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Abstract unimonitor

Date post: 14-Dec-2014
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1 Il lessico della Comunicazione tra formazione e mercato Presentazione del XIII Rapporto Unimonitor.com Abstract sintetico (a cura di Barbara Mazza) È ormai un dato incontrovertibile che la crisi economica abbia travolto anche il nostro paese, la disoccupazione giovanile tocca il 30% (Istat 2010) e le conseguenze per i neo-dottori non possono che farsi sentire. Eppure nonostante gli scossoni finanziari e le acque turbolente in cui si muove il mercato del lavoro, i flussi in ingresso nei settori della comunicazione continuano a tenere. Del resto, si tratta di ambiti occupazionali da sempre caratterizzati da andamenti irregolari e “mobili” dinnanzi alle innovazioni e alle esigenze di mutamento del sistema produttivo. Non a caso, i giovani comunicatori licenziati dal biennio specialistico in Scienze della Comunicazione resistono a colpi e contraccolpi della congiuntura attuale e affrontano, con un maggior grado di consapevolezza e di versatilità, le sfide e le difficoltà del momento. Nella fotografia scattata dal XIII Rapporto Unimonitor.com, ad un anno dal conseguimento del titolo, lavorano circa due laureati su tre. Si tratta di giovani che sanno cogliere dalle diverse esperienze di lavoro elementi per “reinventare” una professionalità da affermare e confermare nel quotidiano. Il primo biglietto da visita di cui si avvalgono è la tesi che risulta ancora efficace, a dispetto del modello familistico delle raccomandazioni. Persino la quota minoritaria di dottori in cerca di lavoro dichiara, nella maggior parte dei casi, di aver comunque avuto la possibilità di cimentarsi con attività occupazionali. Certo, se il dato complessivo appare più che confortante, da una lettura in profondità delle interviste si rintracciano alcune questioni sostanziali che fanno della comunicazione un terreno ancora in fase di coltivazione e bisognoso di affinarsi e consolidarsi. Pure riguardo al modo di vivere l’esperienza formativa, emerge una dedizione mirata allo studio nel secondo livello, proprio perché più consapevoli della necessità di garantirsi un bagaglio di saperi e di skills di elevato livello, utili a fronteggiare il dinamismo del sistema-lavoro. Nonostante ciò, le contraddizioni insite nella percezione stessa della Comunicazione portano i giovani dottori a sognare ambiti occupazionali, quali il giornalismo e la pubblicità, facilmente comprensibili attraverso categorie tradizionali, ma non altrettanto aderenti con il complesso delle professioni comunicative. Il risveglio arriva solo al momento del contatto con la realtà produttiva e, per lo più, risulta soddisfacente e aderente alle attese, soprattutto in termini di operatività. Tramontata l’epoca dei boom e delle mode, è giunta l’ora di aprire una riflessione intorno ai lessici e alle funzioni della comunicazione, al di là di stereotipi e distorsioni dilagate tra media e imprenditoria. È un allarme che arriva da quanti affrontano la selezione del mercato, d’altronde condiviso da una comunità più ampia di studiosi e operatori del settore. I neo-laureati, in particolare, si sentono un po’ alla deriva e vivono una vera propria crisi di identità. Consapevoli del valore delle competenze acquisite non temono solo la competizione con i colleghi di discipline limitrofe, quanto una mancanza di riconoscimento del valore della loro professionalità da parte del mondo imprenditoriale. Un disagio che non li abbatte, anzi, li sprona a “rimboccarsi le maniche” e a mettersi in gioco, ma allo stesso tempo, incrementa l’aspettativa nei confronti di una decisa affermazione del ruolo del comunicatore e di una più netta capacità distintiva delle sue specificità culturali e professionali. Questi, in sintesi, gli aspetti salienti che Unimonitor.com ha evidenziato da un’indagine in profondità su una generazione di laureati che si mostra e si racconta svelando un insieme complesso, composito e multisfaccettato di esperienze e vissuti, sogni e desideri, preoccupazioni e speranze, nonché espedienti e strategie per esprimere, accrescere e attestare il proprio valore.
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Il lessico della Comunicazione tra formazione e mercato

Presentazione del XIII Rapporto Unimonitor.com

Abstract sintetico (a cura di Barbara Mazza)

È ormai un dato incontrovertibile che la crisi economica abbia travolto anche il nostro paese, la disoccupazione giovanile tocca il 30% (Istat 2010) e le conseguenze per i neo-dottori non possono che farsi sentire. Eppure nonostante gli scossoni finanziari e le acque turbolente in cui si muove il mercato del lavoro, i flussi in ingresso nei settori della comunicazione continuano a tenere. Del resto, si tratta di ambiti occupazionali da sempre caratterizzati da andamenti irregolari e “mobili” dinnanzi alle innovazioni e alle esigenze di mutamento del sistema produttivo. Non a caso, i giovani comunicatori licenziati dal biennio specialistico in Scienze della Comunicazione resistono a colpi e contraccolpi della congiuntura attuale e affrontano, con un maggior grado di consapevolezza e di versatilità, le sfide e le difficoltà del momento. Nella fotografia scattata dal XIII Rapporto Unimonitor.com, ad un anno dal conseguimento del titolo, lavorano circa due laureati su tre. Si tratta di giovani che sanno cogliere dalle diverse esperienze di lavoro elementi per “reinventare” una professionalità da affermare e confermare nel quotidiano. Il primo biglietto da visita di cui si avvalgono è la tesi che risulta ancora efficace, a dispetto del modello familistico delle raccomandazioni. Persino la quota minoritaria di dottori in cerca di lavoro dichiara, nella maggior parte dei casi, di aver comunque avuto la possibilità di cimentarsi con attività occupazionali. Certo, se il dato complessivo appare più che confortante, da una lettura in profondità delle interviste si rintracciano alcune questioni sostanziali che fanno della comunicazione un terreno ancora in fase di coltivazione e bisognoso di affinarsi e consolidarsi. Pure riguardo al modo di vivere l’esperienza formativa, emerge una dedizione mirata allo studio nel secondo livello, proprio perché più consapevoli della necessità di garantirsi un bagaglio di saperi e di skills di elevato livello, utili a fronteggiare il dinamismo del sistema-lavoro. Nonostante ciò, le contraddizioni insite nella percezione stessa della Comunicazione portano i giovani dottori a sognare ambiti occupazionali, quali il giornalismo e la pubblicità, facilmente comprensibili attraverso categorie tradizionali, ma non altrettanto aderenti con il complesso delle professioni comunicative. Il risveglio arriva solo al momento del contatto con la realtà produttiva e, per lo più, risulta soddisfacente e aderente alle attese, soprattutto in termini di operatività. Tramontata l’epoca dei boom e delle mode, è giunta l’ora di aprire una riflessione intorno ai lessici e alle funzioni della comunicazione, al di là di stereotipi e distorsioni dilagate tra media e imprenditoria. È un allarme che arriva da quanti affrontano la selezione del mercato, d’altronde condiviso da una comunità più ampia di studiosi e operatori del settore. I neo-laureati, in particolare, si sentono un po’ alla deriva e vivono una vera propria crisi di identità. Consapevoli del valore delle competenze acquisite non temono solo la competizione con i colleghi di discipline limitrofe, quanto una mancanza di riconoscimento del valore della loro professionalità da parte del mondo imprenditoriale. Un disagio che non li abbatte, anzi, li sprona a “rimboccarsi le maniche” e a mettersi in gioco, ma allo stesso tempo, incrementa l’aspettativa nei confronti di una decisa affermazione del ruolo del comunicatore e di una più netta capacità distintiva delle sue specificità culturali e professionali. Questi, in sintesi, gli aspetti salienti che Unimonitor.com ha evidenziato da un’indagine in profondità su una generazione di laureati che si mostra e si racconta svelando un insieme complesso, composito e multisfaccettato di esperienze e vissuti, sogni e desideri, preoccupazioni e speranze, nonché espedienti e strategie per esprimere, accrescere e attestare il proprio valore.

