Date post: | 17-Feb-2016 |
Category: |
Documents |
Upload: | loredana-magda |
View: | 18 times |
Download: | 3 times |
TEORIA DEGLI IMPIANTI COMBINATI
Generalità e Caratteristiche principali. Cicli Termodinamici
L’impianto a ciclo combinato gas-vapore consiste essenzialmente nell’accoppiamento di un
impianto con turbina a gas (TG) e di un impianto con turbina a vapore d’acqua (TV) per il quale il
calore necessario sia ottenuto dal recupero termico dei gas di scarico della turbina a gas.
Ciò nasce dall’idea di voler sfruttare le peculiarità dei due cicli termodinamici che presiedono al
funzionamento degli impianti citati ed in particolare la caratteristica del ciclo a vapore di avere una
temperatura di sottrazione del calore costante piuttosto bassa e per gli impianti a gas il valore di
temperatura media di adduzione del calore invece abbastanza elevato.
E’ noto, infatti, assimilando un qualunque ciclo ideale ad un ciclo di Carnot equivalente, come il
sistema più efficiente di conversione dell’energia termica in energia meccanica consista nel
realizzare una trasformazione ciclica che abbia i valori di temperatura media di adduzione del
calore e quella di sottrazione del calore quanto più lontani possibile ossia che il rapporto Tma/Tms sia
quanto più alto possibile. In altri termini, per ottenere un rendimento termodinamico elevato
bisogna addurre calore ad alta temperatura (compatibilmente con la resistenza dei materiali
costituenti le apparecchiature) e sottrarre calore a bassa temperatura, tenuto conto che il limite
inferiore è dato dalla temperatura ambiente T0 cioè la temperatura a cui sono disponibili i fluidi in
natura.
Volendo studiare le caratteristiche dei due impianti e meglio giustificare tale soluzione, bisogna
ricordare come l’impianto con turbina a gas presenti delle limitazioni per quello che riguarda il
valore di temperatura di sottrazione del calore dal momento che si scaricano i gas nell’ambiente a
temperature ben più alte di quella ambiente (intorno ai 500 °C), mentre il limite per l’impianto a
vapore consiste proprio nel presentare una temperatura massima del ciclo non superiore ai 550 C
per motivi sia tecnologici che economici. Nasce così spontaneo combinare i due impianti (fig. 1) o
per meglio dire combinare i due cicli termodinamici, quello del ciclo a gas (ciclo Joule) e quello
dell’impianto a vapore (ciclo Rankine o Hirn) (fig. 2).
Nella pratica, si sfrutta il calore trasferito dal combustibile che brucia in una turbina a gas ai gas
evolventi (TG) e poi il calore dei gas di scarico ad una temperatura che può andare dai 400 ai 600
°C della stessa TG per generare vapore saturo o surriscaldato da fare espandere in una turbina a
vapore (TV). Ciò che permette tale “combinazione” tra questi due impianti è senza dubbio dovuto al
fatto che nella TG la frazione di energia termica non utilizzata, ossia non trasformata in energia
meccanica, è concentrata tutta nei gas di scarico ed è inoltre ad alta temperatura, a differenze di altri
impianti come i m.c.i. dove l’energia termica è rilasciata in varie parti nell’impianto e non
concentrata nei gas di scarico (fig.9).
Nel realizzate un ciclo combinato distinguiamo allora il ruolo del ciclo a gas detto sovrapposto o
“topping”, nel senso che governa il funzionamento dell’intero sistema, da quello “bottoming”, ossia
sottoposto, del ciclo a vapore che utilizza il calore scaricato ad un livello inferiore da un punto di
vista termodinamico. A livello di schema semplificato la figura 1 mostra quanto descritto nel caso
in cui i due fluidi evolventi (gas e vapore) siano ben separati, nel senso che nella caldaia a recupero
non avviene alcuna interazione o miscelamento tra i gas caldi provenienti dalla TG e l’acqua che
circola nei fasci tubieri. In questa schematizzazione non è prevista una combustione ulteriore nella
parte di impianto a vapore. Un componente nuovo di tale impianto è la caldaia a recupero, dove
avviene il riscaldamento dell’acqua, la sua evaporazione ed il surriscaldamento, in modo
completamente diverso rispetto a ciò che avviene in un generatore di vapore tradizionale.
Con tale tipo di ciclo è possibile ottenere un miglioramento del rendimento anche di 15-20 punti,
con potenze anche doppie (circa 150 %) rispetto ad un ciclo a gas semplice a parità di combustibile.
Lo sviluppo di tale ciclo e, quindi, le applicazioni industriali sono state possibili solo quando il
rendimento del ciclo a gas ha raggiunto valori accettabili, ossia con l’evoluzione tecnologica delle
macchine. Si ottengono così oggi impianti a ciclo combinato con rendimenti che raggiungono anche
il 60%.
Fig. 1 Schema semplificato dell’impianto combinato
Fig. 2 Diagramma entropico qualitativo per un ciclo combinato
1.5 2.0 2.5 3.0 3.5 4.0s [kJ/(kg K)]
400
800
1200
1600
T [K]
Rendimento del ciclo combinato
Ricaviamo ora l’espressione del rendimento di primo principio dell’impianto a ciclo combinato a
partire dallo schema di figura 9. Consideriamo che il rendimento globale della sola parte a gas sia
TG e Mf la quantità di combustibile iniettato nella camera di combustione della turbina a gas. Il
lavoro utile della sola turbina a gas sarà dato da :
LTG = Mf Hi TG (1)
con Hi il potere calorifico inferiore del combustile utilizzato e ricordando che il rendimento globale
è dato dal prodotto bTG rTG mTG, dove bTG è il rendimento di combustione poiché vi sono delle
perdite dovute alla combustione non completa (Eb), rTG il rendimento del ciclo termodinamico
reale dato dal rapporto tra energia realmente trasferita agli organi mobili della macchina e quella
ricevuta dal fluido agente (Lur/Q1), ed infine mTG il rendimento meccanico. Il calore rilasciato dal
ciclo a gas sarà:
Q2TG = bTG(1-rTG) Mf Hi (2)
La quantità Q2TG può essere recuperata in uno scambiatore di calore ai soli fini termici
(cogenerazione) oppure è recuperabile in un ciclo combinato con la caldaia a recupero, per ottenere
un ulteriore lavoro dalla parte a vapore pari a:
LTV = Q2TGI.V. (3)
Dove:
- tiene conto del recupero termico nella caldaia ed è pari al rapporto tra il calore recuperato in
caldaia e quello teoricamente recuperabile = Qrec/ Q2TG , tenendo conto quindi delle perdite al
camino e di quelle per dispersione termica verso l’esterno (indicate nello schema di figura 9 come
Estk e Edisp);
I.V. è il rendimento globale dell’impianto a vapore (a meno naturalmente del rendimento del
generatore a vapore), pari a LTV /Qrec.
