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Autore: Orrione Pagina | 0 pdf/Work/Corsi/TECNICA DELLE... · Prima di tutto vediamo di fornire una...

Date post: 15-Feb-2019
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Autore: Orrione Pagina | 0 TECNICA DELLE COSTRUZIONI. TECNICA DELLE COSTRUZIONI. TECNICA DELLE COSTRUZIONI. TECNICA DELLE COSTRUZIONI. 1 - Azioni sulle strutture (NTC 2.008) 6 - Azione normale del vento 13 - Azione tangenziale del vento 14 - Azione della neve 20 - Giunzioni nelle strutture in acciaio 41 - Instabilità dell’equilibrio Caso I – Asta perfetta caricata di lato 42 - Caso II – Asta perfetta caricata di punta 44 - Caso III – Asta perfetta caricata di punta in modo eccentrico 46 - Caso IV – Asta perfetta con vincolo elastico orizzontale 47 - Caso V – Asta perfetta con vincolo costituito da un tirante 48 - Caso VI – Influenza del materiale nel comportamento globale di un’asta 49 - L’asta di Eulero 57 - Strutture a nodi fissi e anodi spostabili e dimensionamento dei controventi 59 - Instabilità d’equilibrio per aste imperfette Caso I – Asta con eccentricità iniziale diversa da zero 60 - Caso II – Asta con deformazione iniziale diversa da zero 61 - Comportamento delle aste reali 63 - Metodo secondo la CNR 10.011 65 - Metodo secondio D.M. 2008 68 - Instabilità dell’equilibrio secondo la teoria di Timoscenco 70 - Aste calastrellate – Aspetti teorici 71 - Applicazione I – Asta HEA300 sottoposta a carico centrato P (Parte I) 75 - Applicazione II – Asta calastrellata sottoposta a carico centrato P 78 - Instabilità per imbozzamento e svergolamento 84 - Asta HEA300 sottoposta a carico centrato P (Parte II) 89 - Asta HEA300 sottoposta a flessione pura (Parte III) 90 - Lo svergolamento visto dal D.M.2008 91 - Problemi pratici 93 - Instabilità per imbozzamento 100 - Il calcestruzzo – Tecnologia del calcestruzzo 101 - Materiali leganti 104 - Gli inerti 105 - Il calcestruzzo 108 - Le prove sul calcestruzzo 115 - La durabilità del calcestruzzo 119 - Materiali per il c.a. e caratteristiche meccaniche 123 - Viscosità 126 - Rilassamento. Alcune considerazioni su viscosità e rilassamento 129 - Progettazione agli stati limite ultimi e di esercizio 131 - Calcolo delle sezioni in cemento armato: pilastri 135 - Trazione semplice 137 - Lunghezza di aderenza 138 - La flessione nel c.a. 149 - Il taglio nel c.a.
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Page 1: Autore: Orrione Pagina | 0 pdf/Work/Corsi/TECNICA DELLE... · Prima di tutto vediamo di fornire una serie di classificazioni. 1) Azioni diretteAAzioni diretteAzioni dirette:zioni

A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 0

TECNICA DELLE COSTRUZIONI.TECNICA DELLE COSTRUZIONI.TECNICA DELLE COSTRUZIONI.TECNICA DELLE COSTRUZIONI. 1 - Azioni sulle strutture (NTC 2.008) 6 - Azione normale del vento 13 - Azione tangenziale del vento 14 - Azione della neve 20 - Giunzioni nelle strutture in acciaio 41 - Instabilità dell’equilibrio Caso I – Asta perfetta caricata di lato 42 - Caso II – Asta perfetta caricata di punta 44 - Caso III – Asta perfetta caricata di punta in modo eccentrico 46 - Caso IV – Asta perfetta con vincolo elastico orizzontale 47 - Caso V – Asta perfetta con vincolo costituito da un tirante 48 - Caso VI – Influenza del materiale nel comportamento globale di un’asta 49 - L’asta di Eulero 57 - Strutture a nodi fissi e anodi spostabili e dimensionamento dei controventi 59 - Instabilità d’equilibrio per aste imperfette Caso I – Asta con eccentricità iniziale diversa da zero 60 - Caso II – Asta con deformazione iniziale diversa da zero 61 - Comportamento delle aste reali 63 - Metodo secondo la CNR 10.011 65 - Metodo secondio D.M. 2008 68 - Instabilità dell’equilibrio secondo la teoria di Timoscenco 70 - Aste calastrellate – Aspetti teorici 71 - Applicazione I – Asta HEA300 sottoposta a carico centrato P (Parte I) 75 - Applicazione II – Asta calastrellata sottoposta a carico centrato P 78 - Instabilità per imbozzamento e svergolamento 84 - Asta HEA300 sottoposta a carico centrato P (Parte II) 89 - Asta HEA300 sottoposta a flessione pura (Parte III) 90 - Lo svergolamento visto dal D.M.2008 91 - Problemi pratici 93 - Instabilità per imbozzamento 100 - Il calcestruzzo – Tecnologia del calcestruzzo 101 - Materiali leganti 104 - Gli inerti 105 - Il calcestruzzo 108 - Le prove sul calcestruzzo 115 - La durabilità del calcestruzzo 119 - Materiali per il c.a. e caratteristiche meccaniche 123 - Viscosità 126 - Rilassamento. Alcune considerazioni su viscosità e rilassamento 129 - Progettazione agli stati limite ultimi e di esercizio 131 - Calcolo delle sezioni in cemento armato: pilastri 135 - Trazione semplice 137 - Lunghezza di aderenza 138 - La flessione nel c.a. 149 - Il taglio nel c.a.

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AZIONI SULLE STRUTTURE (NTC 2.008).

Prima di tutto vediamo di fornire una serie di classificazioni.

1) Azioni diretteAzioni diretteAzioni diretteAzioni dirette: comprendono tutti i carchi gravitazionali, le azioni del vento e della neve. 2) Azioni indiretteAzioni indiretteAzioni indiretteAzioni indirette:queste sono le coazioni, le distorsioni vincolari, dilatazioni termiche,

ritiro e viscosità, queste sono tutte sollecitazioni che dipendono dalle caratteristiche interne del materiale.

3) Degrado ambiDegrado ambiDegrado ambiDegrado ambientaleentaleentaleentale: anche questo è visto come un’azione esterna, ed è un nuovo modo di pensare al degrado ambientale, inteso come la corrosione per l’acciaio, oppure i cicli di gelo e disgelo per il calcestruzzo.

Ed inoltre le azioni si dividono in:

1) StaticheStaticheStaticheStatiche.... 2) PseudoPseudoPseudoPseudo----sssstatiche:tatiche:tatiche:tatiche: queste sono tutte le azioni dinamiche che possono essere

rappresentate mediante un’azione statica equivalente, ad esempio l’azione del vento. 3) DinamicheDinamicheDinamicheDinamiche....

Altra classificazione:

1) Azioni permanentiAzioni permanentiAzioni permanentiAzioni permanenti (G)(G)(G)(G): sono tutte le azioni che agiscono per tutta la durata della vita nominale (vita utile) della struttura, tra queste troviamo il peso proprio degli elementi strutturali (G1), i carchi permanenti portati (G2), cioè tutti i carchi permanenti non strutturali (pavimenti, tramezze), i carichi permanenti portati possono essere considerati delle vere è proprie azioni permanenti, a discrezione del progettista. Sempre tra le azioni permanenti troviamo l’azione di precompressione (P), fenomeni di ritiro e viscosità, e distorsione imposte all’atto della costruzione.

2) Azioni variabili (Q)Azioni variabili (Q)Azioni variabili (Q)Azioni variabili (Q): qui possiamo trovare le azioni variabili di breve durata (vento, dilatazioni termiche giornaliere, ecc.), rispetto alla vita utile della struttura, o di lunga durata (calpestio, mobili, neve, dilatazioni termiche stagionali, ecc.).

3) AzAzAzAzioni eccezionaioni eccezionaioni eccezionaioni eccezionali (A)(A)(A)(A): qui troviamo gli urti, gli impatti e gli incendi, tutte azioni che si verificano eccezionalmente durate la vita utile di una struttura.

4) Azioni sismiche (E)Azioni sismiche (E)Azioni sismiche (E)Azioni sismiche (E): azioni derivanti dai terremoti.

Nella corretta valutazione delle azioni diviene fondamentale conoscere la vita nominalevita nominalevita nominalevita nominaledi una struttura, più comunemente definita vita utile. La vita nominale di un’opera strutturale è il numero di anni nei quali la struttura può adempiere al suo compito, purché soggetta alla sola manutenzione ordinaria. La durata della vita nominale dipende dall’importanza dell’opera stessa:

Stabilendo la durata della vita utile dell’opera possiamo anche definire le azioni a cui essa verrà sottoposta, infatti tutte le azioni vengono definire da un valore caratteristico superiore (al frattile del 95%), oppure da un certo tempo di ritorno [Tr], per le azioni variabili nel tempo. Il

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ttttempo di ritornoempo di ritornoempo di ritornoempo di ritornoè quel tempo all’interno del quale si ha la certezza che un certo valore caratteristico venga ad essere raggiunto o superato.

∆ln ≅ ∆1 - Pr→ probabilità di non superamento; - ∆T → intervallo di analisi.

Tutte queste azioni vengono combinate tra di loro.

S.L.U. S.L.U. S.L.U. S.L.U. –––– Combinazione fondamentale Combinazione fondamentale Combinazione fondamentale Combinazione fondamentale →→→→ ∑ !"

S.L.E. S.L.E. S.L.E. S.L.E. –––– Combinazione rara Combinazione rara Combinazione rara Combinazione rara →→→→ ∑ !"

S.L.E. S.L.E. S.L.E. S.L.E. –––– Combinazione frequente Combinazione frequente Combinazione frequente Combinazione frequente →→→→ ## ∑ " !"

S.L.E. S.L.E. S.L.E. S.L.E. –––– Combinazione quasi permanente Combinazione quasi permanente Combinazione quasi permanente Combinazione quasi permanente →→→→ ∑ " !#

Come possiamo osservare nella combinazione fondamentale l’azione variabile è l’azione principale, mentre tutte le altre sono tra di loro combinate, tramite un coefficiente di coefficiente di coefficiente di coefficiente di combinazionecombinazionecombinazionecombinazione, che tiene conto della non contemporaneità delle azioni. Mentre tutti i

coefficienti , ci servono per passare al valore di calcolo delle azioni, partendo da quello caratteristico, essi si presentano con valori diversi, in ragione del fatto se stiamo considerando combinazione sfavorevoli o favorevoli alla sicurezza. La combinazione fondamentale viene ad essere utilizzata per la verifica a rottura della struttura. Si deve anche dire che la normativa fissa altre due combinazioni:

Azioni eccezionali Azioni eccezionali Azioni eccezionali Azioni eccezionali →→→→ $ ∑ " !#

Azione sismica Azione sismica Azione sismica Azione sismica →→→→ % ∑ " !#

Le azioni $ ed % sono già le azioni di calcolo, infatti esse dipendono dall’importanza dell’edificio. A questo punto possiamo riportare i valori dei coefficienti di combinazione:

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Per quanto riguarda invece i coefficienti di sicurezza il Testo Unico distingue tre livelli di verifica:

Le EQU sono le verifiche di equilibrio, mentre le STR sono le verifiche di resistenza, ed infine le GEO sono le verifiche geotecniche, per quest’ultime due si possono usare due approcci diversi, il primo consente di utilizzare due serie di coefficienti di sicurezza diversi, il primo per le azioni e la resistenza dei materiali, il secondo per le verifiche globali. Mentre il secondo approccio consiste nell’utilizzare un’unica terna di coefficienti di sicurezza, anche se tale modo di procedere è gravoso per le verifiche geotecniche.

Tra i carichi permanenti portati (G2) abbiamo anche il peso degli elementi divisori interni, questi possono essere equiparati a una carico uniformante distribuito, questo è possibile qualora il peso delle tramezze è trascurabile rispetto al peso degli elementi strutturali che le portano. Questa ipotesi è generalmente verificata per le strutture in calcestruzzo armato e quelle in acciaio, mentre per le strutture in legno, generalmente, le tramezze sono portate da singoli elementi strutturali (travi), che quindi devono essere dimensionati ad hoc.

Vediamo ora di riportare il peso specifico dei materiali strutturali più utilizzati, questi tornano utili per determinare l’azione del peso proprio (G1) della struttura portante, da una parte, e dei carichi permanenti portati dall’altra (G2).

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Altro discorso sono i carichi variabili (Qk), questi possono essere costituiti da:

1) Carichi verticali uniformante distribuiti qk. 2) Carichi verticali concentrati Qk. 3) Carichi orizzontali lineari Hk.

Chiaramente tutti questi carichi sono legati alla destinazione d’uso dell’edificio, i primi vanno utilizzati per le verifiche globali della struttura, mentre i secondi per le verifiche locali, tenendo ben presente il fatto che devono essere applicati separatamente. Quelli concentrati solitamente vengono applicati con un’impronta quadrata 50x50mm, tranne per le autorimesse dove l’impronta deve essere pari a 200x200mm, con un interasse di applicazione pari a 1,8m.

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AZIONE NORMALE DEL VENTO (NTC 2.008)

Il vento è un’azione che varia nel tempo e nello spazio, dando luogo ad effetti di natura dinamica sulle strutture. Per le strutture convenzionali si farà riferimento a un’azione statica un’azione statica un’azione statica un’azione statica equivalenteequivalenteequivalenteequivalente, mentre per tutte le altre strutture sulle quali l’azione del vento può generare degli effetti dinamici non trascurabili, si deve fare riferimento a particolari metodologie di calcolo.

Sulle strutture usualmente ho uno stato di pressione positiva sulle facce esposte al vento, mentre per le altre facce sottovento l’azione è data da una depressione negativa, sulle coperture posso avere sia una pressione positiva che una depressione, questo dipende principalmente dalla sua pendenza, in generale si ha una depressione con un effetto di sollevamento della copertura. Per gli edifici completamente stagni all’interno ho uno stato di pressione nullo, mentre per gli edifici che presentano un’apertura, posso avere uno stato di depressione interna se l’apertura è sottovento, oppure di pressione positiva se l’apertura è sopravento. La direzione del vento usualmente viene considerata agente lungo gli assi principali della struttura, mentre si considera anche la direzione inclinata in quelle strutture nelle quali sono assenti i diaframmi (solai o croci), ad esempio i tralicci dell’altatensione.

Da un punto di vista più prettamente progettuale noi considereremmo la pressione del ventopressione del ventopressione del ventopressione del vento, la cui componente normale alla superficie esposta è: & '()*)+) A questo punto vediamo come si determinano le singole componenti di questa relazione.

1) PRESSIONE CINETICA DI RIFERIMENTO qb.

Prima di tutto si deve affermare che la pressione esercitata dal vento è proporzionale al pressione esercitata dal vento è proporzionale al pressione esercitata dal vento è proporzionale al pressione esercitata dal vento è proporzionale al quadrato della sua velocità.quadrato della sua velocità.quadrato della sua velocità.quadrato della sua velocità.

'( 12-.(" - - è la densità dell’aria assunta convenzionalmente pari a 1,25Kg/m3. - .( è la velocità di riferimentovelocità di riferimentovelocità di riferimentovelocità di riferimentodel vento.

La velocità di riferimento .(è il valore caratteristico della velocità del vento a 10 m dal suolo su unterreno di categoria di esposizione II, mediata su 10 minuti e riferita ad un periodo di ritorno di 50 anni.Tale velocità di riferimento dipende dalla quota/0:

.( 1.(2 34/0 5 /.(2 67/0 /34/ 5 /0 5 1.500;

Dalla tabella seguente possiamo ricavare tutti i dati necessari per determinare.(, mentre per

altitudini superiori si deve fare riferimento a dati sperimentali, o da indagini statistiche

adeguatamente comprovate.

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In mancanza di indagini statistiche adeguate, la velocità di riferimento del vento.(<riferita adun generico periodo di ritorno<può essere valutata, nel campo compreso tra 10 e 500 anni, conl’espressione:

.(< =>< ? .(@!ABC.4=>< 0,75F1 0,2GH IGH J1 1<KL

2) COEFFICIENTE DI ESPOSIZIONE ce.

Il coefficiente di esposizione )*dipende dall’altezza z sul suolo del punto considerato, dalla topografia del terreno, e dalla categoria di esposizione del sito ove sorge la costruzione. In assenza di analisi più approfondite, tale coefficiente è dato dalle seguenti relazioni, per quote non superiori ai 200m:

minmin

min

00

2

per )(

per ln7ln

zzzcc

zzz

zc

z

zckc

ee

ttre

<=

+

=

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Dove )Mè il coefficiente di topografiacoefficiente di topografiacoefficiente di topografiacoefficiente di topografia, esso solitamente viene preso uguale all’unità, il suo scopo è quello di considerare l’incremento di velocità del vento lungo scarpate e colline isolate. Mentre tutti gli altri coefficienti vengono ad essere definiti dalla seguente tabella:

Mentre la categoria di esposizione viene ad essere definita dalle seguenti tabelle:

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Il coefficiente di esposizione )*presenta il seguente andamento, distinto per categoria di esposizione:

3) COEFFICIENTE DI FORMA cp.

Partendo dal caso più semplice che è quello di un edificio stagno a pianta rettangolare, con una copertura a falde/piana oppure curva. Le pareti verticali esposte al vento (sopravvento) si pone un cp=+0,8 (sovrapressione), mentre quelle in sottovento cp =-0,4 (depressione), questo vale anche per le falde sopravento con un angolo α compreso tra i 0° e i 20°, come si può notare qui di seguito:

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Per la valutazione della pressione interna si assumerà:

- per costruzioni completamente stagne cpi=0; - per costruzioni non stagne cpi=±0,2 (si sceglie la combinazione più sfavorevole).

Per quelle costruzioni che possono presentare (anche eccezionalmente) una parete con una apertura superiore al 33% della superficie totale:

- se la parete aperta è a sopravvento cpi=+0,8; - se la parete aperta è a sottovento o parallela al vento cpi=-0,5.

Per gli edifici non stagni, si deve prendere in considerazione come direzione del vento la direzione definita dall’apertura, in altri termini devo considerare come direzione del vento quella più gravosa per l’edificio. Altro caso di interesse sono le coperture multiplecoperture multiplecoperture multiplecoperture multiple (coperture industriali), per queste si considera che la prima copertura colpita dal vento (sopravvento) sia

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caratterizzata dai coefficienti definiti in precedenza. Per la copertura successiva il coefficiente di forma relativo allo spiovente sopravvento deve essere ridotto del 25%. Dalla terza copertura in poi il coefficiente deve essere ridotto del 25% per entrambi gli spioventi, questo per la verifica dei singoli elementi.

Mentre per la verifica globale si applicano al primo e all’ultimo spiovente le pressioni valutate secondo quanto stabilito in precedenza, ed inoltre si considera applicata alla superficie proiettata in piano di tutte le parti del tetto, un’azione superficiale orizzontale di tipo tangenziale il cui valore unitario è assunto convenzionalmente pari a: &N 0,10.()* Mentre per le tettoie o le pensiltettoie o le pensiltettoie o le pensiltettoie o le pensiline isolateine isolateine isolateine isolate che abbiano un rapporto tra la massima altezza al suolo e la dimensione orizzontale massima, non superiore a uno. Sono caratterizzate dalle seguenti relazioni per la valutazione del coefficiente di forma cp.4OOCP4C&4H3PGPH4/BQ43&PC.4HOP R)+ S0,81 34H= → &4<3&PC.4HO43C&</..4HOC)+ S0,6 → &4<3&PC.4HO43COOC.4HOC

4OOCP4C&4H3PGPH4/QH3CGC3&PC.4HO4 → )+ S1,21 34H=

Altro caso è quello che riguarda la valutazione del coefficiente di forma per le travi reticolaritravi reticolaritravi reticolaritravi reticolari, o travi piene isolatetravi piene isolatetravi piene isolatetravi piene isolate. Definisco con S la superficie vuoto per pieno della trave, mentre chiamo Sp la superficie definita dalle parti piene della trave, in questo modo mi posso determinare la percentuale ϕ di foratura. Risulta evidente che la pressione va valutata agente solamente sulle parti piene della trave:

W X+X +*YZ [\\\] _)+ 2 43W&4<0 5 W 5 0,3)+ 1,6&4<0,3 c W 5 0,8)+ 2,4 W&4<0,8 c W 5 1

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Generalmente per le travi reticolari si valuta un cp pari a 1,4. Anche per le travi multipletravi multipletravi multipletravi multiple (ad esempio per i ponti) si tiene conto dell’effetto della schermatura. Quindi per le travi disposte parallelamente a una distanza d non maggiore del doppio dell’altezza h delle travi, il valore della pressione sull’elemento successivo sarà pari a quello precedente moltiplicato per un coefficiente riduttivo µ:

dd_dd

e 1 1,2W&4<W 5 23e 0,2&4<W f 234< Bg h 5 → e 1iGP4G;4HOP3P)CH3PB4</HCP3CG/OP4<2 5 Bg c 53P&<C)4B4&4<PHO4<&CG/jPCH4GPH4/<4

Per maggiori dettagli inerenti a pali, tralicci, corpi cilindrici e corpi sferici, viene fatto rimando alla circolare, alle pagg. 27-28 del cap. 1-3. Altro problema che merita attenzione sono le pressioni massime localinelle zone di discontinuità della formaesterna della costruzione ed, in particolare, nelle strutture secondarie disposte nella fasciaperimetrale dell’edificio ed in corrispondenza dei displuvi, il valore assoluto del coefficiente dipressione può subire sensibili incrementi. Tali effetti, dovuti a vorticosità Locale (distacco di vortici), in assenza di specifiche prove in galleria del vento, potranno essere valutati assumendo, per le zone comprese nelle fasce sopra descritte, il coefficiente cp= -1,8.

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4) COEFFICIENTE DINAMICO cd. Quasi sempre esso viene assunto cautelativamente pari a all’unità, ma può essere valutato tramite l’uso di tabelle che sono riportate nell’Eurocodice 1, esso tiene conto della non contemporaneità delle massime pressioni locali, e degli effetti amplificativi dovute alle vibrazioni strutturali, nelle figura seguente riportiamo l’esempio di un grafico che si riferisce a un edificio in muratura o in c.a..

AZIONE TANGENZIALE DEL VENTO (NTC 2.008). L’azione tangente del vento può essere valutata tramite l’uso della seguente relazione: &N '()*)N Mentre qb e ce sono già stati definiti in precedenza, lo stesso non si può dire per il coefficiente coefficiente coefficiente coefficiente d’attritod’attritod’attritod’attritocf, funzione della scabrezza della superficie sulla quale il vento esercital’azione tangente. Alcuni valori di cf sono di seguito riportati:

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AZIONI DELLA NEVE (NTC 2.008) Per il carico da nevecarico da nevecarico da nevecarico da neve la normativa fissa un valore di progetto qs, che esprime l’azione della neve,

la quale azione è riferita all’orizzontale, e si misura inklm ;"n o: '0 e '0)*)M

La normativa fornisce il carico da neve in proiezione orizzontale, quindi per determinare la

componente del carico lungo l’elemento di copertura, si deve moltiplicarlo per il coseno di α. Tutto quello che ora si esporrà vale per quote inferiori ai 1.500m e per tempi di ritorno di 50 anni, per quote superiori si dovrà fare riferimento ad analisi locali. Mentre per tempi di ritorno superiori si devono utilizzare le seguenti relazioni.

'0< '0< 50p1 qr?√tu vln ln1 0,57722w1 2,5923 ? yz 1< Dove CV è il coefficiente di variazione della serie dei massimi annuali del carico della nevecoefficiente di variazione della serie dei massimi annuali del carico della nevecoefficiente di variazione della serie dei massimi annuali del carico della nevecoefficiente di variazione della serie dei massimi annuali del carico della neve, che per tempi di ritorno superiori ai 50 anni può essere assunto pari a 0,6.

1) VALORE CARATTERISTICO DI RIFERIMENTO qsk. Esso esprime il carico della neve al suolo (e quindi sull’orizzontale), e dipende dalla zona di interesse e dalla quota sul mare del sito.

l

α

Carico da neve lungo la verticaleq

s

l

α

Carico da neve lungo l'elemento

q coss α

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2) COEFFICIENTE DI ESPOSIZIONE ce. Il coefficiente di esposcoefficiente di esposcoefficiente di esposcoefficiente di esposizioneizioneizioneizionepuò essere utilizzato per modificare il valore del cariconeve in copertura in funzione delle caratteristiche specifiche dell’area in cui sorge l’opera. Esso solitamente è assunto pari all’unità, anche se per alcune classi di topografia si può far riferimento alla seguente tabella.

3) COEFFICIENTE TERMICO ct. Il coefficiente termicocoefficiente termicocoefficiente termicocoefficiente termico può essere utilizzato per tener conto della riduzione del carico neve acausa dello scioglimento della stessa, causata dalla perdita di calore della costruzione, ad esempio per la presenza di panelli radianti, o per tenere conto delle proprietà di isolamento della copertura stessa. Cautelativamente esso si prende pari all’unità.

4) COEFFICIENTE DI FORMA µI. Vedremmo ora il coefficiente di formacoefficiente di formacoefficiente di formacoefficiente di forma da utilizzare nei casi seguenti:

Copertura ad una falda. Copertura a due falde. Copertura a più falde. Coperture cilindriche. Coperture adiacenti o vicine a costruzioni più alte. Effetti locali (sporgenze, carichi sugli sporti, barriere paraneve).

Prima di tutto vediamo di definire i valori del coefficiente di forma in funzione della pendenza della copertura:

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Per tutte le casistiche che seguono si deve fare rifermento al carico da neve con calma di vento e con vento, infatti si deve tenere conto dell’accumulo della stessa.

• Copertura aCopertura aCopertura aCopertura ad una falda.d una falda.d una falda.d una falda. La condizione riportata deve essere utilizzataper entrambi i casi di carico con o senza vento.

• Copertura a due falde.Copertura a due falde.Copertura a due falde.Copertura a due falde.

Si assume che la neve non abbia impedimenti nello scivolamento, altrimenti il valore del coefficiente di forma non potrà essere inferiore a 0,8. Per il carico da neve in assenza di vento si deve utilizzare la condizione I, mentre per la neve con vento si deve usare la condizione più gravosa tra la II e la III.

• Copertura a più falde.Copertura a più falde.Copertura a più falde.Copertura a più falde.

Anche in questo caso il carico da neve in condizioni di assenza di vento, sarà il caso I, mentre con presenza di vento si dovrà fare riferimento al caso II. Particolare attenzione va rivolta al coefficiente di forma da utilizzare nel compluvio, nel caso in cui almeno una delle falde assuma una pendenza superiore ai 60°.

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• Coperture cilindriche.Coperture cilindriche.Coperture cilindriche.Coperture cilindriche. Per le coperture cilindriche devono essere considerate duecombinazioni di carico, quello simmetrico e quello assimetrico, che corrispondo rispettivamente al carico da neve in assenza di vento (Caso I), e in presenza di vento (Caso II). Si suppone che il scivolamento della neve non sia impedito.

Come si può notare la neve insiste fin tanto che la curvatura non presenti una inclinazione puntuale superiore ai 60°, quindi ls<b. Valori del coefficientee|: 4< f 60° → e| 0 4< 5 60° →e| 0,2 10g )CHe| 5 2

• Coperture adiacenti o vicine a costruzioni più alte.Coperture adiacenti o vicine a costruzioni più alte.Coperture adiacenti o vicine a costruzioni più alte.Coperture adiacenti o vicine a costruzioni più alte.

Anche in questo caso si considera il caso I in assenza di vento, e il caso II in presenza di vento. Oltre all’accumulo della neve dovuto al vento, si deve tenere conto dello scivolamento della stessa dalla copertura superiore, quindi la seconda combinazione deve tenere conto di questi due fattori. Per semplicità assumiamo che la copertura inferiore sia piana, quindi: e# 0,834G/)C&4<OQ</è&P/H/

e" e e0

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e0 è il coefficiente di forma dovuto allo scivolamento:

4<= 5 15°gC)g4e0 04<= f 15°gC)g4e0è&/<P/G50%B4G;/33P;C)/<P)CB/H4.43QGG/)C&4<OQ</ /BP/)4HO4e e è il coefficiente di forma dovuto all’accumulo della neve per il vento: e # "2g 5 g'0 JBC.4 2lm;|K )CHG/GP;PO/jPCH40,8 5 e 5 4,0

La lunghezza di accumulo è limitata a l 2h con la limitazione di 5 5 l 5 15m. Ovviamente se " c G0 si dovrà procedere per interpolazione lineare.

• Accumuli in corrispondenza delle sporgenze.Accumuli in corrispondenza delle sporgenze.Accumuli in corrispondenza delle sporgenze.Accumuli in corrispondenza delle sporgenze. Ovviamente in questo caso ci interessiamo solamente della condizione in presenza di vento, essendo condizione necessaria per l’accumulo della neve nelle zone di ombra aerodinamica.

I coefficienti di forma e le lunghezze di accumulo sono definiti come di seguito: e# 0,8

e" g'0 )CHG/GP;PO/jPCH40,8 5 e" 5 2,04)CH 2,0lm;|

G0 2g)CHG/GP;PO/jPCH45 5 G0 5 15;

• Neve aggettante dal bordo di una copertura.Neve aggettante dal bordo di una copertura.Neve aggettante dal bordo di una copertura.Neve aggettante dal bordo di una copertura. In località poste a quota superiore a 800 m sul livello del mare, nella verifica delle parti di coperturaa sbalzo sulle murature di facciata si dovrà considerare l’azione della neve sospesa oltre il bordodella copertura, sommato al carico agente su quella parte di tetto. Il carico è espresso come carico di punta lineare [KN/m], e deve essere sommato a quello già stabilito per la copertura, come da schemi precedentemente esposti. Vediamo quali sono i fattori che da conoscere:

- γ è il peso specifico della neve che la normativa considera essere pari a 3 KN/m3; - e è il coefficiente di forma più sfavorevole per la copertura in oggetto;

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- lè un coefficiente di irregolarità della forma della neve, dove K=3/d con K≤dγ, anche se cautelativamente può essere assunto pari all’unità.

n

skise

qKq

γµ 22

=

• Carichi della neve su barriere paraneve e altri ostacoli.Carichi della neve su barriere paraneve e altri ostacoli.Carichi della neve su barriere paraneve e altri ostacoli.Carichi della neve su barriere paraneve e altri ostacoli. L’azione statica Fs impressa da una massa di neve che scivola su barriere paraneve o altri ostacoli,nella direzione dello scivolamento, per unità di lunghezza dell’edificio può essere assunta uguale a: 0 '034H=

- '0è il carico da neve sulla copertura relativo alla distribuzione uniforme più sfavorevole, presente in copertura.

- è la distanza in orizzontale tra due successivi ostacoli o il colmo del tetto. - =angolo di inclinazione della falda in oggetto.

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GIUNZIONI NELLE STRUTTURE IN ACCIAIO GIUNZIONI NELLE STRUTTURE IN ACCIAIO GIUNZIONI NELLE STRUTTURE IN ACCIAIO GIUNZIONI NELLE STRUTTURE IN ACCIAIO UNIONI BULLONATE – INTRODUZIONE.

Nelle bullonature l'assemblaggio dei pezzi si realizza facendo passare attraverso dei fori praticati nei pezzi delle viti filettate ed accoppiandole con deidadi che vengono avvitati e stretti fino a serrare fra loro i pezzi. I diametri delle viti previsti dalla normativa sono i seguenti:

d=12, 14, 16, 18, 20, 22, 24, 27, 30mm Ed inoltre l’area resistente Ares delle viti dipende dal tipo di sollecitazione o dal piano di taglio, questa può essere definita dall’area effettiva Aeff, cioè quella depurata dall’area del filetto, o dall’area totale Atot. Da sottolineare che le rondelle di ripartizione possono essere zigrinate, o

elastiche, queste vengono usate in tutte quelle giunzioni sottoposte a vibrazioni, ove esiste il pericolo di allentamento dei bulloni. E’ del tutto evidente che queste viti vadano inserite in fori con un diametro d0 che deve rispettare dei prefissati vincoli di tolleranza:

d0=d+1mm se d≤20mm d0=d+1,5mm se d>20mm

Giunzioni realizzate con queste tolleranze presentano sempre dei cedimenti, se abbiamo la necessità di giunzioni più vincolate, possiamo utilizzare le bullonature di precisione:

d0=d+0,3mm se d≤20mm d0=d+0,5mm se d>20mm

Si consideri ora il caso pratico di una trave che subisce un assestamento sotto carico della giunzione. Generalmente il rapporto l/h di una trave in acciaio è di maggiore di 30, ora la freccia dovuta all’assestamento viene ad essere definita pari a: W G2 = 2;;ℎ G2 = 2302 = 30;;

Come possiamo osservare è tutt’altro che una freccia trascurabile. Allora il problema può essere risolto in tre modi diversi:

1) Si può creare una giunzione di precisione. 2) Si fornisce alla trave una contro monta. 3) Devo impedire che ci sia scorrimento tra le

lamine collegate, questo lo si ottiene creando una giunzione precaricata, detta anche ad attrito.

d ; A tot

d ; Aeff eff

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Ora si riporta delle tabelle ove si riassumono le principali caratteristiche dei nostri bulloni.

UNIONI BULLONATE A TAGLIO.

Vediamo ora le modalità di rottura di una giunzione bullonata:

(a) Rottura per taglio del bullone. (b) Rottura per rifollamento della

lamiera. (c) Rottura per strappo/taglio

della lamiera. (d) Rottura della sezione resistente dell’acciaio, per trazione sulla sezione ridotta.

Il caso di rottura (d) è un tipico caso di rottura fragile della sezione resistente, definita da una certa area netta Anetta, per trazione. m 5 mM,> $*MM7 ∙ M ∙ 0,9" 1,25 mM,> → </jPCH4<43P3O4HO4BP)/G)CGC Mentre la rottura (c) può essere evitata rispettando i limiti geometrici dati dalla normativa, mentre per il taglio del bullone si deve fare attenzione al numero delle sezioni di taglio (in questo caso tre), ed inoltre si deve valutare l’area resistente interessata dalla sezione di taglio, questa può essere quella totale, oppure quella effettiva, ovviamente quest’ultima per la verifica è più vincolante. Al contrario se il bullone è sottoposto a trazione, l’area da prendere in considerazione per la verifica è sempre quella effettiva (che nella normativa viene ad essere definita Ares).

Limiti dimensionali per le giunzioni per evitare lo strappo della lamiera (per t si considera quello minimo).

1,2B 5 4# 5 4O 40;;1,2B 5 4" 5 4O 40;;2,2B 5 &# 5 minv14O; 200;;w2,2B 5 &" 5 minv14O; 200;;w Nella definizione di e1ed e2, si pone un limite superiore per evitare fenomeni di instabilità delle lamine, visto e considerato che queste tendono ad aprirsi, a seguito del serraggio dei bulloni. Si deve anche evitare che questo allontanamento delle lamine dia dei problemi di

corrosione e durabilità dell’acciaio. Nel caso di grandi lamine collegate con una serie di bulloni perimetrali, il limite superiore per p1e p2, può essere aumentato. 1&# 5 minv28O; 400;;w&" 5 minv28O; 400;;w

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Ulteriore limitazione deve essere definita per le bullonature a sviluppo diagonale, come possiamo osservare nelle figura qui affianco. Andiamo a vedere ora la resistenza a taglio del bullone, e il problema del rifollamento della lamiera.

Resistenza di calcolo a taglio di un bullone: r,> 0,6M($*0" 1,25M( → 43P3O4Hj//<COOQ<//O</jPCH4BPQHQGGCH4. L’area resistente va scelta in funzione della sezione di taglio, e questa potrebbe interessare l’area totale del bullone o quella effettiva. Il coefficiente 0,6 deriva da relazioni sperimentali, che per i bulloni hanno dimostrato quanto segue: M( M(√2 Questo differisce dalla relazione classica di Von Mises, che trova applicazione per gli acciai da carpenteria, ma non per i bulloni. A dire il vero la relazione precedente vale per i bulloni di categoria 4.6, 5.6, 8.8, mentre per i bulloni di classe 4.8, 5.8 e 10.9, il tutto si traduce: r,> 0,5M($*0" 1,25M( → 43P3O4Hj//<COOQ<//O</jPCH4BPQHQGGCH4. Mentre la resistenza di calcolo al rifollamento della lamiera viene ad essere definita dalla seguente:

(,> l ∙ = ∙ M ∙ B ∙ O" 1,25 M → <43P3O4Hj//<COOQ</)/</OO4<P3OP)/B4GG/G/;P4</B → BP/;4O<CB4GQGGCH4O → 3&433C<4B4GG/G/;P4</)CGG4i/O/

Come possiamo osservare il prodotto dt rappresenta un’area di contatto convenzionale tra il gambo del bullone e la parete del foro. Il rifollamento è un fenomeno di plasticizzazione della lamiera che porta a una ridistribuzione delle tensioni, si

deve anche dire che per effetto del confinamento posso raggiungere delle tensioni superiori alla tensione di snervamento, quindi i coefficienti sono definiti dai seguenti limiti: l 5 2,5&= 5 1,0

Principalmente α dipende dalla distanza da bordo, in particolare esso è uguale a 1 se e1=3d0 (per bulloni di bordo).

= ;PH d_d I 4#3B ; M(M ; 1L &4<QGGCHPBPC<BC.I &#3B 0,25; M(M ; 1L &4<QGGCHPPHO4<HP

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Mentre per K posso affermare quanto segue:

l ;PH I2,8 4"B ; 2,5L &4<QGGCHPBPC<BCI1,4 &"B − 1,7; 2,5L &4<QGGCHPPHO4<HPH4GG/BP<4jPCH4&4<&4HBP)CG/<4/G)/<P)C/&&GP)/OC

UNIONI BULLONATE SOTTOPOSTE A TRAZIONE.

Appare del tutto evidente che i bulloni non sono sottoposti solamente all’azione tagliante, ma in una giunzione flangiata, possono essere anche sottoposti a trazione assiale lungo il gambo. La resistenza a trazione di una giunzione bullonata deve tenere conto sia del bullone, sia della resistenza a punzonamento della lamiera collegata.

M,> = ;PH d_d 0,9M($*NN" = 1,25(QGGCH4)0,6 ∙ ∙ B ∙ O ∙ M" = 1,25 (&QHjCH/;4HOC)

Se facciamo attenzione il prodotto dmtπ rappresenta l’area di una corona circolare, che è l’area di influenza del nostro bullone. Chiaramente il modo di dimensionare quel nodo flangiato è di prima approssimazione, ma si deve anche affermare che in un nodo ben fatto, i bulloni lavorano sia a trazione che a taglio.

UNIONI BULLONATE SOTTOPOSTE A TAGLIO-TRAZIONE. Possiamo semplicemente applicare la relazione Von Mises modificata per i bulloni, ed è questo che veniva fatto fino al D.M.96:

( + 2( ≤ ( − H/GO<PO4<;PHP → ((" + ((

" ≤ 1BC.4( = (√2 Mentre il D.M.08 adotta la seguente formula di iterazione lineare: r,r,> + M,1,4 ∙ M,> ≤ 1– )CHG/GP;PO/jPCH4 M,M,> ≤ 1

Il campo resistente può essere rappresentato così come appare affianco.

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UNIONI BULLONATE AD ATTRITO. Questo genere di unioni viene ad essere utilizzato nel caso in cui si vogliano impedire gli scorrimenti delle giunzioni bullonate, in questo caso viene ad essere applicata una forza di seraggioNs, anche se al dire il vero nel montaggio di questi bulloni, quello che noi dobbiamo conoscere è la torsione di seraggioTs. Tra le due grandezze intercorre la seguente: 0 0,2 ∙ m0 ∙ BZ* Il coefficiente 0,2 tiene conto della filettatura metrica, cioè il rapporto tra il passo del filetto e

il diametro del bullone. A questo proposito torna utile la seguente tabella (per area resistente si intende quella effettiva, della parte filettata del bullone).

La forza di progetto di precarico Ns, può essere valutata dalla seguente: m0 0,7 M( ∙ $*NN 1,10 Da questa ci possiamo determinare la forza di scorrimento resistente di calcolo:

0,> m0 e ∙ H| BC.4 e → )C4)P4HO4BP/OO<POCH → HQ;4<CBP&P/HPBP3)C<<P;4HOC| 1,10/iGPX. . %. C&&Q<41,25/iGPX. . . Il coefficiente d’attrito può assumere i seguenti valori: 1 e 0,3&4<G4G/;P4<4)g4HCHg/HHC3QPOCO</OO/;4HOP.e 0,45&4<'Q4GG4O</OO/O4/Gcalorbianco, C)g4/P/HC3QPOCQH&<C)433CBP3/P/OQ</. Come possiamo osservare ho due coefficienti di sicurezza diversi in ragione del metodo di verifica utilizzato, questo mi permette di far funzionare, se lo desidero, la giunzione in una

duplice modalità. Infatti potrei pensare di far lavorare la giunzione ad attrito negli S.L.E., mentre a taglio per gli S.L.U. Chiaramente se la giunzione viene fatta lavorare ad attrito anche negli S.L.U., è del tutto inutile la verifica al rifollamento. La normativa inoltre ci permette di limare lo sforzo di trazione N su di una giunzione ad attrito, infatti questa ha l’effetto di distribuire le tensioni, come è evidente dalla figura. La sezione che dovrà essere verificata è quella più sollecitata, e si deve fare

rifermento alla sezione netta, come si è visto in precedenza, ma l’effetto della giunzione ad

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attrito è quello di ridurre lo sforzo normale sollecitante di calcolo (attenzione a non fare confusione tra N diversi). m m*NN 0,2 ∙ 0,> Fin d’ora abbiamo escluso che sul bullone ci fosse una forza di trazione sollecitante, ma se ciò non fosse vero si deve applicare la seguente relazione per determinare la forza di scorrimento resistente di calcolo (in questo caso lo sforzo normale di seraggio lo definisco Nb). 0,> m( e ∙ H| J1 m0*Y M7M*m( ∙ 0,8K Come possiamo osservare Fs,Rd diminuisce come ci aspettavamo: il coefficiente di sicurezza 0,8 è

dovuto alla meccanica di funzionamento di un giunto presollecitato. Vediamo ora di fare alcune considerazioni proprio sulla meccanica di una giunzione ad attrito. Da questo partiamo con il definire le tensioni e le deformazioni che nascono a livello del bullone e della flangia: ¥QGGCH4 f 1( m($( ; ¦( m($(%§ ; G/HiP/ f RN m($N ; ¦N m($N%¨

Se faccio il rapporto ho che: ¦N¦( $($N ≅ 110 Ovvero la rigidezza della flangia è circa 10 volte quella del bullone: lNl( m( ¦NOnm( ¦(On ¦(¦N ≅ 10 Questo costituisce lo stato iniziale all’interno dell’unione flangiata prima dell’applicazione dei carichi esterni, successivamente all’applicazione di una carico Ns, posso affermare che:

∆m( ∆mN m0&4<4'QPGP<PC∆¦( ∆©ª«ª ∆¦N ∆©¬«¬ &4<)CHi<Q4Hj/ Dalla seconda posso dire che ∆m( «ª«¬ ∆mN ≅ ## ∆mN, a questo punto

sostituendo nella prima: ∆m( 111m0; ∆mN 1011m0 Abbiamo la conferma che lo sforzo di trazione Ns si divide tra il bullone e la flangia, in ragione delle loro rispettive rigidezze.

