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ACINotizie 5-6 2010

Date post: 18-Mar-2016
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ACNotizie 5-6 2010
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BIMESTRALE DELL'AZIONE CATTOLICA DI BRESCIA ANNO XXIV 5.6 | 10 REG. TRIB. DI BRESCIA N. 40/1984 DEL 22.12.1984 SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 (CONV. L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 2 DCB BRESCIA CONTIENE I.R. Brescia, i cattolici, le sfide
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Bimestrale dell'azioneCattoliCa di BresCia

anno XXiV

5.6|10

Reg. TRib. di bRescian. 40/1984 del 22.12.1984

sped. in a.p. - d.l. 353/2003(conv. l. 27/02/2004 n. 46)

aRT. 1, comma 2 dcb bRescia

conTiene i.R.

Brescia, i cattolici,le sfide

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Bimestrale dell'azioneCattoliCa di BresCia

anno XXivn° 5|6 seTTembRe-dicembRe 2010

diReTToRe Responsabile:graziano biondi

Redazione:sarah albertini, michele busi,

giovanni Falsina, mariangela Ferrari,paolo Ferrari, beppe mattei,

massimo orizio, annachiara valle,luciano zanardini

diRezione e Redazione:via Tosio 1 - 25121 brescia

tel. 030.40102 - fax [email protected]

FoTo:alessandro chiarini, luisa colosiogiorgio baioni, pierangelo Traversi

ediTRice:azione cattolica italiana

consiglio diocesano di brescia

pRogeTTo gRaFico:maurizio castrezzati

Realizzazione:cidiemme - brescia

sTampa:Tipografia camuna s.p.a.

il presente fascicolo di "aCi notizie"è stato stampato grazie ancheal contributo della Fondazione

Banca san Paolo di Brescia

www.acbrescia.it

gli indirizzi dell’associazione

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editoriale

di pazienza e di tanta buona volontàdi assumere un linguaggio comprensibile di incontrare la gente per stradadi più rispetto per ogni personadi meno pregiudizidi capire anche gli istinti più egoistici per trovarvi la scintilla di umanità da riaccenderedi perdonaredi perdonarsidi vincere la smania di protagonismodi avere più fiducia nella Provvidenzadi dire con schiettezza il nostro credo senza pretendere di imporlodi rispettare chi non crede di non essere solo ‘i cristiani della domenica’di vivere la quotidianità come occasione di santità di meravigliarsi ogni giorno della vita di ringraziare di piùdi più ascoltodi un linguaggio meno violentodi maggiore sobrietà…

La lista è lunga e ciascun lettore potrebbe completarla con tanti altri aspetti, tante attese…Certamente avvertiamo la sensazione che in terra bresciana, come anche a livello più ampio per l’intera Italia,stiamo vivendo in un momento particolaresia per la nostra chiesa che per la società.Le difficoltà sono molte e talvolta il clima si fa pesantee tanti di noi si trovano disorientati e sfiduciati.Non ci nascondiamo dietro superficiali ottimismio speranze disincarnate.Detto questo, però, siamo chiamati ad una fede che trova nell’Incarnazione di un Dio fatto uomo, che ricordiamo ogni Natale (con quanta abitudinarietà?),l’annuncio vero della “buona notizia” per l’intera umanità.A partire dai nostri paesi e dalle nostre comunità.“L’Incarnazione è il fatto prodigioso, infinito di Sapienza, di Amore, di Umiltà, di Carità, il fatto di Dio,dell’Infinito che scende nel finito e che così disseta la setedel finito, che così completa il finito, così appagae risana la infelicità del finito” (Giuseppe Capograssi).Ne siamo ancora consapevoli?Quanto questo ci riguarda?

Un anno nuovo è alle porte.Le pagine che seguono vogliono, sia pur in maniera del tutto parziale, interrogare i credenti che vivono nella nostra terra su alcune delle sfide che non possono lasciarci indifferenti. La fede che ci accomuna ci chiamaad una responsabilità nei confronti di tutti. Qui e ora.Coraggio Brescia! Che sia un anno “buono”.michele Busi

C’è bisogno…

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il te

ma

la civiltà dell’amore e le cronache dell’odio

Nella Lettera pastorale “Tutti siano una cosa sola”, il Vescovo scrive, fra l’altro: «Tutto quello che la Chiesa fa per orientare l’umanità a riconoscere e accoglie-re l’amore di Dio, tutto ciò che fa per rendere l’umanità più unita superando

divisioni e contrasti, tutto questo entra nella missione propria della Chiesa. Qui diven-ta particolarmente significativa l’azione dei laici. Sono loro che operano nel mondo dell’economia, che assumono responsabilità politiche, che contribuiscono a formare e trasformare le strutture della società; se in tutti questi campi essi operano cercando il bene di tutti, contribuiscono alla nascita e alla costituzione di una ‘civiltà dell’amore’; attraverso di loro la Chiesa compie la sua missione. Vale la pena ripeterlo: i laici non attuano la missione della Chiesa solo con i ministeri strettamente ecclesiali (quelli che sono finalizzati all’edificazione della Chiesa stessa), ma anche operando cristianamen-te nella società; i programmi pastorali di una comunità cristiana non debbono tenere presente solo l’impegno per l’edificazione della comunità, ma anche il tipo di testimo-nianza e di contributo che i membri della comunità sono chiamati a dare alla forma-zione della società» (31). Se non si passa attraverso questa strada stretta della testimonianza civile, la comunità dei fedeli rischia di trasformarsi in un’appendice della sacrestia. Una strada oggi stret-tissima rispetto alle mille frammentazioni che sbriciolano la vita individuale prima an-cora di quella pubblica. Ho l’impressione che di fronte alla confusione montante si ten-da a innalzare muri di difesa puramente illusori. La tentazione di fermarsi alla prima parte della Lettera, che illumina le virtù di una comunità cristiana oasi di pace, si tra-duce in confronti frustranti con la cronaca quotidiana. È una sfida per tutti quei laici che sanno assumersi le responsabilità, senza attendere le imbeccate dai Vescovi o dal Papa. Che sono invece lieti di poter contare sul discernimento comunitario.

Angelo Onger

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di Beppe Mattei

Albert Einstein, con limpida chiarezza ebbe a dire: «Il mon-do è quel disastro che vedete

non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l’inerzia dei giu-sti che se ne accorgono e stanno la a guardare». Credo che queste parole siano utili per comprendere l’esito del percorso di una generazione di cat-tolici. Il mondo (anche il nostro bre-sciano) è diventato un disastro non a causa del benessere ma per l’attacca-mento ai beni, ai soldi, alle cose che ha prodotto egoismo, individualismo, chiusura e grettezza. Nella vita o si vi-ve per sé strumentalizzando gli altri o si ridimensiona la centralità dell’io grazie allo spazio concesso agli altri. Potrà sembrare astratto ma in fondo è qui che troviamo la chiave di lettura di quel che è accaduto anche all’in-terno del mondo cattolico.I primi sintomi li troviamo in chi ha remato contro la profezia del Con-cilio Vaticano II. Pensiamo a tutti i movimenti conservatori sia a sfondo clericale che laicale. La non accet-tazione della profezia del Concilio che definisce la Chiesa come Popo-lo di Dio che cammina nella storia annunciando la salvezza. Popolo di uguali, di liberi, di uomini e donne solidali, pacifici, gioiosi: l’opposizio-ne a questa visione è stata l’humus che ha prodotto i Lefevre e le prela-

riprova di come nascono e si alimen-tano le maggioranze e le minoranze politiche, di come è scomparsa ogni forma di partecipazione nella scuo-la, nella comunità civile e nella stes-sa comunità ecclesiale.

E a Brescia?

Se veniamo a Brescia troviamo una storia che non si discosta di molto da questo tragitto. La provincia brescia-na è da sempre un esempio di buo-na amministrazione. Una fiorente economia si è accompagnata a un fermento culturale di grande rilievo. Basti pensare ai giornali, alle riviste, alle Case editrici, alle Fondazioni. La tradizione cattolica, sobria e concre-ta, ha seguito le orme tracciate dai Tovini, dai Montini, dai Bevilacqua, dai Marcolini, dagli Zammarchi, dai Chizzolini… Negli ultimi 30 anni abbiamo però assistito a una triste decadenza in cui è entrato in crisi il modello di dialogo sociale e inter-culturale. Ciò ha favorito il succes-so di movimenti rozzi nei linguaggi, ambigui nei riferimenti culturali e religiosi, tendenzialmente xenofobi e localistici. Il mondo cattolico, un tempo significativo e capace di dare un’anima alla politica e alla società oltre che alla cultura, si è progressi-vamente ingessato e appiattito. Le

ancorafedele?Il passato di Brescia è sicuramente grande, manon garantisce che la città, come dice il suo motto,resti fidelis fidei et iustitiae. La partecipazione èin crisi a tutti i livelli, mondo cattolico compreso

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ture personali insieme a movimenti laicali conservatori in campo eccle-siale e i movimenti ad personam in campo civile e politico. Le gerarchie, fondate sul possesso (non importa se dei beni o delle anime), riprendono vigore e viene così alimentata la fa-mosa secolarizzazione.Il grido di Nietzsche “Dio è morto” passa dal livello speculativo-filosofi-co a quello sociale e politico. Se Dio è morto e se l’uomo può permetter-si di sostituirsi a Dio, allora tutto di-venta lecito e l’unica preoccupazione diventa quella di salvare la faccia, le apparenze. “Vizi privati e pubbliche virtù” come la pedagogia berlusco-niana bene sintetizza. I valori qua-li la verità, l’onestà, la giustizia, la solidarietà vengono abbandonati. Il potere, il prestigio, il piacere diven-tano i nuovi valori dominanti e non più dominati.La stessa partecipazione, così enfa-tizzata dal Concilio (riforma liturgi-ca, consigli pastorali, valorizzazione del ruolo dei laici) e dal ’68 (scuo-la, fabbriche, sindacati) viene prima strumentalizzata e poi depotenziata e uccisa.Oggi con totale faccia tosta si sostiene che uno (magari il leader carismati-co) decide prima e meglio dei tanti e la democrazia è solo una questione di apparenza e non di sostanza. Ne è

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sFidela sfida la possiamo a questo punto riassumere così:- Ritornare come intero mondo cattolico, organizzato in gruppi, movimenti e associazioni, a essere lievito capace di far incontrare la fede con i valori, le sfide e le attese del mondo contemporaneo. Qui parlerei di riconciliazione tra van-gelo e valori laici presenti nella comune storia che viviamo.- essere capaci di dire no al bipolarismo decisionista perché uccide la parteci-pazione e atrofizza la stessa democrazia.- Rifiutare consapevolmente il relativismo etico, economico, civico… tante ve-rità portano a nessuna verità e all’erezione dell’io a verità.- combattere le deleghe educative: famiglia, scuola parrocchia devono con-correre a creare una multiforme e integrale formazione capace di orientare, sorreggere e motivare.- lottare contro i falsi maestri che praticano il doppiogiochismo: vizi priva-ti, pubbliche virtù. la coerenza è un pilastro fondamentale della persone e dell’educazione.- Ribellarsi allo svilimento delle istituzioni democratiche.- Riproporre una forte appartenenza ecclesiale fondata sul protagonismo dei laici e critica verso ogni clericalismo imbonitore.- Ritorno a una democrazia fondata sulla partecipazione con spazi reali ai gio-vani e alle donne.

vocazioni al sacerdozio e alla vita re-ligiosa sono andate drasticamente diminuendo, è diminuita la capaci-tà di animazione e di traino del clero divenuto poco carismatico e incline a una visione rassegnata della seco-larizzazione.Il Concilio e il rinnovamento che aveva innescato è stato messo tra parentesi.Le associazioni laicali sono state pro-gressivamente omologate, anche quelle che fino agli inizi degli anni ‘90 avevano espresso una propria autono-mia di pensiero e di azione (Azione Cattolica, Fuci, Acli, MEIC, Agesci).Le conseguenze sono evidenti: il quasi totale annullamento di qualsia-si confronto all’interno delle comuni-tà ecclesiali sui temi sociali, politici ma anche religiosi. Un clericalismo di ritorno che (dopo la caduta del-la Dc) è sempre più propenso a un intervento politico diretto nella vita del Paese.Un clima e un metodo di generale conservazione ha trovato larghi spazi. Il mondo cattolico si è mosso sostan-zialmente lungo due direttrici. Da una parte troviamo il cosiddetto cat-tolicesimo democratico, geloso della laicità dello stato e delle istituzioni e sostenitore della necessità che la me-diazione tra gerarchia politica ed eco-nomia venga condotta dai laici titolari

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di tutte le attività secolari; dall’altra una tendenza incline a compromessi con il potere, soprattutto da parte di chi ha molti interessi economici da difendere con la scalata alla rappre-sentanza politica.La tradizione del cattolicesimo bre-sciano ha però un’altra componente peculiare che è quella che potremmo identificare nel cattolicesimo liberale

che per salvaguardare le istituzioni, ha di volta in volta cercato collega-menti con chi deteneva il potere.Qui ritroviamo il riferimento al Con-cilio e soprattutto alla straordinaria figura di Paolo VI ma permane la difficoltà a creare spazio reale alle nuove generazioni. Ma questo è un aspetto che non conosce schiera-menti. __