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Indice delle note sintetiche di accompagnamento alle presentazioni A. L’analisi del percorso formativo 1. Vita da matricole. Profilo ed aspettative degli immatricolati alle triennali di SdC, di Rossella Basile

1.1. Aspiranti comunicatori: chi e perché sceglie SdC? 1.2. Giudizi e impressioni di una Facoltà tutta da vivere

2. Vita da studente. Profilo ed aspettative degli iscritti al primo anno delle magistrali di SdC provenienti da altre sedi, di Rossella Basile

2.1. Specializzarsi a SdC Sapienza: profilo e motivazioni 2.2. Dal punto di vista degli studenti: impressioni e giudizi

3. Studenti in uscita. Un bilancio dell’esperienza formativa in Comunicazione, di Rossella Basile

3.1. Ad un passo dal traguardo: breve identikit dei futuri comunicatori 3.2.Valutare il passato e guardare al futuro: l’approdo

4. Il biglietto da “laurea”: numeri e parole dei laureati SdC, di Isabella Mingo

4.1. Il profilo dei laureati della Facoltà di Scienze della comunicazione 4.2. Le “parole” dei nostri laureati. Le declinazioni della comunicazione.

B. Uno sguardo al mercato del lavoro 5. Segnali di tenuta tra le sabbie mobili del lavoro, di Laura Bocci

5.1. L’impianto della ricerca: obiettivi e metodi 5.2. Lavorare nella comunicazione in tempi di crisi

6. Identità cercasi: rivendicazioni di categoria, di Cristina Sofia

6.1 La prova del mercato: approcci e considerazioni di giovani laureati. 6.2. Universi semantici a confronto

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A. L’analisi del percorso formativo

1. Vita da matricole Profilo ed aspettative degli immatricolati alle triennali di SdC di Rossella Basile Un ritratto composito e articolato delle matricole di SdC della Sapienza è restituito dal XIII Rapporto Unimonitor.com che, accanto al consueto approfondimento sui laureati e sulle chance occupazionali a loro riservate dal mondo del lavoro. Al centro dell’attenzione aspettative, motivazioni, caratteristiche dei neofiti di SdC, esaminati da un’apposita indagine condotta nel periodo compreso tra dicembre 2009 e gennaio 2010. La rilevazione riservata alle nuove leve si è avvalsa di una websurvey, che ha registrato un tasso di copertura del campione pari al 30% nel caso del corso di laurea in “Comunicazione pubblica e d’impresa” e al 35% per quanto riguarda quello di “Scienze e Tecnologie della Comunicazione”. Il questionario, strutturato in tre parti, è teso a restituire insieme al profilo dei triennalisti in ingresso, anche l’impatto iniziale con la Facoltà e la percezione maturata a due mesi dall’avvio dei corsi, fino a cogliere aspirazioni e desideri che aspettano di dotarsi degli opportuni strumenti per non restare sogni chiusi in un cassetto. 1.1. Aspiranti comunicatori: chi e perché sceglie SdC? Quali caratteristiche contraddistinguono i profili dei nuovi ingressi? Qual è il loro background culturale? E, soprattutto, cosa li ha convinti a scegliere questo iter formativo? Come lo hanno conosciuto e in che modo vi si sono avvicinati? Che tipo di impatto hanno avuto con la Facoltà e che impressione ne hanno? Queste le domande che hanno innervato la prima parte dello scheletro del questionario a cui hanno risposto, per la prima volta, le matricole triennali. Ad emergere è il quadro di giovani per lo più con una maturità liceale (69,5%), sebbene non sempre chiusa con il massimo dei voti, immatricolatisi in circa la metà dei casi nei tempi canonici. Tuttavia, non si può non sottolineare come la restante metà giunga all’università con un anno (12%) o due (11%) di ritardo, se non oltre (28%). Il fenomeno si inscrive all’interno degli “effetti” innescati dalla Riforma (DM 509/99) che ha incentivato l’iscrizione all’università di studenti in età adulta, per lo più già dentro il mondo del lavoro. Un dato che trova riscontro a livello nazionale, dove le immatricolazioni tardive segnano una impennata a riforma avviata, una stabilizzazione nell’a.a. 2005-‘06, per iniziare a decrescere a partire dal 2006-‘07 (CNVSU 2009; AlmaLaurea 2009). A confermarsi è il tradizionale primato femminile che connota ormai in modo strutturale la popolazione di questa Facoltà, ma in generale degli aspiranti dottori prima e laureati poi. Anche sul piano culturale hanno caratteristiche ben precise: mostrano una marcata vivacità nell’eterogeneo mix di consumi e dieta mediatica, sebbene in cima alla classifica delle attività del tempo libero si ritrovano web e ascolto di musica, mentre attivismo politico e sociale restano in coda. D’altra parte, la rete rappresenta la fonte principale per acquisire informazioni sul futuro corso di laurea per un terzo dei rispondenti. Insieme a guide (16%) e opuscoli (14%), inoltre, sono le cerchie amicali ad incidere (13%), mentre l’orientamento universitario come fonte di informazione per la successiva iscrizione è segnalato dal 10% delle matricole. Si tratta di una scelta operata alla luce di una ricerca mirata. Non a caso, dalle motivazioni che portano a preferire questa Facoltà, rispetto al variegato palinsesto formativo sia della Sapienza, sia nazionale (si consideri che il 39% delle matricole è fuori sede), si evince un forte orientamento al mercato del lavoro. Ci si iscrive, anzitutto, per acquisire competenze professionalizzanti (31%), nonché sulla scorta delle valutazioni relative alle chance occupazionali offerte dai singoli corsi di laurea (26%). A queste si accompagnano considerazioni relative alla qualità del percorso formativo e dei docenti (18%; 4%) o ancora interessi finalizzati all’acquisizione di competenze spendibili nel lavoro che già si svolge (18%). Un dato quest’ultimo da non sottovalutare, soprattutto, se si considera che oltre la metà degli intervistati (53%) è uno studente lavoratore. Tra l’altro, va

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sottolineato che ben il 60% degli studenti di Scienze e tecnologie della comunicazione svolge una (45%) o più occupazioni (15%); dato che si attesta al 37% per le matricole di Comunicazione pubblica e d’impresa, di cui il 30% svolge una sola attività lavorativa. Tuttavia, oltre la metà (56%) di quanti al momento hanno una occupazione e circa i due terzi (65%) di coloro che ne svolgono più di una si dicono intenzionati a seguire le lezioni. Naturalmente, fra gli studenti “puri” il dato sale al 91%. Sul piano generale, non si registrano differenze significative tra le matricole di Comunicazione pubblica e d’impresa e quelle di Scienze e tecnologie della comunicazione: nel primo caso, pensano di frequentare circa 8 intervistati su 10, nel secondo 7 su 10. Differenze si registrano, invece, sul piano delle motivazioni. Infatti, se un terzo delle le matricole di Comunicazione pubblica e d’impresa intende frequentare le lezioni per acquisire una buona formazione, una quota analoga degli immatricolati all’altro corso correla la scelta alla prova di esame, mostrando un orientamento più pragmatico e ancora vicino a logiche di tipo liceale. 1.2. Giudizi e impressioni di una Facoltà tutta da vivere Le intenzioni rispetto al futuro non investono solo il “convenzionale” impegno delle lezioni. Ad emergere, in modo netto, è la voglia di vivere la Facoltà nel suo complesso: come luogo di incontro, scambio, confronto con i colleghi, quale punto di riferimento culturale e sociale, oltre che formativo. Certo il tipo di vita universitaria ipotizzata varia al mutare della tipologia di studente iscritto. Chi non ha un’occupazione pone al primo posto il rapporto con i colleghi, mentre oltre la metà dei lavoratori esprime il proprio interesse nei riguardi di convegni (53%) e ricevimento docenti (63%). La spinta ad un legame forte con la Facoltà appare molto forte, inoltre, tra le matricole con una sola occupazione e, seppur in modo minoritario, anche tra coloro che conciliano lo studio con diverse esperienze lavorative. A prima vista, l’impatto non pare essere stato problematico, anzi. Il giudizio espresso nei confronti di didattica, accoglienza, attività culturale e servizi, nel complesso, è positivo. Punte di eccellenza sono toccate dai docenti, dall’organizzazione dei curricula, da seminari e convegni. L’accoglienza, seppur ritenuta soddisfacente dal 65% degli intervistati, raccoglie un 35% di insoddisfatti sui quali occorre intervenire adeguando politiche e strumenti di orientamento già attivi. Rispetto ai servizi che si intende utilizzare, accanto a quelli tradizionali - materiali didattici, biblioteca e spazi di studio – l’accento è posto su laboratori ed erasmus, nonchè su quelli di orientamento, espressione del bisogno di accompagnare al “sapere” il “saper fare” e il “sapersi muovere”. Ma per comprendere la percezione e il giudizio che della Facoltà hanno i suoi studenti occorre fare riferimento alla definizione che ne danno e condensata in un aggettivo. E’ qui che si esplicita quella dimensione di “caos creativo” che connota una Facoltà “interessante” sul piano dell’offerta - dove si concentrano la gran parte degli attributi utilizzati (34%) - ma anche “entusiasmante”, “affascinante”, “coinvolgente”, “moderna”, “dinamica” per quanto concerne i riferimenti ad una dimensione maggiormente identitaria (41%) e, al contempo, “caotica” dal punto di vista organizzativo (25%). E in questo caos creativo, pure le idee con cui vi si arriva non paiono essere sempre chiare. Al momento dell’iscrizione nutre specifiche aspirazioni professionali la maggior parte degli intervistati (58%). Sono sogni e ambizioni che si incanalano su percorsi standard: giornalismo, in primis, e pubblicità in seconda battuta. E se, da una parte, ciò può esser letto come l’esito di un battage mediatico tutto polarizzato sulla falsa equazione comunicazione=giornalismo, dall’altro, non si può non considerare che in ambo i casi sono settori contraddistinti da tratti peculiari riconoscibili e individuabili, ben sedimentati nell’immaginario collettivo. Pian piano, tuttavia, le distorsioni rispetto agli effettivi sbocchi professionali lasceranno il posto alla consapevolezza che i territori della Comunicazione sono molto più eterogenei e puntuali: il sogno vagheggiato assumerà contorni definiti, ma questo solo a percorso concluso e ancor di più a ingresso nel mercato del lavoro effettuato (Cfr. 3; 5).

