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CAREcosti dell’assistenza e risorse economiche
n IncontriA colloquio conCARLO BRUNOGIORDA 4
n Dalla letteratura internazionale 6
n DossierL’ALGORITMO PER LA GESTIONE DEL RISCHIOCARDIOVASCOLAREMETABOLICO 16
n Parola chiaveHANDOVER 24
n L’angolo della SIF 33
n L’angolo della SITeCS 35
n Confronti 37
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ISS
N 1
128 5
524
Ètempo di riconsiderazione della spesa sanitaria. È comprensibile
che la spending review crei allarme; d'altra parte desta sorpresa
che la valutazione di appropriatezza finisca con l’essere conside-
rata un evento eccezionale al quale ricorrere per fronteggiare la crisi.
Cosa manca per dare continuità a una maggiore ‘prudenza’ nella spesa
sanitaria?
In primo luogo è utile richiamare la recente affermazione della Corte dei Conti
(Rapporto sul Coordinamento della Finanza Pubblica, 2012): “È indubitabile che
quella sperimentata in questi anni dal settore sanitario rappresenti l’esperienza
più avanzata e più completa di quello che dovrebbe essere un processo di revisio-
ne della spesa (spending review)”. Il settore sanitario ha già fatto molto nella dire-
zione della revisione della spesa, sicuramente più di qualunque altro settore della
Pubblica Amministrazione in termini sia di disciplina di bilancio sia di monitorag-
gio delle attività. E ciò è avvenuto prima dell’eccezionale emergenza imposta dal-
l’attuale crisi economica. Molto resta tuttavia ancora da fare. Per questo la sanità
non può sottrarsi al dovere di recuperare ogni possibile risorsa, utile per migliora-
re il funzionamento del servizio e l’assistenza alle persone. Il rischio è invece che,
di fronte alle pressanti esigenze di finanza pubblica, si proceda drasticamente a
una riduzione lineare della spesa, interrompendo un percorso che in molte Regio-
ni aveva fatto leva sulla qualità e sull’appropriatezza delle cure. segue a pag 2
Anno 14 Luglio-agosto 2012
Care nasce per offrire a medici, ammi-nistratori e operatori sanitari un’oppor-tunità in più di riflessione sulle prospet-tive dell’assistenza al cittadino, nel ten-tativo di coniugare – entro severi limitieconomici ed etici – autonomia decisio-nale di chi opera in Sanità, responsabi-lità collettiva e dignità della persona.
www.careonline.it
RIGORE NELL’IMPIEGO DELLE RISORSE ESALVAGUARDIA DEL SISTEMA DI TUTELADELLA SALUTE
A colloquio con Nerina DirindinUniversità di Torino e Coripe PiemonteMembro della Commissione Prezzi e Rimborso dell’AIFA
Nerina Dirindin è Professore associatopresso la Facoltà di Economiadell’Università degli Studi di Torino,dove insegna Scienza delle Finanze e Economia sanitaria. È presidentedel Coripe Piemonte, Consorzio per la ricerca e la formazionepermanente in Economia, che da ottoanni realizza il Master in Economia e Politica Sanitaria. È stata DirettoreGenerale della Programmazione del Ministero della Salute. Dal 2004al 2009 ha ricoperto l’incarico di Assessore dell’Igiene, della Sanitàe dell’Assistenza Sociale della Regione Sardegna. È membrodel Comitato Prezzi e Rimborsidell’Aifa.
Incontri
2CARE 4, 2012
fronti. Da un lato dismettere (secondo la logica
del disinvestment) quanto non produce salute
e dall’altro promuovere comportamenti sobri e
consapevoli da parte di operatori, cittadini e
industria. È inoltre indispensabile avviare un
piano straordinario di investimenti, ma questo
riguarda la spesa in conto capitale di cui ora
non si parla.
Anche i dati OSMED 2011 confermano che
l’assistenza a chi soffre di malattie cardio-
vascolari e metaboliche è l’impegno mag-
giore per il SSN. È questa un’area in cui
servirebbe un approccio integrato tra me-
dicina specialistica, medicina generale e
nursing, anche domiciliare: ‘ai tempi della
crisi’ può esserci spazio per darsi obiettivi
di ampio respiro o si deve necessariamen-
te guardare a un domani ravvicinato?
La crisi può essere un’opportunità se è l’occa-
sione per interventi di ampio respiro e lungimi-
ranti, che non si limitano a tamponare la falla,
ma tentano di risolvere i problemi all’origine.
Per questo sarebbe necessario un ampio dibat-
tito su come rendere compatibili la salvaguar-
dia del sistema di tutela della salute (universa-
le, globale, solidale e integrato) con il rigore
nell’impiego delle risorse scarse.
Ancora sui ‘problemi del cuore’. In que-
sto, come in altri ambiti, è ormai eviden-
te come la qualità di vita delle persone
ammalate possa giovarsi più di interven-
ti a carattere sociale che di prestazioni
sanitarie. Non sarebbe il caso di pensare
Eppure molto potrebbe essere ancora fatto
rafforzando tale percorso, valorizzando la pro-
fessionalità degli operatori e liberandosi della
logica passiva del mero contenimento dei costi.
L’imperativo dovrebbe essere spendere meglio
e non semplicemente spendere meno. Può
sembrare paradossale, ma spendere meglio,
ovvero garantire tutto e solo ciò che effettiva-
mente serve alle persone, porta anche a spen-
dere meno. A tal fine è fondamentale evitare di
concentrarsi solo sui risparmi possibili attra-
verso l’abbattimento dei costi di acquisto di
beni e servizi: il problema è comperare solo ciò
che serve (ovvero ciò che è di efficacia dimo-
strata, è utilizzato in modo appropriato e ha il
miglior rapporto costo/efficacia); guardare solo
al prezzo di acquisto può indurre ad acquistare
a buon prezzo ciò che in realtà non serve.
L’obiettivo di maggiore appropriatezza
può essere raggiunto solo con una revi-
sione delle spese non essenziali o anche
con maggiori investimenti, per esempio
in formazione efficace del personale sa-
nitario e informazione indipendente ai
cittadini?
La revisione della spesa dovrebbe necessaria-
mente comportare (anche) una riallocazione
delle risorse. La richiesta di contribuire al risa-
namento del bilancio pubblico è comprensibile
in un momento del tutto eccezionale, ma la re-
visione della spesa sanitaria non può essere
fatta senza prevedere il potenziamento di alcu-
ni interventi in grado di accompagnare il cam-
biamento culturale necessario per il buon esi-
to del percorso. È necessario agire su due
CARECosti dell’assistenza e risorse economiche
Direttore ResponsabileGiovanni Luca De Fiore
RedazioneAntonio Federici (editor in chief),Cesare Albanese, Giancarlo Bausano,Mara Losi, Maurizio Marceca, Fabio Palazzo
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CARE 4, 2012
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Incontri
tovalutare infine il ruolo che le politiche sociali
possono svolgere in termini di creazione di po-
sti di lavoro, attualmente fortemente penaliz-
zata dalle restrizioni sui servizi sociali (enti,
cooperative, associazioni, etc.) e in parte anche
in sanità.
Qualsiasi analisi di tipo ‘geografico’ –
come anche, purtroppo, la lettura dei
quotidiani – mette di fronte ad una
‘emergenza legalità’ in ambito sanitario.
Quali sono i motivi di questo nodo tra sa-
lute e criminalità? Da dove ripartire?
Che valore può avere il sottolineare le
micro-innovazioni portate avanti nel
quotidiano?
L’integrità del sistema richiede una costante at-
tenzione nei confronti del rischio di contamina-
zioni da fenomeni di abuso di potere, corruzio-
ne e criminalità, non tollerabili all’interno di
un settore che deve farsi carico di chi sta speri-
mentando momenti di malattia e disagio. Più
attenzione alla legalità, alla trasparenza, al ri-
gore è indispensabile in un sistema sempre più
esposto a condizionamenti, a livello sia locale
sia nazionale.
Un surplus di impegno è necessario in ambiti
quali l’acquisto di beni e servizi, la gestione
dell’accreditamento, le politiche del personale
e l’utilizzo del territorio, affinché il prevalere di
ambizioni individuali e private non conduca a
scelte a danno della collettività.
Particolare impegno va inoltre riservato al ri-
schio di una crescente presenza all’interno del
settore sanitario della criminalità organizzata,
infiltrata attraverso il sistema degli appalti,
nell’edilizia sanitaria così come nella fornitura
di servizi (pulizia, ristorazione, smaltimento ri-
fiuti, etc.). La politica delle esternalizzazioni,
spesso necessaria e per lo più illusoria (quanto
a contenimento della spesa), ha di fatto pro-
dotto risultati molto modesti in termini di effi-
cienza (anche in ragione della scarsa capacità
delle Aziende sanitarie di sottoscrivere adegua-
ti contratti di fornitura), ma ha purtroppo espo-
sto il settore alla penetrazione di organizzazio-
ni a rischio di comportamenti illeciti (dal ri-
spetto dei contratti di lavoro, alla corruzione e
al riciclaggio). n ML
con maggiore determinazione a strategie
multidisciplinari rilanciando un welfare
che abbia la persona al centro in un’otti-
ca di pluralità (oltre che di universalità)
delle cure?
L’attuale sistema sanitario deve necessaria-
mente attivarsi per avviare una forte alleanza
con il sistema socio-assistenziale. Sempre più
frequentemente, infatti, le inadeguatezze del
sistema sanitario sono frutto della sua incapa-
cità di integrarsi sul territorio con quel sistema
di servizi sociali che può non solo contribuire a
migliorare il benessere delle persone, ma so-
prattutto valorizzare gli interventi sanitari mol-
tiplicandone le ricadute positive sugli assistiti.
Fortunatamente, il settore sanitario sta sempre
più, e non senza qualche resistenza, assumendo
consapevolezza della necessità di garantire non
solo buoni interventi sanitari, ma anche una
forte integrazione con i servizi sociali, con il
terzo settore, le comunità locali. L’alleanza fra
sociale e sanità è infatti vantaggiosa per tutti:
consente di moltiplicare gli effetti della spesa
pubblica per il welfare, offre al sociale un al-
leato con grande peso sui decisori, offre alla
sanità la possibilità di allentare le pressioni
sulle sue strutture (spostando parte degli inter-
venti sul sociosanitario). L’esperienza di alcune
Regioni sulla non autosufficienza va in questa
direzione: il potenziamento dell’offerta a favo-
re degli anziani ha coinciso non solo con il mi-
glioramento della qualità delle risposte assi-
stenziali, ma anche con il contenimento di
quella parte della spesa sanitaria con funzioni
di supplenza della spesa sociale. Non è da sot-
CARE 4, 2012
4
Incontri
Carlo Bruno Giorda è Responsabiledella SSVD Malattie Metaboliche e Diabetologia della ASL TO5 (Torino)e dal 2011 è Presidentedell’Associazione Medici DiabetologiAMD.
È stato di recente presentato un sem-
plice ma innovativo algoritmo dia-
gnostico terapeutico che disegna il
percorso assistenziale che medici, e pa-
zienti, devono seguire per prevenire e ge-
stire il rischio cardiovascolare. Quale la
filosofia di fondo che ha ispirato la pro-
duzione di tale algoritmo?
L’algoritmo nasce all’insegna dello slogan ‘Tutti
per uno’: ovvero tutti gli specialisti al servizio
di un unico obiettivo, il paziente. La filosofia
ispiratrice è, senza dubbio, l'unitarietà della
prevenzione cardiovascolare. Negli anni la me-
dicina si è evoluta attraverso varie specializza-
zioni o addirittura iperspecializzazioni. Questo
ha fatto sì che ogni specialista abbia sempre
più spesso solo una visione parziale del pazien-
te, perdendo completamente di vista la visione
d’insieme. Eppure, spesso, trattandosi di pa-
zienti complessi ci sono molti punti in comune
tra una specializzazione e l’altra. Proprio a par-
tire da questa presa di coscienza, si è pensato
di realizzare un percorso diagnostico-terapeuti-
co assistenziale unico; un filo rosso che, passo
dopo passo, schematizza le azioni diagnostiche
e terapeutiche da mettere in atto a partire dal
primo approccio al paziente.
Chi ha concretamente collaborato per la
sua realizzazione?
Si è creato un gruppo di lavoro multidisciplina-
re, costituito da medici di medicina generale,
cardiologi, diabetologi, internisti, nefrologi,
farmacologi, farmacisti territoriali e rappresen-
tanti delle associazioni di pazienti.
Siamo partiti dall’analisi delle criticità della ge-
stione clinica della persona a rischio cardiova-
scolare metabolico: criticità ed esigenze sia de-
gli operatori sanitari che del paziente. Con un
occhio sempre attento ai cordoni della borsa
perché sapevamo di non poter prescindere dal-
la gestione dei costi.
Alla fine ci siamo riusciti e oggi l’algoritmo è un
percorso disegnato, corretto, accettato e con-
diviso da molte società scientifiche. Tanto che
ha ricevuto il patrocinio dell’Associazione Ita-
liana per la Difesa degli Interessi dei Diabetici
(AID), della Società Italiana di Diabetologia
(SID), dell’Associazione Medici Diabetologi
(AMD), della Federazione Italiana di Cardiologia
(FIC), della Società Italiana per la Prevenzione
del Rischio Cardiovascolare (SIPREC), della So-
cietà Italiana per lo Studio dell’Ateroscolerosi
(SISA), della Società Italiana di Nefro-Cardiolo-
gia (SINCAR), della Società Italiana di Medicina
Generale (SIMG), della Società Italiana di Medi-
cina Interna (SIMI), della Società Italiana di Ne-
frologia (SIN), dell’Associazione Italiana di Car-
diologia Riabilitativa (GICR-IACPR) e della So-
cietà Italiana di Farmacologia (SIF).
Come è strutturato l’algoritmo e come
può supportare il medico di medicina ge-
nerale e lo specialista nel percorso di
cura?
L'algoritmo è organizzato in tre livelli di azione:
il soggetto sano, il soggetto con almeno un fat-
tore di rischio cardiovascolare, il soggetto con
diabete mellito.
Così come è strutturato, è uno strumento im-
portante di supporto sia per il medico di medi-
STRUMENTI INNOVATIVIPER L’APPROPRIATEZZAE LA SOSTENIBILITÀ DELLE CURE
A colloquio con Carlo Bruno GiordaResponsabile SSVD Malattie Metaboliche e Diabetologia, ASL TO5, Torino
Il dossier a pagina 16 di questo numero approfondisce l’importanza dell’utilizzodell’algoritmo per la gestione del rischio cardiometabolico attraverso la voce di espertidi varie discipline.
ALGORITMOs
cina generale, che si ponga correttamente in
un'ottica di medicina di intervento e di preven-
zione nei confronti del paziente (anche quello
sano!), sia per lo specialista, che potrà utilizzar-
lo per essere guidato nelle scelte diagnostiche
e terapeutiche relative a pazienti affetti da spe-
cifiche patologie cardiovascolari-metaboliche.
Ritiene che la disponibilità di una ‘App’
scaricabile sia importante per una mag-
giore diffusione dello strumento?
L’‘App’ non è altro che la versione interattiva
dell’algoritmo e consente al medico di gestire il
paziente con problematiche cardiometaboliche
fin dalla prima visita, seguendo tutti gli step in-
dicati all’interno del percorso e dando la possi-
bilità di inserire i dati reali del paziente, quali
anagrafica, anamnesi, valori degli esami effet-
tuati, terapia scelta e target di LDL desiderati.
La disponibilità dell’App è di sicuro un valore
aggiunto, soprattutto tenuto conto che sempre
di più i medici ricorrono a modalità di forma-
zione e comunicazione innovative e che utiliz-
zano i più moderni supporti tecnologici. Pensi
che su 1207 medici, secondo una recente ricer-
ca condotta in Europa da Manhattan Research,
si è registrato un aumento importante di medi-
ci che navigano in internet per scopi professio-
nali (formazione, informazione, corsi FAD, con-
sultazione di riviste e portali scientifici, etc), o
che utilizzano il web durante le loro visite con
i pazienti. Nel contempo, tra i professionisti
sanitari sono aumentati sensibilmente anche
gli utilizzatori di device tecnologici come
smartphone e tablet, soprattutto se si confron-
tano i dati del 2010 con quelli dell’anno appe-
na passato.
Per chiudere, si tratta di un progetto
complesso reso possibile grazie a una
partnership con l'industria (nel caso
specifico la MSD). Un valido esempio di
come le partnership pubblico-privato
siano una chiave importante per la sa-
nità del futuro?
Assolutamente sì. Questa partnership trasmette
un messaggio estremamente positivo: si può la-
vorare insieme per produrre valore che è, nel
caso specifico, salute per il paziente, grazie alla
disponibilità di uno strumento che massimizza
l’appropriatezza terapeutica, e che è efficienza
per il sistema sanitario nel suo complesso, gra-
zie all’ottimizzazione nell’allocazione delle ri-
sorse che ne consegue. n ML
CARE 4, 2012
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Incontri
Cavalieri, fanti e pedoni.Misure di performance emotivazione dei professionisti
Cassel CK, Jain SH
Assessing individual physician performance.
Does measurement suppress motivation?
JAMA 2012; 307 (24): 2595-2596
Iprogrammi di Pay-for-Performance (P4P) dei
professionisti medici, quali il Physician Quality
Reporting System introdotto in USA da Medica-
re e Medicaid nel 2003 e il nuovo contratto per
i medici di medicina generale nel Regno Unito
introdotto nel 2004 attraverso il Quality and
Outcome Framework, evidenziano l’entusiasmo
per i policy maker di utilizzare incentivi finan-
ziari legati al raggiungimento di target specifici
come possibili leve per il miglioramento della
qualità dell’assistenza e per la riduzione dei co-
sti inappropriati in sanità.
Nell’editoriale di JAMA Christine K Cassel, del-
l’American Board of Internal Medicine, e Sachin
H. Jain, dell’Office of the National Coordinator
for Health Information Technology, si interro-
gano sull’effettiva potenzialità delle misure di
incentivazione nello stimolare e motivare cam-
biamenti nei comportamenti dei professionisti.
Se il sistema americano ha, infatti, bisogno di
medici leader del cambiamento, non si deve
sottovalutare l’impatto che hanno sulla loro
motivazione le valutazioni che quantificano e
premiano i loro comportamenti. Essere misura-
ti soffoca o stimola la motivazione?