Ciò premesso, possiamo definire il rendimento del ciclo combinato come:
cc = LTG + LTV = TG + Q2TGIV
Mf Hi Mf Hi
e tenendo conto della (2):
cc = TG + bTG(1-rTG)IV
possiamo ulteriormente esplicitare TG e I.V. ottenendo:
cc =bTG rTG mTG + bTG(1-rTG)mvaprvap
se ipotizziamo che i due rendimenti meccanici siano uguali avremo, infine:
cc =bTG m [rTG + (1-rTG)rvap]
a partire da tale espressione possiamo fare alcune considerazioni su come si possa ottimizzare il
rendimento di un ciclo combinato. Se supponiamo, ad esempio, di fissare rTG e quindi il ciclo a
gas, è chiaro che l’ottimizzazione del rendimento del ciclo combinato dipenderà esclusivamente dal
recupero termico () e dal ciclo a vapore (rvap) e quindi dal prodotto rvap. Se ricordiamo i
metodi per migliorare il rendimento di un impianto a vapore isolato, vediamo che non sempre le
migliori soluzioni quali, alzare la temperatura media di adduzione del calore o attuare la
rigenerazione con spillamenti, siano ottimali nel caso che l’impianto a vapore sia inserito in un ciclo
combinato. La curva di scambio termico gas-vapore potrebbe, infatti, peggiorare con uno di questi
interventi, abbassando il recupero termico e, quindi, influenzando negativamente il rendimento del
ciclo combinato. La scelta del ciclo a vapore è di conseguenza dettata da esigenze diverse rispetto al
caso in cui si consideri tale ciclo isolato e pertanto prima di eseguire operazioni che tendano ad
alzare rvap bisogna calcolare il valore che assumerebbe .
Nel caso in cui rTG non sia già determinato bisognerà ottimizzare anche questo per il ciclo
combinato oltre a , rvap. Anche per il rendimento del ciclo a gas bisogna dire come un suo
miglioramento non necessariamente ottimizza il rendimento del ciclo combinato, anzi talvolta si
verifica esattamente il contrario. Un esempio è dato proprio dalla tabella 3, riportata nel capitolo
successivo, dove un aumento del rapporto di compressione della TG da 15 a 30 peggiora il
rendimento in un impianto combinato laddove invece potrebbe migliorare il rendimento della sola
parte a gas, sempre che le macchine abbiano rendimenti interni elevati.
Eb = (1-b) MfHi perdite di combustione Em = (1-m) Lr perdite meccaniche Estk = perdite al camino Econd = perdite al condensatore Edisp = calore disperso verso l’esterno
Figura 9
TG
Mf Hi
Q2TG = bTG(1-rTG) Mf Hi
LTG= Mf Hi TG
Eb
Em
COGENERAZIONE
Impianto a vapore
Impianto Termico
CICLO COMBINATO
LTV= I.V. Q2TG Qu = Q2TG
Em
GVR
Estk Edisp
Econd
La caldaia a recupero (GVR) e lo scambio termico
L’organo peculiare degli impianti combinati è senza dubbio la caldaia a recupero che spesso è
indicata come GVR (Generatore di Vapore a Recupero) o come HRSG (Heat Recovery Steam
Generator). Essa è sede di trasferimento di calore tra i gas uscenti dalla TG e l’acqua che evolve
secondo il ciclo a vapore, dovendo provvedere alle seguenti operazioni:
1. riscaldare nell’economizzatore l’acqua proveniente dalla pompa di alimento;
2. vaporizzare l’acqua nel vaporizzatore;
3. surriscaldare il vapore nel surriscaldatore.
Durante tali operazioni, l’obiettivo della caldaia a recupero è sempre quello di ottenere:
- un alto recupero termico inteso come Qrec = mgas cp[Tg.in –TSTK] , ossia avere la minima
temperatura al camino (dove Tg.in è la temperatura di ingresso dei gas e TSTK quella in uscita
al camino);
- il miglior scambio termico espresso da Q = K S Tm (con K coefficiente di scambio
termico, S la superficie di scambio e Tm la differenza media di temperatura);
- minimizzare le irreversibilità nella fase di recupero termico che si traducono in perdite di
energia meccanica.
Gli ultimi due punti tendono ad andare in conflitto tra loro perché ridurre le irreversibilità significa
abbassare i s e cioè i Tm ed a parità di Q significa alzare il valore delle superfici di scambio
termico S, a discapito dei costi.
Da un punto di vista costruttivo i componenti citati (ai punti 1,2,3) sono fisicamente le parti della
caldaia ove avvengono le operazioni sul fluido ed in particolare, come descritto in figura 1, l’acqua
passa prima nell’economizzatore, poi nel vaporizzatore ed infine nel surriscaldatore, così come
avviene nella caldaia tradizionale. Il flusso di gas caldo percorre la caldaia in “controcorrente”
(ossia il flusso dei gas è opposto alla direzione di quello dell’acqua), a differenza di ciò che avviene
nella caldaia tradizionale, lambendo i banchi di tubi prima del surriscaldatore, poi del vaporizzatore
ed infine dell’economizzatore. Tale disposizione in controcorrente è di fondamentale importanza
per poter surriscaldare il vapore a beneficio del rendimento del ciclo e sfruttare la fase di
preriscaldamento del liquido per recuperare tutto il calore possibile dei gas nell’economizzatore,
migliorando così il recupero termico della corrente gassosa e riducendo ulteriormente la
temperatura dei gas prima di scaricarli in ambiente.
Fig .1 Generatore a recupero con unico livello di pressione
Bisogna comunque ricordare che in un ciclo a vapore è possibile cedere calore a temperatura
costante nella condensazione ma non è possibile addurre calore a temperatura costante, prevedendo
una fase di riscaldamento del liquido ed una di surriscaldamento a temperatura variabile, fasi che
pesano di più o di meno al variare della pressione e quindi vi è il problema della scelta di una
temperatura di evaporazione ottimale per il recupero e quindi di un livello di pressione ottimale che
sarà funzione della temperatura iniziale dei gas provenienti dalla TG. Un aumento della pressione
del ciclo a recupero permette, ad esempio, di ridurre le irreversibilità ma aumenteranno le perdite
legate allo scarico dei gas caldi nell’ambiente. Riguardo la configurazione in controcorrente è bene
osservare come la necessità di recuperare il calore del gas uscente dal vaporizzatore, non favorisca
la pratica degli spillamenti rigenerativi perché comporterebbero solo una dissipazione dei gas
ancora caldi nell’ambiente dal momento che l’acqua d’alimento entrerebbe nell’economizzatore a
temperatura più alta, oltre al fatto che si ha una perdita di potenza da parte della TV.
Anche da un punto di vista costruttivo la caldaia a recupero è molto diversa rispetto ad una caldaia a
combustione principalmente perché non esistono zone in cui i gas siano a temperature troppo
elevate (max 600 °C). Ciò significa che i problemi legati alle alte temperature di combustione
(>2000 C) che troviamo in una caldaia tradizionale, sono in questo caso superati, rendendo
possibile la disposizione in controcorrente ed, in particolare, la posizione del surriscaldatore a
contatto con i gas a più alta temperatura, cosa impossibile da realizzare in una normale caldaia a
combustione dove il surriscaldatore si deve tenere lontano dalla zona di fiamma per evitare
l’arrostimento dei tubi.
