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ART 33 n.3-4 2015 · dell’educazione. Senza seguire il de-corso del loro rapporto, diciamo che il...

Date post: 15-Feb-2019
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SOMMARIO Questioni organizzative e di impostazione

Introduzione 1 l Alternanza scuola-lavoro Uscire dal tunnel della legge 107 GIGI CARAMIA

3Z/La scuola, laboratorio di realtà GIORGIO CRESCENZA

35/(ili studenti. Un'alternanza per scegliere il futuro A CURA DELL'UDS

Dalla teoria alla pratica 6/Dal paradigma funzionalista al paradigma critico

40/Condizioni per un'opportunità ANTONIO GIACOBBI

MASSIMO BALDACCI

Esperienze 11 /Ora et labora PAOLO CARDONI

46/11 ristorante didattico "l Carbonari" CRISTINA TONELLI

18/La didattica nell'alternanza SERGIO SoRELLA

Z0/11 trionfo delle competenze sui contenuti GIOVANNI CAROSOTTI, ROSSELLA LATEMPA

48/La sfida del Umes SAURO GARZI

54/Gli alternanti RENATA PULEO

Z7 /L'equivoco delle competenze MAURIZIO LICHTNER

55/Realtà e potenzialità dell'alternanza Scuola-Lavoro RACHELE SCARPA

IN QUESTO NUMERO

O rganizzare l'alternanza scuola-lavoro è da un paio d'anni la croce e la delizia delle scuole. Dei dirigenti, dei docenti e degli studenti. Un po' più croce e un po' meno delizia da quando, a cominciare da quest'anno scolastico (2017-18), è diventata obbli­

gatoria per tutti gli studenti delle superiori che frequentano le terze, le quarte e le quinte classi: 400 ore per i tecnici e profes­sionali, 200 ore per i licei. Gli studenti interessati sono circa un milione e mezzo. Dal prossimo anno l'alternanza diventerà ma­teria di esame di Stato.

Sulla scelta di rendere obbligatoria l'alternanza scuola-lavoro si è aperta una discussione non ancora conclusa. Questo problema, quindi, presenta almeno due aspetti problematici, il primo di na­tura, per così dire teorica; il secondo di carattere pratico e organiz­zativo. In mezzo a questi due aspetti, vi sono poi ulteriori implicazioni che, in parte, affrontiamo nelle pagine seguenti.

Il dibattito è quanto mai aperto, registra posizioni spesso op­poste, richiama il ruolo e la missione della scuola, le finalità del­l'educazione e dell'istruzione, il rapporto tra sistema educativo e resto del mondo ...

Scopo di questo numero monografico di "Articolo 33" è entrare

in questo dibattito. Non certo per esaurirlo, semmai per ampliarlo, sollecitando ulteriori contributi. Lo sforzo è offrire alcune chiavi di lettura, sollevare qualche problema, registrare alcune testimo­nianze.

Come vedranno i nostri lettori il materiale che qui pubblichiamo è composito e, lo ribadiamo, non esaurisce la discussione.

Abbiamo voluto offrire un approccio pedagogico, indicazioni prati­che, esperienze. Ma ci è sembrato interessante anche riflettere su come le strategie internazionali per la certificazione delle compe­tenze e le raccomandazioni su una didattica per competenze ab­biano imposto un'impronta funzionalista e utilitarista al sistema di istruzione e ai saperi, declinandoli verso esigenze di mercato.

Da qui nasce anche la critica politica all'alternanza scuola-la­voro, per come è stata concepita dalla legge 107/15.

Lungi dal prefigurare una scuola chiusa in se stessa e autore­ferenziale, anzi auspicando un rapporto proficuo tra scuola e ter­ritorio, tra scuola e lavoro, tra scuola e realtà sociale, il contri­buto che la rivista intende dare è di sollecitare proposte ed espe­rienze virtuose affinché i nostri giovani studenti siano più pre­parati alle loro future responsabilità di cittadini e lavoratori competenti e consapevoli.

Articolo 33 mensile promosso dalla FLC Cgil anno X n. 3-4/20 18. Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 488 del 7112/2004 -Valore Scuola coop. a r.I.- via Leopoldo Serra, 3 1/37 - 00 153 Roma- Te l. 06.5813173 -Fax 06.5813118- www.edizioniconoscenzo.it - [email protected] Abbonamento annuale: euro 60,00- Per gli iscritti FLC CGIL euro 40,00- PREZZO UNI­TARIO PER una copia euro 12,00- Versamento su c/cp n. 63611008 - intestato a Valore Scuola coop. o r.I. oppure bonifico bancario. Direttore responsabile: Ermanno Detti Direzione: Renato Comanducci, Gennaro Lopez,Anna Maria Vi Ilari Comitato scientifico: Alessandro Arienzo, Emanuele Barbieri, Mariagrazia Condni, Francesco Cormi no, Massimiliano Fiorucci,

Giuliano Franceschini, Caterina Gammaldi, Dario Missaglia, Giovanni Moretti, Alessandro Pazzaglia, Mario Ricciardi, Paolo Rossi, Francesca Serafìni, Francesco Susi, Guido Zaccagnini, Giovanna Zunino ..

In redazione: David Baldini, Paolo Cardani, Loredana Fasciola, Marco Fioramanti, Fabio Matarazzo. Layout, impaginazione, copertina: Marco Fiora manti. Stampa:Tipolitografia CSR - Roma Hanno collaborato a questo numero: Massimo Baldacci, Gigi Caramia, Paolo Cardani, Giovanni Carosotti, Giorgio Crescenza, Sauro Garzi, Antonio Giacobbi, Rossella Latempa, Maurizio Lichtner,

Renata Puleo, Rachele Scarpa, Sergio Sorella, Cristina T anelli

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6www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33

La questione dell’alternanzascuola-lavoro è diventata un’ur-genza pedagogica in seguitoall’obbligo di effettuare un con-gruo numero di ore di alternan-

za nel triennio della scuola secondariasuperiore (400 negli istituti tecnici, 200nei licei), stabilito dalla Legge 107/2015, la cosiddetta Buona scuola.