Attraverso gli studi di Trisolini1 e Pink2, gli au-
tori ipotizzano alcune raccomandazioni per
l’impostazione di un sistema che motivi real-
mente il professionista. Motivazione e cambia-
mento non prescindono dalla misurazione e
condivisione delle performance: gli stessi medi-
ci e manager osservano che la condivisione e la
trasparenza dei dati stimola il miglioramento
anche senza nessun vincolo di incentivo finan-
ziario supplementare. Elementi, quindi, quali
padronanza, realizzazione e orgoglio professio-
nale agiscono nel contesto sanitario quali de-
terminanti della motivazione.
Un altro fattore importante è l’effettivo ’spazio‘
che viene lasciato al medico, o che il medico
ha, di agire direttamente ed efficacemente sulla
misura incentivata. Spesso infatti molti pro-
grammi di P4P non si basano su informazioni e
indicatori che possono essere influenzati diret-
tamente dal comportamento di un singolo me-
dico, e assegnano obiettivi annuali di cambia-
mento non considerando l’effettivo ciclo di as-
sistenza. Alcune misure, una fra tutte l’emoglo-
bina, sono spesso considerati come obiettivi
singoli piuttosto che componenti di un’assi-
stenza più ampia per pazienti complessi/multi-
cronici. Se, per esempio, l’obiettivo di un basso
livello di densità di lipoproteine di colesterolo
è di 100 mg/dl o meno, e il livello recente di un
paziente è 105 mg/dl, può essere considerato
clinicamente efficace il tempo speso per ricon-
tattare il paziente per aumentare/modificare le
dosi dei farmaci? E modificare il dosaggio di un
medicinale è davvero la decisione corretta per
quel paziente?
Elementi particolarmente significativi nel moti-
vare il cambiamento sono, da una parte, la pos-
sibilità di facilitare (o rendere possibile) “il fare
la giusta cosa” e, dall’altra, tenere in considera-
zione la percezione che i medici hanno del pro-
prio lavoro. È possibile quindi supportare le de-
cisioni attraverso una serie di strumenti ’facilita-
tori’ nel perseguimento di una migliore perfor-
mance, come per esempio sistemi informatici di
supporto alle decisioni cliniche che possono
avere la forma di checklist o linee guida cliniche
condivise per l’assistenza di pazienti complessi
piuttosto che per le cure generiche. E, se si con-
sidera che i medici più soddisfatti lavorano me-
glio, è bene anche che il medico sia consapevole
e responsabile del successo non solo della sin-
gola misura/procedura, ma del completo stato di
salute e benessere del paziente.
La metafora dei ‘cavalieri, fanti e pedoni’, svi-
luppata da Le Grand3 – suggeriscono gli auto-
ri – aiuta a delineare meglio il concetto discus-
so: il sistema sanitario americano dovrebbe
rafforzare la tendenza per i medici ad agire
come cavalieri, motivati da valori professionali.
Quando il sistema invece tratta i medici come
pedine, attori passivi alle loro circostanze, la
CARE 4, 2012
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DALLA LETTERATURA INTERNAZIONALE Abstract
loro motivazione ad affrontare problemi com-
plessi si riduce. Il sistema di reporting e misu-
razione viene percepito, soprattutto in cliniche
di piccole dimensioni, come un agire forzato sul
lavoro e non correlato alle reali esigenze dei
pazienti. È necessario evitare, come già hanno
sottolineato diversi autori4, l’effetto cosiddetto
di crowing out, ovvero evitare una perdita, rea-
le o percepita, dell’autonomia professionale e
della motivazione dei professionisti, generata
da un possibile conflitto tra obiettivi incentiva-
ti e convinzioni e valori degli stessi.
Sara Barsanti
Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa
BIBLIOGRAFIA
1. Trisolini MT. Chapter 3: theoretical perspectives on pay for performance.Pay for performance in health care: methods and approaches. ResearchTriangle Park (NC), RTI Press, 2011, 85.
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3. Jain SH, Cassel CK. Societal perceptions of physicians: knights, knaves, orpawns? JAMA 2010; 304 (9): 1009-1010.
4. Marshall M, Harrison S. It’s about more than money: financial incentivesand internal motivation. Qual Saf Health Care 2005; 14: 4-5.
I vantaggi dellarandomizzazione in uno studioclinico controllato
La Caze A, Djulbegovic B, Senn S
What does randomisation achieve?
Evidence-based Medicine 2012; 17 (1): 1-2
Lo studio clinico controllato randomizzato (ran-
domised controllled trial - RCT) è universal-
mente considerato il più alto livello di informa-
zione nel campo dell’evidence-based medicine.
Numerose linee guida cliniche si basano infatti
sui risultati degli studi randomizzati, che ven-
gono quindi traslati da un campione seleziona-
to di pazienti (che dovrebbe essere rappresen-
tativo) a tutta la popolazione avente le stesse
caratteristiche cliniche.
La randomizzazione rappresenta una procedura
attraverso cui un paziente viene assegnato in
modo casuale ad un trattamento o al placebo
nell’ambito di uno studio clinico controllato.
LA PROVOCAZIONE
Perché è fondamentale da un punto di vista
epidemiologo (ed epistemologico) distribuire in
modo casuale i pazienti tra il gruppo di inter-
vento e quello di controllo?
Quali importanti vantaggi è in grado di appor-
tare una procedura di randomizzazione a uno
studio clinico? John Worrall, epistemologo
presso la London School of Economics, ha po-
sto pubblicamente tale domanda, mettendo in
discussione la randomizzazione e chiedendosi
se fosse corretto e giustificabile basare una de-
cisione clinica sull’esito di un RCT1,2.
Worrall espone la sua teoria, focalizzandosi
principalmente su due argomentazioni.
Innanzitutto Worrall nutre dubbi sul fatto che
la randomizzazione possa offrire dei reali van-
taggi rispetto ad altri disegni di studio, nei qua-
li il matching tra gruppi di intervento e control-
lo viene effettuato secondo fattori di confondi-
mento conosciuti ai ricercatori. Secondo la sua
opinione, distribuire casualmente i partecipanti
nei due gruppi in studio non è sufficiente a te-
nere sotto controllo tutti i confondenti.
Il numero dei (potenziali) fattori di confondi-
CARE 4, 2012
7
Abstract
mento non noti all’inizio dello studio è infatti
quasi impossibile da quantificare; di conse-
guenza “sarebbe chiaramente un miracolo se la
randomizzazione riuscisse a bilanciarli perfet-
tamente nei due gruppi”2.
È nota la probabilità, variabile da 0 a 1, con la
quale ogni singolo confondente possa ripartirsi
in modo diseguale tra gruppo di intervento e di
controllo di un RCT3. È quindi possibile che al-
cuni confondenti non noti, distribuendosi di-
versamente tra i gruppi, siano in grado di in-
fluenzare l’effetto dell’intervento.
Secondo Worrall, inoltre, non è necessario ran-
domizzare per controllare il selection bias e ga-
rantire un’adeguata concealing allocation, te-
matiche importanti che possono influenzare se-
riamente i risultati di un RCT, e che potrebbero
essere ugualmente affrontate ed eliminate an-
che in studi non randomizzati4.
Per le ragioni fin qui esposte, dunque, gli RCT
non sembrerebbero rappresentare, in ambito
scientifico, la fonte più autorevole e affidabile
dalla quale attingere per prendere decisioni in
ambito clinico.
L’articolo provocatorio di Worrall ha scatenato
un dibattito nel mondo scientifico, suscitando
numerose reazioni, e avendo comunque il me-
rito di generare una dialettica costruttiva non
solo tra i filosofi della scienza, ma anche tra gli
epidemiologi.
LA REPLICA
A difendere a spada tratta la randomizzazione,
e in parte anche per rispondere a tutti coloro
che mettono in discussione il valore epistemo-
logico degli RCT, hanno contribuito diversi ri-
cercatori internazionali, in particolare Adam La
Caze, Benjamin Djulbegovic e Stephen Seen.
Nel loro contributo, pubblicato su Evidence-ba-
sed medicine, replicano alla tesi esposta da
Worrall, analizzando punto per punto la sua teo-
ria negativa sull’utilità e la necessita di effettua-
re una randomizzazione in uno studio clinico.
Relativamente alla prima critica, ovvero l’im-
possibilità da parte della randomizzazione di
garantire un’eguale distribuzione dei confon-
denti tra i due gruppi in studio, essa rappresen-
ta una tematica ben nota a statistici ed epide-
miologi.
A tale critica si può replicare affermando come,
per validare le inferenze statistiche, non sia ne-
cessario che la randomizzazione controlli per
tutti i confondenti, sia conosciuti che no, all’i-
nizio dello studio. È infatti sufficiente conosce-
re la probabilità della loro distribuzione, ele-
mento misurabile proprio attraverso la rando-
mizzazione5.
Inoltre, una conoscenza così dettagliata delle
covariate non misurate è impossibile negli stu-
di osservazionali, nei quali le analisi spesso si
fondano su ulteriori assunzioni di base che non
possono essere facilmente verificate.
Un altro beneficio epistemologico proveniente
dagli RCT rispetto agli studi osservazionali è la
loro capacità di evitare il confounding by indi-
cation, ovvero il bias legato alla scelta del trat-
tamento.
Il confounding by indication si verifica quando
l’assegnazione del trattamento è una funzione
del rischio di outcome clinici futuri (della pro-
gnosi dunque) e rappresenta un serio problema
negli studi osservazionali. In tali studi, infatti,
anche se si effettua il matching per un numero
di fattori noti, è difficile sia tenere conto di tut-
te le variabili che potrebbero influenzare il me-
dico nella scelta di un particolare trattamento,
che considerare le ragioni per cui il paziente
abbia deciso di accettare o rifiutare un deter-
minato intervento terapeutico6. Gli RCT posso-
no essere esposti ad altri bias, ma sicuramente
non a questo. L’eliminazione del confounding
by indication rappresenta un grosso punto a fa-
vore degli RCT nel confronto con gli studi os-
servazionali.
Worrall inoltre afferma che esistono valide al-
ternative alla randomizzazione per assicurare
una uguale suddivisione dei confondenti tra il
gruppo di intervento e quello di controllo, seb-
bene non entri nel dettaglio di tali metodolo-
gie. Presumibilmente egli si riferisce agli studi
sperimentali, ritenendo che sia concettualmen-
te possibile sviluppare un metodo diverso dalla
randomizzazione, in grado di stratificare i pa-
zienti secondo importanti informazioni progno-
stiche e distribuirli nei due gruppi (trattamento
e controllo) in modo indipendente dall’investi-
gatore.
Da questa affermazione sorgono alcune per-
plessità. Innanzitutto metodi alternativi per la
distribuzione dei pazienti non sono utilizzabili
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8
Abstract
negli studi di coorte o caso controllo. In questi
disegni di studio, infatti, il paziente decide, o
sono le sue condizioni cliniche a farlo per lui,
di prendere o non prendere un determinato
trattamento studiato.
Inoltre, dove la randomizzazione è sia possibile
sia facilmente eseguibile, metodi ritenuti miglio-
ri di essa dovrebbero essere valutati con atten-
zione. La randomizzazione infatti permette di
ottenere una distribuzione certa e robusta, sulla
quale poter basare inferenze statistiche. Metodi
alternativi alla randomizzazione richiederebbe-
ro un modello statistico più complicato e assun-
zioni supplementari sui dati, rendendo più diffi-
cile gestire l’analisi e difenderne i risultati.
È tuttavia importante ricordare che nessuna
delle precedenti affermazioni mette in discus-
sione l’importanza degli studi osservazionali. Gli
RCT non sono né necessari né sufficienti a for-
nire prove conclusive sugli interventi terapeuti-
ci; non necessari perché metodi alternativi po-
trebbero essere più appropriati quando la misu-
ra dell’effetto è grande, ma la presenza di un
bias o errore random potrebbe oscurarla7; non
sufficienti, perché una cosa è dimostrare l’effi-
cacia di un trattamento terapeutico nel campio-
ne di pazienti studiato nel trial randomizzato,
un’altra è la generalizzazione dei suoi risultati a
tutta la popolazione. Inoltre, gli studi osserva-
zionali rappresentano la metodologia più adat-
ta, attualmente utilizzabile, per affrontare parti-
colari quesiti clinici, come ad esempio la valuta-
zione di eventi avversi rari di un farmaco.
OSSERVAZIONALE VERSUS SPERIMENTALE
La domanda alla quale i tre ricercatori hanno
cercato di rispondere in questo articolo è se gli
RCT presentino un valore epistemologico supe-
riore agli studi osservazionali.
Certamente, per alcuni importanti aspetti me-
todologici che li caratterizzano, gli RCT offrono
vantaggi unici da un punto di vista epistemolo-
gico che non possono essere realizzati attraver-
so gli studi osservazionali. Questa affermazione
non si traduce tuttavia con la certezza che gli
RCT rappresentino la modalità migliore per ri-
spondere a tutti i quesiti clinici, per qualunque
tipologia di pazienti (così come definito dal-
l’Oxford Center for evidence-based medicine’s
levels of evidence)8.
In conclusione, la ricerca clinica sui farmaci do-
vrebbe essere intesa come un mezzo per ri-
spondere alle incertezze riguardanti l’efficacia
di interventi terapeutici confrontati tra di loro,
e di conseguenza la scelta del disegno di studio
(osservazionale versus sperimentale) dovrebbe
essere effettuata tenendo conto del quesito cli-
nico al quale si vuole dare una risposta, e del
grado di incertezza ad esso correlato9.
Eliana Ferroni
Acute Respiratory Infections Group,
Cochrane Collaboration, Rome
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9. Djulbegovic B: Articulating and responding to uncertainties in clinicalresearch. J Med Philos 2007; 32: 79-98.
CARE 4, 2012
9
Abstract
Politica sanitaria e evidenza scientifica
Humpreys K, Piot P
Scientific evidence alone is not sufficient basis
for health policy
BMJ 2012; 344: e1316
La ricerca scientifica ha la facoltà e il compito di
informare i decisori in vari modi così da essere
un valido strumento per indagare sull’efficacia
di un intervento o di un programma sanitario
nonché per l’identificazione di problemi emer-
genti. Ad esempio, la scoperta di nuovi tipi di
virus influenzali o la documentazione dei primi
casi di AIDS ha fatto sì che i decisori fossero il
più possibile consapevoli di quanto stesse ac-
cadendo.
Non solo, negli ultimi anni la scienza ha pro-
dotto evidenze utili a supportare decisioni in
ambito politico-sanitario, permettendo di indi-
viduare problemi di grave entità per la salute e
mettendo a disposizione dei decisori gli stru-
menti più appropriati per fronteggiare tali pro-
blemi. Inoltre ha spesso consentito di prevede-
re l’effetto di differenti scelte politiche. Pensia-
mo, per esempio, al vaccino per il Papilloma vi-
rus, alla terapia di mantenimento per la dipen-
denza dagli oppiacei o alla circoncisione ma-
schile come forma di prevenzione da HIV. Inol-
tre i decisori hanno anche la possibilità, trami-
te le valutazioni economiche, di poter valutare
non solo l’efficacia di un programma sanitario
o di una tecnologia, ma anche il relativo costo.
La scienza, tuttavia, presenta il limite (non tra-
scurabile) di non poter sempre rappresentare
una solida base per le scelte politiche, poiché
sussistono altri fattori che possono incidere
sulle scelte. Si pensi, per esempio, alla campa-
gna di sensibilizzazione contro il fumo: una po-
litica efficace non dovrebbe solo ribadire che il
fumo è la causa principale del tumore al pol-
mone o di altre patologie, ma agire sulla citta-
dinanza, rendendola attiva e partecipe al pro-
blema, visto che la potente industria del tabac-
co ha per decenni denigrato i risultati prove-
nienti da studi e ricerche. I fattori che possono
influenzare le decisioni non sono necessaria-
mente sanitari: l’evidenza scientifica può stabi-
lire se la pena di morte sia un metodo costo-ef-
ficace o rappresenti un deterrente a commette-
re crimini, ma non riuscirà mai ad affermare
che tale strumento è accettabile da un punto di
vista morale.
Un altro limite è relativo al fatto che gli scien-
ziati sono comunque degli esseri umani e per-
tanto possono sbagliare: è il caso, per esempio,
di ricerche su alcuni farmaci che, in prima ana-
lisi, sembravano supportati da una buona evi-
denza, ma che in un secondo tempo si sono di-
mostrati inefficaci se non addirittura dannosi.
Infine, l’innovazione in campo sanitario non è
stata guidata solo dalla scienza ma anche dalla
politica. Le leggi sul lavoro minorile o sul con-
trollo dell’alcol, per esempio, sono state prima
attuate e solo successivamente fornite eviden-
ze in merito alla loro efficacia.
Il problema nel rapporto scienza-politica è che
i ricercatori tendono a fornire una risposta cer-
ta su un determinato problema, mentre i deci-
sori spesso seguono criteri di scelta molto più
complessi e a volte meno trasparenti. La risolu-
zione dei problemi tramite un approccio che
tiene in considerazione entrambi gli aspetti po-
trebbe consentire scelte di politica sanitaria
supportate da una buona evidenza scientifica:
“affermare che un decisore va oltre le sole scel-
te di tipo tecnocratico è un complimento e non
un insulto”.
Letizia Orzella
CARE 4, 2012
10
Abstract
Effetti del lavoro precariosulla salute e la protezionedel welfareC’e’ del buono in Danimarca…
Kim I-H, Muntaner C, Shahidi FV et al
Welfare states, flexible employment, and health:
a critical review
Health Policy 2012; 104: 99-127
La questione della flessibilità (e quindi della pre-
carietà del lavoro) è emersa recentemente in
tutta la sua gravità per effetto di una serie di
mutamenti drammatici nell’economia dell’Occi-
dente capitalista avvenuti tra la fine del XX e
l’inizio del XXI secolo. Tutto questo ha finito
per coniugare in modo imprescindibile all’idea
di lavoro il concetto di insicurezza, che può es-
sere declinato oggi come:
a. perdita della tradizionale continuità del rap-
porto di lavoro,
b. maggiore vulnerabilità e quindi perdita di
potere individuale,
c. minore presenza di meccanismi protettivi,
d. riduzione dei guadagni.
Si sono così progressivamente determinati ra-
dicali mutamenti della qualità di vita delle per-
sone, che hanno posto la questione di come e
quanto la flessibilità possa avere ripercussioni
sulla salute degli individui.