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Da questo si evince inoltre che all’applicazione della forza di trazione Ns, ho una contenuta riduzione dell’azione di seraggioNb, cioè una contenuta perdita di precompressione (le giunzioni ad attrito sono delle giunzioni rigide), ed è per questo che viene ad essere inserito un coefficiente cautelativo pari a 0,8. Per arrivare a decomprimere completamente la giunzione devo applicare una forza Ndtale che: m( ∆mN 0 →m( 1011m 0 →m 1110m( Si nota che per decomprimere la giunzione devo applicare una forza di trazione maggiore di quella iniziale di seraggio, questo è dovuto al fatto che oltre a decomprimere le piastre, devo

anche decomprimere il bullone. Per valori di N<Ndil giunto è ancora chiuso e quindi dal punto divista macroscopico dimostra una rigidezza alla trazione pari a Kb+Kf. Mentre per valori superiori la rigidezza del giunto degrada a quella dei soli bulloni Kb, ed infine per NRd ho la plasticizzazione completa degli stessi (la rigidezza del sistema diventa nulla). m> 0,9M($*NN" 1,25

Il tutto può essere messo in relazione con il comportamento di una bullonatura normale, nel caso di una giunzione flangiata, ma questo vale anche per il taglio, anche se in questo caso devo

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distinguere tra gli stati limite ultimi e quelli di esercizio (le verifiche sono diverse). Chiaramente i parametri deformativi di riferimento sono diversi. MODI DI ROTTURA DI UNA GIUNZIONE FLANGIATA.

Come si può osservare si è sempre operato nell’ipotesi di flange rigide, in questo caso si ha una preliminare rottura del bullone, non vi sono effetti parassiti sul bullone, e lo sforzo di trazione viene equamente diviso tra i bulloni. Vediamo ora che spessori di flangia dobbiamo garantire per ottenere questo comportamento della giunzione.

Prima di tutto vediamo quanto vale il momento di plasticizzazione di una flangia: ­+ J O2 gK O2 14 O"g Quindi la limitazione dello spessore lo si può ottenere facilmente dalla seguente relazione:

­N 5 ­+ → m0;2 5 14 O"g → O h √2F2m0;g

Quello appena definito è il caso di una flangia rigida, ove avviene la rottura dei bulloni per raggiunta plasticizzazione degli stessi. Ora osserviamo il comportamento di una flangia flessibile sottoposta a flessione, quello che si ottiene è una parzializzazione della stessa, in termini del tutto similari a quello che accade per una sezione convenzionale.

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Per determinare la posizione dell’asse neutro si procede al solito modo: siamo in campo elastico lineare, quindi l’asse neutro è anche asse baricentrico della sezione resistente, perciò il momento statico Sxx si deve annullare. y ®vm0 0wB4<P./)g4 "2 ¯$(B 0B/'QP;PB4O4<;PHC. Una volta che mi sono determinato la posizione dell’asse neutro, posso arrivare a definire la forza di tiro sui vari bulloni. m/.P4<( ­° ± BC.4° |3 ¯$(B "

34iQ4m( ($( Nel primo caso abbiamo potuto osservare il comportamento di una flangia rigida, e abbiamo definito il primo modo di rottura di questa giunzione, poi siamo passati ad analizzare una flangia flessibile sottoposta a flessione, operante in campo lineare elastico. A questo punto potrei pensare ad flangia talmente sottile, che potrei pensarla infinitamente flessibile, in questo caso la parte superiore della stessa va in inabilità, quindi la sezione reagente è costituita dall’ala superiore della sezione, e dai bulloni in trazione. In questo caso il tiro sui bulloni è: m( ­∑ $(B " $(B Torniamo a discutere dei modi di rottura di una giunzione flangiata, il primo lo abbiamo già definito, con l’ipotesi di flangia rigida, ma ora rimuoviamo l’ipotesi di

flangia sufficientemente resistente, quindi quella che arriva a rottura per prima è proprio quest’ultima. E partiamo proprio dall’ultimo caso trattato:

Come possiamo osservare oltre alle due azioni che ci aspettavamo di trovare, ne compare una terza C’, questa è dovuta alla deformazione della flangia che introduce un’azione spuria: 1 y y² ®­ ® y²B Se non ci fosse questa azione di disturbo, per ottenere il medesimo momento, avrei la necessità di avere un tiro inferiore in corrispondenza della bullonatura. Quindi la

rottura di una flangia porta alla nascita di tensioni spurie. Supponiamo ora di avere una flangia con quattro bulloni sottoposta ad azione assiale Ns, e consideriamo il meccanismo di rottura che porta alla plasticizzazione completa della stessa (flangia debole), la quale diventa un meccanismo articolato. Come possiamo osservare i bulloni oltre a

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dividersi la quota parte dello sforzo normale, devono anche prendersi l’azione spuria Q. La plasticizzazione completa della flangia, la si ottiene quando si formano le quattro cerniere plastiche indicate.

­+ 4 14 O"ℎ−­+ = (4 + ;) − J + m02 K; = 4 − m02 ; = 14 O"ℎ

Da questo si ricava che lo sforzo normale massimo che può essere assorbito è il seguente: mZ = 4­+;

Vediamo ora come possiamo procedere celermente al dimensionamento di una flangia bullonata, sottoposta a flessione e taglio. Se supponiamo di considerare dapprima l’azione del solo taglio V, quello che ci serve è un giunto di articolazione, ove ogni bullone si prende una quota parte del taglio sollecitante. rª = zH. QGGCHP Dopo aver stabilito il valore del taglio sollecitante per ogni bullone, passo alle verifiche per determinare il diametro degli stessi, ed inoltre eseguo la verifica al rifollamento per la lamiera. Passiamo al secondo caso dove ho la presenza del momento, mentre con il taglio non sono necessari i bulloni di bordo (o meglio non

vengono considerati in questo veloce dimensionamento), ora divengono fondamentali. A favore di sicurezza non viene ad essere considerato il contributo della piattabanda superiore, questo ci

permette di applicare delle semplici relazioni di equilibrio (le parti resistenti al momento sono segnate in rosso). m( = ­B ∙ H. QGGCHP In ragione dello spessore della flangia, questa può avere un comportamento rigido o flessibile, nel primo caso vanno a rottura i bulloni, mentre nel secondo caso la piastra: ­+ = ­Z = 14O" ≥ ­B 4 → O In funzione del valore di M devo

determinare il valore dello spessore della piastra t.

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Vediamo ora il caso di un collegamento a taglio (una articolazione) di una trave continua.

Come si osserva chiaramente ogni bullone si porta via una quota parte del taglio: r r³ zH. QGGCHP X/<44&Pù)C<4OOC&/<G/<4BPH. 34jPCHPBPO/iGPC La torsione va in ragione del momento d’inerzia polare del sistema: ¯ @B

0* 0YZ7Y0M7M*«[\\\\\\\\\\\\\\\\\\] ¯l ∙ B ∙ B l°+ Quindi la forza che va a finire sul j-esimo bullone è:

µ@ l ∙ ∑ B " Bµl ∑ B " BµB/'QP&C33C/4<;/<4)g4 d_dµ¶@ ∑ B " µµ³@ ∑ B " ±µ

A questo punto basta sommare vettorialmente, e verificare che l’azione taglio complessiva sia inferiore a quella resistente:

µ³ µ³r µ³@µ¶ µ¶@ →µ ·µ³" µ¶" 5 r,> 0,6M($*0" 1,25 &4<G4)G/33P8.8410.9

UNIONI SALDATE - INTRODUZIONE. Le saldature si realizzano mediante la fusione di materiale, che può essere di apporto o meno. I procedimenti di saldatura si differenziano in ragione della sorgente termica utilizzata e delle modalitàdi protezione del bagno fuso contro l’azione dell’aria:

1) Manuale -> saldatura ossiacetilenica o saldatura ad arco con elettrodi rivestiti. 2) Semi-automatica -> saldatura a filo continuo sotto protezione gassosa. 3) Automatica -> saldatura ad arco sommerso.

Nella saldatura ossiacetilenicala sorgente termica viene ad essere fornita dalla reazione esotermica che si verifica tra l’ossigeno e l’acetilene, mentre nella saldatura ad arco con elettrodi rivestiti, la sorgente termica viene ad essere fornita dall’arco elettrico. Nell’ultimo caso l’elettrodo ha anche la funzione di apportare del materiale (scoria) per la protezione della zona fusa. La qualità del materiale di apporto è sempre superiore a quello costituente i pezzi da unire, infatti la saldatura di per se è una zona di possibile e probabile difettosità, ecco il perché essa deve essere realizzata in modo sovra-resistente.

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Ma andiamo a vedere quali sono questi difetti:

1) Cricche a freddo: queste si formano per l’elevata velocità di riscaldamento e raffreddamento del materiale, dando luogo a fenomeni di tempra, per prevenire queste difettosità si possono preriscaldare i pezzi da unire.

2) Cricche a caldo: queste prendono il via nella zona fusa, dall’aggregazione di scorie provenienti dal materiale base.

3) Delaminazioni: queste prendono origine dalla presenza di auto tensioni che tendono a delaminare l’acciaio perpendicolarmente alla direzione di trafilatura.

4) Difetti geometrici, questi sono dovuti alla presenza di deformazioni permanenti, per la presenza di auto tensioni interne, a difetti di esecuzione, alla mancata giunzione, o a fenomeni di intaglio (si formano al primo attacco dell’elettrodo),

Ed inoltre le saldature si classificano in ragione della loro modalità esecutiva, da questo dipende inoltre la loro diversa modalità di verifica:

1) A completa penetrazione, questa ha l’obiettivo di ripristinare completamente la sezione. 2) A parziale ripristino. 3) A cordone d’angolo.

Nelle prime due tipologie di esecuzione le teste dei pezzi da unire devono essere rastremate, e vanno fatte nelle zone di massima sollecitazione, chiaramente sono più costose, ecco il perche si deve evitare di fare giunzioni saldate nelle zone maggiormente sollecitate.

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Se dobbiamo collegare due pezzi di elevato spessore, sottoposti ad azione flettente, possiamo realizzare una giunzione a “K” a parziale

penetrazione. Mentre nel caso seguente ho una giunzione di testa realizzata con delle saldature a cordone d’angolo, come si nota le tensioni passano attraverso le sezioni saldate. Anche se è bene ribadire che le saldature a cordone d’angolo sono sconsigliate per le giunzioni di testa, esse trovano maggiore utilizzo per le giunzioni a “T”. Il vantaggio principale delle saldature a

cordone d’angolo è rappresentato da loro costo contenuto. Altro tipo di classificazione è per la geometria delle unioni:

1) Unione di testa, e queste possono essere perpendicolari, oblique (questa ha una maggiore resistenza rispetto a quelle perpendicolari, dato che la zona saldata ha una maggiore lunghezza) o per sovrapposizione.

2) Unione a “T”. 3) Unione a “L”.

Nel definire le saldature, queste devono essere fattibili è di facile esecuzione, ed inoltre queste non devono diventare l’elemento debole della struttura, questo non vuol dire che non si devono fare saldature a cordone d’angolo o a parziale ripristino di sezione, ma vanno fatte tendo in conto che la rottura deve avvenire a carico degli elementi collegati. Ancora oggi le saldature vengono ad essere distinte per classe di categoria, infatti tutte le unioni saldate ad esclusione di quelle a cordone d’angolo possono essere di Ia o IIa categoria. Per quelle di prima categoria è richiesto un procedimento di controllo più accurato ed una migliore esecuzione, con materiali anche più specifici e costosi, al fine di assicurare una difettosità minore e quindi una maggiore affidabilità rispetto alle saldature di seconda categoria. A tal proposito esistono specifici patentini di saldatore, che abilitano ogni operatore ad eseguire specifiche tipologie e classi di saldatura, per cui esistono operatori di Ia e IIa classe. Vediamo ora quali sono le prove alle quali le saldature possono essere sottoposte:

1) Esame visivo (sempre da eseguire).

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2) Esame ai raggi X, questo permette di rilevare eventuali cavità ed discontinuità della saldatura.

3) Prove soniche di riflessione, l’obiettivo è sempre lo stesso anche se modalità sono diverse.

4) Permeabilità a liquidi penetranti, queste sono delle sostanze a bassissima viscosità (bassa tensione superficiale), che si insinuano anche nelle cricche più sottili, il liquido che si insinua all’interno può essere rilevato tramite l’uso di particolari luci.

5) Prove magneto-scopiche queste permettono di valutare eventuali variazioni di campo magnetico indotto all’interno della saldatura, indice della presenza di modificazioni spaziali della struttura, cioè cricche.

In ragione del grado di controllo possiamo classificare la nostra saldatura. VERIFICA DELLE UNIONI SALDATE A COMPLETA PENETRAZIONE. Il giunto a completa penetrazione ripristina la continuità tra i pezzi. Lo stato tensionale è quindiquasi uguale a quello del pezzo continuo. La verifica di una saldatura a completa penetrazione viene effettuata con lo stesso criterio utilizzatoper la verifica delle sezioni, cioè determinando la tensione massima oppure, in presenza di sollecitazionicomposte, la tensione ideale in base al criterio di resistenza di Hencky-Von Mises, chiaramente agli S.L.E. ·" \\" ¸\\ 3" 5

Avendo indicato con: - ¸la tensione di trazione o compressione normale alla sezione longitudinale della

saldatura. - \\la tensione di trazione o compressione parallela all’asse della saldatura (di testa).

- la tensione tangenziale nel piano di sezione longitudinale della saldatura (nel piano della sezione di verifica. Tutto questo viene ad essere definito dal D.M.2.008, mentre nel D.M.96 la verifica viene ad essere differenziata in ragione della categoria di quest’ultima: º»¼ ·º½ º\\½ º¸º\\ ¾¿½ 5 R ÀÁ¼Âü»ÄÅÆÅÇÃÈÉÊ»ÅË, ÌÍÀÁ¼Âü»ÄÄÅÆÅÇÃÈÉÊ»Å

Si vede pertanto come le saldature di IA classe ripristinano integralmente l’efficienza dei pezzi che uniscono.

VERIFICA DELLE UNIONI SALDATE A PARZIALE PENETRAZIONE.

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Le tensioni \\ non sono essenziale ai termini della verifica, infatti esse sono dovute a fenomeni

di auto tensione della saldatura, quindi non vengono quasi mai prese in considerazione (le relazioni precedenti sono del tutto generali). Osserviamo ora il caso di una saldatura di testa obliqua, la sezione di verifica sarebbe perpendicolare al foglio. Le varie componenti possono essere determinate facilmente: ¸ ∙ 34H=/ ∙ G′ ; \\ ∙ )C3=/ ∙ G′

Certamente quello che si è ottenuto è uno stato tensionale convenzionale, che rappresenta una

media di quello reale, a questo punto il D.M.2008 ci permette di verificare la nostra saldatura: ·º½ ¾¿½ ¿\\½ 5 ÀÇÏÐ ∙ ÑÒ½ Ó,½Í Dove M è la resistenza caratteristica a rottura dell’elemento più debole collegato, mentre è un coefficiente che tiene conto della non uniformità delle tensioni, e dipende dal tipo di acciaio.

X235 → 0,80X275 → 0,85X355 → 0,90X420 X460 → 1,00 Questo è un primo modo di verificare la saldatura, ma la normativa ci permette anche dio utilizzare un metodo semplificativo, chiaramente a favore di sicurezza, basta mettere un “3” davanti alle ¸, questo ci permette di trattarle che se fossero delle . ·3" 3" \\" √3·" " \\" 0M MZ 0Y*Y+*M M*0 *[\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\] √30*Y M7M*/ ∙ G′ 5 M ∙ " E ancora posso affermare che: ÔÂÉÕÕÃÆ»ÇÅÖÇà 5 Å ∙ Õ′√¾ ÀÇÏÐ ∙ ÑÒ½ ÔÊûÂÇÃÖÇÃ

VERIFICA DELLE UNIONI SALDATE A CORDONE D’ANGOLO. Essenzialmente un cordone d’angolo non unisce per fusione i due lembi, ma costituisce un collegamento fra essi, di modo che il flusso delle tensioni passa da un pezzo all’altro attraverso

il cordone di saldatura. La verifica di resistenza di una saldatura a cordone d'angolo consistepertanto nel verificare che la sezione debole della saldatura, detta sezione di gola a, sia in grado di trasmettere le tensioni che passano frai pezzi collegati.Detto questo possiamo dapprima individuare la nostra sezione di gola, come si è fatto qui affianco, e dopo di che si scompone l’azione sollecitante secondo le componenti opportune, così come si è fatto in presedenza.

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Questo è il metodo di verifica adottato dall’EC3, ma come si può notare richiede la scomposizione dell’azione sollecitante, come si è fatto in precedenza, ma ciò potrebbe portare ad inutili complicazioni ed errori, quindi si utilizza un metodo di verifica convenzionale che ha lo

scopo di accordare risultati sperimentali, da una parte, e dall’altra di ottenere una facilità intrinseca di calcolo. Quindi invece di scomporre l’azione, si pensa di ribaltare la sezione di gola su uno dei due piani dei pezzi uniti.

Come possiamo osservare l’azione ³ diventa una tensione ¸ per la sezione di gola ribaltata sull’orizzontale, mentre diventa una ¸ per quella verticale: ¸ ¸ ³/ ∙ G Ma ci rendiamo conto che alla fine ho che fare con la stessa tensione in valore assoluto, allora io ho bisogno di una relazione di verifica che mi permetta la permutazione delle tensioni, così che

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considerare una sezione ribaltata o l’altra, divenga del tutto indifferente. Quindi la CNR 10.011 introduce una verifica fondata sul metodo di Von Mises, ma convenzionale.

p·º½ ¿½ ¿\\½ 5 ÐÓÀÁÏ|º¸| |¿¸| 5 нÀÁÏ

Ove β1 e β2sono dati in funzione del tipo di acciaio:

Si noti come cambiando il verso di ribaltamento della sezione di gola sipermutano le º¸ con le ¿¸. Infatti anche nelle formule di verifica tali componenti sono permutabili. L’insieme delle due relazioni precedenti vanno costituire un dominio tridimensionale detto della Sfera Mozza, che assume delle diverse configurazioni in ragione del tipo di acciaio utilizzato.

CASI PRATICI DI DIMENSIONAMENTO DELLE SALDATURE. Partiamo da presupposto che tutti i casi che ora affronteremmo verranno trattati con il metodo

del ribaltamento della sezione di gola. Prima di tutto vediamo il caso di una flangia di testa saldata. Per determinare le tensioni agenti sulle saldature applico le classiche relazioni, infatti per le saldature si utilizza sempre il calcolo elastico lineare, dato che essendo un fattore

di criticità, non si vuole che giungano a rottura.

0,7

0,7

σf yd

τf yd

0,85

0,85

τf yd

0,7

Parte positiva del campo resistente per le saldature.

S275S355

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­°077MZ* ±; zX077MZ*°077MZ*077MZ* Appare del tutto evidente che queste relazioni devono essere riferite alla sezione resistente, che in corrispondenza della flangia è costituito dall’area delle saldature. Nel nostro caso particolare le sono delle ¸ per le saldature, mentre le diventano delle \\. Ovviamente tutto questo se ci

si riferisce alla sezione di gola ribaltata sulla piastra, altrimenti cambiano le componenti, anche se per i termini della verifica nella varia (come si è detto gli indici sono permutabili). Per il calcolo delle , come corda b si deve prendere in considerazione il numero di sezioni saldate che si attraversano con la circuitazione, ad esempio per le saldature d’anima, ho che b=2a. Vediamo ora il caso delle giunzioni di testa:

Abbiamo una seziona a “L” parzialmente collegata, in questo caso la sezione da considerare nella verifica, è inferiore a quella totale (vedere a pag. 34 del quaderno). Notiamo che il baricentro della sezione non è allineato con il baricentro delle saldature, per risolvere questo problema, ed evitare la presenza di sollecitazione eccentriche sul nodo, si devono dimensionare le saldature in funzione dell’ottenimento di una eccentricità (e=0) nulla.

d_d# " m0# m0G# G" G"

" m0G# G" G#

Per determinare la lunghezza delle saldature si procede con la soluzione di semplici relazioni di equilibrio, osservando che le F1e le F2 generano delle \\:

dd_dd# h #\\/ m0G"G# G"#ØÙÚÛ\\

/ 'QPHBP# ∝ G"" h "\\/ m0G#G# G"#ØÙÚÛ\\

/ 'QPHBP" ∝ G# Questo è un metodo teorico, che va a definire la lunghezza delle saldature strettamente necessaria per l’ottenimento del fine voluto, nella realtà si deve mettere in conto di una lunghezza maggiorata, per comprendere il tratto di innesco, questo è uguale all’altezza di gola a.

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Anche se ad ogni modo nella pratica costruttiva, la lunghezza delle saldature sono uguali, e non vengono fatte queste differenziazioni, quindi ci troviamo ad operare con nodi ove sono presenti delle eccentricità. L’eccentricità è costituita dalla distanza tra il baricentro della sezione e quello della saldatura. La soluzione comporta la traslazione dello sforzo normale in corrispondenza di Gs, con la conseguente nascita di un momento torcente T=Ne. All’inizio considero la mia saldatura composta da due cordoni d’angolo (la sezione di gola viene ad essere ribaltata sul piatto di collegamento).

_m →\\ = m2/ →Ý = °+ <Ý BC.4°+ = Þ<"B$

Come si nota le τ che nascono dalla torsione possono essere scomposte in \\ e ¸. Se invece abbiamo a che fare con una configurazione composta da tre cordoni di saldatura, la componente N fa nascere le tensioni indicate in figura: \\ = ¸ = m2/ + G/ Quindi N genera delle tensioni perpendicolari e parallele di egual valore, mentre le componenti che nascono con T si determinano al solito modo indicato. Vediamo ora la medesima giunzione sottoposta a taglio V.

Anche in questo caso il taglio V deve essere trasportato in corrispondenza del baricentro delle saldature (le tensioni indicate in figura sono quelle dovute al

taglio V). Il tutto si determina con quanto segue:

d_dz → \\ = ¸ = z$077MZ* →Ý = °+ <Ý

Quello che si è visto fin d’ora sono tutte delle metodologie teoriche, ma nella pratica progettuale è bene considerare le saldature resistenti solamente lungo il loro asse longitudinale, in altri termini vengono considerate delle lamine, che lavorano solamente nella loro direzione preferenziale di sviluppo longitudinale. Questa ipotesi ci permette inoltre di semplificare

notevolmente i calcoli. In questo caso il baricentro del sistema è univocamente stabilito, e l’azione torsionale è certamente superire rispetto al caso precedente, quindi la verifica risulta essere maggiormente cautelativa (si trascurano del tutto le ¸).

X/GB/OQ</.4<POP)/G4 → \\ = zG ∙ /X/GB/OQ<4C<PjjCHO/GP → \\ = G + / 1 ∙ / Fin d’ora si sono viste le saldature nei giunti, vediamo che cosa possiamo dire per i profili saldati.

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Le tensioni che nascono lungo la saldatura sono dovute al comportamento globale della trave: \\ = zXY YZ M7ß *°0*ß *077MZ* Il momento d’inerzia J è quello riferito all’intera sezione rispetto all’asse neutro, mentre b è uguale a tw se la saldatura è a completa penetrazione, altrimenti in linea del tutto generale b=2a. Avrei anche la presenza di queste altre due componenti di tensione:

\\ = ­° ±àC.4)²èO/iGPC)²è/H)ℎ4G²/jPCH4B4G;C;4HOCG4OO4HO4.¸ = & ²/HP;/B4.4/33C<P<4G²/jPCH4&, 4PGO</34<P;4HOC/..P4H4/)/<P)CB4GG/3/GB/OQ</3Q&.

Ma la presenza di queste due componenti sono del tutto trascurabili rispetto alle \\, quindi si trascurano, ai fini della verifica. Si deve sottolineare che le \\ sono massime dove il taglio V è massimo, cioè in corrispondenza degli appoggi. Ed inoltre spesso le nostre travi sono sovradimensionate a taglio, quindi non sempre è necessaria una saldatura d’anima continua,

infatti questa può essere realizzata a tratti, per contenere i costi. \\M7MM = \\ ∙ PG

Ovviamente la tensione \\ subisce un incremento di

conseguenza. Ora si prenda in considerazione una sezione circolare saldata in corrispondenza dell’asse di sollecitazione (essa viene ad essere sollecitata sempre dal solito carico distribuito p). Essendo le antimetriche per definizione, esse saranno nulle in corrispondenza dell’asse sollecitante, per la nostra sezione simmetrica (che nel caso di una sezione circolare vale per qualsiasi asse sollecitante). Ora si prenda in considerazione il caso di una trave a cassone (queste vengono realizzate per problemi di torsione, da una parte, o di taglio dall’altra, anche perché le anime possono essere aggiunte facilmente), sottoposta sempre al medesimo carico distribuito p.

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Lo schema statico della lamina superiore è lo stesso di un’asta vincolata con delle molle rotazionali, si può comunque sempre

affermare che la “profondità” del momento è pari a +á . Si osserva

che la saldatura d’angolo viene ad essere sottoposta ad un’azione distribuita p/2, e a un momento distribuito m. A queste due azioni corrispondono le seguenti componenti di tensione:

¸ &2/ $H)ℎ4'Q43O//&&/<4B4GOQOOCO</3)Q</PG4.¸ = ;â = 6;/" Q43O/PH.4)4;P&CO<44B/<4B4P&<CG4;P.

Queste due componenti appena individuate derivano direttamente dalla deformazione flessionale della sezione scatolare,

ovviamente oltre a queste si aggiungono le \\, dovute al comportamento globale della sezione (si determinano con la classica relazione di Jorawsky). Se invece di un carico distribuito avessi a che fare con un carico concentrato, devo individuare la distanza di distribuzionebd, questa è una lunghezza convenzionale sulla quale il carico insiste. Altri casi invece riguardano sezioni a corona circolare, o scatolare sottoposte a pressione interna p. Se abbiamo a che fare con una sezione a parete sottile, la distribuzione delle tensioni lungo lo spessore t, può essere considerato costante. ¸ = HO = & ∙ <O

Se invece ho a che fare con tubi a parete grossa, devo fare affidamento a formulazioni di vario tipo.

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Nel caso invece della sezione scatolare, la configurazione delle componenti di tensione che nascono nella saldatura di nodo, è alquanto complesso, infatti oltre all’aspetto dello sforzo normale che si trasmette tra tutte le pareti, devo tenere conto anche dell’aspetto flessionale. Ed inoltre se la nostra tubazione scatolare, viene fatta funzionare a trave, ho la nascita di tutte le altre componenti di tensione derivanti dal comportamento globale della struttura.

Ecco il perché è fortemente sconsigliato l’uso di queste sezioni per condutture a pressione. INSTABILITA’ DELL’EQUILIBRIO.INSTABILITA’ DELL’EQUILIBRIO.INSTABILITA’ DELL’EQUILIBRIO.INSTABILITA’ DELL’EQUILIBRIO. CASO N°1 => ASTA PERFETTA CARICATA DI LCASO N°1 => ASTA PERFETTA CARICATA DI LCASO N°1 => ASTA PERFETTA CARICATA DI LCASO N°1 => ASTA PERFETTA CARICATA DI LATO.ATO.ATO.ATO.

Prima di tutto scrivo gli sviluppi in serie del seno e del coseno, che ci servono per la nostra esposizione. 34HW ≅ W W|3! )C3W ≅ 1 W"2!

Ora andiamo a scrivere la soluzione esatta, questa viene ad essere definita dalla scrittura di una semplice relazione di equilibrio nella configurazione spostata della struttura:

%3/OO/: p ­*åM ­ M ∙ G ∙ )C3W l ∙ W 0*æZ*[\\] çÕè éÆÉÂé

Vediamo ora la nostra soluzione del primo ordine, si tratta di troncare i nostri sviluppi in serie al primo termine, o molto più semplicemente si va a scrivere l’equazione di equilibrio nella configurazione indeformata: Primoordine:Pl Kφ ïðñï[\\] PlK φ

Nella soluzione del secondo ordinesi tratterà di operare uno sviluppo in serie del cosϕ troncandolo al secondo termine: P ∙ l Kφ1 ò"

ïðñï[\\]PlK φ1 ò"

Ove gli asintoti sono:

XCGQjPCH443/OO/ Gl → ∞'Q/HBCW 2XCGQjPCH4B4G34)CHBCC<BPH4 Gl → ∞'Q/HBCW √2 Si osserva che la soluzione del II° ordine ha un comportamento più irrigidente rispetto alla soluzione esatta, ed inoltre la soluzione del I° ordine è più cautelativa, per qualsiasi livello di carico. Questo è il caso delle travi dove il calcolo lineare è certamente più cautelativo.

P

ϕ

K

l

lxsenϕ

lxco

l(1-cos )ϕ

PlK

ϕ

Lineare

I° or

dine

Soluzione esatta

II° o

rdin

e

2 π2

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CASO N°2 => ASTA PERFETTA CARICATA DI PUNTA.CASO N°2 => ASTA PERFETTA CARICATA DI PUNTA.CASO N°2 => ASTA PERFETTA CARICATA DI PUNTA.CASO N°2 => ASTA PERFETTA CARICATA DI PUNTA. Vediamo ora il caso di un’asta euleriana (asta perfetta) caricata di punta, in questo caso la soluzione esatta assume la seguente espressione: P ∙ l ∙ senφ K ∙ φ ïðñï[\\]PlK φsenφ

- Per W 0 0*æZ*[\\] « 1. - Per W S 0*æZ*[\\] « ∞.

Nel primo caso individuo un carico che chiamerò da ora in poi carico critico, detto anche carico di biforcazione: Põö Kl Nella soluzione del primo ordine, si deve scrivere l’equilibrio nella configurazione in deformata, il che molto semplicemente si traduce: ∙ 0 l ∙ W 77*M*[\\\\\\\\]é Ë Mentre nella soluzione del secondo ordine, devo sostituire il primo termine dello sviluppo in serie del senϕ:

senφ ≅ φ ïðñï[\\]÷øù éé X4W 0gCG/3CGQjPCH4PHB4O4<;PH/O/.4<W ú 0gCG/3CGQjPCH4 YGl 1BC.4Y lG Vediamo che cosa posso dire globalmente di queste varie soluzioni:

- « c 1 in questo caso sia per la soluzione esatta che per quella del secondo ordine ho la soluzione di equilibrio banale, cioè per W 0;

- « 1 per la soluzione del II°ordine ho una posizione di equilibrio indifferente, in altri termini indipendente da W, mentre per la soluzione esatta ho il punto di biforcazione simmetrico stabile, cioè il carico critico;

- per « f 1 per la soluzione esatta ho due possibili soluzioni di equilibrio, questo ramo può

essere percorso sia dalla soluzione del primo ordine, che da quella del secondo, ma mi trovo comunque in una condizione di equilibrio instabile.

Come si può ben capire la soluzione del primo ordine non è più cautelativa, mentre la soluzione esatta mi fornisce una importante informazione sul comportamento della struttura. Infatti il punto di biforcazione simmetrico è stabile, perché l’incremento di ϕ richiede un incremento di carico P. Al contrario la soluzione del II° ordine è più cautelativa rispetto a quella esatta

(nell’intorno del punto « 1.

Quello che si è visto finora è il metodo statico, esso si fonda sull’analisi dell’equilibrio di una struttura, nella configurazione iniziale indeformata, e in quella spostata (deformata). Il secondo modo per studiare l’instabilità dell’equilibrio di una struttura è di fare affidamento al metodo energetico. In questo caso il mio obiettivo è quello di determinare l’energia potenziale del sistema V.

P

ϕ

K

llxsenϕ

lxco

l(1-cos )ϕ

PlK

ϕ

1II° ordine ( )e=0

π−π

Soluzione esattae=0

Punto di biforcazionesimmetrico stabile

Ramo stabile

Ramo instabile

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A tal proposito considero sempre la mia asta euleriana caricata di punta, si può affermare che l’energia potenziale interna della molla sarà il prodotto del momento per la rotazione ad esso

associato, il tutto moltiplicato per #", in quanto si fa l’ipotesi che la transizione avvenga

lentamente. zv%H4<iP/&CO4HjP/G4B4G3P3O4;/w M *åM 12­7W G1 )C3W 12lW" G1 )C3W

Per trovare il punto di instabilità del sistema devo determinare il punto di nullo della derivata prima: ûzûW 0 0*æZ*[\\] lW G34HW 0 0*æZ*[\\]PlK φsenφ

Abbiamo ritrovato la soluzione esatta, ma questo metodo ci dice qualcosa in più, infatti questo punto di equilibrio può essere stabile, instabile o indifferente, a seconda del segno della derivata seconda della funzione potenziale V. ∂"V∂φ" f 0 → &QHOCBP;PHP;C → &C3PjPCH4BP4'QPGP<PC3O/PG4 0 → puntodiflesso → posizionediequilibrioindifferentec 0 → &QHOCBP;/33P;C → &C3PjPCH4BP4'QPGP<PCPH3O/Ple Nel nostro particolare caso ho che:

∂"V∂φ" K Plcosφ Perφ 0 d_d K Pl f 0 → c Kl PõöEquilibriostabileK Pl 0 → P Kl PõöEquilibrioindifferenteK Pl c 0 → f Kl PõöEquilibrioinstabile

Nella condizione di equilibrio indifferente sono nel punto di biforcazione, oppure nel punto di flesso. Con il metodo energetico mi determino il carico critico di instabilità, che spesso coincide con il carico di biforcazione del moto statico, questo è vero se le forze sono conservative, il cui modulo e direzione sono indipendenti dagli spostamenti, in questo caso i due metodi coincidono. Il terzo metodo per determinare il carico critico è il metodo cinematico, in questo caso si deve scrivere l’equazione del moto del sistema: W G34HW lW 0BC.4 13 G|e

- I -> questo è il momento inerziale del sistema. - µ ->è la massa lineare dell’asta [Kg/m].

Sostituisco senϕconϕ, e posso affermare che: W Jl G KW 0 Y è[\] W "W 0v%'Q/jPCH4BP4<4HjP/G4B4G;COCw àC.4"èG/&QG3/jPCH4 Fl G 2 &4<PCBC

Dal segno della pulsazione posso ottenere tre soluzioni distinte del problema:

d_dX4 f 0 0*æZ*[\\] W $34HO ¥)C3O)PCè c lG Y

X4 0 0*æZ*[\\] W $O à)PCè lG YX4 c 0 0*æZ*[\\] W $4M ¥4M)PCè f lG Y

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Nel primo caso ho uno spostamento sinusoidale del sistema, cioè uno spostamento limitato, quindi il carico è inferiore a quello critico. Mentre nel secondo caso ho uno spostamento che tende ad aumentare linearmente, e nel terzo caso aumenta in modo esponenziale. Quindi anche il metodo cinematico ci permette di determinare il carico critico, che in questo caso prende il nome di carico critico di divergenza. Se siamo in un sistema conservativo questo viene a coincidere con quello di biforcazione e di instabilità. Altrimenti l’unico metodo che funziona è proprio quello cinematico. Soprattutto nell’implementazione dei programmi di calcolo si fa largo uso del metodo energetico, infatti possiamo pensare alla nostra

struttura caricata da un carico di riferimento (unitario) Prif, legato al carico critico tramite un moltiplicatore =Y, il quale diventa la mia incognita. %H4<iP/CO4HjP/G4 → z * %3&<P;CPGY)C;4 →Y =Y N/GGC</gC)g4 → z =Y*¬

Cerco la mia =Y tale che: ûzûQÝ 0 → =Y Cerchiamo di capire la precedente espressione: in un sistema generico esistono infiniti parametri deformativi Q (nel caso predente era W), e ad ogni uno di essi fa capo un moltiplicatore =Y, legato a quel dato parametro

deformativo, quindi in linea del tutto generale possiamo anche parlare di un Y. Ed inoltre questo QÝ è un vettore in linea del tutto generale, perché potrebbe essere composto da diverse componenti deformative. Chiaramente

noi cerchiamo il moltiplicatore critico minore, tra tutti i possibili moltiplicatori critici: =Y min=Y Con questo metodo si ottiene il carico di instabilita, detto anche carico di Bucking.

CASO N°3CASO N°3CASO N°3CASO N°3 => ASTA => ASTA => ASTA => ASTA PERFETTAPERFETTAPERFETTAPERFETTA CCCCARICATA DI PUNTAARICATA DI PUNTAARICATA DI PUNTAARICATA DI PUNTA IN MODO ECCENTRICOIN MODO ECCENTRICOIN MODO ECCENTRICOIN MODO ECCENTRICO.... Considero ora la medesima asta precedente, ma con una eccentricità e diversa da zero, nel caso specifico che ora andremmo a trattare, questa eccentricità è pari a l/5 per ipotesi. Questa eccentricità può essere considerata del tutto equiparata alla presenza di una forza orizzontale. In questo caso la soluzione del primo ordine, deve essere scritta come al solito nella configurazione indeformata: 15Pl Kφ ïðñï[\\]PlK 5φ

P

ϕ

K

l

lxsenϕ

lxco

sϕl(1

-co

s )ϕ

15

P

K

l

P

e= l5

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Come si può facilmente notare è una soluzione lineare, mentre la soluzione esatta è: 15Plcosφ + Plsenφ = Kφ PlK = φ#A cosφ + senφ = òõ ò#A + tanφ

Facciamo un po’ di analisi di funzione….

4<W = 0ℎC)ℎ4 Gl = 04<O/HW = −15 0*æZ*[\\] W = /<)Oi(−0,2) + H 1 H = 0 → W = −0,197H = 1 → W = − 0,197 0*æZ*[\\]Gl M** ∓∞

A questo punto posso considerare la soluzione del secondo ordine, qui alle funzioni trigonometriche devo sostituirne gli sviluppi: senφ ≅ φ − φ|3! ≅ φcosφ ≅ 1 − φ"2! ≅ 1

PlK = ÓÍ + ïðñï[\\] perφ → ∞hoche PlK = 1perφ = −0,2hoche PlK → ∞

La prima cosa che notiamo è che in presenza di eccentricità non ho più un punto di biforcazione, caratteristico dei sistemi perfetti, ma ho solamente l’indicazione di uno spostamento massimo assintotico. Questo per quanto riguarda la soluzione esatta, mentre per quella del secondo

ordine, ho comunque la presenza di un carico critico Y = « , in corrispondenza del quale lo sposatemtno tende ad infinito. A questo conviene fare una importate distinzione:

Fig. 1-107

PlK

ϕ

Lin

eare

I° o

rdin

e

Soluzione esatta

II° ordine

π−0,197

1

-0,197-0,2

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 46

1) Instabilità di prima specie, queste si verificano nei sistemi perfetti, e si raggiungono passando attraverso un punto di biforcazione, che può essere determinato tramite un criterio statico, energetico o cinematico.

2) Instabilità di seconda specie, queste sono quelle delle aste reali, che presentano dei problemi di eccentricità del carico, o di non linearità dell’asta stessa, qui non ho più a che fare con un punto di biforcazione, ma ho solamente l’indicazione dei carichi, in corrispondenza dei quali gli spostamenti tendono a diventare infiniti. E questi carichi diminuiscono al crescere dei difetti dell’asta.

3) Instabilità di terza specie, questa è l’instabilità per scatto, e questa nasce per il passaggio attraverso una condizione non stabile, ne vediamo un esempio.

In linea generale una struttura può passare da una condizione di equilibrio stabile a un’altra, passando per una condizione di equilibrio indifferente, cioè percorrendo progressivamente queste condizioni. Ma questo non è sempre vero, nel caso dell’instabilità a “scatto”, dove si passa da una condizione iniziale a una finale di equilibrio, senza una continuità nell’andamento dell’instabilità, e in modo repentino. Questo è quello che accade se aumento progressivamente la forza P, ma se invece di controllare la forza, controllo lo spostamento, riesco a percorerretutto il tratto tratteggiato teorico. Questo è il caso di un sistema perfetto, ma posso anche avere a che fare con dei sistemi imperfetti, come ad esempio un arco.

CASO N°4CASO N°4CASO N°4CASO N°4 => ASTA => ASTA => ASTA => ASTA PERFETTACON VINCOLO ELASTICO ORIZZONTALE.PERFETTACON VINCOLO ELASTICO ORIZZONTALE.PERFETTACON VINCOLO ELASTICO ORIZZONTALE.PERFETTACON VINCOLO ELASTICO ORIZZONTALE. In altri termini si passa da una molla rotazionale a una molla assiale orizzontale, considerando la soluzione esatta si ottiene quanto segue (vedi figura successiva): P ∙ l ∙ senφ = K ∙ l ∙ senφ ∙ l ∙ cosφ P ∙ l = K ∙ l" ∙ cosφpongoK ∙ l" = K P ∙ l = K ∙ cosφ ïðñï[\\] PlK = cosφ Analizzando questa funzione ottengo che:

_` 4<W = 0 → Gl = 14<W = ±2 → Gl = 0

Mentre con la soluzione dela secondo ordine ottengo che: )C3W ≅ 1 0*æZ*[\\] çÕè = Ó

P

ϕ0

P

Instabilità a scatto

P

ϕ

A BSalto

ϕ + π/20

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Come si osserva in questo caso ottengo ancora un punto di singolarità, ma ora esso prende il nome di punto di biforcazione simmetrico instabile(è questo il caso delle strutture a volta, ad arco e a guscio). Infatti all’aumentare dello spostamento il carico deve diminuire per mantenere l’equilibrio. Nel grafico sono riportate anche le soluzioni nel caso di eccentricità diversa da zero, come si osserva la soluzione esatta per 4 ≠ 0, deve essere contenuta da quella per 4 = 0. E questo vale anche per le soluzioni del secondo ordine.

CASO N°5CASO N°5CASO N°5CASO N°5 => ASTA => ASTA => ASTA => ASTA PERFETTACON VINCOLO COSTITUITO DA UN TIRANTE.PERFETTACON VINCOLO COSTITUITO DA UN TIRANTE.PERFETTACON VINCOLO COSTITUITO DA UN TIRANTE.PERFETTACON VINCOLO COSTITUITO DA UN TIRANTE. Questo è il caso di una struttura controventata, dove il tirante è l’asta di controvento, a questo proposito si osserva che il comportamento della struttura non è simmetrico, infatti in ragione del verso di rotazione dell’angolo W alla base, ho che per una rotazione antioraria l’asta di controvento è un tirante, al contrario essa funziona da puntone. Da un punto di vista ingegneristico l’asta può essere tratta come una molla assiale di rigidezza K. La soluzione esatta è fornita dalla seguente relazione: Plsenφ = Kcosα − γØÙÚ lsenφlcosφö ï ï ö.

Pongo γ ≅ φ e K = Kl"cosα ottenendo: PlK = cosα−φ cosφcosα Mentre la soluzione del secondo ordine, la si ottiene imponendo φ = γ ≅ 0: PlK = 1

Con la soluzione esatta si ottiene un punto di biforcazione assimetrico, che è sicuramente un punto di equilibrio instabile, infatti il ramo di destra è un ramo instabile, e le strutture percorrono in modo preferenziale i rami instabili (difficilmente presentano un comportamento

P

ϕ

Kl

lxco

ϕ

II° ordine ( )

1

e=0

II° ordine ( )e=0

π−π

Soluzione esattae=0

22 Soluzione esattae=0

Punto di biforcazionesimmetrico instabile

Vincolo elastico orizzontale

PlKΩ

Fig. 1-109

lxsenϕ

P

lK (lungo l'asse)

P

ϕ α

γlxco

PlK

ϕII° ordine ( )

1

e=0

II° ordine ( )e=0

Soluzione esattae=0

Vincolo costituito da un tirante

Soluzione esattae=0

Punto di biforcazioneassimetrico

Ω

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irrigidente). Se ora considero le soluzioni con eccentricità diversa da zero, questa può essere in linea del tutto generale, di destra o di sinistra rispetto al nodo, ove è applicato il carico P. Come si osserva la soluzione con 4 ≠ 0 esatta segue per i grandi spostamenti quella esatta con 4 0. Come si è già affermato con eccentricità non nulle, non individuo più un carico critico, ma un carico in riferimento al quale gli spostamenti tendono a diventare infiniti, si sottolinea comunque che la soluzione esatta di destra per 4 ú 0, presenta un massimo, e questo è il nostro carico critico per questa particolare condizione. Quindi il carico critico cambia in funzione della direzione della deformazione, perché la struttura ha un comportamento non simmetrico. CASO N°6CASO N°6CASO N°6CASO N°6 =>=>=>=>INFLUENZA DEL MATERIALE NEL COMPORTAMENTO GLOBALE DI INFLUENZA DEL MATERIALE NEL COMPORTAMENTO GLOBALE DI INFLUENZA DEL MATERIALE NEL COMPORTAMENTO GLOBALE DI INFLUENZA DEL MATERIALE NEL COMPORTAMENTO GLOBALE DI UN’ASTA.UN’ASTA.UN’ASTA.UN’ASTA. Fino ad ora non si è mai preso in considerazione le caratteristiche del materiale, infatti si è sempre supposto che la crisi per instabilità arrivasse prima della crisi del materiale. Ma questo è

vero per le aste snelle, non è più così per le aste tozze. Si consideri a questo proposto un’asta composta da due piattebande collegate da un’anima evanescente. La crisi del materiale in assenza di rotazione arriva al raggiungimento di Py: 2$BC.4$èG²/<4/B4GG/&P/OO//HB/ Vediamo invece che cosa accade se la mia asta

inizia a ruotare (entra in gioco anche l’aspetto dell’instabilità dell’equilibrio): g ∆ $2g → %'QPGP<PC/GG/<CO/jPCH4H4G&QHOC. 2$ 00M MZ 0Y[\\\\\\\] g g ∆ Y è[\] ççÁ gg ∆ ≅ Õé

Si tratta di una relazione iperbolica del primo ordine nella variabile W. Quindi se ho a che fare con un materiale reale il comportamento è del tutto simile all’instabilità dell’equilibrio.

