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BPCO e malattie dell’apparato digerente

Date post: 27-Dec-2016
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BPCO e malattie dell’apparato digerente Francesco Cipollini BPCO e malattie gastrointestinali Se si tiene conto della comune embriogenesi e della conti- guita` anatomica, si comprende come la malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) possa coinvolgere diversi segmenti delle vie respiratorie. Anzi, in uno studio di el-Serag et al. [1],e ` stato osservato che i pazienti con reflusso gastro- esofageo, documentato dalla presenza di erosioni all’esame endoscopico, presentavano un rischio significativamente superiore (p < 0,0001) rispetto ai controlli di ammalarsi di malattie polmonari quali asma, bronchite cronica, bron- chiectasie, polmoniti, fibrosi polmonare e broncopneumopa- tia cronica ostruttiva (BPCO). Malattia da reflusso gastroesofageo La MRGE e ` una patologia molto frequente: in un’indagine eseguita nella contea di Olmsted (Minnesota) [2], la Italian Journal of Medicine (2011) 5S, S109—S118 Messaggi chiave Malattia da reflusso gastroesofageo La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e ` fat- tore di rischio per la malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), ma non viceversa. Gli episodi di reflusso gastroesofageo possono avere un ruolo causale nelle riacutizzazioni della BPCO. Gli inibitori di pompa protonica (PPI) possono avere un ruolo nei pazienti con BPCO e MRGE nel prevenire le riesacerbazioni reflusso-indotte. Nei pazienti con BPCO e MRGE i beta 2 -agonisti per via inalatoria e le metilxantine non sono controindicati. Ulcera peptica L’ulcera peptica, e in particolare quella gastrica, ha un’incidenza maggiore nei soggetti con BPCO rispetto alla popolazione generale. Nei pazienti con BPCO vi e ` una sieroprevalenza per gli anticorpi anti-Helicobacter pylori superiore a quella della popolazione generale. Nei pazienti con BPCO trattati con steroidi per via sistemica e ` piu ` elevata l’incidenza di complicanze di ulcera peptica (perforazione ed emorragia). In questi soggetti la mortalita` e ` piu ` elevata rispetto ai controlli. Gli steroidi per via inalatoria dovrebbero essere assunti correttamente, eventualmente utilizzando device di- stanziatori per prevenire eventuali sintomi digestivi. Malattie infiammatorie croniche intestinali e funzionali Nei pazienti con BPCO l’incidenza di sindrome del colon irritabile e ` superiore rispetto alla popolazione generale. Nei pazienti con morbo di Crohn, ma non in quelli con colite ulcerosa, l’associazione con BPCO aumenta il rischio di mortalita` di oltre 3 volte. Epatite cronica, cirrosi L’epatite cronica HCV si associa a un deterioramento della funzionalita` respiratoria nei soggetti con BPCO. Nella cirrosi epatica il rilievo di un’ipossiemia e ` frequente. Nella cirrosi epatica associata alla BPCO, l’alterazione meccanica legata all’ascite, la sindrome epatopolmo- nare e l’ipertensione polmonare sono le condizioni che inducono il deterioramento della funzione respiratoria. disponibile su www.sciencedirect.com journal homepage: www.elsevier.com/locate/itjm 1877-9344/$ — see front matter ß 2011 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. doi:10.1016/j.itjm.2011.01.015
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Page 1: BPCO e malattie dell’apparato digerente

BPCO e malattie dell’apparato digerente

Francesco Cipollini

Italian Journal of Medicine (2011) 5S, S109—S118

Messaggi chiave

Malattia da reflusso gastroesofageo� La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e fat-tore di rischio per la malattia da reflusso gastroesofageo(MRGE), ma non viceversa.� Gli episodi di reflusso gastroesofageo possono avere unruolo causale nelle riacutizzazioni della BPCO.� Gli inibitori di pompa protonica (PPI) possono avere unruolo nei pazienti con BPCO e MRGE nel prevenire leriesacerbazioni reflusso-indotte.� Nei pazienti con BPCO e MRGE i beta2-agonisti per viainalatoria e le metilxantine non sono controindicati.

Ulcera peptica� L’ulcera peptica, e in particolare quella gastrica, haun’incidenza maggiore nei soggetti con BPCO rispettoalla popolazione generale.� Nei pazienti con BPCO vi e una sieroprevalenza per glianticorpi anti-Helicobacter pylori superiore a quelladella popolazione generale.� Nei pazienti con BPCO trattati con steroidi per viasistemica e piu elevata l’incidenza di complicanze di

ulcera peptica (perforazione ed emorragia). In questisoggetti la mortalita e piu elevata rispetto ai controlli.� Gli steroidi per via inalatoria dovrebbero essere assunticorrettamente, eventualmente utilizzando device di-stanziatori per prevenire eventuali sintomi digestivi.

Malattie infiammatorie croniche intestinali e funzionali� Nei pazienti con BPCO l’incidenza di sindrome delcolon irritabile e superiore rispetto alla popolazionegenerale.� Nei pazienti con morbo di Crohn, ma non in quelli concolite ulcerosa, l’associazione con BPCO aumenta ilrischio di mortalita di oltre 3 volte.