Fig.2 Tipico profilo di temperatura del ciclo gas di scarico/vapore con unico livello di pressione
Inoltre, in una caldaia a recupero si può realizzare l’evaporatore con semplici fasci tubieri perché lo
scambio termico avviene per convezione e non per irraggiamento come nella caldaia tradizionale
ove si rendono necessarie pareti membranate che circondano la zona di fiamma. Infine, è possibile
utilizzare per l’evaporatore e l’economizzatore tubi alettati che migliorano lo scambio termico
offrendo una maggiore superficie di scambio al fluido, senza aumentare le dimensioni dello
Tstk
Tin,g
Te
scambiatore con un costo peraltro ridotto. Nelle caldaie tradizionali, invece, tale soluzione non è
ammessa perché l’estremità dell’aletta raggiungerebbe temperature troppo alte e si danneggerebbe
(arrostimento dei tubi).
In figura 2, si riporta un diagramma del recupero termico nella caldaia a recupero Temperatura –
Potenza termica scambiata che rappresenta, come noto, il tipico piano di riferimento per lo studio
degli scambiatori di calore. In tale diagramma sono disegnate la curva di raffreddamento dei gas di
scarico (il raffreddamento avviene da sinistra verso destra) e quella di riscaldamento dell’acqua,
vaporizzazione e surriscaldamento (da destra verso sinistra). La temperatura di ingresso dei gas è
stata definita come Tin,g , mentre quella di uscita dalla caldaia è detta temperatura al camino (Tstk).
Da tale diagramma di mettono in evidenza le differenze di temperatura più significative nel
dimensionamento della caldaia.
In particolare, riconosciamo il T al pinch-point ( Tpp) che rappresenta la minima differenza di
temperatura nell’evaporazione, ossia tra i gas uscenti dall’evaporatore e la temperatura di
evaporazione (Te); il T all’approach point ( Tap) che rappresenta la minima differenza di
temperatura tra i gas entranti in caldaia (Tin,g) e la massima temperatura del vapore; ed infine il T
di sub-cooling o sottoraffreddamento (Tsc) che è la differenza tra la temperatura di evaporazione
(Te) e quella dell’acqua uscente dall’economizzatore.
Il Tpp ed il Tap sono importanti perché stabiliscono le caratteristiche termiche della caldaia ed in
fase di progetto vanno definiti con cura. Una variazione del Tpp modifica, infatti, la pendenza della
retta di raffreddamento dei gas, variando lo scambio termico, il rendimento di caldaia e la
temperatura dei fumi al camino. Al suo aumentare, a parità di temperatura di evaporazione,
aumenterà la temperatura dei gas di scarico e diminuirà l’efficienza del recupero termico, la portata
di vapore prodotta e di conseguenza la potenza del ciclo a vapore. Ciò si dimostra facilmente se si
indica con mvap la portata di vapore, un coefficiente di perdita termica che tiene conto della
potenza termica dispersa in fonti diverse dai gas di scarico (perdite elettriche, termiche,
meccaniche) rispetto alla potenza entrante con il combustibile ed applicando il bilancio energetico
all’evaporatore e al surriscaldatore avremo:
mvap(he + hSH) = mgas cp[Tg.in –T2g] s
dove T2g = Te + Tpp con Te temperatura di evaporazione dell’acqua. Il termine s tiene conto del
fatto che in realtà il calore contenuto nei gas e messo a disposizione non viene assorbito tutto dal
vapore bensì vi sarà inevitabilmente una dispersione verso l’esterno (perdite definite nello schema
di figura 9 come Edisp).
Si ottiene, quindi:
mvap = mgas cp[Tg.in – (Te + Tpp)] s he + hSH
Da cui si evidenzia il legame tra portata di vapore e il Tpp.
Per maggiore completezza, consideriamo anche l‘economizzatore ottenendo il bilancio complessivo
di energia, facendo riferimento alla figura 3 dove è riportato un ciclo a vapore nei due piani
caratteristici e da cui si individuano facilmente i salti entalpici relativi ai tre componenti della
caldaia:
mvap(he + hSH+hECO) = mgas cp[Tg.in –TSTK] s = K S Tm
(TSTK è la temperatura al camino, K il coefficiente di scambio termico, S la superficie di scambio e
Tm la variazione media di temperatura). Per la temperatura al camino vi sono dei limiti inferiori
dettati da vincoli di impatto ambientale (TSTK >100C). La pendenza della curva di raffreddamento
dei gas è legata al rapporto tra le portate vapore/gas, come si deduce dalla formula riportata sopra,
poiché:
cp [Tg.in –TSTK] = mvap htot mgas
Nonostante il fatto che per ottenere un miglioramento delle prestazioni termodinamiche si richieda
la massima riduzione del Tpp, vi è un limite imposto essenzialmente dai costi iniziali della caldaia
a recupero, perché un valore estremamente basso di tale differenza di temperatura implicherebbe
l’adozione di superfici di scambio termico grandissime. La scelta dunque del Tpp è dettata da
considerazioni oltre che tecniche anche economiche ed un buon compromesso di solito è dato da un
valore pari a 10 °C. Anche la scelta del Tap può influenzare il rendimento del ciclo a vapore, dal
momento che un suo aumento vede come conseguenza un abbassamento della temperatura massima
del ciclo a vapore, dato che è fissata la temperatura di ingresso dei gas. Un tipico valore di Tap è
25 °C.
Fig. 3 Ciclo a vapore sul piano t,s e sul piano h,s.
h
s
T
s
hSH
hE
hECO
La scelta corretta del Tsc invece è fondamentale per evitare che possa iniziare l’evaporazione nei
tubi dell’economizzatore, con presenza di bolle di vapore in grado di ostruire il passaggio
dell’acqua e creare oscillazioni di pressione. Un aumento di Tsc comporta una diminuzione di
calore che i gas forniscono all’acqua nell’economizzatore, influenzando quindi le prestazioni del
ciclo a vapore. Di solito il Tsc è scelto intorno ai 10 °C.
Ottimizzazione del T e costi dell’impianto.
Come si è già detto quando si sono introdotti i T caratteristici dello scambio termico, la scelta del
tpp ottimale è funzione di parametri oltre che tecnologici anche economici. Dalla tabella riportata
si vede come variano alcuni parametri di un ciclo a recupero al variare dei tre T caratteristici
rispetto ad un caso base dove essi sono pari a: Tpp = 10°C, Tap = 25°C,
Tsc =10°C.
