quando qui tu ci ritorni,altra tomba vedrai appresso.

851Pia de’ Tolomei. Befanata

9 Son … prigioniera: Sono condannata ad essere prigioniera.10 dite presto: dite che presto.11 Anche a me: Anche per me.

29.

Ti regalo una crocetta,vedi, già imperlata d’oro.

Donna Pregherò. Le grazie imploroPer un’alma 12 benedetta.

30.

(Padre a Nello)Padre Nello, qua ti voi parlare:

la mia figlia dove sia. 13

Dunque, insegnami la via,la vuo’ andare a ritrovare. 14

31.

Nello Su, partiamo prestamente,non perdiamo di coraggio.Faticoso gli è il viaggio,ma di ciò non curiam niente. 15

32.

Romito Fermi qui, tu ascolterai.Debbo renderti un anello,ché Pia dentro il castellome lo diede, e io lo accettai.

ANONIMO852

12 Per un’alma: per un’anima.13 Nello … dove sia: Nello, ora ti voglio parlare: (per sapere)

dove sia la mia figlia.14 la vuo’ andare a ritrovare: voglio andare a ritrovarla.15 ma di … niente: ma di questo non ci importa niente.

33.

Ora andiamo ad altro sito,ristorarsi alla capanna.

Nello Chi è quell’uomo che si affanna?Ahimé, Ghino è ferito!

34.

Ghino Nello, mi perdonerai.Quel soldato era il fratello.Se l’hai chiusa nel castello,guarda se la salverai.

35.

Nello Ti dovrei qui trucidare.Ghino Vedi, un lupo mi ha sbranato.Nello Ora sconta il tuo peccato.

Io la Pia vo’ andà a trovare. 16

36.

Pia Quanto ormai ebbi a soffrire.Castellano, ti abbandono.Digli a Nello lo perdono.Ohi, mi sento di morire.

37.

Nello Affrettiamo la partenza,per sarvar 17 l’amata Pia.

853Pia de’ Tolomei. Befanata

16 Io la Pia vo’ andà a trovare: Io voglio andare a trovare la Pia.17 sarvar: salvare.

Sento in cuor l’anima mia:conosciuta è l’innocenza.

38.

Castellano, ov’è il mio amore?Siamo stanchi della gita.

Castellano È passata ad altra vita.Nello Ohi, mi sento schiantà 18 il cuore.

39.

Mesta mia moglie adorata,traditor l’infame Ghino, io di te fui l’assassino,io innocente condannata. 19

40.

Padre Il mio corpo al tuo è diviso.Figlia mia, fosti innocente.Pregherò l’onnipotente:ci vedremo in Paradiso.

41.

Coro Or cantiamo a questa gente,con gran pena e gran dolore, perché Ghino traditorefa morir la Pia innocente.

ANONIMO854

18 schiantà: schiantare.19 io innocente condannata: Io (ti ho) condannata innocente.

855Pia de’ Tolomei. Befanata

42.

Ora, o nobili persone,che ci avete qui ascoltato,sarà ognun ricompensatodella rappresentazione.

43.

E per darci una risorsa,ammirabil cittadini,preparate dei quattrini:viene lui con la sua borsa.

44.

Getti ognuno a piena mana, 20

se il buon cuore ognuno tiene,o un altr’anno ’un 21 si riviene a cantare la Befana.

Fine.

20 a piena mana: a piene mani.21 ’un si riviene: non si ritorna, non torniamo.

857

Indice

Parte I. La questione storica

CARLO CORSETTILa questione della Pia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

Parte II. I testi letterari

DANTE ALIGHIERIPurgatorio, V, 1309–1313 ca. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83

MATTEO BANDELLONovelle, I, 12, prima del 1524 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99

BARTOLOMEO SESTINILa Pia. Leggenda romantica, Roma, 1822 . . . . . . . . . . . . . . . . 119

GIACINTO BIANCOPia de’ Tolomei. Dramma storico, Napoli, 1836 . . . . . . . . . . . . 247

SALVATORE CAMMARANOPia de’ Tolomei. Tragedia lirica, Venezia, 1837 . . . . . . . . . . . . 341

CARLO MARENCOLa Pia. Tragedia, Torino, 1837 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 397

LIONARDO MORRIONEPia dei Tolomei, Palermo, 1858 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 529

PIETRO FREDIANIMaggio della Pia de’ Tolomei, Volterra, 1867 . . . . . . . . . . . . . . 617

858 Indice

GIUSEPPE MORONI detto il NiccheriPia de’ Tolomei, Firenze, 1874 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 663

GIUSEPPE BALDIPia de’ Tolomei, Firenze, 1874 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 697

CAROLINA INVERNIZIO,Pia de’ Tolomei. Romanzo storico, Milano, 1879 . . . . . . . . . . 715

PADRE PIO DA PALESTRINAPia de’ Tolomei, Foligno, senza data . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 819

ANONIMOLa Pia de’ Tolomei. Befanata, Lucca, 1980 . . . . . . . . . . . . . . . 841

Indice delle figure

1. Riproduzione dell’illustrazione premessaal primo canto del Purgatorionell’edizione di Venezia, Giolito, 1555 . . . . . . . . . . . . . . 85

2. Riproduzione del frontespizio della prima partedi Matteo Bandello, Novelle, Lucca, Busdrago, 1554 . . . 101

3. Riproduzione del frontespiziodi Bartolomeo Sestini, La Pia.Leggenda romantica, Roma 1822 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121

4. Riproduzione del frontespiziodi Giacinto Bianco, Teatro, Napoli 1938 . . . . . . . . . . . . . 249

5. Riproduzione del frontespiziodi [Salvatore Cammarano], Pia dei Tolomei.Tragedia lirica, Venezia 1837 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 343

6. Riproduzione del frontespiziodi Carlo Marenco, Tragedie, I, Torino 1837 . . . . . . . . . . . 399

7. Riproduzione del frontespiziodi Lionardo Morrione, Pia dei Tolomei.Tragedia, Palermo 1858 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 531

8. Riproduzione del frontespizio di [Pietro Frediani],Maggio della Pia de’Tolomei, Volterra 1867 . . . . . . . . . . . 619

9. Riproduzione di Giuseppe Moroni, Pia de’ Tolomei.Fatto storico, Firenze 1874 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 665

10. Trascrizione Basedella Pia de’ Tolomei di Giuseppe Moroni . . . . . . . . . . . . 695

859

11. Riproduzione del frontespiziodella Raccolta di canzonette berneschein ottava rima, Firenze 1874 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 699

12. Riproduzione del frontespiziodi Carolina Invernizio, Pia de’ Tolomei.Romanzo storico, Milano 1879 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 717

13. Riproduzione del frontespiziodi Padre Pio da Palestrina, Pia de’ Tolomei.Storia in ottava rima, Foligno, senza data . . . . . . . . . . . 821

860 Indice

AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche

Area 02 – Scienze fisiche

Area 03 – Scienze chimiche

Area 04 – Scienze della terra

Area 05 – Scienze biologiche

Area 06 – Scienze mediche

Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie

Area 08 – Ingegneria civile e Architettura

Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione

Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

Area 12 – Scienze giuridiche

Area 13 – Scienze economiche e statistiche

Area 14 – Scienze politiche e sociali

Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su

www.aracneeditrice.it

Finito di stampare nel mese di ottobre del 2007dalla tipografia « Braille Gamma S.r.l. » di Santa Rufina di Cittaducale (RI)

per conto della « Aracne Editrice S.r.l. » di Roma


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