Il nostro fine è quello di mettere in relazione la crisi del materiale, con la crisi per la raggiunta instabilità dell’equilibrio:

$3O/3H4GG/ → Y lG ≪ $3O/OCjj/ → Y lG ≫

ε

σ

fy

Campo elastico

Campo perfettamente plastico

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 49

Si osserva che per le aste intermedie, dove la crisi per snervamento e quella per insatabilità sono tra di loro vicine, nel comportamento dell’asta reale 4 ≠ 0, ho una commistione dei due fattori, quindi il carico critico dell’asta reale risulta essere sensibilmente inferiore. Tornando le due piattebande, si nota che nella condizione deformata, la piattabanda di destra percorre il ramo plastico, quindi presenta una rigidezza nulla, mentre la piattabanda di sinistra torna in campo elastico. In altri termini ho una differenziazione netta tra i due comportamenti. Fin d’ora ci siamo occupati di sistemi ad un grado di liberta, cominciamo ad affrontare ora i sistemi ad infiniti gradi di libertà. L’ASTA DI EULERO.

Consideriamo una deformata del tutto generica y=y(x) di quest’asta inizialmente rettilinea. L’ipotesi meccanica ci dice che:

%°# = −­ Y è[\] %° ±1 + ±$ ")| "n = −­ ≅ %°± BC.4± = B±"B" Ma il momento è dato dalla seguente: ­± = ± 00M MZ 0Y[\\\\\\\]Á ç%&Á Ë Quello che si è ottenuto è un’equazione differenziale, che lega il carico P con la deformazione dell’asta. La cui soluzione generale è:

± $34H= ¥)C3=BC.4= F %° La nostra deformata è una soluzione sinusoidale, ora ci basta determinare le costanti A e B imponendo le nostre condizioni al contorno, che dipendono dal nostro sistema di vincoli. 1 XCGQjPCH4/H/G4B4G&<P;CC<BPH4$ ¥ 0)PCè± = 0P&CO43PBP/3O/<4OOPGPH4/.±0 = ±G = 0C&&Q<4PHO4<;PHPBP;C;4HOC­0 = ­G = 0)PCè±0 = ±G = 0

Mentre dalle altre due condizioni ricaviamo quanto segue:

d_d±0 = 0 → ¥ = 0;4HO<4&4<± J = G2K = ± → $ = ±34H '= "(

±G = 0 → $ ∙ 34H)F%° G* = 0 Y è[\]Fç%& = Ö+Õ

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La deformata sinusoidale qui a fianco rappresentata è ottenuta per n=1, ma in linea del tutto generale possiamo ottenere delle altre soluzioni matematicamente del tutto valide.

Posso ottenere una diversa una serie di carichi critici diversi, quello che porta ad instabilità la struttura è comunque quello minore, tra tutti quelli possibili.

çÆÊÖ = Ö½+½%&Õ½

Appare del tutto evidente che il carico critico minore lo si ottiene per n=1:

çÆÊ = +½%&Õ½ [,ÅÊ»ÆÉÆʻǻÆÉÃ-ÕÃÊ»ÅÖÉ] Il comportamento dell’asta euleriana, ricalca la definizione di instabilità di prima specie, tipica delle aste perfette. In altri termini al momento del primo sbandamento, gli spostamenti divengono infiniti.

L’espressione del carico critico euleriano scritta in precedenza, può essere generalizzata in questo modo:

çÆÊ = +½%&Õ˽ = +½%&ÐÕ½ BC.4GèG/GQHiℎ4jj/GP4</BPPHG433PCH4. La lunghezza libera di inflessionel0, dipende esclusivamente dalla condizioni di vincolo della trave, e indica la distanza tra due punti successivi di flesso della deformata critica, questo ci permette di utilizzare la soluzione trovata per l’asta precedente, in riferimento ad altre condizioni di vincolo. Adesso vediamo alcuni casi di interesse generale:

Fig. 1-115

Nc

n=1

n=3n=2

β=1 β=2 β=0,707Ma la normativa fissa per tenere contodella non perfezionedell'incastro.

β=0,8

β=0,5Ma la normativa fissaβ=0,7

P P P PP

β=1

Ast

a a

nod

i spo

stab

ili

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 51

I pallini indicano i punti di flesso della deformata, ed inoltre l’ultimo caso è caratteristico delle strutture a nodi spostabili, cioè le strutture a telaio (con travi infinitamente rigide). Ora mi chiedo se esistono delle condizioni dove assume valori superiori a 2, è questo il caso di un’asta vincolata tramite una molla rotazionale. Qui si somma l’effetto dell’instabilità dell’asta da una parte, e la rigidezza della molla dall’altra. Essendo l’angolo alla base non più nullo, appare del tutto evidente che la lunghezza libera di inflessione aumenta: 1X4l → ∞ℎC)ℎ4 → 2, 3POC<H//GG/3POQ/jPCH4B4GG²/3O/PH)/3O</O/X4l → 0ℎC)ℎ4 → ∞, PG3P3O4;/BP.4HO/G/PG4.

Quando il sistema diventa un cinematismo, l’asta rimane rettilinea, quindi convenzionalmente tende ad infinito. Nella facciata successiva possiamo osservare delle configurazioni tipo, prima di tutto è bene fare luce su alcuni importanti concetti. Intanto la presenza di traversi infinitamente rigidi, consente di rendere indipendente il comportamento di una piano dall’altro, questo significa che la crisi globale per instabilità dell’equilibrio dell’intera struttura, viene a

coincidere con la crisi della singola asta più esposta all’instabilità (quella meno vincolata, cioè quella meno rigida). Altro concetto importante, la struttura può andare in instabilità con modalità diverse, ma quella che si verificherà sarà quella che richiede un carico critico minore, in altri termini, tra tutti i possibili carichi critici, per le possibili modalità di deformazione delle aste singole o dell’intera struttura (questa distinzione sarà più chiara più avanti), verrà scelto il carico critico minore, ed è questo quello che noi dobbiamo cercare. Questo concetto viene richiamato nel primo telaio, dove abbiamo due possibili modalità di deformazione, ma la prima delle due richiede un carico critico quattro volte superiore a quello richiesto per la seconda modalità di sbandamento delle aste, e sarà questa quella da scegliere per la nostra configurazione. Si deve inoltre sottolineare che la prima modalità di sbandamento è quella caratteristica dei telai a nodi fissi, mantenendo sempre l’ipotesi di traversi infinitamente

rigidi.

Ora affrontiamo il problema delle aste passanti o meno nei nodi a cerniera delle strutture controventate. Nella pratica ingegneristica le aste vengono considerate indipendenti, questo è vero se queste concorrono in un nodo a cerniera, in tal caso non vi è nessun vincolo alla rotazione reciproca delle aste stesse. Ma se viene garantita la continuità tra le due, il sistema diventa più rigido, perché viene ad essere aggiunto un vincolo che impone W# W", quindi l’asta più rigida tende ad aiutare quella meno rigida, che in questo caso è quella superiore, con la conseguenza che il punto di flesso si sposta leggermente in basso rispetto al nodo. A dire il vero

β>2

P

K

l

l02

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 52

questa è una sottigliezza perché il comportamento complessivo delle due aste rimane pressoché quello, anzi in questo specifico caso considerare le aste tra di loro indipendenti sono a favore di sicurezza.

K=OO

K=OO

P P

l

l

β=2

β=1

l =2l0

l =l0

Cerniera - cerniera con aste infinitamente rigide.

K=OO

K=O

P P

l

l

β=1

β=2

l =l0

l =2l0

Incastro - incastro con una asta infinitamente flessibile.

K=OO

K=O

P P

l

l

β=2

β=2

l =2l0

l =2l0

Cerniera - cerniera con una astainfinitamente flessibile.

Se ho un telaio con due traversi infinitamente flessibili e due cerniere alla base, in questo caso la lunghezzalibera di inflessione va all'infinito, in quanto il schema risulta labile, allora devo controventare.

K=O

P P

l

l

β=2K=O

l 0

l =2(l+0,5l)=3l0

K=O

P P

l

l

β=2

K=O

l 0

l =2(l+0,5l)=3l0

La croce di S.Andrea ha la funzione di rendere lo spostamento relativo nullotra due nodi consecutivi, questo è vero se il traversoè assialmente rigido.

K=OO

K=OO

P P

l

l

β=1

β=1

l =l0

l =l0

1

2β=0,5l =0,5l0

β=0,5l =0,5l0

K=OO

K=OO

P P

l

l

β=1l =l0

β=1l =l0

Incastro - incastro con aste infinitamente rigide.

K=O

K=O

P P

l

l

β=2l =4l0

Schema statico parzialmente a nodi fissi

Telaio con travi infinitamenteflessibili

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Fin d’ora si è sempre ragionato con carichi simmetrici e posti in sommità alla struttura, ora vediamo una ipotesi diversa, dove manteniamo la simmetria dei carichi, ma questi vengono posti ad ogni piano, così come accede per le strutture reali. Si parte da un caso semplice, per poi generalizzare. Il carico critico dell’asta al primo piano è pari a:

Y = "%°G"

Ma questo non è più vero per l’asta al piano terra, infatti questa è sottoposta a uno sforzo normale pari a 2P, quindi il carico critico di quest’asta è pari alla metà:

2Y = "%°G" Y è[\] Y = "%°2G"

Questo modo di procedere può essere generalizzato per un edificio a nodi fissi con n piani:

çÆÊ = ÓÖ+½%&Õ˽

Ovviamente ci può essere anche il caso in cui il mio schema è a nodi spostabili, quindi in ragione del rapporto tra la rigidezza dell’asta e quella delle molle, la deformata critica può essere locale, oppure globale. Appare del tutto evidente che la deformata globale è quella più gravosa per la struttura. Agendo a favore della sicurezza potrei pensare di portare tutti i carichi in sommità, e ottenere quanto segue:

HY = "%°2HG" Y è[\]Y = "%°4H|G" Appare del tutto evidente che con l’n a denominatore

facciamo ben poca strada… Ma allora possiamo optare per una soluzione più vicina alla realtà: si tratta il nostro carico per piano come se fosse un carico distribuito p, e si dimostra che questa situazione è equivalente a quella con un carico di punta, ma insistente su un’asta poco più lunga della metà.

y/<P)CBP3O<P. & = G ; ÖçÆÊ = +½%&ÐË, Í.ÖÕ½ H'Q43OC)/3C = 2 Fino ad ora si è sempre ragionato su strutture caricate simmetricamente, vediamo ora che cosa accade se ciò non si

verifica. Nel portale della facciata successiva, abbiamo due ipotesi di deformazione, nel primo caso l’asta scarica dallo sforzo normale non partecipa allo sbandamento, quindi l’unica deformata critica possibile per l’asta caricata, definisce il seguente carico critico:

Y = 4"%°G" &4<)ℎè = 12 La seconda possibilità è che entrambe le aste vanno in instabilità, e sono coinvolte nello sbandamento, quindi la struttura fornisce una risposta globale all’instabilità, a differenza del caso precedente dove il carico critico della struttura viene a coincidere con quello della singola asta. E’ del tutto lecito pensare che ogni asta si prenda una quota parte del carico critico (le aste sono uguali), quindi è come se caricasse le due aste con P/2.

K=OO

K=OO

P P

l

l

β=1

β=1

l =l0

l =l0P P

P

P

P

P

P

l

l

l

l

l

nP

β=2nl

P

P

P

P

P

l

l

l

l

l

Ed

ifici

o co

ntro

vent

ato

a no

di f

issi

Sch

ema

di e

dific

io a

tela

io, a

nod

i spo

stab

ili

nP

nlpSi dimostra 0,56nl

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Y2 = "%°G" Y è[\] Y = 2"%°G" &4<)ℎè = 1; 4H4</GPjj/HBCçÆÊ = Ö+½%&Õ½

Dove n è il numero di colonne, è del tutto evidente che aumentandone il numero aumenta di conseguenza il massimo carico critico sopportabile dalla struttura nel suo complesso, ma questo nulla toglie la possibilità delle aste di sbandare singolarmente, e ciò avviene quando il numero delle aste supera le quattro unità. Osserviamo la serie di portali qui a fianco, ho che il carico critico globale è dato dalla seguente: Y = 4"%°G"

Appare chiaro che l’instabilità globale della struttura viene ad essere raggiunta per un carico critico che è uguale a quello richiesto dalla singola asta, in questo caso l’instabilità viene ad essere raggiunta in modo indifferente dall’asta, o dall’intera struttura. Nel portale singolo si vede che la struttura raggiunge per prima l’instabilità globale, rispetto a quella locale, infatti: Y/010012 = 2"%°G" < 4"%°G" = Y2/02 Il tutto può essere visto anche in termini di lavoro: 1 *åM = M*åM = H70M* → G)/<P)C)<POP)CiGC/G4èB/OCB/GG/3C;;/B4P)/<P)ℎP)<POP)PB4GG43PHiCG4/3O4. Il tutto può essere riassunto nel seguente caso:

Il mio obbiettivo è quello di trovare il Pcr: Y = =Y N Quindi devo trovare il coefficiente moltiplicativo, tale che il sistema vada in instabilità, ma questo carico critico può fare riferimento sia a una crisi locale, sia a quella globale della struttura, in tal caso il modello da studiare è quello di trave su suolo elastico. Se volgiamo conoscere il carico critico che fa capo a un singolo elemento della struttura, possiamo utilizzare la relazione Newmark, questa è una relazione approssimata e fornisce il valore di β, con un errore medio del 4%. Ed inoltre questa relazione può essere usata solamente sulle strutture a nodi fissi.

K=OO

l

β=12

P

N=P N=0

K=OO

lβ=1

P2

P2

β=1

l

K=OO

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L’effetto delle aste concorrenti nei nodi A e B può essere rappresentato tramite l’inserimento di una molla rotazionale, la cui rigidezza K è la somma di tutte le rigidezze delle aste concorrenti.

Quindi in generale posso scrivere che: l( =¯%° G BC.4èPG&43C/334iH/OC/GG²/3O/&4<G43Q4)CHBPjPCHPBP.PH)CGC Ora possiamo scrivere la relazione di Newmark:

Y = "%°G" BC.4Ð = FË, ½ 34Ë, ½ 35Ë,6 34Ë,6 35

34 %&è4Õ ; 35 = %&è5ÕQ43OP3CHCP</&&C<OPO</G/<PiPB4jj/B4GG²/3O/4'Q4GG/B4PHCBP.

Ora affrontiamo il caso di un portale a nodi fissi, l’analisi di questo problema viene semplicemente risolta applicando la relazione di Newmark e assumendo che il traverso si comporti come un’asta semplicemente appoggiata sottoposta a una coppia simmetrica.

l

A

B

KA

KB

P

EJl

Bϕ =Ml

3EJ K =3EJlB B

Bϕ =Ml

4EJ K =4EJlB B

Bϕ =Ml

2EJ K =2EJlB B

Asse di simmetria

Fig. 1-122

l

K =0 => b

N

λ =b

8

K =0 => a λ =a

8

β=1

K = => b

N

λ =0b

K =0 => a λ =a

8

β= =0,707

8

0,20,4

K = => b

N

λ =0b

β=0,5

8

K = => a λ =0a

8

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 56

Per le strutture a nodi spostabili, possiamo utilizzare la stessa relazione ma deve’essere corretta, in questo casi ci viene in aiuto l’EC 3. Prima di tutto per i nodi della mia generica asta si definiscono i seguenti rapporti: 7 XC;;/OC<P/B4GG4<PiPB4jj4B4GG4)CGCHH4XC;;/OC<P/B4GG4<PiPB4jj4B4GG4O</.P ∑ %° ∑ %°µµ 4<PGHCBC1

XC;;/OC<P/B4GG4<PiPB4jj4B4GG4)CGCHH4XC;;/OC<P/B4GG4<PiPB4jj4B4GG4O</.P ∑ %° ∑ %°µµ 4<PGHCBC2 E poi si utilizzano degli abachi per determinare il valore di . Questi abachi sono due, il primo deve essere usato per le strutture a nodi fissi, mentre il secondo per le strutture a nodi spostabili.

l

K = => b

P

λ =0b

β=0,624

8

K = a λ =0,5a

l

PP

A B

l

A B

K = =>a2EJ

l λ = =0,5aEJ

2EJl l

β = =0,624(0,2+0,5)0,2(0,4+0,5)0,4

2EJl

Mentre il valore esatto di sarebbe0,626, come si può notare il valore determinato con Newmark non è afavore della sicurezza, anche se

β

comunque risulta accettabile.

EJ

EJ

EJ

Il valore che abbiamo trovato è intermedio alla soluzione con trave infinitamente rigida (0,5) e alla soluzione con la presenza della cerniera (0,707).

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STRUTTURE A NODI FISSI E A NODI SPOSTABILI E DIMENSIONAMENTO DEI CONTROVENTI. Nella Scienza delle costruzioni si definisce struttura a nodi spostabili quella struttura, la cui associata sia labile, ma questa definizione non la possiamo applicare nel campo della Tecnica, dato che i vincoli sono reali e non perfetti. Per stabilire se una struttura è a nodi spostabili o meno possiamo usare due differenti approcci, il primo viene ad essere definito dall CNR 10011, mentre il secondo dal D.M.2008. ym10.011 → 8 5 9500 àC.49èG²/GO4jj/B4GG′4BPP)PC

à.­. 2008 → Y∑m h 10 Dove Pcr è il carico critico globale della struttura, questa condizione, che può essere applicata anche alle singole aste, ottiene il fine di poter trascurare gli effetti del secondo ordine. Ma perché la CNR fissa un

carico pari a ## ∑m come carico di piano, ora

cercheremmo di dare una risposta a questa domanda. A questo punto si consideri un’asta incernierata e vincolata con una molla alla sommità, questa semplice

struttura presenta due possibili modalità di sbandamento: il primo derivante dall’instabilità euleriana, e il secondo derivante dall’instabilità della molla di rigidezza k. Nella figura sono riportati i due casi limite, nel primo abbiamo lo sbandamento euleriano dell’asta, mentre nel secondo quello dovuto alla molla. Nel primo caso, dove la molla è infinitamente rigida, la condizione limite viene raggiunta con il carico euleriano: P: π"EJl" conl l Mentre nel secondo caso la reazione della molla è definita dalla seguente: R kΔ Ora operando un equilibrio dei momenti rispetto alla cerniera in A, ottengo (come abbiamo già fatto in precedenza): Mï M ïðñï[\\]PõöΔ KΔl ïðñï[\\]Põö kl

Invertendo la relazione precedente posso affermare che: kA BBC Põöl DDñï [\\\\\\\] ùEFøøG h H½IJø¾ Questopergarantirelosbandamentoeulerianodell′asta Questo è il caso ove i due comportamenti della struttura sono tra di loro indipendenti, e il carico critico globale della struttura è il minore tra i due. Tutto questo è vero se lo sbandamento assiale dell’asta non vada ad influenzare la lunghezza della molla. Questa relazione ci fornisce un metodo per il dimensionamento del controvento, infatti a questo proposito si osservi il telaio in figura. Il controvento per rendere il telaio a nodi fissi deve avere

l

PEU

k= 8

CASO 1.

l

Pcr

CASO 2.

A A

B B

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 58

una rigidezza tale che:

l = Δ h H"%°G|

Dove n è il numero di colonne, e la lunghezza libera di inflessione in questo caso corrisponde all’altezza di interpiano.

Quindi il controvento deve essere dimensionato in modo tale che la struttura vada in instabilità per l’instabilità euleriana delle singole aste, affrontiamo ora il caso dell’asta non più incernierata, ma incastrata alla base.

Le deformate non sono più tra di loro indipendenti, ma ho un comportamento misto della struttura: LM "%°G"

y$X1° → Y "%°2G" LM4

y$X2° → Y "%°0,704G" ≅ 2LM Da questo ottengo una curva continua, che tende all’assintoto 2PEU. Ci sarebbero molti altri casi da prendere in considerazione, ma ci concentriamo sul caso di un’asta infinitamente lunga su un letto di molle di rigidezza k (piccolo, essendo una rigidezza distribuita). Questo è anche il metodo utilizzato per dimensionare i pali di fondazione infissi nel terreno (Teoria di Wikler).

Ovviamente il controvento è un sistema di molle discreto, la cui rigidezza è facilmente quantificabile: l 6g Si dimostra che l’asta si instabilizza secondo una serie di sinusoidi, ed è caratterizzata da una lunghezza libera di inflessione l0, e un carico critico PCR:

P P P P P F

Si trascura il tirante compressoF

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ÕË = +·%&Ï6 −çÆÊ = ½%NÏ Anche in questo caso il mio obiettivo è quello di ottenere una struttura che vada in crisi per instabilità euleriana, quindi devo imporre quanto segue:

Y h LM = "%°ℎ

2F%° lg h "%°g" 0*æZ*[\\]è h ½Í%& ¾

Questo è sicuramente collegato con la richiesta di limitare lo

spostamento 8 di sommità, secondo la CNR 10.011, se ciò non è vero devo procedere alla verifica dell’instabilità con il metodo P-∆, che è un metodo approssimato. INSTABILITA’ DELL’EQUILIBRIO PER ASTE IMPERFETTE. A differenza di quanto fatto in precedenza ora voglio studiare il caso di aste imperfette, cioè aste che presentano una eccentricità iniziale, oppure una deformata iniziale. Al contrario delle aste perfette già viste, qui risulta univocamente identificabile la deformata, in quanto l’imperfezione iniziale risulta di “innesco” alla successiva deformazione sotto carico, in altri termini non dobbiamo più parlare di carico di biforcazione. CASO N°1 => ASTA CON ECCENTRICITA’ INIZIALE DIVERSA DA ZERO.CASO N°1 => ASTA CON ECCENTRICITA’ INIZIALE DIVERSA DA ZERO.CASO N°1 => ASTA CON ECCENTRICITA’ INIZIALE DIVERSA DA ZERO.CASO N°1 => ASTA CON ECCENTRICITA’ INIZIALE DIVERSA DA ZERO.

Facendo riferimento al metodo statico, prendo in considerazione la configurazione di equilibrio dell’asta nella condizione deformata: Mï M Mï Py e Ora ricordandoci l’espressione approssimata al secondo ordine della curvatura: dφdx d"ydx" χ 1R MEJ Quindi: M EJd"ydx" EJy′′ A questo punto applichiamo la condizione di equilibrio: Py e EJy²² ïðñï[\\] EJy²² py e 0 Questa è la condizione di equilibrio linearizzata al secondo ordine,

operando la sostituzione α" R:S ci si riconduce a una equazione

differenziale lineare non omogenea:

y²² PEJ y P

EJ e ïðñï[\\] y²² α"y α"e La soluzione ricercata si presenta nella forma seguente: y Asenαx Bcosαx e

Fig. 1-128

P

P

e

ly

y

x

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 60

Ponendo le condizioni al contorno:

x = 0 ïðñï[\\] y = 0x = l ïðñï[\\] y = 0 Si determina la soluzione cercata: V = WXFYZ[ − Ó Ora per x = B" determino la freccia massima:

VEG[ = \EG[ = W JYWXZø½ − ÓK = W) ÓXFY Zø½ − Ó* Formuladellasecante. Come possiamo osservare abbiamo a che fare con una instabilità di seconda specie: per un carico tendente a quello euleriano gli spostamenti divengono ad infinito, quindi come si è già affermato non ho più una instabilità per biforcazione. Ed inoltre quando: cosαl2 Dïï0… fAC_ Dïï∞

E da questa semplice relazione si ricava nuovamente il carico

euleriano. CASO N°2 => ASTA CON DEFORMAZIONE INIZIALE DIVERSA DA ZERO.CASO N°2 => ASTA CON DEFORMAZIONE INIZIALE DIVERSA DA ZERO.CASO N°2 => ASTA CON DEFORMAZIONE INIZIALE DIVERSA DA ZERO.CASO N°2 => ASTA CON DEFORMAZIONE INIZIALE DIVERSA DA ZERO.

Si supponga che questa deformata iniziale segua una legge sinusoidale del tipo: y = fsen 'πxl ( Considerando ancora una volta il metodo statico: Mï = Py y M EJy′′ Essendo Mï = M ïðñï[\\] EJy²² Py = −Py La soluzione a questa equazione differenziale si presenta come segue: V = \ËÓ − ÷÷I

YW`'H[ø ( perx = l2 ottengolafrecciamassima\EG[ = \ËÓ − ÷÷I

Essendo il carico P comunque minore a quello euleriano PEU, la freccia iniziale f0 viene moltiplicata per un fattore di amplificazione, quindi la freccia massima fmax è sempre e comunque superiore a f0. Anche in questo ci si presenta una instabilità di seconda specie, tipica delle aste reali.

PPEU

f(freccia)

1 Carico euleriano e=0

e=0e1

e2

cr

A parità di freccia, aste coneccentricità iniziale maggiore,hanno carichi critici minori.

e >e2 1

Comportamento dell'asta euleriana, con instabilità delprimo ordine (per biforcazione).

P = =PEUπ EJ

l02

2

cr

Fig. 1-130

P (e=0)

lf

y

x

0

y0fmax

def

orm

ata

iniz

iale

defo

rmat

a f

inal

e

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Vediamo ora di determinare il taglio massimo (esso è visto come la componente orizzontale del carico lungo l’asta, con P considerato inclinato, ma potrei considerare le componenti inclinate e P verticale, i concetti non cambiano) che posso avere su questa asta, in modo del tutto ovvio posso dire che: M = Py Cõaïõaï[\\\\\\\\] V = dMdy = Pdydx = πl fP1 − RRb cos 'πxl ( Ovviamente il taglio sarà massimo quando cos 'c_B ( = 1, cioè in mezzeria: dEG[ = Hø \Ë÷Ó − ÷÷I

Ora supponiamo che la deformazione iniziale f = ##. l (valore del tutto comune per le aste

reali), ed inoltre assumiamo un coefficiente di sicurezza pari a γ=1,5 in accordo con le T.A, cioè P=0,667PEU: dEG[ = H÷Ó. ËËËJÓ − ÓÓ, ÍKÓ eWfXgh[\\\] dEG[ ≅ ÷ÓËËEd ecco il perché nel dimensionamento dei controventi si fa riferimento a un

çÓËË, , , , ma la

normativa per una maggiore sicurezza considera un coefficiente di amplificazione, che per i telai vale 1,1-1,2, quindi: dÒÅi ≅ jçÓËË = ÷ÌË COMPORTAMENTO DELLE ASTE REALI.COMPORTAMENTO DELLE ASTE REALI.COMPORTAMENTO DELLE ASTE REALI.COMPORTAMENTO DELLE ASTE REALI.

Nelle aste reali ho un comportamento che è la somma di più contributi, uno è dovuto alla crisi del materiale per il raggiungimento della tensione di snervamento, e l’altro per l’instabilità, il rapporto tra questi due fattori viene definito dalla tipologia dell’asta, ma in maniera più generale questi due aspetti agiscono assieme, e non in modo disgiunto. Ad esempio per un’asta generica, devo verificare che la tensione sia inferiore ai valori seguenti:

d_d ≤ $$ = $ P;PO4BP3H4<./;4HOC ≤ LM = LM$ = "%°$G" = "%$-"$G"

æ3!ÕËk Æ ÃèÕÅÂÖÃÕÕÃllÅ[\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\] = "%m"

L’andamento delle tensioni LM in funzione della snellezza presenta un andamento di tipo iperbolico, con LM → ∞&4<m → 0, ovviamente questo non è realistico, infatti prima interviene la crisi del materiale, e il passaggio tra le due diverse modalità di crisi dell’asta avviene in

PPEU

f(freccia)

1 Carico euleriano e=0

f01

cr

A parità di freccia finale f , astecon deformazioni iniziali maggiori,sopportano carichi critici minori.

P = =PEUπ EJ

l02

2cr

f02f >f02 01

max

fmax

P

y

A

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corrispondenza di m: m = F% = F206.000235 93,01 ≅ 100

Il tutto può essere espresso nel seguente grafico in termini adimensionali. Ora vediamo di introdurre l’uso di alcuni coefficienti adimensionali: CHiC # 1

Questo ci torna utile per esprimere la mia condizione di verifica della struttura, utilizzando una sola relazione funzionale, al posto delle due definite in precedenza. Quindi posso affermare quanto segue:

º 5 nÀÁ ÀÁj ¼Éoà p n j ÓpÃÊÕÃÅÂÇÃÇÉllÃn '+3(½%3Á+ ½ Ó% 3Á3 ½ pÃÊÕÃÅÂÇÃÂÖÃÕÕÃ

Tutto questo per le aste perfette, dove il passaggio tra le diverse modalità di crisi avviene in maniera netta, in realtà tra la crisi per instabilità d’equilibrio e quella per snervamento, abbiamo una condizione di mutua influenza. Infatti mentre il materiale puntualmente può essere definito da uno schema elasto-plastico perfetto, lo stesso non può essere fatto per una sezione, la quale

presenta delle auto tensioni interne, che ne influenzano il comportamento. Quindi il passaggio tra il campo elastico e quello plastico non avviene con un ginocchio ben definito, ma in realtà con una progressiva perdita di linearità, che inizia approssimativamente a 0,8fy. Quindi fino a questo valore di tensione, il mio modulo elastico E è costante. Dopo di che si deve prendere in considerazione un modulo elastico tangente, che è minore di quello iniziale, e tende ad annullarsi a completa plasticizzazione della sezione. Tutto questo è dovuto al fatto che in una sezione discreta, alcune parti

tendono a snervarsi prima di altre. Quindi secondo la teoria di Engesser, nella zona di transizione devo utilizzare il modulo elastico tangente, con il quale ottengo un carico euleriano minore:

)<PO 2%Om2

Ma Von Karman ha notato che nell’inflessione (nel momento dello sbandamento dell’asta) alcune fibre si caricano in ragione diEt, mentre altre fibre si scaricano in ragione di E (scarico in campo elastico lineare), quindi Von Karman ha individuato un E* fittizio medio: E∗ 2EEDE ED Anche se al dire il vero, sperimentalmente si è visto che il comportamento delle aste reali si avvicina di più al modello di Engesser che a quello di Von Karman, che tra l’altro è anche più cautelativo.

σ

λ

1

1 λy

f y

Limite di snervamentoLimite d'instabilità

0,8

f

ε − Ε

Et

E

fy

fy

P

P

e

ly

y

x

c

G

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Questo è dovuto al fatto che nelle aste reali si parte già con una deformazione iniziale, quindi ho una presso-flessione progressiva, in altri termini gli effetti dati dallo sforzo normale e dal momento non possono essere separati. Quindi il metodo di Von Karman trova più proficua applicazione per le aste perfette, dove l’improvviso sbandamento dell’asta permette la distinzione degli effetti sopradetti. Il tutto può essere riassunto nel grafico seguente: Adesso oltre all’imperfezione del materiale, mettiamo in conto anche delle imperfezioni geometriche dell’asta. In questo caso deve essere

definita la seguente relazione funzionale, nella quale si deve tenere conto del momento del secondo ordine:

= $ ­â $ 4 ±â 5 Posso anche affermare che â rY 7sY , quindi: $ )4 ±$-" !*ïõtå#[\\\\\\\\\\\]$ I1 + ) ∙ 4-" + ) ∙ 4 ∙ sec(=)-" − ) ∙ 4-" L Il tutto può essere semplificato ed inoltre sappiamo che lo spostamento y è massimo in

corrispondenza di = ", quindi sarà proprio in questa sezione che la tensione è massima:

C3OC= = F %° COO4HiC7å = $ u1 + 4)-" 34)) G2F %°*v Quindi la Y è legata al carico critico Y dell’asta dalla seguente relazione: Y = Y$ = I1 + *Ys 34) J" · LrKL

Z*0MèY* *0*[\\\\\\\\\\\\\\\\]ºÆÊ = ÀÁj(3) = n(3)ÀÁ'Q43OC&4<)ℎè = # = 1

Quindi ci siamo ricondotti sempre allo stesso problema, solamente che ora facciamo riferimento ai difetti geometrici dell’asta.La normativa (CNR 10.011 e il D.M.2.008) operano una classificazione delle aste in ragione dei due aspetti: difetti geometrici e comportamento reale del materiale: la CNR è ancora applicabile ma tra le due normative ci sono delle differenze. METODO METODO METODO METODO ωωωω SECONDO LA CNR 10.011.SECONDO LA CNR 10.011.SECONDO LA CNR 10.011.SECONDO LA CNR 10.011. Prima di tutto vediamo come la CNR affronta la classificazione delle sezioni, che devono essere caratterizzate da un doppio asse di simmetria, oppure con un unico asse di simmetria con inflessione lungo questa direzione. I valori che si trovano tabulati sarebbero i coefficienti #, cioè l’inverso di . Ma prima di tutto partiamo dalla classificazione delle sezioni:

1) Curva “a” → Profilati cavi di sezione quadrata, rettangolare o tonda con O ≤ 40;;. 2) Curva “b” → Qui trovo le IPE o le HE il cui rapporto tra l’altezza del profilo e la larghezza

delle ali sia tale che w( h 1,2. All’interno di questa categoria troviamo anche le sezioni IPE

con ali rinforzate da piatti, oppure sezioni a cassone. Anche in questo caso deve essere O ≤ 40;;. 3) Curva “c” → Qui trovo tutte le tipologie di sezione non rientranti nelle categorie

precedenti (una buona parte delle HE), sempre e comunque con O ≤ 40;;. 4) Curva “d” → Tutte le altre sezioni con O ≥ 40;;.

σ

λλy

0,8

Von Karman E*

Engesser Et

fy

1

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 64

Vediamo ora compiutamente come si svolge la verifica con la CNR (e il D.M.96):

_`xÃÇɼɼÃÕÕÃÇÃÖ»ÉÖ»ÅÒһ»y»Õ»Éz. .|. . %.→ º j4 5 ÀÁ¼ ÀÁÑÒxÃÇɼÉÅÈÕ»z. . |.→ z¼ 5 ~¼ 4ÀÁ¼j

Qui di seguito trovate il coefficiente tabulato, o meglio il suo inverso, in ragione della snellezza

dell’asta m = 2s , in rapporto con quella limite m = mY = ·LN³, e in funzione della classe della sezione.

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 65

Si nota che per ³ ≤ 0,2 l’instabilità dell’equilibrio è del tutto trascurabile nel comportamento

complessivo dell’asta, infatti qui siamo nel campo delle aste tozze, dove la crisi arriva per la crisi del materiale. METODO METODO METODO METODO ωωωω SECONDO SECONDO SECONDO SECONDO IL D.M. 2.008IL D.M. 2.008IL D.M. 2.008IL D.M. 2.008.... In realtà esso dovrebbe prendere il nome di “Metodo del coefficiente #”, perché è proprio questo coefficiente che andremmo a determinare. La verifica di stabilità si effettua nell’ipotesi che la sezione trasversale sia uniformemente compressa, tale verifica deve rispettare la seguente condizione: z¼ 5 ~¼ n 4ÀÁÏÑÒÓ Ó, ËÍ BC.4$ 1 $MM &4<G434jPCHPBP)G/334, , $*NN Y *M*&4<G434jPCHPBP)G/334z Il fattore # dipende dal tipo di sezione e dal tipo di acciaio impiegato, esso si desume in funzione di appropriati valori della snellezza adimensionale m:

n Ó ½ 3½ 5 Ó¼Éoà d_d Ó½ Ó 3 Ë, ½ 3½3 F 4ÀÁÏ%-ÕÃÊ»ÅÖÉ F4ÀÁÏ+½%43½

F3½3Á½ 33Á

Nel calcolo di m si deve considerare l’area totale o quella effettiva in ragione della classificazione della sezione. Il coefficiente = esprime un fattore di imperfezione, ed è espresso dalla seguente tabella, ove oltre al coefficiente si definisce anche la classificazione della sezione, che in questo caso, a differenza della CNR, viene ad essere distinta anche per asse di inflessione della sezione.

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Si deve anche affermare che il regolamento impone dei limiti di snellezza, in ragione del tipo di sollecitazione e dell’importanza della struttura: λ 1Struttureprincipali → λ ≤ 200azionistatiche− λ ≤ 150(azionidinamiche)Strutturesecondarie → λ ≤ 250(azionistatiche)− λ ≤ 200(azionidinamiche) Fino ad ora si è sempre pensato di affrontare un’asta contenuta nel piano, quindi una struttura monodimensionale, la quale presenta solamente una direzione di sbandamento, ma nella realetà ci troviamo ad affrontare strutture tridimensionali. Infatti possiamo supporre che il carico di punta P non sia baricentrico, cioè posso essere soggetto a una certa eccentricità di carico, ma per il momento pensiamo di avere a che fare con un carico baricentrico. Rimane il fatto che l’asta comune presenta almeno due direzioni di sbandamento possibili, e lo sbandamento per

instabilità arriva nella direzione di maggiore snellezza (e questo vale sia per l’instabilità flessionale che per quella tagliante, solamente che in quest’ultimo caso si farà riferimento ad una snellezza ideale). Ovviamente tutto questo è vero se siamo sempre nell’ipotesi di carico baricentrico, infatti potrei anche avere, in caso contrario, una instabilità di natura flesso-torsionale. Se la nostra sezione è doppiamente simmetrica con carico baricentrico, siamo nella condizione in cui il baricentro coincide con il centro di taglio, e con il centro di pressione. Solamente in questa condizione le due instabilità flessionali (nelle due direzioni principali) e l’instabilità torsionale, sono tra di loro indipendenti, cioè disaccoppiate. Infatti se prendiamo in considerazione una sezione a “C” (avente un solo asse di simmetria): lungo x abbiamo uno sbandamento puramente flessionale, mentre lungo y, dato che la componente di taglio che nasce durante lo sbandamento è eccentrica rispetto al centro di taglio, da luogo ad una componente torsionale, quindi lo sbandamento è di tipo flesso-

torsionale. Allora le due instabilità non sono più disaccoppiate, e si parla allora di carico critico flesso-torsionale, che pone la mia struttura in una condizione più sfavorevole. Questo è una prima questione, ma posso anche avere una instabilità della mia struttura senza la presenza di una compressione diretta, è questo il caso dell’instabilità per svergolamento.Questa è un particolare caso di instabilità flesso-torsionale, se considero l’anima evanescente (è come se ponessi la rigidezza torsionale pari a zero) si osserva che la piattabanda superiore compressa va in

λ = =xx

y

y

xl0 2l

λ = =yl0 l

ρη

ξ

y

ρx

ρx ρx

ρy ρy

xx

y

y

GC.T.

Instabilitàflesso-torsionale

Componente di taglio che nasceal momento dell'instabilità.

M M

C C

CCM=Ch

Animaevanescente

b

t

ϕ

C

C

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 68

instabilità di equilibrio. Nelle aste reali l’instabilità della piattabanda superiore tende a “portarsi dietro” anche il resto della sezione, questo perché l’anima ha la capacità di assorbire il taglio e il momento.

INSTABILITA’ DELL’EQUILIBRIO SECONDO LA TEORIA DI TIMOSCENCOINSTABILITA’ DELL’EQUILIBRIO SECONDO LA TEORIA DI TIMOSCENCOINSTABILITA’ DELL’EQUILIBRIO SECONDO LA TEORIA DI TIMOSCENCOINSTABILITA’ DELL’EQUILIBRIO SECONDO LA TEORIA DI TIMOSCENCO.... Come abbiamo già detto la teoria dell’asta di Eulero nasce dalla seguente equazione differenziale (pag. 49): ± %° ± 0 Ma questa relazione trascura la deformabilità tagliante delle struttura, è come se l’avessi resa più rigida, e quindi il metodo , che tiene conto dell’eccentricità dell’asta e dei limiti del materiale, non sempre rappresenta il carico critico dell’asta, che potrebbe risultare sovrastimato.Prendiamo il caso di un’asta calastrellata, è un’asta costituita dall’accoppiamento di due profili, collegati da piatti, l’obiettivo di queste aste è di ottenere delle sezioni con elevati raggi d’inerzia.

La presenza dei calastrelli rigidi introduce una situazione del tutto simile a quella di un telaio con il traverso rigido. I montanti presi singolarmente subiscono una deformata flessionale, ma la struttura nel suo insieme si comporta secondo lo schema di una deformata tagliante. Chiaramente se i calastrelli non sono più considerati rigidi, anch’essi subiscono una

xx

y

y

xx

y

y

xx

y

y

Calastrello

Al posto dei clastrelli possoavere un sistemareticolare, cioèaste controventate

V

Deformata dei montanti nell'ipotesi di clastrello rigido o flessibile

V δ

γ

Gx x

y

y

GM f

M y

M x

θ

M f

Segue losvergolamento

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deformazione flessionale, che contribuisce ad aumentare la deformazione globale della struttura, che risulta ancora meno rigida, ovviamente questa componente può essere considerata o meno, in ragione della rigidezza flessionale dei calastrelli stessi. La principale differenza della teoria di Timoscenco è che viene ad essere considerata la

deformabilità a taglio dell’asta, partiamo allora dalle seguenti relazioni: z = ∙ 34H ≅ B±B = ±$ 4<B4PHPjPCH4B4.44334<4 B±B = z$ A questo punto sostituisco e derivo: ±$$ * MM**7YZ7MZ7ZM77M7æ [\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\]± ±$ Quindi alla fine della fiera ho due contributi: ± ± ± ±%° ±$ LZ7ß * NN**ß 7*MM7*[\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\]Á JÓ ç4K ç%&Á Ë Anche in questo caso un = pari a:

= %°n1 − $n 0*æZ*[\\] Á + ½Á = Ë Come possiamo osservare si ottiene la stessa equazione differenziale che abbiamo trovato per l’asta di Eulero, quello che cambia è il coefficiente =. Quindi il carico critico si esprime al solito modo: ±() = $34H(=) + ¥)C3(=)BC.4B4.44334<4Õ = Ö+ Ovviamente per H = 1 avrò il mio carico critico minore: Y%° '1 − Y $n ( = "G" 7+*Yw*!uLr wYw*[\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\] Y1 − Y $n = LM

Vediamo di esprimere il nostro carico critico appena ottenuto in funzione di quello Euleriano: çÆÊ = ç%|Ó + ç%| 4n = ç%|Ó + +½%&Õ½4 Possiamo fare una prima importante considerazione: il nostro carico critico ottenuto tendo conto della rigidezza a taglio, è inferiore a quello Euleriano. Solamente per la condizione $ → ∞ ho che Y → LM, cioè torniamo nell’ipotesi di asta Euleriana. A questo punto facciamo degli ulteriori passaggi:

çÆÊ = +½%4 3½nÓ + +½%43½4 = +½%43½ + +½% = +½%43ļÃÅÕý àC.4)CH.4HjPCH/G;4HO43ļÃÅÕà = F3½ + +½% = ·3½ + 3Ó½ La m*7* è una snellezza che è maggiore di quella Euleriana, e tiene conto della deformabilità a taglio della struttura.

