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CAPITOLO TERZO LE CLAUSOLE GENERALI DI BILANCIO SOMMARIO: 1. Le clausole generali nel diritto contabile. – 2. La clausola della chiarezza. – 3. La clausola della verità. – 4. La clausola della correttezza. – 5. Le clausole generali e le deroghe al- le disposizioni specifiche della legislazione civilistica. 1. Le clausole generali nel diritto contabile. L’esame della disciplina dei bilanci di esercizio deve partire dall’analisi delle clausole generali, che hanno una posizione di supremazia su tutte le altre norme giuridiche dettate dal legislatore. L’art. 2423, 2° co., c.c. dice: “Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico del- l’esercizio”. Le clausole generali sono, pertanto, tre: a) la clausola della chiarezza; b) la clausola della verità; c) la clausola della correttezza. Il primo problema da esaminare concerne il rapporto tra queste tre clausole generali, i sei principi di redazione del bilancio indicati dall’art. 2423 bis c.c. e le norme di dettaglio contenute nel codice agli artt. 2423 ter e seguenti. Il sistema giuridico va costruito attraverso due regole. Prima regola. L’applicazione delle norme di dettaglio e dei principi di reda- zione comporta, di regola, il rispetto delle clausole generali, ma in caso di contra- sto prevalgono le clausole generali che sono sovraordinate alle norme di dettaglio. Seconda regola. Le clausole generali e i principi di redazione non sono pleo- nastici, ma operano in tre aree: a) la prima area abbraccia tutti i casi nei quali manca o non è chiara la norma di dettaglio specifica; b) la seconda area abbraccia tutti i casi nei quali, pur essendovi la norma di detta- glio, le informazioni richieste da tale norma non sono sufficienti a dare una rappre- sentazione veritiera e corretta, in guisa che si devono fornire le informazioni com- plementari necessarie allo scopo per assicurare il rispetto delle clausole generali; c) la terza area abbraccia i casi eccezionali nei quali l’applicazione di una norma di dettaglio sia, addirittura, incompatibile con la rappresentazione veritiera
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CAPITOLO TERZO LE CLAUSOLE GENERALI DI BILANCIO

SOMMARIO: 1. Le clausole generali nel diritto contabile. – 2. La clausola della chiarezza. – 3. La clausola della verità. – 4. La clausola della correttezza. – 5. Le clausole generali e le deroghe al-le disposizioni specifiche della legislazione civilistica.

1. Le clausole generali nel diritto contabile.

L’esame della disciplina dei bilanci di esercizio deve partire dall’analisi delle clausole generali, che hanno una posizione di supremazia su tutte le altre norme giuridiche dettate dal legislatore. L’art. 2423, 2° co., c.c. dice: “Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico del-l’esercizio”. Le clausole generali sono, pertanto, tre: a) la clausola della chiarezza; b) la clausola della verità; c) la clausola della correttezza.

Il primo problema da esaminare concerne il rapporto tra queste tre clausole generali, i sei principi di redazione del bilancio indicati dall’art. 2423 bis c.c. e le norme di dettaglio contenute nel codice agli artt. 2423 ter e seguenti.

Il sistema giuridico va costruito attraverso due regole. Prima regola. L’applicazione delle norme di dettaglio e dei principi di reda-

zione comporta, di regola, il rispetto delle clausole generali, ma in caso di contra-sto prevalgono le clausole generali che sono sovraordinate alle norme di dettaglio.

Seconda regola. Le clausole generali e i principi di redazione non sono pleo-nastici, ma operano in tre aree:

a) la prima area abbraccia tutti i casi nei quali manca o non è chiara la norma di dettaglio specifica;

b) la seconda area abbraccia tutti i casi nei quali, pur essendovi la norma di detta-glio, le informazioni richieste da tale norma non sono sufficienti a dare una rappre-sentazione veritiera e corretta, in guisa che si devono fornire le informazioni com-plementari necessarie allo scopo per assicurare il rispetto delle clausole generali;

c) la terza area abbraccia i casi eccezionali nei quali l’applicazione di una norma di dettaglio sia, addirittura, incompatibile con la rappresentazione veritiera

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e corretta, onde la disposizione specifica di dettaglio non deve essere applicata e troveranno, invece, applicazione le clausole generali

1. Ciò detto sul sistema di interpretazione della disciplina giuridica, veniamo

all’esame delle tre clausole generali previste dal legislatore.

2. La clausola della chiarezza.

La clausola della chiarezza ha un contenuto legale minimo tassativo. Il bilancio è chiaro se, in primo luogo, è rispettata la struttura legale tipica prevista dal legisla-tore per la situazione patrimoniale ed il conto economico e se la nota integrativa ri-specchia il contenuto previsto dall’art. 2427 c.c. Letteralmente il legislatore non chiede il rispetto del principio di chiarezza per la relazione degli amministratori sul-la gestione, prevista dall’art. 2428 c.c., ma, sperimentando l’interpretazione siste-matica, è agevole affermare che anche la relazione sulla gestione deve rispettare il principio di chiarezza e, normalmente, lo rispetta se il redattore osserva la normati-va contenuta nell’art. 2428 c.c.

Ma, allora, si domanda: il principio di chiarezza è diventato pleonastico nella nuova normativa o esce rafforzato dalla nuova disciplina, contenuta nella legge di riforma dell’anno 2003?

Confrontando la normativa previgente con la normativa in vigore può osser-varsi che il principio di chiarezza esce rafforzato per effetto della entrata in vigore della nuova normativa

2. Invero, la giurisprudenza della Corte di Cassazione 3

1 COLOMBO, Il bilancio d’esercizio, p. 65 ss.; CARATOZZOLO, Il bilancio di esercizio, p. 78 ss.; SASSO, Il bilancio d’esercizio, p. 173 ss. e ivi citazioni; CISI, L’evoluzione del bilancio del-le società non quotate, p. 5 ss.; DE ANGELIS, Elementi di diritto contabile, p. 5 ss.; ABATE-ROSSI, IAS/IFRS. US GAAP. Principi contabili italiani, p. 10 ss.

2 Per una analisi del principio di chiarezza nella legislazione previgente cfr. GHIDINI, Chia-rezza e precisione del bilancio, in Nuova riv. dir. comm., 1949, II, p. 4; ASQUINI, I battelli del Reno, in Riv. Soc., 1959, p. 267; ROSSI, Utile di bilancio, riserve e dividendi, p. 32; GRAZIANI, Diritto delle società, p. 293; COLOMBO, Il bilancio di esercizio delle società per azioni, p. 225 ss.; LIBONATI, La chiarezza e la precisione nei bilanci delle società per azioni, in Riv. dir. comm., 1969, I, p. 477 ss.; PORTALE, I beni iscrivibili in bilancio e la tutela dei creditori nella società per azioni, in Riv. soc., 1969, p. 257 ss.; LIBONATI, In tema di invalidità della delibera di approvazione del bilancio, in Riv. dir. comm., 1970, II, p. 193 ss.; FERRI, In tema di verità di chiarezza e di precisazione del bilancio di esercizio, in Riv. dir. comm., 1971, II, p. 247 ss.; FRÈ, Società per azioni, in Commentario cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, sub art. 2424, p. 613; BOCCHINI E., La «chiarezza» e la «precisione» dei bilanci delle società per azioni nell’evoluzione della dottrina e della giurisprudenza, in Riv. soc., 1972, p. 373; COTTINO, La chiarezza e precisione dei bilanci- spunti critici in margine a recenti polemiche, in Riv. soc., 1972, p. 1176; SANTONASTASO, Poste a memoria, principio di verità e di chiarezza e conto profitti e perdite, in Giur. merito, 1973, I, p. 510; BRUSA, Veridicità, attendibilità e chiarezza del bilancio d’esercizio, p. 5 ss.; FERRI, Nuove posizioni in tema di irregolarità di bilancio, in Riv. dir. comm., 1975, II, p. 297; BOCCHINI E., Evoluzione legislativa e giurisprudenziale della

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aveva, in passato, posto il principio di verità in una posizione di preminenza, ri- disciplina del bilancio (I principi di bilancio), in AA.VV. Il bilancio di esercizio. Problemi attuali, p. 3 ss.; BOCCHINI E., Il bilancio delle imprese, Napoli, 1979, p. 5 ss.; PALMA, Princi-pio di “chiarezza” e Cass. 9/2/79, n. 906, in Banca, borsa e tit. cred., 1980, II, p. 417; BONI, Nuova giurisprudenza della corte di cassazione in tema di chiarezza di bilancio, in Riv dir. comm., 1981, p. 629; PANSIERI, Interesse ad agire funzione informativa del bilancio e princi-pio di «chiarezza», in Giur. comm., 1981, II, p. 459; RORDORF, Note in tema di chiarezza nella redazione dei bilanci, in Società, 1986, p. 1062; SASSO C., Sulla continuità dei bilanci e sul principio di chiarezza, in Giur. comm., 1984, II, p. 732; BARTALINI, I principi di chiarezza e precisione del bilancio e l’interesse all’impugnazione, in Foro pad., 1988, I, p. 25; JAEGER, Il bilancio d’esercizio delle società per azioni. Problemi giuridici, p. 35; OSTI, Chiarezza, preci-sione e verità del bilancio, in Giust. civ., 1988, II, p. 369; RANGO, Sul principio di continuità e sulla chiarezza e precisione dei bilanci, in Giur. comm., 1988, II, p. 932; SALAFIA, Aspetti giu-ridici del bilancio d’esercizio, in Riv. not., 1988, p. 277; D’ACUNTI, Ancora sui principi di chiarezza, precisione e verità del bilancio d’esercizio - Le prestazioni accessorie in danaro imposte ai soci dalle federazioni locali delle casse rurali ed artigiane, in Mondo bancario, 1990, fasc. 5, p. 56; MARANO, “Chiarezza” e “precisione” o “verità” del bilancio, in Foro cosentino, 1990, fasc. 11, p. 11; VIDIRI, Vecchio e nuovo in tema di bilancio d’esercizio, in Fo-ro it., 1991, I, p. 3423; SASSO, Società per azioni. Il bilancio d’esercizio, p. 173 ss.

Dopo la attuazione della IV Direttiva v. JORIO, Il principio di chiarezza, in Il progetto italiano di attuazione della IV Direttiva, p. 95; SALAFIA, Chiarezza del bilancio: documenti allegati e chiarimenti in assemblea, in Società, 1992, p. 679; GAVA, Clausole di redazione del bilancio: chiarezza verità e correttezza, in Società, 1993, p. 1463; PATRONI GRIFFI, Dai principi di chia-rezza e precisione alla rappresentazione veritiera e corretta: prime riflessioni sistematiche, in Giur. comm., 1993, I, p. 387; COLOMBO, Il bilancio d’esercizio, p. 67 ss.; CAMPOLATTARO, Vio-lazione dei principi di « chiarezza » e « precisione » del bilancio, in Impresa, 1995, p. 1906; CO-LOMBO, Nullità o annullabilità per la violazione dei principi di chiarezza e precisione?, in Socie-tà, 1995, p. 1316; COLLEONI, Principi di chiarezza e precisione, criteri di valutazione delle azioni proprie in portafoglio, clausole di gradimento, in Nuova giur. civ., 1997, I, p. 856; BALZARINI, Autonomia dei principi di chiarezza, verità e correttezza, in Società, 1998, p. 791; BIANCHI, Le clausole generali della «chiarezza» e della rappresentazione «in modo veritiero e corretto», in AA.VV., La disciplina giuridica del bilancio di esercizio, p. 5 ss.; ANCILLOTTI, Principio di chia-rezza e funzione informativa del bilancio sociale, in Riv. not., 2008, II, p. 1127.

3 Secondo Cass., 23.3.1993, n. 3458, in Società, 1993, p. 1463, il principio di chiarezza e precisione è strumentale al rispetto del principio di verità e va inteso «in funzione della finalità da questo perseguita», sicché deve escludersi che l’inosservanza della regola enunciata nel 2° co. dell’art. 2423, c.c., «valga a produrre la nullità della deliberazione di approvazione del bi-lancio anche nei casi in cui risulti soddisfatta l’esigenza di verità» o quando si tratti di «viola-zione meramente formale ed apparente» delle disposizioni che disciplinano il contenuto del bilancio, pur riconoscendosi la natura imperativa delle norme a tal fine dettate dal c.c. 3. In senso conf. v. Trib. Crema, 22.1.1993, in Società, 1993, p. 1067; Trib. Trieste, 18.11.1992, in Società, 1993, p. 798; Cass., 4.2.1992, n. 1211, in Società, 1992, p. 645; App. Milano, 23.7.1991, in Società, 1992, p. 49; Cass., 27.2.1985, n. 1699, in Foro it., 1985, I, c. 2661; Cass., 16.12.1982, n. 6492, in Giur. it., 1983, I, 1, p. 197; Cass., 29.3.1979, n. 1813, in Dir. fallim., 1979, II, p. 360; Arch. civ., 1979, p. 931; Cass., 9.2.1979, n. 906, in Giur. comm., 1979, II, p. 351; Cass., 28.7.1977, n. 3373, in Foro it., 1978, I, c. 142; Giur. it., 1978, I, 1, c. 37; Giur. comm., 1978, II, p. 33, n. Jaeger; Giust. civ., 1978, I, p. 532; Trib. Napoli, 8.10.1975, in Giur. comm., 1976, II, p. 38; Trib. Milano, 25.10.1971, in Giur. it., 1972, I, p. 2. Sull’analisi di questa giurisprudenza v. COLOMBO, Il bilancio d’esercizio, p. 70 ss.

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spetto al principio di chiarezza, ravvisando tra i due principi un rapporto di stru-mentalità, nel senso che la chiarezza doveva ritenersi “ancella della verità”. La chiarezza — diceva la Cassazione — è al servizio della verità, nel senso che il di-fetto di chiarezza non comporta l’invalidità del bilancio, a meno che l’oscurità complessiva del bilancio sia tale da compromettere la stessa intelligibilità del bi-lancio e, quindi, in ultima analisi la verità dello stesso.

