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Bisanti - Il Waltharius fra tradizioni classiche e suggestioni germaniche

Date post: 02-Dec-2015
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Articolo sul poema medievale "Waltharius".
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ARMANDO BISANTI IL WALTHARIUS FRA TRADIZIONI CLASSICHE E SUGGESTIONI GERMANICHE Nel 1954, intervenendo alle Settimane di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo di Spoleto, Ezio Franceschini tenne una lezione sulla produzione epica, in latino, del periodo post-carolingio. 1 Nel suo sintetico, ma come sempre illuminante intervento, l’illustre mediolatinista centrò la propria attenzione, più che sui generi, per così dire, “tradizionali” della poesia epica, quelli, cioè, che maggiormente risentivano dell’imitazione dei modelli classici e biblico-cristiani (come l’epica storica, religiosa, encomiastica, agiografica, narrativa, politica, scientifico- didascalica e “visionistica”), 2 soprattutto su quei prodotti che rivelavano, ad 1* Questo lavoro riproduce, con ampliamenti e con l’indispensabile corredo delle note, la comunicazione (dallo stesso titolo) da me svolta il 7 dicembre 2001 al Convegno Rinunziare ai classici: spunti polemici negli autori medievali. Giornate di studio in memoria di Aldo Roccaro (Palermo, Università degli Studi, 6-7 dicembre 2001), organizzato dal Dipartimento di Civiltà Euro-Mediterranee e di Studi Classici, Cristiani, Bizantini, Medievali, Umanistici, in collaborazione con l’Officina di Studi Medievali. Colgo qui l’occasione per ringraziare, in particolare, Gianna Petrone, che mi ha gentilmente invitato a partecipare al convegno. E. FRANCESCHINI, L’epopea post-carolingia, in I problemi comuni dell’Europa post- carolingia. Settimane di Studio del C.I.S.A.M. di Spoleto, II, Spoleto 1955, pp. 313-326, poi in ID., Scritti di filologia latina medievale, I, Padova 1976, pp. 76-87 (da cui cito). 2 Lo studioso identificava infatti alcuni sottogeneri: l’epica storica (con il De gestis Hludovici Caesaris di Ermoldo Nigello, gli Annales de gestis Caroli Magni del cosiddetto Poeta Saxo, il De bello Parisiacae urbis di Abbone di Saint-Germain, i Gesta Berengarii imperatoris, i Gesta Ottonis e i Primordia coenobii Gandesheimensis di Rosvita); l’epica religiosa (con l’Oratio cum commemoratione antiquorum miraculorum Christi, i Gesta Christi Domini, l’In Evangelium Mathaei e l’In Evangelium Johannis di Floro di Lione); l’epica agiografica (col De Triumphis Christi di Flodoardo di Reims, gli otto poemetti agiografici di Rosvita, la Passio sancti Christophori di Gualtieri di Spira); l’epica encomiastica (con i Versus de imagine Tetrici di Valahfrido Strabone e il De gestis Witigowonis abbatis di Purcardo di Reichenau); l’epica narrativa (coi Gesta Apollonii); l’epica scientifico-didascalica (coll’Hortulus di Walahfrido Strabone); l’epica politica (con la Pan 20 (2002), pp. 175-204
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ARMANDO BISANTI

IL WALTHARIUS FRA TRADIZIONI CLASSICHE E SUGGESTIONI GERMANICHE

Nel 1954, intervenendo alle Settimane di Studio del Centro Italiano diStudi sull’Alto Medioevo di Spoleto, Ezio Franceschini tenne una lezionesulla produzione epica, in latino, del periodo post-carolingio.1 Nel suosintetico, ma come sempre illuminante intervento, l’illustre mediolatinistacentrò la propria attenzione, più che sui generi, per così dire, “tradizionali”della poesia epica, quelli, cioè, che maggiormente risentivanodell’imitazione dei modelli classici e biblico-cristiani (come l’epica storica,religiosa, encomiastica, agiografica, narrativa, politica, scientifico-didascalica e “visionistica”),2 soprattutto su quei prodotti che rivelavano, ad

1* Questo lavoro riproduce, con ampliamenti e con l’indispensabile corredo dellenote, la comunicazione (dallo stesso titolo) da me svolta il 7 dicembre 2001 al ConvegnoRinunziare ai classici: spunti polemici negli autori medievali. Giornate di studio in memoriadi Aldo Roccaro (Palermo, Università degli Studi, 6-7 dicembre 2001), organizzato dalDipartimento di Civiltà Euro-Mediterranee e di Studi Classici, Cristiani, Bizantini,Medievali, Umanistici, in collaborazione con l’Officina di Studi Medievali. Colgo quil’occasione per ringraziare, in particolare, Gianna Petrone, che mi ha gentilmente invitato apartecipare al convegno.

E. FRANCESCHINI, L’epopea post-carolingia, in I problemi comuni dell’Europa post-carolingia. Settimane di Studio del C.I.S.A.M. di Spoleto, II, Spoleto 1955, pp. 313-326, poiin ID., Scritti di filologia latina medievale, I, Padova 1976, pp. 76-87 (da cui cito).

2 Lo studioso identificava infatti alcuni sottogeneri: l’epica storica (con il De gestisHludovici Caesaris di Ermoldo Nigello, gli Annales de gestis Caroli Magni del cosiddettoPoeta Saxo, il De bello Parisiacae urbis di Abbone di Saint-Germain, i Gesta Berengariiimperatoris, i Gesta Ottonis e i Primordia coenobii Gandesheimensis di Rosvita); l’epicareligiosa (con l’Oratio cum commemoratione antiquorum miraculorum Christi, i GestaChristi Domini, l’In Evangelium Mathaei e l’In Evangelium Johannis di Floro di Lione);l’epica agiografica (col De Triumphis Christi di Flodoardo di Reims, gli otto poemettiagiografici di Rosvita, la Passio sancti Christophori di Gualtieri di Spira); l’epicaencomiastica (con i Versus de imagine Tetrici di Valahfrido Strabone e il De gestisWitigowonis abbatis di Purcardo di Reichenau); l’epica narrativa (coi Gesta Apollonii);l’epica scientifico-didascalica (coll’Hortulus di Walahfrido Strabone); l’epica politica (con la

Pan 20 (2002), pp. 175-204

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una più attenta analisi, un volto nuovo, in sèguito all’entrata in contatto conla nuova linfa apportata dalle popolazioni germaniche, dalle loro saghe,dalle loro leggende e dalle loro tradizioni: quei poemi, insomma, in cuil’imitatio delle auctoritates classiche (Virgilio, Ovidio e Stazio) e biblico-cristiane (Prudenzio, Giovenco, Sedulio, Avito e Draconzio), pur senzaesser mai pretermessa, si sposava felicemente col personale contributoapportatovi, appunto, dalle popolazioni germaniche, specialmente per quelche riguarda la trama e le situazioni nuove che in tali poemi si verificano,composizioni quali l’Ecbasis captivi,3 il De quodam piscatore quem ballenaabsorbuit (più noto col vulgato titolo di Within piscator) attribuito a Letaldodi Micy4 e, soprattutto, il Waltharius.5

Franceschini avanzava, preliminarmente, due considerazionifondamentali:

1) Dopo il periodo di profonda decadenza che occupa i secc. VII eVIII, la Rinascita carolingia è una rinascita erudita, in quanto il latino èmorto come lingua parlata e si impara ormai soltanto a scuola nellegrammatiche. La cultura dell’età è solo il frutto di un accostamento dotto

Querela de divisione imperii post mortem Hludovici Pii di Floro di Lione); e, infine, l’epicadelle “visioni” (con la Visio Wettini di Walahfrido Strabone): cfr. E. FRANCESCHINI, L’epopeapost-carolingia, cit., pp. 77-79.

3 Per una recente lettura del poema, cfr. F. BERTINI, Orazio nel Medioevo: l’«Ecbasiscaptivi», in «Non omnis moriar». La lezione di Orazio a duemila anni dalla sua scomparsa.Atti del Convegno internazionale di studio (Potenza, 16-18 ottobre 1992), Galatina 1993, pp.243-252 (poi in ID. Interpreti medievali di Fedro, Napoli 1998, pp. 101-110).

4 Sul poemetto cfr. ora la nuova, eccellente ediz. di LETALDO DI MICY, Within piscator,a cura di F. Bertini, Firenze 1995 (con la mia recens., in Orpheus, n.s., 19-20 [1998-99], pp.213-217); ed il mio studio Within il calvo, in Studi medievali, ser. III, 40,2 (1999), pp. 843-856.

5 Per il testo del Waltharius utilizzo in questo lavoro l’ediz. a cura di K. Strecker, inMGH, Poetae VI, Weimar 1951, pp. 1-85 (si tratta della cosiddetta editio maior: esiste infattianche una editio minor, sempre a cura di K. Strecker, trad. tedesca di P. Vossen, Berlin1947). Il Waltharius, che io sappia, è stato tradotto due volte in italiano: una prima volta dalgermanista Quinto Santoli (Waltharius. Poema latino medievale, introd. di V. Santoli, trad.ital. di Q. Santoli, Milano 1973: si tratta però di un testo di assai difficile reperimento); unaseconda volta, più recentemente, da uno specialista del poema mediolatino quale EdoardoD’ANGELO (Waltharius. Epica e saga tra Virgilio e i Nibelunghi, a cura di E. D’Angelo,Milano-Trento 1998: si tratta di un lavoro veramente egregio, utilissimo sotto ogni punto divista per la completezza della documentazione, la precisione e l’acribìa del commento, labontà della traduzione; esso mi è stato inoltre molto utile per la stesura di questa prima partedel presente contributo). Alcuni stralci dal poema (vv. 173-214; 489-512; 846-877; 1360-1400), con breve introduzione e traduzione italiana a fronte, si leggono in Poesia latina me-dievale, a cura di Gianna Gardenal - F. Fölkel, Milano 1993, pp. 79-93 (ma sulla noneccellente qualità di tali traduzioni cfr. la mia recens., in Orpheus, n. s., 17 [1995], pp. 482-487). Traduzioni in tedesco più o meno recenti sono invece le seguenti: F. GENZMER, Das«Waltharilied» und die «Waldere»-Bruchstücke, Stuttgart 1953; Waltharius, Text,Übersetzung und Kommentar von B.K. Vollmann, in Frühe deutsche Literatur un lateinischeLiteratur in Deutschland 800-1150, hrsg. von W. Haug und B.K. Vollmann, Frankfurt amMain 1991, pp. 163-259 e 1169-1222; Waltharius. Lateinisch/Deutsch, übersetz und hrsg.von G. Vogt-Spira, Stuttgart 1994 (con la breve recens. di A. ÖNNERFORS, in MittellateinischesJahrbuch 30 [1995], pp. 140-141).

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alla civiltà classica e a quella cristiana, agli auctores e ai Padri della Chiesa.La nuova lingua latina è grammaticalmente corretta e la sua unicaambizione è l’imitazione dei classici;

2) Il fatto più importante nella storia della civiltà di questo periodoconsiste appunto nell’entrata dei popoli germanici nel mondo della culturaoccidentale. Nel sec. IX essi si accostano ad essa in maniera febbrile, perfarla propria con l’ansia tipica di chi vorrebbe guadagnare il tempo perduto.Nel sec. X, invece, essi cominciano ad apportare un personale contributo,cioè a far penetrare il loro mondo nuovo nel vecchio mondo latino, e lofanno in lingua latina perché le loro lingue non sono ancora assurte astrumento di letteratura.

Giungendo, dopo la sua disamina di vari poemi post-carolingi, aparlare del Waltharius, il Franceschini osservava che nel poema mediolatino«i personaggi non sono né gli eroi di Virgilio, di Stazio, di Lucano, né isanti della Chiesa cattolica, né vescovi o abati: sono i guerrieri del mondogermanico, Attila, Walther, Gunther, Hagen, e una donna – Ildegonda – chenon ha nulla a che vedere con i personaggi femminili dell’epica classica.Attila non è il flagellum Dei, ma una delle tante personificazioni assunte neltempo dallo spirito guerriero del popolo tedesco, un grande e generoso“Führer”, la fuga a cavallo di Walther e di Ildegonda dalla dorata prigionedella Pannonia attraverso le selve dell’Europa centrale verso il Reno ha già icolori e il tono di una saga nordica; i dodici duelli con i quali (combattuticiascuno in modo diverso, e con armi diverse, tedesche, non latine) Walthertrionfa dei suoi nemici trovano il loro quadro naturale più nella Germania diTacito che nell’Eneide. Di tradizionale non resta che il verso latinonell’accurata forma (almeno nella redazione a noi giunta) di una attentaimitazione virgiliana: la veste di seta e d’oro di un corpo nuovo. Di uncorpo, aggiungiamolo subito, dal quale nasceranno fra poco le “chansons degeste”».6 E, in conclusione, affermava: «Questo, non altro, il significato delWaltharius: l’apparire del mondo tedesco accanto a quello classicodell’epica tradizionale».7

Mi sono soffermato un po’ a lungo, in apertura di questa nota, sullaposizione di un maestro (diretto o indiretto) di tutti noi mediolatinisti qualeEzio Franceschini, perché ritengo che, anche se sono passati ormai quasicinquanta anni dal suo intervento, le sue parole sul Waltharius siano ancoroggi attuali e la chiave di lettura da lui proposta sia una delle più corrette(se non proprio la più corretta) per accostarsi ad un’opera certamenteaffascinante (forse il più bel poema latino medievale) ma anche difficile,insidiosa, talvolta sfuggente come (mi si perdoni la similitudine) una belladonna che non riesci a conquistare appieno e, più ti sfugge, più ti coinvolge,

6 E. FRANCESCHINI, L’epopea post-carolingia, cit., pp. 80-81.7 Ivi, p. 82. Si osservi che non è certo un caso che E. D’Angelo abbia dato, come

sottotitolo alla sua edizione del poema (cit. supra, n. 5), quello di Epica e saga tra Virgilio ei Nibelunghi. E a questa linea interpretativa cerco di attenermi io stesso, nel corso delpresente lavoro (come d’altronde mostra, credo, il titolo scelto per questo contributo).