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2.Vita da studente. Profilo ed aspettative degli iscritti al primo anno delle magistrali di SdC provenienti da altre sedi di Rossella Basile Prima di entrare nel vivo delle evidenze emerse dall’indagine tesa a rilevare identikit, attese e motivazioni dei neo-iscritti alle magistrali, con un approfondimento sugli studenti provenienti da altre sedi, è opportuno segnare le coordinate entro cui si muove il ragionamento. Da un punto di vista metodologico va detto che per la rilevazione si è avvalsa, nel periodo compreso tra aprile e maggio 2010, di una web survey. A rispondere al questionario strutturato sono stati 58 studenti su 171, per un tasso di copertura del campione pari al 34%1. Sul piano dei focus tematici, invece, la traccia era suddivisa in tre sezioni tese rispettivamente a restituire profilo, valutazioni, aspirazioni professionali di giovani che in sé condensano, per certi versi, le difficoltà tipiche di quanti muovono i primi passi in un contesto nuovo e, per altri, la maturità e la consapevolezza di scegliere un percorso sulla base di obiettivi e finalità affinatesi nel tempo. Si tratta di un’indagine che la Facoltà ha realizzato per la prima volta in questo anno accademico proprio a partire dal riconoscimento che questa fascia di popolazione studentesca costituisce, non solo uno spaccato interessante da monitorare, ma è anche portatrice di specifici bisogni di orientamento. 2.1. Specializzarsi a SdC Sapienza: profilo e motivazioni La lettura di una ideale cartina in cui si riportano i flussi in uscita e in entrata dal primo al secondo livello, lascia evincere la propensione verso l’offerta di SdC Sapienza da parte degli studenti che hanno concluso il ciclo triennale negli atenei del Centro e del Sud. Su una popolazione totale di 351 iscritti al primo anno del biennio magistrale, il 49% proviene da un percorso terminato in un’altra sede. Nello specifico quasi la metà ha chiuso gli studi in una università del meridione (in primis Salerno, Napoli - Suor Orsola Benincasa, Napoli - Federico II, Catania, ecc.), poco più di due quinti (42%) in una del Centro e una quota minoritaria (9%) in una del Nord. Si tratta di scelte in linea con gli studi precedenti: nella stragrande maggioranza dei casi sono studenti provenienti da corsi di laurea di Comunicazione o affini, incritti per lo più nelle facoltà di Lettere e Filosofia, Scienze della Formazione, Scienze Politiche, Sociologia e Scienze della Comunicazione, con un profilo segnato da buone credenziali. Si consideri che un quarto ha conseguito il titolo con il massimo dei voti, il 24% con un voto compreso tra 105 e 109, mentre circa un terzo (32%) termina il primo ciclo con un voto tra 100 e 104 e circa un quinto si ferma al di sotto del 100. Con riferimento agli intervistati, l’analisi restituisce un identikit del tutto in linea con l’universo di riferimento. Sono ancora una volta principalmente donne (79%), con un’età superiore a quella canonica: circa la metà ha accumulato uno o due anni di ritardo (il 47% ha infatti tra i 24 e i 25 anni) e circa un quarto oltre 3, mentre solo il 29% degli intervistati è arrivato al biennio nei tempi previsti. Su questo dato pesa senza dubbio l’età con cui si arriva agli studi universitari che, inevitabilmente, condiziona e stravolge ipotetiche tabelle di marcia. D’altro canto, emerge la necessità di mettere a punto strumenti capaci di dare opportune indicazioni non solo allo studente classicamente inteso, ma anche a quanti – sempre più numerosi – coniugano gli impegni universitari a quelli lavorativi. Quasi due terzi degli iscritti al primo anno delle magistrali provenienti da altre sedi dichiarano di aver utilizzato Internet per acquisire informazioni sul corso di laurea a cui si sono poi iscritti. Insieme a guide e opuscoli, inoltre, sono le cerchie amicali ad incidere. L’orientamento universitario resta sullo sfondo: appena il 2% lo segnala quale fonte di informazione per la successiva iscrizione. Rispetto alle motivazioni che portano a scegliere questa Facoltà si evince un forte orientamento al mercato del lavoro. Alla stregua dei triennalisti, i magistrali si iscrivono, anzitutto, per acquisire competenze professionalizzanti (45%), a cui segue l’esigenza di completare il ciclo degli studi,

1 Gli iscritti complessivi al primo anno delle magistrali sono 351. Gli studenti provenienti rappresentano il 49%.

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ottemperando all’architettura del 3+2, così come si è imposta nella prassi, più che nelle intenzioni della Riforma universitaria del 2001. Certo, è innegabile che dal triennio al biennio qualcosa cambi anche nel dna degli studenti. Scelte, performance, ambizioni si affinano sulla base di una consapevolezza maturata nel tempo e con esse si rimodulano preferenze e opzioni. Non a caso, quasi la metà degli iscritti al primo anno delle magistrali proviene da altre Facoltà e da altri Atenei (solo il 6% era iscritto alla Sapienza). Una scelta non casuale, ma ponderata, frutto di attente analisi e valutazioni. In un quarto dei casi si predilige SdC perché ritenuta migliore rispetto ai corsi proposti dalla Facoltà di origine (22%). Allo stesso modo, gli studenti intervistati preferiscono la Sapienza al precedente Ateneo di appartenenza in quanto l’impianto formativo è più ricco, articolato e mirato ad una formazione maggiormente professionalizzante. 2.2. Dal punto di vista degli studenti: impressioni e giudizi A prima vista la Facoltà non delude le aspettative. Come per i colleghi del ciclo precedente, gli attributi utilizzati per definirla lasciano emergere punti di forza e di debolezza rintracciati dagli intervistati a circa due mesi dall’avvio delle lezioni. E’ senza dubbio una Facoltà stimolante, valida, innovativa e sopratutto interessante, specifica, sebbene in alcuni casi si lamenti il carattere teorico e generico, oltre a quella dimensione di caos e confusione che anche gli iscritti alle magistrali non mancano di rimarcare. Nel complesso, tuttavia, il giudizio espresso è più che positivo sia per quanto riguarda il corpo docente che l’organizzazione del corso di studio, o ancora convegni e seminari, etc. Il deficit che si può rinvenire, invece, attiene all’accoglienza nella Facoltà, di cui si dichiarano soddisfatti poco meno della metà degli intervistati (47%). A differenza dei colleghi che completano il ciclo degli studi proseguendo in modo quasi “naturale” l’iter iniziato con la triennale, quanti provengono da altre sedi hanno esigenze informative e di orientamento simili a quelle delle matricole. Se sul piano culturale, così come su quello dell’autonomia e del metodo hanno ormai un bagaglio formativo e di esperienza dal quale possono attingere, sul piano della “socializzazione” alla facoltà, ai suoi servizi, alle sue routine e alle sue prassi la necessità di un orientamento specifico è più forte, proprio perché in un certo senso “azzerano” quanto acquisito, per ricominciare in un nuovo contesto, maggiormente congeniale – nelle loro valutazioni – agli obiettivi che intendono raggiungere. Non a caso, tra i servizi che si intende utilizzare si fa esplicito riferimento a quelli di orientamento (11%), oltre a quelli più tradizionali, quali materiali didattici (21%), segreteria (15%), spazi di studio (15%) e biblioteca (9%), e quelli che si potrebbe definire “innovativi”: laboratori (19%) e progetto erasmus/socrates (7%). Quest’ultimo dato, mostra quanto sia ancora necessario alimentare l’apertura all’internazionalizzazione degli iscritti al biennio magistrale in Comunicazione, a partire dalla messa a punto di iniziative o azioni che spingano e supportino lo studente in una esperienza di grande valore per la costruzione del loro curriculum vitae. Il forte orientamento al mercato del lavoro è un tratto distintivo degli studenti di Comunicazione che mostrano di avere le idee piuttosto chiare rispetto a ciò che vorrebbero fare da grandi. Il 67% degli intervistati dichiara di avere specifiche aspirazioni professionali già al momento dell’iscrizione. Sebbene pubblicità e giornalismo restino gli ambiti che incontrano in misura cospicua speranze e desideri dei futuri comunicatori, non si può non rilevare la lenta presa di consapevolezza che da un ciclo all’altro accompagna gli studenti. Rispetto ai triennalisti, con i quali condividono ambizioni analoghe, cresce la quota di quanti dichiarano di ambire a farsi largo nel settore del management e del marketing o negli uffici stampa e comunicazione. Una lenta presa d’atto che, al di la degli stereotipi e di vecchie categorie, che tendono a semplificare e a contrarre i territori della comunicazione, essi sono molto più complessi e variegati. L’incontro con questi mondi, avvenuto nel triennio, ha aperto uno squarcio in una visuale condizionata da facili cliché, quanto mai riduttivi.