Il nuovo testo dell’art. 2423 offre argomenti testuali e sistematici per ribaltare questo rapporto di strumentalità e di subordinazione della chiarezza alla verità. Partiamo dal dato testuale. La legge non dice: “Il bilancio deve essere redatto con chiarezza, verità e correttezza”, ma “Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale (...)”. Tale collocazione, in posizione di preminenza, della clausola generale della chia-rezza riscatta quel rapporto di subordinata strumentalità della chiarezza, rispetto alla verità, che la Cassazione aveva ipotizzato, ma che la dottrina

4, e anche noi, avevamo contestato e criticato, sotto il vigore della precedente normativa. Tale nostra critica è, oggi, avvalorata da numerosi argomenti sistematici:

a) all’antica relazione sulla gestione si aggiunge e non si sostituisce la nota in-tegrativa, (art. 2427 c.c.), accentuando, così, notevolmente il grado di chiarezza, mercé il complesso delle informazioni contabili prescritte per legge;

b) la situazione patrimoniale, il conto economico e la nota integrativa costitui-scono un tutto inscindibile;

c) gli schemi legislativi di situazione patrimoniale (art. 2424 c.c.) e di conto economico (art. 2425 c.c.) sono più chiari, avendo il legislatore recepito e, perciò, giuridicizzato tutte le regole della buona ragioneria;

d) la quantità e qualità di informazioni richieste dalla nota integrativa e dalla relazione sulla gestione sono aumentate.

La chiarezza esce, dunque, rafforzata per effetto della nuova normativa di ri-forma del diritto societario, anche se lo spazio di operatività del principio di chia-rezza è, ormai, diminuito, nel momento stesso nel quale il legislatore ha recepito l’esigenza di chiarezza e tradotto le regole tecniche di chiarezza in norme di leg-

4 LIBONATI, La chiarezza e la precisione nei bilanci delle società per azioni, in Riv. dir. comm., 1969, I, p. 526 ss.; BOCCHINI E., La chiarezza e la precisione dei bilanci, in Riv. soc., 1972, p. 373; COTTINO, La chiarezza e precisione dei bilanci: spunti critici in margine a re-centi polemiche, in Riv. soc., 1972, p. 1176 ss. PACIELLO, La clausola generale della precisio-ne di bilancio, p. 65; COLOMBO, Il bilancio d’esercizio, p. 54 ss.; RORDORF, Impugnazione e controlli giudiziari sul bilancio d’esercizio di società di capitali, in Giur. comm., 1994, I, p. 854 ss.; JAEGER, Osservazioni a Cass. 3.09.1996, n. 8048, in tema di nullità del bilancio per violazione del principio di chiarezza, in Giur. comm., 1997, II, p. 249; RORDORF, Osservazioni in tema di bilancio d’esercizio delle società di capitali, in Foro it., 1998, I, p. 540; JAEGER, Violazione del principio di chiarezza e invalidità della delibera di approvazione del bilancio. (Considerazioni sul “diritto all’informazione” degli azionisti), in Giur. comm., 2000, II, p. 73; SALAFIA, Chiarezza del bilancio ed informazione del socio: composizione di un contrasto giu-risprudenziale, in Società, 2000, p. 551.

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ge: il rispetto delle norme di legge già assicura, in massima parte, invero, il rispet-to del principio di chiarezza

5. Prova ne sia che l’art. 2423, 3° co., c.c. letteralmen-te non richiede informazioni supplementari, in ordine alla chiarezza del bilancio, perché ritiene, ma a torto, che le informazioni richieste dalle singole norme di legge che prescrivono lo schema di bilancio siano sufficienti a fornire una rappre-sentazione chiara

6. Ma va detto che, probabilmente, nel 3° co. dell’art. 2423 c.c. la correttezza ingloba anche la chiarezza e, pertanto, l’obbligo di “fornire le in-formazioni complementari” riguarda anche l’ipotesi di insufficienza di chiarezza del bilancio

7. Nella precedente edizione ci eravamo chiesti se la Corte di Cassa-zione, di fronte alla nuova normativa, avrebbe conservato o meno la vecchia con-cezione del principio di chiarezza, come principio meramente strumentale al pre-cetto della verità e, pertanto, privo di sanzione autonoma, salvi i casi eccezionali

5 Così, SALAFIA, Chiarezza del bilancio ed informazione del socio, in Società, 2000, p. 560; VIDIRI, I principi di chiarezza e di verità nel bilancio di esercizio delle S.p.A., in Corr. giur., 2000, p. 1212; BUTTURINI, Autonoma rilevanza del principio di chiarezza del bilancio: le sezioni unite accolgono l’orientamento della dottrina prevalente, in Nuova giur. civ., 2001, I, D. 336; CARATOZZOLO, Il bilancio di esercizio, p. 106. In ordine alla distinzione esistente tra chiarezza e precisione, cfr., Cass., Sez. Unite, 21.2.2000, n. 27, in Giur. comm., II, p. 73, se-condo la quale il bilancio d’esercizio di una società di capitali che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, 2° co., c.c. (anche nel testo anteriore alle modificazioni appor-tate dal d.lgs. n. 127 del 9.4.1991) è illecito ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui esso sia stato approvato, non soltanto quando la violazione della normativa in materia de-termini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio (o il dato destinato alla rappre-sentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi un cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia desumibile l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole essere fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.

6 CARATOZZOLO, Il bilancio di esercizio, p. 105 ss.; in ordine, invece, al mancato rispetto dei principi di chiarezza e precisione nella redazione del bilancio e delle conseguenze che ne derivano, cfr. GALGANO, Sulla validità delle deliberazioni assembleari di approvazione del bilancio, in Contratto e impresa, 1988, p. 1 ss.

7 COLOMBO, Dalla chiarezza e precisione alla rappresentazione veritiera e corretta, in Il bilancio di esercizio, p. 27. Sulla necessità di valutare la chiarezza del bilancio in base anche ai documenti che ad esso vanno allegati per legge, cfr., Cass., 23.3.1993, n. 3458, in Giur. it., 1994, I, 1, p. 10, e, App. Milano, 22.10.1993, in Società, 1994, p. 225; in particolare, poi, Trib. Trieste, 18.11.1992, in Società, 1996, p. 798 ss., ritiene che possibili deficienze ed oscurità del bilancio possono essere eliminate dalle notizie e dai chiarimenti forniti dalla relazione degli amministratori e dei sindaci, cui va riconosciuto valore integrativo al fine dell’adempimento dell’obbligo di chiarezza; non è violato il principio di chiarezza quando la violazione comporta un’oscurità irrilevante ai fini dell’informazione sulla situazione economica e finanziaria della società; tale rilevanza deve però essere valutata con riferimento alla singola società e non in senso assoluto, in tal senso, cfr., App. Milano, 4.12.1992, in Società, 1993, 8, p. 1055; in ordi-ne alle informazioni cd. complementari, cfr., Trib. Milano, 31.10.1991, in Società, 1992, p. 679, con nota adesiva di Salafia; ed ancora sulla delibera di approvazione di un bilancio non chiaro e non preciso, cfr., App. Milano, 4.12.1992, in Società, 1993, p. 1055 ss., con nota ade-siva di Balzarini; Trib. Bologna, 7.1.1995, in Società, 1995, p. 944 ss.

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nei quali la mancanza di chiarezza leda la verità del bilancio o la conoscenza della stessa reale situazione della società.

Ora, se in un primo momento la Corte, restia a mutare il proprio indirizzo, ha continuato a ritenere che il principio di chiarezza dovesse considerarsi un’appen-dice del principio di verità

8, in un secondo momento, spinta probabilmente anche dalle insistenti voci della dottrina e della giurisprudenza di merito, ha mutato il proprio orientamento riconoscendo alla chiarezza autonomia ed indipendenza, alla pari degli altri precetti, con una sentenza dell’anno 2000 a Sezioni Unite

9. Ciò detto sul valore imperativo del principio di chiarezza, veniamo ad esami-

nare il campo di applicazione del principio di chiarezza. Quando il legislatore ri-corre ad una clausola generale, in aggiunta alle norme di dettaglio, evidentemente vuole dettare una norma di chiusura del sistema. Si pensi, per esempio, al diritto delle obbligazioni, nel quale il legislatore ha dettato norme specifiche di compor-tamento per il debitore, e per il creditore, ma ha, poi, previsto la clausola generale della “correttezza” (art. 1175), in funzione integrativa degli obblighi specifici e quale fondamento di obbligazioni collaterali che, volta a volta, possono essere specificate in concreto dal giudice, in funzione delle singole situazioni concrete e non predeterminabili completamente a priori in astratto

10.

8 Alla giurisprudenza della cassazione si è opposta la giurisprudenza di merito, soprattutto milanese, che ha affermato l’autonomia e la natura imperativa del principio di chiarezza: Trib. Milano, 5.1.1981, in Giur. comm., 1981, II, p. 458; Trib. Milano, 16.6.1983, in Società, 1984, p. 30; Trib. Milano, 9.7.1987, in Società, 1987, p. 1020; Trib. Milano, 16.6.1988, in Società, 1988, p. 1148.

9 Secondo Cass., SS. UU., 21.2.2000, n. 27, in Giur. comm., 2000, II, p. 73, il bilancio d’esercizio di una società di capitali, che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dal-l’art. 2423, 2° co., c.c. (anche nel testo anteriore alle modificazioni apportate dal d.lgs. n. 127 del 9.4.1991), è illecito, ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui esso sia stato approvato, non soltanto quando la violazione della normativa in materia determini una divari-cazione tra il risultato effettivo dell’esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione com-plessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desume-re l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte. E più di recente v. Cass., 9.5.2008, n. 11554, in Riv. not., 2008, II, p. 1120; Cass., 2.5.2007, n. 10139, in Giust. Civ., 2008, I, p. 441 (n. Vidiri); Cass., 7.3.2006, n. 4874, in Giust. civ. mass., 2006, p. 3. Conf. Trib. Milano, 13.5.2002, in Società, 2003, p. 756; Trib. Mi-lano, 5.11.2001, in Giur. it., 2002, p. 554; App. Napoli, 13.5.2002, in Società, 2002, p. 1123. Non chiara è, invece, la sentenza Trib. Milano, 28.5.2007, in Guida al diritto, 2007, f. 30, p. 48 secondo la quale se è vero che ogni socio ha un interesse giuridicamente protetto, alla rappre-sentazione chiara e veritiera che il bilancio di esercizio deve realizzare relativamente alla situa-zione economico-patrimoniale della società, va rilevato che tale interesse esiste ed è tutelato sino a quando una rappresentazione eventualmente non corretta, fornita dal bilancio sociale, sia suscettibile d’influenzare l’attività d’impresa e le scelte gestionali effettuate nell’ambito della stessa (con possibile danneggiamento degli interessi comuni dei soci).

10 BRECCIA, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato, diretto da Iudica e Zatti, p. 355 ss. ove una rassegna completa di dottrina e giurisprudenza sulla regola della correttezza in di-

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E, allora, quando non è chiaro un bilancio, che rispetti gli artt. 2424, 2425, 2427, 2428 c.c.? Non è chiaro un bilancio che non contenga, in modo chiaro, le “poste aggiuntive” agli schemi previsti dal codice, in presenza di cespiti o rapporti giuridici ulteriori, in relazione ai diversi settori dell’economia delle imprese (es. contratti di leasing, di vendita a rate, diritti di usufrutto, diritti di servitù ecc.). Le poste atipiche, perché non previste dal legislatore, debbono essere “chiare” in sé, come dizione, con riguardo alla topica del bilancio, vale a dire alla collocazione delle poste, nel contesto generale, rispettando le regole del sistema giuridico.

La chiarezza è, dunque, un principio imperativo in sé, equiordinato agli altri principi di verità e correttezza, e la sua violazione deve comportare la stessa san-zione giuridica, vale a dire la nullità della delibera di approvazione del bilancio non chiaro

11. Se esistono altre voci atipiche oltre quelle previste dal legislatore o, nonostante il rispetto delle norme specifiche, il bilancio e, in particolare, la nota integrativa rimangono oscuri, i redattori del bilancio hanno l’obbligo da un lato di indicare tali cespiti ulteriori, in modo chiaro, e dall’altro di dare tutte le informa-zioni complementari necessarie per rendere il bilancio chiaro, facendo appello, in

ritto privato. V. inoltre DELL’AQUILA, La correttezza nel diritto privato, p. 15 ss.; CANNATA, Le obbligazioni in generale, in Trattato Rescigno, vol. IX, p. 42 ss.; GAMBINO, Il principio di correttezza nell’ordinamento delle società per azioni, Milano, 1987, p. 145 ss.; BESSONE-D’ANGELO, voce Buona fede, in Enc. giur. T., vol. V, p. 3 ss.; DI MASO, Obbligazioni, in Enci-clopedia giuridica Treccani, vol. XXI, p. 5 ss.; PATRONI GRIFFI, Dai principi di chiarezza e precisione alla rappresentazione veritiera e corretta: prime riflessioni sistematiche, in Giur. comm., 1993, p. 387 ss.; in giurisprudenza, va rilevata la posizione del Trib. Vicenza, 23.3.1999, in Dir. fall., 1999, II, p. 567, secondo cui l’esigenza di chiarezza è riferita al bilan-cio nella sua unitarietà e non alle singole voci di cui esso si compone, cioè dal bilancio deve essere agevolmente percepibile (da un esperto) la situazione economico-patrimoniale della so-cietà che il bilancio deve rappresentare; inoltre, Trib. Napoli, 31.10.1991, in Società, 1992, 5, p. 679 ss., ha ritenuto che la chiarezza del bilancio deve essere affermata o negata sulla scorta del documento contabile, degli allegati e dei chiarimenti forniti nel corso dell’assemblea; i do-cumenti a questi estranei non possono in alcun modo essere funzionali alla verifica del rispetto del principio dell’art. 2423 c.c.

