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Classe II H Docente: Isa Lacasa
ANNO SCOLASTICO 2006 / 2007
“Quando un popolo non ha più senso vitale del suo passato, si spegne” C. Pavese La storia permette confronti per la comprensione degli eventi, attraverso le categorie dello spazio e del tempo fornisce gli strumenti per la lettura delle trasformazioni che l’uomo opera per modificare l’ambiente che lo circonda al suo bisogno, l’evoluzione degli usi e dei costumi, nonché del pensiero e delle tradizioni. L’ambiente è “universo cognitivo” ovvero “alfabeto culturale”, luogo cioè dove è possibile leggere e interpretare le proprie origini, la propria appartenenza, le tracce degli uomini che hanno reso unico lo spazio dove hanno vissuto.
1
QUADRO STORICO DI RIFERIMENTO
Tra il 1494 e il 1559 la penisola italiana risultava divisa in piccoli stati opposti
tra loro a causa di forte rivalità. A combattere sul suolo italiano e a contendersi
il Regno di Napoli e il Ducato di Milano, c’erano le due principali monarchie di
Europa: Francia e Spagna.
Il 6 aprile 1494 il re di Francia, Carlo VIII, oltrepassò le Alpi con un esercito
numeroso e ben armato, deciso a conquistare il regno di Napoli governato dalla
dinastia spagnola degli Aragonesi.
Questi erano stati a Napoli i protagonisti di una svolta politica assai
importante, mirata a rafforzare lo Stato contro il potere baronale pertanto negli
ultimi decenni del Quattrocento c’era stato nell’Italia Meridionale un profondo
ricambio delle classi dirigenti.
Le vecchie famiglie baronali, soprattutto i Sanseverino e gli Orsini Del Balzo,
tradizionalmente presenti in numerosi feudi anche lucani, subirono un duro
colpo che apparve in tutta la sua evidenza negli anni della cosiddetta “congiura
dei baroni”, della quale il re si servì abilmente per liberarsi dai condizionamenti
ancora grandi di quelle antiche e potenti famiglie.
Una volta indeboliti questi gruppi dominanti, gli aragonesi avevano favorito la
formazione di nuovi gruppi dirigenti, per lo più mercanti e uomini d’affari, con i
quali miravano a sostituire, offrendo loro anche titoli nobiliari, la feudalità di
più antica origine.1
Carlo VIII, attraversata l’Italia senza incontrare resistenza, fu incoronato re di
Napoli. 1 Giura Longo Raffaele, Nuova feudalità e lotte popolari, sta in AA.VV. Il castello di Matera, Edizioni B.M.G.. Matera 1987
2
Il fugace passaggio del re di Francia, riuscì fatale non solo all’Italia ma anche
alla nostra città che, in quel triste 20 maggio del 1495, da città demaniale fu
ceduta a Gilberto di Brunswich, nominato Duca di Lecce, Conte di Matera e
Viceré del Salento; questo nonostante, nel marzo precedente, egli avesse
restituito ai Materani ventiquattro carri di frumento rubati dai soldati e, con il
decreto del 6 aprile2 di quello stesso anno, li aveva assicurati della perpetua
demanialità.
Gli stati Italiani: Venezia, lo Stato della Chiesa e Milano, si allearono contro
Carlo VIII e a Fornovo, nell’attuale Emilia Romagna, lo sconfissero ed egli
dovette lasciare l’Italia.
Ferdinando II di Aragona tornò sul Regno di Napoli.
Tuttavia lo scontro tra Francesi e Spagnoli per il controllo dell’Italia continuò
negli anni successivi.
In mezzo a questi tumulti e turbolenze emerse la figura di Carlo Tramontano.
Nel 1500 cominciò per il Regno di Napoli il governo vicereale che, in poco
tempo, estinse ogni forma di produzione e ogni vita di commercio. Cominciò un
rincrudimento delle feudalità soprattutto dal punto di vista fiscale.
Le cause di questo fatto nuovo furono molteplici: il deprezzamento del valore
di acquisto del denaro dopo la scoperta dell’ America ; le nuove necessità dei
Principati a garantirsi eserciti stabili; le necessità della Spagna che continuava
a combattere senza sosta per terra, per mare in Italia, in Germania, nelle
Fiandre contro i Barbareschi e contro i Turchi.
2 Giacomo Racioppi: Memorie Originali, sta in Storia dei popoli della Basilicata, Ed. Loescher. Roma, 1889
3
A tutto questo si aggiunse la nuova vita sfoggiata, pomposa, cortigianesca,
oziosa venuta a noi dalla Spagna. Il governo centrale premeva sul popolo, i
baroni gettavano la loro parte di “gravezza” sui popoli stessi, e ben presto i
sintomi di questo nuovo stato di cose si manifestarono in tutta la loro
crudezza.
Giuliano Passaro riferisce nel suo “Giornale” che nel luglio del 1512 si rivolta la
terra di Martorano al suo barone perché sarà “malosignore”. Nel dicembre dello
stesso anno si rivolta S.Sanseverina contro Andrea Caraffa perché “detto
signore, era multo tiranno”. Nel 1513 a Marmera, in Abruzzo, i cittadini
ammazzarono il conte, occuparono il castello e uccisero la moglie e i sette figli.
Nel 1514 sarà la volta di Matera.
4
BIOGRAFIA del CONTE
Gian Carlo Tramontano, era nato a Sant’ Anastasia, un paesino nei pressi di
Napoli, probabilmente tra 1465 e il 14703, di origine borghese, era figlio di
Ottaviano e Fiola Penta e fratello di Silvestro,4 aveva sposato Elisabetta
Restigliano, trovasi la notizia in un istrumento del Notar Pietro de Soxiis del 20
Agosto 1504:
“ regnantibus inclytis Serenissimis Dominis nostris Comitibus Joanne Carlo
Tramontano et eius Uxore Elisabetha Restigliani”, sorella di Paolo che, nel
1534, fu dichiarato ribelle.
Il padre, banchiere a Napoli, aveva sempre avuto buone relazioni con la corte.
Il figlio, banchiere egli stesso, non ricco ma audace, prepotente, ambizioso,
conseguì i più alti uffici del regno e morì Conte di Matera.