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tra furbettie “adulti”Cattolici e politica: serve un po’ di autocriticanei cristiani di tutti gli schieramenti. Per chiarireil ruolo dei laici nella Chiesa e nella società

di Luciano Eusebi

La politica attiene alla gestione delle realtà terrene, e le scelte religiose – ciò è chiaro da molto

tempo – non costituiscono, come ta-li, presupposto delle scelte politiche. In politica è necessario argomentare secondo criteri che non siano validi solo all’interno di un certo orizzonte di pensiero, ma possano risultare si-gnificativi, almeno in linea di princi-pio, per ogni essere umano. Dunque, si tratta di formulare progetti sulla base, da un lato, del sentire morale quale terreno di possibile incontro fra i cittadini e, dall’altro lato, di un uso ottimale delle competenze nei diversi settori dell’attività umana.Il fatto è che rispetto al contesto in cui tali convincimenti sono maturati varie cose, in questi anni, sono cam-

anche in politica, in termini di bene, ma in termini di interesse, e il voto lo si cattura coltivando il vantaggio di chi ha forza contrattuale, con una non-curanza spesso ormai sfacciata per il destino dei più deboli.Di fatto, quel background morale compatibile col cristianesimo che, an-ni orsono, si era pensato ormai con-diviso nella cultura delle società de-mocratiche s’è ampiamente sfaldato e, in concreto, sembra spesso ripropo-sto solo dalla Chiesa, anche se non si tratta affatto di istanze confessionali. Tutto questo, in pratica, finisce per attribuire di nuovo al termine «cat-tolico» un contenuto significativo nel confronto politico. Ma ciò non deve implicare il cedimento alla tentazione di ricondurre un certo quadro valoria-le alla mera appartenenza religiosa, secondo un’impostazione facile ma perdente ai fini dell’incidenza di de-terminati valori nell’ambito pluralisti-co proprio della democrazia.Peraltro, la crisi morale ha pesante-mente investito lo stesso mondo catto-lico, il quale, troppo spesso, non ha sa-puto connettere alla fede stili compor-tamentali impegnativi e coerenti, ma-nifestandosi incapace di rendere ragio-ne dal punto di vista umano dei valori percepiti anche alla luce dell’esperien-za religiosa (vale per lo stile di servizio nella politica, per la visione solidaristi-ca dei rapporti umani ma anche per i temi della bioetica). In questo modo, la fede, talora, è stata vista come ele-mento identitario da spendere come tale nell’ambito politico, secondo visio-ni dove la passione per il bene comune

biate. In sintesi, possiamo parlare di una crisi di quel retroterra etico che, secondo le costituzioni e le dichiara-zioni dei diritti umani, ma anche se-condo la dottrina sociale della Chiesa, dovrebbe costituire lo sfondo del di-battito politico. Simili – giusti – con-vincimenti fatti propri dal Concilio presuppongono, infatti, la comune ammissione, nella società, che si dia-no istanze morali, non facili da discer-nere ma tendenzialmente oggettive, cui ogni individuo onesto è in grado di accedere attraverso la sua coscien-za e non necessariamente attraverso un percorso di carattere religioso. Ciò, tuttavia, oggi viene contestato in ra-dice dagli approcci relativistici. E più che dal relativismo teorico, da quel-lo pratico: per cui non si ragiona più,

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I cattolici non votano diversamente da altri concittadini. Ma ognuno crede di votare il partito comunque più cattolico dell’altro, quando invece una sana laicità sarebbe la vera cifra di un impegno cristiano nella città. Leg-

gere il mondo cattolico con lo schema destra-sinistra è, in buona parte, cor-retto ma... schematico. Anche se è onesto riconoscere a Brescia l’esisten-za di diversi cattolicesimi politici. Ne ho incontrati almeno cinque: quello democratico, che ha modellato la storia di questa città, quello liberale delle istituzioni più storiche, quello sociale delle associazioni popolari e del vo-lontariato, quello delle opere e della cultura che s’ispira a don Giussani, do-tato di un pensiero forte sul potere e sulla politica. Sullo sfondo cresce un cattolicesimo più anonimo e impaurito, che vede nella Chiesa un riparo alla frammentazione. Forse anche per questo il nostro Vescovo inietta nella sua azione pastorale forti dosi di comunità, unità e fraternità. I cattolici, pur in ordine sparso, sono comunque dentro la storia bresciana. Ma sono meno incidenti. La base è ancora forte (anche se la fenomenologia quotidiana non lo direbbe). Sono politicamente visibili solo all’interno di qualcosa d’altro. Ciò non è per forza un vulnus: è che mancano di un’ambizione politica, di un progetto sociale che “contenga” la postmodernità. Si vive in un regime di separazione tra vita, cultura e politica. Come in molte separazioni, gli esi-ti sono (la politica della) rabbia, del vittimismo, del presenzialismo formale. Come salvare questo matrimonio? Con le strade che conosciamo: riabilita-re la storia che ci ha generato, progettare un ragionevole futuro e metterci più passione (civica). I cattolici dovrebbero essere degli esperti… __

Roberto Rossini Presidente Acli bresciane

sembra far spazio a concetti molto più parcellizzati del bene, che neppure si identificano col bene della Chiesa. In altri casi si è perfino brandito il riferi-mento religioso come collante di un modello sociale da far valere contro qualcuno, il che davvero con la fede ha ben poco a che fare. Nel medesimo tempo si è assistito a una sciagurata dissezione del magi-stero sociale, per cui in certi casi si è ritenuto di poter considerare non in-dispensabile, anche da parte di molti credenti, tutto ciò che attiene all’im-pegno sostanziale per la giustizia, in Italia e nel mondo, e per la salvaguar-dia dei più deboli, siano essi autocto-ni o stranieri. Mentre in altri casi si è ritenuto di poter guardare con al-trettanta sufficienza a problemi come quelli della bioetica, la cui banalizza-zione riflette una miopia culturale molto pesante e diffusa nell’ambito degli indirizzi non conservatori. In pratica, l’unità del sentire «cattolico» su una serie di esigenze morali al di là delle scelte politiche è rimasta al-quanto evanescente, con una sostan-ziale carenza, complice la legge elet-torale, di interpreti autorevolmente impegnati nella traduzione di quelle esigenze in proposte percorribili.Forse è necessario un poco di autocri-tica nei cristiani più o meno “furbetti” o “adulti” di tutti gli schieramenti. Il che faciliterà lo stesso dialogo con il magistero circa il ruolo dei fedeli laici nella Chiesa e nella società. L’impegno sul tema educativo che ci viene oggi richiesto dai Vescovi può essere una buona occasione. __

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mettiamocipiù pathosSono almeno cinque i cattolicesimi politici chesi confrontano nella nostra provincia. La sfidadi restare incisivi e scongiurare l’irrilevanza

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di Luciano Zanardini

Dove sta andando la città di Brescia? La lettera pastorale “Tutti siano una cosa sola” si apre con il gesto della lavanda dei piedi, simbolo e modello del comportamento che dovrebbe regolare i rapporti tra

i discepoli. I discepoli costituiscono un piccolo gruppo di amici scelti da Gesù, il nucleo iniziale di una comunità più ampia che si muove a partire dall’imitazione di Cristo. «L’amore di Gesù – scrive il Vescovo nella Lettera – non è solo un modello da riprodurre, ma anzitutto un dono da ricevere e trasmettere; nell’amore fraterno sarà operante l’amore stesso di Gesù». È, quindi, l’amore cristiano quello che in ogni contesto dovrebbe fare da sfondo alle nostre attività all’interno della comunità.Senza alcuna presunzione di carattere profetico, è importante guardare e osservare cosa succede nella nostra città. Se nello specifico si pensa alla parola amore radicata nell’impegno e nel volontariato della Brescia catto-lica dell’Ottocento e del Novecento, non si può non notare che qualcosa è cambiato. È vero altresì che è mutato il quadro generale, il contesto nel quale l’uomo di oggi si ritrova a vivere, lavorare o studiare. Abbiamo prova-to, per quello che vale, a chiedere ad alcuni bresciani cosa pensano della loro città partendo dalla questa parola: amore. Le reazioni, come era im-maginabile, sono state molteplici e spontanee, anche perchè in questo caso non era messa in discussione l’appartenenza politica, ma semplicemente come i bresciani declinano questo termine nella loro città. C’è chi, come Matteo (22 anni), nota e mette in evidenza l’amore che ruota attorno al mondo associativo con una Brescia da sempre in prima fila negli aiuti e nel sostegno alle persone in difficoltà.C’è anche chi, diversamente da Matteo, è preoccupato dal crescente nu-mero di persone che soffrono e faticano ad arrivare a fine mese, senza che, sostiene Alberto (35 anni), nessuno si dia concretamente da fare. Il silenzio delle istituzioni si riflette anche nella considerazione di Laura (59 anni) sulla Brescia politica, ostaggio di continui litigi, lasciando intendere che il bene comune non è al centro dell’agenda amministrativa. Nemmeno la Chiesa diocesana è risparmiata dalle polemiche per il presunto spreco di risorse: aumentano le strutture, gli organismi burocratici, le divisioni, ma non la partecipazione (Angelo, 76 anni). Infine la parola amore richiama anche la componente sessuale con l’alta percentuale di prostituzione nel-le case e in appartamento (Massimo, 45 anni). Sono solo dichiarazioni in ordine sparso che non hanno alcuna velleità statistica, ma forse potrebbe essere spunti sui cui riflettere. __

In un saggio di una decina di anni fa dal titolo “L’uomo flessibile” Ri-chard Sennett raffronta, nelle pri-

me pagine del testo, la vita lavorativa e famigliare di un modesto custode di un palazzo e del figlio che aveva in-vece conseguito importanti traguardi professionali. La vita di questo padre era stata caratterizzata da un lavo-ro umile e routinario che aveva uno scopo unico e a lunga scadenza: il bene della sua famiglia. Tale linearità gli aveva consentito di costruirsi un percorso molto chiaro in cui le espe-rienze si accumulavano sia dal punto di vista materiale che da quello psi-cologico. Sentiva di essere diventato il creatore della propria vita e, anche se si trovava a un basso livello sociale, questa narrazione gli permetteva di sviluppare un senso di autostima.Per il figlio, anche grazie al lavoro pa-terno, si era attuata quella mobilità sociale tanto auspicata: aveva conse-guito la laurea, frequentata una busi-ness school a New York, sposato una compagna di studi, cambiati quattro lavori in quattordici anni…Però, per quanto vivesse abbastanza bene, racconta Sennett, spesso te-meva di essere sul punto di perdere il controllo della propria vita. In par-ticolare il giovane assieme alla mo-glie sperimentava l’assenza di una comunità in cui i membri diventa-no testimoni duraturi della vita di un’altra persona, ma in modo ancor

le faccedell’amoreIl Vescovo chiede che tutti siano una cosa sola,ma cosa intendono i bresciani con le parole amore e carità? Ecco alcuni spunti di riflessione

il tema

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Questionidi famigliaNuova cultura, nuovo welfare, un fisco amico: sono le sfide per aiutare davvero la famiglia in un tempo che contrasta progetti duraturi

più problematico sentiva il bisogno di un tempo lungo e narrativo diverso da quel tempo breve e frammenta-to proprio dell’esperienza lavorativa che aveva scelto. Percepiva così un conflitto insanabile tra famiglia e la-voro, tra esigenze di legami forti che richiedono tempi lunghi e contesti la-vorativi e sociali che si caratterizzano per il tempo breve.Come è possibile mantenere obietti-vi a lungo termine in una società a breve termine? Come possono essere conservati rapporti sociali durevoli? Come può un essere umano svilup-pare un’autonarrazione di identità e una storia della propria vita in una società composta di episodi e fram-menti? Sono le domande del giovane incontrato da Sennett ma credo pos-sano costituire le domande di fondo anche per noi nel momento in cui siamo chiamati a guardare alla fami-glia nel nostro contesto.C’è un tempo breve, una sua fram-mentazione e discontinuità, una dif-ficoltà a progettare il futuro che con-diziona pesantemente anche l’essere famiglia.E tale difficoltà è documentata dal permanere di una bassa natalità, dal ritardo nell’uscita dalla famiglia d’origine, dall’aumento della fragili-tà coniugale, dalla diminuzione dei matrimoni, dalla difficoltà a concilia-re impegno lavorativo e vita familia-re, a prendersi cura dei soggetti più

deboli, a costruire rapporti sereni in condizioni abitative e urbanistiche sfavorevoli …

Le sfide

Per affrontare le sfide del presen-te reputo opportune alcune linee d’azione.

Un’azione culturale. Luigino Bruni ci ricorda un proverbio africano che afferma che “per crescere un bambi-no ci vuole un intero villaggio”.Perché la famiglia possa esprimere tutte le sue potenzialità in un mon-do in continua e veloce trasformazio-ne economica e sociale c’è bisogno di un nuovo patto sociale. Ma, dice Bruni, per questo nuovo patto socia-le occorre una operazione culturale preliminare: rivendicare per la fami-glia il ruolo di soggetto economico globale e non solo quello di agenzia di consumo.L’economia cresce non solo quando ha capitali umani, finanziari e fisici, ma anche quando possiede capitale sociale e beni relazionali (fiducia dif-fusa, rispetto delle regole, cultura ci-vica…). Ed è proprio la famiglia che offre questo tipo di capitale intangi-bile ma preziosissimo per lo svilup-po economico. Se viene realizzata questa operazione culturale, diventa possibile un nuovo patto sociale che

riconosce il ruolo anche economi-co che la famiglia svolge e consente un’alleanza tra famiglia e tutti gli al-tri attori sociali (società civile, mer-cato e stato).

Un nuovo welfare. In questo pat-to sociale è necessario ridisegnare un nuovo welfare pubblico che non può accentuare il fai da te familiare. In questi ultimi anni chi si trova in un passaggio critico della vita trova scarsi supporti pubblici e dipende in modo rilevante dai propri familiari: giovani in cerca di lavoro, lavoratori precari, anziani non autosufficienti, bambini in età prescolare trovano ri-sposta alle necessità prevalentemente nel contesto familiare senza adegua-ti servizi di affiancamento, informa-zione, sostegno e consulenza. I passi da compiere vanno verso politiche sociali meno deleganti nei confronti della famiglia.

Un fisco più equo. In un patto a fa-vore della famiglia, in una comunità che vuol essere amica della famiglia assume assoluta rilevanza un fisco più equo in grado di pesare la ricchez-za delle famiglie in base al numero e alle situazioni delle persone che ci vi-vono. Il “fattore famiglia” – promos-so dal Forum delle associazioni fami-liari – vuole introdurre un’area non tassabile proporzionale alle necessità primarie della persona che non costi-tuiscono capacità contributiva e non debbono pertanto essere tassate.

Il tempo della festa. Un tempo che sa conciliare la famiglia e il lavoro fon-te di sostentamento e luogo dove si costruisce la comunità. Alla comunità ecclesiale in particolare è chiesto di riproporre uno stile di vita familiare dove per stile si intende la maniera di abitare il mondo. E in tale modalità di abitare il mondo, la festa diventa il luogo dove si costruiscono beni re-lazionali importanti quanto e più di quelli materiali. Ecco perché i tem-pi del lavoro devono salvaguardare il tempo della festa: per produrre beni relazionali che consentono costruzio-ne di identità, di legami duraturi, di risposta alle domande di senso.Sapranno i cattolici essere all'altezza dei queste sfide? __

di Silvano Corli

il tema

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BaruffebrescianeNegli ultimi tempi si sono riaccese sulla stampalocale le punzecchiature tra cattolici di diversischieramenti. Una ricostruzione dei fatti

di Michele Busi

Baruffe bresciane… così titola-va un po’ di anni fa Mario Fai-ni un libro sulla situazione del

movimento cattolico a Brescia tra fi-ne Ottocento e inizio Novecento… Così vorremmo riassumere la serie di “scambi epistolari” che ha avuto luo-go tra alcuni rappresentanti del clero e del laicato bresciano qualche setti-mana fa sui giornali. Quali le questio-ni in campo?

