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TITO PUNTILLO BAGNARA 1799-1815 PATRIOTI E BRIGANTI DURANTE L’OCCUPAZI ONE FRANCESE Il sacrificio e il coraggio di un popolo, vittima delle lotte senza quartiere fra le truppe di occupazione, da Championnet a Gioacchino Murat, e la resistenza dei contadini, levatisi a massa in difesa di Re Ferdinando PARTE PRIMA IL 1799 A BAGNARA BAGNARA CALABRA Novembre 2015 CIVILTÁ DELLO STRETTO QUADERNI BAGNARESI Bagnara: Storia, Cultura, Società, Civiltà del Lavoro Anno 1 nr. 12 (Novembre 2015) NUOVA SERIE
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TITO PUNTILLO

BAGNARA 1799-1815 PATRIOTI E BRIGANTI DURANTE L’OCCUPAZIONE FRANCESE

Il sacrificio e il coraggio di un popolo, vittima delle lotte senza quartiere

fra le truppe di occupazione, da Championnet a Gioacchino Murat,

e la resistenza dei contadini, levatisi a massa in difesa di Re Ferdinando

PARTE PRIMA – IL 1799 A BAGNARA

BAGNARA CALABRA

Novembre 2015

CIVILTÁ DELLO STRETTO

QUADERNI BAGNARESI Bagnara: Storia, Cultura, Società, Civiltà del Lavoro

Anno 1 – nr. 12 (Novembre 2015)

NUOVA SERIE

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QUADERNI BAGNARESI (Nuova Serie)

Anno I – nr. 12/Novembre 2015

Pag. I

LA FORZA DALL'AMORE LA FEDELTA' PER SEMPRE

T.P.

QUADERNI BAGNARESI

Redazione: Tito Puntillo, Piazza Rivoli, 7- 10139 Torino [email protected] – 338.75.87.681

Periodico pubblicato dal Gruppo giovanile S.O.S. Bagnara … Vi è l’obbligo di citare la fonte, nel caso di utilizzo del materiale documentario. Gli eventuali contributi si possono inviare per file all’indirizzo indicato.

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Sito internet: S.O.S. BAGNARA

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Anno I – nr. 12/Novembre 2015

Pag. II

DEDICA

“le Donne di Calabria si riassumono in sintesi concettuale nella Bagnarota, perché alle Bagnarote mancò la fortuna non la forza e l’onore”. Tito Puntillo

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Anno I – nr. 12/Novembre 2015

Pag. III

PATRIOTI E BRIGANTI DURANTE L’OCCUPAZIONE FRANCESE

PARTE PRIMA IL 1799 A BAGNARA

1.- UNA BREVE INTRODUZIONE Presento qui un Saggio che ho scelto di non pubblicare sotto forma di libro, ma veicolarlo attraverso Internet e questo per due motivi:

a) Considero Internet il futuro prossimo dell’Editoria, circostanza che consentirà di poter recepire una massa di informazioni maggiore di quelle offerte da una libreria tradizionale;

b) Il costo del Saggio è zero per coloro che vorranno consultarlo. Il lavoro è la parte introduttiva di un’ampia ricerca sugli Anni 1799-1815 a Bagnara e in generale nella Calabria rivoluzionaria. Spero che esso possa vedere la luce in un futuro prossimo. Molti fatti sono esposti con la crudezza che li ha realmente contraddistinti ed è questa una scelta che ritengo consona per rappresentare quanto fu a Bagnara e anche in Calabria, la portata degli scontri fratricidi. Peraltro, la narrazione è resa semplice, scorrevole e spero intuitiva. Insomma: non è un saggio “accademico”, ad uso di pochi studiosi, ma divulgativo perché il patrimonio storico della Calabria deve essere di tutti i Calabresi. Non è un Saggio accademico ma ritengo esaustivo, e questo è per me importante. Come scrivevo sopra, esso è la sola parte introduttiva di una più vasta ricerca sul Brigantaggio a Bagnara e in Calabria dal 1799 al 1815, si ferma cioè all’ingresso del Cardinale Don Fabrizio Ruffo dei Duchi di Baranello-Bagnara, proprio a Bagnara e la narrazione si allarga però ai preliminari dello sbarco al Pezzo, la formazione dell’Armata della Santa Fede e il ruolo giocato da diversi personaggi, ognuno dei quali è collocato al suo posto d’origine. Sono purtroppo molte le persone che confondono i “Fatti” con i “Non fatti”, scambiandone il significato. Un individuo impegnato sul campo, vicino alla gente, deve produrre fatti percepibili dalla gente per il loro uso o beneficio, un ricercatore deve produrre invece significativi resoconti che possano servire alla gente per capire, comprendere, decidere. I “non fatti” sono le azioni inconcludenti, che produce chi sta sul campo, e gli Studi dozzinali, ripetitivi, talvolta fuorvianti, di colui che intende scrivere, e che non sono recepiti dalla gente con sensazione positiva. La nostra Società Calabrese non è ancora purtroppo una «Società Aperta». Tanti i suoi nemici e tutti accomunati in élites fasulle, che temono il progresso delle lettere e delle arti, la vittoria della scienza sulla superstizione, la formazione di élites davvero capaci di mettersi alla guida della nostra gente, il prevalere della capacità intellettuale sulle loro mediocrità, colle quali pretendono di gestire la Società nostra con fare prevaricatorio. Gente che ha nessuna remora a minimizzare il lavoro altrui, definendolo qualunquista, oracoleggiante, profetizzante, ecc., quando anche risulto molto qualificato, se esso oscura la loro visibilità o denuncia il loro retrivo modo di fare ed essere. Si trovano costoro a tutti i livelli della nostra Società e il loro essere ed esistere, impedisce ai Calabresi di migliorare, esprimersi liberamente, conseguire capacità decisionale. Anche per tale motivo, questo Saggio desidero rientri nel ventaglio di lotta contro tutte le dittature che tengono prigioniero il Popolo Calabrese. Tito Puntillo

Torino, Giugno 2011 (data della prima edizione)

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Anno I – nr. 12/Novembre 2015

Pag. IV

FONTI UTILIZZATE.

ASN = Archivio di Stato di Napoli

ASR = Archivio di Stato di Reggio

ASCL = Archivio Storico per la Calabria e la Lucania

ASC = Archivio Storico Calabrese

ASPN = Archivio Storico per le Province Napoletane

MALASPINA = FILIPPO MALASPINA, Occupazione dé Francesi del Regno di Napoli dell’anno 1799. Invasione del Regno

nel 1806 e l’impresa intrapresa dal Cardinale Don Fabrizio Ruffo di Baranello, di cacciare i Francesi dal Regno

di Napoli, di cui l’Autore di questo scritto, Marchese Filippo Malaspina, fu l’Aiutante Reale del detto Cardinale,

Stamp. Orientale di Dondey-Dupré, Parigi 1846

SACCHINELLI = Abate DOMENICO SACCHINELLI, Memorie Storiche sulla vita del Cardinale Fabrizio Ruffo, scritte

dall’Abate .D.S., già segretario di quel porporato, con osservazioni sulle opere di Coco, di Botta, e di Colletta,

Tip. C. Cataneo, Na. 1836

CIMBALO = Frà ANTONINO CIMBALO, Itinerario di tutto ciò ch’è avvenuto nella spedizione dell’Eminentissimo Signor

D.Fabrizio Cardinal Ruffo, Vicario generale per S.M. nel Regno di Napoli per sottomettere i ribellanti Popoli di

alcune Provincie di esso, tipografia Vincenzo Manfredi, Napoli 1799

HELFERT = Barone JOSEPH ALEXANDER von HELFERT, Fabrizio Ruffo. Rivoluzione e Controrivoluzione di Napoli

dal Novembre 1798 all’Agosto 1799, Loescher & Seeber ed., Firenze 1885

PETROMASI = DOMENICO PETROMASI, Storia della spedizione dell’Eminentissimo Cardinale D.Fabrizio Ruffo, allora

Vicario Generale per S.M. nel Regno di Napoli e degli avvenimenti e fatti d’armi accaduti nel riacquisto del

medesimo, compilata da D.P. commissario di guerra e tenente colonnello dé Reali Eserciti di S.M. Siciliana,

V.Manfredi ed., Napoli 1801

SAVOJA = D.A. SAVOJA, Diario della Spedizione del Card. Ruffo nel 1799, tip. Paolo Siclari, Reggio 1889

APA = FRANCESCO APA, Brieve dettaglio di alcuni particolari avvenimenti accaduti nel corso della campagna

nella spedizione dell’Eminentissimo D.Fabrizio Ruffo, Cardinale di Santa Romana Chiesa qual Vicario Generale

per Sua Maestà nel Regno di Napoli, esposti nella sua genuina verità dal rev. Sac. D.F.A. arciprete della

Metropolitana Chiesa di Santa Severina, qual testimone di veduta, e di fatti dai 17 marzo a tutto il 13 giugno

dell’anni 1799, tip. Vincenzo Manfredi, Napoli 1800

COPPI = A. COPPI, Saggio sulle rivoluzioni del Regno di Napoli, Michele Ajani, e figli ed., Roma 1815

SANSONE = ALFONSO SANSONE, Avvenimenti del 1799 nelle Due Sicilie, Era Nova ed., Palermo 1901

PETTIGREW = THOMAS J. PETTIGREW, Memoirs of the life of Vice-Admiral Lord Viscount Nelson, T & W. Boone ed., Londra, 1849

PALUMBO = RAFFAELE PALUMBO, Carteggio di Maria Carolina con Lady Emma Hamilton, Iovene ed., Napoli 1877

CACCIATORE = ANDREA CACCIATORE, Esame della storia del Reame di Napoli di P.Colletta dal 1794 al 1825, tip. Del

Tramater, Na. 1850

Bibliografia essenziale (Ulteriori rimandi bibliografici sono stati inseriti nel corpo del testo.)

- GIOVANNI RUFFO, Il Cardinale Rosso, Calabria Letteraria Ed., Soveria M. 1998

- GIOVANNI MARESCA, Carteggio del Cardinale Fabrizio Ruffo con Lord Acton e la Regina Maria Carolina, ASPN

varie

- GIOVANNI RUFFO, Il Cardinale Fabrizio Ruffo e la controrivoluzione del 1799, ASC, a.VI (1918)

- MARIO CASABURI, Fabrizio Ruffo. L’uomo, il Cardinale, il condottiero, l’economista, il politico, Rubbettino ed.,

Soveria M. 2003

- GIOVANNI RUFFO-DOMENICO DE MAIO, Il cardinale Fabrizio Ruffo tra psicologia e storia. L’uomo, il politico, il

sanfedista, Rubbettino ed., Soveria M.1999

- Barone J.A.v.HELFERT, Maria Carolina di Napoli e la fuga a Palermo nel dicembre 1798, ASPN, A.VI, FSC. I (1881)

- FRANCESCO PIGNATELLI STRONGOLI, Intorno alla guerra tra la Repubblica Francese e il Re di Napoli ed alla

rivoluzione che ne fu conseguenza, opuscolo di F.P.S. Generale di Brigata (1800-1801)

- GIUSEPPE CARIDI, La spada, la seta, la Croce. I Ruffo di Calabria dal XIII al XIX secolo, S.E.I., Torino 1996

- GIUSEPPE CARIDI, I Ruffo(secoli XIII-XIX), Falzea ed., Reggio 1999

- PETER NICHOLS, Rosso Cardinale, Editori Riuniti, Roma 1983

- ANTONIO CARDONE, Il cardinale Ruffo, ed. Loffredo, Napoli 1999

- ANTONIO MANES, Un Cardinale Condottiero. Fabrizio Ruffo e la Repubblica Partenopea. Saggio storico, Novissima

ed., Aquila 1929

- GIUSEPPE FIMMANO’-ALBERTO GUENZANI, I Ruffo e la Contea di Sinopoli tra Medioevo e Rinascimento, Ed.

Calarco, Taurianova 2005

- NICOLA DELLA MONICA, Le grandi famiglie di Napoli, Newton Compton ed., Roma 1998

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Anno I – nr. 12/Novembre 2015

Pag. - 4 -

- DOMENICO SACCHINELLI, Risposte dell’ab. D.S. sulle Memorie Storiche della vita del Cardinale Fabrizio Ruffo per

l’impresa guerriera del 1799, Tip. Carlo Cataneo, Napoli 1838

- BENEDETTO CROCE, La Rivoluzione Napoletana del 1799, Laterza ed., Bari 1912

- GAETANO CINGARI, Giacobini e Sanfedisti in Calabria nel 1799, Casa del Libro ed., Reggio 1978

- AA.VV., Geografia e Storia dell’idea di Libertà, Falzea ed., Reggio 2000

- DOMENICO GIOFFRE’, La Gran Casa dei Ruffo di Bagnara, Equilibri ed., Reggio C. 2010.

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Anno I – nr. 12/Novembre 2015

Pag. - 5 -

INDICE

1. Echi della Rivoluzione Partenopea a Bagnara pag. 5 2. L’attacco dei Femioti a Bagnara pag. 6 3. La Bassa Calabria cardine strategico antigiacobino pag. 10 4. I piani di difesa del Regno: il ruolo di don Pasquale Versace pag. 15 5. don Fabrizio Ruffo, il terzo Cardinale di Bagnara

5.1 – Storia del Feudo di Baranello pag. 20 5.2 – La formazione di Fabrizio Ruffo a Roma pag. 21 5.3 – La condizione economica dello Stato Pontificio e gli studi di Fabrizio Ruffo pag. 22 5.4 – Fabrizio Ruffo «Tesoriere Generale» dello Stato Pontificio pag. 24 5.5 – L’opposizione del “Partito Curiale” alle riforme di Fabrizio Ruffo pag. 27 5.6 – Fabrizio Ruffo alla Corte di Ferdinando IV a Napoli pag. 29 5.7 – Genealogia del Cardinale Fabrizio Ruffo dei Duchi di Baranello-Bagnara pag. 32

6. Il piano controrivoluzionario. Il ruolo di Bagnara pag. 37 7. I preparativi per la spedizione in Calabria pag. 42 8. Tensioni a Bagnara alla vigilia dello sbarco in Calabria del cardinale Ruffo pag. 48 9. La formazione della Banda Calarco a Bagnara pag. 49 10. Fabrizio Ruffo e i preparativi a Messina pag. 51 11. Lo sbarco del Cardinale Ruffo in Calabria pag. 55 12. La formazione dell’Armata della Santa Fede al Pezzo; a Bagnara le prime vittime pag. 59 13. L’Armata del Cardinale a Bagnara pag. 62 14. Il Proclama di Bagnara e il Manifesto di Palmi pag. 66

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Anno I – nr. 12/Novembre 2015

Pag. - 6 -

1.- ECHI DELLA RIVOLUZIONE PARTENOPEA A BAGNARA Gennaio 1799: le notizie sui disordini provocati dalla Rivoluzione Partenopea giungevano lungo la costa calabrese, portati dai Padron di Barca di Bagnara e Scilla. Informavano su un peggioramento di quanto stava avvenendo nella Capitale. I Padron di Barca conoscevano i luoghi ove si stavano svolgendo i fatti rivoluzionari, frequentatori com’erano dei porti del Mediterraneo. I paesi anseatici della costa calabrese dello Stretto, erano dunque aggiornati su quanto accadeva nel mondo, a differenza dei paesi aspromontani, collegati colla civiltà esclusivamente dai procaccia settimanali, dai mulattieri e dalle Bagnarote. Tramite i procaccia provenienti da Lagonegro, i mulattieri che risalivano le Costere per mercanteggiare e le Bagnarote che tenevano i collegamenti commerciali colla Costa, le notizie della Rivoluzione si apprendevano sull’Aspromonte con qualche dettaglio, aumentate di clamore dalle prediche dei parroci, che raccontavano che il Regno era in pericolo e la fuga del Sovrano a Palermo minacciava segnali di precarietà anche in Calabria. La popolazione dell’Altopiano conduceva “normalmente” una vita stentata sui campi e nei piccoli laboratori artigiani, colle sole preoccupazioni di terminare la giornata con qualcosa da porre sulla tavola per la cena e proteggere la piccolissima proprietà, la capra, le cinque galline, il mulo. Ciò che stava all’esterno di questo mondo assoluto, costituiva per il contadino una minaccia, vissuta col terrore della fine imminente. La popolazione dell’Altopiano era sconvolta e le nuove su un peggioramento della situazione, dovuta all’ingresso dei “senza Dio” francesi nella Capitale, stava trasformando le ansie in terrore per il futuro. La fame si rafforzava pertanto di altre preoccupazioni e tutti si chiedevano: cosa sarebbe successo? Come avrebbero potuto vivere se i bollori della Rivoluzione di Napoli si fossero trasferiti sulla costa calabrese? I collegamenti commerciali delle Bagnarote si sarebbero interrotti, non avrebbero più ricevuto quanto occorreva per il lavoro e sarebbe sopravvenuta la miseria vicino alla morte; i Baroni, che avevano difeso i bisnonni e i nonni dagli attacchi saraceni e che adesso li stavano proteggendo dagli attacchi del malgoverno locale, dalla furia dei banditi che infestavano le strade e dalle situazioni conflittuali attraverso mediazioni nelle liti (i Baroni sapevano leggere e scrivere e conoscevano “i Signuri” di Napoli che erano poi il riflesso del Re in persona)1 sarebbero stati ammazzati dai Rivoluzionari, insieme al Re che era il Padre Protettore del loro pezzetto di terra e di quella Fede esercitata dal loro parroco; egli li consigliava nella dura vita quotidiana e pregava la Santa Vergine perché intercedesse con un Dio severo che mandava le punizioni sotto forma di terremoti, alluvioni, carestie ed epidemie per punire i peccatori. Tutto sarebbe precipitato nel baratro e così il terrore nei terrazzani aumentava perché i rivoluzionari avrebbero ammazzato anche i Parroci e loro si sarebbero trovati indifesi, perso il piccolo campo, la vacca, le tre capre, le cinque galline. I rivoluzionari avrebbero bruciato il loro pagliaro costruito con pietra viva, calcina e paglia, violentato le donne e scannato i bambini. A questo punto l’ira di Dio si sarebbe scatenata sul mondo distruggendo tutto.2 Questi rivoluzionari, questi Giacobbini bisognava fermarli!

1 Sul ruolo del Feudatario nella società calabrese (sistema feudale come “male necessario”, in assenza di un sistema di

governo centrale e soprattutto locale efficiente ed efficace), è interessante lo studio di ROMUALDO TRIFONE, Feudi

e Demani. Eversione della feudalità nelle Province Napoletane, Società Editrice Libraria, Mi. 1909. 2 Il fenomeno della «modernizzazione» che caratterizzava i grandi circuiti commerciali e i sistemi produttivi basati sulla

competizione, innescata dalle tecnologie produttive innovative, era in realtà una delle principali cause del

“peggioramento effettivo” della vasta schiera di campi e campetti che costituivano la disgiunta economia contadina calabrese. Essa trovava nel signore baronale, nel mercante e nel sistema religioso, gli unici punti di riferimento per

l’attività rurale e quella sociale ad essa legata (cfr.: GAETANO CINGARI, Giacobini e Sanfedisti in Calabria nel 1799,

D’Anna ed., Me. 1957, p. 20; AUGUSTO PLACANICA, Alle origini dell’egemonia borghese in Calabria. La

privatizzazione delle terre ecclesiastiche (1784-1815), Società Editrice Meridionale, Sa. 1979, p. 410).

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Anno I – nr. 12/Novembre 2015

Pag. - 7 -

Erano la razza “borghese”, quei maledetti avvocaticchi, “dottori”, notari, impiegati delle strutture pubbliche, padroni delle dogane e caporali, che infestavano i Paesi, vivendo da parassiti ai bordi delle corti baronali e dei potenti mercanti e succhiando sangue dalla povera gente pur di stare a galla, sentirsi importanti e mantenere la raggiunta, fasulla posizione sociale. I contadini della Piana e dell’Aspromonte, odiavano quei buoni a nulla che si davano un contegno da teatranti ma che nella sostanza erano “aria fritta” che inquinava l’ambiente e li apostrofavano in modo impietoso:

tutti i ceija passaru e cacaru, puru chiji senza culu a differenza del Barone e del ricco mercante, in genere Sindaci del Comune, Priori delle Confraternite e padroni di terre cedute in affitto agli stessi contadini. Loro ne riconoscevano la portanza e l’influenza e dicevano che:

caca kiù nù voj ca centu ceiji Eppoi questi “cappelli”, questi intrallazzatori col diavolo, erano identici a quelli che popolavano la Capitale ed era risaputo che s’accompagnavano a Napoli coi Francesi3, un “comparato” che s’intrallazzava appunto col diavolo per distruggere la loro vita e prendersi i loro campi! I contadini cominciarono a raccogliersi in pattuglie numerose, quasi a farsi coraggio l’un l’altro. Vagavano per i campi e i Paesi dei Piani della Corona e della Piana, spesso guidati dai parroci che li istigavano a unirsi, a stare compatti e pregare armati. Le comunità aspromontane cercavano di farsi forza trovandosi sotto uno stendardo colla Croce o attorno a una chiesa ad ascoltare ma più che altro per guardarsi l’un l’altro e nell’incrocio degli sguardi, trovare il coraggio di resistere. Resistere mettendosi a difesa voleva dire procurarsi quanto necessario per sopperire alla mancanza di vettovaglie dovuta alla certa paralisi dei trasporti e al blocco della produzione. E a questi sentimenti, fungeva da ulteriore stimolo la propaganda che cominciava a esser fatta circolare ad arte dai messi che la Corte in esilio a Palermo aveva sparso per le contrade e fin fra i più remoti villaggi d’Aspromonte: “un nemico comune sta per minacciare la vostra tranquillità, i vostri averi, la Sacra Religione vostra, il vostro Re. State pronti alla difesa, riunitevi e lottate!” 2.- L’ATTACCO DEI FEMIOTI A BAGNARA Fu così che da S. Eufemia una di queste masse pensò di muovere su Bagnara. Torme di disperati armati di pali e ronche, capitanati da Padre Gaetano Richichi4, scesero con sacchi in spalla per predare i ricchi magazzini di Bagnara sperando di avere quanto servisse per fronteggiare il pericolo della fame imminente. Le colonne di Richichi si muovevano lentamente lungo i sentieri che dall’Altopiano degradavano con asprezza sopra Bagnara. Un territorio che intorno a Solano, era un fitto manto boscoso sistemato, con maestria di antichissima data, a castagneto, materia prima per le segherie, le botteghe artigiane del paese, i cantieri navali della Marina e il commercio verso Messina. Attraverso il grande bosco scorreva la strada regia delle Calabrie, sorvegliata dal presidio ducale di Solano, a sua volta protetto da una “Specola”, una gigantesca torre di guardia che affacciava sopra Bagnara dall’alto della montagna, visibile anche a molte miglia di distanza dalla costa e dai punti più lontani dell’ampio golfo di Sant’Eufemia. Il Duca di Bagnara l’aveva nel tempo trasformata in una specie di palazzo-fortezza che ne aumentò l’aspetto di gagliardo guardiano della Montagna.

3 L’attività assistenziale attuata dai religiosi era rimasta diffusa in modo capillare nelle campagne meridionali, malgrado

la chiusura dei conventi e la Cassa Sacra del 1784. Un sistema che consentiva ai rurali di sopravvivere là dove erano

insufficienti le risorse naturali e i collegamenti col resto del mondo. L’attività assistenziale s’accentuava di molto negli agglomerati urbani, ove proliferarono le opere di carità dei conventi e delle confraternite. L’ostilità giacobina verso la Chiesa esasperò dunque gli animi dei popolani e dei contadini (G.GINGARI, Giacobini…, cit, p.30). Né valsero gli avvicinamenti, talvolta plateali come nel caso del rito del Miracolo di San Gennaro a Napoli, dei Francesi e dei

Giacobini ai riti religiosi. Si trattò sempre di un utilizzo strumentale della componente religiosa, comprese le citazioni di

passi del Vangelo, adattati per affermare la positività della Rivoluzione. In realtà nessun Giacobino si dichiarerà

apertamente cristiano e men che meno cattolico. La discendenza ideologica era quella dell’Encyclopedie e di Rousseau, secondo i dettami della prima Rivoluzione Francese. (RENZO DE FELICE, Italia giacobina, ESI, Na. 1965, p. 258). 4 Sul Padre G.Richichi, accesissimo realista come il conterraneo D. Vincenzo Luppino, cfr. L.CONFORTI, La

repubblica napoletana e l’anarchia regia nel 1799, vol. IV., Avellino 1890, da pg. 118.

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Verso il Mastio di Barano e la Melarosa, il bosco lasciava il posto a gelseti, curati con amore dai Palarinoti, perché fornivano una seta di pregio, commercializzata nel mercato di Seminara ed esportata.

La linea di demarcazione correva lungo la mulattiera che partendo da sotto Purello, vicino al picco del Pinno, martoriato dal terremoto del 1783, saliva con difficoltà al Malopasso, girava attorno all’Affacciata e poi s’immergeva nei castaniti e gelseti di Pellegrina per raggiungere Palmi e Seminara. Il territorio attraversato, era un sistema rasolato attrezzato a vigna e giardino prevalentemente di pruneti, con un accostamento pregevole alle colture a gelseti (gelsi bianchi), sistemate fra lo Sfalassà, ove era in funzione la grandiosa Cartiera del Duca di Bagnara, e la fine di Prajalonga, sul limitare del Torrente Favazzina. La parte iniziale di questa mulattiera si chiamava nell’Ottocento “Cruci” e collegava la Marinella di Porto Salvo al Pinno.5 Da qui s’inerpicava fino al Malopasso dopo una biforcazione con una via che s’immergeva nell’abitato di Purello e un’altra, la strada Ruffa, che dallo spiazzo vicino al Pinno, ove stavano ancora le rovine della Reale Abbazia Normanna e quelle del Palazzo Ducale dei Ruffo, in avanzato stato di recupero, portava al Borgo marinaro.

Un percorso tortuoso per affrontare il quale, soprattutto in Inverno, i viaggiatori forestieri chiedevano una guida palmisana o bagnarota e che adesso la colonna femiota percorreva con fatica. I Rasolari di Santa Barbara e della Malarosa ebbero il tempo per dare l’allarme. La Città si mobilitò: fra Purello e l’Affacciata, la strada fu trincerata e posta a difesa dai benestanti armati con moschettoni e pistole mentre la sovrastante mezza costa di castaniti, venne occupata da gente munita di armi bianche. La colonna di Richichi capitò così in mezzo alla difesa bagnarota e non riuscì né ad avanzare verso la trincea, data la strettoia naturale della strada, né ad allargarsi sul fianco, la strada rasentava il precipizio del Malopasso, coperto dalla fitta foresta di pruni selvatici. Il tentativo di guadagnare i castaniti per aggirare la strettoia trincerata, fallì di fronte a una pioggia di lance e sassi. Gli assalitori fuggirono senza combattere.6 L’attacco femioto al Paese, impresse un’accelerazione reazionaria alla già precaria vita civile dei Bagnaroti. La Città era consapevole della gravità della situazione politica. Durante le riunioni nelle Confraternite e sugli scali della spiaggia o sulla spianata dell’Abbazia, ove si osservava coi cannocchiali lo Stretto solcato da navi da guerra, si discuteva degli avvenimenti che accadevano intorno a Bagnara.

5 La denominazione della scalinata che dalla Marinella di Porto Salvo sale verso Purello, risale al 1861 ed è quindi

successiva al Terremoto del 1783, quando venne così battezzata per la presunta presenza dei fantasmi dei morti

insepolti del Terremoto. Chi la utilizzava, si faceva prima il segno della Croce per ripararsi dalle loro presenze. La

Grande Specola d Solano, visibile da tutta la costa, rovinò col tempo. Ma esiste ancora in agro di Solano, la località

denominata «La Torre», interessante per una campagna di ricerca. 6 La località esiste ancora. L’Affacciata è il piccolo slargo dopo la curva delle fontane del Malopasso, salendo verso

Pellegrina e dal quale si ammira il panorama di Bagnara e dell’ingresso del Canale.

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Gli eventi non erano valutati come inizio dell’apocalisse e come temeva il basso popolo, ma come pericoloso veicolo di devastazione per il sistema produttivo-commerciale dello Stretto, una volta neutralizzate le garanzie che il governo borbonico, nel bene e nel male, era in grado di fornire e sostituite da un sistema francesizzante, per le forti imposizioni fiscali e le esose richieste di forniture di guerra. Qualche giorno prima dell’attacco femioto, i Padron di Barca avevano raccontato di una rivolta, a Napoli, di Lazzari contro Giacobini, appoggiati dai cani Francesi7. Piogge di sassi avevano investito le truppe d’assalto del Generale Championnet,8 pilotate dai Giacobini per le vie della Capitale. E magnificavano i Lazzari, ragazzi, capaci di lanciare sassi da distanza, colpendo il bersaglio anche oltre gli ostacoli e le stesse case. I sassi cadevano precisi senza che il nemico riuscisse a stimare da dove provenissero. E poi dalle finestre le donne gettavano sui francesi acqua bollente, oggetti appuntiti e masserizie per renderne difficoltosa la marcia. Tutto fra urla e fumo acre degli incendi.

7 L’espressione Cani si usava in Calabria per apostrofare in spregevole una persona. Esti nù cani; Cani j bajola,

canazzu, faci canarie, facevano riferimento però non all’animale amico dell’uomo, bensì ai Saraceni. Dunque i Cani

erano i Saraceni che, in branco, depredavano le marine della costa tirrenica calabrese, prendendo a base logistica Capo

Vaticano, cioè ‘u Capu aundi battivanu i Cani, cioè Batti-Cani, Vaticani e poi Vaticanu nella sua modernizzazione.

Quando si dice dunque manchicani! si vuole sottolineare un fatto, un gesto talmente orribile che neanche i Saraceni

avrebbero compiuto. 8 Championnet si chiamava in realtà Jean Etienne Vachier, era nato in Valence nel 1762. Si arruolò ragazzo e si mise in

luce durante la prime fasi della Rivoluzione Francese. Partecipò alla Campagna del Reno, sotto il Generale Pichegru,

distinguendosi durante le azioni nel Palatinato. Fu durante la Battaglia di Fleurus che trovò l’occasione per dimostrare abilità nel cuore del combattimento, manovrando in modo decisivo per la vittoria del Generale Jourdan. Durante le

campagne successive, ottenne il comando dell'ala sinistra delle armate francesi. Divenne protagonista nel 1798, quando

alla testa dell’Armé de Rome, con appena 8.000 effettivi e poche munizioni, si mosse a difesa della Repubblica

Romana. Si trovò di fronte il Generale Mack von Leiberich che disponeva di 80.000 effettivi ben armati. Championnet

affrontò i Napoletani a Civita Castellana il 5 dicembre 1798, entrando vittoriosamente a Roma. Le sue truppe quindi, si

misero all’inseguimento dell’Esercito Napoletano entrando senza ostilità nel Regno di Napoli. L'11 gennaio 1799

stipulò un armistizio col vicario del Re, Francesco Pignatelli e il 23 gennaio entrò in Napoli, favorendo così la

formazione della Repubblica Partenopea a matrice giacobina, mai riconosciuta dal governo francese. Non cessando le

sue ostilità verso i rappresentanti del Governo Giacobino, fu richiamato in patria e tratto in arresto il 24 febbraio 1799 e

sostituito in Napoli dal Generale MacDonald. Chiuse le indagini sul suo operato, fu reintegrato con onore nel grado e

nel 1800 ebbe il comando dell’Armata delle Alpi, che costituì e pose in grado di combattere in tre mesi. Le sue truppe

furono decimate da un'epidemia di tifo e Championnet fu sconfitto a Genola il 4 novembre 1799 dagli austro-russi.

Colpito anche lui dall'epidemia che aveva falcidiato le sue truppe, morì pochi mesi dopo. Mac Donald discendeva da

una famiglia di scozzese. Nel 1784 prestò servizio come sottotenente partecipando alla battaglia di Jemmapes (1792)

ove meritò il grado di colonnello, per conseguire l’anno successivo, il grado di generale. Combatté agli ordini di

Pichegru e fece parte dell’Armata del Reno. Fu richiamato da Napoli per le difficoltà incontrate dall’Armé al Nord. Il Generale Suvorov lo sconfisse nella battaglia sulla Trebbia (19 giugno 1799). Fu al fianco di Napoleone nel colpo di

Stato del 18 brumaio, e sempre al suo fianco, partecipò alla battaglia di Marengo ed alla campagna del Grigioni.

