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Capitolo 3 - Edizioni Simone · PDF fileL’incoronazione di un re germanico, ... Carlo...

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Copyright© Esselibri S.p.A. Capitolo 3 I Franchi e la nascita del feudalesimo Sommario 1. Carlo Magno e il Sacro Romano Impero. - 2. Le istituzioni della Chiesa nell’impero carolingio. 3. L’amministrazione della giustizia: i conti e i missi dominici. - 4. Il feudalesimo. 5. La comparsa del termine «feudo» in età postcarolingia. - 6. I caratteri di una cultura giuridica. 1. Carlo Magno e il Sacro Romano Impero La vittoria riportata da Carlo Magno sui Longobardi nel 774 segnò l’inizio di una nuova fase nella vita istituzionale e culturale dell’Italia centro-settentrio- nale e dell’Europa. Con la conquista del territorio longobardo, Carlo Magno aveva portato a compimento quella politica espansionistica che era stato uno degli obiettivi principali dalla monarchia franca. Tale conquista fu solo una delle tante impre- se politico-militari che vennero portate a compimento durante il lungo regno di Carlo Magno (768-814). Già alla fine dell’VIII secolo, infatti, il dominio dei Franchi si estendeva da Ovest verso Est tra la Spagna e il Danubio, e da Nord verso Sud tra la Danimarca e il territorio che fu del regno longobardo. «Finalmente tutti coloro che non si rassegnavano alla morte dell’Impero romano o al suo esilio in Oriente, coloro che idealizzavano l’antica Roma come il modello della giustizia e della pace, della potenza e dell’intelligenza, videro in questo Germano “vestito di pelli ferine” l’uomo de- stinato a ridare un corpo al fantasma imperiale. Fantasma, certo, perché la storia non inverte il suo cammino […] ma illusione onnipotente, poiché a dispetto dell’ignoranza e della diffidenza che il resto d’Europa provava per la città semibizantina dei papi, essa poté compiere il miraco- lo della risurrezione.» (LOPEZ). In questa situazione l’asse politico ed economico si spostò definitivamente dal bacino del Mediterraneo verso Nord, verso il cuore dei possedimenti carolingi e, in effetti, il nuovo Impero venne concepito soprattutto come un’espansione dell’originario regno dei Franchi. Come i Longobardi, anche i Carolingi ebbero della sovranità una concezione prevalentemente patrimoniale: il regnum era proprietà del rex, acquisito al patrimonio della famiglia ed il potere era strettamente connesso alla ricchezza fondiaria. L’enorme potenza politica raggiunta da Carlo Magno trovò il suo compiuto riconoscimento quando, nella notte di Natale dell’800, il sovrano venne inco- ronato imperatore da Papa Leone III ed il popolo romano lo acclamò quale nuovo Augusto, incoronato da Dio e tutore della pace. Nacque così il Sacro
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Capitolo 3I Franchi

e la nascita del feudalesimoSommario

1. Carlo Magno e il Sacro Romano Impero. - 2. Le istituzioni della Chiesa nell’impero carolingio.3. L’amministrazione della giustizia: i conti e i missi dominici. - 4. Il feudalesimo.

5. La comparsa del termine «feudo» in età postcarolingia. - 6. I caratteri di una cultura giuridica.

1. Carlo Magno e il Sacro Romano ImperoLa vittoria riportata da Carlo Magno sui Longobardi nel 774 segnò l’inizio di una nuova fase nella vita istituzionale e culturale dell’Italia centro-settentrio-nale e dell’Europa.Con la conquista del territorio longobardo, Carlo Magno aveva portato a compimento quella politica espansionistica che era stato uno degli obiettivi principali dalla monarchia franca. Tale conquista fu solo una delle tante impre-se politico-militari che vennero portate a compimento durante il lungo regno di Carlo Magno (768-814). Già alla fine dell’VIII secolo, infatti, il dominio dei Franchi si estendeva da Ovest verso Est tra la Spagna e il Danubio, e da Nord verso Sud tra la Danimarca e il territorio che fu del regno longobardo.«Finalmente tutti coloro che non si rassegnavano alla morte dell’Impero romano o al suo esilio in Oriente, coloro che idealizzavano l’antica Roma come il modello della giustizia e della pace, della potenza e dell’intelligenza, videro in questo Germano “vestito di pelli ferine” l’uomo de-stinato a ridare un corpo al fantasma imperiale. Fantasma, certo, perché la storia non inverte il suo cammino […] ma illusione onnipotente, poiché a dispetto dell’ignoranza e della diffidenza che il resto d’Europa provava per la città semibizantina dei papi, essa poté compiere il miraco-lo della risurrezione.» (LOPEZ).

In questa situazione l’asse politico ed economico si spostò definitivamente dal bacino del Mediterraneo verso Nord, verso il cuore dei possedimenti carolingi e, in effetti, il nuovo Impero venne concepito soprattutto come un’espansione dell’originario regno dei Franchi.Come i Longobardi, anche i Carolingi ebbero della sovranità una concezione prevalentemente patrimoniale: il regnum era proprietà del rex, acquisito al patrimonio della famiglia ed il potere era strettamente connesso alla ricchezza fondiaria.L’enorme potenza politica raggiunta da Carlo Magno trovò il suo compiuto riconoscimento quando, nella notte di Natale dell’800, il sovrano venne inco-ronato imperatore da Papa Leone III ed il popolo romano lo acclamò quale nuovo Augusto, incoronato da Dio e tutore della pace. Nacque così il Sacro 

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Romano impero, che riuniva in un solo corpo tutti i regni assoggettati da Carlo Magno.«[….] Nuova era tutta la creazione politica che un re franco e un romano pontefice avevano messo in atto nell’800, designandola con un nome antico, ricchissimo di memorie, e nuova era tutta la concezione della vita e del mondo, nella quale doveva inquadrarsi e vivere quella crea-zione.» (CALASSO).

Nella istituzione del Sacro Romano Impero la nozione di sovranità era inscin-dibile dal compimento di una missione religiosa.L’incoronazione di un re germanico, fatta dal pontefice nel richiamo all’impero romano sembrava creare una sintesi unitaria. Il compito dell’impero diveniva quello di promuovere l’unità dei diversi popoli, in vista della salvezza eterna.Carlo Magno si sentì a tutti gli effetti l’advocatus Ecclesiae, ossia il difensore della Chiesa dai suoi nemici e colui che doveva assicurare alla Chiesa la pos-sibilità concreta di svolgere il proprio mandato. In questa maniera veniva rea-lizzato l’ideale agostiniano di un impero cristiano in cui la città terrena prefi-gurava quella celeste.

A) Le caratteristiche dell’impero: l’indistinzione tra pubblico e privatoSe l’impero carolingio fu romano e cristiano nei suoi fondamenti spirituali, fu tuttavia un impero germanico dal punto di vista istituzionale e organizzativo. In esso venne conservato ancora il vecchio concetto germanico di Stato come insieme di uomini liberi (arimanni) capaci di portare armi e legati al proprio capo da un vincolo di fedeltà personale. Per i Franchi il potere era essenzial-mente un fatto patrimoniale, derivando dalla ricchezza fondiaria. In una con-cezione di questo genere era quindi implicita l’indistinzione tra la nozione di pubblico e quella di privato.«Vi è nei Franchi una più marcata indistinzione tra “pubblico” e “privato”, affiorante e manife-sta sia nelle “leggi” sulla successione al trono […] sia nella pratica del potere e nella configura-zione del rapporto fra il re e le res regie. È una visione della “sovranità” che viene trasmessa alle istituzioni del secolo IX e X, e soprattutto, nell’immediato, all’Imperium rinnovato nell’800. Essa crea obiettivi motivi di scontro con la Chiesa.» (BELLOMO).

L’idea di un potere profondamente privatizzato ha costituito il tessuto ideale per la rinascita del Sacro Romano Impero, voluta da papa leone  iii e da Carlo Magno, anche se con fini evidentemente opposti. Carlo Magno si impe-gnò per riorganizzare le arti, le lettere, il commercio, il clero, le leggi. Ma della portata del suo stesso progetto non si rese pienamente conto. Fino all’ul-timo, infatti, si sforzò di governare l’Impero come una pura e semplice esten-sione del regno.Il concetto barbarico di Stato come proprietà privata non venne superato, i concetti di imperium e di dominium rimasero confusi e indistinti. Ciascun regno riunito nell’Impero conservò amministrazione, istituzioni e leggi separate.

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Il Sacro Romano Impero

«Il potere di Carlo, al di là dell’eccezionale statura politica dell’imperatore, va meglio espressa proprio con le parole adoperate in molte fonti: non imperium, ma ministerium ; non rapporto di dominio politico assoluto su tutti i sudditi, ma “funzione” nella gestione degli affari dell’impe-ro, che appartiene al sovrano, alla sua famiglia, al limite al ceto dei nobili, e può essere trasmes-sa e divisa ereditariamente, per generazioni.» (BELLOMO).

Dal punto di vista dell’amministrazione interna e dell’or-ganizzazione dei territori il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, pur conservando molte caratteristiche dei regni romano-germanici, presenta anche importanti ele-menti nuovi, legati a un considerevole sforzo di centraliz-zazione.

B) L’amministrazione centrale dell’imperoL’amministrazione interna faceva capo al palazzo (palatium), termine con il quale si indicava sia la residenza del sovrano sia l’intero corpo di funzionari e dignitari di corte addetti alle diverse mansioni. Tra questi, gli “ufficiali” più importanti erano quelli preposti alla guida degli affari ecclesiastici, il respon-sabile della Cancelleria, dunque della redazione di diplomi, lettere del re e testi legislativi, e infine i conti palatini, responsabili dell’amministrazione della giustizia.Questi funzionari, insieme al personale ad essi sottoposto, costituivano un embrione di amministrazione centrale, più avanzata rispetto ai regni preceden-ti sebbene ancora non paragonabile alle strutture dell’impero bizantino.

C) L’organizzazione periferica e il controllo del territorioIl controllo di un territorio vasto e caratterizzato da tradizioni e popoli diffe-renti come quello dell’impero carolingio avrebbe richiesto risorse e mezzi che Carlo non possedeva. Rimasero dunque in vigore gli ordinamenti e le leggi preesistenti alla conquista, soprattutto nel campo del diritto privato, mentre le novità più importanti si ebbero soprattutto nella divisione del  territorio e nella scelta dei funzionari regi.In alcune regioni, infatti, come l’Aquitania e l’Italia, Carlo costituì regni nuo-vi e dotati di ampia autonomia, affidandone la corona ai figli.Dove ciò non avvenne, cioè nella maggior parte dei casi, egli creò distretti territoriali più o meno ampi, affidati a funzionari con il compito soprattutto di provvedere alla difesa e alla amministrazione della giustizia. Tali distretti erano le contee, affidati a un conte; le marche, distretti di frontiera, più ampi rispetto alle contee e a più forte carattere militare, affidati a un marchese; e i ducati, i distretti di maggiore estensione, disegnati per includere gruppi omo-genei di popolazione. Venivano cioè creati per includere in un unico territorio gruppi etnici ben definiti e consapevoli della propria identità (come per esem-pio in Baviera o in Bretagna). L’amministrazione era affidata a un duca.

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Il funzionario – conte, marchese o duca – era di norma un nobile già in pos-sesso di un patrimonio fondiario di famiglia (allodio). Come ricompensa del suo servizio egli riceveva tuttavia la rendita dei beni terrieri associati all’uf-ficio svolto, nonché i proventi di multe e confische. Infine, per assicurarsene ulteriormente la fedeltà, l’imperatore li costituiva suoi vassalli, cedendo loro un beneficio, cioè altri fondi. I funzionari imperiali di Carlo, dunque, erano titolari di un ingente patrimonio terriero, e dei diritti che ne derivavano, che ben presto iniziarono a considerare ereditario.«Il potere regio si esercitava facendo ricorso al banno, cioè ad un potere di comando la cui viola-zione comportava pesanti sanzioni pecuniarie. […] Carlo Magno introdusse un ulteriore stru-mento per accrescere l’efficacia e la capillarità del potere sovrano: il giuramento di fedeltà […]. Il giuramento di fedeltà ebbe l’effetto di introdurre un elemento contrattuale nel rapporto tra i sudditi e re, tale da indebolire in prospettiva lo stesso potere regio che pure si era voluto rafforzare» (PADOA-SCHIOPPA).

Consapevole della forza che questa situazione comportava, Carlo ideò una serie di contrappesi al potere dei suoi funzionari. Innanzitutto egli fece stan-ziare all’interno dei diversi distretti alcuni suoi fedeli diretti, i cosiddetti vassi dominici; in secondo luogo, fece ampio ricorso all’istituto delle immunità, perlopiù ecclesiastiche, al fine di ridurre la giurisdizione dei funzionari.Le immunità erano porzioni di territorio, facenti capo perlopiù a chiese e monasteri e sottoposte all’autorità ecclesiastica, che godevano di un regime fiscale e giuridico particolare. In esse la riscossione delle imposte e l’amministrazione della giustizia, infatti, non erano affidate al fun-zionario regio bensì al vescovo o all’abate. Si creavano così «isole di giurisdizione» che limita-vano l’autorità dei conti, dei marchesi o dei duchi, favorendo allo stesso tempo la collaborazio-ne tra Impero e Chiesa.