10 ottobre

Tutto comincia… con un articolo pub-blicato da “Bresciaoggi” il 10 ottobre scorso a firma di Massimo Tedeschi. Il pezzo, titolato “Don Neva e don Filippini sferzano il centrodestra”, riprendeva passi di due interventi, di carattere differente, apparsi nei mesi precedenti sulla rivista “Città e din-torni” diretta da Filippo Perrini. La rivista, infatti, riportava una lettera aperta di don Mario Neva a monsignor Rino Fisichella (che in verità era già circolata nei mesi precedenti) e l’in-tervento di don Gabriele Filippini in occasione della presentazione al pub-blico del volume di Rosi Bindi Quel che è di Cesare. Don Neva criticava un’intervista concessa da monsignor Fisichella al “Corriere della sera” in cui pareva che questi sdoganasse l’approccio le-ghista («Quanto ai problemi etici, mi pare che manifesti una piena con-

divisione con il pensiero della Chie-sa»). Don Neva concludeva: «Parlare di spirito anti-evangelico della Lega e della gestione del potere in Italia e in Lombardia è diventato un dovere del-la coscienza». Don Filippini aveva elo-giato la serietà della scelta di impegno politico della Bindi («non ha bisogno di ironie clericali. Semmai di gratitu-dine»), affermando: «Dai padri della Chiesa fino agli autori contemporanei c’è una concordanza formidabile: la seduzione all’esercizio del potere sul-le coscienze e intelligenze sugli ordi-namenti sociali e su quelli politici è ciò che maggiormente occulta nella cristianità il senso autentico dell’uni-versalità del messaggio evangelico che ogni generazione deve tradurre nelle sue forme storiche, ma che non deve tradire», sottolineando il rischio altri-menti di «barattare la libertà del Van-gelo per un pugno di noccioline».

13 ottobre

A stretto giro di posta, il 13 ottobre, interveniva sullo stesso giornale Gra-ziano Tarantini (“I due parroci e una lettura ideologica della realtà”), di-cendo che le questioni poste dai due sacerdoti erano “datate e abbastanza noiose”, proseguendo: «Mi chiedo an-che se esista a Brescia un sacerdote che abbia la libertà di esprimere opi-nioni diverse». Tarantini sosteneva nel suo intervento che «la coerenza

morale non è possibile all’uomo, ma è sempre frutto di una grazia da chie-dere con forza e umiltà ogni giorno». Infatti «il dato dei seminari vuoti e di una presenza sociale dei cattolici sempre più insignificante dovrebbe sollevare più di qualche domanda. Una questione, insomma, un po’ più seria del presunto spirito anti-evan-gelico della Lega».

15 ottobre

Due giorni dopo su “La Voce del po-polo” don Mario Benedini, direttore dell’ufficio diocesano di pastorale so-ciale, interveniva con un articolo “Per non essere ideologici”, in cui soste-neva: «Mi fa sobbalzare la domanda (senza punto interrogativo) che en-tra per inciso nelle prime righe: “Mi chiedo se esista a Brescia un sacer-dote che abbia la libertà di esprime-re opinioni diverse”... pare un vezzo consolidato cercare la figura di prete che più si adatta alla ideologia dei vari gruppi…». «Lo affermo con cognizio-ne, ma nelle nostre parrocchie il di-sagio di fronte alle scelte della Lega Nord c’è; la fatica nel capire dove va la classe politica italiana pure».

17 ottobre

Don Neva tornava ancora un paio di giorni dopo sul “Bresciaoggi”: «L’ap-pello alla conversione personale e alla

il tema

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grazia, quale ultima ratio del giudizio da dare ai fatti della storia, dimentica a mio avviso che la prima grazia che Dio concede all’uomo è la ragionevo-lezza e che una quantità considerevo-le di uomini e donne, semplicemente onesti, conduce la propria esistenza senza bisogno di cerimonie, di rico-noscimenti, e senza nessun utile o tornaconto personale… Prima ancora che scomodare le grandi idee e i gran-di principi, sui quali solo chi ha perso il senno a mio avviso non è d’accordo, chi ci governa deve arrossire pensan-do a un intero popolo che ha il diritto di essere rispettato e che all’estero vie-ne considerato un popolo di sbandati senza una guida autorevole».Alessandro Bizzarro, consigliere co-munale della Lega Nord, a pagina 45 dello stesso giornale in una lettera (“La Lega e i giudizi di don Neva”) sosteneva come «è nella Lega la vera solidarietà, quella reale, che riguarda i cittadini e i loro bisogni… il dettato evangelico ‘non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te’ è bidire-zionale, e noi della Lega ci batteremo perchè rimanga tale».

18 ottobre

Il giorno dopo ancora Graziano Ta-rantini (“La scomunica ai cattolici di centrodestra”) rispondeva a don Neva: «Mi chiedo come non riesca ad esprimersi senza essere offen-sivo… Non ho mai fatto questioni di cattolici di destra, di sinistra o di centro. Sono abituato a stare con le persone, a incontrarle per quello che sono e non per le categorie a cui ap-partengono...». Circa le affermazioni che don Neva aveva fatto su Cl, Ta-rantini ribatte: «Comunione e libera-zione viene accusata di stare troppo con i piedi per terra perché sostiene che la fede c’entra con la realtà della vita, comprese le sue contraddizioni e i suoi interessi… Don Neva è forse accecato da qualche risentimento ma lo invito a trovare un altro ambito co-me quello del movimento di Cl dove giovani e adulti, delle più varie con-dizioni sociali e di istruzione, siano sollecitati a leggere libri e autori fra i più diversi».Sullo stesso giornale, nelle lettere al direttore, Fabio Capra, consigliere del

Pd del comune di Brescia, rivolto a Tarantini: «Sono certo che se avesse ascoltato mons. Filippini in occasione della presentazione del libro di Rosy Bindi avrebbe certamente accorciato la profondità del suo disaccordo».

22 ottobre

Il 22 su “La Voce del popolo”, Taran-tini rispondeva a don Benedini: “La vera questione in gioco”. «Don Bene-dini prende posizione su un mio inter-vento dandone una lettura che riten-go scorretta e fuorviante. E lo fa senza mai nominarmi e scrivendo su un pe-riodico diverso da quello sul quale so-no intervenuto. Strano modo di parte-cipare a un dibattito… Per quanto mi riguarda non ho mai fatto questioni di numeri, di quantità di associazioni, di rapporti di forza o di schieramenti… Prima ancora che esprimere una va-lutazione sull’incidenza sculturale e politica dei cattolici, mi interessava affermare un giudizio di fondo su qua-le sia la vera questione oggi in gioco e suggerire il punto da cui ripartire. Così mi sono affidato alle indicazioni del Santo Padre».

23 ottobre

Il giorno dopo, sempre su “Bresciaog-gi”, interveniva Mauro Parolini: «Vo-lendomi impegnare in politica ho do-vuto scegliere una parte e ho scelto quella che mi sembrava più vicina a quei valori non negoziabili di cui parla il Papa e che Don Neva non sembra granché apprezzare… A Don Neva vorrei dire che se il metodo e lo stile per ricompattare i cattolici nella ricer-ca della mitica e, finora, mai trovata terza via sono i suoi, preferisco, con tutto il rischio di sbagliare, continua-re a seguire la prima via, quella che il Papa e i Vescovi indicano con chia-rezza a chi li voglia ascoltare».

26 ottobre

Filippo Perrini, direttore di “Città e Dintorni”, la rivista da cui era partito il dibattito, con una lettera a “Brescia-oggi” (“Parole franche e liberanti”) evidenziava «il disagio nell’assistere a un utilizzo pubblico di Dio e della

religione per fini strumentali e, nello stesso tempo, il conclamato e persino ostentato comportamento contrario a questi principi. Aver espresso quan-to molti pensano, smascherando uno degli aspetti più odiosi dell’attuale si-stema di potere, è – a mio parere – il motivo scatenante del dibattito a cui meritoriamente “Bresciaoggi” ha dato spazio e rilievo… Spiace vedere come l’ideologia impedisca a persone intel-ligenti e sicuramente motivate di ri-flettere con disincanto su berlusconi-smo e dintorni. All’esaltante ebbrezza dei massimi principi non negoziabili, e dei sistemi rassicuranti e delle cita-zioni basate sul principio d’autorità, bisogna opporre una lucida sobrietà, ossia lo sforzo incessante di stare ai fatti e ragionare sui fatti. Ed è questa la grande lezione che hanno saputo darci i migliori politici cattolici italiani e europei… oltretutto, l’acquiescenza di una parte della gerarchia ecclesia-stica a logiche puramente mondane e di parte costituisce una formidabi-le contro-testimonianza per moltissi-mi giovani e persone in ricerca, offu-scando il meraviglioso messaggio di Cristo. Una preoccupazione, quella sì, che dovrebbe vedere uniti tutti i credenti».

Alcune questioni

Alla fine di questa breve e certa-mente incompleta “rassegna stam-pa” (che potremo proseguire in un prossimo numero), mi pare che, pur nell’asprezza del dibattito e nella so-vrapporsi dei temi, alcune questio-ni comunque emergano. Lasciamo-le sotto forma di domande: Quale il rapporto tra un cattolico e la tenta-zione del potere? C’è uno spazio per la mediazione storica dei “principi non negoziabili”? Come si pone un catto-lico rispetto all’utilizzo strumentale di simboli religiosi? Un uomo politi-co che si dice cattolico può accetta-re una sorta di “doppia morale” tra l’azione pubblica e quella privata? La Chiesa può pronunciarsi con chiarez-za su alcune situazioni senza timore di dividere la comunità dei credenti? Si tratta di questioni per nulla acca-demiche e sulle quali il mondo cat-tolico bresciano è chiamato a inter-rogarsi. __

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il tema | esperienze

Luca Ghisleri*

Penso che un cattolico impegna-to in ambito culturale sia chia-mato anche oggi a essere sem-

pre pronto a rendere ragione della speranza che lo abita (cfr. 1 Pietro 3,14), a chiarire cioè apertamente la capacità insita nel cristianesimo di illuminare gli snodi fondamenta-li dell’esperienza umana. Ma penso anche che ciò debba essere fatto con uno stile improntato al dialogo auten-tico e al rispetto dell’altro, nella con-sapevolezza che nessuno possiede la verità, proprio perché ne è even-tualmente posseduto. Da una parte, l’esperienza della salvezza che si spe-rimenta nella fede non può che por-tare alla sua diffusione mediante le opportune mediazioni concettuali e interpretative, ma, dall’altra parte, in questa diffusione si incontrano altre esperienze che possono contribuire alla maturazione della propria fede e quindi anche alla propria continua

alla ricercadel dialogoÈ l’atteggiamento di apertura che la tradizione del cattolicesimo bresciano ci ha consegnato nel rapporto tra fede cultura. Una sfida anche per noi

autoconversione. Il credente è cioè chiamato ad aprirsi strutturalmente al mondo, a incontrare chi è diverso da lui, a costruire relazioni più che a erigere steccati. Per questo ritengo che il tessere legami in una società sempre più frammentata e indiffe-rente sia forse oggi uno dei compiti più importanti a cui è chiamato in particolare il laico cristiano.Se infatti la fede sorge e si diffonde in un’esperienza comunitaria, la sua testimonianza non può che realizzar-si legando quei pezzi di mondo in cui ciascuno si trova a operare.

La realtà bresciana

Sullo sfondo di questo contesto gene-rale anche la nostra società brescia-na sembra essere oggi in particolare attraversata dalle sfide rappresentate dalla crisi economica e dalla crescen-te disoccupazione, dai problemi cor-

relati all’incontro con le popolazioni immigrate, dall’esigenza di proporre nuove vie all’educazione in partico-lare delle giovani generazioni. Di questo penso che nelle nostre par-rocchie e nelle nostre associazioni si dovrebbe tornare continuamente a discutere, senza temere il confronto anche aspro che non tacita le diffe-renze, ma sempre alla luce dello spi-rito evangelico, vera istanza critica di ogni nostra azione e progetto. Siamo cioè chiamati sempre di più - sulla scia di numerose e qualificate espe-rienze esistenti sul nostro territorio - a offrire occasioni di dialogo franco e pacato sia all’interno sia all’esterno della comunità ecclesiale, in cui non lo sguardo miope di chi vuole con-servare ciò che non può più essere mantenuto ma la prospettiva (esca-tologica) di ampio respiro interpelli la nostra ricerca di nuove soluzioni (evangeliche).

il tema

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In questa ricerca che attiene anzi-tutto al rapporto tra fede e cultura e che dischiude anche una inevitabile dimensione politica (e del rapporto tra parrocchie, associazionismo e impegno politico bisognerà tornare a parlare per ritessere una trama di relazioni che sembra ormai anche qui da noi ampiamente sfilacciata) mi pare che un valido contributo ri-guardo allo stile (anche se non alle soluzioni necessariamente riferite ad altri tempi) possa essere forse trovato anche nella nostra stessa tradizione bresciana, nella dimen-sione in cui i nostri “padri” riusciva-no a cogliere le istanze profonde che animavano la nostra società senza assecondarle però nei suoi bisogni immediati ma interpretandole con sapienza e cuore verso la costruzio-ne di un progetto condiviso e lungi-mirante. __

*Presidente MEIC.

il tema

(fonte, Bresciaoggi, 13.11.2010)

la “galassia CattoliCa”a BresCia

(dalle lettere al direttore, 26 novembre 2010)

Caro direttore, ho letto sul “Bresciaoggi” di sabato scorso l’articolo che presentava la neonata Accademia Cattolica di Brescia con la simpatica schematizzazione della ‘galassia cattolica’. Non entro certo nel merito di come questa galassia sia stata strutturata (in essa mancano molti altri ‘pianeti’ di cui per fortuna è ricca la nostra realtà cattolica brescia-na e che hanno semmai il ‘torto’ di apparire meno sui media). Osservo solo che tra i vari esponenti è stato inserito anche il nostro Vescovo. Da semplice cattolico sono sicuro che il nostro Vescovo è vicino a tutti i cat-tolici bresciani e non è di esclusiva appartenenza di qualcuno. Stratto-nandolo o ‘posizionandolo’ da una parte o dall’altra non si fa certo un bel servizio a lui e al mondo cattolico bresciano, che rischia di spaccarsi ulteriormente e inutilmente. Proprio ciò di cui la nostra città e la nostra provincia in questo momento non hanno certo bisogno.Un cordiale saluto, Michele Busi.

(dall’omelia del vescovo luciano monari l’8 dicembre 2010,Chiesa di s. Francesco - Celebrazione “Ceri e rose”)

“il vescovo non può mai diventare una persona di parte; deve dire le cose con chiarezza, ma deve essere così radicato nel vangelo da poter essere centro di comunione per tutti i credenti (...). vi chiedo scusa se ho fatto questo strano discorso nella solennità dell’immacolata: l’ho fatto perché nelle settimane scorse si sono espresse posizioni diver-se nella comunità cristiana (e questo non mi fa problema; ne sono anzi contento, perché vuol dire che la comunità cristiana è viva e li-bera); ma le posizioni diverse erano accompagnate da un’animosità che sento a me estranea e che considero nociva. e siccome qualcuno si chiedeva che cosa ne pensi il vescovo; se il vescovo è con questi o con quelli; se insomma il vescovo è berlusconiano o di sinistra o ter-zopolista, mi sembrava necessario chiarire le cose”.