L’Imperatore lo inviò quindi in Danimarca come ministro plenipotenziario. Nel 1803 lo insignì “grande ufficiale della Legion d'Onore”. Difese il generale Moreau e per questo cadde in disgrazia. Nel 1809 riuscì ad ottenere il comando di una divisione del Principe Eugenio che dopo lo nominò comandante dell'ala destra dell'esercito. Nella battaglia di

Wagram (6 luglio 1809) si comportò da eroe, guidando in prima fila la carica finale della Guardia e si guadagnò il titolo

di Maresciallo dell'Impero e Duca di Taranto. Ottenne quindi il comando del VII Corpo d'armata in Spagna. Partecipò

alla Campagna di Russia al comando del X Corpo d'armata, Combatté con valore durante tutti gli scontri contro un

nemico meglio attrezzato e più numeroso e alla fine venne sconfitto dal Generale Blücher a Katzbach.

Rimase fedele all’Imperatore anche durante il suo declino e fino all’abdicazione a Fontainbleau (6 aprile 1814). Dopo

l'abdicazione, accettò di servire nell'esercito regio. Al ritorno dell’Imperatore dall’Elba, accettò solo l’incarico di granatiere nella Guardia Nazionale. Alla restaurazione, Luigi XVIII lo nominò Pari di Francia.

Morì nel suo castello a 75 anni d'età. (Wikipedia)

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Raccontavano ancora che era si vero che la Corte aveva lasciato la Capitale, ma che insieme alla Capitale, anche nelle Province e soprattutto nel Principato, il moto antifrancese andava crescendo. E si aggiungevano le dicerie più disparate: maltrattamenti a preti e monache, violazione dei luoghi sacri, saccheggi.

I Francesi poi, non supportati economicamente e logisticamente dal Direttorio, si prendevano quello che trovavano lasciando terra bruciata e quest’ultima notizia fu quella che alimentò le ansie delle popolazioni non ancora coinvolte nel vento rivoluzionario e che armò i contadini.9 Anche i marinai delle rotte adriatiche lo confermavano. I grossi trasporti di Bagnara e Scilla collegavano i porti delle Puglie con Venezia e Trieste e i Bagnaroti, per scambiare i prodotti, s’addentravano fin alle porte di Milano e Innsbruck. Vedevano dunque l’Armé d’Italie muoversi a ventaglio su tutta la Padana e raccontavano che le colonne francesi erano invincibili in Europa; nell’Alta Italia avevano cancellato le istituzioni monarchiche e costretto i religiosi a giurare su una Costituzione laica e blasfema; una massa di massacratori che non avevano avuto rispetto neanche per Sua Santità e le sedi religiose dipendenti dalla Città Santa.10 Nel Canale poi, i bagnaroti dal Belvedere potevano osservare le crociere delle navi da battaglia britanniche e portoghesi che andavano verso Procida, Ischia e Capri a bombardare i ribelli e le flotte alleate che muovevano sulla rotta di Malta e

verso l’Egitto; sul limitare delle rotte, la flottiglia di cannoniere del Re di Napoli che incrociava bassa, verso la costa calabrese.

9 La propaganda politica antigiacobina, cavalcava il timore della gente diffondendo nelle Province le deliberazioni del

Governo Repubblicano e gli atti amministrativi dell’Esercito di Occupazione francese. Fu in particolare la deliberazione per la contribuzione di 50 milioni di lire, chiesta dai francesi al popolo meridionale, la confisca dei beni nazionali e di

quelli dell’Ordine di Malta, a essere diffusa in modo da scavare un abisso fra il Governo Repubblicano e l’opinione pubblica delle Province. (F.PIGNATELLI STRONGOLI, Intorno alla guerra tra la Repubblica Francese e il Re di

Napoli ed alla rivoluzione che ne fu conseguenza, La Città del Sole ed., Na. 1999 (1801), p. 43) 10

La gente delle Province era abbondantemente premunita nei confronti dei francesi e non solo per le informazioni che

provenivano dai teatri della Rivoluzione. La Corte Napoletana riuscì a trasmettere l’odio antifrancese al popolo attraverso proclami durissimi veicolati per lo più attraverso la rete di chiese e conventi distribuita nel Regno, l’unica peraltro a possedere un sistema di comunicazione efficiente e capillare. La spedizione borbonica del 1798, guidata dal

gen. Mack per liberare Roma dall’occupazione francese, fu preceduta da un editto pubblicato in tutto il Regno: « quei francesi che uccisero il loro Re, che detestarono i templi, trucidarono e dispersero i sacerdoti…che tutte le leggi sovvertirono, qué Francesi non sazii di misfatti…apportano gli stessi flagelli alle Nazioni vinte o alle credule che li ricevono amici…Noi imitando l’esempio dei giusti e degli animosi, confideremo negli

aiuti divini e nelle armi proprie. Si facciano preci in tutte le chiese, e voi devoti popoli napoletani, andate in

tutte le chiese per invocare da Dio la quiete del Regno; udite le voci dé Sacerdoti…pensate che difenderemo la patria, il trono, la libertà, la sacrosanta religione cristiana e le donne, i figli, le dolcezze

della vita i patrii costumi…”

(P.COLLETTA, Storia del Reame di Napoli dal 1734 sino al 1825, UTET, To.18602, pag. 174).Il patriota è “uomo

conveniente alla Patria Repubblicana. Per essere buon Patriota in tal senso, bisogna essere uomo a cui non faccia

ribrezzo alcuna iniquità. Non si può dunque essere un buon Patriota senz’essere un ateo, un traditore del proprio legittimo Sovrano, della sua vera Patria, del proprio Padre, dé concittadini, di Dio, Religione, Costumi, sane massime, e

con tali prove di patriottismo si è poi sicuro delle prime cariche nella Patria Repubblicana”. Queste le definizioni dirompenti contenute in Nuovo Vocabolario Filosofico-Democratico indispensabile per ognuno che brama intendere la

nuova lingua rivoluzionaria, Andreola ed., Ve. 1799, p. 39.

Il Maresciallo Mac Donald durante la vittoriosa

Battaglia di Wagram combattuta a fianco

dell'Imperatore

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I trasporti mercantili per Messina infine, raccontavano che la Città dello Stretto, fedele al Re, era divenuta un presidio militare, collegato colla grande Piazza d’Armi di Reggio, posta a difesa del Canale dalla parte di Capo Spartivento. 3.- LA BASSA CALABRIA CARDINE STRATEGICO ANTIGIACOBINO

Dopo le congiure dei «Clubs» giacobini Vitaliano-De Deo-Galiano a Napoli nel 1794, Di Blasi-Porcaro-Patricola a Palermo nel 1795, e di Logoteta a Reggio alla fine del 179811 adesso a Palermo le preoccupazioni della Corte erano concentrate sul Canale. Si sarebbe potuta ripetere quella stagione susseguita al provocatorio ingresso nel Golfo di Napoli della flotta repubblicana francese dell’Ammiraglio Latouche-Tréville?12 Era dunque la Calabria a ripresentarsi come problema politico-militare. Alla Regina tornavano a mente le denunce che nel 1794 provenivano dal Vescovo di Mileto Enrico Capece Minutolo. Aveva denunciato al Re il «lacrimevole stato della Calabria», un tempo florida, ora in rovina per l’abbandono nel quale versavano i fondi agricoli già di proprietà degli ecclesiastici, incamerati dagli ufficiali governativi nella Cassa Sacra; denunciava la «rovina delle industrie», la «decadenza del commercio»,

11

L’Uditore D.Angelo Di Fiore adoperò la mano forte dopo la congiura Logoteta del 1798, tesa a favorire lo sbarco in Calabria di truppe bonapartiste, poi non eseguito per ragioni militari. Un traditore svelò i piani agli ufficiali governativi

sicché scattò l’inchiesta dell’Uditore che portò il 13 dicembre 1798, all’arresto di settantacinque persone fra Reggio e Palmi. Per il proseguimento dell’inchiesta, la polizia rimase a lungo a presidiare i centri interessati e quindi, per riflesso,

il movimento giacobino nei paesi anseatici non ebbe modo di svilupparsi. Il 7 maggio 1800 i «Signori del Regimento»

di Bagnara deposero di fronte al Notaio La Piana (ASR, Notai, Fondo La Piana, Bagnara, fascio 142,f. 81) per

confermare l’operato di D.Franco Carbone a fianco dell’Uditore Angelo Di Fiore per la cattura dei cospiratori. Il 2

settembre 1798, confermavano i Bagnaroti, Carbone e Di Fiore operarono l’arresto del cav. D. Saverio Melissari e altri

congiurati, accusati dell’omicidio del Governatore Pinelli e nel dicembre 1798 arrestarono circa 60 fra reggini e

provinciali. Nel gennaio 1799 infine, Carbone arrestò D.Rocco e D.Cirillo Minasi, nipoti del Padre Antonio Minasi e

suoi amici. I testificanti erano stati i Bagnaroti: D.Giacomo Denaro, D.Domenicantonio Messina, magnifico Gianni

Spoleti, D. Peppino M. Parisio, D. Pascalino Morabito quondam Stefano, D. Vincenzo Romano, Dr. D. Franco Versace,

D. Domenicantonio Vitetta, Dr. D. Gianni Lucisani, magnifico Vincenzino De Maio, mastro Letterio Carpanzano e

mastro Rocco Coletta. Giudice ai Contratti era il magnifico Felice Sciglitano e testimoni D. Mimmo Sciplini, fabbro

Mico Modafferi, D. Totò M. Parisio. (G.CINGARI, Giacobini … , cit., pp. 357/9). 12

N.NICOLINI, La spedizione punitiva di Latouche-Tréville, Le Monnier ed., Fi. S.d. Nel marzo 1794 Donato

Francillo, approfittando di qualche parola di troppo che Vincenzo Vitaliani s’era lasciata scappare al caffè ove egli operava, tradiva un Club napoletano nel quale si stava mettendo a punto l’incendio dell’Arsenale e delle Dogane di Napoli quale segnale d’inizio di una sollevazione contro le istituzioni monarchiche. La Giunta di Stato guidata dal cav. Dé Medici individuò il covo ma nell’irruzione non vennero trovate armi e piani sovversivi. Tuttavia nel corso di una grande inchiesta che seguì all’operazione di polizia, la Giunta condannò 70 persone con l’accusa di partecipazione a «Clubs» giacobini col desiderio di erigersi a riformatori dello Stato napolitano. Il primo a cadere fu Tommaso Amato

da Messina, un pazzo che aveva imprecato contro Dio nella Chiesa del Carmine. Fu giustiziato il 17.5.1794. Tre i

giovani condannati a morte: Vincenzo Vitaliano di 22 anni, Emmanuele De Deo di 20 anni, Vincenzo Galiano di 19

anni. Tutti gli altri furono deportati alle isole. Di loro tornarono liberi solo in 11. La notizia fece il giro d’Europa per la numerosità dei condannati e la giovane età dei cospiratori. Durante l’esecuzione di Galiano, si verificarono tafferugli

per le vie attigue al patibolo e la truppa fece fuoco sulla gente. Le delazioni e le indagini si moltiplicarono coinvolgendo

noti esponenti della politica napoletana (F.GALLO, La Rivoluzione Napoletana del 1799, Pellegrini, CS. S.d., p. 249)

fra i quali, lo stesso Dé Medici, Mario Pagano e Andrea Mazzitelli. L’illuminista calabrese stava dando alle stampe il saggio Corso teorico pratico di Nautica e frequentava la casa di Ignazio Ciaia in compagnia di giovani sospetti.

Mazzitelli era figlio di Donna Vincenzina, sorella dell’abate Antonio Jerocades e di Don Cecé, grande produttore d’olio fra Parghelia e Tropea. Navigò intorno al mondo per anni e infine pubblicò il suo Corso teorico-pratico di nautica,

posto in un novello facilissimo metodo (Tip. Ramondini, Na. 1795). A Palermo veniva scoperta una congiura di un

«club» frequentato dall’avv. Francesco Di Blasi, il Barone Porcaro e il capomastro Patricola. L’obiettivo della congiura era un sanguinoso attentato da compiersi la sera del Venerdì Santo, durante la processione, contro il Sacro Consiglio

Siciliano. Le campane avrebbero suonato a stormo dando il segnale della rivolta filo-repubblicana. Traditi da un pentito,

molti furono gli arrestati e alcuni, fra i quali Di Blasi, giustiziati. La pena minima per i non condannati a morte fu i

lavori forzati alle isole. Si salvò solo il Barone Porcaro riuscendo a fuggire alcuni istanti prima dell’arresto.

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i «discapiti del Fisco» e i disagi della vita, causati dalla miseria della gente, «divenuta eccessiva e insopportabile» e dunque facilmente sfociabile in violenza, furti, rapine, vivere alla giornata. La popolazione muore di malattie o emigra e questa è conseguenza dei terremoti del 1783 e del 1794. Scarsi gli ospedali e abbondanti gli «esposti». Il popolo vive nell’ignoranza, malcostume, irreligione e fanatismo. La Calabria era in «procinto di perdersi» e di «divenire insufficiente a sé stessa e gravosa allo Stato»13 Concetti che ingombravano i pensieri della Corte, concatenati ai resoconti di Roccantonio Caracciolo, sul quale il Re aveva contato moltissimo, sostenendolo nelle iniziative industriali a Villa San Giovanni contro il potere baronale capitanato dalla Gran Casa di Bagnara, che voleva affossarne l’attività.14 Il Volgo, accusava Caracciolo, si nasconde, per non faticare, dietro le «novità» che per loro sono temibili

e preferisce avere dal padrone quel poco che si ha impegnandosi poco, sicché il padrone stesso può

continuare a dominare per mancanza di novità che lo possano “turbare”.

Cu patri e cu patruni s’avìa sempri tortu e mai raggiuni

secondo la tradizione che L’Antichi ficiru i fatti e dassaru i ditti

In un concetto di staticità, di senso del tempo fermo e inamovibile. Il sistema della fabbrica, con l’orario di lavoro e i turni, l’assunzione selettiva e i piani di produzione, provocò in effetti la saldatura fra il fronte dei vecchi produttori, i baroni e i borghesi, tutti terrorizzati dallo spopolamento delle campagne a causa di quel “vile” di Caracciolo .Il Re all’epoca stava coi riformatori e aveva fatto costituire a Napoli una scuola pregna d’Illuminismo.15 Si mise in contrasto perfino con la Gran Casa di Bagnara. Bloccare il progresso

endogeno, significava favorire i “novatori” che s’ispiravano “ai giacobbini di Francia” per distruggere gli interessi popolari. Concesse a Caracciolo finanziamenti e agevolazioni.

13

G.MARULLI, Ragguagli storici sul Regno delle Due Sicilie dall’epoca della francese rivolta fino al 1815, vol. I°

(1789-1799), L. Jaccarino ed., Na. 1845, p. 27. 14

R.C.CARACCIOLO, Le filande di seta del passato anno 1794 delle Reali Scuole di Villa Sangiovanni, Na. 1795 15

Si trattava della Fabbrica-Villaggio di San Leucio

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Documento del 1789 che dimostra il profondo attaccamento della Famiglia Versace alla Gran Casa Ducale di

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In breve le cose erano mutate e in quel gennaio 1799, in una Palermo brulicante di profughi, la Corte guardava con ansia alla Calabria. I fatti erano: la Rivoluzione che avanzava in Calabria con solo quattro Paesi che restavano col Re: Reggio (piena però di fermenti patriottici), Scilla, Bagnara e Palmi (sul limitare di una Piana ove Monteleone repubblicana cominciava ad esercitare forte influenza) e il Padre Minasi che con un manipolo di volontari armati alla meglio, s’era arroccato a San Domenico di Soriano alzando sul tetto del Monastero la bandiera borbonica colle insegne di Napoli e Sicilia.16 Tutti gli armamenti erano stati mandati sul Continente e l’Isola pareva indifesa e soprattutto Messina, governata dal Generale D.Giovanni Danero, anziano militare del Re, circondato da gente corrotta e inaffidabile, pareva debole, esposta alla “seduzione” rivoluzionaria raccontata dai marinai del porto. La Regina era terrorizzata dall’idea di perdere Messina “dall’interno” per colpa di Danero e continuava a ripetere ch’era un debole, incapace di tenere in pugno la situazione sociale della Città dello Stretto.17 Su Lord Acton si facevano pressioni da parte di Ministri e Consiglieri, tutti convinti che la perdita delle zone anseatiche calabresi del Canale, avrebbe significato la rivolta di Messina, una circostanza che avrebbe spazzato l’ultima resistenza borbonica nel Mediterraneo mettendo in crisi il sistema difensivo marittimo britannico e, dunque, aprendo una falla per la Coalizione europea antifrancese. Se erano bastati 8.000 Francesi per prendere Napoli, scriveva la Regina Maria Carolina a Vienna, 1.000 sarebbero bastati per la Sicilia!18 Lord Acton era tranquillo: la perdita della Bassa Calabria non era possibile perché l’Uditore Angelo Di Fiore la teneva in pugno dopo la congiura Logoteta e comunque la sua perdita sarebbe stata ininfluente per la Sicilia perché la flotta inglese e le guarnigioni incasermate a Palermo, Messina e Agrigento, avrebbero saputo arginare la spinta rivoluzionaria fermandola sul Canale. Per questo aveva in precedenza concesso alla flotta di Sua Maestà, in crociera verso l’Egitto per affrontare la flotta francese, le basi logistiche di Siracusa, Trapani e Catania, ancorché fosse stato firmato un patto di non aggressione fra il Regno di Napoli e la Francia. L’utilizzo delle basi siciliane, consentì alla flotta di Sua Maestà di dotarsi di quanto necessario per dare battaglia a Bonaparte in posizione di vantaggio e vincerlo ad Abukir. A Messina si trovavano all’ancora 2 vascelli di linea, 4 fregate, 4 corvette e molti trasporti armati e fra Palermo e Messina il Governo aveva schierato 4.000 effettivi, 10.000 reclutabili e 26.000 inquadrati nella Milizia. Eppoi: il popolo siciliano avrebbe saputo compattarsi attorno al Re per fronteggiare un grande nemico. Si trattava dunque, per Lord Nelson, di gestire le situazioni contingenti e aveva stilato questo consuntivo inviandolo a Lord Stuart il 16 febbraio e a Trowbridge il 18. Ma l’umore della Corte e soprattutto della Regina, continuava a peggiorare dopo il fallimento del piano di fortificazione delle Calabrie.19 16

J.A.Von HELFERT, Fabrizio Ruffo. Rivoluzione e controrivoluzione di Napoli dal novembre 1798 all’agosto 1799,

Loescher & Seeber ed., FI. 1885, pg. 68 17

HELFERT, F.R., cit. pg. 98; MALASPINA, 69 18

La lettera è del 28 gennaio 1799, cioè di tre giorni dopo la partenza del Cardinale Ruffo da Palermo per Messina da

dove sarebbe cominciata l’avventura per il riacquisto del Regno (HELFERT, F.R. …, cit. pg. 96). 19

D. Tommaso Firrao Principe di Luzzi, aveva tentato di infondere fiducia alla Corte, giunta a Palermo con un forte

stato di afflizione. La Squadra del Vanguard, al comando di Lord O. Nelson, aveva imbarcato la famiglia reale e i

membri principali del Governo e il 23 dicembre 1798 aveva salpato le ancore in direzione di Palermo. Dopo Capri si

scatenò una furiosa tempesta. Tutta la Corte mantenne un contegno dignitoso escluso Lord Hamilton che continuava a

ripetere alla moglie Emma: «piuttosto che morire col glo glo dell’acqua salata nella gola, come vedo andar giù il bastimento mi tiro» posando le mani sulle pistole appese alla cintola. A causa della tempesta, la flotta si disperse

giungendo poi a Palermo alla spicciolata. Senza mezzi e suppellettili, la Corte a Palermo si sentì isolata, abbandonata da

ministri e dignitari. Molti funzionari del seguito reale poi, avevano già da subito manifestato l’idea di rientrare a Napoli, seguendo gli umori dell’Ammiraglio Caracciolo, offeso perché il Re non s’era imbarcato sul vascello di Napoli da lui comandato e perché, a mezza traversata, il Re decise di far trasbordare il carico reale dalla sua nave al Vanguard. Lo

confidava Maria Carolina al Cardinale Ruffo in una lettera dell’8 maggio 1799 (B.MARESCA, Carteggio della Regina

Maria Carolina col Cardinale Fabrizio Ruffo nel 1799, ASPN, a. V (1880), fasc. III, pg. 558). Eppoi l’Aristocrazia siciliana non vedeva di buon occhio quell’invasione partenopea, gelosa com’era delle proprie prerogative e pervasa di una certa aria di superiorità intellettuale oltreché politica (HELFERT, F.R….,cit., pg. 85)

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In quei luoghi le forze reali avrebbero dovuto contrastare i Francesi tant’è che Nelson aveva già ordinato al Marchese di Niza20 di cominciare a incrociare sul Canale in assetto da battaglia. Le cannoniere avrebbero dovuto sostenere l’Esercito di Mack, ma il Generale austriaco, frustrato dalla catastrofe romana, era scomparso dopo l’armistizio di Sparanise e si seppe che s’era rifugiato

presso il campo francese! Tommaso Firrao Principe di Luzzi, non s’era dato per vinto e pensò di porre un “uomo d’ordine” in Calabria che, sotto gli ordini del Maresciallo Pignatelli, organizzasse la resistenza armata. Prese contatto col Marchese Spinelli di Fuscaldo, personalità che in Calabria godeva di appoggi e molta influenza. Avrebbe ricevuta la nomina di Vicario del Re e, con i mezzi resi disponibili da Napoli, avrebbe iniziato la sua opera. Il Marchese s’era recato da Pignatelli per chiedere i mezzi finanziari e materiali per l’operazione, trovandosi di fronte un inaspettato rifiuto. Pignatelli si dichiarò all’oscuro del “piano” e non giudicò di dover procedere oltre.21 Non bisognava comunque consentire che le circostanze avverse che parevano moltiplicarsi, tenessero la Corte sotto scacco. L’afflizione della Famiglia Reale e del Corteggio, stava aumentando. Il Principe di Luzzi se n’era accorto quando, unitamente al Marchese D. Filippo Malaspina, il 25 dicembre 1798 s’era recato a bordo dell’ammiraglia inglese per ossequiare il Re. E poiché la tempesta aveva messo in ritardo le navi da trasporto, la Famiglia Reale non era nelle possibilità di acquartierarsi a Palazzo Reale perché mancante di qualsiasi conforto. Sicché il Principe di Luzzi la ospitò nel Palazzo del Viceré, accolta da D. Girolamo Ruffo, aiutante vicereale a Palermo, uomo attivo e tenace. Il Re lo prese a benvolere ammirandone la capacità di risolvere problemi anche complessi con tatto e maestria.22

Eppoi all’interno della Corte non tutto procedeva serenamente. Si facevano frequenti gli screzi fra il Primo Ministro del Re, Lord Acton e il Cardinale di Bagnara D.Fabrizio Ruffo & Colonna dei Duchi di Baranello che, unitamente al fratello Frà Francesco Ruffo (detto “Don Ciccio”) aveva seguito la Corte nell’esilio. E questi screzi erano talmente forti che il Lord, non abituato a vedersi contraddetto, senza che per questo l’avversario subisse cocenti conseguenze, aveva meditato di ritirarsi dal Governo.23

20

Il marchese di Niza aveva dato l’ordine alla flotta portoghese di incendiare la potente flotta Napoletana all’ancora nella rada di Napoli perché non poté seguire in Re in fuga in Sicilia, per mancanza di equipaggi (sbarcavano durante la

stagione invernale) 21

Marchese FILIPPO MALASPINA, Occupazione dé Francesi del Regno di Napoli dell’anno 1799, invasione del Regno nel 1806, e l’impresa intrapresa dal Cardinale Don Fabrizio Ruffo di Baranello di cacciare i francesi dal Regno di Napoli, di cui l’Autore di questo scritto, marchese Filippo Malaspina, fu l’Ajutante Reale di detto Cardinale, Stamp.

Orientale di Dondey-Dupré, Parigi 1846, pg. 67 22

Abate DOMENICO SACCHINELLI, Memorie storiche sulla vita del Cardinale Fabrizio Ruffo, scritte dall’Ab. D.S.

già Segretario di quel Porporato con osservazioni sulle opere di Coco, di Botta e di Colletta, volume unico, tip. Carlo

Cataneo, NA. 1836, pg. 65. 23

R.PALUMBO, Carteggio di Maria Carolina con Lady E.Hamilton, Jovene ed., NA. 1887, pg. 189.

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Nelson continuava a mostrarsi tranquillo e aveva ragione: il 20 gennaio una nave getterà

l’ancora presso Augusta per sbarcare 140 militari francesi in viaggio dall’Egitto e bisognosi di riposo e soprattutto di essere medicati. Verranno aggrediti dalle popolazioni limitrofe che ne ammazzeranno 87 mentre gli altri scamperanno sulla nave e fuggiranno.24 Ma alla fine, dovette in quel momento convenire che la situazione stava precipitando. Non si sarebbero avuti più gli appoggi dai realisti continentali, Messina era debole per resistere a un eventuale attacco o a una sommossa repubblicana e la Piazza di Reggio non garantiva più una protezione certa. Si: la Calabria era persa! Fu così che il Marchese di Niza ricevette l’ordine di far salpare un vascello di linea. Si sarebbe recato da Messina a Palermo per imbarcare 500 effettivi di fanteria e acquartierarli nel forte di Messina mentre la squadra portoghese avrebbe aumentato la frequenza delle crociere lungo il Canale. Richiamò la squadra del Commodoro Thomas Trowbridge che incrociava alle foci del Nilo affinché si ponesse a presidio del Tirreno meridionale. Scrisse infine a Lord G.L.Stuart affinché da Minorca facesse giungere a Messina della fanteria di mare per il rinforzo del forte. Mentre ciò avveniva, si affinavano i piani per mettere in salvo la Famiglia Reale nel caso di un attacco della flotta franco-spagnola o di una rivolta popolare. I figli piccoli della Regina, si sarebbero imbarcati per raggiungere Vienna, accolti dai Salesiani del Convento della Visitazione; il Principe Leopoldo, il Re e la Regina sarebbero stati condotti a Costantinopoli, ospiti della Sublime Porta, in attesa di una destinazione definitiva.25 4.- I PIANI DI DIFESA DEL REGNO: IL RUOLO DI DON PASQUALE VERSACE

24

HELFERT, F.R. … cit., pg. 82 25

HELFERT, F.R. … cit., pg. 98-101

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Le staffette con la Piazza di Reggio erano divenute frequenti in quei giorni di ansia; Angelo Di Fiore garantiva la rimessa degli ordini ai comandanti dei presidi della Costa, primo fra tutti il Tenente Francesco Carbone26 che da Scilla si manteneva in contatto, a Bagnara, con Don Pasquale Versace e il Notaio Fedele27. Don Pascalino era un facoltoso commerciante del Canale, di quelli che avevano passato la vita a fare soldi vendendo i prodotti di terra e boschi ai mercanti forestieri e non pensando di reinvestire per il potenziamento delle strutture produttive. Destinava il ricavato all’acquisto di beni immobili, soprattutto terre e case. Don Pascalino aveva faticato a farsi “accettare” dai subalterni. Affittava i campi e pretendeva che il prodotto fosse diviso a metà. I contadini di Pellegrina e Bagnara non avevano la forza per risistemare i campi, mancando del denaro da anticipare per le sementi, la manutenzione stagionale e la coltivazione. Don Pascalino anticipava il contante, nel momento in cui il seminativo aveva il prezzo di mercato più alto, e chiedeva la restituzione

delle anticipazioni nel momento in cui il prodotto, al tempo della raccolta, aveva il prezzo di mercato più basso. Così i terrazzani “dipendevano” dal padrone che li teneva sotto pressione a mezzo di massari e caporali. Don Pascalino avvertiva che fra la sua posizione e l’idea che i terrazzani e il Paese avevano di lui, c’era un abisso. Non era come nelle campagne del Nord, dove fra padrone e contadino esisteva un rapporto che somigliava a quello che in seguito sarà basato sul salario, sulla gerarchia verticale implicitamente riconosciuta (il padrone è datore di lavoro e il contadino offre una prestazione e prende un salario) nel contesto “aziendale” che legava la sorte del dipendente al dirigente e viceversa. Qui c’era la cessione di parte del prodotto e il pagamento di un affitto. Insomma il rapporto era “distaccato” e non vi era contesto che unisse i due termini sociali. Ecco dunque l’idea di tentare l’ascesa a una carica pubblica che desse il carisma mancante al personaggio affermatosi nel mondo della finanza e del commercio. Nelle comunità calabresi periferia del mondo, l’aggregante era stata sempre la Chiesa. Il parroco era il confessore, benediceva, assolveva, aiutava, pregava per i campi e i lavoratori, intercedeva coi Santi. Nella Chiesa del Paese, si poteva trovare conforto e il modo di rendere i

26

Francesco Carbone era del 1762 e fin da giovanissimo si era arruolato nelle milizie provinciali dichiarando fedeltà al

Re. Dopo aver sposato una Ruffo-Scilla, nel 1799 aveva raggiunto maturità militare e sapienza di comando, mettendosi

a capo del movimento insorgentista dello Stretto. 27

Il Notaio Fedele fu uno dei massimi collaboratori dell’Uditore Di Fiore e di Carbone nella repressione delle congiure antiborboniche a Reggio, Palmi e nella Piana. L’attività di Notaio gli consentiva di conoscere fatti e uomini della

Provincia e di raccogliere confidenze in cambio di favori. Un essere estremamente reazionario e non certamente un

“patriota” il Notaio, discendente d antica famiglia che nel 1581 espresse un Abate capo-Clan, capace di condizionare la

giustizia e costringere scomodi testimoni a ritrattare accuse eclatanti: omosessualità e corruzione diffusa nella gestione

dei beni della reale Abbazia Normanna di Bagnara. (cfr.: TITO PUNTILLO-ENZO BARILA’, Civiltà dello Stretto.

Politica, economia, società dello Stretto di Messina dalle origini al XVIII secolo, Periferia ed., CS. 1993, pg. 71). Alla

fine del Cinquecento era attivo a Bagnara il Magnifico D.Fabio Fedele, mercante di seta di “masseria”, in lite con gli altri mercanti locali per l’attività di esportazione. Il 19 settembre 1617 D. Fabio sgabellava 20 libbre di seta di masseria

e faceva parte dei “potenti” di Bagnara. Al tempo della causa contro i Domenicani, la famiglia Fedele era

organicamente inserita nel ceto nobile di Bagnara e conduceva in prima fila la competizione per la conquista del

comando della Chiesa Abbaziale in nome del Re (cfr.: T.PUNTILLO-E.BARILA’, Civiltà … , cit., passim).