Al fine di controllare l’operato dei funzionari regi, nonché l’applicazione dei capitolari (di cui parleremo subito), Carlo istituì le figure dei missi dominici, veri e propri ispettori che, a due a due (di norma un laico e un ecclesiastico), ogni anno visitavano i distretti dell’impero dotati di ampi poteri. Essi rappre-sentavano direttamente l’imperatore e a lui facevano rapporto al loro ritorno.

D) L’attività legislativa: i capitolariL’imperatore, assistito dal placitum generale dei grandi dell’Impero, emanava norme che, poiché erano divise in capitula, venivano chiamate comunemente capitularia. I capitolari imperiali emanati da Carlo Magno erano soprattutto disposizioni di ordine generale, comunque isolate, che regolavano caso per caso le singole materie, ben distanti dal costituire una raccolta articolata di norme giuridiche. Ciascuno dei popoli dell’Impero continuava a reggersi se-guendo il proprio diritto tradizionale, ridando vita in questo modo alla vecchia concezione barbarica della personalità del diritto.«Nelle provincie continentali dell’antica Romània, occupata dai barbari, più tardi nella Germa-nia conquistata dai Franchi, la presenza, fianco a fianco, di uomini che per la loro nascita appar-

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Capitolari e disciplina ecclesiastica

tenevano a popoli diversi aveva condotto alla più singolare mescolanza che un professore di diritto possa, nei suoi incubi, sognare. In linea di massima […] l’individuo, ovunque abitasse, rimaneva sottomesso alle leggi che avevano governato i suoi antenati.» (BLOCH).

Non deve essere, invece, sottovalutato il fatto che questi capitolari venissero trasmessi per iscritto: l’uso della scrittura è una caratteristica tipica del regno carolingio.«Sebbene i comandi incorporati nei capitolari fossero stati originaria-mente espressi a voce, e nell’oralità risiedesse la loro prima fonte au-toritativa, il fatto che essi venissero poi trasmessi per iscritto non deve essere sottovalutato. L’uso dell’amministrazione — tanto più singolare in un re illetterato, ma estimatore della cultura e promotore di un rinnovamento intellettuale che avrà effetti duraturi — è una caratteristica del regno carolingio. Solo ricorrendo alla scrittura e alla lingua latina era possibile tentare di governare secondo criteri uniformi un coacervo di popoli così eterogenei.» (PADOA-SCHIOPPA).

Furono parecchi i capitolari generali di tipo programmatico, dove venivano enunciati principi generali sulla giustizia, sull’imparzialità, sul buon governo, tanto da far pensare che gli intenti di amministrazione e di comando di Carlo Magno siano stati spesso vani, nonostante l’imperatore avesse un concetto assai alto del proprio potere. Carlo Magno, in effetti, considerava il suo ruolo pari a quello del pontefice e a quello dell’imperatore d’Oriente. La sua idea era quella di riuscire a gestire la Chiesa non solo per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, ma anche dal punto di vista dottrinale.«Questa ideologia teocratica portava il germe delle future ed aspre lotte tra i due poteri, dal momento che la Chiesa d’occidente era nata […] con radici ben distinte da quelle dell’autorità imperiale. D’altra parte, la costruzione politica di Carlo Magno mantenne, riguardo ai principi della successione, l’impostazione privatistica dei Franchi: se Carlo era divenuto unico re in seguito alla rinuncia al trono del fratello Carlomanno, poco tempo dopo la morte del grande sovrano l’unità del regno si infranse per sempre, perché il territorio del regno venne spartito tra i discendenti. Iniziò allora, intorno alla fine del secolo IX, la fase più frammentata della storia dell’Occidente.» (PADOA-SCHIOPPA).

E) La disciplina ecclesiasticaI rapporti tra l’impero carolingio e la Chiesa furono regolati da una cospicua serie di capitularia ecclesiastica, da cui traspare evidentissimo il convincimen-to degli imperatori di essere investiti del compito di tutelare la comunità dei fedeli e di essere quindi titolari di un diritto-dovere di ingerenza nelle faccen-de spirituali.Carlo Magno intervenne incisivamente anche in materia liturgica e di culto, commissionando ad Alcuino di York e a Paolo Diacono la revisione della Bib-bia e la redazione di un libretto di omelie da leggere durante la messa in tutte le chiese del regno. Consacrò un vescovo per ciascuna diocesi e stabilì limiti alla diffusa prassi dei prelati di abbandonare arbitrariamente le sedi di origine per altre più vantaggiose. Convocò concili e combatté l’iconoclastia.

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I capitularia ecclesiatica dei re carolingi, spesso richiesti con forza dallo stesso clero, venivano solitamente pubblicati in occasione di diete. Sicuramente furono numerosissimi, e tra l’826 e l’827 quelli di Carlo Magno vennero raccolti in quattro libri dall’abate Angesiso.

Sacro Romano Impero: breve cronistoria

Il carattere universalistico del Sacro Romano Impero non trovò tuttavia una realizza-zione proficua, anzi non sopravvisse al figlio di Carlo Magno, Ludovico il Pio (814-840). Già nell’agosto dell’843 il trattato di Verdun ne determinò la divisione territoriale, pur riconoscendo l’unicità del titolo imperiale.Il suddetto trattato stabilì una spartizione dei territori dell’Impero tra i figli di Ludovico il Pio. A Lotario furono attribuite la Lotaringia (attuale Lorena) e l’Italia, oltre al titolo di imperatore. A Carlo il Calvo andò l’odierna Francia e a Ludovico l’odierna Germania.Al trattato di Verdun seguì circa un secolo caratterizzato dall’affermazione dei poteri locali. Fu Ottone I di Sassonia, nel 962, a progettare un tentativo di restaurazione del Sacro Romano Impero – la cd. renovatio imperii – che tuttavia sfociò, in particolare con i figli Ottone II e Ottone III, in una territorializzazione del titolo imperiale. Questo infatti restò associato alla corona di Germania, per se formalmente rimasero soggette all’im-peratore ampie zone dell’Italia, la Boemia e la Borgogna.Tra XI e XII secolo, poi, le pretese universalistiche degli imperatori si scontreranno da un lato con i progetti analoghi dei pontefici impegnati nella riforma della Chiesa – in particolare Gregorio VII e Innocenzo III – dall’altro con la fioritura di soggetti politici nuovi, i Comuni dell’Italia settentrionale e della Germania, portatori di istanze partico-laristiche e destinati a giocare un ruolo decisivo nel passaggio dagli ordinamenti me-dievali a quelli dell’epoca moderna.Proprio per l’opposizione dei Comuni possono dirsi sostanzialmente falliti i tentativi di rilancio effettuati da Federico I Barbarossa e da Federico II di Svevia.La Bolla d’oro emanata da Carlo IV nel 1356 riconobbe il diritto di elezione dell’impe-ratore a sette principi tedeschi. Ciò causò la definitiva germanizzazione dell’Impero, a partire dal nome, che diventerà Sacro Romano Impero della nazione germanica.L’ultimo tentativo, effettuato da Carlo V d’Asburgo (1519-1556), di creare un impero sovranazionale fu interrotto, per sua stessa volontà: abdicando egli divise tra due mo-narchie (Spagna e Austria) i territori dell’impero. Il titolo resterà legato agli Asburgo austriaci, ma il Sacro Romano Impero si configurò come una struttura confederale di principati e città tedeschi, e con la pace di Westfalia (1648) divenne solo uno Stato tra molti altri.Francesco II d’Asburgo-Lorena (1792-1806) fu l’ultimo sovrano a fregiarsi del titolo di imperatore del Sacro Romano Impero. Il 6 agosto 1806 vi rinunciò, in seguito alla tra-sformazione della geografia politica europea seguita alla Rivoluzione francese e a Napoleone, per assumere quello, più rispondente alla nuova realtà, di imperatore d’Austria.

2. Le istituzioni della Chiesa nell’impero carolingioIn età carolingia le istituzioni della Chiesa e quelle statali si intersecano l’una nell’altra, cosicché i due organismi diventano difficilmente distinguibili.Ai vescovi furono affidate funzioni politiche ed amministrative, all’imperatore compiti di sorveglianza e di riforma della Chiesa. Le deliberazioni della Chie-

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La Chiesa nell’impero carolingio

sa diventavano leggi dello Stato e, per converso, quest’ultimo rendeva imposta obbligatoria la decima dovuta alla Chiesa. I rapporti tra imperatore e pontefice divennero di stretta alleanza. Le origini di tale collaborazione risalgono all’in-tervento di Pipino il Breve in Italia per difendere papa Stefano II dai Longo-bardi. Pipino scese in Italia due volte (754 e 756), donando al papa le terre bizantine (Esarcato e Pentapoli) sottratte in precedenza dai Longobardi. La donazione di Pipino pose le basi per la nascita dello Stato pontificio ed il pontefice cumulò al suo ruolo di capo della Chiesa gli interessi particolari di capo dello Stato. Con Carlo Magno il pontefice fu ammesso ad agire a corte, diret-tamente o tramite propri legati, e ad indirizzare i vescovi ma, purtuttavia, re-stava sotto la tutela imperiale.Ludovico il Pio, invece, nell’817 riaffermò la sovranità e l’indipendenza del papa e si impegnò ad astenersi dall’intervenire negli affari politici della Chie-sa e nei possedimenti di questa, garantendo contestualmente la libertà delle elezioni del papa. A partire dall’830 si ebbe una preponderanza del pontefice, che si attribuì il potere di designare l’imperatore, intervenendo quindi nella successione all’Impero.Caratteristica saliente della politica carolingia fu inoltre la preoccupazione per la riforma della Chiesa.«Di interventi a sostegno della Chiesa v’era in effetti gran bisogno. Tra il 680 e il 740 la sua decadenza aveva toccato il fondo: gerarchia in pezzi, clero ignorante e reclutato senza criterio, disordine, indisciplina, aristocrazia laica invadente.» (CORTESE).

La riorganizzazione della Chiesa, in realtà, ebbe inizio già nel 745 quando l’arcivescovo Bonifacio, d’accordo col papa Zaccaria, ripristinò la gerarchia ecclesiastica (dopo il disordine dell’età merovingia), ridefinì i poteri dell’arci-vescovo, fissò sanzioni severe per la violazione del celibato e ristabilì la dura-ta annuale dei concili.Pipino accettò le riforme di Bonifacio ma dispose che la Chiesa si rivolgesse al re per tutte le contese. Al re spettava inoltre controllare l’osservanza delle norme sulla disciplina del clero ed ordinare la convocazione dei sinodi.Carlo Magno continuò la riforma, proibendo l’allontanamento scriteriato dei prelati dalle proprie sedi, facendo eleggere e consacrare un vescovo per ogni singola diocesi e curando che il clero obbedisse ai vescovi.Ludovico il Pio seppe, invece, dominare meno la riforma, ponendosi piuttosto come mero esecutore delle decisioni dei sinodi.«L’armonico svolgimento della funzione ecclesiastica dello Stato cominciò di fatto a incrinarsi a metà del sec. IX ma la prima dissonanza ideologica, implacabile e senza ritorno esploderà solo con la riforma gregoriana della seconda metà dell’XI, quando il restauro della Chiesa affidato a monaci e a pontefici si accompagnerà per la prima volta al rifiuto inesorabile dell’intervento dell’autorità imperiale.» (CORTESE).

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3. L’amministrazione della giustizia: i conti e i missi dominiciL’ordinamento carolingio, al pari di quello merovingio, affidava al conte la principale funzione di amministrazione della giustizia.Tale autorità, probabilmente, era la diretta derivazione dal comes civitatis (funzionario dell’imperatore, inviato in una provincia) e dal grafio germanico.Ad ogni modo, si deve ritenere che l’autorità di conte era prevista esclusiva-mente dall’ordinamento franco (Merovingi e Carolingi), come viene confer-mato, tra l’altro, dall’assenza di tale carica in quelle zone dell’Impero non abitate da tale popolo.«Il caso delle terre italiane già longobarde è, in proposito, particolarmente significativo. Come è stato dimostrato dal Delogu il numero di conti in queste regioni tra la fine del secolo VIII e i primi del successivo risulta molto scarso; e tale numero diminuì ulteriormente verso la metà del secolo IX. Appare legittimo pensare che tale scarsità dipendesse dalla limitata presenza di Fran-chi nel territorio già longobardo: i conti, carica militare e giudiziaria dei Franchi, guidavano i gruppi della loro etnìa, mentre gli altri popoli residenti nel regno d’Italia continuavano ad avva-lersi di quelle tradizionali del proprio ordinamento personale.» (CARAVALE).

Il conte franco, dunque, era non solo un capo militare competente ad assicura-re la pace all’interno di una comunità di uomini liberi armati, nonché dotato dei poteri necessari a guidare questi ultimi durante le spedizioni militari e a preparare le strategie di attacco contro i nemici, ma era anche un giudice.«Specialmente Carlo Magno insiste sulla funzione giurisdizionale del conte. Pretende in parti-colar modo ch’essi migliorino la propria formazione legale: è vero che, in seguito alle riforme della fine dell’ VIII secolo, nei tribunali possono contar sugli scabini, esperti delle leggi popo-lari e delle consuetudini, che Carlo aveva posto loro accanto come “trovatori di sentenze”: ma evidentemente il sovrano non voleva che i conti si limitassero a presieder placiti da grezzi uo-mini politici, incapaci d’intervenire in prima persona a difesa della legalità e della giustizia.» (CORTESE).