Esaminando gli effetti del lavoro flessibile sulla
salute, è utile differenziare fra due categorie:
l’insicurezza del posto di lavoro (cioè, il timo-
re che la continuità del proprio lavoro pos-
sa da un momento all’altro venir meno) e
la condizione di lavoro precario tout
court (lavoro a contratto, atipico, tem-
poraneo, part-time, giornaliero, etc).
In linea generale, si ritiene che en-
trambe le forme di flessibilità ge-
nerino effetti sfavorevoli sulla
salute perché riducono il be-
nessere materiale, compor-
tano condizioni lavorative
generalmente più svan-
taggiate, peggiorano
le relazioni sociali,
indeboliscono il
sostegno che de-
riva dalla presenza dei colleghi di lavoro (non
precari). In questo contesto, occorre infine de-
finire meglio quale ruolo può giocare l’organiz-
zazione del sistema di protezione sociale, il
welfare.
Un gruppo multinazionale di ricercatori ha ap-
pena pubblicato una revisione critica del pro-
blema, basata su una complessa metanalisi di
oltre 100 studi eseguiti in tutto il mondo fra il
1988 e il 2010, cioè il periodo di tempo più si-
gnificativo sotto questo profilo in quanto è dal-
la fine degli anni ’80 del secolo scorso che co-
mincia a delinearsi su scala globale un rapido
aumento dell’insicurezza del posto di lavoro.
Nell’effettuare l’analisi gli autori hanno inoltre
utilizzato una originale distinzione fra diverse
tipologie di welfare (scandinavo, tedesco, an-
glosassone, sud-europeo, est-europeo, asiati-
co), espressione, a loro giudizio, di sistemi so-
cioeconomici significativamente diversi fra
loro.
I risultati hanno sostanzialmente confermato
che la condizione di insicurezza del posto di la-
voro (legata, per esempio, a ristrutturazioni, ri-
dimensionamento dell’organico, licenziamenti)
è associata a un peggioramento sia dell’auto-
percezione sia delle condizioni obiettive di sa-
lute, fisica e mentale, che si estrinseca fra l’al-
tro in un aumento delle malattie cardiovascola-
ri, del consumo di antidepressivi, dell’incidenza
di disturbi psicosomatici (mal di testa, inson-
nia, cardiopalmo, diarrea), di dolori muscolo-
scheletrici, etc. Sotto questo profilo, come era
prevedibile, i più vulnerabili sembrano i lavo-
ratori più anziani (>50 anni) e le donne. Tuttavia, la stratificazione dell’analisi in
base alle diverse tipologie di welfare so-
praindicate indica anche che, in alme-
no un terzo degli studi effettuati nei
Paesi scandinavi (Danimarca, Fin-
landia, Norvegia e Svezia), le
condizioni di insicurezza sul la-
voro non appaiono collegate
ad un peggioramento della
salute degli individui
coinvolti. Alla regola
generale invece non
si sottraggono tutti
gli altri Paesi esa-
minati, malgra-
do le ovvie e
CARE 4, 2012
11
Abstract
Obiettivi per uno sviluppo sostenibile: a volte ritornano
Editoriale
Global health in 2012: development to
sustainability
Lancet 2012; 379: 193
Sachs J
From millennium development goals to
sustainable development goals
Lancet 2012; 379: 2206-2211
La conferenza Rio+20 (tenutasi a Rio de Janeiro nel giu-
gno scorso) era il proseguimento di un’analoga iniziati-
va delle Nazioni Unite – 1992 Earth Summit – tenutasi
vent’anni prima, sempre a Rio, con obiettivi ambiziosi:
contrastare i cambiamenti climatici, proteggere la bio-
diversità, eradicare la povertà e promuovere la giusti-
zia sociale. Il bilancio – a distanza di due decenni –
non è dei più incoraggianti: da allora l’emissione globa-
le di gas serra è aumentata del 48%, sono scomparsi 300
milioni di ettari di foresta. Globalmente la povertà è di-
minuita, ma ancora un miliardo di persone soffre di
fame e le diseguaglianze sociali si sono dilatate.
Rio+20 si è chiusa con uno scontro netto tra la società
civile – rappresentata da 200 associazioni, sindacati,
esponenti del mondo scientifico, leader delle popola-
zioni indigene – e la rappresentanza politica e istituzio-
nale. Il documento finale è un elenco di buoni propositi
privo di indicazioni precise: non ci sono target, non ci
sono strumenti operativi, non ci sono fondi.
Lancet dedica all’evento un editoriale, lamentando l’as-
senza del tema salute dalle priorità di Rio+20. Eppure,
si osserva, è più che mai necessario un radicale cam-
biamento nelle politiche sanitarie mondiali. Le politi-
che dei Millennium Development Goals (MDGs), basate
sulla lotta contro singole malattie e affidate a una mol-
titudine di agenzie con finalità settoriali (Global Fund
to Fight AIDS, Tuberculosis and Malaria, Roll Back Ma-
laria, GAVI, etc) hanno di fatto fallito. È necessario pas-
sare dai Millennium Development Goals ai Sustainable
Development Goals anche per affrontare le nuove sfide
talora notevoli differenze di ordine socioeco-
nomico. Più o meno simili sono i risultati che
emergono dagli studi condotti sulla condizione
di lavoro precario, dove si osserva fra l’altro
che, indipendentemente dal regime di welfare
esaminato, i lavoratori precari, e specialmente
le donne, impiegati per esempio nei call-center,
nelle sostituzioni, nei tirocini o nel lavoro tem-
poraneo, vanno incontro a problemi di salute
(per esempio, dolori articolari, malattie croni-
che, disturbi psicologici) in misura significativa-
mente maggiore rispetto ai lavoratori a tempo
indeterminato. Ancora una volta, una parziale
eccezione è rappresentata dai Paesi scandinavi
dove i lavoratori precari, specie se a tempo de-
terminato o part-time, godono di condizioni di
salute migliori o sovrapponibili a quelle dei
loro connazionali sottoposti ad un rapporto di
lavoro permanente. Tutto questo fra l’altro è in
linea con i dati recentemente ottenuti in altri
studi epidemiologici dai quali risulterebbe che
le condizioni e le prospettive di salute delle po-
polazioni scandinave sono generalmente mi-
gliori rispetto ad altre popolazioni.
In conclusione, oculate politiche di protezione
sociale possono, almeno in parte, controbilan-
ciare taluni effetti negativi che la globalizzazio-
ne ha generato nel mondo del lavoro, specie
negli individui coinvolti in forme di impiego
particolarmente vulnerabili, sicché può accade-
re che in alcuni casi virtuosi siano i lavoratori
stessi a scegliere forme di lavoro flessibile e
part-time perché adeguatamente protette e ga-
rantite dallo Stato.
Tuttavia – a parere degli autori – la miriade di
forme in cui si articola il lavoro precario rende
molto difficile generalizzare queste osservazio-
ni e tanto meno proporre facili soluzioni. Que-
sto sottolinea ancor di più la necessità di svi-
luppare modelli concettuali che spieghino in
che modo macrostrutture dei regimi di welfare,
fattori nazionali e situazioni lavorative indivi-
duali possono interagire con la salute degli in-
dividui. Con la consapevolezza che un peggiora-
mento della qualità di vita, e quindi della salute
del lavoratore, non può che ripercuotersi nega-
tivamente sulla gravità della crisi economica in
atto. n GB
CARE 4, 2012
12
Abstract
La crisi finanziaria in Italia e le implicazioni per il settoresanitario
De Belvis AG, Ferrè F, Specchia ML et al
The financial crisis in Italy: implications for the
healthcare sector
Health Pol 2012, 106: 10-16
Negli ultimi 20 anni, il nostro Servizio Sanitario
Nazionale (SSN) ha subito numerose e impor-
tanti evoluzioni che hanno riguardato elementi
come la sostenibilità economica, l’offerta di più
efficienti ed efficaci prestazioni sanitarie, l’in-
novazione tecnologica nonché l’autonomia re-
gionale per quanto concerne le scelte di politi-
ca sanitaria.
Più in dettaglio, la congiuntura economica at-
tuale ha imposto alla sanità un deciso rallenta-
mento negli investimenti prevalentemente tra-
mite i piani di rientro implementati dalle Regio-
ni con il disavanzo più grave e anche con inter-
venti di contenimento dei costi quali i provve-
dimenti sui prezzi dei farmaci o la riduzione dei
posti letto. Contestualmente si è proceduto ad
aumentare i livelli di compartecipazione dei cit-
tadini (ticket sanitari) nonché a ridurre il nu-
mero dei ricoveri e la durata delle ospedalizza-
zioni allo scopo di promuovere una maggiore
appropriatezza delle cure. Gli autori sostengo-
no che se da un lato queste misure hanno per-
messo il conseguimento di alcuni risultati dal
punto di vista finanziario, hanno determinato,
o rischiano di determinare, condizioni peggiori
dal punto di vista della salute e dell’equità nel-
l’offerta dei servizi.
I dati ISTAT pubblicati alla fine del 2011 hanno
evidenziato che il 18,2% della popolazione ita-
liana è a ‘rischio povertà’ e quasi il 7% sta vi-
vendo in condizioni di oggettiva deprivazione:
anche se questi valori sono rimasti immutati
dal 2009, un’indagine a livello europeo mostra
come l’Italia si trovi in una situazione peggiore
rispetto alle altre nazioni e come questo feno-
meno colpisca la fascia di età dei giovanissimi.
Non solo, le ineguaglianze misurate tramite
l’indice di Gini mostrano che tale valore è rima-
CARE 4, 2012
13
Abstract
dei cambiamenti climatici e del dilagare delle malattie
croniche.
Sempre su Lancet, e su questo specifico argomento, è
da segnalare un ampio paper di Jeffrey Sachs, che pro-
pone tre Sustainable Development Goals, il primo dei
quali è il seguente: “SDG 1: by 2030, if not earlier, all the
world’s people will have access to safe and sustainable
water and sanitation, adequate nutrition, primary
health services, and basic infrastructure, including
electricity, roads, and connectivity to the global infor-
mation network”.
Sembra di leggere la Dichiarazione di Alma Ata (1978). A
volte ritornano.
Gavino Maciocco
Dipartimento di Sanità Pubblica, Università di Firenze
sto stabile ma, a livello interregionale, il gra-
diente Nord-Sud è fin troppo marcato. Tutto ciò
ha ovviamente comportato anche una contra-
zione della spesa delle famiglie.
Le conseguenze di queste manovre non sono
facilmente misurabili in termini di effetti sulla
salute, in particolare da un punto di vista epi-
demiologico, visto che gli esiti di solito sono
analizzabili con alcuni anni di ritardo rispetto
all’evento che li ha determinati. Probabilmente
è ancora troppo presto per affermare che i tas-
si di incidenza di alcune patologie possono es-
sere stati determinati dalla crisi economica o
da un aumento nelle ‘barriere’ per l’accesso ai
servizi sanitari, ma alcune indagini specifiche
basate su interviste a specialisti o medici di
medicina generale hanno fatto emergere che la
popolazione sta modificando alcuni comporta-
menti che di sicuro avranno impatto sulla salu-
te futura: è dimostrato, per esempio, un ricorso
alle prestazioni sanitarie ‘posticipato’ a causa
delle difficoltà economiche dei cittadini come
pure un cambiamento nei comportamenti ali-
mentari (minor consumo di frutta e maggior
uso di cibo spazzatura, soprattutto fra giovani e
donne) nonché una diminuzione del tempo de-
dicato alle attività sportive.
Esistono tuttavia alcune possibili opzioni politi-
che per poter affrontare questi rischi: gli autori
consigliano l’adozione di un approccio guidato
da logiche di definizione delle priorità affinché
le decisioni di allocazione di risorse siano effet-
tuate non seguendo il criterio dei tagli fini a se
stessi, ma fornendo copertura finanziaria a
programmi già esistenti ed efficaci, che pro-
muovono stili di vita sani, o alla prevenzione,
eliminando i servizi non efficaci e quelli che
producono poco valore aggiunto e concentran-
do gli investimenti nei servizi/prestazioni che
dimostrano un miglior rapporto costo-efficacia,
garantendo al sistema un adeguato livello di in-
novazione dove questa è effettivamente utile.
Letizia Orzella
CARE 4, 2012
14
Abstract
PIL e rapporto della spesa sanitariapubblica sul PIL negli anni 2001-2010 in Italia. Fonte: Relazionegenerale della situazione economicadel Paese, 2010 e Ministero dellaSalute, delle Finanze e ISTAT, 2011
6,0%
6,2%
6,4%
6,6%
6,8%
7,0%
7,2%
7,4%
80
85
90
95
100
105
110
115
120
125
130
2010200920082007200620052004200320022001
Spes
e sa
nita
rie/
PIL
PIL
(200
1 =
100)
PIL (2001 = 100) Spese sanitarie/PIL
Health Technology AssessmentL’importanza della domandagiusta
Glasziou P
Health technology assessment: an evidence-based
medicine perspective
Med Decis Making 2012; 32 (1): E20-E24
Dimostrare l’importanza e la necessità delle va-
lutazioni delle tecnologie sanitarie fortunata-
mente non è più necessario. L’evoluzione tec-
nologica, la scarsità di risorse, la crescita dei
mezzi d’informazione e le scelte di politica sa-
nitaria da parte dei decisori hanno creato natu-
ralmente la base per lo sviluppo di metodologie
per la valutazione delle tecnologie sanitarie
(HTA).
L’HTA è considerata un ponte tra la scienza –
ovvero la evidence-based medicine (EBM), ba-
sata sulle prove di efficacia – e le decisioni. Ma
come può l’HTA traghettare l’EBM verso le deci-
sioni di policy? Ossia, come può l’EBM aiutare il
processo di HTA?
È la domanda che Paul Glasziou, direttore del
Centre for Evidence-Based Medicine (CEBM) si
pone nell’articolo pubblicato su Medical Deci-
sion Making. Partendo dal concetto che l’HTA si
focalizza sulle valutazioni di costo-
efficacia, mentre l’EBM sull’effica-
cia clinica, Glasziou vuole ‘sfi-
dare’ alcune asserzioni pro-
prie dell’HTA e delle analisi
di costo-efficacia, ossia
che l’efficacia e i
costi delle tecno-
logie sono sempre
noti e invariabili.
Sostiene che i re-
port di HTA non ten-
gono in considerazione
che l’efficacia e i costi sono spesso in-
certi e soprattutto possono subire delle varia-
zioni. L’EBM in tal senso può e deve aiutare i
processi di HTA nel riconoscere che non sem-
pre le tecnologie sono efficaci come preventi-
vato, che esistono delle tecnologie, ignorate
dall’approccio di costo-efficacia, che si muovo-
no al di sotto della soglia delle tecnologie che
l’HTA valuta correntemente e, infine, che il
prezzo e i costi reali sono mutevoli e possono
essere ridotti.
Per questa ragione molto spesso le prove di ef-
ficacia di nuove tecnologie sono meno robuste
e di scarsa qualità. Glasziou sottolinea che le in-
novazioni tecnologiche non comportano sempre
un reale progresso rispetto alle tecnologie già
esistenti. In questo caso bisogna attendersi l’ab-
bandono delle tecnologie ‘non funzionanti’ e la
promozione di quelle efficaci e a basso costo.
Per le tecnologie ad alto costo, che hanno una
buona base di evidence, l’impegno deve essere
quello di lavorare per la riduzione dei costi.
Questa considerazione discende direttamente
dall’asserzione che i costi valutati dall’HTA ri-
mangono invariati e sempre valutabili, come nel
caso dei prezzi dei farmaci, che invece subisco-
no una notevole riduzione dopo la scadenza dei
brevetti. L’auspicio è che sia incentivata l’imple-
mentazione delle tecnologie efficaci e a basso
costo, che si smetta di investire nelle tecnologie
costose e non efficaci, che si effettuino le valu-
tazioni economiche sulle tecnologie efficaci e
costose e che, nel caso di tecnologie poco co-
stose e di non chiara efficacia, si indaghi ulte-
riormente su costi e benefici.
Per chi scrive, non esistono limiti alle tecnolo-
gie valutabili dall’HTA e il ruolo dell’EBM all’in-
terno del processo non è da dimostrare, incen-
tivare o riconoscere. L’HTA è sia un metodo
(che si basa sulle valutazioni multi-
dimensionali e multidisciplina-
ri) sia uno strumento per i de-
cisori (che formulano la do-
manda politica che i ricerca-
tori dell’HTA trasformano
in domanda di ricerca).
La domanda che Gla-
sziou si pone e le solu-
zioni che propone non ri-
guardano l’HTA come
metodo, ma come stru-
mento decisionale, e riguardano preva-
lentemente le domande che i decisori pongono
all’HTA. In tal senso le risposte che l’HTA gene-
ra dipendono non dall’HTA in sé come metodo,
ma dalla bontà delle domande che i decisori
hanno formulato.
Simona Paone
Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas)
CARE 4, 2012
15
Abstract
In Italia il 10% degli uomini tra i 35 e i 74 anni è diabetico e,all’interno di questa percentuale, 7 diabetici su 10 non si cu-rano; il 21% degli uomini è ipercolesterolemico, ma 8 iperco-lesterolemici su 10 non seguono alcuna terapia; il 27% degliuomini è iperteso, ma la metà di questi non adotta nessuntipo di intervento. Per tutti loro le malattie cardiovascolari egli incidenti cardiovascolari sono un destino ineluttabile. Ilquadro non appare migliore per le donne. Colpa di una scar-sa aderenza alle terapie, ma anche di un approccio clinicospesso troppo superspecialistico. Di qui l’esigenza di inaugurare un nuovo approccio basato sul-l’unione delle forze in campo per combattere il rischio cardio-vascolare metabolico: un semplice e innovativo algoritmo dia-gnostico-terapeutico, sviluppato grazie al lavoro di un teammultidisciplinare (medici di medicina generale, cardiologi, dia-betologi, internisti, nefrologi, farmacologi, farmacisti e asso-ciazioni di pazienti) a partire dalla sintesi e dall’ottimizzazionedelle Linee Guida Internazionali per porre il paziente al centroe promuovere una razionalizzazione dei costi sanitari attraver-so la strada dell’appropriatezza diagnostico-terapeutica. In questo dossier, attraverso le voci di chi ha concretamentefatto parte del team sviluppatore, emerge chiaramente comel’algoritmo cardiovascolare-metabolico – patrocinato da di-verse Società Scientifiche e promosso da MSD Italia – rappre-senti uno strumento utile a promuovere il disease manage-ment nel rispetto dei criteri per l’appropriatezza delle cure.