Epatite cronica, cirrosi� L’epatite cronica HCV si associa a un deterioramentodella funzionalita respiratoria nei soggetti con BPCO.� Nella cirrosi epatica il rilievo di un’ipossiemia efrequente.� Nella cirrosi epatica associata alla BPCO, l’alterazionemeccanica legata all’ascite, la sindrome epatopolmo-nare e l’ipertensione polmonare sono le condizioni cheinducono il deterioramento della funzione respiratoria.

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BPCO e malattie gastrointestinali

Se si tiene conto della comune embriogenesi e della conti-guita anatomica, si comprende come la malattia da reflussogastroesofageo (MRGE) possa coinvolgere diversi segmentidelle vie respiratorie. Anzi, in uno studio di el-Serag et al.[1], e stato osservato che i pazienti con reflusso gastro-esofageo, documentato dalla presenza di erosioni all’esameendoscopico, presentavano un rischio significativamente

1877-9344/$ — see front matter � 2011 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservdoi:10.1016/j.itjm.2011.01.015

superiore (p < 0,0001) rispetto ai controlli di ammalarsi dimalattie polmonari quali asma, bronchite cronica, bron-chiectasie, polmoniti, fibrosi polmonare e broncopneumopa-tia cronica ostruttiva (BPCO).

Malattia da reflusso gastroesofageo

La MRGE e una patologia molto frequente: in un’indagineeseguita nella contea di Olmsted (Minnesota) [2], la

ati.

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prevalenza di reflusso gastroesofageo variava, in base alnumero degli episodi di reflusso, dal 44% (un episodio men-sile) al 20% (1-2 episodi settimanali) sino al 10% (episodigiornalieri). Negli ultimi trent’anni e stato osservato unnotevole aumento dei casi di MRGE: un’analisi dei registridi oltre 179 Veteran’s Hospitals statunitensi, relativa alperiodo 1970-1995, ha dimostrato un incremento di casi di7 volte tra gli uomini e di 4 volte tra le donne [3]. La MRGE hauna prevalenza simile nei due sessi, anche se l’esofagite e piufrequente nel maschio (rapporto M/F 2-3:1).

Il reflusso gastroesofageo e comune nei pazienti adultiasmatici ed e considerato un potenziale ‘‘trigger’’ di asma. Laprevalenza varia dal 30 all’80% dei casi sulla base delle variecasistiche pubblicate [4,5]. La laringite posteriore — ‘‘larin-gite da reflusso’’ — rappresenta la condizione piu comune,anche se non esclusiva [6], di patologia laringea correlata alreflusso gastroesofageo. Si associa a sintomi quali secchezza,disfonia, necessita di frequenti deglutizioni, ipersecrezionemucosa, tosse, disfagia e sensazione di globo. Da sottoli-neare, inoltre, che il reflusso gastroesofageo e causa di tossecronica in una percentuale (20% circa) non trascurabile disoggetti [7] e rappresenta la terza causa di tosse cronica dopola sindrome da Post-Nasal Drip (PND) e l’asma bronchiale.

Anche per la BPCO e stata dimostrata un’associazione conla MRGE. Si tratta di un’associazione casuale oppure vi e unnesso causale tra le due patologie? Gli studi epidemiologicidisponibili riguardo all’associazione delle due patologie,seppur concordanti, non risultano omogenei ne per numerodi casi osservati ne — e soprattutto — per i criteri di defini-zione di reflusso gastroesofageo. Il reflusso puo essere defi-nito dalla sola presenza di sintomatologia specifica seppursoggettiva quale ‘‘bruciore retrosternale’’ oppure dalla pre-senza di erosioni all’esame endoscopico [8] oppure — equesto rappresenta il gold standard — dalla positivita dellapH-metria esofagea delle 24 ore [9,10]. In uno studio caso-controllo [11] eseguito in 100 pazienti portatori di BPCOmediante somministrazione di questionario (presenza dipirosi/rigurgito una o piu volte/settimana), sintomi dareflusso sono risultati presenti nel 19% dei casi contro nessuncaso osservato tra i 51 controlli (p < 0,001). Nel gruppo dipazienti con BPCO i sintomi da reflusso risultavano avere unafrequenza maggiore nei soggetti con FEV1 < 50% rispetto aquelli con FEV1 > 50% (50% vs 27%, rispettivamente;p = 0,08). Dal questionario risultava inoltre un maggioreutilizzo, statisticamente significativo (p = 0,008), di farmaciantireflusso tra i soggetti con BPCO rispetto ai controlli. In unaltro studio [12] condotto in 41 pazienti con BPCO di gradosevero e con un valore di FEV1 pari al 24% del teorico, e nelquale la valutazione del reflusso gastroesofageo e stataeseguita mediante monitoraggio pH-metrico delle 24 ore,la prevalenza di reflusso e stata evidenziata addirittura nel57% dei casi.

Uno studio longitudinale eseguito in un numero conside-revole di soggetti (4.391 pazienti affetti da MRGE e 1.628 daBPCO) seguiti per 5 anni ha dimostrato che nei soggetti conBPCO il rischio di sviluppare una malattia da reflusso erisultato significativamente superiore (RR = 1,46) rispettoai soggetti di controllo. Peraltro non e stato dimostrato unaumento significativo del rischio di incidenza di BPCO neipazienti con MRGE [13]. Rispetto agli studi precedenti,quest’ultimo lavoro, oltre a essere stato eseguito su unapopolazione ampiamente rappresentativa, aggiunge un dato

temporale che permette di documentare la relazione tra ledue patologie: il follow-up a 5 anni, infatti, ha dimostratocome, nel tempo, la BPCO sembri predisporre i soggetti allaMRGE, ma non viceversa.

