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Creare la libertà - cgil.it · on siamo noi a crearci. Siamo il prodotto di diverse forze...

Date post: 18-Feb-2019
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Il testo che segue è tratto dalla lectio magistralis tenuta alle Giornate del lavoro della Cgil a Lecce di RAOUL MARTINEZ filosofo, artista e film-maker N on siamo noi a crearci. Siamo il prodotto di diverse forze biologiche, ambientali, economiche e politiche che vanno al di là del nostro controllo. Certamente possiamo scegliere di cambiare, ma il modo in cui lo facciamo è già il risultato di quello che siamo. Se tutti i giorni facciamo innumerevoli scelte, questo non ci conferisce responsabilità. Non è una giustificazione del fatalismo: occorre sempre individuare i nostri limiti per darci la possibilità di oltrepassarli. Ma il mito della responsabilità individuale ha portato a politiche crudeli, all’accettazione della disuguaglianza e della povertà vissute come un fallimento personale dovuto a pigrizia o stupidità. Lo stesso linguaggio viene usato per spiegare perché alcuni Paesi sono più ricchi e altri più poveri: questo è il cuore del progetto della destra, usato per difendere lo status quo. Da una parte abbiamo dunque il mercato, che non è il regno della libertà di scelta: si è costretti dalle circostanze ad accettare questo sistema, e di conseguenza a svolgere lavori pericolosi o pagati poco. Dall’altra parte abbiamo lo Stato che è sempre interventista. La questione reale è per proteggere quali interessi esso interviene. Una democrazia che funziona bene è un ostacolo per il profitto, perché protegge i lavoratori e tassa i profitti per offrire servizi pubblici. Mentre l’obiettivo del mercato è mantenere il potere, influenzando l’opinione pubblica. Il principio “una persona, un voto” è superato dal principio “un dollaro, un voto”. Ciò è evidente nel sistema dei media, controllati da una manciata di miliardari di destra e dunque in grado di esercitare una forma di corruzione sui nostri schermi. Ed ecco che l’utopia neoliberista diventa una distrazione pericolosa dalle dinamiche del mondo reale tra il potere e il controllo. Quello che abbiamo visto negli ultimi anni, però, più che neoliberismo è socialismo per i ricchi e capitalismo per i poveri: il rischio viene condiviso, ma il profitto è privatizzato. Basti illustrare i risultati di quattro decenni di queste politiche: aumento delle disugualianze, crisi economica, degradazione ambientale, democrazie più fragili. Oggi l’un per cento dell’umanità possiede la stessa ricchezza del restante 99 per cento e le condizioni ecologiche si stanno smantellando molto velocemente; uno studio del Fondo monetario internazionale ha dimostrato che il costo esternalizzato dell’industria del combustibile fossile è di 10 milioni di dollari al minuto. Si lascia che altri paghino il conto. Oggi alcune narrative distopiche affermano che le nostre creazioni tecnologiche finiranno per sopraffarci; ma la vera minaccia non risiede nei robot o nell’intelligenza artificiale, è nel sistema economico che noi stessi abbiamo creato, nella politica dell’odio e nella xenofobia nate dal fallimento dell’establishment di rispondere alle crisi. Se dunque il terreno centrale delle opinioni politiche è nient’altro che un costrutto sociale nel quale si riflettono le relazioni di IDEA DIFFUSA INSERTO DI INFORMAZIONE SUL LAVORO 4.0 settembre 2018 SEGUE A PAG. 2 Per vincere contro il neoliberismo dobbiamo essere radicali, coraggiosi, idealisti. Dobbiamo pretendere quello che ieri non osavamo nemmeno sperare. Con sindacati coraggiosi e movimenti popolari possiamo riscrivere le regole del gioco Creare la libertà UNA QUESTIONE DI DEMOCRAZIA © UNSPLASH © M. MERLINI
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Il testo che segue è tratto dalla lectiomagistralis tenuta alle Giornate del lavoro della Cgil a LeccediRaoul MaRtinezfilosofo, artista e film-maker