IL MEDICO DI MEDICINA GENERALE
Uno strumentoper interventi proattivi
A colloquio con Gerardo MedeaResponsabile Nazionale dell’Area Endocrinologica e Diabetologica,SIMG
Che cosa significa per il medico di medicina generale di-
sporre di un algoritmo diagnostico-terapeutico scientifi-
camente fondato ma, al contempo, snello e immediato?
L’identificazione e la gestione dei pazienti con rischio cardiova-
scolare-metabolico (RCV) è un problema cruciale per il medico di
medicina generale, poiché ha importanti conseguenze dal punto
di vista della medicina preventiva sia come strategia di singolo
sia di popolazione. A prescindere dal metodo di calcolo, la cosa
più importante è che i pazienti con RCV siano intercettati e inse-
riti in un percorso diagnostico-assistenziale coerente con il li-
vello di rischio determinato, al fine di abbatterlo il più possibile
e limitare/evitare quante più complicanze possibili. Un algoritmo
snello e di facile utilizzo rende questo processo semplice e im-
mediato, suggerendo nel contempo un iter diagnostico-terapeu-
tico (basato sulle evidenze) con una visione d’insieme che, a mio
parere, motiva il medico verso interventi proattivi.
Quali i canali attraverso cui l’algoritmo è stato reso
fruibile in modo da massimizzarne i risultati ottenibili
dal suo impiego da parte di medici e specialisti?
Fin dall’inizio l’intento del board scientifico è stato quello di ela-
borare uno strumento giustappunto il più possibile ‘fruibile’. Ab-
biamo tenuto conto delle modalità di lavoro del medico di fami-
glia italiano, che oramai usa quotidianamente molti strumenti
informatici. Quindi la stessa forma cartacea, centrata sul princi-
pio del “tutto in una pagina”, magari da tenere nella tasca del ca-
mice, è stata progettata per essere anche immediatamente con-
sultabile in formato elettronico sul desk del proprio computer.
La struttura ‘algoritmica’, con percorsi a due o tre vie decisionali,
e la presenza di alcuni box di approfondimento, rendono lo stru-
mento facilmente traducibile in applicativi (per tablet) grazie ai
quali muoversi nel percorso diagnostico-terapeutico del pazien-
te con RCV diventa quasi un gioco. L’algoritmo, infine, potrebbe
essere un punto di riferimento per la gestione di casi clinici sul-
l’argomento RCV durante i corsi di aggiornamento.
Quali i risultati attesi dall’applicazione dell’algoritmo
nel medio-lungo periodo e quali gli indicatori da consi-
derare per monitorarli?
Certo non ci illudiamo di risolvere con questo ‘umile’ strumento
l’articolato e complesso problema del RCV metabolico, vista an-
che la numerosità dei soggetti coinvolti. Anche altri problemi de-
vono essere affrontati e risolti, come una diversa organizzazione
delle cure in medicina generale, con particolare riguardo alla
presenza del personale di studio e all’utilizzo di sistemi di verifi-
ca e controllo dello stato di salute della popolazione sana o già
affetta da patologie croniche.
Ci aspettiamo tuttavia che l’algoritmo aumenti la sensibilità dei
medici di medicina generale verso il problema RCV metabolico,
stimolando un primo inquadramento del paziente, che poi dovrà
essere gestito tenuto conto di tutte le linee guida e raccomanda-
zioni specifiche nella loro forma ‘estesa’.
Là dove esistono sistemi di monitoraggio (in modalità self o di
gruppo) con indicatori di processo ed esito, ci aspettiamo co-
munque che i medici fruitori dell’algoritmo, anche grazie al suo
utilizzo, possano migliorare le loro performance professionali
(aderenza ai percorsi diagnostico-terapeutici del maggior nume-
ro di pazienti e raggiungimento dei target terapeutici). n ML
CARE 4, 2012
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L’ALGORITMO PER LA GESTIONEDEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE METABOLICO
Dossier
IL CARDIOLOGO
Una rivoluzione copernicananell’approccio paziente medico
A colloquio con Maria Grazia ModenaDirettore della Cattedra di Cardiologia all’Universitàdegli Studi di Modena e Reggio Emilia
Come stanno cambiando le malattie cardiovascolari me-
taboliche nel nostro Paese? Il cuore resta il grande kil-
ler degli italiani?
Sì, le malattie cardiovascolari metaboliche continuano a essere
la prima causa di morte anche se in calo per i grandi traguardi
della terapia riperfusiva. La mortalità per infarto miocardico è
in decremento, ma è in aumento la fascia di pazienti che so-
pravvive all’evento e che va strettamente monitorata, con il
grande problema della gestione della prevenzione secondaria
anche delle comorbilità. Tuttavia, sono in preoccupante aumen-
to i pazienti con sindrome metabolica e quindi con ipertensio-
CARE 4, 2012
17
Dossier
ne, prediabete, dislipidemia e diabete. L’aumento della sindro-
me metabolica e del diabete renderebbe conto dell’attuale anti-
cipazione dell’evento infartuale sopratutto nelle donne, anche
se l’età rimane un fattore di rischio immodificabile. Questo fe-
nomeno è peraltro più accentuato nel Sud Italia, con picchi in
Campania, sfatando il concetto di buon stile di vita e di ‘dieta
mediterranea’, imputabile forse alla forte urbanizzazione che si
sta osservando in queste zone.
In questo panorama, cosa rappresenta l’algoritmo car-
diometabolico?
È come una rivoluzione copernicana: il paziente al centro e gli
specialisti che gli ruotano intorno. Un approccio solo apparente-
mente semplice ma, in realtà, molto articolato. Una rivoluzione
necessaria in quanto la gestione del paziente è sempre più com-
plessa perché sempre più complessi sono i pazienti, visto che au-
menta in modo vertiginoso il numero di quelli con comorbilità
legato all’innalzamento dell’aspettativa di vita, con conseguente
necessità di pluriterapia che ha ricaduta sull’aderenza terapeuti-
ca. La conseguenza è il ricorso a più specialisti, con terapie spes-
so parallele o non convergenti e ripetizione di esami, il tutto con
un forte impatto economico e sulle liste di attesa. Nel campo
della prevenzione/diagnosi/terapia della malattia cardio-nefro-
cerebro-vascolare metabolica l’esistenza di numerose e valide li-
nee guida per il trattamento dell’ipertensione arteriosa, della di-
slipidemia e del diabete ha reso forte l’esigenza di una sintesi fra
i diversi percorsi consigliati, visto che i fattori di rischio menzio-
nati spesso coesistono, anche se con tempi di comparsa diversi,
nello stesso paziente. Di qui la nascita dell’algoritmo.
Che cosa significa, in particolare, l’algoritmo nella pro-
spettiva del cardiologo?
Noi cardiologi abbiamo fino ad ora praticato una medicina ripa-
rativa, ottenendo traguardi impensabili, ma con questo abbiamo
creato una generazione di anziani con insufficienza cardiaca, che
è una via di non ritorno, con enormi conseguenze in termini di
costi sanitari e sociali. Cardiopatie, vasculopatie, diabete e insuf-
ficienza renale rappresentano il quartetto fatale di questa tappa
di condizione end-stage. È tempo di unire le forze in team multi-
disciplinari per operare una medicina preventiva che abbia un
impatto su tutte queste condizioni. Non bisogna, infatti, dimenti-
care che tutte le malattie prima menzionate condividono un
background comune in termini di fattori di rischio che interven-
gono moltiplicandosi, agendo su un pabulum comune, ossia l’a-
terosclerosi, fenomeno che nasce spontaneo, sul quale soprat-
tutto i fattori di rischio acquisiti e modificabili possono interve-
nire come acceleratore estremo. n ML
IL NEFROLOGO
Migliori outcome socialied economici
A colloquio con Roberto PontremoliProfessore Associato Nefrologia, Università di Genova
Rischio cardiometabolico e insufficienza renale: che re-
lazione esiste?
Si tratta di una relazione che definirei ‘bidirezionale’. Se, infatti,
ipertensione arteriosa, dislipidemia e diabete sono considerati
tradizionalmente i principali fattori di rischio per lo sviluppo del-
la nefropatia, più recentemente è emerso come il danno renale
cronico, anche nelle sue forme più lievi, comporti un significati-
vo aumento delle probabilità di sviluppare diabete e, più in ge-
nerale, complicanze di tipo aterosclerotico. Da un punto di vista
epidemiologico l’importanza di queste correlazioni diventa più
facilmente apprezzabile quando si consideri che nella popolazio-
ne generale la prevalenza di ipertensione arteriosa è oggi in Ita-
lia poco al di sotto del 40%, mentre il diabete e la malattia renale
cronica colpiscono rispettivamente il 6-8% e il 10% della popola-
zione generale.
La nefropatia diabetica è – come da lei stesso afferma-
to – la seconda causa di dialisi nel nostro Paese. Mi-
gliorare la gestione del paziente cardiometabolico potrà
aiutare ad incidere anche su questo dato dalle rilevanti
implicazioni sia sociali (soprattutto in termini di qualità
di vita per il paziente) sia economiche (in termini di co-
sti per il sistema sanitario)?
La precoce identificazione dei soggetti a più elevato rischio car-
diovascolare e metabolico, consentendo di attuare specifiche
misure di trattamento e prevenzione, potrà se non impedire, al-
meno procrastinare per molti pazienti la progressione della ne-
fropatia allo stadio terminale e quindi la necessità del tratta-
mento sostitutivo (dialisi o trapianto). A causa della stretta cor-
relazione tra gravità del danno renale e rischio di eventi cere-
bro-cardiovascolari, la riduzione del numero di pazienti che rag-
giunge la fase uremica comporta di fatto anche una riduzione
della morbilità e mortalità cardiovascolare. Le favorevoli ricadu-
te di tipo sociale ed economico sono evidenti quando si conside-
rino le dimensioni epidemiologiche del problema esposte poco
sopra.
CARE 4, 2012
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Dossier
In termini più generali, quali sono gli outcome che si at-
tende dall’impiego diffuso dell’algoritmo?
L’applicazione su vasta scala dell’algoritmo potrebbe consentire
una migliore e più capillare identificazione dei pazienti a rischio
e conseguentemente un trattamento più efficace. In relazione al
raggiungimento dell’endpoint renale (ovvero l’inizio del tratta-
mento sostitutivo con dialisi o trapianto), è stato calcolato che
un trattamento ottimale della nefropatia diabetica (rispetto ad
uno subottimale) consente una riduzione del rischio di progres-
sione ad ESRD del 20% circa e che per ogni anno libero da tratta-
mento sostitutivo il risparmio per il sistema sanitario si aggira al-
l’incirca sui 20-25.000 euro a paziente. A questo si aggiungano i
risparmi economici relativi alla riduzione della morbi-mortalità
da cause cardiovascolari ottenibile con l’implementazione di mi-
sure terapeutiche addizionali in questa tipologia di pazienti. Da
un punto di vista morale e sociale, ovvero in termini di migliora-
mento della qualità di vita, i vantaggi di una migliore gestione
della nefropatia diabetica, e più in generale delle complicanze
diabetiche, sono evidenti e probabilmente incalcolabili. n ML
possono essere considerate dei veri e propri navigatori. Seguen-
doli, si sa di non sbagliare e di raggiungere l’obiettivo che, nel
nostro caso, è la gestione (e la riduzione) del rischio cardiometa-
bolico.
L'algoritmo è uno strumento importante per migliorare
l'appropriatezza e quindi la sostenibilità delle malattie
cardiometaboliche in generale e, in particolare, del dia-
bete. Questo significa che i risultati attesi non sono mi-
surabili solo sui pazienti diabetici di oggi ma anche su
quelli che non diventeranno diabetici proprio grazie al-
l’impiego dell’algoritmo?
Ogni anno in Italia vi sono più di 70.000 ricoveri per diabete
principalmente dovuti a complicanze cardiovascolari quali infar-
to del miocardio, ictus cerebrale, insufficienza renale e amputa-
zioni degli arti inferiori. Le persone con diabete sono responsa-
bili di un consumo di risorse sanitarie 2,5 volte superiore rispet-
to a quello delle persone non diabetiche di pari età e sesso, con
una spesa totale stimata dall’International Diabetes Federation
nel 2010 per l’Italia pari a 11 milioni di dollari e una previsione di
crescita entro il 2030 di oltre il 14%. Attualmente il diabete occu-
pa il secondo posto tra le patologie per i più alti costi diretti. In
assenza di complicanze, questi sono pari a circa 800 euro/anno a
persona, mentre in presenza di complicanze possono variare tra
i 3000 e i 36.000 euro/anno a persona. L’impatto sociale del dia-
bete si avvia, quindi, a essere sempre più difficile da sostenere
per la comunità, in assenza di un’efficace prevenzione primaria e
secondaria.
L’impiego dell’algoritmo potrebbe consentire una più efficace
strategia di prevenzione primaria e di diagnosi precoce della ma-
lattia diabetica nelle persone a rischio e di intervento terapeuti-
co mirato alla prevenzione e alla cura delle malattie cardiova-
scolari associate al diabete. n ML
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Dossier
I DIABETOLOGI
Una mappa gestionaledelle persone con diabete
A colloquio con Giorgio Sesti1 e Andrea Giaccari21Professore Ordinario di Medicina Interna presso il Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università degli Studi ‘MagnaGraecia’, Catanzaro; 2Professore Associato Diabetologiae Endocrinologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Rischio cardiometabolico e diabete: che relazione esiste
tra i due?
Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che nelle per-
sone con diabete la prevalenza delle complicanze macrovasco-
lari (infarto del miocardio, ictus, vasculopatia periferica) è au-
mentata da 2 a 4 volte rispetto alla popolazione non diabetica,
così come la mortalità associata con tali complicanze. Nello svi-
luppo di una strategia terapeutica per il diabete di tipo 2 va ri-
cordato che l’iperglicemia non si presenta isolata, ma fa parte
integrante di una costellazione d’alterazioni metaboliche che
comprendono dislipidemia, ipertensione arteriosa, obesità cen-
trale, alterazioni dell’assetto emocoagulativo, che tendono a
manifestarsi nello stesso paziente e concorrono a incrementare
il rischio cardiovascolare.
In che modo il paziente diabetico può trarre beneficio
dalla disponibilità dell’algoritmo diagnostico-terapeuti-
co per la gestione del rischio cardiometabolico?
L’alta prevalenza e la sempre maggiore difficoltà di cura rendono
indispensabile l’inserimento della persona con diabete in un
percorso diagnostico-terapeutico integrato fra il medico di medi-
cina generale e lo specialista diabetologo. Questo percorso con-
diviso, tuttavia, può presentare talvolta delle difficoltà organiz-
zative o interpretative che ne rendono difficile l’applicazione.
L’algoritmo proposto risponde perfettamente a questa necessità,
riportando con precisione e accuratezza i principali passaggi del-
la cura del diabete. Nella sua corretta applicazione il medico di
medicina generale ha un perfetto controllo gestionale del pa-
ziente, permettendo allo specialista diabetologo una maggiore
efficacia terapeutica. Se rimane teorico, tuttavia, l’algoritmo ri-
sulta complesso, e sia il medico di medicina generale sia lo spe-
cialista possono ‘perdersi’ nel tentativo di seguirlo. Da qui l’idea
di creare una ‘mappa’. Se ci pensa bene, il modo migliore per
non perdersi in una città che si conosce poco è avere una map-
pa. L’algoritmo proposto rappresenta una mappa gestionale del-
le persone con diabete. E le versioni elettroniche (su PC o iPad)
IL MEDICO DI MEDICINA INTERNA
Fruibilità dell’algoritmoe pratica clinica
A colloquio con Enzo ManzatoProfessore di Medicina Interna, Università di Padova
Diabete, colesterolo e ipertensione: questi i killer del
cuore degli italiani. Eppure solo in pochi si curano in
modo adeguato. L’algoritmo aiuterà a cambiare le cose?
Certamente sì. L’algoritmo sarà uno stimolo e un aiuto per l’in-
ternista, anche quando (e succede sempre più spesso) deve svol-
gere il ruolo di geriatra.
Lo stimolo che l’algoritmo produce sta nel presentare in modo
analitico, per quanto riassuntivo, tutta la gamma dei principali
fattori di rischio cardiovascolare ad oggi noti, e quindi costitui-
sce per il medico una specie di griglia di valutazione per non di-
menticare nessuno di questi fattori di rischio. L’algoritmo si pre-
senta anche come un aiuto nelle scelte terapeutiche che riguar-
dano proprio la cura di diabete, ipercolesterolemia e ipertensio-
ne con l’obiettivo di fare la migliore prevenzione cardiovascolare
oggi possibile.
Negli ultimi anni si è registrato un aumento importante
di medici che navigano in internet per scopi professio-
nali o che utilizzano il web durante le loro visite con i
pazienti. Sono aumentati sensibilmente anche gli utiliz-
zatori di device tecnologici come smartphone e tablet. I
canali di comunicazione e diffusione dell’algoritmo sono
CARE 4, 2012
20
Dossier
al passo con i tempi e quindi in grado di garantire una
facile fruibilità dello stesso?
La fruibilità dell’algoritmo dipende molto dalle preferenze del me-
dico. Il medico che si trova a proprio agio con la documentazione
cartacea, e che per questo usa poco o per nulla lo strumento elet-
tronico (dal computer fino ai più sofisticati smartphone e tablet),
trova nella versione stampata classica dell’algoritmo una guida di
lettura estremamente facile e intuitiva. Per il medico ‘elettronico’
l’algoritmo può essere proposto in molti modi, alcuni dei quali
non molto sviluppati attualmente. Ottima è la semplice riprodu-
zione su smartphone o tablet dell’algoritmo nella sua versione
‘statica’, quella più simile alla versione stampata. Ma nei supporti
elettronici l’algoritmo si presta molto bene per sviluppare approc-
ci specifici, inserendo i dati del singolo paziente e ottenendo ri-
sposte in termini di suggerimenti diagnostici e terapeutici.
In che modo la disponibilità e fruibilità dell’algoritmo
ha cambiato e cambierà la pratica clinica quotidiana?