‘mondo cattolico’ e Vescovo

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spiritualità

Sono loro, i laici, che operano nel mondo dell’economia, che assumono responsabilità poli-

tiche, che contribuiscono a formare e trasformare le strutture della socie-tà; se in tutti questi campi essi ope-rano cercando il bene di tutti, con-tribuiscono alla nascita e alla costi-tuzione di una “civiltà dell’amore”; attraverso di loro la Chiesa compie la sua missione» (n. 31 “Tutti sia-no una cosa sola”). Nel capitolo se-condo della sua lettera pastorale il vescovo Luciano descrive il corpo di Cristo, la vita di comunione che deve abitare la Chiesa. Credo che sia importante notare come questa di-mensione è strettamente legata alla missione, all’apertura nei confronti di tutto il genere umano. Dice il ve-scovo Luciano: «Il Concilio ci ha ri-cordato che la Chiesa è “sacramen-to, cioè segno e strumento dell’in-tima unione con Dio e dell’unità del genere umano” (LG 1). Tutto quello che la Chiesa fa per orienta-re l’umanità a riconoscere e acco-gliere l’amore di Dio, tutto ciò che fa per rendere l’umanità più unita superando divisioni e contrasti, tutto questo entra nella missione propria della Chiesa».

In questo contesto viene evocata la

dimensione della responsabilità, del bene comune, della testimonianza. Prosegue, infatti, il vescovo: «Qui di-venta particolarmente significativa l’azione dei laici. Sono loro che ope-rano nel mondo dell’economia, che assumono responsabilità politiche, che contribuiscono a formare e tra-sformare le strutture della società; se in tutti questi campi essi operano cer-cando il bene di tutti, contribuisco-no alla nascita e alla costituzione di una “civiltà dell’amore”; attraverso di loro la Chiesa compie la sua mis-sione. Vale la pena ripeterlo: i laici non attuano la missione della Chie-sa solo con i ministeri strettamente ecclesiali (quelli che sono finalizzati all’edificazione della Chiesa stessa), ma anche operando cristianamente nella società; i programmi pastorali di una comunità cristiana non deb-bono tenere presente solo l’impegno per l’edificazione della comunità, ma anche il tipo di testimonianza e di contributo che i membri della comunità sono chiamati a dare alla formazione della società».

La testimonianzadi Dorothy Day

Ritengo che il commento più signifi-cativo a queste parole sia dato dalla

di don Massimo Orizio

la lezionedi dorothyConvertita al cristianesimo a trent’anni, la Dayresta un esempio anche per noi della capacitàdi vivere da cristiani inseriti nel nostro tempo

vita di Dorothy Day. Questa donna fu strettamente legata al Movimen-to dei Lavoratori cattolici america-ni; ottenne da Dio una vita lunga e fruttuosa, segnata dalla scelta della povertà e dall’apostolato tra i biso-gnosi. La prima parte della sua vita venne trascorsa come una lotta alla ricerca di scopo e di significato; si convertì al cattolicesimo nel 1927 a trent’anni di età. La sua fu una lun-ga odissea in cui, accanto a una na-turale sensibilità verso la giustizia e la promozione dei diritti civili delle donne e dei lavoratori, trovò armonia e un centro propulsore e pacificante nella fede.Gli aspetti principali della sua spi-ritualità furono un forte senso del-la missione, da lei descritta così: «In tutte le persone con cui venivo a contatto ogni giorno, in tutto ciò che udivo e leggevo, sentivo quel senso di essere accompagnati, di essere desiderati; un senso di speranza e di attesa». Per lei la missione diven-ne naturale nel trovare sintesi tra la profonda religiosità della fede e la co-scienza sociale in un impegno radi-cale. Inoltre confidò profondamente nella Provvidenza divina: «Nella sto-ria dei santi il capitale veniva rac-colto con la preghiera. Dio manda quello di cui si ha bisogno quando se

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documento di lavoroper il percorso assembleare

Le scelte importanti non si esauriscono in poco tempo. L’Azione Cattolica, a livello nazionale e a livello diocesano, ha intrapreso negli scorsi anni un percorso di rinnovamento (dal nuovo Statuto al Progetto for-mativo all’Atto normativo diocesano) che l’ha porta-ta a compiere alcune scelte qualificanti (anzitutto la scelta missionaria).Queste scelte non possono certo dirsi conseguite nel giro di pochi anni, ma costituiscono la bussola di rife-rimento per un periodo più lungo.La decisione di riproporre gli obiettivi individuati dall’ultima assemblea nasce da alcune considera-zioni:• Le idee ci sono, ma è tempo di cogliere gli aspetti ve-ramente essenziali del nostro impegno ecclesiale. • L’attivismo che non riesce a dare valore e risposte efficaci alle domande che sorgono nelle nostre comu-nità rischia di coprire la nostra incapacità di essere si-gnificativi nella realtà.• Dobbiamo offrire uno stile che permetta alla Chiesa bresciana di essere fermento in una società nella qua-le i segnali di scristianizzazione sono davanti agli occhi di tutti. Non mancano dichiarazioni e richiami ai valori cristiani, ma questo si concretizza sempre meno.• I semi di questo cammino sono già nel dna dell’as-sociazione. La scelta formativa, la scelta democratica e la scelta religiosa che oggi traduciamo come scelta missionaria, hanno bisogno solamente di essere con-tinuamente poste alla nostra attenzione.• Abbiamo già gli “strumenti” per poter dare concre-tezza ad alcune scelte qualificanti con uno stile che ponga attenzione a quanto ci capita, non per prender-ne atto semplicemente, ma per riconoscere i proble-mi e individuare le potenzialità che ci consentano di dire e fare qualcosa di cristianamente orientato, nella nostra quotidianità.

Il cammino assembleare, che ci porterà ad indivi-duare le scelte per il triennio 2011-2014, non può che prendere il via da una verifica del percorso svolto nel triennio che si va a concludere. È opportuno perciò riprendere in mano il documento assembleare e ri-flettere, attraverso uno sforzo comune di discerni-mento, sulle scelte compiute, su cosa è rimasto a metà o inattuato e su come affrontare le nuove sfide che attendono l’AC.

Nel presente documento di lavoro vengono eviden-ziati, dopo un contributo sul senso del percorso as-sembleare, alcuni aspetti:• una sintesi delle scelte scaturite dalla XIII Assem-blea (DOC. 1)• uno spunto di riflessione sul senso della nostra identità associativa (DOC. 2).

Sul sito si trovano indicazioni e rimandi a percorsi di progettualità e quattro progetti di missionarietà (www.acbrescia.it)

Sappiamo che la vita associativa non è avulsa dal con-testo ecclesiale e da quello sociale. Per questo il no-stro cammino di preparazione non dovrà prescindere anche da una riflessione sulla situazione della chiesa e della società bresciana.Sul sito come materiale di approfondimento sono presenti anche due contributi:- uno sulla situazione della chiesa italiana e dioce-sana.- uno sulla situazione sociale.

Infine rimandiamo al documento elaborato dal Con-siglio diocesano circa l’introduzione delle Unità pa-storali e il ruolo dell’AC, alle pp. 27-29.

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DOCUMENTO 1dal documento assembleare della XIII

Assemblea diocesana, (23-24 febbraio 2008) “Tra Piazze e Campanili”

Incontrare, testimoniare, annunciare

La scelta missionaria[…] Confermiamo la convinzione che due sono le dimensioni per attuare la scelta missionaria: l’im-pegno verso l’evangelizzazione e quella laicità che connota la nostra vocazione.- Il primo porta ad affermare il primato del Van-gelo divenendone testimoni coerenti e credibili e mettendoci in gioco per condividere con tutti la speranza donata dal Risorto. - Il secondo chiama a stare da cristiani dentro la storia, per tessere legami condivisi, per spender-ci in favore del bene comune, per prenderci cura della vita pubblica.

Le forme: Incontrare, testimoniare, annunciare. […] Incontrare significa farsi attenti alle persone, ascoltarle, accoglierle, ma sollecita anche a cercar-le, avvicinarle, raggiungerle. È allacciare relazioni entrando con discrezione nella loro vita.Testimoniare comporta il sapersi mettere in gioco con la propria esistenza di persone che hanno in-contrato Gesù, lo stanno seguendo, e sul suo Van-gelo stanno modellando la propria vita. Annunciare diventa il fine da non perdere di vista, perché tutti possano essere raggiunti dalla Buona Notizia e possano trovare in essa motivi di vita e di speranza.

Lo stile. È caratterizzato dalla proposta mite e convinta, dal dialogo aperto, dalla quotidianità dei rapporti, dalla capacità di intercettare il vissu-to delle persone e di far loro percepire la vicinanza della Chiesa.

Gli ambiti da privilegiare. […] La realtà lascia emergere con insistenza alcune attenzioni a cui non si può e non si deve sfuggire:- i giovani e gli adolescenti- le famiglie, in particolare quelle appena forma-te, quelle in difficoltà, ma anche chi non vive un clima di famiglia.Il Convegno ecclesiale di Verona ha però indicato una strada nuova: gli ambiti di cui prendersi cura non sono categorie di persone, ma dimensioni esi-stenziali che attraversano la vita di tutti.

Ci pare importante mettere l’attenzione in parti-colare:- sulla fragilità umana (sofferenza, precarietà, po-vertà relazionale)- sull’affettività: educare ad amare è parte inte-grante di ogni percorso formativo - sulla cittadinanza, educando alla partecipazione e allo sviluppo di un ethos condiviso.

Il metodo della progettualità[…] Per [realizzare con piccoli passi il progetto più grande che vogliamo concretizzare] intendiamo percorrere la strada della progettualità, attraver-so la quale dare forma ad una vita associativa mis-sionaria, capace di parlare con la generosità della sua vita e la chiarezza delle sue proposte.- Impegniamo pertanto il Consiglio diocesano a ela-borare progetti possibili di missionarietà sugli am-biti indicati, per favorirne la realizzazione e perché divengano anche riferimenti esemplari per stimo-lare all’azione tutti i livelli associativi.- Le associazioni parrocchiali, lasciandosi interpel-lare dalle domande colte nel territorio, sono chia-mate a rispondervi mettendo in atto, a loro volta, lo stile della progettualità.- L’associazione continui ad essere e divenga ancor più promotrice di luoghi di incontro e di riflessione nella comunità cristiana e civile sui temi che tocca-no la nostra esistenza quotidiana.

Le condizioni L’ecclesialità: il nostro modo di stare nella Chiesa[…] Stare dentro la nostra Chiesa locale con stile missionario comporta:- promuovere e vivere con fedeltà una significativa vita associativa dentro la comunità- liberare energie dal servizio alle iniziative pastorali per frequentare luoghi che altri non raggiungono- assumere nella comunità lo stile della propositi-vità, del coinvolgimento, dello stimolo e ricercare il dialogo con i sacerdoti per la lettura dei bisogni nel territorio e sviluppare progetti adeguati.

La formazione e la spiritualità: il centro del no-stro andareTestimoniare e annunciare è possibile solo se ci lasciamo continuamente evangelizzare, perché Cristo sia formato in noi. L’impegno per curare la formazione e riporre al centro la spiritualità sono le condizioni necessarie per maturare una fede in-carnata nella vita. […]Questo comporta:

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- Alla luce del Progetto Formativo, programmare cammini formativi ben centrati sulla Parola di Dio- prevedere per ogni associato, fin dall’età dei gio-vanissimi, i tempi forti dei ritiri e degli esercizi spi-rituali- promuovere una rinnovata cura della vocazione laicale nella formazione di coscienze libere e forti - chiedere agli assistenti il necessario contribu-to di accompagnamento spirituale associativo e personale. Per attuare diffusamente la scelta missionaria si rende necessaria anche una formazione più espli-citamente mirata ad abilitare all’evangelizzazione e alla laicità.Ciò impegna il Consiglio diocesano a: - proporre occasioni qualificate di riflessione cul-turale - promuovere per i formatori e gli educatori percorsi specifici e qualificati sui nuovi processi formativi - elaborare progetti di primo annuncio o di ricerca e riscoperta della fede- proporre l’iniziativa di solidarietà in modo più attivo: un’opportunità di coinvolgimento per tut-ti gli associati e coloro che vogliono spendersi in prima persona. L’iniziativa deve intercettare un bisogno territorialmente vicino e diffuso, su cui le associazioni parrocchiali possano impegnarsi di-rettamente. […]

La vita associativa: un carisma da custodireNella convinzione che a un’appartenenza più con-sapevole e vivace all’Azione Cattolica corrisponde una crescita della missionarietà, crediamo dovero-so riscoprire una nuova fierezza associativa e favo-rire la propositività dell’esperienza. Per custodire questo carisma occorre un preciso impegno a:- offrire, nel progetto diocesano di ICFR, una ACR ben riconoscibile e qualificata, per poter essere scelta dai ragazzi e dai genitori.- coltivare con particolare cura la proposta dei gio-vanissimi- promuovere il protagonismo dei giovani dando progettualità operativa ai tre “modelli” di giovani in missione: l’evangelizzazione di altri giovani, l’im-pegno per la cittadinanza, il servizio educativo.- privilegiare come adulti la cura di tutta l’Asso-ciazione e l’accompagnamento delle esperienze di missionarietà, il coinvolgimento nei progetti di primo annuncio e di esercizio della laicità- sentirsi corresponsabili della vitalità del Centro diocesano, anche mettendo a disposizione perso-

ne, idee ed energie per l’elaborazione e la realizza-zione dei progetti associativi.

DOCUMENTO 2 Stile personale, associativo, progettualità

Un’identità che è uno stileCapita spesso di trovare perplessità quando parlia-mo a qualcuno del nostro essere di AC, e non solo con persone esterne all’associazione. Perché la no-stra identità è così labile, così poco netta? Dall’inizio del percorso di rinnovamento associativo si continua a parlare dell’identità dell’AC, del suo sti-le. Se non riusciamo a spiegarlo, a raccontarlo agli altri e a noi, è arrivato il momento di chiarirci questo concetto, in modo che l’identità torni a essere “scel-ta”, perché da sempre l’Azione Cattolica punta a for-mare laici capaci di scelte consapevoli e mature.L’identità di AC è un’identità, uno stile che appar-tiene all’uomo, a qualunque uomo, dal bambino all’adulto e che diventa passione per una vita laicale che sceglie Cristo come punto di riferimento.