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3. Studenti in uscita. Un bilancio dell’esperienza formativa in Comunicazione di Rossella Basile Tracciare un vero e proprio identikit del laureato della Facoltà, stilare il bilancio dell’esperienza formativa, operare un’analisi comparativa tra aspettative, intenzioni, percezioni: questi gli obiettivi prioritari dell’indagine riservata agli studenti al termine del percorso triennale e magistrale. Al fine di giungere ad una copertura totale dell’universo di riferimento, è stata messa a punto una piattaforma online che vincola la compilazione di un questionario strutturato alla procedura di autorizzazione alla discussione della tesi di laurea. L’obiettivo strategico è stato giungere alla creazione di un sistema standard continuativo che consentisse di monitorare costantemente sia l’efficienza e l’efficacia dell’iter formativo, sia le caratteristiche e i tratti distintivi dei profili in uscita dai corsi di Comunicazione. I dati e le evidenze riportati di seguito danno conto di quanto dichiarato dai laureandi della sessione estiva luglio 20102, primo gruppo di studenti in dirittura d’arrivo coinvolti nell’indagine. Insieme all’analisi delle motivazioni e delle impressioni espresse in entrata dalle matricole triennali e dagli iscritti alle magistrali, l’analisi del percorso formativo al momento dell’approdo costituisce uno strumento di valutazione importante in termini di politiche didattiche, governo dei processi, analisi dei punti di forza e di debolezza dimostrate dal sistema. . 3.1. Ad un passo dal traguardo: breve identikit dei futuri comunicatori Come risulta dalle indagine su motivazioni, aspirazioni e profili degli studenti in ingresso ai corsi di laurea triennali e magistrali della Facoltà (a.a. 2009-2010; Cfr. 1; 2), dal triennio al biennio qualcosa cambia nell’approccio e nello “spirito” degli studenti che, inequivocabilmente e positivamente, disegnano andamenti irregolari nei percorsi messi in atto. La discontinuità è evidente oltre che sul piano degli indirizzi, su quello delle performance. L’identikit dei laureati in uscita mostra un netto incremento nella media degli esami che da un rasentato 26 al primo livello (25,8) tocca il 28 nel secondo. Ancora, non solo i laureandi del biennio affermano di aver frequentato di più le lezioni (86,5% vs 70%), ma anche per un numero maggiore di ore settimanali: 15 ore settimanali vs le 13 ore dichiarate dai colleghi del triennio di base. Inoltre, mentre gli specialistici prima – i magistrali ora – provano a stare nei tempi previsti (benché solo il 15% si laurea in corso e il 60% con un anno di ritardo), i triennalisti in corso sono l’8%, mentre oltre la metà (56%) registra un ritardo di 3 anni e più. Ad incidere è anche lo status di studente lavoratore che contraddistingue la maggioranza di questi ultimi (56%) e circa la metà di quelli di secondo livello (47%). Attenzione al mercato e al biglietto da visita con cui presentarsi o, in altri termini, ricerca del recupero sui tempi e performance migliori costituiscono, in sintesi, gli elementi di maggiore differenziazione tra i due livelli. Tuttavia, seppur con le dovute differenze, si rintracciano alcune costanti tra gli studenti del primo e del secondo ciclo e tra i due momenti nei quali sono stati interpellati (all’inizio e alla fine). Quali sono? Anzitutto, le intenzioni espresse al momento dell’ingresso, rispetto al desiderio di vivere a pieno la Facoltà e le attività proposte, trovano conferma nelle evidenze emerse dall’indagine condotta a iter concluso. Al di là dei doveri formali, secondo il quadro che si delinea da questo primo gruppo di laureandi, sia al triennio che al biennio si va all’università non solo per seguire le lezioni, ma anche per partecipare a seminari (37% vs 33%), per incontrare/studiare con i colleghi (23% vs 29%), nonché per rivolgersi ai docenti durante i consueti ricevimenti (22% vs 20%). A richiamare l’attenzione è lo scarto evidente tra la forza dei seminari e il poco appeal esercitato dai convegni, tanto che è ormai inevitabile non interrogarsi sul perché questo tipo di attività culturale, nel tempo, abbia visto scemare l’interesse. Occorre domandarsi se la mancanza di presa sulla popolazione studentesca sia l’esito del tipo di offerta o di una “modificazione culturale” dello studente, poco incline a seguire quanto non ha un immediato ritorno sul piano prettamente strumentale. Ciò potrebbe essere un’ipotesi plausibile, specie se si considera che, nella maggior

2 La rilevazione è stata condotta nel periodo compreso tra febbraio e aprile 2010

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parte dei casi e senza distinzioni particolari tra i due cicli, la ragione principale alla base della scelta del seguire i corsi attiene al superamento dell’esame (48% vs 47%). D’altra parte, non è da escludere che un’analisi dell’offerta – sia dei contenuti, sia della struttura di convegni e seminari – potrebbe dare indicazioni utili sulle criticità da superare. Ad ogni modo, il giudizio complessivo espresso sulla Facoltà e sui suoi servizi è positivo. Unici nei rilevati dagli studenti in uscita sono la mancanza di spazi per lo studio (rispetto ai quali si dichiarano insoddisfatti il 61% dei triennalisti e il 73% degli specialistici) e la funzionalità dei laboratori. In quest’ultimo caso, il grado di soddisfazione si attesta al 54% per i laureandi del triennio e al 41% per quelli del biennio. 3.2. Valutare il passato e guardare al futuro: l’approdo Per comprendere la percezione e il giudizio che di SdC hanno i suoi studenti occorre fare riferimento alla definizione che ne danno e ancora una volta si rintraccia un ulteriore costante. Ad emergere è nuovamente quella dimensione di “caos creativo” messa in evidenza dai colleghi che muovono i primi passi in questa Facoltà, a loro avviso “completa”, “formativa”, “vivace”, “qualificante” ma, al contempo, “caotica” e “dispersiva”. Non si tratta di un Giano bifronte, non sono due facce distinte di un unico capo, bensì un soggetto complesso in cui convivono - e talora prevalgono - elementi attinenti la dimensione formativa e aspetti inerenti quella organizzativa. Sullo sfondo, vi è un giudizio più che incoraggiante rispetto alla qualità dei corsi seguiti di cui si dichiara soddisfatto l’88% degli studenti che stanno per concludere gli studi di base e l’89% di coloro al termine del percorso specialistico. Discontinuità e costanti si rinvengono anche per quanto concerne i sogni nel cassetto e le ambizioni professionali che si coltivano. In questo caso, rispetto allo scenario di partenza si registrano significative inversioni di tendenza. L’analisi delle risposte fornite mostra come con il passare del tempo muti la consapevolezza degli sbocchi occupazionali in cui un laureato in Comunicazione. I sogni “sfocati” da matricola lasciano via via lo spazio alla realtà e sulla base di questa si modellano, si diversificano, cambiano forma e contorni. L’egemonia non è più per giornalismo e pubblicità che lasciano spazio a declinazioni differenti. In un caso emergono, sia alla triennale e ancor più alla specialistica, ambiti quali ufficio stampa e comunicazione, editoria, audiovisivo; nell’altro il marketing strappa il primato alla pubblicità che costituisce l’opzione successiva, seguita dalle pubbliche relazioni e dall’organizzazione di eventi. Tuttavia, sebbene in uscita il ventaglio delle opzioni si amplia e diversifica e si possano cogliere segnali dell’avvenuta comprensione circa gli ambiti in cui spendersi, rompendo con superficiali semplificazioni, è altrettanto evidente che il tempo di una attenta riflessione sul Lessico della Comunicazione sia giunto. Ciò è testimoniato con forza da quanto emerge dalle interviste ai laureati già immessi nel mondo del lavoro (Cfr. 4), ma si ravvisa “in controluce” pure da quanto rilevato sia in entrata che in uscita. Al di là di stereotipi e distorsioni dilagate tra media e imprenditoria, si rende necessaria ed urgente una definizione chiara di ruoli e funzioni dei profili formati dai corsi di laurea in Comunicazione tanto all’esterno delle mura accademiche, incentivando le occasioni di incontro e confronto con le parti sociali, quanto all’interno, attraverso momenti di orientamento mirato con le matricole prima e gli iscritti alle magistrali poi.