L’aumento del t dello scambio termico è sicuramente una delle cause di irreversibilità, che spiega
quindi un peggioramento in termini di potenza sviluppata e rendimento del ciclo combinato.
pp =10 C
Tap=25 C
Tsc=10 C
pp
5 C
pp
20 C
Tap
10 C
Tap
50 C
Tsc
0 C
Tsc
20 C
Pel TV 65.20 66.52 62.62 65.66 64.46 66.46 64.03
mvap (kg/s) 67.19 68.49 64.58 66.32 68.70 68.44 66.00
Tcam(C) 147 140.5 160.1 148 145.3 140.7 153
E’ importante notare che una diminuzione dei conduce ad una soluzione termodinamica ottimale
ma richiede ampie superfici di scambio termico; non a caso infatti si cerca di trovare sempre un
compromesso scegliendo un valore conveniente anche da un punto di vista economico. In
particolare, la scelta del pp si esegue calcolando i minimi costi dell’impianto, la potenza elettrica
netta e il valore del coefficiente globale di scambio termico per la superficie di scambio, misurato in
kW/K.
Bisogna considerare un costo iniziale o di capitale della caldaia che è in pratica proporzionale al
coefficiente di scambio per la superficie e quindi diminuisce all’aumentare del pp . A questo si
aggiunge un costo addizionale dell’impianto legato invece all’aumento della potenza elettrica
sviluppata e che si verifica al diminuire del pp . Infine, un’altra voce sui costi è quella legata al
valore dell’elettricità che sale al diminuire della produzione di potenza e che si misura in euro/kWh.
Sommando i tre contributi e verificando l’andamento al variare del pp si verifica un punto di
minimo dei costi che corrisponde di solito a un valore del pp pari a 10 °C. In figura 3b si
riportano a titolo di esempio gli andamenti qualitativi della variazione dei costi in funzione del pp.
figura 3b. Diagramma qualitativo dei costi legati al GVR
vari
azio
ne
del
co
sto
an
nu
o
DT pinch-point, C
costo totale
costo GVR
costo per mancata produzione elettrica
costo impianto
Cicli combinati a più livelli di pressione
Finora si è fatto riferimento a una caldaia a recupero a un unico livello di pressione per quello che
riguarda la parte a vapore, ma abitualmente si realizzano caldaie a più livelli di pressione per
ottimizzare lo scambio termico e dunque il rendimento.
Realizzando un ciclo a vapore a più pressioni di evaporazione (multilivello) si permette di limitare
le dissipazioni del potenziale exergetico dei gas agli scambi termici tra gas e vapore. Tale soluzione
si basa sul concetto che per limitare le irreversibilità nello scambio termico tra gas e vapore si deve
ridurre il T sotto cui avviene la cessione di calore dalla sorgente al ciclo. La scelta dei livelli di
pressione sarà frutto di un’ottimizzazione contemporanea delle varie pressioni operative del ciclo.
Applicando tale metodo sia alla fase di evaporazione sia a quelle di preriscaldamento e
surriscaldamento, si ottengono configurazioni differenti della caldaia, dove è previsto il ciclo a due
o più livelli, con e senza risurriscaldatore. A titolo di esempio sono riportati alcuni schemi di caldaia
a due o tre livelli di pressione (figg. 4-5), dove è possibile distinguere le varie parti del sistema.
In figura 4 si distingue, inoltre, il degasatore, di importanza notevole per la caldaia perché libera
l’acqua dai gas disciolti (aria) che andrebbero ad occupare dei volumi compromettendo il
funzionamento dell’impianto e creando fenomeni corrosivi. Il degasatore è in pratica un serbatoio a
pressione maggiore di quella atmosferica dove viene introdotto del vapore che riscalda l’acqua di
alimento fino quasi alla temperatura di saturazione in corrispondenza della quale la solubilità dei
gas è nulla, facendo così salire le bolle d’aria a galla. Il vapore che serve a tale scopo non viene
spillato alla turbina perché, come detto, in un impianto combinato tale intervento provocherebbe
solo perdita di potenza alla turbina a vapore, ma generato direttamente nella caldaia sfruttando il
calore del gas a bassa temperatura. Se la quantità di vapore generato supera addirittura quello che
serve per il degasatore, esso sarà spedito alla turbina ad incrementare il lavoro. In figura 9 sono
descritti gli schemi con cui è possibile utilizzare il degasatore.
Fig. 4 Caldaia a recupero a due livelli di pressione (*)
*tratto da Macchine di R. .della Volpe
In figura 5 è descritta una caldaia a tre livelli di pressione senza risurriscaldamento e in fig. 6 per lo
stesso tipo di configurazione si nota anche la presenza di un altro elemento: il bypass. Esso consente
di deviare i gas di scarico direttamente in atmosfera senza attraversare la caldaia per permettere il
funzionamento della TG anche quando è fermo l’impianto a vapore e serve a regolare la produzione
di vapore stesso. E’ un elemento delicato e costoso che viene installato solo se ritenuto
operativamente importante in una centrale.
Fig. 5 Ciclo a tre livelli di pressione (**)
Fig. 6 Ciclo combinato a tre livelli di pressione con by-pass
Fig. 7 Tipico profilo di temperatura del ciclo gas di scarico/vapore per un sistema a tre livelli di pressione con risurriscaldamento
0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 4500h [kJ/kg]
0
100
200
300
400
500
600
700
T [C]
0.0 2.0 4.0 6.0 8.0 10.0s [kJ/(kg K)]
0
100
200
300
400
500
600
T [C]
In f
di p
cicl
attu
recu
piu
tito
Uti
diss
eva
con
bas
L’
term
agg
turb
figura 7, si d
pressione (a
lo Hirn. T
ualmente ne
upero exerg
uttosto bassa
olo a fine esp
Fig 8
ilizzando un
sipata al cam
aporazione r
n la possibi
ssa pression
adozione di
mica scamb
giunge anch
bina a vap
descrive l’a
alta HP, int
Tale tipo d
ella pratica d
getico ma sp
a (tra 15 e
pansione.
8 Caldaia a
n ciclo a d
mino si ridu
ridurrà le di
lità comunq
e.