L’amministrazione della giustizia affidata al conte (il quale si avvalse in segui-to di vari collaboratori: vicari e scabini) consisteva sostanzialmente nella tu-tela e conservazione delle consuetudini del popolo, talvolta fissate in raccolte scritte.Ciò si evince espressamente dal Capitulare missorum generale (802), che imponeva ai conti di tutelare il diritto «secondo le leggi scritte e non secondo l’arbitrio personale».

Soprattutto in età carolingia, l’imperatore sceglieva liberamente i conti tra i giovani appartenenti alle antiche famiglie aristocratiche ed educati alla Corte regia. All’atto della sua nomina, il conte generalmente prestava giuramento di fedeltà al re (ma non diveniva suo vassallo) e poteva essere revocato in qua-lunque momento.Al conte, di solito, non veniva corrisposto del denaro dall’imperatore in cambio dei servigi resi, ma spesso gli venivano attribuite terre in beneficio. A partire dal IX secolo, gli vennero concessi dei monasteri, allo scopo di percepirne le

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L’amministrazione della giustizia

rendite. Il conte riceveva, inoltre, un terzo delle ammende regie ed un’ammen-da di 15 soldi in caso di inosservanza ai suoi ordini.Alla fine di ogni anno tutti i conti in carica avevano l’obbligo di riunirsi in una conventio generalis e di fornire all’imperatore un rendiconto generale della propria amministrazione.Come accennato poco sopra, per bilanciare l’ampio pote-re dei conti Carlo istituì la nuova magistratura dei missi dominici, ai quali spettava di vigilare e controllare non solo l’attività comitale, ma anche quella dei vescovi.«I vescovi fanno anch’essi parte del ministerium regis e rientrano nell’apparato amministrativo: i vescovi infatti predicano e ammoniscono, i conti perseguono la giustizia, i loro scopi coinci-dono e le loro strade debbono convergere. Tanto che i vescovi – dice un famoso capitolare ita-liano di Lotario – quando intervengono su colpe e reati con le loro sanzioni spirituali possono rivolgersi ai conti ed esigere l’applicazione di misure temporali.» (CORTESE).

Un capitolare dell’802 stabilì che i missi venissero scelti annualmente tra il personale più facoltoso di corte (ciò per scongiurare il pericolo di venalità). In coppia, venivano inviati in visita in una circoscrizione dell’Impero (missiati-cum). In ogni località tenevano un’assemblea generale degli uomini liberi, in cui raccoglievano le denunce (clamores) presentate dai liberi più affidabili della comunità contro l’operato di conti, vescovi, abati e notabili, nonché le suppliche di persone indifese (orfani e vedove, soprattutto).A differenza del conte, che, in qualità di capo della corte di giustizia popolare si limitava a dichiarare in giudizio il risultato della prova conseguente alla corretta applicazione della consuetudine, i missi promuovevano un giudizio di merito, dirigendo un’inchiesta (inquisitio) finalizzata alla ricostruzione dei fatti verificatisi.Essi svolgevano, inoltre, funzioni amministrative, quali inchieste sulla riscos-sione delle imposte, sull’emissione di moneta falsa, sulla manutenzione delle strade e sulla gestione delle chiese.Gli ordini dei missi erano accompagnati dal banno regio, e per questo obbli-gavano tutti i destinatari e comportavano pesanti sanzioni per chi li violasse.I missi dominici provvedevano, infine, alla nomina degli scabini, un corpo stabile di giudici locali, che sedevano nei collegi giudicanti presieduti dal conte con il compito di rinvenire la sentenza che poi il conte o il missus avrebbero pronunciato. Erano, quindi, concepiti come «trovatori di sentenze» (urteilfinder).Essi dovevano prestare formale impegno a tenere conto, nell’esercizio della loro attività, anche delle regole di più recente introduzione. Qualora alla fattispecie concreta da giudicare non cor-rispondesse alcuna legge, gli scabini dovevano sentenziare secondo equità, creando ex novo una norma. Per questo motivo venivano definiti anche legumlatores.

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4. Il feudalesimoA) Le premesseI Franchi, malgrado il loro sforzo di emulazione delle strutture politico-ammi-nistrative romane, non erano riusciti a fare proprio né il concetto di Stato, né quello di res publica. Il regno continuava a essere considerato una proprietà personale, allo stesso modo dei possedimenti e dei tesori, e sui rapporti perso-nali era stata costruita la struttura dell’Impero.I Carolingi, a partire dal capostipite Pipino d’Heristal, avevano infatti costru-ito la propria fortuna facendo largo uso di clientele armate, contingenti milita-ri legati al re da un particolare rapporto detto vassallatico-beneficiario. Si trattava di un rapporto fiduciario, in virtù del quale un uomo libero prestava giuramento di fedeltà al sovrano (vassallaggio), impegnandosi a fornirgli aiu-to militare e collaborazione nella gestione degli affari del regno – in particola-re nell’amministrazione della giustizia – ricevendone in cambio il godimento vitalizio di un fondo, il beneficium.«Per governare con un minimo di efficienza, sarebbe stato necessario moltiplicare gli impiega-ti e assicurarsi la loro obbedienza pagandoli non in terre ma in denaro; per pagarli in denaro, sarebbe occorso ristabilire le imposte dirette; per riscuotere le imposte, moltiplicare gli impie-gati. Così si faceva a Bisanzio; ma nell’Impero carolingio, anche se le condizioni economiche avessero consentito una rivoluzione di questo genere, essa avrebbe disgustato uomini abituati a procurarsi ogni cosa senza sborsare denaro e a rispettare soltanto la proprietà terriera. Era ine-vitabile che anche i Carolingi, come già i Merovingi, scialacquassero il demanio per regnare.» (LOPEZ).

I funzionari di Carlo – conti, marchesi, duchi – erano quindi vassalli dell’im-peratore, e andavano ad aggiungersi ai membri della sua «scorta» personale (i vassi dominici). Essi, tuttavia, per l’amministrazione dei territori cui erano preposti usavano del loro patrimonio di famiglia e dei loro benefici per legare a sé a propria volta, con rapporti di vassallaggio, altri collaboratori. Si veniva in questo modo a delineare una sorta di piramide in cui il potere discendeva dall’imperatore ai suoi vassalli, e da questi a figure via via più piccole (valvas-sori, valvassini). Tale piramide è alla base del cosiddetto sistema feudale, o feudalesimo, cioè di quella particolare forma di organizzazione del potere e della società, nonché di ordinamento giuridico, che a partire dal IX secolo caratterizzerà tutte le regioni d’Europa fino alle soglie dell’età contemporanea.Con il passare del tempo, soprattutto dopo la morte di Carlo Magno, l’evoluzione dei rapporti vassallatico-beneficiari farà sì che questo istituto, nato con l’intenzione di consolidare il potere regio, si trasformerà in uno dei suoi maggiori elementi di debolezza.Scomparsa infatti la figura carismatica dell’imperatore, e sotto la pressione – per tutto il X e XI secolo – delle invasioni di popoli stranieri (i Saraceni dal Sud, i Normanni da Nord, gli Ungari da Est), il legame fiduciario tra signore e vassallo si farà sempre più labile, tanto che l’ordina-mento si dissolverà progressivamente in un pulviscolo confuso di poteri locali, talvolta sovrap-posti, che darà vita a uno stato permanente di lotte per il controllo del territorio e per l’esercizio

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.57Capitolo 3: I Franchi e la nascita del feudalesimo

Il feudalesimo

delle prerogative «pubbliche» (riscossione delle imposte, arruolamento dell’esercito, ammini-strazione della giustizia).

Il feudalesimo costituisce senz’altro una delle creazioni più importanti della società medievale, anche sotto il profilo giuridico. Dopo averne dunque illu-strato i caratteri generali, vediamone ora più da vicino gli elementi costitutivi: il vassallaggio, il beneficium e l’immunitas.«Questi tre elementi del feudo sono in effetti tutti presenti nella prassi alto medievale, ma fino alla conclusione del millennio essi agiscono come istituti disgiunti che, se di fatto talora tendono a convergere, giuridicamente ancora non si fondono.» (CORTESE).

I presupposti del feudalesimo

Tre sono i punti essenziali intorno a cui ruota il concetto di feudalesimo:

a) il frazionamento del potere pubblico e del diritto di proprietà;b) il prevalere della campagna sulla città;c) la netta distinzione tra la classe dei signori e quella dei servi.

B) Il vassallaggioIl primo elemento costitutivo del feudo è il vassallaggio. Esso consisteva nell’assoggettamento volontario di uomini liberi ad un sovrano (o ad un signo-re). Contenuto generale di tale rapporto personale era la fidelitas, ossia l’ob-bligo morale di fedeltà e obbedienza da parte del vassallo, cui corrispondeva sempre quello della protezione da parte del re o del signore.Dal punto di vista contenutistico, la fidelitas generava anzitutto obblighi di non fare a carico del vassallo: non tradire il signore, non allearsi con i suoi nemici, non nuocergli in alcun modo. Ma vi erano anche obblighi di carattere positivo, quali l’auxilium e il consilium. Ed infatti, il vassallo prestava il servizio mili-tare a cavallo (l’auxilium), secondo una grande varietà di condizioni e forme, talvolta riscattabile a pagamento. Il consilium, invece, era l’assistenza al signo-re nelle più varie decisioni, a cominciare da quelle a carattere giudiziario, cui il vassallo si impegnava a partecipare.Tuttavia, «la fidelitas non era affatto una peculiarità del vassallaggio. A prendere per buone certe fonti, i monarchi costantinopolitani avrebbero preteso un giuramento di fedeltà sin dal V secolo e l’avrebbero comunque avuto dal Senato, dall’esercito e dai sudditi. Inoltre, il giuramento di fedel-tà al re è pratica instaurata di buon’ora presso i Visigoti e nel regno longobardo si vede Liutprando farsi avanti, all’atto di emanare norme nelle diete, assistito da giudici e fideles.» (CORTESE).

In altre parole, la fidelitas era la nuova veste assunta nell’alto Medioevo dal vincolo di subordinazione personale che legava i sudditi al re o qualsiasi su-bordinato al proprio superiore. Essa, dunque, permeava sia il diritto pubblico sia il diritto privato.Il vassallus (o vassus) era ancora, fino alla fine dell’VIII secolo, un servitore legato al proprio signore (senior) da uno specile rapporto personale di prote-

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zione e di obbedienza che evocava quello tardo-romano della commendatio in manus e che si instaurava in seguito alla cerimonia dell’omaggio.Tale cerimonia dapprima era pagana e prevedeva l’inginocchiarsi del vassallo, il mettere le sue mani in quelle del signore e lo scambio del bacio. Poi venne cristianizzata e si fondò su un giuramento di fede sui Vangeli.

Il legame stabilito da tale cerimonia era perpetuo e vitalizio, sia per il vassallo che per il signore, comportando per le due parti l’obbligo di lealtà reciproca: il vassallo aveva il dovere di servire e il signore il dovere di proteggere.Secondo un capitolare attribuito a Ludovico il Pio nell’816, in cinque ipotesi era legittimo per il vassallo sottrarsi al rapporto con il signore: quando il signore avesse preteso servizi non pre-visti; quando avesse congiurato contro la vita del vassallo; quando si fosse avventato contro quest’ultimo a spada sguainata; quando avesse commesso adulterio con la moglie del vassus e quando non l’avesse difeso.

Consilium ed auxilium

Il consilium era l’obbligo, gravante in capo al vassallo, di collaborare con il signore in particolari circostanze. Esso comportava in particolare la partecipazione del vassallo alla corte (convocata e presieduta dal dominus) nella quale venivano risolte le contro-versie relative all’attuazione delle norme di diritto feudale. Al signore spettava infatti la responsabilità di comporre le liti interne all’organizzazione feudale (quelle che oppone-vano un vassum ad un altro, o al signore stesso), applicando a tale scopo il relativo ordinamento. Cosicché l’amministrazione della giustizia in età feudale era strutturata su un duplice ordine di corti, entrambe facenti capo al signore: la corte signorile, pre-posta all’applicazione del diritto disciplinante i rapporti interni all’organizzazione curten-se, e la corte feudale, dove ricevevano specifica tutela i diritti derivanti dal rapporto vassallatico.L’ auxilium consisteva nel dovere del vassallo di prestare al dominus il servizio milita-re nonché altre forme di soccorso materiale.L’obbligo del servizio militare era assolto mediante l’invio di un contingente di cavalieri e fanti (il cui mantenimento era ad esclusivo carico del vassum) che contribuiva a co-stituire l’esercito signorile. Nella fase matura dell’età feudale, si diffuse progressiva-mente l’uso di sostituire tale prestazione con il versamento di una somma di denaro (lo scutagium) atta a finanziare la costituzione del contingente militare da parte del dominus.