Per quanto riguarda i meccanismi patogenetici di questainterazione, non vi sono comunque interpretazioni univoche.Nell’asma bronchiale e stato ipotizzato un meccanismoreflusso-correlato per mezzo di riflesso esofago-bronchialevago-mediato [14,15] Un secondo meccanismo chiamato incausa e l’iperreattivita bronchiale reflusso-indotta [16,17]: estato dimostrato che l’instillazione di HCl in esofago aumentala risposta broncomotoria indotta da vari stimoli Un terzomeccanismo ipotizzato e la microaspirazione di reflussatoacido nell’albero tracheobronchiale [18,19]. Nei soggetti conBPCO la perfusione acida dell’esofago non aumenta la bron-cocostrizione [20]. Pertanto, anche se l’associazione tra ledue patologie e stata osservata, non sono chiari i meccanismipatogenetici di interazione. Sicuramente i pazienti conBPCO sono particolarmente vulnerabili al reflusso acidogastroesofageo e cio e dovuto ai notevoli mutamenti dellapressione intratoracica, all’aumentata frequenza di tosse,all’appiattimento del diaframma [21].

La diagnosi di MRGE [22] si basa sopratutto sull’esameclinico: e infatti ampiamente dimostrato che il rilievo di unasintomatologia tipica (bruciore retrosternale) rappresentaun elemento altamente predittivo. Il sintomo ‘‘pirosi’’ hadimostrato un’alta sensibilita e specificita anche se non vi ecorrelazione tra il danno mucoso e la frequenza e l’intensitadegli episodi di reflusso: e pertanto possibile che pazientisenza esofagite riferiscano una sintomatologia severa, men-tre soggetti con esofagite erosiva accusino, al contrario,sintomi lievi.

Le indagini diagnostiche hanno l’obiettivo di documentarela presenza del reflusso specialmente in quei soggetti conpresentazione atipica o con sintomatologia perdurante e nonresponsiva alla terapia, nonche l’eventuale presenza didanno indotto dal reflusso alla mucosa esofagea.

L’esame radiologico con pasto baritato delle prime viedigestive appartiene ormai alla storia della medicina,essendo stato sostituito da indagini piu specifiche e sensibili.

L’esofagoscopia e indicata nei pazienti in cui si sospettinoun danno mucoso, come l’esofagite, e le eventuali compli-canze, quali l’esofago di Barrett, l’ulcera peptica e la ste-nosi. A fronte di un’elevatissima specificita (quasi 100%),l’indagine ha dimostrato una sensibilita non superiore al40-45% [23]. Cio dipende dal fatto che meno della metadei pazienti con malattia sintomatica presenta lesionispecifiche reflusso-indotte, ovvero le erosioni (fig. 1).

Sono state proposti numerosi schemi di classificazionedell’esofagite: negli ultimi due decenni del secolo scorso ilsistema sicuramente piu seguito e stato quello proposto daSavary. Da qualche anno la classificazione che ha ottenuto imaggiori consensi e il cosiddetto sistema Los Angeles (LA),proposto proprio per ridurre al minimo la variabilita interos-servatore e per ottenere un maggior grado di riproducibilita[24,25]. Il sistema LA definisce i diversi gradi di esofagite — daA a D — in base alla presenza e all’estensione della lesionedella mucosa, intesa come area di interruzione o eritemanettamente demarcata rispetto alla mucosa adiacente. Adifferenza di altre classificazioni, le complicanze dellamalattia da reflusso quali l’ulcera, la stenosi e l’esofago diBarrett, sono descritte separatamente. I risultati delle

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Figura 1 Quadri endoscopici di esofagite da reflusso gastroesofageo.

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indagini endoscopiche riportate in letteratura indicano cheoltre i due terzi dei pazienti con esofagite presentano lesionidi grado lieve o moderato equivalenti ai gradi A e B dellaclassificazione LA.

Proprio a causa della non elevata sensibilita dell’esameendoscopico, soprattutto nella valutazione delle cosiddettemanifestazioni atipiche e in quei soggetti nei quali si vuoledimostrare se la sintomatologia riferita e veramente secon-daria al reflusso, sono state proposte diverse indagini. Una diqueste e il test di Bernstein, ideato per riprodurre in labo-ratorio i sintomi del reflusso acido gastroesofageo. Il testconsiste nella perfusione dell’esofago con HCl 0.1N. Se siverificano sintomi durante l’infusione acida, e non durantequella con soluzione fisiologica, il test e considerato positivo.Purtroppo il test ha una sensibilita molto variabile (dal 40all’80% nelle manifestazioni tipiche e nel 10-30% in quelleatipiche); come l’endoscopia, questo test e abbastanza affi-dabile in caso di risultato positivo, anche se un esito negativonon esclude la malattia da reflusso.