Aveva iniziato la sua carriera con un incarico alla Zecca dell’Aquila, inviato in
qualità di soprintendente della Zecca di Napoli, quando la Corte era
intervenuta, nel 1489, per la riorganizzazione di detto ufficio che batteva
monete d’argento e di rame largamente diffuse in Abruzzo.
“L’Amministrazione civica, che ne era stata informata, ne fu soddisfatta e
accolse con i dovuti onori l’inviato regio. Ma prolungando questi il suo
soggiorno all’Aquila, sorse il convincimento che egli intendesse gestire la zecca,
della quale la città era gelosa, per conto dello stato. Ed il convincimento si
mutò in malumore quando la zecca prese a coniare “cavallucci”5 in eccessiva
3 Nota degli autori: La data, che non è stata ritrovata in nessun documento consultato, è stata ipotizzata considerando sia le aspettative di vita dell’epoca sia il carattere vivace del Conte che certamente non avrebbe potuto fare alcune cose se fosse stato in età più avanzata. 4 Processo N. 289 Silvestro Tramontano contro il Regio fisco nota 2 in Nicola Faraglia: Giancarlo Tramontano, conte di Matera, in “Archivio Storico per le province Napoletane” pag. 98 - 115 5 Cfr. C. Ascari-O. Cardarelli, La dominazione spagnola nell’Italia Meridionale, Torino, 1978: Le monete in corso in quel periodo erano il “grano”, il “carlino”, il “cavallo”, il “tornese”, il “ducato” e la “piastra” moneta dei ricchi che valeva 5 lire e 10 centesimi dei nostri tempi d’oro (avanti la prima guerra mondiale). Sempre su questa base, un “grano” valeva 4 centesimi, 1 “carlino” 42 centesimi circa, un “cavallo” la dodicesima parte di un “grano” cioè poco più di un terzo di centesimo, il “tornese” 2 centesimi e il “ducato”, moneta d’argento simile alla piastra, 4 lire e 3 centesimi…Il
5
quantità, sì da provocare una inflazione della moneta in tutta l’area in cui era
usata.
Preoccupata dagli svantaggi che tale anomala gestione causava alla città la
Camera finì col domandare il richiamo del Tramontano e la restituzione della
Zecca alla città.”6
Tornato a Napoli il 23 ottobre 1494, Gian Carlo ottenne l’onorevole carica di
Maestro delle Zecche di Napoli7, con la facoltà di poter imprimere sulle monete
d’oro e d’argento le lettere iniziali del suo nome e cognome, come da una
lettera del Re Alfonso II “direttami dal capo presso Terracina”8, per la
fabbricazione dell’Alfonsino, del Ducato, del Coronato e dell’Armellino9. (doc. n. 1)
Creato eletto del popolo 8 giugno 1495, come rappresentante del quartiere di
Sant’Agostino della Zecca, ovvero assessore della città, per desiderio del re
francese Carlo VIII che voleva far conoscere ai popolani quali diritti avessero,
fu vittoria non senza rancore da parte dei nobili che avevano sempre governato
da soli.
Audace e ambizioso qual era, in breve divenne capo della città che seppe
tenere in pace, ben approvvigionata di viveri e devota agli aragonesi, tanto
che, dopo al morte di Carlo VIII, fu l’anima della congiura contro i francesi
quando il re Ferdinando II decise di voler riconquistare il regno di Napoli.
“Le cose furono condotte con grande prudenza: i francesi potenti in armi,
occupavano le castelle, ed erano sostenuti dai baroni, invece l’armata del re
non aveva forza a tentare un assalto, e i popolani inermi e diffidenti non
osavano cominciare.
“cavallo” e il “tornese” costituivano l’unità di misura per l’acquisto dei generi alimentari. Un “rotolo di pane (891 gr. circa) costava da sei a dodici “cavalli” circa. 6 E. Pontieri, Il Comune dell’Aquila nel declino del Medioevo, L’Aquila 1978 7 G. Bovi, Le monete di Napoli dal 1442 al 1516, “ Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano: Giancarlo Tramontano, secondo Bovi, fu maestro di Zecca a Napoli e Aquila fra il 1488 e il 1514; siglò ( CT, T e IT ) monete di Ferdinando I, Alfonso II, Federico III e di Ferdinando il Cattolico; Faraglia, op. cit.,afferma invece che fu maestro di Zecca dal 1494 8Trovasi questa lettera nell’Opuscolo prodotto dal Sig. Salvatore Fusco sul:Ducato del Re Ruggieri 9 Confr. Francesco Paolo Volpe: Memorie storiche, profane e religiose sulla città di Matera, Ed. Cifarelli Matera 1979
6
Ma Gian Carlo di nascosto li animava ed armava, ad ogni cosa provvedeva e,
come era fama, spendeva in ciò molto suo denaro. Vedendo il re, che niun
segno appariva di ribellione, levate le ancore, volse le prore a Pozzuoli, ma in
quel punto udì suonare a stormo le campane ed apparve sul campanile del
Carmine la bandiera aragonese, allora rifatto il cammino prese terra alla
Maddalena, dove già molto popolo armato e commosso fino alle lacrime era
accorso.
Vedendo questo i francesi, e pensando che l’eletto del popolo era Gian Carlo
Tramontano, grande aragonese, corsero alle castelle ed i popolani li
inseguirono ferocemente con le spade.”10
Per questi fatti, il nostro Conte vide accrescere il suo potere, caro ai popolani e
in grazia al re e, mentre questi si adoperava per riconquistare il regno, egli
radunò un esercito di 500 popolani volenterosi ed esperti d’armi e, nel
novembre, li condusse a Sarno al servizio del re, perché provvedessero alla
sua difesa durante gli ultimi scontri con i francesi.
Il piccolo esercito era pagato con il denaro che si raccoglieva tra gli stessi
popolani perché nella banca di S. Agostino era stato posto un bacino e chi
passava “vi gettava quel denaro che poteva”.
“Così tanto seppe fare che sollevati gli animi del popolo, lo rese potentissimo,
padrone della città, e lo condusse in armi al paro dei nobili e di coloro che si
ritenevano nobilitati dallo studio delle cose militari.”11
Mentre si occupava delle cose della città come eletto del popolo e procurava
armi al re, continuava nell’ufficio di mastro della zecca, ma la grande autorità
che egli aveva conseguito in Napoli fu provata l’anno dopo, alla morte di
Ferdinando II.