i un 3 livell
biata ad alt
he il risurri
pore. La
andamento d
ermedia IP
di configura
dei cicli com
pecialmente
30 bar), pr
recupero a
due livelli
urrà dal 10
ifferenze di
que di otte
li migliora i
ta temperat
iscaldament
progressiva
delle temper
e bassa LP
azione (3
mbinati la s
e perché il r
reviene la
a tre livelli
invece del
al 20 % al
temperatur
enere un bu
il recupero
tura, specia
to che favo
a complica
rature gas –
P) con risur
livelli con
celta miglio
risurriscalda
formazione
di pression
l monolivel
l’incirca e i
ra nella zon
uon recuper
a bassa tem
almente se
orisce tra l
azione dell
– vapore per
rriscaldamen
risurriscal
ore (fig.8), s
amento, effe
e di liquido
ne con risur
llo, la quot
inoltre una
a di alta tem
ro termico
mperatura e
al caso 3
l’altro anch
lo schema
r una caldai
nto (RH) ed
ldamento) r
sia perché è
ettuato a un
in turbina
rriscaldam
ta di poten
maggiore p
mperatura d
con l’evapo
incrementa
livelli di p
he le presta
d’impianto
ia a 3 livelli
d il relativo
rappresenta
è migliore il
na pressione
dato l’alto
mento (**)
nza termica
pressione di
della caldaia
orazione di
a la potenza
pressione si
azioni della
o migliora
i
o
a
l
e
o
a
i
a
i
a
i
a
a
sicuramente le prestazioni sebbene il ciclo a 3 livelli semplice non offra poi grandi vantaggi
rispetto a un 2 livelli ( per questo non si va mai oltre i 3 livelli di pressione di solito), ossia
non c’è un salto enorme di qualità salvo che non si aggiunga al 3 livelli anche il
risurriscaldatore. Tale ultimo elemento non sarebbe invece sfruttato completamente con un 2
livelli. Infine, è importante sottolineare come complicando il ciclo aumenteranno le superfici
richieste per lo scambio termico, quindi i costi iniziali che però saranno ampiamente
compensati dall’aumento di potenza prodotta. La tabella 1 riporta le principali variabili di
progetto dei cicli combinati con diversi assetti (monolivello = 1L; 2 livelli = 2L; 2 livelli
con risurriscaldamento = 2LR; 3 livelli = 3L; 3 livelli con risurriscaldatore = 3LR) per poter
Fig. 9 Quattro possibili schemi per il funzionamento del degasatore (**)
eseguire un confronto al variare della TG e della temperatura dei gas allo scarico. C’è da
dire che in generale il rendimento è scarsamente influenzato dal rapporto di compressione
della TG perché l’energia termica ad alta temperatura dispersa allo scarico da un ciclo con
basso viene comunque recuperata dal ciclo a vapore sottoposto con un II più alto. Il lavoro
specifico invece cresce al diminuire di per la maggiore potenza sviluppata dalla TV. Si
considera come ottimale un valore che va da 12 a 18.
Tabella 3. Prestazioni e valori ottimizzati delle principali variabili di progetto di cicli combinati (**)
(**) tratto da ‘Turbine a Gas e Cicli Combinati’ di Lozza
Fig. 10 Costruzione modulare di una caldaia a circolazione forzata con disposizione orizzontale
Fig. 11 Costruzione modulare di una caldaia a circolazione forzata con disposizione verticale
Classificazione degli Impianti Combinati La classificazione degli impianti combinati può essere fatta secondo vari criteri basati ad esempio
sulle caratteristiche dell’impianto oppure sul tipo di ciclo termodinamico (numero dei livelli di
pressione in caldaia, numero di fluidi utilizzati e tipo di fluido) o su come sono disposte le macchine
(numero di alberi presenti nell’impianto). Un modo, ad esempio, per classificare gli impianti
combinati può avvenire come descritto nel diagramma a blocchi di figura 1.
Fig. 1 Classificazione degli impianti combinati (Wunsh, 1978)
Tale diagramma riporta una delle classiche classificazioni basata sul tipo di caldaia (con e senza
post combustione e numero di livelli di pressione) che abitualmente, infatti, è uno dei criteri con cui
si classificano gli impianti combinati, cioè proprio quello relativo alla presenza di eventuali
bruciatori ausiliari nella caldaia a recupero. A questo criterio se ne aggiunge un secondo che
riguarda la “storia” dell’impianto, ossia se esso è nato per essere a ciclo combinato o adattato a tale
scopo. Per maggiore chiarezza diciamo allora che:
a) Nel primo tipo di classificazione distinguiamo l’impianto combinato in cui il vapore è ottenuto
dal calore dei soli gas di scarico della TG (unfired cycle), dall’impianto in cui sono presenti uno o
più bruciatori ausiliari, posti prima della sezione di scambio termico della caldaia, che sfruttano i
gas di scarico della TG come comburente (exhaust fired cycle o ciclo con post-combustione).
b) Nel secondo caso distinguiamo un impianto combinato realizzato ad hoc, ossia progettato per
essere a ciclo combinato, dal caso che un impianto a vapore già esistente sia trasformato in impianto
combinato con l’aggiunta di un gruppo turbogas e con la sostituzione della caldaia con una a
recupero (repowering).
Impianto combinato senza bruciatori ausiliari e con bruciatori ausiliari (post-
combustione)
Unfired
Fino ad ora ci si è riferiti ad impianti unfired in cui il calore necessario per il ciclo a vapore era
associato esclusivamente al flusso dei gas caldi provenienti dalla TG che lambendo i fasci tubieri
nella caldaia a recupero trasferiva calore all’acqua senza l’aggiunta di ulteriore combustione e,
quindi, combustibile in caldaia (fig.2). In tal caso, come detto precedentemente, la caldaia a
recupero è costruttivamente semplice rispetto ad un caldaia tradizionale date le temperature più
contenute.
Per tale tipo di impianto abbiamo ricavato l’espressione del rendimento (vedi pag.6) a partire dallo
schema già noto di figura 4 e pari a:
cc = LTG + LTV = TG + Q2TGIV
Mf Hi Mf Hi
Fig. 2 Fig. 3
oppure, nell’ipotesi che i due rendimenti meccanici siano uguali :
cc =bTG m [rTG + (1-rTG)rvap]
1.5 2.0 2.5 3.0 3.5 4.0s [kJ/(kg K)]
400
800
1200
1600
T [K]
2.0 2.5 3.0 3.5 4.0s [kJ/(kg K)]
400
800
1200
1600
T [K]
Fig. 4
Fired
E’ possibile, qualora si rendesse necessario, potenziare l’impianto con una ulteriore combustione in
caldaia sfruttando l’ossigeno presente nei gas di scarico, dal momento che, come noto, la
combustione nell’impianto a gas avviene con eccesso di ossigeno per contenere le temperature entro
i limiti tecnologici ammessi per le palette di turbina (fig. 3). In tal modo i gas possono essere ancora
utilizzati come comburente in una camera di combustione, con l’aggiunta naturalmente di ulteriore
combustibile (oltre a quello che si utilizza nella camera di combustione della TG) per realizzare una
TG
Mf Hi
Q2TG = bTG(1-rTG) Mf Hi
LTG= Mf Hi TG
Eb
Em
COGENERAZIONE
Impianto a vapore
Impianto Termico
CICLO COMBINATO UNFIRED
LTV= I.V. Q2TG Qu = Q2TG
Em
GVR
Estk Ediss
Econd
post-combustione che permetta di aumentare la potenza della turbina a vapore. Il combustibile
utilizzato nella post-combustione potrebbe in questo caso anche essere carbone, olio o in generale
combustibile pesante, non essendoci alcun problema per i residui solidi come avviene nella parte a
gas in cui la combustione è interna ed i gas combusti espandono direttamente in turbina.
E’ chiaro che con tale pratica le temperature in caldaia saranno ben superiori a quelle nel caso
unfired avvicinandosi a quelle di una caldaia convenzionale, essendo presente una combustione con
le tipiche temperature di fiamma. Con tale pratica, la potenza della sezione a vapore sarà maggiore
rispetto al caso unfired ed il rapporto tra le potenze erogate dalle due sezioni varierà in base al grado
di post-combustione.