Un’altra indagine proposta per la diagnosi di reflussogastroesofageo e la scintigrafia con pasto marcato con99Tc colloidale. E un test non invasivo ma dotato di bassasensibilita (50-60%), costoso e non facilmente ripetibile acausa dell’impiego di radioisotopi.

Il monitoraggio ambulatoriale del pH nelle 24 ore rap-presenta il gold standard per definire l’entita del reflusso eper correlare temporalmente i sintomi evocati con il reflussomedesimo. Il test viene eseguito posizionando per via trans-nasale un sottile catetere, provvisto di elettrodo all’estre-mita, 5 cm a monte della giunzione esofago-gastrica. Lerilevazioni vengono registrate su memoria solida e quindianalizzate con un software dedicato. Durante tutto il periododella registrazione il paziente esegue le normali attivitaquotidiane e ‘‘marca’’ con un tasto sul recorder la comparsadi sintomi. L’esposizione acida viene definita come la per-centuale di tempo in cui il pH e < 4: valori > 4% del tempototale sono considerati patologici (fig. 2). Il test e dotata dialta sensibilita (88%) e specificita (96%) e trova la principaleapplicazione nella malattia da reflusso senza esofagite, nellavalutazione della terapia medica o nell’indicazione a unintervento di chirurgia antireflusso [9]. Benche il monitorag-gio del pH nelle 24 ore rappresenti indubbiamente il goldstandard, l’esecuzione dell’indagine richiede un impegno dipersonale e una dotazione strumentale tale da rendere ilcosto dell’esame non trascurabile. E proprio per queste suecaratteristiche che la pH-metria prolungata non puo essereproposta come test di primo livello. Non solo, ma si devealtresı sottolineare che tale indagine, in caso di positivita,

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Figura 2 pH-metria delle 24 ore in soggetto con reflusso gastroesofageo patologico.

Tabella 1 Test diagnostici nella malattia da reflusso gastro-esofageo.

Sensibilita(%)

Specificita(%)

Esofago baritato 40 85

Esofagoscopia 55 96

Biopsia 77 92

Scintigrafia con 99Tc 61 95

Test di Bernstein 45 80

Monitoraggio del pH nelle 24 ore 88 96

Test PPI (inibitori di pompaprotonica)

85 95

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conferma il sospetto diagnostico di reflusso ma non confermase sia il reflusso a evocare la sintomatologia riferita dalpaziente. Sicuramente una relazione causa/effetto puoessere documentata se la sintomatologia recede o migliorasignificativamente dopo un trattamento ex iuvantibus diterapia antisecretiva.

Infatti, proprio per definire correttamente il rapporto trareflusso gastroesofageo e i sintomi correlati e stato propostoun approccio diagnostico che consiste in un trial empirico diterapia antisecretiva a dosi massimali con inibitori di pompaprotonica (test PPI). Questo tipo di approccio diagnostico esicuramente semplice, economico e bene accettato dalpaziente [26]. Certamente non puo sostituire indagini vali-date, ma puo sicuramente costituire un’efficace alternativa,quantomeno in fase diagnostica iniziale, a indagini piu com-plesse e costose. In studi recenti ha inoltre dimostrato unasensibilita e specificita comparabile a quella della pH-metrianelle 24 ore [27]. Nella tabella 1 sono riportati i diversilivelli di predittivita diagnostica delle indagini proposte nelladiagnosi di MRGE.

Se la BPCO e un fattore favorente il reflusso gastroesofa-geo — ma non viceversa! — e stato altresı osservato che ilreflusso puo aumentare gli episodi di esacerbazione dellaBPCO. In uno studio prospettico [28], 82 soggetti con BPCOsono stati seguiti per 6 mesi e la frequenza delle riesacerba-zioni era significativamente associata agli episodi di reflusso,valutati sulla base della frequenza dei sintomi. Il rischiorelativo di incidenza di riacutizzazioni della BPCO in corsodi reflusso risultava di 6,5 volte. In un altro studio [29], iltasso di esacerbazioni della BPCO correlato a episodi direflusso gastroesofageo era doppio rispetto ai pazienti conBPCO senza MRGE (3,2 vs 1,6 episodi di riacutizzazione peranno; p = 0,02).

Inoltre, e stato osservato che i pazienti con BPCO assumonofarmaci antireflusso in percentuali (50%) significativamente

superiori rispetto ai controlli [11] e l’associazione delle duepatologie — BPCO con MRGE — peggiora la qualita di vitarispetto ai pazienti con BPCO senza MRGE.

I dati disponibili in letteratura sembrerebbero quindidimostrare come in questi pazienti si innesti un circolovizioso: la BPCO predispone alla comparsa di episodi direflusso gastroesofageo i quali, a loro volta, favorirebberole riacutizzazioni della BPCO.