Le modificazioni in senso migliorativo della pratica clinica quoti-
diana saranno di sicuro favorite dall’algoritmo, perché il medico
sarà costretto ad aderire in modo molto più preciso alle indica-
zioni delle linee guida. Questa affermazione si basa sul fatto che
l’algoritmo è stato costruito utilizzando le più recenti linee guida
nell’ambito della prevenzione cardiovascolare formulate da di-
verse società scientifiche. Avere condensate in un unico stru-
mento le diverse linee guida provenienti dalla diabetologia, dalla
lipidologia e dalla cardiologia permetterà al medico di avere la
certezza che con l’uso dell’algoritmo il suo approccio alla pre-
venzione cardiovascolare sarà scientificamente documentato ed
aggiornato. n ML
Diabete e malattie cardiovascolaridi Francesco Cosentino e Francesco Paneni
Molti sono gli spunti interessanti, le ricadute cliniche e le implicazioni prognostico-terapeutiche che possono essere sottolineate in questo lavoro, in cui spiccano, oltread un efficace ed esaustivo aggiornamento sul ruolo del diabete mellito,interessanti sezioni sul ruolo dell’obesità, delle disglicemie e della sindromemetabolica. Credo che quest’opera contribuirà efficacemente alle conoscenze del medico che ne farà uso e ancor più potrà costituire un punto di riferimento in una condizione clinica così importante, anche in virtù dell’ampia ed aggiornatabibliografia.
Dalla prefazione di Massimo Volpe
www.pensiero.it Numero verde 800-259620
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21
Dossier
IL FARMACOLOGO
Algoritmo e compliance
A colloquio con Alberto CorsiniOrdinario di Farmacologia, Dipartimento di Scienze Farmacologiche,Università degli Studi, Milano
Come può un algoritmo incidere sulle cattive abitudini
degli italiani rispetto alle terapie?
Perché gli semplifica la vita, ma soprattutto perché dà al paziente
la certezza che la strada intrapresa è la migliore possibile. Non la-
scia spazio a dubbi o a interpretazioni. Ma non solo: fissando an-
che i tempi entro i quali ottenere gli obiettivi prefissati, in caso di
esito negativo, permette poi di cambiare terapia per far sì che si
raggiungano prima i risultati sperati. La terapia giusta il prima pos-
sibile: è questo quello che si ottiene con l’algoritmo. Se ad un pa-
ziente si offre la terapia più appropriata che in tempi rapidi porta
al raggiungimento degli obiettivi, sarà più facile educarlo al con-
cetto che quella terapia è cronica e dovrà assumerla per tutta la
vita. Al contrario, un paziente che non vede il raggiungimento de-
gli obiettivi o che ha il sospetto che il suo medico non gli stia pro-
ponendo la terapia più corretta è un paziente a rischio ‘fai da te’.
Come fa un paziente a essere sicuro che quella strada
terapeutica sia la migliore?
Il medico deve condividere con il paziente l’algoritmo. Se un pa-
ziente sa che il proprio medico si sta attenendo scrupolosamente
a un documento frutto di un lavoro ricco di evidenze scientifiche
e condiviso, si sentirà sicuramente tranquillizzato e sarà portato
a non modificare le prescrizioni. L’aderenza alle terapie è uno
dei nodi cruciali nel trattamento delle malattie cardiovascolari
metaboliche: perché non basta raggiungere i target, bisogna
mantenerli.
Quali sono le indicazioni terapeutiche che vengono dal-
l’algoritmo?
Innanzitutto una considerazione generale. I fattori in campo sono
molti e tutti da tenere sotto controllo con grande attenzione: disli-
pidemia, ipertensione arteriosa, diabete sono spesso concomitanti
in un paziente. Tutti necessitano di un intervento che deve essere
inquadrato in una visione di insieme, anche dal punto di vista del
percorso terapeutico e non solo diagnostico. Fatta questa premes-
sa le diverse indicazioni sono legate ai differenti quadri clinici, e
quindi agli step nei quali è articolato l’algoritmo.
Primo gradino: il soggetto sano con qualche cattiva abi-
tudine...
Non c’è indicazione terapeutica, ma molti buoni consigli: non fu-
mare, fare attività fisica (bastano 30 minuti di marcia energica
almeno 4 volte a settimana), una dieta normosodica, con pochi
grassi animali, molta frutta, verdura e grassi insaturi.
Secondo step: un soggetto con uno o più fattori di ri-
schio ma senza diabete...
Qui lo scenario si fa più articolato. Se il paziente non ha diabete
mellito e/o non ha alle spalle un evento cardiovascolare, l’inter-
vento terapeutico si concentra sul trattamento dell’ipertensione
e della dislipidemia, visto che si tratta di due fattori di rischio car-
diovascolare metabolico clinicamente rilevanti. La scelta del far-
maco antipertensivo dipende da diverse situazioni, ognuna delle
quali messa in evidenza dall’algoritmo. L’obiettivo della terapia è
quello di raggiungere e mantenere i livelli target di pressione si-
stolica e diastolica entro sei settimane, termine oltre il quale biso-
gna prendere in considerazione una terapia di associazione.
E per quanto riguarda la terapia delle dislipidemie?
Viene suggerito l’uso di statine, fissando anche gli obiettivi da
raggiungere per quanto riguarda i valori target del colesterolo-
LDL a seconda che ci sia o meno una storia di cardiopatia ische-
mica o di diabete. La terapia con statine deve in ogni caso tenere
conto della valutazione dose/beneficio e del rischio globale: per
questo nell’algoritmo è presente uno schema per individuare con
chiarezza il farmaco più appropriato, nel quale sono indicate an-
che le riduzioni attese di colesterolo-LDL in base al tipo di statina
e al dosaggio. L’obiettivo della terapia con statine è quello di rag-
giungere e mantenere i livelli target di colesterolo-LDL entro sei
settimane, termine oltre il quale è opportuno prendere in consi-
derazione una terapia di associazione. È evidente che, nel caso in
cui quel paziente avesse alle spalle un evento cardiovascolare,
andrà associata una terapia appropriata.
Ed infine, il terzo step: quello dei pazienti con diabete...
Si tratta di interventi terapeutici multi-step, che variano molto a
seconda delle situazioni. La prima azione è quella sullo stile di
vita per tre mesi e il conseguimento dei valori target sia per la
pressione arteriosa che per il colesterolo-LDL; nel caso del man-
cato raggiungimento di livelli desiderati di emoglobina glicata si
interviene con metformina fino ad associare altre terapie se an-
che questa seconda azione non si rivelasse efficace. n ML
L’algoritmo segna una svolta, un nuovo approccio al paziente
con rischio cardiovascolare o già nel tunnel della patologia car-
diovascolare-metabolica, organizzando e ottimizzando tutte le li-
nee guida internazionali sul tema.
Cosa significa ottimizzazione delle linee guida interna-
zionali?
Abbiamo analizzato tutti gli aspetti per vedere cosa ci fosse in
comune, cosa no e cosa fosse in contraddizione, e risolto ogni
possibile criticità. Abbiamo messo al centro il paziente e siamo
riusciti a far convergere su di lui tutte le linee guida realizzando
un vero e proprio percorso da seguire. Siamo partiti dalla fram-
mentazione della visione del paziente – data dalle specializzazio-
ni – per ottenere una visione d’insieme. Il percorso diagnostico-
terapeutico assistenziale messo a punto è di facile consultazione,
semplice, chiaro, in grado di riassumere i percorsi diagnostici ma
anche gli obiettivi terapeutici e le strategie di cura della persona
a rischio cardiovascolare metabolico.
Parliamo di costi. L’ottimizzazione della spesa sanitaria
nazionale è una priorità. Come si colloca l’algoritmo in
questo contesto?
Le malattie cardiovascolari incidono fortemente sulla spesa sani-
taria nazionale. Restano la principale causa di morte nel nostro
Paese visto che sono responsabili del 44% di tutti i decessi. E
quando non portano alla morte segnano notevolmente la qualità
di vita e quindi diventano un costo anche per la collettività, basti
pensare che rappresentano il più importante motivo di disabilità
fra gli anziani.
Un italiano su quattro – è l’ISTAT a dirlo – è affetto da malattie
cardiovascolari. Tutto questo dà un’idea di quanto incidano sulla
spesa sanitaria. L’adozione dell’algoritmo agisce su più fronti. In-
nanzitutto occupandosi dei soggetti sani fa sì che si allontani il
più possibile la comparsa di problemi cardiovascolari: consigli a
costo zero che comportano un risparmio in prospettiva. Poi c’è
la corretta gestione degli esami diagnostici: fare analisi appro-
priate nel momento appropriato, senza inutili sovrapposizioni e
ripetizioni. Anche qui c’è un risparmio immediato e un risparmio
prospettico se si pensa alla gestione delle liste d’attesa. E anco-
ra, la definizione della migliore strategia terapeutica da adottare
sia nei confronti dell’ipertensione arteriosa e della dislipidemia
che del diabete mellito, incide sensibilmente sulla spesa sanita-
ria comportando un risparmio almeno del 20%.
Oggi circa 60 milioni di euro finiscono in terapie, alcune delle
quali non mirate o inadeguate, comportando tempi più lungi per
il raggiungimento dell’obiettivo target e senza assicurare il man-
tenimento dei risultati. n ML
IL FARMACOECONOMISTA
Ottimizzazione: la parolachiave dell’algoritmo
A colloquio con Ezio Degli EspostiMedico nefrologo, Ravenna
Dottore, dovendo descrivere con una sola parola l’algo-
ritmo per la prevenzione del rischio cardiovascolare e
metabolico, quale sceglierebbe?
Di sicuro ‘ottimizzazione’. L’algoritmo, infatti, si propone di:
1. ottimizzare il percorso diagnostico per definire rapidamente –
e con maggiore efficacia – il profilo di rischio del paziente;
2. ottimizzare l’approccio terapeutico per portare a target il pa-
ziente in tempi rapidi assicurandone anche il mantenimento;
3. ottimizzare i costi della gestione sanitaria attraverso una cor-
retta allocazione delle risorse.
Dossier
22CARE 4, 2012
L’ASSOCIAZIONE DEI PAZIENTI
Un approccio che poneal centro il paziente
A colloquio con Raffaele ScalponePresidente dell’Associazione Italiana per la Difesa degli Interessi dei Diabetici
L’algoritmo diagnostico-terapeutico è frutto di un Tavolo
Tecnico che ha coinvolto anche l’Associazione dei pazienti.
Quali i vantaggi di un coinvolgimento attivo dei pazienti?
Il vantaggio di aver coinvolto attivamente l’Associazione dei pa-
zienti con diabete ha generato un valore aggiunto di notevole lu-
stro alla stesura dell’algoritmo. Questo perché il lavoro svolto
insieme ha reso il risultato finale condiviso a monte dai fruitori
finali del prodotto stesso cioè i pazienti con diabete. Il coinvolgi-
mento dell’Associazione alla stesura del documento clinico ha
reso l’algoritmo più vicino al paziente nella clinica medica di tut-
ti i giorni; da oggi in poi il paziente non subirà passivo il dictat
della linea guida, ma potrà usufruirne in maniera condivisa con
il proprio medico curante.
L’algoritmo è stato presentato come un nuovo approccio
alle patologie cardiovascolari metaboliche; un approccio
che pone il ‘paziente al centro’. Condivide questa defini-
zione?
Assolutamente sì. L’algoritmo è uno strumento potentissimo non
solo a ‘fotografare’ il paziente, ma anche a proiettarlo verso il
suo possibile futuro.
Tutti sappiamo che molti dei fattori di rischio cardiovascolare
sono modificabili con uno stile di vita appropriato o con terapie
efficaci. E tutti sappiamo che, se non mettiamo in atto delle
‘correzioni’ in tempo utile, il rischio di entrare nel tunnel delle
malattie cardiovascolari metaboliche è altissimo. Soprattutto in
presenza di fattori di rischio non modificabili come l’età e il ge-
nere. Ma quanti sono i pazienti che, pur sapendo tutto questo,
se ne preoccupano? Ancora troppo pochi, e lo dimostra il fatto
che spesso anche quelle semplici correzioni di stile di vita – ali-
mentazione, fumo e attività fisica – vengono disattese. Per non
parlare della compliance terapeutica. La schematizzazione del
percorso fa sì che anche per il paziente sia più semplice capire
cosa rischia se non si responsabilizza. Ma non solo: il paziente è
in grado di capire, passo dopo passo, quale percorso stia se-
guendo il medico.
Alla luce di ciò, ritiene sia importante la condivisione
dell'algoritmo tra medico e paziente?
L’algoritmo fissa tappe e obiettivi che possono essere più facil-
mente condivisi tra medico e paziente, anche in virtù di una
semplice, ma non per questo meno efficace, schematizzazione
del percorso diagnostico-terapeutico così come definito nelle li-
nee guida internazionali. Se il paziente comprende meglio il per-
corso di diagnosi e cura sarà sicuramente più compliant con ovvi
positivi risvolti in termini di salute. n ML
Dossier
23CARE 4, 2012
Consulta le parole chiave di
Uno strumento in continuo aggiornamento
www.careonline.it
La musica non è solo fatta di note,
ma piuttosto dello spazio tra le note.
Claude Debussy citato da DP Stevens1
Senza coinvolgimento non c’è dedizione.
Segnatelo e sottolinealo per non dimenticartene.
Senza coinvolgimento, non c’è impegno.
Stephen R. Covey
Introduzione
Nei servizi sanitari è crescente l’attenzione dedicata ai
processi connessi al trasferimento dei pazienti (tra strutture e
unità operative) e al conseguente affido degli stessi a colleghi
o altre équipe professionali, ma anche alle implicazioni legate
al cambio di turno degli operatori nell’operatività quotidiana.
L’aumento di eventi avversi e disagio relazionale tra operatori,
dovuto a comunicazione carente e incomprensioni
nell’operatività, sono sintomi di un problema emergente di
comunicazione, riconducibile a molteplici cause, tra cui la
crescente complessità delle cure e il relativo incremento del
numero di competenze attribuite, strutture e professionisti
coinvolti. Le conseguenze in termini di danno per i pazienti,
malessere organizzativo del personale, costi per le strutture,
hanno stimolato negli ultimi anni l’impegno di operatori e
ricercatori nell’analisi dell’attività ‘affidamento del paziente’,
dei problemi che possono insorgere e delle relative cause, e
nella ricerca di soluzioni efficaci ed efficienti. Tra queste
ultime, la standardizzazione e l’uso di strumenti informatici
possono costituire un aiuto, ma non sostituire lo scambio di
informazioni tra ‘persone’ operatori/professionisti. Far
partecipare il paziente a questa attività, come suggerito da
molte autorità del settore, richiede specifiche modalità e
competenze.
Scopo dell’articolo è quello di richiamare l’attenzione sul
problema e fornire un quadro di riferimento; saranno pertanto
richiamati solo alcuni degli innumerevoli articoli pubblicati sul
tema negli ultimi anni, rinviando il lettore ad approfondimenti
nelle specifiche rassegne bibliografiche.
Va segnalato innanzi tutto al lettore che in inglese vengono
utilizzati diversi termini per indicare tale attività, tra cui:
handoff, handover, sign-out, nursing report, che si
differenziano per l’enfasi posta sul contenuto, come
nell’ultimo termine citato, o sul passaggio delle responsabilità
(sign-out), o del controllo (hand-off).
Consegna clinica ed informativa
La consegna clinica si riferisce al trasferimento delle
responsabilità/accountability (presa in carico e responsabilità)
per alcuni aspetti della cura di un paziente, o gruppo di
pazienti, a un’altra persona o gruppo professionale per un
periodo o per sempre2.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità – Alliance for Patient
Safety – nel 2007 ha diffuso una specifica soluzione
Communication during patient handovers, in cui viene
sottolineato che il processo di trasmissione delle informazioni
relative al paziente da un operatore all’altro, da un team
all’altro o dagli operatori al paziente e alla famiglia, ma anche
tra strutture sanitarie e con le residenze protette, ha lo scopo
di assicurare la continuità della cura e la sicurezza. Viene
enfatizzata l’importanza di tale passaggio, in relazione alla
sua frequenza in molti ambiti del percorso di cura: accesso
alle cure primarie, passaggio da un medico all’altro, cambio di
turno degli infermieri, trasferimento da una unità operativa o
struttura a un’altra, passaggio dal Pronto Soccorso al reparto,
dimissione verso il domicilio o altra struttura residenziale, e
pertanto si sottolinea che è necessario farsene carico
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HANDOVER: IL PASSAGGGIO DELLE CONSEGNE CHIAVE DELLA SICUREZZA
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adottando una specifica metodologia.
Secondo Jeffcott e colleghi3, le componenti da considerare
sono: informazioni trasmesse, responsabilità/accountability,
sistema. Queste componenti vanno valutate in relazione alle
politiche, alla pratica e alla valutazione effettuate. All’interno
del processo della consegna clinica è particolarmente
importante la componente relativa alla “consegna
comunicativa”, ossia la trasmissione delle informazioni
clinico-assistenziali relative al paziente; infatti numerosi studi
hanno evidenziato che questo passaggio è critico e causa di
possibili lacune operative.
Scambi informativi e pratica clinica
Gli studi sul rapporto tra “scambio tra operatori” e
“conseguenze per i pazienti” sono moltissimi, come
evidenziato nelle numerose rassegne, tra cui si citano quelle di
Riesenberg e altri4, Raduma-Tomas e altri5, Australian Council
for Safety and Quality in Healthcare6, e nei risultati del
progetto finanziato dall’Unione europea “Handover -
Improving the continuity of patient care through
identification and implementation of novel patient handoff
processes in Europe”. Ci si limita in questa sede a richiamare
alcuni studi per inquadrare il problema.
Uno studio di Borowitz7 e colleghi in pediatria ha messo in
luce lacune informative in 158 situazioni su 196 (81%)
individuate, e nello specifico: in 49 situazioni su 158 (31%) è
accaduto qualcosa per cui i medici non erano preparati, 40
medici su 49 non avevano ricevuto le informazioni necessarie,
in 33 casi su 40 la criticità avrebbe potuto essere prevista. È
risultata significativa la differenza di giudizio sulle consegne
avvenute nei casi in cui era accaduto qualcosa. Non vi erano
comunque differenze significative rispetto all’influenza di:
carico di lavoro, numero di pazienti, numero di ammissioni
durante il turno, trasferimenti alle cure intensive, copertura
anche in altri reparti, conoscenza dei pazienti in carico.