Altro obbligo previsto dall’auxilium era quello di collaborare alla gestione patrimoniale del signore e di fornire allo stesso determinati aiuti pecuniari. Nel tempo, l’evoluzione della consuetudine portò alla precisa individuazione dei casi in cui il vassallo era tenu-to ad una prestazione finanziaria:

— quando fosse stato necessario pagare il riscatto del signore tenuto prigioniero;— quando occorreva acquistare il costoso armamento previsto per l’investitura di ca-

valiere del figlio primogenito del dominus;— in occasione del matrimonio della figlia primogenita dello stesso;— in casi eccezionali di bisogno, quando ad esempio vi fosse stato il grave pericolo di

un’aggressione esterna al complesso dei possedimenti facenti capo al signore.

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.59Capitolo 3: I Franchi e la nascita del feudalesimo

L’evoluzione delbeneficium

C) Il beneficioIl secondo elemento costitutivo del feudo è il beneficium. Esso consisteva nella concessione di un fondo subordinata all’obbligo per il concessionario (beneficiato) di prestare determinati servigi a favore del concedente.Furono soprattutto i re Franchi a ricorrere alla prassi di concedere ai propri soldati terre da sfruttare in cambio della loro fedeltà in guerra.In effetti uno dei principali problemi della monarchia franca fu quello di sostenere i costi dell’esercito. La politica fortemente espansionistica e la necessità di difendere i vasti domìni della corona (estesi a buona parte dell’Europa) richie-devano eserciti sempre pronti ad intervenire ma anche da remunerare adeguatamente.

Poiché le proprietà terriere della Chiesa erano equiparate a quelle della corona, ma più numerose e ricche, fu la proprietà ecclesiastica a sopportare i pesi mag-giori di tale meccanismo e ad essere più frequentemente concessa in beneficio.«Si usò inizialmente di dare terre in precària, ch’era il contratto di assegnazione preferito dagli enti ecclesiastici: una benevola concessione elargita, come dice la parola, dietro preghiera del futuro concessionario e sottoposta a un canone annuo […]. Ma era uno strano tipo di precària, quello usato ai fini del finanziamento dell’esercito nell’ultima età merovingia e all’inizio di quella carolingia: al posto della rituale preghiera del concessionario e della libera conclusione del negozio stava la decisione del sovrano espressa in un capitolare.» (CORTESE).

Nel corso del secolo IX il beneficium si staccò definitivamente dalla precària ma conservò le caratteristiche di una elargizione benevola di beni immobili con fini remunerativi. Causa prevalente dell’istituto restò il servizio militare ma nulla vietava che il beneficium servisse a ricompensare altri tipi di servigi.La durata era temporanea e generalmente coincideva con la vita del concessio-nario. Va rilevato, tuttavia, che talvolta il beneficio (relativo a terre della sola corona e non anche a quelle della Chiesa) veniva concesso non in godimento temporaneo ma in piena proprietà.

D) Segue: la questione dell’ereditarietà dei beneficiL’aspirazione del vassallo all’ereditarietà del beneficio feudale ha origini mol-to antiche: documenti risalenti alla prima metà del IX secolo attestano come piuttosto frequente l’uso di rinnovare omaggio ed investitura del feudo nella persona del figlio di un vassallo defunto; la prospettiva di trasmettere il feudo ai propri discendenti, d’altra parte, costituiva un forte incentivo per la fedeltà del vassallo, e assicurava al signore feudale un controllo efficace sulla condot-ta dello stesso.Il primo riconoscimento formale della descritta tendenza si ebbe tuttavia solo nella seconda metà del secolo. Nell’877, alla vigilia della spedizione in Italia contro i Saraceni, Carlo il Calvo emanò un celebre capitolare (il Capitolare di Quierzy), a norma del quale, in caso di morte di un vassallo nel corso

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dell’imminente campagna, il beneficium sarebbe stato trasmesso al figlio di quest’ultimo: si trattava di una misura temporanea, ma ad ogni modo indicati-va di una precisa evoluzione in atto.Le disposizioni menzionate, occorre precisarlo, facevano riferimento ai soli feudi maggiori, ossia quelli concessi direttamente dal sovrano. Bisognerà at-tendere il secolo X per vedere i primi segni di una prassi volta ad estendere il carattere ereditario del beneficio anche agli altri tipi di feudo. Una volta con-solidatasi, tale consuetudine venne recepita dal Capitolare del 1037 dell’im-peratore Corrado ii il Salico (Edictum de beneficiis), con cui fu espressamen-te stabilita l’ereditarietà dei feudi minori. Su impulso di questa decisione, la regola dell’ereditarietà del feudo imporrà in tutti i territori franchi, germanici e italiani.La successione ereditaria nel feudo, comunque, mantenne una sua specificità rispetto a quella relativa ai beni allodiali. Essa infatti si svolgeva all’interno del rapporto vassallatico, nel cui ambito continuava ad inquadrarsi e dal quale traeva, in ultima analisi, la propria legittimazione. Deve infatti ricordarsi che l’erede, se nel caso di beni allodiali subentrava in maniera diretta ed immediata al de cuius, con riferimento al beneficium era invece gravato dall’onere di dar vita ad un  rapporto  feudale con il dominus di questi, rinnovando - attraverso gli atti formali dell’omaggio e della fedeltà - il vincolo che aveva fondato l’originaria concessione beneficiaria. A partire dalla metà del secolo XI, inoltre, l’erede fu ammesso alla prestazione dell’omaggio e della fedeltà solo previo versamento al signore di una somma di denaro; l’ammontare di tale somma (di volta in volta denominata relevium, relief, Lehnware) fu in un primo tempo stabilito dal dominus o concordato tra le parti, e in seguito indicato da una specifica norma consuetudi-naria.

La successione seguiva una disciplina particolare nel caso in cui i discenden-ti fossero stati più di uno. In tale circostanza, infatti, l’esigenza di assicurare la parità di trattamento tra i figli del vassallo veniva a configgere con l’interes-se del signore al maggior controllo ed ai migliori servigi che l’unitarietà del feudo gli avrebbe inevitabilmente garantito. Il problema ricevè soluzioni dif-ferenti a seconda delle aree e delle epoche in cui si presentò: nella Germania del XII secolo si ricorse ad una forma di infeudazione collettiva (Belehung zur gesammter Hand); in Inghilterra prevalse la primogenitura, di modo che il feudo rimaneva indiviso nelle mani del primo figlio maschio; in Normandia, infine, si affermò l’uso di investire del feudo il primogenito e suddividere il beneficio tra i fratelli, che prestavano omaggio al primo e preservavano così l’unitarietà del rapporto vassallatico originario.Quanto all’eventualità che il feudatario non avesse eredi maschi, infine, la pos-sibilità di una successione femminile nel rapporto vassallatico fu per molto tempo esclusa, in ragione dell’asserita incapacità della donna ad assolvere gli obblighi militari propri del rapporto stesso. Quando, alla fine del X secolo, l’evoluzione della prassi portò ad ammettere tale possibilità, fu messa a punto una specifica disciplina atta a conciliare i diversi interessi in gioco: si stabilì infatti che l’erede donna avrebbe scelto un uomo in grado di adempiere pie-

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L’immunitas

namente agli obblighi derivanti dal rapporto feudale, e che quest’uomo avreb-be prestato fedeltà ed omaggio nelle mani del dominus. Si noti che se la donna fosse stata sposata, o nel momento in cui avesse contratto matrimonio, il ruolo in questione sarebbe stato assunto dal marito: ciò spiega, tra l’altro, perché in quest’epoca le scelte matrimoniali della donna fossero spesso pesantemente condizionate dalla volontà del signore feudale.

E) L’immunitàL’immunitas è il terzo elemento costitutivo del feudo.Esso affonda le radici negli ultimi tempi dell’Impero romano: immunes (ossia esenti da numera personalia e patrimonialia) erano, ad esempio, i beni imperiali e quelli degli enti ecclesiastici.

Poiché il beneficium veniva costituito su terre della corona e della Chiesa, tradizionalmente «immuni», è logico ritenere che anch’esso acquistasse la condizione giuridica di quei fondi.L’immunitas si sostanziava nel divieto fatto a qualunque pubblico ufficiale di entrare nei fondi privilegiati per esercitare funzioni giudiziarie, per riscuotere imposte o per eseguire arresti (cd. divieto di introitus, exactio e districtio).«Dal punto di vista di chi ne gode, l’immunitas si presenta come un potere di esclusione. Nega il potere altrui, chiude un campo sui cui confini si arresta e può essere respinto ogni intervento esterno. Dal punto di vista del re che la concede essa si realizza in un ordine rivolto alle magi-strature e agli uffici dipendenti, mediante il quale si vieta di oltrepassare, nel senso reale e nel senso figurato, i confini dell’immunità concessa ai vescovi: è il cosiddetto ‘‘divieto di ingresso’’» (BELLOMO).

5. La comparsa del termine «feudo» in età postcarolingiaSecondo la più recente storiografia (CORTESE), l’epoca carolingia fu sì l’età dei vassallaggi e dei benefici ma, piuttosto che come data di nascita del feudo, deve invece considerarsi come l’ultima tappa della sua preparazione.Il feudo, inteso quale istituto giuridico unitario, può dirsi realmente sorto solo tra i secoli X-XI, quando vassallaggio e beneficio si legarono strutturalmente insieme e la loro convergenza di fatto si trasformò in vincolo di diritto.Il termine «feudo», del tutto sconosciuto in età carolingia, venne usato a partire dal sec. X con diversi significati: per indicare «beni mobili dati come salario», oppure «beni immobili» o (come avvenne più tardi) come sinonimo di beneficium.

Fondamentale ai fini della storia giuridica del feudo (soprattutto in Italia) fu la formazione delle milizie professionali poste a difesa delle città dai pericoli che provenivano dall’esterno. Tali milizie alla fine del millennio risultavano composte da ricchi comandanti (capitanei o milites primi ordini). Ad essi ve-scovi e conti non esitarono a concedere ricchi beneficia, al fine di assicurarsi la loro fedeltà e la loro protezione. In tal modo vassallaggio e beneficium ven-

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nero a compenetrarsi giuridicamente: il fatto che la milizia fosse professiona-le pose in luce la natura corrispettiva e contrattuale del vincolo tra prestazione della difesa armata e il pagamento di uno stipendio sotto forma di salario.«Fu questo nesso contrattuale a far da primo cemento in vista dell’unione di vassallaggio e be-neficio in un istituto unitario, il feudo appunto. La convergenza di fatto che si era chiaramente manifestata nell’età carolingia poté avviarsi verso la trasformazione in vincolo di diritto.» (CORTESE).

Nel corso dell’XI secolo l’Edictum de beneficiis disponeva che nessun co-mandante di milizia (miles), che fosse stato investito di un beneficium su terre della Chiesa o della Corona, potesse mai perderlo se non per propria colpa, accertata da un giudizio di pari o dall’imperatore; che alla morte del valvasso-re gli succedessero i figli (o i figli dei figli); che nessun signore potesse cam-biare, senza il consenso del valvassore, un beneficium assegnato con altro be-neficium. In questo modo, come detto, veniva assicurata la stabilità di tutti i feudi, maggiori e minori.«Si allentava anche il rapporto contrattuale tra la prestazione del beneficium e la contropresta-zione del servizio; era sì implicitamente presupposto che il solito contributo militare fosse da corrispondere in caso di guerra, ma lo schema contrattuale astratto prevedeva adesso che alla concessione patrimoniale si contrapponesse sinallagmaticamente una fidelitas dal contenuto negativo: per non violarlo e conservar la terra, insomma, bastava tenersi lontani dalla culpa, rifuggire cioè da comportamenti scorretti nei confronti del signore.» (CORTESE).«La terminologia con la quale il feudo veniva designato poteva anche riguardare le condizioni giuridiche specifiche del beneficio, ovvero la causa della sua costituzione. Feudo franco […] era un feudo in cui il vassallo non era tenuto a prestazioni specifiche, ma soltanto alla fedeltà. Feudo ligio era quello il cui titolare era legato al signore dal vincolo prioritario ed esclusivo di cui si è detto. Il feudo oblato […] nasceva da un atto di rinuncia di un proprietario allodiale, che si privava formalmente di una propria terra […] a favore di un altro uomo, ricevendo poi da costui in beneficio quella stessa terra: un atto frequente nei secoli IX-XII, con cui si poteva ot-tenere la desiderata protezione di un potente, o magari soltanto si doveva cedere alle sue pres-sioni non più resistibili. Specie in età più tarda, alla fine del medioevo, anche un debito poteva dar luogo alla costituzione di un beneficio, che assolveva alla funzione di garanzia reale per il creditore» (PADOA-SCHIOPPA).

6. I caratteri di una cultura giuridicaIl feudalesimo sgretolò due dei concetti fondamentali del mondo antico, cioè lo Stato e la proprietà privata; nel contempo, cercò di dare un ordine e una forma alla convivenza civile, consentendo una relativa sicurezza di vita a larghe masse di popolazione. Risulta evidente che una società di questo genere, pre-valentemente contadina, per la quale l’autorità pubblica era sconosciuta o di-stante, venisse disciplinata in prevalenza da una rete di consuetudini.«Valga per tutti l’esempio del feudo, che è nato ed ha assunto le sue linee caratteristiche quasi sempre senza alcun intervento dello strumento legislativo. Ciò che genera il diritto nuovo, ciò che gli dà forma e lo fa evolvere sono le consuetudini, sono i comportamenti ripetuti nel tempo,

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Feudalesimo e cultura giuridica

via via consolidatisi in regole vincolanti sia per i singoli che per le comunità. In nessun’altra età della storia europea la consuetudine ha svolto un ruolo altrettanto capitale nell’evoluzione del diritto.» (PADOA-SCHIOPPA).