11 Secondo Cass., 7.3.2006, n. 4874, in Giust. civ. Mass., 2006, f. 3, nella disciplina legale del bilancio d’esercizio delle società, il principio di chiarezza non è affatto subordinato a quel-lo di correttezza e veridicità del bilancio medesimo, ma è dotato di autonoma valenza essendo obiettivo fondamentale del legislatore quello di garantire non solo la veridicità e correttezza dei risultati contabili, ma anche la più ampia trasparenza dei dati di bilancio che a quei risultati conducono. Conseguentemente, il bilancio d’esercizio di una società di capitali che violi il pre-cetto di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, 2° co., c.c. (anche nel testo anteriore alle modificazioni apportate dal d.lgs. n. 127/1991) è illecito, ed è quindi nulla la deliberazione as-sembleare con cui esso è stato approvato, non soltanto quando la violazione determini una di-varicazione tra il risultato effettivo dell’esercizio e la rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società, e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti quei casi in cui dal bilancio non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.

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entrambi i casi, alla regole della buona ragioneria, compatibili con le norme giuri-diche, le quali serviranno a specificare la clausola generale della chiarezza.

Ma, in tempi recenti, la giurisprudenza della Corte di Cassazione va oltre in due direzioni. Da un lato la Cassazione ritiene che la chiarezza non si esaurisca nella struttura del bilancio vale a dire nell’area normativa degli artt. 2424 e 2425 che detta le voci di bilancio, ma più incisivamente individua nel precetto della chia-rezza l’obbligo del redattore del bilancio di dare a tutti i destinatari del documento contabile tutta la “gamma di informazione” che l’ordinamento giuridico assegna al bilancio

12; dall’altro la Cassazione chiarisce che il diritto all’informazione non compete soltanto al socio, onde l’approvazione da parte dei soci di un bilancio non chiaro non impedisce di pronunziare la nullità del bilancio per difetto di chiarezza, essendo anche la chiarezza, come la verità, un precetto posto a tutela del diritto all’informazione dei terzi, oltre che dei soci

13. Queste connotazioni del principio di chiarezza che la Corte di Cassazione evi-

denzia, nei tempi recenti, rivelano una portata sistematica a prima vista insospet-tabile. Se, invero, si tiene distinto, sulla base di un insegnamento autorevole del passato (Simonetto), seguito ancor ora (Caratozzolo), la nozione di funzione del bilancio dalla sua utilizzazione da parte del legislatore, è possibile prendere posi-zione contro un insegnamento molto diffuso che, partendo dalla dipendenza asso-luta dello scopo del bilancio dalle utilizzazioni “a carattere organizzativo” che il legislatore ne fa, nel sistema del codice civile, perviene alla conclusione di un as-soluto divario e di una netta incompatibilità tra la funzione informativa del bilan-cio assegnata dai principi contabili internazionali al bilancio e le utilizzazioni del bilancio di esercizio da parte del codice civile, nel diritto societario italiano e, quindi, alla affermazione della assoluta incompatibilità tra regolazione nazionale e regolazione internazionale del bilancio di esercizio

14. La distinzione concettuale tra funzione del bilancio e sua utilizzazione da parte del legislatore, ora proposta all’attenzione della dottrina e della giurisprudenza della Corte di Cassazione testè ricordata, consente, come diremo quando tratteremo dei principi contabili interna-zionali, di superare questa presunta incompatibilità tra regolazione nazionale e re-golazione internazionale

15.

12 Cass., 9.5.2008, n. 11554, in Riv. Not., 2008, II, p. 1120; Cass., 7.3.2006, n. 4874, in Giust. civ. Mass., 2006, f. 3; Cass., 2.5.2007, n. 10139, in Giust. civ., 2008, I, p. 441 e già App. Napoli, 13.5.2002, in Società, 2002, p. 1123.

13 Cass., 9.5.2008, n. 11554, in Riv. Not., 2008, II, p. 1120. 14 V. da ultimo STRAMPELLI, L’introduzione dei Principi IAS_IFRS, cit., p. 322 ss. e ivi ri-

chiami di dottrina. 15 Sul punto v. infra p. 418, adde Cass., 24.7.2007, n. 16388, in Giust. civ., 2008, I, p. 2899 se-

condo cui la chiarezza del bilancio non sana il difetto dei requisiti di correttezza e veridicità (fatti-specie in tema di ricavi della società provenienti da conferimenti in altre società con proventi incer-ti).

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3. La clausola della verità.

E veniamo alla clausola generale della verità. L’art. 2423, 2° co., c.c. dice: “Il bilancio deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio”.

Cosa significa “rappresentazione veritiera” del bilancio nell’art. 2423 c.c.? La Relazione al decreto legislativo n. 127 dice: “L’uso dell’aggettivo veritiero,

riferito al rappresentare la situazione patrimoniale, economica e finanziaria, non significa pretendere dai redattori del bilancio — né promettere ai lettori di esso — una verità oggettiva di bilancio, irraggiungibile con riguardo ai valori stimati, ma richiede che i redattori del bilancio operino correttamente le stime e ne rappresen-tino il risultato (si veda del resto l’art. 2217, secondo comma, c.c.)”.

Secondo la relazione, quindi, sembrerebbe che la verità in sé non esiste, perché essa si tradurrebbe nella “correttezza” delle stime e delle valutazioni. Il principio di verità — si dice (Fortunato) — si relativizza e si responsabilizza attraverso il principio di correttezza. Ma la Relazione va approfondita: “verità” e “correttezza” sono principi distinti, anche se collegati o sono principi identici?

Per cominciare se la legge aggiunge l’espressione correttezza a quella della ve-rità, l’interprete deve tentare di dare un contenuto alle due espressioni legislative, prima di vanificare il dato letterale della legge (rappresentazione veritiera e cor-retta). Quale, dunque, il contenuto del principio di verità?

Quando si parla di “verità” e di “valutazioni” occorre distinguere, ai nostri fini, i valori di bilancio in due categorie: valori certi e valori stimati

16. Per quanto at-tiene ai primi, verità significa la rilevazione puntuale della realtà fisica e, pertanto, una dichiarazione di scienza dalla quale esula ogni giudizio di valore tecnico-discrezionale. La voce cassa è vera se, nella realtà, fisicamente esiste tanto danaro quanto è indicato dalla cifra della voce “cassa”. In questo caso non vi è spazio per la valutazione della posta, onde il principio di verità non aggiunge nulla che non sia contenuto nella disposizione specifica di legge sulla voce “Danaro in cassa” dello stato patrimoniale.

Per quanto attiene, invece, ai valori stimati o congetturati, la legge indica criteri rigidi di valutazione (es. criterio del costo di acquisto o di produzione) e, talora, (es. criterio del presumibile valore di realizzo per i crediti), criteri elastici. Si domanda: che funzione ha la norma che detta il principio di verità (legale), posto che la verità legale è già assicurata dalle specifiche disposizioni di legge rigide sulla valutazio-ne? Si risponde che la clausola generale va interpretata come norma sovraordinata alle norme di dettaglio e, perciò, come norma di chiusura del sistema

17.

16 Per alcuni esempi giurisprudenziali, cfr., in particolare, App. Roma, 14.10.1991, in So-cietà, 1992, p. 336 ss., con nota adesiva di Colombo; nonché, Trib. Firenze, 18.5.1993, in Riv. soc., 1994, p. 632 ss., con nota adesiva di Desario.

17 Così SUPERTI FURGA, Il significato conoscitivo della nozione di “verità” nel linguaggio dei

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Infatti non vi è dubbio che, normalmente, l’osservanza delle disposizioni spe-cifiche di legge comporta anche l’osservanza del principio di verità. Pertanto il campo di maggiore applicazione del principio di verità è non già quello delle di-sposizioni specifiche di valutazioni, ma tutta l’area che si pone al di fuori del campo di azione delle specifiche disposizioni di legge. In quest’area, il principio di verità opera in tre direzioni:

a) in una prima direzione, il principio di verità opera in tutti i casi nei quali manca una disposizione specifica di legge (si pensi ad esempio alla valutazione dei contratti di leasing, di usufrutto, di acquisto a titolo gratuito, di acquisto a rate di beni mobili o immobili);

b) in una seconda direzione, il principio di verità opera in tutti i casi nei quali le disposizioni specifiche di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazio-ne veritiera (art. 2423, 3° co., c.c.);

c) in una terza direzione, il principio di verità opera in tutti i casi eccezio-nali nei quali l’applicazione delle disposizioni specifiche di legge è incompa-tibile con una rappresentazione veritiera (art. 2423, 4° co., c.c.).

In tutti questi casi i redattori del bilancio debbono applicare il principio di veri-tà per dare una rappresentazione veritiera della situazione patrimoniale e finanzia-ria della società e del risultato economico dell’esercizio. La rappresentazione veri-tiera deve essere valutata non in base a criteri legislativi che, qui, per le ragioni dette, non soccorrono, ma in base a criteri economico-aziendali, vale a dire in ba-se a corretti principi contabili

18, reputati dal giudice compatibili con il sistema delle norme legislative, attraverso il controllo giudiziario. bilanci. Una proposta di definizione operativa, in Giur. comm., 1985, p. 1030 ss.; ID., Reddito e capitale nel bilancio di esercizio, Milano, 1991, p. 45 ss.; MARANO; “Verità” del bilancio, fondi ed ammortamenti anticipati, in Giur. comm., 1990, II, p. 802; GAVA, Clausole di redazione del bilancio: chiarezza, verità e correttezza, in Società, 1993, p. 1463; per la distinzione, invece, tra verità legale e verità reale in materia di bilanci e per il problema del reato di false comunicazioni sociali in materia penale, cfr., Cass. pen., 16.12.1994, in Giur. it., 1995, col. 385, con nota di Conti; per la distinzione esistente tra verità, veridicità assoluta e veridicità relativa, cfr., CAMPI, Il falso in bilancio. Veridicità e falsità del bilancio, in Riv. dott. comm., 1998, p. 395 ss.

18 Il raffronto tra disposizioni specifiche di legge e principio di verità va correttamente inte-so. Se si esalta, ponendola a centro del sistema, l’eccezione, rappresentata dal caso eccezionale nel quale l’applicazione della disposizione specifica di legge è incompatibile con la rappresen-tazione veritiera, il sistema è scardinato perché viene alterato il piano di normazione posto in essere dal legislatore. In questa prospettiva si è arrivati a sostenere che se lo stesso legislatore dice (art. 2423, 4° co., c.c.) che non sempre il principio di verità è garantito dalle norme di det-taglio sul bilancio: ciò vuol dire che a centro del sistema di bilancio vi sono le regole tecniche della buona ragioneria e non le norme legislative, affermandosi una sorta di preminenza dei principi contabili sulle norme di legge (DE DOMINICIS, CARATOZZOLO). Ma la dottrina azienda-listica, che fa perno su tale argomento per scardinare il principio di supremazia della normativa legislativa sulla normativa contabile, non si accorge che confonde la regola con l’eccezione. Non si accorge che proprio per evitare tale risultato il legislatore ha ormai trasformato i più importanti principi contabili in norme di legge di redazione del bilancio, nell’art. 2423 bis c.c.

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Le clausole generali di bilancio 69

In tempi recenti la Corte di giustizia europea, con la sentenza 14.9.1999, C-275/97

19, ha confermato l’opinione espressa nel testo affermando che il principio del quadro fedele (leggi rappresentazione veritiera e corretta) “esige, da un lato, che i conti riflettano le attività e le operazioni che si ritiene che essi debbano prescrivere e, dall’altro, che le informazioni contabili siano date nella forma giuridica più valida e più idonea a soddisfare la necessità di informare i terzi, senza arrecare pregiudizio agli interessi della società”.

Analoga conferma alla tesi da noi esposta viene anche dalla giurisprudenza ita-liana

20 che non esita a tradurre, parafrasando una nostra espressione, il principio di verità del bilancio nel “principio di verità legale” e dalla dottrina e giuridica

21 e aziendalistica

22. Va solo osservato, con riferimento ai valori stimati, che l’accerta-mento tecnico della dottrina, a nostro avviso, cade troppo sulle applicazioni dei Non si accorge che quando la società redige il bilancio nel rispetto delle disposizioni specifiche di legge e dei principi giuridici di redazione del bilancio, l’onere della prova è rovesciato: il bilancio si presume chiaro, vero e corretto e chi vuole impugnarlo deve accollarsi l’onere non lieve di dimostrare che le norme di legge applicate (che, sia detto per inciso, oggi hanno già inglobato in sé i corretti principi contabili) non danno una rappresentazione veritiera! In so-stanza l’impugnativa di bilancio, quando sono state rispettate tutte le norme specifiche di legge e i principi giuridici di redazione, non può fondarsi su una mera opinione difforme da quella dei redattori del bilancio. Se, come insegna la teoria generale dell’interpretazione, si attribuisce alla legge il senso fatto palese dalla “connessione delle espressioni usate dal legislatore” (inter-pretazione logica e sistematica) e dalla “intenzione del legislatore” (interpretazione teleologi-ca), è possibile pervenire ad una soddisfacente interpretazione complessiva della normativa, tenendo presente che la giurisprudenza più recente della Corte di Cassazione ritiene, ormai, che il ricorso alla intenzione del legislatore non abbia carattere meramente sussidiario, rispetto al-l’interpretazione letterale, bensì paritario (Cass., 18.4.1983, n. 2663, in Giust. civ. Mass., 1983; Cass., 26.8.1983, n. 5493, in Giust. civ. Mass., 1983). Tanto premesso, il punto centrale è che lo scopo che il legislatore ha voluto perseguire è stato quello di giuridicizzare, trasformandole in norme di diritto, non solo le regole specifiche della buona ragioneria ma anche i più impor-tanti principi contabili di redazioni del bilancio. Pertanto sia le disposizioni specifiche di legge sia i principi di redazione del bilancio (art. 2423 bis c.c.) sono stati dettati allo scopo di dare una rappresentazione veritiera della situazione patrimoniale di funzionamento e del risultato economico dell’esercizio, proprio secondo le regole della buona ragioneria divenute, ormai, norme di diritto. La verità della quale parla la legge è, dunque, data di regola, proprio dal ri-spetto delle regole legislative specifiche sulle valutazioni. Per una disamina dei criteri di inter-pretazione del bilancio, cfr., BRANCIARI, Il bilancio d’esercizio fra clausole generali, norme specifiche e principi contabili: un’interpretazione alternativa, in Riv. dott. comm., 1992, p. 413 ss.; GANDOLFI, Interpretazione del bilancio e principio di conservazione, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 269 ss.