Sexton e colleghi8 hanno analizzato in un reparto di medicina
le consegne infermieristiche scritte nello scambio tra tutti i
turni di personale ed hanno riscontrato che:
l l’84,6% delle informazioni fornite era già incluso nella
documentazione;
l il 9,5% delle informazioni non era rilevante per la
cura/assistenza;
l il 5,9% dei contenuti, rilevante per la cura o gestione
dell’unità operativa, non poteva essere riportato nella
documentazione esistente.
Witheringon e colleghi9 hanno riscontrato nella loro indagine
sui pazienti geriatrici che nel 54% dei pazienti rientrati in
ospedale entro 28 giorni dalla dimissione vi erano state
carenze nella comunicazione al momento della dimissione. In
uno studio sui problemi percepiti a seguito del passaggio delle
informazioni sui pazienti, Arora e colleghi10 hanno intervistato
26 medici che si prendevano cura di 86 pazienti dopo che
avevano ricevuto le relative informazioni da un collega. I
risultati delle interviste hanno evidenziato 25 piccoli
incidenti, tutti dovuti a problemi di comunicazione, e 21
eventi più gravi. L’omessa o insufficiente comunicazione aveva
portato a difficoltà nell’assunzione di decisioni, con
conseguente cura carente o ridondante, come per esempio la
ripetizione di esami.
Boutilier11 ha riscontrato che il 50% degli infermieri è
preoccupato di non ricevere tutte le informazioni e il 42%
pensa che le distrazioni portino a comunicazioni non corrette.
Curry e Oak12 hanno identificato, attraverso audit delle
consegne in ortopedia e chirurgia, che lo scambio veniva
effettuato nel 20% dei casi nella stanza dei pazienti, durava
in media 20 minuti e nel 60% delle situazioni veniva utilizzata
anche la documentazione.
Nell’indagine annuale sulla cultura della sicurezza negli
ospedali degli Stati Uniti d’America, la Agency for Healthcare
Research and Quality13 ha riscontrato che si verificava perdita
di informazioni nel 49% dei casi. Coiera14 ha rilevato
interruzioni ed impegno in più compiti contemporaneamente
(multitasking) nel 31% delle situazioni. Tra le cause di una
consegna carente, Patterson e colleghi15 evidenziano
nell’indagine da loro effettuata i seguenti fattori:
l scarsa consapevolezza circa dati o problemi;
l insufficiente preparazione per gestire le conseguenze di
problemi emersi in precedenza;
l incapacità di prevedere gli eventi futuri;
l scarsa preparazione per la gestione dei compiti assegnati.
Emerge quindi un quadro in cui il processo della consegna
clinica non è chiaramente definito, i sistemi informativi
risultano carenti, le conoscenze insufficienti e vi è scarsa
comprensione del contesto. Riesenberg e colleghi16 rilevano
inoltre problemi di lingua, scritture illeggibili, scarsa
comunicazione e sostegno tra infermieri, condizionamento
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dovuto alla struttura gerarchica, scarsa comunicazione tra
medici e infermieri. Axley17 ha segnalato aspetti importanti
per la comprensione dei meccanismi legati alla consegna,
ossia l’utilizzo nel linguaggio di metafore, l’inserimento di
pensieri e sentimenti che impongono all’ascoltatore di
‘ripulire’ mentalmente il testo per coglierne il senso, la
difficoltà di esprimere con parole il significato presente nelle
menti delle persone.
Vanno inoltre considerati i diversi stili di comunicazione, le
interruzioni, l’insufficiente standardizzazione delle modalità e
dei contenuti da trasmettere, la carenza di informazioni. Nel
caso venga incluso il paziente, va considerato il suo livello di
competenza linguistica sanitaria18, ossia la capacità di
ottenere, processare e comprendere le informazioni e i servizi
necessari per assumere le decisioni appropriate riguardo alla
propria salute19 e vanno quindi utilizzate le tecniche ‘Teach
back’ (‘Insegna ora a me’) e ‘Show me’20 (‘Mostrami’).
Finalità della consegna comunicativa
Joint Commission21 definisce come scopo della consegna
quello di fornire informazioni sulla cura del paziente, sul
trattamento e sui servizi, sulle sue condizioni attuali e su ogni
cambiamento prevedibile. La comunicazione deve essere
accurata per garantire la sicurezza del paziente.
Le potenzialità riconducibili alla consegna comunicativa sono
almeno le seguenti:
l condivisione delle informazioni;
l continuità della cura;
l protezione del paziente;
l apprendimento cooperativo;
l sviluppo della collaborazione nel gruppo;
l sostegno per i membri dell’équipe;
l esplicitazione di conoscenze ed esperienze, e quindi,
formazione continua tra colleghi.
Inoltre, lo scambio verbale consente di verificare e riformulare,
integra informazioni con gli aspetti non verbali del
comportamento, aiuta l’operatore ad avere in brevissimo
tempo la situazione in mano, facilita le funzioni
macrocognitive: riconoscimento del problema, analisi,
attribuzione di significato, pianificazione. Il processo della
consegna va analizzato anche rispetto alle seguenti
caratteristiche:
l processi mentali e conoscenze delle persone che
trasmettono e ricevono;
l caratteristiche personali: percezione, attenzione,
memorizzazione, ritenzione;
l caratteristiche dell’équipe;
l cultura organizzativa e cultura per la sicurezza del paziente.
Partendo da una revisione della letteratura, Patterson e
Wears22 hanno identificato otto differenti funzioni della
consegna informativa, che sono:
l trasmissione delle informazioni (funzione prevalente);
l descrizione che evidenzia le situazioni differenti rispetto
alla pratica routinaria (paziente allergico all’antibiotico in
uso nel reparto);
l resilienza, che fa emergere dallo scambio conversazionale
assunzioni e azioni erronee;
l accountability, che enfatizza il trasferimento di
responsabilità e autorità;
l interazione sociale, che crea condivisione, specie dei
significati;
l cognizione condivisa, che gestisce i cambiamenti per il
gruppo di lavoro connessi al trasferimento di un nuovo
operatore; tale passaggio può avere tempi diversi e richiede
trasparenza, comunicazione reciproca e coordinamento;
l norme culturali, ossia la negoziazione e il mantenimento nel
tempo dei valori e delle norme del gruppo.
Contenuti e modalità
Le informazioni trasmesse attraverso la consegna possono
riguardare:
l condizioni del paziente e cambiamenti avvenuti;
l trattamenti in corso e relative modifiche;
l complicazioni che potrebbero subentrare;
l esigenze particolari del paziente e della famiglia.
Zach e altri23 suggeriscono di non trasmettere solo
informazioni ma problemi, ipotesi e possibili conseguenze;
Kihlgrhen e colleghi24 indicano l’importanza di fornire
materiale scritto a sostegno dello scambio verbale dell’équipe,
che deve essere adattato al contesto, e di effettuare una
verifica periodica delle consegne, ma anche di accertare la
cultura della sicurezza presente nel team.
Arora e colleghi10 hanno proposto una tassonomia della
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comunicazione per una consegna di qualità. Se ne riportano
alcuni contenuti a livello esemplificativo:
l povera - efficace;
l omissione di contenuti - consegna scritta;
l prescrizioni farmacologiche e trattamenti - notizie sul
paziente;
l esami o consulenze - codice della situazione (leggibile);
l problemi clinici - problemi che si prevede possano
subentrare, esami richiesti;
l carente comunicazione di persona - comunicazione di
persona:
- pertinente;
- minuziosa;
- con verifica della comprensione;
l scrittura illeggibile o poco chiara - scrittura chiara
inequivocabile.
Strategie per migliorare il passaggio delle consegne
Gli approcci messi a punto negli ultimi anni per migliorare la
consegna, elaborati sulla scorta delle conoscenze prodotte
anche in ambiti non sanitari15, sono molteplici, anche se gli
studi sull’efficacia delle diverse proposte sono ancora limitati.
Riesenberg e collaboratori16, nella revisione della letteratura
infermieristica effettuata nel 2010, evidenziano che,
nonostante siano chiari a tutti gli effetti di una consegna
insufficiente, non sono stati effettuati studi sui suoi risultati,
in grado di evidenziare i fattori di sistema, le performance
degli operatori e l’efficacia di protocolli e interventi
strutturati. Wayne e colleghi25 giungono a conclusioni
analoghe, sottolineando l’esigenza che venga sviluppata la
ricerca sui processi di implementazione della consegna e
sull’efficacia di metodi e strumenti.
Sulla base delle esperienze dei team di formula 1, Catchpole e
colleghi26 sottolineano la necessità che vi siano:
l apprendimento proattivo con briefing e checklist per
prevenire gli errori;
l una gestione attiva, con l’utilizzo anche di tecnologie per
trasferire l’informazione;
l apprendimento dalla revisione dei dati memorizzati, in
modo da migliorare continuamente il processo.
Patterson27 richiama l’esigenza di considerare le seguenti
condizioni quando si standardizza:
l tutte le decisioni richiedono una discussione sui diversi
obiettivi;
l imporre uno standard semplice per processi complessi non
porta a semplicità;
l è necessario tarare gli strumenti sulla specifica situazione;
l la gente adatta le procedure nel tempo ai feedback che
riceve;
l la comunicazione non è una funzione, ma uno strumento
per molteplici funzioni, in un lavoro che è necessariamente
distribuito;
l i team con una performance elevata comunicano meno, ma
maggiormente in forma proattiva di quelli con risultati
inferiori.
La Colorado Physician Insurance Company (COPIC) fornisce
invece le seguenti indicazioni:
l creare una checklist specifica standardizzata per ogni tipo
di consegna, che può includere: diagnosi principale,
procedure recenti, terapia farmacologica, esami che devono
essere fatti/risultati attesi;
l limitarsi alle informazioni importanti;
l preferibilmente comunicare con il collega anche di persona;
l limitare le interruzioni;
l evitare messaggi lunghi e accertarsi che tutte le persone
che devono sapere, acquisiscano effettivamente quella
conoscenza;
l adottare un unico stile di comunicazione in tutta
l’istituzione;
l identificare possibili complicazioni e strategie “se/allora”;
l chiedere un “leggi-di nuovo“ per verificare che le
informazioni siano state ricevute e comprese.
Tra i vantaggi della standardizzazione, Patterson (citato)
sottolinea l’opportunità, nel predisporre la stessa, di rivedere
il processo in cui il lavoro viene normalmente svolto, oltre al
fatto che, quando implementati, le regole ed i contenuti della
interazione non devono più essere negoziati, assicurando
quindi maggiore efficienza e affidabilità. L’elemento
fondamentale è la flessibilità, progettare per lo specifico
contesto, adottare strategie per i casi diversi da quelli
routinari, fornire la possibilità di offrire diverse priorità nei
casi in cui ve ne fosse la necessità. Tra gli aspetti critici,
segnala che la comunicazione non strutturata permette di
veicolare ‘storie’, e quindi facilitare il riconoscimento da parte
degli operatori del significato delle informazioni trasmesse, la
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comprensione del problema e la conseguente pianificazione.
Come evidenziato da Clark e colleghi28, l’introduzione di
strumenti deve essere accompagnata da una adeguata
formazione, anche nella forma dell’action learning, oltre che
sullo strumento utilizzato, sulla comunicazione assertiva, ma
anche, nella formazione medica, come sottolineato da
Philibert29, sulla capacità di discernere gli aspetti critici che
possono emergere rispetto alle condizioni del paziente,
prevedendone anche l’evoluzione, di segnalarli ai colleghi e di
accogliere a propria volta con consapevolezza le eventuali
segnalazioni che dovessero pervenire.
La progressiva informatizzazione dei processi offre una
importante opportunità di revisione dell’operatività corrente,
ma deve essere effettuata analizzandone l’impatto. Motamedi
e colleghi30 hanno informatizzato la consegna per la
‘dimissione’ evidenziando molteplici benefici.
Un aspetto che ha una applicazione molto diversa nelle varie
realtà al momento attuale è quello del coinvolgimento del
paziente. I vantaggi della consegna al letto del paziente, con
il suo coinvolgimento, sono i seguenti:
l personalizzazione;
l molteplicità e ricchezza delle informazioni;
l assistenza collaborativa;
l empowerment del paziente.
Strumenti per rendere la consegna più efficace
Le sperimentazioni e i protocolli elaborati a livello
internazionale per rendere la consegna più efficace sono
moltissimi, anche perché non vi può essere un’unica soluzione
valida per tutte le situazioni, ma è necessario identificare lo
strumento più idoneo per la propria realtà; si riportano alcuni
strumenti a livello esemplificativo.
1. Le 5 PQuesto approccio, sviluppato al Sentara Health Care31,
esplicita le componenti della consegna come tradizionalmente
portata avanti:
I P: Paziente (nome, età, sesso, locazione);
II P: Pianificazione (diagnosi, trattamento, piano, prossime
fasi);
III P: Scopo (razionale della cura);
IV P: Problemi;
V P: Precauzioni.
2. Pass the BATONL’approccio “I pass the baton” (passo il bastone, letteralmente
si trattava di un bastone di plastica con le informazioni
essenziali del paziente) è stato introdotto al Trinity Medical
Center in Illinois e prevede le fasi riportate nella tabella a
pagina seguente.
3. SBARQuesta tecnica, centrata sui problemi28 e non sulle persone,
introdotta in origine per il passaggio di comando nei
sottomarini nucleari, è oggi quella più diffusa. Può essere
utilizzata in tutti i servizi, compreso il rapporto tra il medico
di medicina generale e il personale infermieristico a domicilio.
Si presta alla comunicazione faccia a faccia, telefonica,
scritta; sono infatti disponibili moltissimi moduli, nelle forme
più diverse, dal modulo con i soli titoli alla checklist. SBAR
assicura che tutti abbiano le medesime aspettative,
soprattutto nel caso di professioni diverse, ossia:
l cosa sarà comunicato;
l come viene strutturata la comunicazione;
l quali sono gli elementi necessari.
I contenuti della comunicazione sono i seguenti:
l Situazione - il problema;l Background - breve, mirato allo scopo;l Assessment/accertamento;l Raccomandazioni.
Una specificazione delle voci32 a livello esemplificativo è la
seguente:
l Situazione - il problema- Riferisci: il tuo nome e unità operativa
- Chiamo per: nome del paziente, stanza
- Il problema: il motivo per cui chiamo è…
l Background - breve, mirato allo scopo
- Data e diagnosi di entrata
- Dati anamnestici essenziali
- Sintesi trattamento fino al momento attuale
- Drenaggi/cateteri
l Assessment/accertamento - Informazioni pertinenti
oggettive e soggettive, cosa hai trovato, cosa pensi
- Dati parametri vitali
- Stato mentale
- Dolore
- Cambiamenti neurologici
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l Raccomandazioni - Cosa vuoi che venga fatto, ad esempio:- Esami?
- Trasferire il paziente?
- Cambiare trattamento?
- Venire a vedere il paziente?
- Parlare alla famiglia ed al paziente su...?
- Una consulenza?
- Se viene proposto un cambiamento nella terapia chiedi:
“Con quale frequenza?”
- Se non vi sono cambiamenti chiedi “Quando devo richiamare?”
4. ISBAR e ISOBARLe tecniche ISBAR e ISOBAR si compongono delle seguenti fasi
comunicative:
a. ISBARi. Introduzione
ii. Situazione (problema attuale)
iii. Background (breve, mirato)
iv. Accertamento (cosa hai trovato)
v. Raccomandazioni/richiesta
b. ISOBARI = Identificazione del paziente
S = Situazione e status
O = Osservazioni
B = Background e storia
A = Accertamento e azioni
R = Responsabilità e risk management
5. ISoBAR33
È una variante della checklist ISOBAR, costruita valutando
tutti gli strumenti utilizzati nelle unità operative, che
comprende informazioni essenziali relativamente alle seguenti
fasi:
I (IDENTIFY): Presenta te stesso e il tuo pazienteS (SITUATION): Perché stai chiamando? Descrivi brevemente ilproblema
o (OBSERVATIONS): Parametri vitali e valutazione clinicaB (BACKGROUND): Informazioni pertinenti sul pazienteA (AGREED PLAN): Cosa deve accadere? Accertamento dellasituazione
R (READ BACK): Fornisci chiarimenti e verifica che vi sia statacomprensione corretta delle informazioni fornite.
6. Hand me an ISOBARUna versione ancora diversa di ISOBAR è “Hand me an
ISOBAR”34, un protocollo standardizzato, le cui fasi sono:
1. HAND: preparati per la consegnaH Hey, è ora della consegna
A Assegna il personale per la continuità della cura al paziente
Parole chiave
SCHEMA DELL’APPROCCIO ‘I PASS THE BATON’
I Presentazione Le persone coinvolte si presentano, ruolo e attività
P Paziente Nome, codice, età, sesso e sede
A Accertamento Principali disturbi, parametri vitali e diagnosi
S SituazioneSituazione attuale e circostanze, livelli di certezza e incertezza, cambiamenti recenti e risposta ai trattamenti
S Preoccupazione per la sicurezzaValori critici degli esami e altri dati clinici, fattori socioeconomici, allergie e situazioni di allerta, per esempio, rischio cadute
the
B Background Comorbidità, episodi precedenti, terapia farmacologica in atto e storia familiare
A Azioni Azioni prese o richieste e relativo breve razionale
T Tempi Livelli di urgenza e tempi, priorità delle azioni
O RiferimentiChi è responsabile (infermiere/medico/team), comprese le responsabilità del pazientee dei familiari
N Da fare Cosa accadrà? Cambiamenti previsti? Qual è il piano? Piano contingente?
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N Identifica coloro che devono partecipare, quando e dove
D Documentazione
2. ME: organizza la consegnaM Accertati che tutti siano presenti
E Nomina un leader
3. AN (assicurati che tutti siano consapevoli della situazione)
A Allerta, attenzione e focalizzazione
N Notifica
4. ISOBAR (fornisci i dati relativi al paziente)
I Identificazione del paziente
S Situazione e stato
O Osservazioni sul paziente
B Background e storia
A Azioni, piano e responsabilità
R Responsabilità e risk management
7. PVITALÈ stato elaborato presso il Sydney South West Area Health
Service35. Questo approccio è utilizzato dagli infermieri al
letto del paziente e si sviluppa con i seguenti contenuti:
P: Presenta il paziente con nome, età e problemi attuali
V: Parametri vitali (con eventuale documentazione)
I: Input/Output - Bilancio dei liquidi
T: Trattamenti (effetti attesi) e diagnosi: frequenza e tipo di
osservazioni da effettuare (piano)
A: Ammissione o dimissione (qual è il piano?)