Non siamo noi a crearci. Siamo ilprodotto di diverse forzebiologiche, ambientali,

economiche e politiche che vanno al dilà del nostro controllo. Certamentepossiamo scegliere di cambiare, ma ilmodo in cui lo facciamo è già il risultatodi quello che siamo. Se tutti i giornifacciamo innumerevoli scelte, questonon ci conferisce responsabilità. Non èuna giustificazione del fatalismo: occorresempre individuare i nostri limiti perdarci la possibilità di oltrepassarli. Ma ilmito della responsabilità individuale haportato a politiche crudeli,all’accettazione della disuguaglianza edella povertà vissute come unfallimento personale dovuto a pigrizia ostupidità. Lo stesso linguaggio vieneusato per spiegare perché alcuni Paesisono più ricchi e altri più poveri: questo èil cuore del progetto della destra, usatoper difendere lo status quo.

Da una parte abbiamo dunque il mercato,che non è il regno della libertà di scelta: siè costretti dalle circostanze ad accettarequesto sistema, e di conseguenza asvolgere lavori pericolosi o pagati poco.Dall’altra parte abbiamo lo Stato che èsempre interventista. La questione realeè per proteggere quali interessi essointerviene. Una democrazia che funzionabene è un ostacolo per il profitto, perchéprotegge i lavoratori e tassa i profitti peroffrire servizi pubblici. Mentre l’obiettivodel mercato è mantenere il potere,influenzando l’opinione pubblica. Ilprincipio “una persona, un voto” èsuperato dal principio “un dollaro, unvoto”. Ciò è evidente nel sistema deimedia, controllati da una manciata dimiliardari di destra e dunque in grado diesercitare una forma di corruzione suinostri schermi. Ed ecco che l’utopianeoliberista diventa una distrazionepericolosa dalle dinamiche del mondoreale tra il potere e il controllo. Quello che abbiamo visto negli ultimianni, però, più che neoliberismo èsocialismo per i ricchi e capitalismo per ipoveri: il rischio viene condiviso, ma il

profitto è privatizzato. Basti illustrare irisultati di quattro decenni di questepolitiche: aumento delle disugualianze,crisi economica, degradazioneambientale, democrazie più fragili. Oggi l’un per cento dell’umanitàpossiede la stessa ricchezza del restante99 per centoe le condizioni ecologiche sistanno smantellando moltovelocemente; uno studio del Fondomonetario internazionale ha dimostratoche il costo esternalizzato dell’industriadel combustibile fossile è di 10 milioni didollari al minuto. Si lascia che altripaghino il conto. Oggi alcune narrative distopicheaffermano che le nostre creazionitecnologiche finiranno per sopraffarci;ma la vera minaccia non risiede neirobot o nell’intelligenza artificiale, è nelsistema economico che noi stessiabbiamo creato, nella politica dell’odio enella xenofobia nate dal fallimentodell’establishment di rispondere allecrisi. Se dunque il terreno centrale delle opinioni politiche è nient’altro cheun costrutto sociale nel quale siriflettono le relazioni di

IDEA DIFFUSAINSERTO DI INFORMAZIONE SULLAVORO 4.0 / settembre 2018

SEGUEA PAG. 2

Per vincere controil neoliberismo dobbiamoessere radicali, coraggiosi,idealisti. Dobbiamopretendere quello che ieri non osavamonemmeno sperare. Con sindacati coraggiosi e movimenti popolaripossiamo riscrivere le regole del gioco