Non potevano trovare ancora spazio tecniche giuridiche specializzate poiché le regole di condotta e le soluzioni per le controversie erano il frutto di com-portamenti ripetuti nel tempo, e non di leggi da interpre-tare. L’alto Medioevo non ha conosciuto, se non in fieri, alcuna forma di tecnica legale, e quelle usate erano senz’al-tro più primitive di quelle affermatesi nel periodo romano. Nel corso del IX secolo, interi settori della vita sociale erano regolati in modo ancora imperfetto da testi legislativi. Per questo motivo continuava a soprav-vivere, accanto al diritto scritto, un ampio corpus di tradizioni orali.«Il diritto […] è parte dell’etica e, quindi, si identifica con l’etica come una parte con il tutto. In particolare, poi, […] il diritto civile […] è sottoposto all’etica in quanto è norma di vita e alla logica in quanto consta di parole che devono essere comprese e interpretate. […] Gli studi ‘giu-ridici’ […] si collocano fra gli studi sull’etica, mirano a cogliere, del contenuto di ogni norma, gli aspetti più propriamente etici; e sono d’altra parte anche indagine sulle parole, sulla proprie-tà e il significato di esse (grammatica), sui nessi che possono costruirsi all’interno di un ragio-namento che le riguarda (dialettica), sulle strutture e sulle forme che il discorso può assumere (retorica).» (BELLOMO).

Tutto questo non deve però farci pensare a un diritto assolutamente immobile, statico, dal momento che anche le consuetudini possono nascere, morire, tra-sformarsi, mutare. Di fronte a un diritto che ha conosciuto una scarsa rielabo-razione teorica, che è stato soprattutto pratico, fondamentale doveva risultare il ruolo svolto dal notariato. L’esame dei documenti privati che sono giunti fino a noi rivelano anzi precise linee di tendenza: in essi, per esempio, si pos-sono ritrovare annotazioni esegetiche estremamente semplici, prive di qualun-que approfondimento analitico. In sostanza, ogni parola viene chiarita attra-verso un sinonimo, e i testi sono riassunti in maniera assai elementare.Anche se l’età carolingia ha conosciuto una forte rinascita culturale (la cosid-detta rinascenza  carolingia), testimoniata tra l’altro dalla presenza di un personaggio come alcuino di York, rettore della Schola Palatina, alla corte imperiale, dalla costituzione della stessa Schola, dall’adozione di un nuovo tipo di scrittura, dalla riforma dell’istruzione superiore, non abbiamo però elemen-ti per affermare che sia stato creato un vero e proprio corso di studi specializ-zato destinato ai giuristi.«Marginale: ecco il termine che ci balena subito in mente non appena ci allontaniamo dai tre pilastri della civiltà carolingia: religione, guerra, agricoltura. E anche in questi tre settori gli ordini e i consigli delle minoranze attive sono soffocati dall’inerzia della maggioranza. […]. Nel secolo IX l’Impero carolingio, debole gigante, langue, declina prematuramente. Nel secolo X strutture più vitali, perché più piccole e meglio dotate di forze umane, sorgeranno al suo posto e, senza dimenticare le speranze e gli ideali che esso ha lasciato loro in eredità, apriranno un millennio di progresso economico e intellettuale.» (LOPEZ).

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lEGiSlazionE FRanCa. i pRinCipali CapitolaRi

Capitolare:ordinanzaregia divisain capitoli

➤ di aquisgrana (789). Promulgato da Carlo Magno. In esso veniva comminata la pena di morte a coloro che si rendevano responsabili di omicidio di un uomo o di una donna accusati di stregoneria.

Inoltre, veniva proibito agli ebrei, dietro comminazione della pena del taglio della mano destra, di accettare pegni da un cristiano o di effet-tuare il commercio o lo scambio di vettovaglie.

➤ di thionville (805). Promulgato da Carlo Magno. Fissava un ordine gerarchico ai rapporti di fedeltà, in modo che l’obbligo principale per tutti i vassalli fosse quello di giurare fedeltà e obbedienza al sovrano, supremo signore feudale.

➤ di olona (825). Promulgato da Lotario I. Istituì a Pavia una fiorente scuola di arti liberali, in cui dovevano obbligatoriamente affluire non solo studenti da tutta la Lombardia ma anche da Asti e da Genova.

➤  di Quierzy (877). Promulgato da Carlo il Calvo. Attribuì ai figli dei vassalli della parte occidentale del Regno la carica e il feudo dei padri, nell’ipotesi in cui questi fossero deceduti durante l’imminente spedi-zione militare in Italia contro i Saraceni. Ludovico II il Balbo, succes-sore di Carlo il Calvo, restrinse gli effetti del Capitolare di Kiersy, imponendo ai vassalli della Corona l’obbligo di lasciare, a loro volta, i feudi paterni ai figli dei vassalli minori (ossia dei vassalli legati da giuramento di fedeltà ad un signore e non al re) caduti in guerra.

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Capitolo 3L’Europa tra XVII e XVIII secolo

Sommario1. Verso un nuovo tipo di assolutismo. - 2. La gerarchia delle fonti nel XVII secolo.

3. La situazione in alcuni paesi europei.

1. Verso un nuovo tipo di assolutismoAbbiamo visto come il pensiero politico-giuridico del XVII secolo accenni a spostarsi verso prospettive che preludono, talvolta apertamente, alle posizioni dell’Illuminismo e del liberalismo dei secoli successivi.Per la prima volta viene teorizzata l’esistenza dei diritti naturali degli indivi-dui e alcuni autori si impegnano nella ricerca di fonti di legittimazione del potere diverse dal diritto divino.Tuttavia, accanto a queste posizioni che prefigurano il futuro, persistono in regioni importanti dell’Europa – in particolare in Francia e in Spagna – con-cezioni che sostengono invece il regime assolutistico delle dinastie regnanti.La compresenza di queste opposte correnti di pensiero non si risolverà in un semplice scontro tra opinioni inconciliabili ma, al contrario, costituirà la pre-messa per lo sviluppo, nel corso del Settecento, di un tipo particolare di asso-lutismo che pur mantenendo fermi i suoi principi fondamentali si mostrerà sensibile alle più moderne dottrine politiche e disponibile a un moderato rico-noscimento dei diritti dei sudditi. È il cosiddetto assolutismo illuminato, che alla vigilia della rivoluzione francese troverà in Austria e in alcuni domini italiani le sue più compiute forme di espressione.

2. La gerarchia delle fonti nel XVII secoloA) La legislazione regiaLa situazione giuridica in Europa nel XVII sec. era caratterizzata da un estremo particolarismo, che vedeva il diritto comune convivere (non sempre pacifica-mente) col diritto regio o signorile e con una congerie di diritti particolari (consuetudini ed usi locali, diritto feudale, giurisprudenza delle corti etc.). Di fronte ad un così vasto e frammentato panorama normativo, il diritto comune (voluminoso e controverso) veniva utilizzato come sistema di riferimento allo scopo di fornire ovunque un’interpretazione omogenea dei diritti particolari, contribuendo anche ad una loro consolidazione a livello nazionale.Tuttavia, la progressiva concentrazione dei poteri nelle mani del re e dei suoi funzionari, tipica dei regimi assoluti, provocò la crisi del diritto comune. Il

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.188 Parte II: L’età moderna

sovrano assoluto si pose come l’unica fonte di produzione e legittimazione del diritto e non come garante e conservatore dei diritti particolari. Grazie all’as-solutismo monarchico si ebbero importanti impulsi all’unificazione ed alla razionalizzazione del diritto. Il concetto medievale dell’unità del mondo del diritto si frantumò all’epoca della formazione delle grandi monarchie territo-riali (e il discorso è valido soprattutto per l’Inghilterra, Francia e Spagna).Il fenomeno più evidente fu, sicuramente, quello dell’accentramento buro-cratico, volto a contenere tutti i privilegi e le immunità di origine feudale. Gradualmente le legislazioni di questo secolo divennero espressione della volontà del sovrano. Si poté avere così una prima formulazione consapevole del principio della gerarchia  tra norme. La superiorità della legislazione sulla consuetudine introdusse un criterio univoco di soluzione dei conflitti tra norme, e rese quindi più coerente il sistema giuridico.«Nel secolo XVII la legislazione era venuta progressivamente ad essere concepita come espres-sione della volontà del monarca, anzi del ‘sovrano’; e le concezioni dei trattatisti politici aveva-no rispecchiato il sempre più frequente intervento legislativo del ‘sovrano’, il quale talvolta, come in Francia, aveva partecipato attivamente anche al processo di raccolta e di riformulazio-ne delle consuetudini o, addirittura, lo aveva determinato.» (TARELLO).

B) Lex e interpretatioAll’inizio del Settecento, invece, quasi tutta l’esperienza giuridica dell’Europa continentale può essere esemplificata e chiarita dal rapporto tra lex e interpretatio, dove per lex si intendeva l’intervento legislativo diretto del sovrano, le consuetu-dini in quanto fissate e compilate e tutta la legislazione statutaria, e per interpre-tatio ogni enunciato normativo espresso dai tribunali o dagli esperti del diritto in assenza di una lex specifica da potersi applicare a un determinato singolo caso. La tendenza di fondo era quella di cercare di soddisfare l’esigenza primaria di un diritto certo, prevedibile e facilmente conoscibile, e quindi, in questa chiave, il conflitto tra lex e interpretatio venne risolto subordinando l’una all’altra.In tutta l’Europa  continentale nel corso del XVIII secolo, come vedremo meglio più avanti, assisteremo, in linea di massima, al prevalere del potere sovrano, e quindi la tendenza sarà quella di privilegiare la lex e di codificarla; in inghilterra, al contrario, avvenne un processo esattamente opposto che portò a privilegiare l’interpretatio e il consolidamento dei precedenti giudizia-ri, concedendo in questo modo un grande peso agli organi giudiziari. Tuttavia, la realtà delle cose era ancora molto distante dai proclami politici.«Un principio unificatore e razionalizzatore del diritto era espresso, in via generale, al livello delle formule culturali: tutto il diritto è direttamente o indirettamente voluto dal sovrano, e tutta la giurisdizione è direttamente o indirettamente amministrata dal sovrano o nel suo nome. Ma se dal livello delle formule culturali [...] passiamo a considerare la realtà effettiva, vediamo che le forze centrifughe del particolarismo giuridico erano all’inizio del secolo XVII operanti, e trova-vano molte volte espressione in magistrature riottose. In un periodo storico in cui gli impulsi ri-formatori provenivano solo dai monarchi e comunque non potevano realizzarsi se non attraverso i monarchi, ciò è significativo.» (TARELLO).

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.189Capitolo 3: L’Europa tra XVII e XVIII secolo

La Francia nel XVII se-colo

3. La situazione in alcuni paesi europeiA) La FranciaFino al XVIII secolo la Francia, pur avendo una amministrazione e una giuri-sdizione relativamente accentrata, presentava sul piano giuridico una profonda divisione tra il sud del paese, in cui prevaleva il diritto romano, e il nord in cui prevaleva un diritto consuetudinario di matrice germanica.Numerosi furono i tentativi di riforma del diritto privato e quelli di codifica-zione: ma la Francia (prima della Rivoluzione) fu probabilmente l’unico pae-se europeo dove questi tentativi fallirono quasi del tutto. In effetti, al di là della distinzione tra paesi di diritto scritto e paesi di diritto consuetudinario, continuavano a essere utilizzati ancora i cosiddetti diritti particolari, quali il diritto feudale e il diritto canonico. Tale situazione dava luogo a un sistema giuridico estremamente articolato, complesso e complicato, sia per quanto ri-guarda i soggetti giuridici, sia per quanto riguarda la tutela dei diritti e la giu-risdizione.A grandi linee i soggetti giuridici venivano distinti in questa maniera:1) soggetti il cui diritto comune è il diritto scritto e soggetti il cui diritto comune è una coutume,

vale a dire una consuetudine territoriale;2) soggetti di religione cattolica e soggetti appartenenti ad altri credi religiosi;3) soggetti nobili e non nobili, soggetti appartenenti al clero e soggetti servi;4) soggetti di sesso maschile e soggetti di sesso femminile;5) soggetti sottoposti e soggetti non sottoposti a patria potestà.

Gli stessi problemi, la stessa discontinuità del diritto privato si riscontravano anche in materia penale. A tale proposito, intorno alla metà del Seicento si tentò di razionalizzare anche questa materia con l’emanazione della Ordon-nance criminelle da parte di Luigi XIV, Ordonnance che però riguardava so-stanzialmente le procedure e i tribunali più che la materia penale sostanziale. Continuava a restare in vita la distinzione tra diritto penale comune e diritti penali particolari. Il diritto penale comune era costituito, per gran parte, da materiali normativi provenienti dal codice giustinianeo e dal diritto canonico. In ogni modo, tutti questi diritti presupponevano e facevano sempre ampio riferimento allo status soggettivo del reo e della parte lesa: per esempio, lo status di vagabondo costituiva di per sé un reato.Ad ogni modo, l’organizzazione giuridica francese era ancora assai poco rispondente alle esigenze di una classe che assumeva gradualmente sempre maggiore importanza: la borghesia.«L’unico elemento univoco, sotto il profilo della storia delle istituzioni e della cultura giuridica, è la formazione di una nuova classe, la classe borghese, con interessi propri e peculiari che non trovano facile tutela nelle istituzioni esistenti e non trovano espressione alcuna nelle dottrine giuspolitiche feudali né espressione compiuta nelle dottrine dell’assolutismo.» (TARELLO).