P

l

y

x

y

P

V

N

dx

dy

γ

σ

λλy

fy

1

λ λ Ideale

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ASTE CASTE CASTE CASTE CAAAALASTRELLATE LASTRELLATE LASTRELLATE LASTRELLATE –––– ASPETTI TEORICI.ASPETTI TEORICI.ASPETTI TEORICI.ASPETTI TEORICI. Come si osserva il taglio che nasce al momento dello sbandamento (pag. 61), viene ad essere diviso in modo equo tra i montanti che compongono l’asta calastrellata. Prima di tutto vediamo come si determinano le snellezze e i raggi di’inerzia:

d_d 3i = ÕËiki ¼ÉoÃ&ÁÁ = ½&ÁÁÒÉÖÇÅÖÇà ½4 J¼½K½ ÂÃÈ-Ã[\\]ki F&ÁÁ½43Á ÕËÁkÁ ¼ÉoÃ&ii ½&iiÒÉÖÇÅÖÇà ÂÃÈ-Ã[\\]kÁ F&ii½4 kÁ»ÖÈÉÕÉÒÉÖÇÅÖÇÃ

Dopo queste prime disquisizioni ci rendiamo conto che la calastrellatura lavora solamente nella direzione x-x, mentre nell’altra direzione questo non avviene, è come se i calastrelli non ci fossero, quindi non ho la presenza della deformata tagliante e l’instabilità avviene secondo la teoria di Eulero. A questo punto mi determino le componenti della deformazione, prima di tutto ipotizzo che la rigidezza flessionale del calastrello sia infinita, quindi vado a determinare la deformazione flessionale del montante, lo schema statico utilizzato è quello di una mensola incastrata:

­4H3CG/PH)/3O</O/ → 13G|%° H4GHC3O<C)/3C8+ 13r" ' "(|

%°+020 124 âP|%°+020 Alla deformata del montante deve essere sommata quella del calastrello, supposto non più infinitamente rigido: X)g4;/3O/OP)C → = ­G6%° H4GHC3O<C)/3C8Y W ∙ P zP2 B6%°Y770M* P 112 zP"B%°Y770M*

V/2 V/2

V/2 V/2 V/2

V/2

N

N

V/2

V/2

l

PP

iy

dM

Vi4 Vi

2

Ast

a cl

astr

ella

ta

Deformata globale dell'asta secondo la teoria Euleriana.Deformata complessiva tenuto conto della deformata tagliante dei montanti (deformata a "S")

xx

y

y

A A

ρyρ

x

Componenti della deformazione complessiva:

i

δp

ϕ

δ =ϕic

Vi2

applico la teoria della sovrapposizione degli effetti.

d

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Bene ora devo determinare la rigidezza tagliante che sarebbe GA, ma per definizione può essere scritta come:

l = z BC.4 8MMP 8+ 8YP

àP.4HO/&Pù)C;CBC3)<P.4<4 1l z 8+ 8YzP 124 P"%°+020 112 PB%°Y770M* A questo punto basta riprendere la relazione scritta in precedenza per la teoria dell’asta di Timoscenco:

çÆÊ LM1 LM $n LM1 LM ln +½%4ÇÉÇ3ļÃÅÕý BC.43»¼ÃÅÕà F3ÈÕÉyÅÕý +½Ó½ »kp½ +½Ó½4ÇÉÇ»¼&Æ

yPCè3»¼ÃÅÕà F3ÈÕÉyÅÕý 3pÒÉÖÇÅÖÇý 4ÇÉÇ»¼&ÆÅÕÅÂÇÊÃÕÕÉ Quindi la snellezza ideale è data dal contributo globale della teoria Euleriana, più quella dei montanti più quella dal calastrello (attenzione che nel calcolo del momento d’inerzia Jcsi deve tenere conto di tutti e due i calasterelli), ora quest’ultima viene ad essere trascurata dalla normativa, anche se ciò da un punto di vista ingegneristico non è corretto. Perché tutto funzioni è bene che il calastrello sia collegato in modo solidale con montanti, infatti perché tutto funzioni si deve realizzare un certo momento d’incastro, altrimenti l’instabilità diviene l’instabilità dei singoli profili.

APPLICAZIONE I APPLICAZIONE I APPLICAZIONE I APPLICAZIONE I ----> ASTA HEA300 > ASTA HEA300 > ASTA HEA300 > ASTA HEA300 SOTTOPOSTA A CARICO CENTRATO PSOTTOPOSTA A CARICO CENTRATO PSOTTOPOSTA A CARICO CENTRATO PSOTTOPOSTA A CARICO CENTRATO P (PARTE I)(PARTE I)(PARTE I)(PARTE I).... Intanto partiamo con l’affermare che lo schema statico è comune alle due direzioni principali. Dati:

dd_dd

$))P/PCX3554510 → 355­/O 8,5;;;ON 14;;; < 27;;;$ 112,5);" 11.250;;"°åå 186.230.000;;á; ° 63.100.000;;á-å F°$ 74,9;;;- F°åå$ 128,7;;

Vediamo di procedere alla determinazione del carico critico Pcr secondo la CNR10.011. In questo caso si lavoro agli S.L.U. (metodo ). Prima di tutto mi devo determinare la snellezza nelle due direzioni:

d_dmå G¶-å 4.000 ? 274,9 107m G³- 4.000 ? 2128,7 62,2 → d_

dà/OC)g4m F % 75,7; )Q<./b,gC)g4å 10,383 2,62à/OC)g4m F % 75,7; )Q<./),gC)g4 10,641 1,56

Si sottolinea che la classificazione è stata fatta usando il D.M.2008. A questo punto ci possiamo determinare i carichi critici nelle due direzioni: Y¶ $å 11.250 ? 3552,62 ? 10| 1.524lm; Y³ $ 11.250 ? 3551,56 ? 10| 2.560lm

P

300

280

P

x

y

HEA300

40

0cm

ρx

ρy

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E’ del tutto evidente che il carico critico globale dell’asta è Y¶. Questo che si è appena applicato

è il metodo che tiene conto dei limiti del materiale, da una parte, e delle imperfezioni geometriche dell’asta dall’altra. Mentre il carico critico Euleriano è:

LM¶ = "%°G¶" = "206.000 ? 63.100.0008.000" ? 10| 2.005lm

LM³ "%°ååG³" "206.000 ? 186.230.0008.000" ? 10| 5917lm

A questo punto però posso fare una osservazione legata al diverso valori dei rapportitra i carichi critici: LM¶Y¶ 1,32; LM³Y³ 2,31

Se avessi a che fare con una teoria lineare questi rapporti dovrebbero essere gli stessi, ma in realtà, per snellezze piccole si raggiunge per prima la crisi del materiale, quindi il carico Euleriano perde di significato (sono al di sotto della snellezza limite). Mentre per snellezze grandi la teoria Euleriana si avvicina al comportamento reale dell’asta. Basti pensare che la crisi di snervamento avviene per questo carico: $ 11.250 ? 355 ? 10| 3.994lm

Quindi si deve prestare attenzione all’uso dei programmi di calcolo, che ci forniscono il carico di Buckling di una struttura, infatti questo non è altro che il suo carico Euleriano. E se abbiamo a che fare con snellezze piccole, dobbiamo applicare dei coefficienti di sicurezza a che superiori a 3. Mentre per le strutture molto snelle, effettivamente il carico di Buckling si avvicina al carico critico reale, quindi riassumendo:

Y 5 p $ZY æ 3 4 Fino ad ora si è visto lì applicazione del metodo con la CNR10.011, ora vediamo di affrontare lo stesso problema con il D.M.2.008: çÆÊi/Á ni/Á 4ÀÁÏÑÒÓ Ó, ËÍ BC.4$ 1 $MM &4<G434jPCHPBP)G/334, , $*NN Y *M*&4<G434jPCHPBP)G/334z Prima di tutto si devono classificare la nostra sezione: la classificazione deve essere eseguita sia per l’anima che per le ali, chiaramente la classe della sezione sarà la più elevata tra le due. Siamo in compressione semplice quindi:

$$ → )ON 150 8,5 2n 2714 8,48 d_d5 9¦ 9F235 7,29 → yG/334

5 10¦ 8,1 → yG/3345 14¦ 11,34 → yG/334XP/;CPHyG/334.

$m­$ → )O 280 214 278,5 23,3 5 33¦ 26,73 → yG/3345 38¦ 30,78 → yG/3345 42¦ 34,02 → yG/334XP/;CPHyG/334.

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Quindi complessivamente la sezione si trova in III classe.

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Allora per la nostra sezione si deve considerare l’area totale, ora possiamo determinare il valore del coefficiente #: #å = 1å å" må"

¶!#,"&¶!#,á#[\\\\\\\\\\\\\] 11,92 1,92" 1,41" 0,31

d_då 12 1 =må" 0,2 må" 700**(*,YZ7q→t!,á[\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\] 12 v1 0,491,41" 0,2 1,41"w 1,92

må F$LM¶ F11.250 ? 3552.005 ? 10| 1,41

A questo punto mi posso determinare il mio carico critico lungo la direzione x: Y¶ #å $# 0,3111.250 ? 3551,05 ? 10| 1179lm

Facciamo le stesse operazioni lungo la direzione y: # 1 ·" m"³!#,"&³!#,á#[\\\\\\\\\\\\\] 10,92 0,92" 0,82" 0,75

d_d 12 1 =m" 0,2 m" 700*NM*,YZ7→t!,|á[\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\] 12 v1 0,340,82" 0,2 0,82"w 0,92

m F$LM³ F11.250 ? 3555.917 ? 10| 0,82

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Come al solito:

Y³ = # $# 0,7511.250 × 3551,05 × 10| = 2.853lm

Si osserva che il metodo del D.M.2.008 è meno cautelativo, rispetto al metodo del CNR10.011. L’applicazione appena vista fa riferimento alla semplice instabilità dell’equilibrio di tipo Euleriano, cioè senza tenere conto della deformabilità dell’asta a taglio. APPLICAZIONE II APPLICAZIONE II APPLICAZIONE II APPLICAZIONE II ----> ASTA CLASTRELLATA SOTTOPOSTA A CARICO CENTRATO P.> ASTA CLASTRELLATA SOTTOPOSTA A CARICO CENTRATO P.> ASTA CLASTRELLATA SOTTOPOSTA A CARICO CENTRATO P.> ASTA CLASTRELLATA SOTTOPOSTA A CARICO CENTRATO P. In questa tipologia di sezione, non posso più trascurare la deformabilità a taglio, quindi devo fare rifermento alla teoria dell’asta di Timoscenco.

Vediamo ora di definire le caratteristiche della sezione composta, e della singola IPE:

XPHiCG/X4jPCH4%200X355 →ddd_ddd $ = 2.850;;"°åå = 19.430.000;;á° = 1.420.000;;á

-å = F°$ = F1.420.0002.850 = 22,3;;- = F°åå$ = F19.430.0002.850 = 82,6;;

X4jPCH4)C;&C3O/(X355) →ddd_ddd

$MM = 2$ = 2 × 2.850 = 5.700;;"°åå = 2 × 19.430.000 = 38.860.000;;á° = 2 × 1.420.000 + 2 × $ × 100" = 59.840.000;;á-å = F°2$ = F59.840.0002 × 2.850 = 102,5;;- = F°åå2$ = F38.860.0002 × 2.850 = 82,6;;

y/<P)C3CGG4)PO/HO4m = 1.000lm Avendo accoppiato questi due profili la direzione di primo sbandamento non posso saperla a priori, mentre nella direzione y ho solamente a che fare con la rigidezza flessionale, nella direzione x oltre a questa devo mettere in conto la rigidezza tagliante.

100

200

P

x

y

IPE200

500

cm

ρx

ρy

ρx

ρy

ρx

ρy

200IPE200

Ellisse centrale d'inerzia della singola sezioneEllisse centrale d'inerzia della sezione composta

Cal

estr

ello

10mm

250

mm

I calestrelli sono posti ad uninterasse "i" pari a 100cm.

Sch

ema

stat

ico

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Vediamo a questo punto di calcolarci le nostre snellezze, nelle due direzioni principali:

QHiC±ℎC3CG/;4HO4QH)C;&C<O/;4HOCBPH/OQ</G433PCH/G4 →m = G³- = 5.00082,6 = 60,5 ­4HO<4GQHiCℎC)ℎ4 →3iÄ = F3i½ J »kiK½ 4ÇÉÇ»¼&Æ 49" + 44,8" + 43,8 = 66,7

àC.4dd_dd XH4GG4jj/%QG4<P/H/må = G¶-å = 5.000102,5 = 49

yCHO<PQOCB4G;CHO/HO4mM7M* = P-å = 1.00022,3 = 44,8yCHO<PQOCB4G)/G/3O<4GGC $MMPB°Y r!"∙ ##"∙#∙"A!"t.á#.tt [\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\] = 5.700 × 1.000 × 20026.041.667 = 43,8

Attenzione che nel calcolo del momento d’inerzia del calastrello si devono mettere in conto tutti e due. Quello che si nota immediatamente è che l’asta sbanda nella direzione x, al contrario delle nostre aspettative. A questo punto usando il metodo della CNR10.011, vediamo di determinarci il carico critico dell’asta calastrellata, nella direzione x:

à/OC)ℎ4mY = m = F % 75,7 *ß *0Y7M7*,YZ7(,3iÄ!..,¡[\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\]å = 1,497 Y¶ = $å = 5.700 × 3551,497 × 10| = 1.351lm ≥ m (6)

Ovviamente tutto questo viene ad essere riferito all’instabilità globale della struttura, infatti in teoria se il mio carico sollecitate m è inferiore al carico critico appenda determinato, dovrei stare tranquillo, ma purtroppo le aste calastrellate potrebbero presentare dei problemi di instabilità dell’equilibrio locale. Se metto il mio carico sull’asta calastrellata, la soluzione del primo ordine mi dice che sul singolo calastrello non arriva nulla, ma al momento dello sbandamento nasce una componente di taglio (pag. 60-61). Come avevamo già trovato il taglio può essere determinato con la seguente relazione: z = m100 = 1,497 × 1.000100 = 14,97lm

A questo punto vediamo ciò che accade a livello dei calastrelli:

V/2 V/2

V/2 V/2 7,49

14,97/2

N=74,9KNi=1

.000

mm d=200mm

M

3,7

5

7,49

14,97/2

7,49

N=74,9KN

3,7

5

P

500c

m

N

Vi=100cm

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Attenzione che ogni singolo clastrello si prende metà sforzo N: m¢2/0¢¢ m2 = 74,92 = 37,45lm

Nella sua verifica, dapprima si affronta la verifica della membratura costituita dal calastrello stesso (agli S.L.U.), dopo di che si passa alla verifica della collegamento con il montante, collegamento che può essere saldati o imbullonato, anche se è bene precisare che in strutture di questo tipo è preferibile la saldatura, o al limite le bullonature ad attrito. Nel calastrello abbiamo a che fare con una verifica a flessione più taglio, se quest’ultimo è inferiore alle metà del taglio resistente, si può trascurare l’influenza di quest’ultimo sulla resistenza a flessione. z> = $√3 = 2.500 × 355√3 × 1,05 × 10| = 488lm

Non servono altri commenti, passiamo alla verifica alla flessione (sezione rettangolare): ­> = â+ = (2 × 125 × 10 × 62,5)3551,05 × 10t= 52,8 ≥ ­ = 3,75lm;

Quindi la sezione dal calastrello è ampiamente verificata, passiamo ora al dimensionamento delle saldature, nell’ipotesi semplificativa che la saldatura verticale si porti via tutta l’azione tagliante, mentre le altre due assorbono l’azione torcente T=3,75KNm. X/GB/OQ</.4<OP)/G4 → \\ = zG ∙ / = 37,45 × 10|250 × / = 149,8/ ­/ →\\ ≤ #M QPHBP → 149,8/ ≤ 0,70 × 355 → / ≥ 149,80,70 × 355 = 9,6;; Essendo t=10mm, ci potremmo trovare in difficoltà, è comunque bene osservare che il nostro metodo di dimensionamento è a favore di scurezza. Vediamo le altre due saldature: X/GB/OQ<4C<PjjCHO/GP → \\ = G 1G# ∙ /# = 3,75 × 10|250 × 50 × /# = 0,3/# ­/

QPHBP → 0,3/# ≤ 0,70 × 355 →/# ≥ 0,30,70 × 355 ≈ 1;;

A parte i conti, che in quest’ultimo caso risultano poco significativi, quello che possiamo affermare che l’azione data dalla torsione è del tutto trascurabile: una saldatura a cordone d’angolo a pieno spessore è sufficiente ad assorbire le nostre sollecitazioni.

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INSTABILITA’ PER IMBOZZAMENTO E SVERGOLAMENTOINSTABILITA’ PER IMBOZZAMENTO E SVERGOLAMENTOINSTABILITA’ PER IMBOZZAMENTO E SVERGOLAMENTOINSTABILITA’ PER IMBOZZAMENTO E SVERGOLAMENTO.... Per introdurre il concetto dell’instabilità per svergolamento, prima devo richiamare il concetto di ingobbamento contrastato o impedito. Nelle ipotesi fondamentali della teoria del De Saint Venant nella torsione sono che:

p åß4ßBP.4<34B/j4<Cå = 0G/34jPCH4;/HOP4H4G/C<;/ß = 03P/;CH4GG²P&CO43PBPPHiC/;4HOCGP4<C Sempre nell’ipotesi del D.S.V. posso affermare quanto segue:

W² = BWBj = M 4BPHCGO<4¤ W′ û"¥ûû± BC.4 û"¥ûû± èG/QHjPCH4PHiC/;4HOCIt è il cosiddetto fattore di rigidezza torsionale ridotto, che è una grandezza sempre inferiore o tutt’al più uguale al momento d’inerzia polare Jp:

ddd_ddd

X4jPCHP/3P;;4O<P/)P<)CG/<4 → M °+ Þ<"B$ Þ" ±"B$ °åå °X4jPCHPi4H4<P)g4 → M °+' BC.4'èQH/OOC<4BPC<;/4)P4Hj/, 4Bè34;&<4;/iiPC<4BP1

X4jPCHP3COOPGP)ℎPQ34 → M = 4Ω"∮ 0MM!Y0M.[\\\] = 4Ω"O&

X4jPCHP3COOPGP/&4<O4 → M = 13¯ ℎ O |

Ma se siamo nel caso dell’ingobbamento impedito, ho che ¤ = 0in corrispondenza dell’incastro, per poi diventare diverso da zero in una sezione generica qualsiasi, ed è per questo che la sua derivata deve essere diversa da zero: ¨l = ¼©¼l ≠ Ë Æ»Éè[\]ºl = ¨l% ≠ Ë Quindi una delle principali ipotesi del De Saint Venant viene ad essere disattesa, il tutto si traduce in una struttura che risulta essere più rigida, in quanto uno spostamento che prima era possibile, ora viene ad essere impedito.

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Quindi la torsione ad ingobbamento contrastato, nasce dall’apposizione di vincoli diversi da quelli previsti dalla teoria del D.S.V. Consideriamo ora un’asta incastrata sottoposta ad un’azione torcente T, ed ipotizziamo che la sezione sia a doppio T con anima evanescente. Questo ci permette di trascurare la sua rigidezza a torsione: in modo semplificato possiamo pensare che l’azione sollecitante T sia assorbita solamente dalle ali. A questo proposito possiamo fare riferimento alla teoria di Navier:

ß3 = '@w G(°77 3 '@w G(##" O| 3 Definisco ¥ ∙ G, cioè il prodotto dell’azione torcente per la lunghezza, che in generale è B ªTdz, ed esso prende il nome di bimomento. Quindi il tutto si traduce in quanto segue:

ß3 ¥°773g ¬M + Y* +*w"[\\\\\\\\\\\\\\\\\\] ¥°77

3g Jg2 2gK Ed ora introduco un altro concetto: j ½Â Þʼ ©*0MY70[\\\\\\\\\\] 3 3 g2 Questo è il doppio dell’area settoriale definita dal raggio vettore r:

ºl ¥ ∙ 3°77 w"æ&jj!&ÅÕÅ ½½[\\\\\\\\\\\\] 5 ∙jÂ&jj

Abbiamo introdotto un altro concetto importante, cioè il momento d’inerzia delle aree settorialiJ­­, il quale viene ad essere definito dalla seguente relazione: &jj ®j½Ǽ QHiCPG&4<P;4O<C3B4GG/34jPCH4. Vediamo di dimostrare che ciò è vero:

° 2°*7 0Z* ÞJ3 g2K" OB3 2g"4 O ±3|3 ±²³² g"2 O|12

Come volevasi dimostrare, intanto possiamo osservare una importante analogia formale con la teoria del Navier: ß3 ¥ ∙ 3° 77æ 7\\\\\]ß± ­å°åå ±BC.4°åå ®±"OB3 Mentre se vogliamo determinare la rotazione W della sezione, dobbiamo definire la seguente relazione, ove si ricorre allo schema statico della mensola incastrata per determinare lo spostamento 8: Wj 28g N!|Lr[\\\] 2g gn j|3%°77 → Wj G 2g" G|3%°77 G|3%°

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Altra analogia che possiamo osservare con la teoria del De Saint Venat è la seguente: ¥ = ÞTdz :µCCB ðCõ [\\\\\\\\\\\]M_Oraderivoeottengo → Lµ 77æ 7Y[\\\\\\\\\\\\]B­åBj zå L’andamento lungo l’asta di Wj nelle due ipotesi presenta delle sostanziali differenze, ovviamente la soluzione reale sta nel mezzo. Potremmo anche in questo caso collegare l’andamento del parametro di spostamento W, e metterlo in relazione con una situazione

formalmente analoga,: à4C<;/O/G433PCH/G4 → zG|3%° 77æ 7Y\\\\\\\\\\]W G|3%° à4C<;/O/O/iGP/HO4 → z$ G 77æ 7Y\\\\\\\\\\] W M G Da un punto di vista analitico posso affermare che: à. X. z. . y. Cioè una parte della torsione sollecitante viene ad essere assorbita dall’asta con il meccanismo resistente della torsione ad ingobbamento impedito, e un parte secondo il

meccanismo resistente previsto dalla teoria del De Saint Venant. Ma vediamo di ricavare l’equazione differenziale che governa tutto il sistema nella torsione ad ingobbamento impedito. Ma prima di questo vediamo di ricavarci per l’equazione differenziale che governa il comportamento delle aste a flessione e taglio. XP&/<O4B/GG/B4PHPjPCH4BP)Q<./OQ</ → %°# ­ Y è[\] xi %& ¼½Á¼i½ Quella appena ricavata è l’equazione differenziale, di una trave puramente inflessa, che rispetta l’ipotesi Euleriana. A questo punto vediamo di introdurre anche la componente tagliante, cioè tengo conto della rigidezza tagliante dell’asta: B±B¸ Y è[\] B±B

­/&C33C/H)g4/4<;/<4)g4 z$∗ #z$ B±B 77[\\\]¹i 4n ¼Á¼i Dove in questo caso χ rappresenta il fattore di taglio che rende le tensioni τ energeticamente equivalenti a un γ costante medio. Se lungo l’asta non ho nessun carico esterno, posso ancora affermare quanto segue: BzB 0 7Z*0MZ *Yw*[\\\\\\\\\\\\\\\\\]B"­B" BzB 0 Derivando e sommando i due termini ottengo l’equazione della linea elastica di una trave che è deformabile sia a taglio che a momento (asta di Tmoscenco), quindi la linea elastica è descritta dalla dualità del suo comportamento: la deformata della sola componente tagliante è lineare, mentre quella flessionale presenta una linea elastica cubica: %&¼6Á¼i6 4n ¼½Á¼i½ Ë

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Vediamo ora di affrontare il caso della torsione, ed iniziamo dall’ipotesi del De Saint Venant: BWB = M Y è[\] ºi = ÄÇ ¼é¼i Se non ho nessuna azione torcente distribuita lungo il contorno posso anche affermare quanto segue: B 0 Y è[\] M B"WB" 0GPH4/4G/3OP)/GPH4/<4 Anche per la torsione ad ingobbamento contrasto posso parlare di una curvatura torsionale, comunque tagliando corto, la linea elastica torsionale generata da una torsione non uniforme, è data dalla seguente relazione:

%° BáWBá = 0/..PO/;4HOCOC<3PCH/G4)QP)C Anche in questo caso possiamo mettere assieme le due componenti, infatti in un’asta reale generalmente vincolata la torsione viene ad essere “assorbita” dai due meccanismi resistenti:

−%&jj ¼6é¼i6 ÄÇ ¼½é¼i½ Ë Prima di tutto tra le due equazioni differenziali notiamo una profonda similitudine formale, e ancora una volta si sottolinea come la torsione ad ingobbamento contrastato segua il comportamento della flessione nella teoria del D.S.V., allo stesso modo possiamo affermare per la torsione alla D.S.V., Ma vediamo che altro possiamo dire: %° B|WB| M BWB M*æ7Y7*MM*æ ( *M[\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\] ¥ %° B"WB" MW La soluzione dell’equazione differenziale che governa la torsione ad ingobbamento impedito, viene ad essere definita dalla seguente espressione:

Wj y#34Hg '#jG ( y")C3g '#jG ( y| jG yáBC.4# FMG"%° I primi due termini derivano dalla soluzione della torsione ad ingobbamento impedito, mentre i restanti dalla soluzione al D.S.V. Il coefficiente # può assumere i seguenti valori limite: 1X4# 03PiHPP)/)ℎ4M 0, 'QPHBPℎC3CG/;4HO4G/&<434Hj/BPOC<3PCH4/BPHiC/;4HOCP;&4BPOCX4# → ∞B4.C/.4<4G → ∞C&&Q<4° → 0, ℎC3CG/;4HO4OC<3PCH4/GG/à4X/PHOz4H/HO

Il momento d’inerzia delle aree settoriali ° è nullo per tutte quelle sezioni a geometria polare (oppure per tutte le sezioni a simmetria polare chiuse), cioè dove tutte le loro lamine convergono in un punto comune “O”, la torsione per queste sezioni segue la teoria del D.S.V., e l’ingobbamento è del tutto assente. D’altra parte posso affermare che per un mensola incastrata sottoposta a torsione, alla base di questa tutta l’azione torcente viene ad

essere assorbita dal meccanismo resistente della torsione ad ingobbamento contrastato. In termini di paragone, basti pensare che la mensola sottoposta all’azione V di taglio, alla base di questa, esso è assorbito dalla rigidezza flessionale, che è di molto maggiore rispetto a quella tagliante. Mentre all’estremità deve essere che ß = 0 (condizione al contorno) quindi l’ingobbamento è libero, allora tutta l’azione torcente viene ad essere assorbita dalla rigidezza torcente alla D.S.V.

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Qui affianco vengono ad essere rappresentate una situazione intermedia, e due situazioni estreme. Per arrivare ad una soluzione della nostra equazione differenziale, si devono fissare delle condizioni al contorno, a questo proposito si consideri un’asta incastrata di sezione generica. Nella quale il centro di pressione P, il centro di taglio C, e il baricentro della sezione non coincidono.

Vediamo qual è il sistema di sollecitazioni sulla mia asta (attenzione che in questa parte dell’esposizione si cambiano delle convenzioni nella circolazione degli indici):

1m = ; ­å = ∙ +; ­ = ∙ ±+zå z 0

Vediamo il nostro sistema di deformazione che caratterizzano la nostra asta:

p ­å = −%°åå ¤²² − yC;&CH4HO4G433PCH/G4GQHiC.­ = −%° »²² − yC;&CH4HO4G433PCH/G4GQHiC±.−%°W²²² MW²² 0 − /)C;&CH4HO4OC<3PCH/G4èHQGG/&4<P&CO43P. Ovviamente basterebbe integrare queste equazioni differenziali per determinare gli spostamenti, dovuti al carico P. Al momento dell’applicazione del carico P il sistema degli spostamenti è composto dalle componenti ¤, », W. A questo penso di applicare un carico critico Pcr, siccome siamo in un sistema perfetto, vado in biforcazione, a questo punto il modo di ragionare è del tutto similare al caso di asta Euleriana, si ipotizza che gli spostamenti abbiano un andamento sinusoidale: ¤, », W = $34H=j ¥)C3=j

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Imponendo il determinate della seguente matrice [3x3] uguale a zero, mi determino tre possibili carichi critici, ovviamente il minore dei tre è il nostro carico critico dell’asta:

Y → B4O uLM¶ − Y 0 −­0 LM³ − Y −­å−­ ­å YP" <å­å <­v 0 → Y; Y; Y ..P/;4HO4PG)/<P)C)<POP)C&4<G²/3O/èY = min[Y; Y; Y] Vediamo ora il significato dei vari termini che compaiono:

dd_dd LM¶ = "%°ååG¶" y/<P)C)<POP)C%QG4<P/HC

LM³ = "%°G³" y/<P)C)<POP)C%QG4<P/HC = "%°G0/" M 1P" y/<P)C)<POP)C%QG4<P/HCOC<3PCH/G4

R­å = + − Y­ = ±+ − ±Y ­å 4­ 3CHCP;C;4HOP<P4<POP/G)4HO<CBPO/iGPCy.

dd_ddP" = °+$ → P = F°+$ 'Q43OCèPG</iiPCB²PH4<jP/&CG/<4BC.4°+ = °åå + °

<å = Þ ∙ <"°åå B$< = Þ± ∙ <"° B$¼d½

d¾ /</;4O<Pi4C;4O<P)PB4GG/34jPCH4

Nell’esempio qui affianco vediamo che il parametro geometrico rx è nullo, infatti abbiamo a che fare con una sezione simmetrica. Dopo tutta questa filza di formule è meglio concentrarsi su un caso matematicamente più gestibile: sezione a doppio T caricata in modo baricentrico. Vediamo che cosa possiamo affermare:

p­å = ­å = 0­ = ­ = 0<å = < = 0 77[\\\] B4O uLM¶ − Y 0 00 LM³ − Y 00 0 ( − Y)P"v = 0 Il tutto si traduce in quanto segue: LM¶ − Y 'LM³ − Y( ( − Y)P" = 0

yPCè →pY = LM¶Y = LM³Y =

La prima cosa che salta all’occhio è che i carichi critici sono tra di loro disaccoppiati. In questo caso particolare l’asta può avere una instabilità torsionale senza che ci sia uno sbandamento.

Alla luce di queste nuove evidenze, vediamo di continuare il nostro esempio numerico sull’HEA300 (pag. 71).

G=P=C

x

y

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 84

ASTA HEA300 SOTTOPOSTA A CARICO CENTRATO P (PARTE II).ASTA HEA300 SOTTOPOSTA A CARICO CENTRATO P (PARTE II).ASTA HEA300 SOTTOPOSTA A CARICO CENTRATO P (PARTE II).ASTA HEA300 SOTTOPOSTA A CARICO CENTRATO P (PARTE II). Riprendiamo alcuni dati:

dd_dd

$))P/PCX3554510) → = 355­/O = 8,5;;;ON = 14;;; < = 27;;;$ = 112,5);" = 11.250;;"°åå = 186.230.000;;á; ° = 63.100.000;;á-å = F°$ = 74,9;;;- = F°åå$ = 128,7;;

Ed inoltre riporto il calcolo dei carichi critici Euleriani, determinati nella convenzionale ipotesi degli indici. LM¶ = "%°G¶" = "206.000 × 63.100.0008.000" × 10| = 2.005lm

LM³ = "%°ååG³" = "206.000 × 186.230.0008.000" × 10| = 5.917lm

Ora il nostro obbiettivo è quello di determinare il carico critico Euleriano torsionale , ma prima di questo affrontiamo il calcolo del momento d’inerzia delle aree settoriali °, e il fattore di rigidezza torsionale ridotto M (si applicherano le consuete relazioni per le sezioni sottili aperte). ° = ℎ"2 °7°7 w→ 0M7ß7M7 (7 Y*M **7 [\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\] = (280 − 14)"2 J 112 ∙ 14 ∙ 300|K = 1,114 × 10#";;t

M = 13¯ ℎ O | = 2 ∙ 13 ∙ 300 ∙ 14| + 13 (280 − 14 ∙ 2) ∙ 8,5| = 600.387;;á Prima di definire il calcolo per la determinazione del carico critico Euleriano torsionale, voglio definire la lunghezza libera d’inflessione torsionale. A dire il vero il problema non si pone nemmeno, perché per tutte le deformate (rotazioni e sbandamenti) ho imposto per ipotesi un andamento sinusoidale, il che in presenza di vincoli similari (da una parte devono bloccare le rotazioni, dall’altra gli spostamenti), la lunghezza libera di inflessione coincide con quella torsionale. = %2(1 + ¿) = 2060002(1 + 0,3) = 79.231­/

P" = °åå + °$ = 22.163;;" Bene ora abbiamo tutto per poter determinare il nostro carico critico Euleriano torsionale: = "%°G" + M 1P" = " ∙ 206.000 ∙ 1,114 ∙ 10#"8.000" + 79.231 ∙ 600.387 122.163 ∙ 10| = 3.743lm

P

300

280

P

x

y

HEA300

40

0cm

ρx

ρy

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Come possiamo osservare abbiamo sia una rigidezza all’ingobbamento contrastato, sia alla D.S.V., e si nota che la prima è poco efficace, infatti essa a differenza di quella del D.S.V. dipende dalla lunghezza dell’asta, Ma allora se ci poniamo nella condizione ° = 0, si osserva che il carico critico Euleriano torsionale non dipende più dalla lunghezza dell’asta, quindi per le aste tozze, è altamente probabile che divenga vincolate l’instabilità per torsione. Ora possiamo riassumere

la situazione della nostra asta:

pLM¶ = 2.005lmLM³ = 5.917lm = 3.743lm

--------------------------------------------------------------------------------- Tornando a palla alla nostra esposizione generale: nel caso di asta di sezione generica si può dimostrare quanto segue: Y = minY; Y; Y ≤ min[LM¶; LM³; ] Affrontiamo ora un altro caso particolare, quello di un’asta avente una sezione con un solo asse di simmetria, con carico centrato nel baricentro. In questo particolare caso ho che l’instabilità può

assumere due forme diverse, ad ogni modo per prima cosa che possiamo dire (si usa la convenzione degli indici girata): R ­ = ∙ ±+ = 0­ = ±+ − ±Y = 0R ­å = ∙ + = 0­å = + − Y = ∙ Y La nostra matrice diventa:

B4O uLM¶ − Y 0 00 LM³ − Y − ∙ Y0 ∙ Y ( − Y)P"v = 0 Vediamo che cosa posso scrivere: LM¶ − Y ÀLM³ − Y/ − ∙ Y ∙ Y ' − Y/( P"À = 0 LM¶ − Y k'LM³ − Y/( ' − Y/( P" + "Y"o = 0

Lasciando perdere i conti, posso già affermare quanto segue:

ç%|i − çÆÊÓ = Ë →çÆÊÓ = ç%|içÆʽ = çÆʾ = (… . ) ≤ Ò»Ö kç%|Á; çjo Quindi se lo sbandamento avviene in direzione x, lungo l’asse di simmetria, ho una instabilità di natura puramente flessionale, infatti lo sforzo di taglio che nasce al momento dello sbandamento presenta braccio nullo rispetto al centro di taglio C. Mentre se lo sbandamento avviene nell’altra direzione, nasce una componente torsionale, quindi il nostro sbandamento è di natura flesso-torsionale. E questo dipende sia da LM³, sia da , ovviamente avremmo a

λ

P

106,8

2.005

P =3.803

5.917

62,2

P =3.747<Pyω y

y

x

G=P

CTaglio

xx

y

y

GC.T.

Instabilitàflesso-torsionale

Componente di taglio che nasceal momento dell'instabilità.

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che fare con una espressione quadratica, quindi la normativa ci viene in aiuto definendo un metodo convenzionale:

Y/ < LM³ = "%°ååG³"+ær¶¶!7s³[\\\\\\\\\\] "%m" $GGC</&C33C/4<;/<4çÆʽ/¾ +½%3ÃÁ½ BC.43ÃÁ f 3Á

Quindi la CNR 10.011 afferma quanto segue: “Per la verifica all’inflessione laterale in una direzione non coincidente con un’asse di simmetria ortogonale alla sezione, in assenza di una analisi più rigorosa, relativamente all’effetto combinato di flessione e torsione, possiamo ancora fare una verifica convenzionale con il metodo , ma adottando una snellezza equivalente, correlata alla snellezza effettiva”. R 3ÃÁ 3pÃÊ3 5 ÓËË3ÃÁ Ó, ½3− ½ËpÃÊÓËË ≤ 3 ≤ ½ËË Quindi alla fine della fiera il mio carico critico Y/ si riduce alla trattazione di una normale

carico critico flessionale. --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Vediamo ora un altro caso simile… Questo è il caso tipico delle colonne di un capannone soggette ai carichi verticali e alla spinta del vento orizzontale. E’ del tutto simile al caso dell’asta con freccia iniziale diversa da zero (pag. 60). Come si è già visto a seguito del carico N, ho una amplificazione della freccia iniziale: fAC_ f1 − ÂÂbà 4<m → N:ÅhochefAC_ → ∞

Per trovare il carico critico della mia asta devo inserire nella mia matrice, un certo carico P, un certo momento M, trovare il determinante e porlo a zero. Ma se ho a che fare con una sezione semplice, come le sezioni a doppio T, la normativa mi permette di semplificarmi la vita. Se lo sbandamento lungo y è puramente flessionale (V passa per il centro di taglio), si deve comunque tenere conto nella verifica dell’incremento di tensione, dovuto amplificazione della freccia iniziale . Allora la normativa mi permette di applicare il metodo ancora una volta: = åm$ ­å,Låâå J1 − Æ©ÇÈ©³K + ­,Lâ J1 − Æ©ÇÈ©¶K Allora vediamo di fare un po’ di chiarezza, infatti se stessimo facendo una verifica tensionale del primo ordine, il tutto si ridurrebbe a questo: = m$ + ­ååâå

Quelli che vengono aggiunti sono dei fattori amplificativi, il primo deriva direttamente dal metodo omega, ed è å, infatti esso è dovuto allo sbandamento lungo la direzione x (ove la snellezza è maggiore), anche se al dire il vero in questa direzione avrei uno sbandamento di tipo

G=N=Cx

y

q

G=Cx

y

N

f

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flesso-torsionale, quindi dovrei usare un *. Il secondo fattore è certamente più interessante, infatti oltre al momento del primo ordine (dove si utilizza anche il fattore di adattamento plastico å), abbiamo un coefficiente amplificativo

##ÉÊÇÈʳ che tiene conto della nascita di un momento del

secondo ordine. ¿ è un coefficiente che tiene conto della modalità di verifica, se siamo agli S.L.E.C.R., ¿ vale 1,5, altrimenti lo si pone pari a 1 per gli S.L.U. E’ del tutto evidente che una verifica che tiene conto dell’instabilità deve essere eseguita agli S.L.U., essendo a tutti gli effetti un meccanismo di rottura della struttura. I più attenti avranno notato la presenza di una diversa identificazione del momento da inserire nelle relazioni: se dobbiamo fare una verifica locale delle tensioni, è chiaro che dovrò fare

riferimento al momento massimo (classica verifica tensionale del primo ordine), ma l’instabilità è un fenomeno globale, e come tale deve essere trattato. Quindi il momento equivalente è un momento che presenta un modulo inferiore al momento massimo, ma viene ad essere considerato costante su tutta la lunghezza dell’asta. Ancora una volta la CNR10.011 ci viene in aiuto:

­C;4HOC&/</CGP)C p­L 1,3­¬* → ­¬* 23­7å0,75­7å 5 ­L 5 ­7å

­C;4HOC/)Q3&PB4 p­L 1,3­¬* → ­¬* 12­7å0,75­7å 5 ­L 5 ­7å

­. /./<P/jPCH4GPH4/<4 1­L 0,6­# 0,4­" → |­#| f |­"|­L h 0,4­#

Nell’ultimo caso la CNR tiene conto anche della possibilità che i momenti possono essere opposti in segno, ad esempio nelle colonne che fanno parte di telai. -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Ultimo caso notevole di instabilità nello spazio è quello che avviene per la presenza della sola flessione (anche in questo caso gli indici sono girati). Allora per nostra ipotesi ho che: 1 0­å 0

Il mio obiettivo ora non è quello di cercare una carico critico, ma bensì un momento critico Euleriano ­Y³. Quindi la mia matrice assume il seguente aspetto: B4O Ë LM¶ ­Y³­Y³ P" Ì 0 →LM¶P" ­Y³" 0 xÆÊÁ ·ç%|i ∙ çj ∙ »Ë½ F+½%&iiÕËi½ ∙ +½%&jjÕËÇÉÊ»ÉÖÅÕý ÄÇ

Ma vediamo ora di dimostrare la relazione appena ricavata per via analitica, supponiamo che la nostra anima si evanescente, quindi la mia sezione sarà alla fine costituita da due lamine nello spazio. Supponiamo che la lamina superiore compressa spandi in direzione x (non potrebbe fare altrimenti), notiamo subito che il baricentro della sezione oltre a spostarsi (instabilità flessionale), tende anche a ruotare (instabilità torsionale), quindi la nostra sezione è soggetta ad una instabilità flesso-torsionale.

G=Cx

y

M yM y

M y

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A questo punto posso esprimere il mio momento critico di svergolamento, esso sarà quel momento farà raggiungere il carico critico dell’ala, infatti anch’essa può essere trattata secondo la teoria Euleriana (ipotesi di sbandamento sinusoidale):

­Y³ = mY¶7°7 ∙ g "%°åå7°7G¶" gBC.4°åå7°7 112 O| Questa relazione ha una sua validità generale, ma nel caso delle sezioni a doppio T, posso affermare quanto segue: °åå 2 ∙ °åå7°7 ° g"2 °åå7°7 G¶ G0/2¢

Quindi se mettiamo assieme il tutto, e sostituisco nella relazione trovata analiticamente:

xÆÊÁ F"%°ååG¶" ∙ "%°G0/2¢" M F2"%°åå7°7G¶" ∙ "%°åå7°7g"2G¶" M "%°åå7°7G¶" ÍÎg" 2MuLr¶¶ÏÐÏ2¶Ñ

ÆÊi44 ∙ FÓ ½ÄÇÆÊi44 ∙ ½ Questo è il momento critico determinato nell’ipotesi di asta avente una sezione a doppio T

(attenzione che h è la distanza tra i baricentri delle ali), ma se imponiamo il fattore di rigidezza torsionale Mpari a 0, ecco che ritorniamo all’ipotesi di sezione con anima evanescente (rigidezza alla torsione alla D.S.V. nulla), come volevasi dimostrare. Se invece ho a che fare con un M ú 0 e un ° 0 (vedi relazione generale nella pagina precedente), stiamo chiaramente operando a vantaggio di sicurezza, in questo caso la sezione si comporta secondo quanto previsto dalla teoria del D.S.V., quindi la sezione ruota senza deformarsi.

