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Argentina e Israele diario di viaggio

Date post: 15-Mar-2016
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di Claudio Bottagisi
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Page 1: Argentina e Israele diario di viaggio
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Page 3: Argentina e Israele diario di viaggio

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A mia madre...perché nei miei viaggi

comunque lei c’è

A mio padre...perché comunque

ci sarebbe stato

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Testi e fotografi e

Claudio Bottagisi

Progetto grafi co

Day&Night Graphic di Simona Lissoni

Mandello del Lario (LC)

Selezioni fotografi che

Al di Alberto Locatelli, Lecco

Stampa

Cattaneo Paolo Grafi che s.r.l., Oggiono

Proprietà letteraria riservata di Claudio Bottagisi a norma

delle vigenti leggi nazionali e internazionali per i diritti di

riproduzione, parziale o totale, salvo consenso scritto.

© 2006 Claudio Bottagisi

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Argentina e IsraeleDiario di Viaggio

di Claudio Bottagisi

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Dal Sudamerica al Medio Oriente, dall’Argentina a

Israele. Due viaggi in due Paesi di grande fascino, due

viaggi da favola e in quanto tali da ricordare e da rac-

contare, affi dandone la descrizione alle pagine di un

“diario”. Il mio augurio è che il lettore - capitolo dopo

capitolo, immagine dopo immagine - possa desidera-

re di “percorrere” gli itinerari tracciati. E arrivato all’ul-

tima pagina, farsi cullare dal sogno di raggiungere un

giorno, magari non lontano, quelle terre incantate e al

tempo stesso misteriose, senza il timore e anzi con la

consapevolezza di farsi travolgere - una volta sul posto

- dalle emozioni. E con la certezza di conservare nel

cuore, al rientro, la gioia di avere visitato luoghi unici.

E maestosi.

Claudio Bottagisi

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Un viaggio in Argentina, poi un altro in Israele. E, in

futuro, chissà quanti altri ancora! Un patrimonio di ri-

cordi, di esperienze e di avventure che Claudio Botta-

gisi ha deciso di condividere con chi vorrà sfogliare le

pagine di questo libro.

È un diario di viaggio, quello che segue, corredato da

decine e decine di affascinanti fotografi e. Decine e de-

cine di immagini per trasmettere almeno una piccola

parte delle sensazioni da lui provate aggirandosi per le

ampie strade di Buenos Aires come per i verdi sentieri

di Iguazú, per le vie di Tigre come per le spiagge di Mar

del Plata, la playa degli argentini. O ancora - spostan-

dosi in Medio Oriente - visitando Nazareth e Gerusa-

lemme, Betlemme e il lago di Tiberiade, il monte delle

Beatitudini e il Mar Morto.

È un piacere leggere questo suo diario di viaggio, così

vivo e dettagliato. E così ricco di suggestioni. Insomma

un “diario” assolutamente godibile e un susseguirsi di

emozioni, un “diario” per conoscere un Paese sconfi -

nato e magico qual è l’Argentina e per percorrere ideal-

mente - sulle strade della Terra Santa - la vita di Gesù.

Con Claudio Bottagisi ho condiviso, attraverso Il Pun-

to Stampa che ho l’onore di dirigere fi n dal suo primo

numero, 25 anni di scrittura. E cinque lustri di intensa e

costruttiva collaborazione.

Ecco perché ha per me un signifi cato particolare intro-

durre questo suo primo libro e incoraggiare l’autore a

continuare sulla strada intrapresa. Ai lettori non resta

che augurare buon viaggio!

Claudio Redaelli

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Dal fragore delle cascate spettacolari di Iguazú alle

surreali e immense pianure della pampa, dal verde de-

dalo del delta del Paranà ai silenzi gelidi dei ghiacciai

della Patagonia e della Terra del Fuoco, l’Argentina è

un mondo infi nito, aperto agli stupori e alle fantasie dei

suoi visitatori.

Un Paese immenso, 9 volte più grande dell’Italia, in pra-

tica un subcontinente, che spazia dal Tropico del Ca-

pricorno al Circolo Polare Antartico, il cui territorio era

quasi disabitato, almeno sino all’arrivo dei conquistado-

res spagnoli. Quando essi vi giunsero, venendo a piedi,

dal Perù e dalla Bolivia, all’inizio del 1500, scoprirono

infatti una terra popolata solo da qualche centinaia di

migliaia di indios, senza tracce di antiche civiltà.

È stato in tempi assai più recenti, nella seconda metà

del XIX secolo, che le foci del Rio de la Plata e le regioni

contigue a clima temperato ebbero un forte incremen-

to di popolazione, quando dalle prime navi a vapore

scesero masse di immigrati. Venivano un po’ da tutto

il vecchio mondo, in particolare dall’Europa meridiona-

le, spagnoli e italiani, genovesi soprattutto. Fecero la

fortuna di questa terra, ricca di minerali e dalle risorse

agricole illimitate.

Le città, da Bahia Blanca a Rosario, da Córdoba a

Tucumán, ma in primo luogo la splendida Buenos Ai-

res, divennero il simbolo di un’America Latina evoluta

e prospera.

Un fascinoso immenso Paese

Nel pieno del grande boom, nei primi decenni del No-

vecento, l’Argentina era considerata una delle nazioni

a più rapido sviluppo. La sua capitale aveva edifi ci che

rivaleggiavano in bellezza con quelli delle più note me-

tropoli europee e nordamericane e nel 1908 vi si inau-

gurò, con il Colón, il teatro lirico più grande del mon-

do. È stato proprio da Baires che la musica porteña

del tango, con le sue note intense e malinconiche, si è

diffusa in tutto il mondo, esportata negli anni Venti dal-

l’indimenticabile Carlos Gardel. Un ballo, il tango, che

è stato anche il punto di incontro della tradizione pam-

pera con le musiche della nostalgia ligure e la defi nitiva

fusione fra l’animo rurale argentino e l’avventuroso spi-

rito dei naviganti genovesi.

Poi il miracolo, anche per le follìe dei suoi governanti,

svanì. Alla fi ne della seconda guerra mondiale, un po-

pulista autoritario e carismatico quale Juan Domingo

Perón, unitamente alla moglie Evita, la regina dei de-

scamisados, scomparsa a soli 33 anni, ipnotizzarono

l’Argentina per almeno un decennio.

Nel mezzo secolo successivo, alternati a anni di vita de-

mocratica, colpi di Stato, guerre, una brutale e feroce

dittatura militare nonché un rovinoso drammatico tra-

collo fi nanziario, dovuto alla assurda gestione del pre-

sidente Menem e dei suoi guarangos, hanno segnato

il lungo e tormentato cammino del Paese che solo da

qualche anno pare avere ritrovato pace e stabilità.

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Quelli che sono stati gli años duros e, prima ancora, la

tragedia irrisolta e irrisolvibile dei desaparecidos hanno

cambiato il volto del Paese e minato nel profondo, spe-

riamo non per sempre, l’animo degli argentini, la cui

dignità, la cui fi erezza e il cui coraggio sono stati messi,

troppo a lungo, a dura prova.

Nonostante questa storia disastrata il fascino dell’Argen-

tina è comunque ancora notevole. È quello che traspare

dal lungo e vivace reportage di Claudio Bottagisi.

Claudio ci conduce con mano sicura nella terra dei

gauchos. Con lui ci accostiamo, nell’antica provincia di

Misiones, al confi ne con il Brasile e il Paraguay, là dove

nel Settecento si consumò il dramma degli indios gua-

ranì, allo spettacolo grandioso delle acque dell’Iguazú

che, con oltre 200 balzi, precipitano con immenso fra-

stuono; ci inoltriamo nel vicino parco naturale dalla lus-

sureggiante foresta tropicale avvolta da milioni di colo-

ratissime farfalle; visitiamo l’imponente diga di Itaipù.

Incontriamo Mar del Plata, la più nota stazione balneare

argentina; in poco più di 3 ore sbarchiamo in Uruguay

a Colonia del Sacramento, una cittadina dall’architet-

tura coloniale, e, al ritorno, veniamo abbagliati da un

favoloso tramonto sul grande Rio de la Plata prima di

ammirare lo sfavillìo delle luci di Buenos Aires.

La magnifi ca capitale, da Calle Florida a Plaza de Mayo,

dalla Casa Rosada alla larghissima avenida 9 de Julio,

dal teatro Colón alla Recoleta, da San Telmo a Cor-

rientes, da Palermo alla Boca, ci avvince con tutto il

suo irresistibile fascino. Fascino che aveva fatto dire al

sommo Jorge Luis Borges, dopo avere trascorso alcuni

anni nel vecchio continente, che “questa città che cre-

detti il mio passato / è il mio avvenire, il mio presente; /

gli anni vissuti in Europa sono illusori, / io stavo sempre

(e starò) a Buenos Aires...”.

Con Claudio Bottagisi esploriamo, con una vecchia lan-

cia, quell’incantevole labirinto di isole e acque che co-

stituiscono il delta del Paranà. Partendo da Tigre, alla

confl uenza del fi ume omonimo con il rio Luján, solcan-

do il Sarmiento, il rio San Antonio, il canale Vinculacion,

sfi oriamo l’isola di Martín Garcia, dove in un tempo or-

mai lontano, nell’ottobre 1945, il generale Perón venne

imprigionato per qualche giorno, prima di essere libera-

to grazie all’intraprendenza di Eva Duarte.

Visitiamo il santuario di Nostra Signora di Luján, dove

nel corso dell’anno milioni di pellegrini provenienti da

ogni parte venerano la patrona dell’Argentina, la Vir-

gencita, il cui culto può ricordare quello travolgente dei

messicani per la Vergine di Guadalupe.

Bottagisi ha l’entusiasmo del viaggiatore ma anche la

consapevolezza di chi - forse perché alcuni suoi parenti

vi abitano da tanti anni - conosce a fondo le vicende del

Paese che sta visitando.

Partecipa intensamente dei problemi, delle contrad-

dizioni, dei drammi e delle speranze dell’Argentina e

degli argentini.

Le sue rifl essioni rappresentano uno stimolante invito al

lettore più attento a visitare, con lo stesso interesse e la

medesima profondità di analisi, un grande e fascinoso

Stato che certamente merita, e crediamo possa avere,

un futuro migliore.

Giorgio Cavalleri, scrittore e storico

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dall’Argentina... Madrid, 20 gennaio 2004

Un viaggio di ventitrè giorni in America Latina, destina-

zione l’Argentina, patria del tango e terra di gauchos. Dal

Tropico del Capricorno fi no al Circolo Polare Antartico

per un susseguirsi di sensazioni, tra foreste e cascate,

boschi, laghi e grandi città. E poi Buenos Aires, la “Parigi

sudamericana”, capitale dal fascino indiscusso. Un viag-

gio per conoscere stili di vita e abitudini di questo sconfi -

nato Paese. Un viaggio per “raccogliere” emozioni.

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Nelle due pagine precedenti, in navigazione sul rio alla scoperta di paesaggi incontaminati, con la fi tta

vegetazione a fare da suggestiva cornice

Il mate, prima ancora che una bevanda un veroe proprio “rito” da condividere con familiari e amici

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Aeroporto di Madrid. Il viaggio verso il lontano Suda-

merica inizia a mezzogiorno in punto del 20 gennaio sul

volo 6845 dell’Iberia. Sulle prime pagine dei quotidiani

italiani dominano le notizie sull’unità nazionale e sul-

l’ennesima levata di scudi del leader leghista Umberto

Bossi, ma c’è spazio anche per le dimissioni di Massi-

mo Moratti da presidente dell’Inter, per gli sviluppi del

crac Parmalat e per lo sciopero del personale Alitalia.

Sono anche i giorni del primo anniversario della morte

di Giovanni Agnelli e delle prime avvisaglie di campa-

gna elettorale negli Stati Uniti. Di elezioni, ma spagnole,

si occupa invece “El Pais”. Sul “diario independiente de

la mañana” Rosa Montero scrive: “Non so se a voi ca-

pita la stessa cosa, però io ho la sensazione di vivere

in un continuo stato di elezioni”. E ancora: “Abbiamo il

tormento della precampagna elettorale che inizia mol-

ti mesi prima e poi soffriamo la post-campagna, che

comprende falsi esami di coscienza e, per ultimo, l’ini-

zio della successiva precampagna”. Una musica già

sentita anche in Italia, quella intonata dalla periodista

iberica. Se possibile, da noi in modo forse addirittura

più fastidioso e ossessivo.

A proposito di musica. In cuffi a la radio di bordo diffon-

de le note (popolarissime anche oltre i confi ni italici, evi-

dentemente) della “Lacrima sul viso” di Bobby Solo. La

canzone ti fa sentire l’Italia ancora non troppo lontana

e accompagna la lettura dei giornali. Sempre sul “Pais”

c’è spazio anche per una brutta storia di cronaca nera.

Un modo come un altro per farti capire che tutto il mon-

do è paese. Un uomo di 85 anni ha ucciso con un col-

tello sua moglie di 82 dopo soli cinque giorni (sì, proprio

cinque giorni) di matrimonio.

Un volo lungo tredici ore

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Pascoli, allevamenti e immense distese.L’Argentina è anche questo

Uno sbattere d’ali e l’incontro di un colibrì con un fi ore

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Un tuffo e un rinfrescante bagno per l’elefanteallo zoo di Luján

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E, giusto per farti comprendere che la stampa spagno-

la non è poi così diversa da quella italiana e che tra libri

e gadget vari ognuno si arrangia come può, il quotidia-

no iberico annuncia in prima pagina che “per un solo

euro El Pais offre oggi Le avventure di Tom Sawyer di

Mark Twain”.

Dopo quasi 13 ore di volo ecco Ezeiza, l’aeroporto di

Buenos Aires. E, di colpo, ecco il “salto” dai 2 gradi di

Milano e della Spagna ai 27 della capitale dell’Argenti-

na. L’impatto con il Sudamerica è affascinante, anche

se inevitabilmente viene spontaneo informarsi, prima di

ogni altra cosa, sullo stato di salute di questo grande

Paese caduto nel 2001 in una crisi fi nanziaria capace di

mettere al tappeto chiunque, ma forse non l’Argentina.

O per meglio dire, non defi nitivamente.

Eravamo stati qui anche sul fi nire dell’autunno del 2002.

Pochi mesi prima l’Argentina aveva dichiarato default

per 150 miliardi di dollari. Insomma il più grande crac

fi nanziario di uno Stato. In seguito si era scoperto che

450.000 risparmiatori italiani erano in possesso di bond

argentini e che il debito della nazione sudamericana

con le istituzioni e gli obbligazionisti nostri connazionali

ammontava a 14 miliardi di euro. E dall’Italia proprio in

questi giorni di fi ne gennaio arrivano notizie importanti.

L’Argentina è alla vigilia di una delicata scadenza con il

Fondo monetario internazionale e di altre trattative di ri-

fi nanziamento. E in questa fase il nostro Paese, nel dop-

pio ruolo di nazione con il maggior numero di risparmia-

tori coinvolti e per l’antica amicizia che ci lega a Buenos

Aires, potrebbe giocare un ruolo fondamentale.

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Colori, fascino e magia:la fl ora sudamericana sa farsi ammirare

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Prima di inoltrarci nel traffi co dell’autopista con desti-

nazione Tigre, una trentina di chilometri fuori Buenos

Aires, leggiamo su un quotidiano una dichiarazione di

Nicolas Trotta. “Io capisco le attese dei risparmiatori

- dice il ventottenne leader dei Jovenes K, i giovani

sostenitori del presidente della Repubblica, Nestor

Kirchner - ma il nostro debito è una causa nazionale,

innanzitutto con quel 56 per cento di argentini che vive

sotto la soglia di povertà”.

Trotta, ventottenne ex studente di legge defi nito da

qualcuno l’ultima delle anime del nuovo populismo

consociativo che piace a destra e a sinistra e che sta

innalzando il livello di gradimento del presidente, è

l’ideatore del manifesto affi sso sui muri della capitale

e della provincia. Vi è raffi gurato il volto di un bimbo e,

a fi anco, la scritta “Con quién estamos en deuda?”,

“Con chi siamo in debito?”.

Carlos Menem rappresenta il passato, in Argentina.

Non è diffi cile, qui, raccogliere pareri negativi sul suo

conto. E di questi tempi c’è un’altra notizia riguardante

l’ex presidente ad accrescere la sua impopolarità. Tre

magistrati argentini stanno infatti per arrivare in Sviz-

zera alla ricerca di tracce dei conti segreti che Menem

potrebbe avere aperto in alcune banche della confe-

derazione elvetica.

L’ex presidente, tra l’altro, in patria è sotto inchiesta

anche per la vendita illegale di armi all’Ecuador e alla

Croazia.

Ma Menem, lo si è detto, è il passato. Adesso l’Argen-

tina è nelle mani di Kirchner, il presidente venuto dalla

fredda e incantata Patagonia, e dei suoi uomini.

E vuole risollevarsi. Anzi risorgere. Qualcuno azzarda:

“La fi ne della crisi non è lontana”. Qualche altro, forse

più realisticamente, ci dice: “Siamo solo all’inizio di una

possibile ripresa e chissà per quanto tempo ancora

dovremo tirare la cinghia”.

“Con chi siamo in debito?”

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L’autopista è imboccata. Sulla sinistra, ecco lo stadio

del River Plate. E uno, due, decine di cartelloni pubblici-

tari. “Bienvenido a Tigre”, ci dicono con un rassicurante

e contagioso sorriso. Arriviamo a destinazione per l’ora

di cena.