10 Giuliano Passaro ( o Passero ), Il Giornale,Napoli 1785, pag .76 e seg. 11 Ibidem, pagg. 73 - 89
7
Il re non aveva figli per questo la reggenza fu data alla vecchia regina vedova
di Ferdinando I e, al suo servizio, Gian Carlo Tramontano armò compagnie di
popolani e, con gran dispendio di denaro, le tenne in armi a provvedere alla
quiete della città fino all’arrivo del principe Federico a cui fu fedele e per cui si
adoperò come aveva fatto per Ferdinando.
Quando Federico d’Aragona, salì sul trono di Napoli, Giancarlo Tramontano
volle essere tra i primi a rendere omaggio al nuovo Re e alla nuova Regina, che
era Isabella Del Balzo.
Si recò a Barletta dove la regina Isabella aveva fatto sosta, quando da Lecce si
era mossa per raggiungere il Re a Napoli.
Scoppiata di nuovo la guerra, i francesi occupano l’Italia Meridionale e nel 1501
Federico fu costretto ad abbandonare Napoli, Giancarlo Tramontano in
quell’occasione prelevò dalla zecca un grosso quantitativo di argento ( pare si
trattasse di 700 libbre ) per consegnarlo al re fuggiasco, non senza averne
trattenuto una parte per sé.
Pur non volendo seguire il re nella sua fuga, gli prestò la sua nave personale la
“Ghila”, una galera che poi nel 1504 avrebbe fatto naufragio sulla costa
genovese.
Tre anni dopo, le sue ambizioni di potere, che si erano già manifestate nella
sua capacità d’essere imprenditore commerciale, trovarono compimento
politico con l’investitura di Conte.
La richiesta di investitura fu avanzata forse per il credito di 60.000 ducati che
avanzava dalle casse dello Stato, o forse perché il re, in ristrettezze
economiche, nel 1497 fu costretto a vendere molte terre e città, tra cui la
8
Contea di Matera che era rimasta vacante per la morte del Brunswich, di cui lo
scaltro Conte chiese l’assegnazione.12
La Contea di Matera era diretto demanio del Re e da sempre era stata
agevolata nel pagamento delle tasse13, al Re ripugnava di tradire la parola data
ai suoi fedeli sudditi di mantenerli nella demanialità, per cui subordinò la
concessione della Contea al Tramontano al consenso dei materani.
Questi negarono il consenso, tuttavia il furfante non si perse d’animo,
raddoppiò presso i più distinti signori le premure e le preghiere promettendo
esenzioni da tasse e da tributi al popolo e onori e doni ai nobili.
Alla fine riuscì a indurre i poveri incauti materani, uniformatisi al sentimento
del signor Battista Malvindi che disse:”Accettiamolo cosa di male ci possiamo
attendere da un miserabile? se non marcia bene torneremo addietro”,14 a
sottoscrivere un atto di accettazione di servitù feudale, atto che, presentato al
Re, fruttò al Tramontano l’investitura della Contea, riportò sulla Città di Matera
la sostituzione del titolo di Conte a quello di Governatore perpetuo.
Era il 1° ottobre del 149715 e, il 4 giugno 1498 cavalcò per Napoli col titolo di
Conte di Matera16, come si legge in un istrumento di Notar Pietro de Scioscis di
Matera del 24 agosto 1504, che nota l’anno settimo del suo dominio.
A Matera, Giancarlo Tramontano mirò ad impossessarsi del maggior numero di
rendite, entrando in contrasto con gli imprenditori locali.
Tra il 1498 e il 1500, ad esempio si sviluppò una controversia tra lui e gli
esponenti della famiglia materana Scalcione, per il possesso della rendita dello
scannaggio, cioè della tassa sulle carni macellate.
12 Faraglia riporta a pag. 104 che il Tramontano comprò la città di Matera e il titolo di Conte al prezzo di 25000 ducati 13 Marcello Morelli: Storia di Matera, Fratelli Montemurro Editori Matera, 1963 14 Cavaliere Francesco Paolo Volpe op. cit. 15 Conte Giuseppe Gattini ,Note storiche sulla città di Matera, Perotti Editori, Napoli, 1882 16 Giuliano Passero, op. cit.
9
Più mercante che cavalleresco uomo d’armi, il Tramontano intese la carica di
Conte come uno strumento in più concesso alla sua frenetica ricerca di
ricchezza e di potere.
Infatti, quando i francesi, per avverso destino non furono più in grado di
giovargli, corse a promuoversi tra gli Aragonesi, si mantenne fedele ad essi fin
quando credette di poterne ricavare profitto, ma persa la speranza in un loro
trionfale ritorno, egli cambiò e si mise a disposizione degli spagnoli.
Nel 1498 alla morte di Carlo VIII, sul trono di Francia era subentrato il Duca
D’Orleans con il nome di Luigi XII che stipulò un trattato segreto con il Re di
Spagna Ferdinando il Cattolico, in virtù del quale dovevano insieme invadere il
Regno di Napoli, che sarebbe stato poi diviso assegnando alla Francia Napoli,
terra di lavoro e Abruzzo, alla Spagna sarebbero state concesse la Calabria e la
Puglia.
Quando arrivarono i Francesi, Ferdinando II, Re di Napoli, chiese aiuto al Re di
Spagna che gli inviò subito Consalvo di Cordova detto il Gran Capitano che
conosceva l’accordo dei due Re perciò, occupò la Puglia e, il 20 settembre del
1501, passò con il suo esercito per Matera per recarsi nelle Calabrie.
Il nostro Tramontano, accortosi della brillante ascesa del Capitano, corse ad
abbracciare le armi spagnole. Il 20 settembre del 1502, il Gran Capitano
trovatolo svelto e valoroso, gli affidò il comando di un manipolo di cento
soldati.
Quello stesso anno Giovancarlo Tramontano, trovandosi di guarnigione con il
duca di Ferrandina: Giò Castriota Macedone, insieme effettuarono un’
incursione con 70 cavalli, 200 pedoni, avanzando da Castellaneta fino a
Gravina, appropriandosi di numerosi animali.
10
I Francesi avvertiti della loro ardita impresa, con 600 cavalli impedirono la
ritirata e, mentre il duca riuscì a fuggire, Tramontano fu fatto prigioniero e
privato della contea di Matera.