L: Documentazione e relativa completezza/aspetti giuridici
8. ANTIC-ipateDiffuso dalla Agency for Quality & Research (USA) prevede i
seguenti contenuti:
a. Dati amministrativi
b. Aggiornamento delle informazioni cliniche
c. Compiti da eseguire (spiegati chiaramente)
d. Gravità della patologia
e. Piano per eventuali situazioni di cambiamento del quadro
clinico
9. PEDIATRICArora e Johnson36 evidenziano l’esigenza di procedere in tre
fasi nel progettare un sistema:
l Definire il processo standardizzato per la consegna
utilizzando una metodologia di mappatura dei processi;
l Creare una checklist dei concetti critici relativamente al
paziente;
l Pianificare le azioni da intraprendere per la disseminazione
e la formazione.
Le autrici hanno proposto una checklist per la pediatria, detta
“PEDIATRIC”, i cui contenuti comprendono:
l Problemi
l Compiti che ci si aspetta vengano eseguiti
l Diagnosi
l Se/allora
l Dati amministrativi/Direttive anticipate
l Terapie
l Risultati e altri fatti importanti
l Tecniche invasive
l Custodia e consenso.
10. POPNagpal e colleghi37 hanno messo a punto e validato un
protocollo postoperatorio per l’affido del paziente
(Postoperative handover protocol - POP), con i seguenti
contenuti:
Informazioni relative al paziente1. Dettagli sul paziente
2. Anamnesi medica
3. Allergie
4. Nome della procedura
5. Situazione attuale del paziente
Informazioni sull’anestesia6. Tipo
7. Decorso intraoperatorio e complicazioni
8. Problemi previsti nel post-operatorio, in particolare
emorragie, dolore, problemi alle vie aeree
9. Monitoraggio e parametri fisiologici
10. Piano per l’analgesia
11. Piano per le fleboclisi
12. Contatti in caso di problemi
Informazioni chirurgiche13. Decorso intraoperatorio e complicanze
14. Emorragie
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15. Piano per gli antibiotici
16. Piano dei farmaci
17. Profilassi della trombosi
18. Piano per cateteri e drenaggi
19. Sondini e nutrizione parenterale
20. Esami post-operatori
21. Contatti per emergenze
Migliorare la consegna nella propria struttura
Per modificare il sistema della consegna in una unità operativa
sanitaria è necessario avviare un progetto di miglioramento
continuo della qualità. Va quindi utilizzata una metodologia
rigorosa che parta dall’analisi della situazione in atto e
introduca delle modifiche all’operatività quotidiana tali da
assicurare maggiore efficacia, sicurezza ed efficienza.
L’accertamento della situazione in atto deve riguardare sia i
processi connessi all’affido del paziente che la cultura della
sicurezza posseduta dal gruppo. Un quadro di riferimento per
analizzare quest’ultima, con indicazioni di metodo e strumenti
è fornito nell’articolo “La cultura della sicurezza. Approcci,
metodi e strumenti”, a cui il lettore può fare riferimento38.
Johnson e Barach39 suggeriscono di affrontare lo sviluppo del
processo della consegna tenendo presenti i seguenti elementi:
l Riconoscere che si tratta di un processo adattivo
complesso;
l Riconoscere che la cultura è il principale elemento per il
cambiamento e il miglioramento;
l Sviluppare strumenti per rendere la comunicazione
accessibile e trasparente;
l Applicare i principi del “fattore umano” alla progettazione
clinica;
l Porre la centralità sulla formazione e il sostegno;
l Identificare la leadership necessaria per l’implementazione.
La Australian Commission Quality & Safety Healthcare propone
di affrontare tale percorso utilizzando l’approccio OSSIE, ossiaassicurare:
O = Leadership della organizzazione
S = Soluzioni semplici
S = Coinvolgimento degli stakeholder
I = Implementazione
E = Valutazione e mantenimento
Particolarmente importante è inoltre:
l utilizzare clinici credibili come leader di progetto;
l andare sul posto e lavorare col gruppo il più possibile;
l ascoltare più che parlare;
l introdurre i cambiamenti nel lavoro quotidiano (non
aggiungere);
l creare opportunità per il confronto e lo scambio di
esperienze e di idee.
Per assicurare la partecipazione degli operatori al
miglioramento della qualità e della cultura della sicurezza può
essere utile fare riferimento all’approccio suggerito da Jeffcott
e collaboratori40, che richiamano alla comprensione dei
meccanismi della resilienza nei sistemi sanitari, soprattutto
per quanto riguarda la modifica della cultura basata sul
“difendersi dall’errore e dalle sue conseguenze”.
Il cambiamento non è comunque facile, come sottolineano
Kassean e Jagoo41 nella conclusione della descrizione della
loro esperienza: “Il concetto ‘No pain no gain’ (senza dolore
non c’è guadagno) è stato molto evidente durante tutto il
processo di cambiamento” e di questo bisogna essere
consapevoli proprio per progettare al meglio e coinvolgere
tutti gli stakeholder, aspetto fondamentale, come sottolineato
anche da Jedema e colleghi42.
Conclusioni
I notevoli investimenti sul tema della consegna, anche di
ricerca, hanno consentito di elaborare conoscenze e sviluppare
strumenti, seppur non esaustivi, come sottolineato da
Riesenberg e colleghi (citato). L’auspicio è che anche nel
nostro Paese si possano trovare occasioni di riflessione, analisi
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e miglioramento del processo di affido del paziente in tutti i
contesti di cura, riabilitazione, inserimento.
Fondamentali per il processo di crescita sono il
coinvolgimento di tutti gli stakeholder e la consapevolezza
che non basta copiare ciò che altri hanno fatto, ma è
necessario apprendere e ri-creare un modello adatto alla
propria realtà; tale percorso deve essere fatto ‘insieme’ da tutti
i membri dell’équipe. Il confronto delle esperienze realizzate
(anche di ricerca) potrà incrementare il beneficio per tutti
attraverso la condivisione ad ogni livello, dentro e tra le
istituzioni.
Un impegno importante per una nuova cultura dell’affido del
paziente per assicurare la continuità della cura e la sicurezza
deve essere quello della sensibilizzazione e formazione di tutti
gli operatori in ogni ambito operativo nei confronti di questa
fase assistenziale, iniziando già dalla formazione di base43.
Piera PolettiCEREF, Centro Ricerca e Formazione, Padova
Membro dello Strategic Advisory Board dell’International Forum
for Quality & Safety in Healthcare (IHI & BMJ)
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Parole chiave
La rete di farmacovigilanza:uno strumento per aggirarevincoli amministrativi(o prescrittivi?)
La farmacovigilanza si interessa dell’individua-
zione, valutazione e prevenzione delle reazioni
avverse da farmaci. I principali obiettivi della
farmacovigilanza sono:
1. precoce identificazione di reazioni avverse ed
interazioni precedentemente sconosciute;
2. identificazione degli aumenti nella frequenza
di reazioni avverse note;
3. identificazione dei fattori di rischio e dei pos-
sibili meccanismi alla base delle reazioni av-
verse;
4. valutazione degli aspetti quantitativi delle
analisi rischio/beneficio e disseminazione
delle informazioni necessarie per migliorare
la prescrizione e la regolamentazione sui far-
maci.
Gli scopi ultimi della farmacovigilanza sono
quindi:
l l’uso razionale e sicuro dei prodotti medici-
nali;
l la valutazione e la comunicazione dei rischi
e dei benefici dei farmaci disponibili sul
mercato;
l la formazione e l’informazione di operatori
sanitari e pazienti.
La segnalazione spontanea di sospette reazioni
avverse da farmaco è la metodica di farmacovi-
gilanza più utile per avere indicazioni circa la
tollerabilità di un trattamento farmacologico
dopo la sua commercializzazione, ovvero nella
pratica clinica quotidiana e superando in tal
modo i limiti dei trial clinici pre-marketing
(scarsa numerosità di pazienti arruolati e rigo-
rosa selezione degli stessi, breve durata dei
trattamenti, etc.) in termini di rappresentatività
delle reali condizioni d’impiego del farmaco.
Pertanto, la rete di farmacovigilanza rappre-
senta un importante patrimonio di informazio-
ni per l’Agenzia Regolatoria Nazionale ed Euro-
pea, nella cui banca dati confluiscono le segna-
lazioni (Eudravigilance).
Infatti, l’AIFA, in collaborazione con i Centri re-
gionali di farmacovigilanza, analizza i dati con-
tenuti nella rete al fine di effettuare la cosid-
detta ‘analisi del segnale’ e cioè la rilevazione
di eventuali ‘anomalie’ in termini di frequenza
o gravità di reazioni avverse associate a parti-
colari farmaci o a gruppi di pazienti.
Per questa attività di analisi è fondamentale la
qualità delle segnalazioni e in particolare la
completezza dei dati inseriti e la percentuale
delle reazioni gravi sul totale delle segnalazioni
pervenute (che dovrebbe essere di almeno il
CARE 4, 2012
33
L'ANGOLO DELLA SIFSIF
Health Technology Assessment
Guarda le interviste su CARE Online
HTA: l’importanza del lavoro di squadra
La complessità dell’HTA dell’EBM
Verso una cultura dell’HTA
Health Technology Assessment in Italia
Educare alla valutazione
Marina Cerbo
30% secondo il criterio indicato dall’OMS).
Un elevato numero di segnalazioni di sospette
reazioni avverse, che non rispondono alle sud-
dette caratteristiche, potrebbe generare un ‘ru-
more di fondo’, che renderebbe più complicato
rilevare tempestivamente eventuali segnali
d’allarme.
Purtroppo, nel corso degli anni, la rete di far-
macovigilanza è stata influenzata o da effetti di
‘trascinamento’, dovuti alla capacità dei media
nel sensibilizzare l’opinione pubblica nei con-
fronti di un determinato problema farmaco-
correlato (in tal senso emblematico è stato il
caso del ritiro della cerivastatina nell’agosto
2001) o da provvedimenti regolatori, adottati a
livello nazionale o regionale, che miravano a li-
mitare l’uso di alcuni farmaci, subordinando la
loro prescrizione alla comparsa di eventuali
reazioni avverse a carico di altri farmaci.
È così che a fine anni novanta si assistette ad
un incremento delle segnalazioni di tosse e an-
gioedema da ACE inibitori (ACE-I). La nota CUF
poneva infatti come condizione per la prescri-
zione dei sartani (ARB, antagonisti del recetto-
re dell’angiotensina) una prima prescrizione
con gli ACE-I e soltanto dopo l’eventuale com-
parsa di reazioni avverse (tosse secca e stizzosa
nella fattispecie) la possibilità di prescrivere un
ARB.
Più recente è il caso degli inibitori di pompa
protonica, quando alcune Regioni, al fine di ra-
zionalizzare le prescrizioni di questa classe di
farmaci e limitarne i costi, individuarono un
prezzo di riferimento (quello del lansoprazolo
che aveva perso la copertura brevettuale).
I provvedimenti regionali prevedevano la pos-
sibilità per i medici di applicare la dicitura ‘in-
sostituibile’ sulla ricetta SSN (e non far quindi
pagare la quota di differenza a carico del pa-
ziente), laddove individuavano eventuali rea-
zioni avverse.
Come prevedibile, anche in questo caso si os-
servò un drastico incremento delle segnalazio-
ni, tanto che il lansoprazolo, l’anno successivo
all’adozione dei provvedimenti amministrativi,
fece registrare nella rete nazionale di farmaco-
vigilanza un incremento del numero di segnala-
zioni pari a circa tre volte il totale della classe
degli inibitori di pompa protonica.
Manco a dirlo, le Regioni che contribuirono al-
l’aumento del numero di segnalazioni furono
quelle dove erano stati adottati i suddetti prov-
vedimenti.
Recentemente, la rete nazionale di farmacovi-
gilanza ha evidenziato un nuovo effetto di di-
storsione dei dati, sempre destinato ad aggirare
un provvedimento amministrativo.
In Sicilia, un farmaco equivalente (un antiag-
gregante piastrinico) si è infatti aggiudicato un
lotto della gara centralizzata regionale, e per-
tanto l’eventuale prescrizione del farmaco grif-
fato è stata subordinata alla segnalazione di
eventuali reazioni avverse.
Ebbene, come un film dal finale scontato, si è
osservato il solito incremento di segnalazioni
nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza. In
particolare è stato osservato che, con una du-
rata media di circa 13 giorni di terapia, l’antiag-
gregante determinava un altissimo numero di
problemi gastrointestinali e tantissimi casi di
prurito.
Di contro, nel periodo in esame (gennaio 2011-
maggio 2012), per l’equivalente non si è osser-
vato nessun caso di mancata efficacia mentre
per il griffato sono stati segnalati 5 casi.
In conclusione, è evidente che la storia si ripe-
te ma il ruolo della farmacovigilanza è sempre
più determinante nella definizione del profilo
di tollerabilità di farmaci immessi in commercio
spesso a seguito di procedure accelerate, con
poche informazioni di safety.
Inoltre, la farmacovigilanza è il principale stru-
mento per prevenire la patologia iatrogena, i
cui costi sociali ed economici sono troppo
spesso sottovalutati.
È pertanto auspicabile che la rete di farmacovi-
gilanza non sia influenzata da comportamenti
finalizzati ad aggirare vincoli amministrativi,
ma continui ad essere lo strumento preziosissi-
mo (unico in Europa) per raccogliere informa-
zioni legate alla tollerabilità dei trattamenti ri-
levati dagli operatori sanitari nel corso della
loro pratica clinica quotidiana.
Pasquale Cananzi1, Paola Cutroneo2
e Achille P. Caputi2,3
1Assessorato della Salute, Dipartimento Pianificazione
Strategica, Centro Regionale di Farmacovigilanza,
Regione Siciliana; 2Centro Referente per la Segnalazione
Spontanea Organizzata, Regione Siciliana; 3Dipartimento
Clinico e Sperimentale di Medicina e Farmacologia,
Università di Messina
CARE 4, 2012
34
SIF
Le nuove linee guida europeedi prevenzione cardiovascolare:lo stile di vita e i fattoripsicosociali
È ampiamente dimostrato da studi epidemiolo-
gici che il rischio cardiovascolare è reversibile e
che la riduzione dei livelli dei fattori di rischio
porta a una riduzione degli eventi e della gra-
vità degli stessi. I fattori di rischio ‘modificabili’
devono perciò essere target di interventi che
promuovano corretti stili di vita ed, eventual-
mente, di un’appropriata terapia farmacologica.
Per contrastare le patologie cardiovascolari
(CVD) occorre favorire nella popolazione cor-
retti stili di vita fin dalla giovane età in modo
da mantenere, nel corso della vita, un profilo
di rischio favorevole. Come ribadito dalle Linee
guida europee di prevenzione cardiovascolare⁄,
allo stato attuale delle conoscenze gli obiettivi
di salute supportati da evidenze di efficacia ri-
guardano l’interruzione del fumo, la promozio-
ne di un’alimentazione sana e l’implementazio-
ne dell’attività fisica.
INTERRUZIONE DEL FUMOIl fumo è coinvolto nell’eziogenesi di numerose
patologie ed è responsabile del 50% di tutte le
morti evitabili nei fumatori, di cui metà hanno
cause cardiovascolari. È associato ad aumenta-
to rischio di tutti i tipi di CVD: secondo le stime
dal punteggio di rischio cardiovascolare globa-
le, il rischio di eventi fatali a 10 anni è quasi
doppio nei fumatori. Tuttavia, mentre il rischio
relativo di infarto miocardico nei fumatori con
più di 60 anni è raddoppiato rispetto ai non fu-
matori, nei fumatori al di sotto dei 50 anni è
cinque volte superiore2.
I vantaggi dell’interruzione del fumo sono stati
ampiamente riportati3; alcuni sono quasi imme-
diati, altri richiedono più tempo. Studi su sog-
getti senza CVD hanno evidenziato negli ex fu-
matori un rischio intermedio tra quello dei fu-
matori e quello dei non fumatori.
Smettere di fumare dopo aver sperimentato un
infarto miocardico è potenzialmente la più effi-
cace di tutte le misure di prevenzione4. Il rischio
si riduce rapidamente dopo la cessazione, con
una diminuzione significativa della morbilità os-
servabile dopo 6 mesi e il raggiungimento di li-
velli di rischio confrontabili con quelli di chi
non ha mai fumato entro 10-15 anni, anche se i
valori non diventano comunque sovrapponibili.
CORREZIONE DELLA DIETALe abitudini alimentari possono influenzare il
rischio cardiovascolare prevalentemente attra-
verso un effetto sui fattori di rischio come il co-
lesterolo serico, la pressione arteriosa, il peso
corporeo e il diabete. Una dieta sana dovrebbe
presentare le seguenti caratteristiche:
l acidi grassi saturi: per non più del 10% del-
l’apporto energetico totale, tramite sostitu-
zione con acidi grassi polinsaturi;
l acidi grassi trans-insaturi: il meno possibile,
preferibilmente non da alimenti trasformati
e per non più dell’1% dell'apporto energetico
totale da fonti naturali;
l al massimo 5 g di sale al giorno;
l 30-45 g di fibre al giorno, da prodotti inte-
grali, frutta e verdure;
l 200 g di frutta al giorno (2-3 porzioni);
l 200 g di verdura al giorno (2-3 porzioni);
l pesce almeno due volte alla settimana (una
volta pesce azzurro).
l consumo di bevande alcoliche: dovrebbe es-
sere limitato a due bicchieri al giorno (20
g/die di alcol) per gli uomini e un bicchiere
al giorno (10 g/die di alcol) per le donne.
L'assunzione di calorie dovrebbe essere limita-
ta alla quantità di energia necessaria per man-
tenere (o ottenere) un peso sano, cioè un indi-
ce di massa corporea entro 25 kg/m2.
PROMOZIONE DELL’ATTIVITÀ FISICAL'attività fisica regolare è correlata a una ridu-
zione del rischio di eventi coronarici fatali e
non fatali in soggetti sani5, in soggetti con fat-
tori di rischio coronarico6 e in pazienti con car-
diopatie7. Uno stile di vita sedentario è uno dei
principali fattori di rischio per le CVD8.