Con tale pratica si recupera ancor di più il calore introdotto dai gas, conducendo a valori, infatti,
più bassi della temperatura al camino, una volta fissato naturalmente il Tpp e partendo da un
livello termodinamico più alto con conseguente maggiore produzione di vapore (fig. 5). Altra
soluzione potrebbe essere quella di mantenere inalterato il valore della temperatura al camino,
specialmente se è già quello minimo ammesso, e aumentare il Tpp. In tal modo è possibile
utilizzare in caldaia un livello di pressione più alto per ridurre le irreversibilità nello scambio
termico.
Fig. 5 Modifica della curva di raffreddamento dei gas con la post-combustione
E’ evidente, quindi, che il vantaggio della post-combustione non risiede solo nell’aumento di
potenza, ma anche nel migliore recupero termico dalla corrente gassosa originaria, che si ritiene
utile essenzialmente nelle applicazioni cogenerative. Inoltre, è possibile una certa flessibilità di
esercizio dell’impianto con post-combustione, variando la potenza erogata in base alle richieste del
momento.
La post-combustione può influenzare però negativamente il rendimento del ciclo combinato. Ciò si
giustifica esaminando l’espressione del rendimento nel caso in esame:
cc(fired) = LTG + L’TV (4)
Mf Hi +(Mf Hi)v
Al denominatore compare ora un termine in più rispetto al caso unfired e cioè (Mf Hi)v mentre al
numeratore il lavoro ottenuto dalla parte a vapore è incrementato di un L rispetto a quello che si
ottiene nel caso unfired, ossia L’TV = LTV + LTV.
L’espressione (4) diventa allora:
Tin,g(fired)
Tin,g
TSTK(fired)
TSTK
Potenza termica scambiata
Temperatura
cc(fired) = LTG + LTV + LTV = Mf Hi cc(unfired) + (Mf Hi)vI.V.
Mf Hi + (Mf Hi)v Mf Hi + (Mf Hi)v
Si evince da tale espressione come il rendimento nel caso fired è sempre minore del caso unfired
poiché il rendimento del solo impianto a vapore è sempre minore di quello del ciclo combinato
unfired, ossia I.V. < cc(unfired). Ciò si deduce anche considerando che con la post-combustione si
ha un aumento del Tm e dunque delle irreversibilità e quindi, come conseguenza, un abbassamento
del rendimento complessivo (fig.5).
La situazione migliora al migliorare del rendimento del ciclo a vapore compatibilmente agli attuali
vincoli tecnologici anche se, in ogni caso, il rendimento dell’impianto combinato fired non
raggiunge mai i valori del rendimento unfired. Anche per tale motivo l’applicazione degli impianti
fired è attualmente meno frequente di quelli semplici unfired.
Il diagramma a blocchi di figura 4 rimarrà invariato tranne che per la parte a vapore dove vi è
l’aggiunta di ulteriore combustibile e cioè del termine (Mf Hi)v (fig. 6).
Figura 6
I. V.
Ciclo Combinato fired
L’TV= LTV + LTV
(Mf Hi)v
Q2TG
Repowering
Come si è detto, un impianto combinato può essere realizzato ex novo (fig.7) o modificando un
impianto a vapore già esistente, in tal caso parliamo di repowering perché ripotenziamo l’impianto
aggiungendo un gruppo turbogas e dunque aumentando la potenza complessiva. Tale intervento è
possibile laddove vi sia lo spazio per aggiungere la TG (cosa quasi certa date le ridotte dimensioni
di un impianto con TG) e risulta sicuramente più semplice ed economicamente conveniente che
realizzare un nuovo impianto a potenza più elevata e rendimento più alto.
I modi per attuare tale intervento sono diversi e funzione naturalmente del tipo di impianto
originario, delle caratteristiche del suo ciclo termodinamico e naturalmente dai costi sia di impianto
che di esercizio da affrontare. Descriviamo i principali schemi di repowering che si realizzano
attualmente (fig.8):
I. Preriscaldamento dell’acqua di alimento.
Abitualmente per preriscaldare l’acqua di alimento della caldaia si realizzano degli spillamenti di
vapore dalla turbina a vapore, a discapito della potenza erogata. Con l’inserimento della turbina gas,
tale applicazione si può evitare preriscaldando l’acqua con vapore prodotto con i gas di scarico
della TG. In tal modo si aumenta la portata di vapore alla turbina a vapore e quindi la potenza
erogata, senza dover eseguire interventi complessi e costosi sull’impianto. E’ chiaro che tale
procedura è possibile se si rientra nei limiti progettuali della turbina, dell’alternatore e del
condensatore per l’aumento di portata di fluido.
Si ottiene con tale tipo di intervento una aumento in termini di potenza stimabile intorno al 20-30%,
ed in termini di rendimento un qualche percento di incremento.
II. Generazione di vapore a media pressione.
In questo caso la trasformazione consiste nell’introdurre sempre un gruppo turbogas che deve però
generare vapore surriscaldato alle stesse condizioni di temperatura e pressione di quello del
risurriscaldamento del ciclo a vapore. Vi sarà, quindi, una caldaia a recupero aggiunta in cui i gas
caldi provenienti dalla TG riscalderanno l’acqua fino alle condizioni suddette. Il vapore prodotto
andrà alla sezione di turbina di media pressione unitamente a quello della caldaia principale. In tal
modo si ottiene una potenza maggiore (abbiamo incrementato la portata di vapore e aggiunto la TG)
ed un rendimento più alto. I problemi possono sorgere se l’impianto, non essendo in origine nato
per portate elevate di vapore, non si adatti a tale cambiamento, ed in tal caso si riduce la portata
nella parte alta pressione per compensare l’aumento in media. Un esempio di schema di questo tipo
di impianto è riportato in figura 9.
Nei due casi esaminati non vi sarà comunque un grosso incremento di rendimento, come
evidenziato in tabella (fig. 8), poiché sono presenti nella caldaia a recupero differenze elevate di
temperatura tra gas e acqua/vapore favorendo le irreversibilità. Il recupero termico, inoltre, non è
ottimale poiché non si riesce a sfruttare tutto il calore contenuto nei gas di scarico.
III. Ricombustione in caldaia.
Un terzo tipo di repowering consiste nell’utilizzare direttamente i gas uscenti dalla TG come
comburente per la combustione nella caldaia tradizionale dell’impianto a vapore. In questo caso,
quindi, non è necessaria la presenza della caldaia a recupero. In tal modo vi è un ottimo recupero
termico dei gas di scarico ed un risparmio anche di combustibile poiché l’aria che entra in camera di
combustione è ad alta temperatura. E’ evidente che la caldaia dell’impianto a vapore deve subire
delle modifiche per l’aumento di portata di aria comburente. Esse sono piuttosto costose e pertanto
spesso tale intervento viene realizzato solo quando la caldaia necessita, per altri motivi, interventi di
manutenzione o addirittura una sostituzione che implicano una necessaria interruzione delle attività
della centrale e dei costi aggiuntivi. La ricombustione comporta un aumento del rendimento, come
riportato nella tabella di figura 8.