In questo modo, infatti, il sistema sco-lastico secondario è stato improvvisa-mente chiamato a far fronte a unamassiccia moltiplicazione dell’attivitàd’alternanza (prima della 107/15, frui-vano di questo tipo d’esperienza circal’11% degli studenti, per pacchetti orariinferiori), senza aver ricevuto risorse ag-giuntive adeguate, economiche e di per-

sonale. Si sono così prodotti una serie didisservizi e di episodi negativi che hannoallarmato l’opinione pubblica, portandoalcune forze politiche (Sinistra italiana) achiedere la moratoria circa l’alternanza.

per compiere una valutazione peda-gogica seria della problematica dell’al-ternanza, occorre articolare i livellid’analisi, tenendo distinti ma, non se-

L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO

DAL PARADIGMA FUNZIONALISTAAL PARADIGMA CRITICO

MASSIMO BALDACCI

L’accettazione acritica dell’alternanza scuola-lavoro prevista dalla Legge 107 comporta la formazione dilavoratori adattabili e remissivi, privi di formazione completa, di passione, di inventiva creativa. Lo scopodella scuola deve restare quello dell’emancipazione della persona, capace di avere il coraggio di pensarecon la propria testa. Proposte per un’alternanza con valenze pedagogiche e formative, che richiedonoprogettualità e investimenti seri.

parati, il piano teorico e quello storico-sociale. Sul piano teorico, l’alternanzava esaminata in linea di principio, se-condo le sue potenzialità pedagogicheintrinseche. Sul piano storico-sociale, in-vece, essa va indagata nelle sue strut-ture di fatto e nelle condizioni concretein cui deve svolgersi. Senza un orizzonteteorico, infatti, questa analisi (e lastessa pratica dell’alternanza) rimanecieca, o quanto meno miope, ed è de-stinata a procedere a tentoni. Ma senzauna contestualizzazione storico-socialetale analisi resta meramente astratta, equindi priva della capacità di guidare ef-ficacemente la pratica.

Un cenno alla teoriadell’alternanza

Su un piano teorico, occorre accen-nare a due questioni fondamentali: ilsignificato umano del lavoro e il rap-porto tra scuola e lavoro.

Il significato umano del lavoro è pro-blematico: da una parte, esso può es-sere un fattore di realizzazione del-l’uomo, un’esperienza di crescita umana;dall’altro, può diventare una condanna eun impoverimento della sua spiritualità.Se Hegel aveva illuminato soltanto la fac-cia positiva del lavoro, la sua virtù antro-pogenica, Marx ha provveduto a rivelareanche quella negativa, la possibilità cheesso assuma forme degradanti che im-miseriscono l’umanità dell’uomo.

Questo carattere problematico del la-voro suggerisce di evitare una frettolosaidealizzazione delle sue virtù educative.Le sue conseguenze formative vannogiudicate attraverso l’analisi della con-creta esperienza lavorativa.

Il rapporto del lavoro con la principaleagenzia educativa, la scuola, è altret-tanto problematico. La separazione trascuola e lavoro attraversa tutta la storiadell’educazione. Senza seguire il de-corso del loro rapporto, diciamo che ilsuperamento di tale separazione av-viene dapprima in forme parziali, con lacreazione di scuole professionali desti-

nate alle classi sociali subalterne (l’espe-rienza dei padri somaschi, per esempio).Tale superamento, poi, viene posto inmodo organico col marxismo e in formadiversa nel pragmatismo deweyano.

Marx si pronuncia per l’unione di istru-zione e lavoro produttivo nella formazionedei ragazzi, articolando la prima nelleforme dell’educazione spirituale, del-l’educazione fisica e dell’istruzione poli-tecnica. La sua prospettiva è quella dellaformazione dell’uomo omnilaterale, con-tro l’unilateralità generata da una prepa-razione solo teorica o solo pratica. Inquesta direzione è di grande pregnanzapedagogica la posizione di Gramsci.

Da una parte, la scuola deve assicu-rare la formazione del produttore ade-guato alle necessità dello sviluppo delleforze produttive, dall’altra, essa deveperò superare in direzione democraticala storica separazione tra gruppi dirigentie subalterni: tutti devono essere formaticome potenziali dirigenti. A questoscopo, una scuola unitaria fino ai 15-16anni deve fondarsi sull’unità tra due assiformativi: quello tecnico-scientifico (ne-cessario per la formazione del produt-tore) e quello storico-umanistico (crucia-le per la formazione del dirigente).

La prospettiva gramsciana è, perciò,quella della formazione dell’uomo com-pleto, produttore e cittadino al tempostesso. Marx, però, unisce direttamenteistruzione e lavoro produttivo (il ragazzo di-vide la sua giornata tra la scuola e alcuneore in fabbrica), vedendo in tale unione unpotente fattore di trasformazione della re-altà sociale. Nel pensatore di Treviri tro-viamo perciò una concezione che anticipae legittima l’idea dell’alternanza scuola-la-voro (sebbene nel suo pensiero le dueesperienze non si alternano ma sono col-laterali).Queste posizioni fanno da quadrodi riferimento per la teorizzazione dell’al-ternanza scuola-lavoro, la quale ha trovatoespressione paradigmatica nel pensierodi Bertrand Schwartz, che occorrerebberimettere in circolazione.

L’esigenza di superare il distacco trascuola e lavoro, tra sapere e saper fare,

trova espressione nell’ipotesi di una ri-configurazione del sistema scolasticosecondario in due indirizzi: uno a “do-minante professionale” (due terzi del-l’anno in azienda, un terzo a scuola),l’altro a “dominante scolare” (due terzidell’anno a scuola, un terzo in azienda),prevedendo in entrambi una prepara-zione culturale generale curvata insenso realista, anziché formale e reto-rico. Rispetto a tale ipotesi, indubbia-mente forte, Schwartz non nascondeperò l’esistenza di problemi da affron-tare e di condizioni concrete da realiz-zare. In altre parole, egli non si limita auna celebrazione delle virtù potenzialidell’alternanza, ma si pone la questionedella contestualizzazione storico-socialedella propria ipotesi formativa.

Il contesto storico-socialedell’alternanza

Senza l’elaborazione teorica la pra-tica dell’alternanza appare miope, mase privata dell’analisi del contesto sto-rico-sociale, tale elaborazione rimaneastratta. Le virtù educative dell’alter-nanza sono meramente potenziali e af-finché si traducano in esperienzaautenticamente educativa sono neces-sarie certe condizioni concrete. Altri-menti tali potenzialità resterannovirtuali e l’esperienza effettiva saràsvuotata di significato.

Dalla Moratti (Legge 53/2003) allaBuona scuola di Renzi (Legge 107/2015)il limite è stato proprio quello dell’astrat-tezza. In particolare, le elaborazioni alconfronto di quest’ultima normativa e lasua stessa lettera si sono fermate a unalegittimazione di principio dell’alter-nanza, facendo per lo più astrazionedella realtà storico-sociale e dei pro-blemi da affrontare. per capire meglioquesti limiti, occorre dare un cenno al-l’attuale realtà storico-sociale.

