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ALTA UOTA · quella di matrice islamica. C’è un assioma fondamentale e imprescindibile che...

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ALTA UOTA Anno 11 Numero 51 edizione Gennaio-Febbraio 2015 Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005 Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 - 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121 www. fvgsolidale.regione.fvg.it Segreteria telefonica e fax: 0431 35233 Sito internet: www.ricre.org Direttore responsabile: Andrea Doncovio Direttore editoriale: Alessandro Morlacco Redattori: Simone Bearzot, Norman Rusin, Giuseppe Ancona, don Moris Tonso, Sandro Campisi, Vanni Veronesi, Christian Franetovich, Marco Simeon, Manuela Fraioli, Giulia Bonifacio, Marco Giovanetti, Francesco Perusin, Michela Zanier. Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Goliardica Editrice, Bagnaria Arsa SARÀ GUERRA SANTA? ISLAM E OCCIDENTE: INTEGRALISMO E INTEGRAZIONE FRA PRESENTE E FUTURO I recenti sviluppi internazionali – dall’ascesa violenta del Califfato Islamico in Medio Oriente e Africa settentrionale ino agli attentati in Francia riven- dicati da Al Qaeda – ci spingono ad avviare una rilessione su un aspetto destinato a coinvolgere tutti noi nel prossimo futuro: le reali possibilità di integra- zione tra culture diverse, in particolare tra quella occidentale di matrice cristiana e quella di matrice islamica. C’è un assioma fondamentale e imprescindibile che sorregge il nostro ragiona- mento: non ci interessa (e non sarebbe nemmeno possibile) stabilire se una cul- tura – cristiana o islamica che sia – possa essere migliore delle altre. Ci interessa comprendere una sola cosa: possono integrarsi tra loro? Il rischio, in questi ragionamenti, è di cadere nel luogo comune: i musulmani sono tutti cattivi e integralisti è un concetto che va subito e chiaramente condan- nato e rinnegato. La tragedia di Parigi è probabilmente la conferma più concreta nella sua drammaticità: un terrorista musulmano francese che uccide un poliziot- to musulmano francese ci fa comprendere come il problema sia un altro. L’integralismo. Questione marginale che riguarda pochi fanatici, dunque? Da qui, parte la seconda parte del nostro ragionamento. Immaginiamo uno sce- nario futuro per ora inesistente: i terroristi integralisti come i fratelli Kouachi o Maimouna Coulibaly – senza scomodare i tagliagole dell’Isis – che inneggiano alla jihad (la guerra santa) contro gli infedeli occidentali, aumentano di numero, di convinzione e di potere tanto da riuscire a imporre sugli altri la propria volon- tà. Come accade in molte aree di quell’immenso territorio sopra citato, che dalla Siria arriva ino in Libia (alle porte di casa nostra), passando per Iraq, Nigeria e numerosi altri Stati. È mera fantasia? BRICIOLE JUNIOR P. 10 KHALED FOUAD ALLAM p. 2 ALBERTO GUELI p. 8 ALDO DURÌ p. 5 MARIUCCI p. 8 O gli abitanti della città siriana di Kobane, iorente realtà al conine con la Turchia, cacciati dalle proprie abitazioni dai fanatici del Califfato islamico e costretti da un giorno all’altro a trasformarsi in profughi senza dimora, fra qualche decennio potremmo essere noi? La dificoltà di questo ragionamento sta nell’affrontarlo senza pregiudizi e preconcetti stereotipati: sia da un lato (i musulmani sono tutti integralisti e mirano a imporci la legge islamica), sia dall’altro (l’integralismo non esi- ste e non potrà mai attecchire nel nostro territorio, solo ipotizzare questo scenario è follia). Quasi un secolo fa, in un’Europa sconvolta dalla crisi economica del pri- mo dopoguerra, pochi fanatici presero il sopravvento perché l’opinione pubblica e la popolazione accanto a loro li lasciò fare. Il loro estremismo razzista affascinò tanti e impaurì molti di più. Offrendo carta bianca per la conquista del potere. E in soli 4 anni – grazie a una serie di condizioni sociali, economiche e militari a lui favorevoli – un ex galeotto di nome Adolf Hitler divenne Cancelliere della Germania, dando il via all’immane tragedia nazista. Decenni più tardi, una donna tedesca che sosteneva il nazismo disse: “All’epoca non capivamo niente. Eravamo follemente innamorati del Führer e delle sue idee, al punto da non renderci conto di quello che fa- cevamo”. La civiltà del XXI secolo saprà imparare dai propri errori? Oppure, in nome dell’imposizione della propria visione o, peggio, ideologia e del ri- iuto di integrazione con l’altro – sia nel mondo occidentale sia nel mondo islamico – la spirale di minacce che sta montando sulle coste mediterranee di fronte alla nostra Italia è destinata ad avvitarsi su se stessa in maniera irreversibile? In altre parole, la minaccia del Califfato islamico di portare la guerra santa nel cuore del Cristianesimo, settant’anni esatti dopo la caduta del nazismo, troverà condizioni sociali, culturali, economiche e militari per divenire realtà? ANDREA DONCOVIO 90000020306 Sostieni anche tu le nostre iniziative con un semplice gesto che non ti costa nulla! Scrivi nella apposita casella del 5×1000 il nostro codice fiscale e apponi la tua firma! la tua firma, il nostro impegno.
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ALTA UOTAAnno 11 Numero 51 edizione Gennaio-Febbraio 2015Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005

Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 - 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org

Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121

www. fvgsolidale.regione.fvg.itSegreteria telefonica e fax: 0431 35233 Sito internet: www.ricre.orgDirettore responsabile: Andrea Doncovio Direttore editoriale: Alessandro Morlacco Redattori: Simone Bearzot, Norman Rusin, Giuseppe Ancona, don Moris Tonso, Sandro Campisi, Vanni Veronesi, Christian Franetovich, Marco Simeon, Manuela Fraioli, Giulia Bonifacio, Marco Giovanetti, Francesco Perusin, Michela Zanier.Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Goliardica Editrice, Bagnaria Arsa

SARÀ GUERRA SANTA?

ISLAM E OCCIDENTE: INTEGRALISMO E INTEGRAZIONE FRA PRESENTE E FUTURO

I recenti sviluppi internazionali – dall’ascesa violenta del Califfato Islamico

in Medio Oriente e Africa settentrionale ino agli attentati in Francia riven-

dicati da Al Qaeda – ci spingono ad avviare una rilessione su un aspetto destinato a coinvolgere tutti noi nel prossimo futuro: le reali possibilità di integra-

zione tra culture diverse, in particolare tra quella occidentale di matrice cristiana e

quella di matrice islamica.

C’è un assioma fondamentale e imprescindibile che sorregge il nostro ragiona-

mento: non ci interessa (e non sarebbe nemmeno possibile) stabilire se una cul-tura – cristiana o islamica che sia – possa essere migliore delle altre. Ci interessa comprendere una sola cosa: possono integrarsi tra loro? Il rischio, in questi ragionamenti, è di cadere nel luogo comune: i musulmani sono tutti cattivi e integralisti è un concetto che va subito e chiaramente condan-

nato e rinnegato. La tragedia di Parigi è probabilmente la conferma più concreta nella sua drammaticità: un terrorista musulmano francese che uccide un poliziot-to musulmano francese ci fa comprendere come il problema sia un altro.L’integralismo. Questione marginale che riguarda pochi fanatici, dunque? Da qui, parte la seconda parte del nostro ragionamento. Immaginiamo uno sce-

nario futuro per ora inesistente: i terroristi integralisti come i fratelli Kouachi o Maimouna Coulibaly – senza scomodare i tagliagole dell’Isis – che inneggiano alla jihad (la guerra santa) contro gli infedeli occidentali, aumentano di numero, di convinzione e di potere tanto da riuscire a imporre sugli altri la propria volon-

tà. Come accade in molte aree di quell’immenso territorio sopra citato, che dalla Siria arriva ino in Libia (alle porte di casa nostra), passando per Iraq, Nigeria e numerosi altri Stati.

È mera fantasia?

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O gli abitanti della città siriana di Kobane, iorente realtà al conine con la Turchia, cacciati dalle proprie abitazioni dai fanatici del Califfato islamico e costretti da un giorno all’altro a trasformarsi in profughi senza dimora, fra qualche decennio potremmo essere noi?La dificoltà di questo ragionamento sta nell’affrontarlo senza pregiudizi e preconcetti stereotipati: sia da un lato (i musulmani sono tutti integralisti e mirano a imporci la legge islamica), sia dall’altro (l’integralismo non esi-ste e non potrà mai attecchire nel nostro territorio, solo ipotizzare questo scenario è follia).Quasi un secolo fa, in un’Europa sconvolta dalla crisi economica del pri-

mo dopoguerra, pochi fanatici presero il sopravvento perché l’opinione pubblica e la popolazione accanto a loro li lasciò fare. Il loro estremismo razzista affascinò tanti e impaurì molti di più. Offrendo carta bianca per la conquista del potere. E in soli 4 anni – grazie a una serie di condizioni sociali, economiche e militari a lui favorevoli – un ex galeotto di nome Adolf Hitler divenne Cancelliere della Germania, dando il via all’immane

tragedia nazista. Decenni più tardi, una donna tedesca che sosteneva il nazismo disse: “All’epoca non capivamo niente. Eravamo follemente innamorati del

Führer e delle sue idee, al punto da non renderci conto di quello che fa-

cevamo”.

La civiltà del XXI secolo saprà imparare dai propri errori? Oppure, in nome dell’imposizione della propria visione o, peggio, ideologia e del ri-iuto di integrazione con l’altro – sia nel mondo occidentale sia nel mondo islamico – la spirale di minacce che sta montando sulle coste mediterranee di fronte alla nostra Italia è destinata ad avvitarsi su se stessa in maniera

irreversibile?In altre parole, la minaccia del Califfato islamico di portare la guerra santa nel cuore del Cristianesimo, settant’anni esatti dopo la caduta del nazismo,

troverà condizioni sociali, culturali, economiche e militari per divenire realtà?

ANDREA DONCOVIO

90000020306

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àIL PUNTO SU

LE PRIME ORGANIZZAZIONIEscludendo presenze antiche che hanno lasciato evidenti tracce in Sicilia e in altre regioni dell’Italia meridionale, l’I-slam sunnita è stato una realtà modesta sino alla ine degli anni sessanta del secolo scorso.

Solo nel 1971, grazie a gruppi di studenti principalmente siriani, palestinesi e giordani, si arriva alla fondazione del-la Unione degli Studenti Musulmani d’Italia – USMI, che riesce ad ottenere le concessioni per l’apertura di luoghi di preghiera. Con l’arrivo nei decenni successivi di un sempre maggior numero di musulmani, si è sentito il bisogno da par-te delle varie comunità islamiche di una effettiva rappresen-

tanza a livello nazionale.

Qui la situazione si complica, perché si fanno strada varie correnti ideologiche provenienti dal Medio Oriente. Da una parte ci sono infatti musulmani ilo-occidentali che, con l’ap-

poggio dell’Egitto e del Marocco (rappresentati in Italia dal CO.RE.IS), vogliono perseguire una logica di un Islam degli stati che segue i propri fedeli/cittadini all’estero; dall’altra vi è l’Islam delle moschee, ovvero una serie di movimenti che si rifanno a organizzazioni ilo-fondamentaliste per il con-

trollo dei fedeli emigrati in paesi occidentali.Ci sono stati numerosi tentativi per risolvere le divergenze e trovare un’intesa; l’ultimo risale al 21 marzo 2012 con la fondazione della confederazione islamica d’Italia, un organi-smo sostenuto dal governo marocchino che ha però escluso l’UCOII, organismo legato ai Fratelli Mussulmani.

PICCOLO GLOSSARIO SULL’ISLAM

• Sunniti: sono i fedeli musulmani che seguono la corrente del sunnismo all’interno dell’Islam, differenziandosi dalla

corrente sciita. I sunniti sostengono che la guida spiritua-

le non deve per forza essere un discendente di Maomet-

to. Quella sunnita è la maggioranza all’interno dell’Islam: sono infatti il 90% dei musulmani.

• CO.RE.IS: nel 1993 nasce a Milano l’Associazione Inter-nazionale per l’Informazione sull’Islam (AIII) per opera di alcuni musulmani italiani di impronta intellettuale. Nel 1997 l’AIII si trasforma in un ente religioso per salvaguar-dare le esigenze religiose dei musulmani con un nuovo sta-

tuto e un nuovo nome: Comunità Religiosa Islamica.

• Organizzazioni saudite: movimenti che hanno origine ap-

punto in Arabia Saudita, il più grande stato arabo dell’Asia Orientale. La religione di stato è l’Islam e non vi è libertà di culto: da qui, non a caso, sono partiti numerosi movimenti di origine fondamentalista.