I Materani convinti che i Francesi sarebbero rimasti i soli padroni, ne
approfittarono subito per chiedere al re di Francia la conferma dei loro privilegi
e l’assicurazione ad essere Demanio del regno, che ottennero in data 19
novembre 1502.
Ma quando la fortuna si rivoltò a favore degli Spagnoli grazie al valore del Gran
Capitano nella celebre battaglia del 28 aprile del 1503, presso Canosa, il nostro
Conte che non era uomo da restare in lunga prigionia, tolte molte migliaia di
ducati a debito si riscattò e, fu tra i vincitori che passarono da Cerignola,
Gravina, Matera e Montepeloso.
Precedette il Gran Capitano a Napoli, con altri compagni d’armi e 200 cavalli,
alcuni cittadini appena videro il conte, rotti gli indugi, abbatterono le porte
della città ed egli vi irruppe gridando:” Napoli e Spagna”, era il 13 maggio del
1503.
In cambio, ricevette la casa della zecca, le saline di Torre di Mare di
Metaponto, il fondaco del ferro e dell’acciaio nella città di Matera; con diploma
dato in Segovia l’8 maggio 1505, gli furono confermati tutti i privilegi.
Conclusesi le operazioni militari, il Tramontano riprese le sue attività
economiche e politiche a Napoli.
In quale conto lo tenesse il gran Capitano nella guerra contro i francesi è
provato da un altro episodio.
Essendosi il 22 agosto 1506 radunati i consoli della lana ed altri uomini e
maestri d’arte, Giacomo Rapario lesse un diploma nel quale si affermava che,
11
per la lunga guerra, essendo molto decadute le arti della seta e della lana, già
tanto fiorenti in Napoli, si era decretato di restituirle ed incoraggiarle; e come
al tempo di Ferdinando I d’Aragona, Luigi e Francesco Coppola avevano
governato quelle arti, provvedendo a tutti i bisogni e tenendo in soggezione
coloro che le esercitavano, così con gli stessi poteri ed autorità era nominato
governatore e capo di esse il Conte di Matera.17
Come si sia comportato in questo incarico non è dato sapere, di certo confermò
ulteriormente la sua autorità fra i popolani.
Spendereccio e fastoso, all’arrivo del Re Cattolico a Napoli, il giorno di
Ognissanti dell’anno 1506, si mise in evidenza elevando un arco trionfale, che
gli costò 400 ducati, in Sant’Agostino della Zecca.
Con la moglie Elisabetta Restigliano si piegò al baciamano del re e della regina.
Al re presentò una moneta d’oro di 25 ducati che recava impressi il suo volto e
le insegne di Marte, mentre alla regina fece donare dalla moglie una collana di
25 perle preziosissime, del valore ciascuna di 30 ducati,18e faceva lanciare , a
piene mani da due suoi dipendenti, monete di mezzo carlino, sulle quali vi era
l’effige del re come su quella d’oro.
Inoltre, l’anno appresso, nel maggio del 1507, si tenne il Capitolo Generale
degli Agostiniani in Napoli, durò quattro settimane con grandi apparati,
cerimonie e pranzi; il nostro Conte, insieme al Gran Capitano e alla Banca del
popolo, sostenne tutte le spese.
Nel 1510, grazie al suo tempestivo e spregiudicato intervento, venne spento un
tumulto appena iniziato contro l’introduzione, a Napoli, del Tribunale
dell’Inquisizione.
17 N. Faraglia: Storia dei prezzi in Napoli pag. 167 e seg. Il diploma reca la data del 6 agosto 1506 18 N. Faraglia: Op.cit.
12
In questo modo egli faceva molto parlare di sé, manteneva il suo credito
presso i popolani che ammiravano il suo lusso e in modo particolare le feste e
gli spettacoli, però non era ben visto dai nobili che lo reputavamo ad ogni
modo un “uomo nuovo”.
Da queste spese pazze egli pensava di riottenere il possesso di Matera, ma il
re, il 28 maggio 1507, confermò ai materani tutti i privilegi di cui erano in
possesso.
Partito il re, l’ambizioso conte, usando tutte le arti cortigianesche, convinse il
Vicerè a ridargli la Contea di Matera, dove tornò indebitato e furente.
Indispettito dalle pressioni fatte dai materani durante la sua prigionia al re di
Francia per conquistare il regio demanio, decise di punirli.
Trasferì a Matera il suo domicilio, nominò uomo di fiducia un certo Scipione
Viccaro, figlio di Donato che aveva sposato Eleonora Verricelli, e cominciò ad
avere un atteggiamento diverso da quello passato: cominciò a vessare i
cittadini con violenza, concussione e crudeltà di ogni genere.
Riprese i suoi affari e i suoi traffici: oltre che commerciare in prodotti agricoli
(cereali) e d’allevamento (lana), egli traeva grandi profitti anche dalla
concessione delle saline di Torre di Mare e dal fondaco dell’acciaio e del ferro.
La sua esuberanza imprenditoriale era mal sopportata dalla società locale che
aveva nel conte un terribile e soffocante concorrente.
Per ingrandire il feudo, il 30 aprile del 1513, aveva acquistato, per la somma di
quattromila ducati d’oro anche i diritti su Ginosa, oltre al feudo rustico di
Girifalco quasi al confine di Matera.
13
Tale espansione economica ed imprenditoriale avvenne a tutto danno dei
produttori e dei commercianti locali, che inasprirono le ostilità nei suoi
confronti.
Inoltre caricò di tasse ordinarie e straordinarie la città, soprattutto l’aristocrazia
che era numerosa e ricchissima.