IV. Potenziamento senza post-combustione
In tal caso i gas caldi provenienti dalla TG vengono inviati in una caldaia a recupero introdotta
nell’impianto in sostituzione della caldaia originaria. Anche la linea di preriscaldamento dell’acqua
sarà disattivata. Si tratta chiaramente di un intervento molto più significativo rispetto ai precedenti,
poiché nuovi componenti sono inseriti ed altri totalmente eliminati. In alcuni casi si eliminano
anche gli spillamenti rigenerativi, modificando di conseguenza le portate di vapore nella parte
media e bassa pressione e dovendo così adeguare la turbina a vapore a tale variazione di
funzionamento. Ciò implica tempi di realizzazione lunghi e costi piuttosto alti, sebbene in questo
caso possiamo triplicare la potenza dell’impianto già esistente (si consideri che la TG eroga di solito
una potenza che è il doppio di quella a vapore) ed arrivare a rendimenti anche superiori al 50%. La
combustione avverrà quindi solo nella parte a gas e per impianti di alta potenza questo
implicherebbe un alto consumo di gas naturale e perciò difficilmente si realizza. Frequenti, invece,
sono i repowering per le centrali di potenza minore (ad es. 80-150 MW), specialmente se con
generatori di vapore oramai vecchi e poco funzionanti che comunque dovevano essere sostituiti. A
titolo di esempio in figura 10 è illustrato un impianto a cui è stato eseguito un repowering unfired.
Fig. 8 Schema concettuale di varie possibilità di repowering di centrali a vapore con turbine a gas.
Impianti combinati a singolo albero e multi-albero
Un ulteriore modo per poter classificare gli impianti combinati è basato sul numero di alberi
presenti nell’impianto o meglio sul numero di generatori elettrici per ogni gruppo gas/vapore. Nella
maggior parte degli impianti combinati nati da repowering, il sistema si presenta a due alberi con
due generatori distinti, uno calettato sull’albero della turbina a gas, l’altro su quello della turbina a
vapore, come nella figura 10. Negli impianti combinati realizzati ex novo si può attuare una tecnica
diversa, ossia quella di mettere in sequenza le turbine ed il generatore calettandoli su di un unico
albero. La disposizione a singolo albero è di solito costituita dal gruppo turbogas all’inizio, la
turbina a vapore al centro ed il generatore elettrico alla fine (fig. 11).
Fig.11 Configurazioni a singolo albero per un impianto combinato
Tale stretto accoppiamento tra turbine a gas e vapore permette di ottenere una integrazione
meccanica piena come se fosse un unico motore per minimizzare la lunghezza complessiva. Il fatto,
inoltre, di avere un accoppiamento rotorico compatto aumenta l’affidabilità e semplifica il controllo
delle velocità ed i sistemi ausiliari. Vi è un unico sistema per la lubrificazione con pompe che
provvedono all’olio per i cuscinetti sull’albero ed un unico sistema idraulico ad alta pressione per i
meccanismi di controllo e di protezione. Tutte le macchine sono poste su di una unica fondazione,
mentre gli altri moduli sono ad un livello più basso. La turbina a vapore può essere a singolo flusso
o a doppio flusso ed a tre livelli di pressione con risurriscaldamento. In tabella 1 si mostra
l’esperienza condotta dalla GE dal 1968 ad oggi svolta su ben 86 unità di cicli combinati a singolo
albero con una potenza installata di 18000 MW.
Tabella 1 Applicazioni di impianti combinati con singolo albero della General Electric
In tabella 2 si riporta un confronto tra due tipi di impianto combinato, il primo a singolo albero ed il
secondo multi-albero con una sola turbina a gas ed una sola turbina a vapore. L’impianto multi-
albero prevede due generatori elettrici, con relativi connettori e trasformatori, a differenza del
mono-albero che ne prevede uno solo. Anche le fondazioni su cui poggiano tutte le macchine sono
di due livelli nel multi-albero e di uno solo nel mono-albero, comportando ovviamente delle spese
ridotte per quest’ ultimo. I costi, infatti per il mono-albero sono più bassi ed anche lo spazio che si
occupa è minore. Il funzionamento dei due tipi di impianto è pressoché simile tranne che per la
manutenzione delle parti in movimento che è più agevole nel mono-albero, anche se per questo il
funzionamento in ciclo semplice è praticamente interdetto. La possibilità di far lavorare solo la
parte a gas (specialmente negli impianti con cogenerazione può essere richiesto) non è prevista con
il mono-albero, tranne nei casi in cui il generatore sia posto al centro tra turbina gas e turbina a
vapore (la configurazione allora è detta a “spiedo”) e quindi si può sconnettere il giunto tra
generatore e turbina a vapore (fig.14). Le operazioni di partenza e fermata sono invece ritenute
semplici in entrambi i casi. Come noto, la partenza veloce è caratteristica degli impianti combinati,
permettendo di operare a carico parziale, per servizi di punta o per servizi di base. Tipicamente i
sistemi a ciclo combinato possono raggiungere il pieno carico in una ora quando la partenza è a
caldo e in circa tre ore se è a freddo.
Tabella 2. Confronto tra impianti combinati a singolo albero o a multi-albero.
Fig. 12 Tempi di partenza per un impianto a più alberi
Fig. 13 Tempi di partenza per un impianto a singolo albero
Un impianto multi-albero permette alla turbina a gas di partire indipendentemente dall’impianto a
vapore e raggiunge il 65% della capacità dell’impianto in 15-25 minuti, in base alla taglia della
turbina, e di tipo di stato alla partenza (freddo, caldo ..), come illustrato in figura 12.
Gli impian
rispetto ai
carico, poi
separate.
nti a singol
multi-alber
iché le turb
lo albero im
ro (figura 13
bine a gas e
Fig. 14
mpiegano c
3). Ciò che
e a vapore p
4 Impianto
circa lo ste
differisce è
partono con
o a singolo a
esso tempo
è la sequen
n una unità
albero a “s
per raggiu
za della par
à integrata s
piedo”
ungere il pi
rtenza ed il
singola e no
ieno carico
profilo del
on con due
o
l
e
Evoluzione del ciclo combinato
L’evoluzione tecnologica delle turbine gas (da 50 MW a 380MW) degli ultimi quaranta anni, ha
favorito lo sviluppo degli impianti combinati, altamente efficienti ed economicamente convenienti
se confrontati agli impianti a vapore tradizionali. Questi ultimi non hanno avuto dagli anni ’60 ad
oggi dei miglioramenti significativi in quanto i guadagni termodinamici conseguibili con condizioni
spinte di vapore, come ad esempio temperature superiori ai 600C, non giustificano i maggiori costi
né i rischi che queste operazioni possono comportare. Negli anni le configurazioni degli impianti
combinati sono variate e migliorate sia in termini di rendimento che di controllo delle emissioni
inquinanti, dovendo rispettare le vigenti normative in materia di inquinamento ed impatto
ambientale. Dagli anni ’90 in poi si sono rese disponibili inoltre sul mercato turbine a gas di terza
generazione, ossia con il maggior rendimento ottenibile, sia in ciclo semplice che in ciclo
combinato, per effetto del più elevato rapporto di compressione e della maggiore temperatura
ingresso turbina. In particolare, l’innalzamento di tale temperatura permette di ottenere una
maggiore potenza specifica con positivi riflessi sul rendimento di un impianto combinato.