• Fratelli Mussulmani: movimento neo tradizionalista che dichiara di riiutare l’uso della violenza, ma molti analisti sostengono che questa sia solo una dichiarazione di faccia-

ta. All’idea di una islamizzazione della società preferisco-

no la creazione di spazi islamizzati nella società.

• UCOII: nasce sulla scia dell’USMI nel 1990 e fa parte di quel ‘Islam delle moschee’ che, con il massiccio arrivo di

immigrati, non si sente più rappresentato da un gruppo stu-

dentesco. Questo movimento prevede la creazione di spazi

islamizzati ‘puri’ per impedire l’occidentalizzazione dei

singoli fedeli.

Un po’ di numeriL’Islam è la seconda religione per numero di fedeli dopo il Cristianesimo in Italia con l’1,9% della popolazione. Secon-

do le stime del dossier statistico del 2012 a cura della Cari-tas/Migrantes, il numero di musulmani quasi esclusivamente sunniti si aggira intorno a 1.650.000. I principali paesi di provenienza sono il Marocco, la Tunisia, l’Egitto, il Senegal, il Bangladesh e il Pakistan.

I LUOGHI DI CULTOIn un censimento realizzato da Maria Bombardieri ed Enzo Pace si contano 749 luoghi di culto, indicando la Lombardia (123), il Veneto (110) e l’Emilia Romagna (104) come le re-

gioni maggiormente rappresentate. A questi luoghi di culto non va però attribuito l’appellativo di moschee; afinché si possa parlare di moschea, infatti, si richiede la presenza di tutta una serie di spazi rituali e organizzativi e in particolare di un minareto. Le moschee propriamente dette sono presenti a Roma, Segrate (MI), Catania e Palermo, più altre 5 di re-

cente realizzazione.

FRANCESCO PERUSINFonte: www.cesnur.it

L’ISLAM IN ITALIA

È la seconda volta che intervisto KHALED FOUAD AL-LAM, algerino classe 1955, una delle massime autorità in tema di rapporti fra Islam e Occidente: la sua produzione scientiica, da docente universitario di Sociologia del mondo musulmano e Storia e Istituzioni dei paesi islamici, è fra le più importanti in materia, mentre la sua attività di divul-gatore è sempre accompagnata da un meritato successo di pubblico e critica.

–Siamo in guerra, professore?«Sì, è evidente».

–Che tipo di conflitto è quello dichiarato dal fondamentalismo islamico?«Senza un fronte e per questo è dificile combatterlo: c’è una destabilizzazione globale che può colpire ovunque, anche da noi in Italia. Accanto a questo c’è l’ISIS, che invece si con-

igura come un vero e proprio stato, con tanto di esercito e conini sempre più spostati in avanti».

–Il Medio Oriente come l’abbiamo conosciuto finora è morto?«L’Occidente è ancora fermo ai conini tracciati nel 1945, ma quel mondo è inito. Ne sanno qualcosa i Curdi, che com-

battono contro l’ISIS mentre il resto del mondo non sa come muoversi».

–Lasciando da parte gli aspetti militari, come si può fronteg-giare questo processo?«Dopo la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, l’U-

nione Europea ha dimostrato che la cultura è un collante: popoli che per secoli si sono ammazzati reciprocamente oggi siedono allo stesso tavolo, non solo in virtù di interessi co-

muni. Tuttavia Italia, Spagna, Grecia e tutti gli stati balca-

nici hanno una storia di relazioni strettissime anche con il mondo arabo musulmano: per questo credo ci sia bisogno di un Consiglio dei Paesi euro-mediterranei. Ma ora non siamo nemmeno alle premesse…»

–La sua ultima fatica editoriale ha un titolo emblematico: Il jihadista della porta accanto. Siamo sul pezzo, direi.«Fin troppo. Il libro è uscito verso la ine del 2014 ed è anda-

to esaurito in poche settimane: mentre stavo lavorando alla seconda edizione, a Parigi è avvenuto il terribile attentato alla redazione di Charlie Hebdo. Ho dovuto aggiornare il vo-

lume in tempo reale, un attimo prima di andare in stampa». –Chi è il jihadista della porta accanto?

«Può essere un musulmano qualunque, magari di scarso li-vello culturale, che entra nel giro di qualche cattivo maestro dal quale rimane soggiogato: “esercitare il massimo sfor-zo”, che poi è il signiicato primario di jihad, diventa così uno strumento di riscatto sociale. Penso a Khaled Kelkal, il franco-algerino giustiziato dai gendarmi francesi nel 1995, considerato il primo attentatore islamico in Europa. La sua formazione ideologica, per così dire, è avvenuta in carcere, dov’era inito per casi di microcriminalità comune: è lì, a contatto con un guru del radicalismo, che è avvenuta la sua re-islamizzazione. Ma il jihadista della porta accanto può an-

che essere il giovane ben integrato, con una buona posizione lavorativa, che viene sedotto dal fascino dell’eversione so-

prattutto grazie a un certo tipo di messaggi, video, articoli e appelli via internet: da questo punto di vista, la strategia di reclutamento nel web dell’ISIS è eccezionale».

–Per quale motivo?«Perché punta tutto sulla solitudine del potenziale terrorista, il vero dramma che accomuna le due igure diversissime di musulmano appena menzionate».

–Di cosa si nutre questa solitudine?«Almeno in Occidente della mancanza di una autorità che lo rappresenti. L’Islam, fuori dai luoghi in cui è maggioranza assoluta, non ha alcun riconoscimento: non ha uomini nei posti chiave, esempi positivi a cui fare riferimento, buoni maestri con storie di successo. La colpa è solo in parte dei musulmani stessi: da più di vent’anni la televisione descri-ve l’Islam solo nei termini della barbarie, del sangue e delle bombe, ma è come se il Cristianesimo fosse raccontato uni-camente attraverso le Crociate. Dov’è l’arte? E la cultura? Nella civiltà musulmana sono tutt’altro che assenti, eppure chi le conosce? La discriminazione, per chi la subisce, com-

porta prima disagio e poi risentimento. L’ISIS tocca questi nervi scoperti e offre l’investitura di una missione divina a

persone che, altrimenti, non avrebbero alcun ruolo nella so-

cietà in cui vivono, a malapena sopportati: un vero e proprio innalzamento di livello, impensabile nelle banlieue. E poi

c’è il fascino sempreverde del califfato, istituzione che si riallaccia direttamente alla morte di Maometto: un’idea di grande richiamo».

–Lei insiste sulla solitudine del potenziale terrorista, ma allo stesso tempo dissente con il magistrato Armando Spataro, che ha parlato di ‘cani sciolti’: perché rifiuta questa definizione?«Perché sottovaluta il potere della testimonianza altrui: il consenso elettronico si crea con i video e gli scritti di chi ha deciso di lasciare tutto e combattere in nome di Allah, con l’oratoria dei predicatori integralisti, con le immagini della violenza esibita per dimostrare coraggio e fedeltà alla propria missione. Basta un racconto, una parola per sentirsi

afiliati all’ISIS ed ecco il perché dei documenti strappati nei video dei nuovi adepti circolati in rete: signiica che io non sono più francese, tedesco, inglese, anche se la mia famiglia si trova qui da due generazioni, ma sono cittadino del calif-fato in quanto musulmano, indipendentemente da dove vivo.

De Sausurre diceva che la lingua forma la coscienza: aveva ragione».

–L’Islam moderato esiste e lei ne è la prova vivente, ma l’im-pressione è che sia difficile avere molti interlocutori: è davvero così?«Come dicevo, mancano esempi positivi nei ruoli chiave: chi combatte per la democrazia, la libertà e la paciica conviven-

za dall’interno del mondo islamico non viene riconosciuto

e viene posto l’accento solo su chi non vive il Corano nella modernità e continua a leggerlo in maniera medievale. D’al-tro canto, dopo la caduta del Muro di Berlino si è assistito

senz’altro a una radicalizzazione delle coscienze: le ideolo-

gie sono state sostituite dal recupero delle matrici religiose, strumentalizzate per la lotta politica. E bisogna essere onesti nel dire che la cosiddetta integrazione funziona poco e male: maggioranza e minoranza vivono separati in casa, non co-

municano e non si conoscono». –La politica minimizza i pericoli oppure li ingigantisce: perché

non si riesce ad affrontare i problemi con razionalità?«Purtroppo non si dà più retta agli esperti: una delle tristi eredità del Novecento è la frattura fra politica e cultura. Più volte, ad esempio, ho proposto di istituire un album degli imam, con una documentazione completa, ma non se ne è

fatto nulla. Allo stesso modo sarebbe importante creare dei centri di formazione per gli imam stessi, pensati in un’ottica europea e ‘moderna’, ma pure in questo caso le idee riman-

gono sulla carta». –La riposta al fondamentalismo è ancora una volta nella cul-

tura?«Sì, è questo vale in entrambe le direzioni. Non si parla mai degli apporti culturali del mondo arabo: manca, ad esempio, una vera e propria storia della ilosoia comprendente anche Avicenna, Averroè, i grandi matematici musulmani e i dotti della scuola di Toledo, eppure l’Europa non sarebbe quella che è senza questi contributi straordinari. La xenofobia si nutre di ignoranza, così come il fondamentalismo: la cultura non è solo trasmissione del sapere, ma anche ciò che ti serve per coprire la tua nudità. E i giovani adepti del califfato sono nudi di fronte alla vita».

VANNI VERONESI

«VI RACCONTO I JIHADISTI DELLA PORTA ACCANTO»

IL PUNTO SU

Dall’ottobre 2013 i musulmani della Bassa Friulana hanno un punto di riferimento nell’associazione El Firdaous, a Ter-zo d’Aquileia. ABDELJALIL TOURIDI, 40 anni, è il respon-sabile di questo gruppo. Marocchino di Casablanca, ma in Italia da 12 anni, Abdeljalil lavora come operaio.

–Che cosa vuol dire ‘el Firdauos’, e quali sono i principi cui si ispira il vostro gruppo?«La nostra associazione prende il nome da una delle porte del Paradiso nel quale noi musulmani crediamo. Ci sono di-verse porte, nel Paradiso islamico: ‘el Firdaous’ è quella da cui possono entrare le persone che rispettano le regole del digiuno. Siamo aperti a tutti i credenti, e ci ritroviamo prin-

cipalmente per la preghiera del venerdì». –Le vostre riunioni sono seguite da imam o vi incontrate solo

tra ‘laici’? Ci sono degli imam in Friuli?«Al momento il nostro gruppo non ha una guida spirituale issa, siamo un gruppo di preghiera che si ritrova per per-seguire scopi comuni. Solo alcuni gruppi islamici in regio-

ne, ad esempio quelli di Monfalcone o di Udine, hanno un imam. Altri gruppi, anche numerosi come quello di Trieste, ne sono sprovvisti».

–Quali sono, allora, i vostri riferimenti religiosi e culturali?«Ovviamente, il nostro primo e fondamentale riferimento è

il Corano. In secondo luogo, ci sono i discorsi del Profeta, i cosiddetti ‘versetti’, che costituiscono un’importante fon-

te di ispirazione. Inine, i cosidetti ‘califi’ (Alì, al-Khattab, Abu-Bakr e al-Jarrah), che sono succeduti a Maometto, han-

no lasciato degli insegnamenti da seguire. Il nostro rapporto con i testi sacri è diretto: se ho un dubbio vado a consultare direttamente il Corano o i versetti, senza bisogno di un in-

termediario. Il ruolo dell’imam è quello di guida della sua comunità, riproponendo il messaggio di Maometto. Certo, esistono imam più ‘forti’, che ispirano gruppi più ampi di fedeli, ma si tratta sempre di persone che devono interpretare il messaggio che viene dal Profeta».

–Secondo te, può essere che l’Islam eserciti un certo fascino sugli italiani? Siete una religione forte in un contesto di pen-sieri deboli…

«È possibile, sì, anche se personalmente non ho avuto con-

tatti con italiani convertiti all’Islam. All’inzio, alcune riunio-

ni del nostro gruppo hanno visto la partecipazione di qualche italiano, probabilmente incuriosito dalla novità. Per antici-pare una domanda che non mi hai ancora fatto, ti dico: tra i nostri scopi non c’è quello di fare proseliti. Certo, l’idea di

portare ad altre persone gli insegnamenti del Profeta è ben presente nella nostra religione. Il nostro, però, è principal-mente un gruppo di fedeli che si ritrovano per pregare assie-

me; quasi tutti abbiamo impegni di lavoro e famiglia che non ci lasciano molto spazio libero per altre cose».