A questo punto sorge spontaneo il quesito se si debba o nonsi debba associare alla terapia antinfiammatoria e broncodi-latatrice anche un trattamento con farmaci antireflusso. Inuno studio [30] a singolo cieco non controllato, condotto in100 pazienti anziani (eta media 74,9 anni) con BPCO e seguitiper 12 mesi, i pazienti trattati, oltre alla terapia convenzio-nale, con il PPI lansoprazolo hanno avuto un numero diesacerbazioni significativamente ridotto (OR = 0,23) rispettoai pazienti trattati con la sola terapia convenzionale (0,34 vs1,18; p > 0,001). Se il trattamento e in grado di prevenire la

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comparsa dei sintomi correlati al reflusso, non e stato ana-logamente dimostrato che il trattamento con PPI comporti unmiglioramento della funzione respiratoria. Infatti, in unostudio randomizzato in doppio cieco contro placebo in 36pazienti con broncopneumopatia ostruttiva trattati per 3mesi con dosi massimali di omeprazolo, la terapia antisecre-tiva non ha avuto effetti benefici sui parametri di funzionalitarespiratoria [31]. Purtroppo i due sopraccitati studi di inter-vento prendono in esame un numero non elevato di casi e cioimpedisce di trarre conclusioni solide. I dati sinora disponibiliindicherebbero che la BPCO e una condizione predisponentealla MRGE cosı come questa, a sua volta, sembrerebbe avereun ruolo causale nelle riesacerbazioni della BPCO. In consi-derazione degli effetti positivi della terapia con PPI nelridurre gli episodi di riacutizzazione, la presenza/assenzadi un’associazione con MRGE deve essere valutata neipazienti con BPCO cosı come deve essere valutata, qualorarisulti una sequenzialita tra episodi di reflusso e riacutizza-zioni dei sintomi respiratori, l’indicazione a una terapiaantisecretiva.

Per quanto riguarda il versante terapeutico e inparticolare gli eventuali effetti del trattamento della bron-copneumopatia sul reflusso gastroesofageo, quantunque teo-ricamente possibile per l’effetto potenzialmente ipotensivosulla muscolatura dello sfintere esofageo inferiore, in lette-ratura non vi sono dati relativi al peggioramento dei sintomida reflusso gastroesofageo in seguito a terapia con beta2-agonisti, cosı come non ve ne sono per gli steroidi inalatori.Per quanto riguarda l’impiego delle metilxantine, sono statidocumentati in laboratorio un aumento della secrezionegastrica e una riduzione del tono dello sfintere esofageoinferiore. Questi dati suggerirebbero precauzione nell’uti-lizzo di tali sostanze nei pazienti con MRGE, anche se non visono studi clinici a sostegno. In uno studio in doppio ciecorandomizzato contro placebo [32] e stato comparatol’effetto della teofillina per una settimana in pazienti adultiasmatici; al termine del trattamento non sono stati dimo-strati incrementi significativi degli episodi di reflusso tra i duegruppi (teofillina vs placebo) valutati mediante pH-metriaprolungata nelle ore notturne. Gli autori concludevano chenon esistono controindicazioni assolute all’uso di teofillinanei pazienti con MRGE.

Per quanto riguarda, dall’altro lato, gli effetti dei PPI sullaBPCO e stato ipotizzato che, a causa dell’aumento del pHgastrico, questi farmaci potrebbero aumentare la colonizza-zione batterica dello stomaco e predisporre i pazienti a unaumentato rischio di infezioni respiratorie [33]. In una meta-nalisi [34] basata su sette trial clinici controllati, seppur siarisultato evidente un trend a favore di un’associazione trauso di PPI e infezioni respiratorie, non e stata raggiunta lasignificativita statistica dell’associazione (OR 1,42; p = 0,17).Sulla base di questi dati, anche se e d’obbligo raccomandarela massima attenzione e appropriatezza nell’utilizzo dei PPI,non sembrerebbero esservi indicazioni circa le limitazionid’uso per i PPI nei pazienti con BPCO.

Ulcera peptica

L’ulcera peptica, diversamente dalla MRGE, e una patologiain costante e significativo decremento negli ultimi anni. Duesono i principali agenti eziologici correlati alla malattia:

l’infezione da Helicobacter pylori e l’uso di farmaci anti-nfiammatori non steroidei; una quota di ulcere, sicuramenteminoritaria, tuttavia non riconosce questi due agenti causali.

L’incidenza di ulcera peptica e significativamente piuelevata (30%) nei pazienti con BPCO rispetto alla popolazionegenerale [35]; in particolare, l’ulcera gastrica risulta mag-giormente rappresentata rispetto all’ulcera duodenale. Sonodiversi i fattori chiamati in causa a giustificare quest’aumen-tata associazione. Probabilmente il fumo e l’utilizzo di far-maci steroidei — condizioni, queste, presenti nei pazienti conBPCO — rappresentano due fattori di rischio ben noti perl’insorgenza di ulcera gastrica e duodenale [36]. In passato siera ipotizzato un ruolo delle alterazioni dell’equilibrio acido-base indotte dalla patologia polmonare, ma negli anni suc-cessivi e stato osservato che l’incidenza di ulcera non correlane con la gravita della malattia ne con i livelli di pCO2 [37].Nei pazienti con BPCO e stata segnalata una sieroprevalenzadell’infezione da Helicobacter pylori rispetto a un gruppo dicontrollo [38] e i livelli di anticorpi IgG anti-Helicobacterpylori erano correlati alla severita della broncopneumopatia.Un’aumentata esposizione all’Helicobacter pylori e statasegnalata anche in un altro studio nel quale, peraltro, si eosservato che non vi era una riduzione significativa di FEV1 eFVC in soggetti con BPCO in un follow-up di 9 anni [39].Entrambi gli studi, basati sulla sieroprevalenza dell’infe-zione, hanno sicuramente fornito un contributo dal puntodi vista epidemiologico, dimostrando un’associazione tra ilmicrorganismo e la broncopneumopatia. Sulla base di questidati si puo ipotizzare che l’aumentata incidenza di ulcerapeptica possa essere correlata all’infezione da Helicobacterpylori anche se, e importante sottolineare, gli studi citati nonhanno dimostrato direttamente la presenza di patologiagastroduodenale con l’esame endoscopico.