­Y³ ·LM¶ ∙ ∙ P" F"%°ååG¶" ∙ "%°G0/2¢" M rÒÒ![\\\] F"%°ååG¶" M %G¶ F% °ååM Andiamo a scrivere questa relazione per una sezione a doppio T, sempre nell’ipotesi di ° 0. °åå 2 ∙ 112 ∙ ON ∙ |; M 13¯ g O | 2 ∙ 13 ∙ ∙ ON| /HP;/, )g4O</3)Q<C; % 121 ¿ A questo punto introduco un nuovo concetto, in altri termini metto in relazione il mio momento critico di svergolamento con quello di snervamento, tramite un coefficiente #. xÆÊ xÁjÓ ÓÀÁjÓ )PCèjÓ ÓÀÁxÆÊ

M M

N N

NNM=Nh

Animaevanescente

b

t

ϕ

N

N

x

y

G=Cx

y

M y

b

h

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Questo è lo stesso concetto visto nella compressione, solamente che in questo caso viene ad essere applicato alla flessione, bene vediamo di fare un po’ di conti:

â = °ℎ = ONℎ 00M MZ 0Y[\\\\\\\]jÓ ONguL2¶ F' ∙M¬∙(('∙(∙M¬("#³Æ

ONgG¶% ∙ "ON" 321 + ¿)= % 32(1 + ¿)ØÙÚ!#,Aá+*Æ!,|

G¶ℎON = Ó, Í6ÀÁ% ÕËi yÇÀ Dove G¶ è la lunghezza libera di sbandamento dell’ala superiore (quella compressa), come

possiamo osservare maggiore è l’altezza della sezione, maggiore è la tendenza allo svergolamento, così come se la lunghezza è elevata. Mentre l’instabilità allo svergolamento è minore se la larghezza/spessore della piattabanda è maggiore. Ma vediamo che cosa dice la CNR 10.011 a proposito:

¹ÃÊ»À»Æ ÃÅÈÕ»z..|. → d_d x%Ô ≤ xÆÊ = ÓÀÁjÓº = jÓx%ÔÓ ≤ ÀÁ¼ = ÀÁÏÑÒË

Anche in questo caso si fa riferimento a un momento equivalente, dato che l’instabilità dell’equilibrio è un fenomeno di natura globale, ovviamente se devo fare una verifica tensionale locale, devo mettere in conto il momento massimo. Per travi caricate secondo in corrispondenza dell’asse baricentrico, i valori del coefficiente #, possono essere determinati anche nell’ipotesi di anima avente una certa rigidezza (evidenze sperimentali): jÓ Ó,¡ÓÀÁ% ÕËi yÇÀ ASTA HEA300 SOTTOPOSTA A FLESSIONE PURA (PARTE III).ASTA HEA300 SOTTOPOSTA A FLESSIONE PURA (PARTE III).ASTA HEA300 SOTTOPOSTA A FLESSIONE PURA (PARTE III).ASTA HEA300 SOTTOPOSTA A FLESSIONE PURA (PARTE III).

A questo punto vediamo di riferire le nostre relazioni in ragione del nostra personale rotazione degli indici.A dire il vero quello che ci interessa è determinare il valore del momento critico che porta allo svergolamento della piattabanda compressa, è del tutto evidente che nel nostro caso questo è il momento ­Y¶, il quale è legato al carico Euleriano in quella stessa direzione, e ovviamente al carico critico torsionale Euleriano.Prima di tutto ho la relazione

ricavata analiticamente che esprime il nostro momento critico di svergolamento Euleriano: xÆÊi = ·ç%|içj»Ë½ = F+½%&ÁÁÕËi½ ∙ +½%&jjÕËÇÉÊ»ÉÖÅÕý ÄÇ Attenzione che il carico critico Euleriano LM¶ è stato calcolato a suo tempo per una lunghezza

libera di inflessione di 8.000mm, ora la situazione non cambia perché abbiamo a che fare con un’asta incernierata lunga 8 metri. Questo è il momento critico ricavato nell’ipotesi di asta perfetta, poi abbiamo altre due ipotesi di calcolo: &CO43P → M 0 → xÆÊi = ÆÊi44 ∙ = +½%&ÁÁ44ÕÉi½ ℎèG/BP3O/Hj/O</P/<P)4HO<PB4GG4/GP

&CO43P → ° = 0 →xÆÊi =ÓiÀÁjÓ = &ii ∙ % ∙ y ∙ ÇÀÓ,¡Ó ∙ ÁÒÅi ∙ ÕËi ∙

G=Cx

y

M xM x

M x

800cm

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Vediamo ora di fare quattro conti:

­Y¶ = ·LM¶P" = 2.005 × 3.743 × 22.163 × 10á = 407,83lm;

&CO43PM = 0 →­Y¶ = "%°7°7G¶" ℎ = "206.000 ##" ∙ 14 ∙ 300|8.000" × 10t (280 − 14) = 266,18lm;

&CO43P° = 0 →­Y¶ = °åå ∙ % ∙ ∙ ON1,71 ∙ ±7å ∙ G¶ ∙ ℎ = 186.230.000 × 206.000 × 300 × 141,71 × 140 × 8.000 × 280 × 10t = 300,47lm;

La normativa mi consente di utilizzare uno degli ultimi due metodi, chiaramente a favore di sicurezza conviene preferire quello più vincolante. I momenti critici così trovati vanno messi a

confronto non con il momento massimo agente, ma con quello equivalente, sempre nell’ottica di considerare l’instabilità un fenomeno di natura globale (in questo particolare caso il confronto deve avvenire con ­å, dato che il momento è comunque costante). Altra questione riguarda la posizione del carico, infatti tutta la teoria fin qui vista si riferisce ad una posizione baricentrica del carico, ora se siamo in questa particolare condizione, oppure con carico “appeso” il coefficiente da utilizzare è sempre #, ma se il carico è in

sommità (come sempre accade), ho una condizione che favorisce l’instabilità dell’equilibrio dell’anima, e quindi lo svergolamento. In questa particolare condizione # deve essere amplificato di una fattore pari a 1,4. LO SVERGOLAMENTO VISTO DAL D.M. 2.008.LO SVERGOLAMENTO VISTO DAL D.M. 2.008.LO SVERGOLAMENTO VISTO DAL D.M. 2.008.LO SVERGOLAMENTO VISTO DAL D.M. 2.008. La CNR affronta il problema dello svergolamento con il metodo #, mentre il Testo Unico affronta lo stesso problema in modo diametrale, proponendo un metodo #, in maniera del tutto simile a quanto visto per l’instabilità per compressione centrata. Il momento critico è dato dalla seguente: xÆÊ n.º.ÓÁÀÁÏÑÒÓ = n.º.xÁ hxz¼xÅi Il coefficiente n.º.è il fattore di instabilità laterale, ed è sostanzialmente l’inverso di #, ed esso viene ad essere fornito dalla seguente relazione:

#°.@. = 1 1°.@. + ·°.@." − m°.@." = 1 #°[email protected]_dd m°.@. = F â­Y*70M Y = â·LM¶P"°.@. = 12 1 + =°[email protected]°.@. − m°[email protected]+ m"R = 1m°[email protected] = 0,2=°.@.èPG/OOC<4BPP;&4<4jPCH4(&/i. 66)

Come al solito il D.M.2.008 ci riempie di formule, ma alla fine la minestra è sempre quella. Si deve dire che il fattore f tiene conto della reale distribuzione dei momenti, mentre m°.@. è la snellezza adimensionale, cioè il rapporto tra il momento di snervamento e quello di svergolamento Euleriano. Ora con qualche passaggio possiamo vedere di ricondurci al solito metodo # definito dalla CNR10.011: ­Y 1 #°.@.­ ≥ ­¬7å Y è[\] #°.@.­ ≥ ­¬7å = ­L Come volevasi dimostrare.

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 91

PROBLEMI PRATICI.PROBLEMI PRATICI.PROBLEMI PRATICI.PROBLEMI PRATICI. Torniamo ora al caso di sezione a doppio T con anima evanescente, da un punto di vista prettamente torico la piattabanda superiore tende a sbandare anche in assenza di carico, quindi in tutte le travi a doppio T, nelle sezioni di testa devo mettere dei piatti con la funzione di mantenere la forma della sezione. Questa è la loro prima funzione, ma la seconda è anche quella di distribuire il carico che arriva dall’appoggio, per prevenire fenomeni di imbozzamento dell’anima (che vedremmo più avanti). Messi questi due irrigidimenti di testa, la piattabanda

compressa tende comunque a sbandare, in ragione della sua lunghezza libera di inflessione G¶. E questa

lunghezza libera di inflessione dipende dalla natura dei vincoli. Quindi nel caso di trave in semplice appoggio, si ragiona in modo del tutto similare al caso dell’instabilità di equilibrio di un’asta semplicemente compressa. Ma se passiamo

a una trave su più appoggi la faccenda si fa più complicata, infatti il momento cambia di segno, quindi in alcuni tratti avremmo l’ala superiore compressa, in altri quella inferiore. Il problema viene ad essere risolto individuando i punti di flesso della trave, cioè i punti ove il momento si annulla. Una volta individuati si inseriscono delle cerniere, quindi le lunghezze libere di inflessione risultano univocamente determinate.

Ovviamente questa è una soluzione convenzionale ed approssimata, perché lo sbandamento delle ali nei tratti individuati non può essere paragonato a quello che avviene se gli estremi fossero liberi di ruotare, ma siamo comunque a favore di sicurezza.

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 92

Tra i nostri profili laminati troviamo le travi IPE, che sono ottimizzate per resistere all’azione flettente, ma soffrono in modo particolare l’instabilità per svergolamento, infatti questo si presenta ben prima del raggiungimento della tensione di snervamento per l’ala compressa. Quindi si devono porre in essere delle soluzioni di vincolo alla traslazione laterale delle ali comprese nelle nostre travi. Questo viene ad essere realizzato ad esempio costituendo dei sistemi di controvento di testata, con lo scopo di creare dei punti fissi, ai quali viene collegato un traverso che blocca lo sbandamento delle ali. Questo traverso ovviamente deve saper resistere a compressione senza andare in instabilità, altrimenti se voglio utilizzare una fune, devo creare due controventi di testata, che funzionano in modo duale. Appare del tutto evidente che il traverso compreso nel campo controventato deve essere rigido, per impedire la “chiusura” del controvento. Da un punto di vista puramente teorico, i traversi andrebbero collegati a livello delle ali, ma ciò presenta dei problemi costruttivi, quindi la seconda soluzione sarebbe quella di collegare direttamente le anime, ma questa soluzione presenta un grado di efficacia certamente inferiore. Infatti l’anima può sbandare ancora, quindi si deve mettere degli irrigidimenti d’anima (dei piatti) che la vincolino. Ovviamente un altro modo di vincolare le piattebande compresse (in

questo caso mi riferisco a un solaio), è quello di costituire una soletta di calcestruzzo collegata in modo solidale con le travi di acciaio tramite l’uso di pioli Nelson, in questo caso si va a costituire un controvento continuo. Altra soluzione è quella di mettere dei traversi che presentino una certa rigidezza flessionale, questo permette di bloccare l’anima, in modo del

tutto simile ai piatti d’anima, anche se questa soluzione presenta il vantaggio di far lavorare assieme le travi a coppie. Ovviamente l’uso di un traverso di questo tipo (che alla fin dei conti è una normale trave IPE), è possibile se l’altezza delle travi principali è limitata, ma se ad esempio avessi a che fare con capriate, o con travi reticolari in genere, ma anche con travi da ponte, devo

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 93

utilizzare dei sistemi di controventamento (alla fine il loro funzionamento è similare a quello di un traverso rigido). INSTABILITA’ PER IMBOZZAMENTO.INSTABILITA’ PER IMBOZZAMENTO.INSTABILITA’ PER IMBOZZAMENTO.INSTABILITA’ PER IMBOZZAMENTO.

Questo tipo di instabilità interessa le lamine, quindi non abbiamo più a che fare con corpo monodimensionale, ma il problema si trasferisce sul piano. In linea del tutto generale posso affermare che l’instabilità dipende dallo stato tensionale agente, dalle condizioni di vincolo, e il rapporto tra lo spessore t e le dimensioni del panello, cioè dalle due snellezze. Qui affianco abbiamo un caso particolare: una lamina perfetta in semplice appoggio, caricata nel suo piano, quello che andremmo a cercare è la sua instabilità per biforcazione, in altri termini andremmo a ricercare il carico critico Euleriano. Come osserviamo l’unico spostamento possibile è quello ortogonale alla lamina, in direzione z, individuato dalla componente dello spostamento w. A questo punto si procede come si era fatto con l’asta di Eulero, si considera una condizione di equilibrio differente da quella del primo ordine,

in altri termini si scrive la condizione di equilibrio nella configurazione deformata: %°Õ²² = Õ * Z*M*[\\\\\\\\\\\] Õr %°Õ Questa non è altro che la configurazione di equilibrio scritta nella condizione deformata, ovviamente qui abbiamo a che fare con due curvature nelle direzioni principali, quindi per la nostra lamina il tutto assume la seguente forma:

∇"∇"Õ åOà û"Õû"×+*7M*7+7Y 7∇! ØØå³ ØØ[\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\]Ù6ÚÙi6 ½ Ù6ÚÙi½ÙÁ½ Ù6ÚÙÁ6 ºiÇ Ù½ÚÙi½

Notiamo subito delle importanti similitudini con il caso monodimensionale, prima di tutto åO, mentre à LM#"#Æsarebbe il nostroEJ, in questo caso il nostro E viene ad essere diminuito per tenere in conto della contrazione laterale impedita (siamo in uno stato piano),

mentre il J è espresso per unità di lunghezza della lamina (J D#").Ovviamente per trovare la

soluzione a questa equazione differenziale devo introdurre le mie condizioni di vincolo e ipotizzare una condizione di spostamento w di natura sinusoidale nelle due direzioni principali: Õ; ± = Õ34H ';/ ( 34H 'H±ℎ (Si tratta dell’equazione di una superficie doppiamente sinusoidale, mentre Õ è lo spostamento iniziale, ed inoltre m ed n sono dei numeri naturali che rappresentano il numero di onde che nelle due direzioni. Ora nell’equazione differenziale scritta in precedenza ho ipotizzato la presenza

y

x

σx σx h

a

σy

σy

τxy

τyx

y

x

σx σx h

a

σy

σy

τxy

τyx

w

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della sola σ_, da questo e considerando le mie condizioni al contorno appena poste, posso giungere alla mia soluzione:

Y = OY = "à/";" ;"/" H"g"" Y è[\] ºÆÊ +½Å½Ò½Ç ҽŽ Ö½ ½½ Ovviamente noi cerchiamo il carico critico minore, tra tutti i possibili, questo lo otteniamo sicuramente ponendo H = 1, ed esso rappresenta l’unica soluzione, quindi lungo la direzione y ho solamente una semionda, mentre valutare il valore di m, è più complesso, dato che lo troviamo sia a numeratore che a denominatore. Per risolvere il problema facciamo qualche passaggio:

ºÆÊ = "à/";"O ;"/" + H"ℎ"" × ℎ"ℎ" æ !# * Ü2!uMw[\\\\\\\\\\\\\\\\] = Y2 /"ℎ";" ;"/" 1ℎ""

= Y2 /"ℎ";" ;á/á + 2 ;"/"ℎ" + 1ℎá= Y2 ;"ℎ"/" + 2 + /";"ℎ" >7++M æ**M Y Ý!7w[\\\\\\\\\\\\\\\\\\\] = ºÆÊË JÒÑ ÑÒK½ ºÆÊËèºÒ

Ma vediamo meglio che cosa rappresenta Y2: ºÆÊË %O|12(1 − ¿") "Oℎ" = "%12(1 − ¿") O"ℎ" 7++ 7 Yw* !wM[\\\\\\\\\\\\\] = uL#"#Æm" ≅ ÓÌ.. ËËË JÇ K½

Si tratta del carico critico Euleriano di una lamina in direzione h, di lunghezza infinita, infatti esso non dipende neanche da a. Questo carico critico Euleriano è associato a una deformazione cilindrica di una lamina poggiante solamente su due dei quattro lati. È del tutto evidente che il lÜ è un fattore, definito coefficiente di imbozzamento, che tiene conto delle condizioni di vincolo, per determinare il nostro carico critico, ne devo valutare il minimo valore.Quindi devo porre «Þ 0, da questo trovo che quando ; = 1,2,3,… , H (H/OQ</GP, abbiamo il minimo della

funzione per: lÜmin = 4 Per aver vincolato la nostra lamina sui quattro bordi, ottengo un carico critico che è pari a quattro volte il carico critico Euleriano Y2.Quindi a

parità di h abbiamo una serie di soluzioni deformative legate alla lunghezza della lastra a, e per rapporti a/h interi abbiamo il carico critico minimo. Quindi per rapporti

Cß < √2, il carico

critico minimo viene dato per m=1, mentre per √2 < Cß < √6 lo si ha per m=2, e così via. Per Cß > √12 abbiamo che il carico

critico si mantiene su valori approssimativamente constanti, quindi lungo l’asse x avremmo

K

a

m=1m=2m=3 m=4

4

1 2 3 42 6 12h

σ

σx σx

ah =1

σx σx

ah =1,8

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 95

delle semionde di ampiezza comparabile a quelle lungo y. Si osservi inoltre che lo sbandamento complessivo avviene approssimativamente su perimetri qudrati.

Quello che si è appena definito è il carico critico legato ad una azione assiale, in direzione x o y, ma tutti questi ragionamenti possono essere anche fatti per una lastra sottoposta univocamente ad azioni tangenziali. A questo proposito possiamo dimostrare che:

¿iÁÆÊ = lÛ "àOℎ" = 迺ÆÊË Per lÛ sono state trovate le seguenti soluzioni: çÃÊÅ h Ó ÂÃÈ-Ã[\\] è¿ = Í, ¾6 6g½Å½ º»ÒÉÂÆÃÖÆÉçÃÊÅ → ∞ ÂÃÈ-Ã[\\] è¿ = Í, ¾6XCGQjPCH4O4C<P)/Come si può osservare l’instabilità viene ad essere raggiunta per carichi più elevati rispetto al caso precedente, infatti il perimetro di sbandamento ora è definito da una sezione triangolare, quindi il sistema è complessivamente più rigido. Fino ad ora è stata considerata una lamina piana senza imperfezioni e senza ulteriori considerazioni sul materiale, e i suoi limiti, quindi tutte le soluzioni fin qui trovate si fondano sulla classica teoria Euleriana. In modo del tutto simile a quanto fatto con le aste, si deve tenere conto del limite di

snervamento del materiale, quindi tra la condizione di instabilità Euleriana, e il limite allo snervamento, abbiamo una curva Y∗ . Ho bisogno di una relazione che consideri questa interazione, da una parte, e che tenga conto della presenza di stati tensionali misti (tensioni tangenziali, tensioni normali) dall’altra. Per esprimere questa relazione si prende in considerazione un coefficiente , che esprime la tensione di compressione in funzione di quella di trazione, ed esso assume i seguenti valori: −1 ≤ ≤ 1BC.4 1 = −1PH)/3CBPG433PCH434;&GP)4 = 1PH)/3CBP)C;&<433PCH434;&GP)4 Se = 1 la verifica si svolge nei termini seguenti: ≤ lÛY2 = Y ≤ lÜY2 = Y§ X4 = 1 Ovviamente devo trovare una relazione che abbia una valenza generale, anche per valori di diversi da 1. J YK" + J1 + 2 K åYØÙÚZM77Y+*00 *0*+ Y*

− J1 − 2 K JåYK"ØÙÚ ≤ 1ZM77N*00 *0*+ Y*

Come si può osservare questa è una relazione di iterazione, ma ancora essa non tiene conto dello snervamento, cioè dei limiti del materiale, quindi dobbiamo introdurre una tensione ideale , ad esempio quella definita da Von Mises. Prima di fare questo vediamo che la relazione precedente descrive un campo resistente di forma circolare, anche se con curvature diverse in ragione di .

τ

ah

τxy

yx

τxy

τyx

σcr

yf0,8 yf

Iperbole che esprime il caricoEuleriano

σcr*

ht=λ

NA

MW

σ

ψσ

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 96

Adesso definiamo un generico vettore sollecitante X, e il corrispettivo vettore resistente associato, la CNR10.011 definisce il seguente coefficiente di sicurezza:

ÑÔ = à~àz = ºÆÊĺ½ ¾¿½ h Ðá Si tratta di una normale relazione di verifica, dove ovviamente ¿ h 1, la tensione critica ideale è quella tensione critica determinata nell’ipotesi di tensione normale e tangenziale contemporaneamente presenti:

dd_dd ú 0 4 ú 0 77[\\\] Yâã = √" 3"

#³äá ÜÜ ·'|äá ÜÜ(" ' ÛÛ(" √" 3"#³äá ÜÜ2«Þ FJ|äá ÜÜ2«ÞK" J ÛÜ2«åK"

X4 = 0 /GGC</ Yâã = √3Y √3Y2lÛX4 = 0 /GGC</ Yâã = Y = Y2lÜ

Come possiamo osservare questa tensione critica ideale non tiene conto dei limiti del materiale, ma esprime ancora una tensione critica Euleriana, infatti se la nostra tensione critica ideale supera la tensione di proporzionalità pari a 0,8, deve essere corretta (nella CNR si trova anche una tabella in merito):

X4 Yâã h 0,8 /GGC</ 3P /33Q;4 QH/ Yâã,È002 = 20 F25 15 J N³ÜâãK"

25 J N³ÜâãK"

Per definire la verifica in modo compiuto ci manca da vedere che cosa sono i parametri e ¿: ¿ 1,5 → . $. )CHBPjPCHP BP )/<P)C 1,33 → . $. )CHBPjPCHP BP )/<P)C 1 → X. .. © 0,8¬© ¬ 34 = = /ℎ ≤ 1,5

1 34 = = /ℎ > 1,5 (/;PH4 GQHig4 Dove © e ¬ sono delle tensioni medie dovute rispettivamente allo sforzo normale e al momento. Ma vediamo di ricapitolare il tutto, dato che la procedura non è una delle più semplici, prima di tutto ci dobbiamo determinare Y2, e i parametri lÛ e lÜ, fatto questo possiamo

passare al calcolo della Yâã in funzione delle tensioni presenti, se questo supera la tensione di 0,8, dovrà essere ridotto. Poi si passa a determinare i valori di ¿ e , e a questo punto potremmo utilizzare la nostra relazione di verifica. Quindi se ho una trave alta, o formata da profili saldati tra di loro, potrei avere dei problemi di imbozzamento, a dire il vero tutte le sezioni classificate in classe III e IV (sezioni snelle) potrebbero presentare dei problemi di instabilità locale. Supponiamo ora di avere una sezione che non risulti verificata ad imbozzamento, il primo intervento possibile è quello di mettere degli irrigidimenti che bloccano l’anima, ovviamente la verifica dovrà essere eseguita in corrispondenza dei panelli di irrigidimento, se ancora questo non è sufficiente, si mette un ulteriore irrigidimento orizzontale (vedi figura).

τ τcrit

σσcrit

0

S

R

ψ=1

ψ=−1

1

1

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 97

Ma attenzione che questi irrigidimenti devono essere saldati in modo sfalsato, altrimenti la saldatura potrebbe indebolire l’anima, o peggio ancora creare un taglio della stessa. Altra questione da tenere in considerazione è la verifica per carichi concentrati (vedi CNR per le formule), in questa sede è sufficiente affermare che in queste verifiche l’area resiste in corrispondenza degli irrigidimenti è quella campita in blu.

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 98

Qui possiamo osservare il problema dell’instabilità della instabilità dell’equilibrio equilibrio di un piatto d’anima compreso in un nodo, si tratta anche questo di un fenomeno di imbozzamento. La soluzione è rappresentata dall’inserimento di piatti di irrigidimento, anche se nel “Caso 1°” la loro funzione è di impedire lo svergolamento delle ali collegate. Per evitare problemi con le saldature che

si fanno difficili, posso andare a chiudere il nodo con un piatto (si costituisce una struttura scatolare).

τ

Meccanismo di imbozzamento dell'anima

τ

L'anima imbozza entrando nel piano

L'anima imbozza uscendo dal piano

Zona tesa(biella tesa)

Zonacompressa

Vista laterale con il meccanismo resistente del secondo ordine.

Piatti (ritegni) che costituisconouna biella compressa

H

1-1,5H

Bielle tese

Irrigidimento che impedisce all'anima disbandare localmente, per carichi agenti sullembo superiore

Vista in pianta.

t

15xtPiatto di collegamento con la piattabandainferiore tesa

Sezioni sagomate a freddo

Bordo di irrigidimento

Aree da epurare dalla sezione,in quanto soggette ainstabilità

Classici irrigidimenti nellesezioni sagomate a freddo

Irrigidimenti sulle colonne.

Piatti di irrigidimento

W

W

7,5xtW

In alternativametto un piatto

Piatto diirrigidimento

Piatto diirrigidimento

Caso 1° Caso 2°

Piatto diirrigidimento

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Nella classificazione delle sezioni si utilizzando dei fattori che fanno riferimento alle caratteristiche del materiale, e alla caratteristiche geometriche della sezione. Vediamo ora di

dimostrare da dove nascono: partiamo a considerare una sezione a doppio T, soggetta a carico verticale centrato, quindi ho la presenza di uno stato di

tensione å = 7.

Posso affermare che: Y = Y2lÜ = 4Y2 ,;/&4<QH²/HP;/PH)/3O</O//GG4/GPHCHPH)4<HP4</O/gC)g4lÜ 6,97 Per classificare l’anima o le ali si fa rifermento, come sappiamo, alle seguenti relazioni: )O 5 H ? ¦BC.4¦ F235 C.4)èG²/GO4jj/B4GG²/HP;/CG/34;PG/<ig4jj/B4GG4/GP. Vediamo di far saltare fuori per via analitica questa relazione, a questo proposito posso scrivere che: Y Y2lÜ lÜ "àO)" lÜ "%121 ¿2 O|O 1)" lÜ "%121 ¿2 JO)K" *MM *7ß *\\\\\\\\\\\\\]Y "%m"

Vediamo di trovare una relazione funzionale tra le due tensioni critiche:

CHiC F121 ¿2lÜ «Þ!t,[\\\\] 1,24 'QPHBPºÆÊ +½% J ÇÐÆK½ +½%3½ 5 ÀÁ4<G/)G/334. H/OOPB/GG/O4C<P/BP%QG4<C&C33CBP<4)g4m GO )O

Quindi se voglio che la mia anima sia di classe I, deve essere che Y 5 , quindi sviluppo la mia relazione: 1"% J)O K" 5 1 →)O 5 F"%

1 ? F235235 F"%235 1ØÙÚF235ØÙÚæ

H ? ¦ Dove rappresenta un coefficiente di vincolo, che cambia da anima a ala, se facciamo quattro conti per le ali vediamo che con la nostra relazione otteniamo H ? ¦ 25, ben di più rispetto al 7,3 indicato dalla normativa, questo è dovuto al fatto che la nostra teoria si basa su un’asta perfetta Euleriana, ben diversa e lontana da un’asta reale. Infatti ai nostri valori si deve applicare un coefficiente di sicurezza pari a 3 4.

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IL CALCESTRUZZO.IL CALCESTRUZZO.IL CALCESTRUZZO.IL CALCESTRUZZO. TECNOLOGIA DEL CALCESTRUZZO.TECNOLOGIA DEL CALCESTRUZZO.TECNOLOGIA DEL CALCESTRUZZO.TECNOLOGIA DEL CALCESTRUZZO. Il calcestruzzo trova particolare applicazione in combinazione con l’acciaio, questo accoppi manto è resi possibile dal fatto che i due materiali presentino lo stesso coefficiente di dilatazione termica. Ovviamente questo è un fattore fondamentale, ma oltre a questo il calcestruzzo fornisce protezione all’acciaio (contro l’ossidazione e la corrosione), ed inoltre l’acciaio a differenza del calcestruzzo è in gradi di resistere a trazione. Il calcestruzzo è composto da:

1) Cemento. 2) Acqua. 3) Inerti. 4) Additivi, per migliorarne le caratteristiche. 5) Fibre, per dare una minima resistenza a trazione al materiale.

Tutte le caratteristiche sono stabilite dalla UNI EN 206-1 integrata dalla UNI 11.104, ogni componente costituente ha la sua normativa di rifermento, a questo proposito la normativa più importante è la EN 197 che specifica quali tipi di cemento possono essere utilizzati. La prima caratteristica del calcestruzzo è la sua resistenza meccanica, in particolare quella a compressione, questa viene ad essere determinata tramite dei test di compressione su cubetti (15x15x15cm), oppure su cilindri (diametro di 15cm e altezza di 30 cm). Nel caso dei cubetti viene ad essere misurata la resistenza cubica caratteristica Y, mentre nel secondo caso viene ad essere definita la resistenza cilindrica caratteristica Y, tra le due intercorre la seguente relazione: YY 0,83 Le classi di calcestruzzo sono individuate dalla diversa resistenza a compressione del calcestruzzo stesso, ed esse sono le seguenti:

Il primo valore indica il valore cilindrico della resistenza, mentre il secondo valore indica la resistenza cubica del calcestruzzo. Come possiamo osservare fino al D.M.96 si potevano utilizzare solamente le prime due classi di calcestruzzo, mentre nel D.M.2.008 sono stati introdotti altre di categorie di calcestruzzo, quelli ad elevata resistenza, e quelli ad elevati prestazioni. Da sottolineare il fatto che il calcestruzzo non strutturale può essere utilizzato solamente come riempimento, e non può essere utilizzato in una struttura armata, infatti esso non può è in grado di proteggere l’acciaio, mentre per le strutture precompresse si devono utilizzare calcestruzzi ad alta resistenza, o ad alte prestazioni. Il principale difetto del calcestruzzo è costituito dal suo peso, infatti per il calcestruzzo armato si assume un peso specifico di 24KN/m3, qualora esso sia fortemente armato si arriva a 25KN/m3, quindi in una struttura di calcestruzzo la principale fonte di sollecitazione è il peso proprio. Per ridurre questo problema possiamo utilizzare dei calcestruzzi strutturali leggeri, costituti da inerti speciali. Mentre i fibro-rinforzati sono dei calcestruzzi che contengono delle fibre plastiche o metalliche, e la loro principale funzione è quella di andare a costituire una sorta di armatura diffusa. Altri calcestruzzi speciali sono gli auto-compattanti, questi che si comportano come un fluido, infatti questi vengono ottenuti utilizzando degli inerti di piccolo diametro. La UNI EN 206

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afferma che la resistenza meccanica del calcestruzzo non è l’unico parametro che lo classifica, infatti ci sono tutta un’altra serie di parametri:

1) Lavorabilità del getto, cioè la fluidità del calcestruzzo. 2) Diametro massimo dell’inerte contenuto, ovviamente questo dipende dalle dimensioni del

getto. 3) Classe di durabilità del calcestruzzo, ovviamente questa dipende dall’ambiente in cui noi

andiamo ad inserire la nostra opera. Chiaramente tutte queste caratteristiche devono essere obbligatoriamente indicate nel nostro progetto, Ma oltre a queste ho ancora un’altra serie di caratteristiche facoltative che possono essere indicate:

1) Resistenza all’abrasione (pavimentazioni, opere idrauliche). 2) Peso specifico (per alleggeriti). 3) Impermeabilità (questa viene ad essere importante per i serbatoi). 4) Tipo di cemento.

Vediamo ora la denominazione standard di un calcestruzzo:

MATERIALI LEGANTI.MATERIALI LEGANTI.MATERIALI LEGANTI.MATERIALI LEGANTI. I materiali leganti possono essere di due tipi, abbiamo i materiali leganti aerei o idraulici, i primi possono sviluppare la reazione di presa in presenza di anidride carbonica (quindi all’aria), mentre i secondi fanno presa in presenza di acqua (anche in assenza di aria), e tra questi troviamo il cemento. I leganti aerei (la calce e il gesso), vengono utilizzati per gli intonici e per le malte di muratura. I leganti idraulici si ottengono per cottura in altoforno di marna che viene ad essere portata a 800-1000°C, e da questa si arriva per macinazione al cemento Portland, a questo deve essere aggiunta della calce, che ha la funzione di regolatore di presa, in altri termini lo rende meno reattivo. Quindi il Portland in realtà è una marna finemente macinata più delle piccole percentuali di calce, poi per cambiare le caratteristiche del Portland si può aggiungere della pozzolana (usata dai romani), oppure altri componenti sono le loppe da’altoforno, la silice ecc. Il processo di indurimento finisce convenzionalmente a 28gg dal getto, ho usato il termine convenzionale perché in realtà il processo di indurimento (che coincide con il processo di idratazione) dura anni. La presa inizia dopo 30-45 minuti dalla sua formazione, e il processo di presa termina dopo 10-12 ore, a questo termine l’impasto ha assunto una consistenza solida, da questo momento inizia il processo di indurimento. Il processo di presa è un processo esotermico, per cui c’è il pericolo concreto della nascita di stati di coazione interna, questo chiaramente è il problema dei getti di grosso spessore, in questo caso si deve utilizzare dei cementi con un basso contenuti di alluminati. Poi il getto deve essere protetto per evitare che le

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parti superficiali del getto si raffreddino troppo velocemente, rispetto alle parte più interne, questo lo si ottiene con l’uso di teli protettivi, e si deve evitare di scasserare troppo presto. All’opposto abbiamo il problema di garantire l’inizio del processo di presa, questo lo si ottiene aumentando il contenuto degli alluminati, e proteggendo anche in questo caso il getto. Il Portland può essere utilizzato da solo come cemento base, dopo di che posso modificare il comportamento del cemento, mettendo degli additivi o delle aggiunte, questi componenti aggiuntivi possono essere a comportamento pozzolanico o a comportamento calcareo. I primi spostano il comportamento del cemento verso una capacità reattiva di presa più lenta, ma con una resistenza finale maggiore, infatti la pozzolana fa presa dopo che il cemento ha concluso la sua di presa, quindi il processo avviene all’interno di una matrice porosa già solidificata. Quindi alla fine ottengo materiali più impermeabili e con una maggiore resistenza meccanica, ma questo a tempi più lunghi. Ma oltre a questo ottengono una maggiore protezione delle armature, quindi i cementi pozzolanici forniscono una prestazione complessiva certamente preferibile. La pozzolana è ottenuta sia da quella naturale, sia dalle loppe d’altoforno, sia dal fumo di silice, tutti questi vengono ad essere macinati finemente, e successivamente aggiunti al cemento Portland. Esistono anche i cementi calcarei, in questo caso il calcare non reagisce, quindi deve essere visto come un inerte fine, questo ha l’obbiettivo di dare una maggiore lavorabilità al getto. Al di la di questo si dovrebbe affermare che il cemento pozzolanico è quello che fornisce le migliori prestazioni, se questo è vero, lo è anche il fatto che esso presenta una maggiore difficoltà di messa in opera, e presenta dei maggiori tempi di presa-indurimento, quindi il suo utilizzo è relegato ad opere di particolare importanza.

Oltre alla sua composizione, il cemento viene ad essere classificato in ragione della sua resistenza finale, ma attenzione che stiamo discutendo delle resistenza del cemento e non del calcestruzzo. Infatti posso ottenere un calcestruzzo avente una certa classe di resistenza, utilizzando cementi di diversa categoria di resistenza, ovviamente saranno le loro quantità a variare. Principalmente i cementi si distinguono in 32,5, 42,5, - e 52,5MPa, queste è la resistenza cilindrica del cemento ottenuta a 28 giorni: la prova viene effettuata su cilindri di

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malata standardizzata, si utilizza una parte di cemento e due parti di sabbia (proveniente da un lago in Toscana).

Come possiamo osservare qui affianco viene ad essere visualizzato l’andamento dello sviluppo delle resistenza nel tempo. Ovviamente a 28gg devo ottenere una certa resistenza prevista dalla classe del mio cemento, così come a 7gg devo avere una certa resistenza minima, questa è necessaria per lo scassero. La differenza tra il cemento a sviluppo di presa rapido, è che con questo ottengo fin da subito uno sviluppo di resistenza maggiore, a 28 giorni entrambi devono arrivare alla resistenza prefissata. Questa crescita iniziale mi permette di scaserare prima, ma in futuro il cemento di classe 32,5 mi permette di ottenere delle resistenze maggiori, ed è proprio questa la resistenza che a me mi interessa. Il 32,5R viene ad essere usato ad esempio nella prefabbricazione dove i tempi di produzione sono contingentati, oppure il suo uso è indicato per climi rigidi. Tra i due tipi di cemento cambia solamente la raffinatezza di macinazione, con una più spinta macinazione ottengo una maggiore superficie specifica di reazione all’idratazione. E’ anche vero che un trucco che fanno i produttori di cemento è quello di “spacciare” un 32,5RR come se fosse un 42,5, questo perché oggi la tecnologia permette di ottenere una macinazione molto spinta con costi del tutto similari. Ma quello che ottengo è un cemento che a 28gg. ha la stessa resistenza di un cemento di più elevata classe, ma quello che cambia è che

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poi non ho più nessuna riserva di resistenza (e stiamo parlando di un 30% in meno di resistenza a tempo infinito). A questo proposito è interessante osservare il grafico nella pagina precedente: in ragione della superficie specifica (espressa al Kg di cemento) viene ad essere espressa la resistenza a compressione del cemento, come si osserva maggiore è la finezza di macinazione, minore è l’incremento di resistenza che ottengo dopo il ventottesimo giorno. Altra questione che abbiamo già detto in precedenza riguarda la diversa velocità di presa-indurimento dei cementi pozzolanici, rispetto a quello Portland normale, ma è anche vero che a tempo infinito

ottengo un incremento di resistenza complessiva. GLI INERTI.GLI INERTI.GLI INERTI.GLI INERTI. Tra gli inerti che si utilizzano sono preferibili quelli di origine calcarea, mentre sono assolutamente da evitare quelli di origine silicica, infatti questi anche a distanza di anni possono dare luogo a reazioni espandenti, cioè a reazioni del tipi alcali-aggregati. Gli aggregati in linea del tutto generale possono essere delle sabbie, delle ghiaie o del pietrisco. Il fattore da prendere in considerazione è il contenuti in acqua degli inerti, infatti questo va a modificare il rapporto acqua-cemento, in particolare ciò diviene importante per le sabbie. Altro fattore da prendere in considerazione è il diametro massimo degli inerti, in linea del tutto generale esso va scelto in ragione delle dimensioni del nostro getto, e deve essere minore di 1/5 dello spessore minimo del nostro getto. Ma questo dipende anche dall’interferro minimo tra le armature, quindi del passo tra due barre vicine. Oltre agli inerti di origine calcarea possono anche essere di origine artificiale, e tra questi troviamo l’argilla espansa, questa viene usata per ottenere i calcestruzzi strutturali alleggeriti, essa viene ottenuta dalla cottura di granuli di argilla. Molto più spesso vengono anche usati dei materiali di riciclaggio (peraltro la normativa Ronchi stabilisce delle percentuali minime obbligatorie di materiale da riciclo), questo avviene sempre più spesso visto le grandi difficoltà per reperire del materiale naturale, in primis si usa del calcestruzzo demolito e macinato, ovviamente ottengo un calcestruzzo con una minore resistenza rispetto al calcestruzzo di partenza. Oltre a definire il diametro massimo dell’inerte, devo anche definire la curva granulometrica dell’inerte che vado ad inserire nel mio impasto, questa è fondamentale per ottenere una pasta compatta, e un adeguato consumo di cemento. Per i nostri inerti utilizziamo la curva granulometrica teorica di Fuller:

& = 100F Bà7å v4<)4HOQ/G4BP&/33/HO4B4GBP/;4O<CB/G34OO/))PCw Se utilizzo un materiale tendenzialmente più fine ottengo un impasto con una migliore lavorabilità, ma d’altra parte aumenta la superficie specifica dell’inerte, quindi devo aumentare la quantità di cemento e quindi di acqua. Con conseguenti problemi di costo, con problemi legati alla produzione di calore, e maggiori fenomeni di ritiro, e siccome la resistenza del nostro calcestruzzo è legata principalmente all’inerte, ottengo un calcestruzzo con una minore resistenza.

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Si è visto che comunque calcestruzzi ottenuti con la curva teorica sono troppo aspri e di difficile lavorazione, quindi Bolomey ha ottenuto delle curve pratiche riportate nella UNI 7613/79. Oltre a tutti gli aspetti di normale valutazione (cemento, inerti, dosaggio, acqua ecc.), si deve prestare attenzione anche alla messa in opera del calcestruzzo, in primis il tempo di trasporto che deve essere preventivamente valutato, infatti la presa deve iniziare all’interno dei

casseri. Dopo di che il calcestruzzo deve essere ottimamente compattato, ed inoltre il mio calcestruzzo deve essere correttamente idratato, per permettere la presa dello stesso. L’idratazione può essere anche garantita usando dei teli antievaporanti, la protezione deve essere fatta anche nei confronti del gelo.

IL CALCESTRUZZO.IL CALCESTRUZZO.IL CALCESTRUZZO.IL CALCESTRUZZO. Un primo parametro importante da prendere in considerazione per un calcestruzzo fresco è la sua lavorabilità, cioè la capacità di metterlo in opera all’interno delle casserature senza eccessiva fatica, ci sono diversi metodi che possono essere utilizzati, infatti lacuni di questi

vanno bene per il calcestruzzo convenzionali, altri che invece vengono usati per calcestruzzi altamente fluidi. Quello più usato è il metodo del Cono di Abrams, questo fornisce il valore di abbassamento al cono. Si tratta di un secchio tronco-conico alto trenta centimetri, all’interno del quale deve essere

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messo il nostro calcestruzzo fresco, il quale deve essere compattato con un numero di colpi standardizzato, poi il secchio deve essere sfilato. In ragione dello slump abbiamo la classificazione del nostro calcestruzzo, se il mio cono subisce una rottura a taglio, vuol dire che c’è poca coesione interna, quindi abbiamo un calcestruzzo con scarsità di cemento.

La lavorabilità dipende sostanzialmente dal contenuto in acqua, ma come abbiamo visto il contento in acqua peggiora le prestazioni di resistenza del nostro calcestruzzo, ma oltre all’acqua la lavorabilità dipende dal tipo di inerte (se è rotondeggiante o spigoloso). In alternativa all’acqua posso usare degli additivi fluidificanti o superfluidicanti (cloruri, sali di cloruro, resine di origine polimerica). Basti pensare che un litro di superfluidicante mi consente di togliere dieci litri di acqua.

La scelta del grado di lavorabilità dipende dal tipo di opera che stiamo eseguendo, infatti per una diga meno una bassa lavorabilità è preferibile, infatti successivamente abbiamo anche minori problemi di sviluppo di calore, allo stesso modo per una fondazione di elevate dimensioni

(quindi classi S1-S2). Ma se stiamo facendo un getto sottile, abbiamo bisogno di un S5. Altro test è il test VEBE, questo misura il tempo che impiega il calcestruzzo a compiere un certo assestamento, e allo stesso modo posso dire del test che misura la classe di spandimento, questi ultimi due test si usano più per calcestruzzi fluidi. Mentre i calcestruzzi super compattanti, questi sono ottenuti con inerti molto fini (sabbie sottili e fumo di silice usato questa volta come inerte), grandi quantità di cemento e con l’uso di superfluidificanti, per questi si misura il tempo che impiega per percorrere un determinato percorso. Questi cls permettono di fare dei getti molto velocemente senza bisogno di manodopera. Certamente conviene lavorare con dei calcestruzzo che siano fluidi, infatti la resistenza che si perde per l’aumento dell’acqua, viene ad essere compensata da una migliore compattazione del getto stesso. Ma si deve comunque prestare attenzione al rapporto acqua/cemento, infatti la resistenza meccanica decresce in modo iperbolico con il rapporto in peso tra acqua/cemento.Questo è un parametro fondamentale che governa la resistenza del calcestruzzo, infatti non è la quantità d’acqua in assoluto a influenzare la resistenza di un calcestruzzo, si dovrebbe affermare che la quantità d’acqua modifica la lavorabilità di un calcestruzzo, mentre il suo rapporto con il cemento ne modifica la resistenza.

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Su questo punto è bene fare un piccolo esempio: â = 150 G;| H4)433/<P/&4<QH/)4<O/)G/334BPG/.C</PGPOà. 9CG/H4)433POàBPQH)4<OC</&&C<OCây &4<G/<43P3O4Hj/ → ây 0,5 Z [\\\] y 1500,5 300li;| Questi sono dei numeri abbastanza rincorrenti, ma vediamo in dettaglio che cosa mi serve per il mio calcestruzzo:

- q 0,23 → questo mi serve l’idratazione del cemento.

- q 0,20 → questo mi serve per riempire i vuoti fra gli inerti.