–A proposito di famiglia, alle vostre riunioni sono ammesse anche le donne? «Si, certo che possono partecipare anche le donne! L’orga-

nizzazione classica delle moschee prevede una zona riserva-

ta agli uomini e un’area distinta in cui stanno le donne. Pensa

«IL TERRORISMO? FA MALE SOPRATTUTTO AI MUSULMANI»che la situazione è così anche in paesi islamici considerati più ‘estremisti’. La nostra struttura cerca di ricalcare questo modello: abbiamo un soppalco per ospitare le donne, men-

tre il gruppo degli uomini sta al piano inferiore». –Nelle tua esperienza personale, ci sono stati problemi di

integrazione con gl’Italiani?«Per quanto mi riguarda, posso rispondere di no. Io sono qui per lavorare e stare con la mia famiglia, non per cercare problemi con gli italiani. Lavoro assieme ad italiani e stra-

nieri di altre nazionalità e culture, senza che ciò costituisca un ostacolo. Il nostro gruppo ha avuto persino delle mani-festazioni di generosità da parte dei residenti: qualcuno ci ha regalato delle sedie o altri suppellettili di cui eravamo sprovvisti. A dire il vero, c’è stato anche qualche piccolo episodio di ostilità, o meglio di fastidio. Durante il mese di Ramadan la preghiera si protrae ino a tardi, e qualcuno si è lamentato per il rumore».

–Veniamo alla domanda più spinosa: che ne pensate del con-cetto di Jihad?«Noi siamo contrari a tutte le manifestazione di criminalità e di terrorismo. Come ti ho già detto, viviamo la nostra fede come un fatto individuale, o al limite di gruppo. Non abbia-

mo né il tempo né l’intenzione di imporre il nostro messag-

gio, tanto meno con metodi violenti. Per questo abbiamo condannato e condanneremo episodi come quelli che si sono recentemente veriicati a Parigi. A dire il vero, non mi sento particolarmente preso in causa da questo problema: ci sono criminali tra gli islamici come tra i non islamici, e non sono diversi. Tieni conto, comunque, di un aspetto

fondamentale: in tutto il mondo, dove ci sono terrorismo e fondamentalismo i primi a farne le spese sono gli stessi musulmani, molto più di cristiani e occidentali».

–Credi che qui da noi sia possibile una convivenza pacifica, o siamo a rischio?«Non credo che nella nostra regione ci siano particolari rischi o problemi legati alla convivenza tra musulmani e italiani. Ma, come ti ho detto, i criminali sono dappertutto, quindi…»

ALESSANDRO MORLACCO

HABIB frequenta il primo anno di scienze dell’architettura all’università di Udine, città in cui vive assieme ai suoi ge-nitori e a tre fratelli. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata riguardo la sua fede e cultura, ecco quello che, tra un caffè e una cioccolata calda, è emerso.

–Che ne dici di cominciare parlando un po’ di te e della tua particolare storia?«Sono nato a Dakar, capitale del Senegal, il 18 dicembre del 1995. A quanto dicono i miei genitori là non si stava male; non c’erano tutte le comodità che abbiamo qui, ma c’erano lavoro e serenità. Poi è cambiato tutto molto velocemente e quando sono nato i miei genitori sono dovuti andare a lavo-

rare all’estero, in Giappone per la precisione, perché da noi la situazione economica stava diventando insostenibile. Mi lasciarono con i miei parenti, ma in Senegal non vi è una così forte unità familiare, per cui diciamo che non ero tenuto molto in considerazione dai miei parenti... [Mi mostra delle cicatrici, ndr] Per questo motivo i miei genitori sono tornati e mi hanno portato con loro, questa volta in Italia; avevo tre anni».

–Vorresti tornare mai in Senegal nel corso della tua vita? An-che solo per un breve periodo?«No, non credo ci tornerò mai: le persone là hanno una men-

talità troppo arretrata. Ho passato gran parte della mia vita qui in Italia, quindi anche se sono musulmano e ho radici familiari senegalesi mi sento europeo, mi sento italiano, ben-

ché mio padre spesso mi ricordi che non lo sono, ma non concordo minimamente con lui».[Breve silenzio, poi continua]«Sai, mio padre è abbastanza rigido per queste cose, nel sen-

so che ha una mentalità un po’ chiusa; è come se parte di lui fosse rimasta in Senegal, per cui io non sono così libero di uscire con gli amici, di avere una ragazza, perché ino a quando sarò mantenuto da lui dovrò attenermi alle sue re-

gole». –Per esempio professare la fede islamica?

«No, vedi, io credo in Dio ma non abbraccio tutto ciò che la religione o meglio i sacerdoti dicono e fanno. Ci sono regole che io non posso ne potrò mai accettare e tanto meno seguire, perché le trovo talmente stupide da non capire come certe persone facciano a seguirle».

–Ci sono quindi delle regole e usanze nell’Islam con le quali fai fatica a relazionarti?«Sì, proprio così, la questione delle donne è probabilmente la principale. Mia madre ha una certa indipendenza e apertura

verso il mondo, ma non tutte si trovano in queste condizioni; spesso e volentieri sono succubi se non addirittura schiave, perché è l’uomo che domina nella cultura musulmana. Allo stesso modo questo si rilette sulla religione: come l’uomo è migliore e quindi ha diritto di potere sulla donna, così la fede mussulmana è migliore delle altre, sentenza assolutamente incatenata a tradizioni e credenze sciocche che non riesco a comprendere».

–Da quello che mi dici e da quel poco che conosco riguardo l’I-slam mi sembra di riscontrare una grande differenza culturale: pensi che la nostra cultura occidentale sia incompatibile con quella mussulmana o che vi sia un vuoto colmabile attraverso il dialogo e la comprensione reciproca?«È una domanda dificile, ma credo che l’integrazione sia possibile nel momento in cui cambia qualcosa all’interno delle coscienze dei fedeli musulmani; è senz’altro un proces-

so che richiede molto tempo e temo parecchie vite umane. Se invece non si muove niente all’interno dell’Islam e si appli-

cano rigidamente tutti i suoi precetti e regole, le due culture sono profondamente incompatibili. Per esempio la semplice concezione delle istituzioni è diversa: voglio dire che lo stato nell’Islam è inscindibile dalla religione, è proprio un dettame del Corano. Per cui se uno nasce in un territorio musulmano è costretto a professare tale religione e questo è di per sé un qualcosa di sconvolgente; il concetto di libertà è profonda-

mente diverso». –Come vorresti che cambiasse l’Islam? Propendi per una sorta

di ‘occidentalizzazione’ della religione?«Ormai con il fenomeno della globalizzazione e l’avvento dell’era informatica, come si sa, le notizie e le idee viaggia-

no molto più veloci e raggiungono praticamente ogni luogo sulla terra. Questo fenomeno spaventa i paesi musulmani

perché lo vedono come una sorta di corruzione delle tradi-zioni e della religione, per cui tendono a chiudersi e isolarsi credendo di conservare una qualche purezza. Vorrei quindi una apertura verso il mondo per mostrare un altro lato della

mia fede, che è fondata come altre religioni sull’amore, sul rispetto, sulla solidarietà e sulla pace».

–Il fatto che tu veda e intenda così queste problematiche de-riva dal fatto che sei cresciuto in Occidente oppure pensi che anche in uno stato islamico possa avere origine una coscienza di fede e di vita simile alla tua?«Senz’altro il fatto di essere cresciuto qui mi ha fatto apprez-

zare molte cose che spesso si danno per scontate ma non lo sono affatto, per esempio la libertà di parola, di pensiero e di fede. Credo che con le nuove generazioni, soprattutto in

Europa, si andrà verso la strada della ragione e della convi-venza, probabilmente, anzi, sicuramente grazie all’istruzio-

ne che si riceve nel ciclo di studi; è spesso l’ignoranza che porta a comportamenti folli e disumani. Nei paesi mussul-mani qualcosa comincia a muoversi, nel senso che vi sono delle avvisaglie di persone che si ribellano alle millenarie tradizioni, soprattutto donne. Questo mi fa ben sperare, per-ché il cambiamento deve partire dal nucleo, deve partire da là la vera riscoperta dell’Islam».

–Concludiamo con una domanda difficile: in un futuro non cosi lontano, in cui nel nostro Paese ci potrebbe essere metà popolazione di cultura occidentale e l’altra metà musulmana, ci potrà essere una pacifica convivenza o si arriverà ad una ‘guerra santa’?«Di questo passo, dati alla mano, a mio avviso il conlitto è inevitabile, che sia ideologico o militare, però la speranza è l’ultima a morire. Se da una parte ci sono un gran numero, ahimè, di musulmani che aderiscono ai messaggi di guerra e di terrore, dall’altra ci sono anche persone rispettose del prossimo e paciiche che interpretano, secondo me, corretta-

mente il vero e profondo messaggio del Corano».FRANCESCO PERUSIN

«L’INTEGRAZIONE? RICHIEDE TEMPO E, TEMO, PARECCHIE VITE UMANE»

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àIL PUNTO SU

EMILIO LENARDUZZI, 26enne di Terzo, vive e lavora da ormai tre anni a Muscat, nel Sultanato dell’Oman (Sud-est della penisola arabica). Lì opera come agente commerciale della Porte Italia Interiors, ditta friulana che si occupa di arredamento.

–Da occidentale e cristiano, il tuo approccio culturale è stato difficile in un paese musulmano? Come sei stato accolto?«L’approccio culturale non è stato dificile come temevo. L’Oman si è rivelato un paese con regole chiare, ma estre-

mamente paciico e accogliente. Vivendoci per lavoro, le principali dificoltà si sono manifestate relativamente alle abitudini quotidiane (l’alimentazione, gli orari e il clima). Per quanto riguarda le differenze culturali ho scoperto un paese orgoglioso delle sue tradizioni, ma non per questo ag-

gressivo nei confronti di chi proviene da culture diverse». –In cosa hai visto le maggiori difficoltà di dialogo a livello cul-

turale?«A livello generale c’è una diversa concezione del tempo. Vivono la quotidianità in modo molto più rilassato e per questo motivo è dificile imporre delle scadenze, fondamen-

tali per come siamo abituati a lavorare noi. L’Oman però sta crescendo molto velocemente e i giovani omaniti, che rappresentano la grande maggioranza della popolazione (ol-tre il 40% della popolazione omanita ha meno di 20 anni), tendenzialmente parlano tutti inglese e hanno viaggiato in Europa. Questo permette loro di essere molto più vicini alla nostra cultura».

–Nella tua esperienza hai avuto la sensazione che l’Islam sia una religione “violenta” o comunque tendente a diffondere ostilità verso i credenti di altre religioni?«Personalmente no, non posso dire di aver vissuto esperien-

ze simili. Basti pensare che nel Sultanato sono presenti due Chiese cattoliche. Ovviamente non posso paragonare realtà

come l’Oman o gli Emirati Arabi Uniti ad altre nazioni del Medio Oriente dove per diversi motivi (storici e non) sono presenti regimi conservatori ed estremisti, e quindi tenden-

zialmente ostili nei confronti del mondo occidentale». –Nel paese che hai conosciuto, l’Oman, la religione islamica

occupa un posto importante nell’ordinamento giuridico e so-ciale dello Stato?«Decisamente sì. La religione islamica regola la vita quoti-diana dei cittadini musulmani, e in secondo piano quella dei

cittadini stranieri che risiedono nel Sultanato (i quali hanno diritti e doveri diversi dai semplici turisti). Ad esempio il weekend è di venerdì e sabato. Durante il Ramadan tutte le attività lavorative seguono un orario ridotto. Ai musulmani non è permesso l’acquisto e il consumo di alcolici e possono

acquistare solamente carne “Halal” (preparata seguendo le regole islamiche). Per le persone appartenenti ad altre reli-gioni, è possibile consumare alcolici all’interno di alberghi provvisti di licenza, o acquistarli solamente in speciali nego-

zi dove è richiesto un permesso rilasciato dalla polizia locale. Per la carne suina ci sono particolari aree all’interno di ogni supermercato dove possono accedere i “non musulmani”».