Tigre è posta alla confl uenza del rio Luján con il fi ume

omonimo e da queste parti è una tra le mete preferite

per il fi ne settimana, oltre a essere il punto di partenza

ideale per esplorare il delta del Paranà e l’Isla Martìn

Garcia. Gli abitanti sono circa 300.000, distribuiti su

una superfi cie di oltre 360 chilometri quadrati. Una tra le

principali attrattive di questo suggestivo sobborgo della

capitale argentina è il puerto de frutos, dove tutti i fi ne

settimana apre i battenti un’importante fi era dell’artigia-

nato e che all’origine - come dice il suo stesso nome

- funzionava come un mercato di frutta e di ortaggi,

con gli abitanti delle isole vicine che esponevano e ven-

devano i prodotti della terra dopo aver raggiunto Tigre

con le loro imbarcazioni, magari dopo aver remato per

lunghe ore. Oggi vi si trova merce di ogni genere: cera-

miche, prodotti tipici dell’artigianato locale, mobili, capi

di abbigliamento, articoli per la casa, oggetti in vimini

e giunco, bigiotteria, profumi, candele, incensi e aro-

mi. Insomma un posto per tutta la famiglia “donde se

encuentran caminando, mirando y disfrutando - come

declama una guida locale - lugarenos y turistas”.

I primi giorni trascorsi in Tigre sono di assoluto relax.

Ogni mattina una passeggiata sull’avenida Cazón, dove

si apre un elegante edifi cio in cui ha sede il municipio.

Tre anni prima in Argentina era stato introdotto il fa-

migerato corralito, il congelamento dei depositi ban-

cari che aveva dato il colpo di grazia a un’economia

Tigre, colori e profumi di un porto

Lungo le strade di Tigre, alla confl uenza del rio Luján con il fi ume omonimo

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Lungo l’avenida Cazón l’elegante edifi cio in cui ha sede il municipio della città Ancora Tigre, con le sue aiuole ben curate. Nella pagina a fi anco, la stazione fl uviale

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Una “camiseta” a strisce biancocelesti el’Argentina... scende in campo

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già al collasso. Ora le cose sembrano andare un po’

meglio, ma i segnali di disagio ci sono ancora tutti. Tre

ragazzini (il più grande di loro avrà sì e no 12 anni) due

giorni dopo il nostro arrivo ci avevano seguito fi n sul-

la porta di casa. Uno aveva chiesto alla famiglia che

ci ospita “qualcosa da mangiare”. Avevano fame. Tre

o quattro panini bene imbottiti, una tavoletta di cioc-

colato e una bottiglia d’acqua era bastata, almeno per

qualche ora. Un altro aveva domandato se avevamo

qualche spicciolo, mentre poco distante un bambino

chiedeva la carità agli automobilisti fermi al rosso.

Per le strade non è diffi cile incrociare i cartoneros, ra-

gazzini (ma anche adulti) che ammucchiano dentro

vecchi carrelli da supermercato, o in un qualsiasi sgan-

gherato carretto, carta e cartoni raccattati qua e là. La

disoccupazione, del resto, è sempre forte e chi non ha

lavoro si arrangia come può.

Ogni giorno diamo anche un’occhiata ai giornali e leg-

giamo che in quelle stesse settimane a pochi chilometri

da Buenos Aires si svolge il primo congresso dei mis-

sionari italiani presenti in Argentina. Vi partecipano in

duecento, in rappresentanza di un migliaio tra padri

missionari, religiose, sacerdoti, laiche e laici apparte-

nenti a vari movimenti e comunità ecclesiali. Molti di

loro sono in terra di missione da venti, trenta o magari

quarant’anni, sparsi sull’intero territorio di questa scon-

fi nata nazione sudamericana: dalla Terra del Fuoco -

nell’estremo sud - fi no a La Quiaca, città di oltre 12.000

abitanti situata al Nord del Paese. Lavorano tra popola-

zioni indigene nelle zone rurali o in periferia e vogliono

contribuire al rinnovamento della Chiesa.

È allora inevitabile tornare idealmente al 2003 e alla

scelta della Caritas diocesana di Como di tendere la

mano alla nazione sudamericana soffocata dalla crisi

accogliendo la richiesta dell’Arcidiocesi di Buenos Ai-

res e raccogliendo in poche settimane qualcosa come

60.000 euro. Come dire, oltre due terzi del denaro oc-

corrente per coprire i costi di ristrutturazione sostenuti

per trasformare una vecchia stamperia, nel quartiere

Villa 21-24 y Zabaleta, in un moderno impianto poli-

funzionale destinato a ospitare un centro giovanile. Da

poco meno di un anno quella struttura è realtà. È in-

titolata a padre Daniel de la Sierra e sorge nella par-

rocchia dedicata alla Vergine di Caacupè, venerata in

particolare in Paraguay, terra d’origine di molti abitanti

di una delle villas miserias più popolate della periferia di

Buenos Aires.

Un aiuto all’Argentina era stato dato, sempre un anno

prima, pure dall’altro ramo del Lario, quello lecchese,

dov’erano stati raccolti oltre 40.000 euro a favore della

missione di Comodoro Rivadavia, la più meridionale tra

le città della provincia di Chubut, dove opera da cin-

quant’anni padre Gianni Corti, originario di Galbiate,

volato in Sudamerica subito dopo essere stato ordinato

sacerdote e da allora stabilitosi in terra di Patagonia,

dove ha realizzato scuole, offi cine, ospedali e dormitori.

Del 2001 è la costruzione di un’offi cina meccanica che

ha contribuito e continua a contribuire alla formazio-

ne professionale di decine di giovani e recente è l’ul-

timazione di una nuova scuola che accoglie centinaia

di bambini e che ha visto i lecchesi inviare in Argentina

una gran quantità di materiale edile.

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Che nella terra del tango la Chiesa cattolica sia una real-

tà viva lo dimostrano anche i milioni di pellegrini che ogni

anno raggiungono la basilica di Nostra Signora di Luján,

65 chilometri oltre Buenos Aires, provenienti da ogni par-

te del Paese. Vi si venera la patrona dell’Argentina, la Vir-

gencita, la cui effi gie è collocata sopra l’altare maggiore.

La raggiungiamo anche noi, in una splendida giornata di

sole e dopo avere lasciato Tigre di buon mattino.

La leggenda vuole che nel 1630 un carro che trasporta-

va un ritratto della Vergine, proveniente dal Brasile e de-

stinato a un agricoltore portoghese, non riuscì a prose-

guire fi n tanto che i gauchos non tolsero da quel carro

proprio il quadro raffi gurante la Madonna. Nel punto in

cui la Vergine aveva deciso di sostare, il proprietario del

dipinto costruì una cappella. L’immagine sacra divenne

da allora la patrona dell’Argentina.

Appena fuori dalla basilica una donna e un bimbo chie-

dono l’elemosina e in cambio di pochi centesimi offrono

l’immagine sacra della Vergine. Sul retro vi si legge: “Oh

Santisima Virgen Maria! Coronada reina de Luján, Dios

me ha creado para la gloria eterna. Ah! Quién me diera

alas de paloma para volar a esa morada de felicidad”.

“O Santissima Vergine Maria, incoronata regina di Luján,

Dio mi ha creato per la gloria eterna. Chi mi darà ali di

colomba per volare fi no a questa dimora di felicità?”.

Dentro la chiesa si è appena conclusa la celebrazione

della messa e il sacerdote sta per impartire la bene-

dizione e per invocare sui presenti la protezione della

Vergine.

In molti si fanno avanti, fi no a raggiungere i gradini dell’al-

tare maggiore. Qualcuno non sa trattenere una lacrima.

Nella grande piazza che si apre davanti al santuario de-

Nuestra Señora de Luján

La basilica di Luján.Qui milioni di pellegrini venerano ogni anno la Virgencita

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cine di bancarelle vendono ricordi del luogo. Appena

oltre, ecco l’assolata plaza Belgrano, dominata dal mo-

numento al generale Manuel Belgrano a cavallo. Poco

distante il cabildo, antica sede del governo della città, e

il Museo devocional inaugurato nell’agosto del ‘79, all’in-

terno del quale sono custodite importanti testimonianze

di fede, a cominciare dagli “ex voto” alla Vergine.

Prima di lasciare Luján c’è tempo per una sosta allo zoo

della città, dove ci concediamo anche un giro a dorso di

elefante e dove - oltre ad ammirare scimmie, tigri, leoni,

foche, lama e ogni altro animale di casa in un giardino

zoologico - osserviamo un’interessante esposizione di

auto d’epoca e una curiosa “passerella” di trattori e altri

macchinari e attrezzi agricoli del passato.

Si è fatta quasi sera quando ci congediamo da Luján

per fare ritorno in Tigre. Lì ci aspettano una rinfrescan-

te doccia e una gustosa pizza alle verdure cotta alla

griglia. Ma di quella assolata giornata nei nostri occhi

resta, su tutte, un’immagine: quella dei fedeli inginoc-

chiati davanti all’immagine di Nostra Signora di Luján

per implorare una grazia, o magari soltanto per chie-

derne le protezione.

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Page 34: Argentina e Israele diario di viaggio

Su Tigre sventola la bandiera dell’Argentina

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Page 35: Argentina e Israele diario di viaggio

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È stata una giornata soleggiata e solare, quella trascor-

sa a Luján. In auto, nel viaggio di ritorno verso Tigre, si

era parlato della religiosità della gente argentina e della

devozione dei sudamericani proprio per la Vergine di

Luján. Ma si era discusso anche del dopo-Menem e

della voglia degli argentini di cancellare il più recente

passato. Occorre in effetti tornare indietro soltanto di

tre lustri per arrivare alla data che segnò l’avvento al

potere di Carlos Menem, che governò l’Argentina fi no

al ‘99. Era il 14 maggio dell’89 quando il caudillo vinse

le elezioni presidenziali ricevendo da Raúl Alfonsín una

nazione messa a dura prova da un’infl azione devastan-

te. Subito Menem si lanciò in un piano di stabilizzazio-

ne, affi dando l’economia al ministro Domingo Cavallo.

Seguirono gli anni delle privatizzazioni, ma sul fi nire del

Millennio le scelte del presidente costarono al Paese

una profonda fase di recessione che ancora oggi con-

diziona l’intera economia argentina.

Pure di questo si era parlato rientrando a Tigre. E poi

ancora di sport, dell’imminente sfi da che in Italia stava

per mettere una di fronte all’altra la Juve e la Roma e,

immancabilmente, di Maradona, peraltro mai immagi-

nando che di lì a tre mesi l’Argentina sarebbe rimasta

per giorni interi con il fi ato sospeso per le condizioni di

salute del suo ex pibe de oro.

Il giorno dopo la “tappa” a Luján, approfi ttando di un’al-

tra giornata di splendido sole, ci concediamo una rilas-

sante escursione su un catamarano della Rio Tur.

Un’ora e mezza di navigazione con partenza dal puerto

de frutos per scoprire - solcando il Sarmiento, il rio San

Antonio e il Canal Vinculacion - il fascino di un paesag-

gio incontaminato al quale fanno da ideale cornice fi u-

Tigre sventola le bandiere del mondo

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mi, ruscelli e canali, con una fi tta vegetazione a domi-

nare la scena e con suggestivi moli e stupende villette

a fare da sfondo quasi sempre ideale.

Ma Tigre non è soltanto il punto di partenza per incan-

tate escursioni sul delta del Paranà. E sarebbe altresì

riduttivo accostare questa località soltanto a puerto de

frutos. Tigre ospita, ad esempio, un interessante Mu-

seo storico della prefettura navale argentina, inaugu-

rato nell’85. Sei sale all’interno di un moderno edifi cio

raccontano la storia della guardia costiera del Paese e

racchiudono documenti, iconografi e, strumenti di bor-

do, armi e uniformi. Vi sono pure alcuni fucili sequestra-

ti agli inglesi nell’82 durante la mai dimenticata guerra

delle isole Malvinas.

Una visita (basta un’oretta di tempo) merita anche il

Museo navale di Tigre, in Paseo Victorica, affacciato

sul rio Luján. Vi si possono ammirare imbarcazioni a

vela e a vapore del passato, così come cartografi e e

strumenti utilizzati per la navigazione e - all’esterno -

modelli di aerei dell’Armada argentina, pezzi di artiglie-

ria e quel che resta del ponte di comando di una nave

distrutta nell’82 nel già ricordato confl itto anglo-argen-

tino delle Falkland.

Uniformi d’epoca, armi e documenti vari si possono

ammirare pure nelle sale del Museo de la Reconquista,

antica dimora del commerciante spagnolo José Martin

Goyechea.

Tigre è questo e altro ancora. Tigre “tiene todo”, come

recita uno slogan riferito appunto alla città e, giusto per

gradire, apre al pubblico un Casinò e il ristorante del Club

Canottieri Italiani, dove si può gustare “la vera pasta ca-

sera fatta a mano”. Una parrillada al “Don Manuel”, in

Paseo Victorica, vale una serata e una cena, come una

sosta per un aperitivo o una bevanda dissetante merita

il cafè-bar “Maria Luján”, “l’unico - si legge negli spazi

pubblicitari del locale che fanno bella mostra sulla co-

pertina di una rivista destinata ai turisti - sobre el rio”.

Lungo l’avenida Cazón, annunciata da una grande

scritta sulla facciata principale dell’edifi cio e dalle ban-

diere tricolori alle fi nestre, si apre la sede della Società

Italiana, dove i fi gli di numerosi nostri emigranti hanno

imparato quella che loro stessi amano defi nire “la bella

lingua di Dante”. La visitiamo e chiacchieriamo a lungo

con la gentile custode. Sulla stessa via, appena fuori da

un piccolo market, un uomo appoggiato a una gruccia

chiede l’elemosina. “Viene qui ogni giorno - ci spiegano

- e quasi nessuno, dopo aver fatto la spesa, gli rifi uta

qualche centesimo”.

Davanti alla stazione ferroviaria di Tigre si apre l’ampio

viale delle Nazioni, dove ogni sabato e ogni domenica

vengono innalzate le bandiere di tutti gli Stati del mon-

do. Noi il fi ne settimana ci prepariamo a trascorrerlo su

un’isola del delta. Già pregustiamo tre giorni di asso-

luto relax e un ricchissimo asado, lunghi bagni di sole e

salutari passeggiate nel verde, a tu per tu con la natura.

O, per dirla in lingua spagnola, con la naturaleza.

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Page 38: Argentina e Israele diario di viaggio

La sede della Società Italiana di Tigre, dove molti hanno imparato “la bella lingua di Dante” Lo struggente sguardo del Crocifi sso, dentro la chiesa parrocchiale di Tigre

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Page 39: Argentina e Israele diario di viaggio

In questa e nella pagina successiva un altro “rito” tutto argentino, quello dell’asado

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Page 40: Argentina e Israele diario di viaggio

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Page 41: Argentina e Israele diario di viaggio

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Tigre è il punto di partenza ideale per esplorare il delta

del Paranà. Di buon mattino, a bordo di una delle lan-

chas in servizio tra la stazione fl uviale e le isole, rag-

giungiamo la località in cui trascorreremo i prossimi tre

giorni. Una quarantina di minuti di navigazione ed ecco-

ci a destinazione. L’attracco è al molo San Antonio. Ap-

pena oltre, un ampio giardino con tutt’intorno stupende

ortensie di un intenso colore azzurro e la casa che ci

ospiterà. Per l’ora di pranzo ci attende uno squisito asa-

do, ma adesso è tempo di sorseggiare in assoluto relax

un mate, la bevanda argentina più famosa e più tipi-

ca. In realtà, più che una semplice bevanda, da queste

parti il mate è un vero e proprio rituale da condividere

con i familiari. E non solo. L’invito a berlo è un segno

di accoglienza. E non è un caso che l’Argentina sia il

principale produttore e consumatore di yerba mate.

Anche la preparazione è un rituale a sé. Occorre riem-

pire con la yerba il mate (coppe che nella maggior parte

dei casi sono semplici zucche a fi asco), aggiungere ac-

qua calda e quindi bere con la bombilla, che altro non è

se non una cannuccia con un fi ltro bombato all’estremi-

tà per impedire alle foglie di entrare.

Di pomeriggio il sole invita a un rinfrescante bagno nelle

acque del rio, limacciose e perciò di un intenso color

marrone e tuttavia decisamente più pulite (e più bal-

neabili) di molti nostri laghi e mari. C’è tempo anche per

una prima escursione e per saperne di più, attraverso la

lettura di una guida tascabile, sulle isole del delta.

Già, il delta del Paranà, a meno di 30 chilometri dalla

capitale federale, autentico polmone verde e centro ri-

creativo di assoluta eccellenza per chi vuole sfuggire

- magari anche soltanto per il fi ne settimana - al caos

Il delta del Paranà

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Page 42: Argentina e Israele diario di viaggio

Quando il sole picchia forte, come rinunciarea un bagno nelle acque del rio?

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Page 43: Argentina e Israele diario di viaggio

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di Buenos Aires e ai suoi ritmi frenetici. “Il turista - si

legge in effetti sulla guida - ha a sua disposizione sva-

riati passatempi, ristoranti, locande, campeggi e club

per sfruttare la natura e la tranquillità di questi luoghi”.

Sulle acque del delta è inoltre possibile praticare qual-

siasi sport acquatico: dalla canoa al canottaggio, dal

nuoto allo sci nautico.