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.190 Parte II: L’età moderna

Non esisteva, comunque, almeno sino alla prima metà del XVIII secolo, alcu-na consapevolezza della propria identità di classe capace di spingere a una riforma del sistema giuridico. E quando questo avverrà, sarà curiosamente propria di quella minoranza della classe borghese e della piccola nobiltà che traevano un oggettivo vantaggio dal sistema giuridico vigente.

B) I territori germaniciL’estrema frammentarietà politica del territorio tedesco impediva di fatto la concentrazione del potere e quindi un’organizzazione assolutistica dello Stato. La particolare complessità del diritto germanico risiedeva nella difficoltà di coordinare i singoli diritti territoriali con il diritto romano. La causa può es-sere ricercata nell’abbondanza di norme consuetudinarie locali, cui i vari dirit-ti territoriali facevano riferimento, e nell’abbondanza delle norme statutarie cittadine.Per quanto riguarda il diritto pubblico, nel corso del XVII secolo era ancora esistente un diritto pubblico imperiale, fortemente contrastato però dai diver-si diritti pubblici particolari in vigore nei singoli Stati tedeschi.Per quanto riguarda invece il diritto privato, la dottrina più accreditata dai contemporanei riteneva che il diritto romano, o meglio il suo uso forense, fungesse da diritto comune. Il diritto  romano comune veniva considerato suppletivo dei diritti particolari territoriali.«Per comprendere cos’erano i diritti territoriali […] occorre riferirsi alla nozione germanica di Land, territorio, o semplicemente, terra. Land talvolta contiene, ma più sovente si oppone, sia a città […], sia alle terre non coltivate e non abitate come la foresta […]; in ogni caso Land com-prende come suo oggetto di riferimento non solo la terra, ma anche la popolazione su di essa insediata e la sua organizzazione. Nei paesi germanici in cui non si era ancora sviluppata una cultura giuridica statocentrica, e in cui la concezione imperativistica del diritto […] era in corso di diffusione solo nella scuola e presso i dotti legati a politiche accentratrici, Land entrava fa-cilmente in contesti linguistici correnti come punto di riferimento del ‘diritto’, e Landrecht si usava come nome dell’organizzazione giuridica intrinseca alla terra. Il Land, in senso politico e in senso giuridico, era l’insieme costituito dal principe territoriale [...] e dai ceti territoriali [...] dei signori, entrambi dotati di proprie organizzazioni burocratiche.» (TARELLO).

Tale situazione comportava che nell’ambito di ciascuno Stato si contrappone-vano il diritto privato e penale comune con i corrispondenti diritti particolari. Alla complessità di questo sistema giuridico si sommavano le caratteristiche strutturali dell’organizzazione politica tedesca. A causa di tutto questo, abbon-davano certamente le norme consuetudinarie locali cui i diritti territoriali fa-cevano continuo riferimento, ma abbondavano altresì le legislazioni statutarie cittadine cui i diritti particolari delegavano una serie di rapporti fondamentali.La mancanza di un forte centro di potere impediva la razionalizzazione del diritto germanico. Gli stessi tribunali erano troppi e troppo poco importanti per assumersi la responsabilità di elaborare una vera e propria politica del diritto.

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.191Capitolo 3: L’Europa tra XVII e XVIII secolo

Gli Stati italiani

Ma, paradossalmente, proprio il ritardo di quasi un secolo rispetto alla Francia e la dimensione più piccola degli Stati tedeschi favorirono una riorganizzazio-ne istituzionale degli organismi giuridici, dal momento che i primi tentativi di codificazione avvennero già in pieno clima illuministico, e più precisamente risentirono di quell’assolutismo illuminato, di cui parleremo più estesamente nei capitoli successivi.

C) Gli Stati italianiLa situazione giuridica degli stati italiani (il Ducato di Milano, gli Stati sabau-di, il Ducato di Parma, il Granducato di Toscana, il Ducato estense, il Regno di Napoli, il Regno di Sicilia, il Ducato di Mantova, lo Stato Pontificio, la Repubblica di Venezia e la Repubblica di Genova) era più lineare sia rispetto a quella francese che a quella tedesca.Il diritto vigente in ciascuno di questi era caratterizzato dalla contrapposizione tra diritto comune (ossia romano-canonico), che aveva natura suppletiva, e diritti particolari (ordinanze regie, giurisprudenza delle corti, consuetudini locali, che prevalevano su quello comune).Si tenga presente, tuttavia, che quando si fa riferimento agli Stati italiani si devono eccettuare lo Stato Pontificio e la Repubblica di Venezia. Nello Stato Pontificio, infatti, il diritto canonico prevalse sempre sul diritto comune, anche nelle questioni temporali. Nell’ordinamento giuridi-co veneziano, inoltre, il diritto comune non fu mai annoverato tra le fonti di produzione del diritto.

All’inizio del Settecento si pose il problema dei rapporti tra il diritto canoni-co e il sistema del diritto dei singoli Stati formato, come abbiamo appena detto, dal diritto comune e da una eterogenea quantità di diritti particolari.È noto che il diritto canonico era parte integrante del diritto comune ma non si riduceva mai a funzioni suppletive, poiché non era derogabile da alcuna nor-mativa particolare. Anzi, spesso il diritto canonico aveva la prevalenza su materie normalmente disciplinate dal diritto penale (processuale e sostanziale). Gravi contese in campo penale si verificarono soprattutto per quanto riguarda-va il diritto d’asilo (o confugio) nei luoghi sacri e le immunità dalle giurisdi-zioni penali a favore del clero, nonché in materia di reati religiosi. «I clerici, infatti, non riconoscevano nessun altro superiore all’infuori del Papa. Per quanto attiene poi all’istituto del diritto d’asilo, esso ebbe l’effetto di porre totalmente lo Stato in balìa della Chiesa, poiché ba-stava sorpassare i simbolici confini che dividevano l’ambito di autori-tà e di competenza delle istituzioni civili da quelle ecclesiastiche, o anche toccare con un piede o con una mano quel limite ideale, per passare subito ed automaticamente dalla sfera dell’ordi-namento giuridico statale a quello canonico, dalla competenza del magistrato a quella del ve-scovo.» (AJELLO).

In particolare si ebbero violenti contrasti in alcuni Stati, circa il ristabilimento o la soppressione del Tribunale della Santa Inquisizione.

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.192 Parte II: L’età moderna

«I presupposti dell’appartenenza giuridica al clero sono stabiliti dal diritto canonico; ciò vale ovviamente per lo Stato pontificio, ma vale anche per tutti gli altri Stati il cui sistema giuridico contiene il diritto canonico come diritto particolare a cui spetta sempre la determinazione delle condizioni di appartenenza al clero. I privilegi e le capacità particolari di chi appartiene al clero sono pure stabiliti dal diritto canonico: ma mentre il diritto canonico vige direttamente, anche sotto questo profilo, nello Stato pontificio, invece negli altri Stati i privilegi e le capacità parti-colari del clero sono di solito regolati da leggi e statuti particolari, di solito espressione di una politica al contempo volta alla limitazione dei privilegi di diritto canonico come tali ed alla concessione degli stessi o di altri privilegi in forme atte ad assicurare al sovrano qualche con-trollo sul clero e sulle istituzioni ecclesiastiche. Da ciò un ulteriore elemento di incertezza e di complicazione, perché la disciplina giuridica del clero tende a mutare, sia pure nei dettagli, a seconda dei rapporti dei vari governi con la Chiesa, e a seconda dell’equilibrio sempre mutevo-le delle rispettive forze.» (TARELLO). Anche nei diversi Stati italiani vi era una diversa disciplina soggettiva che derivava dall’appartenenza alle diverse classi sociali: l’appartenere alla nobil-tà, alla borghesia o alla classe contadina prevedeva distinte soggettività giuri-diche.La situazione della nobiltà variava moltissimo in dipendenza della struttura politica dello Stato di appartenenza: la condizione di nobiltà era particolarmen-te rilevante nell’accesso alle magistrature e nell’esercizio di poteri giurisdizio-nali di origine feudale. Anche la condizione giuridica della classe contadina dipendeva da una maggiore o minore resistenza dei retaggi feudali, resistenze che furono maggiori in Toscana e nel Regno di Napoli.

la SitUazionE GiURiDiCo-lEGiSlatiVa nEi pRinCipaliStati EURopEi Fino al XViii SEColo

Franciasettentrionale

➤ Consuetudini territoriali di influenza germanica (Coutumes). Diritto non scritto.

Franciameridionale

➤ Diritto comune. (Romano e canonico) Diritti particolari (Diritto feudale e delle Corti giurisprudenziali). Diritto scritto.

Germania ➤ norme consuetudinarie locali. Norme statutarie. Leggi imperia-li. Diritto comune (con valore suppletivo).

Stati italiani(eccettuati Statoe Repubblicadi Venezia)

➤ Diritti particolari (Ordinanze regie, giurisprudenza delle consue-tudini locali). Diritto comune (con valore suppletivo).

Stato pontificio ➤  Diritto canonico.

Repubblicadi Venezia

➤  Diritti particolari.

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Dizionario biografico

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◆ accursio (o accursi o accurso) Fran-cesco (Bagnolo, Firenze 1182 - Bologna 1260)

Giureconsulto. Si laureò intorno al 1213 a Bologna, ove tenne la cattedra di diritto roma-no. Fu discepolo di Azzone e rivale dell’altro grande glossatore Odofredo Denari. In circa sette anni diede vita ad un ampio apparato di annotazioni (circa 96.000) al Corpus iuris civilis, che erano la risultante di un’accurata attività interpretativa compiuta nei tempi pre-cedenti dai giuristi della scuola dei Glossatori. Tale imponente sistema di annotazioni fu de-nominato Magna Glossa o Glossa Ordinaria o Glossa Accursiana, che segnò il punto di massima maturità della scuola stessa.L’opera di Accursio divenne in tutta Europa oggetto di studio imprescindibile accanto al Corpus iuris giustinianeo. Nelle edizioni a stampa che si ebbero di quest’ultimo durante i secoli XV-XVII, la Glossa Accursiana veniva stampata tutt’intorno al testo del Corpus, che occupava lo spazio centrale di ogni foglio.Accursio ebbe tre figli, che pure si diedero allo studio del diritto e vi acquistarono fama: Fran-cesco jr. (1225-1314), Cervotto (1240-1287) e Guglielmo (1246-1314).

◆agilulfoFu re dei Longobardi dal 591 al 615, avendo preso in moglie la vedova di Autari Teodo-linda. Tentò di sottomettere, sottraendola ai Bizantini, l’Italia intera, ad eccezione di Roma e Ravenna. Pur conservando la fede ariana favorì la diffusione del Cristianesimo tra il suo popolo, in ciò esortato dalla moglie Teodolinda e da papa Gregorio I Magno.

◆alarico iiOttavo re dei Visigoti di Spagna (dal 484 al 507). Fu ucciso in guerra dal re dei Franchi

Clodoveo nella battaglia di Poitiers del 507. A lui si deve la emanazione di una raccolta di leggi romane nota come Breviarum Alarici.

◆alberto da Gandino (Crema 1278-1310)Avvocato e magistrato, incentrò la sua attività di scrittore negli ultimi anni del XIII secolo. Appartenne alla scuola dei Postaccursiani, legò il suo nome soprattutto a due opere monografiche. Nelle Quaestiones statutorum venne riorganizzata ed approfondita l’intera disciplina delle norme statutarie e del loro fondamento giuridico. Nel Tractatus de ma-leficiis venne risistemata l’intera materia dei delitti e delle pene, profondamente innovata dalla normativa statutaria.Magnus practicus venne definito da Giovan-ni d’Andrea, canonista del Trecento, per le profonde ispirazioni che egli traeva dalla sua quotidiana pratica di avvocato e giudice.

◆alciato, andrea (Alzate, Milano 1492 - Pavia 1550)

Giurista. Studiò diritto presso le Università di Pavia e Bologna e si laureò nel 1516 a Ferrara. Insegnò ad Avignone, Pavia, Bologna, Bourges e Ferrara. A lui si deve il merito di aver iniziato un nuovo indirizzo dello studio del diritto, che sostituì quello della scuola dei commentatori e segnò il momento dell’ingresso delle correnti umanistiche nella scienza giuridica.Dalla ricostruzione del diritto romano secondo un metodo che, dal luogo ove Alciato insegnò, viene definito francese emerse il problema della natura della legge, che venne considerata diretta emanazione della volontà dell’impe-ratore, al quale il popolo aveva delegato il potere di legiferare. Per ogni potere legittimo necessitava del consenso popolare ed i prìncipi italiani ed i monarchi europei erano vincolati all’autorità imperiale, considerata originaria e prevalente rispetto ai poteri spettanti ai regnanti territoriali.