–Come sono stati percepiti in Oman i recenti fatti di Parigi e l’ostilità verso i musulmani in generale che si è sviluppata per reazione in Europa?«La stampa locale ha riservato una grande risonanza nei con-

fronti dei fatti di Parigi, sviluppando un sentimento di distac-

co critico nei confronti di quelli che secondo loro “non sono veri musulmani”. Sono consapevoli dell’ostilità che si sta sviluppando nel mondo occidentale e spaventati dalle con-

seguenze che può portare una pericolosa generalizzazione». –Pensi che Islam e Cristianesimo possano integrarsi pacifica-

mente? Se sì, come?«Credo di sì. Il problema principale è rappresentato da qual-siasi forma di estremizzazione. L’Oman è un buon esempio

di come un paese musulmano abbia seguito una politica di totale neutralità e tolleranza accogliendo persone da ogni parte del mondo senza per questo perdere la propria identità di paese islamico. Non a caso l’ultimo incontro tra il segre-

tario di stato americano John Kerry e il segretario di stato iraniano Mohamad Javad Zarif (due paesi storicamente in conlitto) è avvenuto proprio a Muscat, in Oman. Paese sim-

bolo di sicurezza e totale neutralità».MARCO SIMEON

«LA MIA VITA IN OMAN»

L’intento di questo articolo è quello di dare voce a DUE DONNE MUSULMANE, che scelgono di restare anonime per poter raccontare la storia di molte donne tramite le loro personali vicende.

–Iniziamo dal principio: quando siete arrivate in Italia? E per-ché voi e le vostre famiglie avete preso questa decisione?«Il motivo che ci spinge a farlo è lo stesso che muove ogni famiglia, credo: offrire ai propri igli il meglio, aprire loro più porte possibili per un futuro felice. Per questo motivo io e la mia amica siamo arrivate in Italia, io nel 2007 per rag-

giungere mio marito che già da molti anni abita e lavora qui, mentre lei nel 2003 con due igli piccoli al seguito».

–Com’è stato venire qui e integrarsi con una cultura diversa dalla vostra?«Lasciare il Marocco è stata una decisione dificile e l’arri-vo in Italia non l’ha reso più facile; agli iniziali problemi di comunicazione si è aggiunto il senso di spaesamento: non conoscevamo nessuno, non eravamo più circondati dai no-

stri amici e famigliari, non conoscevamo le abitudini e le consuetudini della nostra nuova casa. Ci mancava fare parte

di una qualche grande famiglia. Con il tempo però le cose sono migliorate: inizi ad uscire, vai a fare la spesa, una pas-

seggiata, a bere un caffè, piano piano capisci qualche parola, incontri delle persone, all’inizio magari difidenti ma che poi con un sorriso ti incoraggiano a continuare su questa stra-

da, creando una grande famiglia fatta di nuove persone, di nuovi amici e all’improvviso inizi a sentirti per davvero a

casa, perché dopo tanti anni, portando sempre il Marocco nel cuore, ti senti anche un po’ italiano».

–Quanto ha contribuito a questo processo il fatto di crescere dei figli nel nostro Paese?«Ha aiutato molto. La mia amica che è arrivata in Friuli già con due igli si è dovuta preoccupare di scegliere una scuola materna ed elementare per loro, preoccupazioni importanti

per una mamma, quindi ambientarsi era necessario. Io inve-

ce ho affrontato queste preoccupazioni qualche anno dopo il mio arrivo in Italia: scegliere la scuola per i miei bambini mi ha permesso di conoscere di più la mia comunità e proprio grazie ai miei igli ho imparato a conoscere di più anche l’I-talia e la sua cultura. Loro per me infatti sono italiani: sono stati in Marocco, ma sono nati e cresciuti qui, a casa, quindi

è un continuo imparare, io da loro a essere italiana e loro da

me e mio marito che ci impegniamo costantemente per farli conoscere la lingua araba, la storia delle nostre origini e le nostre tradizioni».

–Essere musulmani in Italia è difficile?«In parte sì e in parte no. La nostra fede prevede che ci siano cinque momenti al giorno da dedicare alla preghiera, il Ra-

madan, il venerdì come giorno di festa anziché la domenica e molto altro ancora. Per i ritmi di vita italiani non è facile poter festeggiare il venerdì come eravamo abituati in Ma-

rocco, pregando e preparando piatti tipici come il cous cous. Lo stesso vale per la īd al-aḍḥā o ‘festa grande’, durante la quale bisogna uccidere un agnello: questa pratica è resa dificile dalla burocrazia e dalle leggi italiane quindi alcuni credenti rinunciano al rito originale, ricorrendo al macellaio

e facendo una più semplice grigliata. Quindi in un certo sen-

so non è facile portare avanti le nostre tradizioni e cerimonie,

ma la nostra fede è qualcosa che ognuno porta dentro di sé, è questa la cosa davvero importante: ad esempio non serve necessariamente una moschea per pregare, lo si può fare per-sonalmente. La moschea tuttavia rimane sempre un luogo importante in cui condividere la bellezza della preghiera».

–Cosa vuol dire essere una donna islamica? È corretta l’idea che abbiamo di essa secondo te?«Credo che ci siano molti pregiudizi a riguardo, o meglio, forse l’immagine corrisponde alla donna islamica di genera-

zioni fa, come la donna italiana che ino ad una cinquantina di anni fa metteva le gonne lunghe per non mostrare le gam-

be e il fazzoletto in testa per coprirsi. I tempi sono cambiati anche per noi; la donna come ogni altra persona frequenta la scuola, può andare all’università, lavorare e crearsi una carriera. Nel Corano non viene vietato nulla di tutto ciò: si parla della donna come di colei che si deve prendere cura della casa e viene paragonata ad un iore, ognuna diversa, con la propria personalità, e come tale va protetta.

–E a proposito del velo?«Siamo tenute a celare certe parti del corpo, quali i capel-

li, con l’usuale velo, il busto e i piedi, parti che secondo la nostra cultura sono le più belle in una donna. Il Corano ci

invita a fare questo perché le donne sono bellezza e dunque anche tentazione per l’uomo: è quindi un modo per rispettare il nostro corpo. Come in ogni cultura esistono poi diverse varianti. Anche in Marocco, come in Italia, le realtà variano da regione a regione, da città a città: ci sono pertanto luoghi più conservatori e altri che vivono diversamente gli insegna-

menti del Corano». –In definitiva, credi che la convivenza delle nostre culture sia

possibile?«Certamente! La nostra esperienza di vita qui in Italia mi ha permesso di incontrare persone cordiali e gentili che sono state capaci di andare oltre le differenze che ci avrebbero potuto allontanare notando ciò che invece ci poteva unire. La difidenza che ho trovato nelle persone è la stessa che nasce dal governo e dalle istituzioni, che ancora oggi non hanno trovato un modo per rendere facile l’integrazione delle di-verse realtà».

MICHELA ZANIER

«I TEMPI SONO CAMBIATI ANCHE PER NOI»

CROSSROADS

ISLAM E OCCIDENTE: UNA SERATA PER RIFLETTERE

Questo tema di Alta Quota sarà approfondito da un nuovo appuntamento di Crossroads

(Incontri a tema per scoprire il mondo) che il Ricreatorio San Michele organizzerà

in primavera.

I dettagli saranno resi noti nelle prossime settimane sul sito www.ricre.org.

IL PUNTO SU

ALDO DURÌ, classe 1952. Laureato in lettere moderne a in-dirizzo storico presso l’Università degli Studi di Trieste, ha insegnato italiano, storia, educazione civica e geograia nel-le Scuole medie inferiori della provincia di Udine prima di svolgere l’incarico di dirigenza presso il Circolo Didattico di Aquileia. Attualmente dirige l’I.S.I.S Malignani di Cervi-gnano del Friuli.

–Quanti ragazzi di fede musulmana sono presenti all’interno dell’Istituto che dirige?«Premesso che non ci è dato accertare in alcun modo la confessione religiosa praticata dagli studenti iscritti all’ISIS della Bassa Friulana, essendo la scuola italiana laica e indif-ferente alle fedi e ideologie degli utenti, dall’incrocio di una serie di dati ci è possibile induttivamente stabilire che circa una trentina di alunni, provenienti in maggior parte dal Ma-

ghreb e dai Balcani, professano il credo musulmano». –A suo parere, la diversità viene percepita come un ostacolo o

come uno stimolo nei ragazzi?«Tale diversità raramente viene esibita, sottolineata e pertan-

to percepita come tale dagli indigeni: quando lo è, come ad esempio il fazzoletto che copre talvolta i capelli delle ragaz-

ze, essa comunque non pare suscitare nei coetanei reazioni

di ostracismo, disprezzo o riiuto. Ma non è nemmeno colta come provocazione, giacché essa in genere non suscita alcu-

na curiosità, non diviene stimolo a indagare la differenza di

LA PERCEZIONE DELLA DIVERSITÀ TRA I BANCHI DI SCUOLAcultura e costumi. A prima vista la diversità viene registrata e accettata come un dato di fatto. D’altronde, a partire dagli anni Novanta, gli allievi dell’ISIS sono abituati a convive-

re con gli immigrati, da quando i profughi provenienti dalla Jugoslavia venivano concentrati nei locali dismessi della ca-

serma Monte Pasubio di Cervignano e cominciavano a fre-

quentare le scuole della Bassa». –La scuola fornisce gli strumenti giusti per la conoscenza del-

le altre religioni e del motivo per cui esiste l’estremismo?«La scuola si è impegnata a fondo nei programmi di acco-

glienza e integrazione, attuati anche con l’intervento dei me-

diatori culturali del CESIS di don Di Piazza, e da questo pun-

to di vista si sono rivelati preziosi i percorsi di educazione

interculturale e di storia delle religioni (non semplicemente della religione cattolica) svolti da tanti insegnanti, e soprat-tutto da quelli di religione».

–Si sono mai verificati problemi portati dalle diversità cultu-rali e religiose all’interno dell’istituto?«Con tutto ciò e nonostante gli sforzi profusi da tanti docenti di buona volontà, sinceramente impegnati come formatori a trasmettere valori di tolleranza e reciproco rispetto, tocca

ammettere che soprattutto tra i più giovani, tra gli adolescen-

ti del biennio, l’insulto razzista, lanciato spesso senza alcuna consapevolezza, è pratica corrente: così come l’ingiuria e l’offesa sessista, nonché un linguaggio volgare e scurrile in genere che farebbe arrossire pur disinibiti genitori. Al pro-

posito è suficiente penetrare nei gruppi dei social network, come a me capita spesso di fare con sincero imbarazzo, per rendersene conto. E bisogna pur ammettere che, seppur rara-

mente, dalle parole si passi ai fatti: è di questi giorni il caso dell’autoctono che, presosi a male parole con un compagno egiziano, l’abbia poi aggredito all’esterno della scuola, da cui peraltro verrà espulso. Queste tensioni, queste frizioni, queste violenze addirittura non nascono dallo scontro tra cul-

ture e ideologie: sorgono semplicemente dall’ignoranza e dal degrado che allignano in certi ambienti marginali del nostro civilissimo Friuli, da un senso di frustrazione sociale e uma-

na che produce un’aggressività generica, pronta a sfogarsi in ogni direzione. E dato che questa rabbia è un sentimento vigliacco prende di preferenza a bersaglio il compagno ‘di-verso’ e isolato, perché semplicemente timido, o forestiero o semplicemente in un modo o nell’altro non omologato ai comportamenti prevalenti. Non esistono guerre di religione a scuola: ma qualche volta esistono piccoli bulli spavaldi, pic-

coli teppistelli di strada, poveri ragazzotti complessati che si costruiscono credibilità e seguito tra i ragazzi più amori pro-

muovendo la persecuzione contro i più deboli: leader nega-

tivi che dalle loro gesta, condotte sempre nell’anonimato del branco, ricavano un riconoscimento sociale che altrimenti i loro scarsissimi talenti non avrebbero modo di meritargli».

–Secondo lei qual è il modo migliore per prevenire la nascita dei problemi legati allo scontro culturale?«Le armi che utilizziamo per prevenire questi patetici feno-

meni sono la persuasione, la rilessione, il confronto, la testi-monianza di chi nella vita ha patito soprusi e discriminazioni in nome della propria etnia, condizione, religione o ideolo-

gia. E dove quest’opera di educazione e convincimento non basta, per i più ottusi, per gli ostinati, per gli incorreggibili c’è la repressione. Contro i gesti e gli atti motivati da raz-

zismo, contro le molestie sessuali, contro gli atteggiamen-

ti sessisti ed omofobi, contro le pratiche discriminatorie in genere nelle nostre scuole la parola d’ordine è ‘tolleranza zero’».

–Dopo i fatti di Parigi si avverte un clima diverso all’interno dell’ambiente scolastico? Ha notato differenze nel comporta-mento dei ragazzi? «Lo ripeto, non esiste assolutamente, e certo non è diffu-

sa, una concezione che rimanda eventuali tensioni derivanti dalla convivenza con giovani provenienti dal mondo arabo e musulmano a uno scontro di civiltà. Tanto più che i ragaz-

zi di fede islamica che frequentano le nostre scuole sono in genere perfettamente integrati, si sentono e vogliono essere italiani, al pari dei loro coetanei, spesso si esprimono nella

nostra lingua più correttamente dei locali e quasi mai riven-

dicano con orgoglio o ostentazione i segni esteriori della loro diversità. Anche perché, a differenza di paesi vicini come la Francia, l’immigrazione in Italia e nei nostri paesi è fra-

zionata in mille rivoli, in una pluralità di lingue e nazioni, che rendono dificile l’affermazione di processi di resistenza identitaria all’omologazione».