Detto in estrema sintesi, l’attualefase storica è caratterizzata dalla rivo-luzione neoliberista e da un’economia

DALLA TEORIA ALLA PRATICA

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8www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33

L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO

globale basata sulla conoscenza. Entrotale economia, il capitale umano di-viene il fattore principale di produttivitàe di competitività dei sistemi socio-eco-nomici. Il compito della scuola vieneperciò visto secondo un paradigma fun-zionalista che fa di questa istituzioneformativa uno strumento dello sviluppoeconomico. Alla scuola spetta, cioè, dipreparare il capitale umano necessarioal sistema produttivo. Tale capitale,però, non è composto solo da cono-scenze, ma anche da competenze (cheuniscono il sapere al saper fare). per-tanto il curricolo scolastico deve volgerenella direzione delle competenze e aquesto scopo i laboratori, sebbene ne-cessari, non sono sufficienti, perché lecompetenze possono rimanere “incap-sulate” nel contesto scolastico, e quindirisultare scarsamente trasferibili nelleconcrete situazioni di lavoro. Con laconseguenza che il neoassunto deveapprendere on job un’effettiva capacitàdi prestazione professionale, con i rela-tivi costi e rallentamenti dell’efficienzaproduttiva. Il dispositivo dello stage inazienda, in alternanza all’istruzionescolastica, assume quindi una funzionestrategica non solo come ulteriore oc-casione di formazione delle compe-tenze, ma soprattutto come misuracapace d’infrangere il loro incapsula-mento scolastico, garantendone unamigliore trasferibilità nel lavoro.

Tutto questo non è di per sé errato,anzi, si deve ammettere che la forma-zione di produttori equipaggiati di so-lide conoscenze e competenze è unanecessità oggettiva dell’attuale fase disviluppo delle forze produttive (masenza fare un mito di tale sviluppo), equindi è plausibile che la scuola agiscaanche in questo senso. La stessa pro-spettiva del capitale umano, impli-cando un rilevante investimento nelsistema scolastico, può svolgere unruolo positivo. Tuttavia, questa impo-stazione rimane unilaterale poiché tra-scura l’altro lato della formazione di unuomo completo: l’educazione del citta-

IfTS e i master universitari (ciò non eli-mina, però, la questione dell’investi-mento delle aziende in formazione, chesarà una necessità sempre maggiore).

Altro aspetto della sopravvalutazionedelle virtù dell’alternanza è quello di in-dicare questa pratica come il rimediobasilare contro la disoccupazione gio-vanile. Non rientra nelle competenze delsottoscritto trattare questo aspetto, maappare evidente che il problema è piùcomplesso e chiama in causa una poli-tica organica per l’occupazione giova-nile che non può essere surrogatadall’alternanza, sebbene – in linea diprincipio – l’inserimento di questa pra-tica nel curricolo possa dare un contri-buto alla capacità produttiva dei gio-vani. Occorre poi discutere la questionidelle condizioni necessarie all’alter-nanza entro un quadro socioculturalesegnato dall’egemonia del neoliberi-smo, che determina una certa temperieculturale, generando anche una peda-gogia implicita. Non tenere conto di que-sto aspetto fa scadere il discorso sul-l’alternanza a mera retorica.

La posizione fondamentale del neoli-berismo è che l’efficienza del sistema so-cioeconomico è garantito dai mecca-nismi del mercato e quindi dalla concor-renza. Questa posizione viene generaliz-zata all’intera vita sociale e costituisce ilprincipio formativo implicito a cui s’ispi-rano le politiche neoliberiste. L’interioriz-zazione dello spirito competitivo diviene,cioè, l’obiettivo per la formazione di unnuovo tipo umano (Dardot, Laval). La for-mazione dei giovani, in altre parole, vienevista secondo un’ottica neodarwinista:nella competizione prevarranno i più ca-paci, chi ha carte da giocare ce la farà,gli altri si dovranno rassegnare a ruoli su-balterni e quanto prima lo capiscono me-glio è, perché occorre scoraggiare pertempo attese eccessive. Questa situa-zione, inoltre, è inasprita dalla precariz-zazione del lavoro – qui da noi favorita elegittimata dal jobs act – che postula laflessibilità dell’impiego dei lavoratori(Gallino) e quindi la loro adattabilità alle

dino capace di pensiero critico.Inoltre, le attese circa l’effetto forma-

tivo dell’alternanza appaiono sovradi-mensionate. Difficilmente questa praticapotrà da sola superare lo iato tra la for-mazione scolastica e le necessità delleaziende. Tali necessità hanno infatti uncarattere immediato o a breve termine,per rispondere al quale occorrerebbeuna corrispondenza diretta tra curricoliscolastici e profili professionali. Ma ciò,oltre a comportare una proliferazionecaotica degli indirizzi scolastici, sarebbein contraddizione con le esigenze di me-dio-lungo termine dello stesso sistemaeconomico. Infatti, in un’economia ba-sata sulla conoscenza si registrano altitassi di obsolescenza delle tecnologieproduttive che portano a un invecchia-mento rapido delle conoscenze e dellecompetenze specifiche. Il produttoreadeguato a un’economia della cono-scenza, altamente dinamica, è equipag-giato piuttosto di metacompetenze ed ècaratterizzato dalla capacità di disap-prendere e riapprendere costantemente,dotato dunque di un’ampia flessibilitàmentale invece che di competenze spe-cifiche. Questo implica una conversionedella scuola in direzione metacognitivamirata all’imparare ad apprendere, piut-tosto che a una rispondenza diretta e im-mediata alle competenze specifichenecessarie alle aziende in una certa fasedi sviluppo delle tecnologie produttive.

In questo modo, un certo iato tra istru-zione scolastica e necessità attuali especifiche delle aziende è destinato apermanere, pertanto sarebbe un errorepensare di colmarlo con la sola alter-nanza. Il tentativo di formare produttori“chiavi in mano” per l’azienda rischia diessere miope e di svolgere un merosupplentato rispetto alla bassa propen-sione delle imprese italiane (per lo piùdi piccole e medie dimensioni) a inve-stire nella formazione del personale. Ilproblema va affrontato creando dellecerniere di raccordo tra l’istruzione sco-lastica e l’azienda, secondo la direzioneche ha iniziato a prendere forma con gli

necessità della produzione e alle dina-miche del mercato del lavoro.

In estrema sintesi, il quadro sociocul-turale entro cui viene a collocarsi l’al-ternanza è perciò il seguente: la forma-zione scolastica è concepita secondoun paradigma funzionalista che larende subalterna all’economia e al-l’azienda; la realtà del lavoro è la diffusaprecarietà, completata dalla pretesa dimassima adattabilità del lavoratore; ildispositivo formativo sociale è rappre-sentato dalla competizione, accompa-gnata dalla retorica meritocratica.