Due camerieri del Gato Blanco attendono la clientela

appoggiati al molo privato del ristorante. Tra quelli af-

facciati sulle acque del delta del Paranà, il locale sul

Rio Capitan è tra i più conosciuti. Capace di accogliere

fi no a 250 commensali e aperto tutto l’anno, il ristoran-

te è immerso in un lussureggiante parco (con tanto di

spazio giochi per i bimbi) e punta sul richiamo della sua

cucina internazionale. Poco distante, ecco la colonia

del Banco Provincia. L’impatto con i suoi dieci ettari

di parco è affascinante. Una breve quanto riposante

passeggiata nel verde ed ecco davanti ai nostri occhi

il ristorante e il bar, poi i campi da tennis e di pallavolo.

E quelli per il calcetto.

Su tre alte palme una colonia di pappagalli fa un chias-

so d’inferno. Ma a richiamare l’attenzione sono soprat-

tutto la vegetazione e la fl ora, qui come ovunque. Le

piante acquatiche sono in prevalenza azzurre. E qua e

là capita pure di ammirare il lirio amarillo, il giglio giallo,

in talune ore del giorno dolcemente cullato dal vento.

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Page 44: Argentina e Israele diario di viaggio

Pace, distensione e natura. All’isola non si può chiedere di più

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Page 45: Argentina e Israele diario di viaggio

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Una vista panoramica sul Rio Sarmiento la si può avere

dal Ciervo Rojo, dove pranzare e passare una giornata

utilizzando i servizi messi a disposizione dal ristorante

costa 15 pesos. Chi ha a disposizione una qualsiasi im-

barcazione (va benissimo anche una canoa, credeteci)

non può lasciare il delta senza avere solcato - in un

silenzio rotto di tanto in tanto soltanto dal canto degli

uccelli o, più in lontananza, dal rumore delle lanchas

- l’arroyo Rama Negra Chico, suggestivo ruscello a cui

fa da ideale cornice una fi ttissima vegetazione e dove

gli unici abitanti sono le anatre, che a debita distanza

(e rigorosamente in coppia) osservano l’intruso e ne

attendono il passaggio, per poi tornare a riappropriarsi

del loro regno.

Con un amico raggiungiamo il complesso nautico Aulici-

no, sul Rio Paranà Mini Y Canal, “un lugar seguro - pro-

mette il pieghevole di presentazione dello stesso com-

plejo - para compartir en familia”. Le attese, in effetti, non

vengono deluse. Il parco è ampio e c’è pure la stazione di

servizio per i natanti. A gestirlo è Antonio José Aulicino,

affi ancato da sua moglie Marta. L’accoglienza è caloro-

sa. Con loro condividiamo un ottimo pasto e sfruttiamo,

nelle tre ore a nostra disposizione prima di fare ritorno

all’isola sul San Antonio, la naturaleza del luogo.

È sera e, sopra le nostre teste, il cielo stellato è un in-

canto. Ci rimane ancora una notte da passare all’isola,

ma ci restano pure un’abbondante colazione a base di

latte, caffè, pane, burro e marmellata fatta in casa e

un paio di altri scatti ad altrettanti fi ori che una volta in

Italia potremo ammirare soltanto in fotografi a. Una forte

stretta di mano e un abbraccio ai vicini di casa (a loro

volta in partenza, destinazione Mar del Plata) ed eccoci

al molo. Un ultimo saluto a chi resta, un rapido sguardo

tutt’attorno e via, in motoscafo, verso la stazione fl uvia-

le di Tigre. Arrivederci, isole! Il loro fascino, ne siamo

certi, ci mancherà.

La vista sul Rio Sarmiento

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Un tramonto incantato. È il regalo dell’Uruguayprima di fare ritorno a Buenos Aires

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Prima di lasciare Colonia del Sacramento e l’Uruguay il sole mette in scena l’ultimo suo spettacolo La singolare statua in legno di San Francesco, nella chiesa del Santissimo Sacramento a Colonia

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Page 49: Argentina e Israele diario di viaggio

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In treno raggiungiamo Buenos Aires dalla stazione di

Tigre. Una volta nella capitale, ad attenderci a Puerto

Madero è il buquebus che ci porterà fi no a Colonia del

Sacramento, in Uruguay. Una navigazione di oltre tre

ore, cullati dalle acque tranquille del Rio de la Plata.

Colonia è situata sull’estuario del fi ume, proprio di fron-

te all’affascinante capitale argentina, ed è la destinazio-

ne ideale per un week-end di riposo e per chi intende

lasciarsi alle spalle traffi co e caos. A bordo non manca

nulla, a partire dal caffè e da un elegante punto vendita

dove fare shopping a prezzi peraltro non propriamente

contenuti. Il viaggio è di assoluto relax. Giunti a desti-

nazione e sbrigate le poche pratiche per lo sbarco, una

guida ci indirizza verso un bus col quale raggiungiamo

in pochi minuti il centro della cittadina.

Colonia del Sacramento è graziosa e ospitale. Città si-

tuata a poco meno di 150 chilometri da Montevideo, è

uno dei rari esempi di architettura coloniale di questa

regione. Venne fondata nel 1680 e fu il primo avampo-

sto spagnolo nato dopo la scoperta del Rio de la Plata

da parte di Magellano. La prima caratteristica che balza

all’occhio del turista sono le strette vie acciottolate che

la intersecano e lungo le quali sono allineati bianchi edi-

fi ci. Un gioiellino, insomma, che da solo vale come suol

dirsi il prezzo del biglietto dell’escursione (47 pesos).

Suggestivi e di richiamo sono anche i negozi di artigia-

nato che fi ancheggiano le vie della città. E poi il Palacio

del Gobernador oggi trasformato in albergo, il museo

del municipio, la casa dell’ammiraglio Brown (a sua vol-

ta adibita a museo) e la chiesa parrocchiale del Santis-

simo Sacramento, che custodisce una singolare statua

in legno di San Francesco. Da una stretta porta laterale

si accede a un interessante presepe, dove a fare da

sottofondo sono musiche che invitano alla rifl essione.

All’esterno della chiesa l’impatto è con una bella vettu-

ra d’epoca parcheggiata nella piazza antistante e con

la singolare insegna di un ristorante. La guida ci spiega

che Colonia del Sacramento è stata dichiarata patri-

monio dell’umanità dall’Unesco proprio per come ha

saputo conservare nel tempo l’incanto dei vecchi edifi -

ci e le case di tegole, fango e pietra in stile spagnolo e

portoghese, oggi ristrutturate con garbo e dipinte con

colori vivaci per ospitare accoglienti locande e piccoli

alberghi.

L’Uruguay, tramonti incantati

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Page 50: Argentina e Israele diario di viaggio

Lungo le strade acciottolate di Colonia del Sacramento

Grattacieli e alti palazzi che svettano verso il cielo: è il primo impatto con la capitale argentina

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Nelle vie in pietra del barrio historico si aprono abita-

zioni con all’ingresso, o alla fi nestra, almeno un vaso di

fi ori. Vi si respira un’aria forse anche un po’ nostalgica,

ma il fascino della città è indiscutibile. Su una guida

leggiamo: “Il territorio fu scoperto nel 1516 dall’esplo-

ratore spagnolo Juan Diaz di Solìs, primo europeo che

navigò lungo il Rio de la Plata. Lo stesso anno i membri

della sua spedizione morirono per mano degli aborige-

ni, i charrùas, una tribù che si oppose ai tentativi di co-

lonizzazione del territorio durante tutto il XVI secolo. Il

primo insediamento permanente fu quello attuato dagli

spagnoli nel 1624 in Soriano, sulle rive del fi ume Nero”.

Dalla stessa pubblicazione veniamo a sapere che “tra

il 1680 e il 1683 per sfi dare la sovranità spagnola della

regione i colonizzatori portoghesi del Brasile stabilirono

diversi insediamenti sulle coste del Rio de la Plata. Gli

spagnoli, tuttavia, non effettuarono alcun tentativo per

sloggiare i portoghesi fi no al 1723, quando questi co-

minciarono a fortifi care le alture che circondano la baia

di Montevideo”.

Fu allora che una spedizione spagnola proveniente da

Buenos Aires costrinse i portoghesi ad abbandonare il

luogo in cui gli stessi ispanici avrebbero fondato pochi

anni più tardi la città di Montevideo.

Una rivalità, quella ispano-portoghese, destinata a pro-

trarsi durante tutto il XVIII secolo.

I colori del barrio historico

La Boca, il barrio certamente più caratteristico della capitale, con le case del Caminito dalle tonalità vivaci

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Page 56: Argentina e Israele diario di viaggio

“Il problema assillante dei desaparecidos è sempre statoe lo è ancora, soprattutto adesso, nel mio animo.

Desidero rinnovare alle famiglie che hanno nel cuore una spina così profonda per il destino dei loro cari la mia sentita

partecipazione alle loro sofferenze in un momento in cui sembra che sia spezzata la speranza che ancora nutrivano”

(Giovanni Paolo II, maggio 1983)

Il teatro Colón, il principale simbolo culturale di Buenos Aires. Fu inaugurato nel 1908 Sul lato orientale di Plaza de Mayo si staglia la Casa Rosada, il palazzo presidenziale

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Page 57: Argentina e Israele diario di viaggio

Venditori ambulanti, negozi di antiquariato e artisti di strada: San Telmo è il loro regno A sud di Plaza de Mayo ecco San Telmo con il suo mercatino, i suoi colori e le sue musiche

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La visita della città ci porta fi no alla Plaza de toros, dove

peraltro si tenne - in anni ormai lontani - un numero

oltremodo limitato di corride. Un’apprezzata sosta in

un ristorante tipico dove ci viene servito un eccellente

pranzo ed eccoci alla playa, dove trascorrere un paio

d’ore sdraiati su una fi nissima sabbia ad ammirare esta-

siati l’incantato panorama che si apre davanti al Rio.

L’orologio, inesorabile, ci riporta ben presto alla realtà.

Ma il viaggio di ritorno verso Buenos Aires è destinato

a riservarci una ancor più inattesa sorpresa. Appena

imbarcati sul buquebus, possiamo infatti ammirare un

tramonto da favola. È uno spettacolo assolutamente

impareggiabile. E indimenticabile. Scattare più di una

foto e improvvisarsi “registi” con la videocamera è ine-

vitabile.

Nella rotta verso la capitale argentina, la luna e un cielo

stellato disegnano uno scenario di incomparabile bel-

lezza. Prima delle 22 le luci del porto di Buenos Aires

“accendono” la notte sudamericana. E la bella favola

continua.

Quelle spiagge da sogno

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Page 60: Argentina e Israele diario di viaggio

Uomini d’affari, turisti ma anche shopping lungo l’elegante e affollatissima Calle Florida Alti edifi ci nella zona di Puerto Madero, a Buenos Aires: è l’ora del tramonto

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Lungo Calle Florida è un viavai di gente. Distinti signori

in giacca e cravatta incrociano argentini dall’aspetto più

dimesso, almeno a giudicare dall’abbigliamento. Gli uni

e gli altri vanno però tutti di fretta. È una splendida gior-

nata di sole, nell’incantata Buenos Aires. All’angolo di

una strada che incrocia l’elegante via un uomo di mezza

età intrattiene un gruppo di curiosi. Sono tutti in cerchio

intorno a lui che, tra un gioco di prestigio e l’altro, scher-

za e fa le boccacce. Chi si è fermato per assistere al suo

improvvisato spettacolo mostra di gradire. E sorride.

Molti ridono, buttano lì lo sguardo, poi tirano dritto.

A Plaza de Mayo, appena fuori dalla cattedrale che cu-

stodisce la tomba con le spoglie di José de San Martín,

l’eroe più venerato dagli argentini, una donna chiede

con insistenza “almeno un peso” a chiunque si trovi a

passare nei paraggi. La piazza - sul cui lato orientale si

staglia la Casa Rosada, il palazzo presidenziale - pren-

de il nome dal mese in cui ebbe luogo la rivoluzione

del 1810. Più tardi raggiungiamo l’avenida 9 de Julio e

ammiriamo il celebre e imponente obelisco che la do-

mina, prima di raggiungere il Palazzo del congresso e

di spostarci fi no al magnifi co Teatro Colón, tempio della

lirica e della musica classica, inaugurato nel 1908 con

la rappresentazione dell’Aida. L’atrio accoglie una sorta

di museo dove sono esposti costumi, strumenti musi-

cali e fotografi e. Visitiamo i laboratori del seminterrato

in cui lavorano centinaia di carpentieri, parrucchieri,

costumisti e altri tecnici specializzati e - a seguire - la

sala delle prove. Puntiamo la nostra videocamera sul-

l’orchestra, ma veniamo “oscurati” dopo pochi secondi

da un addetto alla sorveglianza in modo garbato e tut-

tavia perentorio. Il resto della visita regala altre sorpre-

se, a cominciare dall’opportunità di osservare i modelli

in scala utilizzati per preparare gli scenari.

Buenos Aires, incanto e suggestioni

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Lungo le vie della Boca, dove tutto richiama al tango e dove a ogni angolo puoi imbatterti in un artista di strada

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È diffi cile raccontare il fascino di Buenos Aires senza

avere prima visitato e conosciuto altri suoi scorci e aver

tentato di svelare qualche suo segreto. Ci torniamo, in-

fatti, nella capitale. E visitiamo il cimitero di Recoleta,

dove riposano generazioni di ricchi argentini. Non a

caso qualcuno ha scritto che la morte rende tutti ugua-

li, ma non a Buenos Aires. Dietro i vetri di ogni cappella

di famiglia si scorgono due, tre, a volte quattro o più

bare. Sono quasi tutte spoglie. Qualche fi ore è stato

invece lasciato da mani anonime tra le inferriate del-

la cappella della famiglia Duarte, dove è sepolta Evita

Perón. E quei fi ori di campo, ci spiega un argentino di

mezza età, sono sicuramente per lei.

Fuori dal cimitero un giovanotto vende magliette dipinte

a mano, un altro sigari, un altro ancora oggetti di artigia-

nato locale e intanto sorseggia un mate. A sud di Plaza

de Mayo ecco San Telmo, il quartiere degli artisti.

Visitarlo è un piacere, per il mercatino che domina la

piazza con le sue coloratissime bancarelle, per le mu-

siche diffuse dagli strumenti di simpatici quanto bizzar-

ri artisti di strada e per i negozi di antiquariato che si

aprono su stretti ma rigogliosissimi cortili interni, capa-

ci di stupire e assolutamente di rara suggestione.

Prima di riprendere la strada per Tigre c’è ancora tempo

per visitare Malba, ossia il Museo di arte latino-america-

na in avenida Figueroa Alcorta, e ammirare le opere di

Jorge de la Vega. Sono una settantina e sono state rea-

lizzate tra il 1961 e il ,71 a Buenos Aires e a New York.

Una tappa, decisamente meno culturale ma altrettan-

to piacevole, la merita anche Patio Bullrich, un edifi -

cio storico della capitale (a disegnarlo fu un architetto

inglese) che dal 1988 accoglie un moderno shopping

center. È posto in una tra le più belle zone residenziali

della capitale e racchiude negozi che espongono tutte

le principali novità proposte dalla moda, ma anche sei

sale cinematografi che e un parco giochi per i bambi-

ni, oltre all’immancabile patio de comidas dove trovare

dal semplice hamburger fi no ai menù più ricercati e alla

cucina più raffi nata. Vi si accede sia da Posadas sia

dall’avenida del Libertador.

Anche Bullrich richiederebbe più tempo per una cono-

scenza più approfondita dei suoi spazi e dei suoi saloni,

ma l’orologio è inesorabile. Tigre ci attende, mentre la

sera allunga le sue ombre sulla capitale.

La Recoleta e San Telmo

Uno sguardo oltre l’inferriata della cappella della famiglia Duarte, al cimitero della Recoleta

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Lasciamo Tigre di buon mattino, destinazione Mar del

Plata. L’appuntamento è appena dopo le 7 in avenida

Cazón. Ad attenderci un confortevole bus della socie-

tà di trasporti “El Onda” e un autista dai modi garbati.

Siamo i primi a prendere posto nel sedile assegnatoci

dall’agenzia all’atto della prenotazione. “A bordo - ci era

stato detto - le verranno serviti un caffè e un alfajor”.

L’alfajor è un dolce squisito che alterna uno strato di

cioccolato o di vaniglia a uno di dulce de leche, un latte

caramellato che è una ghiotta specialità argentina e che

può essere gustato anche su una fetta di fragrante pane

tostato, che da queste parti chiamano semplicemente

tostadas. Il tempo di una mezza dozzina di fermate per

far salire altri passeggeri e la promessa è mantenuta,

con buona pace del palato e dello stomaco.

Il viaggio è confortevole e il panorama decisamente va-

rio, dominato - da un certo punto in poi - da praterie

sconfi nate popolate da mandrie di vacche e spesso se-

parate dalla strada da tratti di palude abitati da splendi-

di uccelli acquatici, per nulla impauriti dal traffi co e dal

continuo viavai di auto, bus e camion.

Arriviamo alla Estacion de omnibus di Mardel, alquan-

to animata e in posizione centrale, dopo sette ore di

viaggio. Ad accoglierci la coppia di amici che ci ospite-

rà per i prossimi due giorni in un bell’appartamento in

Belgrano. Un primo giro della città - che ci informano

essere abitata da poco meno di 600.000 persone, 400

chilometri a sud di Buenos Aires, ma soprattutto estesa

su qualcosa come otto chilometri di spiagge - ed ecco

davanti ai nostri occhi l’Oceano Atlantico.