–La guerra che si sta combattendo, secondo lei, può effettiva-mente definirsi ‘santa’?«Non c’è nessuna guerra santa all’orizzonte che non sia quella che un giorno, sotto il pungolo della crisi e della sof-ferenza, gli esclusi, i diseredati, i reietti potranno muovere ai potenti e ai privilegiati: ma allora i miserabili di ogni etnia e fede si ritroveranno dalla stessa parte».

GIULIA BONIFACIO

REDA BOUBIR è un 25enne udinese, per anni mio compa-gno di corso alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trieste. È nato in Italia, ma la sua famiglia viene dall’Al-geria ed è musulmana; lui invece non si considera un musul-mano praticante.

–La tua famiglia è in Italia da molto tempo?«Mio padre arrivò qui dall’Algeria nel 1976, grazie a una borsa di studio. Dopo diversi lavori, alla ine ha raccolto i soldi necessari per aprire una sua attività e ora gestisce un ristorante. Anche io e i miei fratelli stiamo seguendo le sue orme nel campo della ristorazione».

–La vostra potrebbe essere presa a esempio come una storia di integrazione felice?«Assolutamente. Sono convinto che l’integrazione sia sem-

plicemente un fatto di dare e avere: se io faccio del mio meglio per far star bene la mia famiglia e al tempo stesso portare ricchezza nel paese dove arrivo, mi aspetto di essere accolto positivamente. Io peraltro sono nato in Italia e mi

sento al cento per cento italiano». –Nella tua famiglia si pratica la religione musulmana? Cosa

significa in concreto?«Mio padre è praticante, ad esempio non consuma alcolici e

fa il Ramadan. Ovviamente ci sono diversi gradi di intensi-tà, come in ogni religione. Uno è musulmano prima di tutto perché sente un rapporto con Dio, non perché prega rivolto verso La Mecca o legge ogni giorno il Corano».

–Tu invece non ti consideri praticante?«No, non mi sono mai sentito coinvolto dalla religione. Si-curamente anche alcuni aspetti del mio vissuto personale mi hanno indotto ad allontanarmi dal credere in qualsiasi entità superiore. Mi considero non credente».

–La tua famiglia ha accettato questo tuo atteggiamento?«Mio padre mi ha sempre lasciato libero di credere in quello che volevo, non mi ha mai imposto nulla. Ma la maggior parte dei musulmani sono così: il problema è che un integra-

lista su cento, che compie gesti eclatanti o ad esempio non fa uscire la iglia, fa più rumore di novantanove musulmani moderati».

–In effetti spesso si tende a generalizzare, prendendo a para-digma dell’Islam i comportamenti degli integralisti.

«Guarda, sulla questione comunque la mia idea è che non esistono religioni buone o cattive. Un uomo è buono o catti-vo di suo. Non sono i precetti che segue a renderlo tale: se è buono, interpreterà i precetti in modo positivo, altrimenti ne trarrà un messaggio violento».

–Quindi ad esempio i terroristi dell’ISIS sono solo uomini cat-tivi?«Per me quelli non sono musulmani, né appartengono a qual-siasi altra religione. Nessuna religione ti dice di massacrare le persone. Quelle persone strumentalizzano la religione per i loro scopi, facendole dire una cosa che non c’entra nulla col messaggio dell’Islam. E, come sempre, dire che si fa qualco-

sa “in nome di Dio” ha una grande forza persuasiva». –La tua famiglia proviene dall’Algeria. Nella tua esperienza,

quanto peso ha la religione nell’ordinamento di quello Stato?«Sicuramente ha peso, lo Stato è islamico: ma si può deini-re uno stato islamico moderato. Ha una costituzione repub-

blicana, un presidente eletto, e un sistema politico ‘laico’. Ecco un’altra cosa importante: non si può generalizzare e parlare di ‘mondo islamico’. Esistono Stati più integralisti come l’Arabia Saudita o l’Iran, e altri moderati. E la cosa paradossale, e che giustamente fa indignare i musulmani mo-

derati, è che loro stessi in primis hanno subito le conseguen-

ze sanguinose dell’estremismo, con attentati e conlitti con migliaia di morti».

–Hai avuto esperienze personali in questo senso?«Quando ero in Algeria a trovare i miei parenti, ricordo di aver conosciuto degli ex militari che mi raccontavano di quando, negli anni Ottanta, combattevano per snidare i ter-roristi islamici a costo della vita. E ora anche queste persone rischiano di essere messe sullo stesso piano dei terroristi, di essere vittime dell’isteria collettiva».

–Mi viene in mente una testata a diffusione nazionale che tito-lava in prima pagina, il giorno dopo le stragi di Parigi, “Questo è l’Islam”: viene da pensare che qualcuno si diverta a buttare benzina sul fuoco.«Fatti come quelli di Parigi sono funzionali per chi vuole darne una lettura favorevole alle sue posizioni, che favorisca la chiusura e la xenofobia. Ma è solo un cane che si mangia la coda: odio porta odio. Queste persone sanno che quello non è il vero volto dell’Islam, ma dirlo gli fa comodo. Che poi sembra che al mondo esistano due miliardi di terroristi, ma quanti sono i musulmani? È assurdo. La religione, da una parte come dall’altra, inisce così per essere solo uno strumento per veicolare ostilità».

–Quale può essere dunque, anche considerando la tua espe-rienza, la soluzione per l’integrazione ed evitare lo scontro culturale?«Bisogna che ciascuno faccia la sua parte. L’immigrato deve lavorare: per sé e per la sua famiglia, ma se la gente lavora i beneici ci saranno per tutti, anche per lo Stato che accoglie. Dall’altro ci dev’essere una mentalità disponibile all’ac-

coglienza ed evitare l’ipocrisia di chi da un lato riiuta gli immigrati, ma dall’altro trova comodo che questi facciano i lavori più umili e sfruttati. L’integrazione economica alla ine è il miglior collante sociale per superare le differenze».

–Il terrorismo non vincerà, quindi?«No, mai. Pensare che i gesti di questi pazzi siano esempli-icativi dell’Islam, o preigurino il futuro dell’Islam, è follia. I musulmani sono miliardi, i terroristi qualche migliaio. Sa-

rebbe come pensare che tutti i cristiani siano come Brejvik (il terrorista ultranazionalista che nell’estate del 2011 si rese autore delle stragi in Norvegia, ndr).

MARCO SIMEON

«L’INTEGRAZIONE? UN FATTO DI DARE E AVERE»

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Via Roma 44

33052 Cervignano del Friuli

tel/fax 0431 31024

[email protected]

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nuova sede!nuova sede!

È possibile una reale convivenza tra culture e costumi di-versi, nello speciico tra quella Cristiana e quella Islamica? Siamo andati a chiederlo al nostro Parroco DON DARIO per capire come affrontare tale argomento senza lasciarsi prendere dalla foga dei facili pregiudizi.

–Come giudica i rapporti tra Occidente e Islam?«I rapporti non sono facili oggi giorno e saranno ancora più dificili perché la frangia integralista, violenta e intollerante sta crescendo notevolmente. Bisognerebbe chiedersi come mai negli ultimi decenni è prevalsa questa interpretazione poco dialogante da parte dell’islam. Penso che in alcuni casi questa sia frutto dell’esasperazione causata dalle lagranti in-

giustizie e umiliazioni (vedi l’esempio di Israele e Gaza), in altri dall’ottusità e sete di potere delle loro guide spirituali o dei loro condottieri in armi.

–Ci sono delle responsabilità da parte dell’Occidente?«L’Occidente ha favorito la estremizzazione di un certo orientamento dell’Islam che trova nel Corano e non solo la

dottrina che lo asseconda. L’Islam ha la jihad che si tradu-

ce nel suo signiicato più profondo con il concetto di guer-ra santa. Però può essere interpretata alla stregua di quella che è l’evangelizzazione per i cristiani e quindi applicata con un sostanziale rispetto per chi non accetta l’islamizza-

zione (penso alla considerazione di Maometto per i fedeli del ʻlibroʼ, Cristiani ed Ebrei), oppure fatta oggetto di una interpretazione fanatica e integralista che vede nella elimi-nazione isica degli infedeli l’attuazione concreta della jihad. La seconda grande responsabilità dell’Occidente sta nel fat-to di non aver contrastato i regimi assolutistici di marchio islamico, preoccupandosi piuttosto di fare buoni affari con il petrolio».

–Ci può fare un esempio? «Un esempio che ha favorito l’estremismo islamico è la po-

litica dello stato di Israele appoggiata dagli Stati Uniti che ha esasperato il mondo arabo, in particolare la Palestina. Fino

a circa trent’anni fa non c’erano i kamikaze e non c’era Ha-

mas, che ha come ine principale la distruzione di Israele». –Qual è il suo pensiero in merito alla cultura e alla spiritualità

dell’Islam?«Ho rispetto ed apprezzamento per certi valori che espri-mono la solidarietà, la misericordia e la mistica, nei quali si può trovare una convergenza e una collaborazione con la nostra cultura. Invece sono molto perplesso sulla possibilità di un dialogo alla pari, perché gli islamici non si mettono in discussione e non si mettono in gioco con il confronto: ci considerano sempre degli ʻinfedeliʼ e quindi nell’errore».

–I musulmani si riconoscono in una miriade di imam senza un’autorità suprema, a differenza dei Cristiani. In che maniera influisce nei devoti e quali potrebbero essere le conseguenze nel tempo?«La forza dell’Islam non sta negli imam, ma nell’assolutiz-

zazione del Corano. Non posso dire di conoscere bene la problematica, ma penso che al di là di predicazioni diver-se e forse anche contrastanti, al di là delle divisioni che ci sono anche fra di loro, il mondo islamico conservi un’unità di fondo anche senza un potere centrale universalmente ri-conosciuto».

–I recenti fatti di Parigi inducono a pensare che il problema sia esclusivamente l’integralismo: il fenomeno è marginale o, come affermano diversi studiosi, bisogna prenderlo seriamen-te in considerazione?«Nessuno può dare una risposta adeguata a questo interroga-

tivo; auspico soltanto che i principali paesi islamici facciano ulteriori sforzi per disinnescare tutto questo potenziale alta-

mente esplosivo». –Come giudica tutti gli episodi che stanno accadendo in Italia

nell’ultimo decennio riguardo all’inserimento nel nostro tes-suto sociale delle comunità islamiche? «Ci vuole un certo equilibrio tra il rispetto delle convinzioni islamiche e l’alterazione dei nostri valori e tradizioni.Un conto è permettere l’uso del velo o non mangiare carne

IL PUNTO SUISLAM E CRISTIANESIMO: UNA RELAZIONE ASIMMETRICA

di maiale, altro è rinunciare ai nostri simboli tradizionali come la croce, il presepe, la preghiera, i canti religiosi… per paura di mancare di rispetto alla loro cultura e religio-ne: questo into politicamente corretto va arginato».

–Esiste una reale e possibile convivenza tra cultura cristiana e islamica o il fanatismo e l’esasperazione sfoceranno nella Guerra Santa?«A una guerra santa combattuta penso e spero che non si arriverà. Sono iducioso che una convivenza accettabile fra la cultura cristiana (fra l’altro come tale minoritaria ormai anche nei paesi di antica tradizione cristiana a causa della invadente secolarizzazione) e quella islamica sia possibile, ovviamente in modi e misure diverse secondo i luoghi e le situazioni».

SANDRO CAMPISI

Ciò che avviene attorno a noi modiica e condiziona con-tinuamente la nostra vita, la nostra prospettiva. Chi ha la responsabilità amministrativa è chiamato a interpretare i cambiamenti e a dare indirizzo al futuro. Ci è parso indi-spensabile ascoltare GIANLUIGI SAVINO, il nostro sindaco sui fatti di Parigi. Distanti sicuramente sotto il proilo geo-graico, ma quanto mai prossimi nella loro verosimiglianza.