Choosy e fotocopie

Questo quadro produce una certatemperie culturale che modella implici-tamente la rispecificazione operativadella formula pedagogica dell’alter-nanza (cfr. Luhmann- Schörr). Tale for-mula prevede – in linea di principio –che l’alternanza si configuri come unaesperienza educativa al servizio dellacrescita dell’individuo. Di fatto, però,l’attuazione di tale formula è mediatadal sistema di convinzioni indotte dalquadro socio-culturale descritto. per-tanto, fornero docet, l’impresa pre-tende che i giovani non siano choosy(esigenti e pignoli) o schizzinosi, ma pie-namente disponibili ad adattarsi alle ne-cessità aziendali, e pronti a mostrarequello che sanno fare, impegnandosicon dedizione a soddisfare le sue ri-chieste, quali che siano.

perciò, se c’è bisogno di fotocopie ci siaspetta che il giovane le esegua conprontezza e impegno, e anche in questopotrà mostrare di essere più sveglio e di-ligente di altri. Rispetto a questa ten-denza, di cui si è avuta recente testimo-nianza sulla stampa, non basta denun-ciare lo scostamento dalla finalità scola-stica dell’alternanza, occorre anchechiedersi quali siano le conseguenze ef-fettive. In altre parole: cosa impara il gio-vane da un’alternanza di fatto cosìconfigurata? Diversamente dalla teoria

canonica, tali conseguenze non riguar-dano tanto il raccordo teoria-pratica e latrasferibilità delle competenze (che spes-so non sono seriamente mobilitate),quanto gli atteggiamenti, i modi di essere.Il giovane impara che deve adattarsi allenecessità aziendali; impara che deve es-sere disponibile, pronto a eseguire gli or-dini e diligente; impara che il suo destino(oggi in termini di valutazione ai fini sco-lastici, domani come conservazione di unposto precario) dipende dalla sua sotto-missione; e impara che si deve rasse-gnare a questo stato di cose, rispetto alquale è impotente. Tali effetti sono coe-renti con il dispositivo formativo neolibe-rista e con le esigenze di un’impresa chebasa le proprie fortune sulla precarietàdel lavoro.

Si potrebbe obiettare che il sistema diconvinzioni a cui abbiamo fatto riferi-mento non coinvolge tutte le aziende,perché vi sono imprese caratterizzate daun profilo etico e sociale pienamenteconsapevoli delle valenze formative del-l’alternanza e sono quindi propense a im-pegnarsi in questa pratica nel miglioredei modi. Certamente, con aziende diquesto tipo è possibile coprogettare e at-tuare esperienze d’alternanza autentica-mente educative.

Tuttavia, l’introduzione dell’obbligodell’alternanza, sancito dalla 107/15, ri-duce in modo drastico la possibilità dioperare una selezione avveduta delleaziende partner. La massa di esperienzeda attivare è così elevata e le risorse or-ganizzative così scarse, che una sele-zione attenta e un controllo puntualedivengono di fatto impossibili. In questomodo si è fatalmente prodotto lo stato dicose prima descritto.

Alcune modeste ipotesi conclusive

per concludere, senza voler indicare ri-cette, formuliamo alcune modeste ipo-tesi per rimettere l’alternanza su binaripedagogici corretti.

Il deterioramento della qualità del-l’alternanza dipende anche dall’averlaresa obbligatoria, prescindendo dai pre-supposti materiali e culturali di questamisura. pertanto, la prima ipotesi èquella di accogliere la proposta di unamoratoria circa l’obbligo dell’alternanza.In sua sostituzione potrebbe essere at-tivata una sperimentazione mirata aelevare gradualmente la quota di scuolee studenti coinvolti in questa pratica at-traverso incentivi e risorse (ma ridefi-nendo i pacchetti orari). In questo modosi potrebbe ripartire dalle scuole e dalleimprese seriamente convinte della vali-dità dell’alternanza, stanziando risorseaggiuntive che permettano una realecoprogettazione delle esperienze e unserio monitoraggio del loro svolgimento.

Su questa base, potrebbe esseremesso a punto un albo delle aziende diprovata affidabilità, mirando a un suooculato ampliamento. parallelamentepotrebbe essere curata la presenta-zione delle esperienze compiute in con-dizioni di adeguato controllo pedagogi-co-scientifico, con lo scopo di diffondere– sia verso il mondo scolastico, siaverso quello dell’impresa – una culturadel rapporto tra istruzione e lavoro. L’al-ternanza, infatti, richiede un muta-mento culturale (di mentalità) in en-trambi questi mondi, ma tale muta-mento è un processo e richiede perciòtempi adeguati. Non si può produrre perdecreto. L’obiettivo potrebbe diventarequello di una quasi-generalizzazione (il90%) dell’alternanza, senza imporladove non vi sono le condizioni, da con-seguire in alcuni anni (cinque-setteanni, per esempio).

La seconda ipotesi riguarda l’impiantometodologico necessario per renderefeconda l’alternanza. A questo propositooccorrono almeno due misure che at-tingiamo da Schwartz. Innanzitutto,l’esperienza dell’alternanza dovrebbeessere preparata da uno-due anni du-rante i quali vengono avviate forme diapertura della scuola alla realtà produt-tiva del territorio, senza attivazione di

DALLA TEORIA ALLA PRATICA

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L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO

stage veri e propri. Tale apertura do-vrebbe realizzarsi sia in entrata (inter-vento di esperti del mondo del lavoronella scuola), sia in uscita (esperienzein contesti produttivi sotto la guida con-giunta di insegnanti ed esperti). Inoltre,una volta passati all’esperienza inazienda sotto la guida di esperti, ognistage dovrebbe essere preparato a li-vello progettuale col concorso di inse-gnanti, esperti e studenti, monitoratodurante il suo svolgimento (almeno uno-due incontri di valutazione in itinere) evalutato congiuntamente dalla scuola edall’azienda (con lo scopo di migliorarele esperienze successive). Infine, l’espe-rienza dovrebbe essere rielaborata ri-flessivamente dagli studenti, sia a livellopersonale (relazione finale) sia a livellocollettivo (discussioni in classe). Comeappare evidente, un dispositivo così im-pegnativo non può essere scaricato su-gli insegnanti nelle attuali condizioni.Occorrono incentivi e risorse aggiuntive.

Queste ipotesi acquistano però pienosignificato pedagogico solo in connes-sione con una ulteriore indicazione: ilsuperamento dell’interpretazione del-l’alternanza in base al paradigma fun-zionalista. Difatti, poiché in tale para-digma si vede la scuola in funzione del-l’economia, questa chiave di lettura siestende anche all’alternanza, che ri-schia di essere concepita implicita-mente come un dispositivo per l’adat-tamento dei futuri produttori al contestoaziendale. Se questo può essere legitti-mamente (entro certi limiti) il punto divista dell’azienda, la scuola deve peròmirare sempre alla crescita dello stu-dente, alla formazione dell’uomo nellasua completezza, sia come produttoreche come cittadino. pertanto, occorreconcepire l’alternanza alla luce di unparadigma critico, riattivando la lezioneoriginaria di Schwartz, secondo cui ilrapporto tra scuola e mondo produttivodeve essere un “incontro polemico”. perla scuola, l’alternanza non è soltanto unmomento di formazione dei nuovi pro-duttori, ma anche dei futuri cittadini. E a

RIfERIMENTI BIBLIOGRAfICi

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questo scopo, un contatto diretto con larealtà del lavoro può essere importante,perché – come ha insegnato Don Milani– può contribuire ad aprire gli occhi sulmondo. La scuola deve dunque pro-muovere una consapevolezza criticadella realtà del lavoro sociale e l’alter-nanza diviene così anche un’occasioneper riflettere su tale realtà e prenderecoscienza delle logiche e delle proble-matiche che la attraversano. per otte-nere ciò potrebbero essere previstianche momenti d’incontro con le orga-nizzazioni sindacali e la partecipazionedegli studenti a dibattiti tra queste e leforze imprenditoriali.