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doveri a Dio. La Madonna era come la mamma: si dispiaceva perché comprendeva e quindi perdonava e aiutava. Se Dio faceva sentire l’ira contro i mali del mondo, la Mamma Celeste era una carezza e, soprattutto con San Rocco, intercedevano con Dio, facendo appello proprio al dolore della Mamma che soffrì per il Figlio Crocifisso. Attorno alla scena della Crocifissione, la gente del Sud consegnava alla Madonna Addolorata la propria vita durissima e ai suoi piedi, anzi come amano dire le donne del Sud, sotto il Suo Manto, deponevano le sofferenze e le ansie. Col tempo questa aggregazione di gente socialmente diversa aveva preso consistenza sino a divenire forza pensante. Se ne accorsero per primi i Domenicani che ebbero l’idea di riprendere il concetto di Congrega di arti e mestieri del medioevo signorile, dandole contenuto squisitamente religioso: la Fraternità fra persone diverse, unite dall’unica fede cattolica e votate verso la figura della Vergine Benedetta. Nel Suo Nome questa aggregazione si sarebbe mossa per darsi aiuto e conforto. Così erano nate le Confraternite che, in mancanza di un potere civile organizzato, efficiente ed efficace, di una giustizia non corrotta e di uno Stato sociale presente in modo capillare nelle comunità del Sud, era divenuta l’istituzione ove si mediavano le liti, si trovava sostegno e aiuto concreto, si riusciva a parlare, dialogare con gli altri

“colleghi” e con coloro che esercitavano arti e mestieri, scambiando esperienze, concludendo contratti, formando spontanee “società” che affidavano i prodotti ai padron di barca per il commercio marittimo. Qualche facoltoso in punto di morte lasciava alla Madonna i suoi beni, qualche altro donava corone d’oro, calici tempestati di pietre preziose e monili di egregia fattura e qualche altro provvedeva a fare decorare le Chiese con sfarzo. Le Confraternite divennero nel volgere di un secolo, potenti e decisive nella conduzione della vita sociale ed economica di una cittadina come Bagnara. La carica di Priore di una Confraternità, per uno come Don Pascalino Versace, era di vitale importanza; significava ricevere il riconoscimento di capo carismatico, emblema che mancava nel normale rapporto di lavoro. E dietro tale carica, stava lo stuolo degli “Eletti”: primo e secondo assistente, tesoriere o elemosiniere, ecc. Per uno strano gioco del destino, le due grandi Confraternite di Bagnara erano in mano a consorterie di diversa estrazione economica e sociale. Quella del Carmine era il riflesso della parte nobiliare del Paese; annoverava esponenti del mondo agricolo-latifondista, capeggiati dalla Gran Casa Ducale. In essa si riconoscevano i mastri che avevano una potecha e i professionisti (notai, avvocati, medici). La Confraternità aveva un atteggiamento conservativo, basato sulla tradizione e la tutela di usi e costumi. Quella del Rosario era il riflesso della società mercantile del Paese: i grandi commercianti dei prodotti agricoli, della lavorazione del legno e della pesca. La mentalità era anche qui di tipo conservativo, ma si notava un nucleo di persone che guardavano la realtà con atteggiamento prudentemente speculativo, si interrogavano sul cosa e sul come e prestavano orecchio curioso ai messaggi che l’Illuminismo stava lanciando in Europa. Fra le due potenti Confraternite, stava un’organizzazione che sembrava defilata e in realtà aveva consociato la potente casta dei massari e dei mannesi e la società contadina di Purello.28 I suoi 28

I massari avevano la loro grande festa il 3 febbraio con un pellegrinaggio alla chiesa di San Biagio a Plaesano, vicino

Galatro (ora frazione di Feroleto della Chiesa). Migliaia di contadini e massari da Bagnara, Oppido, Palmi, Seminara,

Gioia, Polistena e Rosarno, giungevano con carri trainati da buoi e prima di entrare in chiesa, compivano l’antico rito dei tre giri attorno all’edificio. Poi entravano in chiesa portando un pugno di cereali per farli benedire. Li avrebbero poi mescolati con le altre sementi prima della semina. Portavano anche un frammento di tegola che mettevano a contatto

colla statua del Santo. Quindi avvolgevano il frammento con stoffa. Sarebbe servito per applicarlo sul ventre dei

bambini in caso di mal di pancia poiché San Biagio è il Santo taumaturgo che toglie i dolori al ventre. Il frammento di

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riflessi giungevano fino a Pellegrina, formando alleanza con la Congregazione Montana di Maria Santissima Annunziata e con i boscaioli dell’antichissimo passo di Solano, padroni dell’immenso bosco, da loro gestito in nome e per conto del Duca di Bagnara. Era la Confraternità di Maria Immacolata, potentissima per struttura organizzativa, totalizzante di lavoratori che erano la struttura portante del Paese. Accanto alla Confraternità, era sorta la Congregazione dell’Ecce Homo che riuniva le donne contadine del circondario. In quanto associazione femminile, riceveva lasciti anche enormi divenendo l’Ente finanziario di Bagnara più potente e influente. Una notazione particolare merita la Comunità di Pellegrina, che nel 1799 era depositaria di un’attività antichissima che sempre la tenne a contatto con gente di varia estrazione e censo. Infatti Pellegrina fu intorno al Mille (e quindi prima degli insediamenti Normanni sulla costa che diedero origine, intorno al 1050-1060 al villaggio militare di Balnearia) una stazione intermedia di transito e cambio di cavalli, attrezzata soprattutto per assistere i pellegrini che provenendo da Reggio, porto di sbarco delle rotte medio-orientali, risalivano la Penisola per recarsi a Roma. Attorno alla stazione di sosta, sorse col tempo un minuscolo villaggio di pastori e allevatori che successivamente si sviluppò fino a divenire, intorno al 1780, un florido territorio d’allevamento per le pecore d’angora, sulla scia di quanto stava operando in agro di Seminara un grandissimo illuminista delle nostre parti: il Marchese Domenico Grimaldi. A capo della Confraternità dell’Immacolata, stava Don Pascalino che, così, si era reso pari a Sciplino, Parisio, De Leo ecc. Don Pascalino era dunque uno di quelli che guardava alla Rivoluzione Partenopea, alle idee illuministiche, alle innovazioni e alla democratizzazione delle strutture sociali, con avversione. Non faceva parte della fazione reazionaria dell’aristocrazia e dell’emergente borghesia calabrese, che s’inquadrava nel ventaglio costituito da: potere assoluto, avversione alle leggi dello Stato limitanti la sfera d’azione illegale dei singoli, egoismo e tornacontismo, mancanza di rispetto per la dignità degli altri, assenza di senso dell’onore nei rapporti commerciali, brutalità verso i sottostanti e vigliaccheria verso i sovrastanti, mancanza di senso del sociale e comunitario, amore per il denaro, pedanteria concettuale sul significato della proprietà, odio verso le innovazioni perché pericolose della supremazia propria. Don Pascalino si riconosceva in parte nel quadro reazionario cennato. Era un conservatore che credeva nelle istituzioni monarchiche e amava la Patria con dedizione assoluta. I molti come lui, sintetizzavano la situazione in concetti pratici:

a) la Rivoluzione Francese aveva abolito le Congregazioni e le stava combattendo in Italia per distruggere la Fede, la Monarchia, le famiglie e la proprietà.

b) Qualsiasi modifica all’esistenze struttura sociale-organizzativa-economica della Cittadina anseatica, avrebbe compromesso il governo della cosa pubblica e i ruoli che le Élite del Paese detenevano per il buon funzionamento delle istituzioni e la “quiete sociale”.

Nel pensiero del borghese meridionale “moderato” dunque, la Società doveva rimanere quella che era perché così non si sarebbero scalfiti i meccanismi che a Don Pascalino e a quelli come lui, garantivano il flusso della rendita parassita derivante dallo sfruttamento contadino sui campi (prelevamento della ricchezza prodotta e nessun investimento per migliorare la produzione). Siccome c’era il pericolo che qualche esponente d’alto rango rischiasse di rimanere “stordito” dalle nuove idee facendo

tegola, prima del 1783, era un mattone intero. Dopo il terremoto tutto fu macerie e allora i contadini anche per ricordare

la loro condizione miserevole durante quei giorni terribili, sostituirono il mattone col frammento, detto «straku»

(U.DITO, Tre giri ed è subito festa, Gazzetta del Sud, 1.II.1987). Notevole la somiglianza coll’albero di Bisignano, una vecchia quercia al rione Pisano, sotto la quale si disputavano contratti e patti, si risolvevano liti e si celebravano

matrimoni. I Candidati giravano con i parenti tre volte attorno alla quercia e dopo tutti li riconoscevano sposati

(G.GALLO, Cronistoria della Città di Bisognano, Brenner ed., Cs. 1989).

Francesco Spoleti nel 1906

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attecchire il seme della Rivoluzione in un Paese tranquillo e sereno, bisognava intervenire con operazioni di prevenzione. Ma anche qui la differenza: mentre la parte reazionaria valutava di poter approfittare della situazione per mettere in atto iniziative atte a eliminare qualche concorrente nell’attività commerciale, la parte moderata che si riconosceva in una specie di “fronte patriottico” invocava l’associazione di tutte le forze produttive intorno alla difesa dei commerci e delle istituzioni che ne tutelavano vita e procedure. Ma com’era formata la sfera sociale che interagiva colle diverse sfaccettature del “galantuomo borghese”? Il contadino s’era abituato «ab immemorabile», a vivere per la terra senza strumenti e tecniche moderne e la possibilità di commerciare in un mercato libero, regolato da leggi pubbliche. Il mondo del contadino era un ammasso di istinti, superstizione, paura. Non c’era traccia di “ragione ragionante”, riflessione interpretativa su cosa accadeva intorno, sicché tutto diveniva refrattario. Se si contravvenivano le regole dettate da un comportamento secolare che riconosceva esclusivamente usi e costumi accettati e immodificabili, valevano le punizioni dettate dal contesto e non dalle leggi dello Stato. Era impossibile interagire socialmente con questa parte della società meridionale senza compromessi; raramente si potevano trovare confluenze nelle pratiche religiose e nelle ritualità pubbliche. Nel 1900 Francesco Spoleti pubblicò un piccolo e prezioso saggio col quale descriveva la società bagnarota d’inizio secolo. Scrisse, su Solano, pagine che dimostrano come, dal 1799 al 1900 e al 2011, poco sia cambiato nella struttura sociale aspromontana.29

Solano è sottoposto ad Aspromonte come un vassallo al suo principe, si stende ai suoi piedi, umile,

raccolto, quasi avvilito, a ridosso di una collinetta brulla, da cui ha principio l’ascensione. Le case

basse, povere, affumicate, sono appollaiate come un branco di pecore, via per l’erta scoscesa, e si

confondono insieme in un viluppo di fabbrica, d’erba e di fumo, come si tenessero l’una con l’altra

fra cento poderose unghie rapaci.

Il delitto qui, posa tragico, severo, come lo stesso protettore. Il delitto di sangue in questo borgo ha

una nota alta di passione e di brutalità che spaventa (…) Vita economica, vita spirituale si nutrono di questa forma di diritto e di rivendicazione (…) A Solano non si fa male senza attendersi di aver

peggio e prevederlo ed aspettarlo con tutta la percorrenza del pensiero. Chi offende dev’esser

offeso, essenzialmente, unicamente (…) Un colpo di fucile alle spalle e la persona cade nel suo stesso sangue.

Chi dev’esser ucciso, perché segnato nel libro nero della vendetta sociale, non può, non deve

vedere il suo carnefice negli occhi.

Egli deve morire semplicemente, e morire per davvero. La siepe è la mannaia di questo piccolo

stato selvaggio che sorge a Solano, senza scuole, senza codici, senza tribunali; una consuetudine ha

soverchiato ogni altra efficacia di diritto; le persone che si vogliono male si sottraggono e senza

reazione. (…) La siepe, oltre che assicura il colpo dell’assassino, elimina completamente qualsiasi

principio di prova (…) Il testimone è abolito e perseguitato a Solano come l’infamia (…) Non è famiglia a Solano che non abbia avuto qualche uccisore o qualche ucciso tra i parenti ed ognuno

privatamente non abbia saldato il suo piccolo conto corrente con l’autorità giudiziaria (…) Certo è che molti credono per questo, vile la gente di Solano, e l’accusano di tradimento (…) ma io oramai che di questa gente posso dare l’impronta, io non mi stancherò dal dire che l’uomo di Solano è un

uomo di coraggio, e se uccide alle spalle non lo fa per sfuggire alla lotta ed alle incertezze d’un

cimento, ma unicamente per non fallire il bersaglio e per farla franca col potere giudiziario (…) L’ultimo giorno che lasciai Solano e quindi l’Aspromonte fu un giorno di nebbia fitta (…) Forestali sparve nella nebbia come il torto di Pallavicini nella storia del nostro Risorgimento.

Solano s’allontanò lugubre nella vallata

29

FRANCESCO SPOLETI, Un anno in Provincia. Profili e note calabresi, tip. Pierro e Veraldi, NA. 1900, da pg. 6.

Spoleti appartenne a una delle grandi famiglie di Bagnara. Letterato illustre nella Roma che contava, frequentò i

migliori salotti ove si svolgeva la vita intellettuale della Capitale e lui stesso fu autore raffinato e sensibile. Al contrario

del Senatore Morello, anch’egli originario di Bagnara, giornalista illustre quanto, alla fine, incoerente e borioso, capace

di farsi rifiutare da Bagnara che alla fine odiò fino alla morte, avvenuta fra l’indifferenza generale, di tutti i ceti, della

città natia, Francesco Spoleti amò Bagnara con sentimenti intensi e si prodigò con scritti e manifestazioni concrete, per

sollevarne le sorti.

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Del resto, il rapporto colla giustizia a Bagnara era rimasto invariato nel tempo, come canta una bella, vecchia e dimenticata filastrocca popolare di Pellegrina:30

Cu rici c’ò carciri esti rovina Non sapi c’ò carciri esti nà scola! Si trasi armatu di ferri e catina E si nesci picciottu ri parola

5.- DON FABRIZIO RUFFO-BARANELLO, IL TERZO CARDINALE DI BAGNARA 5.1.- STORIA DEL FEUDO DI BARANELLO Versace si recava frequentemente in Sicilia per motivi commerciali e a Palermo aveva cominciato a frequentare il salotto che il Cardinale di Bagnara Don Fabrizio Ruffo-Baranello teneva nel palazzo della sorella. Il Cardinale aveva ricevuto dal Sovrano incarichi soprattutto di collegamento

30

F.SPOLETI, La canzone del Popolo, in: “Un anno …“ cit. pg. 53. Ecco una sintesi della descrizione di Pellegrina (ivi, da pg. 64):

Si lavora quassù febbrilmente, dal mattino alla sera, senza nemmanco parlare, con la prudenza, la sagacità, la

sottomissione propria degli schiavi. E si lavora proficuamente, perché sull’opera fatta non si torna indietro, Né questa presenta mai i vizi del lavoro fatto in malafede, o con l’animo d’illudere semplicemente chi paga.

Quelle fronti chine sul lavoro pesante non si sollevano più prima che la giornata finisca (…) tanto rigido e austero è il rispetto e il silenzio che accompagna i movimenti dei lavoratori. Però per quanto sono pazienti e

rassegnati al lavoro, per altrettanto sdegnosi ed intolleranti si dimostrano di ogni abuso e violenza che loro si

vuol fare. Come sono devoti ed ossequianti alla legge nel fine della morale e della giustizia, così sono terribili

e ribelli anche contro la legge stessa, quando un criterio d’immoralità (…) si ritorce contro di loro. Buoni se amano, più buoni se credono, assolutamente fermi e incrollabili se giurano. Ma se negano, e non vogliono o

non possono giurare, se odiano e si ricredono perché non possono più amare, allora lo sdegno e l’odio e tutti i mali sentimenti di cui è capace una natura costantemente buona, si svegliano (…) Famiglie intere, fecondano odi ereditari e trasmettendoseli di padre in figlio, si estinsero completamente (…) Quale impulso li spinge al

sangue?(…) A Ceramida e a Pellegrina, come anche a Solano, dove il delitto di sangue purtroppo ha degli apostoli ferventi e delle cifre desolanti, le ragioni (del delitto) sono da spigolare in tutt’altro campo che nella solita degenerazione fisica o pervertimento morale (…) Qui proprio come a Solano, il furto è raro, più rara la grassazione, i danni alla proprietà dolosi, gl’incendi, i reati contro il buon costume (…) Qui due forme di delitto esplicano la loro rude e funesta attività: l’omicidio e la ribellione agli agenti della forza pubblica. Il

nostro contadino, che tollera il lavoro iniquo, soffre la fame, subisce il monopolio del suo proprietario o

padrone, è intollerante poi del minimo torto dei suoi connaturali, della più semplice offesa che potesse

ricevere il suo amor proprio, o la sua dignità rispetto alla classe a cui appartiene. Egli, che oppone il sistema

proprio al sistema degli altri, e la misura della sua logica alla logica sociale, che vede coi suoi occhi, e sente

ed opera come operano e sentono il cervello ed il cuore, spogli di qualunque finzione, liberi di qualsiasi

signoria o freno, mano mano che si scioglie dalle preoccupazioni del mezzo, e mastica e rimorde il motivo

d’offesa, la pillola amara del torto ricevuto, il fucile o il pugnale, la piazza e la siepe sono per lui la stessa

cosa, l’unica cosa, il rimedio estremo. E uccide (…) Qualunque mortificazione postuma (…) sparisce (…) Nino Sgrò che mi guarda ancora e mi sorride con quell’aria d’asceta, scrolla le spalle e tranquillamente continua a

fumare. Non s’affligge di nulla, non cerca di più. A 75 anni è giovane e sarebbe capace di lottare con un toro. Però davanti al suo padrone è umile e rassegnato come fosse un fanciullo. Sono tutti così questi figli della

terra. Gli occhi accesi dal sole sfavillano di bontà, la bocca ha il sorriso sereno del cielo, il cuore la placida

soavità lunare. Ma se romba la folgore o la grandine scroscia sulle biade mature, se s’ode di notte un’archibugiata nell’aria, o i cani fidati latrano a distesa, sulla bocca contratta passa un ghigno feroce ed una

maledizione alla vita.

Ecco dunque a voi, stupendamente spiegato, il contadino del 1799 visto nella postuma figura del contadino del 1900

disegnato dal grande intellettuale bagnarese.

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con Sua Santità, anch’egli schiacciato dalle truppe francesi. Fabrizio Ruffo, nato in San Lucido il 16.9.1744, era figlio di Don Letterio Ruffo & Ruffo, 2°Duca di Baranello, Principe di Sant’Antimo, Barone di San Lucido e Patrizio Napoletano.31 Don Letterio era il primo figlio di Don Paolo, 1° Duca di Baranello, nato a Bagnara il 19/2/1660 (+ a Portici il 15/6/1733) e aveva sposato Donna Alfonsina, figlia di Don Placido Ruffo, Principe della Scaletta & Floresta, Signore di Guidomandri, Giampilieri, Molino e Artalia. L’intestazione del feudo di Baranello fu ottenuta da Don Paolo per concessione di Don Giuseppe Ruffo, Principe di Sant’Antimo, Patrizio Napoletano, Governatore del Monte Manso, senza eredi. Don Paolo era l’ultimo figlio di Don Carlo, 5° Duca di Bagnara (dov’era nato il 29/9/1680 e dove morì il 28/2/1750), 3° Principe della Motta San Giovanni, 3° Principe di Sant’Antimo, patrizio Napoletano, Signore di Amendolea, Fiumara di Muro, Solano, San Lorenzo e della Gabella di Catona e marito di Donna Anna Maria figlia di Don Tiberio Giuseppe Ruffo & Santa Pau, dei Principi di Palazzolo.32

Dunque era anche il fratello di Francesco, 6° Duca di Bagnara (nato a Bagnara nel 1707 e ivi morto nel 1767), 4° Principe della Motta S.G., 4° Principe di Sant’Antimo, Signore dell’Amendolea, Fiumara di Muro, Solano, San Lorenzo e Gabella di Catona dal 1750, ed era anche fratello del Cardinale di Bagnara Don Tommaso, nato a Napoli il 24/9/1663 e morto a Roma il 16/2/1753, Patrizio Napoletano,33 Le esperienze amministrative dovute all’accelerazione economica e all’ingrandimento dei feudi per via delle acquisizioni ereditarie, avevano convinto D. Paolo a rientrare in Calabria insieme a D. Letterio e quest’ultimo ivi rimase, sposando Giustina Colonna e soggiornando a Bagnara, Monteleone e San Lucido ove il 16 settembre 1744 nacque Don Fabrizio. 5.2.- LA FORMAZIONE DI FABRIZIO RUFFO A ROMA A 4 anni, D. Fabrizio si trovò proiettato nel compito di continuare la successione che la Gran Casa di Bagnara stava garantendo alla Corte Pontificia. Partì per Roma per aggregarsi all’entourage del prozio, il potente Cardinale D. Tommaso, del quale facevano parte Mons. Angelo Braschi e il

31

D. Letterio era nato a Messina il 20 ottobre 1704 nel palazzo che la Gran Casa di Bagnara possedeva al Teatro

Marittimo presso il Regio Campo e dove poi morì nel 1772.31

Nel 1746 aveva comprato San Lucido dopo aver sposato,

nel 1733, Donna Giovanna, figlia di Don Telesio Ruffo dei Principi di Castelcicala e nel 1741 Donna Giustina,

Principessa di Spinoso, Marchesa di Guardia Perticara, Signora di Acetturo e Gorgoglione, figlia del Principe Don

Giuseppe Colonna Romano e di Donna Caterina Capece Minutolo dei Principi di Ruoti. 32

Le Famiglie dei Ruffi adottarono motti diversi da inserire sotto lo scudo araldico: I Ruffo Sinopoli & Scilla «Omnia

bene»; i Ruffo Bonneval-La Fare:«Nobilissima et vetustissima»; i Ruffo della Gran Casa Ducale di Bagnara: «Vis unita

fortior»; i Ruffo di Castelcicala: «Nunquam retrorsum»; i Ruffo della Scaletta «Omnia Bene»; i Ruffo della Floresta:

«+Omnia Bene». La linea dei Principi di Scilla inserì all’interno dello scudo, sopra l’arme inchiavardato d’argento e di nero, comune a tutti i Ruffi, tre conchiglie marine. 33

Vice legato a Ravenna, referendario della Segnatura Apostolica, Inquisitore a Malta nel 1694, Arcivescovo di Nicea

nel 1698 e poi Nunzio in Toscana e Assistente al Soglio Pontificio, Prefetto della Camera Apostolica nel 1700,

Cardinale Prete dal 1706 col titolo di San Lorenzo in Panisperna, di Santa Maria in Trastevere, di San Lorenzo &

Damaso, Legato in Romagna nel 1710, a Ferrara e a Bologna nel 1721, Vicecancelliere di Santa Romana Chiesa,

Segretario della Santa Inquisizione, Cardinale Vescovo di Palestrina dal 1726, di Porto di Santa Rufina dal 1738 e

Cardinale Vescovo di Sacro Collegio dal 1740.

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nipote di Don Tommaso, il Cardinale di Bagnara D. Antonio,34 oltre a Don Giuseppe Arcivescovo di Capua,35 Don Giacomo Ruffo & Moncada, prelato domestico del Papa e suo secondo cugino, e Don Tiberio Giuseppe Ruffo & Santapau.36 Non lo splendido Palazzo di Bagnara, residenza dei Ruffo a Roma, di fronte al Palazzo Colonna in piazza SS. Apostoli e ora inserito nella splendida cornice del centro romano a ridosso di Piazza Venezia37, ma il Collegio Clementino fu la casa di Don Fabrizio, come la era stata per Don Tommaso e Don Antonio. Il Monte dei Ruffi di Napoli, creato dal suo antenato Frà Fabrizio Ruffo, Priore di Bagnara,38 assicurò al giovane il mantenimento per tutta la carriera scolastica. Terminato l’iter formativo, Don Fabrizio non decise per la carriera religiosa, fermandosi al diaconato, e diacono poi rimase per sempre. Dopo la morte nel 1780 di Don Tiberio che Pio VI Braschi aveva nominato Chierico di Camera, il papa decise di fargli succedere Don Fabrizio come continuatore della prelatura Ruffo. Don Fabrizio si formò in momenti di grande cambiamento in Europa e i riflessi di queste novità colpirono la sua sensibilità, incuriosita dalle notizie che giungevano da Napoli. I suoi studi sull’arte militare e sul governo amministrativo delle province periferiche, furono oggetto di attenta valutazione da parte di Pio VI. D.Fabrizio aveva seguito le cronache militari del secolo e approfondito gli studi di tattica e strategia nel settore degli spostamenti di grandi contingenti di milizia, il vettovagliamento e la logistica conseguente. Si era interessato alle recenti innovazioni sull’equipaggiamento della cavalleria e gli armamenti dell’artiglieria da difesa nelle fortificazioni e da campagna e il loro impiego in combattimento. Aveva un carattere umano ma era un funzionario ambizioso e per questo curava la propria visibilità

34

Oltre a Don Tommaso, la Casa di Bagnara diede infatti al collegio cardinalizio un altro suo alto esponente, D.

Antonio, nato a Bagnara l’11/6/1689 (ivi morto il 22/2/1763), Vicelegato a Ravenna nel1716, Inquisitore a Malta dal

1720, Presidente del Tribunale della Grascia dal 1729, Uditore Generale della Camera Apostolica dal 1743, Cardinale

Prete dal 9/9/1743 col titolo di S. Silvestro in Capite. D. Antonio era figlio di Don Francesco (nato a Bagnara nel 1707 e

ivi morto nel 1767), 6° Duca di Bagnara, 4° Principe della Motta S.G., 4° Principe di Sant’Antimo, Signore di Amendolea, Fiumara di Muro, Solano, San Lorenzo e Gabella di Catona dal 1750, e di Donna Ippolita, figlia di Don

Nicola d’Avalos d’Aquino d’Aragona, Principe di Montesarchio e di Giovanna Caracciolo. 35

Giuseppe Ruffo, fratello del Cardinale Antonio, nacque a Bagnara l’11/1/1696 e ivi morì il 19/3/1754, fu Patrizio Napoletano, vescovo di Lecce e Arcivescovo di Capua. 36

Don Tiberio nacque a Maida il 25/7/1712 e morì a Roma il 10/1/1781. Patrizio Napoletano, Chierico di Camera

Apostolica, morì alla vigilia della nomina a Cardinale. 37

Il palazzo sede della Gran Casa ducale di Bagnara in piazza SS.Apostoli, fu edificato dalla Famiglia Cybo e fu

residenza dei Duchi d’Altemps e quindi dei Marchesi Isimbardi. Dopo una breve amministrazione a cura della S.Casa di Loreto, il palazzo fu acquistato da Don Tommaso Ruffo Bagnara come sede cardinalizia sua e della Famiglia dei Ruffi a

Roma. L’edificio fu rimodernato con valentia dall’architetto Giovanbattista Contini ed è oggi noto come Palazzo Guglielmi. 38

Frà Fabrizio Ruffo (1716-1782) fu Patrizio Napoletano, Cavaliere dell’Ordine di Malta, Balì onorario e Comandante

di galea, Brigadiere e Colonnello nell’Esercito Napoletano nel 1755, Maresciallo di Campo del Re di Napoli dal 1780,

Difensore della Sacra Religione. Sepolto a Napoli nella Chiesa dei Ruffi di proprietà della Gran Casa di Bagnara, in una

superba tomba che riporta le iscrizioni delle battaglie sostenute e vinte contro il Turco.

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e il senso di autorità che da lui promanava.39 Le esperienze lo avevano reso sospettoso e pregno di autonomia di giudizio sulle opinioni che poi difendeva volendo l’ultima parola nelle discussioni. Ne seppe qualcosa, come notato, Lord Acton che con lui si scontrerà frequentemente. Era però dotato di larghe vedute intuendo fin dagli anni della formazione, che senza un’ottima conoscenza dell’Amministrazione e dei suoi meccanismi, ogni capacità di governare doveva ritenersi debilitata e quindi facilmente attaccabile. 5.3.- LA CONDIZIONE ECONOMICA DELLO STATO PONTIFICIO

E GLI STUDI DI FABRIZIO RUFFO La situazione dello Stato Pontificio era di forte crisi politica ed economica. Cresceva la riduzione d’influenza spirituale/diplomatica di Roma di fronte alla crescita delle grandi potenze europee, che basavano la loro posizione di preminenza, sulla forte identità nazionale in tutti i campi, compreso quello religioso. Nel contempo la realtà sociale, economica e civile dello Stato Pontificio s’andava velocemente differenziando fra le Legazioni con Bologna in testa, e Roma. La Corte Romana era consapevole del ritardo che stava accumulando dal resto d’Europa; l’abate Della Valle, il Marchese Gabrieli, il Cardinale Sacchetti, Leonardo Libri, avevano evidenziato questi aspetti, poi riassunti dalla Congregazione di Sollievo in una serie di pareri esposti al Santo Padre. Ma anche dalla base civile provenivano preoccupazioni per come lo Stato si trovava, gravato dalla disorganizzazione doganale, finanziaria, agricola e delle manifatture. In sintesi: emergeva una struttura pubblica impreparata oltreché inadeguata a supportare un’organizzazione imprenditoriale privata poco meno approssimata, dilettantesca.40 Già dal 1708 la Santa Sede aveva deciso d’introdurre provvedimenti economici quali nuove imposizioni e gabelle, tese a raggiungere un livello di contribuzioni omogeneo e proporzionale. Il risultato fu deficitario: lo Stato non riusciva a imporre leggi alla base popolare contributiva e soprattutto all’aristocrazia papalina. E questo avveniva mentre il Legato Pontificio, Card. Albani, era rifiutato in udienza da molte corti europee che non sopportavano la difesa dei privilegi ecclesiastici, ritenuti oramai antiquati. Di fronte allo sviluppo sociale/economico europeo, i centri produttori dello Stato, situati lontano dalla Capitale, cominciavano ad avvertire l’inadeguatezza della politica pontificia: lana, seta e canapa non potevano competere sui mercati internazionali e le possibilità di potenziamento e sviluppo erano condizionate dalla precaria situazione delle piazze, dei porti e dei collegamenti viari. Nel 1737 l’Ispettore Pietro Benelli manifestò per la prima volta l’esigenza di una dogana generale ai confini dello Stato, una prima misura di modernizzazione del sistema economico pontificio, che lasciasse ampio spazio all’attività commerciale all’interno dello Stato, protetta da un’efficiente cintura doganale ai suoi confini. Coll’inizio della lotta ai Gesuiti da parte dei governi europei, compreso lo stesso Regno di Napoli, lo Stato Pontificio entrò nel momento di massima crisi economica e di credibilità internazionale. Papa Braschi, già Tesoriere dello Stato, era consapevole delle urgenze dell’Erario ma anche delle necessità di una radicale riforma finanziaria, radicale perché avrebbe dovuto assorbire il disavanzo e poi mettere in condizione il Governo di finanziare la spesa pubblica, quando si fosse riuscito a mettere mano in un’amministrazione pubblica vecchia e carente, in una struttura economica provata, isolata e da ammodernare e, infine, in rapporti

39

Malaspina lo disegna così: «ardito, carattere indipendente, ambizioso di gloria, intraprendente, poco colto ma di

ampie vedute, sempre vivo, sospettoso e geloso della sua gloria» (F.MALASPINA, Occupazione…, cit., pg. 68). 40

L.DAL PANE, Lo Stato Pontificio e il movimento riformatore nel Settecento, Mondatori, Mi. 1959, p. 108.

S.E. Don Fabrizio Ruffo

vicario generale del Re

per il Regno di Napoli

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internazionali condotti senza abilità diplomatica e inadeguati di fronte alla moderna politica internazionale. Poco peso amministrativo interno dunque, e poco peso politico internazionale. Lo Stato Pontificio rischiava il collasso di fronte all’impetuoso avanzare dell’Illuminismo europeo, con i suoi ideali, le riforme e il modo di produzione innovativo.41 Nel 1781 D. Fabrizio fu ammesso fra i Referendari delle Due Segnature per poi divenire, come annotato, Chierico di Camera. In questo frangente Ruffo ebbe modo di discutere colla Curia Romana e lo stesso Pontefice, dei problemi dello Stato, interpretati secondo un pensiero influenzato dalla

moderna idea illuministica, così come giungeva a Roma dalla Francia e da Napoli. L’agricoltura andava protetta dalla concorrenza estera, una volta che fosse stata ben regolata, armonizzata nella produzione secondo i bisogni e le opportunità di mercato internazionale; i prodotti dovevano avere libero mercato interno, e doveva essere effettuata una vigilanza sui livelli dei prezzi. Soppressi gli abusi feudali e gli appalti che attanagliavano i feudi vincolando l’attività dei contadini. L’attività manifatturiera poteva espandersi in funzione del potenziamento agricolo ma tutto confluiva nella libera circolazione dei beni e nel ruolo regolatore dello Stato. Durante questa fase d’attività, Don Fabrizio non dimenticò le opere di beneficenza e devozione, finanziando i lavori d’abbellimento dei locali dell’Arciconfraternità di Santa Maria del Soccorso, alla cura dei quali si occupò Francesco M. De Martinis.42 5.4.- FABRIZIO RUFFO «TESORIERE GENERALE» DELLO STATO

PONTIFICIO Nel 1784 Papa Braschi lo nominò Tesoriere Generale, Commissario Generale del Mare e Sovrintendente di Castel Gandolfo. Il Papa conosceva il Diacono e sapeva delle sue qualità; confidò dunque nell’opera sua per dare al Governo dello Stato un’impronta di modernità. La Curia, espressione del Patriziato romano, non s’oppose. Si era certi che qualche novità si sarebbe alla fine, annacquata nel ménage tradizionale. Meglio dunque acconsentire su argomenti che si sarebbero poi comodamente potuti ricondurre ai soliti interessi locali invece di opporsi, si sarebbe creato un pericoloso clima di conflittualità. D. Fabrizio conosceva gli studi di Mons. Pallotta sulla liberalizzazione degli scambi in un ambiente d’accresciuta dinamicità delle strutture produttive. Il Progetto Pallotta per lo Stato Pontificio fu la base di partenza di Don Fabrizio. Occorreva potenziare le infrastrutture per offrire sicurezza agli investimenti nei settori produttivi e commerciali. Il riordino delle Forze Armate colla fortificazione dei Presidi di Ancona e Civitavecchia, avrebbe dovuto offrire garanzie per l’osservanza delle Leggi dello Stato, attraverso la presenza appunto, della forza pubblica, garante delle Istituzioni. Molta cura venne posta all’armamento e al “servizio dei cannoni” tant’è che nel 1789 Ferdinando IV mandò a Roma una delegazione di generali per visionare gli armamenti, la loro disposizione e servizio.