Accortosi che il popolo ormai ridotto all’estrema miseria non l’amava, e che i
nobili per spirito di indipendenza lo odiavano del tutto, pensò di premunirsi
contro possibile sommosse, fabbricandosi una rocca di difesa sopra la collina
del Lapillo,poi conosciuta come collina de Montigny19 che domina la città:
”Cominciò a fare il castello ad modo del Castel Novo di Napoli, anzi più
superbo, et ni fee edificare solo una facciata con uno torrione grande in mezzo
et uno per ciascuno lato più piccoli, a tempo che si pagava la giornata del
homo sey grana et altrettanto del cavallo, et si ce spese con danno del populo
ducati 25 milia, como oggi si può videre nelle scedde di notar Roberto Agato,il
quale tenne conto di detta fabbrica.”20
Il castello è quello che ancora si ammira sulla collina materana, del tutto
differente dall’antica Torre Metellana, sita nel Sasso Barisano, che ingenerò il
madornale equivoco del Pratili.21
I 25 mila ducati furono versati tutti dall’Università di Matera, come si evince da
un privilegio emesso dalla Cancelleria Regia, a Barcellona, in data 31 luglio
1519.22
19 Nel dicembre del 1810 il conte Charles de Montigny, generale francese mandato in Basilicata dal Re di Napoli G. Murat, per reprimere il brigantaggio, scelse Matera come sede del comando e sulla collina, insediò il suo quartier generale. La collina è ricca d’acqua che in un sistema di canali viene convogliata nel palombaro posto sotto la chiesa del Purgatorio vecchio 20 Eustachio Verricelli: Cronica de la città di Matera nel regno di Napoli, Editrice BMG, Matera 1987, pag 3 21 G. Gattini: op cit. 22 Sta in Francesco. Paolo Volpe: Raccolta di diplomi autorevoli spettanti alla contea di Matera.
14
Quale fosse in quegli anni la residenza del castellano non si riscontra in nessun
documento, tuttavia la sua presenza in Matera è testimoniata da un atto
rogato dal notaio Spinelli, redatto nel castrum di Matera il 2 ottobre 1576.23
La costruzione del castello vide costretti al lavoro uomini e donne, trattati
come bestie solo per sei soldi giornalieri, e poiché al re non mancano mai
malvagi consiglieri, i suoi cortigiani e gli sgherri aggravavano la mano con ogni
sorta di oppressioni, il popolo taceva e fremeva meditando la vendetta.
23 Fonseca- Demetrio- Guadagno, Matera, Editori Laterza, Bari 1999
15
L’ ECCIDIO
Narra il cronista Passaro nel suo giornale citato dal Racioppi, che il 28 dicembre
1514, di giovedì, “lo detto conte fece un parlamento dei cittadini di Matera, con
dire che voleva ducati 24 mila, per causa che esso deve dare ad uno Catalano
nominato Paolo Tolosa; et l’idetti cittadini di questa notizia stavano mal
contenti, pur non potendone fare a meno dissero che volevano fare tutto quello
che era lo piacere di sua signoria”24
Il venerdì passò in un silenzio di tomba. Nobili e popolani durante la notte si
radunarono alla spicciolata, in un angolo buio nei pressi dell’antica chiesa
parrocchiale di San Giovanni Battista nel Sasso Barisano, sotto l’ombra di un
gran masso indigeno imminente a via dei Lombardi, che servì dopo come
fondamento alla casa Adorisio, che in dialetto materano fu detto:“u pizzon du
mmal consigghio” cioè il masso del mal consiglio, giurando di uccidere il
tiranno.
Chiesa di S. Giovanni Battista nel Sasso Barisano
u pizzon du mmal consigghio La casa di Adorisio prospiciente Via Lombardi
24 Racioppi: Storia dei popoli della Basilicata, Edizione Loescher, Roma 1889, pag.180 - volume 2
16
“Vigeva l’abitudine di annotare sulle pareti o sulle colonne delle chiese gli
avvenimenti più rimarchevoli ( criminosi per lo più ), come per l’uccisione del
Conte Tramontano che fu inciso sia sulla base di una colonna in Santa Maria
Nova (n.d.a. oggi San Giovanni Battista, la scritta “DIE 29 DEC…INTERFECTUS
EST COMES M., si trova sulla base della colonnina a sinistra della statua di San
Luigi), sia sull’affresco della Cattedrale recentemente rinvenuto”25. ( n.d.a. non
è stato possibile fotografare l’affresco perché la Cattedrale è chiusa per
restauro)
Iscrizione della data della congiura posta sulla colonna della chiesa di San Giovanni Battista
25 E. Verricelli, op. cit.
17
Sulla data della morte del Conte Tramontano vi è una differenza tra il Copeti e
il Gattini e il Volpe e il Morelli; i primi dicono che è avvenuta il 29 dicembre
1514, gli altri il 30 dicembre 1515. Nella nota n.53 di pagina 97, del testo di
Eustachio Verricelli: Cronica della città di Matera nel Regno di Napoli, si legge
che l’autore fissa l’omicidio del Conte Tramontano al 1515 al dì di San
Silvestro.
Allora l’anno solare incominciava dopo Natale, con il calendario attuale, la
morte sarebbe avvenuta il 31 dicembre 1514.
La mattina del 30 o del 29 ( a seconda degli autori), impettito e sicuro di sé, il
Conte si recò a Messa, in Cattedrale, seguito dai suoi soldati che lasciarono le
alabarde appoggiate agli stipiti della Porta Maggiore. I congiurati le afferrarono
e attaccarono il drappello.
Cattedrale di Matera
18
Ancora una volta egli dimostrò il suo valore, sfodera lo spadone e da valente
spadaccino qual era, para i colpi e arretra. Rientra illeso nella Chiesa e esce
dalla piccola porta, chiamata dello “strettile”26 che porta al Real Conservatorio
di San Giuseppe.
Via Riscatto
Fuggendo di là aveva intenzione di raggiungere il palazzo del suo intimo amico,
Alfonso Ferraù 27, oggi del signor Cipolla, posto di prospetto alla porta
d’ingresso del detto Real Conservatorio, e quindi mettersi in salvo.
Ma la sua sorte era stata già determinata, il palazzo si trovò chiuso e i
cospiratori ebbero la possibilità di consumare il delitto.
Palazzo Ferraù
26 Arcangelo Copeti, Notizie della città e dei cittadini di Matera, Editrice BMG, matera, 1982 27 Francesco Paolo Volpe: Op.Cit. pag 167
19
I congiurati erano capeggiati, secondo il Passaro, da un certo schiavone28.
Nel documento consultato è scritto con l’iniziale minuscola per cui trattasi non
del cognome del feritore, bensì della condizione sociale, essendo stato
tramandato l’avvenuto insediamento degli schiavoni nella città di Matera
intorno al 15° secolo. Provenienti dall’Adriatico essi erano adoperati come
conciatori di pelli e agricoltori, erano serbo-croati.