La scuola non può limitarsi a forgiareproduttori adattabili, il suo scopo priori-tario concerne sempre l’emancipazionedella persona, la capacità e il coraggiodi pensare con la propria testa. E suquesto la scuola non può derogare, al-trimenti tradirebbe se stessa.

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Sono insegnante di Lettere eStoria all’ISIS “Leonardo daVinci” di firenze e vorrei pro-vare a proporre, da uomo discuola, alcune riflessioni sulle

esperienze di ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO.La prima riguarda la proposta, soste-nuta da tempo, sia fuori che dentro lascuola, di rendere facoltative le attivitàdi ASL; la seconda è relativa alle strate-gie capaci di promuovere una alter-nanza di qualità (“alternanza giusta”,come preferisce dire la Rete degli stu-denti medi), per concludere con alcunconsiderazioni relative al ruolo dellaCGIL e del CIDI in questa scommessa.

Le riflessioni sui tre punti appena ri-chiamati hanno origine da una lungastoria professionale che si è moltospesa sull’integrazione di tematichenella curricolarità, quali quelle relativealla salute e alla sicurezza sul lavoro,cercando le relazioni fra saperi disci-plinari diversi e le possibili aperturecon il territorio. Questo orientamento siè consolidato nel confronto con altrerealtà, dando vita in diverse regioni areti tra istituti, a cui hanno partecipatoistituzioni del territorio, fra cui gli orga-nismi pubblici di prevenzione e le partisociali. La strategia delle reti territorialisi è rivelata efficace e ha dato luogo a

esperienze significative a livello nazio-nale, tanto da indirizzare la normativasulla salute e la sicurezza nell’asse-gnare alla scuola un ruolo strategiconella promozione della cultura della si-curezza negli ambienti di lavoro. Inquesta circostanza la scuola si è dimo-strata un interlocutore credibile neiconfronti degli esperti e delle istituzionideputati alla scrittura della normativasulla sicurezza e una risorsa anchenella fase successiva, quella della ste-sura delle linee guida di applicazionedel Decreto legislativo 81/08 nellescuole, che fanno riferimento al ma-nuale Gestione del sistema sicurezza e

L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO

LA SFIDA DEL LIMESSAURO GARZI

LA CENTRALITà DEL RAppORTO SCUOLA-TERRITORIO

cultura della prevenzione nella scuola,pubblicato da MIUR e INAIL, risultatodelle esperienze condotte dagli istitutiin rete.

L’esperienza mi porta alla convin-zione dell’opportunità che l’alternanzascuola lavoro debba costituire un ele-mento obbligatorio, cogente nella cur-ricolarità delle classi del triennio dellescuole secondarie di secondo grado.Estremizzando e per amore di pole-mica, direi che l’obbligatorietà costitui-sce uno degli elementi più innovativi einteressanti. Non sottovaluto i rischi ele difficoltà legate a una normativa confinalità ambigue, presupposti e aspettispesso non condivisibili, improvvisa-zione e risorse insufficienti e l’assenzadi un serio percorso di formazione peril personale scolastico.

L’ASL si profila quindi come una scom-messa per quelli che ne intravedonol’opportunità, purché si facciano parteattiva per evitare che si trasformi inquello che molti insegnanti denun-ciano come sfruttamento degli studentie una distrazione dalle attività discipli-nari.

La scuola deve rivendicare un ruoloattivo, non subalterno a logiche azien-dali e ottenere strumenti e risorse ade-guate. Quindi accettare la sfida,esserci, provare, confrontarsi, mettersiin gioco e attivare sinergie contro unapproccio rinunciatario o di strenua di-fesa della “sacralità” della funzione diinsegnante e del monopolio dellascuola nei processi di apprendimento,contro la logica secondo cui le espe-rienze in materia di alternanza scuola-lavoro non sono connesse al mestieredi educatore e le ore di ASL costitui-scono tempo studio sottratto agli stu-denti.

per rispondere ai colleghi che la-mentano il rischio di non avere più iltempo per svolgere il proprio percorsodisciplinare, ritengo che un atteggia-mento aperto e collaborativo facilitil’individuazione di soluzioni che po-

trebbero rivelarsi vantaggiose in terminisia di apprendimento che di razionaliz-zazione dell’alternanza. parteciparealla coprogettazione delle attività ASL

da parte di tutte le discipline, oltre a ri-dare respiro e scopo ai consigli diclasse, significa condividere un pro-getto, far dialogare tra loro i diversi sa-peri disciplinari intorno a un principiointegratore, il lavoro, confrontarsi con il“fuori” (“contestualizzazione delle di-scipline” secondo le linee guida), ma si-gnifica anche permeare di senso e dicultura le esperienze lavorative degli al-lievi, agire perché i tirocini diventino oc-casione per far maturare spirito critico,senso di responsabilità, cittadinanza at-tiva… e allora anche il concorso delle di-verse discipline diventa parte integran-te dell’ASL e può contribuire al raggiun-gimento del monte ore previsto per ognianno.

Un’esperienza con la produzione del vino

A scopo esemplificativo farei riferi-mento all’esperienza relativa al pro-getto di alternanza scuola-lavoro che imiei allievi della terza chimica hannorealizzato quest’anno, dal titolo Tusca-vin: la filiera produttiva del vino granderisorsa del territorio toscano. Nell’am-bito delle discipline di Italiano e Storia èstato proposto di approfondire il rap-porto fra vino e lavoro; la traccia era: “Ilavori del vino, il vino nel lavoro”. Attra-verso sopralluoghi nel territorio, gli al-lievi hanno potuto vedere le differenzefra le vecchie vigne dei poderi dellamezzadria toscana e i nuovi impianti, lecantine di un castello allora di proprietàdella famiglia dei pazzi e passare giorninei laboratori chimici di una grossa im-presa vitivinicola, toccando con manogli elementi concreti che hanno se-gnato il passaggio dalla mezzadria al-l’estendersi della monocoltura ad alta

meccanizzazione che ha modificato ra-dicalmente il territorio.

Il lavoro in classe riferito alle mie di-scipline, parte integrante del progettoASL, è servito a collocare storicamentequesto processo, oltre che a fare unaricognizione sulla rappresentazione delvino nella letteratura e nelle arti figu-rative, lavorando sul significato delmessaggio degli autori.