19 Vedila pubblicata in Società, 1999, p. 369 con nota di Balzarini. 20 Trib. Milano, 24.11.1999, in Giur. it., 2000, p. 2368. 21 SALAFIA, I nuovi criteri di valutazione nella redazione del bilancio, in Società, 1991, p.

1171; ID., Caratteri generali del bilancio e principi di redazione, in Società, 1991, p. 1611 ss.; BOCCHINI E., Manuale di diritto, p. 220.

22 VENUTI, Le clausole generali del bilancio, in Riv. dott. comm., 2003, p. 204 e autori ivi citati.

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principi contabili o sulle regole tecniche della buona ragioneria, dimenticando tre elementi: a) le regole tecniche, ormai, sono state in gran parte giuridicizzate e an-cor più ciò avverrà in futuro con il recepimento dei principi contabili internazio-nali che, una volta omologati dagli ordinamenti giuridici, introducono negli ordi-namenti una tale quantità di regole, prima solo tecniche, ma, dopo l’omologa-zione, ormai giuridiche, da ridurre drasticamente l’area libera da regole giuridiche e occupata dalla regole della economia aziendale; b) l’ordinamento giuridico con-tabile, ormai, si è arricchito non solo di una notevole quantità di regole giuridiche astratte, ma anche di una serie di pronunce giurisprudenziali che, specificando le astratte regole giuridiche in una miriade di regolette applicative giurisprudenziali, per i singoli accadimenti aziendali, restringono ancor più l’area libera da regola-zione giuridica, in forza del “diritto giurisprudenziale”, c) infine il giurista ben conosce il problema delle lacune legislative, ma conosce anche gli strumenti er-meneutici per porvi rimedio, attraverso la teoria della interpretazione della norma giuridica che prevede il ricorso alla interpretazione estensiva, all’analogia e ai principi giuridici generali per integrare l’ordinamento giuridico-contabile.

In conclusione il rispetto del principio di “verità legale” impone, alla fine, sempre il controllo giudiziario di compatibilità con l’ordinamento giuridico-con-tabile di qualsiasi principio contabile proposto dall’economista, in uno Stato so-ciale di diritto

23.

4. La clausola della correttezza.

E veniamo alla clausola della correttezza. L’art. 2423, 2° co., c.c. dice: “Il bi-lancio deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio”.

L’espressione “correttezza”, contenuta nell’art. 2423 c.c., come va intesa? Le opinioni divergono notevolmente.

Una prima opinione 24 si fonda sulla Relazione al d.lgs. n. 127/1991 che recita:

23 Questo ordine di idee è, ora, accolto persino dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, 28.4.1998, n. 572, in Rass. giur. Enel, 1999, p. 584 ) secondo il quale il riferi-mento ai principi contabili deve considerarsi implicito nella vigente normativa, in quanto “il sistema di regole tecniche svolge una funzione integratrice delle norme di legge in tema di formazione del bilancio di esercizio”. Analogamente la Consob (Delibera Consob 1.12.1999 n. DAC/99088450) ha osservato che “la disciplina del bilancio di esercizio e del bilancio consoli-dato presuppone, in via naturale, un sub-sistema di regole tecniche (principi contabili) che in-terpretano ed integrano le norme di legge sul bilancio”.

24 Vedi sul punto gli scritti di COLOMBO-JAEGER-GAMBINO, in Il progetto italiano di attua-zione della IV Direttiva CEE, Milano, 1988, p. 241 ss.; CARATOZZOLO, Il bilancio d’esercizio negli aspetti contabili, p. 58 ss e 78; App. Milano, 27.9.1991, in Società, 1992, 1, p. 53, secon-do il quale la verità del bilancio, includente tutte le poste attive e passive indicate dalla legge, ha per i soci un interesse autonomo quale è quello alla conoscenza della reale situazione patri-

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“L’uso dell’aggettivo veritiero, riferito al rappresentare la situazione patrimoniale economica e finanziaria, non significa pretendere dai redattori del bilancio — né promettere ai lettori di esso — una verità oggettiva di bilancio, irraggiungibile con riguardo ai valori stimati, ma richiedere che i redattori del bilancio operino correttamente le stime e ne rappresentino il risultato”. Seguendo la Relazione, la dottrina osserva che il bilancio è correttamente redatto se il redattore abbia rispet-tato le norme imperative di legge, circa i criteri di valutazione legali, adatti alla specie rappresentata e abbia rispettato i principi di redazione, imposti dalla legge. Naturalmente, quando è la stessa legge che impone di derogare all’osservanza del-le proprie norme, la correttezza legale dipenderà dalla correttezza contabile del principio contabile alternativo scelto.

Secondo altra opinione 25, i dati storici, contenuti nel bilancio, debbono essere

veri, laddove i criteri che presiedono alla loro valutazione e registrazione nel bi-lancio devono essere corretti. La correttezza attiene, quindi, non all’esistenza sto-rica dei cespiti iscritti in bilancio, ma alla loro valutazione: nell’ambito delle di-verse soluzioni applicative consentite dalle norme di legge sulle valutazioni, sarà corretta la valutazione che, tra quelle consentite dal legislatore, è conforme ai principi contabili.

Una terza opinione 26 ritiene che la verità attiene al dato storico in sé indicato

in bilancio, mentre la correttezza attiene non solo al modo di determinazione del dato, ma anche al modo di comunicazione del dato. L’espressione correttezza a-vrebbe, in sostanza, due significati: il primo sarebbe sinonimo di regole corrette della buona ragioneria e atterrebbe alla valutazione e, cioè, alla determinazione dei valori dei cespiti di bilancio; il secondo significato sarebbe sinonimo di buona moniale della società che è autonomamente tutelato. Per i profili applicativi, invece, della veri-tà e della chiarezza rispetto all’iscrizione in bilancio di plusvalenze reinvestite, cfr., Trib. Ge-nova, 5.5.1988, in Società, 1988, p. 838.

25 SALAFIA, I nuovi criteri di valutazione nella redazione del bilancio, in Società, 1991, p. 1171 ss.; ID., Caratteri generali del bilancio e principi di redazione, in Società, 1991, p. 1611 ss.

26 RORDORF, Attuazione delle Direttive CEE sul bilancio di esercizio e sul bilancio conso-lidato, in Società, 1991, p. 729 ss.; in senso pressoché uniforme, GIAMBANCO, Commento agli artt. 2, in AA.VV., La nuova disciplina dei bilanci di società; SALAFIA, Il bilancio d’esercizio: veridicità e correttezza dell’informazione, in Società, 1998, p. 880 ss.; per un’esposizione com-pleta delle ipotesi in cui la mancanza di correttezza nella redazione del bilancio dà luogo a nul-lità della delibera di approvazione, cfr., tra le altre, App. Milano 18.5.1996, in Le società, 1997, p. 49, con nota adesiva di Amirante. Secondo T.a.r. Lazio, sez. I, 2.11.1995, n. 1887, in Trib. amm. reg., 1996, I, 4717, la verifica delle modalità di esposizione dei fatti di gestione nelle scritture contabili deve essere effettuata sulla base del parametro della esattezza della e-sposizione, con la conseguenza che i fatti di gestione devono essere riportati, in linea col dove-re di correttezza nell’adempimento della prestazione professionale da parte della società di re-visione, con una informazione piena, non reticente né limitata ai soli aspetti formali e docu-mentali ma corredata dei dati delle notizie e degli elementi di fatto a disposizione, tali da ren-dere non solo veritiera ma anche completa e, quindi, esatta l’informazione resa negli atti di bi-lancio.

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Capitolo III 72

fede oggettiva e atterrebbe al modo della comunicazione dei dati di bilancio. Nel-la comunicazione è vietata ogni scorrettezza per non ingannare i terzi.

Infine, una quarta opinione 27 ritiene che la correttezza, nell’art. 2423 c.c., è

espressione del più ampio principio generale di correttezza, enunciato nell’art. 1175 c.c., per tutto il diritto delle obbligazioni e, perciò, essa fa, evidentemente, riferimento non tanto ad un problema di oggettiva corrispondenza tra il bilancio come documento rappresentativo e la realtà che esso deve rappresentare, quanto ad un criterio generale di correttezza di cui agli artt. 1175 e 1176 c.c., per valutare il comportamento del soggetto che tale bilancio ha redatto. Corretto non sarebbe, perciò, l’atto-bilancio, ma il comportamento dell’amministratore. Questa tesi tro-va un addentellato nella Relazione al d.lgs. 127/91 che dice: “L’uso dell’aggettivo veritiero (...) significa richiedere che i redattori del bilancio operino correttamen-te le stime”. La Relazione — si sostiene — riferisce la correttezza, a ben vedere, non all’atto-bilancio, ma al comportamento degli amministratori.

Esaminiamo nell’ordine le teorie enunciate, tenendo presente che ognuna di queste teorie esprime, in parte, concetti condivisibili.

Il principio di correttezza, a nostro avviso, si aggiunge e non si dissolve, come impropriamente dice la Relazione, nel principio di verità, perché il nuovo testo dell’art. 2423 c.c. si differenzia dal precedente, proprio per il fatto che introduce un terzo principio, accanto alla chiarezza e alla precisione (-verità), che non era contenuto nel testo previgente: il principio di correttezza, appunto. Se il legislato-re ha aggiunto alla chiarezza e verità la correttezza, questa deve pur significare qualcosa. Per un elementare canone di ermeneutica, prima di vanificare l’innova-zione legislativa, ritenendo verità e correttezza sinonimi, occorre riflettere. Pertan-to l’opinione, che si fonda soltanto sulla Relazione, e che traduce la correttezza nel solo rispetto delle disposizioni di legge non può accogliersi perché, in realtà, questa teoria si fonda soltanto sulla voluntas legislatoris, che sembra effettiva-mente voler dissolvere la “correttezza” nella “verità”, senza tener conto della vo-luntas legis e, cioè, del testo della legge, oggettivamente inteso e distaccato dalla intenzione dei redattori della legge e inserito nel sistema delle altre norme del-l’ordinamento giuridico.

E veniamo alla seconda teoria, che traduce la correttezza nel rispetto delle re-gole della buona ragioneria (corretti principi contabili), là dove il legislatore detta criteri di valutazione. La teoria finisce, in concreto, con il dissolvere la correttez-za, in parte nella chiarezza, in parte nella verità e, quindi, vanifica il precetto legi-slativo, prestandosi alle medesime obiezioni alle quali va incontro la prima teoria. Questa teoria, a ben vedere, afferma che la verità attiene alla esistenza fisica dei cespiti, mentre la correttezza alle valutazioni dei cespiti. Ma si rifletta. Se l’area

27 JORIO, Il progetto italiano di attuazione della IV Direttiva, p. 93, ANGELICI, voce Società per azioni, p. 1012; PATRONI GRIFFI A., Dai principi di chiarezza e precisione alla rappresen-tazione veritiera e corretta: prime riflessioni sistematiche, in Giur. comm., 1993, p. 398.

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dei criteri di valutazione fuoriescisse dalla area della verità del bilancio si arrive-rebbe all’assurdo di ritenere che il reato di false comunicazioni sociali previsto dall’art. 2621 c.c. sussista solo quando un cespite (es. un immobile) non è conte-nuto in bilancio, non quando esso è sì riportato, ma valutato ad una lira. La tesi che ritiene che solo l’area dei dati storici e, cioè, della esistenza o meno dei cespiti e non l’area dei criteri di valutazione appartiene alla verità ripropone, senza voler-lo, quella dottrina penalistica degli anni ’60 che interpretava l’art. 2621 c.c. sul delitto di false comunicazioni sociali (la esposizione in bilancio di “fatti non ri-spondenti al vero”) come una norma diretta a punire non già le false valutazioni, ma solo l’omessa indicazione in bilancio dei cespiti.

La terza opinione in parte risolve la correttezza nella verità delle valutazioni di bilancio, come le teorie precedenti, e, quindi, si espone alle stesse critiche, in par-te riferisce la correttezza al “modo della comunicazione” della situazione patri-moniale, economica e finanziaria e, per questo profilo, contiene una corretta intui-zione, però non tiene conto del fatto che l’analisi del linguaggio della comunica-zione sconfina nell’area della “chiarezza” del bilancio, quanto meno si apparenta ad essa.

La quarta opinione dissolve la correttezza nel principio generale di correttezza di cui agli artt. 1175 e 1176 c.c. e, quindi, in un dovere di comportamento degli amministratori. Essa non tiene conto del fatto che il legislatore, dettando la clau-sola generale della correttezza per il bilancio, richiede non soltanto un comporta-mento ai redattori del bilancio, ma anche un risultato. In guisa che la diligenza e la correttezza soggettiva del comportamento degli amministratori che porta, però, ad un bilancio non corretto oggettivamente, magari per errore di diritto incolpevo-le, potrà, al più, escludere un illecito penale e una responsabilità civile degli ammi-nistratori nei confronti della società per danni, ma non escluderà, certo, la invalidità oggettiva della delibera di approvazione del bilancio irregolare. E la ragione è nel fatto che la regola della correttezza è qui posta non solo come canone di condotta materiale degli amministratori nei rapporti con la società o con i terzi, ma attiene anche oggettivamente ad un atto giuridico (-bilancio).