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ti intriga e ti affascina. Il Waltharius, che consta di 1456 esametri, racconta come alla corte

di Attila, che ha assoggettato tre regni germanici, si trovino in ostaggioHagen, suddito di Gibich re dei Franchi, Walther figlio di Alfere re diAquitania e la principessa Hiltgund figlia di Heinrich re dei Burgundi. Tuttie tre i regali ostaggi vengono trattati da Attila e da sua moglie Ospirin conmolta umanità e ad Hiltgund, che si è guadagnata la piena fiducia dellaregina, vengono affidati perfino i tesori della casa reale. Frattanto Hagen,avendo saputo che il re Gibich è morto e che il suo successore Gunther si èliberato dai suoi impegni col re unno, fugge dalla corte di Attila e ritorna inpatria. Anche Walther ed Hiltgund, che si sono fidanzati fin da bambini,decidono allora di darsi alla fuga. Con l’astuzia riescono ad eludere lasorveglianza di Attila e scappano col tesoro che era stato affidato incustodia alla fanciulla. Dopo quaranta giorni di viaggio giungono pressoWorms dove il re burgundo Gunther, avendo appreso dell’arrivo dei duegiovani fuggitivi carichi di tesori, li assale insieme a dodici uomini del suosèguito, fra cui vi è lo stesso Hagen, reduce dalla corte unna. Walther, senzaperdersi d’animo, riesce a sconfiggere undici avversari in undici scontriindividuali, e alla fine taglia una gamba al re Gunther ed acceca di unocchio Hagen, mentre egli stesso rimane privo della mano destra. Così hatermine la battaglia, i tre superstiti si curano le ferite assistiti da Hiltgund edi comune accordo si separano. Walther ed Hiltgund proseguono quindi illoro viaggio verso la patria, dove, dopo la morte di re Alfere, vivranno felicie contenti per trent’anni.

La leggenda di Walther appartiene agli antichi miti ed alle antichesaghe germaniche, e ricorre in molti testi coevi al Waltharius e, soprattutto,in parecchi testi ad esso posteriori. Innanzitutto i nomi di Attila, Gunther,Hagen, Walther ed Hiltgund tornano nel Nibelungenlied (anzi, nella 28a

avventura del poema alto-tedesco, Attila stesso ricorda di Walther edHiltgund che riuscirono a fuggire dalla sua corte, ma ne parla come di coseormai remote e lontane nel tempo e nella memoria);8 nel Biterolf (sec. XIII)si accenna alla corte di Attila, al duello e ai re dei Franchi; nei poemiDietrichs Flucht, Alphars Tod, Rosengarten e nello Heldenbuch sonocelebrate le imprese di Walther von Kerlingen; nella Vinlikinasaga sirammentano i principi prigionieri, l’amore tra Walther ed Hiltgund, la lorofuga, il duello dell’eroe con Högni (Hagen). La storia poetica delle gesta diWalther si amplia e si adorna di fantastici episodi di altre saghe, così comerisulta da poemi frammentari anglosassoni (nei due frammenti di cui consta

8 Parlando di Hagen, infatti, Attila dice: «Io portai già in questo paese come ostaggidue nobili fanciulli che crebbero qui: lui e Walther. Hagen lo rimandai a casa sua. Waltherfuggì con Ildegonda». E l’autore aggiunge: «Così egli riandava vecchi tempi e cose accadutemolto tempo prima» (cito da I Nibelunghi, a cura di G.V. Amoretti, Milano 19882, p. 224).Su questo passo del poema altotedesco si sofferma, in apertura del suo celebre saggio sulpoema, G. VINAY, «Waltharii poesis», in Studi medievali, n.s., 5 (1964), pp. 476-524 (inpartic., pp. 476-478).

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il Waldere, del sec. VIII, si legge di Hiltgund che esorta Walther a com-battere contro Gunther e Hagen, i due guerrieri burgundi che lo hannoassalito, e di Hagen che mette in guardia Gunther dallo sfidare Walther,temibilissimo avversario in possesso di una spada prodigiosa, Mimming)9 edaltotedeschi (come appunto il Walther, del sec. XIII, probabilmente derivatodal Nibelungenlied, anch’esso frammentario, in cui si narra delfidanzamento fra Walther e Hiltgund alla corte di Attila, del viaggio dei duegiovani verso Langres, residenza di Alker padre dell’eroe protagonista e deipreparativi per le ricche nozze), tramite significative analogie coi carmidell’Edda (per esempio la Thidrikssage, del sec. XIII, in cui vengonoraccontate pressappoco le stesse vicende del Waltharius, dal soggiorno diWalther ed Hiltgund alla corte di Attila alla loro fuga col tesoro e fino aiduelli e all’accecamento di Hagen) e le vicende di Wdaly Walczercz narratenel più tardo Chronicon Poloniae di Boguphalo (sec. XIV), per non parlaredei complessi rapporti che il poema mediolatino intesse con il ChroniconNovaliciense (sec. XI).10

A questi testi occorre aggiungerne, comunque, altri, che contengonoriferimenti alla figura di Walther e alla sua leggenda, quali la Chanson deRoland (in cui compare a più riprese la figura di Walther del Hum, paladinodi Carlo Magno)11 e la ballata spagnola Asentado està Gaiferos (nella quale

9 Per i rapporti fra il Waldere e il Waltharius si vedano: Waldere, testo e commento, acura di Ute Schwab, Messina 1967, passim; Ute SCHWAB, Nochmals zum ags. «Waldere»neben dem «Waltharius», in Beiträge zur Geschichte der deutschen Sprache und Literatur101 (1979), pp. 225-251 e 347-368.

10 Chronicon Novaliciense II 7-12, in Monumenta Novaliciensia vetustiora, a cura diC. Cipolla, II, Roma 1898-1901, pp. 135-156 (testo e trad. ital., a cura di Tilde Nardi, inScritture e scrittori del secolo XI, a cura di A. Viscardi e G. Vidossi, Torino 19772, pp. 3-41).Cfr. inoltre P. RAJNA, La cronaca della Novalesa e l’epopea carolingia, in Romania 23(1894), pp. 36-61; F. LECOY, Le «Chronicon Novaliciense» et les légendes épiques, inRomania 67 (1942-43), pp. 1-52; A. VISCARDI, Le origini, Milano 19502, pp. 90-92; G. VINAY,«Haec est Waltharii poesis. Vos salvet Jesus», in ID., Alto Medioevo latino. Conversazioni eno, Napoli 1978, pp. 433-481 (in partic. pp. 450-451, in cui, fra l’altro, si afferma chel’interpretazione del cronista della Novalesa «risulta chiara da ciò che tralascia o mette inevidenza riassumendo o trascrivendo o ancora riassumendo badando solo ai fatti o anche altono. Sopprime praticamente i duelli coi guerrieri di Gunther e quello finale... L’ampiezza deitagli fa assumere al rapporto Walther-Ildegonda una importanza assai superiore a quella cheha nel poema; la corte di Attila sembra calamitare l’attenzione del cronista e quanto vi sisvolge rappresenta per lui più che un antecedente. Il patetico non è mai dimenticato.L’Anonimo è particolarmente sensibile al mistero della notte, alla tensione della donna,ecc.»). Impossibile, in questa sede, accennare (sia pur cursoriamente) ai vari e complessiproblemi posti dal rapporto fra i due testi. Basti rimandare, per una chiara ed esaurientetrattazione, a quanto ha scritto Gian Carlo Alessio, in La Cronaca di Novalesa, a cura di G.C.Alessio, Torino 1982, pp. XXX-XXXIX. Si veda inoltre la pressoché introvabile ediz. de LaNovalesa. Vicende storiche della grande abbazia e del Piemonte narrate dal «ChroniconNovaliciense» del secolo XI e completate dal «Waltharius», poema germanico del secolo X, acura di G. Beltrutti, Novara 1976 (a tiratura limitata e, d’altra parte, scarsamente utile per lasua funzione puramente divulgativa e celebrativa).

11 Cfr. M. HEINTZE, Gualter del Hum in «Rolandslied». Zur Romanisierung derWalther-Sage, in Mittellateinisches Jahrbuch 21 (1986), pp. 95-100; V. MILLET,

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si narra come Gaiferos, ossia Walther, uno dei paladini di Carlo Magno,riesca a liberare dalla prigionia la sposa Melisenda e, dopo una lunga edavventurosa fuga, resa più insicura dai continui inseguimenti dei Mori, i duepossano mettersi finalmente in salvo).12

Il problema delle fonti del Waltharius non si esaurisce comunquesoltanto nello studio dei rapporti fra il poemetto mediolatino e le saghe eleggende nordiche o germaniche o romanze relative alle vicende di Walthered Hiltgund o alla storia di Attila,13 ma investe anche la questioneconcernente i modelli classici e (in subordine) mediolatini che il dotto

«Waltharius» and the «Chanson de Roland», in Aspect de l’épopée romane, edd. H. vanDijk-W. Noomen, Groningen 1995, pp. 391-397. Il problema dei rapporti fra il Waltharius (ein genere l’epica mediolatina) e le “chansons de geste” è abbastanza spinoso ed è stato piùvolte affrontato dagli studiosi. Alcuni, come il Chiri, hanno sostenuto che il poema è diorigine dotta e che si riallaccia ad un’antica tradizione classica, scolastico rifacimento diun’opera in prosa, probabilmente di una cronaca (G. CHIRI, L’epica latina medioevale e la«Chanson de Roland», Genova 1936). Questi studiosi, volendo negare originalità alcontenuto della più antica “chanson de geste” (appunto la Chanson de Roland), hannocercato di rintracciare nel Waltharius tutte le possibili analogie e tutte le possibilisomiglianze con la Chanson de Roland, per giungere, quindi, alla conclusione, che «lasomiglianza appare così stretta e significativa che si può senz’altro considerare il poemacome una “chanson de geste” scritta in latino nel secolo X» (CHIRI, L’epica latina medioevale,cit., p. 252). Altri, come il Wilmotte, hanno affermato che «nulla manca al Waltharius perchéesso non debba riprendere il suo posto nella lunga e maestosa serie dei poemi epici francesi»,dal momento che esso è «un chef d’oeuvre, un admirable poème, riche de poésie et de sens».Altri studiosi hanno invece cercato di negare alcun rapporto di dipendenza e/o di somiglianzafra il Waltharius e la Chanson de Roland. Il Roethe, per esempio, ha postulato l’esistenza diun più ampio poema tedesco (ovviamente perduto) di cui il Waltharius altro non sarebbe cheuna traduzione. Il Siciliano, da parte sua, ha invece formulato sul poema mediolatino ungiudizio fortemente e ingiustamente riduttivo, scrivendo che esso è «il racconto più o menodivertente della fuga di ostaggi e di un tesoro mal rubato e mal difeso, in cui versi o emistichivirgiliani fanno orrido miscuglio con le grazie di un latino barbaro, opera scialba, poveropoema» (I. SICILIANO, Le origini delle canzoni di gesta, Padova 1940, p. 137 e passim). Peruna discussione di queste ipotesi e di questi giudizi, si veda E. FRANCESCHINI, L’epopea post-carolingia, cit., pp. 81-82 (da cui ho tratto anche le citazioni che ricorrono in questa nota).

12 L’importanza di tale ballata spagnola all’interno della costellazione di testimedievali in vario modo afferenti alla saga di Walther ed Hiltgund è stata sottolineata daUrsula e P. DRONKE, «Barbara et antiquissima carmina». I. Le caractére de la poèsiegermanique héroïque. II. Waltharius-Gaiferos, Barcelona 1977, pp. 25-65. Il Dronke (èinfatti a lui che compete la stesura di questa sezione del volumetto) esamina in primo luogoun articolo, a lungo dimenticato dai germanisti, in cui Ramòn Menéndez-Pidal mostravacome le ballate romanze riguardanti la leggenda di Gaiferos riflettessero la leggenda dellafuga di Walther ed Hiltgund dalla corte di Attila, e ipotizzava inoltre l’esistenza di unatradizione orale derivante da un originale materiale epico riguardante le gesta di Walther inambiente visigotico. Dronke quindi ha individuato un’allusione a Gaiferos (e quindi aWalther) nella frase «gli anelli di Gaifier» contenuta in una lirica del trovatore provenzaleMarcabru. Lo studioso ha inoltre dimostrato che l’allusione, contenuta nella Chanson deRoland (v. 798) a «li riches dux Gaifiers» e quella a Walther del Hum sono strettamenteconnesse, e ancora che nel Jourdain de Blaye (composto verso il 1200), il nome Gautier puòessere stato confuso con quello di Gaifier. «Per Marcabru Gaifier fu uno dei baroni di CarloMagno …, e fu tale anche per l’intera tradizione poetica sia del sud che del nord dellaFrancia dall’XI al XIII secolo, e ancora tale rimase per il poeta spagnolo che scrisse

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Il Waltharius fra tradizioni classiche e suggestioni germaniche

autore (si chiami Eccheardo I di san Gallo o Geraldo o Grimaldo pocoimporta) utilizza nell’opera. In merito a quest’ultimo aspetto (che, come ènoto, è uno dei più spinosi fra quelli posti dall’opera mediolatina), e inparticolare per quanto si riferisce all’utilizzazione degli auctores antichi otardo-antichi, si possono fissare alcuni punti fermi, che sono stati, direcente, così riassunti:

«1. Preponderanza assoluta della memoria virgiliana, seguita – adistanza – da quella prudenziana;

2. Presenza di una memoria collaterale rappresentata prevalentementeda Stazio, Ovidio e dalla Vulgata. Sono poi presenti una serie di rinvii adautori particolari, o a opere minori degli autori “maggiori”, la cui validitàscientifica non va spesso oltre la pura proposta di concordanza (Solino,Giovenco, Draconzio, Corippo, Isidoro di Siviglia)».14 Asentado està Gaiferos. Inoltre, se la funzione dei bracciali d’oro è stata, per Marcabru,quella di spingere i guerrieri all’avidità, non è più probabile che ciò che egli e il suo pubblicoavevano in mente erano le armillae che sono così importanti nella storia di Walther?» (P.DRONKE, «Barbara et antiquissima carmina», cit., p. 62). Occorre però rilevare che laricostruzione proposta dallo studioso inglese presenta una difficoltà, che è costituita dal fattoche la frase «les bouz Gaifier» appare anche nella Cronaca di Saint-Denis come il nome di untesoro locale, nell’ambito di una leggenda riguardante il duca Waifarius, contemporaneo edantagonista di Pipino, anche se è possibile argomentare (come appunto fa il Dronke) che taleleggenda possa essere sorta un secolo dopo Marcabru. Per una più ampia presentazione delleteorie dello studioso inglese, cfr. la recens. di J. HARRIS, in Speculum 55 (1980), pp. 863-864;e A. BISANTI, Un decennio di studi sul «Waltharius», in Schede medievali 11 (1986), pp. 345-363 (in partic., pp. 349-350). Sull’argomento è tornato, più di recente, V. MILLET,Waltharius-Gaiferos. Über den Ursprung der Walthersage und ihre Beziehung zur Romanzevon Gaiferos und zur Ballade von Escriveta, Frankfurt am Main-New York-Wien 1992.