La necessità di chiarire l’identitàÈ ora di trovarsi intorno ad un tavolo - possibilmen-te quello del Consiglio Parrocchiale di AC - e, Pro-getto Formativo alla mano, concentrarsi su ciò che ci dice “l’essere di AC”:• “Formazione è far emergere nella vita di ciascu-no il volto del Figlio. […] formazione è un processo che in ultima istanza avviene nel cuore, nella co-scienza personale. Non ci può essere nulla di pas-sivo in un vero processo formativo: formazione è essere disposti a prendere in mano la propria vi-ta”. (PF, pp. 21-22)• “Sentiamo l’esigenza di impegnarci a trovare strade laicali per l’annuncio del Vangelo: strade che passino dentro le vicende e le situazioni di questo tempo. Strade che sanno andare incon-tro, dar valore al dialogo, attraversare la realtà di oggi e i suoi problemi. Ma siamo anche convinti che queste strade si apriranno se dentro di noi si accenderà una nuova gioia per il Vangelo che ab-biamo ricevuto in dono, un nuovo interesse per la vita delle persone, una nuova capacità di ascolto e condivisione.”(PF, p.48)• “L’esperienza associativa costituisce una scuo-la di grande valore; essa richiede attenzioni e cu-ra perché non scada in puro fatto organizzativo, ma conservi la carica umana e spirituale di incon-

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tro tra le persone, in una familiarità che tende alla comunione e in un coinvolgimento che tende alla corresponsabilità. La scelta democratica esprime questi orientamenti per costruire un’esperienza che nasca dal contributo di tutti e si avvalga della par-tecipazione di ciascun aderente.” (PF, p.16)

Il confronto con la realtà, dato dalla formazione esperienziale, la lettura del territorio, colto at-traverso il senso critico, la responsabilità verso il bene comune, frutto di una democraticità vissuta, non possono non spingerci a prenderci degli impe-gni che sono di cittadinanza, di missionarietà, di Primo Annuncio.

Impegni da trasformarein progetti di missionarietàLe belle parole sono facili da pronunciare e le ide-alità sono sempre confortanti, ma nelle nostre comunità parrocchiali, nelle nostre associazioni è divenuto urgente “dare gambe” alle belle parole. Per fare questo è necessario darsi del tempo per incontrarsi e discutere, farlo con in mano gomma e matita, per tracciare tappe e orizzonti vicini. Scansionare date, rilevare disponibilità, imporsi delle scelte che escluderanno altri impegni, sicu-ramente importanti, ma un progetto richiede una razionalizzazione delle forze. È chiaro che questo lavoro non può essere calato dall’alto: sarebbe un’imposizione e porterebbe a po-co. Ogni gruppo, ogni comunità deve partire da una condivisione al suo interno, scegliere un obiettivo e tracciare il cammino da fare per realizzarlo e i tempi per verificarlo, con chiarezza e concretezza. Ideare un grande progetto per non attuarlo è inuti-le, non fare nulla per paura di fallire è cieco, puntare ad un obiettivo, calibrando al meglio le proprie for-ze è evangelico (cfr. Lc 14, 28-32): il nostro stile!

Progettualità fa rima con DiocesanitàLa Diocesanità è l’elemento chiave che ci restituisce l’autentica dimensione associativa, ci permette di allargare lo sguardo oltre i confini della parrocchia e avere un respiro più ampio. Diocesanità non coincide con Centro Diocesano. Quest’ultimo è uno strumento da valorizzare, per-ché senza l’orizzonte della Diocesanità, l’identità associativa ha vita breve.Per questo il Centro Diocesano vuole spendersi nell’accompagnamento parrocchiale: solo un cam-mino condiviso può portare gambe solide per lun-ghi viaggi e sguardo alto per orizzonti più vasti.

Accanto all’orizzonte diocesano non dimentichia-mo le risorse territorialmente più vicine di cui dispo-niamo: fra queste, la dimensione della macrozona può costituire per tutti un riferimento utile su cui contare, sia per condividere il cammino che stia-mo compiendo, mettendo in comune la positività delle nostre esperienze e offrendo spunti agli altri, sia per attingere un supporto nella progettazione e nello sviluppo del percorso.

Infine, per un’associazione che intende fondare la propria azione su radici spirituali profonde è fonda-mentale condividere il cammino con i nostri assi-stenti spirituali. Il loro supporto nella cura della spi-ritualità del cammino costituisce infatti un elemento indispensabile perché il nostro “fare” non sia privo di senso. Al contempo, progettare il nostro percor-so a fianco dei nostri pastori potrà essere momen-to importante perché il nostro lavoro si compia in comunione con la Chiesa e in collaborazione al suo fine apostolico.

Si tratta quindi di vivere il nostro cammino dentro un clima di vera comunione nei rapporti personali e comunitari, come ci indica il Progetto Formativo:

«In quanto corpo di Cristo, la comunione è l’anima della Chiesa. La fede in Dio Trinità ci dice che la co-munione è possibile ed è un dono che accogliamo da Lui; è grazia e non la somma dei nostri sforzi o il frutto delle nostre buone volontà. Ciò che ci fa di-ventare costruttori di comunione è prima di tutto il credere all’amore di Cristo, che ha dato il suo san-gue per ogni uomo e donna. Ciò significa vivere la comunione come un’esigenza oggettiva della no-stra fede, che si fa attorno al Vescovo, uniti a tutta la Chiesa universale, e senza cadere in arbitrarie se-lezioni di persone e di compiti ecclesiali. La fede ci fa vedere i Pastori come coloro che, per puro dono dello Spirito, grazie al sacramento ricevuto rendo-no presente Cristo alla comunità dei credenti.Per questo, la prima testimonianza che vogliamo of-frire e a cui educhiamo tutta l’associazione è quella di un’unità che non è uniformità ma coscienza del-la ricchezza che costituiscono per la Chiesa i diversi doni messi a disposizione di tutti e vissuti nel discer-nimento ecclesiale. L’obbedienza, vissuta evangeli-camente, è segno dell’amore e della maturità con cui ci sentiamo legati alla Chiesa del Signore» (Perché sia formato Cristo in voi, cap. 4, par. II)

Sul sito www.acbrescia.it sono pubblicati tutti i materiali per il percorso assembleare.

azione cattolica brescia18

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ne ha bisogno». Seppe dare priorità al messaggio evangelico dell’amore del prossimo, tanto nel privato che nell’opera sociale.Dorothy sentì un’intima relazione tra il conoscere e l’amare: «Non pos-siamo amare Dio se non ci amiamo reciprocamente, e per amarci dob-biamo conoscerci. Conosciamo Dio nello spezzare il pane, ci conoscia-mo l’un l’altro dividendo il pane, e non siamo più soli. Il paradiso è un banchetto e anche la vita è un ban-chetto, pur con poche briciole, se vi è fratellanza».La preghiera era una pratica esisten-ziale in quanto Dorothy era consa-pevole della presenza di Dio negli aneliti, nelle gioie e nei dolori, nelle attività quotidiane; la sua orazione nasceva spontaneamente nel quoti-diano, nulla di artificiale o relegato nel privato: «Sono una donna im-pegnata in cose pratiche, non posso fermarmi molto in silenzio. Mediterò quando ho tempo, al mattino presto o nei momenti liberi della giornata. Non chiusa in uno studio, ma qui, là e dovunque; in cucina, in treno, andando e tornando, preparando la cena e mettendo Teresa (sua figlia) a letto». Riusciva a fondere preghiera e vita quotidiana, azione e contem-plazione attraverso una consapevo-

lezza vocazionale, il senso profondo del significato della vita alla luce del progetto di Dio, la certezza e l’orien-tamento dell’agire come luogo del-la fede.La centralità dell’Incarnazione, per lei, indicava proprio questo movi-mento di scoperta del Cristo dentro le pieghe della storia e dell’esisten-za, il venire alla luce del Signore nei momenti semplici della giornata: la qualità della differenza cristiana sta nella profondità dello sguardo, nell’ampiezza dell’orizzonte, nella caparbietà della misericordia.Nello stesso tempo Dorothy non si ingannava sulla necessità delle altre pratiche spirituali per nutrire l’attivi-tà quotidiana e per poter perseverare con pazienza in spirito di speranza: la tentazione costante per chi vive nel mondo è lo scoraggiamento, che por-ta alla chiusura su di sé, al distacco amareggiato o al riflusso nel privato. Coltivava, perciò, la messa quotidia-na nel possibile, la meditazione del vangelo del giorno, il rosario, la let-tura dei testi di spiritualità, la parte-cipazione ai ritiri; era inoltre attenta alla necessità di avere buoni confes-sori e direttori spirituali. Nel corso degli anni trovò uno stratagemma per unire l’azione alla preghiera: il programma quotidiano. Non è uno

strumento nuovo per un tesserato di AC perché richiama la Regola di vi-ta, con le caratteristiche di cui parla il Progetto Formativo.Alla fine di un periodo particolarmen-te complicato Dorothy scriveva: «L’in-tensa preghiera di questa mattina e della notte scorsa mi ha portato pace, gioia e forza, ringraziamento assieme a molta umiltà. Ero infatti così debole che Dio ha dovuto consolarmi perché io sia pronta per la prossima prova. Proprio perché tutto mi appare inuti-le, frantumato in mille pezzi, malfatto e futile, dovrei capire che non è così. Tutto invece è giusto, perché è nelle mani di Dio. Affidiamoci in ogni cosa alla divina Provvidenza».Vivere il Natale è ripercorrere le or-me di Cristo, che si è fatto uomo, che ha abitato la storia, che ha vissuto la sua esistenza scorgendovi la pre-senza del Padre: la salvezza è stata l’esperienza di un abbandono fidu-cioso, la sconfitta della disperazione, la scoperta di un senso profondo di sé e dei propri giorni. La materia del sacramento eucaristico sono pane e vino, la materia della nostra santifica-zione, ci insegna Dorothy Day, siamo noi stessi, la nostra vita e i nostri gior-ni: invochiamo lo Spirito e lasciamo che ci pervada per generare il mira-colo della testimonianza. __

spiritualità

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di Paolo Ferrari

Nel tempo dell’individualismo, torna la nostalgia di una co-munità perduta. Nostalgia che

può essere rimpianto per un passato in cui le cose, anche se poche, si con-dividevano e i legami tra le persone erano caldi. Ma può essere anche la reazione a una società che dilata ve-locemente gli spazi e ci spaventa. Al-lora la nostalgia rischia di diventare ideologia. Non è ideologico l’uso che si fa oggi di parole come comunità e territorio? Non è diventata sinonimo di identitarismo, di chiusura, di par-ticolarismo e, in fin dei conti, di egoi-smo questa costruzione di un “noi” da contrapporre alla minaccia degli “altri”? Se le cose stanno così, come è possibile ravvivare la profezia del-la comunità?

La nostalgia della comunità

Ad alcune di queste domande ha ri-sposto lo scorso 23 ottobre la prima giornata della nuova formula del con-vegno interassociativo (le altre sera-te il 19 novembre su federalismo e responsabiltà, l’11 febbraio 2011 su solidarietà e sussidiarietà e il 10 mar-zo su pubblico e privato). Secondo il preside della facoltà di Sociologia del-la Cattolica Mauro Magatti, che ha dialogato con il filosofo Ilario Berto-letti, è un paradosso del vivere uma-no la duplice tendenza all’apertura e alla chiusura: siamo programmati

non v’era dissenso, questo significa maggiore ricchezza culturale.Però questo dinamismo di apertu-ra globale è stato accompagnato da un pensiero ideologico che nega in-tere parti del reale. È un pensiero che si basa su due assunti. Il primo: “ognuno è sovrano di se stesso e decide cosa è bene o male per sé”. È il pensiero libertario, una fol-lia: come essere con una barchetta in mezzo all’oceano e pensare di avere un rapporto paritario con l’oceano. Il secondo: “siamo tanto più liberi quante più possibilità abbiamo”. Ma troppe scelte non ci fanno più sce-gliere e la libertà è in realtà condizio-nata da ciò che ci viene offerto. Que-sta è la nostra fase storica, che ci ha resi Gente di mare che se ne va, dove gli pare, dove non sa… come direbbe Tozzi. Ci interessa solo poter anda-re, poter fare, poter scegliere. Senza mai dire cosa stiamo scegliendo, dove stiamo andando, perché se lo dices-simo ci precluderemo le altre possi-bilità, pur non conoscendole ancora. È un paradosso. Siamo liberi ma non ci impegniamo “intorno” alla libertà perché se lo facessimo ci sembrereb-be di perderla. All’uomo individualista del terzo millennio piace non avere legami, avere sempre nuove possibi-lità, essere cosmopolita. E a questa azione si contrappone la reazione: la ricerca di qualcosa che sfugge a que-sta cronica e drammatica instabilità.

sì bellae perdutaLa voglia di comunità, secondo la nuova formula del convegno interassociativo, nasconde anche rischidi chiusura egoistica. Le nuove sfide della libertà

società

per non accontentarci della vita che abbiamo e allo stesso tempo abbiamo bisogno di vivere in un contesto, in un territorio. Si può leggere così sia la presa di distanza dalla comunità che ha caratterizzato l’epoca moder-na, sia la nuova “voglia di comunità” che nasce come reazione alla globa-lizzazione. Magatti ha proposto una rilettura storica, dalle più antiche or-ganizzazioni sociali, in cui la comuni-tà sovrastava l’identità del singolo, al processo di liberazione dell’individuo operato dalla modernità, fino alla cre-azione, tra Ottocento e Novecento, delle comunità allargate degli Stati nazionali. Una grande comunità uni-versalistica, dove tutti i cittadini sono parte dello stesso legame attraverso un vincolo che è politico. Con alcu-ne ricadute: nascono delle regole nel mondo del lavoro, cresce l’alfabetiz-zazione… e allo stesso tempo l’uomo prova per la prima volta la solitudine della vita urbana. Negli ultimi 25 anni abbiamo assistito a un’ulteriore accelerazione dell’aper-tura: la globalizzazione. Che è l’esito di un processo positivo che riguarda i trasporti, la finanza, le comunicazio-ni e il sistema economico, ma anche le nostre azioni e le nostre possibili-tà: andiamo in Francia a curarci, ac-quistiamo merci indiane e andiamo in vacanza in Marocco. Se pensiamo alle comunità arcaiche, in cui si ra-gionava tutti allo stesso modo, in cui

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le Paroledella Comunità

la riflessione sul tema della comunità e sulle sue malattie non si esaurisce nel convegno del 23 ottobre, ma passa anche attraverso i tre moduli successivi, che costituiscono altrettante declinazioni del tema generale e si tengono a villa pace. Federalismo e responsabilità è stato il tema del primo modulo che si è svolto il 19 novembre con l’intervento di gianluigi Bizioli che ha parlato di federali-smo fiscale. il secondo incontro è in programma l’11 febbraio con l’intervento del filosofo roberto mancini su sussidiarietà e solidarietà. chiude il ciclo il 10 marzo l’intervento di giuseppe de rita su Pubblico e privato.