41

Un’ampia trattazione si trova in: E.PISCITELLI, La riforma di Pio VI e gli scrittori economici romani, Mondatori,

Mi. 1958. 42

ASN, Archivio Ruffo-Bagnara, Carte del Cardinale D.Fabrizio Ruffo, f. 19.

Pistola del XVIII secolo - Napoli Museo di San Martino

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Iniziarono poi le prove di fattibilità per la bonifica delle Paludi Pontine, la navigazione sul Tevere e l’Aniene e la riforma dei contratti agricoli aventi per obiettivo la dinamica salariale modulata colla partecipazione al frutto. Pio VI accettò l’idea di un migliore collocamento delle rendite camerali di Castro e Ronciglione e D. Fabrizio formò sette enfiteuti in Castro e Montalto e dodici a Ronciglione, concedendo la possibilità di sub-enfiteuti. Con quest’operazione, s’attaccava non più frontalmente, cioè colle disquisizioni giuridico-filosofiche, il sistema degli abusi feudali; lo si metteva in contrapposizione, sui dati di fatto della gestione, con una nuova metodologia. Le rendite passarono da 50.200 scudi a 67.200 in un anno. Fra il 1785 e la fine di quegli anni Ottanta, Don Fabrizio diede una spinta al sistema statale pontificio:

Motu Proprio del Papa sull’eccessiva circolazione della carta moneta rispetto al denaro numerato reale. 22.7.1785.43 - L’obiettivo primario era un indispensabile ridimensionamento dell’inflazione. Gli

scambi, i commerci sarebbero potuti avvenire solo in presenza del valore del denaro reale e stabile, una moneta insomma, che godesse della fiducia degli operatori economici.

Editti per favorire il potenziamento delle manifatture pontificie attraverso la loro protezione dai prodotti esteri.44 - L’operazione avveniva in sintonia coll’ammodernamento e il potenziamento della

fabbrica di telerie e calancà alle Terme di Diocleziano e la spinta al miglioramento quantitativo e qualitativo delle manifatture di pelle. L’operazione di politica economica mirava alla risistemazione del sistema viario/fluviale per il potenziamento dell’attività agricola (bonifica delle Paludi Pontine, aumento della capacità agricola nei Contadi e nelle Legazioni) soprattutto verso i settori di base all’attività manifatturiera: filati di cotone e canapa, telerie, tintorie. Così anche gli allevamenti (concerie, calzaturifici).

Editto per l’aumento del dazio al 24% sui manufatti esteri (5 sett. 1785)

Riduzione drastica del dazio sull’importazione di pelli fresche e liberalizzazione dei prezzi sui manufatti di cuoio (un apposito Consolato dell’Arte,

avrebbe dovuto certificare con un bollo di qualità, i prodotti nazionali (3 sett. 1785).

43

D.SACCHINELLI, Notizie storiche sulla vita del Cardinale Fabrizio Ruffo scritte dall’Abate D.S. già Segretario di quel Prelato, con osservazioni sulle opere di Coco, di Botta, e di Colletta, tip. Carlo Cataneo, Na. 1836, p. 3. L’opera è dedicata a S.E. il Maresciallo di Campo Marchese del Carretto. 44

Il Saggio di Sacchinelli ripubblicato, arricchito dall’Appendice: Risposte alle osservazioni di un anonimo, a Roma,

tip. Poliglotta, nel 1836. Le Osservazioni di un Anonimo, furono pubblicate a Livorno, tip. Sardi, nel 1837. L’insieme costituisce un interessante dibattito critico-storico sull’operato del Cardinale, il contesto storico-sociale entro il quale

operò e la metodologia adottata da Sacchinelli per collezionare e narrare i fatti. L’Abate era nato a Pizzoni il 18 aprile 1766 e, dopo gli studi, lavorò a Catanzaro negli uffici della Cassa Sacra. Seguì l’Uditore Carlo Pedicini a Monteleone e

ivi fu consacrato sacerdote nel 1794. Venuto alle dipendenze del Cardinale Ruffo colla carica di “sotto-segretario alla

Segreteria dell’Armata” e uno stipendio da 20 ducati al mese (MARESCA, Carteggio…,cit., (ASPN, a. VIII, fasc. II

(1883), pg. 229 , lo seguì poi a Roma per il Conclave e a Napoli, quando alla fine della sua splendida carriera

diplomatica e raggiunto dalla stima e rispetto di tutti governi europei, e soprattutto dell’Imperatore Napoleone Bonaparte, il vecchio Cardinale vi si fermò alloggiando nel grande Palazzo di Bagnara, che la famiglia possedeva sulla

Piazza del Mercatello, oggi Piazza Dante (il palazzo esiste tutt’oggi ed è visitabile nelle sue splendide sale volute nel Seicento dal Priore di Bagnara e Gran Priore di Capua Don Fabrizio Ruffo, Generale delle Galee di Malta e Membro dei

Nobili Cavalieri della Religione). Morto il Cardinale, l’Abate si dedicò all’educazione dei figli di Don Nicola Ruffo, fratello dello stesso Cardinale. Si ritirò quindi a Pizzoni fino a quando lo chiamò a Monteleone il Marchese Don

Francesco Gagliardi, quale suo intimo consigliere, su suggerimento di Donna Giuseppa Ruffo dei Principi di Scilla e

Marchesa di Panaya, sua nuora. Morì a Monteleone il 6 luglio 1844.

Il Cardinale D.Fabrizio Ruffo Intendente di S.Leucio e della

Reggia di Caserta

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Editto per l’aggiornamento del dazio dal 24 al 60% sui manufatti esteri (7 dic. 1785).

Creazione di un Monte cedolario per la riduzione della circolazione monetaria quale lotta primaria all’inflazione. Editto 17 gennaio 1786.

Abolizione delle Dogane feudali interne e istituzione di Dogane Statali ai confini dello Stato (30 Aprile 1786).

Abolizione delle Privative sulle Fiere di San Pietro a Montorio e incentivazione delle iniziative sulle filiere di rame e ferro (aumento dei dazi sui similari prodotti importati) (26 sett. 1787).

Riduzione delle Gabelle sui carichi se questi venivano trasportati da navi battenti bandiera pontificia 3 (Gennaio 1788).

Divieto di esportazione dei concimi e aumento del dazio per l’importazione degli stessi concimi; il tutto per favorire la coltivazione della canapa (19 gennaio 1788).

Unificazione del Mercato (trattative sugli scambi commerciali) e decisione di far tenere l’attività a Roma, per meglio amministrare l’importazione di manufatti (Notifica del 27 febbraio 1788).

Incentivazione alla coltivazione dell’olivo accordando benefici per ogni pianta messa a dimora (Notifica del 21 aprile 1788).

Incentivazione alla coltivazione del cotone fra Terracina e Civitavecchia, accordando benefici per ogni rubbio sistemato (18 aprile 1788).

Imposta del 20% per scoraggiare l’esportazione di pelli fresche lavorabili nel territorio pontificio (28 aprile 1788)

Per meglio selezionare le materie prime in ingresso nello Stato, aumentò il dazio sull’importazione di pelli di qualità peggiore che quella risultante dalla produzione nazionale (marzo 1789).

Dazio sull’importazione di terraglie, per favorire le industrie delle Province Romane (2 marzo 1789).

Incentivazione alla coltivazione del guado (8 scudi a rubbio). Dal guado si ricavava l’indaco, indispensabile per le tintorie) (marzo 1789).

Istituzione di sei premi annui per i migliori filati eseguiti nel Contado di Fermo (settembre 1791).

- Dopo la revoca a Tesoriere Generale, restarono in vigore altri provvedimenti da lui ispirati:

Misure per l’aumento del libero commercio dei prodotti manifatturieri fra le Province (gennaio 1792)

Misure per il potenziamento del Comprensorio agricolo di Ferrara (gennaio 1792)

Privative e privilegi per agevolare l’apertura di una fabbrica di terraglie a Roma

Ruffo lavorava a Roma eseguendo improvvise ispezioni, soprattutto ove non arrivava l’influenza dei funzionari che egli stesso s’era scelto e aveva insediato.

Il Palazzo di Bagnara

in Piazza Dante (ex Mercatello) a Napoli dimora del

Cardinale Fabrizio Ruffo

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Gli erano accanto: Marco Fantuzzi,45 il lorenese Cristiano De Miller, Paolo Vergani46 e dieci soprintendenti, in maggioranza nobili laici. Quale era la convinzione ideologica che spingeva il Tesoriere Generale a varare provvedimenti rivoluzionari per il tempo e il luogo ove operava? Nel 1791 Nicola Spedalieri pubblicava un trattato di forte spessore sociale, nel quale si riprendevano molti concetti dell’Ottantanove e dei Philosophes ispiratori del primo movimento rivoluzionario francese47. Un saggio che il teologo dedicava al Tesoriere Generale Ruffo e che poneva le basi dell’innovativa forma di governo fondata sulla felicità popolare secondo l’originaria idea di Rousseau. Stato e consenso popolare come trionfo della religione operante, poiché l’opera dell’uomo è frutto della Grazia Divina che si realizza attraverso la partecipazione sociale e il consenso di tutti verso l’istituzione-guida dello Stato, ispirata da Dio. S’intuisce come il Riformatore pontificio, dall’alto della carica di Tesoriere Generale, guardasse alla rifondazione dello Stato Pontificio, da attuarsi tramite l’organicità fra Istituzioni e Popolo, ove le Istituzioni sono l’elemento veicolante della volontà popolare, espressa nel suo essere forza produttiva proiettata verso il progredire. Questa “formazione” è lo Stato Pontificio Moderno, riflesso nella Grazia Divina che ne caratterizza l’etica assoluta. Un grande Stato dunque, nazionale, moderno e operante nell’aspetto economico “protetto” dall’etica religiosa. Ruffo aveva maturato queste convinzioni leggendo i resoconti che giungevano da Parigi durante i primi moti rivoluzionari, i discorsi e saggi politici e sociali dei Philosophes e i dibattiti parigini fra i Rappresentanti del Popolo. E poi le riforme francesi quale ultima fase di un processo iniziato alle corti illuministiche europee, tendenti al recupero dell’uomo come fondamento e ragione. La sequenza delle Riforme pontificie di D.Fabrizio, mostra l’evoluzione dei concetti, la loro tendenza ad avvicinarsi al concetto dello Stato fondato sul consenso popolare. In trenta Città venne attivata una Dogana di riscossione composta da un Ufficio di Governatore, impiegati di prima classe e subalterni e il cui compito non secondario, era ribadire la presenza e autorità dello Stato ma nel suo significato operativo, cioè di riconoscersi fra i cittadini quale supporto al vivere quotidiano. E’ facile intuire che in questa maniera si spiazzavano privilegi e apporti autoritari discendenti da Feudatario a Popolano. L’ostilità della Curia, alleata cogli ambienti dell’aristocrazia romana,

45

Fu un illuminato riformatore ravennate. Allievo di Antonio Ziradini, scrisse numerosi saggi fra i quali uno studio

egregio sui monumenti della sua Città natale. A Ravenna operò per un nuovo Catasto e contribuì per individuare il

tracciato per nuove strade. Consigliere prezioso nelle operazioni di bonifiche del territorio agricolo, a supporto di

riforme agrarie e il potenziamento della attività commerciale, soprattutto attraverso l’ampliamento e la funzionalità del porto di Ravenna. Morì a Pesaro il 10 gennaio 1806. 46

Vergani si occupò di riforme di politica economica. Pubblicò su questi argomenti un importante trattato:

P.VERGANI, Dell’importanza e dei pregi del nuovo sistema di finanze dello Stato Pontificio, Roma 1794. Amplissimi i

suoi studi sociali, maturati nell’esperienza politica della sua Milano (P.VERGANI, Della Pena di Morte, G.Richino

Malatesta stamp., Mi. 1777). 47

N.SPEDALIERI, Sui diritti dell’uomo, Assisi 1991

Don Tommaso Ruffo-Bagnara,

Decano del Sacro Collegio

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crebbe all’aumentare dell’andamento delle riforme. Troppi interessi legati alle potenti famiglie romane, stavano per essere toccate e le novazioni proposte da Don Fabrizio, disturbavano il quieto vivere dell’ambiente curiale, preoccupato per il cambio di passo a favore della modernizzazione e dell’opera di questo Diacono, protettore ben visto di numerose organizzazioni religiose, fra le quali i Minimi, l’Arciconfraternità dello Spirito Santo dei Napoletani in Roma, quella di Santa Maria di Costantinopoli, del SS. Sacramento in S. Maria in Cosmedin, dei Collegi dei Fabbricatori di drappi di Roma, del Conservatorio della Divina Provvidenza, della Città di Orte e della Cancelleria borbonica a Roma, che riceveva spesso il Tesoriere nella sua qualità di Protettore del Regno di Sicilia presso la Santa Sede.48 Nel 1787 si fece promotore dell’edificazione della Chiesa del SS. Sacramento nell’Isola Sacra e partecipò sempre attivamente alla vita religiosa della Capitale. Il rituale cattolico chiedeva un profilo, anche nella vita civile e amministrativa, che la moderna politica e lo sviluppo economico non potevano più consentire. Tuttavia a Roma il Partito Curiale e quello della Nobiltà, spingevano

presso il Pontefice che, pure, aveva resistito agli attacchi degli avversari della modernizzazione, confermando Ruffo nel 1789, nella carica. 5.5.- L’OPPOSIZIONE DEL “PARTITO CURIALE” ALLE RIFORME DI FABRIZIO RUFFO Questa circostanza aveva aumentato l’inquietudine nel Partito Curiale. Era chiaro, anche perché il Tesoriere non ne faceva mistero, che lo «scatto di scalino» verso il risanamento dell’economia dello Stato, basata su processi strutturali, poteva attuarsi solo attraverso l’abolizione dei privilegi feudali. La modernizzazione degli appalti feudali avrebbe sciolto i vincoli che legavano i coloni ai campi padronali, incentivata la mobilità, favorita anche dall’eliminazione del pascolo forzoso e dalla liberalizzazione del mercato interno dei grani per le semine. La dinamizzazione commerciale e produttiva avrebbe sostituita la rendita parassitaria e alla fine gli stessi proprietari ne avrebbero tratto vantaggio. Ma il tutto avrebbe comportato la fine del potere latifondista nel Lazio e dei monopoli commerciali in mano a pochi commercianti nelle Legazioni, cioè la potentissima élite di potere dello Stato Pontificio. La modernizzazione era un pericolo da scongiurare. I conservatori romani cominciarono a fare pressione sul Governo papale indicando pericoli per la stabilità dello Stato che rischiava di sprofondare nell’anarchia istituzionale e nella scristianizzazione della popolazione. La situazione si fece tesa quando l’élite conservatrice si rese conto che il Tesoriere stava per acquisire il controllo delle forze armate per guidarne i già avviati piani di riorganizzazione e ammodernamento. Studioso e conoscitore dell’arte militare, come annotato, il Tesoriere s’accorse che le circostanze richiedevano interventi per mettere in condizione lo Stato di stare al passo coi tempi in una situazione di politica internazionale che si reggeva su equilibri basati sui rapporti di

48

L’Arciconfraternità del SS. Sacramento in S.M. in Cosmedin, fu fondata nel 1746 e operava all’interno del complesso ospedaliero del San Giovanni, attivo già dal 1216 per opera del Cardinale Giovanni Colonna. All’origine, la Confraternita, nata all’ombra della Chiesa della quale prese il nome, si chiamava Confraternità degli Illuminati dello Spirito Santo. Nel 1590 esercitava attività di banco depositi in denaro da impiegarsi per prestiti a pegno e gestiva due

conservatori per bisognose e per le figlie dei confratelli.

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forza. E siccome la politica economica era interessata da iniziative di ottimizzazione e miglioramento, molti sforzi si sarebbero vanificati se fosse perdurata la debolezza del supporto militare. I commerci esteri cercavano rapporti che si basassero su reciproci interessi e questi potevano consolidarsi solo in ambiente di stabilità e la stabilità era garantita se la struttura militare era forte per contrapporsi agli avversari. La Rivoluzione Francese stava destabilizzando gli antichi equilibri fra gli Stati Assoluti e già si notavano segnali in molte parti d’Europa. Il Governo Romano dovette prendere atto delle spiegazioni del suo Tesoriere Generale. Lo incaricò quindi di riordinare le forze armate e potenziarne le strutture. Don Fabrizio eseguì questo compito e fece fortificare nel 1789, le fortezze di Ancona e Civitavecchia, riattivando altresì le torri di guardia rivierasche. Pochi sanno che Don Fabrizio amava gli uomini di scienza e seguiva le spiegazioni scientifiche dei fenomeni naturali. Il suo entourage era composto da illustri illuministi provenienti dal mondo scientifico che sotto la sua direzione, ebbero modo di dedicarsi alle ricerche e alle innovazioni. Fu quando Don Fabrizio decise di allargare la cinta doganale (e quindi l’autorità dello Stato) a Ferrara e Bologna che dalle Legazioni si levò ostile la voce dei prelati locali, che avevano sobillato per l’occasione, l’apparato di governo al vertice, e un furor di popolo alla base. La trappola messa in atto dall’élite reazionaria era scattata. Nel 1791 il Diacono, accusato di usura ancorché lo stesso Pontefice fosse conscio che si trattava invece di accorta politica economica, dovette essere allontanato dalla carica di Tesoriere Generale

e però il Papa il 29 settembre 1791, lo nominava nello stesso tempo Cardinale “in pectore”, nomina che poi ratificò nel 1794, col titolo di Sant’Angelo in Pescaria e successivamente di Santa Maria in Cosmedin e Santa Maria di via Lata. Il Papa volle poi che Don Fabrizio non abbandonasse la vita di Governo, facendolo entrare nelle Congregazioni del Buon Governo, delle Acque, di Loreto e nella Congregazione Economica.49 5.6.- FABRIZIO RUFFO ALLA CORTE DI FERDINANDO IV Quando a Napoli si seppe dell’uscita del Cardinale dall’entourage governativo, il Re lo invitò nel Novembre 1794 a Corte. Le condizioni economiche del Cardinale erano

precarie perché le provviste che formavano la congrua in capo alle Badie Concistoriali nel Regno di Napoli, erano state dichiarate di Regio Patronato. La vita a Roma nel decoro e dignità eminenziale, non era più sostenibile per Ruffo, che aveva ipotecato i beni della Prelatura della Gran Casa di Bagnara. Lo stesso Santo Padre lo consigliò di accettare la chiamata della Corte Napoletana che aveva bisogno di personalità esperte nella conduzione del governo politico e militare dello Stato. Era intenzione del Re inserirlo nella compagine governativa affinché proseguisse l’opera di Tanucci e desse un’impronta di novità alle vecchie istituzioni del Regno Meridionale. Lord Acton, riuscì a “limitare” le investiture su quell’uomo che considerava un rivale, e con perfidia convinse la Regina a far restare il Porporato nell’ambito della sfera religiosa, sicché Ruffo venne incombenzato dell’Intendenza della Reggia di Caserta e dell’Intendenza delle fabbriche di San Leucio, il grande esperimento illuminista di produzione adottato dal governo napoletano.

49

Cfr.: DAVID SILVAGNI, La Corte e la Società Romana nei secoli XVIII e XIX, Forzani & C. Tipografi del Senato,

Roma 1884; CARLO TIVARONI, L’Italia durante il dominio francese (1789-1915), tomo II – L’Italia Centrale e Meridionale, L.Roux e C. ed., Torino 1889; VITTORIO VISALLI, I Calabresi nel Risorgimento Italiano. Storia

documentata delle rivoluzioni calabresi dal 1799 al 1862, G.Tarizzo & Figlio ed., Torino 1893 (reprint Brenner,

Cosenza1989).

Il Cardinale Don Antonio Ruffo-Bagnara

Uditore della Camera Apostolica

Il cardinale Tommaso Ruffo-Bagnara

Arcivescovo di Ferrara

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Il 6 dicembre 1794, il Re gli affidava il governo dell’Abbazia di Santa Sofia in Benevento. Grande fu lo scandalo nella Curia romana per aver il Cardinale accettato di prestare servizio subordinato nella Corte di Napoli. Ruffo ne scrisse al Papa chiedendo di confermargli fiducia e il papa gli rispose di andare avanti. La vicenda di Don Fabrizio Ruffo e dell’iter delle Riforme alla fine del XVIII secolo, in un Regno arretrato nei settori economici e sociali, com’era lo Stato Pontificio, dimostra come anche nello scorcio del secolo prevalessero, malgrado la consapevolezza di un pugno di riformatori e di prelati aperti a una diversa concezione dell’amministrazione pubblica, le tradizionali pretese particolaristiche e non importa se queste pretese giungessero da zone evolute e sensibili allo spirito di modernizzazione, come appunto Ferrara e Bologna.50

Sono noti gli episodi che convinsero il Re, che si credette protetto dai trattati di alleanza stipulati con la Germania il 19.5.1798, con la Russia il 29.11.1798 e con la Gran Bretagna l’1.12.1978, alla mobilitazione generale e alla spedizione militare di Mack a Roma per “liberarla” dall’invasione francese. Si concluse con una disastrosa ritirata. Dalla vergogna si salvò solo il Generale Damas. Quando il Generale Championnet, con scarsa convinzione, si mise in marcia da Roma per occupare Napoli, Don Fabrizio seguì la Corte

50

Sulle tensioni scatenatesi fra Legazioni e Roma a proposito delle riforme che privavano le stesse Legazioni di

privilegi e autonomia a favore di una maggiore politica nazionale, cfr.: V.E.GIUNTELLA, Roma nel Settecento, Roma

1972, da p. 49. Sulla figura di Don Fabrizio Ruffo e la sua attività in questa fase storica, cfr.: V.RUFFO, Il Cardinale

Fabrizio Ruffo e la controrivoluzione del 1799, in ASC, a. VI (1918). Per l’inquadramento generale dello Stato

Pontificio e la trattazione specifica della situazione politica interna e dell’evoluzione economica, cfr.: M.CARAVALE-

A.CARACCIOLO, Lo Stato Pontificio da Martino V a Pio IX, UTET, To. 1978.

Dopo le vicende del 1799, il Cardinale divenne esponente di spicco della Congregazione Economica della Santa Sede,

Ambasciatore a Roma del Regno di Napoli e capo delegazione alla Corte a Parigi per tentare di scongiurare l’invasione francese del Regno. Nel 1806, il Cardinale riparò nuovamente a Palermo seguendo il Re e da Palermo viaggiò con

delicate missioni diplomatiche in Europa, recandosi con frequenza a Parigi per incontrare l’Imperatore. Quando nel 1809 Pio VII Chiaromonte venne fatto prigioniero e condotto a Savona, l’Imperatore ruppe con gli esponenti della

Curia romana e però volle che il Cardinale Ruffo, insieme al ristretto gruppo di Eminenze che ebbero il privilegio di

conservare l’abito rosso (i “Cardinali Rossi”) fosse presente al matrimonio con Maria Luisa d’Austria. Il 26 gennaio 1813 l’Imperatore gli conferiva il titolo di Ufficiale della Legion d’Onore francese. La stima di Napoleone per questo grande uomo politico durerà nel tempo. Fu Ruffo che riaccompagnò a Roma nel

1814, il Papa che poi, nel 1815, lo nominò nuovamente Membro della Congregazione Economica, Soprintendente della

Deputazione Annonaria e della Deputazione della Grascia e nel 1817 lo investì della nomina di Gran Priore di Roma

dell’Ordine Gerosolimitano, dei Nobili Cavalieri difensori della Religione. La Gran Casa di Bagnara dunque, perpetuava nel Cardinale la presenza fra i Cavalieri di Malta. Nel 1821 il Papa gli

rinnovò la carica di Prefetto delle Acque, delle Paludi Pontine e Chiane e divenne Primo Diacono della Chiesa di Roma.

Dopo i moti carbonari di Napoli dello stesso 1821, il Re lo affiancò al Marchese del Circello affinché si occupasse di

riformare le tecniche di governo.

Nel 1823 moriva Pio VII e il Cardinale si condusse a Roma per il Conclave. .Il 28 Settembre 1823 il Cardinale di

Bagnara annunciava al mondo, dalla Loggia del Palazzo del Quirinale, all’epoca sede del Pontefice, la nomina di Leone XII al quale poi, il 5 ottobre, imponeva il Triregno. Fu l’ultima missione dell’ottantaquattrenne porporato che morì a Napoli, nel Palazzo di Bagnara, il 13 dicembre 1827.

Esposto per le onoranze funebri in San Domenico Maggiore, fu con sorpresa generale riverito da una massa

impressionate di popolo. Il Cardinale venne sepolto in San Domenico Maggiore, dove nella navata di destra, la Casa di

Bagnara aveva fatto erigere una meravigliosa Cappella (la Cappella di Santa Caterina) per le sepolture dei membri della

Famiglia Ducale. La Cappella tutt’ora esiste, bellissima testimonianza del prestigio e della fama della Gran Casa di Bagnara.

Ferrara: Palazzo Arcivescovile

fatto costruire da Don Tommaso Ruffo-Bagnara

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a Palermo, accompagnato dal fratello Don Francesco (detto “Don Ciccio”), Marchese della Guardia Perticara, Cavaliere Gerosolimitano ed esponente della Corte Napoletana.51 Il Regno di Napoli era perduto e le truppe allo sbando. I forti di Pescara e Civitella del Tronto, quest’ultimo maestoso e imprendibile, si arresero senza combattere, i soldati fremettero di sdegno perché volevano combattere per la patria, contro nemici giudicati indemoniati, affamatori, ladroni e assassini. Dovettero ubbidire agli ordini di ufficiali inetti e vigliacchi che secondo loro, aprirono le porte al nemico. Ovunque i comandanti militari avevano dato dimostrazione di pavidità, vigliaccheria e talvolta s’erano venduti al nemico di fronte ai soldati che osservavano sconcertati quando accadeva. E mentre l’esercito abbassava le armi e si sbandava, le armi imbracciavano i contadini, il popolo basso delle città e le maestranze delle Province, anche le più periferiche per la difesa del Re e della Patria, delle famiglie, dei campi e di Dio, contro i “giacobbini” repubblicani alleati coi “ladroni” francesi. Tutto questo valutava Ruffo, adesso che a Palermo si ricevevano i rapporti dalla Capitale e dalle Province oltreché dalle Cancellerie italiane. Ovunque erano sopravvenute alla Rivoluzione Giacobina le Insorgenze popolari e tutte avevano una caratteristica comune: «viva Maria!», «viva la Santa Fede», «viva il Re».

51

A differenza del Cardinale, D.Ciccio aveva un carattere velenoso, impetuoso e vendicativo. La dismissione dalla

carriera militare aveva accentuate queste caratteristiche negative. La contraddizione di fondo di D.Ciccio era mantenere

un timbro e un tono da campo militare di guerra, in un ambiente ovattato e “lento” qual era la Corte Borbonica a Napoli

e poi Palermo (ANONIMO, Osservazioni sulle Memorie della vita del Cardinale D.Fabrizio Ruffo di Baronello per

l’impresa del 1799 in Napoli da lui intrapresa, Tip. Sardi, Livorno 1837, pg. 26 – In realtà pare essere il Marchesino

Malaspina l’autore di queste Osservazioni; molti sono i fatti che collimano fra questo lavoro e il Diario scritto dal Marchesino). Secondo Pettigrew (F.PETTIGREW, Memoirs of the life of Nelson, Boone ed., Londra 1849, pg. 96) e

Palumbo (R.PALUMBO, Carteggio…, cit., pg.89), Ruffo non aveva seguito la Corte a Napoli. Deducono questa

circostanza dal fatto che il nome di Ruffo non figura fra i passeggeri del Vanguard e del Sannita. In realtà non tutti i

fuggitivi s’imbarcarono sui due vascelli maggiori, trovando alloggio nei bastimenti che componevano la flotta di

trasferimento da Napoli a Palermo (HELFERT, F.R…., cit. pg. 89).

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GENEALOGIA DEL CARDINALE

DON FABRIZIO RUFFO DEI DUCHI

DI BARANELLO - BAGNARA

Serius Rufus Signore di Mizzillicar e Cabucas

Gran Maresciallo di Calabria (1250)

Fulco Ruffo Giustiziere in Terra di Lavoro

Signore di Seminara, S.Cristina & Bovalino Conte di Sinopoli (1335), Signore di Nicotera

Arrigo Ruffo Regio Ciambellano e Viceré di Campania

Signore di Seminara, S.Cristina & Bovalino Conte di Sinopoli, Signore di Nicotera

Guglielmo

Ruffo I° Conte di

Sinopoli (1335)

Fulco Ruffo II° Conte di

Sinopoli

Nicolantonio

Ruffo Signore della Vecchia

Bruzzano

Esaù Ruffo (+1510) II° Signore di Bagnara (dal 1464)

alla morte del fratello Guglielmo; Signore della Vecchia

Bruzzano e di Condojanni (nel 1484); Gran Cancelliere del

Regno Dife sore della Casa Reale d’Arago a

A esso el Co siglio di Stato 1497 da Federico II° d’Arago a

Gerolama f. di

Giovanni Del Carretto,

II° Barone di Racalmuto Bernardo Ruffo

(+1515) III° Signore di

Bagnara Eleonora di San Gineto

dei Conti di Corigliano

Per altri: Isabella Mastrogiudice Guglielmo (o

Geronimo) Ruffo

+ 1539 IV° Signore di Bagnara e

Signore di Solano dopo la

rinuncia del cugino Paolo

Antonia Spadafora

Guglielmo Ruffo III° Conte di

Sinopoli (nel 1393)

da Re Ladislao)

Guglielmo (o Geronimo) Ruffo

+ 1462 I° Signore di Bagnara e Signore di Solano,

cadde combattendo da eroe durante la

Battaglia di Seminara nelle fila dell’Esercito Aragonese di Mase Barrese

Ramondetta f. di

Antonio Centelles, Conte

di Crotone. Per altri

Elisabetta figlia di Enrico

Ruffo Conte di Condojanni

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Bernardo Ruffo + 1559

V° Signore di Bagnara e

Solano Alvina

Figlia di Giovanni Ruffo

Conte di Sinopoli

Giovanni Giacomo + 1582

VI° Signore di Bagnara e

Solano Ippolita

Figlia di Salvatore Spinelli

Marchese di Fuscaldo Don Carlo Ruffo

1566-1610 I° Duca di Bagnara, Signore

di Sa t’A ti o, Sola o, Fiumara di Muro, Motta S.

Giovanni Antonia

Figlia di Federico Spatafora

Barone del Biscotto

Don Francesco Ruffo 1596-1643

II° Duca di Bagnara, Signore

di S.Antimo, Solano, Motta

S.G., Fiumara di Muro,

Amendolea

Guiomara (Guglielmina) Figlia di D.Vincenzo Ruffo

dei Principi di Scilla

Don Carlo Ruffo 1616-1690

III° Duca di Bagnara Principe

della Motta S.G., Principe di

Sa t’A ti o, Patrizio Napoletano

Costanza Figlia di D. Gregorio

Boncompagni Duca di Sora

e poi D. Andreana, figlia di

Giovanbattista Caracciolo

Guglielmo (o

Geronimo) Ruffo IV° Signore di Bagnara e

Signore di Solano dopo la

rinuncia del cugino Paolo Antonia Spadafora

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Pag. - 35 -

Don Carlo Ruffo 1616-1690

III° Duca di Bagnara Principe

della Motta S.G., Principe di

Sa t’A timo, Patrizio

Napoletano Costanza Figlia di D. Gregorio

Boncompagni Duca di Sora

e poi D. Andreana, figlia di

Giovanbattista Caracciolo Don Francesco Ruffo

1644-1715 IV° Duca di Bagnara, Principe

della Motta S.G., Principe di

Sa t’A ti o, Sig ore dell’Amendolea, Fiumara di

Muro & Solano, Signore di

S.Lorenzo e della Gabella di

Catona, Patrizio Napoletano

Giovanna Figlia di Ottavio Moncada

Conte di Mussomeli e Reggio

Don Carlo Ruffo 1680-1750

V° Duca di Bagnara, Principe della Motta

S.G., Principe di Sa t’A ti o, Sig ore dell’A e dolea, Fiu ara di Muro & Solano, Signore di S.Lorenzo e della

Gabella di Catona, Patrizio Napoletano

Anna Maria Santapau Figlia di D. Tiberio Ruffo dei

Principi di Palazzolo Don Francesco Ruffo

1707-1767 VI° Duca di Bagnara, Principe della, Motta

S.G., Pri cipe di Sa t’A ti o, Sig ore dell’A e dolea, Fiu ara di Muro e Solano, Signore di S.Lorenzo e della

Gabella di Catona, Patrizio Napoletano

Donna Ippolita Figlia di D. Nicola d’Avalos

Aquino Aragona, Principe di

Montesarchio Donna Ippolita 1758-1830

Figlia di D.Carlo Ruffo Don Carlo Ruffo 1734-1761

Pri cipe di Sa t’A ti o, Patrizio Napoletano

Donna Anna Figlia di D. Troiano

Canaviglia, Duca di

S.Giovanni Rotondo,

Marchese di S.Marco

Non ebbe figli maschi e i

Titoli passarono alla figlia

Don Nicola Ruffo,

figlio di D. Francesco

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Sposa la nipote Donna Ippolita Figlia di D.Carlo Ruffo; non ebbero

figli, dunque D.ippolita divenne poi VIII° Duchessa di Bagnara, Principessa

della, Motta S.G., Principessa di

Sa t’A ti o, Sig ora dell’A e dolea, Fiumara di Muro & Solano, Signora di

S.Lorenzo e della Gabella di Catona,

Don Nicola Ruffo 1742-1794

VII° Duca di Bagnara Principe della Motta S.G., Principe di

Sa t’A ti o, Sig ore dell’A e dolea, Fiumara di Muro & Solano, Signore di

S.Lorenzo e della Gabella di Catona,

Patrizio Napoletano

Don Vincenzo 1734-1802

3° Duca di Baranello, Barone di S.