13 Sulla leggenda di Attila e la figura del grande condottiero unno nei testi letterarimedievali, si vedano due contributi di F. BERTINI, Attila nella storiografia tardoantica ealtomedievale, in Popoli delle steppe. Unni, Avari, Ungari. Settimane di studio delC.I.S.A.M. di Spoleto, XXXV, 2, Spoleto 1988, pp. 548-572; ID., Attila nei cronisti e neglistorici del Medioevo latino, in Attila «flagellum Dei»? Convegno internazionale di studistorici sulla figura di Attila e sulla discesa degli Unni in Italia nel 452 d.C., Aquileia 1994,pp. 229-241. Del Waltharius (e non solo in rapporto alla figura di Attila e ai rapporti colNibelungenlied) si sono occupati, oltre ai filologi mediolatini e romanzi, anche i germanisti.Per esempio, il Grünanger scriveva che «la favola è semplice, la narrazione si svolge lineare,senza intoppi, con pacatezza e larghezza epica, in una serie di quadri, dipinti con amore e concompiaciuta insistenza sui particolari dell’azione, ma in pari tempo con un certo senso disuperiorità e quasi di ironico distacco, dovuto al fatto che i personaggi e le loro azioni,implicitamente o esplicitamente, sono messi al paragone di una legge che impone anche alprincipe e all’eroe la moderazione, la pietà, l’umanità, la fede reciproca, e secondo questalegge sono giudicati» (C. GRÜNANGER, Storia della letteraura tedesca. I. Il Medioevo, Milano1955, pp. 55-56). Un altro germanista, il Santoli, ha invece opinato che l’autore delWaltharius abbia potuto conoscere in qualche modo i racconti sui Katafugóntes i fuggiaschidalla corte di Attila che ci vengono incontro dalle pagine degli storiografi e dei cronistimedievali; e, a proposito della figura di Hiltgund, ha affermato che essa ricopre la funzione(classica e poi romantica) della “donna-ancella”, in contrasto con la figura dell’eroinavendicatrice tipica della tradizione medievale germanica (V. SANTOLI, in «Waltharius».Poema latino medievale, cit., passim).

14 E. D’ANGELO, in Waltharius, cit., pp. 36-37; si veda anche ID., Lucano nel«Waltharius»?, in Studi medievali n.s., 32 (1991), pp. 159-190 (in particolare, pp. 161-162).

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Si tratta di dati incontrovertibili, questi, in quanto l’influsso vir-giliano, soprattutto, è scoperto e rilevato ad ogni piè sospinto,15 anche se vaattentamente considerato, non soltanto alla stregua di sempliciriecheggiamenti di questo o di quel passo, ma soprattutto alla luce di unainterpretazione complessiva della “memoria culturale” del poeta. È unalinea, questa, che è stata proposta, anni fa, da studiosi quali RosemarieKatscher,16 Alois Wolf17 e Luigi Alfonsi, il quale ultimo, in particolare,cercava di dimostrare come appunto l’imitatio virgiliana potesse conferire alpoema la sua unità, una imitatio che è, in realtà, duplice: da una parte,infatti, essa si rivela nel lessico, nelle figure retoriche, nello stile, dall’altraessa si amplia fino a comprendere le caratteristiche psicologiche ed umanedei personaggi (il tema della “malinconia” di molti dei protagonisti delWaltharius è un motivo, per esempio, di marca tipicamente virgiliana). Lostudioso osservava inoltre che il fine del poema è ludico, con un racconto diavventure inquadrato in una cornice epica e con una apertura storico-cronachistica, lontana dal mito; che nel Waltharius manca una soffertasensibilità religiosa; che la figura di Hiltgund ricorda la figura virgiliana diCamilla; che si tratta, infine, di una composizione serrata e circolare, la cuistruttura ricorda quella dei nòstoi dell’antichità classica.18

L’imitazione di Virgilio da parte del poeta del Waltharius, in par-ticolare, non si sostanzia esclusivamente attraverso un facile (e, d’altronde,prevedibile) riecheggiamento di stilemi, iuncturae più o meno callidae,espressioni attinte all’Eneide (talvolta estese anche per più di due versiconsecutivi), ma, soprattutto, mediante un procedimento imitativo per cuispesso «un passo virgiliano viene posto a fondamento principale di unbrano, ma con aggiunte e abbellimenti che costituiscono altrettantereminiscenze da Virgilio stesso o da altri autori antichi».19 Così, per

Sulla presenza di Stazio nell’opera, si veda O. SCHUMANN, Statius und «Waltharius», inStudien zur deutschen Philologie des Mittelalters. Festschrift für F. Panzer, hrsg. von R.Kienast, Heidelberg 1950, pp. 12-19. In genere, sui debiti contratti dall’autore del Walthariuscoi poeti classici, risulta molto utile il contributo di O. ZWIERLEIN, Das «Waltharius»-Eposund seine lateinischen Vorbilder, in Antike und Abendland 16 (1970), pp. 153-184.

15 Sull’influsso virgiliano nel Waltharius (e in genere nell’epica dell’alto Medioevo)si veda D. SCHALLER, Vergil und die Wiederentdeckung des Epos im frühen Mittelalter, inMedioevo e Rinascimento 1 (1987), pp. 75-100 (con la discussione di E. D’ANGELO, Eposmediolatino e teoria dei generi. A proposito di un recente intervento di Dieter Schaller, inSchede medievali 18 [1990], pp. 106-115). Cfr. anche la ‘voce’ di P. SMIRAGLIA, Eccheardo Idi San Gallo, in Enciclopedia Virgiliana, II, Roma 1985, pp. 163-164.

16 Rosemarie KATSCHER, «Waltharius». Dichtung und Dichter, in MittellateinischesJahrbuch 9 (1973), pp. 48-120.

17 A. WOLF, Mittelalterliche Heldensagen zwischen Vergil, Prudentius und raf-finierter Klosterliteratur. Beobachtungen zum «Waltharius», in Sprachkunst 7 (1976), pp.180-212.

18 L. ALFONSI, Considerazioni sul vergilianesimo del «Waltharius», in Studi filologici,letterari e storici in memoria di Guido Favati, I, Padova 1977, pp. 3-14.

19 P. SMIRAGLIA, Eccheardo I di San Gallo, cit., p. 164; cfr. anche K. STRECKER,Ekkehard und Vergil, in Zeitschrift für deutsches Altertum und deutsche Literatur 42 (1898),pp. 339-365.

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esempio, la descrizione della battaglia equestre (Walth. 179-214) rimandaall’analoga descrizione virgiliana (Aen. XI 597 ss.), ma con l’aggiunta distilemi, iuncturae ed espressioni attinte anche ad altri loci dell’Eneide.Anche nella descrizione dei vari duelli tra Walther e i guerrieri franchi nellaforesta dei Vosgi, «descrizione che non ingenera mai stanchezza, a dispettodelle situazioni necessariamente ripetitive, il poeta attinge largamente, e conlo stesso procedimento, all’Eneide».20 E così, per esempio, il quinto duello,che ha luogo fra Walther e Adavardo (Walth. 781-845), pur assumendocome modello lo scontro finale tra Enea e Turno, presenta innumerevolireminiscenze da altri passi del poema virgiliano; il sesto duello, fra Walthere Patavrid (Walth. 846-913), giovinetto che muore per mano dell’eroeaquitano davanti agli occhi dello zio Hagen, riprende invece lo schema delcelebre episodio della morte di Lauso (Aen. X 810 ss.), «ma con qualchemodifica nella struttura, forse, derivante dalla saga germanica: mentrenell’Eneide, infatti, è il solo Enea che ammonisce il giovane Lauso,invitandolo ad allontanarsi dal campo di battaglia, nel Waltharius il ruoloviene assunto prima da Hagen, poi da Walther stesso, senza che nessuno deidue eroi riesca a dissuadere Patavrid dallo scontro che non potrà che esseremortale per lui».21

Più sottile e più scaltrita l’interpretazione di alcuni aspetti della“memoria” virgiliana nel Waltharius fornita una decina di anni fa daFerruccio Bertini alla luce dell’analisi di un passo del poema, nel quale sinarra il ritorno di Walther alla corte di Attila dopo una impresa vittoriosavòlta alla salvezza e alla custodia del regno unno (Walth. 215-234).22 Lostudioso, per esempio, ha osservato che al v. 216 l’autore del Walthariusutilizza l’acc. equitem (nella frase ecce palatini decurrunt arce ministri /illius aspectu hilares equitemque tenebant)23 nell’accezione di “cavallo” enon, come di consueto, di “cavaliere”, sulla scorta, comunque, dell’analogovalore di eques = equus, hapax semantico in Virgilio, Georg. III 116-117(atque equitem docuere sub armis / insultare solo et gressus glomeraresuperbos, passo, questo, ben noto ai lessicografi e agli eruditi tardo-antichi,da Gellio a Nonio Marcello a Macrobio),24 laddove il poeta mediolatino,«lungi dall’incorrere in una svista o dal dimostrare incerta conoscenza dellalingua latina, intende esibirsi in una raffinatezza lessicale, sfoggiando unaspecifica cultura virgiliana».25 Più interessante ancora appare un passoimmediatamente successivo, all’interno del medesimo episodio, quando aWalther, stremato dalla missione militare appena portata a termine,Hiltgund porge da bere; l’eroe allora si disseta e le restituisce la coppa,

20 P. SMIRAGLIA, Eccheardo I di San Gallo, cit., p. 164.21 Ibidem; cfr. anche K. STRECKER, Ekkehard und Vergil, cit, pp. 340-350.22 F. BERTINI, La letteratura epica, in AA. VV., Il secolo di ferro: mito e realtà del

secolo X. Settimane di studio del C.I.S.A.M. di Spoleto, XXXVIII, Spoleto 1991, pp. 723-754(in partic. pp. 746-754, che qui seguo assai da presso).

23 Per l’espressione ecce palatini ministri, cfr. PRUDENT. Apoth. 481.24 Cfr. GELL. Noct. Att. XVIII 5; MACR. Sat. VI 9.25 F. BERTINI, La letteratura epica, cit., p. 750.

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dopo di che intraprende un dialogo con la fanciulla (Walth. 228-230Walthariusque bibens vacuum vas porrigit olli / – ambo etenim norant de sesponsalia facta – / provocat et tali caram sermone puellam). Si tratta di unbrano molto controverso, soprattutto per la presenza di quel verso (229ambo etenim norant de se sponsalia facta)26 che, come un inciso gettato lì acaso, mal si accorda col resto del passo, in quanto non si riesce a bencomprendere, di primo acchito, quale legame logico vi sia fra la restituzionedella coppa ad Hiltgund da parte di Walther ed il fatto che i loro rispettivigenitori si fossero già da tempo accordati perché i due ragazzi sifidanzassero.27 A proposito di questo episodio, Bertini ha avanzato unasuggestiva interpretazione, ponendo in correlazione i versi interessati con unaltro passo del poema, successivo, in cui si racconta come, durante la fugaavventurosa in compagnia di Hiltgund, Walther riesca a procacciare il ciboper sé e per la sua dolce compagna grazie alla propria innata abilità nellacaccia e nella pesca (Walth. 419-427). All’interno di questo episodio,compaiono due versi che suscitano più di una perplessità (Walth. 426-427Namque fugae toto se tempore virginis usu / continuit vir Walthariuslaudabilis heros). Walther, quindi, si è astenuto dall’avere rapporti sessualicon la fanciulla, ma, a parte il fatto che l’inciso anche in tal caso appare unpo’ incongruo nel contesto dell’episodio in cui viene ad essere inserito, è darilevare che dell’argomento non si parlerà mai più nel corso di tutto ilpoema.28 Orbene, in entrambi i passi esaminati si osserva l’evidente

26 Per la iunctura sponsalia facta, cfr. IUV. Sat. I 143.27 Sul passo in questione, cfr. H.J. WESTRA, A Reinterpretation of «Waltharius» 215-

259, in Mittellateinisches Jahrbuch 15 (1980), pp. 51-56: l’interpretazione dello studioso sibasa su tre ordini di considerazioni: 1) Walther ed Hiltgund ben sapevano di essere statifidanzati dai rispettivi genitori fin da quando erano bambini, ma non avevano mai parlato fraloro di questo fatto; 2) essi erano innamorati l’uno dell’altra, ma non si erano maivicendevolmente confidati questa loro passione; 3) entrambi volevano fuggire dalla dorataprigione della corte di Attila, ma mancavano ambedue di reciproca fiducia. In questo modoverrebbero ad essere sanate, secondo lo studioso, le aporie presenti nel brano (mal’interpretazione proposta da Westra non è esente da forzature e fraintendimenti: per unapuntuale discussione di essa cfr. ancora F. BERTINI, La letteratura epica, cit., pp. 751-752).

28 Per quanto concerne l’interpretazione del passo, D’Angelo non si mostra affattofavorevole ad una lettura di esso in chiave sessuale: «non ci sarebbe infatti – annota lostudioso – alcun nesso con quanto detto subito prima; viceversa, considerando il nessovirginis usus nel senso di “aiuto della ragazza”, si evince pienamente il comportamentodell’eroe. Tutto questo lasciando stare eventuali argomentazioni sulla liceità di rapportiprematrimoniali nell’etica del poeta, che potrebbe portarlo a definire l’eroe laudabilis soloperché non fornica durante la precipitosa e pericolosa fuga dalla Pannonia» (E. D’ANGELO, inWaltharius, cit., p. 180: lo studioso traduce infatti l’espressione virginis usu con «per evitaredi affaticare Hiltgund»). Sull’interpretazione “tradizionale” (che credo anch’io sia la piùattendibile) si soffermava brevemente anche G. VINAY, «Waltharii poesis», cit., p. 498,scrivendo, a proposito dei vv. 424-427, che «tra il primo ed il secondo concetto non c’èrapporto alcuno, come non c’è tra la pesca la fame e la fatica, tanto è lontana dall’autore lacapacità di rappresentare insieme due giovani che han fame e sono stanchi e pescano e sicibano e si preoccupano della loro sorte incerta e lui rispetta lei non per stanchezza o timorema per drittura dell’animo».