–- Al di là degli scenari immaginabili, esiste un rischio concre-to che la nostra cultura e la nostra tradizione siano sopraffatte da altre? Quella islamica in particolare?«Innanzi tutto devo dire che, da turista, sono stato a Pari-gi e sono stato colpito in modo positivo dalla presenza dif-fusa e integrata di diverse etnie e culture. Una dimensione cosmopolita che è presente in ogni luogo, per le strade, nei luoghi di lavoro, ed è trasversale anche nell’età dei cittadini. È assolutamente normale incontrare gruppi o anche coppie dalla evidente, diversa origine etnica e tutto appare molto normale e armonioso. Io ho sempre ritenuto questo un esem-

pio virtuoso di integrazione e convivenza. Mi pongo quindi una domanda: ino a che punto possiamo immaginare che la tolleranza possa essere un limite alla libertà? In altre parole io non credo che la paciica convivenza possa essere fondata unicamente su una serie di divieti e che il bisogno dell’uomo di relazionarsi con i propri simili prevalga sull’affermazione di un proprio modello culturale».

–- Quali possono essere le vie da percorrere perché la convi-venza, oggi possibile, divenga realmente integrazione?

«Le scene che abbiamo visto alla televisione sugli attentati di Parigi, a dire il vero, mi hanno ricordato alcune scene che vediamo spesso negli stadi di calcio. Poco o nulla hanno che fare con il tifo calcistico, ma sono in effetti lo sfogo violento di pochi individui, più simili a teppisti che a tifosi, i quali utilizzano la confusione di un grande evento per dare libe-

ra manifestazione alla propria violenza. Ciò non toglie che andare allo stadio continui a essere una opportunità di puro divertimento e che io stesso ci vado spesso portandoci i igli.

LA PAROLA AL NOSTRO SINDACOCosì ritengo che il terrorismo islamico sia costituito in effetti da una minoranza molto ristretta e deviata all’interno di una

comunità paciica. Questo signiica che tale minoranza va in-

dividuata all’interno della comunità e devono essere gover-nati i comportamenti anomali e lesivi della libertà. Un paese civile, cioè, si difende con la legalità che diviene patrimonio comune e garanzia di paciica convivenza».

–- Sono d’accordo, ma è possibile che diversi equilibri numeri-ci possano modificare il concetto stesso di convivenza pacifica basato sulla pluralità culturale?«Io ricordo e sicuramente anche tu, quando negli anni della mia infanzia, in questa nostra terra fossero mal giudicati i meridionali. È antico come il mondo il timore che il “di-verso” invasore venga a “rubarci” le donne ed il lavoro. È stato così in passato quando, per la migrazione interna, molte famiglie friulane hanno dato in sposa la loro giovane iglia a mariti siciliani o calabresi o pugliesi che fossero. Oggi que-

sto risulta ampiamente superato, anzi la possiamo considera-

re una preziosa occasione di crescita e rinnovamento cultu-

rale. In tempi più recenti la stessa paura si è manifestata nei confronti dei rumeni o degli albanesi. Tutto però è superato in meno di una generazione, quando i igli degli uni e degli altri condividono il proprio percorso scolastico e sociale. La difidenza iniziale che ha posto sulle difensiva le popolazio-

ni ospitanti lascia gradualmente il posto all’apertura, appena viene compreso che i “diversi” in in dei conti sono brave persone».

GIUSEPPE ANCONA

ALTA UOTA

7Alta ucinaiPRETTAMENTE MEDITERRANEA: TORTIERA DI ALICI, PATATE, INDIVIA, OLIVE NERE. MISTO DEL PESCATORE.

di Alberto Landi

(si fa sempre per dire)

LA TORTIERA. Le alici, più che le sarde molto più pesanti come già detto in passato, fanno parte della classica cucina mediterranea; uniamole alle patate ed all’indivia (alias sca-

rola napoletana) e ne ricaviamo un piatto prettamente me-

diterraneo, degno della migliore cucina siculo-partenopeo-calabro-pugliese-lucana. Lessate a metà, sempre a seconda dei commensali, alcune patate e poi, dopo averle mondate,

tagliatele a fettine più o meno sottili. Ungete leggermente una tortiera (o piroila) e sistematevi un primo strato di fo-

glie di indivia, proseguite con uno di patate e uno di alici, ovviamente senza testa, che avrete anche aperte e dilisca-

te, e proseguite ino al termine avendo cura di ultimare con uno strato di verdura. Avrete irrorato ogni strato con ottimo olio d’oliva extra vergine, e cosparso anche di olive nere e origano. Terminati gli ingredienti passate in forno, 180°, la tortiera ricoperta di un foglio di carta da cucina, per circa 30 minuti, e per 10 minuti senza carta afinché si “arruschi”. Calda o fredda, con o senza prezzemolo.

MISTO DEL PESCATORE. In un’ampia padella fate ap-

passire con un po’ d’olio, sempre extra vergine, un sedano, una carota, un peperone, una melanzana, qualche carota dopo averli, ovviamente, accuratamente puliti e tagliati in piccoli pezzi. Aggiungetevi dei pomodorini, a piacere, del timo e del prezzemolo mentre in un’altra padella fate rosola-

re della coda di rospo e del tonno (le quantità sempre a pia-

cere e secondo i commensali); appena pronto unite il tutto, aggiustate di sale, bagnate con un bicchiere medio di vino bianco, fate evaporare e… buon appetito.

TRA CRONACA…RETE WI.FI. Allo scopo di favorire lo sviluppo di una rete

più viva e attiva di servizi, esigenza avvertita sempre di più dai cittadini cervignanesi, con l’evolversi e l’estendersi della

sua diffusione, nel corrente mese di gennaio sarà, o sarà sta-

ta, resa operativa la copertura wi.i in vari posti della città. I luoghi dove essa copertura sarà possibile sono la bibliote-

ca comunale e il centro civico in via Trieste, l’intero Parco Europa e tutta l’area sportiva del palazzetto dello sport di

piazzale Lancieri d’Aosta, nonché lo stadio comunale Pie-

rino Dissabo, l’anello esterno di piazza Indipendenza e la casa della musica di Largo Galliano Bradaschia che prende il nome dal suo fondatore. Era da diverso tempo che si parlava in città di tale servizio e ora inalmente sono stati comunicati i dettagli e i tempi di realizzazione, cosa che sarà certamente bene accolta da tutti gli utilizzatori che sono, come detto, in numero sempre crescente. In un secondo tempo è attesa

l’estensione della rete anche in altri siti più frequentati dai cervignanesi.

UNA VITA PER LO SPORT. L’Unione Veterani Sportivi di Cervignano ha assegnato il premio “Una vita per lo sport 2014” a Gianni Zampar, già direttore sportivo della Pro Cer-vignano e in altre prestigiose società della regione, “perso-

naggio di grande caratura morale che ha posto l’educazione dei giovani e il loro avvio nella vita di relazione al centro del-la sua attività, trasmettendo ad essi i sani valori dello sport”.

…E MITO. “Alcide, il forte eroe, Alcide che rivali non ebbe mai fra gli uomini e men fra gli animali” (Libro X – favola XIV di Jean de La Fontaine), non è altro, Signora Bice, che il nostro Er-cole, di cui ora narriamo la terza fatica, quella più conosciuta come “La cerva di Cerinea”.La mitologia narra che vicino all’antica città di Cerinea, su di un ipotetico, omonimo monte, vivesse la cerva cerinitide dalle

corna d’oro e dagli zoccoli di argento e di bronzo. Essa fug-

giva senza posa inducendo, in chi l’avesse soltanto intravista, il desiderio, fatale, d’inseguirla anche oltre i luoghi conosciuti e nelle terre dalle quali non era consentito il ritorno. La terza fatica afidata a Ercole fu la cattura, da viva, della cerva divina perché sacra ad Artemide (la dea Venere per i Romani) o che, secondo altre interpretazioni, si pensava fosse la stessa dea. La cerva-dea fu inseguita per oltre un anno da Ercole ino ai con-

ini dell’aldilà, nel giardino delle Esperidi, le dee-notte custodi dell’albero delle mele d’oro. Una prima versione racconta che, fermatasi a bere, Ercole riuscì a catturarla e a prenderne le cor-na d’oro, senza però citarne il modo; una seconda che Ercole, poiché il sangue della cerva-dea non poteva essere sparso, la ferì lievemente in punto privo di vasi sanguinei e riuscì così a catturarla. A parte l’anno d’inseguimento, questa impresa, a confronto con alcune altre fatiche, è quella, diciamo, meno gravosa per Ercole; tuttavia bisogna considerare il fatto che corse il rischio di essere accusato di sacrilegio da Artemide e salvato anche per l’intercessione di Apollo. Gianni Zampar.

AltritempiA L T R I T E M P I

1939: il Crocifisso Bresciani portato in proces-

sione per le vie di Cervignano ad petendam

pluviam, cioè «per implorare la pioggia» dopo

un lungo periodo di siccità.

Questa e altre splendide immagini sono ospitate

nel libro Le nostre chiese. Immagini di fede e di

vita a Cervignano e dintorni. Per info e acquisti,

rivolgiti alla Canonica della Parrocchia di Cervi-

gnano (tel. 0431 32039).

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tiSemplici occhiate buttate qua e là di Simone Bearzot

OLTRE LO SP CCHIOEOLTRE LO SP CCHIOE

LA STORIA SIAMO NOI

di Manuela Fraioli

KELIAKOS, IL NEGOZIO DI PRODOTTI SENZA GLUTINE A CERVIGNANO

ALBERTO GUELI, giovane cervignanese, è il titolare dell’esercizio che circa un mese fa ha aperto in Via Dante, dedicato alle necessità degli intolleranti al glutine

– Alberto, spiegaci cosa offre Keliakos.«Offriamo prodotti senza glutine indirizzati a celiaci e intolleranti; più avanti speriamo di ampliare l’at-tività anche a cibi per vegani. Questi prodotti possono essere acquistati anche presso farmacie e alcuni supermercati, ma la scelta che offriamo qui è assolutamente unica per varietà e qualità. Ad esempio abbia-

mo surgelati e birra senza glutine, molto rari da trovare. Inoltre, Keliakos è l’unico negozio alimentare in zona - che non sia Farmacia - ad essere convenzionato con l’A.S.L., per cui da noi è possibile acquistare i prodotti anche tramite i buoni per celiaci erogati dallo Stato».

–Un’idea di impresa piuttosto innovativa. Come nasce?«L’idea mi è stata data da un amico di famiglia intollerante al glutine, che mi ha fatto notare come nella Bassa Friulana (Grado compresa) non fosse presente alcun esercizio di questo tipo. Dunque, vista anche la crisi generale e la dificoltà di fare impresa oggi, ho pensato questo potesse essere uno sbocco origi-nale».

–La celiachia è un disturbo che ha poca risonanza ma in realtà abbastanza diffuso, vero?«Sì, basti pensare che all’incirca il dieci per cento della popolazione soffre di celiachia o comunque di una forma più lieve di intolleranza al glutine. E comunque, i casi sono destinati ad aumentare, anche a causa di come oggi vengono trattati gli alimenti con conservanti e quant’altro. Penso anche che quest’attività mi permetterà di coniugare un’attività imprenditoriale che spero abbia successo con l’idea di fornire un servizio utile. Questi alimenti sono infatti necessari per tantissime persone che come tutti devono nutrirsi, ma che hanno grosse dificoltà a trovare questi prodotti. Ribadisco inoltre che, grazie alle convenzione con l’A.S.L., i celiaci possono fare acquisti da noi anche con i buoni, con grande risparmio economico».

MARCO SIMEON

Complimenti, Mariucci!La signora Maria Luisa Dean, per tutti Mariucci, titolare dell’omonimo Sa-

lone di parrucchiera di Piazza Indipendenza n. 36, festeggia quest’anno i 30 anni di ininterrotta attività. Complimenti a lei che, per la sua continuità e dedizione, è stata sempre ripagata dalla fedeltà delle tante storiche clienti. 30 di questi anni!Nella foto: la titolare Maria Luisa Dean, con le collaboratrici Maria Roma-no e Ida “Franca” Mosca.