A Mar del Plata, d’estate, pensa quasi sempre la mag-

gior parte degli abitanti della capitale argentina e dei

dintorni quando desidera una spiaggia. Lungo la costa,

dimore signorili dall’aria in qualche caso sofi sticata si

alternano in effetti a nuove eleganti villette della me-

dia borghesia sudamericana. Ci viene spiegato che un

tempo la zona era frequentata quasi esclusivamente

dalla classe dirigente del Paese.

Sulla cima della collina sorge la iglesia Stella Maris, in

stile neogotico, al cui interno è possibile ammirare un

bell’altare di marmo. La Vergine alla quale è dedicata la

chiesa è la patrona dei pescatori della città. All’incrocio

tra San Martín e San Luis ecco invece la cattedrale di

San Pedro, edifi cio a sua volta neogotico dei primi del

Novecento che si caratterizza per le splendide vetrate e

per i pavimenti rivestiti di maiolica inglese.

Mar del Plata, la spiaggia degli argentini

Le onde dell’Oceano Atlantico e, sullo sfondo, Mar del Plata

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Mar del Plata è uno dei porti più importanti dell’Argentina per la pesca e la lavorazione del pesce

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Page 69: Argentina e Israele diario di viaggio

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Mar del Plata è anche uno dei porti più importanti del-

l’Argentina per la pesca e per la lavorazione del pesce.

Raggiungere la zona del porto dopo aver percorso il

lungomare costeggiato da eleganti alberghi e da alti

grattacieli è dunque d’obbligo, con le prime luci della

sera a rendere ancora più suggestivo il paesaggio. Da

qualche ora sulla città soffi a un forte vento, ma subito ci

avvertono che “da queste parti è normale”.

Tra le imbarcazioni di pescatori intenti a riordinare le

reti e i loro attrezzi e carcasse arrugginite di vecchi

pescherecci notiamo (e... sentiamo) la presenza di un

gran numero di leoni marini. Sono mollemente sdraiati

sui sassi, uno addosso all’altro, e paiono contendersi

un angolo in cui riposare. Sono protetti da una sempli-

ce recinzione e si lasciano avvicinare. Scattare qualche

foto è doveroso, specie per chi - ed è esattamente il

nostro caso - non perde occasione per immortalare la

fauna tipica di ogni terra visitata. È l’ora di cena e con

la coppia che ci è stata preziosa guida turistica durante

tutto il pomeriggio ci portiamo verso El Palacio del bife

in Cordoba 1857, che da oltre 40 anni - così si legge

sull’elegante pieghevole che pubblicizza il locale - colti-

va la tradizione che lo colloca tra i ristoranti di maggior

prestigio della città.

A tavola ci lasciamo tentare da una bistecca tanto tene-

ra quanto succulenta. Un abbondante piatto di insalata

e, a seguire, un ottimo dolce completano la cena.

La nostra serata continua al Café Orion, poco distan-

te dal ristorante, dove a partire dalle 23 “Bravo club”

presenta uno spettacolo di musiche e canti folcloristi-

ci proposto da Susana Abruzese, Néstor Cordò e Ju-

liàn David, accompagnati alla chitarra da Darìo Landi e

Marcelo Franco. Le note degli strumenti sono piacevo-

li, le voci armoniose e calde. È passata l’una quando

usciamo dal locale. Su Mar del Plata soffi a un vento

forte e freddo, che ci terrà compagnia fi no al momento

della nostra partenza per il rientro in Tigre. E sulla città

è calata la notte.

Buon riposo, leoni marini

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Leoni marini mollemente adagiati all’ingresso del porto di Mardel, come viene comunemente chiamata Mar del Plata

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Page 71: Argentina e Israele diario di viaggio

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Il 2 febbraio lasciamo Tigre e l’aeroparque di Buenos

Aires per volare fi no a Iguazú, provincia di Misiones.

L’albergo che ci ospita è lo “Sheraton International”.

Dista soli 8 chilometri dall’aeroporto ed è l’unico ho-

tel all’interno del parco. Basta percorrere 200 metri per

trovarsi a tu per tu con i primi salti delle maestose cata-

ratas, tra l’altro ben visibili dalla hall dell’albergo e dalle

sale da pranzo.

Le cascate si trovano al confi ne tra il Brasile e l’Argen-

tina e costituiscono uno spettacolo dal fascino quasi

indescrivibile. Interrompono il corso del fi ume Iguazú

poco a monte della sua confl uenza nel Paranà e proprio

per la loro imponenza, ma verrebbe da dire soprattutto

per la loro unicità, sono state scelte per fare da sfondo

alle scene di alcuni fi lm, tra cui “Mission”.

Sono almeno 5.000 (ancora di più nelle stagioni di pie-

na) i metri cubi d’acqua che ogni secondo precipitano

per più di 70 metri sul terreno sottostante formando ol-

tre 200 salti, il più suggestivo e spettacolare dei quali è

l’assordante “garganta del diablo”, la “gola del diavolo”.

Chi può e ha la fortuna toccata a noi di trovarsi a Iguazú

quando il cielo regala il sempre romantico spettacolo

della luna piena, non manchi di visitare questa casca-

ta di notte. È raggiungibile coprendo il primo tratto del

percorso con un trenino e quindi con un tragitto a piedi

di poco più di un chilometro che si snoda attraverso

facili sentieri e comode passerelle dalle quali ammirare

scorci paesaggistici impareggiabili e osservare la fl ora

e la fauna tipiche del parco.

Dalla stazione di arrivo del trenino parte anche il paseo

ecologico, 3 chilometri di tranquilla navigazione attra-

verso il delta del Rio Iguazú Superiore, mentre proprio

Iguazú, meraviglia del mondo

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Le cascate di Iguazú, nella provincia di Misiones, autentica meraviglia del mondo

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davanti all’Isla San Martín è posto l’imbarco per l’aventu-

ra nautica che fa vivere al turista qualche piccolo brivido,

ma che soprattutto gli fa provare l’emozione di arrivare

con il gommone fi no a ridosso delle cascate e di farsi

“avvolgere” dagli spruzzi dell’acqua. Dal lato antistante

l’Isla San Martín si parte anche per la gran aventura.

Si naviga per 6 chilometri lungo il Rio Iguazú Inferiore,

quindi - lasciato il gommone a porto Macuco - si per-

corre a piedi un breve tratto nel bosco per poi salire

su un camion che attraversa per 8 chilometri il sendero

Yacaratia, fi no a raggiungere il centro visitatori.

All’inizio degli anni Ottanta l’Unesco l’ha dichiarato pa-

trimonio dell’umanità e il luogo, in effetti, è di una bel-

lezza sconvolgente. Immerso in un parco nazionale che

si estende su una superfi cie di 55.000 ettari di lussu-

reggiante foresta tropicale, stupisce per l’esuberanza

del paesaggio e appunto per la forza delle sue cascate,

cuore di questo autentico paradiso. La fl ora è stupenda

e la fauna variegata, con oltre 2.000 specie di piante

identifi cate, un gran numero di insetti e 400 tipi di uccelli

(appena svegli, può capitare di affacciarsi alla fi nestra

e osservare sull’albero davanti al terrazzo della camera

stupendi tucani e variopinti pappagalli), oltre a numerosi

mammiferi. Il più comune è il coatì, simpatico e golosis-

simo animale simile al procione che non teme di avvici-

narsi ai visitatori del parco pur di conquistare un po’ di

cibo, da consumare magari allo stesso tavolo del turista.

Lungo i sentieri dei circuiti inferiore e superiore del parco

non è raro neppure imbattersi nelle più diffi denti iguane,

mentre in taluni punti del percorso (su tutti alla “estaciòn

Garganta”) accade di rimanere incantati a osservare le

coloratissime farfalle che popolano il bosco.

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L’assordante “garganta del diablo”, in assoluto la cascata più spettacolare Iguazú, le sue cascate e il suo parco, dall’inizio degli anni Ottanta patrimonio dell’umanità

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“Si pudiera vivir nuovamente mi vida, en la próxima trataría de cometer más errores. No intentaría ser tan perfecto, me relajaría más. Sería más tonto de lo que he sido, de hecho tomaría muy pocas cosas con seriedad... Si pudiera volver a vivir, comenzaría a

andar descalzo a principios de la primavera y seguiría descalzo hasta concluir el otoño”

“Se potessi vivere di nuovo la mia vita, nella prossima cercherei di commettere più errori. Non cercherei di essere così perfetto, mi rilasserei di più. Sarei più sciocco di quanto non

sia stato, di fatto prenderei ben poche cose sul serio...Se potessi tornare a vivere, comin-cerei ad andare scalzo all’inizio della primavera e resterei scalzo fi no alla fi ne dell’autunno”

(Jorge Luis Borges)

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Se si ha l’opportunità di rimanere almeno quattro giorni

a Iguazú, un pomeriggio è doveroso riservarlo alla visita

della diga di Itaipù, capace di produrre energia in quan-

tità tale da soddisfare il 25% del fabbisogno dell’intero

Brasile e addirittura il 90% di quello del vicino Paraguay.

La diga è immensa. Lunga oltre 7 chilometri e alta poco

meno di 200 metri, ha richiesto per la sua costruzione

11 milioni di metri cubi di calcestruzzo. Ha 18 turbine e

crea un lago di 1.350 chilometri quadrati di superfi cie e

un volume d’acqua di 29.000 milioni di metri cubi. In-

somma un autentico capolavoro di ingegneria, un altro

miracolo sudamericano.

Sono le 16.50 in punto del 5 febbraio quando decollia-

mo da Iguazù per fare ritorno a Buenos Aires. Un’altra

settimana in Tigre ed ecco arrivare il giorno della par-

tenza. Alle 14.45 del 12 febbraio lasciamo l’aeroporto

Ezeiza con il volo 6840 dell’Iberia Airlines, destinazione

Madrid. Da lì, dopo 11 ore e mezza di volo, un Boeing

757 ci porterà a Malpensa.

Arrivederci Argentina, patria del tango e terra di gau-

chos, di foreste e di cascate, di laghi e di ghiacciai scon-

fi nati. Arrivederci, terra che dal Tropico del Capricorno

fi no al Circolo Polare Antartico sai regalare impagabili

emozioni. E trasformare i sogni in realtà.

Itaipù, capolavoro di ingegneria

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La diga di Itaipù, autentico capolavoro di ingegneria. È lunga oltre 7 chilometri

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Sono passati due anni e mezzo dal mio secondo viaggio

in Sudamerica e poco meno di quattro da quella che

fu, sul fi nire dell’autunno del 2002, la mia prima avven-

tura in Argentina. Da allora molte cose sono cambiate,

in quello sconfi nato Paese da noi italiani così amato e,

nei momenti diffi cili, così coccolato com’è giusto fare

con una nazione dove un terzo dei suoi 36 milioni di

abitanti ha antenati italiani (un milione e mezzo di loro ha

tra l’altro il doppio passaporto). Era il 2001 quando un

devastante terremoto economico e fi nanziario mise in

ginocchio l’Argentina e oggi quella terra si avvia concre-

tamente a tornare fertile. E prospera. I numeri parlano,

ormai dall’anno scorso in verità, di un Paese in ripre-

sa, con il tasso di crescita annuo di poco inferiore al

10% e con la disoccupazione scesa sotto la soglia del

13%. Sotto controllo, anche se sempre piuttosto alta,

è pure l’infl azione e le esportazioni hanno ripreso fi ato.

«Stiamo uscendo dall’inferno», aveva detto un anno fa il

presidente Nestor Kirchner facendo il bilancio dei suoi

primi due anni alla Casa Rosada, dove si è insediato nel

maggio del 2003.

Il coraggio della dignità

Resta tutta, è pur vero, la rabbia del popolo dei tango-

bond, che comprende anche 450mila italiani vittime de-

gli allettanti guadagni prospettati loro agli sportelli ban-

cari, proprio attraverso la sottoscrizione di titoli argentini,

negli stessi anni in cui la ricca borghesia sudamericana

cambiava i suoi pesos in dollari e li trasferiva all’estero.

A loro, al popolo dei tango-bond appunto, sono rimaste

le briciole. E le polemiche che si sono accompagnate

alle decisioni degli organismi internazionali di ignorare le

richieste dei creditori privati.

Ma i conti dell’Argentina, si è detto, iniziano a tornare. E

poi con Kirchner il Paese ha fatto un altro passo impor-

tante, ha cioè abolito le leggi approvate negli anni della

presidenza di Raúl Alfonsín che - insieme con l’indulto

a suo tempo concesso da Menem - avevano garantito

l’impunità ai militari del regime instaurato nel 1976, quan-

do la giunta guidata da Jorge Rafael Videla prese le re-

dini della nazione sudamericana. Da quell’anno e fi no al

1983, quando con la caduta della dittatura in Argentina

tornò la democrazia, numerosi oppositori - non importa

se reali o presunti - del regime furono rapiti, torturati e

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Page 86: Argentina e Israele diario di viaggio

uccisi. E migliaia furono gli scomparsi, i desaparecidos

per i quali i familiari hanno sempre invocato giustizia. E

da 25 anni le madri argentine di Plaza de Mayo, straordi-

nario esempio di umanità, marciano ogni giovedì intorno

all’obelisco che si innalza davanti alla sede della presi-

denza argentina per tenere viva la memoria dei crimini

di cui si rese responsabile la dittatura. Nel gennaio di

quest’anno, in occasione dell’assegnazione del Premio

Nonino proprio alle madri di Plaza de Mayo, di queste

donne capaci di “mettere a repentaglio eroicamente la

loro esistenza sfi dando l’arroganza del potere” Claudio

Magris ha delineato sul Corriere della Sera un ritratto

quantomai effi cace di cui mi piace citare un passaggio.

“Quando i loro fi gli iniziano a sparire - scrive Magris - in

un’assenza e in un’incertezza più angosciose della mor-

te, il loro amore materno non si piega e non si rassegna.

Non si limita alle lacrime ma trova gli artigli ed esse inizia-

no la loro ricerca, la loro lotta indomabile. Come Antigo-

ne, si ribellano alla legge iniqua (o meglio alla selvaggia

anarchia, perché ogni violenta tirannide è caos e disor-

dine) che nega i fondamentali valori umani”. L’Argentina

è anche questo. È il coraggio della dignità.

Claudio Bottagisi, agosto 2006

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Page 87: Argentina e Israele diario di viaggio

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Dopo essere stato pubblicato a puntate sul mensile “Il

Punto Stampa”, viene raccolto in un volume il “diario” in

cui Claudio Bottagisi ha descritto la sua esperienza di

viaggio in Terra Santa. L’occasione era stata data da un

pellegrinaggio vissuto sul fi nire dell’estate 2005 in com-

pagnia di due comunità parrocchiali, quelle di Olgiate

Comasco e di San Fedele in Como. Cento pellegrini in

tutto, l’ideale per sentirsi un piccolo popolo in cammi-

no, ma per avere anche la possibilità di conoscersi.

Claudio è stato pellegrino-giornalista, in viaggio con il

gruppo, diventandone il fedele cronista. Tutti indovina-

vano il suo “mestiere”: nella curiosità del vedere e del-

l’ascoltare, del fare domande e del raccogliere la docu-

mentazione di ogni cosa.

Ma questa attenzione professionale non ne raffredda-

va la cordialità e non lo allontanava dal clima di pre-

ghiera e di fede in cui matura l’esperienza forte del

pellegrinaggio. Forse è proprio questo che gli ha con-

sentito di raccontare il viaggio in Terra Santa non solo

nell’affascinante dispiegarsi dei paesaggi e dei reperti

archeologici, ma di cogliere dal di dentro la densità

spirituale dell’esperienza.

Certo, il viaggio in Terra Santa è anche la scoperta di

panorami esotici, dalla cupola dorata della moschea

di Omar all’aspra solitudine del deserto di Giuda, dal-

la Gerusalemme calcinata dal sole alle dolci colline di

Galilea. Ma per il pellegrino è soprattutto l’incontro con

la terra di Cristo, con le strade e i villaggi da Lui attra-

versati, con l’eco delle sue parole e dei suoi atti che

affi orano dai campi, dal lago di Tiberiade, dalla steppa

del Giordano.

Questo intreccio di documentazione e di luce interiore

affi ora a ogni passo del racconto. Di più, un altro pre-

gio di questo “diario di viaggio” è la nota di incantato

stupore che emerge a ogni pagina: per le persone, gli

incontri, i riti, le memorie. E’ una nota che dà tonalità al

racconto, senza forzature. Merito di un buon narratore,

certo. Ma cerco di darmi ragione di ciò che l’abbia ispi-

rata, visto che anche in me, che pure ho accompagna-

to come guida spirituale tanti itinerari in Terra Santa,

questo pellegrinaggio ha lasciato un ricordo singolare,

una commozione unica.

Un piccolo popolo in cammino

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Page 88: Argentina e Israele diario di viaggio

Una prima ragione, forse, è da ricercare nel tempo in

cui abbiamo visitato i luoghi santi. Era la prima estate in

cui riprendevano i pellegrinaggi dopo cinque anni du-

rissimi di intifada, di attacchi e di ritorsioni tra palestine-

si e israeliani. Dopo gli anni della paura, la gente vedeva

in questo riapparire dei pellegrini un ritorno alla norma-

lità. E ne ricavava un senso di respiro, una promessa

di pace che, purtroppo, si è rivelata di breve durata.