Quindi come minimo mi serve un rapporto q 0,43 per permettere la presa al mio calcestruzzo,

tutto quello che metto in più mi serve per la lavorabilità. In realtà se consideriamo un

calcestruzzo con un rapporto q ≅ 0,5, abbiamo un conglomerato di classe S2-S3, quindi poco

lavorabile. Potrei anche pensare di mettere un rapporto acqua cemento pari a 0,7, ma se usiamo questo rapporto la resistenza decade nettamente, quindi da una parte ho l’esigenza della lavorabilità, dall’altra ho la necessità di garantire una certa resistenza. Ma allora potrei pensare di fare così: â 200 G;| )CHQH</&&C<OCây 0,50, 'QPHBPy 400li;| Certamente ottengo un calcestruzzo più lavorabile da una lato (perché c’è più acqua), e dall’altra ho mantenuto la stessa resistenza, perché il rapporto acqua/cemento è rimasto invariato. Però ovviamente il costo del calcestruzzo aumenta, quindi nella pratica al posto dei 200 litri d’acqua si mantengono i soliti 150 litri, e quelli in più che ci servirebbero per la lavorabilità vengono sostituito da un additivo fluidificante. Per ottenere una miscelazione più accurata si possono utilizzare dei metodi di Mix-Design, cioè dei metodi di progettazione della miscela alla base del nostro calcestruzzo. Questi metodi di Mix-Design possono essere semplici, se considerano come parametro di output la resistenza/lavorabilità di un dato calcestruzzo, oppure possono essere di tipo complesso, se oltre a questo considerano anche la sua durabilità. Il problema della durabilità nella definizione della quantità di cemento diventa contingente, infatti sappiamo che la durabilità dipende dalla quantità di cemento, ed è più facile ottenere resistenza che durabilità, infatti nella scelta della quantità di cemento, il criterio della durabilità diventa più stringente. In altri termini devo lavorare con calcestruzzi di maggiore resistenza, solamente per garantire una certa classe di durabilità. Nella pratica il rapporto acqua/cemento va da 0,4-0,5 per classi di calcestruzzo S3-S4,

e si arriva fino a un rapporto di 0,7 per la classe S5. Altra necessità da prendere in considerazione è il tempo di maturazione del calcestruzzo, questo divine fondamentale nella prefabbricazione, infatti in questo caso il ciclo di produzione è mediamente di 24 ore, quindi la maturazione avviene a vapore ad alta temperatura, ed inoltre i usano cementi a rapido indurimento e ad alta resistenza (52.5R). Il processo di riscaldamento (20°C/h) e raffreddamento (10°C/h) sono

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dei processi che devono essere controllati, per impedire la nascita di stati di coazione, in particolare la fase di raffreddamento deve essere sufficientemente lenta, infatti in questo caso il calcestruzzo è indurito, e gli stati di coazione sono certamente più pericolosi. Il problema del riscaldamento veloce, è che non lascia tempo al cemento di fare correttamente presa, infatti rispetto a un calcestruzzo convenzionale, a tempo infinito perdo mediamente il 25% di resistenza rispetto a quest ultimo.

LE PROVE SUL CALCESTRUZZO.LE PROVE SUL CALCESTRUZZO.LE PROVE SUL CALCESTRUZZO.LE PROVE SUL CALCESTRUZZO. Queste possono essere effettuate sul calcestruzzo fresco, anche se queste sono raramente effettuate (ma sono molto importanti), queste permettono di misurare la classe di slump, il contenuto d’aria, la verifica del rapporto acqua/cemento, il peso specifico dell’impasto, il diametro massimo del inerti. Posso anche valutare il calore e lo sviluppo della resistenza nel tempo, queste prove permettono di risalire indirettamente al tipo di cemento, infatti ogni cemento ha una sua curva di sviluppo del calore. Mentre quelle che si fanno più spesso sono le prove sul calcestruzzo indurito (vengono effettuate su cubetti o cilindri standardizzati):

1) Resistenza a compressione. 2) Resistenza alla trazione indiretta o alla flessione. 3) Peso specifico del calcestruzzo indurito.

Altre proveche possono essere effettuate solamente su richiesta sono: 1) Permeabilità all’acqua (importante per i serbatoi). 2) Resistenza all’abrasione (pavimentazioni, opere idrauliche). 3) Moduli elastici.

Tutte le prove si fanno su cubetti o cilindri preconfezionati con lo stesso calcestruzzo usato per la mia opera, chiaramente possono anche avere la necessità di fare dei prelievi diretti in situ, ad esempio tramite delle carottatrici (queste si fanno solamente in casi di contestazione). Altra prova molto utilizzata è quella sclerometrica, che tramite l’uso di uno strumento denominato sclerometro, ci fornisce una valutazione della durezza superficiale del nostro calcestruzzo, e quindi una valutazione indiretta della sua resistenza (è una prova di durezza a tutti gli effetti). Altri metodi indiretti sono i metodi sonar, in questo caso tramite un impulso sonoro riesco ad individuare il modulo elastico del materiale (la velocità di un’onda sonora dipende direttamente dal modulo elastico del mezzo), e da questo posso determinare la resistenza del materiale. L’andamento della legge /¦ di una tipica prova di

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compressione di un cubetto, viene ad essere definito dal grafico nella facciata precedente. Se il calcestruzzo è di bassa qualità ho un comportamento relativamente duttile, con un picco di resistenza al 2 per mille, questo peraltro è un fattore abbastanza comune per tutti i calcestruzzi. Possiamo fin da subito affermare che si tratta di una legge fortemente non lineare, infatti la linearità del comportamento si perde già dopo il 30% della resistenza di picco. Per i calcestruzzi di normale utilizzo ho un comportamento definito ammorbidente, al contrario con l’aumento della classe di resistenza vado verso a comportamenti sempre più fragili. Ovviamente questo mi piace poco, anche se al dire il vero nelle strutture armate reali, la presenza dell’acciaio tende a dare maggiore duttilità all’impasto. Quindi la presenza dell’armatura ha due funzioni: fornire resistenza a trazione al calcestruzzo, e dare duttilità allo stesso. Se guardo le deformazioni, noto che la deformazione laterale del cubetto è opposta in segno rispetto a quella assiale, quindi il cubetto subisce una sorta di rigonfiamento.

¦7M*7* ¿¦*M Y7*)CH¿ ≅ 0,1 0,2;4HO<4zN 7* J¦*M Y7* 2¦7M*7*3 Kz ß 7* Come osserviamo il limite teorico di ¿ è pari a 0,5, infatti se inserisco questo valore ottengo una variazione di volume nulla, questo è il limite teorico delle gomme. Ma come si osserva a un certo punto raggiunta la resistenza critica, il mio cubetto inizia ad aumentare di volume, come se ¿ potesse assume valori superiori a 0,5, ma questo avviene solamente in apparenza. Infatti quando supero la resistenza critica il mio cubetto inizia a fessurarsi, e quello che misuro non è più solamente il volume del calcestruzzo, ma anche quello dell’aria contenuta nelle fessure, infatti ci dobbiamo ricordare che il limite delle gomme vale nell’ipotesi di materiale lineare elastico, ma il calcestruzzo non rispetta certamente questa ipotesi. Ovviamente a noi interessa la sua il suo comportamento per valori di ¿ convenzionali, è in questo campo che noi faremmo l’analisi della deformabilità, cioè in condizioni di esercizio, mentre per l’analisi a rottura (agli S.L.U.) l’importanza della deformabilità viene meno. Come possiamo osservare non si è mai fatto riferimento alla resistenza a trazione, infatti questa

viene ad essere assunta nulla, quindi il coefficiente di Poisson viene ad assumere valore nullo in trazione. Altra questione da osservare è che per il calcestruzzo (così come per l’acciaio) la resistenza limite è fortemente influenzata dalla velocità di carico, anche se al dire il vero a noi interessa la resistenza a tempo infinito. Quindi il valore di carico critico che si ottiene in pressa è fortemente influenzato

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dalla durata della prova, ed di questo se ne deve tenere conto, quindi si deve usare un coefficiente di riduzione pari a 0,85, che tenga conto di questo. Questo comportamento è dovuto al fenomeno della viscosità (creep), infatti il calcestruzzo si comporta come se fosse un fluido molto viscoso. Quindi al momento del carico ho una deformazione elastica istantanea, ma nel tempo ho un progressivo aumento della deformazione, in altri termini è come se avessi una diminuzione apparente del modulo elastico.

Il comportamento globale del nostro cubetto viene ad essere dato dalla somma di tre comportamenti diversi, legati ai componenti costituenti il mio calcestruzzo, questo è un principio che vale per tutti i materiali eterogenei: il loro comportamento globale è una media ponderata in ragione delle aree occupate dai vari costituenti. La rottura in un materiale di tipo cementizio non avviene mai per compressione, ma sempre per fessurazione trasversale, e questa è una caratteristica peculiare di tutti i materiali a comportamento fragile. Se si considera la condizione di un generico calcestruzzo, si osserva che le tensioni non sono più costanti lungo la sezione, infatti queste tendono a concentrarsi in corrispondenza degli inerti, che sono più rigidi rispetto alla pasta di cemento. Infatti le deformazioni per congruenza devono essere le stesse, quindi i materiali più rigidi tendono a richiamare le tensioni, alla fine della fiera ottengo delle linee di flusso delle tensioni con curvature diverse da zero, quindi nascono delle tensioni principali di trazione, che cambiano di segno in ragione delle curvatura delle sigma di compressione, e queste portano alla nascita di fessure. Infatti per i nostri cubetti la rottura avviene per spliting con una rottura a 45°, questo è dovuto all’effetto di confinamento delle teste della pressa, perché se il cubetto fosse libero di deformarsi avremmo il seguente comportamento qui affianco. Quindi nel provino di calcestruzzo in realtà non stò facendo una prova di compressione monoassiale, ma triassiale, infatti oltre a comprimere verticalmente il mio provino, lo stò comprimendo anche lateralmente per l’effetto di confinamento dei piatti di acciaio della pressa.

Quindi la resistenza che vado a misurare è maggiore rispetto a quella che avrei in condizioni di compressione monoassiale, è del tutto evidente che questa differenza è tanto più marcata, tanto più il provino risulti essere compatto, oppure abbia a che fare con delle piastre.

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Invece se utilizzo provini cilindrici o dei prismi, questo effetto di confinamento viene ad essere limitato alle teste, mentre nella parte centrale del provino effettivamente ottengo una compressione monoassiale, a questo punto la parte

centrale diviene la zona debole, e questa prova mi permette effettivamente di misurare la resistenza a compressione monoassiale del mio calcestruzzo. Questo ci porta ad avere delle tabelle di conversione, tra prove standard su cubetti (molto diffusi in Italia) e prove standard su cilindri, infatti mediamente vale quanto segue: ÀÆÏÊûÂÇÃÖlÅƻջּʻÆÅÆÅÊÅÇÇÃÊ»ÂÇ»ÆÅ = Ë, ̾~ÆÏÊûÂÇÃÖlÅÆ-y»ÆÅÆÅÊÅÇÇÃÊÂÇ»ÆÅ

Tutto questo per quanto riguarda il comportamento monoassiale, ma vediamo che cosa possiamo dire per il comportamento bi-triassiale del nostro calcestruzzo. A questo proposito si consideri una lastra di calcestruzzo sottoposta a uno stato di tensione biassiale (| 0). È del

tutto evidente che tenendo una delle due tensioni principali di compressione, arrivo alla crisi per compressione monoassiale, come si è già visto. Ma se ora considerasi entrambe le tensioni di compressione diverse da zero, ottengo la stessa situazione che si verifica alla testa dei nostri cubetti, una sorta di confinamento del materiale, con un aumento della resistenza complessiva (siamo su un 20-30%). Al contrario se considero uno stato di trazione monoassiale ottengo una YM pari a circa il 10% di quella a compressione. Dopo

di che osservo che nei campi misti (dove ho sia trazione che compressione), ho degli andamenti lineari, infatti il calcestruzzo è particolarmente sensibile a queste situazioni, quindi non ho nessuna riserva di resistenza. In altri termini nei campi misti, la presenza del 50% del carico da trazione fa decadere del 50% la resistenza a compressione del calcestruzzo. Quello che si appena visto è il campo di resistenza del calcestruzzo ad uno stato biassiale di tensione, ovviamente nella pratica mi devo riferire a schemi analitici più semplici di questo, la prima possibilità è quella di utilizzare un criterio di Rankin che non considera la resistenza a trazione, e trascura l’interdipendenza fra le due compressioni principali.

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Questo è il criterio di resistenza che noi utilizziamo per i calcestruzzi. Si potrebbe utilizzare anche il criterio di Moohr, cioè costruisco tutti i possibili cerchi di Moohr per tutte le combinazioni di carico possibili, e alla fine mi posso costruire la mia curva di inviluppo. Questa curva ha una andamento complesso, che può essere approssimato, cioè linearizzato.

≤ & ∙ O/H Wè7æ 7MM M )èY*0 * ≅ ∙ W )Y+*00 * 0M7M Y7

& ܳܳÜ|

Quindi il materiale ha una certa coesione c che mi fornisce una resistenza di base più l’attrito interno. Questo criterio si utilizza per le terre, e il calcestruzzo può essere visto come una terra, ma si osserva che sperimentalmente: º¾ ÀÆ 6, Óp Questo criterio a differenza di quello di Moohr non controlla le , ma controlla la |.

Ma vediamo che cosa vuol dire in modo più specifico questa relazione, si consideri una colonna di materiale, cioè un pilastro sul quale viene ad insistere la tensione Y (resistenza cilindrica a compressione, quindi una compressione monoassiale). In questo

caso la compressione idrostatica, può essere vista come una sorta di confinamento laterale, la resistenza che possiamo applicare aumenta in modo considerevole. Basti osservare che il confinamento dei pilastri in pietra con delle cerchiature, è uno dei principali interventi di mantenimento della struttura. Nei nostri pilastri di calcestruzzo armato l’effetto del confinamento viene ad essere svolto dalle staffature, basti pensare che per ogni MPa derivante dal confinamento, incremento la compressione verticale applicabile di 4,1MPa.

Anche il calcestruzzo ha il problema rappresentato dalla fatica, intesa come l’accumulo delle deformazioni plastiche con l’aumento del numero di cicli di carico, quindi una diminuzione della resistenza nominale del calcestruzzo. Anche se è bene ribadire che nelle nostre strutture in c.a. le maggiori sollecitazioni derivano dal peso proprio, che non da ovviamente problemi di cicli di carico, altresì si deve affermare che la viscosità del calcestruzzo tende a mitigare il problema della fatica.

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Per quanto concerne la valutazione del modulo elastico del calcestruzzo, esso è di difficile individuazione, allora mi devo chiedere a che cosa mi serve conoscerlo… Possiamo affermare che esso viene ad essere utilizzato principalmente per la valutazione delle deformazioni, e queste devono essere definite per i carichi di esercizio, e siamo al 30-40% della resistenza di picco. Quindi il nostro modulo elastico %Y viene ad essere definito come il modulo elastico secante al 30% della resistenza di picco. Ma questo è il modulo elastico istantaneo, cioè quello che il nostro materiale possiede al momento del carico, ed esso dipende intrinsecamente dalla composizione del calcestruzzo (tipo di cemento, inerti, presenza di acqua o meno), vedremmo che avremmo anche a che fare con un modulo elastico apparente che varia con il tempo, ed è dovuto alla viscosità. La normativa fissa la seguente relazione per l’individuazione del modulo elastico istantaneo secante:

x. ½ËËÌ →%Æ ½½. ËËË JÀÆÒÓË KË,¾ ½½. ËËËJÀÆÏ ÌÓË KË,¾ ÀÆÒèÕÅÊûÂÇÃÖlÅƻջּ»ÊÆÅÒü»Å. .x.é. →%Æ Í.¡ËË~ÆϼÉoÃ~ÆÏèÕÅÊûÂÇÃÖlÅÆ-y»ÆÅÆÅÊÅÇÇÃÊ»ÂÇ»ÆÅ. Questa legge vale per i calcestruzzi previsti dalla normativa (EC2 e il D.M.2.008), cioè per calcestruzzi con una resistenza cilindrica caratteristica Y compresa tra 15 e 90MPa.Per una Y 30­/ ottengo un modulo elastico di circa 30.000MPa, che è pari a un settimo di quello dell’acciaio, quindi il calcestruzzo è sette più deformabile. Altro parametro da valutare con attenzione è la resistenza a trazione del calcestruzzo, questa ci viene utile per le verifiche alla fessurazione, ed inoltre essa viene ad essere importante per il calcolo della quantità minima di armatura da inserire in una sezione di calcestruzzo. Possiamo fin da subito affermare che è pari a circa un decimo di quella a compressione. Per determinare la resistenza a trazione, possiamo affrontare la prova della trazione diretta, ma

questa risulta essere una prova altamente critica, infatti essa fornisce dei risultati alquanto variabili, infatti la meccanica della rottura è legata alla presenza di piccole eccentricità o di rigidezze locali dovute alla presenza di inerti non omogenea. Allora per valutare la resistenza a trazione viene ad essere usata la prova a trazione indiretta, tra queste si distingue la prova di flessione, che può essere effettuata su un provino con tre punti di carico, oppure con quattro punti di carico. Quest’ultima è sempre preferibile infatti consente di ottenere un punto di rottura casuale, ed inoltre nella zona centrale il taglio è nullo, quindi esso non interagisce con il momento. La resistenza così ottenuta è fortemente dipendente dalle le dimensioni del provino, infatti si ha un effetto scala, cioè su provini di minori dimensioni ottengo apparentemente una

resistenza a trazione maggiore, questo è dovuto alla non linearità delle tensioni. Quindi vengono usati provini di dimensioni standard (4x4x20cm), ma vediamo che cosa afferma la normativa: .x. ½. ËËÌ → ,ÕÂ. ÖÉÊÒÅÕ» → ÀÆÇÒ Ë, ¾ËÀÆϽ/¾¼ÉoÃÀÆÇÒèÕÅÊûÂÇÃÖlÅÅÇÊÅl»ÉÖÃÒü»Å .x.é. →ÀÆÇÒ Ë, ½¡~ÆϽ/¾ Ë, ½¡ J ÀÆÏË, ̾K½/¾ Ë,¾ËÀÆϽ/¾ Nelle nostre prove otteniamo la resistenza a trazione per flessione che si dimostra essere: ÀÆÀÒ Ó, ½ÀÆÇÒ¼ÉoÃÀÆÀÒèÕÅÊûÂÇÃÖlÅÒü»ÅÅÇÊÅl»ÉÖÃpÃÊÀÕûÉÖÃ. Anche questa prova non è facile, infatti il comportamento che si ottiene è di natura fragile, con un andamento che può essere rappresentato nel modo seguente:

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Riesco ad ottenere lo sviluppo completo dell’andamento se controllo lo spostamento e non la forza, quindi faccio una prova a controllo di spostamento. Tanto più duttile è il materiale tanto migliore è il suo comportamento dopo la fessurazione che avviene con la forza N. Il lavoro viene definito dall’energia di frattura Gë, ed è il lavoro che devo utilizzare per rompere un provino avente una superficie unitaria: N /.C<CBP33P&/OCHPOàBP3Q&4<P)P4 Per ottenere una elevata energia di frattura

posso utilizzare i calcestruzzi fibrorinforzati (con materiali polimerici o metallici), queste fibre vanno a costituire una sorta di armatura diffusa, che rende il loro comportamento maggiormente duttile. Con l’aggiunta di fibre ottengo una aumenti significativo dell’energia di frattura, mentre la resistenza a trazione aumenta in modo più marginale. L’energia di frattura è una parametro importante per diminuire l’ampiezza delle fessure, e questo diviene fondamentale per i serbatoi.

Altra prova che posso utilizzare per determinare la resistenza a trazione è la prova brasiliana, detta più comunemente prova di trazione indiretta. In questa prova viene sottoposto a compressione un cilindro di materiale, le tensioni perpendicolari a quelle principali generate dal carico P tendono a diventare constanti nella parte centrale del cilindro. In questo caso si ottiene la resistenza a trazione per splitting: 0 2Bg BC.40èG/<43P3O4Hj//O</jPCH4&4<3&GPOOPHi.

Il valore della trazione che si ottiene da questa prova è del 15-20% maggiore a quella che si ottiene dalla prova per flessione, quindi un più 50% rispetto alla resistenza per trazione diretta. È anche vero che la resistenza dipende anche dalla lavorazione del materiale stesso:

- Getto. - Compattazione (operazione di vibrazione). - Stagionatura.

La stagionatura/maturazione è la fase più importante, infatti in questa fase il cassero deve essere mantenuto per un tempo sufficiente per impedire l’evaporazione dell’acqua dal getto, ed inoltre lo scassero deve avvenire nei tempi giusti per impedire che ci siano delle deformazioni troppo elevate, quindi non c’è solamente un problema di resistenza. Altro problema da valutare con attenzione durante la stagionatura è

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il pericolo di evaporazione del getto, soprattutto nelle stagioni calde, quindi il getto va bagnato in continuazione, o protetto (ad esempio con dei sacchi di iuta). Altra soluzione è quella di usare degli antievaporanti che devono essere direttamente spruzzati sulla superficie del getto, questi si utilizzano soprattutto per le grandi superfici di getto (pavimentazioni in primis). Altro parametro da prendere in considerazione è la temperatura di maturazione nei primi 28 giorni, si osserva che se la stagionatura avviene a bassa temperatura, si osserva che inizialmente ho un decadimento della resistenza, anche se a tempo infinito tale gap viene ad essere recuperato, mentre se la maturazione avviene ad alta temperatura accade esattamente

l’opposto. Quindi si deve evitare che getto sia esposto a temperature a troppo elevate, infatti le temperature contenuto consentono di rallentare il processo di indurimento, e quindi ottengo alla fine una migliore idratazione del mio calcestruzzo. E’ del tutto evidente che si deve evitare di gettare anche a temperature troppo basse, per evitare eventuali problemi di congelamento degli strati superficiali dell’impasto, infatti il ghiaccio blocca l’idratazione, da una parte, e rompe i legami che intanto si sono formati dall’altra.

LA DURABILITA’ DEL CALCESTRUZZO.LA DURABILITA’ DEL CALCESTRUZZO.LA DURABILITA’ DEL CALCESTRUZZO.LA DURABILITA’ DEL CALCESTRUZZO. La durabilità è la capacità di mantenere nel tempo le caratteristiche e la funzionalità di una struttura, ed ovviamente come limite temporale ci riferiamo alla vita utile della struttura stessa. Per realizzare un calcestruzzo durabile si deve fare attenzione sia alla sua miscelazione, sia poi alla sua manutenzione, e queste scelte vanno fatte in funzione all’ambiente in cui andiamo ad inserire la nostra opera, chiaramente la durabilità viene ad essere influenzata anche dalla modalità di messa in opera del nostro calcestruzzo. Vediamo in modo compilativo quali sono le cause di attacco ambientale:

1) Cause di tipo meccanico (abrasione, erosione), queste possono essere importanti per le pavimentazioni e per le opere idrauliche. Tra queste troviamo anche gli urti e le esplosioni, ma queste sono già previste per le condizioni di carico eccezionali.

2) Cause fisiche (cicli di gelo/disgelo, incendio, essicazione, ritiro), sia l’essicazione che il ritiro danno origine ad autotensioni interne che portano alla fessurazione del materiale stesso. L’essicazione e il ritiro portano ad effetti similari, anche se quest’ultimo è dovuto al processo di presa e indurimento del calcestruzzo (cause endogene).

3) Cause di origine chimica tra queste abbiamo la reazione alcali-aggregati, dovuta alla presenza di inerte di origine silicica, che reagisce con la pasta di cemento, che porta alla generazione di composti espansivi. Poi abbiamo anche gli attacchi acidi, attacchi da solfati e solfuri, questi vanno ad attaccare direttamente il calcestruzzo discregandono completamente. Altro attacco chimico è quello per dilavamento dalle acque pure, cioè povere di carbonati, ed essendo il cemento composto principalmente da carbonato di calcio, esso viene ad essere disciolto (questo è un tipico attacco che si verifica in montagna).

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Tutte queste cause di degrado appena elencate sono a carico della pasta di cemento, altre cause di degrado invece riguardano le armature:

1) Carbonatazione, questo è dovuto all’anidride carbonica contenuta in atmosfera. 2) I cloruri (ambiente marino, sali disgelanti). 3) Correnti vaganti, anche queste possono portare alla corrosione delle armature per la

presenza di differenze di potenziale, e quindi alla nascita di processi anodici, quindi tutte le armature devono essere messe a terra.

Per impedire gli attacchi a carico delle armature dobbiamo agire sul calcestruzzo, il quale deve essere sufficientemente protettivo, a questo proposito andiamo a vedere gli effetti dei vari attacchi. Tra i vari prodotti della presa del cemento c’è la Ca(OH)2 che è la calce spenta, questa da origine a un ambiente fortemente basico (pH=12-13), questa è la condizione necessaria perché ci sia la passivazione delle armature, infatti l’acciaio esposto all’ossigeno e all’acqua, da origine alla ruggine come prodotto di ossidazione, ma questa come sappiamo è instabile, e non è in grado di bloccare ulteriori ossidazioni dell’acciaio. Mentre l’acciaio esposto ad un ambiente basico da origine ad un ossido che è stabile e permette la protezione dell’acciaio dalla corrosione. Ma se siamo in presenza di anidride carbonica ottengo alla fine carbonato di calcio più acqua:

Ca(OH)2+CO2=CaCO3+H2O Questo composto è sostanzialmente un sale che abbassa il pH dell’ambiente a 10-11, e questo valore non è più sufficiente per garantire la passivazione della armature, quindi il processo di corrosione può continuare. Chiaramente la carbonatazione per avvenire devo essere in presenza di anidride carbonica, ovviamente tale problema non colpisce i calcestruzzi immersi in acqua. La carbonatazione può essere messa in evidenza usando una sostanza che in ambiente basico assume un colore rosso.

Anche assunto che il nostro calcestruzzo è esposto all’azione di carbonatazione, perché ci sia la corrosione delle armature c’è la necessità della contemporanea presenza di ossigeno e acqua, quindi divine fondamentale avere dei calcestruzzi compatti a bassa porosità, e un sufficiente copri-ferro a protezione delle armature. Altro tipo di attacco è quello solfatico, questo porta allo sfogliamento del calcestruzzo e alla sua disgregazione, in questo caso i solfati si trovano nel terreno e nelle fognature. Le reazioni che avvengono sono tra la pasta di cemento e solfati che danno origine a dei prodotti espansivi (gesso, ettringite, thaumasite), anche in questo caso diviene importante limitare la porosità del calcestruzzo, ed inoltre la porosità dipende fondamentalmente dal rapporto acqua/cemento, infatti i pori nascono dall’evaporazione dell’acqua. Ma oltre ad avere una bassa porosità garantita da un basso rapporto acqua/cemento, nell’attacco solfatico diventa importante anche il tipo di cemento, infatti il Portland che ha un più elevato contenuto di alcali (calcio sostanzialmente), è più soggetto all’attacco di tipo solfatico, al contrario per tutti i

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cementi dove il contenuto di silice diventa più importante, l’attacco solfatico diminuisce.Da questo punto di vista il calcestruzzo pozzolanico risulta essere quello meno poroso, infatti i prodotti della pozzolana, che si idrata più lentamente, vanno a riempiere le porosità. Per quanto concerne l’attacco da cloruri, ce ne sono di due tipi, quello portato dal cloruro di calcio che è il sale utilizzato come disgelante, questo provoca un attacco simile a quello solfatico, e porta alla disgregazione del calcestruzzo. Anche se al dire il vero tutti i cloruri in genere portano alla corrosione delle armature, mentre solamente il cloruro di calcio porta anche un attacco nei confronti della pasta cementizia. I cloruri disciolgono il film di ossido a protezione delle armature,

anche in presenza di ambiente fortemente basico. A differenza della carbonatazione che porta ad una corrosione generalizzata delle armature, quindi abbiamo a che fare con una lenta corrosione delle stesse. Mentre l’attacco da cloruri si localizza in zone anodiche (dove effettivamente avviene la corrosione) e catodiche, quindi la corrosione viene a localizzarsi in zone ristrette, con una elevata velocità di corrosione. Anche in questo caso la soluzione è rappresentata dall’utilizzo di calcestruzzi a bassa porosità (ottengo una velocità di penetrazione inferiore dei cloruri), e all’uso di un copri ferro di adeguato spessore. Il D.M.2.008 afferma che nella progettazione di una struttura devo tenere conto della sua durabilità (seguendo la UNI206), e questa dipende dall’ambiente in cui vado ad inserire la mia opera, in altri termini dalla sua classe di esposizione. Prima di tutto la normativa afferma che deve essere rispettato il copriferro minimo, che è legato al grado di aggressività ambientale. Poi il calcestruzzo deve essere fatto in un determinato modo, ad esempio deve essere rispettata una certa classe di contenuto in cloruri, a dire il vero i cloruri presenti nella miscella vengono bloccati da processo di idratazione, quindi non divengono pericolosi per le armature, si deve affermare che noi i cloruri li abbiamo sempre, infatti i superfluidicanti sono a base di cloruri. Il grado di aggressività viene definito con delle classi di esposizione ambientale.

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Allora vediamo di fare un esempio, si consideri la classe XC1, cioè ambiente asciutto con umidità relativa molto bassa (interni di edifici), per questa classe è previsto un rapporto acqua/cemento massimo di 0,65, una Y 25­/, e un dosaggio minimo di cemento pari a 260 «æ. Come possiamo osservare viene ad essere

controllata la porosità attraverso il rapporto W/C, dopo di che fissare una resistenza minima vuol dire controllare ancora una volta il rapporto acqua/cemento, ed inoltre il cemento deve essere presente in quantità minima per avere un ambiente basico necessario per la passivazione delle armature. Se consideriamo la classe XC4, che rappresenta la condizione peggiore per la carbonatazione (quando è asciutto entra l’anidride carbonica, mentre quando è bagnato entra l’acqua responsabile della corrosione delle armature), abbiamo un rapporto acqua/cemento pari a 0,5,

un resistenza minima pari a 37MPa, e un contenuto minimo di cemento pari a 300 «æ. Come

possiamo osservare ho dei vincoli più stringenti, in questo caso potrebbe accadere che la resistenza minima prescritta per la durabilità potrebbe essere superiore a quella necessaria per la resistenza propria, tra i due diversi aspetti vince la durabilità. Abbiamo per le classi di esposizione XF, oltre a tutte le condizioni già viste, devo anche rispettare il contenuto minimo di aria, quindi deve essere sufficientemente poroso, infatti in questo caso la porosità serve come “cassa di espansione” per il ghiaccio, sembrerebbe un controsenso, ma in questo caso la porosità che ci serve è di tipo chiuso (che non aumenta la permeabilità del calcestruzzo), questa può essere ottenuta dall’utilizzo di additivi aeranti. MATERIALI PER IL C.A. E CARATTERISTICHE MECCANICHE.MATERIALI PER IL C.A. E CARATTERISTICHE MECCANICHE.MATERIALI PER IL C.A. E CARATTERISTICHE MECCANICHE.MATERIALI PER IL C.A. E CARATTERISTICHE MECCANICHE. Se si devono utilizzare calcestruzzi ad alta resistenza (classe 50/60 in su) si devono fare delle prove preliminari, queste servono ad attestare che la miscelazione, la scelta dei componenti, trasporto e posa in opera del calcestruzzo siano standardizzati, e quindi ho la sicurezza di ottenere sempre gli stessi risultati. Ovviamente se il calcestruzzo è prodotto in stabilimento, quindi la qualificazione dovrà essere fatta sul trasporto e la posa in opera. Se andiamo sui calcestruzzi di altissima resistenza oltre all’operazione di qualificazione, devo richiedere l’autorizzazione preventiva al servizio tecnico centrale (dipartimento del ministero dei lavori pubblici).

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Dopo aver scelto il tipo di materiale utilizzare dobbiamo ovviamente eseguire le opportune verifiche, a questo punto ci si pone il problema di scegliere quale legge costitutiva convenzionale utilizzare.

Agli S.L.E. si considera un comportamento lineare del materiale, e come modulo elastico si prende %Y secante a circa 0,3Y. Mentre per gli S.L.U. si considera una legge convenzionale detta legge della parabola-rettangolo, questa è certamente contenuta al di sotto della curva di comportamento reale del materiale, si tratta ad ogni modo di una legge costitutiva utilizzata per il calcolo della resistenza delle sezioni, ma che non è realistica per il calcolo della deformabilità del materiale. Vediamo ora alcune relazioni fondamentali del calcestruzzo, alcune delle quali le abbiamo già viste: ÀƼ Ë, ÌÍ ÀÆÏÑÆ = Ó, Í = Ë, ÌÍË, ̾ ∙ ~ÆÏÑÆ = Ó, Í ¼ÉoÃÀƼèÕÅÊûÂÇÃÖlÅƻջּʻÆż»ÆÅÕÆÉÕÉ. Come possiamo osservare a differenza dell’acciaio oltre al coefficiente di sicurezza, devo tenere conto di un ulteriore coefficiente (0,85), questo è dovuto alla viscosità del calcestruzzo, che diminuisce la resistenza a tempo infinito. Altre relazioni che ci interessano: %Æ = ½½. ËËË JÀÆÒÓË KË,¾ = ½½. ËËËJÀÆÏ ÌÓË KË,¾ −%Æ∗ ≅ Ó½%Æ ÀÆÇÒ = Ë, ¾ËÀÆϽ¾ ¼ÉoÃÀÆÇÒèÕÅÊûÂÇÃÖlÅÅÇÊÅl»ÉÖÃÒü»Å 1 ÀÆÇϳ = Ó, ¾ÀÆÇÒÀÆÇÏ = Ë,¡ËÀÆÇÒ ÀÆÀÒ = Ó, ½ÀÆÇÒ¼ÉoÃÀÆÀÒèÕÅÊûÂÇÃÖlÅÅÇÊÅl»ÉÖÃpÃÊÀÕûÉÖÃÒü»Å ÀÆÇÏ = Ë,¡ËÀÆÇÒ = Ë,¡Ë ∙ Ë, ¾ËÀÆϽ¾ ¼ÉoÃÀÆÇÏèÕÅÊûÂÇÃÖlÅÆÅÊÅÇÇÃÊÂÇ»ÆÅÅÇÊÅl»ÉÖÃ

ÀÆǼ = ÆÊ ÀÆÇÏÑÆ = Ó,Í = ÆÊ Ë,¡Ë ∙ Ë, ¾ËÀÆϽ¾ÑÆ = Ó, Í ¼ÉoÃÀÆǼèÕÅÊûÂÇÃÖlÅÅÇÊÅl»ÉÖü»ÆÅÕÆÉÕÉ RITIRO.RITIRO.RITIRO.RITIRO. Il ritiro avviene durante l’indurimento del calcestruzzo, e consiste in una sua diminuzione di volume, dovuta a due fattori principali:

- Abbiamo un ritiro autogeno, infatti i granuli di cemento durante il processo di idratazione, diminuiscono di volume.

- Abbiamo anche il ritiro dovuto all’evaporazione dell’acqua, infatti l’acqua rimanente si insinua tra i granuli, creando dei menischi liquidi, che tendono ad avvicinare le particelle grazie alla tensione superficiale dell’acqua.

ε

σ

fck

S.L.E.

0,3-0,4fckComportamento del provino in assenza di cerchiatura, mentre in blù si osserva il medesimo provino cerchiato, peraltro unastaffatura minima è sempre prevista perlegge, quello che si ottiene è un comportamentoduttile del materiale.

ε

σ

fcd

Questa è la cosiddetta legge costitutiva della parabola-rettangolousata per gli S.L.U., questa è una legge convenzionale, che vienead essere utilizzata solamente per la resistenza delle sezioni.

E*c

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 121

Il primo tipo di ritiro è effettivamente una diminuzione di volume, mentre nel secondo caso ho solamente una perdita d’acqua, e dipende intrinsecamente dalla quantità d’acqua contenuta nel calcestruzzo.A dire il vero se il calcestruzzo viene ad essere immerso completamente in acqua abbiamo invece del ritiro un rigonfiamento, come possiamo osservare dal grafico.

Se l’umidità dell’ambiente è entro il 50% ho che il ritiro complessivo in 20 anni è: ¦0ww 7æ* ≅ 1.200 ? 10t 1,2 ? 10| 1,2;;;

Se il ritiro avvenisse in modo uniforme e senza alcun vincolo che lo impedisca, non nascerebbe nessuna tensione, ma se siamo in presenza di vincoli, vediamo quali tensioni nascono a carico del calcestruzzo: M %Y ∙ ¦0w 30.000 ? 1,2 ? 10| 30­/ ≫ YM ≅ Y10 3­/ Quindi come si osserva si arriva immediatamente a fessurazione, ma se osserviamo bene il ritiro non è mai completamente libero, infatti esso è sempre impedito, questo perché l’essicazione del nostro calcestruzzo avviene in modo progressivo dall’esterno vero l’interno del nostro materiale. A dire il vero questo sarebbe un ritiro parzialmente impedito, ma questo è comunque sufficiente a portare a fessurazione le parti più esterne del calcestruzzo. Vediamo ora come viene trattato il ritiro dalla normativa, a questo proposito il codice di calcolo di rifermento è il Model code CEB FIB. Questo ente ha dato una rappresentazione analitica del ritiro, questo dipende dal tempo t in cui lo voglio misurare, e dal tempo t0 in cui inizio a misuralo. ¦0wO, O ¦0#¦0"ØÙÚæ/²ì v0O 0Ow

I valori di ¦0# ed ¦0" rappresentano con il loro prodotto l’entità del ritiro a tempo infinito. ¦0# questo è un valore costante che dipende dalla percentuale di umidità, mentre ¦0" dipende dallo spessore fittizio g, che tiene conto del perimetro bagnato della nostra sezione, infatti le sezioni più compatte sono meno esposte agli effetti del ritiro, mentre per le solette il mio spessore fittizio coincide praticamente con l’altezza della mia soletta. g m 2$YQ BC.4QèPG&4<P;4O<C/iH/OC.

εsh°°

tt0

βεsh°°

é un coefficiente ovviamente

inferiore a all'unità che dipende dal tempo generico t, nel quale

voglio misurare il ritiro, e dal tempo t in cui inzio a misurarlo.

β

°

εsh

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Questo spessore fittizio oltre a modificare il valore del ritiro a tempo infinito, va anche a influenzare il valore del coefficiente , infatti con un ℎ crescente ho un rallentamento del processo di ritiro nel tempo. Appare del tutto evidente che lo sviluppo del ritiro è un fenomeno

alquanto lento, ma ne devo comunque tenere conto, e questo è vero tanto più è impedito. Si consideri a questo proposito di un edificio in pianta sostenuto da pilastri. Ovviamente nel tempo il mio solaio si ritira, chiaramente questa tenderebbe ad essere ostacolata dalla rigidezza flessionale dei pilastri, ma sappiamo che questa è alquanto scarsa. Infatti il ritiro mette in gioco una rigidezza pari ad EA, dove A è

l’area della soletta, mentre per i pilastri si mette in conto il loro EJ, è del tutto evidente che la rigidezza flessionale dei pilastri è soverchiata da quella assiale del solaio. Ma se consideriamo un solaio lungo 80m, e assumiamo un ritiro di un millimetro al metro, alla fine della fiera ottengo un ritiro di 8cm, quindi i pilastri di testa si prendono 4cm di freccia imposta, che è tutt’altro che trascurabile. Allora gli ottanta metri possono essere considerati un limite massimo per una soletta continua, dopo di che si devono mettere dei giunti di dilatazione, ma oltre a questo il ritiro deve essere considerato anche in termini di sollecitazioni per i pilastro. Altro modo di procedere è quello di realizzare la struttura a pezzi, in altri termini vengono lasciati dei tratti di solaio da gettare, e dopo 3-4 mesi ho già “buttato via” il 50% del ritiro, alla struttura rimane l’altra metà da assorbire. Il problema del ritiro si presenta anche quando ho dei nuclei di controvento alle estremità di una soletta, quindi ho un suo ritiro impedito. In questo caso mi aspetto delle fessure sulla soletta, se questa fosse fatta di solo calcestruzzo avrei alla fine l’apertura di una sola fessura da 8cm, il che non mi sembra una bella idea. Allora quello che si fa è di armare, infatti l’armatura ha la funzione di distribuire la fessurazione, e di limitarne l’ampiezza. Ovviamente questa è l’impostazione del CEB FIB, che è alquanto complessa, quindi viene ad essere definita una procedura semplificata, infatti la deformazione totale da ritiro è data da due componenti: ¦0w = ¦Y ¦Y7 ¦*00 Y7*M ¦ M 7ZMæ*

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Dove il valore a tempo infinto del ritiro per essiccamento è dato dalla seguente: ¦Yì 6w¦Y2 BC.4¦Y2 èPG./GC<4B4G<POP<C/34 Mentre 6w è un coefficiente che modifica il valore del ritiro in funzione dello spessore fittizio g.

Lo sviluppo nel tempo del nostro ritiro è dato come al solito dalla seguente relazione:

¦YO 0O O0¦Yì → d_d O → G²4OàB4G)/G)43O<QjjCH4G;C;4HOC)CH3PB4</OCO0 → G²4OàB4G)/G)43O<QjjCH4G;C;4HOCPH)QPPHPjP/PG<POP<C0O O0 O O0IO O0 0,04g| "n L43&<433PCH4/H/GPOP)/

Il valore a tempo infinito per il ritiro autogeno, che dipende dalle caratteristiche proprie del calcestruzzo, ed esso può essere valutato dall’espressione seguente: ¦Y7ì 2,5Y 10 ? 10t)CHYPH­/.

VISCOSVISCOSVISCOSVISCOSITA’ITA’ITA’ITA’ Altro aspetto importante è la viscosità, questa consiste in un aumento nel tempo delle deformazioni permanenti del calcestruzzo sotto carico. In riferimento ai grafici qui affianco posso affermare che: ¦Y2 Y2%Y2 Dove %Y2 è il modulo elastico al momento

dell’applicazione del carico, anche in questo caso in modo del tutto simile al ritiro, posso utilizzare una relazione del tipo: ¦O, O ¦*OO, O Quindi l’¦ 0Y07 dipende dal tempo t in cui la vado a misurare, e dal tempo t0, in cui applico il carico. Mentre il coefficiente è nullo per O O, mentre assume valori

positivi per tempi superiori. Si nota che la deformazione può assumere valori fino a quattro volete la deformazione elastica. Come si osserva questa legge sottointende l’esistenza di una proporzionalità tra la deformazione elastica iniziale e quella viscosa, questo è vero fino a valori di Y2 5 0,45Y, ad ogni modo noi utilizzeremo sempre questa legge. Questo ci permette di

applicare il principio della sovrapposizione degli effetti. Ora supponiamo dopo una fase di carico iniziale, di eliminarlo del tutto, al momento dello scarico ho un recupero elastico istantaneo, ma attenzione che questo recupero non è uguale alla deformazione elastica iniziale, infatti esso avviene al tempo t1, in rifermento al quale ho un modulo elastico diverso. Dopo di che ho un recupero differito nel tempo in ragione della viscosità, anche in questo essa diversa nel suo andamento rispetto a quella iniziale. Alla fine ci

tt0

σ

tt0

ε

σc°

ε c°

ε viscosa

εelastica

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rimane una deformazione residuale, in assenza di carico, ecco la vera differenza rispetto all’acciaio: il calcestruzzo conserva memoria della sua storia di carico, anche in campo elastico. Per la viscosità esistono diverse trattazioni analitiche del fenomeno, le quali possono spaziare tra questi due estremi:

- Trascuro la deformazione irreversibile, quella che ho chiamato residua. - All’estremo opposto ho tutti i modelli che trascurano il recupero da creep.

Anche in questo caso il CEB FIB fornisce una formulazione analitica, che è una via di mezzo tra i due estremi precedenti, e tiene conto di entrambe le ipotesi:

¦MM Y2 Ë 1%Y(O) + W(O, O)%Y,"í Ì = Y2Φ(O, O)BC.4 1W(O, O) ≥ 0èPG)C4P)P4HO4BP.P3)C3POàΦ(O, O) ≥ 1èG/QHjPCH4BP.P3)C3POà

Φ(O, O) = 1%Y(O) + k7(O) + W(O − O) + WN 'N(O) − N(O)(o%Y,"í

Se si considera per ipotesi che %Y(O) = %Y,"í allora la nostra funzione di viscosità si riduce a essereΦ(O, O) = 1 + W(O, O). Il Model Code fornisce anche l’espressione del coefficiente di viscosità, che è dato dalla somma di tre componenti, infatti la viscosità ha fondamentalmente tre origini:

1) Abbiamo una prima viscosità immediata 7(O), come se applicassi il carico sul calcestruzzo fresco, come si osserva questa componente ha un valore costante, che non dipende dal tempo t.