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4. Il biglietto da “laurea”: numeri e parole dei laureati SdC Note sintetiche di Isabella Mingo In questo contributo si presentano sinteticamente alcuni dati riguardanti i laureati nella nostra Facoltà, considerando come periodo di riferimento il quadriennio 2006-2009. I dati sono desunti da una fonte amministrativa, ossia dal database di Facoltà (SDC) che, pur essendo uno strumento finalizzato prioritariamente alla gestione (assegnazione e autorizzazione alla discussione) delle tesi di laurea, si rivela molto utile per monitorare le performance e i temi di maggiore interesse dei laureati. Saranno, a tal fine, considerati sia alcuni indicatori quantitativi – voti di laurea e regolarità dei percorsi formativi-, sia le “parole” più ricorrenti nei titoli delle tesi discusse nel quadriennio considerato. Ciò al fine di comprendere interessi, orientamenti e aspettative dei laureati in comunicazione nei confronti del loro futuro lavorativo. Un focus sulla fase conclusiva del percorso ci racconta, con un taglio moderno e innovativo, gli andamenti e le evoluzioni dei territori della comunicazione, ma ci svela anche i sogni di una generazione che ambisce a dare il suo contributo in tali ambiti. Il modo di affrontare le tematiche in esame e di declinarne le prospettive è la prima prova evidente delle capacità acquisite dai laureandi nel coniugare saperi e prassi.

4.1. Il profilo dei laureati della Facoltà di Scienze della comunicazione È cospicuo il numero di coloro che hanno raggiunto il traguardo del conseguimento del titolo nel triennio 2006-2009. Sono, nel complesso, 6434 gli studenti licenziati dalla Facoltà, con notevoli differenziazioni al loro interno per anno e tipo di corso di laurea. La composizione e la consistenza di questo grande insieme si sono modificate nel tempo, sia a causa delle trasformazioni avvenute nell’ordinamento didattico, sia in seguito alle diverse politiche di contenimento delle immatricolazioni. La distribuzione per anno evidenzia, nel quadriennio considerato, una diminuzione complessiva del numero dei laureati (passati da circa 2040 a 1194) di circa il 41,5%, un dato influenzato in maniera determinante dall’uscita dei laureati vecchio ordinamento. Il decremento maggiore si registra, infatti, proprio nel sottoinsieme “ad esaurimento”, ossia tra i quinquennalisti (-83% circa) passati da circa 1184 laureandi nel 2006 a circa 200 nel 2009. Anche il numero dei triennalisti è diminuito, sebbene in maniera più contenuta, di circa il 22%, tanto che scende da 803 a 628. Per le lauree specialistiche si rileva, invece, una tendenza di segno opposto: il numero dei laureati nell’ultimo triennio è aumentato di circa 7 volte, da 54 nel 2006 raggiunge i 368 nel 2009. Ciò anche per effetto dell’incremento registrato nelle nuove iscrizioni ai corsi di laurea di secondo livello della Facoltà che, nei tre anni precedenti, ha sfiorato circa le 1.500 unità. Negli ultimi due anni, si segnala, inoltre, una attenuazione della tendenza alla diminuzione: tra i triennalisti il decremento annuo è più contenuto (del 13,5%)3, mentre tra i quinquennalisti è del 44,7%. In termini di performance la situazione appare altrettanto diversificata, specie tra il primo e il secondo livello. Il voto medio registrato nel periodo considerato (2006-2009) non ha mai superato il 102. Nel 2009, risulta in linea con quello dei corsi di laurea dei raggruppamenti politico-sociali a livello nazionale, secondo i dati Almalaurea; mentre è inferiore al voto medio dei corsi di laurea “letterari” (-5.4 punti) e di quelli della Sapienza (-2,3 punti). Si registra, tuttavia, una notevole variabilità per tipo di corso di laurea: i voti medi più elevati, non inferiori a 107,4, si riscontrano nelle lauree specialistiche, mentre i voti più bassi sono quelli dei triennalisti, con valori medi che oscillano da 96,5 – nel corso di laurea in Comunicazione Pubblica e Organizzativa - a 103 tra i laureati del corso telematico. Del resto, come evidenziato anche negli altri approfondimenti condotti da Unimonitor sugli studenti, non risulta, specie nei primi anni di avvio del percorso accademico una particolare attenzione alla performance. È una consapevolezza legata al valore del titolo che si acquisisce negli anni successivi e, in particolare, nel secondo livello. Per quel che riguarda l’incidenza dei laureati in corso sul totale - considerato un indicatore di efficienza per valutare la regolarità dei percorsi formativi - al 2009, se si escludono i quinquennalisti, risulta pari al 18,5%, ma, pure in questo caso, si diversifica notevolmente tra i differenti tipi di laurea: nelle specialistiche assume valori molto più elevati rispetto a quelli registrati nelle triennali. Nel 2009, ad esempio, nelle specialistiche, considerate nel loro complesso, il 33% 3Ciò può essere dovuto all’anticipo della sessione invernale 2009 generalmente espletata l’anno solare successivo.

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dei laureati era in corso, a fronte del 9% delle lauree di base. Ancora una volta, l’impegno aumenta al crescere dell’età e alla prospettiva di avvicinarsi al traguardo agognato. 4.2. Le “parole” dei nostri laureati. Le declinazioni della comunicazione. La tesi di laurea costituisce il primo biglietto da visita di cui i laureati possono avvalersi affacciandosi al mondo del lavoro. Si tratta di una vocazione registrata sin dalla produzione delle prime tesi di vecchio ordinamento, a partire dal 1997 e che si è confermata nel tempo, anche al di là dei rinnovamenti intervenuti sugli ordinamenti didattici. La tesi, da quanto dichiarano gli studenti, continua a costituire uno strumento principe di presentazione al mercato, un modo per dimostrare capacità critiche e analitiche attraverso cui leggere, interpretare, se non addirittura anticipare, tendenze e orientamenti che investono i principali fenomeni sociali e culturali che investono il mercato, ma più in generale, relazioni e vita quotidiana degli individui. Non a caso, il momento della scelta dell’argomento ha, da sempre, rappresentato una tappa decisiva per gli studenti, nella quale raccordare interessi e passioni coltivate negli anni di studio con un sguardo attento alle opportunità offerte dal mondo del lavoro a cui ambiscono. Quali sono le “parole” più ricorrenti utilizzate nei titoli delle tesi dei nostri laureati? Quali sono i temi di maggiore interesse evocati da queste “parole” ? Una analisi esplorativa, compiuta mediante un approccio lessicometrico, dei titoli delle tesi discusse nel quadriennio considerato, può fornire qualche indicazione a riguardo4. Soffermandoci soltanto sulle parole ricorrenti, e in particolare sulle prime venti, ecco emergere le tematiche prevalenti: <comunicazione> è il termine usato in assoluto, quasi a rafforzare, l’identità dei laureati della Facoltà, seguito a distanza da <marketing> che delinea un ambito di lavoro specifico per il professionista della comunicazione, ma anche da <Italia>, teso ad evocare un preciso contesto territoriale. Si individuano, inoltre, altre parole connesse alla sfera mediale: <cinema>,< tv>, <media>, <web> <digitale>; ma anche termini che richiamano ambiti e prospettive di analisi: <sociale>, <sviluppo>, <politica>, <pubblicità>, <informazione>, <evoluzione>. Un’analisi sintagmatica del corpus compiuta intorno alla parola <comunicazione> ci consente di specificare meglio i diversi significati attribuibili a questo termine : la politematica più ricorrente risulta <comunicazione interna>, seguita da <comunicazione politica> <comunicazione pubblicitaria> <comunicazione pubblica> <comunicazione d’impresa> . Analogamente, considerando la seconda parola tema <marketing>, emergono diverse declinazioni del concetto, con prevalenti accezioni riferiti al territorio e al turismo. Infine, se si opera una categorizzazione dei termini che si riferiscono ai media, risulta come rispetto a questa tematica siano oltre un migliaio le parole che ricorrono nei titoli delle tesi di laurea. Tra di esse emerge il primato del media generalista per eccellenza -la tv-, seguito immediatamente dal nuovo media per eccellenza, il web. In conclusione, le “parole” dei laureati indicano con chiarezza tre ambiti tematici fondamentali, che suggeriscono presumibilmente i loro ambiti di maggiore interesse, anche a fini lavorativi: i media, la comunicazione e il marketing.