Non si conoscono i nomi di tutti i congiurati, ma sembra, sempre secondo il
Passaro, che, tra loro ci fossero Tassello di Cataldo e Cola di Selvaggio, nobili e
altri del popolo.
Si racconta che fu denudato e colpito ripetutamente con le pesanti alabarde
sottratte ai suoi uomini prima di essere abbandonato a brandelli in una pozza
di sangue.
Secondo il Racioppi dopo il saccheggio del suo palazzo, gli fu data tarda
sepoltura, secondo il Volpe il cadavere fu ridotto in piccoli pezzi e dispersi,
questo spiegherebbe perché il suo cadavere non è stato mai ritrovato.
Le campane suonate a martello annunciarono la morte del tiranno e il popolo
ormai in tumulto, invase le strade correndo e gridando.
Ci furono tentativi di incendio ai documenti della Pubblica Magistratura e dopo
una violenta irruzione nel suo palazzo, fu arrestata sua moglie e saccheggiata
ogni cosa.
Gentiluomini e popolani corsero ai ripari e misero in salvo la Contessa che tre
anni dopo, il 10 dicembre 1517, sarà tra le dame titolate che ricevettero in
Napoli, Bona Sforza, regina di Polonia..
La strada palcoscenico dell’eccidio fu l’odierna “ Via Riscatto”.
28 Giuseppe Matarazzo, Una città nei secoli, Ed.Tecnostampa, Matera 1996
20
21
MATERA LIBERA
Sulla cima del Lapillo in costruzione v’era un castello lì non v’era un menestrello v’era un regno che finiva un governo poco bello e Matera che moriva. Triste era la vita nella città dei Sassi buia e nata sotto i massi per voler del Tramontano chi li pagava a sei soldi al giorno. Ma i ribelli con prode ardita dietro la chiesa gli tolsero la vita e le anime non più codarde catturarono le guardie. Davanti alla porta chiusa il conte tremava e la gente fremeva ma mentre un rifugio cercava il sangue suo perdeva mentre il corpo in pezzi andava. I popolani gridavan in festa più facile divenì la vita ma l’episodio nel cuor ci resta è il maniero che ce lo ricorda. La città si riprendeva dopo la fine funesta cantando a voce alta Matera è liberata gli alunni della II H La ballata sarà musicata con l’aiuto della Professoressa Agnese Manicone
22
IL PROFILO PSICOLOGICO DEL CONTE
IL Conte Tramontano, dal punto di vista psicologico può essere considerato
uomo degno di non comune attenzione in quanto presenta una diversità tale
che sembra il rovescio di ogni contraddizione.
Seconda le circostanze si mostra ardito e astuto, ma allo stesso tempo“ doppio
e leggero” e se per alcuni versi è prodigo e generoso, per altri si dimostra
avido e crudele.
Di certo va ammirato che, nato umile e povero, seppe diventare ricco ed
onorato attraverso una carriera che gli permise di far parte dei gran signori
della Corte di Napoli e tra i feudatari più potenti, grazie al possesso della
Contea di Matera.
Uomo dalle mille facce lo vediamo tra gli eletti del popolo al governo della città
di Napoli, al tempo dei francesi, si mantenne fedele agli aragonesi fin quando
credette di poterne ricavare qualcosa. Lo ritroviamo nell’esercito spagnolo nelle
Puglie, cadde prigioniero dei francesi in un agguato presso Taranto, ma pagato
il riscatto eccolo tra i vincitori nella battaglia di Cerignola, al soldo del Gran
Capitano che lo considerava “ svelto e valoroso”.
Come il nostro Conte riuscì ad avere il titolo di conte, come abbiamo
esaminato, ci sono diverse opinioni, tutte convengono nel dimostrare l’astuzia
e la scaltrezza.
Intelligente, audace e senza scrupoli; quando il Re tergiversava a causa della
promessa fatta ai Materani di mantenerli nella demanialità, e aveva
subordinato la concessione al loro consenso, che naturalmente gli negarono, il
furfante non si perse d’animo e con audace accortezza convinse nobili e
popolani promettendo esenzioni da tasse e da tributi nonché onori e doni.
23
Riuscì a spuntarla e indusse i cittadini a sottoscrivere un atto di accettazione
dalla servitù feudale, atto che presentò al Re e lo costrinse all’investitura della
contea.
Spendereccio e fastoso, di quali spese fosse capace, e di quanto lusso
superasse i patrizi napoletani, se ne ha riscontro all’arrivo dei nuovi sovrani di
Napoli: feste, luminarie, spari di bombarde, il nostro Conte fece costruire un
Arco di Trionfo in piazza che gli costò più di 400 ducati e spargeva moneta
come un Re. Fece inoltre regalare da sua moglie, Elisabetta Restigliano, una
collana di 25 perle dal valore di 30 ducati l’una, alla regina.
Questa larghezza di vivere, come osserva il Racioppi, lo portò ad indebitarsi
per cui quando arrivò a Matera caricò i cittadini di molte tasse. Accortosi del
malvolere del popolo, decise di costruirsi una specie di fortezza sopra la collina
del Lapillo, dominante la città, un castello che doveva essere l’espressione
della sua grandezza e per questo doveva superare per superba e grandezza il
Maschio Angioino di Napoli, detto “ Castel Novo”, doveva avere un torrione al
centro, due laterali e molte altre torri intorno.
Le spese si sarebbero aggirate intorno ai 25 mila ducati e pagava la giornata
lavorativa appena 6 soldi. Poiché al suo sguardo linceo nulla sfuggiva, alienò il
popolo con molta crudeltà, con tasse straordinarie e abbassò l’orgoglio
dell’aristocrazia.
Per questo, stanchi e vessati, i materani decisero di ucciderlo.
24
Ritratto del Conte come l’ha immaginato la classe con l’aiuto della prof.ssa Graziana Ciarloni
25
L’INDULTO
L’assassinio del Conte Tramontano, in un primo momento, passò per un
misfatto atroce perché al suono delle campane a martello il popolo si era levato
a tumulto, inalberato la bandiera del Re e corso ad aprire le carceri, aveva
bruciato gli atti della Pubblica Magistratura e fatto irruzione e saccheggiato il
palazzo del Conte e ne aveva arrestato la moglie.