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.328 Appendice

◆alessandro iii (Rolando Bandinelli) (Siena, inizi XII secolo - Civita Castellana, 1181)

Canonista e pontefice. Allievo di Graziano, scrisse una summa esplicativa del Decretum. Docente di diritto a Bologna, divenne cardinale (1150), poi cancelliere della Chiesa (1153). Fu assistente di papa Adriano IV nelle controver-sie con l’Impero, durante la dieta di Besançon (1157). Alla morte di Adriano (1159) fu eletto pontefice. La minoranza filo-imperiale dei cardinali gli contrappose l’antipapa Vittore IV, appoggiato dall’imperatore Federico I di Hohenstaufen. Alessandro III, sostenuto da Francia, Spagna e Inghilterra, scomunicò l’antipapa, l’imperatore e i loro sostenitori. Tra il 1160 e il 1165 risiedette in Francia, lottando contro gli antipapi successivi. Rien-trato a Roma, appoggiò la formazione della lega veneta e della lega lombarda nel 1167, in funzione anti-imperiale. Dopo la sconfitta dell’imperatore a Legnano (1176), ottenne il riconoscimento da parte di Federico.Nel 1179 indisse il Concilio lateranense III, a cui parteciparono trecento vescovi e durante il quale furono emanati 26 canoni. In esso fu stabilita la regola, tuttora vigente, che prevede il voto della maggioranza dei 2/3 dei cardinali per l’elezione papale.La figura di Alessandro III costituisce un caso esemplare di fusione tra l’attività teorica e l’azione politica: egli utilizzò, da pontefice, la sua cultura giuridica e la sua produzione scientifica per affermare la libertà della Chiesa, l’indipendenza del papato e l’obbligo per i sovrani di aiutare la Chiesa.

◆alighieri, Dante (Firenze 1265 – Raven-na 1321)

Poeta, scrittore e uomo politico.Ha qui rilievo per il contributo fornito ai concetti politici e giuridici medievali. In tal senso l’opera maggiormente attinente è il De Monarchia (1312-1313). Esso fu scritto in occasione della venuta in Italia dell’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, che nel 1311 scese nella penisola per farsi incoronare, nell’intento di restaurare l’autorità superiore dell’impero.Nel De Monarchia Dante distinse nettamente la Chiesa e l’impero, senza stabilire alcun rap-

porto di gerarchia fra i due ordini. In considera-zione della dualità della natura umana, l’uomo apparve a Dante destinato a due fini diversi: l’uno incorruttibile, l’altro corruttibile. Ed è all’impero che egli affidò il compito di guidare l’uomo al suo fine di essere corruttibile.Nel De Monarchia Dante affrontò tre proble-mi: se l’impero fosse necessario al bene del mondo; se i Romani avessero avuto tale diritto; se l’impero derivasse direttamente da Dio. Egli considerò l’unità politica della civiltà univer-sale come naturale. Ritenendo che l’attività di conoscenza fosse possibile solo all’umanità nel suo complesso, Dante rinvenne tale fine nell’unità politica del genere umano. Essa si sarebbe storicamente realizzata con il regno di Augusto (27 a.C.-14 d.C.), durante il quale, come nel paradiso terrestre, si era avverata la felicità umana: non è un caso, per Dante, che Gesù sia venuto al mondo durante tale periodo. Augusto nel campo temporale, Cristo in quello spirituale, fecero la felicità dell’uomo.La realizzazione storica della felicità uma-na permise a Dante di stabilire la necessità dell’impero e di riconoscerne ai Romani la legittimità. L’ambito temporale gli apparve dunque distinto dall’autorità spirituale del papa. Imperatore e papa, novelli Augusto e Cesare, esercitavano il loro ministero rispetti-vamente, per la felicità terrena e quella celeste, ma in maniera autonoma, in quanto entrambi promanavano da Dio. L’impero era dunque, per Dante, perfetto, un’autorità di per sé sacra, che non aveva bisogno della guida spirituale della Chiesa.La concezione dantesca dell’impero non può essere considerata utopistica, poiché l’impresa di Enrico VII fu vista come realisticamente possibile da molti uomini del suo tempo. Dopo il fallimento di tale impresa, non è da escludere un parziale ripensamento di Dante su tali temi. In effetti nella Divina Commedia, egli sembrò accettare la subordinazione delle forze politi-che ad una suprema autorità spirituale, fermo restando il carattere sacro dell’impero.

◆astolfoRe dei Longobardi dal 749 al 756. Fratello e successore di Rachis, ne continuò la politica antibizantina.

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.329Dizionario biografico

Ai Bizantini sottrasse Ravenna (751), annet-tendo l’Esarcato e la Pentapoli. Pretese di sottoporre a tributo i Romani e ciò determinò l’intervento di Pipino il Breve re dei Fran-chi, invocato da papa Stefano II. Da Pipino Astolfo venne sconfitto due volte (755 e 756) e fu costretto a restituire quasi tutti i territori conquistati.

◆austin, John (Creeting Mill 1790 – Wey-bridge 1859)

Filosofo e giurista inglese.Fu allievo di Jeremy Bentham, di cui riprese la distinzione tra l’indagine sul diritto com’è e l’indagine sul diritto come dovrebbe essere, occupandosi del primo aspetto. Per Austin lo studio del diritto va condotto con metodo analitico, sottolineando i caratteri comuni dei diversi diritti positivi.Austin è stato il maggior teorico moderno dell’imperativismo: la legge è un comando accompagnato da una sanzione proveniente da un superiore politico. Questi è un sovrano (individuo o assemblea) che non presta obbe-dienza abituale ad un’altra autorità, ricevendo obbedienza dai propri sudditi. Austin considerò il sistema giuridico come un insieme di coman-di emanati dal «sovrano», indipendentemente dal loro aspetto qualitativo.

◆autariRe dei Longobardi in Italia. Figlio di Clefi, salì al trono nel 581 dopo un decennio di anarchia. Respinse i Greci da Ravenna. Contrasse matri-monio con Teodolinda principessa di Baviera. Fu il primo re longobardo a intraprendere una politica di rafforzamento dell’istituto monar-chico a scapito dell’autorità dei duchi.

◆azzo  (o azzone)  porzio  (Bologna o Casalmaggiore, XII secolo - 1230)

Famoso giureconsulto, definito la «sorgente delle leggi». Tra i vari allievi della scuola dei Glossatori ebbe Accursio e all’interno della scuola stessa occupò una posizione di enorme prestigio.Scrisse una Summa Codicis che offrì una organica e sistematica sintesi di tutto il diritto civile e fu oggetto obbligatorio di studio tra gli studenti delle università, nonché di applicazio-

ne nella prassi, tanto che divenne frequente l’affermazione: «chi non ha Azzone non vada a Palazzo» per significare che nessun giurista poteva dirsi veramente tale se non avesse avuto un’adeguata conoscenza della Summa.Altre importanti opere di Azzone furono i Brocarda (regole generali di diritto) e le Questiones sabbatinae (discussione di casi controversi che davano luogo a dispute, per le quali era riservato di solito il giorno di sabato).

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◆Baldo degli Ubaldi (Perugia 1327 - Pavia 1400)

Giureconsulto civilista e canonista. Allievo di Bartolo da Sassoferrato, del quale fu allievo a Perugia, insegnò nelle migliori università italiane (Pisa, Perugia, Firenze, Bologna, Pa-dova e Pavia). Scrisse i Commentari al Corpus iuris civilis e ai Libri feudorum. Importanti furono anche i trattati Summula respiciens facta mercatorum, che può essere considerato il testo fondatore del diritto commerciale, il De commemoratione famosissimorum doc-torum, nonché una Lectura alle Decretali di Gregorio IX.Unitamente a quella di Bartolo, l’attività di consulente di Baldo degli Ubaldi rappresentò la più alta espressione della scuola dei Com-mentatori e si esplicò attraverso migliaia di pareri legali.

◆Bartolo da Sassoferrato (Sassoferrato, Ancona, 1313 - Perugia 1357)

Giureconsulto. Fu allievo di Cino Sighibuldi da Pistoia all’università di Perugia e si laureò a Bologna nel 1334. Insegnò diritto a Pisa e Perugia, fu avvocato, consulente e ammini-stratore pubblico.Scrisse oltre 40 trattati, tra cui il Tractatus Tyberiadias, il De regimine civitatis, il De Guelfis et Gebellinis e il De Tyranno, nonché numerosi consilia, quaestiones ed imponenti commentari a tutto il Corpus iuris civilis.Bartolo da Sassoferrato occupò una posizione di enorme prestigio nell’ambito della scuola dei Commentatori, per la capacità di interpre-tare le esigenze del suo tempo. Visse infatti nel secolo di massima esplosione della vita

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economica del comune, che pose alla dottrina il problema di determinare i rapporti tra ius commune e ius proprium.Nel De Tyranno Bartolo fornisce uno studio sul fenomeno della tirannide, ormai identi-ficata con le nascenti Signorie. La tirannide mascherata è quella che si esplica esasperando una iurisdictio ottenuta legittimamente, oppure esercitando dietro l’apparenza del rispetto delle forme costituzionali un potere attraverso strut-ture e consiglieri dipendenti direttamente dal signore e non integrati nell’organico.Nel De regimine civitatis Bartolo afferma che il regime repubblicano si addice alle piccole comunità, quello aristocratico alle medie e quello monarchico agli Stati più grandi.Traendo spunto dalla tradizione assolutistica tramandata dal tardo diritto romano imperiale, Bartolo da Sassoferrato sostenne che il princi-pe, pur non essendo vincolato alla legge, deve ritenersi ad essa sottomesso in base all’equità.

◆Bartolomeo da Capua (?-1328)Giurista e alto dignitario del Regno di Sicilia. Probabilmente studiò a Bologna; insegnò allo studio di Napoli. Ebbe la carica di protonotario (ministro guardasigilli) dei re angioini Carlo I, Carlo II e Roberto. Funse da supervisore alla redazione delle consuetudines neapolitanae, promulgate da Carlo II nel 1306.

◆Beccaria, Cesare (Milano 1738 - 1794)Studioso di scienze criminali ed economiche, nonché filosofo.Si laureò a Pavia nel 1758. Tra il 1763 ed il 1764 scrisse il saggio Dei delitti e delle pene, pubblicato a Livorno e tradotto in Francia nel 1766.Nel 1770 pubblicò le Ricerche intorno alla natura dello stile e scrisse gli Elementi di economia pubblica, editi postumi nel 1804 nella raccolta dei Custodi.Nel saggio Dei delitti e delle pene, il Becca-ria pose le basi del moderno diritto penale e processuale, in quanto la maggior parte dei princìpi da lui enunciati contro l’arbitrio e l’efferatezza del sistema penale d’antico regi-me costituiscono ancora oggi il fondamento di un ordinamento penale garantista e razionale.Beccaria ricavò dai princìpi contrattualistici il

diritto dello Stato di punire, che deve avere na-tura retributiva, ossia deve essere basato su una proporzione fra il delitto commesso e la pena comminata. Quest’ultima deve tendere non a vendicare l’offesa ma a riparare o prevenire il danno che il delitto arreca alla collettività.Secondo Beccaria il diritto deve essere chiaro e certo, in modo che i cittadini sappiano in precedenza ciò che è vietato e ciò che è con-sentito dalla legge e conoscano in anticipo le pene, indicate tassativamente dal legislatore, comminate per ogni fattispecie delittuosa.Nella sua opera, inoltre, è posto l’accento sulla necessità che le pene vengano applicate con rapidità, dal momento che una pena mite ma certa ha potere intimidatorio superiore rispetto a quello di una pena terribile ma incerta nella sua applicazione.In nome della socialità e dell’uguaglianza proclamati da Rousseau, Beccaria difendeva l’abolizione della tortura e della pena di morte, in quanto nessun uomo avrebbe mai consentito di delegare alla società il diritto di disporre della propria vita.I princìpi illuministici formulati nel saggio Dei delitti e delle pene vennero ben presto fatti propri da numerosi Stati europei, tra cui la Russia di Caterina II, la Prussia, l’Impero austroungarico e il Granducato di Toscana di Pietro Leopoldo, che riformò la legislazione penale nel novembre 1786.Infine, tali principi furono accolti in manie-ra organica nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789.

◆Bentham, Jeremy (Londra 1748-1832)Giurista, filosofo e uomo politico inglese. Compì gli studi giuridici ad Oxford.Scrisse il Frammento sul governo (1780) in cui affermò la necessità che la legge fosse resa esattamente conoscibile anche a coloro che non appartengono al mondo giudiziario; nell’In-troduzione ai princìpi della morale e della legislazione (1780) definì i princìpi delle sue teorie; nella Difesa dell’usura (pubblicata nel 1787) sostenne la libertà d’iniziativa econo-mica, accordata con una politica d’intervento dello Stato. Nell’Introduzione ai princìpi di morale e di legislazione (1789) espose idee a favore della pace sociale, o nella Crestomazia

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.331Dizionario biografico

(1815) propose l’introduzione di una tecnica di riordino delle varie leggi ed istituzioni.Tra il 1791 ed il 1813 l’impegno maggiore di Bentham fu a favore di un nuovo sistema carce-rario e, ispirandosi alle idee di Beccaria, elaborò un progetto di carcere modello, il Panopticon, avente la funzione di riabilitare i reclusi.Accogliendo la tradizione britannica che va da Hobbes a Locke Bentham diede grande impor-tanza al principio dell’utilitarismo, in virtù del quale la nascita della società e delle leggi si fonda esclusivamente sull’utile comune, ossia sul vantaggio che ne deriva alla collettività.La legislazione non deve fondarsi su astratti ed immutabili princìpi, ma deve basarsi sui motivi che guidano le azioni umane e stimolare quelle di comune utilità.