4 Si tratta di un corpus di circa 62mila occorrenze, di cui circa12 mila parole diverse. L’indice di estensione lessicale , pari al 18%, è un indicatore della modesta ricchezza del lessico usato; mentre la percentuale di hapax (ossia di forme usate solo una volta) sul totale di vocaboli diversi, pari al 63 indica una notevole variabilità di parole usate occasionalmente.

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B. Uno sguardo al mercato del lavoro 5. Segnali di tenuta tra le sabbie mobili del lavoro di Laura Bocci 5.1. L’impianto della ricerca: obiettivi e metodi Quali sono le chance occupazionali dei laureati di II livello in Comunicazione in un tempo segnato dalla crisi economica? Questo l’interrogativo chiave e l’obiettivo conoscitivo del monitoraggio realizzato tra aprile e maggio 2010. La ricerca indaga, ad almeno un anno dal conseguimento del titolo, lo status occupazionale dei laureati specialistici della Facoltà di Scienze della Comunicazione nel periodo compreso tra luglio 2007 e dicembre 20085. L’intento è comprendere, da un lato, le modalità e l’ambito di inserimento dei neolaureati nel mondo del lavoro e, dall’altro, la capacità del mercato di accogliere i laureati di secondo livello in comunicazione in un periodo di notevoli difficoltà. L’indagine è stata realizzata attraverso una intervista telefonica6, che si è avvalsa di un questionario articolato in due sezioni. La prima, destinata a quanti hanno dichiarato di essere occupati, prevedeva domande a risposta chiusa e ha puntato a far emergere il ruolo ricoperto, le modalità e i tempi della ricerca di un impiego, la soddisfazione e il reddito, le precedenti esperienze lavorative; mentre per le persone non occupate ha inteso approfondire occasioni e difficoltà incontrate in fase di ricerca e di accesso al lavoro. La seconda sezione, costituita da una traccia strutturata con domande a risposta libera, ha consentito agli intervistati di esprimersi liberamente su aspetti specifici del percorso universitario e della vita lavorativa, nel caso degli occupati. In termini operativi, il campione è stato selezionato dopo aver stratificato il collettivo di riferimento in base a tre caratteristiche: anno (2007 o 2008) e corso di laurea specialistica in cui è stato conseguito il titolo di II livello; genere. Rispetto agli obiettivi dell’indagine si è deciso di non considerare come variabile di stratificazione il voto di laurea dato che non si attesta mai al di sotto di 100/110. I criteri di selezione hanno portato a focalizzare l’attenzione su 317 laureati reperibili7, di cui 75 hanno conseguito il titolo tra luglio e dicembre 2007 e 242 nell’anno solare 2008. Di questo gruppo ne sono stati contattati 135, di cui, purtroppo, il 34% (46 casi) non è andato a buon fine per questioni logistiche. Di conseguenza, le interviste effettuate sono state 89 (20 del 2007 e 69 del 2008) e hanno garantito un tasso di copertura pari al 28%. 5.2. Lavorare nella comunicazione in tempi di crisi Ad un anno e mezzo dal conseguimento del titolo, lavorano circa due laureati su tre (68.4% dei laureati ad ottobre/novembre 2008), ma se si osserva l’andamento degli ingressi nel mercato, si può notare come la quota degli occupati aumenti nel corso del tempo: ad aprile 2010, i quattro quinti dei laureati negli anni 2007 e 2008 dichiara di avere un’attività. Persino, tra quanti non lavorano al momento dell’intervista, la maggior parte ha avuto la possibilità di svolgere attività lavorative, sebbene, soprattutto in settori non concernenti la comunicazione. Le esperienze maturate si sono verificate entro tre mesi dalla laurea e in linea di massima per un periodo di almeno 6 mesi. Ancora una volta, a confermare il periodo di crisi che stiamo vivendo si evidenzia come 4 non lavoratori in realtà hanno perso il lavoro dopo aver conseguito il titolo di II livello.

5 Le lauree specialistiche coinvolte nell’indagine sono: Comunicazione d’Impresa, Comunicazione Sociale e Istituzionale, Editoria, Comunicazione Multimediale e Giornalismo, Teoria della Comunicazione e Ricerca Applicata e il corso interfacoltà di Innovazione e Sviluppo. 6 Le interviste sono state condotte dagli allievi del dottorato n Scienze della comunicazione (XXV ciclo): Piero Balzoni, Liciano Di Mele, Paolo Fedeli, Ana Germani, Cristina Greco, Laura Gherone, e da Alessia Ciccotti, studentessa della laurea specialistica in Editoria multimediale e nuove professioni dell’nformazione. 7 Si tratta di persone delle quali si ha a disposizione un recapito telefonico. 105 laureati del periodo di riferimento sono stati esclusi dall’analisi per mancanza di un recapito telefonico.

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In un mercato così incerto e frammentario è evidente una certa volatilità lavorativa che comporta una successione di esperienze lavorative: basti considerare che poco più della metà degli occupati (51.5%) svolge l’attuale lavoro da meno di un anno. D’altra parte, percorsi altalenanti consentono comunque di conoscere le caratteristiche del mercato di riferimento e, dunque, di muoversi al suo interno adeguatamente. Non a caso, il 42.3% ha impiegato meno di 3 mesi e 1 laureato su 4 lavorava già prima di laurearsi. Si tratta di giovani che sanno cogliere dalle diverse esperienze di lavoro elementi per “reinventare” una professionalità da affermare e confermare nel quotidiano e, in questo iter, assumono un peso determinante le strutture private che accolgono circa i tre quarti dei laureati specialistici. Allo stesso modo, il 52,5% degli intervistati sottolinea quanto la precedente esperienza lavorativa abbia inciso nella ricerca dell’attuale occupazione, persino quando maturata in contesti differenti dal settori in cui sono inseriti al momento della rilevazione. La conoscenza del mercato sviluppata in maniera diretta consente al 70% di inserirsi nei settori per i quali si sono formati: dalla comunicazione pubblica, istituzionale e sociale (12.7%) alla comunicazione aziendale e al marketing (19.7%), al giornalismo, all’audiovisivo e all’editoria (22.5%). Il primo accesso è caratterizzato da forme di lavoro atipico che rappresentano la metà (50.7%) dei contratti. Rispetto ai laureati triennali questa tipologia contrattuale rafforza la sua presenza di ben 14 punti percentuali (36.8% nel 2009 per i laureati triennali). Il contratto a progetto regola la metà dei rapporti di lavoro nei settori della comunicazione aziendale, della comunicazione pubblica e del giornalismo. In quest’ultimo, si registra un picco del 71.4% per qualifiche quali addetto stampa e addetto URP (Ufficio per le Relazioni con il Pubblico). Ma di cosa si occupano i laureati specialistici in Comunicazione nelle strutture in cui trovano impiego? Si tratta di mansioni attinenti alla comunicazione nel 66.2% dei casi e affini8 nell’11.3%, mentre solo un quinto svolge funzioni non concernenti. Nonostante la maggior parte degli intervistati abbia un’occupazione coerente con il proprio percorso di studi, la quota di quanti sono impegnati in un lavoro distante dalle competenze acquisite è ancora una volta indice delle difficoltà incontrate dagli intervistati a “spendersi” in una professione in linea con il proprio profilo. Nell’inserimento nel mondo del lavoro acquista un peso rilevante il ruolo giocato dalla Facoltà (22.5%) sia grazie ai contatti instaurati durante lo svolgimento della tesi, sia attraverso lo svolgimento di stage, sia mediante il supporto delle strutture di placement universitario. Si afferma, dunque, quale strumento efficace, ancor più di quanto risulti nell’indagine sui laureati di I livello, tanto da affiancare e tener testa al modello familistico delle raccomandazioni (22.5%). Un’alternativa sempre valida rimane, poi, l’invio diretto di curricula (21.1%). Nonostante il complesso di fattori congiunturali e strutturali (dalla crisi economica alla concorrenza tra laureati con titoli affini) il lavoro svolto continua a soddisfare, tanto che il gradimento è quasi un anime e solo il 10% si ritiene poco gratificato. Si tratta, per lo più, di quanti aspirano ad inserirsi in un altro settore (57%).