Lucido, 9° Duca di Bagnara, ecc. Figlio di Don Litterio Ruffo

II° Duca di Baranello, e Principe di

Castelcicala dopo il matrimonio con

D.Giovanna, figlia di D.Telesio Ruffo

Principe di Castelcicala

In mancanza di eredi e alla morte del

marito, D.Ippolita cede tutti i Titoli di

Bagnara al cugino Don Vincenzo che

diviene il 9° Duca di Bagnara (°)

Don Litterio 1704-1772

II° Duca di Baranello Compra San Lucido nel 1746

Don Vincenzo 1734-1802

Figlio di Don Litterio III° Duca di Baranello, Barone di San

Lucido, IX° Duca di Bagnara, Principe

della, Motta S.G., Principe di

Sa t’A ti o, Sig ore dell’A e dolea, Fiumara di Muro e Solano, Signore di

S.Lorenzo e della Gabella di Catona,

Donna

Alfonsina Don Giuseppe

Antonio Principe di Spinoso

DON

FABRIZIO Cardinale

Donna

Lucrezia

Don Domenico

Donna

Enricheta Don

Francesco Donna

Maria

Francesca

a

Donna

Giovanna

Donna

Maria

Caterina

Don Paolo

(°) Donna Ippolita Ruffo

riposa ella Cappella di Bag ara, dedicata a Sa ta Cateri a d’Alessa dria, i Sa Domenico Maggiore a Napoli, insieme al Marito don Nicola Ruffo VII° Duca di

Bagnara e molti altri congiunti, fra i quali anche S.E. Don Fabrizio Ruffo, terzo

Cardinale di Bagnara.

Oltre alle Sepolture della Famiglia Ruffo, volute in quella Cappella proprio da

D.Ippolita, vi sono monumenti e sepolture di membri della Famiglia Tomacelli, antica

Stirpe Napoletana, legata per molti fatti ai Ruffi.

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6.- IL PIANO CONTRORIVOLUZIONARIO. IL RUOLO DI BAGNARA A Palermo Don Pascalino aveva rassicurato l’Eminenza sulla tenuta di Bagnara e Scilla sotto l’autorità del Re e sulla disponibilità della Costa Calabrese a sostenere le azioni di riconquista del Regno. La copertura “istituzionale” era garantita dalla Reale Piazza d’Armi di Reggio, sotto il controllo dell’Uditore Di Fiore. I dubbi sull’opzione giacobina, raccontava Versace a Sua Eminenza, erano stati risolti a Bagnara, Scilla e Palmi da tempo mentre a Reggio si tenevano sotto controllo i novatori e si dava la caccia ai pochi cospiratori sfuggiti alla retata di fine anno.52 Don Pascalino peraltro, garantiva sulla compattezza dei “migliori” di Bagnara a cominciare dal Sindaco e tutti gli eletti.53 Le economie rivierasche collegate al Porto di Messina

e ai commerci coll’Adriatico asburgico, erano floride e godevano di privilegi che difficilmente la politica giacobina avrebbe potuto garantire.

52

Sacchinelli conferma questa asserzione (SACCHINELLI, 78): fu l’opera di D.Angelo Di Fiore a far rimanere fedeli al

Re i paesi anseatici calabresi. 53

Il 17 maggio 1800 il Notaio Carlo La Piana registrava una deposizione del Sindaco e Deputati di Bagnara:

D.Giacomo Denaro, Don Domenicantonio Messina e Magnifico D. Giovanni Spoleti, ai quali s’unirono “li principali galantuomini e maestri ed altri individui probi e di fede degna” e cioè: il Dr. D. Giuseppe Maria Parisio, D. Pasquale Morabito del quondam Stefano, D.Vincenzo Romano, il Dr. D.Alessandro Manchi, D. Gennaro Leonardis, D. Pier

Francesco Versace, D. Domenico Vitetta, il Dr.D. Giovanni Lucisani, il Magnifico Vincenzo De Majo, Mastro Letterio

Carpanzano e Mastro Rocco Coletta. Tutti questi “signori del reggimento” testificarono “sponte, non vi, dolo” e “in causa scientie” che D.Francesco Carbone era di loro conoscenza, che era uno dei primari galantuomini di Scilla,

attaccato e fedele alla Corona che aveva servito con zelo per oltre 18 anni dal momento in cui fu fatto foriere dal

Generale Francesco Pignatelli, capo delle milizie provinciali e poi alfiere, primo tenente capitano ecc. Protesse la

Provincia dalle banche di delinquenti e disertori, condusse la leva del 1796 insieme al Tenente Colonnello D. Stanislao

Espen e del capitano D. Tommaso Susanna. E prosegue l’interessante testimonianza: …nella leva del 2 settembre 1798, il mentovato signor Carbone venne incaricato in unione del signor Capo Ruota allora Assessore della Corte di Reggio D.Angelo Di Fiore, oggi degnissimo Consigliere, per l’arresto del Cavaliere D. Saverio Melissari e soci, che si dissero allora rei del barbaro omicidio seguito nella persona

del governatore Pinelli, e comandante della Real Piazza della detta Città di Reggio. Parimenti costa ad essi

costituti testificanti, che nel mese di dicembre del caduto anno 1798, essi signori Carbone e Di Fiore

procederono all’arresto di molti individui della Città di Reggio circa al numero di sessanta, non che in altri diversi luoghi della Provincia, come rei di Stato, a qual oggetto sotto il loro comando li vennero assegnati in

rinforzo da 400 soldati venuti da Messina; e successivamente nel mese di gennaio dello scorso 1799 intesero

e seppero essi testificanti, che esso signor di Carbone, e per ordine del signor Di Fiore, ed in sua presenza,

arrestò i suoi compaesani D.Rocco e Cirillo Minasi non ostante l’amicizia nella quale egli passava cò medesimi e col di loro zio, il Padre D.Antonio Minasi.

Similmente costa ad essi testificanti, che nelle funeste avventure del Regno, la casa di esso Signor Carbone in

Scilla servì di sicuro asilo dé buoni vassalli del Re Nostro Signore, li quali fuggivano dal rigore dé paesi

democratizzati, fra i quali nella stessa casa si rifugiò il signor Preside di Catanzaro D.Antonio Winspeare con

la sua famiglia ecc.

La deposizione prosegue poi con la narrazione dei fatti così come accaduti e che di seguito verranno esposti.

Firmarono l’atto, come testimoni, il Magnifico Felice Sciglitano, all’epoca Giudice ai Contratti di Bagnara, D. Domenico Sciplini, il Fabbro Domenico Modafferi, d. Antonio Maria Parisio e infine lo stesso notaio Carlo La Piana.

(A.S.R., Notaio La Piana, Bagnara, fascio 142, f. 81; cfr.: G.CINGARI, Giacobini e Sanfedisti in Calabria nel 1799,

Casa del Libro ed., RC 1978, pag. 357 segg.).

Fabrizio Ruffo

Tesoriere Generale dello Stato Pontificio

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I commercianti e gli artigiani di Bagnara si sarebbero schierati sotto le insegne borboniche, a difesa della libertà dei commerci e contro l’ideologica giacobina che predicava una libertà “non regolata e protetta”. E così era per Scilla e Reggio. Non poteva essere altrimenti perché la fascia costiera da Reggio a Palmi, era presidiata dai miliziani del Tenente Carbone e sotto la tutela giudiziaria dell’Uditore D. Angelo Di Fiore e questo per scongiurare effetti negativi per il Governo realista dopo la scoperta della congiura di Reggio, effetti che si sarebbero potuti combinare con gli stimoli che Napoli stava tentando di fare giungere ovunque nel Regno per attivare i processi di democratizzazione. Questo riferiva Don Pascalino al Cardinale e a Don Ciccio; lo riferiva con convinzione e lo documentava agli esponenti governativi del salotto di Sua Eminenza che ascoltavano attenti e che da qualche settimana frequentavano il gran palazzo nobiliare della sorella Donna Lucrezia, per ossequiare il medico Cotugno, venuto da Napoli per curare il Re e la Regina, unitamente alla moglie Donna Ippolita Ruffo-Bagnara. A fine Gennaio del 1799, il Ten. Carbone comunicò al Cardinale che il sistema religioso rivierasco e aspromontano s’era mobilitato: le popolazioni erano pronte alla difesa della Fede, della Patria, del Re e delle famiglie. Due le matrici-cardine che decisero il Cardinale all’azione:

la certezza di avere dalla sua parte importanti componenti del Ceto Emergente in quelle località da lui ritenute strategiche per il consolidamento dell’avanzata verso Napoli;

la certezza di avere subito disponibile una Cassa di Guerra già al momento dello sbarco, di consistenza tale da soddisfare le prime rate del Prest ai volontari e alla Truppa e pagare il vettovagliamento di base.

Si sarebbe trovata pronta a Bagnara una prima Cassa di Guerra e al momento dello sbarco in Calabria di un condottiero reale, una seconda Cassa di Guerra si sarebbe approntata fra Palmi, Oppido e Gioja, a cura delle prelature della Piana. Per quanto attiene l’adesione calabrese, il Cardinale ebbe conferma della tranquilla tenuta di Reggio, ma soprattutto della totale realizzazione di Scilla, Bagnara, Palmi e le Comunità Aspromontane. Ebbe poi informazioni segrete, che lo stesso Acton non conosceva, sulla disponibilità d Don Carlantonio Baracca di Cosenza, influente Patrizio dei Casali di Dipignano, che rassicurò l’entourage del Cardinale sulla disponibilità sua e della sua gente quando l’Armata avrebbe raggiunto Crotone e di Don Antonio e Don Odoardo Stocco a Cosenza, influentissimi sulla Città e su tutto il circondario del loro feudo di Decollatura;54 uniti a Don Franco Scarpelli, galantuomo che diede appuntamento al Cardinale a Crotone ove poi effettivamente lo raggiunse e da dove venne immediatamente inviato a Cosenza con importanti plichi riservati pe il Capitano Don Ignazio Coscarelli. Insieme poi confluiranno a Rossano per essere incorporati nell’Armata. Di Cosenza era anche D.n Ferdinando Castiglione Morelli, Patrizio Cosentino che aveva assicurato al Cardinale l’appoggio di una consistente massa di Fiumefreddo, con la quale parteciperà alla realizzazione di Cosenza, in appoggio al Capitano Coscarelli.

54

Le comunicazioni fra gli Stocco e la Corte, si fecero successivamente determinanti a mezzo di un messaggero

inusuale: Madame Antoinette D’Abron che a Palermo trovò ospitalità dopo aver lasciato la Francia. (Sulla posizione degli Stocco, cfr.: ASN, Archivio Borbone, f. 239, cc. 115r-142r. anche in: UMBERTO CALDORA, Fra Patrioti e

Briganti, Adriatica Editrice, Bari 1974, pg. 56)

Lady Emma Hamilton

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Altre importanti assicurazioni di adesione, comunicava attraverso Carbone, il parroco di Pedavoli Don Antonio Ruffo55, Don Nino Pugliese da Tresilico, che poi raggiungerà il Cardinale a Bagnara,

ove si incorporerà nell’Armata dopo aver rassicurato il Cardinale sull’appoggio della sua zona; altre adesioni giungevano anche dal Jonio, come faceva sapere il parroco Don Bruno Cosentino da Squillace che avrebbe atteso il Cardinale al suo sbarco insieme a molta gente jonica; a Mileto si sarebbe presentato Don Bruno Calabretti da Badolato, dottore in medicina, che già aveva armato il Paese insieme a Fortunato Caporeale. Un utile supporto lungo le tappe d’avvicinamento al confine calabrese, lo avrebbero fornito D.n Ferdinando Sicilia da Rogliano, che per tale motivo si unì all’Armata in Monteleone e D.n Franco Stumpo, anch’egli da Rogliano, che si sarebbe unito all’Armata alla Marina di Catanzaro per essere poi destinato alla custodia della Cassa Militare di Don Pasquale Versace. Da Tropea giunsero al Cardinale importanti

messaggi da Don Benedetto Pizzinni, giovane “Galantuomo” locale: si sarebbe fatto trovare, armato di tutto punto e con dei compagni, allo sbarco del Cardinale in Calabria e Don Carlo Cortese, sacerdote con ottimo seguito, che assicurò il suo incorporamento nell’Armata fin da Mileto. Di Tropea anche Don Mimmo Arena che stava reclutando uomini per formare un’importante squadra di campagna con l’aiuto di Mimmo Castiglia poi distintosi al Ponte della Maddalena. Raggiungerà in effetti il Cardinale a Cotrone con 34 uomini fra i quali lo stesso Mimmo Castiglia. A Radicena aveva dato appuntamento al Cardinale Don Mimmo Moretti, assicurando l’incorporamento nell’Armata di numerosa gente. Fortissima l’adesione da Sant’Eufemia d’Aspromonte e il suo circondario: Domenico Gioffré, bracciante con molti amici, avrebbe atteso il Cardinale sulla spiaggia dello sbarco, così Domenico Ascrizzi, Ciccio Bagnato, Francesc’Antonio Creazzo, falegname poi aggregato alla compagnia Genio degli Ingegneri Oliverio e Vinci, e ancora Domenico Gioffré qm. Andrea e Mimmo Gaglioti, mentre un altro Domenico Gioffré (di Giovanbattista) avrebbe atteso con buona squadra di

55

Don Antonio si presentò poi effettivamente al Cardinale il 16 febbraio a Sant’Eufemia d’Aspromonte e con l’Eminenza concordò l’arruolamento di terrazzani radunati a massa coi quali raggiunse poi il Cardinale a Radicena,

divenendo ottimo assistente del treno di artiglieria (CALDORA, Fra Patrioti …, cit. pg. 58)

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“entusiasti” il Cardinale a Sant’Eufemia. Da Catanzaro proveniva Don Francescantonio de Vito che poi s’incorporerà nella Compagnia del Capitano D.n Raimondo de Raimonde e, dopo l’attacco a Cotrone durante il quale molto si distinguerà, sarà annesso ala Compagnia del Maggiore D.n Nicola Gualtieri Panedigrano . .

Fin da prima della partenza, il Cardinale teneva in forte considerazione la situazione della Piazza di Cotrone, che sapeva fortemente influenzata dalle idee giacobine. La conferma dell’adesione al suo progetto da parte di Don Ferrante Milelli, patrizio cotronese, gli pervenne gradita, così come l’assicurazione che lo avrebbe raggiunto nei pressi di Cutro. Fu dopo aver avuta la certezza che Bagnara avrebbe provveduto a costituire un Fondo di Riserva strategico di mezzi finanziari per affrontare la guerra, che il Cardinale cominciò a parlare al Lord Acton e alla Regina del progetto di sbarcare in Calabria per marciare sulla Capitale con gli stendardi della Santa Fede in Cristo, sollevando a massa le popolazioni. L’idea circolava da qualche giorno a Corte, ove era giunto un appello di Don Rinaldi, parroco di Scalea. Il parroco scongiurava il Re di mettersi alla testa del movimento popolare che lo avrebbe accompagnato a Napoli. Troppo legata alla Religione e al Re era la popolazione calabrese e la rivoluzione repubblicana non aveva attecchito minimamente nel cuore del popolo calabrese. La Croce di Cristo e Sant’Antonio avrebbero protetta la marcia gloriosa.56 L’idea aveva un senso. Se alla testa della controrivoluzione si fosse messo un personaggio carismatico, era certo che il popolo meridionale lo avrebbe seguito. Il Re o il Principe Ereditario avrebbero certo scatenato gli entusiasmi riverenti della gente, ma in questo caso serviva anche una “motivazione” forte perché oltre l’entusiasmo, occorreva il consenso. Consenso che scaturiva dalla convinzione di dover proteggere le proprie cose da gente “infedele” e “assassina”. La coniugazione era: Cristo – il Re – il proprio lavoro.

56

ANTONIO MANES, Un Cardinale condottiero. Fabrizio Ruffo e la Repubblica Partenopea, Jouvence ed., Roma

1996, pg. 95

Il Cardinale Don Fabrizio Ruffo dei Duchi di Baranello-Bagnara

e la mappa della Marcia dell'Armata della Santa Fede per la riconquista del Regno di Napoli

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Occorreva dunque un personaggio religioso che desse l’idea di “protettore generale” unitamente a “difensore” della “calabresità”. Il Cardinale era convinto di potercela fare se avesse potuto contare su un buon sostegno finanziario. Aveva infatti a mente di organizzare i contingenti sulla base, si, del volontariato, ma compensato con il soldo, quale azione di coesione fra il popolo e il Re. Ma non si fidava di quanto andava asserendo il Principe di Luzzi sulla Cassa Generale del Regno affidata al Tesoriere del Re, il Marchese D. Francesco Taccone in arrivo a Messina. Il Principe asseriva che sarebbe stata messa a sua disposizione per l’eventuale spedizione. Questi dubbi lo avrebbero bloccato se non fosse stato proprio per Don Pascalino: la prima Cassa di Riserva era già disponibile a Bagnara. Al ritorno in Calabria, Don Pascalino e il Tenente Carbone riferirono che Sua Eminenza stava decidendo positivamente di attaccare e alla fine un sistema coeso si installò fra Palermo, la Reale Piazza di Reggio, Messina, le Zone Anseatiche calabresi del Canale e l’entroterra aspromontano. La Regina, dopo aver valutato la tenuta politica della Calabria attorno alle istituzioni borboniche, si era lasciata trascinare dall’entusiasmo. Le cittadine calabresi che avevano innalzato l’Albero della Libertà, riteneva non avessero influenza sulla struttura civile calabrese, aveva ragione Don Rinaldi. Maria Carolina lo dichiarava: Bagnara si mantiene, così come Scilla e Reggio, non vi era pericolo. Tuttavia bisognava fare presto. Il vento della Rivoluzione era imprevedibile e i francesi avrebbero potuto approfittare di una distrazione per correre il Canale con una flotta. Tutto sarebbe andato perduto. Alla fine Lord Acton approvò l’operazione e la mise come ordine del giorno in un Consiglio di Stato per ottenere il placet reale. Il Consiglio si dichiarò favorevole con la motivazione di prevenire, sedando la rivoluzione in Calabria, i movimenti giacobini che avrebbero potuto essere traghettati verso Messina, Catania e Palermo, ove la Massoneria e l’Illuminismo avevano già attecchito. Il Governo si era dato un obiettivo diversificato: un profilo strategico, individuato nel “risanamento” della Provincia Calabrese a protezione della

Fabrizio Ruffo Bagnara "Alter Ego" del Re in Calabria

Capo dell'Armata della Santa Fede

e la sua firma autografa

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Sicilia, e uno tattico, agevolare le masse sanfediste per l’avanzata verso le altre Province alla riconquista della Capitale che però, nel progetto reale, doveva ascriversi alle truppe regolari appoggiate dagli alleati europei: Gran Bretagna, Russia e Turchia. Per nessun motivo la Corte avrebbe accettato di negoziare, a qualsiasi titolo, con i giacobini napoletani: sarebbe significato un riconoscimento, seppur implicito, della forma repubblicana di governo, creando un precedente. Le formazioni militari che avrebbero realizzato le Province, sarebbero state prevalentemente formate da truppe regolari per trovarsi nella stessa condizione formale del nemico al quale offrire battaglia. Tale nemico era la Francia. Si tratta della teorizzazione della Riconquista elaborata dalla Corte. In essa traspare la sfiducia nella spedizione di Ruffo (al quale non vennero concessi molti mezzi) e attenzione e speranza in una pace negoziata dagli alleati dopo una guerra vittoriosa contro i Francesi. In tal senso, l’influenza di Nelson fu determinante.57 7.- I PREPARATIVI PER LA SPEDIZIONE IN CALABRIA Avuta notizia positiva sul progetto di sbarco in Calabria, il Cardinale inviò a Lord Acton una memoria58 con la quale elencava la sua dotazione di base. Scorrendo i punti di questa richiesta, si comprende la levatura del personaggio: raffinatezza politica, orizzonte capace di abbracciare piccoli particolari della sociologia delle masse, scenario economico nel quale le masse si muovevano e ragionavano e dell’arte militare con l’estrapolazione delle iniziative per affrontare i problemi, nel teatro di guerra e negli effetti collaterali:

1. Esame di tutte le carte degli affari politici e militari. Gli aiuti attesi dall’Imperatore, Russi, Turchi e Inglesi in consistenza e disponibilità reale. Relazione esatta dello stato di Napoli, le carte, i proclami colà pubblicati ed il ragguaglio dei fatti ivi recentemente seguiti. Ciò dovrà mantenersi nel senso che egli durante la campagna di guerra sarà immediatamente informato di tutto quanto accade nella Capitale

2. Distinta degli ufficiali presenti nelle province e la disponibilità di “miliziotti” che possono mettere a disposizione.

3. Disponibilità di una somma per le occorrenze più delicate e scabrose. 4. Tenere aperta la comunicazione fra la Sicilia ed il Littorale del Regno, ciò che potrebbe

ottenersi impiegando alquante speronare, oppure le barche dette coralline, e convenendo

53

MALASPINA, 49 58

F.RUFFO, Schiarimenti ed aiuti richiesti dal Cardinale Ruffo a S.E. il sig. Generale Acton per disimpegno della

commissione a cui venisse destinato da S.M. (D.G.) nel Regno di Napoli o sia nelle province di esso, ASN. Affari

Esteri, 666 e pubblicato da B. Maresca in ASPN, a. III, fasc. I (1883). Il documento originale fu scritto dall’Abate Spaziani sotto dettatura del Cardinale. Una collaborazione che poi durerà per tutto il corso della Spedizione.

PRIMA FORMAZIONE DELLA «ARMATA CRISTIANA E REALE»

S.E. Don Fabrizio Ruffo & Colonna dei Duchi di Baranello & Bagnara

Cardinale Diacono Alter Ego di S.M. il Re e Comandante in Capo dell’Armata Cristiana e Reale della Santa Fede

Truppe Regolari

Ten. D. Natale Perez De Vera (coll'impiego di Capitano)

Truppe a massa

Ten. di Provincia D.Francesco Carbone (coll'impiego di Capitano)

Ispettorato della Milizia “a voce”

Aiutante Reale Marchese Filippo Malaspina

Segreteria dello Stato Maggiore Abate D. Lorenzo Spaziani

già 1° Minutante nella Segreteria di Stato Pontificia a Roma

Affari di Stato per le Province liberate Caporuota D. Angelo Di Fiore

Regio Tesoriere Generale dell'Armata Dottor Fisico D. Pasquale Versace

Priore della Confraternità dell'Immacolata di Bagnara

Cappellano militare e Padre Spirituale del Cardinale D. Annibale Caporossi

Confessore personale del Cardinale

Padre D. Gaetano Richichi

Parroco in Sant’Eufemia d’Aspromonte

Commissario di Guerra Dottor Fisico D. Domenico Petromasi

membro dello Stato Maggiore di S.M. Siciliana

STRUTTURA DELLA TRUPPA E EROGAZIONE DEL «PREST»

Soldato Regolare o Volontario: 25 grana al giorno

1 Caporale ogni 15 Soldati: 35 grana al giorno 1 Sottocapo o Sergente ogni 30 Soldati:

5 carlini al giorno

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con loro segnali che assicurino di essere il paese tuttavia alla devozione di S.M. e perciò sicuro. Per ottenere un tale intento crede necessario che le forze marittime, così regie come quelle dé nostri alleati, scorrendo di continuo il Littorale (…) e tengano lontano dalle nostre rive i corsari Francesi e i Barbareschi e così rendano facile il trasporto e dei viveri e delle munizioni che si mandassero dalla Sicilia al Continente. Una volta sbarcato in Calabria e assicurata la fedeltà di quei territori, è inutile tenere la flotta all’ancora in quei lidi, meglio farla

scorrere lungo il litorale interessato alle attività operative della campagna di guerra. In questa maniera la popolazione sarebbe rimasta assicurata che la devozione al Re del Paese era intatta.

5. Per le prime operazioni di guerra, il Cardinale chiedeva almeno un reggimento munito di cannoni in doppio numero, come riserva, colla quantità abbondantemente corrispondente di munizioni al numero di essi cannoni; desidererebbe parimenti i proporzionati artiglieri e se fosse possibile, anziani nel servizio. Quindi chiedeva vestiario uniformato in modo da vestire i

6. disertori che coll’aiuto dei paesani, avrebbe potuto rintracciare e reintruppare. Era importante perché si sarebbe costituita una qualche forza capace almeno di far rispettare l’autorità sovrana nei luoghi anche se “immuni dalle armi nemiche”. Il Cardinale reputava importante questa circostanza, perché la forza costituita avrebbe potuto proteggere le attività produttive nei paesi attraversati, quelle attività che, se arrestate, avrebbero messo in crisi il sistema economico meridionale e reso precaria la spedizione stessa, in mancanza di approvvigionamento.

7. L’amore per la Religione e l’affetto per il Re produrranno sicuramente il consenso alle ragioni della spedizione, tuttavia è necessaria una Cassa Militare se vogliamo conservarsi quieti ed affezionati alla buona causa i vassalli di S.M. i quali altrimenti sarebbero vessati dalla truppa senza che potesse impedirsi così grave inconveniente. Ed è bene che il Cardinale abbia il potere di prelevare somme dai Regi Percettori.

8. Domanda la più ampia facoltà di procedere contro le persone di tutti i ceti e anche i militari, se riterrà ciò necessario, giacché ha osservato quanto sia stato sensibile il nocumento arrecato alla pubblica causa quando si disgiunse l’autorità politica dalla forza militare. Ciò anche perché sarà facile trovare una qualche forza militare al comando di persona infedele e sarebbe in tal caso difficile neutralizzarla senza gli adeguati poteri.

9. Quindi il Cardinale aggiunge un passo strategico che bene pone in evidenza la sua capacità di intuire le sensibilità delle genti e adoperarsi per conciliarsi con esse: sarebbe bene che i Calabresi e i Leccesi ed altri sudditi provinciali fossero persuasi che allorquando si fosse formato un corpo sufficiente di truppe, S.M. (D.G.) verrebbe a prenderne il Comando; e prega il Cardinale che gli sia permesso di fare almeno nascere tale speranza in quelle province, se non si crede opportuno il viaggio dell’istessa M.S. per quelle parti. Un passo notevole.

10. Chiede quindi il permesso di affiancare segni religiosi a quelli militari sulle divise e più precisamente il segno della Croce e l’immagine della Vergine. E anche questo è geniale: la controrivoluzione non dovrà essere essenzialmente un movimento politico, quanto un movimento sociale, la difesa di valori “vissuti” quotidianamente dai meridionali. Il Cardinale ben percepisce questi effetti. E’ per questo che chiede l’aiuto dei Vescovi.

11. Il Cardinale è cosciente di avere scarsa conoscenza delle Leggi e delle Finanze del Regno e chiede il supporto di qualche Magistrato che lo accompagni.

Duomo di Ferrara: Miracolo di San Tommaso.

Lascito del Cardinale Tommaso Ruffo

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12. La Spedizione certamente produrrà la necessità di arrestare e giudicare nemici e traditori,

NAPOLI – SAN DOMENICO MAGGIORE

La tomba ducale della Gran Casa di Bagnara, sepoltura anche del Cardinale Don Fabrizio Ruffo.

Si trova sul pavimento della Cappella di Bagnara, dedicata a Santa Caterina d’Alessandria.

Ospita anche alcune sepolture della Nobile famiglia Tomacelli, legata ai Ruffo da antica amicizia e parentela

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ladri e approfittatori. Chiede dunque la facoltà di eleggere una Giunta per l’Amministrazione della Giustizia criminale e civile.

13. Il cardinale chiede che i suoi quadri militari siano composti da ufficiali di fiducia, reperiti fra i dispersi “nelle passate disavventure” purché si abbiano documenti che si sieno condotti onoratamente.

14. Tutti gli ordini provenienti dalla Corte, dovranno essere vistati espressamente al Cardinale, anche se espressamente o personalmente indirizzati al personale della Spedizione. In caso diverso vi sarebbe perpetua altercazione fra il capo ed i membri componenti il Governo.

Lord Acton attivò i funzionari del Ministero degli Interni. Si mise in contatto con la fortezza di Messina e dispose che a Sua Eminenza fosse riservata attenzione e cura, e le fosse stata messa a disposizione la famosa Cassa Reale di 500.000 ducati, e il munizionamento disponibile. Le altre disposizioni militari sarebbero seguite nell’immediato. Il Principe di Luzzi, si recò dal Cardinale per assicurarlo in tal senso. Il 25 gennaio il Re ricevette il Cardinale e gli consegnò nel corso di una cerimonia, le insegne di Alter Ego del Re in nome e per conto del quale avrebbe agito con autonomia sub-conditione, cioè per le urgenze, del fare, giudicare e decidere legiferando. Gli concesse l’autorità di governo nella fase della campagna militare e gli consegnò il Diploma di Vicario Generale che conteneva, in sintesi, le seguenti preposizioni:59

1. Assumere la difesa delle zone del Regno non ancora invasa dé disordini di ogni genere e della rovina che la minaccia nell’attual seria crisi;

2. La Calabria era la parte che premurosamente ho a cuore di porre la prima nel massimo grado di praticabile difesa e dopo di essa, la Basilicata, le Province di Lecce, Bari e di Salerno, l’avanzo della Terra di Lavoro e di Montefusco ch’è restato dopo la scandalosa cessione fatta, dovranno essere difese con la massima energia.

3. Il Cardinale dovrà impiegare ogni mezzo per difendere la Religione, la proprietà, la vita e l’onore delle famiglie e ricompenserà chi si distinguerà nella difesa dei principi del Regno così come adopererà ogni mezzo per castigare severamente chi oserà mettersi contro i principii del Regno.

4. I fautori delle moderne opinioni e dé maneggi rivoluzionari in realtà, com’è dimostrato nelle altre parti d’Italia e in Svizzera, sono novità che lusingano l’ambizione di alcuni,

59

Il testo completo è in SACCHINELLI, 82-89 e anche in: Conte GENNARO MARULLI, Ragguagli storici sul Regno

delle Due Sicilie dall’epoca della Francese Rivolta fino al 1815, vol. I°, L.Jaccarino ed., Napoli 1845, da pg. 290. (ma

erra sulla località dello sbarco del Cardinale, indicando la spiaggia di Catona anziché la Punta del Pezzo). Come si nota

dalla lettura del diploma di Alter Ego, non è vero che il Cardinale fu munito di pieni poteri assoluti. In realtà il Re lo

subordinava a lui nelle decisioni le più strategiche, lo avvisava che gli avrebbe anteposto comunque la struttura militare

regolare, se si fosse formata o recuperata e gli faceva intendere che conclusa positivamente la campagna di Calabria, la

successiva marcia di riconquista sarebbe avvenuta in sintonia con le truppe regolari, gli alleati europei e la flotta di Sua

Maestà Britannica. La Corte di Palermo insomma, metteva le mani avanti negando a priori la piena legittimità alle

truppe a massa esattamente come negò, anzi rifiutò implicitamente, la difesa offerta dai Lazzari e dal popolo napoletano

preferendo la fuga.

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con l’idea di acquistare per rapine, colla vanità e l’amor proprio di altri. Contro ciò bisogna suscitare l’amore e l’entusiasmo negli abitanti per la giusta difesa e il Cardinale dovrà adoperarsi per eccitarla

5. Nella qualità di Commissario Generale e di Vicario Generale del Regno quando sarà in possesso di una idonea forza militare, il Cardinale è autorizzato a emanare proclami mirati alla riconquista del Regno.