In questo quadro, il vino è stato uti-lizzato come pretesto per promuoverecon gli allievi una didattica per compe-tenze: correlare saperi acquisiti in con-testi diversi, essere in grado diindividuare le varie dimensioni che ilvino e la sua produzione hanno as-sunto nella storia: quella economica(bene di scambio, bevanda, alimento,ecc.), simbolica (in ambito religioso) esociale (elemento di socializzazione,strumento di evasione e di sballo), maanche saper decodificare i messaggidelle politiche aziendali di produzionedel vino (genuinità del prodotto, produ-zione a basso impatto ambientale, ri-spetto del territorio...), argomenti nonperegrini per giovani ai quali la scuoladovrebbe garantire di saper valutare inun futuro prossimo utilità, liceità e di-gnità delle occupazioni a cui potrannoaccedere.

Anche se non sono mancati criticitàe problemi nello sviluppo concretodelle attività, l’esperienza descritta de-linea una strada che non mi pare ab-bia nulla da invidiare alla soluzione chesembra profilarsi, almeno in alcune re-altà regionali, per superare l’impatto ele difficoltà relative all’ASL: renderla og-getto di progetti finanziati.

Rischi da evitare

Non sono contrario pregiudizial-mente a questa ipotesi. peraltro iostesso mi sono impegnato nel coordi-namento di progetti nazionali sui temidella sicurezza nella scuola, ma, ap-

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Una seconda ragione a sostegno del-l’obbligatorietà dell’ASL è meno contin-gente: banalmente potremmo dire chese consideriamo l’alternanza un’occa-sione per la scuola di misurarsi nel rap-porto con il territorio, di aprirsi al mondodel lavoro nella sua dimensione plurale,un’opportunità di immettere nel giococomponenti fondamentali della scuola edella società, non ultimi i genitori degli al-lievi, se tutto questo è convincente e pos-sibile, l’ASL non può essere un optional.

Una semplificazione forse, ma anche ilsuggerimento che ho trovato in questitempi nel rimbombo delle celebrazionidel messaggio che cinquant’anni fa è ar-rivato dalla scuola di Barbiana, schiac-ciato oggi fra i perdoni tardivi e tentatividi depotenziamento di un messaggio ra-dicale, provocatorio e per me ancora af-fascinante. Occupandomi di alternanzapiù volte ho pensato alle provocazioni po-tenti di una scuola al tempo stesso “blin-data” e apertissima al territorio, ciò chela circondava fisicamente e le sue rela-zioni, tutte funzionali al raggiungimentodegli obiettivi e coerenti con le finalità delmessaggio educativo di Don Milani.

La mia convinzione circa la centralitàdel rapporto fra scuola e territorio, per lasalute dell’uno e dell’altra, deriva anchedalla mia storia professionale. Ho avutol’avventura di iniziare la mia carriera d’in-segnante in una scuola sperimentale chedella relazione con il territorio faceva lasua cifra: la Scuola Città “pestalozzi”nata in una prospettiva politica laica a fi-renze da un gruppo di intellettuali che al-l’indomani della Seconda guerramondiale, nel quartiere sottoproletarioSanta Croce, fu capace di fare quello chela cultura con la “c” maiuscola invocatada Montale, dell’intellighenzia della Cit-tadella delle lettere, di stanza alleGiubbe rosse, non era stata capace difare. Come per Lettera a una professo-ressa, è solo un richiamo, magari un in-vito a fare un piccolo pellegrinaggio nelcaso vi trovaste a firenze: fra Scuola-Città “pestalozzi” e la sede della Camera

punto, l’esperienza mi porta a denun-ciarne i rischi. Innanzitutto la loro di-mensione di nicchia significa inevita-bilmente opportunità per una quota li-mitata di istituti, generalmente, quellidotati di contesti favorevoli in terminidi competenze, risorse, dimensioni, ca-paci di attivare una struttura dedicata,ma difficilmente in grado di generareun effetto “alone” sulle scuole noncoinvolte nei progetti, anzi il rischio èdi un aumento del divario.

In secondo luogo la loro “ordina-rietà”, per cui da strumenti di innova-zione, sperimentazione e ricerca sitrasformano troppo spesso in mecca-nismi di finanziamento, dando luogo aconsuetudini con rendite di posizione(dirigente scolastico, direttore servizigenerali e amministrativi, strutture epersonale dedicato, compreso quellonecessario per una rendicontazione,spesso tanto parossistica, che aggi-rarla diventa liberatorio). Indicatori diqualità della dirigenza e del suo staff, iprogetti vengono accolti con benevo-lenza nelle sedi di contrattazione inquanto capaci di portare risorse ag-giuntive negli istituti da distribuire frail personale. Una miscela di competi-zione e cooptazione sulla quale i con-trolli potrebbero essere più puntuali daparte degli organi collegiali - se non co-noscessimo i loro limiti – oltre che deisoggetti chiamati a gestire i livelli dicontrattazione d’istituto – se non cifosse nota la prassi troppo spessoschiacciata sugli aspetti contingenti.Le verifiche sui risultati e sulla effettivaricaduta meriterebbero almeno lastessa attenzione riservata alle espe-rienze di alternanza scuola-lavoro.

I progetti sono spesso gli ospiti dilusso della scuola. Non sempre, matenderei a escludere che il mio istitutorappresenti un’eccezione: quotidiana-mente si assiste a una sorta di risve-glio segnato dalla campanella del-l’ultima ora di lezione, quando un ra-pido e affannoso maquillage, a cura

dei collaboratori scolastici (figure chedifficilmente ricevono compensi per illoro impegno aggiuntivo), mette a di-sposizione spazi più presentabili peraccogliere innumerevoli corsi di forma-zione e di aggiornamento connessi aiprogetti finanziati, magari tenuti daesperti per i quali, l’abilitazione all’in-segnamento o comprovata esperienzadidattica non sono requisiti sempre ob-bligatori.

Alleanza obbligatoria.Ecco perché

Concludendo questa prima argomen-tazione, penso che il carattere obbliga-torio dell’ASL, se implica uno sforzosignificativo per i numeri in gioco in unquadro normativo con finalità non tuttecondivisibili, abbia il merito di contenerele dinamiche che caratterizzano i pro-getti finanziati e non introduca logichedi difficile gestione, forse anche pocovirtuose, nella formazione dei consigli diclasse e delle stesse classi basate sulloro coinvolgimento o meno nelle atti-vità di alternanza. Si potrebbe così con-figurare nello stesso istituto le classi dei“pierini”, nelle quali non si perde tempoe si studia, e quelle dei “Gianni”, nellequali l’alternanza scuola-lavoro rappre-senta una prospettiva più orientata allavoro o comunque un’occasione per fa-cilitare l’assunzione una volta terminatoil ciclo di studi; concezione sbagliata efuorviante, da combattere, ma ahimèdrammaticamente diffusa, molto più diquella che considera le attività di alter-nanza una delle opportunità che lascuola ha il dovere di offrire agli stu-denti per costruire e verificare il loro pro-getto di vita.