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difficoltà in cui si trova il poeta quando deve affrontare un tema erotico (oanche semplicemente amoroso), e spia di tale imbarazzo, di tale difficoltà(anche dal punto di vista compositivo) è il fatto che sia al v. 229, sia al v.426 compaiono due “zeppe”, due tibicines (etenim al v. 229, namque al v.426), che «funzionano perfettamente dal punto di vista metrico, ma rivelanospietatamente la loro inadeguatezza e precarietà nello specifico del contestologico».29 In conclusione, il poeta del Waltharius rivela quindi unasensibilità “virgiliana” che si manifesta anche nella confusa ed imbarazzatareticenza nei confronti dell’elemento amoroso, sempre sfiorato in modoquasi tremebondo (con una verecondia che, si parva licet, fa pensaretalvolta anche al Manzoni): infatti «il poeta di Mantova è ineguagliabilenello scandagliare sentimenti amorosi in chiave elegiaca, patetica,drammatica e tragica, ma è altrettanto innegabilmente in difficoltà quandodeve affrontare la tematica sessuale pura e semplice […]. Fatte le debiteproporzioni, analogamente si comporta il suo imitatore medievale, in cuiquesto limite appare più evidente perché il desiderio di liberarsi alla sveltadi un argomento imbarazzante lo induce talvolta a trattarlo in un contestoimproprio».30

A parte la giusta rilevanza conferita ad un poeta come Prudenzio, lecui accese, colorite e talvolta un po’ macabre descrizioni di martiriiesercitano un notevole influsso sull’epica mediolatina e romanza,31 si ricordipoi come sia possibile individuare, all’interno del Waltharius, alcuniprobabili echi dai Punica di Silio Italico (autore generalmente ignoto alMedioevo), come ha rilevato, in due successivi interventi, RudolfSchieffer,32 il che consentirebbe, fra l’altro, di individuare con maggiorprecisione il milieu in cui si formò il poema (appunto la zona fra Costanza,San Gallo e Reichenau, dove i Punica verranno riscoperti nel 1417, in unms. oggi perduto, da Poggio Bracciolini). Più difficile, se possibile, laquestione relativa ai rapporti fra il Waltharius e i poeti latini altomedievali,questione che, evidentemente, è da porre in relazione, di volta in volta, conle ipotesi cronologiche di volta in volta formulate. In ogni caso, risultanosicuri gli echi dei poeti carolingi (la Vita Mammae o Vita Mammetis diWalahfrido Strabone, per esempio),33 piuttosto che quelli dei poeti del

29 F. BERTINI, La letteratura epica, cit., p. 753.30 Ivi, pp. 753-754.31 Si veda, per questo aspetto, il contributo di uno specialista quale J.-L. CHARLET,

L’apport de la poésie chrétienne à la mutation de l’épopée antique: Prudence précurseur del’épopée médiévale, in Bulletin de l’Association G. Budé 35 (1980), pp. 207-217.Sull’influsso esercitato da Prudenzio si soffermava anche G. VINAY, «Waltharii poesis», cit.,p. 496, il quale scriveva fra l’altro: «Non erano certo le stravaganze delle sue battaglie fra vizie virtù che potevano ispirare un poeta ben nato, erano invece, non paia strano, alcuni aspettidel suo immaginoso linguaggio».

32 R. SCHIEFFER, Silius Italicus in St. Gallen. Ein Himweis zur Lokalisierung des«Waltharius», in Mittellateinisches Jahrbuch 10 (1975), pp. 7-19; ID., Zu neuen Thesen überden «Waltharius», in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters 36 (1980), pp. 193-201.

33 Cfr. Ursula e P. DRONKE, «Barbara et antiquissima carmina», cit., pp. 66-79. In

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periodo ottoniano (anche se non sono mancate individuazioni di probabilireminiscenze dai poemetti agiografici di Rosvita di Gandersheim, dai GestaBerengarii imperatoris o dal Ruodlieb).34 In ogni caso, molto folto è ilnumero dei poeti e degli scrittori tardoantichi ed altomedievaliprobabilmente (o sicuramente) fruiti dal poeta del Waltharius, dall’Iliaslatina a Giovenco, da Sedulio a Corippo, da Venanzio Fortunato a Isidoro diSiviglia, da Eugenio da Toledo a Gregorio di Tours, da Aldelmo diMalmesbury a Paolo Diacono, da Alcuino a Ermoldo Nigello, da Milone diSaint-Amand a Modoino d’Auxerre, da Notker Balbulo a Eirico d’Auxerre,dai Gesta Berengarii imperatoris al Karolus et Leo papa, da Abbone diSaint-Germain ad Audrado Modico, dal Poeta Saxo a Rabano Mauro, daSedulio Scoto a Teodulfo d’Orléans.35

I problemi principali concernenti il Waltharius riguardano comunque,com’è noto, non solo la sua interpretazione complessiva o l’individuazionedelle sue fonti (che comunque rimangono in ogni caso questioni abbastanzaimpegnative e non certo marginali), ma anche, e soprattutto, la paternità delpoema mediolatino e, di conseguenza, la sua localizzazione geografica,argomento, questo, che ha fatto versare i classici fiumi d’inchiostro. Comeio stesso scrissi, ormai tanti anni fa, in una mia giovanile rassegna di studisul Waltharius, «l’importanza dell’opera, per quanto riguarda la suaeccellenza poetica, la sua particolare funzione storico-letteraria, le sue fontied il suo probabile autore, è stata al centro di annose discussioni tra glistudiosi che di volta in volta hanno proposto interpretazioni ed attribuzioninon solo diverse, ma spesso opposte, in una congerie di contributi critici,testuali ed esegetici che appunto sono indicativi della vitalità di questo testomediolatino, ed insieme di tutta una serie di questioni che certamente nonpossono dirsi risolte o chiarite».36

Schematizzando le principali ipotesi cui sono giunti gli studiosi, la

realtà il Dronke (è infatti a lui che appartiene la stesura della sezione del saggio che qui ciriguarda) ipotizza un percorso inverso, dal Waltharius alla Vita Mammae e non, comesembrerebbe più prudente, viceversa. Orbene, se le cose stanno così, e dal momento che laVita Mammae fu scritta da Walahfrido Strabone fra l’827 e l’828, ne dipenderebbe laconclusione che il Waltharius è un poema altocarolingio. Su questa linea procederà unillustre studioso dell’opera, Alf Önnerfors, che giungerà ad attribuire la paternità delWaltharius a Grimaldo, maestro di Walahfrido Strabone.

34 Per una possibile influenza del Waltharius su Rosvita, cfr. E.H. ZEYDEL, Ekkehard’sInfluence upon Hroswitha: a Study in Literary Integrity, in Modern Language Quarterly 6(1945), pp. 333-339; per i rapporti col Ruodlieb, cfr. D.M. KRATZ, «Waltharius» and«Ruodlieb»: A New Perspective, in Gli Umanesimi medievali. Atti del secondo Convegnodell’Internationales Mittellateinerkomitee (Firenze, 11-15 settembre 1993), a cura di C.Leonardi, Firenze 1998, pp. 307-313.

35 A tal proposito, basti ricordare che l’apparato di note stilato da E. D’ANGELO, inWaltharius, cit., pp. 168-196, è molto ampio ed è vòlto soprattutto all’individuazione deimolteplici echi degli auctores (in primo luogo, ovviamente, Virgilio, quindi Prudenzio,Lucano, Ovidio, Stazio e Silio Italico), della Bibbia e dei testi e scrittori tardoantichi edaltomedievali.

36 A. BISANTI, Un decennio di studi sul «Waltharius», cit., p. 346.

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tesi “tradizionale”, quella cioè che, alla luce della testimonianza contenutanei Casus Sancti Galli, assegna la paternità del poema a Eccheardo I di SanGallo (910-973),37 è stata ribadita da Walther Berschin, Karl Langosch,Gustavo Vinay, Rudolf Schieffer, Dieter Schaller e Gareth Morgan;38 piùampio e più diversificato il ventaglio di ipotesi di coloro che invecepropendono per una datazione più alta, durante l’epoca carolingia, da KarlStrecker, Peter Dronke e Peter Godman (che hanno pensato ad un anonimoautore del IX secolo)39 ad Otto Schumann, W. von den Steinen, A. KeithBate, Dennis M. Kratz, Feliciana Lorella Pennisi e Franz Brunhölzl (cheattribuiscono l’opera mediolatina a Geraldo, autore del prologo-dedica alvescovo Erchembaldo che in alcuni mss. precede il poema),40 da Alf

37 Per la quale cfr. l’invecchiato, ma in parte ancor oggi utile volume di F. ERMINI,Poeti epici latini del secolo X, Bologna 1920, pp. 39-49.

38 W. BERSCHIN, Ergebnisse der «Waltharius»-Forschung, in Deutsches Archiv fürErforschung des Mittelalters 24 (1968), pp. 16-45; ID., Zum Eingang des «Waltharius», inMittellateinisches Jahrbuch 8 (1973), pp. 28-29; K. LANGOSCH, «Waltharius». Die Dichtungund die Forschung, Darmstadt 1973 (con la recensione di F. BORNMANN, in Maia 31 [1979],pp. 223-224); ID., Zum «Waltharius» Ekkeharts I. von St. Gallen, in MittellateinischesJahrbuch 18 (1983), pp. 84-99; G. VINAY, A proposito dell’autore e della cronologia del«Waltharius», in Bollettino della Deputazione Subalpina di Storia Patria 47 (1947), pp. 5-12; ID., «Waltharii poesis», cit., pp. 476-524; ID., «Haec est Waltharii poesis», cit., pp. 433-481; R. SCHIEFFER, Silius Italicus in St. Gallen, cit., passim; ID., Zu neuen Thesen über den«Waltharius», cit., passim; D. SCHALLER, Geraldus und St. Gallen. Zum Widmungsgeschichtedes «Waltharius», in Mittellateinisches Jahrbuch 2 (1965), pp. 74-84; ID., Ist der«Waltharius» frühkarolingisch?, in Mittellateinisches Jahrbuch 18 (1983), pp. 63-83; ID.,Von St. Gallen nach Mainz? Zum Verfasserproblem des «Waltharius», in MittellateinischesJahrbuch 24-25 (1989-1990), pp. 423-437; G. MORGAN, Ekkehard’s signature to«Waltharius», in Latomus 45 (1986), pp. 171-177.

39 K. STRECKER, Der Walthariusdichter, in Deutsches Archiv für Erforschung desMittelalters 4 (1941), pp. 355-381 (saggio poi ristampato in E.E. PLOSS, «Waltharius» undWalthersage. Eine Dokumentation der Forschung , Hildesheim 1969, pp. 56-82); P. DRONKE,«Waltharius» and the «Vita Waltharii», in Beiträge zur Geschichte der deutschen Spracheund Literatur 106 (1984), pp. 390-402; P. GODMAN, Poetry of the Carolingian Renaissance,London 1985, pp. 72-78 e 326-341.

40 O. SCHUMANN, «Waltharius»-Probleme, in Studi medievali 17 (1951), pp. 177-202(ristampato in E.E. PLOSS, «Waltharius» und Walthersage, cit., pp. 109-134); W. VON DEN

STEINEN, Der «Waltharius» und sein Dichter, in Zeitschrift für deutsches Altertum 84 (1952-53), pp. 1-47; A.K. BATE, «Waltharius» of Gaeraldus, Reading 1978 (con la puntualeconfutazione di D. SCHALLER, Fröhliche Wissenschaft von «Waltharius», in MittellateinischesJahrbuch 16 [1981], pp. 54-57); D.M. KRATZ, Quid «Waltharius» Ruodliebque cum Christo?,in The Epic in Medieval Society, ed. H. Scholler, Tübingen 1977, pp. 126-149; ID., MockingEpic. «Waltharius», «Alexandreis» and the Problem of Christian Heroism, Madrid 1980(con la recens. di Alison GODDARD ELLIOTT, in Speculum 57 [1982], pp. 387-389); FelicianaLorella PENNISI, Funzioni narrative, strutture e ‘codici’ del «Waltharius», in Orpheus, n.s., 4(1983), pp. 286-341; F. BRUNHÖLZL, «Waltharius» und kein Ende?, in Festschrift für PaulKlopsch, hrsg. von U. Kindermann - W. Maaz - F. Wagner, Göppingen 1988, pp. 46-55; ID.,Was ist der «Waltharius», München 1988. A Geraldo viene attribuito il Waltharius anchenell’antologia Medieval Latin, ed. by K.P. Harrington, revised by Joseph Pucci with agrammatical introduction by Alison Goddard Elliott, Chicago & London 19972, pp. 310-318(in cui vengono presentati alcuni brani dal poema, con un sobrio commento di carattereprevalentemente linguistico).

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Önnerfors (che ha più volte rivendicato la paternità del Waltharius aGrimaldo, maestro di Walahfrido Strabone e destinatario della famosaepistula di Ermenrico di Ellwangen)41 a Karl F. Werner (che, invero conscarsa fortuna, ha proposto l’attribuzione dell’opera ad Ermoldo Nigello).42

Per quanto concerne poi l’ambiente in cui fu composto il Waltharius,le ipotesi prevalenti formulate dai vari studiosi che hanno affrontato ilproblema riguardano una località compresa fra San Gallo, Reichenau eCostanza (Langosch, Vinay e Schieffer), oppure Magonza (Schaller) oancora Strasburgo (Berschin).43

Una linea di indagine differente e più moderna (oltre che sicuramentepiù obiettiva), vòlta a cercare di risolvere l’«appassionante, ma finorainsoluto “puzzle” del Waltharius»44 è stata proposta in tempi a noi più vicinida un acuto e profondo conoscitore del poema quale Edoardo D’Angelo, inuna serie di contributi tesi, prevalentemente (ma non solo), ad indagare lecaratteristiche metriche e versificatorie dell’opera mediolatina.45 Alla lucedi una capillare ed attentissima disamina della tecnica dell’esametro nelWaltharius, articolata nelle sue componenti principali (distribuzione deidattili e degli spondei nei primi quattro piedi, uso della cesura, della rima,delle clausole, dell’elisione, dello iato, elementi di metrica verbale e cosìvia), e alla luce dei raffronti effettuati con una larga messe di operemediolatine in esametri del periodo carolingio e post-carolingio, D’Angeloè riuscito a dimostrare, al di là di ogni dubbio, che il poema obbedisce allalinea della versificazione “medievale” (distinta da quella “antichizzante”,secondo le note argomentazioni di Dag Norberg e di Paul Klopsch, seguitein Italia da Franco Munari e da Giovanni Orlandi),46 individuando, in base

41 A. ÖNNERFORS, Die Verfasserschaft des «Waltharius»-Epos aus sprachlicher Sicht,Opladen 1979; ID., Das «Waltharius»-Epos. Probleme und Hypothese, Stockholm 1988 (conl’eccellente recensione-discussione di E. D’ANGELO, in Orpheus, n.s., 11 [1990], pp. 390-396); ID., Bemerkungen zum «Waltharius»-Epos, in Latomus 51 (1992), pp. 633-651.