Nell’Unione europea, meno del 50% dei cittadi-
ni svolge attività fisica regolare9 e l’osservato
aumento della prevalenza di obesità è associa-
CARE 4, 2012
35
L'ANGOLO DELLA SITeCSSITeCS
to a uno stile di vita sedentario10. Il volume di
attività fisica di intensità moderata in grado di
fornire una riduzione di mortalità in un pazien-
te sano è pari a 2,5-5 h/settimana; in ogni caso,
maggiore è la durata totale di attività fisica nel-
la settimana, maggiori sono i benefici osservati.
Le evidenze disponibili suggeriscono che il vo-
lume totale settimanale può essere raggiunto
sommando diversi periodi giornalieri di attività
fisica, ciascuno della durata di almeno 10 minu-
ti, e che l’attività fisica deve essere distribuita
in tutta la settimana.
Nei pazienti con CVD, i dati disponibili non
consentono la definizione di un volume setti-
manale preciso di allenamento aerobico e la
prescrizione dell’attività fisica deve essere
adattata al profilo clinico dell'individuo.
LA GESTIONE DEI FATTORI PSICOSOCIALIUn basso livello socioeconomico, la mancanza
di sostegno sociale, lo stress sul lavoro e nella
vita familiare, la depressione e l’ansia contri-
buiscono sia al rischio di sviluppare CVD che al
peggioramento del decorso clinico e della pro-
gnosi della malattia. Questi fattori agiscono
come barriere all’aderenza alla terapia e agli
sforzi per migliorare lo stile di vita.
Gli interventi psicologici mirano a contrastare
lo stress psicosociale e promuovere comporta-
menti e stili di vita salutari. Gli approcci posso-
no comprendere la consulenza individuale o di
gruppo sui fattori di rischio psicosociali, la te-
rapia cognitivo-comportamentale, i programmi
di gestione dello stress e pratiche di meditazio-
ne e rilassamento.
LA COMUNICAZIONELo stile di vita si basa generalmente su modelli
comportamentali consolidati, integrati da fat-
tori ambientali e genetici, e condizionati dal
contesto sociale. Le modalità di comunicazione
del professionista sanitario sono quindi critiche
per poter trasmettere efficacemente il messag-
gio della necessità di cambiamenti e dell’impor-
tanza dell’adesione alle indicazioni del medico.
L’interazione amichevole e positiva è un poten-
te strumento per valorizzare la capacità dell'in-
dividuo di prendere consapevolezza della ma-
lattia e rispettare le raccomandazioni sul cam-
biamento dello stile di vita e sull’uso dei farma-
ci. Per il medico è di particolare importanza in-
dagare le esperienze di ogni singolo paziente,
ascoltare le sue preoccupazioni e conoscere le
circostanze della vita quotidiana. La consulenza
individualizzata è basilare per ottenere nel pa-
ziente la motivazione e l'impegno. Il processo
decisionale deve essere condiviso tra operato-
re e paziente (e familiari) per quanto possibile,
in modo da garantire il coinvolgimento attivo
del singolo e della famiglia.
Manuela Casula, Elena Tragni, Alberico L. Catapano
Società Italiana di Terapia Clinica e Sperimentale
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CARE 4, 2012
36
SITeCS
PER IL MEDICO. DIECI STEP PER OTTIMIZZARE LA COMUNICAZIONE SULLE MODIFICHE COMPORTAMENTALI
1. Sviluppare un’alleanza terapeutica.2. Rivolgersi a tutti gli individui a rischio di o con manifesta malattia
cardiovascolare. 3. Aiutare i pazienti a comprendere il rapporto tra il loro comportamento e la loro
salute. 4. Aiutare i pazienti a valutare gli ostacoli al cambiamento del comportamento. 5. Ottenere dai pazienti l’impegno a modificare il comportamento. 6. Coinvolgere i pazienti nell’identificazione e nella selezione dei fattori di rischio
su cui intervenire. 7. Utilizzare una combinazione di strategie. 8. Progettare un piano di modifica dello stile di vita. 9. Coinvolgere altro personale sanitario, quando possibile. 10. Monitorare i progressi.
CARE 4, 2012
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MEDICINA GENERALESOSTENIBILITÀ E COSTI DEI FARMACI
Confronti
Un’opinione sui costi dei farmaci in tempi di “revisione della spesa”
Antefatto generaleSì, va bene è necessaria una “revisione della
spesa”, anche nel settore della “sanità”, ma non
così almeno come è stata presentata con tagli
del 13-15% per il triennio 2013-2015.
La chiusura degli ospedali con meno di 120 posti
letto dove manca un servizio h24 di anestesia e
rianimazione, non è un errore e deve essere ef-
fettuata con la improcastinabile costruzione di
una rete di assistenza territoriale efficace.
In generale passando non modificato il “pac-
chetto spending review” in ordine al settore sa-
nitario, è possibile garantire prestazioni sanita-
rie di adeguata qualità?
I tagli colpiscono ancora una volta quello che è
ormai da anni il “bancomat delle crisi” ovvero il
settore della farmaceutica: in Toscana, ad
esempio, si potrà (tavola B13) «spendere ancora
molto meno» nella farmaceutica territoriale?
Antefatto professionaleLe prescrizioni e i trattamenti devono essere
ispirati ad aggiornate e sperimentate acquisi-
zioni scientifiche anche al fine dell’uso appro-
priato delle risorse, sempre perseguendo il be-
neficio del paziente (Il Codice deontologico. Ti-
tolo II, capo IV: Accertamenti diagnostici e trat-
tamenti terapeutici art. 13 – Prescrizione e trat-
tamento terapeutico). Il medico è tenuto a
un’adeguata conoscenza della natura e degli ef-
fetti dei farmaci, delle loro indicazioni, con-
troindicazioni, interazioni e delle prevedibili
reazioni individuali, nonché delle caratteristi-
che di impiego dei mezzi diagnostici e terapeu-
tici e deve adeguare, nell’interesse del pazien-
te, le sue decisioni ai dati scientifici accreditati
ed alle evidenze metodologicamente fondate.
Premessa Un non corretto uso dei farmaci (e di altre tec-
nologie sanitarie), oltre a provocare danni al-
l’ecosistema, comporta costi impropri a carico
del SSN e del cittadino e rende non disponibile
una notevole quantità di risorse che potrebbe-
ro essere impiegate a beneficio dei pazienti.
Dati nazionali e regionali (Tratto daRapporto Osmed 2011 AIFA & ISS)l Nel 2011 il mercato farmaceutico è stato pari
a 26,3 miliardi di euro, di cui i 3/4 rimborsati
dal SSN. In media, per ogni cittadino, la spe-
sa per farmaci è stata di 434 euro.
l I farmaci del sistema cardiovascolare, con
oltre 5 miliardi di euro, sono la categoria a
maggior utilizzo. Altre categorie terapeutiche
di rilievo per spesa sono: i farmaci del siste-
ma nervoso centrale (13% della spesa), i far-
maci gastrointestinali (12,9%) e gli antineo-
plastici (12,1%). I farmaci dermatologici (per
l’88% della spesa), del sistema genito-urina-
rio ed ormoni sessuali (60%), e dell’apparato
muscolo-scheletrico (53%) sono invece le ca-
tegorie maggiormente a carico dei cittadini.
l La spesa farmaceutica territoriale pubblica e
privata è diminuita rispetto al 2010 dell’1,6%,
ancora più marcata (-4,6%) è la riduzione di
quella a carico del SSN, che nel 2011 è stata pari
a 12,4 miliardi di euro. La Sicilia, con 258 euro
pro capite, è la Regione con la spesa di classe
A-SSN più elevata, mentre la Regione con il va-
lore più basso è la Toscana con 167,7 euro.
l Il consumo farmaceutico territoriale di clas-
se A-SSN aumenta dello 0,7% rispetto all’an-
no precedente: ogni mille abitanti sono state
prescritte 963 dosi di farmaco al giorno, nel
2000 erano 580. L’acquisto totale (pubblico e
privato) di farmaci attraverso le farmacie è
stato di 1,8 miliardi di confezioni: 30 per ogni
cittadino italiano.
l La prescrizione di farmaci equivalenti, che
nel 2002 rappresentava il 13% delle DDD/
1000 abitanti die, costituisce nel 2011 oltre
metà delle dosi. Circa 1/3 delle prescrizioni è
relativo a farmaci generici equivalenti, una
quota tra le più basse osservate a livello in-
ternazionale. I primi 20 principi attivi rap-
presentano metà della spesa e delle dosi dei
farmaci a brevetto scaduto. Nell’ultimo anno
hanno perso il brevetto il valsartan, da solo
e in associazione con diuretici, l’esomepra-
zolo e l’olanzapina.
CARE 4, 2012
38
Confronti
Costi e bisogniSono i due bracci della bilancia entro i quali si
dibatte da qualche tempo il nostro SSN e regio-
nale: una difficile equazione nella quale gioca-
no una parte rilevante numerose variabili. Una
di queste è quella dell'aderenza alle terapie da
parte del paziente, essenziale per ottenere i be-
nefici che la cura si propone e indispensabile
nel caso delle patologie croniche.
l Ai medici e ai pazienti (e, perché no, ai deci-
sori) deve interessare quanto e come l'ade-
renza alla terapia da parte del paziente con-
diziona l'efficacia della cura?
l Che ruolo giocano, sull'atteggiamento del
paziente, la capacità comunicativa del medi-
co e/o i vincoli a cui deve sottostare un si-
stema sanitario avaro di risorse?
l Da una carente compliance del paziente de-
rivano conseguenze negative, sul piano eco-
nomico soprattutto, per il servizio sanitario?
La quadratura del cerchio non è facile: data per
certa l'influenza dell'aderenza alle terapie sulle
sorti del sistema sanitario, resta da individuare
attraverso quali strumenti gli operatori sanitari
possano coinvolgere il paziente in un "circuito
virtuoso" che, partendo dall'attività di preven-
zione, giunga fino al trattamento – efficace an-
che se non risolutivo – della patologia cronica.
Dobbiamo tenere presente poi che come rie-
quilibrare i conti è un problema “artificiale” nel
senso che, fin tanto che il tetto di spesa com-
plessiva resta del 16%, per poterci permettere
l’aumento generato dai costi dei farmaci cosid-
detti innovativi, la Medicina Generale dovrà ra-
schiare il fondo del barile … ma anche questo,
nel tempo, non sarà sufficiente e pensiamo che
il tempo sia giunto.
Con la contrazione accelerata dei ricoveri e con
la conseguente diminuzione delle giornate di
degenza, si è ormai spostata sul cosiddetto
“territorio” la gran parte delle spese per il ciclo
di cure dei pazienti soprattutto quelli cronici.
Anche e soprattutto con la presa in carico at-
traverso il Chronic Care Model dei pazienti af-
fetti da diabete, bronchite cronica, ictus, scom-
penso di cuore non possiamo porci il problema
dell’ottimizzazione delle cure in primo luogo
relazionali e di supporto e in secondo luogo an-
che farmacologiche. Sappiamo che queste pas-
sano dal vaglio di un controllo dell’aderenza e
della compliance al trattamento, ad una lista di
priorità del paziente con comorbilità, ma anche
all’adeguamento della politerapia in caso di
nuove diagnosi e di sottotrattamento.
PostfazioneL’aumento dei costi associati alle nuove tecno-
logie e i limiti di spesa hanno stimolato la ricer-
ca di una maggiore efficienza e appropriatezza
e anche il tentativo di valutare l'efficacia delle
terapie non soltanto in base al costo di un sin-
golo elemento, quale ad esempio il farmaco uti-
lizzato, ma piuttosto in base al costo/paziente
Sicilia 13 12 26 1Puglia 10 5 15 2Lazio 10 5 15 3Campania 3 11 14 4Calabria 7 6 13 5Sardegna 8 4 12 6Abruzzo 1 8 9 7Molise -1 2 1 8Basilicata 1 -4 -4 9Lombardia -10 4 -6 10Marche 0 -7 -7 11Liguria -5 -3 -8 12Friuli VG -3 -5 -8 13Piemonte -7 -5 -11 14Umbria 7 -17 -11 15Veneto -6 -8 -13 16Val d’Aosta -7 -7 -14 17E. Romagna -2 -15 -17 18Toscana -1 -17 -18 19Trento -13 -9 -21 20Bolzano -24 -4 -27 21
Tavola B.13Variabilità regionale dei consumi farmaceutici territoriali^ 2011 per quantità,
costo medio di giornata di terapia e spesa (Tavola e Figura). Rapporto OsMed 2011.
-30-30 -15 -10 -5 0
DDD/1000 ab die
Media nazionale
Media nazionale
5 10 15 30
-15
-10
-5
15
20
-20
10
5
0
30
25
-25
2520-25 -20
Cost
o m
edio
DDD
- quantità+ costose
- quantità- costose
+ quantità+ costose
SiciliaLazio
Campania
Sardegna
Liguria
Veneto
Lombardia
Marche
Piemonte
Trento
Molise
Basilicata
+ quantità- costose
Calabria
Puglia
E. Romagna
Bolzano
Abruzzo
Friuli VG
V. Aosta
Toscana Umbria
Scostamento % dalla media nazionaleDDD/1000
ab dieDDD/1000
DDDSpesa lordapro capite
Rangospesa
CARE 4, 2012
39
Confronti
complessivo. E non si può negare, e i cittadini
(prima ancora che i malati) devono sapere e co-
noscere come la medicina generale in Toscana
ad esempio abbia dato e stia dando molto ad
un uso oculato del farmaco (vedi tavola B13 del
Rapporto OsMed 2011 e gli esempi dell’allegato
a destra). E questo da molti anni e con non po-
chi sacrifici, visto che viviamo tutti nelle pieghe
della società dei consumi.
A nostro parere pertanto occorre:
1. Analizzare i bisogni dei pazienti non ancora
soddisfatti, totalmente o parzialmente, dal-
l’attuale assistenza farmaceutica, con riferi-
mento al ruolo del medico di medicina gene-
rale nella gestione dei farmaci; gli unmet
need sono pochi, ma l’accesso ai farmaci
nuovi è pericolosamente minimo, aumenta
la lista di attesa per la modifica dei piani te-
rapeutici con aggravio dei costi, esclude di
fatto dalla prescrizione la medicina generale
con una deleteria perdita di cultura farmaco-
logica sulle novità farmaceutiche, sulle inte-
razioni, etc.
2. Analizzare i fattori clinici che possono favo-
rire l’uso appropriato ed efficiente dei far-
maci da parte dei medici di medicina gene-
rale in relazione alle criticità dei bisogni dei
pazienti e alle comorbilità.
3. Numerosi studi nazionali (vedi Rapporto
Osmed 2011 ma anche i precedenti) dimostra-
no la variabilità prescrittiva dei medici di
medicina generale ‘diretta o indotta’ da spe-
cialisti, che non si associa a dimostrate diffe-
renze di esiti nella salute della popolazione.
Oggi esistono sistemi informatizzati che posso-
no migliorare l’individuazione, a partire dalla
cartella clinica informatizzata, dei pazienti me-
ritevoli di una “modifica terapeutica” e che per-
mettono al medico di MG di avere in tempo
reale un completo controllo di gestione delle
principali malattie croniche dei singoli e di sot-
togruppi di pazienti.
Ultimo aspetto, ma determinante, stante la gra-
ve crisi finanziaria europea, è la necessita di
vari soggetti (Regione, Industria, Università,
Operatori) di investire nel settore della ricerca,
volano per lo sviluppo. Il grande interesse che
la politica del farmaco suscita sia a livello nazio-
nale che regionale può trasformare il momento
di crisi in una grande opportunità di politiche
sociali, unendo finalmente in un accordo tra-
sparente gli attori sopracitati, mettendo a frutto
le potenziali risorse finanziare dell’industria,
quelle di interesse generale dell’amministrazio-
ne pubblica (dagli investimenti al raccordo con
il mondo universitario per lo sfruttamento dei
brevetti, etc), la volontà di coniugare ricerca e
sviluppo anche locale del settore universitario.
In sintesi: uniformità di accesso alle cure per
tutti i pazienti, disponibilità per il medico di ri-
correre agli strumenti terapeutici complessiva-
mente più appropriati, regolamentazione ade-
guata ed innovativa del mercato del farmaco.
Saffi Giustini, Medico di famiglia ASL 3, consulente AIFA
e Regione Toscana
Beppino Montalti, Medico di famiglia ASL 3, Segretario
Provinciale Fimmg Pistoia
ALLEGATO
Farmaci antineoplastici e immunomodulatoriLa distribuzione della spesa e dei consumi territoriali mostraun’ampia variabilità regionale.Il valore minimo di spesa e DDD si osserva per la Toscana (0,3euro pro capite e 0,3 DDD/1000 abitanti die) mentre il valoremassimo si osserva per la Lombardia (9,1 euro pro capite e 6,1DDD/1000 abitanti die). L’andamento regionale risente, come peril confronto internazionale, delle differenti modalità distributiveattuate per questa categoria di farmaci nelle varie Regioni.
Farmaci sistema nervoso centraleAnalizzando gli andamenti regionali relativi alla spesa e allequantità prescritte, si osserva che la Basilicata mostra i valori piùbassi di spesa pro capite (19,9 euro) e di quantità prescritte(50,8 DDD/1000 abitanti die). Abruzzo e Toscana registrano in-vece i valori maggiori, rispettivamente per spesa (35,1 euro) equantità (76,2 DDD/1000 abitanti die).
Farmaci cardiovascolariIn tutte le Regioni si osserva un calo nella spesa mentre la pre-scrizione aumenta; fanno eccezione la Val d’Aosta, la Liguria,l’Abruzzo, la Campania e la Puglia, dove si osserva una modestadiminuzione delle quantità prescritte. L’effetto mix (tendenza aprescrivere farmaci più costosi) continua però a essere positivo nel-la quasi totalità delle Regioni con l’eccezione di Toscana e Umbria.
Farmaci organi di sensoA livello regionale l’analisi della spesa e delle quantità prescrittemostra che, analogamente a quanto osservato nel corso del 2010,sono le Regioni del Centro Italia, in particolare Marche (4,9 europro capite e 28,2 DDD/1000 abitanti die), Abruzzo (4,5 euro procapite e 25,4 DDD/1000 abitanti die) e Toscana (4,3 euro procapite e 25,0 DDD/1000 abitanti die) a registrare gli scostamentimaggiori in eccesso rispetto alla media nazionale.