Esaminate le diverse teorie, osserviamo che, a nostro avviso, “correttezza” non è espressione pleonastica e non si risolve nella espressione “verità”. Quale, allora, il suo contenuto?

Giova premettere ad una nostra presa di posizione quattro osservazioni. Per cominciare l’espressione correttezza ha un significato giuridico nel diritto

privato e un significato economico nell’economia aziendale. Per il codice civile la correttezza è una clausola generale enunciata nell’art. 1175 c.c., e, nel diritto delle obbligazioni, significa complesso di regole generali di condotta di buona fede og-gettiva e di comportamento delle parti (debitore e creditore) di un rapporto obbli-gatorio. Per la ragioneria e l’economia aziendale la correttezza si traduce in un complesso di corretti principi contabili, che presiedono alla redazione del bilancio di esercizio. La clausola di correttezza può, dunque, riferirsi, in astratto, sia ad un

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complesso di regole generali di condotta (correttezza-buona fede oggettiva), sia ad un complesso di regole tecniche specifiche della buona ragioneria (correttezza tecnica) dettate per la redazione di un atto-bilancio.

La seconda osservazione è che, nel campo del diritto privato, la clausola gene-rale della correttezza, come regola di condotta, non ha nulla a che vedere con le regole della scienza e della tecnica e fa appello, invece, alle esigenze della c.d. so-lidarietà sociale

28. La terza osservazione è che il codice non pone, oggi, soltanto un obbligo di

condotta agli amministratori, ma impone anche un risultato. Si pongano a con-fronto il 1° e il 2° co. dell’art. 2423. Il 1° co. dice: “Gli amministratori devono re-digere il bilancio”. Il 2° co. dice: “Il bilancio deve rappresentare in modo corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico dell’esercizio”. Il legislatore chiede un risultato al di là della condotta colpevole o meno, diligente o meno, corretta o meno degli amministratori. La diligenza e la perizia escludono la responsabilità degli amministratori per danni, ma non l’invalidità della delibera di approvazione del bilancio che dia oggettivamente, per errore scusabile, una rap-presentazione non corretta della situazione patrimoniale e finanziaria della società e del risultato dell’esercizio.

La quarta osservazione è che se si interpreta l’espressione correttezza come correttezza del comportamento soggettivo del redattore del bilancio occorrerebbe, poi, chiarire nei confronti di chi il redattore del bilancio deve essere corretto. In-vero, all’interno del contratto di amministrazione, e, perciò, nei confronti della società sussiste un obbligo di correttezza dell’amministratore che, al limite, è adempiuto, anche quando l’amministratore redige un bilancio che aggira le norme di legge, ma nell’interesse della stessa società (come appare evidente nella ipotesi di elusione tributaria). In questa ipotesi la correttezza potrebbe esservi nei con-fronti della società, ma non nei confronti dei terzi o del mercato. Ora, il precetto della correttezza si pone, in primo luogo, come obbligo di informazione corretta nei confronti dei terzi e del mercato, come connotato oggettivo dell’atto-bilancio,

28 Sulla nozione di “correttezza” nel diritto delle obbligazioni v. per tutti CARUSI, Corret-tezza (obbligo di), in Enc. dir., Milano, 1962, p. 709 ss. ed inoltre CARRARO, “Fraus omnia corrumpt”, in Studi per Carnelutti, III, Padova, 1950, p. 25 ss.; STOLFI, Il principio di buona fede, in Riv. dir. comm., 1964, I, p. 166; BRECCIA, Diligenza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio, p. 3 ss.; PIETROBON, Il dovere generale di buona fede, p. 5 ss.; AA.VV., Studi sulla buona fede, p. 3 ss.; CHECCHINI, Rapporti non vincolanti e regola di correttezza, p. 5 ss.; BIANCA, La nozione di buona fede come regola del comportamento contrattuale, in Riv. dir. civ., 1983, 1, p. 24 ss.; sulla moderna accezione del principio, con la precisazione di caratteri e limiti, v. GAMBINO, Il principio di correttezza nell’ordinamento delle spa, p. 286 ss.; di recente v. anche D’AMICO, “Regole di validità” e principio di cor-rettezza nella formazione del contratto, p. 5 ss.; BUSNELLI, Note in tema di buona fede ed equità, in Riv. dir. civ., 2001, 1, p. 35 ss.

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indipendentemente dalla condotta colposa o meno, corretta o meno, diligente o meno dell’amministratore

29. Quale, dunque, il significato della clausola di correttezza e quale l’ambito di

operatività? In considerazione dello scopo della legge noi riteniamo che la correttezza vada

riferita non soltanto alla condotta degli amministratori, come letteralmente chiede la Relazione al d.lgs. 127/1991, ma anche al bilancio in sé e per sé, come lette-ralmente chiede l’art. 2423 c.c. (“Il bilancio (...) deve rappresentare in modo cor-retto”).

Questa interpretazione della clausola generale comporta che la correttezza og-gettiva dell’atto giuridico-bilancio eccede la correttezza soggettiva della condotta del redattore del bilancio. Invero se una condotta non corretta nella redazione del bilancio comporta quasi sempre un bilancio non corretto, non è vero la reciproca, potendo aversi un bilancio non corretto, anche quando il redattore del bilancio è, soggettivamente, in buona fede o in errore incolpevole. In considerazione dello scopo della legge il bilancio è invalido anche quando la condotta dell’amministra-tore è soggettivamente corretta e incolpevole (per es. per un dubbio nella interpre-tazione di una norma giuridica), ma il bilancio oggettivamente non rappresenta in modo corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società. Questa tesi mira a tutelare, in massimo grado, i destinatari del bilancio. E l’interesse della so-cietà (rectius del gruppo di maggioranza) alla correttezza del bilancio è tutelato solo nella misura in cui esso coincide con la oggettiva correttezza della rappresen-tazione, nell’interesse dei terzi. Se la correttezza deve essere imposta agli ammi-nistratori nella redazione del bilancio come rendiconto, oltre che come resoconto, il bilancio destinato a pubblicazione deve privilegiare la corretta conoscenza dei terzi. I soci di maggioranza possono essere a conoscenza anche di situazioni che non emergono correttamente dal bilancio. Per la società e per i soci di maggio-ranza può essere utile il comportamento di un amministratore che nella redazione del bilancio, per errore di diritto incolpevole o nell’interesse della società, rediga un bilancio oggettivamente non corretto, ma vantaggioso per la società, rispon-dente alla volontà del gruppo di maggioranza. Ciò non toglie che la norma legisla-tiva sulla correttezza sia violata.

In conclusione, a nostro avviso, la correttezza deve attenere sia alla condotta soggettiva del redattore del bilancio, sia alla rappresentazione oggettiva dell’atto-bilancio, nell’interesse dei soci di minoranza e dei terzi (bilancio-rendiconto).

Così individuato il significato della clausola, vediamo come essa si applica in concreto. Il primo campo di applicazione della correttezza è proprio quello carat-terizzato dalla presenza di disposizioni specifiche di legge in tema di valutazioni.

29 ANGELICI, voce Società per azioni, p. 1012; JORIO, Il progetto, p. 93; PATRONI GRIFFI A., Dai principi di chiarezza e precisione alla rappresentazione veritiera e corretta: prime rifles-sioni sistematiche, in Giur. comm., 1993, p. 398.

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Il principio di verità impone il rispetto delle norme imperative sulle valutazioni di bilancio. Il principio di correttezza cosa impone? Impone di non aggirare le norme imperative di legge. Il principio di correttezza, che qui il legislatore vuole richia-mare, non è soltanto quello limitato ai rapporti obbligatori e consacrato nell’art. 1175 c.c., ma si traduce nel più generale divieto della frode alla legge valido non soltanto per i contratti, ma anche per gli atti unilaterali, quale è il bilancio

30.

30 Occorre distinguere la “delibera” di approvazione del bilancio (come “atto giuridico” della società), dal comportamento soggettivo degli amministratori e dei sindaci, nel procedi-mento di formazione del bilancio. L’ordinamento giuridico reagisce, infatti, in modo diverso alla eventuale antigiuridicità delle due situazioni giuridiche. Nel primo caso, la reazione dell’ordinamento per la violazione di norme strumentali ordinative è l’invalidità dell’atto giu-ridico (sul punto v. BOCCHINI, Aspetti giuridico-civilistici del bilancio di esercizio, in Studi in onore di P. Onida, Milano, 1981, p. 583 ss.). L’invalidità è, infatti, la misura più adeguata ri-guardo allo scopo che l’ordinamento si propone di raggiungere, che è colpire nella sua forza giuridica l’atto giuridico ogni qualvolta si trovi in contrasto con la norma imperativa; nel se-condo caso, la sanzione per la violazione di uno specifico dovere di comportamento mira a colpire non l’atto, ma il comportamento dell’agente (obbligazioni di risarcimento danni, ecc.). In sostanza, nella prima ipotesi l’atto viene in considerazione nella sua entità, in relazione ad una norma strumentale sulla produzione giuridica, che regola il compimento di un certo atto giuridico, nella seconda ipotesi, per contro, l’atto è riferito al soggetto che lo compie, in rela-zione ad una norma materiale che valuta la posizione del soggetto, rispetto ad un certo compor-tamento doveroso. In buona sostanza si ripropone, nella nostra materia, un fenomeno già ac-quisito alla teoria generale, per cui lo stesso comportamento può essere visto in due diverse prospettive, a seconda che venga ricollegato a norme cc.dd. dinamiche (o strumentali) (a nor-me cioè che pongono poteri) o a norme cc.dd. statiche (o materiali) (a norme cioè che impon-gono doveri), dando luogo a differenti criteri di valutazione, di validità nel primo caso, di licei-tà nel secondo. Nell’ipotesi del bilancio di esercizio irregolare della società di capitali, l’ordinamento sanziona da un lato, con l’invalidità, la irregolarità (della delibera di approva-zione) del bilancio, togliendo, così, alla stessa, ogni forza giuridica scaturente ex art. 2377 c.c.; dall’altro, l’ordinamento civile sanziona l’illecito comportamento degli amministratori e dei sindaci, prevedendo la possibilità di una ispezione giudiziale e di una revoca, ex art. 2409 c.c., o l’obbligo del risarcimento dei danni, ex art. 2392 ss. c.c., ove si sia prodotto un danno. Alla dottrina giuridica e aziendalistica sembra essere sfuggita la portata sistematica della distinzione proposta, in guisa che la “guerra di religione” tra aziendalisti e giuristi si combatte, oggi, anche per incomprensione reciproca. E, invero, la prima cosa da chiarire è che l’area della “invalidi-tà” (della delibera di approvazione) del bilancio non coincide con l’area della illiceità (della condotta degli amministratori e sindaci nella redazione) del bilancio. E, invero, l’azione di ri-sarcimento danni per la illiceità presuppone la “colpa” o il “dolo” della condotta degli ammini-stratori da un lato e il danno dall’altro nonché il nesso di causalità tra condotta e danno, laddo-ve la invalidità consegue alla oggettiva violazione di una norma strumentale o ordinativa in tema di corretta redazione del bilancio. Il bilancio, dunque, va considerato come rendiconto e come resoconto. La verità è che esiste tutta una intera area che va sotto l’etichetta dell’errore scusabile, la quale non esclude l’invalidità (della delibera di approvazione) del bilancio, ma esclude, sicuramente, l’illiceità o la scorrettezza del comportamento dell’amministratore o del sindaco. Invero la violazione di una regola di condotta è condizione necessaria, ma non suffi-ciente, dell’illecito, perché quest’ultimo richiede, altresì, la colpa o il dolo dell’agente, che so-no esclusi dall’errore scusabile. Il chiarimento svolto consente di discutere, in ordine al pro-

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A prima vista, potrebbe apparire sterile tale obbligo di correttezza, ma se si riflette all’esperienza americana, ma oggi anche italiana, caratterizzata da una pratica ri-corrente di aggiramento dei divieti legali da parte delle società di revisione, nel rilascio delle certificazioni di bilancio, attraverso tecniche di certificazione che, rispettando la lettera del precetto legislativo, ne tradiscono lo spirito, appare, in tutta la sua importanza, la utilità del principio di correttezza, nella applicazione delle disposizioni di legge sui bilanci. Correttezza, nell’area vincolata da precetti legislativi, significa divieto di aggiramento dei precetti di legge, attraverso tecni-che di valutazione e espressioni linguistiche, nella comunicazione, (Colombo) che rispettano la lettera della legge, ma ne tradiscono lo spirito, in frode alla legge.

La correttezza soggettiva è violata quando si ha violazione di una norma mate-riale di condotta degli amministratori nei confronti della società o dei terzi, lad-dove la correttezza oggettiva è violata quando, oggettivamente, è violata una norma strumentale sulla produzione degli atti giuridici, che pone poteri e non do-veri e vieta l’aggiramento delle norme imperative di redazione del bilancio. Il le-gislatore impone correttezza non solo soggettiva ma anche oggettiva.

L’art. 2423, 2° co., c.c. (là dove dice che “Il bilancio (...) deve rappresentare in modo corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società”) “è una nor-ma imperativa strumentale sulla produzione dell’atto giuridico-bilancio”, mentre gli artt. 2423, 1° co., e 2932 c.c., (là dove dicono che “gli amministratori devono redigere il bilancio” e “richiedono che i redattori del bilancio operino corretta-mente le stime”), sono norme imperative materiali sulla condotta degli ammini-stratori, nella redazione del bilancio. Il bilancio illecito è certamente invalido, mentre il bilancio invalido può non essere illecito, quando l’amministratore sia in buona fede o in errore incolpevole. La responsabilità degli amministratori e l’invalidità del bilancio non sono sullo stesso piano.