◆Bodin, Jean (Angers 1529 - Laon 1596)Giurista e uomo politico francese. Fu il prin-cipale teorico della sovranità.Fu professore di diritto a Tolosa ed avvocato a Parigi nonché membro degli Stati generali.L’opera più importante è i Sei Libri della Repubblica (1576), in cui egli teorizza i fon-damenti della monarchia assoluta, intesa come governo giusto, ossia conforme alla legge di Dio e di natura. Tale governo deve avere per obiettivo non la felicità, ma l’attuazione di valori morali.Secondo Bodin il potere sovrano può essere solo assoluto e non può essere esercitato in forma precaria. Il sovrano, inoltre, non deve essere soggetto a nessun’altra legge all’in-fuori di quella divina, ma ciononostante deve provvedere a dare ai propri sudditi norme di condotta ragionevoli nel loro interesse.

◆Bonaparte, napoleone (Ajaccio, Cor-sica 1769 - Sant’Elena 1821)

Nacque da Carlo e da Maria Letizia Ramolino.All’età di dieci anni entrò nell’Accademia militare di Brienne. Nell’autunno del 1784 venne trasferito alla scuola militare di Parigi e l’anno successivo venne nominato luogo-tenente d’Artiglieria. Dopo aver trascorso a Marsiglia una vita di stenti insieme alla propria famiglia, riuscì a fare carriera col suo reggimento. Conquistò i gradi di capitano, di colonnello e di generale di brigata.

Partecipò alla prima campagna in Italia nel 1794 agli ordini del generale Massena, tro-vando l’armata in uno stato di estrema miseria. Per un certo periodo restò in disparte a causa di intrighi e sospetti formulati nei suoi confronti dagli ambienti del Direttorio.Nel 1795 ottenne il comando della guarnigione di Parigi e, pur essendo corso riuscì, grazie alle doti dimostrate in battaglia contro i nemici del-la Convenzione, a guidare l’esercito d’Italia.Qui sconfisse più volte Austriaci e Piemontesi e ben presto riuscì ad occupare l’intera Lom-bardia, spingendosi addirittura in Austria, poco distante da Vienna.Nel 1798 con la spedizione d’Egitto conquistò Alessandria, e l’intero Egitto (battaglia delle Piramidi); quindi volse alla conquista della vicina Siria. Qui lasciò il comando della spe-dizione al generale Kleber e tornò in Francia.Nel 1799, abolito il Direttorio, si fece procla-mare Primo Console per un decennio.Nel 1800 condusse una nuova brillante cam-pagna in Italia, riportando numerose vittorie, tra cui famosa è quella di Marengo.Nel 1804 fu proclamato imperatore. L’anno successivo assunse a Milano anche la corona del Regno Italico.Durante il periodo dell’impero combatté contro la coalizione di Russia, Inghilterra, Austria e regno di Napoli. La Francia subì una clamorosa sconfitta vedendo la propria flotta, unitamente a quella spagnola, sgominata dalla flotta inglese dell’ammiraglio Nelson a Trafalgar nel 1805.Quando nel 1806 fu tolto ai Borbone il Regno di Napoli, Napoleone affidò quest’ultimo a suo fratello Giuseppe, mentre all’altro suo fratello Luigi egli affidò il regno d’Olanda. Nel 1812 Napoleone entrò a Mosca ma, poiché i Russi, nell’abbandonarla, l’avevano data alle fiam-me fu costretto ad una ritirata disastrosa per l’esercito. Nell’ottobre 1813 fu rovinosamente sconfitto nella battaglia di Lipsia. In Francia venne restaurata la monarchia dei Borbone (1814) e Napoleone fu costretto ad abdicare, venendo confinato all’isola d’Elba.Nel marzo 1815, tuttavia, rientrato in Francia tornò in battaglia, vincendo contro i Prussiani. Fu definitivamente sconfitto a Waterloo (giu-gno 1815) dal generale inglese Wellington.

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Dichiarato prigioniero, venne mandato in esilio a S. Elena ove morì il 5 maggio 1821.Molto cospicua fu l’attività legislativa di Na-poleone, al quale si deve soprattutto l’elabo-razione del codice civile, penale, di procedura civile e criminale.Il codice penale (1804) era diviso in 4 titoli, riguardanti gli omicidi e le offese persona-li; furti, rapine e aggressioni; disposizioni generali in materia di prove; sanzioni e loro applicazione. Il codice civile francese venne applicato nel Regno d’Italia nel 1805.Il codice di procedura penale fu promulgato nel 1807.

◆Budé,  Guillaume  (Guglielmo Budeo) (Parigi 1467-1540)

Giurista francese. Fu uno dei maggiori rap-presentanti dell’umanesimo giuridico: ne costituisce, con Andrea Alciato e Ulrich Zäsy, la «triade suprema».Scrisse le Adnotationes in Pandectas e le Adnotationes posteriores (sul Digesto), in cui applicò il metodo storico-filologico allo studio del Corpus iuris civilis; il De asse et partitioni-bus eius, un trattato sulle monete romane, ricco di annotazioni di natura economica e giuridica. Fu inoltre autore di un progetto per la forma-zione di un codice di leggi, che la monarchia francese avrebbe dovuto intraprendere, tenen-do presenti gli insegnamenti della tradizione giuridica romana e di quella francese.

◆Bulgaro (? - Bologna 1166)Giureconsulto. Fu detto anche Bocca d’oro (os aureum), per l’intelligenza e la raffinatezza delle teorie formulate.Fu uno dei quattro dottori della Scuola di Bo-logna, insieme a Iacopo di Porta Ravennate, Ugo di Porta Ravennate e Martino (Gosia), che raccolsero l’eredità di Irnerio.L’opera più reputata fu De regulis iuris, un ap-parato di norme esplicative al titolo omonimo del Digesto. Altre importanti opere furono una collezione di quaestiones, intitolata Stemma Bulgaricum; le Dissensiones dominorum, in cui, polemizzando con Martino, propugnò la tesi a favore di un’interpretazione strettamen-te aderente al testo delle leggi; il trattato De iudiciis, sul diritto processuale.

Nel 1158 Bulgaro fu convocato a scopo con-sultivo assieme a Martino, Iacopo e Ugo alla Dieta di Roncaglia da Federico I di Hohen staufen, che in essa riaffermò i diritti sovrani dell’imperatore sui comuni italiani.

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◆Carlo alberto (Torino 1798 - Oporto 1849)

Figlio di Carlo Emanuele di Savoia-Carignano. Durante i moti rivoluzionari del 1821 e dopo l’abdicazione del re di Sardegna Vittorio Emanuele I, assunse la reggenza dello Stato sabaudo (Piemonte e Sardegna) e promulgò una costituzione di stampo liberale, che ven-ne subito revocata dal successore di Vittorio Emanuele, Carlo Felice.Fu re di Sardegna dal 1831 al 1849 e sin dai pri-mi mesi del suo regno rivelò tendenze liberali e riformatrici del diritto piemontese. Alla sua iniziativa si devono, oltre all’abolizione della feudalità in Sardegna attraverso una serie di provvedimenti emanati tra il 1832 ed il 1840, l’emanazione di un codice civile (1837), di un codice penale (1839), di un codice delle leggi penali militari (1840), di un codice di commercio (1842) e di un codice di procedura criminale (1847).Il 4 marzo 1848 Carlo Alberto concesse lo Statuto, cui fecero seguito la legge elettorale politica (17 marzo) e quella sulla libertà di stampa (26 marzo). Il diritto speciale della Sar-degna, che dopo l’abolizione della feudalità e dopo la codificazione generale e la concessione delle libertà politiche non aveva più ragione di esistere, fu abrogato.Dopo l’insurrezione delle 5 giornate di Mi-lano, dichiarò guerra all’Austria (1848) ma, sconfitto a Custoza (25 luglio) e Novara (23 marzo 1849), fu costretto ad abdicare a favore del figlio Vittorio Emanuele II.

◆Carlo Felice (Torino 1765-1831)Ultimo figlio del re Vittorio Amedeo III, ebbe a succedere nel regno di Sardegna (1821-1831) al fratello Vittorio Emanuele I, il quale aveva abdicato in seguito ai moti rivoluzionari del 1821. Salito al trono, rinnovò gli istituti dell’antico regime, pubblicando un nuovo re-

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.333Dizionario biografico

golamento procedurale, una legge sulla pubbli-cità delle ipoteche, leggi penali per l’esercito, per la creazione e l’ordinamento della marina militare e per la marina mercantile.L’opera di maggiore rilievo, dovuta all’inizia-tiva di Carlo Felice fu la pubblicazione delle Leggi civili e criminali pel regno di Sardegna (1827), ossia un compendio di tutto il diritto esistente (privato, penale, processuale, feudale), redatto nel rispetto delle fonti antiche, del diritto comune e delle consuetudini locali dell’isola. Tale compendio rimase in vigore fino al 1848.Alla sua morte, Carlo Felice lasciò la corona al nipote Carlo Alberto.

◆Carlo Magno (o Carlo i Magno) (742-814)

Figlio del re dei Franchi Pipino il Breve. Cinse la corona nel 768 insieme al fratello Carloman-no. Alla morte di quest’ultimo (771), assunse il regno, unificandolo ed incorporandovi anche i suoi dominii in Neustria (Francia nord-occi-dentale), Austrasia (Francia nord-orientale) e Borgogna (Francia centrale), senza avere alcun riguardo per i nipoti, che insieme alla loro madre si rifugiarono in Italia, presso il re longobardo Desiderio. Nel 773 giunse in Italia, su richiesta di aiuto del pontefice Adriano I e vinse Desiderio, del quale aveva ripudiata la figlia Ermengarda (o Desiderata) e nel 774 prese anche il titolo di re dei Longobardi.Durante una serie di spedizioni caratterizzate da alterne fortune contro i Saraceni di Spagna, fu vinto a Roncisvalle (Spagna) nel 778, in cui perse la maggior parte dei suoi più valorosi soldati, tra cui il famoso paladino Orlando.Sottomise i Bavari (788) e gli Avari (796). Divenuto ormai signore di quasi tutta l’Europa occidentale, decise di muovere alla volta di Roma, capitale del mondo e nella notte di Natale dell’800 fu incoronato imperatore da papa Leo-ne III, segnando la rinascita dell’impero romano d’Occidente attraverso il Sacro romano impero.La sua età viene definita del primo Rinasci-mento, dal momento che diede allo Stato una razionale organizzazione giuridica, ammini-strativa e culturale.Negli ultimi anni di vita associò al trono im-periale il figlio Ludovico il Pio.

◆Cino Sighibuldi da pistoia (Pistoia 1250 ca -1336)

Giureconsulto. Fu la prima grande figura di rilievo della Scuola di pensiero dei Commen-tatori, ed elaborò un programma interpretativo della norma giuridica che utilizzava la dialetti-ca come mero strumento della ragione umana, ed era volto a cogliere la causa ispiratrice del testo normativo.Scrisse la Lectura super Codice (1312 o 1313), in cui venne preso in considerazione non solo il diritto giustinianeo, ma anche la recente realtà della legislazione statutaria. Ugualmente apprezzabili furono le due Lecturae sul Di-gestum vetus, oltre ad una cospicua serie di quaestiones, consilia e tractatus.Punto centrale della scienza giuridica è, se-condo Cino la ricerca dell’umano equilibrio (aequitas), che sempre esiste nei rapporti umani. Purtuttavia, l’aequitas si trasforma in comando imperativo (preceptum) soltanto dopo l’intervento di colui che ha il potere di formulare e promulgare una norma cogente e, poiché nell’intervento umano vi possono esse-re degli errori, il diritto può non coincidere con l’aequitas. Il giurista, pertanto, secondo Cino, deve servirsi dello strumento interpretativo della dialettica, senza lasciarsi condizionare dai canoni di questa e deve sapere respingere l’autorità di qualsiasi opinione ritenuta inac-cettabile.

◆Clodoveo i (465-511)Figlio di Childerico e fondatore della dina-stia merovingia. Conquistò le terre a nord e a sud della Senna e si impadronì del resto della Gallia, vincendo a Tolbiac gli Alemanni. Nello stesso periodo si convertì alla religione cattolica, già professata dalla moglie Clotilde, diffondendola tra i Franch ed offrendo la propria protezione ai vescovi ed agli abitanti cattolici dei regni vicini. Sconfisse Alarico II, re dei Visigoti a Poitiers (507) ed estese i suoi possedimenti sino ai Pirenei, ove fondò il regno dei Franchi in Gallia. Nel 510 pose la capitale del regno a Parigi. A Clodoveo I si deve una raccolta di consuetudini del suo popolo. Alla sua morte il regno venne diviso tra i suoi quattro figli.


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