L’alternanza scuola-lavoro non può co-stituire un ulteriore meccanismo di divi-sione che si aggiunge alle cause diselezione già presenti nella società chediscriminano a prescindere gli allievi nelloro diritto al successo formativo.

L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO

del lavoro non ci sono più di 500 metri,poco più della lunghezza di piazza SantaCroce che separa questi due luoghi sim-bolo della Sinistra fiorentina.

Un’alternanza di qualità

passando alla seconda questione po-sta all’inizio, circa le strategie per un’al-ternanza di qualità, mi rendo conto checiò implica formulare una definizione di“qualità”. Rischio: è l’alternanza ingrado di attivare processi di valorizza-zione del mandato educativo dellascuola proprio in virtù dell’interazionecon le dimensioni culturali, produttive,etiche che costituiscono e caratteriz-zano la società. può sembrare teoria,eppure mi pare che possa trovare un ri-scontro concreto nella storia relativa-mente recente, in un’esperienza emble-matica e riuscita del rapporto fra lascuola e il territorio: le 150 ore, un casoin cui la scuola, investita di un compitonuovo, si è aperta a una utenza singo-lare nei confronti della quale si è inter-rogata, ha coinvolto le organizzazioni deilavoratori, si è modificata ed è cre-sciuta, entrando in sintonia con la so-cietà. Grazie a questa esperienza haelaborato modelli educativi, metodolo-gie didattiche e strumenti, che hannoportato contributi e riflessioni impor-tanti.

Oggi cosa può fare la scuola per orien-tare il proprio impegno, le proprie ri-sorse verso un’alternanza di qualità? Lamia risposta: mettere al centro il lavoro!Si tratta di un tema fino a oggi senza cit-tadinanza nella scuola, se non in modoepisodico, mentre ritengo sia impre-scindibile nell’ambito del processo diformazione del cittadino, che è, in ul-tima analisi, il mandato della scuola.

Ciò che auspico è «una formazioneche incontri e faccia esperienza del la-voro, ma appunto del lavoro più che dilavoro e formazione professionale;esperienze che entrino nel processo di

formazione scolastica e facciano usciredalla scuola, ma interne a un percorsounitario», per dirla con Andrea Bagni,mio collega e vicedirettore di ECOLE.

La trattazione curriculare delle proble-matiche connesse al lavoro (dignità, di-ritti, doveri, sicurezza, ecc.) e dellastessa normativa sulla sicurezza, con-sente di attivare un concorso di saperied esperienze per proporre una visionedel lavoro non stereotipata né epica, perutilizzare il lavoro come chiave per com-prendere il passato e il presente, ma an-che per definire insieme agli allievi unaprospettiva di vita e progetti lavorativifondati su equità, dignità, gratificazione,utilità sociale, rispetto, sicurezza, salu-brità. Il lavoro è un punto di partenza eun appiglio ideale (Ansatzpunkt, per ri-prendere una nozione dello storicismocritico tedesco) che permette di am-pliare la visione degli allievi al quadro so-ciale e culturale generale.

Le coordinate tecnologiche, sociali, or-ganizzative riferite al lavoro e l’analisidelle forme con cui esse si sono concre-tizzate nel tempo offrono al sistema sco-lastico un’originale possibilità dicontribuire al rinnovo dei curricoli e alsuperamento delle “educazioni aggiun-tive” (quella alla salute e alla sicurezzacomprese). Il carattere di poliedricità dellavoro lo rende “fattore integratore” deidiversi saperi, il significante attorno alquale si coagulano le diverse discipline,imprimendone coerenza e favorendoneil coordinamento e la contami- nazione.Inoltre, la dimensione matetica che co-niuga la valenza dell’impianto teoricocon l’applicazione delle categorie ope-rative e pratiche facilita l’adozione diuna didattica esperienziale condotta inmodo integrato tra discipline e stretta-mente collegata ai tirocini extrascola-stici.

peraltro si deve considerare che stu-dio e lavoro sono vasi comunicanti. Nonsi può pensare a questo binomio come aun prima e un dopo, concetto ormai lar-gamente acquisito se riferito ai lavoratori

ai quali vengono sempre più richiesti eproposti aggiornamento e formazione,in un’ottica di apprendimento per l’in-tero arco della vita lavorativa. perchénella “società liquida” del XXI secolo leconoscenze e le competenze non sonoacquisite una volta per tutte, ma sonosoggette a una rapida obsolescenza.

Il tema del lavoro, proprio per il carat-tere di concretezza e la possibilità di at-tualizzazione e di contestualizzazioneche lo connotano, si presta particolar-mente a un’attività didattica fon- datasulle competenze. Competenze sia spe-cifiche, afferenti alle diverse aree disci-plinari (umanistiche e tecniche), siatrasversali, che rendano l’allievo ingrado di affrontare, in prospettiva, au-tonomia, con responsabilità e senso cri-tico una realtà in continuo cam-biamento. È un piano diverso rispetto al-l’alternanza scuola-lavoro, spesso con-cepita come equivalente funzionaledell’ufficio di collocamento.

Stabilire una connessione (rifles-sione, confronto, ricerca) con le espe-rienze di laboratorio e di tirocinio, maanche con lo stesso ambiente di lavoro-scuola, ha sicuramente una ricaduta intermini di potenziamento dell’efficaciaeducativa e risponde a quanto previstoin uno dei punti più condivisibili dallalegge 107/15, esplicitato nelle relativeLinee guida: «Data la dimensione curri-colare dell’attività di alternanza, le di-scipline sono necessariamente conte-stualizzate e coniugate con l’apprendi-mento mediante esperienza di lavoro».

In questa prospettiva non mi paionopertinenti, né tantomeno utili, i riferi-menti a Gramsci e Lenin, la citazionedei loro appelli ai figli degli operai a im-possessarsi della cultura borghese e aconoscere il latino, riesumati in questifrangenti per rivendicare la centralitàdei saperi “puri” e denunciare le con-taminazioni introdotte dall’ASL costitui-scono interpretazioni a dir poco super-ficiali; più utili per i tweet che per con-tribuire a un dibattito che ha bisogno

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tivo era verificare se e in che misuraconsideravano il report come una spe-cie di “capolavoro” da mostrare nonsolo agli insegnanti e nelle aziende cheli avevano ospitati, ma anche in fami-glia. I risultati sono andati molto oltre leaspettative: le relazioni degli allievi e lemail dei genitori testimoniano un ap-prezzamento, per nulla scontato, del-l’esperienza; alcuni mi hannoringraziato per aver avuto la possibilitàdi vedere cosa faceva a scuola il propriofiglio.

Gratificante, sì! Rassicurante, anche!Esperienza riproducibile tal quale? Ov-viamente no! La cosa importante èavere previsto nella progettazione delleattività di ASL una possibilità concretadi coinvolgimento dei genitori e verifi-care come questa sperimentazione ab-bia prodotto un arricchimento del lavorocurricolare.