La diagnosi di ulcera peptica si basa sull’esame endosco-pico delle vie digestive superiori (fig. 3) che permette divisualizzare direttamente la lesione localizzata a livello dellostomaco e del duodeno. La valutazione dell’infezione daHelicobacter pylori puo essere eseguita nel corso dell’esameendoscopico mediante test rapido all’ureasi, l’esame morfo-logico della mucosa prelevata con biopsia oppure medianteindagini non invasive (tabella 2): 13C urea breath test,ricerca degli anticorpi nel siero o nelle feci del paziente [40].

Il trattamento dell’ulcera peptica si basa sulla terapiaantisecretoria con PPI, che garantisce una guarigione nell’80-100% dei casi dopo 4-8 settimane di assunzione del farmaco.Nell’ulcera peptica Helicobacter pylori-relata la terapiaeradicante prevede un trattamento combinato con claritro-micina associata ad amoxicillina o metronidazolo per unadurata variabile da 7 a 14 giorni. La triplice terapia (i dueantibiotici associati a un PPI) comporta un’eradicazione delmicrorganismo in una percentuale non superiore all’80% deicasi [41].

Nei pazienti con BPCO e stata osservata un’aumentatamortalita dovuta a complicanze maggiori dell’ulcera pepticarispetto ai controlli. In uno studio retrospettivo danese nelquale venivano presi in considerazione oltre 7.500 pazientiospedalizzati nel periodo 1991-2004 per la comparsa diemorragia o perforazione da ulcera peptica, la mortalita a30 giorni dal ricovero risultava significativamente superiore(44% vs 25,5% negli ospedalizzati per perforazione; 16,5% vs10,8% negli ospedalizzati per emorragia) nei soggetti in cuil’ulcera peptica era associata a BPCO rispetto ai pazienti

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Figura 3 Quadri endoscopici di ulcera duodenale (a) e gastrica (b).

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senza questa comorbilita [42]. Nelle complicanze maggioridell’ulcera peptica un ruolo importante e svolto dal tratta-mento corticosteroideo. Infatti nei pazienti con ulcera per-forata [43] il trattamento con cortisonici per via orale neigiorni precedenti il ricovero era associato a un aumento dicirca 2 volte della mortalita a 30 giorni nei pazienti con BPCO(39,4%) rispetto a quelli non steroido-trattati (25,2%). Questidati confermano conoscenze ormai consolidate: nei soggettitrattati con corticosteroidei l’incidenza di ulcera peptica,emorragia digestiva, perforazione e significativamentesuperiore ai non trattati [44].

Per quanto riguarda invece gli steroidi per inalazione, idati in letteratura non sono altrettanto concordanti [45,46]circa eventuali effetti sistemici secondari. In uno studioretrospettivo condotto su una coorte di pazienti affetti dapatologia respiratoria osservati tra il 1977 e il 2002 e trattaticon steroidi inalatori o albuterolo sono stati valutati glieffetti collaterali gastrointestinali. I soggetti trattati consteroidi inalatori presentavano un minimo rischio di eventigastrolesivi (prevalentemente gastrite); il rischio venivasignificativamente ridotto se la somministrazione del far-maco avveniva per mezzo di apposito device distanziatore[47]. Infatti e stato documentato da studi scintigrafici [48]

Tabella 2 Test diagnostici per infezione da Helicobacterpylori.

Test diagnostici Sensibilita(%)

Specificita(%)

Non invasivi� Rapid Office Test (ROT) 90 70� IgG ELISA (siero) 95 70� 13C urea breath test 98 97� HpSA EIA (feci) 94 92

Invasivi� Test rapido dell’ureasi 90 95� Istologia 98 98� Esame colturale 90 99

come parti considerevoli del farmaco radiomarcato raggiun-gano l’esofago e quindi il tratto gastrointestinale. D’altraparte, se si applica il device distanziatore, solo una piccolaquantita di farmaco si ritrova nel tratto digestivo superiore. Eproprio la quantita di farmaco che raggiunge, attraverso ladeglutizione, la mucosa gastrointestinale e che puo esseresignificativamente ridotta per mezzo di idonei distanziatorila causa di effetti collaterali a livello gastroduodenale.

Malattie intestinali

Diversamente dalle patologie tratto digestivo superiore, perle quali vi sono dati relativi alla comorbilita con la BPCO, perquanto riguarda le malattie intestinali, siano esse organicheo funzionali, sono veramente molto scarse le informazionidisponibili circa l’insorgenza di sintomi gastrointestinali.