L’elasticità della clausola generale di “correttezza”, a nostro avviso, consentirà, in ultima analisi, ai giudici di colpire sia le scorrettezze soggettive degli amministra-tori, sia le scorrettezze oggettive dei bilanci che siano, comunque, redatti in viola-zione alle norme specifiche sulla redazione del bilancio (artt. 2423 ss. c.c.).

E veniamo ad un secondo campo di applicazione del principio di “correttezza”. Quando il precetto legislativo manca, la correttezza sta a significare, anzitutto, in-dividuazione della regola contabile corretta, rispetto ai beni da iscrivere in bilan-cio e ai valori da congetturare o da stimare. È, in tale ambito, e solo in tale ambi-to, che la correttezza tende a confondersi con la verità. Perché correttezza signifi-ca, qui, individuazione e applicazione di corretti principi contabili, ad integrazio-ne dei precetti legislativi specifici. Il giudice dovrà valutare naturalmente la com- blema delle fonti dei principi di bilancio, senza farsi fuorviare dal problema della liceità-illiceità della condotta degli amministratori e dei sindaci nei confronti della società e della re-sponsabilità contrattuale degli stessi. Ciò non sempre avviene nella dottrina giuridica che è portata a sovrapporre o confondere i due piani di studio.

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patibilità di tali corretti principi contabili con le norme legislative che pongono precetti contabili, attraverso un vero e proprio controllo giudiziario di compatibi-lità dei principi contabili con la normativa legislativa.

In conclusione è possibile affermare che l’area della correttezza è, sostanzial-mente, l’area nella quale esistono norme di legge.

In buona sostanza la correttezza finisce con svolgere un ruolo analogo al divie-to di elusione nelle norme tributarie, consentendo di procedere ad una interpreta-zione antielusiva della norma

31. In questa area il precetto normativo della correttezza è, in primo luogo, una

norma materiale recante un obbligo di comportamento degli amministratori non solo nei confronti della società e del suo gruppo di maggioranza, ma anche nei confronti della minoranza e dei terzi, sanzionato con la illiceità e la responsabilità per danni (artt. 2492, 2494, 2495 c.c.). È, inoltre, anche norma strumentale sulla oggettiva produzione giuridica dell’atto-bilancio, sanzionata con l’invalidità che esalta la funzione del bilancio come oggettiva dichiarazione di scienza in ordine alla situazione patrimoniale e finanziaria della società.

Nell’area, invece, nella quale mancano specifiche disposizioni di legge, il pre-cetto della correttezza tende a confondersi con quello della verità e significa ri-spetto delle regole tecniche che il giudice, in sede di controllo giudiziario, riterrà compatibili con il sistema legislativo nel suo complesso, attingendo per l’individuazione di siffatte regole anche ai corretti principi contabili

32.

5. Le clausole generali e le deroghe alle disposizioni specifiche della le-gislazione civilistica.

Il sistema di clausole generali della verità, della chiarezza e della correttezza si completa con un vero e proprio sistema di deroghe.

L’art. 2423, 4° co., c.c. dice: “Se, in casi eccezionali, l’applicazione di una di-sposizione degli articoli seguenti è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata. La nota integrativa deve motivare

31 Sulla elusione della norma tributaria e sulla interpretazione antielusiva v. da ultimo FALSITTA, Corso istituzionale di diritto tributario, p. 104 ss.; TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, p. 246 e ivi ogni citazione.

32 La dottrina più recente (VENUTI, Le clausole generali del bilancio, p. 218 e autori ivi ci-tati) tende a valorizzare la nozione oggettiva di correttezza e la giurisprudenza recente (Trib. Roma, 18.5.1999, in Società, 1999, p. 1490) conferma che la scorrettezza della condotta è un elemento necessario, ma non sufficiente per aversi violazione del principio di correttezza nel bilancio di esercizio e, viceversa, può aversi una condotta corretta dell’amministratore e un bi-lancio non corretto e, perciò, invalido. Il richiamo, invece, anche nella dottrina recente (VENU-TI, Le clausole generali del bilancio, p. 218), alla correttezza nella comunicazione del bilancio, intesa come comunicazione non fuorviante, attiene al “linguaggio” del bilancio che è, a ben vedere, assorbito probabilmente dal principio di chiarezza.

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la deroga e deve indicarne l’influenza sulla rappresentazione della situazione patri-moniale, finanziaria e del risultato economico. Gli eventuali utili derivanti dalla de-roga devono essere iscritti in un riserva non distribuibile se non in misura corrispon-dente al valore recuperato”.

L’art. 2423 ter, 2° co., c.c., a sua volta, dice: “Deroghe al principio enunciato nel numero 6) del comma precedente sono consentite in casi eccezionali. La nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico”

33.

33 Sulla deroga per i casi eccezionali previsti dall’art. 2423, 4° co., c.c. v. SASSO, Il bilancio d’esercizio, p. 223 ove una esauriente rassegna degli scritti in argomento con citazioni dei se-guenti autori: CASOTTI, Della rivalutazione per adeguamento monetario e problemi connessi, in Dir. e prat. trib., 1949, p. 229 ss.; MAZZANTINI, La rivalutazione dei crediti, in Moneta e cred., 1949, p. 51 ss.; ASCARELLI, In tema di rivalutazione delle attività sociali per conguaglio monetario, in Foro it., 1950, I, c. 1221 ss.; FRANCESCHELLI, Passaggio a capitale di saldi attivi di rivalutazione monetaria, azioni a voto plurimo e compiti dell’autorità giudiziaria, in Riv. dir. comm., 1950, II, p. 197; BOSISIO, Rivalutazione per conguaglio monetario degli immobili e dei cespiti non ammortizzati, in Riv. dott. comm., p. 1953 ss.; GRAZIANI, Ammortamento e riva-lutazione monetaria, in Banca borsa tit. cred., 1953, I, p. 453; VISENTINI, Le valutazioni legali dei beni nei bilanci delle società e le rivalutazioni monetarie, in Banca borsa tit. cred., 1955, I, p. 1 ss.; PETTITI, Osservazioni su mutamenti di valore nei bilanci delle società azionarie, in Riv. dir. comm., 1958, I, p. 406; CARNELUTTI, Criteri di valutazione della parte attiva del bi-lancio di una società per azioni, in Riv. dir. civ., 1961, I, p. 384 ss.; ROSSI, Bilanci dinamici e rivalutazioni per conguaglio monetario, in Riv. soc., 1973, p. 433 ss.; GRIPPO, Rivalutazione di beni immobili e deroga al “ prezzo di costo” nel bilancio di società per azioni, in Giur. comm., 1974, II, p. 389 ss.; FENGHI, Note sull’art. 2425, ultimo comma, in Riv. soc., 1974, p. 66 ss.; JAGER, Deroghe alle valutazioni “legali” di bilancio in presenza in presenza di “speciali ra-gioni”, in Giur. comm., 1974, I, p. 3 ss.; CASSANDRO, Inflazione monetaria e bilanci annuali d’impresa, Dir. e prat. trib., 1975, p. 1017; FERRI, Recesso del socio e speciali ragioni di de-roga ai criteri legali di valutazione nel bilancio di esercizio, in Riv. dir. comm., 1975, II, p. 134 ss.; GRANDE STEVENS, Inflazione e bilanci delle imprese, in Riv. soc., 1975, p. 355; VI-SENTINI, Postilla all’articolo di Guido Rossi sulla rivalutazione monetaria, in Riv. soc., 1975, p. 975 ss.; BOCCHINI E., Bilancio d’impresa e rivalutazione monetaria, in Giur. comm.; 1976, I, p. 162 ss.; NANULA, La rivalutazione di fronte ad ammortamenti fiscalmente indeducibili ed il problema del doppio binario fra bilancio civile e bilancio fiscale, in Iva, 1976, p. 1647 ss.; CARATOZZOLO, Aspetti civilistici delle rivalutazioni dei beni nei bilanci delle società per azio-ni secondo la legge “Visentini”, in Riv. dott. comm., 1977, p. 357; COLOMBO, Alcuni problemi di valutazione nel bilancio di esercizio, Riv. soc., 1977, I, p. 151 ss.; CROXATTO, Svalutazione monetaria e reddito finale d’impresa, in Riv. dott. comm., 1977, p. 286; DE DOMINICIS, Svalu-tazione monetaria e rendiconto d’esercizio, in Riv. dir. civ., 1977, II, p. 164 ss.; JAEGER, Dell’art. 2425, ult. cpv., e delle “speciali ragioni”, in Giur. comm., 1977, I, p. 881; PELLICEL-LI, La contabilità indicizzata (contabilità adeguata al livello dei prezzi). Una tecnica per deci-dere meglio e per presentare bilanci più chiari?, in Riv. dott. comm., 1977, p. 495; JAGER, Le deroghe per “speciali ragioni” (art. 2425, ult. comma, c.c.), in Il bilancio d’esercizio. Proble-mi attuali, p. 215 ss.; ARRIGONI, Un disegno di legge sulla “indicizzazione” dei bilanci delle imprese, in Giur. comm., 1980, I, p. 717 ss.; COLOMBO, Bilancio (Panorama di giurispruden-za), in Giur. comm.; 1981, I, p. 89 ss.; FERRO-LUZZI, Deroghe ai criteri di valutazione e rivalu-tazione, in Giur. comm., 1981, I, p. 5 ss.; GRASETTI, “Sulle speciali ragioni” che giustificano

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Capitolo III 80

Cominciando dall’esame dell’art. 2423, 4° co., c.c., il sistema di deroghe pone tre quesiti:

a) per quali “disposizioni di legge” è prevista la deroga? b) quali sono i “casi eccezionali” nei quali la deroga trova applicazione? c) la deroga è facoltativa o obbligatoria?

una deroga ai criteri di valutazione degli elementi dell’attivo del bilancio delle società per a-zioni, in Rass. dir. civ., 1981, p. 706; LEVI, Deroghe ai criteri legati di valutazione nel bilancio d’esercizio, in Giur. comm., 1981, I, p. 165 ss.; CASSELLA, “Quadro fedele”: contabili e giuri-sti, in Riv. soc., 1983, p. 103; CHIARAVIGLIO, L’art. 9 della legge di rivalutazione monetaria: “il quadro fedele” e le incertezze di applicazione, in Riv. soc., 1983, p. 577; COLOMBO, L’art. 9 l. 19 marzo 1983: una deroga da determinare, in Riv. soc., 1983, p. 56; FERRI, Le speciali ragioni secondo l’art. 9 l. n. 72 del 1983, in Riv. soc., 1983, p. 79; JAEGER, Fine delle “speciali ragioni”, in Riv. soc., 1983, p. 12; LIBONATI, “Speciali ragioni” e “quadro fedele, in Riv. soc., 1983, p. 32; PORTALE, Le “speciali ragioni” rinnovate: dagli “strappi” interpretativi alle “ri-cuciture” normative, in Riv. soc., 1983, p. 85; SALAFIA, La rivalutazione monetaria dei beni e del capitale delle imprese, in Società, 1983, p. 11; SIMONETTO, Alcune impressioni sulla l. 19 marzo 1983, n. 72, sulla rivalutazione di cespiti, in Riv. soc., 1983, p. 23; VERNA, Rivalutazio-ne di bilancio per la copertura delle perdite, in Società, 1983, p. 322; BAJARDI, Speciali ragio-nie quadro fedele, in Società, 1984, p. 1260; BERTACCHINI, L’art. 9 l. 19 marzo 1983 n. 72: una novità in materia di bilancio?, in Rass. mens. imp. dir., 1984, p. 511; FERRO-LUZZI, Profili civilistici della rivalutazione monetaria nella l. 19 marzo 1983 n. 72, in Giur. comm., 1984, I, p. 65; JAEGER, La clausola generale del bilancio nella direttiva comunitaria e nel diritto ita-liano, in Giur. comm., 1984, I, p. 471; LIBONATI, Il “quadro fedele” e i criteri di valutazione nella IV direttiva comunitaria, in Giur. comm., 1984, I, p. 1012; PIVATO, “Quadro fedele” e “speciali ragioni” con riferimento ai prospettici bilancio e alla relazione degli amministratori, in Riv. dott. comm., 1984, p. 603; PROVASOLI, Il “quadro fedele” ai sensi della l. n. 72/1983 e le valutazioni di bilancio-Aspetti economico-aziendali, in Il Fisco, 1984, p. 4264; ROMANO-RUSSO, Commento alla l. 19 marzo 1983, n. 72, in Leg. pen., 1984, p. 37; VENTURA, IV diretti-va Cee: il bilancio nell’inflazione e il quadro fedele, in Riv. dott. comm., 1985, p. 435; FERRI, Speciali ragioni ex art. 2425 ultimo comma c.c. quadro fedele di cui all’art. 9 l. 72 del 1983, in Riv. dir. comm., 1986, II, p. 126; JAEGER, Problemi topici del bilancio d’esercizio (nell’evo-luzione della giurisprudenza e nella prospettiva dell’attuazione della quarta direttiva Cee), in Giur. comm., 1986, p. 984; ZUCCHELLINI, Chiarezza, precisione e verità: dove va la cassazio-ne, in Foro pad., 1987, I, p. 38; BASILICO, False comunicazioni sociali, rivalutazioni illegitti-me, speciali ragioni, in una recente sentenza penale, in Giur. comm., 1989, II, p. 107; CARA-NO, Copertura di perdite con rivalutazione economica del patrimonio?, in Giur. comm., 1989, II, p. 169; GAIDANO, Le deroghe ai criteri di valutazione per “speciali ragioni”, in Il Fisco, 1989, p. 3597; ARALDI, Perdite d’esercizio superiori al terzo del capitale sociale e rivaluta-zioni ai sensi dell’art. 2425, ultimo comma, in Giur. piemontese, 1990, p. 242; MEO, Copertu-ra di perdita d’esercizio mediante riserva da rivalutazione monetaria o riserva sovrapprezzo azioni?, in Riv. dir. comm., 1990, I, p. 831; VISENTINI, Ancora sulla rivalutazione di beni d’im-presa, in Riv. soc., 1991, p. 194; DE PEDRA, Art. 2423, c.c.: regole ed eccezioni nei criteri di redazione del bilancio, in Impresa, 1992, p. 1437; DESARIO, L’art. 2 d. leg. 9 aprile 1991 n. 127: una prima riflessione sui “casi eccezionali” in materia di bilancio, in Riv. dott. comm., 1992, I, p. 893; BALBARINI, “Speciali ragioni” di deroga ai criteri di valutazione in bilancio, in Società, 1994, p. 1204; PERINI, “Falso in bilancio” e violazione dei principi di redazione di bilancio di esercizio, in Giust. pen., 1994, II, p. 713; BOCCHINI E., Sub art. 2423, in Nuove leggi civ. comm., 1996, p. 225 ss.