In un lusso rapido e incessante di notizie, informazioni e commenti come quello attuale capita che, tra un arcinoto #je-suischarlie e un encomiabile #notinmyname, sia passato in

sordina l’hashtag piú signiicativo e importante.#IllRideWithYou («viaggerò insieme a te») viene dall’Au-

stralia ed è nato all’indomani della presa di ostaggi da parte di un fanatico riconducibile all’ISIS in un caffè del centro di Sydney, conclusasi con la perdita di due vite innocenti. È stato osservato come, all’indomani di episodi di questo tipo,

in numerosi Paesi - USA in primis - si veriichi un aumento di atti intimidatori e minacce generalizzate nei confronti di musulmani, soprattutto sui mezzi di trasporto pubblici.Tantissimi australiani - fonti parlano di più di 150 mila tweet in 12 ore - hanno voluto sgombrare il campo in dal principio, solidarizzando con i connazionali di fede islamica impauriti

da possibili reazioni per atti di cui non sono minimamente responsabili. Identiicandosi con sciarpe colorate, fotograie e cartelli per farsi riconoscere, i pendolari australiani hanno dato uno schiaffo a paura, ignoranza e pregiudizio, in un Pa-

ese peraltro divenuto negli ultimi anni particolarmente seve-

ro in materia di immigrazione.Questo dall’altra parte del mondo... e da noi? Torniamo alla domanda di partenza di questo numero di AQ: una conviven-

za è possibile? Dipende.Regole ed educazione: senza queste due premesse fonda-

mentali il giocattolo è destinato a rompersi. Qualunque co-

munità ha bisogno di regole condivise; nel nostro caso si parte dalla Costituzione con a seguire tutto il corpus delle leggi. Questo è il primo punto e non può essere negoziabile, non possono esserci concessioni né buonismi.Poi c’è l’educazione, la conoscenza reciproca. Qualcosa di faticosissimo, innanzitutto. Molto più facile accendere il pc per scrivere «cumò vonde» o «duc a cjase » (quanti ne ho letti all’indomani dei fatti di Parigi) trasformando il Facebo-ok di turno in un vomitatoio di ignoranza e frustrazioni per-sonali. Più complesso, lento, stancante il fatto di mettersi a cercare informazioni e dati per provare a decifrare una realtà intricata, in continua evoluzione e di cui sappiamo pochis-

simo. Come per tutte le questioni complesse, non esistono

soluzioni semplici.

PS1: scrivo quest’articolo andando verso Mashhad, in Iran (sciita - non arabo - nemico giurato USA - nemico anche dell’ISIS), in transito all’aeroporto di Istanbul in Turchia (sunnita - non araba - storica alleata USA - ambigua nella questione ISIS e verso i curdi). Curdi (sunniti - divisi tra quattro Stati - mal sopportati un po’ dovunque - famosi per

il ruolo della donna nelle proprie comunità) giustamente ap-

plauditi per la liberazione di Kobane, che combattono l’ISIS che a sua volta si è potuto organizzare partendo dalla lotta ad Assad in Siria (lotta appoggiata da numerosi governi occi-dentali). Non è facile, per niente.

PS2: il buon Vanni mi aveva chiesto un’esperienza persona-

le, ma temo di aver divagato. In generale è dificile valutare delle relazioni umane basate su rapporti lavorativi, anche con controparti musulmane. Per cui il mio ricordo più bello resta legato a un vecchio contadino dalla pelle rugosa che, in un giorno di gran caldo nel sud del Marocco, ci ha invitati dentro casa per condividere datteri e latte fermentato.

L’HASHTAG PIÙ BELLO

Qual è la storia che un giorno racconteremo.Non parlo di quella che si troverà sui libri di storia, con date, nomi e analisi accurate, ma la

storia di cui siamo partecipi, quella che vivia-

mo e con cui la nostra coscienza etica e socia-

le si confronta. Quella a cui un giorno saremo chiamati a dare risposta.Cosa ne è stato di quello che è successo a Fal-

luja. Cosa ne è stato della Libia dopo la morte di Gheddai. Cosa ne è stato delle donne siriane prese di mira dal regime.Cosa ne è stato di noi, del nostro pensiero, delle nostre domande in merito a

tutto questo.

Viviamo momenti in cui la presenza di queste notizie è intensa, ma qual è la natura di questa intensità? E quale la forza che ne rimane, se tutto quello che sappiamo dura il tempo in cui qualcun altro decide di comunicarcelo.

Me lo sono domandata dopo aver visto America Sniper. Non mi sono chiesta altro che questo: come racconto io a me stessa e agli altri quello che se non mi

ha coinvolta direttamente come cittadina lo ha fatto come essere umano.Molte zone del mondo vivono in un buco nero informativo, altre “appaiono” accessibili a ogni informazione (o meglio al tipo di informazione che si vuole dare). Non tutto arriva ai nostri occhi nelle diverse prospettive da cui poterlo guardare, ma di quel poco che vediamo, di quel poco che sappiamo, come sceglieremo di raccontarlo a chi verrà dopo di noi?Mi domando se siamo e saremo in grado di dare una visione che sia utile alla costruzione di una cultura sociale più forte o ci basterà quello che ogni giorno ci viene confezionato come un pacco sicuro.

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IL CAFFETTIERE FILOSOFICOdi Marco Giovanetti

IN PRINCIPIO ERA IL VERBO /6 di Vanni Veronesi

LA POESIA PUÒ SALVARE LA VITAQuesta rubrica ha l’ambizione - e la boria - di partire da una parola per raccontare un pezzo dell’esistenza

umana: del resto, le aspirazioni o sono all’ininito o, semplicemente, non sono. Pierluigi Cappello, uno dei massimi poeti viventi, me lo disse chiaramente durante un’intervista: «Punto all’assoluto. Né più né meno». Nelle precedenti puntate mi sono occupato di vari aspetti: l’antico signiicato di ‘crisi’, per di-mostrare che dietro ad essa si nasconde una nuova opportunità per il futuro; le attestazioni del iume Ausa nella letteratura, per ricordare che Cervignano non è solo città di servizi, ma potenzialmente luogo di cultura e di memoria; l’invenzione del friulano come ‘lingua’, con tutti gli annessi e i connessi poli-tici; l’emblematica dicitura Tiare Shopping del noto

centro commerciale di Villesse, fenomenale esempio di g-localismo dal sapore di brovada con il ketchup; inine il senso del vocabolo Europa in relazione alla

cultura che l’ha costruita. E se «la parola forma la coscienza», come ricorda Khaled Fouad Allam in questo numero a pagina 2, allora ho l’alibi per conti-nuare a martoriarvi con le mie bagatelle.La parola come spunto per raccontare l’esistenza umana, dicevo. Ebbene, questa volta voglio farlo in senso letterale, prendendo in prestito i versi di un

poeta dimenticato dai programmi ministeriali: Ca-

millo Sbarbaro (1888 - 1967).Per capire Sbarbaro non servono i trattati degli esperti; bisogna invece conoscere la sua Liguria, una terra che è entrata nella mia vita in maniera indelebi-le: appena possibile, cerco sempre di tornarci. Biso-

gna sentire quel vento inconfondibile, spaziare con lo sguardo su quel mare inquieto, vagare nell’enne-

sima crêuza de mä, il viottolo di mare che dà il nome a uno degli album più belli di Fabrizio De Andrè. E bere un buon calice di Pigato o di Cinque Terre, na-

turalmente… per non parlare del dolcissimo Sciac-

chetrà! Tutto ciò si ritrova nei versi di Sbarbaro, narrato con una musicalità che pare arrivare da un mondo perduto:

Comunicai di te con la farinadella spiga che ti inazzurra i colli,dimenata e stampata sulla madia,condita dall’olivo lento, fatta

sapida dal basilico che crescenella tegghia e profuma le tue case.Nei porti delle tue città cercai,nei fungai delle tue case, l’amore, nelle fessure dei tuoi vichi.Bevvialla frasca ove sosta il carrettiere,nella cantina mucida, dal gottomassiccio, nel cristallo tolto dalla credenza, il tuo vin aspro- per mangiare di te, bere di te,mescolare alla tua vita la miacaduca.Marchio d’amore nella carne, variacome il tuo cielo ebbi da te l’anima,Liguria, che hai d’invernocieli teneri come a primavera.Brilla tra i ili della pioggia il sole,bella che ridie d’improvviso in lagrime ti sciogli.Da pause di tepido ingannate,s’aprono violette frettolosesulle prode che non profumeranno.

Se poi laggiù nasce un amore, Sbarbaro diventa tal-mente naturale da risultare ‘inevitabile’: lo capire-

te leggendo i Versi a Dina. Non mi trattengo: «Era color del mare e dell’estate / la strada tra le case e i muri d’orto / dove la prima volta ti cercai. / All’in-

credulo sguardo ti staccasti / un po’ incerta dall’altro marciapiede. / Nemmeno mi guardasti. Mi stringe-

sti, / con la forza di chi s’attacca, il polso. / A ianco procedemmo un tratto zitti». Pochi cenni, eppure siamo lì con lui: stiamo vedendo la scena come se fossimo al cinema. È semplicemente meraviglioso.

Sbarbaro fu anche prosatore innovativo, tradutto-

re rafinato dal greco e dal francese e grandissimo esperto di botanica, in particolare di licheni (pas-

sione curiosa che gli valse notorietà mondiale nel campo). Ma fu soprattutto un umile, appassionato professore di latino e greco nei licei. Lontano dai rilettori. Forse è per questo che la sua scrittura ha il sapore delle cose autentiche. Il sapore della vita vera. Come quella che Sbarbaro ha saputo descri-vere così:

Non, Vita, perché tu sei nella nottela rapida iammata, e non per questiaspetti della terra e il cielo in cuila mia tristezza orribile si placa:ma, Vita, per le tue rose le qualio non sono sbocciate ancora o giàdisfannosi, pel tuo Desiderioche lascia come al bimbo della favolanella man ratta solo delle mosche,per l’odio che portiamo ognuno al noidel giorno prima, per l’indifferenzadi tutto ai nostri sogni più divini,per non potere vivere che l’attimoal modo della pecora che brucapel mondo questo o quello cespo d’erbae ad esso s’interessa unicamente,pel rimorso che sta in fondo ad ognivita, d’averla inutilmente spesa,come la feccia in fondo del bicchiere,per la felicità grande di piangere,per la tristezza eterna dell’Amore,per non sapere e l’ininito buio...

per tutto questo amaro t’amo, Vita.

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,le cortesie, l’audaci imprese io canto,che furo al tempo che passaro i Morid’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto

Se nella letteratura italiana sentiamo parlare di

infedeli e cristiani e di guerra santa, subito ci vengono in mente i romanzi cavallereschi, le avventure di Orlando e Carlo Magno contro i “mori”. Ma chi sono questi cavalieri e quale era il loro ruolo nella

società?Nel 1025, Adalberone vescovo di Laon scrive che la società è divisa in tre ordini: gli oratores, coloro che pregano; i bellatores, nobili guerrieri che difendono con le loro armi tutto il popolo e la Chiesa; inine i laboratores, coloro che lavorano. Secondo questo schema, il ruolo dei cavalieri è dunque quello di difendere gli indifesi e la società cristiana, la Chiesa e la religione. Nasce così quel concetto di cavaliere, uomo forte e valoroso che, incurante dei pericoli e dei rischi, è pronto a mettere a repentaglio la propria vita pur di fare del bene. Il massimo eroe di questi tempi è Rolando, nipote e paladino di Carlo Magno.Il iorire di questa produzione in Italia si ha con l’Umanesimo e il Rinascimento, momento in cui

si assiste a una grave crisi del potere imperiale e

quindi a un maggior avvicinamento al mondo del divino, ma soprattutto alla Chiesa, che acquista un sempre crescente peso politico-sociale. L’ideale cavalleresco quindi si lega con l’ideale religioso e per mezzo delle lotte secolari tra Cristiani e

Mussulmani, che culminarono in Oriente con le crociate e in Occidente con le guerre tra i Cristiani e i Mori di Spagna, questo legame riprende vigore. Opere somme di questo repertorio sono Il Morgante

di Luigi Pulci, l’Orlando Innamorato di Matteo

Maria Boiardo e l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Capolavori che portano alla fusione due cicli cavallereschi: il ciclo Bretone, ricco di magia, di eventi miracolosi, di stregoni, orchi e draghi con al centro i cavalieri della Tavola Rotonda e il loro

Re Artù, e il ciclo Carolingio, legato alla storia di Carlo Magno, delle guerre tra cristiani e infedeli. Questa fusione. in nuce nel Morgante, diventa legge nell’Orlando Innamorato e nell’Orlando Furioso.

Gli eroi Carolingi, tra tutti Orlando paladino senza macchia e senza paura, agiscono come gli eroi bretoni attraverso varie avventure, anelli magici, cavalli alati e mostri vari. Sullo sfondo, resta la

guerra tra cristiani e infedeli.L’ideale cavalleresco muta in questo scenario. L’eroe senza macchia e senza paura per antonomasia, Orlando, diventa più umano arrivando al punto di

innamorarsi (cosa inaudita per un difensore della cristianità) ino ad arrivare al punto di impazzire del tutto dimenticandosi anche il suo ruolo di difensore della chiesa.Successivamente i valori della cortesia e della

cristianità andranno scemando, nella vita come nella letteratura. L’immagine del cavaliere pronto a cedere le propria vita in cambio del veder realizzarsi i propri ideali di purezza, libertà, religiosità, devozione a Dio e alla Patria lascia il posto a un cavaliere di ben altro spessore.