6. Il Cardinale, nella facoltà di Alter Ego, potrà: rimuovere personalità dell’Amministrazione Pubblica e Giudiziaria del Regno, sospendere, arrestare e allontanare ufficiali militari, nominare ad interim nuovi ufficiali e amministratori chiedendo poi conferma al Re.

7. l’Eminenza assumerà la carica di Commissario Generale o di Vicario Generale nelle circostanze che riterrà più opportune, avendo egli la carica di Alter Ego del Re per la campagna di guerra.

8. Il Cardinale dovrà assicurarsi l’obbedienza e la sottomissione di coloro che sono presi dal seme che possa germogliare nella disorganizzazione delle Autorità da me stabilite o dalla disposizione di alcuni al sovvertimento. Per ottenere ciò, il Cardinale dovrà adoprare con severità e prontuariamente ogni più rigoroso mezzo di castigo.

9. Tutte le Casse Regie saranno amministrate dal Cardinale che curerà che nessuna somma giunga alla Capitale

10. Il Cardinale dovrà rendicontare sempre il Re sul suo operato e sulle intenzioni che vorrà assumere, ma se non vi sono urgenze, dovrà sentire le mie risoluzioni e ricevere i miei ordini. Questa clausola è determinante. Quando il Cardinale tratterà coi Repubblicani a Napoli concedendo loro il passaporto per l’esilio, l’Ammiraglio Nelson disconoscerà i patti facendo arrestare i rivoluzionari (che poi verranno tutti giustiziati) e al Cardinale verrà spiegato che la sua azione non fu concordata col Re né da lui benestariata.

11. Il Cardinale sceglierà giuristi di fiducia ai quali affidare le decisioni sulle cause più serie per la prima istanza e l’appello.

12. Il Cardinale dovrà raccogliere tutte le truppe sbandate e porle sotto il suo comando supremo affidandole prevalentemente a ufficiali regolari. Se invece si presenterà una formazione militare in corretto ordine, comprensiva dei quadri superiori come ad esempio il Duca della Salandra, allora il Cardinale dovrà attenersi a disposizioni particolari che gli verranno comunicate.

13. Il Cardinale avrà la libertà di concedere premi e compensi in denaro ai più meritevoli, mentre dovrà chiedere il benestare del Re per le promozioni.

14. Il Cardinale avrà un appannaggio di 1.500 ducati al mese variabile in aumento secondo le necessità. L’appannaggio e le somme collaterali, dovranno risultare senza peso alcuno a qué popoli ed Università.

15. Il Cardinale è stimolato a creare un servizio di spionaggio che lo aggiorni continuamente sullo stato della Capitale e vi insinui lo spirito controrivoluzionario. Per attuare ciò, il Cardinale è autorizzato a impiegare le somme di denaro che riterrà le più opportune.

16. Il Cardinale ha piena fiducia del Re. Egli è certo che Ruffo saprà individuare e punire i delinquenti. Potrà parimenti contare sui Presidi (in particolare quello di Lecce, scrive il Re), molti vassalli, i Vescovi, parroci e onesti Ecclesiastici che informeranno il Cardinale di tutto.

NAPOLI - SAN DOMENICO MAGGIORE

Cappella di Bagnara: Altare di Santa Caterina d'Alessandria

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17. L’Imperatore, il Turco e i Russi hanno promesso soccorsi. Il Cardinale è informato che soprattutto i Russi sono prossimi allo sbarco ed egli le ammetterà nella marcia verso la Capitale

18. Il Cardinale provveda a stabilire una staffetta sicura e affidabile che due volte la settimana informi il Re sullo stato della campagna di guerra.

Presentato il suo “notamento” e ricevuto il diploma reale, il Cardinale cominciò a definire con Lord Acton i piani per lo sbarco in Calabria. Il Primo Ministro aveva mai visto di buon occhio il potente Cardinale. Invidioso per indole, l’inglese s’era arricchito a Corte scalando le posizioni mai per bravura. L’entourage della Corte lo considerava inetto, vigliacco, incapace e tuttavia un maestro nell’ingraziarsi i favori delle cortigiane e della sua amante: la Regina Maria Carolina, a fianco della quale, egli aveva piazzato una bagascia d’alto rango: lady Emma Hamilton, moglie di lord Hamilton, troppo indaffarato negli studi scientifici per accorgersi della moglie che, insieme alla Regina, lasciava di notte il Palazzo Reale di Napoli per frequentare i postriboli del porto, farsi sbattere da brutali scaricatori e abbandonarsi a esecrande dissolutezze, non solo per quei tempi lontani. Dunque Lord Acton appoggiò la spedizione del Cardinale, certo che sarebbe fallita e magari con la fine violenta del rivale e per questo la favorì.60 Avrebbe potuto portare a un disastro per il destino della Monarchia? No. Gli Inglesi e i Russi (ne era sempre più convinto) avrebbero garantita la salute della Corte Siciliana in attesa che l’Europa tornasse alla tranquillità dell’Ancien Régime. Alla fine la staffetta partì verso il Presidio di Messina per consegnare gli ordini al Generale Danero, Governatore della Piazza di Messina, mentre Angelo Di Fiore e Don Pasquale Versace venivano avvisati della positiva definizione del Piano.61 Il 27 Gennaio 1799 al Cardinale si presentò il Marchese D. Filippo Malaspina, Aiutante di Campo del Re per mettersi al suo servizio su disposizione del Sovrano e quindi, scortato dalla Guardia Reale, il convoglio militare raggiunse il porto e s’imbarcò sul postale che gestiva la rotta con Messina.62 Il Cardinale divenne nervoso dopo la presentazione di Malaspina. S’intuirà il perché solo quando l’Armata sarà al Pizzo, colà Malaspina lascerà il Cardinale per scortare alcuni prigionieri a Messina (un escamotage del cardinale per levarselo di mezzo) e verrà sostituito nella carica da Don Ciccio. Il quale Don Ciccio, forse non contento per la carica propostagli nell’Armata, si rifiutò a Palermo, di seguire il fratello. Ecco perché Malaspina ricevette la nomina a Ispettore di Guerra solo “a voce”, quasi un ripiego, come vedremo.

60

T.PETTIGREW, Memoirs of the Life of Vice-Admiral Lord Viscount Nelson, K.B.Duke of Bronte, Boon ed., Londra

1849. L’opinione è ripresa da diversi studiosi della Rivoluzione Partenopea del 1799 e della vita del Cardinale di Bagnara; cito per tutti: P. CALA’ ULLOA, Intorno alla Storia del Colletta, NA. 1877, pg. 105; HELFERT, F.R. …, cit.,

pg. 90. VINCENZO RUFFO, Il Cardinale Fabrizio Ruffo e la controrivoluzione del 1799, ASC a. VI (1918), p. 58. 61

Anche la Regina non era sicura della riuscita del piano. Era speranzosa sul trinceramento delle Calabrie ma non oltre.

Tuttavia sollecitò anch’ella il Governatore Danero, ma si lamentava scrivendo a Vienna che in Sicilia una cosa è dare ordini e un’altra eseguirli in un Paese avvolto nell’apatia e nel rilassamento (HELFERT, F.R. …, cit., pg. 94). 62

Il Principe di Luzzi aveva scritto una nota che il 27 gennaio era stata recapitata al Marchese Malaspina. Con essa, il

Principe lo avvisava che il Cardinale aveva proposto al Re il suo nome per l’incarico Ispettore a disposizione del

Vicario Generale per l’Armata. Il Principe, nel comunicare ciò, si rifaceva a un dispaccio di Lord Acton. Malaspina valutò positivamente il dispaccio ancorché da subito fosse certo che si era optato sul suo nome dopo il rifiuto di Don

Ciccio ad accompagnare il fratello in Calabria, un’indiscrezione questa, che era volata sulla bocca di tutti nella Palermo salottiera (MALASPINA, Occupazione…, cit., pg. 181). Malaspina quindi si recò da Acton facendogli notare di essere

ancora capitano e di convenire con lui che per un consona posizione all’interno dell’Armata, era necessaria una sua promozione al grado superiore. Lord Acton rispose con calma serafica che Ruffo aveva la facoltà per concedere

promozioni (ANONIMO, Osservazioni …, cit., pg. 10). Malaspina allora si recò da Ruffo per chiedere l’avanzamento di grado asserendo che Acton lo aveva assicurato sulle facoltà concesse al Cardinale. Ruffo rispose indispettito: «Oh

bella!, essi che sono Militari ne sanno meno di me che sono Ecclesiastico! Se io vi avessi preso con me dovrei io

pensare a voi, ma mandandovi il Re con dispaccio alla mia immediazione, è il Re che deve fare e non io!». E fu così che

Malaspina apprese che il Cardinale neanche lo conosceva e che una colossale trama s’era intessuta per mettere in chiara difficoltà Ruffo (ANONIMO, Osservazioni …, cit., èg. 10).

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QUADERNI BAGNARESI (Nuova Serie)

Anno I – nr. 12/Novembre 2015

Pag. - 49 -

Nel frattempo la Piazza di Reggio si mobilitò e nei centri abitati della Provincia giunse la comunicazione attesa: il Cardinale di Bagnara era in viaggio. I parroci salirono sui pulpiti e scagliarono le requisitorie a difesa della Religione, delle famiglie, delle piccole proprietà e contro i dissacratori: quei Francesi ai quali s’appoggiavano i traditori giacobini. Quel che il Cardinale aveva previsto (e Don Rinaldi aveva intuito) si stava verificando. Il Cardinale s’apprestava a sbarcare in Calabria preceduto da tre fattori vincenti:63

1) Il cognome Ruffo – la potente dinastia calabrese all’interno della quale la Gran Casa di Bagnara splendeva di fulgore ovunque nella “Santa Terra” calabrese;

2) L’avversione della popolazione per i Francesi 3) La figura cardinalizia che in Calabria non s’era mai più veduta dai tempi di Don Tommaso e

di Don Antonio Ruffo, visitatori a Bagnara nei tempi precedenti.

8.- TENSIONI A BAGNARA POCO PRIMA DELLO SBARCO IN CALABRIA DI RUFFO La turbolenza del momento favorì peraltro nei paesi calabresi, l’acuirsi di antiche rivalità. Adesso col Cardinale che s’avvicinava, emersero impetuose. A Bagnara, centro di smistamento dei commerci calabresi, non s’erano sopite le rivalità e gli odi susseguenti al terribile Terremoto del 1783. La precarietà del momento diede luogo ad accaparramenti di beni, sequestri, espropriazioni e concorrenza scorretta. Se il Terremoto del 1783 aveva causato la rovina di molti benestanti compresa la Gran Casa che si vide depauperata di molti dei suoi tenimenti, fu anche veicolo per improvvisi e brutali arricchimenti e alla fine, l’odio non si era placato, alimentato altresì dalle operazioni di ricostruzione, che ancora erano in atto e che spostavano interessi fra le consorterie al governo del Paese. La ricostruzione del Paese terremotato infatti, aveva impresso un’accelerazione allo sviluppo delle attività manifatturiere, cantieristiche, agricole e commerciali di Bagnara. I mastri artigiani lavoravano su più turni per

soddisfare la domanda di manufatti di tutti i tipi mentre si esportava verso Messina più del doppio rispetto a una normale stagionalità economica. Sul litorale i trasporti sbarcavano pietra di Siracusa, articoli d’arredo e da costruzione, beni di consumo ed esportavano prodotti della terra e manufatti da telaio di tutti i tipi, legname grezzo e lavorato. Mancava in Bagnara un centro ma anche una mentalità di coordinamento delle fonti produttive e di convergenza imprenditoriale. La spinta della domanda dava ad ognuno occasioni di potenziamento della propria attività e mancando il senso della managerialità legata all’investimento produttivo, ognuno “tendeva” naturalmente, a cercare di proteggere il proprio lavoro e la propria posizione dagli altri. Dunque un conflitto sotterraneo, costituito da congiure, sotterfugi, iniziative prese di soppiatto, trabocchetti e intimidazioni che l’un l’altro gli esponenti della borghesia e della nobiltà bagnarota, si offrivano avendo come teatro principale le Confraternite e gli uffici comunali. Fu solo l’eccezionale dimensione della domanda ad impedire che tale stato di conflittualità non conducesse alla degenerazione dell’equilibrio sociale innescando faide mortali. Adesso, a più di dieci anni dal Terremoto, i processi della ricostruzione stavano iniziando a rallentare, così andavano ad acuirsi le rivalità e a rafforzarsi le consorterie.

63

MALASPINA, Occupazione …, cit., pg. 69.

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Infatti le posizioni antagoniste adesso si delineavano perché le consorterie si costituivano fra coloro che si riconoscevano in comuni interessi rispetto agli altri, anche solo perché magari gli uni

avevano contratti di fornitura e gli altri no e proprio per questo e magari solo per questo erano da affossare. E adesso c’era questa Rivoluzione: un ottimo motivo per agganciare all’ideale patriottico e antigiacobino i propri interessi a sterminare i rivali. In questo clima un “tristo del paese, indegno figlio di degno padre”64 mosso esclusivamente da un “consistente profitto”, organizzò e finanziò alcuni facinorosi, dopo averli istigati contro i “cappelli” della Città additandoli come amici dei giacobini di Napoli, assassini, nemici della Santa Religione dei Padri, avversari di un Re buono e giusto come e più di un padre di famiglia e soprattutto usurpatori del bene comune della Città, affamatori e nemici del “popolo basso”. Chi era il “tristo del paese”? La

documentazione consultata non lo indica, dunque non sappiamo. Ma gli indizi conducono a un personaggio appartenente a una famiglia da sempre impegnata nelle attività pubbliche: il notaio Pietro Fedele. Il potente personaggio bagnaroto, fornì, come già annotato, aiuto determinante al Tenente Carbone e all’Uditore Di Fiore per l’arresto dei Giacobini di Reggio nel 1794 e nel 1798. Ma se qualche dubbio vi può essere sull’identificazione del “tristo del paese”, è certezza il teatro, uno scenario che diede inizio a una lunga stagione di guerra civile che gettò Bagnara in mano ai Briganti e la ridusse a un crogiuolo di lacrime e sangue. Il “tristo del Paese” coglieva la controrivoluzione per prendere vantaggio a Bagnara, praticamente paralizzandone le attività. Nel mirino c’erano diverse personalità: le famiglie Messina, Parisio, Patamia, De Leo (in forte ascesa in quella fase) ma soprattutto gli Sciplini, grandi finanzieri del commercio dello Stretto e carichi di un prestigio che andava oltre i confini della cittadina anseatica. Famiglia leale verso la Monarchia e pervasa da sincero patriottismo, era amata dalla popolazione locale per gli interventi caritatevoli e di sostegno al lavoro di base dei coffari e dei rasolari. Gli operatori economici locali e i commercianti forestieri si rivolgevano a loro e la famiglia interagiva con gli esponenti della Congreghe Rosariana e Carmelitana. Una Élite che, pure, non vedeva di buon occhio i francesi e avversava lo spirito giacobino dichiarando anch’essa fedeltà al Borbone e al suo sistema economico nel quale si sentiva integrata. 9.- LA FORMAZIONE DELLA BANDA CALARCO A BAGNARA Ma come detto, la parte estremista, reazionaria dell’alleanza antigiacobina, aveva tramato la rovina dei concorrenti commerciali per trarre vantaggio economico e di potere dalle circostanze. Per conseguire i migliori risultati, Il “tristo del Paese” e i suoi alleati, con l’appoggio e benestare dell’Uditore Di Fiore che ne coglieva l’aspetto del “controllo” antigiacobino della Città anseatica, organizzarono alcuni manovali e contadini frustrati da una vita miseranda, disperata. Denaro, vino, pistole e coltelli a volontà esaltarono gli animi di questa gente in capo alla quale vennero posti i tre fratelli Gianni, Vincenzo e Gregorio Calarco. Erano costoro dei poveri mulattieri che menavano una vita di stenti trasportando piccoli carichi lungo i sentieri che dal Borgo di Bagnara, conducevano alle difficili alture oltre le quali stavano i Piani della Corona e la Via Regia delle Calabrie.

64

La definizione è annotata in una Memoria anonima uscita a stampa nel 1861. (Archivio Privato dell’Autore)

Sant'Antonio guida l'Armata della Santa Fede con in testa il Cardinale

che spiega al vento la bandiera crociata. Sant'Antonio "vincerà"

contro il "traditore" San Gennaro, che compì il miracolo dello

scioglimento del sangue davanti ai Francesi "giacobini".

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Gianni Calarco era privo di un braccio e tuttavia esercitava il carisma sugli altri fratelli, “caricato” dalla brutalità che caratterizzava “Giannazzo”, sofferente della condizione di menomato e di faticatore delle rasole. Faceva parte di questa banda anche un tal prete Peria (o Piria), che scorreva per la Città armato di un grosso coltello gridando l’odio verso i “giacobbini” e tenendo sostenuta la tensione che animava la Banda Giannazzo. Pilotata nell’ombra dal notaio Fedele, la banda Giannazzo impediva lo svolgersi dei commerci dei “cappelli” e bloccava la gestione amministrativa della cosa pubblica. Man mano che trascorrevano i giorni, la banda manifestava connotati violenti che si esprimevano in agguati, rapine ai convogli commerciali, danneggiamenti ai magazzini e ai mezzi di produzione e stoccaggio dei mercanti e minacce alle maestranze di quest’ultimi. Una situazione insostenibile che convinse all’azione i fratelli Sciplini, viste anche le insistenze della Élite commerciale e agricola del Paese. Ed era ciò che l’altra parte della classe dirigente del Paese, i conservatori, aspettava; che cioè gli avversari venissero allo scoperto per poterli colpire con motivazioni a supporto. I “patrioti” a Bagnara erano peraltro pochi; qualche giovane sognatore che leggeva i fogli

rivoluzionari che arrivavano in Paese non per via regolare coi Procaccia, ma sulla marina, portati dai capi-barca che collegavano le anse del Canale con Marsiglia e Genova o commentava in pubblico non sempre negativamente, gli eventi dei quali erano attori i Giacobini di Napoli. Giovani sognatori che non potevano contare sui benestanti, i “cappelli”, gli artieri e i padron di barca, seriamente preoccupati, come notato, per il disordine morale e civile che accompagnava la Rivoluzione Repubblicana. Dunque non si poteva colpire apertamente con la scusa della lotta antigiacobina, bisognava lavorare ai fianchi per indebolire la forza economica e finanziaria dei nemici. E così si mischiarono alla fine le carte. I parroci predicavano dai pulpiti delle chiese gremite e quelle arringhe sembravano confermate dai padron di barca che ancora riferivano di tumulti popolari contro i “giacobbini” appoggiati da “quei cani di Francesi”, del sangue che scorreva ovunque e che tutto era divenuto precario per la brava gente. Ecco come l’Arciprete Don Francesco Apa, della Chiesa Metropolitana di Santa Severina, apostrofava la Francia rivoluzionaria:65

Misera, se qui l’avessi d’avanti, io dir gli vorrei, a qual scuola apprendesti così nefande dottrine: da

qual mammella succhiasti così putrido latte? Non d’altro, che da un chimerico nome, da un’ideale

promessa, ambedue escogitasti, ed inventati dalle potestà infernali. Come! Tu, che nascesti in grembo

alla Chiesa di Dio; Tu che redenta fosti col Prezioso Sangue dell’Umanato Verbo; Tu, che nutrita col

cibo della più sacrosante Dottrine sotto la scorta delle leggi Divine, ed umane, hai avuto il coraggio

d’obbliare la Religione professata, e dé tuoi saggi Antenati profanare le Dottrine, e’l Costume?

Forsennata che fosti! Ambisti? Che? Rovinar la tua stessa Gerarchia per divenire da nobile, vile; da

titolata, plebea; da ricca, povera; da facoltosa, miserabile; da padrone, servo; da uomo grande, un

uomo da nulla; e perché? Per darti in preda ai vizi, al furto, alla rapina, alla debosciaggine. Alla

rilasciatezza: per opporti a Dio, a cui devi l’esser tuo, al Trono, che formava la tua sicurezza; alla

civile Società, che custodiva le più care sostanze! In una parola, per divenir suddito d’una convulsion

vergognosa...

65

D.F.APA, Breve dettaglio di alcuni particolari avvenimenti accaduti nel corso della campagna nella spedizione

dell’Eminentissimo D.Fabrizio Ruffo, esposti nella sua genuina verità dal reverendo sacerdote D.F.A. qual testimone di veduta, e dei fatti dai 17 marzo a tutto il 13 giugno dell’anno 1799, V.Manfredi ed., Na. 1800, da pag. 6.

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In questo clima precario, era facile per il “tristo del Paese” rendere difficile governare Bagnara e gestirne l’economia, sicché progressivamente valsero i meri rapporti di forza: da una parte e dall’altra; chi era armato o poteva contare su scherani con pugnale e pistola alla cintola, aveva la meglio e con lui i propri interessi naturalmente. E questa arroganza si rinfocolava ogni volta che la squadra navale inglese e le cannoniere borboniche incrociavano nel Canale cercando la “rema” per fare rotta su Ischia e Capri. Un avvenimento che adesso si ripeteva ogni giorno fra andata e ritorno. La violenza gratuita dei briganti al seguito di Giannazzo, si vestiva di legalità cercando di fare avallare l’alleanza colla Marina di Sua Maestà e la benevolenza di Re Ferdinando ma in realtà governava una giustizia a un solo senso, a discrezione di chi prevaleva per forza e intraprendenza. 10.- FABRIZIO RUFFO E I PREPARATIVI DI MESSINA Il 30 Gennaio 1799 il postale dov’era imbarcato il Cardinale gettava l’ancora di fronte al porto di Messina. Le promesse del Principe di Luzzi s’erano concretizzate in

3.000 ducati di dotazione che sarebbero dovuti servire al Cardinale per operare lo sbarco in Calabria e procedere lungo le prime tappe programmate. Col Cardinale (all’epoca aveva 55 anni) erano l’Abate D. Lorenzo Spaziani, all’epoca di 60 anni, che ebbe un impiego fisso remunerato con 50 ducati al mese,66 l’Aiutante Reale Marchese D. Filippo Malaspina, il cameriere privato Carlo Cuccaro e tre servitori.67 Lord Acton, come detto, aveva da una settimana inviato dispacci al Tenente Generale D. Giovanni Danero, Comandante del Forte di Messina, per l’approntamento della Cassa di Guerra e del munizionamento che il Cardinale avesse ritenuto di voler prelevare per la prima bisogna. Altri dispacci avevano raggiunto l’Uditore Angelo Di Fiore, il tenente Francesco Carbone e il Preside di Catanzaro. Il Colonnello D. Antonio Winspeare era fuggito da Catanzaro durante la rivoluzione giacobina della Città, aveva programmato di imbarcarsi a Scilla per raggiungere Palermo, ma mentre era in viaggio, fu fermato a Bagnara insieme ad alcuni funzionari esperti nell’amministrazione della Provincia; bisognava infatti garantire da subito la regolare amministrazione delle prime zone liberate e in effetti da Bagnara Winspeare cominciò immediatamente a operare gestendo i controlli sulle informazioni provenienti dall’esterno. Ordini anche per il Brigadiere Generale Cav. D. Nicola Macedonio, Comandante della Piazza d’Armi di Reggio. Il 31 gennaio il Cardinale metteva piede a Messina e si recava al forte per incontrare il Generale Danero. Stabilite le azioni, Ruffo accolse nel suo seguito il sessantenne D. Annibale Caporossi, prelato romano a Messina per affari e il medico D. Domenico Petromasi da Augusta, esperto nei commerci agricoli.68

66

B.MARESCA, Carteggio…,cit., ASPN, a.VIII, fasc.II (1883), pg. 229 67

D.PETROMASI, Storia della Spedizione dell’eminentissimo Cardinale D.Fabrizio Ruffo allora Vicario Generale per

S.M. nel Regno di Napoli e degli avvenimenti e fatti d’armi accaduti nel riacquisto del medesimo, V.Manfredi ed., Na.

1801, pg. 2. Secondo Malaspina la comitiva era formata da sette persone (MALASPINA, 68. HELFERT, 93.)

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Appena la staffetta ebbe portata alla Piazza di Reggio la notizia dell’arrivo del Cardinale a Messina, il Cavalier Macedonio incaricò il Maggiore D. Emmanuele Alfan De Rivera di raggiungere l’alto Prelato per rappresentargli la pericolosità del momento. Il Maggiore così raggiunse, dopo qualche giorno del suo arrivo a Messina, il Cardinale che intanto continuava a discutere col Generale Danero e a scambiare epistole col Principe di Luzzi, senza ottenere assicurazioni sulla Cassa e gli armamenti. Nella Piazza di Reggio, riferiva il Maggiore, era mancata la posta repubblicana ma adesso alcuni plichi erano sfuggiti alla censura proprio di Winspeare, ed erano così stati resi noti i dispacci da Napoli che predicavano di “Libertà” e di “Uguaglianza”, della democratizzazione del Paese. Concetti nuovi per le contrade meridionali calabresi; nessuno li aveva fino a quel momento preso in considerazione e se ragionati e portati alla comprensione del mondo contadino, avrebbero potuto innescare fermenti pericolosi; si vociferava anche che il Generale Championnet a Napoli aveva manifestato l’intenzione di proteggere la proprietà terriera e di avvalersi nelle

Province liberate dal gioco borbonico, proprio dei proprietari terrieri per veicolare i principi repubblicani fra la gente. Se queste notizie fossero state confermate in Calabria e soprattutto a Reggio, sarebbe stata la fine per il movimento controrivoluzionario e anche la Sicilia sarebbe stata, a quel punto davvero, perduta al Re. Nella Piazza di Reggio, confermò il Maggiore, tutto era pronto: Don Antonio e Don Alessio Paturzo avrebbero garantito il primo approvvigionamento di viveri e foraggi, ed egli stesso assicurava nuovamente che al momento dello sbarco in Calabria, un forte contingente militare, armato ed equipaggiato, si sarebbe trovato ad attendere il Cardinale per mettersi ai suoi ordini. Bisognava insomma fare presto e ribadire che non bisognava scarcerare i giacobini rinchiusi nelle carceri reggine.69 Il Cardinale perse la pazienza per il voltafaccia del generale Danero e del Principe di Luzzi. Si rivolse direttamente al Marchese Taccone apprendendo che non era in possesso di una Cassa Generale. Ottenne solo atri 500 ducati.70 Ruffo si convinse di essere stato giocato da Acton e dal suo entourage. L’esperienza di Tesoriere Generale dello Stato Pontificio gli fece valutare immediatamente lo stato di congiura del quale era stato vittima e scrisse una lettera di protesta a Corte. Ma le notizie provenienti da Reggio non consentivano di procrastinare l’azione. La conoscenza dei contenuti della nuova Costituzione Repubblicana che il Governo giacobino stava mettendo a punto, avrebbe destabilizzato le zone anseatiche: non poteva essere consentito. Il 5 febbraio il Cardinale rimandava in Calabria il Maggiore Alfan De Rivera coll’incarico di assiemare gli sbandati dell’Esercito Regolare, inviandoli al forte di Altafiumara, sopra il Pezzo.71 Lì

68

PETROMASI, 2 69

PETROMASI, 3. Si trattava di “rei di stato” che il 14 dicembre 1798 furono individuati dalla gendarmeria borbonica a Reggio quali promotori di una cospirazione antimonarchica. Grazie anche alle informazioni ottenute da D. Pasquale

Versace e dal Notaio Fedele, D.Francesco Carbone e Angelo Di Fiore erano riusciti a sorprendere i cospiratori.

Arrestati, furono poi trasferiti nelle carceri di Messina, tranne tre che per le condizioni di salute, furono giudicati

intrasportabili. Nella prefazione, Petromasi avvisa il lettore che l’ossatura della sua opera riflette il Diario di Padre Cimbalo (ANTONIO CIMBALO, Itinerario di tutto ciò ch’è avvenuto nella spedizione dell’Eminentissimo Signor D.Fabrizio Cardinal Ruffo, Vicario Generale per S.M. nel Regno di Napoli, per sottomettere i ribellanti Popoli di

alcune Provincie di esso. Fedelmente descritto dal Padre Frà A.C. dell’ordine dé Predicatori sotto gli auspicj della Sacra Reale Maestà di Maria Carolina, Regina delle Due Sicilie, Tip. Vincenzo Manfredi, NA. 1799). Ma è a tal punto

importante annotare che il Padre Cimbalo stesso dichiara nella prefazione al suo lavoro, che raggiunse “fisicamente” l’Armata del Cardinale quand’essa si trovava già a Crotone. 70

HELFERT, 93

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al Pezzo, egli sarebbe sbarcato e voleva averli disponibili per dare alla sua formazione un assetto militare da subito: la veste di Armata Regolare del Re alla quale si sarebbe potuta aggregare la truppa a massa. Lui e la Corte non avrebbero gradito una rivolta popolare incontrollata quale forza principale nella riconquista del Regno ma in più, il Cardinale puntava alla formazione di un Esercito Nazionale per due motivi:

a) ribadire l’autorità dello Stato organizzato e strutturato a tutela della Nazione e dunque sicuro punto di riferimento per tutti i suoi abitanti;

b) affermare in faccia all’Europa che la Riconquista doveva intendersi come azione di guerra contro un esercito invasore inviato da una Nazione ostile. Si trattava pertanto non di violenza di uomini contro uomini, ma di azione di difesa nazionale attuata rispettando i principii internazionali72. Ecco perché, come già annotato, la Corte non intendeva assolutamente interagire coi giacobini del Regno; una qualsiasi azione di dialogo avrebbe costituito parvenza di riconoscimento del Governo Repubblicano!

Frattanto il Ten. Carbone, che accompagnato da Don Antonio Fava da Scilla, aveva accolto a Messina il Cardinale insieme all’Uditore Di Fiore,73 raggiungeva Bagnara e avvisava l’Agente Generale degli Stati dei Ruffo della Gran Casa di Bagnara, D. Vincenzo Laudari.

71

D. PETROMASI, 3; SACCHINELLI, 70; HELFERT, 94 72

Erano gli identici ragionamenti della guerra fra Nazioni sviluppati da Rousseau nel 1762 nel Contratto Sociale.

Rousseau vedeva nella Corsica il paese ove l’opera legislativa si formava e si amministrava a beneficio del popolo e la Nazione Còrsa difendeva anche armi in pugno lo spirito sociale che aveva determinato le sue leggi. La Corsica,

all’epoca in cui Rousseau scrisse il Contratto Sociale, lottava contro Genova guidata da Pasquale Paoli. Nel 1765 su richiesta dei nazionalisti corsi, Rousseau approntò un Progetto di Costituzione. Nel 1768 Genova cedette i diritti sulla

Corsica alla Francia e l’Isola venne sottomessa. 8J.J.ROUSSEAU, Il Contratto Sociale, BUR 1974, a cura di Roberto

Guiducci. I riferimenti sono alla nota 49 di pag. 79. ). 73

MALASPINA, 70

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Questi armò la speronara del Duca che, governata da esperti cacciatori di pesce-spada di Bagnara e Solano, e comandata da D. Pasquale Versace, raggiunse il Porto di Messina.74

74

DOMENICO ANTONIO SAVOJA, Diario della spedizione del Card. Ruffo nel 1799, Tipogr. Paolo Siclari, RC

1889, p. 5

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Provenienza Nominativo Titolo Note

Badolato D.n Bruno Calabretti Medico Si unì a Mileto, dopo aver realizzaro Badolato

Badolato D.n Fortunato Caporeale Galantuomo Si unì a Mileto, dopo aver realizzaro Badolato

Bagnara Domenico Gioffré BovaroSi unì a Bagnara come custode dei buoi del treno di artiglieria

e morì durante la battaglia dell 'Amendolara

Bagnara Domenicantonio Savoja Eletto Si unì a Mileto come aiutante della Contadora di Versace

Bagnara D.n francesco Caruso Sarto Si unì a Scil la. Alfiere dal 1801

Borgia D.n Gio:Batta Griffo Avvocato

Realizzò con Spadea, Raimondi e Celea, Squillace. Con una

nutritissima Compagnia di volontari, ricevette i l Cardinale al

Pezzo.