Vennero nominati dei pubblici ufficiali per scoprire e giudicare i colpevoli, ma
non furono individuati né gli assassini né i loro mandanti.
L’assassinio del Conte Tramontano vide la città schierata su un fronte di
solidarietà: gli esecutori materiali del delitto furono occultati, così, il fatto di
sangue non apparve più un episodico incidente di delinquenza privata, ma
acquistò un preciso significato di rivolta popolare tanto più che gentiluomini e
popolani corsero ai ripari mettendo in salvo la contessa.
Intanto sulla città di Matera si abbattè la vendetta del Re, che inviò come regio
commissario Giovanni Villano con una buona scorta di soldati. Quattro,
probabilmente innocenti, furono impiccati.
Alcuni privati comprarono la libertà versando 2 mila ducati. L’università fu
accusata di aver favorito la sommossa e di non aver punito subito i colpevoli,
c’era il sospetto che “ dictum homicidium fuisse commissus de voluntate,
consensu, et ordinazione eiusdem universitatis”, si legge nel testo dell’indulto,
emesso a Napoli dalla cancelleria del re Ferdinando d’Aragona alla città, datato
28 maggio 1515, a conclusione del processo intentato subito dopo. (doc. n. 2, 2a)
Prevalse però il buon senso, si capì che era inumano condannare la folla
innocente, il procedimento giudiziario implicò, perciò, una transazione tra la
Regia Curia e l’Università.
26
Con il capitano marittimo Conte di Capaccio, che sostituiva il vicerè Raimondo
di Cardona, (quello che aveva fatto costruire a Matera la fabbrica delle
Beccherie, fuora della Città, la quale ampliata dipoi, se la chiuse, come oggi si
vede, in mezzo),29 occupato nella guerra di Lombardia, si venne” a transazione
con la Regia Corte” con il versamento all’erario di una ammenda di 10 mila
ducati compresi i 2 mila già pagati dai privati.
Con la vendita dei beni pubblici, delle gabelle e dei dazi della città,
specialmente di quelli del forno, in tre settimane fu raccolta e pagata la
somma.
Il Vicerè, inteso il Consiglio Collaterale, ammette la città a transazione, e
poiché esso dice ”solia per clemenciam roborantur”, intasca per clemenza i
quattrini, cassa ogni accusa contro l’Università e i suoi cittadini.30
Così ebbe fine quella terribile tragedia.
29 F.P. Volpe, op. cit. 30 Giacomo Racioppi: Op. cit.
27
I FALSI NELLA STORIA DEL CONTE DI MATERA
Vessò certamente i cittadini materani, nobili e popolani con molte tasse, ma
non si arrogò il diritto “ primae noctis”, perché sebbene portò nella città una
nuova infeudualità, ormai si era alle porte del Rinascimento e le nuove idee già
cominciavano a circolare.
Lo storico Racioppi riferisce su certe corrispondenze amorose di giovani
aristocratici materani con le figlie del Conte, il quale venutone a conoscenza,
avrebbe indetto una caccia nel bosco di Girifalco per disfarsene a tradimento;
le ragazze ne avrebbero avvertito i giovani e il disegno sarebbe andato a
vuoto.
Dai documenti pubblicati dal Faraglia nell’Archivio storico delle Provincie
napoletane ( anno 1880, pag. 80 ), si rileva che il Conte non aveva figlie e “fo
morto senza figlioli intestato, superstite ab ipso conte missere Silvestro, frate
del prate et matre,…”
Morelli fa coincidere l’abitazione del Conte a Matera con il palazzo Ferraù, dove
lui cercò scampo quando lo ammazzarono, che era invece di un suo amico.
Circa la leggenda popolare che racconta di un passaggio segreto presente sotto
il Castello e che portava direttamente dentro la cattedrale, o di altri che
portavano dentro il Convento dell’Annunziata, durante i recenti lavori di
restauro del Castello e del boschetto antistante, è stato trovato un cunicolo,
che è stato restaurato, che è percorribile, ma serviva come percorso di raccolta
acque, convogliate verso il Palombaro grande, sito in Piazza Vittorio Veneto.31
31 Fonte: Ufficio del territorio del Comune di Matera
28
IL CASTELLO
Segno materiale e memoria storica della presenza del Tramontano a Matera è
il castello esterno alla pianta cinquecentesca, sorto “ a brevissima distanza e
quasi a cavaliere della città di Matera”, avrebbe scritto il medico e archeologo
materano Domenico Ridola, senatore del Regno d’Italia ( la lettera è datata 28
marzo 1927 ), al Ministro dell’Educazione nazionale. E “sebbene non
intieramente completato si presenta come una salda e severa (eccellente)
costruzione tecnica.[…] Vi si ammira un colossale maschio a quattro piani, torri
laterali, un ingresso a ponte levatoio, corridoio, fossato, e muro che lo
circondano”. (doc. n. 3, 3a, 3b)
Il Verricelli così annotava “ La città è tutta ad murata con alcune altissime torri,
quali all’antica quale a tempo che si combatteva con balestri hera espugnabile
cossì come oggi sarebbe a guerre senza artiglieria et a tempo che la maestà di
Re Ferante donò questa Città a Carlo Tramontano di Santo Nastasio casal di
Napoli con farlo Conte; il detto Conte si sforzò ad murarla tutta con lli borghi et
parte di colline dentro et già cominciò a fare il Castello ad modo del Castel
Novo di Napoli, anzi più superbo et ei fè edificare solo una faciata con uno
torrione grande in mezzo e uno per ciascun lato più piccolo, a tempo che si
pagava la giornata de l’homi sey grana et altre tanto del cavallo et si despese
con danno del populo docati vinti cinque milia como oggi si puo videre nelle
scadde di Notar Roberto Agato il quale tenne conto di detta fabbrica”.32
Castello Tramontano situato sulla collina del Lapillo (de Montigny)
32 Verricelli, op. cit.
29
Si può stimare che per la costruzione del castello occorsero complessivamente,
tra uomini e animali, tra maestranze impiegate nella preparazione e trasporto
dei materiale e maestranze impiegate nella costruzione vera e propria, circa
300.000 giornate lavorative, come dire a titolo esemplificativo che 300 uomini
e 100 cavalli vi lavorarono per tre anni di seguito.33
Il maniero riflette i parametri costruttivi dell’ingegneria militare dell’epoca, in
particolare attraverso gli scritti e i progetti del senese Francesco di Giorgio
Martini: una torre circolare, muri di controscarpa e due torri minori ai lati,
costruiti con il tufo delle cave materane, fossato e ponte levatoio.