Soprattutto nelle comunità cattoliche palestinesi rina-

scevano la speranza e la gioia di non sentirsi più sole.

In questo clima e con queste attese è stato più faci-

le avere incontri con personalità (ma anche con gente

semplice) che dilatavano la comprensione dei proble-

mi e dei diffi cili cammini di pace. Così ci hanno parlato

a lungo e hanno risposto alle nostre domande il Cu-

stode francescano di Terra Santa, padre Pierbattista

Pizzaballa, il rettore del Seminario patriarcale di Geru-

salemme, padre William Shomali, e il nunzio apostolico

monsignor Pietro Sambi, ora responsabile della nun-

ziatura della Santa Sede negli Stati Uniti. Ma ci ha par-

lato della sua vita anche una “piccola sorella” di Char-

les de Foucauld, italiana, che vive la sua consacrazione

lavorando in un quartiere povero di israeliani al confi ne

con il deserto del Neghev.

Una ragione tutt’altro che trascurabile, infi ne, è il clima

di amicizia, di profonda intesa, di reciproco aiuto che si

è subito creato nel gruppo dei pellegrini: non c’era om-

bra della presuntuosa svagatezza del turista ma, in tutti,

desiderio di capire, di vivere insieme un’esperienza uni-

ca, di confrontarsi con le radici della propria fede.

Nel “diario” di Claudio Bottagisi c’è una fedele riso-

nanza di questi sentimenti, di queste opportunità, di

questo orizzonte di senso. Un diario che merita di es-

sere letto. È stato scritto con la passione dell’antico

salmista: “Mi si attacchi la lingua al palato - cantava

con struggente nostalgia - se mi dimenticassi di te, o

Gerusalemme” (salmo 137).

Chi lo legge avrà un motivo in più per augurare la

pace ai due popoli che vivono su questa terra tragica

e splendida. È se ha fede, per aprire l’anima alla pre-

ghiera perché, nel deserto dei sentimenti umani, essa

possa diventare giardino dove fi oriscano la giustizia, il

diritto, la sicurezza e la pace.

Monsignor Carlo Calori

vicario episcopale per la città di Como

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...a Israele Malpensa, 24 agosto 2005

Un pellegrinaggio in Terra Santa, il pellegrinaggio per

eccellenza. Un viaggio nella terra di Gesù e lungo le

strade del Vangelo. Un itinerario di grande signifi cato

spirituale attraverso luoghi e situazioni di forte intensità

emotiva. Un percorso per dilatare la propria conoscenza

del Vangelo e, al tempo stesso, per ammirare paesaggi

incantati. E scoprire il fascino dei profumi e dei colori

di Israele. Ma soprattutto per raccogliere quei piccoli

semi di speranza sparsi in una terra in cui dev’essere

costruita la pace. Un pellegrinaggio di otto giorni tra

Nazareth, Cafarnao, Tiberiade e il suo lago, il monte

delle Beatitudini, Gerico, il Mar Morto, Haifa, il deserto

di Giuda, Betlemme e naturalmente Gerusalemme, la

“città santa”. Un viaggio da ricordare. E da raccontare.

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Page 92: Argentina e Israele diario di viaggio

“Gerusalemme amore mio. Un’ultima collina ed è la meraviglia. Diciassette volte distrutta, diciassette volte risorta, la regina delle città è lì, piantata nel suo paesaggio

lunare, in mezzo a questo scenario che è servito da sfondo alla più formidabile avventura spirituale di tutti i tempi”

(Dominique Lapierre, da “Luoghi dell’Infi nito” n.27 - febbraio 2000)

Nelle due pagine precedenti, il lago di Tiberiade visto dal monte delle Beatitudini

L’antica strada a gradini percorsa da Gesù la notte del Giovedì santo per raggiungere la Valle del Cedron

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Page 93: Argentina e Israele diario di viaggio

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Sulle orme di Cristo

Un pellegrinaggio in Terra Santa, dopo gli anni della

paura seguiti alla “passeggiata” del 28 settembre del

2000 di Ariel Sharon, primo ministro israeliano, sulla

spianata delle moschee di Gerusalemme. Con la di-

scussa visita al monte del Tempio, il leader del Likud in-

tendeva suffragare la sovranità israeliana su quel luogo

sacro, oggetto di una lunga e accesa contesa. Di fatto,

spalancò le porte alla seconda intifada. E le chiuse alle

migliaia di occidentali che ogni anno facevano dei luo-

ghi sacri di Israele la meta dei loro pellegrinaggi sulle

orme di Cristo e lungo le strade del Vangelo.

«Viaggiare e essere pellegrino qui è un segno di spe-

ranza e di solidarietà con i cristiani di Terra Santa - era

scritto nel documento stilato nel gennaio del 2004 da

alcuni vescovi cattolici dell’Europa e delle Americhe - è

un richiamo alla presenza di questa Chiesa vivente e

una testimonianza di pace e riconciliazione in questa

regione così martoriata dal confl itto». Ecco allora il ri-

torno dei pellegrinaggi. Ed ecco, dal 24 al 31 agosto

del 2005, le tappe ai luoghi santi di oltre 40 comaschi

guidati da monsignor Carlo Calori, prevosto della “città

murata” di Como.

Con loro Alice Calori (guida attenta e affi dabile quanto

discreta e instancabile, che della Terra Santa conosce

storia, abitudini, cultura e tradizioni) e una cinquantina

di parrocchiani di Olgiate Comasco.

La partenza è alle 12.50 dallo scalo milanese della

Malpensa con il volo 1908 dell’Eurofl y. Tre ore e 40 mi-

nuti dopo il decollo l’arrivo all’aeroporto Ben Gurion di

Tel Aviv, moderno e funzionale. Poche decine di minuti

per sbrigare le formalità doganali e ritirare i bagagli e

sul piazzale sono già pronti il bus numero 1 e l’auti-

sta arabo che ci accompagneranno per tutta la durata

del pellegrinaggio. Fuori, il termometro segna 30 gradi.

Partiamo alla volta di Nazareth, nostra prima destina-

zione, e percorriamo la piana di Sharon, mentre il sole

regala un suggestivo tramonto. Sul pullman, don Carlo

invita a porsi per tutta la durata del pellegrinaggio un

interrogativo: “Maestro, dove abiti?”. E a pensare alla

terra di Gesù come al “quinto Vangelo”. Passiamo da

Cesarea, sul Mediterraneo, un tempo abitata dai fi listei,

distrutta dai persiani, ricostruita dai Crociati e succes-

sivamente dagli ebrei.

Alice spiega che in Israele la stagione delle piogge va

da ottobre a marzo e sollecita i partecipanti al pelle-

grinaggio «a porsi in atteggiamento di ascolto. Ricorda

che «da queste parti c’è ben poco crepuscolo» (non

a caso alle 19.30 è praticamente già notte) e ci intro-

duce - con le prime informazioni - alla conoscenza di

Nazareth, dove arriviamo intorno alle 21.30. L’albergo

che ci ospiterà per tre notti è l’Hamaayan Hotel, della

catena Rimonim, in road Paolo VI. Una doccia, la cena e

tutti a letto. Il mattino successivo la sveglia suonerà alle

6.30. Il tempo di fare colazione e, in gruppo, raggiun-

geremo la Basilica dell’Annunciazione per la messa di

inizio pellegrinaggio.

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Giovedì 25. Prima delle 7.30 tutti si presentano pun-

tuali all’appello. A presiedere la celebrazione eucaristi-

ca davanti alla grotta in cui Maria ricevette dall’angelo

l’annuncio della maternità divina è don Lorenzo Calori,

assistente spirituale della comitiva olgiatese. A conclu-

sione del rito visitiamo la basilica superiore, la zona de-

gli scavi, la vicina chiesa di San Giuseppe e il museo

francescano. Raggiungiamo quindi la chiesa di San

Gabriele e, prima di tornare in hotel, ci concediamo un

giro panoramico della città.

Il pomeriggio si parte per Cana di Galilea, dove Gesù du-

rante un banchetto nuziale compì il suo primo miracolo,

trasformando l’acqua in vino. Lungo la strada osservia-

mo il minareto di una moschea e qualcuno ricorda di

essere stato svegliato di buon mattino (in realtà sarebbe

più esatto dire nel cuore della notte) dal canto del muez-

zin che chiamava alla preghiera islamica e al cui richia-

mo i musulmani si rivolgono verso la Mecca e aprono le

braccia quasi ad accogliere più luce in se stessi.

Pochi chilometri ed ecco Cana, 6.000 abitanti, molti

dei quali arabi e musulmani. Visitiamo la chiesa, cui si

accede da un piccolo cortile, e le coppie lariane rinno-

vano le promesse matrimoniali secondo un rito uffi cia-

lizzato da un vero e proprio attestato consegnato agli

sposi che desiderano conservare memoria scritta di

quell’evento. Lì accanto ecco le fondamenta della casa

in cui avvenne il miracolo. Molti vi hanno gettato una

moneta, qualcuno una rosa rossa.

Un piccolo negozio davanti alla chiesa vende cartoline,

rosari, cappellini, oggetti ricordo e un vino liquoroso,

non senza averne offerto un assaggio a chiunque var-

chi la soglia del locale.

A Cana (e sarà così per tutto il viaggio) il sole picchia

forte e il paesaggio è colorato da incantevoli bouganvil-

lee. Ai lati delle strade donne, uomini e ragazzi di ogni

età vendono melograni. Sul pullman, Alice spiega che

il melograno è una delle sette piante bibliche. Ad atten-

derci è ora il Tabor, luogo della trasfi gurazione di Cristo,

che raggiungiamo dopo aver percorso una strada “ab-

bracciata” per lunghi tratti da giganteschi eucalipti,

messi a dimora a suo tempo per bonifi care il terreno e

l’aria, essendo la zona malarica.

Alla base del monte lasciamo il bus e saliamo - sette

alla volta - su appositi taxi. Autisti piuttosto spericolati

ci portano fi n sulla cima del monte, dove sorgono un

convento e la basilica e da dove lo sguardo spazia su

territori sconfi nati. La lettura dell’episodio della trasfi gu-

razione invita all’ascolto. E alla rifl essione.

Alla basilica dell’Annunciazione

L’interno della basilica superiore dell’Annunciazione,a Nazareth

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“La speranza è lontanissima,nel presente non c’è. Ma dobbiamoinventarla, altrimenti siamo morti”

(Mahmoud Darwish - poeta,al Corriere della Sera, 23 maggio 2006)

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La sagoma tondeggiante del monte Tabor domina un

vasto territorio nei dintorni di Nazareth. Dall’alto, davanti

agli occhi del visitatore si apre un panorama pressoché

sconfi nato. Da una parte le alture del Golan, dall’altro

un’immensa distesa di campagne e, qua e là, piccoli

laghi creati per allevarvi i pesci. Tutto intorno è silenzio,

rotto soltanto dalla lettura dell’episodio della trasfi gu-

razione di Gesù. “Sei giorni dopo Gesù prese con sé

Pietro, Giacomo e suo fratello Giovanni e li condusse

in disparte su un alto monte...”. Don Lorenzo procla-

ma il passo del Vangelo di Matteo che narra appunto

l’evento miracoloso della trasfi gurazione e spiega che

la tradizione cristiana ha identifi cato questo “alto mon-

te” proprio con la montagna del Tabor. Poi legge: “Qui,

sotto i loro occhi, egli si trasfi gurò e il suo volto splende-

va come il sole e le sue vesti divennero bianche come la

luce”. I pellegrini ascoltano e rifl ettono. A fare loro om-

bra sono un piccolo riparo poco distante dalla basilica

e gli ampi cespugli delle coloratissime bouganvillee.

A turno, la comitiva ridiscende e con gli stessi taxi uti-

lizzati per la salita (condotti dagli stessi spericolati au-

tisti) raggiunge la base del monte, dove ad attendere i

parrocchiani della “città murata” e di Olgiate sono una

dissetante spremuta di melograno o, per chi preferisce,

d’arancio e il pullman che ci aveva portati fi n lì da Cana

di Galilea.

Il programma della giornata non è terminato. Prima di

rientrare a Nazareth è infatti prevista una sosta al kibbu-

tz di Lavi, con inclusa la visita alla sua sinagoga. Dentro,

mentre ognuno prende posto tra i banchi, l’instancabile

Alice spiega che i kibbutz sono villaggi creati per difen-

dere l’identità ebraica. Fuori, il giardino è lussureggiante

e ben curato. In un cortile giocano una quindicina di

ragazzini.

Su Israele stanno per calare le ombre della sera quan-

do lasciamo il kibbutz per fare ritorno a Nazareth. Ad

attenderci è una cena a base di riso, insalata, verdure

e pollo. Il tutto condito con salse speziate dal gusto in-

confondibilmente arabo. Alle 22 tutti (o quasi) sono già

ritirati nelle rispettive camere dell’Hamaayan Hotel, con

il pensiero proiettato al mattino successivo, quando ad

attendere i pellegrini saranno Tiberiade, Cafarnao e il

monte delle Beatitudini. Insomma ci si prepara a vivere

la “giornata del lago”.

Galilea, fascino e suggestioni

Nella pagina precedente, la cupola della basilica dell’Annunciazione, a Nazareth

Il santuario della Trasfi gurazione, sulla vetta del monte Tabor

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La basilica sul Tabor, ricostruita dai Francescani sulle rovine di una precedente chiesa bizantina

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A darci idealmente il “buongiorno”, intorno alle 7 del 26

agosto, è un cielo a quell’ora già incredibilmente azzur-

ro. In pullman raggiungiamo in breve tempo Tiberiade

e attraversiamo in battello il “lago di Gesù”, quello della

tempesta sedata e della pesca miracolosa. È il cosid-

detto “mare di Galilea” ed è 200 metri sotto il livello del

Mediterraneo. A forma di arpa, è detto anche lago di

Genesaret dal nome della pianura che lo costeggia.

La traversata verso Cafarnao inizia sulle note dell’in-

no di Mameli. In lontananza osserviamo il villaggio di

Magdala, poi il battello sosta in mezzo al lago e don

Carlo legge la pagina di Vangelo in cui Gesù cammina

sulle acque. Con il tono della voce il sacerdote pare

sottolineare il passaggio in cui Pietro - impaurito dopo

che Gesù stesso lo aveva invitato a scendere dalla bar-

ca per andargli incontro - temendo di affogare implora

Cristo di salvarlo. “Subito Gesù stese la mano - legge

il prevosto della “città murata” - lo afferrò e gli disse:

Uomo di poca fede, perché hai dubitato? Il vento cessò

e quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a

lui dicendo: Veramente tu sei fi glio di Dio”.

Alcuni minuti di silenzio, dedicati alla rifl essione perso-

nale, poi il battello riaccende i motori e riparte. Appena

sbarcati a Cafarnao visitiamo gli scavi dell’antica città

custoditi dai francescani, con i resti della sinagoga e

le fondamenta della casa di Pietro, sovrastate da un

Memoriale consacrato nel 1990. Sotto frondosi alberi,

proprio a ridosso della sinagoga, don Lorenzo legge e

commenta un altro brano di Vangelo.

Sono le 11 quando la comitiva lascia Cafarnao per rag-

giungere il monte delle Beatitudini. Prima, però, i pelle-

grini fanno tappa a Tabgha, dove Gesù moltiplicò i pani

In battello, sul lago di Gesù

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Tra i cipressi e le bouganvillee, il santuario che ricorda il “discorso della montagna” Palme e datteri, Israele è anche questo: un Paese ricco di coltivazioni e vegetazione

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Cafarnao e i resti della sinagoga, costruita nella seconda metà del IV secolo dopo Cristo

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e i pesci e dove conferì il primato a Pietro. Dalla riva,

pochi rinunciano a toccare le tiepide acque del lago. Su

una pianta cresciuta accanto alla piccola spiaggia che

si apre davanti alla chiesa un martin pescatore osserva

incuriosito. Una foto di gruppo, la prima dal giorno della

partenza, poi nuovamente tutti in bus verso il monte

delle Beatitudini.

Una volta a destinazione, lo spettacolo è semplice-

mente inimmaginabile. E, in defi nitiva, indescrivibile.

Altrettanto suggestivo e intenso l’appuntamento con la

celebrazione della messa all’aperto, circondati dai fi ori

e con gli sguardi liberi di spaziare sul lago e su estese

coltivazioni di datteri e di banane.

All’omelia, don Carlo invita a saper trovare dentro noi

stessi e nel nostro prossimo la letizia di essere cristia-

ni, «quella stessa gioia - dice con un esempio effi cace

- che un missionario prova quando lascia la sua terra

per raggiungere la missione che gli è stata affi data».

Il pranzo, delizioso, è al vicino convento delle suore

francescane. Mangiamo di buon appetito pastasciutta,

pesce e insalata e, alla fi ne, c’è posto anche per l’angu-

ria. I più coraggiosi (fuori, infatti, il caldo è opprimente)

intorno alle 14 lasciano il convento e si aggirano per

il parco circostante la chiesa. Qualcuno scatta foto-

grafi e, i più osservano il paesaggio e qualche altro ne

approfi tta per riposare. Ma arriva l’ora della partenza,

destinazione Haifa e il Carmelo. E la guida ricorda che

la giornata è ancora lunga.

Gli scavi dell’antica città di Cafarnao, oggi custoditi dai Francescani

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Sono passate da poco le 15 quando lasciamo il mon-

te delle Beatitudini per raggiungere il Carmelo, che nel

punto più alto supera appena i 550 metri e che nel-

l’antichità era considerato uno tra i luoghi più sacri.