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Nessun significato è radicato, niente è stabile, non ci possiamo più fidare, siamo tutti stranieri e soli e siamo so-lo aperti. Così nel mondo nascono forme re-attive di chiusura. Chiusura signifi-ca trovare qualcosa a cui attaccarsi. Sangue, pelle, terra. Anche dio. È la ricerca reattiva di un fondamento che richiuda un mondo troppo aperto. Ma ciò avviene non sempre in modo civile e tollerante. Siamo come adolescenti. Abbiamo bisogno di comunità come i ragazzini della famiglia. E come loro, a un certo punto, abbiamo bisogno di superarla. È una fase difficile in cui si giocano i destini. Superare la famiglia (o la comunità) è una fase necessa-ria perché essa raggiunga il suo sco-po. Così ci apriamo e questa spinta ci consegna a un azzardo. Quale sarà l’equilibrio successivo?

La profezia della comunità

Se questa è l’analisi, la diagnosi (la profezia) è duplice. La prima: rilan-ciare il concetto di persona, che se-condo Magatti, ha un grande futuro. Un’idea che viene dalla tradizione cri-stiana e ha contribuito ad armonizza-re il rapporto tra individuo e comuni-tà, rileva Bertoletti. Intorno a questa idea si possono recuperare i valori del-la tradizione liberale, che enfatizza il ruolo di istituzioni che garantiscano questa libertà per tutti. Ma a questa

idea “negativa” di libertà occorre da-re un contenuto. Siamo liberi se re-sponsabili, se rispondiamo al nostro passato e al nostro futuro. E per non essere distruttiva, la libertà va usata in vista di un bene. Come spendiamo oggi questa nostra libertà? C’è anco-ra qualcosa da fare di buono in que-sta società oppure non ci diamo più obiettivi impegnativi? La testimonianza di padre Fabrizio Valletti, responsabile dell’inserzione pastorale dei Gesuiti a Scampia, un quartiere della periferia napoletana con 80mila abitanti, vale più di mil-le parole per rispondere a queste do-mande. Rappresenta in modo creativo il modo in cui proclamare la profezia della comunità in un territorio in cui fare comunità sembrerebbe impossi-bile. Nelle sue parole traspare, senza polemiche gridate, la distanza tra una

chiesa istituzione attenta a chi c’è già e una esperienza pastorale che sce-glie di non possedere niente, ma di mettersi al servizio delle persone, e dei giovani soprattutto, in un conte-sto così problematico, con una pas-sione educativa e sociale fortissima. Una chiesa che si lascia ispirare dal Concilio, che non si irrigidisce nelle sue istituzioni, ma vive, fedele alla teologia dell’incarnazione, in mezzo alla gente, sapendo che «dove si ma-nifesta una speranza, lì si manifesta Dio». Una comunità che riscopre e fa vibrare parole come fraternità, servi-zio, dono, gratuità, carità, solidarietà, sussidiarietà, dialogo. E ha favorito il fiorire di una rete associativa capilla-re, anche se non sempre sentita co-me propria dalla chiesa locale. Una lezione anche per le nostre comunità cristiane. __

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oscar romero, il martirio della pacepressi è invece una voce amica e fe-dele, l’unica difesa contro i soprusi e le prepotenze.

Maestro e testimone

Il paradosso della vicenda di Oscar Romero è che quest’uomo della tra-dizione, questo pastore d’anime che aveva del vescovo una visione classi-ca e tridentina, per gran parte della sua vita non ha avuto alcuno interes-se per la politica e per le questioni sociali. A un certo punto, rifacendosi ai documenti del Concilio, a quelli di Medellin e a Paolo VI, ha compreso sempre più chiaramente, di fronte alle violenze che colpivano i suoi sa-cerdoti e i suoi fedeli, che era proprio dovere illuminare le realtà terrene con gli insegnamenti del Vangelo. Quando si rese conto delle sofferenze del suo popolo, ne ebbe compassione e da buon pastore se ne fece carico. Andò consapevolmente incontro al-la morte e non vi si sottrasse: la logi-ca evangelica gli chiedeva questo e lui vi aderì.

La sua opera di evangelizzazione e promozione umana, oggi sempre più riconosciuta e valorizzata, trovò ostacoli enormi. Fu osteggiata vio-lentemente dal potere politico e da quello economico. I suoi confratelli vescovi del Salvador, ad eccezione di mons. Arturo Rivera y Damas, fecero di tutto per farlo destituire dalla gui-da della diocesi più grande del Paese, accusandolo di essere un sovversivo e di fare politica. Le stesse forze della guerriglia rivoluzionaria a un certo punto lo criticarono aspramente poi-ché invitava tutti alla conversione e condannava ogni forma di violenza, anche quella rivoluzionaria, esortan-do a percorrere le strade della non-violenza.In una realtà fortemente polarizzata, divisa tra pochi ricchi e molti pove-ri, Oscar Romero è stato maestro e testimone: con la parola ha guidato e orientato il proprio popolo; con la testimonianza si è esposto in prima persona e si è schierato al fianco di chi era povero e oppresso. Ha parlato e agito senza odio, cercando di esor-

Uomo della tradizione,il vescovo salvadoregnocambiò ascoltandoil grido della sua gente

di Anselmo Palini

L unedì 24 marzo 1980, alle ore 18,25, mentre sta celebrando la Santa Messa, appena termi-

nata l’omelia, l’arcivescovo di San Salvador, Oscar Arnulfo Romero, è colpito al cuore da un colpo di arma da fuoco. Caricato su una vettura, muore poco dopo in ospedale. Viene così messa a tacere la voce che nel-la nazione centroamericana denun-cia senza paura violenze, sequestri, omicidi, indicando responsabilità e complicità. Si tratta di una voce sco-moda per le oligarchie politiche ed economiche che si definivano catto-liche e sostenevano di lottare per la difesa della civiltà cristiana contro il comunismo. Per i poveri e gli op-

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Anselmo PaliniOscar Romero.“Ho udito il gridodel mio popolo”,Ave, Roma 2010,prefazione di Maurizio Chierici

A fianco, un momentodella presentazione avvenutail 2 dicembre scorsocon la presenza, oltre all'autore,del prof. Fulvio De Giorgie di Gianni Borsa,direttore editoriale AVE.

testimoni

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oscar romero, il martirio della pacetare tutti alla conversione. Da una terra dove scorreva il sangue, dove gli oppositori erano fatti scomparire, do-ve i diritti umani erano calpestati, la voce di Romero, libera e autorevole, ha oltrepassato le frontiere ed è stata sentita in tutto il mondo.

Educato dai crocifissidella storia

La lapide posta sulla tomba di Ro-mero riporta semplicemente il suo motto episcopale: sentir con la Igle-sia. Il suo desiderio è stato, infatti, fin dall’inizio del suo ministero sacerdo-tale, quello di vivere il messaggio cri-stiano restando fedelmente ancorato alla Chiesa. Il Concilio Vaticano II e la Conferenza di Medellin l’hanno costretto progressivamente a interro-garsi sulle condizioni di vita del suo popolo, sulle violenze a cui era sog-getto. Soprattutto nei tre anni in cui è stato arcivescovo di San Salvador, Romero ha sempre più chiaramen-te sentito il grido del proprio popo-lo, oppresso nei diritti fondamenta-

li, e a questo popolo ha prestato la propria voce, indicandogli la strada della conversione e della nonviolen-za per uscire dal dramma che sta-va vivendo. Si schierò così, sempre più decisamente, in difesa dei pove-ri e degli oppressi, convinto del fat-to che i valori evangelici andassero incarnati e non solo affermati, che non bastasse raccogliere i moribon-di e i sofferenti, ma che fosse anche necessario denunciare le situazioni di violenza strutturale e istituziona-lizzata, indicare in modo preciso le responsabilità dei sequestri, dei so-prusi e dei massacri. L’incontro con i “crocifissi” della storia lo ha condot-to all’essenzialità dell’annuncio e ad abbracciare la croce. La sua scomo-dità risiedeva nell’adesione piena e fedele al messaggio sociale cristiano che, con il Concilio, aveva esortato la Chiesa a rivolgersi a tutti, ma con un occhio di riguardo per i poveri e gli oppressi.Agli inizi di marzo 1983, in piena guerra civile, Giovanni Paolo II si è recato in Salvador in visita pastorale.

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Il programma, per volere delle auto-rità politiche, non prevedeva la visita alla tomba di Romero, ma il Papa fu irremovibile e, dopo aver atteso che si aprisse la cattedrale, che era stata chiusa per ordine della Giunta mili-tare, poté pregare sulla tomba dell’ar-civescovo assassinato.

Un vescovo martire

Dove possiamo situare la figura di Romero nella storia della Chiesa del Novecento? Certamente fra quelle dei testimoni e dei martiri, proprio come è stato fatto sul frontone del-la porta ovest dell’abbazia anglicana di Westminster, a Londra, dove, fra le dieci statue di “martiri” del Nove-cento, quella di Romero è posta tra la statua di Dietrich Bonhoeffer e quel-la di Martin Luther King.E come è stato fatto anche nella chiesa di San Bartolomeo a Roma, all’isola Tiberina, una chiesa voluta da Giovanni Paolo II come memoria-le dei martiri e testimoni della fede del XX secolo: qui, nell’icona posta sull’altare maggiore, tra i martiri rap-presentati vi è anche Oscar Arnulfo Romero e tra le memorie custodite in un altare laterale vi è il messale che utilizzava l’arcivescovo di San Salvador. __

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spazio ac

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acr e acg,c’è di piùPer l’incontro nazionale dei ragazzi e “issimi”con il Papa, foltissima la delegazione bresciana

di Stefano Begnis

Èl’una della notte tra venerdì 29 e sabato 30 ottobre. Con il mio gruppo Acr di S. Angela e gli

amici di Mompiano (il pullman 3 di Brescia), siamo ospiti nella parroc-chia di Orte, in provincia di Viterbo. Non mi ero mai reso conto quanto fosse duro il pavimento: così, come altri vicino a me, non riesco a pren-dere sonno perché dormire nel sacco a pelo per terra è davvero scomodo. Per cui incrocio le braccia dietro alla nuca è inizio a pensare a quando da bambino partecipai al mio primo in-contro nazionale, a come dirigendo-ci verso piazza S. Pietro gli educatori ci guidavano al ritmo di 1,2,3,4,5,6 Ciao! Da lì a poche ore saremo tut-ti nello stesso luogo, per un nuovo e attesissimo Incontro Nazionale. Fi-nalmente avrò l’opportunità, da edu-catore, di urlare la stessa canzone con i ragazzi. La sveglia alle 4 arriva prestissimo. Nonostante l’alzataccia i bambini sono carichi.

A Roma

L’alba su piazza S. Pietro illumina l’immensa cupola della Basilica di una sfumatura particolare come a dire che “oggi nell’aria c’è qualcosa di speciale… C’è di +!”. Aiutati dai porta festa e guidati dalle loro “ma-none” arriviamo in piazza. Assieme a Sara, abbandoniamo il gruppo per accompagnare due ragazzi a fare i gesti sul sagrato: abbiamo la fortuna

di poter andare anche noi, però un poco ci dispiace perché preferiamo vivere l’incontro con i nostri tra la folla. Perciò proviamo a riscendere giù in fondo fino dietro all’obelisco, ma non c’è nulla da fare, i nostri so-no ormai irraggiungibili e quindi tor-niamo sul sagrato. Da qui in alto lo spettacolo è proprio bello, si può ve-dere con un solo sguardo tutta l’AC Italiana: è dal lontano ’97 che Acr e Acg non incontrano il Papa a Roma. Allora Giovanni Paolo II con lo slogan “Insieme c’è più festa”, per scoprire la bellezza dello stare assieme, Bene-detto XVI oggi con “C’è di più!” per invitare a conoscere il di più che si ottiene dall’incontro con l’altro. Ora come allora l’AC riunita: le stime danno 100.000 persone!Mentre tutti invocano il sole che ri-scalda, la festa prosegue con balli, canzoni e discorsi importanti. È uno spettacolo quando tutti i foulard co-lorati sono fatti svolazzare al cielo o quando vengono letti alcuni tra gli infiniti striscioni: ma quanti sono?! Le undici arrivano presto e la tensio-ne cresce: mi spingo sul lato sinistro perché da lì ho intuito che uscirà il Papa e finalmente eccolo: Benedet-to XVI, da qui lo vedo benissimo. La prima impressione è quella di un uo-mo invecchiato, stanco sì, ma men-tre inizia il giro della piazza, felice. Tra chi conta le “c” di “ciofani” e chi invece lo segue più attentamente, il Papa risponde alle tre domande che

gli sono state poste. Ricorda ai ragazzi che diventare grandi significa aprirsi agli altri, ai giovanissimi che si cresce quando non si lascia che lo specchio sia l’unica verità, mentre a noi edu-catori di comunicare la grande gioia che abbiamo nel cuore.Nel pomeriggio la festa per l’ACR pro-segue in Villa Borghese: la processio-ne è lunga, sfilano le diverse regioni ognuna con un cartello diverso, noi educatori del pullman 3 per contene-re i ragazzi facciamo un grande cor-done umano. Dopo un rapido pranzo a bordo strada, a destinazione trovia-mo due volti amici, Simona e Mauri-zio, disperati oltre che contenti di ve-derci: il nostro gruppo è infatti l’ulti-mo in assoluto ad arrivare! La festa in Piazza di Siena è ancora meglio di quella dell’Acg intravista nel passare per Piazza del Popolo. Con qualche ragazzo ci buttiamo nella mischia, ci sono tutti: i responsabili che saluta-no dal palco, cantanti e ballerini ed i mitici personaggi di foglie.AC. Dal palco suonano le canzoni più famose dell’Acr, balliamo l’inno contenente persino una parte di “Waka waka”, e intanto penso tra me e me quan-to sia ricca e qualificante la proposta dell’Acr, dovrebbero sceglierla tutti i bambini (che volete, sarò di parte…). Per finire facciamo la foto guardando in alto, verso il satellite ovviamente. Al ritorno ci attende l’ultima prova: alla stazione del treno, per rientrare ai pullman, la gente è così tanta che