I genitori sono un soggetto impor-tante, una risorsa di quel territorio dovesi gioca la difficile partita delle giovanigenerazioni. Sono testimoni diretti di unrapporto con il lavoro o dell’assenza diesso: possono averlo o essere disoccu-pati ed esserne drammaticamente incerca, iscritti al sindacato o no. Coin-volgerli, rendendoli parte di un rac-conto, in un mondo in cui non siracconta più è una occasione piccola,ma un elemento da valorizzare.

La prospettiva, dunque, è rivendicarela centralità del ruolo della scuola nel-l’ASL perché il suo ruolo è strategico e lasua funzione insostituibile, quasi unmonopolio. L’impegno per garantirne vi-talità inizia superando sia i confini alsuo interno, fatti di materie e “mono-tona routine”, sia nei confronti del ter-ritorio, nell’accezione del contestofisico in cui si colloca il singolo istitutoscolastico, sia in quello più ampio, si-stemico, perché nella mia esperienza èstato proprio nella frequentazione delconfine, dell’altrove, che ho verificatoipotesi e superato pregiudizi attraversopercorsi condivisi e dialettici.

di pensieri e riflessioni capaci di an-dare oltre la necessità o la voglia dicommentare l’ultima notizia diffusadalle agenzie. Il dibattito e l’importanzadella riflessione marxista sulla scuolanon merita queste banalizzazioni: mipiace richiamare ancora Andrea Bagniquando ricorda come «Il modello gram-sciano di scuola (e di intellettuale) nonesclude affatto il lavoro, ma lo elevadall’operare manuale alla sfera dellatecnica, della scienza, infine della sto-ria (e della politica)».

A mio parere si tratta piuttosto di cri-tiche strumentali quelle che, “da sini-stra”, usano Gramsci e Lenin perespellere dalla scuola tutto ciò che di-stoglie dal programma e ne impediscela conclusione prima della fine del-l’anno.

Si rischia di vivere la scuola comeuna “fortezza Bastiani” assediata dal-l’esercito del Nord! Come il tenenteDrogo, anche nella scuola, per recupe-rare vitalità talvolta si sente il bisognodi individuare un nemico esterno, nonrendendosi conto che, come nel De-serto dei Tartari, il problema è dentrola fortezza/scuola, è l’asfissia, la rou-tine. Routine che opprime, ma sottil-mente rassicura e rende la “fortezza”una nicchia ecologica protettiva, che fi-nisce per costituire elemento ambiguodestinatario di amore e odio da partedel personale scolastico. Ma i Tartarinon sono all’orizzonte e la protezione èormai una categoria del passato ina-deguata agli scenari, per dirla in modosintetico, della Quarta rivoluzione in-dustriale.

Agile come un cavallo

Credere nella scuola e non rasse-gnarsi a considerarla come una co-struzione arroccata sulla montagna adifesa di un confine che non c’è più im-plica correre dei rischi; il titolo di unvecchio libro di Vittorio foa, Il cavallo e

la torre può costituire la metafora di unprocesso difficile e dai risultati, a es-sere ottimisti, incerti, ma che io credol’unico possibile: valorizzare le caratte-ristiche di agilità, velocità, leggerezzadel cavallo a fronte della rigidità, ina-movibilità e falsa sicurezza della torre.

personalmente non sono mai statodisperato dal non aver finito il pro-gramma, sono stato disperato se gli oc-chi dei miei studenti non ridevano,mentre mi rimbombava nella testa lafrase di Agostino «Nutre la mente ciòche la rallegra» scritta sulla lavagna ilprimo giorno di scuola, quasi ad assu-mermi una responsabilità, certo non in-teramente mia, ma che voleva essere,e lo dichiaravo, un mio impegno, il me-mento del nostro lavoro e del nostrostare insieme. Questo non poteva enon doveva escludere le attività del-l’ASL.

faccio ancora riferimento all’espe-rienza richiamata precedentementecon gli studenti della terza chimica,come esempio in cui le attività di alter-nanza, per le loro caratteristiche, il di-verso contesto e i soggetti esterni allascuola che coinvolgono, hanno rappre-sentato una opportunità sul pianodella didattica, ma anche in termini dicoinvolgimento, in modo nuovo ed effi-cace, di figure e soggetti di fatto mar-ginalizzati, rinchiusi nel recinto dirappresentanza ormai fuori dal tempo,ma centrali nel processo educativo: igenitori.

Nell’ambito della coprogettazionedelle attività di ASL, mi sono impegnatoa curare la realizzazione di un report disintesi finalizzato a documentarel’esperienza con un linguaggio multi-mediale, familiare agli studenti. Al ter-mine delle attività, ho chiesto aglistudenti di presentare a casa, ai lorogenitori o comunque a chi volessero, ilreport di sintesi sul percorso di alter-nanza scuola-lavoro, discusso e cor-retto in classe, scrivendo poi unarelazione sull’”esperimento”. L’obiet-

L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO

Sono sempre stato innamorato del li-mes, per i romani “linea di confine”, “li-mite” che rappresentava una barrieraper difendere i confini dell’impero, maanche “strada” attraverso la quale en-trare all’interno di un territorio di re-cente conquista o ancora daconquistare. Ed è ovviamente in que-sta seconda accezione che mi inte-ressa considerare il limes e inparticolare l’idea di necessità di comu-nicazione che esso richiama.

Credo che il limes possa sintetizzare,in modo figurato, ogni strategia di rap-porto fra istituzioni: dare corpo a unastrada, a una via di comunicazione perconoscere e confrontarsi con un al-trove segnato dalla presenza di altrerazionalità, altri ruoli e altre finalità.

Nella mia esperienza ho potuto veri-ficare come la strutturazione di rela-zioni significative fra la scuola e leistituzioni del territorio sia risultata im-portante in presenza di risorse scarsee in un contesto nel quale qualità e ef-ficienza dipendano in gran parte dallesinergie e dalle strategie di ottimizza-zione che si riescono a mettere in atto.

Non nascondo le difficoltà: proprio incontesti difficili, come quando i legio-nari erano chiamati a difendere il limesdai barbari, come nell’incertezza dioggi, autoreferenza, logiche di supre-mazia e spasmodica ricerca di visibilitàsono ampiamente diffuse.

Ciononostante credo che non dob-biamo aver paura di superare il limes:

l’amore per il confine e per l’altro èl’amore per la ricerca. Non dobbiamoaver paura dell’altrove, non dobbiamoaver paura di uscire dalle nostre guar-nigioni e io credo che, se, da una parte,è vero che le guarnigioni sono esili, ri-cevono ordini ambigui e non hannonemmeno sufficienti rifornimenti, dal-l’altra, è necessario che le risorse pre-senti siano utilizzate con più altorendimento, trovando strategie di inte-grazione su temi centrali che sono afondamento della loro esistenzastessa, e fra queste un posto specialeoccupa il lavoro.

L’autore è docente di scuola secondaria di II grado

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