In uno studio svedese [49] condotto si 113 pazienti conBPCO e stato somministrato un questionario per l’autovalu-tazione del Gastrointestinal Symptom-Rating Score (GSRS),dei criteri Rome II per la sindrome del colon irritabile e ilPsychological General Well-Being index (PGWB). Lo score delGSRS e risultato significativamente superiore nei soggetti conBPCO rispetto ai controlli, cosı come significativamenteridotto e risultato lo score PGWB con una correlazionenegativa significativa tra quest’ultimo e i sintomi digestivi(p < 0,001). In questo studio, inoltre, ben il 14% dei pazienticon BPCO soddisfacevano i criteri Rome II per la sindrome delcolon irritabile.

Anche per quanto riguarda le malattie croniche infiam-matorie intestinali (colite ulcerosa e morbo di Crohn) sonodisponibili scarse segnalazioni su un eventuale rapporto tra ledue patologie, inteso sia come ipotetici fattori di rischiocomuni sia come interazioni della terapia dell’una patologiasull’altra e viceversa. Dai dati della letteratura risulta peresempio che il fumo, il cui ruolo causale nella BPCO edimostrato, e un fattore di rischio per il morbo di Crohnmentre non lo e per la colite ulcerosa [50].

Per quanto riguarda, invece, il ruolo della comorbilita trale due patologie sugli outcome, uno studio prospettico [51]

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eseguito su una coorte di 692 pazienti affetti da malattieinfiammatorie croniche intestinali nella contea do Olmsted(Minnesota), finalizzato alla valutazione della sopravvivenzaa lungo termine e delle cause di mortalita, ha dimostrato chenei pazienti con morbo di Crohn, ma non in quelli con coliteulcerosa, la coesistenza di una BPCO aumentava il rischio dimortalita (rapporto morti osservate/morti attese = 3,5).

BPCO e malattie del fegato

Molte pneumopatie possono essere associate a malattie cro-niche del fegato: patologie epatiche quali la cirrosi biliareprimitiva e l’epatite cronica autoimmune possono essereassociate a patologie polmonari immuno-mediate, cosı comealcune patologie sistemiche che colpiscono sia il polmone siail fegato, la fibrosi cistica, il deficit di alfa1-antitripsina, lasarcoidosi ecc.

L’alcol e l’infezione da virus epatitici B e C sono gli agentieziologici maggiormente responsabili delle malattie cronichedel fegato e della cirrosi in particolare. L’infezione da virusdell’epatite C (HCV) rappresenta la causa piu frequente dipersistenza, cronicizzazione dell’epatite e sviluppo di cir-rosi. L’interferone e farmaci antivirali quali la ribavirinacostituiscono la terapia di elezione in questi casi, per bloc-care l’infezione o comunque per rallentare la progressionedella malattia.

Epatite cronica da HCV

E stato ipotizzato per le malattie virali croniche un aumentodel rischio di danno polmonare mediato dai T-linfociti cito-tossici virus-relati. In uno studio giapponese [52] sono stativalutati 30 pazienti con BPCO con associata epatite cronicada HCV (15 fumatori e 15 non o ex fumatori) seguiti per 5 annie confrontati con 25 pazienti con BPCO senza infezione daHCV. Lo studio ha messo in evidenza una riduzione significa-tiva (p < 0,001) della funzione respiratoria (FEV1 e DLCO) nelgruppo HCV positivi vs HCV negativi indipendentemente dalfatto di essere fumatori, ex fumatori o non fumatori. Altermine del follow-up 21 soggetti HCV postivi sono statatrattati con interferone-alfa per 24 settimane. Al terminedel trattamento i soggetti responder all’interferone (ovverocon HCV-RNA non rilevabile nel siero) mostravano un miglio-ramento significativo (p < 0,01) del FEV1 rispetto ai trattati enon responder. Questo studio, pur con i limiti di un numero dipazienti trattati non elevato, sembrerebbe suggerire, qua-lora confermato da casistiche piu ampie, che l’infezione daHCV puo accelerare il declino della funzione respiratoria neipazienti con BPCO. Declino che puo essere rallentato dallaterapia antivirale con interferone.

Cirrosi epatica

I pazienti con cirrosi epatica hanno un aumentato rischio dialterazioni respiratorie che possono influenzare negativa-mente sia la qualita sia la durata di vita. Con la progressionedella malattia la dispnea puo insorgere anche a riposo el’ipossiemia e un reperto frequente nei pazienti cirrotici,variabile dal 20 al 40%. Le manifestazioni polmonari che

possono associarsi alle malattie croniche epatiche in faseavanzata sono:� l’alterazione della meccanica polmonare causata dall’a-scite;� la sindrome epatopolmonare (HPS);� l’ipertensione portopolmonare (POPH).

Le ultime due manifestazioni restano molto spessomisconosciute o comunque sottostimate anche se rappre-sentano condizioni che hanno un notevole impatto sullasopravvivenza di questi pazienti e richiedono un tratta-mento specifico [53].

L’accumulo di versamento ascitico puo portare ad ano-malie significative della meccanica polmonare e della pres-sione intraddominale e intratoracica, spesso aggravate dalconcomitante versamento pleurico (equivalente asciticosovradiaframmatico). Queste alterazioni provocano una ridu-zione dei volumi polmonari, compresa la capacita polmonaretotale. La progressiva riduzione dei volumi polmonari e dellasuperficie alveolare funzionale comporta ipossiemia. Di solitoi sintomi respiratori migliorano dopo paracentesi evacuativedi almeno 4-5 L o comunque dopo terapia diuretica combi-nata efficace (fig. 4) con associazione di spironolattone100 mg + furosemide 40 mg come dosaggio basale e restri-zione alimentare di cloruro di sodio a 2 g/die [54].