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E si pone, poi, il problema del rapporto tra la deroga prevista al 4° co. dell’art. 2423 c.c. e quella prevista dal 2° co. dell’art. 2423 ter c.c.

La dottrina giuridica 34, in passato, rilevava che la deroga ai criteri di valuta-

zione previsti dal codice consentisse una deroga solo ai criteri di valutazione che fissavano “limiti rigidi” alle valutazioni. Si osservava che la previsione di una de-roga non ha senso in rapporto alle regole valutative che già lasciano spazio, più o meno ampio, alla discrezionalità tecnica di valutazione dei redattori del bilancio.

Oggi, di fronte al nuovo testo della norma, la prima osservazione è che la de-roga, prevista dall’art. 2423, 4° co., c.c., anzitutto riguarda tutte le disposizioni e, quindi, anche quelle che dettano schemi e strutture della situazione patrimoniale e del conto economico e non soltanto le disposizioni sulle valutazioni

35. Per quanto attiene ai criteri di valutazione, in particolare, il legislatore detta

criteri legali di valutazione onde le deroghe debbono trovare applicazione tutte le volte che questi criteri sono rigidi (es. art. 2426, n. 1 che detta il criterio rigido del costo di acquisto per la valutazione delle immobilizzazioni) e non elastici (es. art. 2426, n. 8, c.c. che detta il criterio elastico del presumibile valore di realizzo per la valutazione dei crediti), perché in quest’ultimo caso la elasticità del criterio è già sufficiente a consentire la scelta di un valore che dia una rappresentazione ve-

34 PETTITI, Contributo allo studio del diritto dell’azionista al dividendo, p. 136 ss.; CARNE-LUTTI, Criteri di valutazione della parte attiva del bilancio di una società per azioni, in Riv. dir. civ., 1961, I, p. 384 ss.; COLOMBO, Il bilancio di esercizio delle società per azioni, p. 80 ss.; FRÉ, Società per azioni, in Commentario cod. civ., p. 643 ss.; SIMONETTO, I bilanci, p. 178 ss.; FENGHI, Note sull’art. 2425, ultimo comma, in Riv. soc., 1974, p. 66 ss.; GRIPPO, Rivaluta-zioni di beni immobili e deroga al “prezzo di costo” nel bilancio di società per azioni, in Giur. comm., 1974, II, p. 389 ss.; JAEGER, Deroghe alle valutazioni “legali” di bilancio in presenza di “speciali ragioni” (art. 2425 ult. cpv. c.c.), in Giur. comm., 1974, I, p. 3 ss.; FERRI, Recesso del socio e speciali ragioni di deroga ai criteri di valutazione del bilancio di esercizio, in Riv. dir. comm., 1975, II, p. 134 ss.; BOCCHINI, Bilancio d’impresa e rivalutazione monetaria, in Giur. comm., 1976, I, p. 162 ss.; COLOMBO, Alcuni problemi di valutazione nel bilancio di e-sercizio, in Imp. ambiente pubb. amm., 1977, I, p. 151 ss.; SALAFIA, Le valutazioni del bilancio di esercizio delle società di capitali nell’interpretazione giurisprudenziale, in Imp. ambiente pubb. amm., 1977, I, p. 185 ss.; PORTALE, I bilanci straordinari delle società per azioni, in AA.VV., Il bilancio di esercizio, p. 278 ss.; FERRO-LUZZI, Deroghe ai criteri di valutazione e rivalutazione, in Giur. comm., 1981, I, p. 5 ss.; LEVI, Deroghe ai criteri legali di valutazione nel bilancio d’esercizio, in Giur. comm., 1981, I, p. 165 ss.

35 Così CARATOZZOLO, Il bilancio d’esercizio, p. 82; contra, nel senso che la deroga obbli-gatoria ex art. 2423, 4° co., c.c. non attiene ai principi di redazione del bilancio ex art. 2423 bis c.c. v. VENUTI, Le deroghe al bilancio alla luce della riforma societaria, in Le Società, 2005, p. 1383; VENTORUZZO, La disapplicazione obbligatoria delle disposizioni sul bilancio, in AA.VV.; La disciplina giuridica del bilancio, p. 77. Inoltre v. GIAMBANCO, Principi di reda-zione del bilancio, in AA.VV., La nuova disciplina dei bilanci di società, p. 31 ss.; COLOMBO, Bilancio d’esercizio, p. 331 ss.; FORTUNATO, Bilancio e contabilità, p. 195 ss.; BALZARINI, Principi generali e principi di redazione, p. 48 ss.

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Capitolo III 82

ritiera e corretta della situazione patrimoniale e del risultato economico dell’eser-cizio, senza ricorrere alla deroga.

La tesi è avvalorata da un argomento storico, che emerge dall’esame dei lavori preparatori. La Relazione al decreto legislativo così recita: “L’ultimo comma del-la disposizione novellata costituisce applicazione dell’art. 2, paragrafo 5 della IV Direttiva che, secondo la maggioranza dei componenti della Commissione, preve-de un obbligo e non una facoltà di deroga. Non si è ritenuto possibile precisare (come la Direttiva consente) i casi eccezionali in cui l’osservanza degli articoli seguenti potrebbe risultare incompatibile con la rappresentazione veritiera e cor-retta; dovrà, comunque, trattarsi di casi veramente eccezionali, essendo evidente che le specifiche norme relative alle strutture ed alle valutazioni sono dettate pro-prio al fine di assicurare la rappresentazione veritiera e corretta in tutte le situa-zioni normalmente ricorrenti”.

In sostanza, la norma che stiamo esaminando, nelle prospettive del legislatore, assume il ruolo di “polmone della legislazione sul bilancio”. Il significato dell’apertura della norma, per il legislatore, è proprio nel riconoscimento da parte del diritto positivo della impossibilità di prevedere, in anticipo, nella forma della legge, vale a dire in via generale ed astratta, le infinite situazioni in cui una posta, legata alla concretezza del caso, rileva un valore attuale. È, allora, possibile rico-struire la volontà del legislatore, in modo coerente, e al tempo stesso recuperare criticamente il significato della Relazione al decreto legislativo, dando una inter-pretazione restrittiva all’art. 2423, 4° co., c.c., nel senso che la deroga al criterio legale di valutazione può aversi non per tutte le disposizioni legislative, ma solo per quelle che dettano criteri legali rigidi e non elastici di valutazione. La soluzio-ne del primo quesito aiuta, poi, nella soluzione del secondo. Quali sono i casi ec-cezionali.

A riguardo, la Direttiva n. 78/660 tace. La legge tace. La Relazione tace. Si ri-fletta che la dicotomia normale-eccezionale è, se riferita al bilancio, di per sé opi-nabile. In sostanza non si riesce a trovare appigli legislativi solidi per limitare per es. la norma alle sole ipotesi di incremento eccezionale di valore dei beni tale da snaturare la loro natura economica. Ma va anche detto che la questione sistemati-ca, se esaminata nei casi concreti che si sono presentati all’attenzione della giuri-sprudenza (ipotesi di fusione, recesso, condono fiscale, perdite della società, sva-lutazione monetaria), perde d’importanza. Il problema, in concreto, si risolve sempre e soltanto sulla base di un giudizio di valore sulla esistenza della eccezio-nalità e tale giudizio si presta male ad essere irrigidito in parametri fissi di catalo-gazione. Prova ne sia che nessuno dei legislatori dei Paesi della Comunità, nel da-re attuazione alla Direttiva, ha indicato i casi eccezionali ai quali la Direttiva fa riferimento. In realtà, la dottrina giuridica mossa dal lodevole intento di dare un contenuto “positivo” alla categoria dei “casi eccezionali”, ha dimenticato, troppo in fretta, che proprio la diversità delle situazioni concrete aveva fatto “rassegnare” lo stesso legislatore del ’42, pure avaro, in tutto il testo del codice civile, di “clau-

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sole generali”. Il timore antico che il rinvio al “caso concreto particolare” signifi-casse un invito all’arbitrio, ha giocato, forse, un cattivo ruolo nella interpretazione della norma, facendo anche dimenticare che gli amministratori hanno l’obbligo di “motivare” l’esistenza dei “casi eccezionali”, sulla base di un corretto esercizio della discrezionalità tecnica loro demandata e che tale motivazione è soggetta al sindacato del giudice ordinario. In questa prospettiva, la nota integrativa può as-solvere al ruolo che le compete e deve riesprimere quella registrazione di valori che caratterizza l’attività tecnico-discrezionale dell’amministratore, nella motiva-zione della eccezionalità del caso.

Nulla di più la legge richiede. Non v’è alcuna valida ragione per spingere l’in-terprete ad introdurre una restrizione della portata della “deroga” che non risulta né dal testo della legge, né dai lavori preparatori ad essa

36. Pertanto, in conclusio-ne, solo a titolo esemplificativo, ma non tassativo, può indicarsi come un caso emblematico di deroga al criterio del costo l’eccezionale mutamento della natura economica del bene (es. il terreno acquistato come agricolo sul quale si scopra una cava di marmo) e, viceversa, non è consentito il ricorso alla deroga, nei casi di perdita del capitale sociale ex artt. 2446 e 2447 c.c. 37 .

36 Secondo Cass., 8.6.2007, n. 13503, in Giust. civ. Mass., 2007, f. 6, la direttiva comunita-ria Ce n. 78/660 del 25.7.1898, nel sancire il principio per cui se, in casi eccezionali, l’applicazione di una disposizione in tema di valutazioni di bilancio contrasta con l’obbligo di dare un quadro fedele della situazione patrimoniale, di quella finanziaria nonché del risultato economico della società, occorre derogare alla disposizione in questione onde fornire un qua-dro fedele, lascia agli Stati membri di scegliere se precisare i casi eccezionali e fissare il corri-spondente regime derogatorio (art. 2, 4° co., dir. cit.); e il legislatore italiano ha scelto di non avvalersi di questo potere e di rimettere al giudice l’accertamento dell’eventuale ricorrenza del caso concreto di una ragione di eccezionalità. E il caso eccezionale, che giustifica la disappli-cazione delle norme sulla valutazione delle voci di bilancio, è quello in cui le norme medesime siano incompatibili con una rappresentazione “veritiera e corretta”; sicché, non bastando il rife-rimento al mero criterio della “veridicità” – che, se considerato da solo, come riferito al merca-to, avrebbe la portata di rendere sempre inapplicabili i criteri contabili di valutazione – non può ritenersi che il principio dio verità e correttezza del bilancio sia violato per il solo fatto che i valori contabili di alcune voci sono inferiori a quelli di mercato.

37 Così CARNELUTTI, Criteri di valutazione della parte attiva del bilancio di una società per azioni, in Riv. dir. civ., 1961, p. 384 ss.; SIMONETTO, I bilanci, p. 179; JAEGER, Deroghe alle valutazioni «legali» di bilancio in presenza di «speciali ragioni» (art. 2425 ult. cpv. c.c.), in Giur. comm., 1974, p. 3 ss.; COLOMBO, Il bilancio di esercizio. Strutture e valutazioni, p. 241; VERNA, Rivalutazione di bilancio per la copertura delle perdite, in Società, 1983, p. 322; RORDORF, La deroga obbligatoria dalle norme relative al bilancio, in Le Società, 1987, p. 136 ss.; BASILICO, False comunicazioni sociali, rivalutazioni illegittime, speciali ragioni in una recente sentenza penale, in Giur. comm., 1989, II, p. 107; CARANO, Copertura per perdite con rivalutazione economica del patrimonio, in Giur. comm., 1989, II, p. 169; MEO, Copertura di perdita d’esercizio mediante riserva da rivalutazione monetaria o riserva sovrapprezzo azioni, in Riv. dir. comm., 1990, I, p. 831; BALZARINI, Speciali ragioni di deroga ai criteri di valuta-zione in bilancio, in Società, 1994, p. 1204 ss.; contra v. TANTINI, Le modificazioni dell’atto costitutivo nella società per azioni, p. 281; GRIPPO, Rivalutazioni di beni immobili e deroga al

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Capitolo III 84

In conclusione i “casi eccezionali” debbano riguardare i beni oggettivamente intesi e non le condizioni soggettive della società.

Il discorso svolto sin qui consente, infine, di prendere posizione anche in ordi-ne al terzo problema della obbligatorietà o meno della deroga in esame.