42 K.F. WERNER, «Hludovicus Augustus». Gouverner l’Empire Chrétien. Idées etréalités, in Charlemagne’s Heir, ed. by P. Godman - R. Collins, Oxford 1990, pp. 99-123.

43 In aggiunta a quelli già menzionati, si veda lo studio di W. BERSCHIN, Erkambaldvon Strassburg (965-991), in Zeitschrift für Geschichte des Oberrheins 134 (1986), pp. 1-20.

44 Così si esprime F. BERTINI, La letteratura epica, cit., p. 743.45 E. D’ANGELO, L’esametro del «Waltharius», in Vichiana 15 (1986), pp. 176-215;

ID., Sull’uso delle parole pirrichie nell’esametro del «Waltharius», in Koinonìa 11 (1987),pp. 109-129; ID., Tecnica della cesura e tecnica della rima nel «Waltharius», in Atti dellaAccademia Pontaniana, n.s., 37 (1988), pp. 127-176; ID., «Waltharius» 79 e «Prologo» diGeraldo 18, in Bollettino di Studi latini 20 (1990), pp. 44-46; ID., Lucano nel«Waltharius»?, cit., pp. 159-190; ID., Memoria culturale e trascrizione dei testi. Su due«lectiones singulares» nella tradizione manoscritta del «Waltharius», in La critica del testomediolatino. Atti del Convegno (Firenze, 6-8 dicembre 1990), a cura di C. Leonardi, Spoleto1994, pp. 339-349; e soprattutto ID., Indagini sulla tecnica versificatoria nell’esametro del«Waltharius», Catania 1992 (in cui confluiscono, rielaborati ed ampliati, alcuni deiprecedenti contributi di metrica: cfr. le recensioni di A. BISANTI, in Orpheus, n.s., 14 [1993],pp. 163-167; e di D.M. KRATZ, in Journal of Medieval Latin 4 [1994] 170-173).

46 D. NORBERG, Introduction à l’étude de la versification latine médièvale, Uppsala1958; P. KLOPSCH, Pseudo-Ovidius «De Vetula»: Untersuchungen und Text, Leiden-Köln

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agli elementi forniti dall’indagine, un terminus post quem circoscrittoall’840-860 circa (il che impedisce di pensare al Waltharius come ad unprodotto proto-carolingio) e, fra l’altro, escludendo assolutamente (e sempresulla base dello studio della tecnica versificatoria) che il Geraldo autore delprologo-dedica e il poeta del Waltharius possano essere la stessa persona.47

Si tratta, come penso sia emerso anche da questa rassegna (dinecessità cursoria e saltuaria), di un panorama di studi, indagini, ricerchequanto mai mosso, vario e diversificato, che testimonia (a parer mio)l’intatta ed operante vitalità e l’innegabile interesse che il Waltharius haesercitato e continua ad esercitare su intere generazioni di studiosi e difilologi mediolatinisti.48 Scopo principale della presente nota non ècomunque quello di prendere posizione per l’una o l’altra ipotesi relativaalla paternità oppure alla localizzazione geografica dell’opera, ma, assai piùmodestamente, quello di analizzare, in questa seconda parte, un passo delWaltharius finora poco studiato, ossia il brano relativo all’incontro,all’ambasceria, alla sfida e poi al duello fra Walther e Camalone (il primodei guerrieri che Gunther manda contro l’eroe eponimo), un passo che,come credo, può prestare il destro ad una discreta serie di osservazioni.49

Cerchiamo, in primo luogo, di sintetizzare l’episodio. Dopo esserefuggiti dalla reggia di Attila col favoloso tesoro di Gibich, Walther edHiltgund trascorrono i giorni e le notti per dirupi e per foreste, fra sentierimontuosi e scoscesi anfratti, giungendo, dopo quattordici giorni diavventure, alle rive del Reno presso la città di Worms, ove regna l’avido re

1967; ID., Einführung in die mittellateinische Verslehre, Darmstadt 1972; ID., Einführung indie Dichtungslehre des lateinischen Mittelalters, Darmstadt 1980; MARCO VALERIO, Bucoliche,a cura di F. Munari, Firenze 1970; G. ORLANDI, Metrica ‘medievale’ e metrica ‘antichizzante’nella commedia elegiaca: la tecnica versificatoria del «Miles gloriosus» e della «Lidia», inTradizione classica e letteratura umanistica. Per Alessandro Perosa, I, Roma 1985, pp. 1-16; ID., Caratteri della versificazione dattilica, in Retorica e poetica tra i secoli XII e XIV.Atti del secondo Convegno internazionale di studi dell’Associazione per il Medioevo el’Umanesimo latini (AMUL) in onore e memoria di Ezio Franceschini (Trento-Rovereto, 3-5ottobre 1985), a cura di C. Leonardi e E. Menestò, Firenze 1988, pp. 151-169.

47 Si leggano le parole dello studioso: «Naturalmente, tutti gli elementi raccolti daquesta ricerca, e le conseguenze tratte, non vanno oltre il valore di semplici indizi,relativamente alla ‘Verfasserfrage’ gualtieriana. Ma, rappresentando le indagini perl’identificazione e la collocazione cronologica del Waltharius-Dichter un processo di tipoassolutamente indiziario (le due sole testimonianze, infatti, che potrebbero fungere da prove,si contraddicono clamorosamente), una soluzione – anzi: una proposta di soluzione – puòvenire solo sulla base di elementi probatori, per così dire, ausiliari. Ed in questo senso i datiemersi da questa ricerca sembrano aggiungere un altro piccolo sostegno alle argomentazionidi coloro che, del Waltharius, respingono la datazione protocarolingia e la paternitàgeraldiana» (E. D’ANGELO, Indagini sulla tecnica versificatoria, cit., p. 166).

48 Per altre notizie rinvio all’aggiornatissimo e perspicuo panorama stilato da F.BERTINI, Problemi di attribuzione e di datazione del «Waltharius», in Filologia mediolatina6-7 (1999-2000), pp. 63-77.

49 Walth. 572-685 (come ho già avvertito all’inizio di questo lavoro, cito il testo delpoema dall’ediz. Strecker).

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Gunther. Un barcaiolo traghetta i due giovani al di là del fiume50 e nericeve, come ricompensa, due grossi pesci che, venduti al cuoco del re,attraggono l’attenzione di quest’ultimo e di Hagen il quale, udendo ilracconto del barcaiolo, riconosce nei due Walther ed Hiltgund. Il reGunther, spinto dalla sua insaziabile brama d’oro e di ricchezze,51 decide dimuovere con dodici scelti cavalieri contro Walther, per recuperare il tesorodi Gibich, inutilmente dissuaso, in ciò, da Hagen, mèmore dell’anticaamicizia fra lui e l’eroe aquitano. Walther, frattanto, è giunto con Hiltgundnella foresta dei Vosgi e, spogliatosi delle armi, si riposa finalmente in unacaverna fra due monti, vegliato dalla fedele compagna.52 All’appressarsi dei

50 Sul tema (mitologico, folklorico e letterario) del “traghettatore” nel Waltharius sisofferma, con osservazioni in genere pienamente condivisibili, Feliciana Lorella PENNISI,Funzioni narrative, strutture e ‘codici’, cit., p. 321 e passim (la studiosa osserva che si trattadi un motivo-funzione «di antica tradizione e memoria culturale, un ‘archetipo’dell’esperienza collettiva dell’anima umana trasmessa per via ereditaria»). Può essereinteressante osservare, a questo proposito, che la figura del traghettatore torna anche nelNibelungenlied, anzi, nel poema alto-tedesco è lo stesso Hagen che riveste tale importanteruolo magico-sacrale, uccidendo il vero traghettatore e a lui sostituendosi in due episodidell’opera, onde attraversare il fiume Danubio (è evidente, in questo, la suggestione delpersonaggio virgiliano di Caronte): «L’accentuarsi del soprannaturale a questo punto delNibelungenlied, che prima aveva conosciuto solo elementi magici di derivazione fiabesca,corrisponde al trasformarsi di Hagen da figura storicamente coerente, vassallo fedele ai suoire fino al delitto, in personaggio dotato di conoscenze e di poteri sovrumani, depositario divita e di morte dei suoi compagni. Come egli solo sa che tutti morranno, così egli solo puòtraghettarli al di là del Danubio. L’identificazione del fiume bavarese col fiume infernale,l’Acheronte, porta con sé l’identificazione di Hagen con la figura di Caronte, il traghettatoredelle anime dalle rive del regno dei vivi al regno dei morti. Due episodi confortano questaidentificazione: Hagen si sostituisce al vero traghettatore uccidendolo e prende il suo postoimpugnando con le mani il remo con cui guiderà la barca … Hagen, in un estremo tentativodi vanificare la profezia delle ondine, durante il traghetto cerca di uccidere il cappellano dicorte gettandolo dalla barca e percuotendolo col remo quando quello cerca di aggrapparsi pernon annegare … La sostituzione di Hagen al traghettatore si trova in analoghe circostanzenella Thidreckssaga, componimento scandinavo coevo al Nibelungenlied; nel Karlmeinet,poema francese sulla giovinezza di Carlo Magno, è Carlo stesso che si sostituisce altraghettatore. Appare evidente che la sostituzione di persona è un tratto tipico della narrativamedievale, sconosciuto al poema virgiliano, e deve avere una motivazione nella complessa eancora assai confusa tradizione religiosa del tempo» (Laura MANCINELLI, Nibelunghi, sub voc.,in Enciclopedia Virgiliana, III, Roma 1987, p. 719; cfr. anche G. DOLFINI, Limen, Milano1970, pp. 35-45).

51 Anche questo è un tema di marca precipuamente virgiliana (si ricordi il celebreQuid non mortalia pectora cogis, / auri sacra fames! di Aen. III 56-57). Una lunga ‘tirata’contro il desiderio d’oro e di ricchezze pronuncerà Hagen, un po’ più avanti nel corso delpoema, quando tenterà, inutilmente, di dissuadere il nipote Patavrid dallo scontrarsi asingolar tenzone con Walther (Walth. 857-877). Ma di questo tema dell’oro torneremo aparlare con maggiore ampiezza nella parte finale di questo lavoro.

52 Sulla figura della dolce Hiltgund, cfr. il breve studio di M. LÜRS, Hiltgund, inMittellateinisches Jahrbuch 21 (1986), pp. 84-87. Poco convincono invece, a mio modo divedere, l’interpretazione della figura femminile proposta da Feliciana Lorella PENNISI,Funzioni narrative, strutture e ‘codici’, cit., p. 320, secondo la quale l’immagine di Hiltgundfuggitiva potrebbe rappresentare «il prototipo delle fughe di eroine spaventate dellaletteratura italiana e forse europea: si pensi all’Angelica dell’Orlando furioso di Ariosto, per

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nemici, Hiltgund sveglia l’eroe, che si riarma e si appresta a combattere.Non appena Hagen vede Walther nascosto nella caverna (e qui, propria-mente, inizia il brano che ci interessa), consiglia Gunther, superbo sovrano,di non sfidare subito a battaglia il giovane eroe, ma di inviare qualcuno inqualità di ambasciatore, a chiedergli l’origine sua, la sua famiglia, il nomeed il luogo da cui viene, e a domandargli inoltre se sia disposto a cedere iltesoro spontaneamente, senza combattere; in tal modo, soggiunge Hagen,attraverso la risposta data da quel cavaliere si potrà ben comprendere se eglisia Walther o no. Gunther si lascia convincere (almeno questa volta) dallaprudenza di Hagen ed invia contro Walther un guerriero di nome Camalone,conte di Metz.53 Camalone parte quindi a briglia sciolta, simile al ventod’oriente quando infuria, si avvicina a Walther e, come prescritto, gli chiedechi egli sia, da dove venga e dove sia diretto. Walther non risponde im-mediatamente, ma, a sua volta, domanda a Camalone se egli venga da luispontaneamente o se sia stato ivi indirizzato da qualcuno. Di rimando,Camalone lo informa che il potente re del luogo, Gunther, vuole averenotizie su di lui e l’eroe, ironico e sprezzante, si presenta, dichiarando il suonome, la sua nazione e raccontando brevemente il suo passato. Certo che sitratti di Walther, Camalone intima allora all’aquitano di consegnare iltesoro, il cavallo54 e la ragazza, pena la morte. È evidente, comunque, cheun eroe come Walther non si lascia intimidire e, rispondendo con sprezzoall’ambasciatore (ed aggiungendo peraltro alcune frasi ben poco rispettosenei confronti di Gunther), afferma di non avere alcuna intenzione di cedereil tesoro, il cavallo e la ragazza, pur mostrandosi disposto, onde evitare loscontro, a regalare al re cento bracciali d’oro. Camalone torna da Gunther enarra a lui e agli altri cavalieri l’esito dell’ambasciata. Hagen, prudentecome sempre,55 consiglia il re di accettare l’offerta dei bracciali d’oro e, per

es., o all’Erminia della Gerusalemme liberata di Tasso»; o ancora l’ipotesi che vedrebbe nelpersonaggio della compagna di Walther un rapporto di derivazione dalla figura della Didonevirgiliana, mentre è invece più opportuno, a tal proposito, affermare, con Franceschini, cheHiltgund «non ha nulla a che vedere coi personaggi femminili dell’epica classica» (E.FRANCESCHINI, L’epopea post-carolingia, cit., p. 80).

53 Secondo H. ALTHOF («Waltharii poesis». Das Waltharilied Ekkeharts I. von St.Gallen, II, Leipzig 1905, p. 183) l’antroponimo del cavaliere che per primo va incontro aWalther sarebbe da collegarsi alla radice gamal (= ‘il vecchio’), e si tratterebbe di unaderivazione dal nome Camalheri, di cui si ha notizia per il monastero di San Gallo. Lostudioso era infatti del parere che il poeta abbia dato nomi di origine sangallense a molti deicavalieri che, in questa sezione del poema, vengono a scontrarsi con Walther (cfr. E.D’ANGELO, in Waltharius, cit., pp. 183-184). Io proporrei (ma si tratta solo di una pura,purissima ipotesi) un’interpretazione del nome del guerriero risultante dalla fusione di come(= ‘venire’) e alone (= ‘solo’). Si tratta infatti del primo cavaliere che “va, giunge da solo”verso Walther.