Nel manoscritto di D.N. Nelli, Cronache di Matera 1751, si afferma che il
castello era stato iniziato da Giancarlo Orsini Del Balzo e continuato dal
Tramontano,”perché voleva che detta città fosse stata dominata da detto
castello, che poi meditava far edificare le mura da tutte le parti, e mettersi
dentro detto castello, ma non li bastò il tempo, mentre poi lui fu ucciso in
Matera nel principio dell’anno 1515…”
Il castello e la cinta muraria sarebbero stati costruiti interamente a spesa
dell’Università di Matera, come si evince da un privilegio emesso dalla
Cancelleria Regia, a Barcellona, in data 31 luglio 1519.
La costruzione del castello non fu portata a termine per la morte di chi ne era
stato committente, per cui fu abbandonato e restò incustodito.
Rimosso dalla coscienza collettiva cittadina, in quel clima di abolitio memoriae
che seguì l’assassinio del Tramontano, l’Università di Matera chiese al re
Ferdinando il Cattolico di
33 AA.VV. Il Castello di Matera, op. cit
30
“concedere, et permettere, ut ipsa, eiusque homines possint dictum castrum
demolire, et destriere, et de lapidibus eius reparare moenia civitatis predicte
Mathere, cuius expensis fabbrica ipsa constructa fuit.”34
La richiesta ottenne il placet sovrano, condizionato però all’approvazione del
Vicerè, che in quegli anni era Raimondo di Cardona, che aveva ricevuto aiuti
finanziari dal Tramontano durante le sue imprese belliche, l’autorizzazione
auspicata non fu evidentemente concessa.
34 Privilegio concesso alla Città di Matera dal re Ferdinando il Cattolico, emesso a Barcellona il 31 luglio 1519
31
DOC n. 1
CARATTERISTICHE DELLA MONETA
- Valore: un coronato - Anno di emissione: 1494 - Prodotte dalla Zecca dal 1488 al 1494 - Metallo: Argento - Diametro: 26 mm - Altezza: 5 mm - Peso: 3,63 grammi
FACCIA ANTERIORE
Busto coronato di Ferdinando I d’Aragona. La scritta compresa fra i due anelli concentrici recita: + FERANDVS :D:G:R: SICILIE ossia “FERANDVS Deo Gratia Rex SICILIE” La lettera T a sinistra del busto è l’iniziale del nome del Mastro della Zecca, Gian Carlo Tramontano.
RETRO
San Michele Arcangelo, in piedi, che regge nella mano sinistra uno scudo e nella destra una lancia cruciforme che trapassa la gola di un dragone. La scritta compresa fra i due anelli concentrici recita: IVSTA° T - VENDA In italiano si può rendere con: “Le cose giuste noi proteggiamo”.
32
IMMAGINI DI ALTRE MONETE
CONIATE DAL CONTE
Ducato d'oro (3,50 gr.) Alfonso II d’Aragona (1495-1496)
Carlino d'argento (gr. 3,93) Federico III d’Aragona (1496-1501)
Ducato d'oro (3,48 gr.) Federico III d’Aragona (1496-1501)
Ducato d'oro (3.48 gr.) Ferdinando di Aragona "il Cattolico" ed Elisabetta di Castiglia (1503-1504)
33
DOC n. 2
Indulto concesso alla città di Matera nel 1515
(trovasi presso l’Archivio Comunale di Matera, pergamena in buono stato di conservazione, cm 59 x 71)
34
DOC n. 2a
35
36
37
38
Dal testo A.A.V.V. Il castello di Matera (a cura di Franco Di Pede) pag.64-70
39
DOC n. 3
Pianta del torrione centrale del castello
40
DOC. n. 3a
41
DOC n. 3b
42
BIBLIOGRAFIA
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ASCARI C.- CARDARELLI O. La dominazione spagnola nell’ Italia
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VOLPE F.P. Memorie storiche, profane e religiose sulla Citta di Matera,
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D ume
Il Castello, lavoro degli alunni della II D/E della
cuola Media Pascoli, Matera 1981/82
ttp://www.sassiweb.it
personale della Biblioteca Provinciale di Matera
a Direttrice e il personale dell’Archivio di Stato di Matera
oc nti: Indulto, Napoli 28 maggio 1515
Privilegio, Barcellona 31 luglio 1519
S
Siti web consultati
h
http://www.lamonetapedia.it
Si ringraziano per l’aiuto e la disponibilità
Il
L
44
Alunni che hanno partecipato alla ricerca:
Ambrosecchia Angela, Amenta Michele, Andrisani Caterina, Cocca Oriana,
D’Aspro Marika, Giordano Federica, Grieco Daniela, Lo Izzo Daniele, Longo
Roberta, Marcosano Marilena, Monaco Leonardo, Montemurro Alessandro,
Montemurro Antonella, Pelaggi Maria Letizia, Ricciardi Eustachio, Ruggieri
rica, Santeramo Andrea, Scazzariello Mariano, Schiuma Giovanni, Staffieri
ichele, Viggiano Margherita, Ye Jing Jing.
ghe Ciarloni e Manicone e del capo
’istituto Leonardo Iannuzzi per la comprensione verso le nostre innumerevoli
scite e per aver creduto nel nostro lavoro.
E
M
Nota della docente Isa Lacasa:
Il lavoro nella sua stesura informatica è stato realizzato dall’alunno Mariano
Scazzariello, a cui il plauso per la bravura nell’uso del computer.
Si ringrazia inoltre la disponibilità delle colle
d
u
45
INDICE
• QUADRO STORICO DI RIFERIMENTO pag. 2
• BIOGRAFIA del CONTE pag. 4
• L’ ECCIDIO pag. 13
• IL PROFILO PSICOLOGICO DEL CONTE pag. 19
• L’INDULTO pag. 22
IA DEL pag. 24
CONTE DI MATERA
• IL CASTELLO pag. 25
• DOCUMENTI pag. 27
• BIBLIOGRAFIA pag. 39
• I FALSI NELLA STOR
46