2) Altra componente è data dalla viscosità reversibile, più comunemente detta elasticità differita W(O − O), questa è dovuta all’acqua contenuta nell’impasto, infatti questa tende ad uscire sotto carico, al contrario questa rientra al momento dello scarico, è un processo lento ma reversibile.

3) Mentre l’ultima componente è la deformazione differita nel tempo, ed è la parte

irreversibile della viscosità WN 'N(O) − N(O)(, questa ovviamente è dovuta alla

deformazione permanente della pasta di calcestruzzo, vista come un fluido viscoso.

tt0

σ

tt0

ε

σc°

ε c°

εviscosa

εelastica

t1

σc°

EElastico

Recupero elastico istantaneoφ(t,t )

t1

0

φ(t,t )1

Recupero da creep

Deformazione residua

σc°

E-

Allo scarico è come se applicassi un caricouguale e contrario, osservo una deformazioneelastica istantanea, inferiore in modulo a quellainiziale, perché avviene con un modulo elasticomaggiore. Poi ho una deformazione viscosa, gli effetti opposto possono essere tra di loro sommati, perché siamo nell'ipotesidi sovrapposizione degli effetti.

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 125

La funzione di viscosità è data dalle tre componenti che si è appena visto, ma complessivamente la sua legge è di tipo asintotico.

Fino ad ora si è definito il valore del coefficiente di viscosità nel suo andamento temporale, ma vediamo che cosa ci dice il D.M.2.008, questo ci fornisce delle tabelle dove viene ad essere riportato il valore ∞, O, il quale viene ad essere messo in relazione all’umidità relativa, al momento del carico O, e allo spessore fittizio. Come possiamo osservare il coefficiente ∞, O assume un valore pari a 3,5 nel caso peggiore, valore che scende a 2,8 per le strutture massicce (all’esterno).

Ma vediamo come possiamo, dal punto di vista operativo, tenere in considerazione la viscosità: ¨ÇÉÇÅÕà ¨ÃÕÅÂÇ»ÆÅ ¨o»ÂÆÉÂÅ ºÆË%ÆË ºÆË%Æ,½Ì éÇ, ÇË çÉÖÈÉ%ÆË!%Æ,½Ì!%Æ[\\\\\\\\\\\\\\] ºÆË%Æ Ó éÇ, ÇË Tutto questo equivale a definire un modulo elastico ridotto: %Æ∗ %ÆÓ éÇ, ÇË Á-»Ö¼»[\\\] ¨ÇÉÇÅÕà ºÆË%Æ∗ Quindi sostanzialmente nei casi standard, o nei casi di predimensionamento, uso il modulo elastico ridotto, è come se avessi a che fare con un materiale maggiormente deformabile, quindi se uso il modulo elastico ridotto le frecce che vado a determinare sono quelle a tempo infinito. Questo è il metodo più semplice per tenere conto del fenomeno della viscosità.

La freccia elastica è proporzionale a 1/E(elastico).La freccia viscosa è proporzionale alla freccia elastica perla funzione di viscosità, e questa cresce nel tempo.Si deve inoltre affermare che scasserando a 28 giorni inveceche a 7, ottengo un raddoppio del modulo elastico, questo significa dimezzare la freccia elastica con lo scassero a 28gg.Dopo di che questa freccia elastica me l'ha ritrovo nel calcolodella freccia viscosa, ma sappiamo che la funzione di viscosità cambia con il tempo, quindi caricando a 28gg oltread ottenere un dimezzamento della freccia elastica, ottengo anche una diminuzione della freccia viscosa.

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 126

La viscosità ci fa male “nei conti”, ma non nella realtà, infatti con la viscosità il materiale acquisce la capacità di adattarsi nel tempo alle sollecitazioni, con la conseguente ridistribuzione delle tensioni nella struttura. RILASSAMENTO.RILASSAMENTO.RILASSAMENTO.RILASSAMENTO. Questo è il fenomeno duale della viscosità, infatti nel caso della viscosità ho l’aumento delle deformazioni nel tempo, al contrario nel rilassamento ho una diminuzione delle tensioni. In

questo caso invece di imporre un carico, impongo una deformazione iniziale diversa da zero. La tensione che nasce a seguito delle deformazione, segue i noti principi della scienza delle costruzioni: Y2 = ¦Y2% Ma poi l’effetto della viscosità nel tempo è quello di far diminuire questa tensione, infatti in linea del tutto generale: = ¦*%* = ¦MM ¦ 0%* E come sappiamo la deformazione viscosa tende ad aumentare nel tempo, infatti questa non è legata all’entità delle azioni esterne agenti, ed ecco il perché la tensione tende

a diminuire nel tempo, ed è questo il fenomeno del rilassamento. Quando vado ad eliminare la deformazione imposta, nasce un nuovo stato tensionale che si sottrae al primo, ma notiamo che la tensione non va a zero, così rimane una tensione residua, così come rimaneva una deformazione residuale per il fenomeno della viscosità.Ovviamente tutto questo lo posso fare se vale il principio della sovrapposizione degli effetti, e questo è vero se Y 5 0,45Y, e questo vale sia per il rilassamento che per il fenomeno della viscosità. Analiticamente il tutto si riduce a quanto segue: O Y2 ¦%O, O BC.4 = 1 + < ≥ 1èPG)C4P)P4HO4BP<PG/33/;4HOC Certamente le funzioni Φ(O, O) e (O, O) sono tra di loro legate, ma tra le due non esiste una semplice operazione di inversione. ALCUNE CONSIDERAZIONI SU VISCOSITA’ E RILASSAMENTO.ALCUNE CONSIDERAZIONI SU VISCOSITA’ E RILASSAMENTO.ALCUNE CONSIDERAZIONI SU VISCOSITA’ E RILASSAMENTO.ALCUNE CONSIDERAZIONI SU VISCOSITA’ E RILASSAMENTO. Noi siamo abituati a ragionare in campo elastico, ove le relazioni principali da considerare sono le seguenti: = %¦C&&Q<4¦ = % Ora la presenza di una materiale viscoso, cambia le regole del gioco, infatti è come se considerassimo una diversa legge costitutiva, caratterizzata dalla seguente legge:

tt0σ

tt0

ε

ε c°

σc°

t1

t1

Come si osserva quando tolgo la deformazione imposta, ho la nascita di unatensione maggiore di quella iniziale, infatti il modulo elastico (così come nella viscosità) tende ad aumentare nel tempo.

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 127

¦MM 1 + )¦* )PCè%∗ = %1 + Le relazioni che ho appena riportato sono vere per una ≤ 0,45Y, dove tra le due leggi costitutive abbiamo una trasformazione omotetica lineare. Ma vediamo di introdurre alcuni numeri: 1%* ≅ 30.000­/ = 0 4

Ora considerando una funzione di viscosità Φ = 3, posso affermare che il mio %Y∗ ≅ 10.000­/. L’uso di questo modulo ci permette di

analizzare ciò che accade a tempo infinito, ovviamente questo è un modo semplificato di affrontare il problema della viscosità. A questo proposito vediamo di definire il coefficiente n, detto coefficiente di omogeneizzazione: Ö = %Â%Æ Questo coefficiente ci permette di omogeneizzare un’area di acciaio in una corrispondente area di calcestruzzo, e viceversa. Questo è reso possibile dal fatto che i due materiali presentino la stessa deformabilità. $O = 0 → H = 206.00030.000 ≅ 7

$O = ∞ → H = 206.00010.000 ≅ 21ï ­4BP/;4HO4G/HC<;/OP./)CH3PB4</QHH = 15 Un n pari a 7 lo dovrei utilizzare per i carichi di breve durata, mentre l’altro dovrebbe essere usato per i carichi permanentemente presenti, ora nelle nostre strutture siamo in una condizione intermedia, per cui la normativa assume un valore pari a 15, valore più statisticamente rappresentativo. L’utilizzo di questo coefficiente ci permette di tenere conto della viscosità senza troppa fatica, vediamo ora di considerare una trave semplicemente appoggiata.

p $O = 0 → = 5384 'Gá%Y°Y$O ≠ 0 → M = 1 + (O, O) Chiaramente questo lo posso fare se considero valido il principio della sovrapposizione degli effetti, e questo è vero se tengo in considerazione il limite fissato in precedenza per le tensioni. Ovviamente M > , quindi nelle strutture isostatiche, così come in quelle iperstatiche (come vedremmo), l’effetto della viscosità è un aumento delle deformazioni nel tempo. Non esistono nella realtà travi composte solamente da calcestruzzo, ma del resto la presenza dell’acciaio ha solamente l’effetto di diminuire la deformazione a tempo infinito, quindi ho comunque un effetto dovuto alla presenza della viscosità, ma esso viene ad essere limitato dalla presenza dell’acciaio, che non è un materiale viscoso. Ora vediamo di considerare una struttura iperstatica, saremmo portati a pensare che la presenza della viscosità modifichi anche la distribuzione delle sollecitazioni, ma ciò non è vero, infatti la variazione del modulo elastico nel tempo, è la stessa per tutta la struttura. Quindi la presenza della viscosità si ripercuote solamente sull’entità delle deformazioni a a tempo infinito, sia per le strutture isostatiche, che per quelle iperstatiche.

σ

ε

0,45fck

ε εelastico viscosa

E E*

q

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 128

Vediamo ora di considerare il caso di un cedimento vincolare imposto, e osserviamo l’effetto del rilassamento, che è il duale della viscosità. Il cedimento vincolare, può essere visto come una forza che agisce in assenza di vincolo, questa fa nascere un certo momento. 8 G|%° = Dove = dipende dalla geometria del sistema. A tempo infinito la nostra tende a diminuire, infatti essa dipende dal modulo elastico, allora è del tutto lecito aspettarsi che anche il momento

da lei generato diminuisca nel tempo: ­M ­ h 1 BC.4èPG)C4P)P4HO4BP<PG/33/;4HOC L’effetto della viscosità nelle strutture iperstatiche sottoposte a uno stato di coazione, così com’è un cedimento vincolare imposto, è una diminuzione delle sollecitazioni nel tempo, ma queste rimangono omotetiche, mentre le deformazioni rimangono le stesse, infatti queste sono imposte. A dire il vero anche il ritiro è uno stato di coazione, è il rilassamento mi porta ad una progressiva diminuzione delle tensioni derivanti dal ritiro stesso. Altro caso interessante è quello che si verifica nel caso di

strutture miste, dove uno dei due materiali è viscoso. Inizialmente le due strutture presentano delle rigidezze flessionali uguali, quindi l’azione P viene ad essere assorbita in modo uguale dalle due parti:

O = 0 → %Y°Y = %0°0 Y è[\]Y = LrLr + L/r/ = 2 Ma adesso supponiamo di fare un’analisi a tempo infinito,

quindi:

QHjPCH4BP.P3)C3POà → Φ = 3 Y è[\]%Y∗ = %Y3 0*æZ*[\\]Y = #|#| + 1 = 4Yw 77*M*[\\\\\\\\]0 = − Y = 34 Come si evince con il passare del tempo la distribuzione dei carichi varia, e il materiale non viscoso risulta essere più rigido, e come sappiamo l’azione viene “richiamata” dalle parti maggiormente rigide. Mentre per le frecce abbiamo quanto segue:

q

E Jc cE Jc c-18ql2

E Jc cE Jc c

Cedimento vincolare imposto.

δ0

F0M

σ

t

shRitiro

Ritiro + viscosità

P

l l

Pl2

Pl2

t=0

Cls Steel

t=oo

M

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 129

p 4<O = 0ℎC4<O = ∞ℎC)ℎ4ð = 1 2n ∙ 34iQ/<BC3CG/;4HO4G²/))P/PC Altro caso che posso osservare è il seguente:

In questo caso sia al momento iniziale, sia a tempo infinito, tutto il carico viene ad essere assorbito dall’asta di acciaio. Anche se la situazione fosse invertita, non cambierebbe nulla, infatti si sta mettendo a confronto la rigidezza flessionale della trave con quella assiale della colonna. E’ del tutto evidente che la seconda vince sulla prima.

PROGETTAZIONE E VERIFICA DELLE STRUTTURE IN C.A. AGLI S.L.U. E AGLI S.L.E.PROGETTAZIONE E VERIFICA DELLE STRUTTURE IN C.A. AGLI S.L.U. E AGLI S.L.E.PROGETTAZIONE E VERIFICA DELLE STRUTTURE IN C.A. AGLI S.L.U. E AGLI S.L.E.PROGETTAZIONE E VERIFICA DELLE STRUTTURE IN C.A. AGLI S.L.U. E AGLI S.L.E. PROGETTPROGETTPROGETTPROGETTAZIONE AGLI STATI LIMITE ULTIMI E DI ESAZIONE AGLI STATI LIMITE ULTIMI E DI ESAZIONE AGLI STATI LIMITE ULTIMI E DI ESAZIONE AGLI STATI LIMITE ULTIMI E DI ESERCIZIO.ERCIZIO.ERCIZIO.ERCIZIO. Vediamo di riassumere brevemente quali sono i concetti fondamenti per gli S.L.U.:

X. . . <433C G433PCH4­,m → /iGPC → C<3PCH4 → H3O/PGPOàB4GG′4'QPGP<PC Ô¼ ÑÓÏÓ Ñ½Ï½ ÑççÏ ÑÔÓÔÏÓ ¯ñË»ÑÔ»ÔÏ»Ö

»!½,ÉÀÀ»Æ»ÃÖÇ»pÃÊ»ÒÅÇÃÊ»ÅÕ» → Ñ Ó, ÓÍÃÑÆ Ó, Í

Mentre le leggi costitutive che utilizziamo per i due materiali sono:

Ricordo che per il calcestruzzo abbiamo che: ÀƼ Ë, ÌÍ ÀÆÏÑÆ Ó, Í Ë, ÌÍË, ̾ ∙ ~ÆÏÑÆ Ó, Í ¼ÉoÃÀƼèÕÅÊûÂÇÃÖlÅƻջּʻÆż»ÆÅÕÆÉÕÉ Il coefficiente 0,85 viene usato per tenere conto degli effetti della viscosità a tempo infinito. La legge costitutiva di un cubetto non confinato, ma la normativa impone l’uso di uno staffaggio minimo (come vedremmo), quindi possiamo assume un comportamento perfettamente plastico, dopo il raggiungimento della resistenza massima. Questa è una legge convenzionale, detta della parabola-rettangolo, questa può essere usata per il calcolo delle resistenze, ma non delle deformazioni, infatti ho un %Y ≅ 15.000­/, che è pari alla metà di quello reale. Si consideri ora una sezione di calcestruzzo, si osserva che l’andamento delle deformazioni ¦ è lineare, infatti viene ad essere mantenuta valida l’ipotesi di conservazione delle sezioni piane, anche agli S.L.U.

E Jc c

E As s

P

σ

ε

f ck

E

CLS (S.L.U.)

c

2%o 3,5%o

f cd

Legge costitutiva convenzionale della parabola-rettangolo

σ

ε

ACCIAIO (S.L.U.)

f ykf yd

Legge costitutiva elasto/plastica perfetta

circa 1,9%o 10%o

Lim

ite c

onve

nzio

nale

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 130

In primo luogo ci interessa determinare la risultate C della compressione sul calcestruzzo: y = ∙ ∙ Y ∙ = Dove = prende il nome di coefficiente di riempimento, ed assume il valore di 0,81 nel caso in cui siamo vicini alle condizioni di rottura, cioè con un ¦Y 3,5%. In queste condizioni con semplici analisi geometriche possiamo affermare che: ±Y 0,416 ∙ 67 ∙ A dire il vero la legge costitutiva della parabola-rettangolo è un po’ scomoda da utilizzare, quindi si è pensato di sostituirla con un’altra legge costitutiva detta dello stress-block, la quale viene ad essere definita dalle seguenti: 1y 0,8 ∙ ∙ ±Y 0,4 ∙

Passiamo ora a definire quali sono le verifiche che devono essere effettuate agli stati limite di esercizio, e quali schemi di materiale utilizziamo. Le verifiche che devono essere eseguite agli stati limite di esercizio sono le seguenti:

X. . %. P;PO/jPCH4B4GG4O4H3PCHPBP434<)PjPCyCHO<CGGCB4GG/433Q</jPCH4yCHO<CGGCB4GG/B4C<;/PGPOàB4GG/3O<QOOQ</ S.L.E. – Combinazione rara →F Gò Gò Pò Qò ∑ ψôQòô!"

S.L.E. – Combinazione frequente →F Gò Gò Pò ψ##Qò ∑ ψ"ôQòô!" S.L.E. – Combinazione quasi permanente →F Gò Gò Pò ∑ ψ"ôQòô!#

Come possiamo osservare i legami costitutivi sono lineari, sia per l’acciaio che per il calcestruzzo: 1ºÆ %ƨƺ %¨ xÅÇÃÊ»ÅÕ» → 1ÑÆ Ó, ËÑ Ó, Ë La resistenza a trazione del calcestruzzo, viene ad essere considerata solamente nella verifica alla fessurazione, ma vediamo in modo più dettagliato la limitazione delle tensioni di esercizio: 1,ÉÒy»ÖÅl»ÉÖÃÊÅÊÅ →ºÆ 5 ºÆ Ë,.ËÀÆÏú 5 Ë, ÌÀÁÏ,ÉÒy»ÖÅl»ÉÖÃÁ-Å»pÃÊÒÅÖÃÖÇà → ºÆ 5 ºÆ Ë,6ÍÀÆÏ

n n

x

b

h

+

-

ε=3,5%o

2%o

fcd

Cyc

fcd

0,8x

Ass

umo

conv

enz

ion

alm

ent

e σ

ε3,5%o

f cd

0,2x3,5%o ε

σ

ε

CLS (S.L.E.)

s

σ

ε

ACCIAIO (S.L.E.)

f yk

σc

fctk

γ =1,0

E c E s

σ

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 131

La ºÆva diminuita di un ulteriore 20% nel caso di solette collaboranti con uno spessore inferiore ai 5cm. Questi limiti vengono posti per limitare la fessurazione da compressione, e per limitare gli effetti viscosi, questo lo si deduce soprattutto dalla seconda condizione considerata. Mentre il controllo della fessurazione deve essere eseguito per evitare possibili problemi di durabilità, a questo proposito posso avere diversi livelli di fessurazione:

P;POPBP433Q</jPCH4 d_dX. . BPB4)C;&<433PCH4 →Y ≤ 0)PCèG/34jPCH4B4.4<P3QGO/<4)C;&<433/X. .BPC<;/jPCH4B4GG4433Q<4 →Y ≤ YM 0,70YM 0,70 ∙ 0,30Y

X. . BP/&4<OQ</B4GG4433Q<4 → Õ 5 Õ# 0,2;;Õ" = 0,3;;Õ| = 0,4;;

Ed infine ho lo stato limite di controllo delle deformazioni: anche in questo caso, così come per l’acciaio, ho un controllo al carico complessivo, e un controllo per il solo carico accidentale. æ³ 5 G200; ≤ G500 Chiaramente questa verifica deve essere eseguita a tempo infinito. In linea del tutto generale posso affermare che: $jPCHP → 1 XCGG4)PO/jPCHPX ≤ X. . . → 1 4H3PCHP 5 X. . %. Nel passaggio dalle azioni alle sollecitazioni, posso pensare di applicare l’analisi elastica lineare, ma questa chiaramente può essere considerata accettabile per le condizioni di esercizio. Mentre per la verifica agli S.L.U., la normativa ci fornisce delle soluzioni diverse:

1) Analisi elastica lineare, che rimane per taluni aspetti ancora credibile. 2) Analisi non lineare, in questo si segue il comportamento della struttura passo per passo,

ovviamente questa presenta delle elevate difficoltà di natura analitica. 3) Analisi elastica lineare con ridistribuzione, in questo caso si tengono conto delle non

linearità in modo forfettario, in ragione anche alle singole scelte del progettista, ovviamente la normativa fornisce delle limitazioni da rispettare.

CALCOLO DELLE SEZIONI IN CEMENTO ARMATO: PILASTRI.CALCOLO DELLE SEZIONI IN CEMENTO ARMATO: PILASTRI.CALCOLO DELLE SEZIONI IN CEMENTO ARMATO: PILASTRI.CALCOLO DELLE SEZIONI IN CEMENTO ARMATO: PILASTRI. Supponiamo di avere un edifico multipiano a comportamento pendolare:

Ed inoltre consideriamo il carico centrato N, coincidente con i baricentri della sezione di calcestruzzo e delle armature (pilastro doppiamente simmetrico). Lo stato de formativo che nasce è costante su tutta la sezione, e quindi possiamo fin da subito affermare che: ¨ = ¨Æ = ¨Â Æ»Éè[\]ºÆ%Æ ºÂ% →ºÂ ºÆ %Â%Æ ºÆÖ Questa è una relazione fondamentale che vale in

condizioni di esercizio, dove gli schemi dei materiali sono lineari, come si è visto n viene ad essere assunto pari a 15. Quella appena vista è la condizione di congruenza del nostro sistema, vediamo che cosa possiamo dire per la condizione di equilibrio: ºÆ4Æ ºÂ4 ºÆ4Æ Ö4 ºÆ4ļÃÅÕüÃÕÆÅÕÆÃÂÇÊ-llÉ

N

N

b

h

ε

σc

σ = σs n c

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 132

Quindi la verifica agli stati limite di esercizio è del tutto immediata:

ºÆ 4Ä 5 ºÆ _` Ë,.ËÀÆÏz..%.,.~. Ë,6ÍÀÆÏz..%.Ô. ç. J. ~ÆÏ ÓÍ6 K ÓÓ, ½Íº.4.

Nelle T.A. si utilizza un ulteriore coefficiente aggiuntivo pari a 1,25, perché siamo in compressione semplice. Mentre per le 0 ho che:

ºÂ ÖºÆ 5 ºÂ pË, ÌËÀÁÏz..%.,.~. ÀÁÏÓ, ͺ.4.

Come possiamo osservare alle T.A. si applica sostanzialmente una verifica in condizione di esercizio, alla combinazione rara. Vediamo ora di andare a fare una verifica agli S.L.U., in questo caso il carico N deve essere incrementato con gli opportuni coefficienti di sicurezza (si deve applicare la combinazione fondamentale di carico). Quello che cambia in modo radicale sono gli schemi costitutivi dei materiali (vedi pag. 129), quindi non siamo più in condizioni lineari, e la verifica non potrà più essere fatta in termini di tensione, ma deve essere eseguita in termini di sollecitazione. Per la calcestruzzo armato sostanzialmente vengono ad essere utilizzati due tipi di acciaio: il B450C e il B450A. Questi sono caratterizzati dagli stessi valori di rottura e snervamento, ma differiscono per il diverso grado di duttilità. Infatti il B450C presenta un allungamento a rottura maggiore del 7,5%, mentre per l’altro tipo ci si ferma al 2,5%.

L’acciaio di classe B450A viene ad essere usato in piccoli diametri che vanno dal 5 ai 10mm, e viene fornito in rotoli, i diametri devono essere contenuti per le ovvie difficoltà di piegatura per questa classe di acciaio. Mentre l’acciaio B450C può presentare diametri che vanno dai 6 ai 40mm, a differenza del D.M.96 che ci si fermava ai 32mm massimi. Come possiamo osservare l’allungamento a rottura di questi acciai è davvero notevole se confrontato con il limite dello snervamento, comunque convenzionalmente si considera un limite del 10 per mille di deformazione, questo per mantenere la planarità delle sezioni e l’aderenza tra i due materiali. Vediamo di calcolarci qualche valore:

$))P/PC¥450y → 450­/ → d_d 0 4501,15 390­/¦ %0 390206.000 1,9%

Vediamo ora di cercare il valore di rottura della mia sezione del pilastro, come possiamo vedere ad una deformazione del 2%o, abbiamo che l’acciaio è completamente snervato, ma anche il calcestruzzo si è completamente elasticizzato, quindi in questa condizione ho la massima resistenza del pilastro, ed è la mia condizione di rottura. Notiamo che ora si sta ragionando in termini di deformazioni, per trovare la condizione di rottura, e non più in termini di tensione. Una volta definita la deformazione massima di rottura, andiamo a determinare m>: ~ 4Æ ∙ ÀƼ ∙ Ë, Ì 4 ∙ ÀÁ¼ Come possiamo notare non compare più il coefficiente di omogeneizzazione, perché tra i due materiali non ho più alcuna linearità, ed entrambi lavorano alle loro massime possibilità. Ma possiamo anche affermare che nelle condizioni di rottura, l’effetto della viscosità non è presente, in altri termini il materiale non porta più la memoria delle condizioni di carico precedenti, quindi il calcolo a rottura è di più facile esecuzione.

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 133

La normativa ci impone di considerare un coefficiente di sicurezza pari a 0,8, infatti a differenza della flessione (come vedremmo), non ho nessuna riserva di resistenza, infatti la compressione semplice è una condizione di carico particolarmente gravosa, infatti si deve tenere conto degli eventuali effetti dovuti all’eccentricità non intenzionale. Questo coefficiente di sicurezza deve inoltre essere usato nelle travi a T sottoposte a flessione (travi di solaio, o strutture miste) dove la soletta collaborante è praticamente sottoposta a compressione semplice. La verifica agli stati limite ultimi si esegue semplicemente: ~ h z Ma vediamo che cosa dice la normativa in merito, infatti nel predimensinamento, che viene eseguito sempre in riferimento alle condizioni ultime (che per un pilastro sono anche quelle più gravose), dobbiamo rispettare dei limiti in merito all’area della armatura longitudinale: Ë, ÓË zÀÁ¼Ë, ¾%4Æ ≤ 4 ≤ 6%4Æ Ed inoltre nei pilastri devo mettere un’armatura longitudinale che come minimo deve essere un 12(m. y. 4.1.6.1.2), per evitare che le barre siano troppo snelle, e quindi soggette ad instabilità dell’equilibrio. Mentre per un pilastro di sezione quadrata il numero minimo di barre è apri a quattro unità, una per spigolo, mentre per un pilastro a sezione circolare si deve arrivare a sei. Ed inoltre l’interferro tra due barre successive non deve essere superiore ai 30cm. Come osserviamo dalla relazione precedente notiamo che almeno il 10% del carico deve essere assorbito dall’armatura longitudinale, questa è una importante relazione di progetto che ci consentirà di eseguire il predimensionamento dei nostri pilastri. Anche per le staffe devo rispettare dei precisi vincoli, sia in termini di diametro che di passo:

p ≤ Ó½ÕÉÖÈ»Ç-¼»ÖÅÕ»½ÍÆÒÅÇÉÒ»ÖÉÊüÃÕÕÅÂÃl»ÉÖÃzÇÅÀÀà h .ÒÒÓ6ÕÉÖÈ»Ç-¼»ÖÅÕ» Esempio numerico.Esempio numerico.Esempio numerico.Esempio numerico.

Si consideri un pilastro al piano terra, facente parte di una struttura multipiano con schema statico pendolare, chiaramente ci sarà un sistema di controvento che assorbirà le azioni orizzontali. Dati iniziali:

$ N. = 50;"/BCiHP&P/HC −i i i 6lm;"' 3lm;"

yG/334)4;4HOC →Y 35­/ $))P/PC¥450y → 450­/ La prima cosa che si deve determinare sono i valori di calcolo delle resistenze dei materiali: y/G)43O<QjjC → Y 0,85 YY 1,5 = 0,850,83 ∙ YY = 1,5 = 16,46­/

$))P/PC → = 0 = 1,15 = 391­/ L’applicazione si divide in due fasi, una prima fase ove si esegue un predimensionamento, e una seconda fase di verifica. Ora la

3,5m

45

45

8 16φ

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 134

fase di progetto può essere eseguita in riferimento al metodo degli S.L.U., oppure al metodo degli S.L.E., per i pilastri il primo modo è quello maggiormente vincolante. Qundi se esso viene ad essere verificato agli S.L.U., quasi certamente lo sarà anche per gli S.L.E. Lo sforzo normale sollecitante agli S.L.U. è dato dalla seguente: m = 4 × 50 × 1,3 × 6 + 1,5 × 3) + 4 × 3,5 × 0,45" × 25lm;| × 1,3ØÙÚ*0++ + 70M +M ßß7M

= 2.552lm

Se è vero che almeno il 10% del carico sollecitante se lo deve prendere l’acciaio, è anche vero che il restante 90% va a finire sul cls, quindi possiamo usare questa semplice relazione di progetto: $q ≥ 0,9 × mY × 0,8õq+*00 *0*+ Y*

= 0,9 × 2.552 × 10|16,46 × 0,8 = 174.423;;" Y è[\] ≥ √174.423 = 41,8);

Allo stesso modo possiamo fare per l’acciaio: $ ≥ 0,1 m = 0,1 2.552 × 10|391 = 653;;" Con questi dati optiamo per una sezione 45x45cm con 8∅16 → 16,08);", i quattro ferri aggiuntivi si sono resi necessari per rispettare l’interferro minimo tra le barre, la scelta di utilizzare dei ∅16, è una valutazione puramente personale. A questo punto dobbiamo verificare se la nostra scelta sull’armatura longitudinale sia coerente con i vincoli posti dalla normativa: 0,3%$q = 0,3%(45 × 45) = 6,08);" ≤ 4z ≤ 4%$q = 4%(45 × 45) = 81);" → (l) A questo punto possiamo eseguire la verifica di resistenza agli S.L.U. del mio pilastro: m> = $Y ∙ Y ∙ 0,8 + $0 ∙ = (450" × 16,46 × 0,8 + 1.608 × 391) 110| = 3.295lm ≥ m = 2.552lm

Passiamo ora alle verifiche agli S.L.E., mentre per la fessurazione e la deformazione nulla si può dire per i pilastri, essendo delle strutture semplicemente compresse, quello che ci rimane da verificare è la limitazione delle tensioni. Prima di mi devo determinare lo sforzo normale sollecitante nelle due combinazioni: X. . %. y. .→ m = 4 × 50 × (6 + 3) = 1.800lm X. . %. . .→ m = 4 × 50 × (6 + 0,3 × 3) = 1.380lm Agli stati limite di esercizio torniamo ad utilizzare il metodo n, infatti si deve tenere in conto il fenomeno della viscosità: $ = $q + H$ = 45" + 15 × 16,08 = 2.266);"

yC;PH/jPCH4</</ →pY = m$ = 1.8002.266 × 10 = 7,94­/ ≤ 0,60Y = 17,43­/0 = HY = 15 × 7,94 = 120­/ ≤ 0,80 = 360­/ (l) yC;PH/jPCH4'Q/3P&4<;/H4HO4 → Y = m$ = 1.3802.266 × 10 = 6,09­/ ≤ 0,45Y = 13,07­/(l) Nella compressione semplice l’acciaio non viene mai portato a snervamento, infatti sarà sempre il calcestruzzo a giungere a rottura per primo. Vediamo ora per le tensioni ammissibili che cosa possiamo dire: . $. → Y = J6 + Y − 154 K 11,25÷q+*00 *0*+ Y*

= 8,80­/ Come possiamo osservare con le T.A. abbiamo una verifica più stringente, questo perché il metodo delle T.A. è un metodo di verifica parziale, e quindi deve implementare degli ulteriori coefficienti di sicurezza.

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 135

TRAZIONE SEMPLICE.TRAZIONE SEMPLICE.TRAZIONE SEMPLICE.TRAZIONE SEMPLICE. In questo particolare caso la funzione del calcestruzzo è solamente quella di proteggere l’acciaio, basti osservare che soprattutto negli anni ’60 non era raro vedere delle strutture reticolari in c.a. Ma come vedremmo la presenza del calcestruzzo, ha un ulteriore effetto benefico. Iniziamo a far lavorare la nostra asta con una forza di trazione inferiore alla condizione di rottura per trazione del calcestruzzo, in altri termini siamo in condizioni di esercizio, e in questo caso il metodo n continua a trovare applicazione.

Questa condizione di carico prende il nome di “stato I”, ed una condizione dove il calcestruzzo non è ancora fessurato:

XO/OC → Y = m$ ≤ YM ≅ 110Y0 = HY

Questo stato viene a rimanere tale fino al raggiungimento della prima fessura, in corrispondenza dello sforzo normale di

fessurazione: m,N = YM ∙ $q Da questo momento in poi, a cavallo della fessura, si passa allo “stato II”, cioè allo stato fessurato, dove ho solamente l’acciaio che lavora a trazione:

XO/OC → p Y = 00 = m$ Come possiamo notare il passaggio tra lo stato I al secondo, è costituito da un passaggio repentino, infatti la rottura del calcestruzzo per trazione, è una rottura fragile. Ma vediamo da che cosa dipende questo “salto” di tensione sull’acciaio:

Δ0 = m,N$ − H m,N$ = m,N J 1$ − H$q + H$K =

= m,N J$q + H$ − H$$($q + H$) K æs!7Ç7ø[\\\\\\\\] = m,N-$ Con il parametro - ho individuato la percentuale geometrica di armatura, come

possiamo osservare tanto minore è questa, tanto è maggiore il salto di tensione sull’acciaio. Da questo possiamo determinare una percentuale minima di armatura da utilizzare: m,N = YM³ $ = $ → $$ = $$q + H$ù@70YZ

= - ≥ YM³*Z>ú!á¬7[\\\\\\\\\\\\\] ≅ 1,03%

A favore di sicurezza abbiamo considerato il valore superiore della resistenza a trazione del calcestruzzo, come possiamo osservare la percentuale che ottengo non è trascurabile, ma questo è dovuto al fatto che sono in condizioni di semplice trazione, quindi una condizione alquanto gravosa. Nella realtà il passaggio dallo stato I al II, non è così immediato, infatti alcune sezioni lavorano in stato fessurato, mentre altre sono ancora in stato non fessurato.

N

Ns,fNs,fFormazione della prima fessura

I IIINella sezione fessurata sono in stato II

acciaio

σσs

N

I

II

Ns,f

∆σs

σ =nNAs ID

σ =NAs s

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 136

Nella sezione fessurata ho una lunghezza di scorrimentov0, ove l’acciaio perde completamente l’aderenza con il calcestruzzo. Le barre di acciaio sono in grado di ripristinare la loro capacità di aderenza, ma questo dopo una lunghezza di introduzionelb, lungo la quale ho uno sviluppo iperbolico delle tensioni di aderenza. Quindi se io aumento di molto la forza di trazione N, le fessure si formano sempre in numero maggiore, ma la distanza tra queste non può diventare inferiore a . G(. Quindi riassumendo possiamo dire che: XO/OC → ¦ = ¦0 = ¦Y = Hm$% = m$q%q XO/OC → ¦ = ¦0 = m$%

Ma come si è detto non tutte le sezioni passano ad uno stato II, infatti se considero una tensione

media ¦* 7 ∆ , noto che questa presenta un certa differenza rispetto alla corrispondente deformazione di una barra di acciaio equivalente, questo fenomeno prende il nome di tension-stiffening. Ed ecco il perché dei tiranti in c.a., infatti questi presentano una minore deformazione rispetto a quelli di acciaio, in altri termini hanno un comportamento mediamente più rigido. Nello stato II, possiamo distingue due fasi, una prima fase di formazione delle fessure, dopo di che quando viene ad essere raggiunta la distanza minima di formazione delle fessure, si passa alla seconda fase di accrescimento delle stesse, dove la deformazione è a carico del solo acciaio. Tutto questo è ancora vero fino a che si entra nello stato III, detto stato plasticizzato, da qui in poi una delle fessure comincia ad aprirsi in modo indefinito, in realtà sappiamo che l’acciaio comunque presenta un comportamento incrudente, quindi più di una fessura comincerà a “scorrere”. XO/OC → m*Y M7M* $ yCHBPjPCH4BP<COOQ</ →m> = $M

NNacciaio

v0

σσs

σσc

v0 v0

N

Andamento delle tensioni principali

τSviluppo delle tensioni di aderenza

lb

ε

N

Ns,f

I

II

∆ε

III

-> Dovuto al tension-stiffening

NR

Fase di formazione delle fessure

Fase di accrescimento delle fessure

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LUNGHEZZA DI ADERENZA.LUNGHEZZA DI ADERENZA.LUNGHEZZA DI ADERENZA.LUNGHEZZA DI ADERENZA. Il concetto fondante del c.a. è il seguente: ¦Y = ¦0 L’aderenza tra questi due materiali è dovuta da due fattori:

- L’effetto dell’incollaggio, questo è dovuto alla pasta di cemento che penetra all’interno delle porosità dell’acciaio, ovviamente si tratta di un effetto alquanto limitato, ma l’unico per le barre lisce.

- Effetto geometrico, questo viene ad essere creato dalla piegatura delle barre, oppure da una zigrinatura superficiale delle barre, che prendono il nome di barre ad aderenza migliorata. Ovviamente la presenza dell’uncino per le barre lisce è obbligatorio.

Oggi giorno vengono ad essere usate solamente barre ad aderenza migliorata, il cui diametro è riferito ad un diametro equivalente di una barra equipesante. La presenza di queste irregolarità superficiali, favorisce la nascita di puntoni di calcestruzzo, i quali devono essere confinati, ad esempio con l’uso di staffe,

oppure con la presenza di capocchie terminali, collegate direttamente alle barre. Con le barre ad aderenza migliorata viene meno l’obbligo di fare l’uncino terminale, quindi oggi le barre vengono semplicemente piegate a 90°. Vediamo ora di definire la lunghezza di ancoraggio lb, essa è quella lunghezza minima che permette alla barra di lavorare alla sua massima tensione di lavoro, senza sfilamento dall’impasto, ovviamente la condizione più sfavorevole è quando questa tensione viene ad essere uguale alla tensione di snervamento.

L’andamento reale delle tensioni di aderenza, può essere sostituito da un andamento medio, che la normativa indica con (, la nostra condizione di verifica è la seguente: 5 $

­/ 0$ ∙ ∅ ∙ G( ∙ ( → Õy = 0 ∅á∅( ∅6 ºÂÀy¼ La lunghezza di ancoraggio è proporzionale al dimetro della

barra di acciaio, mentre è inversamente proporzionale alla sua tensione di aderenza, chiaramente la condizione più sfavorevole, è la condizione di snervamento della barra: ÕyÒÅi ∅6 ÀÁ¼Ày¼ Come si può notare ci si riferisce sempre alle tensioni di calcolo, infatti stiamo lavorando agli S.L.U., quindi posso affermare che: Ày¼ ÀyÏÑÆ Ó, Í Ma vediamo che cosa ci dice la normativa in merito:

ÀyÏ = ½, ½Í × ÀÆÇÏ × û ½, ½Í × Ë,¡Ë × Ë, ¾Ë × ÀÆϽ¾ × û û → = ÓpÃÊÕÃyÅÊÊü»¼»ÅÒÃÇÊÉ»ÖÀÃÊ»ÉÊÃÅ»¾½ÒÒ

= Ó¾½ − ∅ÓËË ≤ ÓpÃÊyÅÊÊþ½ ≤ ∅ ≤ 6ËÒÒ

Zigrinature

N

Puntoni di calcestruzzo

Tira

nte

τ =fb bd

lb

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 138

Il coefficiente 2,25 vale solamente per le barre ad aderenza migliorata, vediamo ora di ricavare un valore per la nostra lunghezza di aderenza.

G(2¶ = ∅4 ( ∅4 390","A#,A × 0,70 × 0,30 × 30 = 32∅ Che per una barra da 20mm di diametro si traducono in 64cm, dopo questa lunghezza posso considerare la mia barra completamente aderente. Tutte queste considerazioni valgono se sono in buona aderenza, cioè dove lo stato tensionale del calcestruzzo si traduce in una compressione della barra. Questa condizione si verifica nelle travi (dove ho la presenza di staffe), nei trenta centimetri dal bordo inferiore. Mentre siamo in cattiva aderenza nella parte alta delle travi, e nei pilastri, cioè dove l’azione di compressione è parallela alle barre di armatura. In quest’ultimo caso la cattiva aderenza è data dal fenomeno di splitting, cioè per fessurazione del pilastro lungo

la direzione di compressione, ed in generale siamo in cattiva aderenza per tutte quelle barre di armatura che si trovano superficialmente rispetto alla direzione del getto, infatti in questo caso ho il fenomeno del blinding, cioè il dilavamento delle armature. Nelle zone di cattiva aderenza, la lunghezza G( deve comunque essere assunta pari al doppio, vediamo di riassumere tutte queste condizioni, più altre due che derivano dall’EC2:

Õy ≥ ∅6 ºÂÀy¼ 5-ÉÖÅżÃÊÃÖlÅ;∅½ ºÂÀy¼ ,ÅÇÇ»oÅżÃÊÃÖlÅÓÍÆÒ½Ë∅

Questi ulteriori limiti servono per garantire comunque una certa lunghezza di aderenza, anche in assenza di tensione sulle barre.

LA FLESSIONE NEL CLA FLESSIONE NEL CLA FLESSIONE NEL CLA FLESSIONE NEL C.A..A..A..A.

STATO I Vediamo prima di iniziare la trattazione, alcune definizioni: B = ℎ − ) → /GO4jj/QOPG4 ), )² → )C&<P4<<CBP)/G)CGC Il copri-ferro di calcolo è quello che si misura dal bordo al baricentro delle armature, mentre la normativa per la sua valutazione, fa riferimento al copri-ferro netto: )*MM ) ∆)* Dove:

) ;/ yC&<P4<<C;PHP;CBP/B4<4Hj/, &/<P/G∅B4GG²/<;/OQ</GCHiPOQBPH/G4yC&<P4<<C;PHP;CBPBQ</PGPOà, 3CGPO/;4HO410;;10;;

∆)* → yC&<P4<<CBPB4.P/jPCH4, )ℎ4)CH3PB4</4.4HOQ/GP4<<C<PBP&C3/,.PH4/33QHOC&/<P/10;; Dato uno stato di sollecitazione M ed N, quale è la tensione in una generica fibra della sezione. Ci troviamo nella condizione di sezione totalmente reagente, quindi ci basterà lavorare con la geometria delle aree, prima di tutto vediamo di determinarci la posizione del baricentro della

σ

σσ1 σσ1

Fessure da compressione

n n

b

h

+

-

NM

NM

As

A's

ε c

ε's

+

-

c

d

yG

GID

ε sε cinf.

σcσ'sn

σcinf.

σsn

c'

1r

1r

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sezione ideale. Nello stato I, l’asse neutro è anche asse baricentrico, quindi è qual’asse lungo il quale il momento statico della sezione si annulla:

±âã ­C;4HOC3O/OP)C<P3&4OOC/GC<BCPH4<PC<4$<4/PB4/G4B4GG/34jPCH4 = ℎ w" H$) H$² g )²g H$ $²

Mentre il calcolo del momento d’inerzia ideale, rispetto all’asse baricentrico della sezione ideale, si riduce alla seguente espressione: ° g|12 + ℎ Jℎ2 − ±âãK" + H$±âã − )" + H$² (ℎ − ±âã − )²)" Nel nostro stato non fessurato le tensioni sono date dalle seguenti relazioni:

Y = ­° ± + m$0 = HY

Tutto questo è vero fino a che Y¬ ≤ YM, ma finche siamo in condizioni di non fessurazione, ci

possiamo facilmente determinare il valore della curvatura #: 1< = ¦Y − ¦Y¬ℎ = ¦0 − ¦0²B = ­%q°

STATO IISTATO IISTATO IISTATO II

Lo stato II è uno stato fessurato, quindi non siamo più in condizioni lineari, anche se il comportamento dei materiali è ancora elastico lineare. Si deve fare riferimento a una diversa soluzione, infatti in questo caso Navier non è più applicabile, almeno così com’è. La sezione reagente è quella composta dalla parte compressa del calcestruzzo, e dall’acciaio.