Cardinale D.n Camillo Speltra Galantuomo A capo di 300 armigeri. Realizzò Quadrella, Basano e Avella

Catanzaro D.n Francescantonio de Vito GalantuomoSi unì alla Compagnia del Capitano D.n Raimondo de Raimonde

nell 'assedio di Cotrone

Catanzaro D.n Pasquale Luciano SegretarioSi unì a Mileto al seguito del Col. D.n Antonio De Settis e poi come

Aiutante di Campo del Cav. D.n Giuseppe Mazza nei fatti di Cosenza

Catanzaro D.n Saverio Donato Civile Collaborò alla controrivoluzione di Pizzo

Chiaravalle D.n Ottavio GiardinoSegretario Si unì a Monteleone alla testa di un forte nucleo di armati

Chiarvalle Francesco Corrado Bracciale Si unì a Monteleone

Cinquefrondi D.n Pietropaolo Prenestino Galantuomo Si adoperò nel Commissariato Militare

Cosenza D.n Francesco Scarpelli Galantuomo Si unì in Cotrone. Fu col Capitano Coscarell i a Cosenza

Cosenza D.n Ferdinando Castiglione Morelli Patrizio CosentinoPartecipò alla realizzazione di Cosenza alla testa di un folto

gruppo di armati di Fiumefreddo

Assicurarono l 'adesione degli abitanti

del loro feudo di Decollatura

Furono Corrieri dell 'Armata

Cosenza D.n ignazio Stancati Galantuomo Si unì alla Marina di Catanzaro con numerosi armati

Cosenza D.n Pietro Maria Stancati Galantuomo Si unì alla Marina di Catanzaro con numerosi armati

Cosenza D.n Costantino Stancati Sacerdote Si unì alla Marina di Catanzaro con numerosi armati

Cosenza D.n Luigi Assisi NotaioProtagonista della controrivoluzione di Cosenza. Si unì a

Montescaglioso alla testa di 250 armati, quasi tutti ex soldati regi sbandati

Cosenza D.n Giovannii Assisi NotaioProtagonista della controrivoluzione di Cosenza. Si unì a

Montescaglioso alla testa di 250 armati, quasi tutti ex soldati regi sbandati

Cosenza D.n Paolo Stocco Patrizio Cosentino Nominato Visitatore Economico

Cotrone D.n Ferrante Miceli Patrizio Cotronese Si unì a Cutro

Cotrone D.n Giuseppe Spinelli Civile Si unì alla Marina di Catanzaro

Dipignano D.n Carlantonio Baracca Patrizio CosentinoCapomassa che assicurò la realizzazione dei Casali di Cosenza

si un' all 'Armata in Cotrone

Dipignano D.n Michele Carusi GalantuomoContribuì con propri armati alla controrivoluzione di Cosenza

Accolse i l cardinale al Pezzo

Dipignano D.n Vincenzo de Laurentis Galantuomo Ricevette i l Cardinale al Pezzo

Maierato Don Giuseppe Costa Galantuomo Ricevette i l Cardinale al Pezzo e fu incaricato del reclutamento

Maierato Don Luigi Costa Galantuomo Ricevette i l Cardinale al Pezzo e fu incaricato del reclutamento

Marcellinara D.n Luigi Augello Civile Si unì a Borgia con due fratell i e molti armati

Monteleone D.n Vincenzo Veneti Civile Si unì a Mileto alla testa di 120 armati.

Monteleone D.n Nicola Veneti Civile Si unì a Mileto

Nicotera D.n Lorenzo Brancia Civile Si unì a Mileto e fu Ufficiale della Contadora

Palmi Giusepp Sassa Civile Ex artigliere, si un' a Capo Alice e fu incorporato nell 'Artiglieria

Pedavoli Don Antonio Ruffo Sacerdote Assicurò l 'adesione dei suoi paesani

Petrizzi D.n Giusepp Gioria Galantuomo Si unì a Borgia

Petrizzi D.n Giuseppe Paparo Galantuomo Si unì in Borgia con numerosa gente armata al suo seguito

Radicena Domenico Moretti Galantuomo Si unì a Radicena con numerosa gente armata

Radicena Francesco Bottari CavallaroRicevette i l Cardinale al Pezzo. Fu guida a cavallo dell 'Ing. Vinci.

Fu arrestato e fucilato ad Altamura dai Rivoluzionari

NOTE SU ALCUNI CAPI-MASSA CHE SERVIRONO SOTTO L'ARMATA DELLA SANTA FEDE

Patrizi CosentiniCosenzaDon Antonio Stocco

Don Odoardo Stocco

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Cfr.: UMBARTO CALDORA, Fra Patrioti e Briganti, Adriatica Editrice, Bari 1974 – pp- 56-112

Provenienza Nominativo Titolo Note

Reggio D.n Antonio Paturzo NegozianteRicevé i l Cardinale al Pezzo. Fu nominato Provveditore

dei viveri

Reggio Giuseppantonio Billa Galantuomo Ricevette i l Cardinale al Pezzo

Reggio Pasquale Minoliti Mastro Ricevette i l Cardinale al Pezzo

Reggio D.n Stefano Billa Avvocato Accolse i l Cardinale al Pezzo

Reggio D.n Alessio Paturzo Negoziante ricevtte i l Cardinale al Pezzo. Nominato Povveditore ai viveri

Rogliano D.n Ferdinando Sicilia Galantuomo Cadetto del Reggimento Real Calabria.

Rogliano D.n Francesco Stumpo Galantuomo Si unì alla Marina di Catanzaro. Custode della Cassa Militare

S.Pietro a Maida D.n Lattanzio Maggisani Galantuomo Si unì a Maida alla testa di molta gente armata

Sant'Eufemia Domenico Gioffré Bracciante Ricevette i l Cardinale al Pezzo

Sant'Eufemia Domenico Ascrizzi Bracciale Ricevette i l Cardinale al Pezzo

Sant'Eufemia Domenico Gioffré Vaticale Si unì a Sant'Eufemia

Sant'Eufemia Domenico Gioffré Massaro Ricevette i l Cardinale a Pezzo. Fu capo-colonna dei carri militari

Sant'Eufemia Domenico Gaglioti Panettiere Ricevette i l Cardinale al Pezzo

Sant'Eufemia Francesco Bagnato Bracciale Ricevette i l Cardinale al Pezzo

Sant'Eufemia Francescantonio Creazzo Falegname

Ricevette i l Cardinale al Pezzo. Fu aggregato alla Compagnia

Genio degli Ingg. Oliverio e Vinci. Arrestato e fucilato ad

Altamura dai Rivoluzionari.

Sant'Eufemia D.n Rocco Zagari Galantuomo Si unì a Mileto e poi dimesso per malattia

Sant'Eufemia Rosario Pentimalli Forgiaro Ricevette i l Cardinale al Pezzo

Sant'Eufemia Rosario Carbone Calzolaio Si unì a Gioja alla massa che ricevette i l Cardinale a Pezzo

Sant'Eufemia D.n Vincenzo Luppino Sacerdote Fu il primo a presentarsi al Pezzo alla testa di 150 uomini

Sant'Eufemia Vincenzo Federico Vaticale Si unì a Rossano

Sant'Onofrio D.n Giuseppe Aloé Galantuomo Si unì in Mileto alla testa di numerosa gente armata

Scigliano D.n Pietropaolo Gualtieri Galantuomo Si unì a Monte Scaglioso alla testa di 50 armati

Scigliano D.n Pietropaolo Gualtieri Sergente Si unì alla Marina di Alice. Morì durante l 'assedio di Altamura

Scilla Don Antonio Fava Falegname Funse da collegamento con Messina

Sellia D.n Nicola Rocca Civile Si unì con propri armati al Casino di Schipani

Simbario Nicola Bertuccio Bovaro Si unì a Mileto con molta gente armata e due paia di buoi

Sinopoli Rosario Carbone Panettiere Accompagnò il Ten. Perez de Vera al Pezzo

Squillace D.n Bruno Cosentino Sacerdote Ricevé i l Cardinale al Pezzo. Fu nominato Cappellano militare

Tresilico D.n Antonio Pugliese Galantuomo Si unì a Bagnara

Tropea D.n Benedetto Pizzinni Galantuomo Ricevette i l Cardinale al Pezzo

Tropea D.n Carlo Cortese Sacerdote Si unì in Mileto e funse da Cappellano Militare

Tropea D,n Domenico Arena Galantuomo Si unì a Cotrone alla testa di 34 armati

Tropea Domenico Castiglia Civile Fece parte della Compagnia di Don Antonio Arena

Tropea D.n Giuseppe Minaci Civile Si unì in Mileto

Varapodio Antonio Colacino Bovaro Si unì a Borgia coll 'incarico di custode dei buoi e dei cavall i

Varapodio D.n Giuseppe Pitari SacerdoteRicevette i l Cardinale al Pezzo. Fu mandato a reclutare volontari

e con oltre 300 armati, si ripresentò al Cardinale a Borgia

Varapodio Antonio Colacino Massaro Ricevette i l Cardinale al Pezzo

NOTE SU ALCUNI CAPI-MASSA CHE SERVIRONO SOTTO L'ARMATA DELLA SANTA FEDE (seguito)

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11.- LO SBARCO DEL CARDINALE RUFFO IN CALABRIA Il 7 febbraio il Cardinale saliva sulla speronara bagnarota insieme al segretario, l’abate D. Lorenzo Spaziani, il cappellano militare D.Annibale Caporossi, il Marchese Malaspina, il medico D.

Domenico Petromasi e il casertano Carlo Cuccaro, suo cameriere privato. Dopo una tranquilla traversata favorita dalla corrente di «flusso»,75 sbarcava alla punta del Pezzo dove stava ad aspettarlo un contingente della Piazza di Reggio col Tenente Francesco Carbone, l’Uditore D. Angelo Di Fiore e il Preside di Catanzaro D. Antonio Winspeare che, come annotato, aveva momentaneamente preso alloggio prima a Scilla, presso la famiglia Carbone, e poi a Bagnara. Nell’occasione, Malaspina venne nominato “a voce” Ispettore delle Compagnie che si stavano formando al Pezzo.76 Piantata sull’arenile una bandiera reale e una Croce, il Cardinale salutò i numerosi convenuti e si recò al Casino di Baranello, una villa in legno di antica costruzione e ben tenuta, luogo di villeggiatura del Duca di Bagnara e già utilizzata anche dal suo pro-zio, il Cardinale Don Antonio Ruffo. Guidate da Carbone, le squadre baronali di Bagnara e Scilla misero sotto sicurezza armata il casino per

impedire azioni di forza e garantire la tranquillità al Cardinale.77 Da qui, come primo atto, emanò un proclama indirizzato ai religiosi e ai governatori della Provincia invitando il popolo a crocesegnare con fascette bianche, cappelli e giacche,78 pose quindi sotto

75

La corrente di Flusso inizia verso le 14 partendo dalla Calabria e verso le 15 avvolge Punta Pezzo nella sua massima

estensione. Qui incontra le correnti di Riflusso dando luogo a vortici, terrore degli antichi attraversatori del Canale e che

i nostri pescatori chiamano «i Bastardi». La corrente poi piega bruscamente verso Punta Palazzo per poi proseguire

lungo il Canale in direzione NE. Verso le nove del mattino, inizia il Riflusso. La corrente arriva verso Altafiumara

puntando poi verso Punta Pezzo e da qui verso Grotta, in Sicilia. Toccato il Faro di Messina, il Riflusso punta poi verso

Reggio. La causa di questo comportamento delle correnti del Canale, è dovuta al fondo marino che in corrispondenza di

Matiniti, si solleva per il bradisismo che interessa tutta la costa, con l’attività più intensa lungo l’arenile di Bagnara. In

corrispondenza del Cenide, la profondità è di massimo 120 metri. A nord la profondità aumenta gradatamente e

raggiunge i 1.500 metri fra Lazzaro e Taormina, per poi sprofondare oltre i 3.000 metri Dall’altra parte la profondità scende a larghi gradoni fino ai 330 metri di fronte a Scilla. Nel 1870 a Bagnara il mare circondava il promontorio di

capo Martorano (i bagnaroti eruditi lo chiamano Marturanu). Nel 1880 il promontorio era distante 16 metri dalla riva

che si era sollevata di 1.5 metri. L’estuario del Petrace e la foce del Metramo, nel 1880, erano lontani più di 20 metri dalla riva. Verso Reggio il bradisismo fu al contrario: la rada di Pentimele ne è un caratteristico esempio. Oggi il litorale

di Pietracanale a Bagnara, si sta «asciugando» velocemente facendo riemergere la spiaggia e allontanando il mare che

aveva raggiunto le scogliere artificiali della ferrovia. (C.CARBONE-GRIO, I terremoti di Calabria e di Sicilia nel

secolo XVIII. Ricerche e studi, tip. comm. De Angelis & Figlio, Na. 1884). 76

PETROMASI, 3/4; SAVOJA, 6; ANONIMO, 11, CIMBALO, 18. Malaspina è indicato da Petromasi come “Tenente del Re”, titolo errato perché la carica è riservata a militari di presidio nelle Piazze d’Armi (ANONIMO, 11). APA, 11, rimanda la narrazione del percorso dal Pezzo a Napoli al Diario di Cimbalo. Della presenza al Pezzo di Winspeare vi è

la testimonianza diretta di Malaspina (MALASPINA, 72). Dal Pezzo Winspeare seguì il Cardinale per poco per poi

chiedere di essere rimandato nelle retrovie (si presume a Bagnara) asserendo di essere un militare del Genio e non un

militare “combattente”. Ruffo si infuriò molto per questa mossa di Winspeare e, dopo averlo stazionare prima a Bagnara

e poi a Messina, non appena liberata Catanzaro lo rispedì colà in prima linea con le sue antiche funzioni ma affiancato

da suoi fedelissimi (ANONIMO, 14). 77

MALASPINA, 71. Il Cardinale affidò la sicurezza della sua persona a Carbone. Si fidava di lui ciecamente e lo prese

sotto la sua protezione. La famiglia Carbone di Scilla peraltro, si era mezza imparentata con i Ruffi poiché in essa era

entrata una “spuria Ruffo, di quelle varie che vi erano in qué luoghi” (ANONIMO, 29).

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sequestro i beni della Gran Casa di Bagnara, ufficialmente per punire il Duca che aveva scelto di restare in Napoli, in realtà per proteggere i beni della Famiglia dalla furia delle popolazioni esasperate. Il Proclama, per mancanza di tipografie in Provincia, fu copiato più volte dagli amanuensi comunali o dai parroci, man mano che viaggiava da destinazione a destinazione.79 Ecco il testo del Dispaccio che il Cardinale fece recapitare al Clero della Provincia di Reggio:

Molto Ill.ri & R.ndi Sig.ri:

Subito vista la presente chiamerete il Popolo e gli farete sentire che ciascun Cristiano Cittadino dovrà

tenere da ora in avanti la Croce sopra il cappello, o berretta sulla parte dritta, questa dev’essere

bianca di seta, di lana, ed anche di tela, ma ben chiara, visibile e decisa, ben fermata e cucita in modo

che distacchi, e si veda con facilità da qualunque distanza. Non solamente questa sacro Segno serve

per mostrare la loro professione di fede, giacché non può esservi altra ragione di non portarlo, se

non il tradimento o la vergogna, ma etiandio per esentarli dal pericolo di esser creduti seguaci

degl’irreligiosi nostri nemici, e come tali sarebbero giudicati per traditori del Dio degli Eserciti, alla

Patria, al Sovrano dai veri Cristiani; né sarebbe possibile di punire i fedeli sudditi cristiani, se

insultassero, ferissero e forse uccidessero quelli, che senza questo segno mostrassero esser del Partito

nemico. Si faccia dunque sentire ad ognuno quanto sia necessario di munirsi subito di tal segno, ed

ogni Ceto di persone dovrà portarlo senza eccezione, ed anche gli ecclesiastici monaci, e religiosi di

qualunque Ordine. Non potrà alcuno portare altro segno, coccarda o emblema qualunque, se non

fosse quello del nostro legittimo Sovrano, che unicamente potrà portarsi, ma diviso da questo segno,

precisamente sulla parte sinistra, come i militari. Dobbiamo sperare che in virtù di questo Santo

Segno che già stabilì la fede cristiana, e a cui si suol contrapporre l’infame Albero della Libertà, ora

si compiaccia il Signore di difenderle, e conservare a noi l’ineffabile dono della Santa Fede così

minacciata da quei nemici, che da per tutto la calpestano, e che hanno distrutta la fede di essa

Religione, maltrattato, ed imprigionato il Capo visibile della Chiesa, ed ora ci lusingano scaltramente

di conservarla, e difenderla, per facilitare il modo di opprimere le Calabrie.

Le auguro vere felicità.

D.V.S. Pezzo 8 febbraro 1799.

Aff.mo per servirla: F. Card. Ruffo Vicario Generale. Il proclama fu affidato alle staffette e raggiunse i paesi aspromontani: Sant’Eufemia, Sinopoli, Santa Cristina, Seminara, Palmi e da qui Gioja e la Piana. Una copia fu consegnata al Vescovo di Oppido, mons. Tommasini, che il 9 febbraio dimorava a Reggio; era stato messo a parte dell’iniziativa dal governatore della Reale Piazza d’Armi. Mons. Tommasini, annotò la circolare di Ruffo con l’ordine di attenersi a quanto in essa dichiarato. Fu quindi spedita a Oppido. Ulteriormente annotata per esecuzione dal Vicario Vescovile Giuseppantonio Scalzi, il proclama viaggiò veloce verso Scido, Sitizano, San Giorgio, Paracorio, Pedavoli, Cosoleto e Castellace. Fra l’11 e il 12 febbraio, l’area preaspromontana e l’altopiano della Corona erano mobilitati.80 Ruffo aveva avuta conferma che anche Varapodio aveva pronto un contingente a massa da aggregare all’Armata81 Ruffo aveva così costituito un formidabile “zoccolo duro” che gli avrebbe consentito di scendere sulla Piana già forte; da qui, con l’appoggio di Mileto e del secondo “zoccolo duro” della comunità del Monte Poro, si sarebbe presentato davanti a Monteleone e Nicastro. Il giorno successivo allo sbarco, 8 febbraio, il Tenente Natale Perez De Vera, del Reggimento Real Borbone, distaccato con funzioni di comando nella Piazza di Reggio, si presentava al Cardinale alla testa di 42 soldati perfettamente armati, su ordine di Macedonio. Nasceva così il Reggimento Real Calabria e la missione poteva adesso divenire operativa.82

78

PETROMASI, 4; APA, 9; CIMBALO, 18. L’episodio di Mons. Tommasini è in: R.LIBERTI, Momenti e figure nella

storia della vecchia e nuova Oppido, Barbaro ed., Oppido M. 1981, pg. 201. 79

Conte GENNARO MARULLI, Ragguagli Storici sul Regno delle Due Sicilie dall’epoca della Francese Rivolta fino al 1815, vol. I°, L.Jaccarino ed., Napoli 1845, pg. 305. 80

R.LIBERTI, Momenti e figure nella storia della vecchia e nuova Oppido, Barbaro ed., Oppido M. 1981, p. 200 81

Era capitanato da Antonio Colacino, bovaro, che si aggregò poi all’Armata a Borgia. Colacino fi destinato alla cura dei buoi e dei cavalli dell’Armata, insieme all’altro bovaro Domenico Gioffré da Bagnara, poi morto durante la battaglia dell’Amendolara. 82

PETROMASI, 5/6. Sul Reggimento Real Calabria: MALASPINA, 71. Savoja non cita l’episodio.

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La Regina viveva quei momenti in uno stato d’ansia indicibile. Un tormento che si dibatteva fra l’ansia per la riuscita della missione di, se non altro, fortificare le Calabrie, e di un’improvvisa aggressione “gallo-ispana” a Messina.83 E ne scriveva al Cardinale proprio l’8 febbraio:

… io sono di ferma opinione che bisogna annichilire la Repubblica Vesuviana, o quella con l’esempio farà nascere ben presto la Repubblica Mongibelliana: ne vedo tutt’i semi, ed ho l’animo trafitto. V.E. agisca con forza, vigore e coraggio …84

La Regina non aveva ancora percepito quale scenario s’era spalancato nella Calabria Meridionale ma neanche quale carattere avesse il Cardinale! Il 5 febbraio cacciò in malo modo due funzionari inviati dalla Regina con una lettera di raccomandazione affinché ne valutasse la professionalità ed eventualmente li impiegasse

nell’Armata. Si trattava di un certo ajutante Poerio, primo della Piazza di Napoli, Calabrese e di Pasquale Simone uomo d’infinita attività e zelo. L’entourage del Cardinale conosceva i personaggi: il primo era un intrallazzatore pronto a vendersi al primo potente e il secondo un poco capace quanto poco riservato servitore dello Stato, pericoloso dunque se fosse venuto a conoscenza di carte e fatti segreti dell’Armata.85 In cinque giorni si adunarono al Forte di Altafiumara, militari sbandati in tal numero da formare tre compagnie da 70 soldati ciascuna.86 Si trattò per lo più di combattenti arruolati con la leva generale del 1798 colla quale si formò l’esercito di Mack per la campagna antifrancese nel Lazio e la liberazione di Roma. Soldati delusi dalla pavidità degli alti ufficiali borbonici, traditori verso il Sovrano e la Patria; tradimento ribaltato negli animi di gente onesta e lavoratrice, attaccata alle tradizioni, alla Religione. Strappati al lavoro domestico per rendere un servizio alla Patria, i Calabresi erano partiti per il fronte malvolentieri e con sentimenti di rivolta verso i Baroni incaricati dal Governo Centrale di eseguire l’arruolamento. Poi l’esperienza del campo militare aveva motivato questa truppa e ne aveva inculcato il senso di appartenenza, di formazione, di attore primario nella difesa di valori costituiti che avevano alla base piramidale la famiglia e il lavoro.

Ora questa gente vagava per le strade della Calabria, cercando di tornare ai campi, alle marine, ai boschi. Seminuda e affamata, aveva appreso per le strade dei villaggi dello sbarco del Cardinale e della bandiera piantata sull’arenile del Pezzo e, ancorché in misere condizioni fisiche, si presentava spontaneamente ad Altafiumara per confermare al Re la fede e la fiducia.87

83

Era una preoccupazione che avrebbe continuato a perseguitarla ancora per molto. Ne scriveva a Ruffo, a Bagnara, il

16 febbraio: «Quelli che a me più pesano sono Messina, le insurrezioni continue che in tutta la Sicilia continuamente

nascono e mi tengono bene allarmata» (MA a R, 16.2.1799, MARESCA, ASPN, a. V, fc. II – 1880, 333); 84

M.C. a Ruffo 8.2.1799 (MARESCA , 332 – ASPN a.V, fc.II - 1880). 85

MC a R, 5.2.1799 (MARESCA, 331 – ASPN, a.V, fc.II – 1880). La Regina ne prenderà atto e “smisterà” i due personaggi: il primo cacciandolo dall’entourage della Corte e il secondo destinandolo a un incarico minore a Messina (MC a R 20.3.1799 – MARESCA, ASPN a. V, fc.II, 1880, pg. 342). 86

PETROMASI, 5 87

SAVOJA, p. 6. «…si raduna molta gente, compreso militari i quali già si ritiravano alle loro case molto afflitti ed infieriti riguardo all’infedeltà dei loro superiori». Questa annotazione nel Diario del Savoja è importantissima. Il senso

Modello di Speronara siciliana

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Il Cardinale ordinò ai paesi vicini, vestiti d’arbascio e armò i militari con picche mentre si faceva mandare da Messina scarpe e pezze di panno rosso per confezionare i risvolti alle maniche delle giacche. Fissò che venisse loro erogato il soldo giornaliero di 25 grana (“prest”), iniziativa che diede maggior slancio alla riaggregazione dei soldati sbandati attraverso la “pianificazione” strategica congegnata dal Cardinale, dell’organizzazione militare e del suo funzionamento.88 Ed ecco l’altro fattore vincente: il Prest sarebbe stato erogato anche ai volontari a massa: un’occasione per sentirsi utile alla causa religiosa e reale e di lasciare i campi e le marine senza che ciò costituisse un danno per l’economia domestica. Il Prest sarebbe stato conservato e alla prima occasione, mandato alle famiglie. 12.- LA FORMAZIONE DELL’«ARMATA DELLA SANTA FEDE».

A BAGNARA LE PRIME VITTIME AD OPERA DEI BRIGANTI. Una raccolta a massa si formò a Sinopoli e accorpò nella sua marcia, iniziata l’11 febbraio, terrazzani di Sant’Eufemia. Una lunga colonna armata di forche e lance, con stendardi e bandiere al vento scese verso Bagnara al suono di trombe e tamburelli. Ancora una volta Bagnara si

mobilitò a difesa. Si credeva fossero i Francesi che calavano, come s’era saputo, da Napoli e così la Città si armò e si mise a presidio dei passi: i francesi non sarebbero passati.

di sfiducia verso gli Ufficiali dell’Esercito regolare borbonico, accompagnerà sempre il cammino delle “masse” verso Napoli e avrà, come vedremo, conseguenze sanguinose durante la Spedizione. 88PETROMASI 6, MALASPINA, 71. L’arbascio era il tessuto comunemente usato dai calabresi per confezionare abiti

impermeabili. I luoghi di maggiore e più qualificata produzione erano le aree agricole di Simbario e Cardinale, ma

erano numerose le manifatture prettamente domestiche che ovunque in Calabria provvedevano alla tessitura per i

bisogni locali. Fino a tutto il 1783 a Palmi e lungo il costone che passando per il Sant’Elia giunge a Pellegrina, si allevavano razze pregiate con prevalenza per le pecore che fornivano una tosatura abbondante per la lavorazione di un

prezioso panno di lana d’angora. Gli allevamenti erano stati impostati da Don Domenico Grimaldi come complemento all’attività di estrazione della seta, attiva a Bagnara e nel comprensorio di Seminara che ne era anche il grande centro per il mercato destinato quasi tutto all’esportazione. D.Domenico Grimaldi poté avvalersi dell’’esperienza e dell’arte dei mastri tessitori che avevano il loro centro focale a Palmi, ove funzionavano da antichissimo tempo, fabbriche di

calidoro, un tessuto di seta pregiatissimo ed esportato il tutto il mondo. Il terremoto del 1783 annientò tutto e per

sempre.

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Pronti a far fuoco con “i fucili parati”, i Bagnaroti si accorsero che la colonna era preceduta da stendardi con la Croce e bandiere borboniche. Con un impeto di gioia, i Bagnaroti balzarono dalle trincee e andarono incontro alla colonna aspromontana.

Molti si gettarono “colla faccia per terra” piangendo ai piedi degli stendardi crociati e si profusero poi in abbracci e complimenti, poi tutti entrarono trionfalmente in Città. Il giorno successivo, una forte colonna di Femioti, Sinopolesi e Bagnaroti si metteva in marcia per raggiungere il Cardinale al Pezzo, non prima di aver arrestato il medico D. Rosario Savoja Scardamaglia, reo di simpatizzare per l’idea giacobina ma soprattutto appartenente alla famiglia che da sempre era la nemica/avversaria dei Fedele nel controllo del patrimonio religioso di pertinenza della Reale Abbazia Normanna della Bagnara, controllo che condusse a una famosissima causa contro i PP.Domenicani e alla loro cacciata da Bagnara. Il giovane medico, alla vista della carovana armata che scendeva dalla montagna e credendola realmente giacobina, s’era levato sulla barricata gridando al vento: “Viva la Repubblica! Viva la Costituzione!”89. Fu subito arrestato. Più che giacobino convinto, il giovane medico era un

simpatizzante della Massoneria, lettore di Goethe e dei classici greci. Ma soprattutto aveva nell’abate Jerocades il suo idolo. L’abate di Parghelia predicava il messaggio massonico e l’ideale giacobino lungo i moli di Marsiglia, ed era stato ascoltato dai Padron di Barca delle anse calabresi che ne diffusero l’eco nei luoghi d’origine sotto forma di bollettini, opuscoli, discorsi e sentito dire, animando così giovani intellettuali a Monteleone, Pizzo, Palmi, Bagnara e Reggio. Operazione efficace poiché ad esempio, la «Gazzetta Civica» che si stampava in Monteleone fin dal 1795 e che ebbe come collaboratore anche Vito Capialbi, guardava con simpatia a quegli ideali. E la Massoneria era nelle mire del Cardinale come movimento da reprimere a ogni costo. Il Cardinale avrebbe giudicato il medico di Bagnara e per questo fu imbarcato su una lancia con rotta per Punta Pezzo, mentre la gente a massa s’apprestava ad accogliere Scillesi e Fiumaroti, guidati dagli scherani del Principe di Scilla. Anche la Banda Calarco si stava per dirigere al Pezzo, quando dalla spiaggia Giannazzo notò lo strano trasporto che vogava verso lo Stretto. Gridò ai marinai chi stessero trasportando, chi era quell’individuo incatenato che stava al centro della palamitara. Gli risposero trattarsi di un presunto giacobino che il Cardinale avrebbe dovuto giudicare.90

89

SAVOJA, 8; PETROMASI 7, CIMBALO, 21. Petromasi asserisce che a Bagnara si uccisero 3 Repubblicani (p.8). 90

Su Jerocades: GUGLIELMO ADILARDI, Un sacerdote massone: Antonio Jerocades (1738-1803), poeta neo-

platonico, massone e, infine, giacobino, Polistampa, Firenze 1999, AA.VV., Antonio Jerocades nella cultura del

Settecento, introduzione di L.M.Lombardi Satriani, Falzea ed., Reggio C. 1998; GRAZIA BRAVETTI MAGNONI, La

«Lira Focense» di Antonio Jerocades, Tropea Magazine 19/3/2008; ANTONIO JEROCADES, La Lira Focense, a cura

di Antonio Piromalli e Grazia S. Bravetti, Bastogi ed., Foggia 1986; ANTONIO JEROCADES, Saggio sull’umano sapere ad uso dé giovinetti di Paralia, a cura di Domenico Scarfoglio, Sistema Bibliotecario Vibonese ed., 2001;

FRANCESCO MAZZITELLI, Antonio Jerocades, Tropea Magazine 28/7/2004; ROSALIA CAMBARERI, La

Massoneria in Calabria dalle origini all’avvento del Fascismo, Hiram n.2 (1999) ma poi Brenner ed., Cosenza 1998;

ARMANDO DITO, Giuseppe Logoteta massone e giacobino, Rivista Massonica, nr. 10( dec. 1977); MICHELE

CATAUDELLA, A.Jerocades; aspetti di letteratura giacobina in Calabria, Periferia nr. 16 (genn.-apr. 1982) con

ampia bibliografia; RUGGIERO DI CASTIGLIONE, La Massoneria nelle Due Sicilie e i «Fratelli» Meridionali del

Settecento, Gangemi ed., s.d.; CARLO FRANCOVICH, Storia della Massoneria in Italia dalle origini alla Rivoluzione

Francese, La Nuova Italia ed., Firenze 1975; ORSTE DITO, L’influenza massonica nella storia calabrese dal Settecento à giorni nostri, Brenner ed., Cosenza 1988; FERDINANDO CORDOVA, Massoneria in Calabria;

personaggi e documenti, Pellegrini ed., Cosenza 1998; ROCCO RITORTO, La prima Loggia massonica d’Italia fondata in Calabria nel 1723, La Città del Sole, a. IV, nr. 2 (Febbr. 1997); MARGARET C. JACOB, Massoneria

Illuminata. Politica e cultura nell’Europa del Settecento, Einaudi ed., Torino 1995; ANTONIO BAGNATO, Jerocades,

una tonaca giacobina, Calabria, giugno 2001

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Giannazzo ordinò, moschettoni puntati verso i marinai, di sbarcare il prigioniero con la scusa di interrogarlo. Mentre la barca stava accostando, lo riconobbe e si rammentò che era stato “segnalato” come bersaglio da colpire. Appena questi pose piede sulla spiaggia, lo fucilò a sangue freddo. Giannazzo era sfuggito al controllo dei suoi finanziatori/istigatori. Inebriato di sangue riteneva di essere chiamato a fare giustizia di coloro che a suo giudizio erano da considerare nemici. Lasciò in preda a isteria la marina, entrò in Paese e cercò Don Basilio Messina, amico della vittima giustiziata ed alto esponente congregazionale. Anche la famiglia Messina aveva combattuto le angherie dei Fedele perpetrate durante la loro ascesa al governo abbaziale della Chiesa di Bagnara, e per questo, e con la scusa di essere simpatizzante giacobino, venne “segnato”. Giannazzo abbatté la porta dell’abitazione signorile della famiglia Messina e prelevò Don Basilio trascinandolo sulla strada. Fu preso a calci e bastonate dai fedelissimi di Giannazzo mentre il resto della banda assisteva sconcertata alla tortura. Quando D. Basilio mostrò di non reagire più alle percosse, Giannazzo caricò il moschetto e lo fucilò brutalmente davanti a tutti, per dare esempio della sua maestosa potenza, dirigendosi poi verso il Largo della Praja meglio noto come Piazza del Mercato (oggi Piazza G. Denaro), con l’idea di affrontare altri giacobini ritenuti tali, che aveva dato ordine di radunare. Si trovò la strada sbarrata dalla Guardia Civica, mobilitata dagli Sciplini e posta sotto il comando dell’Ufficiale di Dogana D. Filippo Barbieri. Gli Sciplini erano dunque venuti allo scoperto, non nel momento sperato dai conservatori, ma aspettando che costoro fossero lontani dal Paese. Peraltro gli Sciplini con diplomazia, avevano per tempo convinto i benestanti di Bagnara che era necessario agire in quel momento, pena la morte economica e civile del Paese, poiché quelle scorrerie nulla avevano a che fare con i moti controrivoluzionari nei quali tutti si erano riconosciuti. Soprattutto i “cappelli” di Bagnara avevano lasciato intendere al partito reazionario che avrebbero riferito al Tenente Carbone e al Cardinale, delle ingiuste malversazioni delle quali era vittima il leale Partito Realista e la popolazione civile del Paese. La Banda Giannazzo si ritrovò sola contro tutti. Vedendosi inaspettatamente affrontato da Don Pippo Barbieri, Giannazzo dette in escandescenze urlando che Dio e il Cardinale gli avevano conferito l’incarico di uccidere i Giacobini. Don Pippo aveva cercato nelle settimane precedenti, di contrastare Giannazzo e s’era sempre rifiutato di cedere a ricatti e minacce della banda, che chiedeva di chiudere i commerci del Paese per salvaguardare i beni commerciabili, dalla devastazione provocata dall’anarchia.91 Era invece ormai chiaro che Giannazzo mirava ad aggravare la disgregazione dei galantuomini di Bagnara, missione per la quale era stato ingaggiato e pagato. Giannazzo iniziò a lanciare insulti verso l’Ispettore di Dogana additandolo capo di giacobini. Poi iniziò a sparare verso la Guardia Civica schierata in assetto da battaglia. Con sorpresa di Giannazzo, la Guardia non si scompose di fronte alle bordate di moschetteria, e serrò le fila per avversare i briganti. Il consenso del Paese, rendeva i militi motivati nell’azione, circostanza che Giannazzo non aveva preso in considerazione, ritenendo i Bagnaroti e i militi che li difendevano, poco più che codardi. I briganti, sconcertati, iniziarono a indietreggiare e quando s’accorsero che l’avanzare della Guardia era accompagnato dalle imprecazioni della gente affacciata alle finestre, ripiegarono verso la salita che porta a Purello. Nel risalire la via Ruffa che conduceva dal Borgo a Purello, la banda si scompose: Giannazzo e i fedelissimi si ritrovarono più avanti rispetto al folto gruppo che avanzava lentamente. Qui avvenne un colpo di scena. Il secondo gruppo di briganti s’arrestò iniziando a sparare contro i compagni di testa. Gli Sciplini, dopo il consenso ottenuto dagli altri benestanti non compromessi coi briganti, i proprietari terrieri e buona parte degli artigiani sull’azione anti brigantaggio da attuare per la salvezza del Paese, avevano comprato in segreto alcuni esponenti della banda col riuscito obiettivo di creare discordia nel nucleo di comando.