Prima, però, è prevista una tappa a Haifa, conquistata

- così si legge su un pieghevole - nel 1100 dai Crociati.

È venerdì, per gli ebrei giorno di riposo e di festa. Ecco

perché al nostro arrivo, quando il sole batte ancora for-

te, ci imbattiamo in una città “chiusa”. E tuttavia capa-

ce di offrire al visitatore un incantevole panorama sul

Mediterraneo, che ammiriamo dall’alto.

L’impressione è di una città moderna e in effetti Alice

la descrive «centro industriale d’avanguardia affaccia-

to sul mare e principale porto d’Israele». Ammiriamo

dal bus l’incantevole giardino antistante un mausoleo,

quindi sostiamo alla chiesa Stella Maris, che ingloba la

grotta in cui era solito rifugiarsi il profeta Elia. Dentro, si

sta concludendo il suggestivo rito del battesimo gre-

co-cristiano di un bimbo e pochi si lasciano sfuggire

l’opportunità di scattare una foto o di immortalare la

cerimonia sulla videocamera.

A proposito di foto, una volta lasciata la basilica nes-

suno rinuncia a raggiungere la vicina terrazza pano-

ramica e a puntare l’obbiettivo della propria macchina

su quel panorama davvero suggestivo, dominato dal

porto con i suoi alti sili per la raccolta del grano, dalle

insegne pubblicitarie e soprattutto dal blu intenso del

Mediterraneo, spezzato qua e là dalla bianca scia di

un’imbarcazione.

Ma il pullman aspetta. Si torna a Nazareth, dove ad

attendere i pellegrini giunti due giorni prima in Israele

dal Lario è l’incontro con il responsabile dell’Opera Don

All’Opera, nel segno di don Guanella

Al monte delle Beatitudini, un’altra tappa del pellegrinaggio lungo le strade dei Vangeli

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Guanella. Si chiama don Marco Riva e ha 42 anni. Da

15 è in Israele ed è assistito da fratel Carlo Frondini nella

gestione della Holy family school, avviata struttura che

accoglie oltre 200 disabili medio-gravi da 0 a 21 anni

di Nazareth e dei dintorni, ospitati in un ex convento

di suore clarisse costruito nel 1882 e di proprietà del-

la Custodia di Terra Santa, individuato dal guanelliano

don Ugo Sansi nella prima metà degli anni Settanta.

È il 1975 quando sette giovani disabili mentali sono ospi-

tati in quello stabile, nel frattempo parzialmente ristrut-

turato. «In breve tempo il loro numero aumentò - spiega

don Marco con la sua carica contagiosa di entusiasmo,

di simpatia e di energia - e nell’83 fu ristrutturata un’altra

ala del convento, in cui furono ricavate le aule per le at-

tività dei ragazzi. Dall’anno successivo vennero accolti

bambini con disabilità senso-psicomotoria e ben presto

gli spazi divennero insuffi cienti e inadeguati. Venne per-

ciò progettato e realizzato un nuovo padiglione nell’area

del frutteto dell’ex convento, inaugurato nel 1986».

Sia don Marco sia fratel Carlo sono stati allievi in

Seminario di monsignor Calori e ciò aggiunge ulterio-

re familiarità all’incontro. Sempre don Marco, originario

di Paderno d’Adda, spiega: «Don Ugo Sansi arrivò in

Terra Santa a quasi 50 anni, dopo aver trascorso buo-

na parte della sua vita nella congregazione guanelliana,

assistente e educatore a Milano e a Riva San Vitale».

In un sito Internet si legge: “Dolce e roccioso come le

montagne della sua Valtellina, accolse con la maturi-

tà di un’obbedienza meditata la nuova destinazione

indicatagli dai Superiori”. E ancora: “Confi dò più volte

di essere rimasto colpito da una foto scattata a don

Guanella, attorniato da un nugolo di bambini, durante il

pellegrinaggio in Terra Santa da lui compiuto nel 1902

con il cardinale Andrea Carlo Ferrari. Quell’immagine

aveva per don Ugo un signifi cato profetico e nella sua

umiltà sentiva il privilegio di dover concretizzare il de-

siderio del fondatore di aprire una struttura proprio in

Terra Santa. Per questo il sacerdote volle il meglio per

la Casa di Nazareth e non risparmiò impegno e studio,

facendo della Holy family school un’istituzione educati-

va e riabilitativa di primaria importanza”.

Già, una struttura agile e funzionale dove lavorano oltre

100 persone, tutte del posto e tutte donne, in larga pre-

valenza arabe. E dove, soprattutto, non si cerca di im-

porre bensì di crescere insieme. «È per questa stessa

ragione - sottolinea don Marco - che ogni anno festeg-

giamo con i ragazzi e con le loro famiglie sia il Natale

sia il Ramadan, nel segno della condivisione piena tra

cristiani e musulmani». Prima di farci visitare il nuovo

padiglione dell’istituto, il sacerdote spiega che la scuola

è sovvenzionata dallo Stato di Israele e può inoltre con-

tare sui proventi delle donazioni. «In tal modo - sottoli-

nea - le famiglie non pagano alcuna retta».

Ci congediamo da don Marco e dall’Opera Don Guanella

quando su Nazareth sta per scendere la sera. Il giorno

dopo lasceremo la Galilea e ci dirigeremo verso Gerico

e il Mar Morto prima di raggiungere Gerusalemme, di-

ciassette volte distrutta, diciassette volte risorta.

Il fascino del Mediterraneo, osservato dal monte Carmelo, sopra Haifa

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“Oggi la pace sta diventando impossibile perché Israele rifi uta di negoziare i confi ni, il futuro di Gerusalemme, il diritto al ritor-

no degli esuli, costruisce muri e cantoni”(Mahmoud Darwish - poeta,

al Corriere della Sera, 23 maggio 2006)

Nelle due pagine precedenti una veduta di Haifa, conil suo porto e il suo mare, e l’incontro con don Marco Riva

nel cortile dell’Opera Don Guanella a Nazareth

Le rocce e le grotte di Qumran. Qui furono trovati antichi manoscritti della Bibbia, i cosiddetti rotoli del Mar Morto

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È il mattino del 27 agosto, un sabato. Sul pullman che

da Nazareth prende la strada per Gerico don Carlo ri-

corda ai pellegrini della “città murata” e di Olgiate quan-

to sia diffi cile essere cristiani, anche e soprattutto in

Terra Santa. Ed esorta a vincere questa sfi da «con la

scelta dell’amore». Attraversata la piana di Esdrelon, si

punta verso la valle del Giordano.

Entriamo in Palestina dopo aver superato senza diffi -

coltà un check-point presidiato da tre giovani militari

sorridenti e dopo esserci lasciati alle spalle alcuni vil-

laggi di beduini, i cosiddetti “custodi del deserto”, con

le loro greggi. Osserviamo i monti del deserto di Giuda,

tutti dello stesso inconfondibile colore.

Un breve tragitto e, dopo un altro check-point, eccoci

davanti al monte della Quarantena, su cui sorge un mo-

nastero. Una breve sosta, poi di nuovo tutti in pullman

per raggiungere Gerico, non prima di avere osservato

un sicomoro, la pianta sulla quale salì Zaccheo, ricco

capo dei pubblicani, per vedere Gesù che stava ap-

punto attraversando Gerico. La messa, celebrata da

don Lorenzo, è nella chiesa dei francescani. Una tap-

pa per acquistare ceramiche, squisiti datteri e ogni tipo

di saporitissima frutta, quindi la comitiva lariana punta

verso Qumran, nelle cui grotte furono trovati antichi ma-

noscritti della Bibbia, i cosiddetti rotoli del Mar Morto

considerati la più importante scoperta archeologica

mai avvenuta in Israele.

Fa molto caldo, ma dopo pranzo ad attendere i pellegri-

ni sono dapprima un rigenerante bagno nelle acque del

Mar Morto, quindi due soste a Wadi El Qelt per ammira-

re un suggestivo quanto singolare panorama sul deser-

to di Giuda. Lungo il tragitto ecco altre tende di beduini.

Gerusalemme, pace sulle tue mura

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Sulla spianata del tempio la moschea di Al-Aqsa e la cupola della moschea di Omar,la cosiddetta Cupola della Roccia

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Lasciata Nazareth e attraversata la Valle del Giordano, ecco Gerico Uno sguardo alla moschea e una tappa per lo shopping prima di raggiungere Qumran

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Il suk di Gerusalemme, nel cuore della città vecchia. Un altro “simbolo” da conservare Anche una tipica e suggestiva bottega artigiana nel mercato della “città santa”

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“Chi abita a Gerusalemme sa che vi sono qui tanti sforzi, tentativi di dialogo,di incontro, di comprensione, di riconciliazione, di perdono... Sono persone che hanno capito che la pace ha un prezzo e che ciascuno deve cominciare a pagare la sua parte”

(Cardinale Carlo Maria Martini)

Spezie, frutta e verdura. Il suk di Gerusalemme regalaal visitatore colori e aromi assolutamente inconfondibili

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«Tra il deserto del Sinai e appunto quello di Giuda -

spiega Alice - sono attualmente ottantamila, quasi tutti

stanziali». Impariamo anche a riconoscere il tamarisco,

una pianta pungente tipica di quei luoghi, della qua-

le osserviamo vari esemplari. Ma Gerusalemme non è

lontana. Ci arriviamo infatti intorno alle 18 e subito pun-

tiamo verso l’albergo che ci ospiterà per i successivi

tre giorni.

L’hotel è il Saint George International e l’accoglienza de-

cisamente apprezzata, anche perché accompagnata da

una dissetante spremuta. Nella mente si riaffacciano le

parole che monsignor Calori aveva pronunciato in luglio,

quando i pellegrini si erano incontrati nella casa parroc-

chiale di San Fedele, a Como, con il prevosto della “città

murata” per conoscersi e preparare l’appuntamento di

fi ne agosto. Insomma per saperne di più sugli obiettivi

del viaggio e sul senso dell’itinerario da intraprendere.

«Quello a Gerusalemme è il pellegrinaggio per eccellen-

za», aveva detto il sacerdote. Che aveva anche aggiun-

to: «Ogni esperienza vissuta in Terra Santa, la terra di

Gesù, è un atto di fede nel mistero dell’incarnazione».

Sfogliando una guida della città ecco il foglio che riporta

il salmo 121, quello del saluto a Gerusalemme, conse-

gnato a ogni pellegrino prima della partenza. Leggerlo

è inevitabile: “Quale gioia quando mi dissero: Andremo

alla casa del Signore. E ora i nostri piedi si fermano

alle tue porte, Gerusalemme... Là salgono insieme le

tribù, secondo la legge di Israele, per lodare il nome del

Signore. Là sono posti i seggi del giudizio, i seggi della

casa di Davide. Domandate pace per Gerusalemme.

Sia pace a coloro che ti amano, sia pace sulle tue mura,

sicurezza nei tuoi baluardi”.

La cena precede il giro notturno della città vecchia, che

inizia dalla porta di Erode. Da lì raggiungiamo la vici-

na porta di Damasco, da dove accediamo al quartiere

arabo (durante le ore del giorno affollato e coloratissi-

mo, con il suo mercato e gli inconfondibili profumi del

suk), per poi passare a quello cristiano. Uno sguardo

alle antiche mura e, sempre a piedi, rientriamo in alber-

go. Il mattino dopo la sveglia suonerà, come d’abitu-

dine, piuttosto presto. E il programma della giornata si

preannuncia intenso.

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A passeggio per Gerusalemme, lungo le anguste vie in pietra del suk

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La domenica inizia con la visita alla spianata del tempio,

che raggiungiamo dopo aver superato minuziosi con-

trolli a zaini e borse. Sulla destra ecco la moschea di

Al-Aqsa, sulla sinistra - al centro di un grande piazzale

raggiungibile dopo aver salito una quindicina di gradi-

ni - quella di Omar, dall’inconfondibile cupola dorata.

Poco distante è il Muro del pianto, da secoli il faro degli

ebrei. Ma la sua visita è programmata per i giorni suc-

cessivi. La prossima destinazione è invece Betlemme,

dove già in mattinata è prevista la celebrazione della

messa in una delle grotte dei pastori.

La strada da percorrere per raggiungere Betlemme

non è lunga. Pochi chilometri e saremo nella città della

Giudea patria di Davide. Quando varchiamo il muro è

mattina inoltrata. Sulla “barriera” innalzata dagli israe-

liani per difendersi dagli attacchi dei gruppi terroristici

palestinesi si legge: “Stop apartheid”. Qualcun altro,

con lo spray, ha scritto: “American money”.

Ad attendere il gruppo, al campo dei pastori, è padre

Michele. Il tempo di un rapido scambio di saluti e di pren-

dere posto dentro una delle grotte dove i pastori passava-

no le loro notti invernali e ha inizio la “messa di Natale” dei

pellegrini lariani. Don Carlo legge la pagina del Vangelo

di Luca: “Ora, mentre essi erano là, giunse per lei il tem-

po del parto e diede alla luce il suo fi glio primogenito, lo

avvolse in fasce e lo pose a giacere in una mangiatoia,

perché non v’era posto per loro nell’albergo...”.

Poi, all’omelìa, il prevosto dice: «Oggi siamo qui a rac-

cogliere lo stesso invito fatto duemila anni fa, l’invito ad

andare a Betlemme a vedere cos’è accaduto». E ag-

giunge: «Dio ha scelto l’incarnazione perché di un bimbo

nessuno ha paura». E ancora: «Dio c’è nella nostra vita

«Di un bimbo nessuno ha paura»

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Betlemme, 9 chilometri a sud di Gerusalemme, la città della Giudea patria del re David

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“Se ti dimentico, Gerusalemme,si paralizzi la mia destra. Mi si attacchi

la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di

sopra di ogni mia gioia”(Salmo 137, 5-6)

Nella grotta sotto la basilica della Natività una stella d’argento a indicare il luogo in cui nacque Gesù

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quotidiana, ma dobbiamo abituarci a trovare il Signore

dove a lui piace farsi trovare, cioè nelle cose semplici, in

chi ci è accanto e nel nostro lavoro di ogni giorno».

Dopo la messa e non prima di avere intonato Tu scendi

dalle stelle, ecco la tappa più attesa, alla basilica della

Natività. Vi si accede da una porta stretta e bassa dopo

avere attraversato un ampio cortile. Appena dentro, la

nostra guida spiega che la chiesa fu costruita nel IV se-

colo dall’imperatore Costantino e danneggiata durante

una rivolta. «I persiani però non la distrussero - osserva

- perché vi trovarono raffi gurati i Magi. Essendo orien-

tali come i tre Re, non vollero infatti profanare l’edifi cio.

Più tardi, con i turchi, la basilica venne addirittura tra-

sformata in un luogo in cui venivano custoditi gli anima-

li». Dei mosaici che ricoprivano le pareti non è rimasto

praticamente più nulla. Qualche interessante traccia del

pavimento musivo della basilica è visibile invece sotto il

livello dell’attuale pavimentazione.

Il suono delle campane a distesa annuncia il mezzogior-

no e precede di pochi minuti la discesa alla sottostante

grotta della Natività. Sotto l’altare i pellegrini rendono

omaggio - con un inchino, un canto e una preghiera

sussurrata - alla stella d’argento che, su una lastra di

marmo, indica il punto in cui nacque Gesù. Don Lorenzo

ripropone il passo del Vangelo già ascoltato alla messa

nella grotta dei pastori. “In quei giorni - legge il sacerdo-

te - uscì un editto di Cesare Augusto per il censimento

di tutto l’impero. Questo censimento fu il primo fatto da

Quirino mentre era governatore della Siria. E tutti an-

davano a farsi registrare, ciascuno nella propria città.

Anche Giuseppe salì dalla città di Nazareth di Galilea

per recarsi in Giudea, alla città di Davide chiamata

Betlemme, essendo egli del casato e della famiglia di

Davide, per farsi registrare insieme con Maria, sua spo-

sa, che era incinta...”. L’emozione è forte e qualcuno non

sa trattenere una lacrima.

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È l’ora di pranzo e, fuori, fa caldissimo. Per la comi-

tiva lariana l’appuntamento è a Casa Nova, a fi anco

della basilica, la più moderna casa per pellegrini della

Custodia di Terra Santa. Qui, comodamente seduti a

tavola, i pellegrini incontrano padre William Shomali,

rettore del Seminario patriarcale, e da lui vengono mes-

si al corrente dei problemi che la Chiesa di Terra Santa

è chiamata ad affrontare. Nativo di Betlemme e con un

passaporto di servizio rilasciato dalla Santa Sede che

gli consente di spostarsi liberamente, padre William ri-

corda che i cristiani sono oggi soltanto il 2% dell’intera

popolazione della Terra Santa e che negli ultimi quat-

tro anni 3.000 persone hanno abbandonato Betlemme.

Proprio in quei giorni di fi ne agosto circa 8.000 coloni

ebrei stanno lasciando la Striscia di Gaza dopo il riti-

ro ordinato dal premier Ariel Sharon. «Ma questa resta

un’eccezione - dice il rettore - perché gli altri insedia-

menti rimarranno. No, non vediamo ancora la fi ne del

tunnel e non possiamo sperare che tra israeliani e pale-

stinesi si arrivi alla pace in tempi brevi».