Nei pazienti con BPCO associata a epatopatia cronicaascitica la funzionalita respiratoria e l’ipossiemia in partico-lare risultano maggiormente compromesse anche per volumidi ascite non elevati; pertanto in questi pazienti, in caso dipeggioramento della dispnea, prima di attribuirlo a unariacutizzazione o comunque a una causa polmonare,dovrebbe essere esclusa una riduzione volumetrica indottada versamento ascitico e/o pleurico.

La HPS e piu complessa: il determinante fisiopatologicospecifico e dato dall’abnorme dilatazione vascolare intrapol-monare secondaria alla riduzione delle resistenze vascolaripolmonari con conseguente shunt arterioso polmonare daglialveoli funzionali, alterata ossigenazione e ipossiemia secon-daria all’alterato scambio gassoso. La sindrome non e corre-lata alla gravita dell’epatopatia e puo svilupparsi non solonelle fasi avanzate della malattia ma anche in assenza diascite. L’esercizio peggiora ulteriormente il grado di shun-ting intrapolmonare [55]. Non e stata ancora definita lapatogenesi delle alterazioni circolatorie polmonari, anchese e verosimile un concorso multifattoriale legato a inade-guata sintesi o alterato metabolismo di sostanze vasoattivepolmonari.

La diagnosi di HPS si basa sui seguenti criteri:� epatopatia cronica;� assenza di malattia cardiaca o polmonare intrinseca;� anomalie degli scambi gassosi polmonari con aumentatogradiente alveolo-arterioso di ossigeno e ipossiemia;� evidenza di shunt intrapolmonare.

Per la valutazione di quest’ultimo elemento, che rappre-senta peraltro il momento fisiopatologico piu importante,sono state proposte diverse indagini diagnostiche; l’ecocar-diografia con mezzo di contrasto e attualmente la metodicadotata di maggiore sensibilita in quanto capace di rilevaredilatazioni del letto vascolare polmonare [56]. Giova comun-que ricordare che l’ipossiemia non e dovuta solo allo shuntintrapolmonare; altri meccanismi quali l’alterazione delrapporto ventilazione/per fusione, l’alterata diffusionedell’ossigeno e le variazioni emodinamiche sistemiche

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Figura 4 Terapia dell’ascite cirrotica.

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possono svolgere un ruolo piu o meno rilevante nel determi-nare la riduzione della PaO2.

La POPH invece e caratterizzata da un’eccessiva vasoco-strizione arteriolare polmonare e da un rimodellamentovascolare e puo essere causa di scompenso destro. Poco siconosce sulla patogenesi per la mancanza di studi cheabbiano valutato la prevalenza dell’ipertensione polmonarenei pazienti cirrotici, e probabilmente questa condizione esottostimata. E stato ipotizzato che in alcuni soggetti l’iper-tensione polmonare si sviluppi a causa dello shunt portosi-stemico di alcune sostanze vasoattive. La diagnosi diipertensione polmonare complicante una cirrosi epaticadovrebbe essere sospettata in presenza di una forte compo-nente polmonare del secondo tono e confermata con unesame ecocardiografico, che permette di dimostrare unadilatazione delle cavita cardiache destre, un’ipertrofia ven-tricolare destra e una pressione arteriosa polmonare > 40mmHg [57].

La terapia farmacologica dell’HPS e della POPH apparealquanto deludente, anche perche ancora poco note sono lecause determinanti il quadro patologico. La sola terapia disupporto basata sull’ossigenoterapia e, se coesistente, iltrattamento intensivo dell’ascite non migliorano complessi-vamente la prognosi del paziente. Solo il trapianto ortotopicodel fegato puo risolvere con successo lo shunt intrapolmonaree l’ipertensione arteriosa polmonare e correggere l’insuffi-cienza respiratoria [58].

Sia l’HPS sia la POPH possono complicare una cirrosiepatica — indipendentemente da eziologia, eta e sesso —nelle fasi avanzate della malattia ma possono, d’altra parte,porre problemi di diagnostica differenziale con altre pato-logie croniche polmonari — BPCO in primis — cosı comepossono coesistere con esse.

Nei pazienti con malattia cronica epatica la BPCO ha unaprevalenza superiore rispetto alla popolazione generale,

verosimilmente per la coesistenza a livello socioambientaledi condizioni di rischio (fumo, alcol) per entrambe le pato-logie. L’insorgenza di HPS e/o POPH nei soggetti in cuicoesistono sia l’epatopatia cronica sia la BPCO e 2-3 voltesuperiore rispetto ai cirrotici senza BPCO e determina unulteriore peggioramento della qualita di vita e della prognosi[59]. In questi soggetti, infatti, anche minime riduzioni dellafunzionalita respiratoria comportanti una riduzione anchelieve-moderata della PaO2 si sommano alle alterazioni respi-ratorie proprie della broncopneumopatia. Pertanto, identi-ficare precocemente la comparsa di queste condizioni einviarle a un centro trapiantologico rappresenta l’unica solu-zione terapeutica adeguata anche se, in tali soggetti, ilrischio della procedura e sicuramente aumentato.

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