54 Anche in questo caso, come nel passo che si è discusso sopra, il poeta delWaltharius utilizza l’acc. equitem col valore di “cavallo” (Walth. 602 ut cum scriniolisequitem des atque puellam).

55 Sulla figura di Hagen nel Waltharius cfr. H.D. DICKERSON, Haghen: a NegativeView, in Semasia 2 (1975), pp. 43-59; S. JAEGER, Hagen and German Mythology, in ResPublica Litterarum 6 (1983), pp. 171-185 (che studia la tipologia del personaggio nel

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convincerlo maggiormente, gli narra un sogno (o meglio un incubo)premonitore avuto la notte precedente, durante la quale gli era apparso unorso che, lottando con Gunther, gli aveva strappato una gamba, cavando poi,coi denti, anche un occhio allo stesso Hagen giunto in aiuto del re. MaGunther, stoltamente accecato dal desiderio dell’oro, non dà ascolto alsaggio Hagen, anzi lo insulta e lo taccia di viltà, il che causa, ovviamente, ilgiusto risentimento di Hagen, che dopo sdegnose parole nei confronti delsovrano, decide di allontanarsi dalla battaglia e di rimanere, in disparte, acontemplare tutto quello che, di lì a poco, avverrà.56 Il re ordina dunquenuovamente a Camalone di tornare da Walther e di intimargli, con maggiorforza e in modo più minaccioso, la consegna del tesoro, del cavallo e dellaragazza e, in caso di ulteriore diniego, di aggredirlo e sconfiggerlo in sin-golar tenzone. Camalone si arma di tutto punto, e riparte a spron battuto allavolta del nascondiglio di Walther, provocandolo a rimettere tutto l’oro insuo possesso al re dei Franchi. Ma neanche questa seconda volta l’eroe silascia intimorire, pur offrendo (per evitare lo scontro) ben duecento armilled’oro. Ma Camalone non ne vuol sentire e si prepara al duello,imbracciando il triplice scudo e vibrando la lancia con tutta la sua forza, mainvano, ché Walther si scosta e l’asta del conte di Metz si conficca al suolo,lontano da lui. È ora il turno di Walther, che scaglia la sua lancia,trapassando il lato sinistro dello scudo e la mano con la quale Camalonetentava di sguainare la spada, trafiggendogli insieme la coscia etrapassando, ancora, il fianco del cavallo, il quale si imbizzarrisce e cerca difar cadere dalla groppa il cavaliere, e l’avrebbe fatto, se quegli non fossestato bloccato dalla lancia che aveva perforato ben quattro ostacoli,tenendoli saldamente legati insieme. Mentre Camalone, a terra, cerca diorganizzare una ormai vana resistenza, Walther gli piomba addosso, gliafferra un piede e gli immerge la spada in corpo fino all’elsa, trafiggendo efacendo morire insieme il cavaliere ed il cavallo.

Innanzitutto è opportuno soffermarsi brevemente su un episodio inapparenza secondario e marginale del poema, che finora è sostanzialmentesfuggito all’attenzione degli specialisti (o comunque non è stato moltostudiato) e che, invece, può rivelarsi assai importante, se approfonditamenteanalizzato, per fornire appunto una guida ad una chiave di letturacomplessiva del Waltharius.57 Si tratta dell’episodio del sogno (o megliodell’incubo) di Hagen (vv. 621-627), durante il quale il guerriero ha come

Nibelungenlied, in rapporto alle figure di Hagen nel Waltharius, appunto, e di Starchaterusnei Gesta Danorum di Saxo Grammaticus).

56 Il particolare ricorre anche nel Nibelungenlied (39a avventura, str. 2344). Nelpoema alto-tedesco, infatti, ad un certo punto Hagen rimprovera Ildebrando per la sua viltà eper il fatto di essere fuggito, e quest’ultimo, piccato, gli risponde: «Perché mi rinfacciate ciò?Ditemi, chi rimase seduto sul suo scudo presso il Wagenstein quando Walther d’Aquitania gliuccise tanti amici? Volete dileggiare altrui, anche contro di voi ci sarebbero motivi per farlo»(I Nibelunghi, cit., p. 297).

57 Cfr. E. D’ANGELO, L’incubo di Haghen. Sulle tracce di un’interpretazionecomplessiva del «Waltharius», introduzione a Waltharius, cit., pp. 9-28.

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una visione (una vera e propria visio in somniis) che funge daprefigurazione a tutto ciò che accadrà nella sezione finale del poema: comesi è già visto, un orso (cioè Walther) strapperà un’intera gamba, su fino allacoscia, a Gunther (vv. 623-625 Visum quippe mihi me colluctaverit urso, /qui post conflictus longos tibi mordicus unum / crus cum poplite ad usquefemur decerpserat omne) e poi coi denti priverà lui stesso, Hagen, di unocchio (vv. 626-627 et mox auxilio subeuntem ac tela ferentem / me petitatque oculum cum dentibus eruit unum). L’interpretazione di questoepisodio ha permesso a Edoardo D’Angelo di indagare circa la «possibilitàdella presenza nel Waltharius di allusioni di politica contemporanea (il temaè delicato perché strettamente collegato a quello della datazione)» edinsieme di proporre «un tentativo di decodificazione per via psicanalitica esimbolica del personaggio di Walther e, con esso, del “senso” stesso delpoema».58 Lo studioso innanzitutto ritiene che l’episodio del sogno diHagen sia stato esemplato sul modello biblico del sogno del profeta Daniele(Dan. VII 3-5), il che mi sembra oltremodo probabile, sia per quel checoncerne precisi rimandi testuali, sia per quel che riguarda la simbologia,comune nei due episodi onirici, dell’orso come portatore di precisi valoripolitici. Il contesto in cui si situa l’episodio del poema mediolatino è quellodella caccia, cui la figura dell’eroe protagonista partecipa come entità ormaiquasi animalesca, assimilata ad una belva, di cui conserva la forza,l’irruenza, la ferocia. D’Angelo ha osservato assai opportunamente, a mioavviso, come Walther subisca, nel corso dell’opera, tutta una serie dimetamorfosi, strutturate gradualmente come in una ideale climaxdiscendente dall’umano al ferino: «Il primo grado della metamorfosi diWalther è proprio il regresso a uno stato ferino che si concretizza in duefasi: prima si ha la trasformazione del cavaliere in cacciatore (cfr. Walth.271-273; 419-425); poi l’uscita dal mondo, dal paesaggio umano el’ingresso in quello animale (Walth. 355-357). La tappa finale è lametamorfosi dell’eroe in animale tout-court».59 Una zoomorfia, quella diWalther, che assume di volta in volta le immagini del cane (e in particolaredella licisca, sorta di feroce cane-lupo, come lo stesso eroe protagonistaviene apostrofato al v. 404 del poema)60 del serpente, dell’uccello, del faunoe, appunto nel sogno di Hagen, dell’orso. Una ideale “duplicità” delprotagonista, questa, che può trovare conferma nel fatto che Walther,durante gli interminabili duelli con i cavalieri franchi mandatigli contro daGunther, sottopone ben quattro dei suoi dodici nemici al taglio della testa,secondo il modello biblico di Davide e Golia. Una “duplicità”, questa delprotagonista del Waltharius, che crea però un’innegabile impasse critica edinterpretativa dalla quale è difficile uscire, in quanto, in tal maniera,

58 Ivi, p. 10.59 Ivi, p. 15.60 Cfr. Vincenza COLONNA, «Ceu nequam forte liciscam» («Waltharius», v. 404), in

Invigilata lucernis 11 (1989), pp. 161-174 (la quale cita più volte la mia rassegna di studi del1986 – e di ciò la ringrazio –, ma storpiando regolarmente il mio cognome in Bissanti).

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Walther è insieme l’eroe pio e giusto della tradizione biblico-cristiana el’eroe germanico, feroce, crudele e addirittura animalesco.61 Per superarequeste difficoltà e queste dicotomie, lo studioso ha fatto dunque ricorso aduna chiave interpretativa di matrice psicanalitica, per cui «il Walthercristiano, pio, prudente, dolce, è l’estrinsecazione della realtà conscia, disuperficie; essa cerca costantemente di esorcizzare, di “rimuovere”letteralmente il suo alter-ego profondo, quello crudele, violento, ma altempo stesso fascinoso e terribile. Il fascino “indichiarabile” della violenza,della crudeltà fine a se stessa, della morte, l’aspirazione a una libertàanimalesca coesistono nel Waltharius con i valori cardine dell’eticacristiana».62 Un’interpretazione del personaggio, questa (econseguentemente di tutto il poema), che, la si voglia accettare o no,contrasta comunque vivamente con la lettura in chiave eroicomica eparodistica avanzata, per esempio, da Dennis Kratz,63 in quanto,diversamente da quanto proposto dallo studioso tedesco, «la critica delpoeta non opera contro l’ethos germanico da un punto di vista cristiano, main direzione esattamente inversa».64

Il passo in questione, come sempre nel poema mediolatino, è ca-ratterizzato poi da una notevole ricercatezza stilistico-formale. In par-ticolare, il poeta del Waltharius predilige l’artificio dell’allitterazione, chetorna a più riprese, pressoché ad ogni verso, spesso in forma semplice,bimembre (si vedano, per es., vv. 575 hunc hominem; 575 pergant primum;577 petat pacem; 577 sine sanguine; 593 me misisse; 598 meo modicus; 612adest, ad; 619 pugna palmam; 621 praeterita portendit; 625 crus cum; 637sim spoliorum; 647 totum transmitte; 654 quid quaeris; 665 amplificabis,ait; 665 donum dum; 668 clipeum collegit; 672 si sic; 674 laevum latum;674 et ecce; 676 transpungens terga; 677 sentit, sonipes; 678 sessoremsternere; 681 divellere dextra; 682 currit celeberrimus; 683 compressocapulo), più raramente (ma in modo certamente assai più significativo) instrutture complesse, talvolta anche a distanza (vv. 573-574 satrapae …superbo / suggerit, trimembre in enjambement; 610 vel post terga meastorsit per vincula palmas, triplice allitterazione di schema complesso; 648vis … vitam vel, trimembre; 657 ut merito usuram me, doppia allitterazionea schema alternato; 664 postquam Camalo percepit corde, anche in tal casodoppia allitterazione a schema alternato; 679 forsan faceret … fixa,

61 Su questo problema si sono già soffermati, in tempi abbastanza recenti, UrsulaERNST, Walther - ein christlicher Held?, in Mittellateinisches Jahrbuch 21 (1986), pp. 79-83;e F. BRUNHÖLZL, «Waltharius» und kein Ende?, cit., pp. 46-55.

62 E. D’ANGELO, L’incubo di Haghen, cit., pp. 18-19.63 D.M. KRATZ, Mocking Epic, cit., passim.64E. D’ANGELO, L’incubo di Haghen, cit., p. 19. A proposito di questa interpretazione

dello studioso (e più in generale in merito al valore del volume in cui essa viene ad inserirsi),ha di recente scritto F. BERTINI (Problemi di attribuzione e di datazione del «Waltharius», cit.,p. 77): «A parte le riserve per l’eccessivo rilievo dato all’interpretazione freudiana e qualchedurezza nella traduzione, un po’ troppo letterale, la piccola edizione di D’Angelo èveramente egregia».

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trimembre a distanza). Non mancano, poi, alcuni casi di parallelismo (peres., vv. 576 et genus et patriam; 609 num manibus tetigit, num carceretrusit; 667 aut quaesita dabis aut vitam sanguine fundes) nonchéinnumerevoli procedimenti di enjambement, che rendono il periodare piùsciolto ed attraente (non è possibile qui elencarli tutti: basti ricordaresoltanto gli enjambements che ricorrono nei primi 10 versi del brano inoggetto: vv. 572-573 ast ubi Waltharium tali statione receptum / conspexitHagano; 573-574 satrapae mox ista superbo / suggerit; 574-575 desistelacessere bello / hunc hominem; 577-578 praebens / thesaurum; 578-579cognoscere homonem / possumus; e ancora 587-588 quisnam / sis; 595 quidopus sit forte viantis / scrutari causas; 606-607 vel quis / promittat; 608-609 concedere possit / vitam; 662-663 ducentas / armillas; 674-675 etecce / palmam).65

Frequenti, nel brano in oggetto, sono le reminiscenze virgiliane,anche se, in questo caso, esse non vanno, in genere, al di là del consueto efacile riecheggiamento di formule, stilemi e iuncturae, spesso in clausola. Si

65 Rinunzio a fornire un’analisi metrica del passo, dal momento che ciò, per tutto ilpoema, è stato fatto in modo egregio da E. D’ANGELO, Indagini sulla tecnica versificatoria,cit., passim. Noto soltanto, per la sua eccezionalità, la clausola esasillabica (caso unico nelpoema) di Walth. 644 (metropolitanus). La clausola in oggetto è ovviamente registrata da E.D’ANGELO, Indagini sulla tecnica versificatoria, cit, p. 26, il quale, in nota, aggiunge «i soliesempi dalle origini a Giovenale: Ennio, ann. 181 sapientipotentes; 280 Carthaginiensis; nelDe rerum natura di Lucrezio i vv. I 829 e 834 homoemeriam; II 932 mutabilitate; Iuv. III7,218 acoenonoetus […] Manitius, p. 625, ne rileva un caso nel Carmen de figuris, pressoPaolino di Pella e presso Cipriano Gallo; due presso Fortunato e Beda […]. Clausoleesasillabiche sono presenti anche in Guglielmo il Pugliese, cfr. Leotta, p. 294» (i riferimentisono a M. MANITIUS, Über Hexameterausgänge in der lateinischen Poesie, in RheinischesMuseum 46 [1891], pp. 622-626; e a R. LEOTTA, L’esametro di Guglielmo il Pugliese, inGiornale italiano di filologia 7 [1976], pp. 292-299). A tal proposito, è opportunoaggiungere un paio di rilievi. Una clausola esasillabica compare in ALESSANDRO NECKAM,Novus Aesopus XII 3 (consanguinearum), già da me individuata nella mia recens. adALESSANDRO NECKAM, Novus Aesopus, a cura di G. Garbugino, Genova 1987 (apparsa inOrpheus, n.s., 11[1990], pp. 166-171; lo stesso Garbugino l’ha poi registrata nel suo Il«Novus Aesopus» di Alessandro Neckam, in La favolistica latina in distici elegiaci. Atti delConvegno internazionale (Assisi 1990), a cura di G. Catanzaro e F. Santucci, Assisi 1991, pp.107-132); nel Milo (o De Afra et Milone), “commedia elegiaca” di Matteo di Vendôme, silegge poi una clausola ottosillabica, un vero e proprio monstrum metrico, che da sola occupatutto il secondo emistichio dell’esametro (che, fra l’altro, è un esametro leonino: v. 5 DeMilone cano Constantinopolitano: cfr. MATHEI VINDOCINENSIS Opera. II. Piramus et Tisbe.Milo. Epistule. Tobias, a cura di F. Munari, Roma 1982, p. 59). Per tornare all’espressioneMettensis … metropolitanus con cui, al v. 644 del Waltharius, viene designato Camalone,occorre aggiungere che essa ha creato più di un problema interpretativo, ed è stata ancheutilizzata come pezza d’appoggio per una possibile ipotesi cronologica del poema. W. VON

DEN STEINEN (Der «Waltharius» und sein Dichter, cit., pp. 42-43), infatti, intendendometropolis come “arcivescovato”, colloca la stesura dell’opera fra l’839 e l’869, periododurante il quale la città di Metz fu sede appunto di un arcivescovato. Ma (come a mio parereè stato giustamente osservato) «non è necessario conferire al termine il significatostrettamente ecclesiastico, e lo si può intendere in senso semanticamente più generico (puòessergli concordato un sottinteso praefectus)» (E. D’ANGELO, in Waltharius, cit., p. 185: lostudioso traduce infatti «primo cittadino dell’illustre Metz»).