8 Si tratta di quelle attività che richiedono notevoli competenze di tipo comunicativo, benché non siano specificatamente attinenti alla comunicazione

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6. Identità cercasi: questioni di riconoscimento di Cristina Sofia 6.1 La prova del mercato: approcci e considerazioni di giovani laureati Una sezione specifica dell’indagine condotta quest’anno sui laureati specialistici di Scienze della Comunicazione ha inteso indagare, dal punto di vista argomentativo, l’approccio con il mondo del lavoro, oltre a meriti e criticità dell’esperienza formativa maturata. Le riposte dei soggetti relative a tale insieme di contenuti sono state considerate nel loro complesso e sono state organizzate in un unico corpus testuale9, al fine di rendere conto anche della forte interrelazione tra i due insiemi di contenuti. L’uno,costituito da tutte le risposte degli studenti alle domande inerenti il Rapporto tra formazione e lavoro; l’altro, relativo alle opinioni espresse da lavoratori (71) e non lavoratori (18) in merito ai Pregi e limiti della formazione in comunicazione e alle proposte di miglioramento La prima lettura del materiale testuale a disposizione ha suscitato immediatamente l’attenzione nei confronti dei dati raccolti durante la precedente rilevazione Unimonitor (2009), rivolta ai laureati triennali. Laureati triennali e specialistici presentano, infatti, atteggiamenti diversi nei confronti del percorso formativo e concezioni differenti del mondo del lavoro. I primi (laureati negli anni 2005 e 2006) manifestano una scarsa conoscenza del mondo del lavoro e una percezione solo parziale delle richieste espresse dai differenti ambiti occupazionali, mentre esprimono ancora un forte attaccamento al percorso formativo. Ciò è determinato pure dall’intenzione di proseguire il percorso di studi iscrivendosi al ciclo successivo. I secondi (laureati negli anni 2007 e 2008) si sono invece misurati con il mondo del lavoro e ne conoscono disfunzionalità e potenzialità. Sviluppano però, a differenza degli altri, valutazioni critiche nei confronti del percorso formativo: non solo ne indicano eventuali carenze, ma si mostrano molto disponibili ad avanzare proposte per il miglioramento dei corsi di studio in termini operativi, nell’ottica di una rimodulazione innovativa dell’offerta formativa. L’esame del vocabolario ha costituito il passo successivo dell’analisi che si è snodata intorno alle parole tema e alle parole significative. L’individuazione dei contesti d’uso di questi termini ha consentito di ricostruire lo spazio semantico delle argomentazioni dei laureati per decodificarne atteggiamenti e percezioni dalla sfera esperienziale. L’analisi delle parole tema e delle parole significative ricostruisce le dinamiche di incontro/scontro con la “realtà” (come viene definita dai laureati) del mondo del lavoro e consente di tracciarne in modo piuttosto preciso i connotati caratteristici. Ciò che suscita maggiore interesse è il riferimento a termini quali marketing, economia e ingegneria. L’attenzione nei confronti di queste discipline, a detta degli intervistati, decodifica lo spiccato interesse del mercato nei confronti dei laureati in esame. A ciò si affiancano alcune considerazioni degli intervistati: in alcuni affiora una sorta di rammarico per non aver maturato un titolo di studio ad elevata spendibilità nel mondo del lavoro, mentre per altri sarebbe stato sufficiente connotare in modo diverso l’offerta formativa, in modo da renderla più specialistica e, dunque, innalzandone i tassi di competitività rispetto a settori come l’economia e il marketing. In entrambi i casi, dai primi approcci con il lavoro, si denota un atteggiamento pregiudizievole nei confronti dei laureati in Scienze della Comunicazione, la cui formazione viene ritenuta superficiale. Allo stesso tempo però i comunicatori segnalano la miopia di molti settori occupazionali che, anche nella comunicazione, preferiscono puntare su dottori in discipline economiche o gestionali, ossia, su figure professionali consolidate e ben definite, perdendo forse quel plus di innovazione costituito dall’inserimento di profili, di contro, molto versatili quali quelli di Scienze della Comunicazione.

9 Il corpus ha un numero di parole distinte pari a 5.208 unità. Sebbene tale estensione non si presti a trattamenti automatici del testo, in questa sede vi si è fatto ricorso a titolo esplorativo.

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Comunicatori vs altri laureati Mi piacerebbe insomma marketing strategico non marketing volto alla vendita Ma sicuramente ripeto laureati in economia hanno insomma sono più privilegiati rispetto ai laureati in comunicazione. I laureati in comunicazione non so… penso ci sia ancora un pò di pregiudizio nei confronti dei laureati in comunicazione , viene vista un pò come una laurea leggera che non ti da delle opportunità … rispetto a un’economia a una giurisprudenza Si c’è poca fiducia perché non si capisce bene questi laureati in scienze della comunicazione che cosa sappiano fare Si secondo me sbagliano. … vengono ricercati laureati in ingegneria aziendale e non tanto laureati in scienze della comunicazione anche se secondo me spesso abbiamo tutte le caratteristiche per quel tipo di lavoro. … rispetto ad altre facoltà , penso a quelle tipo ingegneria o economia , siamo considerati completamenti inferiori … anche economia e commercio ti dà delle basi di marketing , anche ingegneria gestionale, che vengono considerate più che sufficienti dalle aziende. Da ciò scaturisce un confronto ideale, e per molti versi idealizzato, tra laureati in Comunicazione e quelli nelle altre discipline, tutti ai primi passi nel mondo del lavoro e alle prese con le sue effettive richieste. In questo scenario, la mancanza di riconoscimento da parte del mercato nei confronti dei comunicatori, giudicati meno qualificati rispetto alle altre figure, risulta parte integrante di quel puzzle di elementi che le ulteriori analisi effettuate sul materiale testuale contribuiranno a ricostruire e che lascerà intravedere un profilo identitario non del tutto delineato, e soprattutto legittimato, sul piano professionale. Proseguendo la lettura delle parole tema, e soffermandosi su quelle che assumono maggior rilievo, si trovano i termini mondo del lavoro (282 occorrenze) e comunicazione (312 occorrenze). Dall’analisi delle concordanze di tali termini è possibile ricostruire, a detta dei rispondenti, le motivazioni addotte a sostegno di tale atteggiamento pregiudizievole, imputabili per lo più alla maggiore fiducia manifestata nei confronti di professionalità ritenute solide in quanto configurate in modo tradizionalmente definito e riconosciuto. Si intravede, comunque, qualche spiraglio di cambiamento, specie rispetto alle recenti richieste di lavoro (diffuse via internet) sebbene, come sostengono i neolaureati che operano nella comunicazione, risultano ancora pochi i professionisti inseriti ad oggi in tali ambiti. Il mondo del lavoro corso di laurea molto valido, ma non adeguatamente riconosciiuto dal mercato del lavoro è il difetto principale Quando sento parlare di ufficio comunicazione , sento laureati in altre discipline è l’università che deve tirar fuori qualcosa di credibile e spendibile nel mondo del lavoro. Il mondo del lavoro è antipatico, cioè che gliene frega di venire incontro all’università l’università mette a disposizione lo sportello stage ma poi in realtà non è facile trovare lavoro per un laureato in scienze delle comunicazioni rispetto alle altre facoltà e altri tipi di laurea poi ho letto su internet molti annunci si diceva come laurea ideale i laureati in scienze della comunicazione quindi le cose stanno un pò cambiando però ovviamente non è sempre facile la laurea non è presa in considerazione quanto dovrebbe Per cui diciamo che le posizioni rivolte esclusivamente ai laureati in scienze della comunicazione sono piuttosto rare; io ho avuto molta difficoltà a trovare anche per questo motivo Ulteriori evidenze emergono dalle parole significative (con frequenza <= 4) e contribuiscono a caratterizzare in modo dettagliato le considerazioni sinora effettuate rispetto all’approccio nei confronti del lavoro. I contesti d’uso delle forme lessicali significative fanno emergere aspetti peculiari dell’impatto con il mercato. In qualche misura ricostruiscono le difficoltà che quotidianamente incontrano i dottori in comunicazione nei percorsi di inserimento occupazionale. A parte il riferimento alla crisi economica, ‘responsabile’ di far cadere nel dimenticatoio i curricula dei giovani aspiranti, i comunicatori si sentono caricati di molte responsabilità in fase di ricerca e di ingresso nel contesto lavorativo e sono costretti a rinegoziare ripetutamente la propria professionalità cercando di renderla il più possibile spendibile rispetto alle richieste del mercato.