«Viviamo qui come in un ghetto - aggiunge - rinchiusi tra

le mura che circondano la città. Poi c’è il grosso proble-

ma dei profughi palestinesi. Quattro milioni di persone

vivono fuori dalla loro terra e questo è grave. La guerra?

Non risolve niente, eppure sono in troppi a pensare che

soltanto con la guerra si può conquistare qualcosa».

Poi un’amara considerazione: «Qui, più che in ogni al-

tra parte del mondo, c’è un’immensa capacità di odiare.

E c’è un tremendo egoismo. Gli israeliani considerano

ogni palestinese un nemico, un potenziale terrorista. Ma

se tornano i pellegrinaggi, torna anche un po’ di speran-

za, così come ci sono di grande aiuto le preghiere del

cardinale Carlo Maria Martini. Lui vive a Gerusalemme e

non fa politica ma spiritualità. Ed è un uomo di pensie-

ro meraviglioso». L’incontro con padre William Shomali

continua. E intanto si preparano altre emozioni.

«Viviamo qui come in un ghetto»

La porta di Santo Stefano a Gerusalemme. Poco oltre,la chiesa di Sant’Anna e la piscina probatica

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Il Muro del pianto e l’apertura della Torah, il libro sacro per gli ebrei

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Sul pullman che da Betlemme ci porta al villaggio di Ain

Karem, dove nacque Giovanni Battista, don Carlo ricor-

da che a Como - con sede al Centro pastorale Cardinal

Ferrari - è attiva l’associazione “Amici del Seminario di

Beit Jala”, presieduta dall’ex sindaco della città Renzo

Pigni e sostenuta da alcune parrocchie del capoluogo,

oltre che della provincia e del Lecchese. Scopo del-

l’associazione è promuovere aiuti concreti a favore dei

cristiani di Terra Santa e in particolare dei chierici del

Seminario patriarcale attraverso l’istituzione di borse di

studio e l’“adozione” degli stessi seminaristi.

Proprio Renzo Pigni, neppure due mesi dopo, incon-

trando i pellegrini reduci dal pellegrinaggio lariano in

Israele avrebbe lanciato da Como un allarme: «Nel giro

di 30 anni la comunità cristiana in Palestina rischia di

scomparire e i luoghi santi di trasformarsi semplice-

mente in musei. Ecco perché da quelle terre giungono

agli occidentali appelli alla solidarietà ed ecco perché

quella gente non deve sentirsi sola». «L’associazione ha

svolto in questa direzione un ruolo importante - avreb-

be anche aggiunto l’ex primo cittadino - “adottando”

fi nora otto seminaristi su un totale di 27. La nostra dio-

cesi è vicina a loro e li incoraggia. Ed è chiamata a dare

forza alle loro speranze».

Ma torniamo ad Ain Karem, prima tappa pomeridiana

dell’ultima domenica di agosto vissuta in Medio Oriente.

In questo villaggio visitiamo dapprima la chiesa del Ma-

gnifi cat, che ricorda la visita di Maria a Elisabetta. Appe-

na oltre l’inferriata da cui si accede al cortile antistante

il santuario un cartello ammonisce a non introdurre, tra

gli altri oggetti comunemente vietati nei luoghi di culto,

pistole e armi in genere. Un divieto analogo l’avevamo

notato tre giorni prima nelle immediate vicinanze della

chiesa della Trasfi gurazione, sul Tabor. Ci aveva fatto

sorridere, ma ci aveva anche ricordato le tribolazioni di

una terra dove da sempre domina la paura.

Lasciata la chiesa del Magnifi cat raggiungiamo il vicino

santuario eretto sul luogo in cui nacque Giovanni Bat-

tista. Poi riprendiamo la strada per Gerusalemme, non

prima di essere transitati nuovamente da Betlemme per

una sosta dedicata allo shopping in un negozio dove

a prevalere sono gli oggetti intagliati nel legno di ulivo.

Su tutti, rosari e presepi di ogni dimensione, ma anche

crocifi ssi. Il rientro al Saint George International avviene

in perfetto orario per la cena. Il mattino successivo ad

attendere la comitiva è la visita della “città santa”, che

sarà preceduta dalla messa celebrata nella chiesa del

convento francescano del Cenacolo.

Il Muro del pianto, riti e preghiere

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Anche lunedì 29 è uno splendido sole ad accompagna-

re i pellegrini nel loro viaggio sulle strade del Vangelo. Il

rito eucaristico, presieduto da don Lorenzo, è seguito

dalla sosta nella sala dell’ultima cena, dove Giovanni

Paolo II nel 2000 celebrò l’Eucarestia. Il prevosto di

San Fedele ricorda: «Qui si consumò il primo atto del

tradimento di Giuda, qui gli apostoli si asserragliarono

impauriti nel Venerdì e nel Sabato santo, qui Gesù ap-

parve agli apostoli dopo la sua risurrezione e qui, otto

giorni dopo, incontrò Tommaso».

Tappe successive sono la visita alla tomba (vuota) di

David, alla chiesa della Dormizione di Maria nella cui

cripta si venera la statua della Vergine nel dolce son-

no del suo trapasso e a San Pietro in Gallicantu, dove

pare sorgesse la casa del sommo sacerdote Caifa e

dove Gesù subì il primo processo dopo essere stato

arrestato al Getsemani. Qui, all’inizio dell’antica strada a

gradini percorsa dal Signore la notte del Giovedì santo

per raggiungere la valle del Cedron, don Carlo legge

il passo di Vangelo in cui il Signore predice il rinnega-

mento di Pietro. Quindi altri brani dal Vangelo di Gio-

vanni: “Non siete stati voi che avete scelto me, ma sono

io che ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e

portiate frutto e il frutto vostro rimanga. Allora qualun-

que cosa chiederete al Padre nel nome mio, egli ve la

darà”. E ancora: “Ecco viene l’ora, anzi è già venuta, in

cui sarete dispersi ciascuno per conto suo e mi lasce-

rete solo. Ma io non sono solo, perché il Padre è con

me. Di queste cose vi ho parlato affi nché in me abbiate

pace. Nel mondo avrete tribolazione, ma fatevi animo:

io ho vinto il mondo”.

Alcuni istanti di rifl essione, poi il trasferimento al Muro

Il Cenacolo e la tomba di David

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del pianto, per gli ebrei il luogo più sacro, vestigia delle

fondamenta del tempio costruito da Salomone. Nel-

le fessure dei grandi blocchi di pietra che formano il

muro e nelle più piccole crepe vi sono centinaia, forse

migliaia di biglietti. Sono tutti messaggi e suppliche e

il pensiero va a quel giorno di marzo del 2000 quan-

do Papa Wojtyla, in visita in Terra Santa, lasciò in una

fenditura del Muro una lettera con il “mea culpa” per

le offese recate agli ebrei. Vi era scritto: “Dio dei no-

stri padri, tu hai scelto Abramo e i suoi discendenti per

portare il tuo nome tra i popoli. Siamo profondamente

rattristati per il comportamento di coloro che nel corso

della storia hanno provocato sofferenze a questi tuoi

fi gli e chiedendo il tuo perdono vogliamo impegnarci in

una fratellanza sincera con il popolo dell’Alleanza”.

Quasi tutti pregano, taluni ritmano le loro invocazioni

con il dondolìo del corpo. Oggi si svolge anche la ce-

rimonia del barmitzvah, che segna il passaggio nella

maggiore età religiosa dei ragazzi che hanno compiuto

13 anni. Quando i giovanissimi festeggiati aprono la To-

rah, il libro sacro per gli ebrei (comprende la storia della

creazione del mondo e della nascita del popolo ebrai-

co, ma pure le leggi da seguire), dalla piazza sopra-

stante le donne della famiglia lanciano grida di giubilo

un po’ stridule e gettano caramelle sulla folla.

Il pranzo che segue la visita al Muro del pianto è in

albergo. Nel pomeriggio visitiamo Betania, il villaggio

degli amici di Gesù situato alle falde orientali del mon-

te degli Ulivi, con la chiesa dedicata ai santi Lazzaro,

Marta e Maria e - poco lontano dal santuario - la tomba

di Lazzaro.

Poi la cappella dell’Ascensione a forma ottagonale, un

cimitero ebraico, la “Dominus fl evit” (la piccola chiesa

costruita su progetto dell’architetto Antonio Barluzzi, a

forma di grande lacrima, da cui si gode una vista sug-

gestiva sulla “città santa”), la basilica del Getsemani

(che conserva al centro del presbiterio la roccia del-

l’agonia di Gesù) e il vicino orto degli ulivi, che custodi-

sce alcune piante secolari dai tronchi enormi. Quindi la

cripta-santuario che accoglie il sepolcro della Madon-

na (vi si accede da una scalinata opera dei Crociati)

e, appena fuori, la grotta del Getsemani, dove Gesù

venne catturato.

Dopo cena quasi tutti i partecipanti al viaggio in Terra

Santa si ritrovano con don Carlo, don Lorenzo e Alice

in una sala dell’hotel. Il prevosto di San Fedele sollecita

i pellegrini a leggere la vita del Signore per percepirne

la sua umanità e ricordando la visita di poche ore pri-

ma alla “Dominus fl evit” aggiunge: «L’immagine di Gesù

piangente è tenerissima e ci fa capire la bontà di Dio».

Un cimitero ebraico nella “città santa”, nelle immediate vicinanze della “Dominus fl evit”

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Un rito e una preghiera con don Lorenzo e don Carlo nel convento francescano del Cenacolo

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San Pietro in Gallicantu, che prende il nome dall’episodio del canto del gallo udito dopo il tradimentoIl luogo dove si fa memoria del Cenacolo. Qui si consumò il primo atto del tradimento di Giuda

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È il 30 agosto. Il primo ritrovo della giornata, la penulti-

ma del nostro viaggio in Israele, è a Gerusalemme da-

vanti alla porta di Santo Stefano. Neppure un centinaio

di metri oltre le mura settentrionali della città vecchia

ecco la chiesa di Sant’Anna e, poco distante, la pisci-

na probatica riportata alla luce dagli scavi archeologici.

Davanti alla basilica due rigogliosi alberi del pepe, un

vecchio pozzo e una coloratissima bouganville sono lo

sfondo ideale per una fotografi a.

Qui, in Sant’Anna, giusto un anno prima si erano riuniti

con il cardinale Dionigi Tettamanzi i cattolici del gruppo

di 125 fedeli di diverse confessioni cristiane in pellegri-

naggio in Israele e nei territori palestinesi per il cammi-

no di pace voluto dal Consiglio ecumenico delle Chie-

se di Milano. E all’omelìa l’arcivescovo di Milano aveva

detto: «Di fronte alla situazione attuale della Terra Santa

cerchiamo di condividere la sofferenza di tanti fratelli

e sorelle». Per poi aggiungere: «In Gesù scompaiono

tutte le differenze etniche, sociali e culturali. Tutti siamo

uno in lui perché, come ci ha insegnato il Concilio, Gesù

si unisce a ogni uomo».

La visita della chiesa (dove si trova una statua moderna

di sant’Anna e della Vergine bambina, dono della città

di Nantes) è seguita dalla sosta davanti alla piscina dove

Gesù guarì il paralitico. E la descrizione del luogo pre-

ceduta dalla lettura di un brano del Vangelo di Giovanni:

“In Gerusalemme, presso la porta delle pecore, c’è una

piscina, detta in ebraico Betzaeta, con cinque portici.

Sotto questi giaceva una gran quantità di ammalati,

ciechi, zoppi e paralitici... Ora si trovava là un uomo che

già da trentotto anni soffriva della sua malattia. Gesù,

sapendo che da molto tempo si trovava in quello stato,

gli disse: Vuoi essere guarito? Alzati, prendi il tuo giaci-

glio e cammina. E subito l’uomo fu guarito”.

Da Sant’Anna, verso il Santo Sepolcro

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“Incontrare Gerusalemme vuol dire incontrarla per amarla, per raccogliere il suo appello a diventare operatori di pace, pur nelle tensioni che sempre ha vissuto e

che vive ancora oggi”(Cardinale Carlo Maria Martini)

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Da Sant’Anna e dalla piscina probatica i pellegrini rag-

giungono l’inizio del cammino della “via dolorosa”. Tra

la gente e tra le bancarelle e i negozi del suk, affasci-

nante con i suoi inconfondibili profumi e i suoi meravi-

gliosi colori, la comitiva lariana celebra la memoria del-

la passione, morte e risurrezione di Cristo e raggiunge

la basilica del Santo Sepolcro. Dentro, il primo impatto

è con la pietra dell’unzione e - tre metri e mezzo so-

pra il livello della strada - con il Calvario, raggiungibi-

le attraverso una stretta e ripida scala. Qui, dopo una

preghiera guidata da don Carlo con l’auspicio che il

pellegrinaggio nella terra del Signore «segni una cre-

scita nella nostra vita cristiana», a turno i pellegrini si

inginocchiano sotto l’altare eretto sopra la roccia su cui

venne innalzata la croce di Gesù, prima di scendere e

raggiungere l’edicola del sepolcro, divisa in due parti.

La prima - una sorta di atrio - corrisponde al vestibo-

lo della tomba, la cosiddetta cappella dell’Angelo, al

centro della quale vi è una bassa colonna che custodi-

sce, protetta da un vetro e illuminata da due candele,

un frammento della pietra che chiudeva il sepolcro. Da

una porta alta poco più di un metro e 30 si accede alla

stretta stanza sepolcrale vera e propria. Sulla destra,

un blocco di marmo sovrastato da un altare ricopre la

roccia su cui venne deposto Gesù dalla sera del Vener-

dì santo al mattino di Pasqua.

Di seguito visitiamo la sottostante cappella di Sant’Ele-

na, madre di Costantino, e quella dove è visibile la roc-

cia che si squarciò alla morte di Gesù. Alice spiega che

quella cappella è detta di Adamo «perché la tradizione

vuole che il sangue del Signore abbia salvato Adamo e,

attraverso lui, tutti gli uomini».

Il cammino della “via dolorosa”

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Nella cappella del Santissimo Sacramento il prevosto

di San Fedele celebra la messa. All’omelia, monsignor

Calori commenta il brano del Vangelo della resurrezio-

ne letto poco prima e si sofferma in particolare su una

frase: “Non abbiate paura”. «L’abbiamo ascoltata due

volte - dice il sacerdote - La prima dall’angelo, quando

disse alle donne in visita al sepolcro: “So che cercate

Gesù il crocifi sso. Non è qui, è risorto come aveva det-

to”. Poi è Gesù stesso a tranquillizzare: “Non temete”.

Abbiamo bisogno di sentircelo dire, perché purtroppo

le nostre paure sono sempre tante».

All’uscita dalla basilica i rintocchi festosi delle campane

annunciano il mezzogiorno e precedono il ritorno in al-

bergo per il pranzo, dopo aver varcato la porta di Giaffa.

Nel pomeriggio, con il sole che picchia forte, raggiun-

giamo in pullman la Knesset, il Parlamento israeliano

superprotetto con i suoi sei piani sotterranei a prova

di qualsiasi assalto. All’altro lato della strada la Meno-

rah, il candelabro con sette bracci simboleggianti i sette

giorni della creazione e i sette pianeti. Poco distante,

un gruppo di giovanissimi ha improvvisato sul marcia-

piede un sit-in per protestare contro lo sgombero delle

colonie nella Striscia di Gaza. Ad attendere i pellegrini

lariani è ora la visita allo Yad Vashem, la memoria della

Shoah. Un’altra tappa importante per conoscere Israe-

le. E la sua storia.

L’altare eretto sopra la roccia su cui venne innalzata la croce di Gesù, al Calvario

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“Per un cristiano e per ogni cittadino di questo mondo Gerusalemme ha un’impor-tanza unica. È una città che non può es-

sere semplicemente visitata. Gerusalemme chiede di essere incontrata”

(Cardinale Carlo Maria Martini)

Don Carlo e l’omaggio al Calvario.A destra, il tratto iniziale della “via dolorosa”

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Sono le ore più calde della giornata quando in pullman

raggiungiamo lo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto.

La costruzione, situata a ovest di Gerusalemme, è mo-

derna. All’ingresso, una ragazza vende la spilla-simbo-

lo della Shoah, che richiama l’immagine di un reticolato

da cui fuoriesce un ramoscello d’ulivo. Sul cartoncino

su cui è appuntata si legge: “Ricordando il passato,

per vivere il futuro”. Dentro il mausoleo, che si estende

su un’area di 180.000 metri quadrati sul monte Herzl,

l’impatto è con le sale che racchiudono oggetti, docu-

menti, indumenti, immagini, fi lmati, pagine di giornali,

libri e mille altre testimonianze sulle vittime delle perse-

cuzioni naziste.

Altrettanto forte, se non addirittura emotivamente an-

cora più struggente, è la visita al Children’s Memorial,

la sala dedicata al milione e mezzo di piccole vittime

innocenti della Shoah. Centinaia di specchi rifl ettono

nel buio la luce di alcune candele, mentre in sottofon-

do una voce registrata elenca i nomi dei bambini uccisi

nelle camere a gas dei campi di sterminio.