Con il tempo la letteratura inizierà a far scivolare in secondo piano tutti gli ideali e principi nobili, ino ad arrivare ad un tipo di poema eroicomico dove il

cavaliere viene beffato e ridicolizzato, come ne La secchia rapita del Tassoni o il Don Chisciotte della Mancia di Cervantes che segneranno il tramonto del cavaliere e dell’interesse attorno alle guerre sante.

Il rapporto fra Cristianesimo e Islam nella letteratura

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TEATRO, UNA PASSIONE SENZA ETÀ

Sogni e fatiche delle Briciole Junior, in vista dello spettacolo del 30 maggio.

«Sono emozionato e frenetico»: è la sera della prima. Il sipario sta per alzarsi su quello che sarà lo spettacolo per cui si sta lavo-

rando da mesi. Il teatro è gremito. Vi siete mai chiesti cosa passi nella testa di una giovane Briciola, gli istanti prima di salire sul palco? La risposta ve l’ha data Francesco, 9 anni, al suo secon-

do anno con le Briciole Junior.

Ma non c’è solo energia nei pensieri dei giovani interpreti. Sabi-na, 8 anni, dice: «Ho paura di sbagliare le battute!». A ristabilire gli equilibri c’è l’impavido Matteo che si carica con un catartico «Mi faccio coraggio e cerco di fare del mio meglio».Questa è la magia del palcoscenico che, da sempre, cattura gran-

di e piccoli, amatori e professionisti.

I testi da cui prendiamo ispirazione per le nostre rappresentazio-

ni sono tratti da favole che i bambini sanno a memoria. Nessu-

na sorpresa quindi: il bello di questa piccola realtà teatrale sta proprio nel dar vita a quei personaggi che molte volte abbiamo guardato in tv o conosciuto sui libri: il teatro rende vive, toccabi-li, sperimentabili le emozioni o i sentimenti di questi personaggi. S’indossa una maschera, ci si immedesima in una storia che bi-sogna conoscere, capire, comprendere... Il teatro nasce come un gioco ma poi diventa palestra di vita... perché la vita è emozione, sentimenti, mistero.

E attraverso questi strumenti, come ci ricorda Sara, 10 anni, «si imparano tante cose»: lavorare in gruppo, idarsi l’uno dell’altro, aiutarsi quando in scena qualcuno dimentica o sbaglia qualcosa, fa tutto parte del ‘gioco’ che per Chiara, 10 anni, è «molto spe-

ciale».Questo è il teatro per le Briciole Junior che, da ormai 6 anni, con non poche dificoltà, segna la loro vita aiutando i giovanissimi attori a diventare “veramente grandi”, con tanta voglia di esserci, divertirsi e divertire.

Siamo tutti invitati al minishow dal titolo Cappuccetto Rosso ed i Misteri del Bosco in programma sabato 30 maggio alle 20.30 al Teatro Sala Aurora del nostro Ricreatorio. I giovani spettatori saranno rapiti dai personaggi, dagli sfavillanti costumi e dalle grintose canzoni, mentre grandi e genitori potranno assistere a uno spettacolo vero e proprio: e, ancora una volta, la magia del teatro ci avvolgerà.

GABRIELE SCOLARO Responsabile Briciole d’Arte del Ricreatorio San Michele

Anche quest’anno il Ricreatorio San Michele, in partnership con la Pro Loco, ha organizzato la tradizio-

nale silata di gruppi mascherati per le vie della città.Per rivedere le immagini più belle e leggere la classiica inale del concorso, visita il sito www.ricre.org.

(foto a cura di Luciano Trombin – Digital Photo Point)

LA TRADIZIONE CONTINUA

CORSO ANIMATORI DIOCESANO:

IL RICRE PRESENTE IN MASSA

Due immagini del Corso animatori diocesano svoltosi durante i martedì del mese di febbraio a Cormòns e al quale hanno partecipa-

to una trentina di animatori del Ricreatorio San Michele. Suddiviso in due annate, il corso – tenuto da esperti – ha affrontato tematiche che hanno svariato dalla fede alla psicologia, dalle tecniche di ani-mazione all’ascolto delle esigenze dei bambini.Per gli animatori RSM – tra i gruppi più numerosi – un’occasione importante in vista degli impegni della nuova stagione: dai Sabati in Ricre a Estate Insieme. A conferma del forte investimento che il Ricreatorio San Michele sta dedicando da anni per la crescita e la formazione dei futuri educatori.

CONSIGLIO DEL RICREATORIO, QUATTRO ANNI PER NUOVE AMBIZIONI

Si è uficialmente insediato il nuovo Consiglio direttivo del Ricreatorio San Michele, che resterà in carica per il prossimo quadriennio.Composto da venti consiglieri e dall’Assistente spirituale don Moris Tonso, il Consiglio sarà presieduto da Andrea Doncovio, confermato

alla presidenza per il suo secondo mandato. Assieme a lui, confermati

anche Elisa Biancotto - nella doppia veste di Vicepresidente e Tesorie-

ra - e Federico Forcieri, rieletto Segretario.Già all’opera tutti i consiglieri, che hanno avviato i lavori delle diverse commissioni operative inerenti gli ambiti struttura, cultura e ricreazio-

ne. Un’apposita commissione, inoltre, si occuperà dei rapporti tra il Ricreatorio e le diverse realtà parrocchiali ed extra-parrocchiali che in esso gravitano. Ecco l’elenco completo dei Consiglieri del Ricreatorio (in ordine alfa-

betico):

Giuseppe Ancona, Andrea Balducci, Elisa Biancotto, Giacomo Bor-tolossi, Sandro Campisi, Fabrizio Cavuoto, Matteo Comuzzi, Andrea Doncovio, Gianfranco Dovier, Federico Forcieri, Nicoletta Fornasir, Christian Franetovich, Lisa Nocent, Valentina Perna, Giacomo Ponta, Gianpaolo Rigonat, Riccardo Rigonat, Michele Sclauzero, Gabriele Scolaro, don Moris Tonso, Alex Zanetti.

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PASTORALE GIOVANILE: UNA REALTÀ IN CAMMINO

Si è tenuto a Brindisi, dal 9 al 12 febbraio scorsi, il Conve-

gno Nazionale di Pastorale giovanile dal titolo: Il cantiere e le stelle. Il percorso ha aiutato tutti i partecipanti a ricono-

scere le risorse presenti nei territori e nelle realtà ecclesiali per farli crescere ogni giorno di più. Due i grandi poli attor-no ai quali si è mosso il percorso: il tema della cura e della dedizione e il titolo stesso del convegno, che affronta anche questioni più “tecniche”. Nella foto, i partecipanti della nostra Diocesi: Marco Lu-ciano, don Moris Tonso, don Nicola Ban, mons. Michele Centomo e Christian Franetovich.

• Ogni venerdì di Quaresima: ore 18, Via Crucis in Duomo.

• Ogni martedì di Quaresima: ore 20.30, Lectio Divina in Sala don Bosco

(Ricreatorio).

• Domenica 29 marzo, Domenica delle Palme:ore 10.30, benedizione degli ulivi davanti alla chiesetta di San Girolamo e processione ino al Duomo.Ore 11: S. Messa solenne e lettura della Passione del Signore.Ore 15: solenne apertura delle Ss. Quarant’ore (Duomo).

• Da lunedì 30 marzo a mercoledì 1 aprile: ore 9 – 18.30: adorazione Ss. Quarant’ore (Duomo).

• Da lunedì 30 marzo a sabato 4 aprile: ore 9 – 12/15 – 18: confessioni in preparazione alla S. Pasqua (Duomo).

Da giovedì 2 aprile a sabato 4 aprile: Triduo Pasquale.

• Giovedì 2 aprile, ore 20.30: S. Messa in Coena Domini (Duomo); ore 22.30: “Notte con il Signore”, adorazione eucaristica nella notte (Ricreatorio).

• Venerdì 3 aprile, ore 15: azione liturgica della croce (Duomo); ore 20.30: Via Crucis per le vie della città di Cervignano e Scodovacca.

• Sabato 4 aprile, ore 21: solenne Veglia Pasquale (Duomo).

• Domenica. 5 aprile, Pasqua del Signore: celebrazione delle S. Messe con orario festivo.

• Lunedì 6 aprile, Lunedì dell’Angelo: celebrazione delle S. Messe con orario feriale; a Scodovacca, celebrazione della S. Messa solenne alle ore 10.

• 20, 21 e 22 maggio: Pellegrinaggio parrocchiale a Torino con visita alla S. Sindone e ai luoghi di don Bosco nel bicentenario della sua nascita.

CATECHISMOUN’AGENDA

RICCA DI EVENTI

Lunedì 6 marzo alle ore 18, in Duomo, Via Crucis animata dai ragazzi che frequentano il primo e secondo anno in preparazione alla Cre-

sima.

Venerdì 20 marzo ore 18, in Duomo, Via Cru-

cis animata dal “gruppo comunioni” del primo e secondo anno.

Lunedì 30 marzo, nel pomeriggio in Duomo, ora di Adorazione per i ragazzi delle cresime in occasione delle “40 Ore”.

Martedì 31 marzo, nel pomeriggio, ora di Adorazione per i bambini del primo e secondo anno delle comunioni, in occasione delle “40 Ore”.

Giovedì 2 aprile ore 10 a Gorizia, partecipazione dei ragazzi del secondo anno in preparazione alla Cresima alla “Messa degli oli” in Cattedrale.

Sabato 9 maggio ore 15 in Duomo, 62 bambini di quarta elementare riceveranno il sacramento della Riconciliazione a conclusione del primo anno di catechesi.

Domenica 10 maggio ore 9.30 in Duomo, i bambini di quinta elementare (secon-

do anno comunioni) riceveranno la prima Comunione.

Domenica 17 maggio ore 9.30 in Duomo, i ragazzi riceveranno il Sacramento della Riconfermazione.

Si ricorda che durante il cammino di Quaresima, agli incontri di catechismo del lunedì parteciperanno anche i bambini e ragazzi che sono iscritti nelle associazio-ni parrocchiali, dove invece durante l’anno svolgono la regolare attività di prepa-razione ai Sacramenti.

CATECHISMO

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Da questo slogan riparte la seconda puntata della fruttuosa collaborazione tra Radio Presenza e l’Associa-zione di Promozione Sociale Minoranza Creativa di Pasian di Prato.L’iniziativa si rivolge alla popolazione giovanile della Bassa Friulana con l’obiettivo di promuovere la capacità di senso critico e le occasioni di espressione culturale a favore dei giovani destinatari del progetto. All’in-terno dello stesso i ragazzi avranno un ruolo da veri e propri protagonisti e per realizzarlo ci si avvarrà della collaborazione con diversi partner pubblici e privati: oltre alla nostra Parrocchia San Michele Arcangelo, l’Associazione di promozione sociale ExisT di Trieste, l’Associazione di promozione sociale Psicoattività di Palmanova, la SOC Alcologia e Dipendenze Patologiche dell’Azienda per i Servizi Sanitari n. 5 ‘Bassa Friulana’ e l’ISIS Malignani.Nella massiccia attività di promozione svolta in tutte le sedi dell’ISIS si è identificato un gruppo di peer edu-cator che sta partecipando attivamente alle attività in fase di realizzazione grazie, appunto, alla metodologia della peer education. I ragazzi che hanno deciso di prendere parte al progetto stanno lavorando da quasi un mese nelle sale messe gentilmente a disposizione dal Ricreatorio San Michele di Cervignano e a breve si divideranno in due gruppi sulla base del loro interesse e delle loro preferenze.Da un lato il Gruppo redazione prenderà parte alla decisione e all’approfondimento dei temi che verranno trattati durante la trasmissione radiofonica (per es. cittadinanza europea, lavoro, futuro…); ogni puntata vedrà la partecipazione di un esperto che porterà il proprio punto di vista professionale circa il tema trattato in diretta. Dall’altro il Gruppo musica sarà responsabile di curare la parte musicale della trasmissione in-dividuando e coinvolgendo gruppi musicali giovanili del territorio che di volta in volta si susseguiranno nelle varie puntate e che parteciperanno a un grande concorso che metterà in palio (per la band più votata) la

possibilità di registrare gratuitamente una demo presso gli studi della Casa della Musica di Cervignano.Appuntamento dunque a venerdì 13 marzo alle ore 18.30 per la prima di dieci puntate (ogni venerdì) sulle frequenze di Radio Presenza (FM 99.0/www.radiopresenza.it).Radio Survivor vi aspetta!

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È disponibile sul nostro sito www.ricre.org

il calendario aggiornato delle attività proposte dalle associazioni della nostra Parrocchia.Le associazioni che hanno piacere di condivi-dere i propri appuntamenti possono informar-ci scrivendo alla casella di posta elettronica

[email protected].


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