91

SAVOJA, p. 8

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Quella ritirata si trasformò dunque in faida, una tragedia che si sarebbe consumata per le vie del Paese alto. La sparatoria della retroguardia fece arrestare i Calarco e i fedelissimi che erano con lui. Il tempo di vedere Virgore Calarco, rimasto attardato, piegarsi fra grida di dolore, raggiunto alla schiena da una scarica di pallettoni. Giannazzo intuì il tradimento e salendo con Cecio di corsa, rispondeva al fuoco caricando e ricaricando dall’angolo delle vie. Dietro, la Guardia avanzava minacciosa. Alla fine Giannazzo e Cecio, ormai soli, riuscirono a barricarsi nel loro pagliaro a Purello, contando su un cannoncino col quale confidavano di mitragliare i traditori e la Guardia. Ma la furia di quest’ultimi non concesse ai fratelli il tempo di predisporre il pezzo, munito per lo sparo ma ancora tappato per salvaguardarlo nel trasporto. Vedendoli irrompere nella stanza, Cecio prese un tizzone dal camino e urlando

a pira matura cari sula! diede fuoco alla miccia. Il cannone esplose dilaniando difensori e assalitori. 13.- L’ARMATA DEL CARDINALE VERSO BAGNARA L’autodistruzione della Banda Calarco fu festeggiata come una liberazione voluta “dal Signore” e l’azione fu giudicata corretta dal Cardinale che intanto, (era il 13 febbraio) aveva raggiunto Scilla fra un bagno di folla giubilante.92 Andò a riposare alla Chianaleja, nel palazzo di suo cugino, il Principe di Scilla, la guarnigione dei regolari si acquartierò al Forte e le truppe a massa avanzarono fra Scilla e Favazzina, ponendo il campo fra i limoneti e gli aranceti di Prajalonga, la costa più bella del mondo. La vicinanza delle truppe a massa della Santa Fede e la benevolenza reale della quale godevano gli esponenti reazionari di Bagnara, fra i quali, come detto, primeggiava il “tristo del Paese”, impedì la controreazione della coalizione di Sciplini che come annotato, appoggiava l’azione del Cardinale a difesa delle istituzioni borboniche e contro l’occupazione francese. Versace, coi suoi seguaci, aveva raggiunto Scilla e si era messo sotto la protezione del Cardinale. Nel palazzo del Principe alla Chianaleja, il comando dell’Armata fece il punto prospettico, di come si sarebbe potuto presentare il teatro di guerra da lì in avanti. Nei due giorni successivi si definirono i piani di collegamento coi Paesi che sarebbero stati toccati dall’avanzata, si valutarono le truppe a massa, ora in circa 400 armati, e la possibilità di incamerare altri uomini e mezzi, già segnalati disponibili dai sindaci amici. La staffetta del Commissario Petromasi era tornata da Bagnara ove aveva informato le autorità comunali e le Confraternite del prossimo arrivo del Cardinale e aveva chiesto che fossero approntate vettovaglie, munizionamento e dotazioni da campo oltre alla Cassa di Guerra già definita con D.Pascalino Versace e che sarebbe servita per pagare il primo soldo alla truppa. Lo stesso Don Pascalino s’era incontrato col Commissario al quale gli era stato presentato Domenicantonio Savoja, persona di forte carattere, che a Bagnara svolgeva il compito di collegamento fra i rurali e i proprietari terrieri; un “boss” di forte carisma, capace di farsi obbedire e di incorruttibile fedeltà alla Corona del Borbone e alla Madonna del Rosario.93 Con gli esponenti congregazionali, il Commissario si appartò ed ebbe colloqui riservati. La tattica della staffetta come avanguardia della colonna sanfedista, fu ripetuta da Bagnara in avanti lungo il percorso di riconquista del Regno, sicché il Cardinale troverà tutto predisposto al suo ingresso nei Paesi “redenti” dal “libertino governo giacobbino appoggiato dà francesi”.

92

Ruffo informò la Corte con una nota del 12.2, inviata dal Pezzo:

«Cotrone s’è ribellato, come questa sera ho saputo dai soldati che non han voluto prender partito. Bagnara ha trucidato qualche giacobino e si mantiene. I posti importanti del regno hanno sempre una loggia, quella di

Cotrone la seppi ieri l’altro, ma che farci?» (Ruffo ad Acton 12.2.1799, MARESCA, ASPN, a.VIII, fc. II – 1883 – pg. 228). 93

Fino a quel momento Domenicantonio Savoja era vissuto nell’anonimato se non che aveva un impiego amministrativo nella gestione dei possessi della famiglia Versace, col compito di tenere i contatti con i contadini delle

campagne bagnaresi dai quali prelevava gli affitti e coi quali effettuava transazioni commerciali. Di questa attività

aveva maturato notevole esperienza e notorietà di “duro” nel mondo del lavoro bagnarese.

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Il Commissario riferì al Cardinale che si poteva procedere e la notte del 15 molte staffette partirono verso l’Aspromonte e la Piana. Il 16 mattino il Cardinale, senza aver precedentemente avvisato alcuno e con solo un manipolo di Cacciatori Calabresi, lasciava all’improvviso il campo che stava smontando gli acquartieramenti. I 350 Cacciatori Calabresi e il piccolo treno d’artiglieria, guidati da Carbone, si apprestavano a marciare verso i Piani della Corona.94 Pezzo, 12 febbrajo 1799

Eccellenza:

adempio il mio dovere con V.E. rendendo

anche lei consapevole di quello che oggi

scrivo alla Maestà della Regina. Mi è

riuscito di radunare in queste vicinanze

350 uomini, onde dimani mi pongo in

marcia, cominciando pel più che potrò

verso i monti, ma senza perdere la

comunicazione colla marina, potendo

ritrarre da Scilla, da Bagnara, fedelissime

terre, molti aiuti. Se sarò divenuto grosso

vicino a Monteleone, la attaccherò e

passerò gli Appennini per raccogliere

altre forze al di là e non lasciare qualche

nemico all’indietro. Poi andrò a

Catanzaro, e così di mano in mano. (…) si osserva che non si sono guastati che

piccoli luoghi, come sarebbero Paola e

Cortale (…) alcune lettere di quelle parti dicono che aspettavano truppa francese,

ma sembra non essere venuta e forse sarà

voce dei giacobini per tenere in timore i

popoli. Come si nota, Ruffo non fa menzione della deviazione su Bagnara che, pure, aveva a mente fin dall’inizio essendo Bagnara il cuore della resistenza borbonica antigiacobina e la principale stazione dei primi rifornimenti in denaro, suppellettili, e merci per l’Armata. Nel lasciare il campo, Ruffo ordinò a Malaspina di raggiungerlo il giorno dopo a Bagnara e ciò per aumentare la confusione verso un ipotetico gruppo giacobino intenzionato ad attentare alla sua vita.95

94

Ruffo ad Acton 12.2, MARESCA, ASPN, a.VIII (1883), fc. II, p. 229. Sarà una delle ultime volte che il Cardinale

renderà noti i piani di avanzamento. Temendo le delazioni e lo spionaggio soprattutto a Corte, ma anche l’intenzione di Acton di metterlo in difficoltà, ometterà sempre più di menzionare i luoghi ove passerà e i piani di attacco conseguenti. 95

MALASPINA, 72

LE PRIME LOGGE MASSONICHE IN CALABRIA

Tropea 1784 L'Amor della Patria

Parghelia 1784 La Buona Speranza

Monteleone 1793 Vibonese 1

Reggio ? ?

(Il 12.9.1797 venne assassinato il Governatore Giovanni

Pinelli. Con molte probabilità, si trattò di un attentato organizzato

dalla locale Massoneria che dunque poté essere attiva a Reggio fin da

quegli anni)

Reggio 1799 Loggia Logoteta

Maida 1806 La Fratellanza Italiana

Tropea 1810 Costanza Erculea

Pizzo 1811 Allievi di Salomone

Cosenza 1811 Gioacchino I

Amantea 1811 Fraternità Nepetina

Paola 1811 Alunni di Pitagora

Belmonte 1812 Monti d'Ariete

Castrovillari 1812 Scuola di Costumi

Orsomarso 1812 Ursentini Costanti

Radicena 1812 Bruzi Riuniti

San Fili 1812 Umanità Liberata

Aiello 1813 Asilo della Virtù

Belvedere 1813 Figli del Silenzio

Carlopoli 1813 Gimnosofisti Silani

Catanzaro 1813 Umanità Liberale

Colosimi 1813 Mamertini

Corigliano 1813 Figli della Stella T

Maierà 1813 Moderazione

Nicastro 1813 Filantropi Numistrani

Reggio 1813 La Perfetta Armonia

Reggio 1813 Virtù

Rende 1813 Filantropia Enotrea

S.Giovanni in Fiore 1813 Pitagorici Nietensi

S. Pietro Caridà 1813 Sapienza e Forza

Stilo 1813 Colonna Enotria

Verbicaro 1813 Amicizia Virtuosa

Bagnara 1813 La Virtù Trionfante

(La loggia di Bagnara fu molto legata al re Gioacchino Napoleone

(Gioacchino Murat). Sotto l'influenza del Grande Oriente, ebbe come

primo "Maestro Venerabile" il Magnifico Giovanni Sisinni (o Lisinni). La

Loggia nacque per stimolo dei Marinai Bagnaroti che navigavano lungo

le rotte di Marsiglia e Genova. Influenza determinante ebbe Marsiglia

anche sulla formazione delle Logge di Tropea - dov’era da antico

tempo fiorente una forte marineria, e Parghelia)

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Aveva già peraltro dato disposizioni che a sua protezione, voleva solo “bagnaroti, scillesi e sprumuntani” e che bisognava evitare che in questa Guardia Personale si inserissero “riggitani”, visti con sospetto dopo il fallito attentato al Pezzo. Verso le 11 Ruffo raggiunse il Pizzolo di Bagnara. L’aspettavano Don Pascalino con Micantoni Savoja, il Preside Winspeare e il Tenente Carbone, in anticipo venuto a Bagnara per sedare le violenze dei giorni precedenti, Don Franco Caruso, un sarto che a Monteleone sarà aggregato al Reggimento Real Calabria. Verso mezzogiorno, il suono delle campane delle chiese, annunciò al popolo bagnaroto che il Cardinale aveva lasciato il Pizzolo e stava per entrare in Paese. Fu un trionfo. Don Fabrizio cavalcava un cavallo bianco, attorniato dalla Guardia, i fedelissimi aspromontani. In testa a 50 Cacciatori Calabresi, l’Alfiere del Re aveva dispiegato al vento la bandiera bianca che recava da un verso gli antichi Gigli della Real Casa di Borbone di Napoli e Sicilia e dall’altro i simboli costantiniani: una grande Croce col motto In hoc signo vinces. I bagnaroti erano deliranti. Ogni

miliziano aveva ricamato, nella notte, la croce bianca sul cappello e intrecciato molti nastrini colorati sulla canna dei moschettoni, delle lance e delle else dei lunghi coltelli96. Tutti si inginocchiavano al passaggio della bandiera crocesegnata e chinavano il capo in segno di devozione. Il Cardinale aveva raggiunto un obiettivo che valeva il 60% dell’intera operazione: la perfetta comunicazione di massa operata in un ambiente geograficamente ostile e socialmente disaggregato, privo di strumenti di dialogo (giornali, rete postale efficiente, ecc.). L’obiettivo era: la Calabria unita nell’informazione rapida intorno a un personaggio “comune a tutti”.97 Scortato dalle autorità, il Cardinale raggiunse la Chiesa del Rosario accolto dallo stato maggiore della Confraternità con in testa il “magnifico” Don Gaetano Savoja e gli Assistenti: Cutrì, De Leo (Gregorio), Parisio, Messina, Sciplini, Versace, Cesario, Potamia, Barbaro, Saffioti. In un tripudio di campane, mortaretti e grida ferventi di “viva Maria”! “viva l’Eminenza Ruffo”!, il Direttore Spirituale, il Rev. Don Masino Carbone, scortò il Cardinale all’interno del Tempio, ricostruito sui ruderi dell’antica Chiesa gestita fino al 1759, insieme alla Confraternità fondata dalla Gran Casa di Bagnara, dai PP. Domenicani. Il Cardinale ebbe modo di ammirare gli splendidi stucchi del Gianforma98 e la varietà di marmi pregiati,

96

APA, 9 97

Oggi questo tipo di comunicazione di massa è applicata in modo professionale: sono le «well-knowmens» che

muovono l’attenzione generale verso il “comunicatore” in modo univoco dandogli “Alta Visibilità”. 98

Giovanni Gianforma, insieme al fratello Gioacchino, operò in Calabria e in Sicilia fin dalla metà del Settecento.

Erano valentissimi stuccatori e restano ancor oggi testimonianze della loro opera: a Scilla, nella Chiesa dello Spirito

Santo al rione Gornelle, vi sono magnifici stucchi dorati del 1753; al 1756 risalgono gli stucchi dorati nella Chiesa di

Sant’Antonio abate di Buccheri, vicino Siracusa. Altre testimonianze si trovano a Modica, con stucchi sul soffitto a botte della Chiesa del Rosario, a San Nicolò l’Areana, nel catanese ove sono rilevanti i decori del salone monumentale

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donati dal Duca di Maida per interessamento del confratello Don Domenico Lucisani. Ruffo si raccolse in preghiera commemorando lo zio, il primo Cardinale di Bagnara, il potentissimo Don Tommaso Ruffo, arcivescovo di Ferrara, che amò il Paese ove era tornato per consacrare l’antico Oratorio. .Chiese notizie della sepoltura del secondo Cardinale di Bagnara, Don Antonio Ruffo, che nella natia Cittadina era tornato per trascorrere gli ultimi anni della sua vita divenendo protettore della Confraternità. Donò alla Confraternità stessa 100 ducati d’oro della sua dotazione personale, da adoperarsi per la cura degli indigenti e l’istruzione dei fanciulli e si diresse quindi verso il pianoro ove sorgeva, lì da presso, la maestosa Chiesa del Carmine, accolto dal Priore della «Nobile» Confraternità, il Nobile D. Antonio De Leo e dal Consiglio Congregazionale: Muscari, Spoleti, Veneziano, Patamia, Romano, Albanese. La Chiesa era anch’essa impreziosita dagli stucchi del Gianforma e custodiva un tesoro, frutto di donazioni ed ex-voto; il Cardinale si emozionò di fronte a tanto splendore, simbolo di attaccamento alla Religione e donò alla Chiesa parte dei suoi preziosi paramenti da cerimonia.

Dopo questa parentesi, rientrò al campo volante del Pizzolo per prendere alcune decisioni. Innanzitutto che a Bagnara fosse riattivato il Convento dei Frati Paolotti, un passo strategico per le azioni di riaggregazione delle forze sociali ed economiche bagnarote, traumatizzate dalle lotte intestine. Venne sequestrata la Cassa della Dogana di Bagnara99 e incorporata nella dotazione della Cassa di Guerra dell’Armata. Fu quindi convocato al campo Don Pascalino al quale fu offerta la carica di Tesoriere Generale della Reale Armata della Santa Fede, carica che il Priore di Purello accettò mettendo a disposizione molte delle risorse personali100. Consegnò al Preside Winspeare affinché lo facesse recapitare a Messina con una palamitara, un dispaccio nel quale chiedeva al Forte due cannoncini e relativo munizionamento.

del Monastero benedettino, gli stucchi dorati nella Cattedrale di San Giovanni Battista a Ragusa e quelli raffiguranti

episodi biblici nelle Chiese di Santa Maria Maggiore e dell’Annunziata a Cava Ispica presso Modica. A Scicli, nella

Chiesa di San Giovanni Evangelista, si ricordano ancora stucchi di particolare e bellissima fattura. Purtroppo nel 1854

furono sostituiti da quelli dozzinali dell’architetto D. Vincenzo Signorelli (V.LA PAGLIA, Il Barocco nella Sicilia

Orientale, “Prometeus” a. I, n.6 (20.8.2001). Possiamo paragonare questo delitto a quello perpetrato a Bagnara nei nostri anni Settanta: l’abbattimento della meravigliosa chiesetta di Maria SS. Di Porto Salvo, unico esempio rimasto di Barocco antico calabrese, per fare posto a un edificio di civile abitazione: un “cubo” dozzinale e anonimo. 99

PETROMASI, 9. L’economia di Bagnara continuava nel suo trend positivo, incentrato nel commercio di manufatti e semilavorati del legname e prodotti dell’agricoltura specializzata e dell’artigianato edile. La Dogana di Bagnara passò da un introito di 765 ducati nel 1778 a uno di 1.183 nel 1792 (+54.6%). La spinta congiunturale positiva innescata dalla

domanda nell’edilizia dopo il 1783, si mantenne costante per via dell’attività del porto di Messina e le necessità della

guerra (G.BRASACCHIO, Storia economica della Calabria, vol. IV, Frama Sud ed., 1977: contiene una buona sintesi

dell’argomento, desunto da G.M.GALANTI, Della descrizione geografica e politica delle Sicilie, Na. 1969, n.e.). 100

PETROMASI, p. 9; SAVOJA, p. 5

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Gli esperti avevano visionato la strada della Croce e quella dell’Affacciata, e giudicato che il percorso non era idoneo al trasporto militare. L’artiglieria dunque avrebbe dovuto raggiungere l’Armata a Gioja via mare: due cannoncini e un obice sbarcheranno infatti sul Lido della Piana condotti da Don Domenico Mazzei,101 Aiutante di Campo del Generale Danero. 14.- IL PROCLAMA DI BAGNARA Dal Pizzolo il Cardinale inviò un dispaccio ai parroci dei Piani della Corona col quale preannunciava la ripresa della marcia per Domenica 17 e dava a tutti appuntamento a Mileto per il 24 affinché i difensori della Religione e del Trono si rivolgessero da lì verso Monteleone, occupata dai “prepotenti” che vessavano il popolo costringendolo ad armarsi contro Cristo.

Bravi Calabresi.

Essendo giunta a nostra notizia la ribellione di Monteleone, siccome ancora l’ardimenti di alcuni

prepotenti Cittadini, i quali ora con minaccie, ed ora con lusinghe hanno indotto il popolo Basso ad

armarsi in Loro favore senza conoscere il proprio interesse, e la soprafina malizia di costoro, ed

avendo inteso altresì che ardiscono di portare altre insegne diverse da quelle del nostro Re, e

prestar altro culto profano, ed irreligioso, ed altrimenti che sotto il pretesto di libertà di ubbidire al

sedicente Governo Repubblicano vogliono gli suddetti Ribelli ed Infideli al Sommo Dio carpire dal

Popolo e spogliare la Provincia del denaro, tutto per darsi poi a nostri nemici.

Ci sembra che sia oramai tempo di ridurre i Ribelli Prepotenti Traditor della Patria i quali sono

grazie al Signore Iddio pochi, e che non debbono i Popoli circonvicini, e fedeli a Dio, al Sovrano

ed alla Patria, soffrire ulteriormente le minaccie di quel Luogo ribelle, ne è poi giusto che vivano in

continuo sospetto delle loro vite, ed in pericolo di perder la Santa Fede, i loro averi ed i loro onori;

si ordina e comanda dunque a tutte le Persone Cittadini e Fedeli al Re Nostro Signore, che amano

la Patria, e la vera libertà, abitanti nelle Città, Luoghi e Terre e Castelli qui sotto nominati, che il

giorno Domenica 24 febbrajo si trovano armate come meglio potranno in Mileto portando ciascun

Individuo il vitto per tre giorni.

Quindi ciascuna Popolazione anderà col più Zelante alla testa, impugnerà l’albero che produsse il

frutto della nostra Redenzione e marceranno tutte unite alla volta di Monteleone, quivi prenderanno

i Capi della profana ribellione e li condurranno al mio Tribunale per esser giudicati secondo le

leggi. Avvertano però di non far alcun disordine, specialmente riguardante l’onor delle Famiglie,

risparmino il Basso Popolo, ch’è tutto buono e fedele, ma sta con scellerati ribelli, perché sedotti, o

intimoriti da quelli, ed ancora che le ritrovassero armate, prima di usarle violenza procurino di

persuaderli di ritornare al loro Dio, al loro Legittimo Sovrano, anzi al Loro Padre amoroso.

Presi, che avranno i detti scellerati, e sospetti, metteranno guardie alle case di essi, che poi

consegneranno alle forze del mio Tribunale, che stanno colà. Se nelle vicinanze di Monteleone vi

fossero altri Luoghi infetti dell’istessa pece prenderanno parimenti i Capi Ribelli, come si è detto di

sopra, sempre avendo in vista di non confondere il Reo coll’Innocente, nel tempo che i Cristiani

staranno fervendo la Causa di Dio, e di S.M.; saranno pagati a spese del Fisco e quindi

ricompensati largamente a spese dé Ribelli, restando intanto assolutamente vietato da S.M. di

lasciar passare alcun denaro, viveri o altro di qualunque sorte fuori dalle Province verso la Capitale,

che geme ora sotto la più dura schiavitù: animatevi bravi Calabresi a conservare la Religione dé

Nostri Antenati e la vera Fedeltà e fate conoscere che sapete difendervi dall’oppressione,

dall’inganno e dal tradimento, senza altro ajuto che quello del Dio degli Eserciti, che difenderà la

sua Causa meglio di Noi.

Dato in Bagnara li 16 Febbrajo 1799.

Fabrizio Cardinal Ruffo Vicario Generale.= Si avverte che nello stesso giorno si troverà a Mileto, La Serra, Soriano, La Fabrizia e tutta intiera

la Provincia da Gerace fino al mare, e quelli del Pizzo e loro compagnia si accosteranno a

Monteleone nel tempo stesso che il rimanente attaccherà da Mileto.

Ubbidiscano quanto di sopra si è ordinato e non dubitino che i pochi ribelli fuggiranno, lasciando in

pace il loro popolo, che con belli pretesti vogliono spogliare in ogni conto, per tributare il denaro à

nemici di Dio e del Re =

Fabrizio Cardinal Ruffo Vicario Generale = 101

PETROMASI, p. 10; SAVOJA, p. 9; CIMBALO, 22.

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Mons. Scalzi, Vicario Generale della sede vescovile di Oppido, annotava nel manifesto giunto da Bagnara:102

Quindi nel comunicarlo alle Sig.ie Loro Molto Ill.ri è R.de, le incarico di farlo pubblicare né

Luoghi soliti e consueti, per radunarsi il Popolo e far sentire a ciascun Individuo che non è

intenzione di S.Em.za il Sig. Cardinale D.Fabrizio Ruffo di tener per sempre e colla qualità di

soldato colui che va in questa urgenza, ma solo vuole che si trattenga durante il bisogno che sarà

per pochi giorni, come mi ha comunicato a voce, e sarà pagato a spese del Regio Fisco a ragione di

grana venticinque al giorno chi compromette del di loro noto zelo e mi diano conto dell’operato,

rimettendo le liste delle persone che anderanno, per inviarle a S.Eminenza

il Sig. Vicario generale.

Scalzi Il proclama di Bagnara103 inquadra l’assetto ideologico che mosse il Cardinale nell’azione di riconquista del Regno:

tutela delle classi deboli precedenza al negoziato e alla risoluzione pacifica dei contenziosi amnistia e perdono per i non compromessi direttamente col regime repubblicano ricostituzione dei governi locali secondo la legge dello Stato e con benefici fiscali per

consentire la ripresa economica delle zone liberate e motivare i lavoratori della terra104 azione militare contraddistinta dall’impronta realista e legittimista, evitando che la

controrivoluzione si trasformasse in guerra popolare istintiva e quindi distruttrice di ogni cosa e ogni dove.

Si trattò di una complessiva posizione, in fortissimo contrasto col pensiero della Corte, che il Cardinale aveva a mente, poiché faceva parte del “pacchetto” di disposizioni ricevute dal Re nel momento in cui lo nominò Vicario Generale. Il Re, la Regina, Lord Acton, istigati dai Comandi Militari, chiedevano rigore, nessun perdono e punizioni esemplari e spettacolari, per mostrare a tutti cosa significasse andare contro il Sovrano e le sue leggi. Già da Bagnara dunque, l’atteggiamento del Cardinale era in contrapposizione con la volontà della Corte, ancora in forma velata, ma il prosieguo vedrà questa circostanza tramutarsi in conflitto, sino alle vicende napoletane di Nelson e al rischio di arresto per lo stesso Cardinale!. L’altra circostanza è la capacità che ebbe il Cardinale di “comunicare”. Lo si è notato esaminando lo sbarco al Pezzo, ma adesso le logiche contenute nella sua voglia di comunicare erano ficcanti: difesa della Religione, del Sovrano buono e affettuoso, della famiglia (e quindi dei beni familiari) e contro i “nemici” di queste cose, venuti per depredare e disonorare. Notate: la novità vera era il richiamo al concetto di “Patria”, poiché nel concetto, il Cardinale accomunava tutti i Ceti, le attività e le istituzioni. Patria fondata sulla morale cristiana. sotto la tutela del buon Re che ispirava le azioni alle Sacre Scritture, a Dio e attuati in base all’insegnamento di Cristo. 102

R.LIBERTI, Momenti e figure…,cit., p. 204 103

Secondo Petromasi, il Proclama fu emanato da Gioja e non da Bagnara. Ma si tratta di un errore evidente. Cfr.:

CONSTANCE H. GIGLIOLI-STOCKER, Naples in 1799. An Account of the Revolution of 1799 and the rise and fall of

the Parthenopean Republic, John Murray ed., Londra 1903, pg. 175. 104

La Regina era assolutamente d’accordo, in linea di principio, col Cardinale. Ma solo in linea di principio, cioè le

misure economiche si dovevano varare per il semplice motivo di “anticipare” un’eguale misura francese, non certamente come manovra economica bi frontale come intesa da Ruffo: “motivare” le masse verso lo Stato e dare un impulso alla disastrata economia calabrese, colpita dagli eventi in modo gravissimo. «…preferirei sempre quest’ultimo (cioè lo sbarco russo sulle coste joniche calabresi) per animare così quella Provincia a unircisi, con levarle dazii per

dieci anni, abolire feudalità, jus proibitivi, insomma anticipare tutte quelle operazioni che i Francesi faranno, e con le

quali si renderanno graditi alle popolazioni» (MC a R, 16.2.1799, MARESCA, ASPN, a.V, fc.II, 1880, 333). Si noti la

profonda differenza di pensiero fra Ruffo e la Corte. Poi nel prosieguo, la posizione reale diviene meno espansiva:

«trovo savissimo e da molto e profondo pensatore quello che per non sgravare i popoli tutto assieme dai pesi fiscali

bisogna proporzionare il beneficio al merito (che è un grande principio illuministico – n.d.a.) e lasciare sempre qualche

cosa da sperare. Credo necessarissimo sollevare i popoli dai soverchi aggravii che potrebbero fargli scuotere ogni giogo,

ma bisogna farlo con prudenza» (MC a R, 3.3.1799, MARESCA, ASPN, a.V, fc.II, 1880, 337).

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Ruffo era politico di razza, e sociologo formatosi durante il governatorato di Roma nella qualità di Tesoriere Generale della Santa Sede e di Sovrintendente Militare di Sua Santità. Conosceva gli strumenti per creare consenso popolate attorno alle decisioni governative e le modalità per aggregare masse indistinte in truppa combattente sotto disciplina di comando. Infine conosceva indole, bisogni e aspettative delle genti dello Stretto, della Piana e dell’Aspromonte e a tutte si rivolse nei proclami del Pezzo e di Bagnara con tratto sicuro.

Non dunque lotta politica al Governo Giacobino e militare ai Francesi, ma difesa dei valori che incardinavano la Nazione

o a sua volta formata essenzialmente dal popolo o e dai suoi ideali.

La Corte non comprenderà quest’atteggiamento evoluto, tenderà a privilegiargli l’idea del castigo e della ritorsione in un ambiente nel quale nulla doveva perdonarsi a chi aveva tradito, perché non se ne ammettevano le motivazioni. Dopo aver ascoltato la Messa, Ruffo si accomiatò dalla Gerarchia bagnarese e, accompagnato da Malaspina che intanto lo aveva raggiunto ed era stato confermato “ad vocem” Ispettore, e dal Preside Winspeare, si ricongiunsero all’Armata ai Piani della Corona. La colonna, sotto la pioggia, si mise in marcia verso Sant’Eufemia d’Aspromonte. Venne anche qui accolta da scene di delirante gioia. Ai piedi dell’Aspromonte soggiornò per tutto il giorno seguente onde dar modo alle colonne in marcia di ricompattarsi. Il cardinale, sempre scortato dai suoi Cacciatori Calabresi, deviò invece verso Palmi da dove lanciò il famoso proclama ai “Bravi Calabresi”, prima di ricongiungersi col grosso della sua Armata per proseguire la sua avanzata verso Napoli.105

105

PAUL GAFFAREL, Bonaparte et les Républiques Italiennes (1796-1799), F.Alcan ed., Parigi 1895 (da pg. 247);

GAETANO CINGARI, La Calabria fra Settecento e Ottocento: fermenti ideologici e spinte rivoluzionarie, in La

Calabria dalle Riforme alla Restaurazione, Atti del VI Congresso Storico Calabrese (Catanzaro 29 ottobre-1° novembre

1977), da pg. 103; ROSARIO VILLARI, Economia e Società in Calabria alla vigilia del 1799: aspetti e problemi, ivi,

da pg. 257; MIOT DE MELITO, Mémoires, tomo II, Michel Lévy e f.lli ed., Parigi 1858; N.CORTESE, Memorie di un

Generale della Repubblica e dell’Impero: Francesco Pignatelli Principe di Strongoli, Laterza, Bari 1927;

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Napoli – piazza Dante

Palazzo di Bagnara dimora del Cardinale D.n Fabrizio Ruffo

Particolare del portico interno

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Uno degli stendardi dell'Armata della Santa Fede

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