La Relazione sul punto è chiarissima: la deroga è obbligatoria, quando ricorro-no casi eccezionali. La soluzione merita consenso. In sostanza se si parte dal pre-supposto che l’ultimo comma dell’art. 2423 c.c. prevede una deroga ai criteri di valutazione previsti dall’art. 2426 c.c., ma non al precetto della verità e correttez-za del bilancio posto dal 3° co. dell’art. 2423 c.c. del quale si riafferma, invece, implicitamente l’imperatività, è giocoforza concludere che la deroga debba essere obbligatoria. In sostanza quando il legislatore, in presenza di “casi eccezionali”, consente la violazione della norma di legge specifica, per il rispetto del principio di verità e correttezza, la previsione della deroga ha un senso, se la deroga è ob-bligatoria. Diversamente sarebbe violato il principio di verità. “prezzo di costo” nel bilancio di società per azioni, in Giur. comm., 1974, II, p. 389 ss.; FERRI, Recesso del socio e speciali ragioni di deroga ai criteri di valutazione del bilancio di esercizio, in Riv. dir. comm., 1975, II, p. 134 ss.; PORTALE, I bilanci straordinari delle società per azioni, p. 353; LIBONATI, Riduzione del capitale per perdite, in Giur. comm., 1982, II, p. 834. Secondo Cass., 15.2.2005, n. 3032, in Giust. civ., 2006, f. 4-5, I, p. 967, è illegittima la rivalutazione di cespiti patrimoniali di una società assicuratrice al solo scopo di coprire le perdite, in quanto tale finalità non rientra tra le ragioni che possono consentire una deroga al criterio di valuta-zione al costo storico e ciò sia alla stregua delle norme specifiche in materia di riserve assicu-rative e sia in ottemperanza ai criteri ordinari di redazione del bilancio, i cui principi trovano comunque applicazione anche in presenza di una più dettagliata normativa di settore. Conf. Cass., 8.2.2005, n. 2538, in Giust. civ. Mass., 2005, f. 2; Dir. e prat. soc., 2005, f. 17, p. 71; Cass., 7.7.2000, n. 9068, in Foro. it., 2001, I, p. 167; Trib. Napoli, 14.10.1999, in Società, 2000, p. 451; Cass., 5.5.1995, n. 4923, in Giur. comm., 1996, II, p. 354; Cass., 24.4.1994, n. 4177, in Società, 1994, p. 1201; Cass., 19.6.1992, in Cass. pen., 1994, p. 403 ss.; Trib. Milano, 10.5.1985, in Società, 1985, p. 1298; Trib. Verona, 4.4.1985, in Giur. comm., 1985, II, p. 630; Trib. Venezia, 26.5.1983, in Giur. comm., 1984, II, p. 327. Contra Cass., 29.4.1994, n. 4177, in Società, 1994, p. 1201, secondo la quale è legittima la rivalutazione economica di un bene immobile operata in bilancio allo scopo di coprire perdite d’esercizio se tale rivalutazione ri-sulta da elementi certi quali la stipulazione di un preliminare di vendita (con incasso della ca-parra) e del definitivo atto di vendita prima della data di riunione dell’assemblea convocata per approvare il bilancio d’esercizio. La rivalutazione economica attribuibile all’immobile come risultante da dati certi individua una « speciale ragione » che autorizza la deroga di cui all’ultimo comma dell’art. 2425, c.c., come autenticamente interpretato dall’art. 9 della legge 19.3.1983, n. 72. Conf. App. Milano, 18.4.2000, in Società, 2000, p. 958; Trib. Trento, 16.2.1996, in Società, 1996, p. 900; talora sia pure con obbligo di informazione in nota inte-grativa v. Cass., 25.5.1993. Sul problema della rivalutazione delle poste di bilancio per sva-lutazione monetaria in dottrina è prevalente la tesi che non ritiene possibile effettuare rivalu-tazioni con il semplice strumento offerto dall’art. 2425 in caso do svalutazione monetaria, v. VISENTINI, Le valutazioni legali dei beni nei bilanci delle società e le rivalutazioni moneta-rie, in Banca, borsa, tit. cred., 1955, I, p. 4 ss.; LIBONATI, L’attività di revisione e certifica-zione: aspetti giuridici, p. 171; JAEGER, Il bilancio di esercizio delle società per azioni. Pro-blemi giuridici, p. 96.

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Le clausole generali di bilancio 85

In sostanza, la facoltatività della deroga sottrarrebbe il mancato uso della stes-sa ad ogni controllo e incrinerebbe la stessa vigenza e operatività del precetto del-la verità del bilancio. In presenza di “casi eccezionali”, documentati dal socio di minoranza o dal terzo, il gruppo di maggioranza potrebbe opporre sempre e sol-tanto il proprio “diverso avviso”. E tanto dovrebbe bastare a rendere il bilancio veritiero. Viceversa se si afferma che la deroga è obbligatoria gli amministratori devono convincere il giudice, con congrua motivazione, che non ricorreva una i-potesi di deroga. Naturalmente lo stesso discorso può farsi per il caso di deroga supposta dagli amministratori, ma contestata dai soci di minoranza.

Siamo consapevoli che il difetto delle interpretazioni troppo rigorose è che la verifica di qualsiasi situazione in cui esse risultino inapplicate apre nell’edificio crepe vistose. Ma forse l’esperienza degli ultimi anni insegna che, all’atto pratico, non è tanto la difficoltà della prova che incide sulla portata del precetto: l’attore, in pratica, la prova dei “casi eccezionali” non ha difficoltà a darla (e si pensi alla scoperta della cava di marmo in un terreno agricolo, ecc.). È probabilmente la fa-coltatività della deroga che incrina il precetto della “verità” del bilancio, in modo non lieve.

Nell’interpretazione dell’art. 2423, 4° co., c.c. rimane da esaminare un ultimo problema.

La deroga può essere ammessa per attribuire ai beni valori non già superiori, ma inferiori a quelli legali (es. valutazione al di sotto del costo storico)

38? Si fac-cia il caso che per acquistare un’area edificatoria, con relativa concessione edili-zia, si sia pagata una c.d. tangente di 1 miliardo, comprando, quindi, il bene ad un costo doppio rispetto a quello di mercato. L’amministratore potrebbe indicare in-vece del costo reale comprensivo della tangente, il prezzo inferiore di mercato? La risposta al quesito è negativa perché il costo reale comprende, certamente l’intera somma sborsata, ma, a fine esercizio, la svalutazione del cespite avverrà in forza del n. 3 dell’art. 2426 che impone, a fine esercizio, la svalutazione obbli-gatoria delle immobilizzazioni che hanno “perduto” valore e non già in forza della deroga di cui all’art. 2423, 4° co., c.c.

Infine l’art. 2423, 4° co., c.c. impone alcuni obblighi di informazione e di comportamento:

a) la nota integrativa deve motivare la deroga e deve indicarne l’influenza sul-la rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato eco-nomico;

38 Cass., 23.6.2008, n. 13413, in Giust. civ. Mass., 2008, p. 799, secondo la quale è valida la deroga ai criteri di valutazione anche in peius per riduzione di un accantonamento in consi-derazione del carattere stagionale dell’attività della società; Cass., 8.6.2007, n. 13503, in Giust. civ., 2008, I, p. 2942; Cass., 8.6.2007, n. 13503, in Giust. civ., 2008, I, p. 2942 che ritiene che il giudice, in applicazione della deroga ai criteri di valutazione, possa ritenere corretta la valu-tazione di un bene ad un valore inferiore a quello di mercato.

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Capitolo III 86

b) gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva della situazione patrimoniale non distribuibile se non in misura corrispondente al valore recuperato, attraverso l’ammortamento. È dubbio

39 se la riserva ammortiz-zata debba transitare, esercizio per esercizio, sotto forma di reddito dell’esercizio, nel conto economico. In considerazione della finalità della norma e della natura della riserva, propendiamo per la soluzione negativa.

Rimane da dire del coordinamento dell’art. 2423, 4° co., c.c. con l’art. 2423 bis, 2° co., c.c. 40.

Si ritiene 41 che la prima norma si applica nei casi eccezionali, nei quali è ne-

cessario adottare un diverso sistema informativo convenzionale non fondato sul costo storico, mentre la seconda norma si applica quando, senza modificare il si-stema informativo globale convenzionale, si vuole soltanto modificare un crite-rio di valutazione da un esercizio all’altro, attribuendo un valore diverso sulla ba-se di un criterio alternativo.

39 CARATOZZOLO, La nuova disciplina, cit., p. 823; contra COLOMBO, Il bilancio d’esercizio, cit., p. 348 ss.

40 Su questa problematica v. CARATOZZOLO, La nuova disciplina delle valutazioni di bilan-cio nella IV Direttiva CEE, in Riv. dott. comm., 1980, p. 1137 ss. (che è uno dei primissimi studi sull’argomento, dopo l’entrata in vigore della direttiva); ID., I criteri di valutazione ed i principi di redazione del bilancio, in Le Società, 1987, p. 241 ss.; SALAFIA, Conclusioni alla tavola rotonda su “Il bilancio delle società alla luce della IV Direttiva CEE”, su Le Società, 1987, p. 283 ss.; PACIELLO, La clausola generale della precisione di bilancio, p. 93 ss.; LIBO-NATI, Il “quadro fedele” e i criteri di valutazione nella IV Direttiva Comunitaria, in Giur. comm., 1984, I, p. 1016 ss.; PERADOTTO, La rappresentazione del “quadro fedele” della situa-zione patrimoniale, di quella finanziaria e del risultato economico e le deroghe alla disciplina legale del bilancio (art. 2, punti 3 e 5 della IV Direttiva CEE), cit., p. 195 ss.; PACIELLO, Anno-tazioni in merito agli artt. 1 e 2, rispettivamente 4° e 2° comma, dello schema di legge delega-ta per l’attuazione della IV Direttiva CEE, in Il progetto italiano, p. 253 ss.; COLOMBO, I crite-ri di valutazione, cit., p. 73 ss.; MASTROGIACOMO, Le deroghe ai criteri di valutazione nella IV Direttiva comunitaria e nel progetto di legge d’attuazione, in Riv. dott. comm., 1989, p. 865 ss.; RORDORF, La deroga obbligatoria dalle norme relative al bilancio, in Società, 1987, p. 255 ss. e, sulla nuova normativa, JAEGER, I principi di bilancio, cit., p. 13; CAGNASSO, in CA-GNASSO-LOCATELLI-IRRERA-QUATROCCHI, Il bilancio d’esercizio, cit., p. 61; COTTINO, Diritto commerciale, I, 2, cit., p. 625; TANZI, in Riv. dir. civ., 1992, II, 683; L. POTITO, Bilanci straor-dinari, p. 136 ss.; cfr., di recente, V. SALAFIA, Il bilancio cit., p. 881 ss.; FERRO-LUZZI P., De-roghe ai criteri di valutazione e rivalutazione, in Giur. comm., 1981, I, 5; JAEGER P.G., Dero-ghe alle valutazioni «legali» di bilancio in presenza di «speciali ragioni» (art. 2425 ult. cpv. c.c.), in Giur. comm., 1974, I, 3; LEVI A., Deroghe ai criteri legali di valutazione nel bilancio d’esercizio, in Giur. comm., 1981, I, 165; cfr., altresì, in giurisprudenza, per una chiara esposi-zione del problema, Cass., 29.4.1994, n. 4177, in Società, 1994, p. 1201 ss. V. da ultimo Cass., 7.5.2008, in Giust. civ. Mass., 2008, p. 666, secondo cui la modifica dei criteri di valutazione da un esercizio all’altro, senza che la nota integrativa giustifichi il caso eccezionale, comporta la nullità del bilancio.

41 CARATOZZOLO, La nuova disciplina, cit., p. 820 ss.; contra COLOMBO, Il bilancio d’esercizio, cit., p. 348 ss.

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Le clausole generali di bilancio 87

La verità è che le due norme non si distinguono per l’ampiezza della deroga (in un caso si vuole cambiare l’intero sistema informativo, nell’altro caso un sin-golo criterio di valutazione) posto che, in un caso e nell’altro, oggetto del cam-biamento è un criterio di valutazione di una voce di bilancio La ratio della distin-zione attiene ai presupposti di applicazione della deroga in un caso obbligatoria, nell’altra facoltativa, perché in un caso si ipotizza il contrasto tra una norma di dettaglio e una clausola generale, onde l’obbligatorietà della deroga, nell’altro tale presupposto non ricorre, onde il cambio di criterio di valutazione è rimesso alla discrezionalità dell’amministratore il quale deve solo motivare, nella nota integra-tiva, la variazione del criterio di valutazione e la sua influenza sulla rappresenta-zione della situazione patrimoniale e finanziaria e sul conto economico. E la giu-risprudenza

42 in questa seconda ipotesi (art. 2423 bis, 2° co., n. 6, c.c.) è talora liberale accontentandosi che, comunque, sia data una spiegazione-informazione nella nota integrativa del cambio del criterio di valutazione e della sua influenza sullo stato patrimoniale e sul conto economico.

Nei casi di passaggio da un criterio di valutazione ad altro criterio, ritenuto più corretto, ma entrambi previsti come alternativi dalla legge (es. per le valutazioni di magazzino, il passaggio dal criterio LIFO al criterio FIFO, entrambi previsti dall’art. 2426, n. 10, c.c.) vi è deroga facoltativa ex art. 2423 bis c.c. e, quindi, de-ve ricorrere la eccezionalità del caso per attuare la deroga

43.

42 Secondo Cass., 29.4.2004, n. 8204, in Giust. civ., 2005, f. 12, I, p. 3111, è nullo il bilan-cio di una società per azioni quando venga adottato un criterio di valutazione di un cespite pa-trimoniale diverso da quello utilizzato negli esercizi precedenti, in violazione del principio di continuità dei valori contabili sancito dall’art. 2423 bis, n. 6, e senza che la nota integrativa rechi adeguata motivazione della deroga come richiesto dall’ultimo comma del medesimo arti-colo.

43 Così COLOMBO, Il bilancio d’esercizio, p. 346; contra CARATOZZOLO, Il bilancio di e-sercizio, p. 824 sulla base dell’argomento che il passaggio da un criterio all’altro fra quelli pre-visti dall’art. 2426 c.c., non costituisce deroga e non richiede il ricorso di un caso eccezionale come per il passaggio dal criterio FIFO al criterio LIFO.


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