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rimaniamo fermi almeno due ore. Ri-entrati ad Orte in serata, c’è una bella sorpresa. Il don che ci ospita (con la felpa “c’è di più”!) con qualche par-rocchiano sta preparando una cena di tutto rispetto per noi, scopro che an-che loro hanno partecipato all’incon-tro, allora ci scambiamo le impressio-ni. Nonostante l’alzataccia la giornata è stata incredibile, ne sono convinti anche i ragazzi, ed è bello averla tra-scorsa con i compagni di Mompiano. Ci corichiamo, stanchi ma consape-voli che la giornata seguente non sarà da meno. Domenica il tempo è brutto: piove. Ci portiamo verso Firenze per un piccolo Meeting diocesano. L’idea è la ciliegina sulla torta: rivedere i gio-vanissimi di S. Angela, ma anche gli altri gruppi di Brescia, con volti noti e non, è un po’ come ritornare alla pro-pria famiglia. Il clima che si respira è infatti sereno, di gioia: è stupendo in-contrarsi per scambiarsi le esperienze vissute dopo tante fatiche. Grazie a un’organizzazione impeccabile è con tale clima che avviene la celebrazio-ne eucaristica, il pranzo e la festa fi-nale. Il rientro per noi è tranquillo, contrariamente alle disavventure del pullman 12 fantasma che fa le bizze, su cui ci sono i nostri “issimi”. Tornia-mo a casa arricchiti da un “di+” per le nuove amicizie fatte, un “di+” per le parole del Papa, un “di+” per l’AC riunita in piazza S. Pietro, un “di+” insomma che dovremo sapere porta-re a chi non è venuto. __

L'entusiasmo è stato grandissi-mo quando, dopo la preghiera, è arrivato il santo padre. la gioia è scoppiata quando il papa è pas-sato proprio davanti a noi. Una volta terminato il giro della piaz-za il santo padre si è rivolto a tutti noi lanciandoci una sfida, quella di “non lasciare nessun ambiente privo di gesù” ricordandoci con queste parole quanto sia impor-tante seguire le orme di cristo nel cammino della nostra vita. poi l’ac ha posto al papa tre domande: una

di un ragazzino dell’acr, la seconda di un giovanissimo e infine quella di un educatore. benedetto Xvi ha risposto così.

aCr: Santità, cosa significa diven-tare grandi? Cosa devo fare per crescere seguendo Gesù? Chi mi può aiutare?la risposta più bella su che cosa significa diventare grandi la por-tate scritta voi tutti sulle vostre magliette, sui cappellini, sui car-telloni: “C’è di più”. Questo vostro motto, che non conoscevo, mi fa riflettere. che cosa fa un bambi-no per vedere se diventa gran-de? confronta la sua altezza con quella dei compagni; e immagina di diventare più alto, per sentirsi più grande. io, quando sono sta-to ragazzo, alla vostra età, nella mia classe ero uno dei più piccoli, e tanto più ho avuto il desiderio di essere un giorno molto gran-de; e non solo grande di misura, ma volevo fare qualcosa di gran-de, di più nella mia vita, anche se non conoscevo questa parola “c’è di più”. crescere in altezza impli-ca questo “c’è di più”. ve lo dice il vostro cuore, che desidera avere tanti amici, che è contento quan-do si comporta bene, quando sa

le Paroledel PaPa all'aC

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dare gioia al papà e alla mamma, ma soprattutto quando incontra un amico insuperabile, buonissimo e unico che è gesù. voi sapete quanto gesù voleva bene ai bambini e ai ragazzi! Un gior-no tanti bambini come voi si avvicina-rono a gesù, perché si era stabilita una bella intesa, e nel suo sguardo coglie-vano il riflesso dell’amore di dio; ma c’erano anche degli adulti che invece si sentivano disturbati da quei bambi-ni. capita anche a voi che qualche vol-ta, mentre giocate, vi divertite con gli amici, i grandi vi dicono di non distur-bare… ebbene, gesù rimprovera pro-prio quegli adulti e dice loro: lasciate qui tutti questi ragazzi, perché hanno nel cuore il segreto del Regno di dio. così gesù ha insegnato agli adulti che anche voi siete “grandi” e che gli adul-ti devono custodire questa grandez-za, che è quella di avere un cuore che vuole bene a gesù. cari bambini, cari ragazzi: essere “grandi” vuol dire ama-re tanto gesù, ascoltarlo e parlare con lui nella preghiera, incontrarlo nei sa-cramenti, nella santa messa, nella con-fessione; vuole dire conoscerlo sempre di più e anche farlo conoscere agli altri, vuol dire stare con gli amici, anche i più poveri, gli ammalati, per crescere insie-me. e l’acR è proprio parte di quel “di più”, perché non siete soli a voler bene a gesù - siete in tanti, lo vediamo an-che questa mattina! -, ma vi aiutate gli uni gli altri; perché non volete lasciare

che nessun amico sia solo, ma a tutti volete dire forte che è bello avere gesù come amico ed è bello essere amici di gesù; ed è bello esserlo insieme, aiutati dai vostri genitori, sacerdoti, animato-ri! così diventate grandi davvero, non solo perché la vostra altezza aumenta, ma perché il vostro cuore si apre alla gioia e all’amore che gesù vi dona. e così si apre alla vera grandezza, stare nel grande amore di dio, che è anche sempre amore degli amici.

aCg: Santità, i nostri educatori dell’AC ci dicono che per diventare grandi occor-re imparare ad amare, ma spesso noi ci perdiamo e soffriamo nelle nostre rela-zioni, nelle nostre amicizie, nei nostri pri-mi amori. Ma cosa significa amare fino in fondo? Come possiamo imparare ad amare davvero?Una grande questione. È molto impor-tante, direi fondamentale imparare ad amare, amare veramente, imparare l’ar-te del vero amore! nell’adolescenza ci si ferma davanti allo specchio e ci si ac-corge che si sta cambiando. ma fino a quando si continua a guardare se stes-si, non si diventa mai grandi! diventate grandi quando non permettete più allo specchio di essere l’unica verità di voi stessi, ma quando la lasciate dire a quel-li che vi sono amici. diventate grandi se siete capaci di fare della vostra vita un dono agli altri, non di cercare se stessi, ma di dare se stessi agli altri: questa è la scuola dell’amore. Questo amore, però, deve portarsi dentro quel “di più” che oggi gridate a tutti. “c’è di più”! come vi ho già detto, anch’io nella mia giovinez-za volevo qualcosa di più di quello che mi presentava la società e la mentalità del tempo. volevo respirare aria pura, soprattutto desideravo un mondo bello e buono, come lo aveva voluto per tutti il nostro dio, il padre di gesù. e ho ca-pito sempre di più che il mondo diven-ta bello e diventa buono se si conosce questa volontà di dio e se il mondo è in corrispondenza con questa volontà di dio, che è la vera luce, la bellezza, l’amore che dà senso al mondo.È proprio vero: voi non potete e non dovete adattarvi ad un amore ridotto a merce di scambio, da consumare sen-za rispetto per sé e per gli altri, incapa-ce di castità e di purezza. Questa non è libertà. molto “amore” proposto dai media, in internet, non è amore, ma è egoismo, chiusura, vi dà l’illusione di un momento, ma non vi rende felici, non vi fa grandi, vi lega come una catena che

soffoca i pensieri e i sentimenti più bel-li, gli slanci veri del cuore, quella forza insopprimibile che è l’amore e che tro-va in gesù la sua massima espressione e nello spirito santo la forza e il fuoco che incendia le vostre vite, i vostri pen-sieri, i vostri affetti. certo costa anche sacrificio vivere in modo vero l’amore - senza rinunce non si arriva a questa strada - ma sono sicuro che voi non avete paura della fatica di un amore impegnativo e autentico, È l’unico che, in fin dei conti, dà la vera gioia! c’è una prova che vi dice se il vostro amore sta crescendo bene: se non escludete dalla vostra vita gli altri, soprattutto i vostri amici che soffrono e sono soli, le perso-ne in difficoltà, e se aprite il vostro cuo-re al grande amico che è gesù. anche l’azione cattolica vi insegna le strade per imparare l’amore autentico: la par-tecipazione alla vita della chiesa, della vostra comunità cristiana, il voler bene ai vostri amici del gruppo di acR, di ac, la disponibilità verso i coetanei che in-contrate a scuola, in parrocchia o in al-tri ambienti, la compagnia della madre di gesù, maria, che sa custodire il vo-stro cuore e guidarvi nella via del bene. del resto, nell’ac, avete tanti esempi di amore genuino, bello, vero.

educatori: Santità, cosa significa og-gi essere educatori? Come affrontare le difficoltà che incontriamo nel nostro servizio?essere educatori significa avere una gioia nel cuore e comunicarla a tutti per rendere bella e buona la vita; significa offrire ragioni e traguardi per il cam-mino della vita, offrire la bellezza della persona di gesù e far innamorare di lui, del suo stile di vita, della sua libertà, del suo grande amore pieno di fiducia in dio padre. significa soprattutto tenere sempre alta la meta di ogni esistenza verso quel “di più” che ci viene da dio. Questo esige una conoscenza perso-nale di gesù, un contatto personale, quotidiano, amorevole con lui nella preghiera, nella meditazione sulla pa-rola di dio, nella fedeltà ai sacramenti, all’eucaristia, alla confessione; esige di comunicare la gioia di essere nella chie-sa, di avere amici con cui condividere non solo le difficoltà, ma anche le bel-lezze e le sorprese della vita di fede.voi sapete bene che non siete padroni dei ragazzi, ma servitori della loro gio-ia a nome di gesù, guide verso di lui. avete ricevuto il mandato dalla chiesa per questo compito. Quando aderite

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unitàpastoraliMentre la diocesi si muove e il vescovoannuncia uno specifico Sinodo,l’Ac propone alcune idee a partire anche da alcune esperienze non positive

Il Consiglio Diocesano di Azione Cattolica ha analizzato, nel cor-so di alcuni incontri, le propo-

ste relative all’introduzione delle Unità pastorali nella nostra dioce-si. Ci siamo interrogati su questo importante passaggio per la chie-sa bresciana e anche sul ruolo che l’associazione può avere.L’AC è statutariamente posta in stretto contatto con la Chiesa (art. 1 del nostro Statu to). Gli stessi pontefici hanno più volte sottolineato questo legame, co-me ad esempio Giovanni Paolo II all’Assemblea nazionale AC del 2002: «La Chiesa non può fare a meno dell’Azione Cattolica… di un gruppo di laici che, fedeli alla loro vocazione e stretti attorno ai legittimi pastori, siano disposti a condividere, insieme con loro, la quotidiana fatica dell’evangeliz-zazione in ogni ambiente».Ci siamo concentrati fondamen-talmente su tre aspetti, eviden-ziandone elementi positivi e cri-ticità: il metodo con il quale si vanno pensando e strutturando le Unità pastorali; gli obiettivi che si pone l’introduzione delle Unità pastorali; il contributo che l’asso-ciazione può dare.

Il metodo

Ci pare una prassi abbastanza dif-fusa, nelle proposte degli uffici di

pastorale, la scarsa partecipazio-ne, in sede di analisi e di indivi-duazione di strategie concrete, delle associazioni e dei movimen-ti laicali; vorremmo sottolineare il rischio di ricadere in interventi troppo sbilanciati sulla dimensio-ne clericale, ancora poco centrati sul protagonismo della comunità, nella varietà dei suoi ministeri e delle sue soggettività.

all’azione cattolica dite a voi stessi e a tutti che amate la chiesa, che siete disposti ad essere corresponsabili con i pastori della sua vita e della sua mis-sione, in un’associazione che si spende per il bene delle persone, per i loro e vostri cammini di santità, per la vita del-le comunità cristiane nella quotidianità della loro missione. voi siete dei buoni educatori se sapete coinvolgere tutti per il bene dei più giovani. non pote-te essere autosufficienti, ma dovete far sentire l’urgenza dell’educazione delle giovani generazioni a tutti i livelli.senza la presenza della famiglia, ad esempio, rischiate di costruire sulla sabbia; senza una collaborazione con la scuola non si forma un’intelligenza profonda della fede; senza un coinvol-gimento dei vari operatori del tempo libero e della comunicazione la vostra opera paziente rischia di non essere ef-ficace, di non incidere sulla vita quoti-diana. io sono sicuro che l’azione cat-tolica è ben radicata nel territorio e ha il coraggio di essere sale e luce. la vo-stra presenza qui, stamattina, dice non solo a me, ma a tutti che è possibile educare, che è faticoso ma bello dare entusiasmo ai ragazzi e ai giovanissi-mi. abbiate il coraggio, vorrei dire l’au-dacia di non lasciare nessun ambiente privo di gesù, della sua tenerezza che fate sperimentare a tutti, anche ai più bisognosi e abbandonati, con la vostra missione di educatori. __

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Analizzando, in particolare, la traccia che si sofferma su tempi e modi di strutturazione delle Unità pastorali (documento del 19 settembre 2009) abbiamo osservato come aspetto pro-blematico uno scarso coinvolgimento non solo dei laici, ma anche dei preti stessi in questi passaggi. Gli incontri che si sono svolti si sono caratteriz-zati più come momenti informati-vi che non come occasioni per un coinvolgimento delle comunità in-teressate attraverso, ad esempio, i CPP, le Assemblee parrocchiali o al-tre modalità.

Gli obiettivi

La scelta della introduzione del-le Unità pastorali risponde a varie motivazioni storiche e teologiche: “mobilità” dei fedeli, diminuzione del clero, esigenza di una chiesa più missionaria, di una dimensione co-munionale più marcata, di una pa-storale d’insieme. L’AC ritiene l’istituzione delle Unità pastorali un’occasione perché nella Chiesa bresciana si ponga attenzio-ne non solo alle condizioni contin-genti, ma sia uno sforzo per cono-scere e capire la realtà nella quale si va operando per cogliere le pro-blematiche, le esigenze, le potenzia-lità, le risorse per poter predisporre un progetto condiviso, rispondente alle reali necessità di un territorio, magari diversificando le proposte e modalità di attuazione. Ecco per-ché un aspetto importante, a nostro parere, come avevamo evidenziato a suo tempo nell’analisi dell’ipotesi di progetto pastorale decennale, è la necessità di un’analisi concreta e profonda della realtà diocesana, te-nendo conto della variegata tipologia della nostra diocesi.Infine vi è la “questione laici”, nodo centrale che deve vedere impegnata più che mai la chiesa diocesana. È indispensabile a nostro parere una riflessione sul ruolo e la formazione dei laici che non devono sostituire i sacerdoti mancanti, ma portare un contributo specifico anche in rela-zione alla tipologia di unità pastorale. Il recupero di una specifica vocazio-ne battesimale non può che giovare alla vita della chiesa, valorizzando la

L’Unità può davvero nascere da una comunità vissuta in primis dai sacerdoti che gui-

dano le Parrocchie. Una comuni-tà non solo di intenti ma realmente sentita come è il sogno del vescovo Monari che, all’incontro del 10 no-vembre 2008, si augurava che i suoi sacerdoti potessero vivere insieme o almeno condividere i momenti della preghiera quotidiana e della men-sa, un vero e proprio “cenacolo” in cui far nascere il motivo dell’Unità.