Percorriamo il viale dei Giusti e entriamo nella sala del-

le rimembranze, dove arde una fi amma perpetua. Nel

pavimento sono scolpiti i nomi dei campi di concen-

tramento e qui, nel marzo del 2000, Giovanni Paolo II

ebbe a dire: «In questo luogo della memoria la mente,

il cuore e l’anima provano un estremo bisogno di silen-

zio. Silenzio per cercare di dare un senso ai ricordi che

tornano impetuosi, silenzio perché non vi sono parole

abbastanza forti per deplorare la terribile tragedia della

Shoah». E ancora: «Qui come ad Auschwitz e in molti

altri luoghi d’Europa siamo sopraffatti dall’eco dei la-

menti strazianti di così tante persone. Uomini, donne e

bambini gridano a noi dagli abissi dell’orrore che hanno

conosciuto». Quindi un interrogativo - «Come possiamo

non prestare attenzione al loro grido?» - e una conside-

razione: «Nessuno può dimenticare o ignorare quanto

accadde, nessuno può sminuirne la sua dimensione».

Era già stanco e visibilmente sofferente, Papa Wojtyla.

Ma quella sua invocazione risuona ancora forte dentro la

“sala del ricordo”: «Dagli abissi della sofferenza e del do-

lore - disse l’anziano pontefi ce - il cuore del credente gri-

da: Io confi do in te, Signore. E dico: tu sei il mio Dio».

Allo Yad Vashem, per ricordare

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Rigogliose bouganvillee e, sullo sfondo, il “lago di Gesù” La sagoma della “Dominus fl evit”, a Gerusalemme. Nella pagina a fi anco, il lago di Tiberiade

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“Comprendo la paura e l’angoscia di Israele, ma sono certo che il muro non è la risposta. Israele vuole difendersi dagli

attacchi terroristici, ma la realtà del muro divide il villaggio dalle terre, la scuola dai

bambini, l’ospedale dai malati”(Padre Pierbattista Pizzaballa,custode di Terra Santa, 2004)

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Lasciato il museo dell’Olocausto con nel cuore una

grande emozione, i pellegrini della “città murata” e di

Olgiate rientrano a Gerusalemme. Ad attenderli, al con-

vento di San Salvatore, è padre Pierbattista Pizzaballa,

bergamasco, da poco più di un anno custode di Terra

Santa. A lui, monsignor Calori chiede di parlare della

Custodia e di spiegare quali sono le diffi coltà incontrate

dai cristiani in questa realtà, ma anche di soffermarsi

su cosa signifi chino i pellegrinaggi e su come possano

essere condotti nel modo più corretto.

Premesso che i francescani sono presenti in Terra San-

ta ininterrottamente da oltre sette secoli e che la Custo-

dia opera non soltanto in Israele e Palestina ma anche

in altri sei Paesi con oltre 300 religiosi di 32 diverse

nazionalità, padre Pizzaballa ricorda che «qui i cristiani

sono soltanto il 2% del totale della popolazione», co-

stretti a vivere con salari in molti casi non adeguati al

costo della vita. Inevitabile e immediato è il riferimento

al diminuito numero di pellegrinaggi che si è accom-

pagnato agli anni della paura seguita alla seconda inti-

fada. «L’economia della zona si è impoverita - afferma

il religioso - e il tenore di vita di numerose famiglie si è

abbassato. Così oggigiorno non è raro incontrare gente

che circola in Mercedes e tuttavia bussa alle porte delle

parrocchie per chiedere i buoni pasto».

Ecco allora l’importanza dei pellegrinaggi, «che porta-

no lavoro e benessere». Di più, «portano la vita». «Dopo

il 2000 vi è stata desolazione - osserva sempre padre

Pizzaballa - e a ciò si è accompagnata una situazio-

ne di malessere. In presenza di un confl itto così lace-

rante qual è quello in atto in Medio Oriente, del resto,

vi è la tendenza a schierarsi da una parte o dall’altra.

«I pellegrini ci portano la vita»

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A Tabgha, dove Gesù conferì il primato a Pietro e dove sorge la chiesa costruita dai Francescani

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La presenza dei pellegrini, invece, ci aiuta a mantenere

un giusto equilibrio, ad alzare lo sguardo e a non chiu-

derci dentro la nostra sofferenza».

Richiamando quanto ebbe a dire Paolo VI, primo Papa

dopo San Pietro a visitare da pellegrino questi luoghi, il

dinamico e coraggioso frate francescano parla della Ter-

ra Santa come del “quinto Vangelo” e osserva che «co-

noscere la sua storia, il suo ambiente e la sua geografi a

contribuisce in modo effi cace a una più vitale compren-

sione del messaggio della Sacra Scrittura». “E la pace?”,

chiede un pellegrino. «Servono identità chiare e ben de-

fi nite - risponde padre Pizzaballa - per far sì che il dialogo

possa essere facilitato. Chi oggi parla di accordi di pace

fa semplicemente retorica, perché la pace dev’essere

costruita e questi luoghi non possono essere patrimo-

nio esclusivo di qualcuno. La Palestina non ha un suo

sistema giuridico e amministrativo, dunque il terreno va

preparato in modo adeguato, a cominciare dalla scuola.

È lì che occorre piantare il seme del dialogo e della tolle-

ranza, per arrivare a costruire una mentalità di pace».

Prima di lasciare il convento e di congedare padre Piz-

zaballa, a ogni pellegrino viene consegnata una busta.

“Memento Jerusalem”, è riportato sulla confezione.

Dentro, oltre a un opuscolo fresco di stampa sulla pre-

senza francescana in Terra Santa e a un pieghevole

che illustra l’estensione della Custodia, i suoi scopi e le

attività svolte, vi è un rosario. Una pellegrina lo stringe

al cuore e lo bacia. Domani lasceremo il Medio Oriente,

ma prima di fare ritorno in patria una delegazione di pel-

legrini incontrerà monsignor Pietro Sambi, nunzio apo-

stolico in Israele e delegato apostolico a Gerusalemme.

L’ennesima emozione di un viaggio indimenticabile.

Tra le rovine e gli scavi di Gerico, 250 metri sotto il livello del Mar Mediterraneo

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“Sono venuto qui con l’intenzione di perce-pire la drammatica complessità di un confl it-to che è tra due cause giuste, quella israelia-na e quella palestinese, le quali - se vengono

però perseguite nella logica dell’inimicizia anziché del dialogo - fi niscono inevitabil-

mente per produrre ingiustizie e violenze”(Cardinale Dionigi Tettamanzi, giugno 2004)

Folclore e balli tradizionali sul piazzale che si apre davanti alla basilica della Natività, a Betlemme

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Con monsignor Sambi l’appuntamento è a metà mattina

nella sede della Nunziatura, un ex monastero cecoslo-

vacco che ha ospitato negli anni Sessanta Papa Paolo

VI e nel marzo del 2000, per sei giorni, Giovanni Pao-

lo II. Origini romagnole, da otto anni a Gerusalemme, il

delegato apostolico esordisce con una considerazione

improntata all’ottimismo. «I gruppi di pellegrini stanno fi -

nalmente diventando numerosi - dice - e a raggiungere

Israele e la Palestina non sono soltanto gli italiani. Tor-

nano anche gli spagnoli e i cavalieri del Santo Sepolcro

inglese, mentre mancano ancora gli americani». Ricor-

da, il nunzio apostolico, che i cristiani in terra palestine-

se hanno sia il problema di mantenere la loro identità

sia quello di non essere considerati cittadini di seconda

classe. «Lottano per avere libertà e indipendenza - affer-

ma - e uno dei modi più effi caci per aiutarli è venire qui

in pellegrinaggio. Vedere gente arrivare è per tutti loro un

incoraggiamento morale e spirituale. E non solo. I pel-

legrini portano pure qualche soldino, che entra anche

nelle tasche dei cristiani». Sorride, monsignor Sambi, e

parlando sempre dei cristiani di Terra Santa afferma che

«senza di loro i luoghi santi diventerebbero musei».

L’ottimismo per il rinascere dei pellegrinaggi dopo l’inti-

fada del 2000 lascia presto il posto, nelle parole del nun-

zio apostolico, alla descrizione di una più triste realtà,

quella di un Paese «senza futuro per i giovani» perché

costretto a convivere «con una perenne instabilità poli-

tica ed economica». Un Paese, Israele, dove «manca la

prospettiva della pace». A proposito del muro innalzato

attorno alla Cisgiordania e a Gerusalemme, monsignor

Sambi non esita a defi nirlo «una vergogna». Ricorda

come Papa Wojtyla ebbe a dire che «la Terra Santa non

ha bisogno di muri ma di ponti» e si dice «assoluta-

mente stupefatto e sbalordito» per la mancata reazio-

ne dell’Europa. Poi specifi ca: «Ariel Sharon ha saputo

porre bene la questione del muro. È vero, Israele ha il

sacrosanto diritto di difendersi dagli attacchi terroristici,

nessuno può negarlo. Così ha lasciato intendere che

aveva l’esigenza di costruire attorno a sé un muro ma

il problema, anzi l’ingiustizia, è che il muro non è sta-

to costruito attorno a Israele ma intorno ai palestinesi,

portando via proprio a loro terre estremamente prezio-

se. Ha “rubato” 8 milioni di metri quadrati alle famiglie

di Beit Jala, 7 milioni a quelle di Betlemme e un milione

e 700mila metri quadrati alla gente di Beit Sahur, che

hanno la casa al di là del muro e il campo da coltivare

al di qua». Aggiunge un’amara considerazione, il nunzio

apostolico. «Gli israeliani - afferma - dicono che il muro

è provvisorio, ma anche la sede della nostra nunziatura

è “provvisoria” in questo ex monastero dal 1948».

L’incontro con il nunzio apostolico

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Sono i giorni, quelli di fi ne agosto, dello sgombero delle

colonie di Gaza e monsignor Pietro Sambi* ricorda ai

pellegrini lariani di essere stato letteralmente “assedia-

to”, in quelle stesse settimane, da ebrei che lo supplica-

vano di intercedere presso il Papa affi nché non fossero

distrutte le sinagoghe presenti nella Striscia. Proprio a

riguardo dello sgombero delle colonie, parla di «atto

coraggioso» e specifi ca che «se Abu Mazen (suben-

trato a Yasser Arafat alla guida dell’Autorità palestinese

e come il suo predecessore appartenente al partito Al

Fatah, ndr) riuscirà a fare l’altro passo, ugualmente diffi -

cile e ugualmente coraggioso, di disarmare i gruppi ter-

roristici, in particolare Hamas e la Jihad islamica, allora

la strada per arrivare alla pace si allargherà».

Sul pullman che dall’albergo ci porta all’aeroporto Ben

Gurion di Tel Aviv (da lì è previsto il decollo, destina-

zione Milano-Malpensa) monsignor Calori sintetizza i

concetti espressi dal nunzio apostolico e chiede che il

pellegrinaggio in Terra Santa continui idealmente anche

una volta rientrati alle proprie case. «Gustate in modo

diverso la lettura del Vangelo - è l’invito del prevosto

della “città murata” di Como - e scorrendo la vita di

Gesù percepitene tutta la sua bontà e la sua umani-

tà». Poi una considerazione («abbiamo seguito, passo

dopo passo, le orme di Cristo e adesso il nostro cuore

è gonfi o di gioia») e l’ultima sollecitazione: «Impariamo a

disporci con umiltà davanti al Signore e in atteggiamen-

to di piena fi ducia in lui».

Con la gioia nel cuore

L’incontro con monsignor Pietro Sambi (a destra nella foto) nella sede della Nunziatura apostolica

* Dal 2006 monsignor Pietro Sambi è nunzio apostolico negli Stati Uniti e osservatore permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione degli Stati americani. A nominarlo è stato Papa Benedetto XVI. Nuovo delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina è monsignor Antonio Franco, già ambasciatore della Santa Sede nelle Filippine.

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“È amaro, molto amaro il calice che ho bevuto, o Palestina, vivendo lontano da te e dalla mia gente. La brezza della tua aria, i tuoi colori, la tua bellezzariempiono il mio cuore nella speranza sempre viva di incontrarci un giorno, il giorno del grande incontro”(da “Canti per la pace” XI-XXI secolo)

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È il 19 luglio di quest’anno, ottava giornata del con-

fl itto che contrappone i guerriglieri Hezbollah libanesi

alle forze militari di Israele. A Nazareth vengono uccisi

due bambini. Giocavano per strada e rincorrevano un

pallone. La notizia dà una scossa al cuore. I razzi Ka-

tiuscia che hanno seminato distruzione e morte in città

sono caduti in via Paolo VI, quella che porta alla basi-

lica dell’Annunciazione. Nella stessa strada vi è l’Ha-

maayan Hotel, l’albergo che ci aveva ospitato nell’ago-

sto del 2005. E quella via, affollata di case e di gente,

l’avevamo percorsa più volte. L’agguato di Nazareth è

un’altra conferma dell’escalation di violenze che si è

accompagnata al confl itto che quest’estate è tornato

a insanguinare il Medio Oriente, perennemente in un

clima di alta tensione.

Pochi giorni prima, dopo il raid che aveva portato la mi-

lizia degli Hezbollah a rapire due soldati israeliani, era

scattata l’offensiva del governo di Gerusalemme nel

Sud del Libano. E da allora era stato un susseguirsi di

violenza, con Beirut più volte colpita al cuore e con ri-

petute stragi di civili. Era nel frattempo salita la tensione

Terribilmente senza pace

anche nella Striscia di Gaza, dove a fi ne giugno militanti

palestinesi avevano attaccato una postazione di confi -

ne controllata dagli israeliani e dove era stato sferrato

il primo attacco mortale contro Tel Aviv dal ritiro delle

truppe ordinato da Ariel Sharon nell’agosto di un anno

prima, proprio negli stessi giorni del nostro pellegrinag-

gio in Terra Santa. Inutile ogni appello internazionale alla

tregua, al cessate il fuoco e al rispetto dei diritti umani.

Ineffi cace qualsiasi tentativo di mediazione. Si aprono

spiragli soltanto per un corridoio umanitario, ma le ope-

razioni militari proseguono. L’Onu condanna sia Israele

sia Hezbollah. Intanto nuovi razzi cadono su Tiberiade e

altre bombe scuotono Beirut. E Tripoli, ma anche Tiro.

Poi Haifa e Beit Hanun, nel Nord della Striscia.

Sul Corriere della Sera lo scrittore israeliano Amos Oz il

18 luglio scrive: “Questa volta Israele non sta invaden-

do il Libano. Si sta difendendo da un attacco e da un

bombardamento quotidiano di decine di città e villag-

gi, cercando di annientare l’Hezbollah ovunque sia in

agguato”. E aggiunge: “Se come tutti speriamo, falchi

e colombe insieme, l’Hezbollah verrà presto sconfi tto,

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ad aver vinto saranno sia Israele sia il Libano”. Il giorno

dopo, sempre dalle colonne del quotidiano milanese,

la poetessa e giornalista libanese Joumana Haddad gli

risponde con una lettera aperta: “Rispetto il suo dolore,

ma non è vero che Israele prende di mira soprattutto

l’Hezbollah. Israele sta demolendo sistematicamente le

infrastrutture civili libanesi. Fa pagare a cittadini inno-

centi e impotenti il prezzo di una colpa che la maggio-

ranza di loro non ha”.

Ma altri eventi, tra l’estate del 2005 e quella di que-

st’anno e prima della sanguinosa guerra con il Liba-

no fortunatamente interrotta con la tregua sancita nei

giorni di Ferragosto, avevano contrassegnato il nuovo

corso di Israele. Su tutti il dramma personale del pre-

mier Ariel Sharon, colpito da emorragia cerebrale ai

primi di gennaio, fi no ad arrivare al voto di fi ne marzo

(dall’esito trionfale per il partito Kadima fondato pochi

mesi prima dallo stesso Sharon) per eleggere il nuovo

parlamento israeliano, passando per il rinnovo dell’As-

semblea legislativa palestinese, con l’affermazione dei

fondamentalisti islamici di Hamas su Al Fatah, il partito

al governo fondato nel ’59 da Arafat, ora guidato da

Abu Mazen. Si era poi arrivati a maggio e alla nomina di

Ehud Olmert a primo ministro dello Stato di Israele.

Intanto il 19 febbraio la cantante israeliana Noa aveva

scritto su Avvenire: “L’elezione dell’Autorità palestinese

e la crescita di Hamas mi rattristano e mi preoccupa-

no... Non abbiamo incoraggiato abbastanza il processo

di pace, non abbiamo collaborato abbastanza con Abu

Mazen, siamo stati lenti nel portare la speranza nelle

strade palestinesi e veloci nel costruire sempre più co-

lonie e muri impietosi”. “Come sempre - aveva aggiunto

- noi e i palestinesi siamo bravi a commettere errori e

credo che siamo entrambi da biasimare. Almeno nella

nostra stupidità siamo completamente uguali”. Non era

però mancato, nel suo intervento, uno spiraglio di luce.

A giudizio di Noa, infatti, arriverà comunque il giorno in

cui non sarà più un sogno ritrovarsi in un luogo “dove

condividere tutto ciò che abbiamo e sedersi insieme

sotto un albero di ulivo, mentre il sole tramonta su

un’epoca di guerra”. Una speranza, in un Medio Oriente

terribilmente senza pace.

Claudio Bottagisi, agosto 2006

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Un grazie a:

®

Un grazie anche agli artisti:Vittorio Martinelli – Lecco

Franco Russolillo – Como

Pietro Camozzi – Trento

Elvio Mainardi – Bormio (SO)

Umberto Zaccaria – Modena

Walter Visioli – Bormio (SO)

Comunità Montana del Lario Orientale

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Finito di stamparenel mese di settembre 2006

dalla Cattaneo Paolo Grafi che s.r.l.Oggiono - Lecco

Offi cina Grafi ca in Annone Brianza

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