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confrontino, infatti, i seguenti passi paralleli: Walth. 574 lacessere bello ~Aen. XI 842 lacessere bello; Walth. 575-576 Pergant primum, qui cunctarequirant, / et genus et patriam nomenque locumque relictum ~ Aen. V 621cui genus et quondam nomen natique fuisset (ma ben differente è, in questocaso, il contesto, in quanto nel passo virgiliano di parla di Iris che, depostoil consueto aspetto di dea, si trasforma in Beroe, anziana consorte di Doriclodi Tmaro, «che un giorno ebbe fama, schiatta e figliuoli»); Walth. 583 donaferens ~ Aen. II 49 dona ferentis (è il famoso episodio di Laocoonte);Walth. 587-588 Dic, homo, quisnam / sis, aut unde venis? quo pergeretendis? ~ Aen. I 369-370 Sed vos qui tandem? quibus aut venistis ab oris? /quove tenetis iter?, e VIII 112-114 Iuvenes, quae causa subegit / ignotastemptare vias? quo tenditis, inquit, / cui genus? Unde domo? pacemne hucfertis an arma?; Walth. 597 Waltharius vocor, ex Aquitanis sum generatus~ Aen. I 378 Sum pius Aeneas; Walth. 600 concupiens patriam dulcemquerevisere gentem ~ Aen. I 380 Italiam quero patriam et genus ab Iovemagno; Walth. 610 vel post terga meas torsit per vincula palmas ~ Aen. XI81 vinxerat et post terga manus; Walth. 621 subeuntem ac tela ferentem ~Aen. II 216 subeuntem ac tela ferentem; Walth. 630 gelido sub pectore ~Aen. I 36 sub pectore; Walth. 635 est in conspectu ~ Aen. II 21 Est inconspectu Tenedos; Walth. 667 vitam sanguine fundes ~ Aen. II 532 vitamcum sanguine fudit; Walth. 683 capulo tenus ingerit ensem ~ Aen. II 553capulo tenus abdidit ensem (è il celebre brano della morte di Priamo permano di Neottolemo), e X 536 capulo tenus applicat ensem (è il brano dellamorte di Magone, per mano di Enea); Walth. 684 quem simul educenshastam de vulnere traxit ~ Aen. X 744 hoc dicens eduxit corpore telum.

Più interessante, coinvolgendo un’intera azione di guerra, risultainvece l’imitatio di Virgilio ai vv. 673-676 del poema mediolatino: Et simulin dictis hastam transmisit; at illa / per laevum latus umbonis transivit, etecce / palmam, qua Camalo mucronem educere cepit, / confixit femoritranspurgens terga caballi.66 Qui l’autore del Waltharius si è assai pro-babilmente ricordato di Aen. IX 576-580, passo relativo alla morte diPriverno per mano di Capi, durante la confusa battaglia che fa sèguitoall’episodio della morte di Eurialo e Niso: Hunc primo levis hastaThemillae / strinxerat, ille manum proiecto tegmine demens / ad volnus tu-lit; ergo alis adlapsa sagitta / et laevo infixa est lateri manus abditaque in-tus / spiramenta animae letali volnere rupit. Priverno viene quindi colpitoda una freccia scagliatagli contro dal troiano Capi, che gli trafigge insiememano e fianco, penetrandogli fin nei polmoni e troncandogli il respiro

66 Come osserva giustamente D’Angelo, la traduzione di Walth. 673-676 crea unacerta difficoltà: «se la lancia di Walther avesse inchiodato scudo, mano e coscia contro lagroppa del cavallo, Camalone non potrebbe, come è detto a Walth. 680, lasciar cadere loscudo. Vollmann, p. 1203, pensa a una tmesi di per / transivit, “passò davanti” (alla partesinistra dello scudo). Forse però si può anche rendere dimisit con “si liberò” (nel senso di“sfilò via”, “riuscì a togliere”)» (Waltharius, cit., p. 185).

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vitale,67 così come Camalone viene colpito dalla lancia di Walther, che però(con una iperbole tipicamente epica)68 attraversa non solo la mano e lacoscia del cavaliere, ma anche lo scudo e addirittura la groppa del cavallo.Si può forse scorgere una certa “ironia”, da parte del poeta mediolatino, inquesto rocambolesco particolare, ma, in ogni caso (ed è ciò che quimaggiormente ci interessa), l’imitazione di Virgilio non può essere soggettaad alcuna discussione.

Non solo a Virgilio, ma a tutta una ricca tradizione epico-tragicarimanda un motivo di cui si trova attestazione nel brano del Waltharius chestiamo qui prendendo in considerazione. Si è già visto che, giunto di frontea Walther, Camalone gli chieda chi egli sia, da dove venga e dove siadiretto, domande alle quali l’eroe aquitano non risponde subito, chiedendoprima, a sua volta, chi sia stato a mandare da lui lo stesso Camalone e,soltanto dopo avere avuto notizia che si tratta di Gunther, il re della regione,si decide ad autopresentarsi, vantando il proprio nome e la propria stirpe.C’è da osservare, fra l’altro, che le richieste di Camalone erano stateprescritte dallo stesso Gunther, che, dietro consiglio del saggio Hagen(Walth. 575-576 Pergant primum, qui cuncta requirant, / et genus etpatriam nomenque locumque relictum), aveva imposto al conte di Metz dichiedere all’eroe, appunto, chi egli fosse (cioè quale fosse il suo nome) e daquale schiatta provenisse. La domanda che Camalone rivolge a Walther, edinsieme la risposta che ne ottiene (come si è accennato poco più sopra)risentono senz’altro di un celebre passo del primo libro dell’Eneide, ossial’incontro fra Venere (travestita da vergine spartana cacciatrice) e i troianiguidati da Enea da poco sbarcati sulle rive dell’Africa e in vista diCartagine. Dopo aver narrato tutta la vicenda di Didone e della fondazionedella città africana, la dea infatti chiede ai nuovi arrivati: Sed vos quitandem, quibus aut venistis ab oris / quove tenetis iter? (Aen. I 369-370),ottenendo da Enea la risposta: Sum pius Aeneas, raptos qui ex hostepenatis / classe veho mecum, etc. (Aen. I 378 ss.). Orbene, l’influssovirgiliano è innegabile nel passo gualtieriano, ma bisogna aggiungere chequi siamo in presenza di un motivo, di un modulo epico-tragico di riccatradizione classica (sia greca che latina, da Omero almeno fino ad Ovidio),69

riguardante l’arrivo di un eroe in un determinato luogo,70 la domanda che alui viene rivolta da qualcuno (un re, un altro eroe, e così via) sul suo nome,

67 Cfr. A. FO, Priverno, sub voc., in Enciclopedia Virgiliana, IV, Roma 1988, p. 283.

68 Sarebbe forse interessante studiare il tema dell’“iperbole del colpo” o del “colpoiperbolico” nella poesia epica mediolatina, così come è stato fatto, per la poesia cavallerescain generale, e per il Morgante del Pulci in particolare, da R. ANKLI, Morgante iperbolico.L’iperbole nel «Morgante» di Luigi Pulci, Firenze 1993.

69 Cfr. la ricca documentazione raccolta, in proposito, da L. LANDOLFI, Un moduloepico-tragico in Ovidio (Met. IV 680-681), in Mathesis e Philia. Studi in onore di MarcelloGigante, a cura di S. Cerasuolo, Napoli 1995, pp. 169-185.

70 Sul tema dell’arrivo dell’eroe cfr. in generale C.M. BOWRA, La poesia eroica (trad.ital.), Firenze 1979, pp. 298 ss.

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la sua patria, l’origine della sua famiglia (in genere si tratta di un tripliceschema di richiesta)71 e la conseguente risposta dell’eroe, fondatageneralmente sul tema (anch’esso di antichissima tradizione) del “vantodella stirpe”.72 Giusto Monaco, che ha studiato questo tema nella tradizionegreca e latina, premesso che nei testi letterari greci i personaggi non notiinvitati oppure necessitati a presentarsi forniscono solitamente indicazionirelative al proprio luogo di nascita ed alla propria stirpe, ha posto inevidenza una certa “costante” di queste orgogliose autopresentazioni, ossiail farlo in modo che risulti chiara una certa equivalenza fra l’“essere” ed il“vantarsi d’essere”. Si tratta di un procedimento che ricorre con maggiorfrequenza nei testi epici73 che in quello drammatici,74 anche con una sottile,ma significativa differenza: lì il vanto è una manifestazione frequente,pressoché abituale e quasi di prammatica, qui esso è limitato «alle situazioniche effettivamente richiedono e giustificano la messa in evidenza dell’ori-gine illustre».75

Il tema in questione, però, oltre che caratteristico della tradizioneepico-tragica classica, è anche tipico della tradizione letteraria (ed epica, inparticolare) germanica. Esso si riscontra (per fare un solo esempio che,però, per la sua antichità, assume secondo me un valore non trascurabile)nell’Hildebrandslied, poema di età carolingia, che rappresenta appunto,come è noto, la più antica testimonianza pervenutaci di una poesia epico-eroica in lingua germanica.76 Nel breve frammento giuntoci (che consta intutto di soli 68 versi) viene inscenato il duello decisivo fra Ildebrando,

71 Su questo triplice schema cfr. le osservazioni di L. LANDOLFI, Un modulo epico-tragico in Ovidio, cit., pp. 170-174.

72 Si veda sull’argomento il breve contributo di G. MONACO, Chi ti vanti d’essere?, inMnemosynum. Scritti in onore di Alfredo Ghiselli, Bologna 1989, pp. 441-443 (poi in Scrittiminori di Giusto Monaco, Palermo 1992 [= Pan 11-12 (1992)], pp. 403-405, da cui cito).

73 HOM. Il. V 245-248; Od. XV 425; XX 191-193; I 406-407 etc. (su tutti questi passi,cfr. G. MONACO, Chi ti vanti d’essere, cit., p. 404, che menziona anche PIND. Pyth. IV 97; e L.LANDOLFI, Un modulo epico-tragico in Ovidio, cit., passim, il quale aggiunge, ovviamente,molti passi ovidiani).

74 Cfr. AESCH. Suppl. 14-18; 271-272; 274-276; EUR. Heracl. 563; Iph. Taur. 508 etc.(altri passi vengono discussi da L. LANDOLFI, Un modulo epico-tragico in Ovidio, cit.,passim).

75 G. MONACO, Chi ti vanti d’essere, cit., p. 405. Sul tema del “vanto della stirpe”esistono, oltre alla nota di Monaco, altri due contributi specifici: A.W.H. ADKINS, EGCOLH,EGCOMAI and EUCOS in Homer, in Classical Quarterly, n.s., 19 (1969), pp. 20-33; J.L.PERPILLOU, Signification de eu [comai dans l’épopée, in Mélanges Pierre Chantraine, Paris1972, pp. 169-182. Sul tema del “vanto della stirpe” nella letteratura mediolatina (inparticolare nei Versus Eporedienses e nel Rapularius) rinvio ad A. BISANTI, Note ed appuntisulla commedia latina medievale e umanistica, in Bollettino di studi latini 23 (1993), pp.365-400 (in particolare, pp. 377-379).

76 Il testo fu scoperto nel 1715 in un codice della Biblioteca di Kassel (databileintorno all’820) dal dotto ed erudito J.G. von Eckhart, ebbe nel 1729 la sua prima ediz.,seguìta, nel 1812, dall’ediz. procuratane dai fratelli Grimm. Cfr. «Hildebrandslied» e«Ludwigslied», a cura di Nicoletta Francovich Onesti, Parma 1995 (da cui ho tratto i brani intraduzione italiana che ricorrono in questo lavoro).

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seguace ed alleato di Teodorico, e Adubrando, che in realtà è figlio delprimo, senza saperlo, e fa parte dell’esercito avverso, quello guidato daOdoacre. Si tratta del tema, di antichissima origine, dello scontro edipico trapadre e figlio, ma qui rovesciato rispetto alla tradizione del mito classico, inquanto il duello, presumibilmente (mancano infatti i versi finali delcomponimento), si concluderà con la morte del figlio per mano del padre.77

Un motivo, questo relativo allo scontro fra padre e figlio, che tante volteancora ricorrerà (pur con modalità differenti da testo a testo) nelleletterature medievali, dal Libro dei Re del persiano Ferdousi78 alla chansonoitanica (anch’essa frammentaria) di Gormond et Isembart,79 dal lai diMilun di Marie de France80 all’anonimo lai di Doon, dal carme eroico russoIl combattimento di Ilja col figlio alla saga irlandese Aided Anfir Aífe, delsec. X.81 Ma quello che, in questa sede, ci interessa maggiormente, è il fattoche, prima di intraprendere il duello fatale, il vecchio Ildebrando chieda algiovane avversario «chi mai fosse suo padre fra il popolo degli uomini: / “Odi quale stirpe tu sia; / se mi sai dire l’una, io conosco anche l’altre, / ogiovane”» (Hildebr. 10-13): richiesta, questa, cui il giovane Adubrandorisponde: «Questo mi dissero le nostre genti / antiche e sagge, che un tempovivevano, / che Ildebrando si chiamava mio padre; io mi chiamoAdubrando» (Hildebr. 15-17), aggiungendo, quindi, un breve excursus sullastoria della vita di suo padre (o, meglio, su ciò che egli ne sa): «Se ne andòun dì verso oriente, sfuggendo all’odio di Odoacre, / via con Teodorico e isuoi molti seguaci. / Lasciava in patria, piccolo, in casa della sposa, / unfigliuolo bambino privo di eredità, etc.» (Hildebr. 18-21). Si tratta, comeben si vede, di una riproposizione dello schema che si è già esaminato a

77 Su questo motivo ha scritto la Francovich Onesti: «Questo motivo epico si realizzanei modi e nelle circostanze più diverse, secondo trame più o meno intricate, ma con alcunecostanti e analogie: lo scontro ad esempio avviene spesso sulla frontiera, dove il guerriero piùgiovane difende i confini contro invasori esterni; il padre uccide il figlio per mancatoriconoscimento, sia per incredulità, sia perché l’oggetto-pegno di riconoscimento è statosottratto o non viene ceduto; oppure perché i due non si conoscono, essendo stato il figliolasciato in tenera età solo con la madre; il padre può averli abbandonati perché l’unione eraillegittima, o per cause di forza maggiore, come guerre ed esili. Tale tema narrativo puòcomparire come episodio secondario di una vasta epopea, o rappresentare il momentocentrale della narrazione» (Nicoletta FRANCOVICH ONESTI, introd. a Hildebrandslied, cit., pp.14-15).