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Alla ricerca della propria vocazione, analizzano in modo critico il percorso formativo maturato individuandone alcuni punti deboli, tipo la mancanza di specializzazione e la scarsa capacità di attivare connessioni con il mondo del lavoro. Inserimento nel mondo del lavoro: esperienze di “vita quotidiana” … in un mercato saturo e soprattutto in un periodo di crisi i cv finiscono nel dimenticatoio pochi rispondono, quasi tutti non rispondono, soprattutto in un periodo di crisi è disastroso dovermi adattare a contesti che appunto non fanno parte della formazione mia specifica, ogni volta reinventarmi nei ruoli che mi vengono affidati . È una cosa mia particolare perché li mio settore è sui generis cercare di appassionare gli studenti per fargli capire qual è la loro vera vocazione . Perché la comunicazione in generale è un po’ difficile da catalogare quindi cercare un settore in cui specializzarsi è importante 6.2. Universi semantici a confronto Il resoconto delle prime esperienze lavorative maturate suscita, sul piano analitico, quesiti che spingono i neodottori ad interrogarsi sulle effettive richieste di un mercato che ambisce comunque ad assorbire esperti nell’ambito comunicazione, nonché sugli elementi distintivi dei loro percorsi formativi. Per cercare di soddisfare tali quesiti, a partire dalle risposte fornite alle domande della scheda strutturata, relative agli ambiti di inserimento lavorativo e ai corsi di studio specialistici frequentati, è stato costruito un indice di coerenza che rendesse conto in qualche misura della rispondenza tra specificità del titolo conseguito e inserimento occupazionale. Nel complesso, i lavoratori (71 casi) mostrano una certa coerenza tra ambito di accesso lavorativo e percorso formativo (46%). Da segnalare che i laureati in Editoria, Comunicazione multimediale e giornalismo e Comunicazione Sociale e Istituzionale mostrano iter di inserimento generalmente più coerenti rispetto agli altri laureati (coerenza alta) e che i dottori in Comunicazione di impresa sono quelli incardinati in settori di attività più eterogenei e differenziati. In questo caso si spazia dagli addetti ai settori commerciali (addetti alle vendite, commessi, ecc.), agli addetti all’informatica, agli addetti al marketing. Dall’analisi dell’indice di coerenza emergono diverse modalità di spendibilità del titolo e, allo stesso modo, utilizzando tale classificazione, è possibile ricostruire l’universo semantico dei laureati. A tale scopo è stata effettuata un’analisi delle corrispondenze lessicali che, a partire dalla classificazione scaturita dall’indice di coerenza, tra percorso formativo e ambito di inserimento professionale, ha consentito di ricostruire un quadro interpretativo dalle dimensioni lessicali10. I tre universi semantici emersi mostrano termini che rispondono in modo piuttosto organico ai livelli di coerenza espressi dall’indice. I termini che fanno riferimento a precise collocazioni nel mondo del lavoro (redazione, giornalismo, marketing) sono appannaggio dei laureati inseriti in ambiti fortemente rispondenti al proprio profilo formativo (coerenza alta). Coloro i quali mostrano un livello inferiore di coerenza (media) utilizzano un lessico che rimanda alla precarietà della propria condizione (assunzioni, selezione, regolarizzazione) e rivela anche quei tratti di pregiudizio espressi dal mercato nei confronti dei comunicatori. Infine, coloro i quali mostrano rispetto all’indice un basso livello di coerenza tra ambito di inserimento lavorativo e formazione, utilizzano termini riferibili alla dimensione della competenza (capacità, preparazione) e, allo stesso tempo, un lessico più critico nei confronti del percorso formativo che rinvia a quegli aspetti di debolezza (teorico) individuati dai laureati dal confronto con il mercato. 6.3 Identità cercasi. Alcune considerazioni conclusive. A partire da quest’insieme di considerazioni emergono le notevoli difficoltà incontrate dai laureati specialistici a tratteggiare in modo netto i propri connotati identitari. È l’incontro con la realtà occupazionale a far affiorare tale consapevolezza, rivelando la nebulosità del proprio profilo professionale. 10 L’interpretazione delle relazioni tra le modalità della variabile indice di coerenza e le forme lessicali va ricondotta ai contributi che le singole modalità danno all’individuazione dei fattori (dimensioni lessicali) e alle coordinate delle forme lessicali. Ciò ha permesso di specificare gli ambiti in cui il lessico degli intervistati approfondisce sul piano semantico i tre livelli di coerenza espressi dall’indice. Tale analisi ha consentito di ricostruire costrutti semantici tipizzanti che rinviano all’esperienza dei soggetti.

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A fronte di tale evidenza si registra una generalizzata tendenza a etichettarsi in modo standardizzato rispetto a qualifiche professionali consolidate. Tanto che, da una prima analisi degli items dell’intervista relativi alla qualifica professionale, i più tendono a utilizzare le definizioni: “Giornalista” e “Addetto marketing e comunicazione”. Ciò perché, da una parte, conformandosi idealmente a professionalità già note, fanno riferimento a una semplificazione semantica che si traduce in un utile biglietto da visita da spendere nel mondo del lavoro e, dall’altra, come illustrato in precedenza, li mette nella condizione di poter competere con professionalità stimate in base al grado di appetibilità percepito (economisti, esperti di marketing, ingegneri gestionali). Dal canto loro, i laureati si sentono vincenti per aver maturato una formazione eclettica e teoricamente fondata, “capace di far aprire la mente”, ma soffrono perché, nonostante riconoscano di avere a disposizione “una cultura di base meravigliosa”, essa risulta “poco spendibile sul mercato del lavoro”. Per questo motivo, propongono di puntare, sia sulla specializzazione dei profili professionali, a partire dalla progettazione di percorsi formativi molto settoriali, sia di incrementare le esperienze laboratoriali nell’impianto didattico complessivo. Le proposte operative espresse dagli intervistati suggeriscono di lavorare per rendere ancora più visibile il profilo della Facoltà all’esterno, nell’ottica di un miglioramento della “reputazione” dei laureati nei settori occupazionali di riferimento. Ciò perché, secondo gli intervistati, “il mercato del lavoro ha una visione ancora distorta di ciò che si studia e si insegna presso la facoltà, o lo ignora completamente”. Ritengono, inoltre, che sia necessario intervenire con maggior tenacia ed efficacia nella creazione di una “cultura della comunicazione” all’interno della società tutta e nei settori professionali di pertinenza in particolare, divulgando, in maniera intensiva, la conoscenza delle specificità del progetto culturale e formativo in Comunicazione. L’analisi sin qui condotta, a partire dall’insieme delle esperienze dei laureati, ha prodotto, quindi, oltre che una sintesi delle informazioni, anche la ricostruzione di un frame interpretativo che consente di ritenere il percorso formativo in Scienze della Comunicazione ancora una valida risorsa, ma orienta a guardare oltre i confini del conseguimento del titolo. Questo dovrebbe avvenire innescando un intenso processo di tessitura delle relazioni tra Facoltà, struttura sociale e mondo delle professioni, soprattutto in quei settori votati alla comunicazione, che faccia da volano all’inserimento dei laureati nel mercato del lavoro. Un’operazione già avviata da tempo, attraverso l’incentivazione e la promozione di occasioni ad hoc di confronto con le diverse parti sociali, ma che si intende potenziare, intensificare e perseguire con rinnovato vigore, in maniera costante e continuativa.


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