Per semplificarci la vita considero la presenza del solo momento flettente. Da questa prima condizione mi posso determinare quanto vale x, infatti a questo proposito facciamo riferimento alla condizione di linearità delle tensioni: Y = 0H = 6 ∙ ± Siamo in condizioni non lineari, quindi l’unico modo per

determinare x, è quello di ragionare in termini di equilibrio: X4m = ÞYB$ =6 Þ±B$ = 0'QPHBP → Þ±B$ = 0 Y è[\] Xâã = 0 → C3PjPCH4/334H4QO<C Quindi l’asse x è quell’asse nei confronti del quale il momento statico della sezione ideale parzializzata si annulla, quindi esso continua ad essere un asse baricentrico di questa sezione, anche se cambia radicalmente il tipo di sezione alla quale ci riferiamo. Xâã = 2 + H$² ( − )²) − H$(B − ) = 0 Da questa otteniamo una relazione del secondo ordine in x, dalla quale ci possiamo determinare la posizione dell’asse neutro: i = Ö(4z + 4z² )y u−Ó + FÓ + ½y(4z¼ + 4z² Ʋ)Ö(4z + 4z² )½ v (»Ö¼Épp»ÅÅÊÒÅÇ-ÊÅ)

n n

b

h

+

-

NM

NM

As

A's

ε c

ε's -

c

d

ε s

σcσ'sn

σsn

Parte compressaParte tesa fessurata

c'

xy

M

Z

C

d-x3

Considero N=0

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 140

Per una sezione in semplice armatura si fanno i medesimi ragionamenti, ma la relazione per il calcolo della posizione dell’asse neutro cambia:

i = Ö4zy u−Ó FÓ ½y¼Ö4zv »ÖÂÃÒpÕ»ÆÃÅÊÒÅÇ-ÊÅ Vediamo invece dalla seconda condizione di equilibrio ­*åM ­ M: ­*Y M7M* ÞY±B$ 6 Þ±"B$ 6° Z [\\\] 6 ­*Y M7M*°

­/3/&&P/;C)g4ºÆ ºÂÖ 6 ∙ ± = xzÉÕÕÃÆ»ÇÅÖÇÃ&Ä Á Come possiamo osservare abbiamo ottenuto nuovamente l’espressione di Navier, chiaramente si deve fare riferimento all’area ideale omogeneizzata. Ovviamente il momento d’inerzia ideale va determinato in riferimento all’asse neutro: &Ä = yi¾¾ Ö4z¼ i½ Ö4z² i Ʋ½ Vediamo ora di ragionare su di una sezione in semplice armatura, e vediamo di scrivere delle fondamentali relazioni di equilibrio, sempre nell’ipotesi di N=0.

y 2 Y = 0$ = ®­*Y M7M* y 'B 3( = ® 'B − 3(

Avendo solamente la presenza di M, questo può essere indifferentemente calcolato rispetto a qualsiasi fibra della sezione. Mettendo assieme le due relazioni precedenti, posso determinare due importanti relazioni, sempre nell’ipotesi di semplice armatura: ­ = y 'B − 3( = 2 Y 'B − 3( 0*æZ*[\\]ºÆ ½xzyi'¼ i¾( ­ ® 'B 3( = 0$ 'B − 3( 0*æZ*[\\] ºÂ xz4z '¼ i¾( Quindi dopo averci calcolato la posizione dell’asse neutro x, ci ricaviamo facilmente le tensioni agenti, al bordo compresso e nell’acciaio teso. Dalla seconda relazione inoltre ci possiamo ricavare una fondamentale formula di progetto: $33QHOCPG</))PCB4GG4C<j4PHO4<H4 'B 3( ≅ 0,9B →4z ≥ xzºÂ ∙ Ë,é ∙ ¼ Dove ºÂviene assunto in ragione del livello di tensione alla quale voglio far lavorare le mie armature, solitamente si assume . Nel passaggio dallo stato I allo stato II, l’asse neutro diviene meno profondo, ma siccome le condizioni di equilibrio devono comunque essere verificate, significa che le tensioni aumentano. Ma vediamo in modo più dettagliato che cosa accadde: ° f ° &4<BCG/&/<O4O43/B4G)/G)43O<QjjC H)C<<P3&CHB4Hj/BP­,N → 1< = ­,N%° < 1< = ­,N%° Quindi nel passaggio dallo stato non fessurato a quello fessurato, ho un aumento di curvatura, teoricamente questo aumento avviene in modo repentino, ma nella realtà ho un effetto smorzante dato dallo tension-stiffening, infatti non tutte le sezioni passano allo stato II contemporaneamente.

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Dopo lo stato II, si arriva allo stato plasticizzato, e questa plasticizzazione può interessare il calcestruzzo, o l’acciaio, e questo dipende dalla percentuale geometrica di armatura. Lo stato III costituisce il calcolo a rottura della sezione, in altri termini stiamo lavorano agli S.L.U. Ultima questione che ci rimane da affrontare è la presso-flessione, quindi si rimuove

l’ipotesi di sforzo normale nullo. Prima di tutto ci determiniamo l’asse di sollecitazione, rispetto al quale il momento ­è nullo, in altri termini calcoliamo l’eccentricità40: 40 = ­m L’andamento delle tensioni è sempre lineare, quindi valgono le ipotesi fatte in precedenza: Y = 0H = 6 ∙ ±

Vediamo la prima condizione di equilibrio: ­ = 0 →ÞY ∙ < ∙ B$ = 6Þ± ∙ < ∙ B$ = 6° → ° 0 → C3PjPCH4/334H4QO<C Questo è il momento d’inerzia ideale centrifugo rispetto alla retta r ed n, è una relazione del terzo ordine, quindi dovrà essere risolta per interazione, e ci permette di determinare la posizione dell’asse neutro. Dopo di che possiamo utilizzare anche la seconda condizione di equilibrio: m = Þ0B$ = 6Þ±B$ = 6X Grazie alla conoscenza della posizione dell’asse neutro ci possiamo determinare il momento statico ideale della sezione, e quindi k. Il calcolo delle tensioni è una pura conseguenza.

M

Ms,f

I

II

III

-> Dovuto al tension-stiffening

MR

1r

EJIDI

Andamento realeEJID

II

∆ 1r

n n

b

h

+

-

As

A's

ε c

ε's -

c

d

ε s

σcσ'sn

σsn

c'

xy

MN

N (M =0)sr r

r

PRESSO-FLESSIONEs

n n

b

h

+

-

As

A's

ε c

ε's -

c

d

ε s

σcσ'sn

σsn

c'

x

M

STATO I

L'asse neutro passa per il baricentro dellasezione ideale. In questo caso la sezioneè pienamente reagente.

ε cinf. σ <fcinf. ctk

n n

b

h

+

-

As

A's

ε c

ε's -

c

d

ε s

σcσ'sn

σsn

c'

x

M

STATO II

ε cinf. σ >fcinf. ctk

L'asse neutro continua a passare per il baricentro della sezione ideale, ma questa volta essa è parzializzata. Come possiamo inoltre notare l'asseneutro si alza, infatti perdo il contributo del clstrazionato.

Z

C

bZ

I

I

Ic

0I

CII

Z II

b0II

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Quindi ricapitolando sia nello stato I che II, Navier continua a valere, anche se cambia radicalmente la natura della sezione reagente, e quindi la sezione ideale di riferimento. Per quanto concerne lo stato II, il tutto può essere riassunto con il schema seguente:

G433PCH434;&GP)4 → CHiCm = 0 →X = 0 Y7[\\\] YZ*0M*M* *M*0 [\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\]Y , 0<433C − G433PCH4 → CHiC­ = 0 → ° 0 Y7[\\\] YZ*0M*M* *M*0 [\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\]Y , 0 Anche con il pilastro per garantire un certo margine di sicurezza nel passaggio dallo stato I al II, devo inserire una certa quantità di armatura minima, così pure deve essere fatto per le travi sottoposte a flessione. A questo proposito osserviamo la figura precedente e possiamo affermare che:

p ­,N = y = y®@70YZ7( * ®q ® Essendo la trazione dell’acciaio in stato I del tutto trascurabile, si nota come su di esso intervenga un salto di tensione notevole, nel momento in cui il calcestruzzo arriva a fessurazione. Il processo di fessurazione è un evento di rottura fragile, per determinare la quantità di acciaio minimo, basterà trasformare la ®q in corrispondente area di acciaio. ®q YM³ $q°@*072 = ® = $Q43OC/G;C;4HOCB4GGC"3O</&&C" Abbiamo utilizzato valori di resistenza caratteristici, perché siamo in condizioni di esercizio: come valore di trazione caratteristico prendo quello superiore. Vediamo di ottenere una espressione che sia significativa:

$ = 12$q°@*07 YM³æ7øÐÇý/2≅(w"[\\\\\\\\\\\]= 0,25ℎYM³

Ottengo una espressione del tutto simile all’asta in trazione, anche se in questo caso ho un coefficiente pari a 0,25, invece di 1, chiaramente la flessione è una condizione di carico meno gravosa, rispetto alla trazione pura. Si è assunta in modo cautelativo un’area di calcestruzzo tesa paria a metà della sezione, ovviamente per una sezione in Stato I l’asse neutro potrebbe anche essere al di sotto della metà. Ma vediamo che cosa di dice la normativa in proposito: 4ÊÒÅÇ-ÊÅÕÉÖÈ»Ç-¼»ÖÅÕÃÒ»Ö»ÒÅpÃÊÕÃÇÊÅo»º.|.6. Ó... Ó. Ó → 4z4, h pË, ½.ÀÆÇÒÀÁÏË, Ó¾%

STATO IIISTATO IIISTATO IIISTATO III

n n

x

b

h

+

-ε=−3,5%o

2%o

fcd fcd

0,8x

Str

ess

- B

lock

As

A's

c

d

c'

Te

nsio

ni s

ul c

ls.

σ

ε3,5%o

f cd

0,2x3,5%o ε

ZS

CZ'S

CLS

Ipotesi di Stress-Block

ε's

ε s

STATO III - S.L.U.σ

ε

ACCIAIO (S.L.U.)

f ykf yd

Legge costitutiva elasto/plastica perfetta

circa 1,9%o 10%o

Lim

ite c

on

ven

zio

nal

e

MR

NR

S

Campo sollecitanteCampo resistente

c

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Il campo resistente è ottenuto dalla condizione di rottura di uno dei due materiali che compongono il calcestruzzo armato, cioè il calcestruzzo e l’acciaio. Quindi posso affermare di essere in condizioni di rottura se abbiamo un ¦Y = −0,35%, e lascio libero l’¦0, oppure al contrario posso pensare di portare l’¦0 1%, e ancora una volta sono in condizioni di rottura. La verifica può essere eseguita in modo globale, andando a tracciare il campo resistente, e quello di sollecitazione, e verificando che: ­; mØÙÚq7+0*Y M7M* 5 ­>; m>ØÙÚq7+*0 0M*M* Per costruire il nostro campo resistete, non facciamo altro che fissare a priori la posizione dell’asse neutro n-n. Quindi per prima cosa troviamo una configurazione deformativa congruente, e con questa posso determinare un certo campo resistente, dato da diverse condizioni di rottura. Ora le azioni y, ®²e ®, sono tutte e tre calcolabili con le seguenti relazioni:

d_d , Ë, ÌiyÀƼþz 4zºÂ 4z ÀÁ¼Ï÷ºÂþz² 4z² ºÂ² 4z² ÀÁ¼Ï′ØÙںµ

àC.46èQH)C4P)P4HO4BP4P)P4Hj/H4GG²Q3CB4GG²/))P/PC. A questo punto posso determinare i valori di NR ed MR, dalle espressioni seguenti: m> y ® ®² 0,8Y $6 $² 6′ ­> y Jg2 0,4K ® Jg2 )K ®′ Jg2 )′K Il calcolo di MRpuò essere riferito a qualsiasi posizione, in questo caso è stato determinato in riferimento alla posizione del baricentro del calcestruzzo. infatti in fase di progetto non conosco ancora la posizione dell’asse neutro della sezione ideale (perché devo ancora dimensionare le armature). Quindi anche le nostre sollecitazioni saranno quasi sempre riferite al baricentro della sezione in calcestruzzo, ed è bene che lo siano anche le resistenze. Con le relazioni appena scritte posso collegare direttamente uno stato deformativo arbitrario, con le corrispondenti resistenze.

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 144

Campo 1Campo 1Campo 1Campo 1⟹ Qui siamo in trazione con piccola eccentricità, in altri termini l’azione di trazione è all’interno del nocciolo centrale d’inerzia. Come possiamo osservare l’acciaio inferiore risulta essere sempre snervato.

Campo 2 Campo 2 Campo 2 Campo 2 ⟹ In questo caso comincio a comprimere il calcestruzzo, in altri termini la sezione inizia a parzializzarsi, quindi l’azione di trazione sta uscendo dal nocciolo. L’azione C sul calcestruzzo assume valori diversi da zero, e ad ogni modo per il suo calcolo usiamo sempre l’ipotesi dello stress-block, anche se la deformazione del Cls è inferiore al 2‰, questo perché ad ogni modo l’azione C sul calcestruzzo è comunque contenuta. La posizione limite dell’asse neutro è data dalla seguente relazione: ¤"| = B = ¦Y¦Y ¦0 3,53,5 10 = 0,259

Campo 3 Campo 3 Campo 3 Campo 3 ⟹ Siamo sempre in condizioni ultime, quindi uno dei due materiali deve essere in condizioni di rottura, a questo punto comincio a ruotare attorno al punto B, iniziando a detrazionare l’acciaio, fino a che quest ultimo non giunge in condizioni di snervamento. Come possiamo notare l’asse neutro si abbassa, quindi assumendo una rottura via via meno duttile, infatti essa avviene a carico del calcestruzzo, e non dell’acciaio. Questo è un buon campo di lavoro, ed è il nostro campo di riferimento per le travi o per i pilastri ad elevata eccentricità. Vediamo di determinare la posizione dell’asse neutro al limite del campo 3: ¤|á = B = ¦Y¦Y + ¦

áAq[\\] 3,53,5 + 1,9 = 0,648 /HC<;/OP./&4<G4O</.P<P)ℎP4B4QH¤ M* ≤ 0,45(y/;&CBQOOPG4) Una soluzione progettualmenteperfetta è quella che si pone a cavallo tra il campo 2 e il 3, infatti ho il massimo sfruttamento dei materiali, da una parte, e una rottura di natura duttile. Ma è anche vero che tra tutte le possibili configurazioni deformative di rottura,

questa è quella che avviene con la massima curvatura #, quindi la rottura avviene con la

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 145

massima capacità rotazionale possibile, che è un chiaro indice di duttilità della sezione. Infatti la duttilità di una sezione può essere misurata come il rapporto tra la rotazione ultima e quella di snervamento.

Alla fine del campo 5 tutta la sezione risulta essere compressa, quindi mi sto via via portando verso il campo dei pilastri, con eccentricità sempre minore, i campi 4 e 5 presentano una rottura di tipo fragile. Quindi i pilastri sono degli elementi che presentano una bassa duttilità, e costituiscono quasi sempre dei punti di fragilità di una struttura. Il campo 6 è quello che ci manca, in questo caso siamo in compressione semplice con piccola eccentricità, infatti l’azione di compressione cade all’interno del nocciolo. Essendo una condizione particolarmente gravosa la normativa limita la deformazione massima a carico del calcestruzzo al 2‰, quindi il campo 6 è dato dalla rotazione rispetto al punto C. Alla fine avremmo costruito un campo resistente definito a pag. 143, a dire il vero dovrebbe essere troncato a compressione semplice, infatti per i pilastri si utilizza un ulteriore coefficiente di sicurezza pari a 0,8. Il campo resiste riportato viene costruito per la metà superiore con le curvature in senso antiorario, mentre per la metà inferiore si devono considerare le curvature orarie della sezione. Come si vede esso è simmetrico, questo è dovuto al fatto che la nostra sezione per ipotesi presenta un’armatura simmetrica. Supponiamo ora che all’interno del campo resistente sia contenuto un campo sollecitante:

Il coefficiente di sicurezza con cui io sto lavorando è definito dalla: ;PH X Il campo sollecitante campito in blù è certamente un campo di lavoro di una trave o un pilastro ad elevata eccentricità, la rottura sarà duttile, in quanto abbiamo una prevalenza di momento flettente rispetto allo sforzo normale. Mentre il campo campito

in verde è il classico campo sollecitante di un pilastro (ci troviamo a lavorare nei campi 5-6), esso sarà certamente caratterizzato da una rottura di tipo fragile dovuta allo sforzo normale. Altra disquisizione: “Tra i due campi resistenti qual è quello preferibile?”. Anche se il campo in rosso è tangente al campo sollecitante, quindi non ho nessuna riserva di sicurezza, questo è preferibile perché il suo posizionamento favorisce un comportamento duttile della sezione, a differenza del campo verde. Quindi le sezioni duttili sono quelle sezioni dove ho percentualmente (rispetto all’area del calcestruzzo) poca armatura tesa, infatti basti pensare che l’asse neutro (questo in stato I e II, ma il ragionamento è lo stesso) si abbassa tanto più l’area dell’armatura tesa è importante. Vediamo ora di determinare la posizione dell’asse neutro in una generica sezione in doppia armatura, sottoposta a pressoflessione: quello che si fa è un semplice equilibrio alla traslazione. Il tutto deve essere inserito in più ampio ragionamento di verifica della sezione stessa, infatti un primo metodo di verifica sarebbe quello di tracciare i campi sollecitanti e resistenti, ma questo

M R

NR

S

O

R

MR

NR

S

S

R

R

AB

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 146

chiaramente richiede un certo sforzo. Allora la normativa consente anche l’utilizzo di una verifica puntuale più celere. CHP/;C → 1m = m>­ ≤ ­> → l

Il tutto inizia dalla ricerca della posizione dell’asse neutro, che si traduce in un equilibrio alla traslazione: ±~ = ±z = −Ë, Ì ©ÃÀÀ¼ØÙÚi yÀƼ 4zÀÁ¼Ï 4z² ÀÁ¼Ï′

©ÃÀÀ = ∓z ÀÁ¼4zÏ 4z² ϲË, Ìy¼ÀƼ

Questa è una relazione che va risolta in modo iterativo, infatti 6² = 6²¤*NN, questo sarebbe vero anche per 6, ma quasi sempre nel

predimensionamento si fa in modo che l’acciaio teso si snervi, quindi 6 = 1. Come possiamo osservare uno sforzo normale di compressione (negativo) tende ad abbassare l’asse neutro, così come la presenza di una quantità importante di acciaio positivo, mentre in questa condizione solamente la presenza dell’acciaio compresso tende ad alzare l’asse neutro. Ed ecco il perché in molte travi a spessore sono fortemente armate in compressione, anche senza che ci sia una

diretta utilità dal punto di vista delle sollecitazioni agenti, ma solo con il fine di garantire una certa duttilità minima alla sezione stessa.Una volta stabilita la posizione dell’asse neutro possiamo determinare il valore del momento resistente: x~ = −, J ½ − Ë,6iK + þ J ½ − ÆK − þ² J ½ − ƲK Ma potrei pensare al campo resistente di una generica sezione di calcestruzzo, come dato dalla somma di due diversi campi resistenti, uno dovuto al calcestruzzo e uno dovuto all’acciaio. Questo è possibile dal fatto che l’acciaio e il calcestruzzo sono tra di loro congruenti, cioè subiscono le medesime

deformazioni. Ma se ciò è vero ci possiamo chiedere quale sia il campo resistente del calcestruzzo e dell’acciaio presi singolarmente.

M

NN =NS R

MR

MS

b

h

As

A's

n nx

b

h

+

-ε fcd

0,8

x

As

A's

c

d

c'

ZS

CZ'Sε's

ε s

c

b

h

As

A's

c

d

c'

= +

b

h

As

A's

n nx

b

h

+

-ε fcd

0,8x

c

d

c'C

cSolo CLS.

MR

NR

CLS

CLSβ=0 β=12 β=1

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 147

Il tutto può essere espresso nei seguenti termini:

0,8 = ℎ)CH0 ≤ ≤ 1&4<)QP p m>q° = y = ℎY­>q° = y Jℎ2 − ℎ2 K = ℎY Jℎ2 − ℎ2 K = ℎ"4 Y(1 − ) Come possiamo notare si ottiene un campo parabolico con i seguenti punti notevoli: 4< = 0HCHℎC)/G)43O<QjjC)C;&<433C − 4< = 1OQOO/G/34jPCH4è)C;&<433/

QHOCBP;/33P;C → B­>q°0B = 0 →ℎ"4 Y − ℎ"2 Y = 0 → = 12 Y è[\] m>q° = 12ℎY­>2¶q° = ℎ"16 Y

Quindi questo è il campo resistente del solo calcestruzzo, ma in generale di tutti i materiali che non resistono a trazione, come il terreno, infatti questo è il classico campo resiste di un plinto. Mentre il campo resistente del solo acciaio, può essere visto come il campo resistente di una trave IPE con anima evanescente, che abbiamo già avuto modo di vedere.

Se sommo un campo lineare con un campo parabolico, ottengo ancora un campo del secondo ordine, omotetico al primo. Come possiamo notare il campo che ho riportato per l’acciaio è simmetrico, questo è dovuto al fatto che l’armatura ipotizzata è anch’essa simmetrica. In caso contrario il campo rimane sempre di tipo romboidale, ma ruota, infatti essendo ® ≠ ®′ si crea una certa eccentricità e quindi nasce un momento spurio. Quindi una eventuale componente di assimetria del campo resistente, è dovuta univocamente all’armatura.

As

A's x

+

-

n n

Solo acciaio

ZS

Z'S

M R

NR

Acciaio

Acciaio

k=1, k'=-1

k=-1, k'=1

k=k'=-1

k=k'=1

MR

NR

Come possiamo osservare il campo resistente base del calcestruzzo è campito in rosso. Questopoi deve essere sommato a quello dell'acciaio, ottenendoi nuovi campi resistenti in blù. In questo caso abbiamo una armatura simmetrica.

R

R

ω=ω'

ν

µ

ω=ω'=0

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Fino ad ora si è parlato sempre in termini dimensionali, ma perché questi campi siano di qualche utilità pratica, sarebbe auspicabile che essi siano espressi in termini adimensionali. Quindi questi domini devono essere espressi in modo del tutto indipendente dalle dimensioni della sezione e dal tipo di materiale.

m → = zy¼ÀƼ = −0,8 B 6 $B Y 6² $²B Y 0,8¤ 6 6²² ­ → = xzy¼½ÀƼ = 0,8B"Y¤1 − 0,4¤) + $² 6²(1 − -²)BB"Y = 0,8¤(1 − 0,4¤) + ′6′1 − -²)

àC.4j = 4zy¼ÀÁ¼ÀƼ 4j² = 4z²y¼ÀÁ¼ÀƼ 3CHCPÊÅppÉÊÇ»ÒÃÆÆÅֻƻB4GG4/<;/OQ<4 k² = Æ′¼ èPGÆÉpÊ»ÀÃÊÊÉż»ÒÃÖ»ÉÖÅÕÃ

Come si può osservare il momento sollecitante viene ad essere calcolato rispetto alla posizione dell’armatura tesa. Le sollecitazioni espresse in modo adimensionale forniscono a “colpo d’occhio” il grado di sfruttamento della sezione in riferimento alle sue condizioni limite di sfruttamento. Questi grafici adimensionali possono essere utilizzati sia per il progetto che per la verifica di una sezione:

X4;P&<Ci4OOCB4GG/34jPCH4 → 1m­§ → , B, Y , ØÙÚZ*0M N 00 → ¿0e0 → = ² →$ = $² = YB

Ad esempio per determinare l’altezza della trave ci può venire in aiuto la seguente regola

pratica: B ) ≅ ##A Q)4O</.4. Allo stesso modo di quanto fatto in precedenza, la verifica può

anche essere condotta in termini adimensionali. m m> 0*æZ*­> h ­l Anche in questo caso devo determinare la posizione dell’asse neutro: ¿0 ¿> → ¤ = ∓¿0 6 6′′0,8

Tanto più è importante l’azione di compressione (quindi ¿0 assume valori positivi), tanto più si approfondisce l’asse neutro, questo è vero anche se metto più armatura tesa nella sezione. Quindi la sezione diviene più fragile, perché la

rottura avviene in campo tre avanzato. Mentre la presenza di armatura compressa favorisce la duttilità della sezione, alzando la posizione dell’asse neutro. Ed è per questo che

nelle zone sismiche deve essere che $² h #" $. Tutto quello che abbiamo visto fin d’ora lo abbiamo applicato a delle sezioni rettangolari, chiaramente se abbiamo a che fare con delle sezioni di forma generica, il tutto deve essere risolto in termini numerici. Altro caso di complicazione è la presso-flessione deviata, anche in questo caso si deve ricorrere all’integrazione numerica. Nella flessione retta avevo a che fare con due parametri deformativi: ¦Y ed ¦0. Ora questi divengono tre:

¦Y #¶ #³ → m>­>¶­>³

M

NN =NS R

M R

M S

b

h

As

A's

b

h

N

NMx

My

n

n

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Certamente costruire un campo resistente del genere richiede un certo impegno, quindi per semplificarci la vita possiamo procedere per punti: cioè fisso un determinato m" agente sulla mia sezione, dopo di che usando i classici campi resistenti M-N, posso determinare almeno quattro punti del mio dominio. La normativa comunque permette una soluzione ancora più semplice, infatti possiamo utilizzare la seguente relazione:

­¶­>¶t ­³­>³

t 5 1 Se metto = = 1 il mio campo resistente diventa un campo del primo

ordine (lineare) romboidale, certamente in queste condizioni sono a favore di sicurezza. Mentre se utilizzo un = = 2 ottengo un campo resistente circolare (questo va bene per le sezioni a simmetria polare, dove le azioni resistenti non dipendono dalla direzione di calcolo). Ovviamente il vero valore di = sarà una via di mezzo tra i due valori estremi.

IL TAGLIO NEL C.A.IL TAGLIO NEL C.A.IL TAGLIO NEL C.A.IL TAGLIO NEL C.A. Introduzione.

Vediamo di prendere in considerazione una trave sottoposta a due carichi concentrati, si nota immediatamente che nel tratto compreso tra i due carchi agisce solamente la sollecitazione del taglio. Ed inoltre supponiamo di avere a che fare inizialmente con una sezione che lavora in stato I, quindi in condizioni di non fessurazione. È del tutto evidente che le relazioni usate in Scienza delle Costruzioni continuano a valere, a partire da quella di Jourawsky.

MxMy

N

N

N

N

1

2

M =0y

M =0x

N=0

M y

Mx

N=N2

M x

NN2

M =0y

M y

NN2

M =0x

M y

Mx

S

MRy

+

M Ry

-

M Rx

+M Rx

-M Sx

MSy

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n n

b

h

As

A's

+

-

c

d GID

σc'

τStato Ic

Come possiamo notare l’asse neutro passa per la sezione ideale, che in Stato I è interamente reagente,

con queste ipotesi di lavoro posso affermare che: = zX° − 7å 3z2$ Proviamo ora a tracciare i cerchi di Moohr lungo l’asse neutro della sezione, a questo proposito possiamo osservare quanto segue: = 04 = 7å

Come si nota le tensioni principali di compressione/trazione sono inclinate di 45° rispetto all’asse neutro, ovviamente questo è vero solamente lungo quest’ultimo. Ovviamente questo lo posso fare per tutti i punti che compongono la mia sezione, e per tutte le sezioni, questo mi consente di individuare l’andamento delle tensioni principali.

Quindi allo Stato I il cls è in grado di assorbire anche le tensioni tangenziali . Ma ora supponiamo di aumentare le sollecitazioni e di passare allo Stato II, quindi la resistenza a trazione del cls viene ad essere superata, e si arriva a fessurazione. In questo caso la sezione resistente si parzializza, ma anche in queste condizioni la relazione di Jourawsky continua ad essere valida, infatti questa non è altro che l’espressione di una condizione di equilibrio.

V V

a

M

+Va+V

-V

T

σ

τ

σ1σ2

12

x

y

τxy

τxy

τxy

τxy

σ1

σ1 σ2

σ2

σ =−σ =τ1 2

45°45°

σ2

σ1

Linee principali di compressione

Linee principali di trazione σ =σ1

σ =σ2

a

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L’andamento delle tensioni è omotetico all’andamento del momento statico della sezione ideale, infatti al di sotto dell’asse neutro per le successive circuitazioni non cambia l’area reagente considerata, quindi il momento statico rimane costante, fino alle armature tese. A questo proposito posso scrivere una relazione di progetto, in altri termini posso individuare un valore medio della tensione tangenziale : ∙ 0,9 ∙ B ∙ = z → = z0,9 ∙ B ∙ Anche in questo caso non cambia nulla per il tracciamento dei cerchi di Moohr in corrispondenza dell’asse neutro, ma al dire il vero non cambierebbe neanche al di sotto di esso. Infatti abbiamo

si una diversa espressione per il calcolo delle tensioni tangenziali, ma le sono identicamente nulle. Ma questo ragionamento implica una incongruenza, infatti anche nella parte tesa della sezione ho la presenza di principali di trazione, quando il cls è per sua natura non

resistente a trazione (siamo nello Stato II). Certamente questa è una soluzione approssimata, infatti quello che si è fatto è di aver considerato solamente l’equilibrio, e non la congruenza, rimane comunque una soluzione accettabile. Le fessure si formano parallelamente alle tensioni

principali di compressione, e perpendicolarmente a quelle di trazione. Queste risultano essere variamente inclinate in ragione del taglio agente, mentre nella parte centrale della nostra trave, ove ho solamente la presenza dell’azione flettente, queste sono verticali. Una volta superata la resistenza a trazione del calcestruzzo YM, questa azione deve essere assorbita dall’armatura, il primo

intuitivo di vedere la questione è quello di inserire dei ferri piegati a 45°, in modo tale che questi siano paralleli alle tensioni principali di trazione #. Altra soluzione è quella di utilizzare dei ferri verticali, cioè delle staffe, questa soluzione è costruttivamente migliore, ma presenta una minore efficacia, infatti questo tipo di armatura assorbe solamente una delle due componenti della trazione. Chiaramente l’altra componente potrebbe essere assorbita da una eventuale armatura di pelle, ma molto più semplicemente questo compito viene a gravare sull’armatura

n n

b

h

As

A's

+

-

c

d GID

σc'

τStato IIc

σsn ZS

C

0,9d

σ

τ

σ1σ2

12

45°45°

σ2

σ1

Linee principali di compressione

Linee principali di trazione

Ferro piegato

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longitudinale. Quindi una parte del taglio dovrà essere assorbito dall’armatura longitudinale tesa.

L’approccio delle T.A. Vediamo di sviluppare questo argomento solamente per ragioni storiche, prima di tutto il metodo individuava una Y2, se la nostra tensione tangenziale è inferiore a questa stiamo lavorando in

Stato I, quindi la resistenza a taglio viene ad essere assorbita dalla resistenza a trazione del cls, e dai meccanismi resistenti secondari. Quindi il valore sollecitante a taglio z deve essere confrontato con due valori soglia: z → #" zÇÅÇÉÄ →ºÓ ¿ ≤ ¿ÆË = Ë,6 ~ÆÏ ÓÍ¡Í ≅ ÀÆÇ Se siamo in Stato I non c’è la necessità di armare a taglio, anche se comunque deve essere inserita un’armatura minima:

$M Ë);"; Ì 0,1[);] Al contrario se Y2 viene ad essere superato, c’è la necessità di inserire dell’armatura a taglio specifica, quindi si passa allo Stato II: X4 > Y2 → XO/OC. º½ = ¿ ≤ ¿ÆÓ = Ó,6 + ~ÆÏ − ÓÍ¾Í ≅ Ë, ½÷ Ë, ¾ÀÆ Ove Y è la resistenza a compressione del calcestruzzo. In questo caso il limite deve essere posto sul calcestruzzo, in altri termini deve essere limitata l’azione di compressione su quest’ultimo. Questa limitazione arriva a Ë, ½÷ Ë, ¾ÀÆ, dato che si deve tenere in considerazione che il cls è già sollecitato dall’azione di flessione. Se quest’ultima verifica non viene ad essere rispettata, avendo determinato le con la nostra relazione approssimata k ≅ r,(o, gli unici due parametri su quali posso intervenire sono le dimensioni geometriche

della sezione. Vediamo ora alcune relazioni di equilibrio che ci saranno utili… $N ∙ 0 = #v w 0√" r∙0,√"

Quindi il numero di ferri piegati aumenta con il taglio e diminuisce con B. Questi ferri piegati non necessitano di altra armatura aggiunta per poter assorbire il taglio. Certamente potrei usare dei ferri di piccolo diametro posti ad un passo inferiore come, al

contrario, potrei usare dei ferri di diametro maggiore e maggior passo. Ovviamente vi è il limite costituito dal fatto che un ferro piegato sia in grado di passare senza definire una biella

compressa a 45°. Vediamo ora il caso delle staffe: $N/00 Û∙0∙√"∙(√"ØÙÚq+*M**M Y7* r∙0,

Come si osserva le staffe sono meno efficienti rispetto ai ferri piegati, infatti a parità di taglio sollecitante devo mettere più armatura (c’è una √2 di mezzo).

Ferri piegati

σ =τ1

s

45°s

2

A fpiegati

Staffe

σ =τ1

s

σ s b1 2

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Dalla relazione precedente deriva una importante relazione di progetto, che possiamo trovare nella normativa: 4ÂÇ = ¹Ë,é¼ÀÁ¼ ËÆÒ½Ò Ì Questo è il taglio secondo le T.A., che si fonda su un equilibrio elastico scritto in condizioni di fessurazione. Vediamo ora alcuni aspetti costruttivi…

Le staffe devono essere in grado di assorbire la # al momento della fessurazione, ed è necessario che ogni braccia delle staffe abbia una certa area di competenza, che in generale è pari all’altezza utile della sezione. Mentre il passo tra le staffe deve essere definito in modo tale che nessuna “fessura” scappi via dall’armatura a taglio. La presenza dei ferri piegati può essere garantita dalla piegatura della stessa armatura longitudinale, ed avvenire ove queste non è più necessaria per la flessione, ottenendo al contempo due vantaggi: da una parte faccio lavorare a taglio la mia armatura, e dall’altra ne miglioro l’aderenza. Si deve comunque affermare che le staffe sono preferibili, dato che queste hanno anche la funzione di confinare il calcestruzzo, al contrario i ferri piegati tendono a “tagliare” il cls, una volta tesi. Ed ecco il perché la normativa richiede che almeno la metà del taglio deve essere assorbito dalle staffe. La tendenza odierna è quella di mettere solamente staffe e tenere dritte le barre a flessione, anche perché la staffatura diventa garante di una certa duttilità nelle zone sismiche.

Calcolo a rottura secondo D.M.96 e NTC2008. La trave presenta per sua costituzione un insieme di meccanismi resistenti secondari. Il primo è l’effetto arco:

L’azione C imposta dal corrente compresso inclinato si può scomporre in due componenti, la prima va ad contrastare il momento flettente, la seconda il taglio. y ® →­> yB ®B ® ­.B )C3O. Come si nota alla fine l’armatura longitudinale deve essere in grado, con opportuna piegatura, di accogliere la biella compressa nel suo percorso terminale. Non sempre le dimensioni delle travi consentono di avere un funzionamento ad arco

completo, quindi la funzione dell’armatura diviene fondamentale per legare le due bielle compresse nelle zona d’appoggio.

An. bracci

staffe

i<d p <0,8ds

C

Z

d

C

Maccanismo resistente ad arco (secondario)

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Il secondo meccanismo resistente secondario è l’effetto corrente compresso, infatti essendo questo ancora integro avrà una certa , ove z² = YMB)dove YM è la resistenza a trazione del calcestruzzo, mentre )0,2 0,3 è un coefficiente che tiene conto dell’area resistente. Mentre l’effetto bietta si verifica in fase di fessurazione, ove l’armatura longitudinale presenta un funzionamento a mensola, contributo che diventa più importante se vi è la presenza di staffe. Il quarto meccanismo resistente è l’effetto

di ingranamento, anche questo presente al momento della fessurazione della trave, e consiste nella condizione di attrito presente tra due facce della stessa fessura. Altro meccanismo resistente è l’effetto pettine, difatti il concio di trave consistente tra due fessure consecutive presenta un meccanismo ad incastro al corrente compresso, quindi capace di trasmettere taglio. Questo effetto è tanto maggiore quanto più la trave è bassa, infatti nelle travi ad altezza, il singolo pettine risulterà snello e ciò lo fa giungere subito a rottura. Ultimo meccanismo resiste secondario è l’effetto manicotto, infatti il cls nell’intorno delle barre longitudinali poste a trazione, presenta un’apparente possibilità di resistenza a trazione fino ad una deformazione del 3&4<;PGG4. Il comportamento a taglio di una trave reale è intermedio tra il comportamento a “trave” e quello ad “arco”, infatti possiamo scrivere quanto segue: ­> ® ∙ B →B­>B z> B®B B ® BBB Il primo termine

å B afferma che il taglio resistente è dovuto alla variazione di ® ad altezza utile costante, cioè l’effetto pettine. Il secondo termine ® å è dato dalla variazione dell’altezza utile, con ® costante, e questo è dato dall’effetto arco. Nelle T.A. tutto questo viene tenuto in considerazione nella definizione di Y2:

p z0,9B 5 Y2z 5 z> Y20,9BX. . . Mentre l’NTC fornisce delle relazioni di origine sperimentale che sostituiscono Y2 ? 0,9, ove abbiamo quanto segue:

¹~¼,Ä ÒÅidddd_dddd Ë, ÓÌÑÆ )Ó F½Ë˼ *ØÙÚÏ

ÓËËkÕÀÆÏÓ¾ Ë, ÓͺÆpyÚ¼

Ë, ˾ÍÓ F½Ë˼ØÙÚÏ

¾½ÀÆÏyÚ¼

Legatura

Bielle compresse

Effetto corrente compressoV'

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 155

Il termine ÓËËkÕÀÆÏ tiene conto dell’effetto arco e del corrente compresso, mentre il

coefficiente 6 tiene conto dell’effetto pettine. Dove - = 7¢( 5 2% è il rapporto geometrico

dell’armatura longitudinale, mentre Ë, ÓͺÆpè la tensione media di compressione 'Y+ ©ÇÈ7 ( moltiplicata per un coefficiente d’attrito, quindi i pilastri resistono maggiormente a taglio a parità di armatura. Da questo nuovo approccio si osserva che il metodo delle tensioni ammissibili è meno cautelativo per le travi a bassa percentuale di armatura longitudinale. Concetto della valle di taglio.Concetto della valle di taglio.Concetto della valle di taglio.Concetto della valle di taglio.

Come possiamo osservare il momento resistente a flessione è del tutto indipendente da /, quindi è costante. Quindi se / è grande la rottura della sezione avviene per il raggiungimento del momento resistente limite, mentre il taglio può essere assorbito da meccanismi resistenti secondari. Al contrario se / assume dei valori contenuti, diventa preponderante la sollecitazione tagliante e diviene meno importante quella del momento, e quindi siamo entro alla cosiddetta valle di taglio. Ma se / è molto piccolo non valgono più le ipotesi del De Saint Venant, infatti avremmo un comportamento proprio dei corpi tozzi, e quindi siano nelle ipotesi di lavoro tirante-puntone. Quindi nella valle di taglio la rottura avviene per quest’ultimo e non certo per il momento; chiaramente questo è vero se non metto armatura a taglio, infatti si deve assolutamente evitare una rottura per taglio, essendo questa una rottura a comportamento fragile. L’inserimento di staffe e di ferri piegati serve proprio per “coprire la valle di taglio”.

Questa valle di taglio dipende anche dall’armatura longitudinale, infatti questa certamente contribuisce ad alcuni meccanismi resistenti secondari. Il punto di minimo della valle di taglio dipende solo dai meccanismi resistenti secondari, mentre per - decrescenti la valle di taglio tende a sparire, fino al limite nel quale la rottura avviene per flessione istantanea. Ovviamente per - → 0 la rottura avviene sempre per flessione.

V V

M

a

Va

TV

-V

V V b

h

As

MR

a

Andamento reale

Valle di taglio

MR

a

Andamento reale

Valle di taglio

h1 2-3 6-7

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 156

Meccanismo resistente di Morsch.Meccanismo resistente di Morsch.Meccanismo resistente di Morsch.Meccanismo resistente di Morsch.

In questo meccanismo ho tre possibilità di rottura.

- Rottura della biella inferiore tesa (che è sollecitata maggiormente dalla flessione). - Rottura della biella compressa di calcestruzzo. - Rottura dei montanti, cioè dell’armatura a taglio.

Ora pensiamo di sezionare la nostra trave secondo una direzione preferenziale di fessurazione a rottura. Come abbiamo avuto modo di vedere la fessura che si forma, nel passaggio dallo Stato I allo Stato II, è inizialmente a 45°, poi l’angolo di attacco della fessura tende a ruotare, in ragione al carico applicato. Quindi l’angolo ¥ del puntone è a priori incognito, ad ogni modo il mio concio di trave considerato viene tagliato secondo l’angolo ¥.

Vediamo ora di scrivere l’equazione di equilibrio alla traslazione verticale: 34H= z → z34H= Dove = è l’inclinazione delle barre di armatura. Ora considerando la distanza tra le armature longitudinali pari a circa 0,9B, possiamo scrivere quanto segue: z 0,9B)CO¥ )CO=3ØÙÚ©Z* N*

0$034H=ØÙÚq+*M**M Y7*

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A u t o r e : O r r i o n e P a g i n a | 157

Il metodo delle tensioni ammissibili aveva come ipotesi ¥ = 45° → )CO¥ 1 e = 90° quindi )CO= 0 e 34H= 1: z 0,9B3 $N/00 A questo punto dovrei pure determinare l’azione data dalla biella compressa, e per far questo devo definire un’altra sezione di Ritter, ma potrei pure porre le stesse condizioni di equilibrio, infatti la componente verticale della biella compressa, deve essere pari al taglio. Operiamo ora un equilibrio alla rotazione rispetto al polo P: ygP/;/OC/# j2 )CO¥ )CO=

­ z/ /# ∙ j *æZ*[\\\] / z/j z/#j r7!¬7[\\\\\] / ­/j z/#j

Quindi ¬7ß è il momento in / diviso il braccio, e questa è la quota di trazione dovuta al momento

flettente, mentre il secondo termine è l’aggiunta dovuta al taglio e vale r7ß , quindi dipende dalla

posizione del polo P. Ora se l’armatura d’anima fosse a 45°, la componente r7ß 0, quindi non

serve armatura aggiuntiva nel senso longitudinale, al contrario in presenza di staffe una componente del taglio deve essere direttamente assorbita dalle barre longitudinali. Per tenere

conto di questo fattore si opera una traslazione dei momenti flettenti di una quantità pari ad /#. Il regolamento afferma quanto segue: /# B2 )CO¥ )CO= Al posto di

ß" si è messo " a favore

della sicurezza. Nelle considerazioni di equilibrio fatte in precedenza si è ipotizzato che il passo dei ferri fosse molto piccolo, ma in realtà sappiamo che 3 5 0,8B. Per evitare problemi nella valutazione di /# è bene comunque utilizzare questa relazione: ÅÓ Ë,é¼ÆÉÇ ÆÉÇ h ¼½ La presenza del taglio non provoca un

aumento dell’armatura longitudinale nella sezione maggiormente sollecitata (ove il momento è massimo il taglio è nullo), quindi nella pratica si allungano le barre longitudinale non solo della quantità deputata al loro ancoraggio G(, ma anche della quantità /#. Secondo l’NTC2008 gli elementi con armatura a taglio la resistenza a taglio deve essere:

¹z¼ 5 ¹~¼ Ò»Ö ¹~¼Â Ë,é¼4ÂÇ ÀÁ¼ÆÉÇ ÆÉÇÂÃÖvÊûÂÇÃÖlÅÅÇÅÈÕ»É ÇÊÅl»ÉÖÃw¹~¼Æ Ë,é ∙ Ë, ͼyÆÀƼ ÆÉÇ ÆÉÇÓ ÆÉǽ vÊûÂÇÃÖlÅÅÇÅÈÕ»É ÆÉÒpÊûÉÖÃw

=Y d_d 1 → G433PCH4&Q</1 Y+Y → &4<0 5 Y+ 5 0,25Y1,25 → &4<0,25 c Y+ 5 0,5Y2,5 J1 Y+YK → &4<0,5 c Y+ 5 Y


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