78 Uno degli episodi più noti e celebri del gigantesco Sciâhnâmé (Libro dei Re) delpersiano Ferdousi riguarda infatti l’epopea dell’eroe Rustem (una sorta di Achille iranico)che sconfigge il Gran Devo Bianco e in un duello uccide inconsapevolmente il proprio figlioSorhâb (per una pratica trad. ital. dell’opera, cfr. Il Libro dei Re, a cura di Gabriella Agrati eMaria Letizia Magini, Milano 1989).

79 Cfr. Gormond e Isembart, a cura di B. Panvini, Parma 1990.80 Cfr. MARIA DI FRANCIA, Lais, a cura di Giovanna Angeli, Milano 1983, pp. 220-251:

la Angeli (p. 352) riprende, a proposito di questo particolare, un convincente accostamentofra Milun e Gormond et Isembart già avanzato, a suo tempo, da E. HOEPFFNER, La Géographieet l’Histoire dans les lais de Marie de France, in Romania 56 (1930), pp. 1-32 (accostamentoripreso anche da A. VISCARDI, Storia delle letterature d’oc e d’oil, Milano 1955, p. 318).

81 Cfr. Nicoletta FRANCOVICH ONESTI, introd. a Hildebrandslied, cit., p. 13.

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proposito del Waltharius.Ma non è tutto. All’Hildebrandslied rimanda infatti (senza per questo

voler postulare un rapporto diretto) un altro particolare che comparenell’episodio fra Walther e Camalone, ossia il fatto che per ben due voltel’eroe aquitano, onde scongiurare il duello, dica di essere disposto a fareofferta al re Gunther di bracciali d’oro, cento la prima volta (Walth. 611-614At tamen ausculta: si me certamine laxat / - aspicio, ferratus adest, adproelia venit -, / armillas centum de rubro quippe metallo / factastransmittam, quo nomen regis honorem), duecento la seconda volta (Walth.660-663 Si tantam invidiam cunctis gens exhibet ista, / ut calcare solumnulli concedat eunti, / ecce viam mercor: regi transmitto ducentas /armillas. Pacem donet modo bella remittens), senza però nulla ottenere,ché, come si è già visto, l’avidità di Gunther e la sconsideratezza del suoambasciatore costringono Walther a prodursi negli undici scontriindividuali. Lo stesso motivo fa la sua comparsa anche nel-l’Hildebrandslied. Nel frammento alto-tedesco, infatti, dopo che Adubrandosi è presentato al suo avversario, il vecchio padre Ildebrando, per evitarequello scontro terribile, offre al giovane proprio un bracciale d’orodonatogli da Attila – la coincidenza potrebbe forse non essere casuale – («Sisfilò via dal braccio l’armilla attorcigliata, il bracciale forgiato / di moneteimperiali che il re gli aveva dato, / il signore degli Unni: “In pace io te ladono”»: Hildebr. 33-35), ottenendone però uno sprezzante rifiuto, il chespinge inesorabilmente i due contendenti verso la pugna.

Un’ultima osservazione riguarda il ruolo, svolto dal personaggio diWalther in questo episodio e, in genere, in tutta questa sezione del poema,di custode del tesoro di Gibich. Attestato davanti ad una caverna posta inuna stretta gola fra le montagne, in modo che i nemici non possano passarese non uno alla volta, senza venire a duello coll’eroe aquitano, Waltherprotegge strenuamente il tesoro che desta l’avidità di Gunther. Si tratta si unmotivo che giustamente può essere ricollegato «alla matrice dei mitici tesoridelle popolazioni barbariche, di cui l’esempio più emblematico è l’oro deiNibelunghi custodito dal “forte nano” Alberich, di cui è proprietario edepositario il “tremendo” vincitore Siegfried».82 Ma l’eroe protagonista delWaltharius non assume qui soltanto le connotazioni di Siegfried, uccisoredel drago-gigante Fafner e proprietario e custode dell’oro del Reno e, so-prattutto, dell’anello del Nibelungo. La sua funzione, a mio avviso, è piùsfumata e sottile. Si è già detto, infatti, a proposito dell’episodio del sognodi Hagen, come la figura di Walther assuma, in quell’episodio e anchealtrove nel poema, delle inconfondibili ed inconfutabili connotazioni“bestiali” ed “animalesche”, in una sorta di regressione dall’umanità allaferinità, dalla dolcezza del giovane amante di Hiltgund alla crudeltà dellospietato guerriero pressoché invincibile (crudeltà manifesta, peraltro, nelmodo cruento con cui, ad uno ad uno, vengono massacrati i campioni di

82 Così si esprime, a tal proposito, Feliciana Lorella PENNISI, Funzioni narrative,strutture e ‘codici’, cit., p. 318.

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Gunther).Orbene, le saghe nordiche e germaniche ci offrono innumerevoli casi

di personaggi che rivestono la funzione di custodi di favolosi tesori,personaggi spesso non umani, però, che altro non sono che entitàanimalesche, draghi, serpenti, mostri di vario genere. Farò qui soltanto dueesempi, tratti da testi posteriori al Waltharius, che però riflettono lamedesima tematica e ben si prestano ad una breve analisi comparativa (nonfoss’altro che per mostrare la permanenza e la diffusione del motivo).

Il primo esempio può essere tratto dalla Saga dei Völsunghi(Völsunga saga, del sec. XIII), in cui compare la tremenda figura di Fafner(Fafnir, nella saga), drago-gigante custode del tesoro dei Nibelunghi (se nericorderà Wagner nel Rheingold e soprattutto nel Siegfried), sconfitto educciso dall’eroe Siegfried (Sigurdr, nella saga).83 Ancora più interessante,per quello che via via stiamo dicendo, è un altro episodio della saga, versola fine, dopo l’uccisione a tradimento di Sigurdr da parte di Högni (Hagen).Il re Gunnar (il gualtieriano e wagneriano Gunther), avido come sempre diricchezze non sue, si è proditoriamente impadronito del tesoro dell’eroeucciso, cercando di difenderlo con ogni mezzo. Contro di lui, però, muoveAtli (ossia Attila), fratello di Brynhildr (la Brunnhilde di Wagner), con loscopo di costringerlo, pena la battaglia, a consegnare il tesoro. Leggiamodirettamente il brano che ci interessa:

Re Atli aveva schierato i suoi uomini a battaglia e le truppe eranodisposte in modo tale da creare fra di loro una specie di cortile. «Siatebenvenuti fra noi», dice, «e consegnatemi tutto quell’oro che è mio perdiritto, le ricchezze che sono state di Sigurdr e ora sono di Gudrun».Gunnar dice: «Non lo otterrai mai quel tesoro, e se muoverai guerracontro di noi ti imbatterai in uomini valorosi, prima che perdiamo lavita. Forse stai preparando una magnifica festa per l’aquila e per illupo e senza privazioni».84

Il ruolo di Gunther, in questo passo or ora letto, è rovesciato rispettoal Waltharius, ché qui il re ghibicungo è diventato il possessore (anche seillegittimo) del tesoro, mentre Atli è colui che lo reclama da lui a gran voce.Intatto, rispetto al poema mediolatino, rimane comunque lo schemadell’episodio: un personaggio reclama per sé un tesoro che è in possesso diun altro personaggio, ne ottiene un diniego e si giunge così alla battaglia,che sarà ovviamente lunga, drammatica e senza esclusione di colpi.

L’altro esempio riguarda un passo della islandese, e probabilmenteassai tarda, Saga di Ragnarr (Saga Ragnars Lodbrókar).85 Ambientata in un

83 Per una buona trad. ital. della saga, corredata da ampia introduzione e commento,cfr. La Saga dei Völsunghi, a cura di Ludovica Koch, trad. ital. di Annalisa Febbraro, Parma1994 (da cui cito). Il passo relativo all’uccisione di Fafnir è al cap. 18 della saga (cfr. LaSaga dei Völsunghi, cit., pp. 134-142).

84 Saga dei Völsunghi, cap. 36 (ivi, p. 233).85 La Saga di Ragnarr, una fra le più interessanti e movimentate saghe medievali

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Armando Bisanti

IX sec. bilicato fra realtà storica e fantasia fiabesca, la saga narra le eroicheimprese di Ragnarr “brache di cuoio” e dei suoi innumerevoli figli, avuti dadue differenti mogli, Thóra “cervo della cittadella” (che gli partorisce Eirekre Agnarr) e Áslaug (figlia di Sigurdr e Brunilde, in un significativocollegamento con la Saga dei Völsunghi), che gli genera Ívarr “senz’ossa”,nonché Björn “fianchi d’acciaio”, Hvítserkr, Röngvaldr e Sigurdr “serpenegli occhi”. Fra razzie e spedizioni navali, lunghi assedi ed epichebattaglie, fra la Danimarca e l’Islanda, fra l’Inghilterra e l’Italia, fratradimenti e vendette, si svolge un racconto serrato e continuo, di tanto intanto puntellato da brevi squarci lirici e caratterizzato (fatto, questo, nonmolto frequente nelle saghe) da una notevole apertura verso l’elemento fia-besco, magico e favoloso. Un episodio interessante si rileva subito dopol’inizio della saga: un serpentello apparentemente innocuo, posto su uncumulo d’oro, ingigantisce quotidianamente trasformandosi in un mostroorrendo, che soltanto l’indomito protagonista riuscirà a sconfiggere,guadagnandosi, in cambio, il diritto alla mano della splendida Thóra.86

Ancora, quindi, un tremendo, diabolico, mostruoso ed animalesco custodedi un tesoro. Ed è certo indicativo che, anche in questo caso, si tratti di unserpente (Fafner è infatti una sorta di drago-serpente). Ma anche Walther,nel poema mediolatino, assume le funzioni (metaforiche e simboliche) di un“serpente”, e come tale, infatti, viene apostrofato dal quinto dei guerrieriche Gunther gli manda contro, cioè Adavardo: O versute dolis ac fraudisconscie serpentis / – occultare artus squamoso tegmine suetus, / ac veluticoluber girum collectum in unum / tela tot evitas tenui sine vulneris ictu, /atque venenatas ludis sine more sagittas, – / numquid et iste, putas, astuvitabitur ictus, / quem proprius stantis certo libramine mittit / dextramanus? (Walth. 790-797). Un brano, questo, in cui la suggestione scritturaledel serpente biblico (Gen. III 1) si sposa con una tematica ad alto tassometaforico (di marca precipuamente folklorica), pur senza obliterare, neldettato poetico, l’inobliabile ed ineliminabile modello virgiliano (cfr. infattiWalth. 790 O versute dolis ac fraudis conscie serpentis ~ Aen. VIII 393sensit laeta dolis et formae conscia coniunx; Walth. 791-792 occultare

islandesi, ci è giunta attraverso due mss., i quali però offrono due versioni spesso differentidel racconto (d’altra parte questa è una delle più distintive caratteristiche di una produzioneletteraria in gran parte e per lungo tempo condizionata dall’oralità e dalla concezione deltesto come un organismo “aperto” a continue e diversificate infiltrazioni, amplificazioni,riscritture): il ms. NKS 1824b, 4to della Biblioteca Reale di Copenaghen, pergamenaceo delXV secolo, nel quale il testo è trascritto subito dopo la stessa Saga dei Völsunghi, ed èseguìta dai Krákumál, un lungo carme funebre in onore di Ragnarr; ed il ms. AM 147, 4todell’Istituto Arnamagneano di Copenaghen, palinsesto pergamenaceo del XV-XVI secolo (lacui lettura, trattandosi appunto di un codex rescriptus, risulta però particolarmente complessae difficoltosa). Intimamente connesso alla Saga di Ragnarr è poi un testo più breve, in cuivengono narrate più o meno le medesime vicende, noto col titolo di Episodio dei figli diRagnarr (Tháttr af Ragnars sonum), conservato nel cod. AM 544, 4to (detto anche Hauksbók),copiato fra il 1306 ed il 1308. Per una buona trad. ital. della saga, corredata da ampiaintroduzione e commento, cfr. Saga di Ragnarr, a cura di M. Meli, Milano 1998 (da cui cito).

86 Cfr. Saga di Ragnarr, cit., pp. 35-39.

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Il Waltharius fra tradizioni classiche e suggestioni germaniche

artus squamoso tegmine suetus, / ac veluti coluber girum collectum in unum~ Georg. II 153-154 nec rapit immensos orbis per humum neque tanto /squameus in spiram tractu se colligit anguis; Walth. 794 venenatas sagittas~ Aen. IX 773 tela manu ferrumque armare veneno).

Rinunciare ai classici, da parte dell’autore del Waltharius?Rinunciare a Lucano, a Stazio, forse a Silio Italico, a Prudenzio? Rinunciaresoprattutto a Virgilio? Certamente no. Ma, altrettanto certamente, nonrinunciare neppure alla nuova linfa che il patrimonio leggendariogermanico, coi suoi miti, le sue vicende, i suoi personaggi, le suesuggestioni, poteva apportare all’epica mediolatina, rinnovandolaprofondamente ed inconfondibilmente, in un poema, il Waltharius, il cuiautore, si chiami Eccheardo I di San Gallo o Geraldo oppure Grimaldo,rimane senza alcun dubbio uno dei più grandi poeti della letteratura latinamedievale.


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