tabella 1 . Turbina a gas nel ciclo combinato di prima generazione
Le tabelle 1,2e 3 riassumono l’evoluzione degli impianti combinati, in termini di tipo di turbina a
gas con potenze via via sempre più alte, di ciclo a vapore (livelli di pressione), di controllo delle
emissioni, nonché del combustibile usato. In figura 1 si riporta un esempio di impianti combinati
(STAG è l’acronimo di STeam And Gas) di avanzata tecnologia con rendimenti del 60% e valori
molto bassi di NOx, grazie alle moderne tecniche di riduzione di inquinanti, di cui si parlerà
successivamente.
tabella 2. Caratteristiche di un impianto a ciclo combinato di seconda generazione
tabella 3. caratteristiche degli impianti combinati di terza generazione
Fig.1 Impianto a ciclo combinato di avanzata tecnologia
In figura 2 è riportato l’andamento del rendimento del ciclo combinato per gli impianti della
General Electric, dagli anni ’70, ossia quando è iniziata la sua reale comparsa sul mercato, fino al
2000, con valori più recenti che superano il 50%.
Fig.2 Andamento del rendimento degli impianti a ciclo combinato negli anni
In figura 3 si riporta l’evoluzione del rendimento dei cicli a vapore e dei cicli combinati a partire
dall’inizio secolo. Le lettere A-E indicano i vari stadi evolutivi della tecnologia a vapore; A = cicli
a vapore saturo; B = cicli rigenerativi; C = cicli rigenerativi con surriscaldamento; D = cicli con
risurriscaldamento; E = cicli ipercritici con doppio surriscaldamento. Si nota come con un
funzionamento più spinto del ciclo a vapore si ottengono rendimenti superiori al 40%, sebbene,
come detto non sempre si ritiene opportuno eseguire tale tipo di intervento. Le prestazioni dei cicli a
vapore più spinti sono ferme oramai dagli anni ‘60 come testimonia il confronto tra la centrale USA
di Eddystone e quella giapponese Kawagoe. Entrambi questi impianti sono ipercritici con doppio
surriscaldamento. In ogni caso da A a D è evidente un miglioramento attuando i classici metodi con
spillamenti di vapore e risurriscaldamento atti ad alzare il valore di rendimento del ciclo. Il minore
rendimento delle centrali USA rispetto a quelle ENEL in parte è da attribuirsi ad un maggiore uso
delle torri evaporative. E’ da notare che il rendimento medio annuale degli impianti commerciali è
minore dello stato dell’arte a causa della obsolescenza degli impianti ed il funzionamento a carico
non nominale.
USA
1.900 1.920 1.940 1.960 1.980 2.000 2.0200
10
20
30
40
50
60
70
aa
aa
Media annuale centrali ENEL200 - 500 MW
Media annuale centrali ENEL
Media annuale centrali ENEL
Stato dell'arte cicli combinati
Stato dell'arte cicli a vapore
ANNO
RE
ND
IME
NT
O %
A
B
CD
EEddystone
Kawagoe
USC
IGCC
Fig. 3
Evoluzione del rendimento dei cicli a vapore e dei cicli combinati a partire dall’inizio secolo.
In figura 4 è descritto l’andamento del rendimento percentuale per il ciclo semplice con turbina a
gas per tecnologie sempre più avanzate, per il ciclo a vapore e per quello combinato a due livelli di
pressione e a tre livelli con risurriscaldamento. Si nota come il rendimento del ciclo combinato
tenda al 60% dopo l’anno 2000. In figura 5 è riportato lo schema di un impianto con le prestazioni
ottenibili con cicli combinati che non prevedono miscelamenti tra gas e vapore o acqua. La
previsione delle prestazioni si basa su ipotesi rappresentative del miglior stato dell’arte di grandi
turbine heavy duty con potenza unitaria di 200 MW: temperatura massima = 1250 C,
raffreddamento delle pale di turbina a film, ciclo a vapore a tre livelli di evaporazione, se necessario
ipercritico, con risurriscaldamento. Le sigle indicano le varie opzioni impiantistiche considerate:
CC = ciclo combinato; I= compressore interrefrigerato; Rg = rigeneratore interposto tra turbogas e
caldaia; Rh = ricombustione. I numeri sopra ciascun punto indicano i rapporti di compressione del
turbogas. Con l’odierna tecnologia (alte Tin in turbina, tecniche di raffreddamento sofisticate, elevati
rendimenti delle turbomacchine, cicli a vapore spinti con temperature massime di 565 C, tre livelli
di vaporizzazione e risurriscaldamento, estese superfici di scambio nella caldaia a recupero) la
qualità termodinamica dei cicli combinati semplici è di tutta eccellenza, ottenendo, infatti, la
conversione in energia elettrica di quasi il 70% di quanto si otterrebbe con una catena di processi
reversibili utilizzanti come sorgente di energia una combustione isoterma a 1250 C. L’aggiunta di
interrefrigeratori e rigeneratori comporta vantaggi relativamente modesti, mentre si otterrebbero
notevoli miglioramenti, specialmente in termini di lavoro specifico, con la ricombustione nella
turbina gas, operazione che però richiede ulteriori sviluppi e grossi investimenti.
Fig. 4
Fig.5 [Lozza]
In figura 6 sono riportate le potenze ed i rendimenti delle turbine a gas e dei cicli combinati
disponibili sul mercato negli anni ‘90. I cicli combinati sono presenti in una vasta gamma di
potenze, da una decina fino a molte centinaia di MW, sebbene non si possa parlare di un limite
superiore poiché le soluzioni sono modulari, ed una stessa turbina a vapore può essere alimentata
dal vapore prodotto dagli scarichi di più turbine. In figura si individuano diverse tipologie ad
elevato rendimento, in particolare nella classe di potenza 20-50 MW i cicli combinati che utilizzano
turbine aeronautiche avanzate e nella classe di potenza 150-1000 MW i cicli combinati che
utilizzano macchine heavy-duty.
Fig. 6 [Lozza]
Tali tipi di cicli raggiungono valori simili di massimo rendimento (52%-53%), nonostante il fatto
che il primo gruppo (basse potenze) lavori con turbine con rapporto di compressione elevato e
rendimento del 40% in ciclo semplice, mentre nel secondo gruppo (alte potenze) le turbine hanno
rendimenti più bassi (35%), minori rapporti di compressione ma temperature allo scarico più alte
(540-600 C) e quindi un elevato recupero termico nel ciclo a vapore sottoposto. Attualmente con le
turbine gas di terza generazione con alti rendimenti si raggiungono, come detto in precedenza,
rendimenti del ciclo combinato superiori al 55% riportato in figura 6.