Forse è opportuno che ciò avvenga e che ci sia un cammino forma-tivo anche per chi deve essere gui-da del popolo di laici che si mette al servizio di questo progetto con la propria identità e con uguale corre-sponsabilità.Fondamentale quindi, come primo passo, la costituzione di un orga-no moderatore, la “Commissione dell’Unità Pastorale” che sia rappre-sentativo dei Consigli pastorali delle Parrocchie che afferiscono all’Uni-

errori e FatiCheguardiamo aVanti

Raccontare l’esperienza della nostra unità pastorale, formata dalle parrocchie di Urago mella, della pendolina, della Torricella e di santo spirito: questa è la richie-sta che la redazione di ac notizie mi ha rivolto. mi sono venute immediatamente alla mente e al cuore le fatiche e le sofferenze che le comunità parrocchiali, e al-cune persone anche a livello individuale, hanno dovuto sopportare in questi anni a causa di una visione dell’Unità pastorale, credo assolutamente errata, emersa e portata avanti inizialmente.sono ormai passati alcuni anni, cinque da quando abbiamo iniziato come “eri-genda unità pastorale giovanile”, due da quando il vescovo luciano ha voluto ufficializzare l’esperienza incontrando i quattro consigli pastorali parrocchiali in seduta comune e presiedendo la celebrazione eucaristica di avvio; nel frattempo anche alcuni sacerdoti in servizio nelle nostre comunità sono cambiati, e ci tro-viamo così davanti a una “nuova partenza” dell’Unità pastorale.credo perciò sia giusto guardare avanti, senza recriminare sui problemi passati, ma nello stesso tempo senza dimenticarli, per non rinnovare gli errori già commessi. per questo ho chiesto a grazia Rinaldis, che rappresenta la nostra parrocchia del-la pendolina nella commissione che dovrà coordinare con i parroci il cammino dell’Unità pastorale, di proporci alcune riflessioni che “guardano avanti”.

Sergio Danesi

di Grazia Rinaldis

ricchezza dei carismi, sollecitan-do il protagonismo dei credenti, uno sviluppo in senso missiona-rio dell’azione della chiesa, la ca-pacità di incidere dentro il quoti-diano con valori e testimonianza cristiani, la costruzione attorno all’eucaristia e alla Parola di una comunità credente.

Il contributo dell’associazione

Riteniamo che l’AC possa porta-re un importante contributo al-

la chiesa locale. I vescovi lo hanno più volte affermato: «Va ribadito che l’Azione Cattolica non è un’aggrega-zione tra le altre ma, per la sua de-dizione stabile alla Chiesa diocesana e per la sua collocazione all’interno della parrocchia, deve essere attiva-mente promossa in ogni parrocchia. Da essa è lecito attendersi che conti-nui ad essere quella scuola di santità laicale che ha sempre garantito pre-senze qualificate di laici per il mondo e per la Chiesa» (Cei, Il volto missio-nario delle parrocchie in un mondo che cambia, 2004).

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tà Pastorale: organo che deve essere snello e ritrovarsi con scadenze pro-grammate, discretamente frequenti soprattutto nella fase di stesura del progetto, e che lavori per sottocom-missioni che possono meglio analiz-zare i bisogni delle comunità che rap-presentano. Spesso il lavoro lasciato all’iniziativa spontanea di singoli di-venta dispersivo e demotiva gli stessi operatori ma anche le comunità che attendono risposte! Sarà indispensa-bile un’analisi della storia e della

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realtà di ciascuna Parrocchia proprio per non perdere le specifiche ricchez-ze spirituali e pastorali che dovranno essere messe a disposizione delle co-munità che condividono questo cam-mino di fede e di missione. Tutto ciò senza perdere l’identità della sin-gola Parrocchia con le sue peculiari attività e esperienze di fede.È necessario quindi elaborare un pro-getto condiviso per quanto riguar-da soprattutto attività di ampio respi-ro che possano coinvolgere tutte le

comunità, come la preparazione del-le coppie al matrimonio, il cammino di iniziazione cristiana, incontri sulla morale, sulla bioetica e sull’etica del lavoro con la possibilità e le risorse per invitare personaggi e professionisti di spicco e di valore. Il metodo e quindi la formazione, ma ancora di più l’en-tusiasmo di cristiani che desiderano annunciare Cristo e testimoniare che il suo Vangelo può cambiare il mondo, faranno dell’Unità Pastorale un’espe-rienza unica ed efficace.

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Alla luce delle riflessioni fatte e de-gli inviti dei nostri Pastori riteniamo utile promuovere l’AC in ogni Unità pastorale, per sottolineare un modo di essere chiesa fortemente legato alla dimensione diocesana e sinoda-le (il modello di chiesa delineato dal Concilio Vaticano II). Come ci ha ri-cordato il Vescovo Luciano alla scorsa Assemblea: «La Chiesa è struttural-mente sinodale. Dobbiamo cogliere la caratteristica della sinodalità distin-guendola dalla concezione in qual-che modo monarchica della Chiesa, per cui uno comanda e gli altri ub-

bidiscono, ma anche dalla concezio-ne democratica per cui il risultato è il frutto di una consultazione a vo-ti di maggioranza o minoranza. …. Mi piacerebbe che i gruppi di Azione Cattolica diventassero nelle comuni-tà cristiane dei luoghi concreti dove questo stile di vita viene imparato e verificato». Questo invito ci ricorda come la specificità associativa non deve essere sacrificata, impegnando le persone dell’AC in compiti stretta-mente “pastorali” (es. operatori pa-storali), ma può e deve essere una ri-sorsa da valorizzare per far crescere

cammini anche innovativi di primo annuncio e riscoperta della fede. In questa prospettiva un membro di AC dovrebbe essere presente nei grup-pi ministeriali di Unità pastorale. Si tratta di una “scommessa” che di-venta un impegno per la stessa as-sociazione.La richiesta di essere presenti in ogni Unità pastorale è una richiesta for-te, che ci responsabilizza. Il soste-gno esplicito della chiesa bresciana potrebbe essere l’occasione per una crescita reciproca nella testimonian-za del Regno di Dio. __

ll casooltremellaÈ stata una delle prime sperimentazioni diocesanema è finita con molti problemi. Ora si ripartesperando di fare tesoro degli errori compiuti

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Fondazione BriXia Fidelis: rinnoVati i memBridel Consiglio di amministrazione

È stato rinnovato nelle scorse settimane il consiglio di amministrazione della Fondazione brixia Fidelis, l’ente preposto alla ge-stione del patrimonio dell’azione cattolica bresciana, che rimarrà in carica per il quinquennio 2010-2015. nella prima riunione del 30 novembre sono stati distribuiti anche gli incarichi per cui è già possibile mostrare la nuova configurazione dell’impor-tante organismo: dott. giovanni Falsina (presidente), rag. carlo mario agnini (tesoriere), avv. pier paolo camadini, arch. giordano gazzotti, mons. giuliano nava, avv. donata onofri, dott. paolo prandi, sig. Floriano zappettini, dott. michele busi (consiglieri); geom. lino gitti (segretario), don massimo orizio (assistente diocesano).l’azione cattolica, mentre augura a queste persone un generoso e proficuo mandato, ringrazia in modo particolare i consiglieri uscenti: dott. bruno Frugoni, geom. giovanni platto, dott. giovanni maria seccamani mazzoli e dott. Roberto zini per la dispo-nibilità e il prezioso servizio concessi all’associazione per lunghi anni, fino alla conclusione nel novembre scorso.

Momento dell'Assemblea di inizio anno il 19 settembre a Palazzo san Paolo

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Per un cammino di crescita per-sonale e di gruppoi laici che aderiscono all’ac, in-fatti, afferma lo statuto dell’as-sociazione:a) si impegnano a una formazio-ne personale e comunitaria che li aiuti a corrispondere alla uni-versale vocazione alla santità e all’apostolato nella loro specifica condizione di vita; b) collaborano alla missione della chiesa secondo il modo loro pro-prio portando la loro esperienza ed assumendo la loro responsabi-lità nella vita dell’associazione per contribuire alla elaborazione e alla esecuzione dell’azione pastorale della chiesa, con costante atten-zione alla mentalità, alle esigenze ed ai problemi delle persone, del-le famiglie e degli ambienti; c) si impegnano a testimoniare nella loro vita l’unione con cri-sto e ad informare allo spirito cri-stiano le scelte da loro compiute con propria personale respon-sabilità, nell’ambito delle realtà temporali.

Per contribuire alla missione evangelizzatricela richiesta di adesione esprime la volontà di far parte dell’ac e di partecipare alla vita dell’as-sociazione diocesana costituita nella chiesa particolare di appar-tenenza e, attraverso di essa, alla vita dell’associazione nazionale. il momento dell’adesione, che rin-noviamo ogni anno, è anche l’oc-casione per far conoscere le bel-lezza della proposta associativa su cui più volte i nostri pastori hanno insistito: «La Chiesa non può fare a meno dell’Azione Cattolica… di un gruppo di laici che, fedeli alla loro vocazione e stretti attorno ai legittimi Pastori, siano disposti a condividere, insieme con loro, la quotidiana fatica dell’evangeliz-zazione in ogni ambiente».

Per sostenere una proposta af-fascinanteper sostenere il “di più” che l’azione cattolica offre a tutti - persone, comunità parrocchiali, chiesa e territori - c’è un modo semplice: aderire! il “si” di molti è segno di condivisione di ideali alti, permette all’ac di continua-re la propria opera missionaria, educativa e a servizio del bene comune.educare al bene comune signi-fica anche educare tutti, grandi, piccoli e giovani, al valore alto e significativo di aderire ad una as-sociazione che mette al centro le persone. attraverso una piccola quota annuale diversa a secon-da dell’età, chi aderisce sostiene gli itinerari formativi annuali e la stampa associativa, permette all’associazione di essere auto-noma, di esprimere pienamente la propria laicità, promuovere la propria proposta e essere corre-sponsabile nella vita della chiesa e del paese.

l’adesione è una proposta bella, affascinante che ci fa sentire tutti corresponsabili dell’ac!

le paroledell'adesione

Villa PaCeProssimi

aPPuntamenti22-23 gennaio 2011:

esercizi spirituali ecumenici

12 febbraio 2011:bibliodramma

13 marzo:Ritiro di Quaresimaper giovani e adulti

14 marzo:inizio percorso sul concilio

Per informazioni e iscrizioni: azione cattolica brescia,

via Tosio 1, tel. 030.40102, [email protected]

(esercizi spirituali 2010)

(festa della pace 2010)

Sosteniamo “ACINotizie”!

come è noto, l’abolizione delle tariffe postali agevolate ha messo in gran-de difficoltà tutte le realtà associative no-profit, che nella stampa rivolta ai soci e ai simpatizzanti vedono un pre-zioso strumento di informazione e di autoformazione. Questo ha avuto dei riflessi anche sulla nostra rivista, che già quest’anno ha dovuto limitare le proprie uscite. stiamo pensando a co-me poter continuare ad offrire ai nostri soci questo prezioso strumento. chie-diamo ai nostri lettori di sostenere gli sforzi compiuti quest’anno per garan-tire l’uscita della rivista. grazie!

l’azione CattoliCa di BresCia

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Credo la ChiesaFede e comunità cristiana nell’Italia che cambia: 30 voci raccontano(Gianni Borsa - Diego Motta “a cura”)pp. 160, euro 9,00

Trenta voci per raccontare il cammino della Chiesa italiana. Trenta voci per testimoniare una storia che continua, ricca di tradizione e valori e da sempre patrimonio di crescita per il Paese, mai come adesso al centro di una stagione delicata e inquieta. Trenta voci autorevoli, in grado di guardare con profondità ai tesori racchiusi dentro le nostre comunità cristiane, per decifrarne limiti e possibilità. Trenta voci pronte a ridire, con fiducia, il proprio “credo la Chiesa”, un’invocazione che è una professione di fede e insieme un dono di grazia.Contiene interviste, tra gli altri, a C.M. Martini, C. Ruini, E. Bianchi, L. Caimi, G. Campanini, M. Magatti, A. Miglio, L. Accattoli, A. Superbo, A. Olivero, A. Monticone, F. Cardini, S. Zavoli, F. Miano, G. Notarstefano, F. Zabotti, C. Biondi, G. Savagnone, F. De Giorgi, D. Sigalini, V. Andreoli, M. Voce, F. Twal, G. Zanchi.

Fede, ragione e politica nella città secolare(Roberto Gatti)pp. 192, euro 8,00

Come ragione e fede debbono convivere nell’esperienza religiosa del cristiano? Come possono cooperare in quell’essenziale compito che consiste nell’incarnazione della Parola entro la vicenda storica, che è costituita non solo dai grandi eventi, ma anche dalla quotidianità, dai gesti, dalle decisioni, dalla testimonianza di ogni giorno? Come può attuarsi oggi la fatica della mediazione tra fede e storia di fronte alle questioni scottanti della crisi della democrazia, della globalizzazione, della convivenza di culture e fedi diverse? Sono questi alcuni degli interrogativi che il libro affronta, invitando alla riflessione e al confronto tra quanti sono intenzionati a ricercare una forma giusta di coabitazione.

E ci credo!Storie giovani di vita e di fede oggi(Don Vito Piccinonna, Chiara Finocchietti, Marco Iasevoli)pp.112, euro 5,00

E ci credo! racconta, in dieci storie, undici percorsi di ragazzi diversi per età, formazione scolastica, scelte di vita. Sono storie di chi ha accolto la sfida di «diventare santi insieme». Insieme, in un’armonia tutta strana che solo i giovani sanno creare, rappresentano il volto bello, ma anche problematico, dei giovani e dei giovanissimi che credono. Una presentazione del libro e un’intervista agli autori si trova sul sito web dei Giovani di Azione cattolica.

Finalmente con noi.Novena di Natale(Mons. Domenico Sigalini)pp. 64, euro 7,00

Il Natale è la festa della speranza. La speranza vera nella nascita, per noi, del Salvatore: quel bambino così piccolo, che arricchirà profondamente la nostra vita se decideremo di fargli spazio, di metterci in ascolto, di seguirlo... Se, emergendo dalla “corsa ai regali”, sapremo dedicargli - e dedicarci - un tempo di silenzio, di preghiera, di pace. Monsignor Sigalini scuote le coscienze, in questo tempo di attesa e di festa per il Natale, con un linguaggio schietto, originale, attento ai cambiamenti in atto nella società di oggi. La Sacra Famiglia e il Presepe ci aiuteranno a comprendere come e perché Gesù è - ancora e finalmente - qui con noi.


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