Crearela libertà

UNA QUESTIONEDI DEMOCRAZIA

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LINI

22 settembre 2018

diRiccaRDo sannacoordinatore dell’area politiche per lo sviluppo Cgil

Negli ultimi dieci anni sembra essere comune lasensazione, anzi la consapevolezza, che il rapporto trapolitica ed economia sia nettamente sbilanciato a

favore della seconda. Senza dubbio la grande crisi scoppiatanel 2008 ha evidenziato i tratti più prepotenti di un modello disviluppo liberista che si è avvitato su se stesso fino a privaregli stessi soggetti dell’economia – Stato, imprese, famiglie –delle libertà di cui tale modello sarebbe dovuto essereportatore. Tuttavia, la cultura liberista ha permeato le

istituzioni, economiche e non, di tutte le principali economieavanzate da oltre tre decenni e, malgrado il palesatofallimento di questo modello di capitalismo, le soluzionielaborate, soprattutto in Europa e in Italia, sono state ispiratesempre dalla restrizione del perimetro pubblico e dalladeregolazione dei mercati. Basti pensare all’austerità. Così facendo, dunque, si è scelto di non governare l’economia,di non determinare “cosa, come e per chi” generare eredistribuire valore, reddito, ricchezza – la stessa “ricchezzadelle nazioni” che indusse Adam Smith, economista classico eteorico del libero mercato, a definire l’economia una “scienzamorale” – attraverso le prerogative istituzionali conferite dallademocrazia rappresentativa alla politica. Ma è una scelta. Nonsi tratta di un’inevitabile evoluzione di una scienza (peraltrosociale) che finisce per depotenziare la politica e le stesseistituzioni democratiche. Da qui le pulsioni anti-politiche eanti-democratiche. L’economia è politica. Per definizioneetimologica rappresenta un terreno di confronto e, talvolta, discontro tra interessi, soggetti, istanze, visioni, che potremmoricondurre sinteticamente a Capitale e Lavoro. La democraziaeconomica, ben scandita nella nostra Costituzione, stabilisce ladisponibilità e la distribuzione del reddito e dei beni sociali, maanche dei poteri e delle opportunità. La democrazia industrialeriguarda le decisioni sulla produzione e l’organizzazione dellavoro (appunto, “cosa, come e per chi” produrre). Il nesso tra democrazia economica e democrazia industrialeriporta la sfera economica allo stato sociale di diritto e allacittadinanza, oltre i diritti civili e politici, fin dentro le fabbrichee i luoghi di lavoro, tanto che in alcuni paesi europei, comeGermania e Svezia, è stato addirittura suggellato a livellocostituzionale con la democrazia politica. Oggi come ieri,anche dinnanzi alla quarta rivoluzione industriale e alladirompente ondata tecnologica, occorre difendere, rilanciare erinnovare le istituzioni economiche e le relazioni industrialiche garantiscano la democrazia economica, il confronto tra isoggetti dell’economia e della politica. Cambiano gli attori, iluoghi e i tempi, ma il governo dei rapporti di forza, anchedigitali, resta indispensabile. �

potere prevalenti, per cambiare ilcorso delle cose bisogna mettere indiscussione le idee che stanno alla basedelle nostre identità e culture, esercitaresolidarietà oltre i confini nazionali,

abbracciare e proteggere la diversità degli esseri umani. In poche parole,dobbiamo sostenere politiche radicali,sostenibili e democratiche.I sindacati sono spesso stati una partevitale di questa lotta. In Gran Bretagna,Corbyn ha iniziato a parlare conpassione di porre fine all’austerità,abolire le rette universitarie,rinazionalizzare il sistema sanitario e leferrovie; tramite i social media mandaun messaggio politico che ispira unrinnovato movimento di giovani, lepersone scendono in strada quando ènecessario e hanno il forte sostegnodelle organizzazioni dei lavoratori. Ilmessaggio è chiaro: per vinceredobbiamo essere radicali, coraggiosi,idealisti. Dobbiamo pretendere quelloche ieri non osavamo nemmeno

sperare. I sindacati in Europa si sonofocalizzati su obiettivi immediati, comeretribuzioni più alte, migliori condizionidi lavoro e pensioni decenti. Questoapproccio ha portato a importantivittorie, ma la storia ci insegna chequando non si riesce a ingaggiare unacontesa più ampia per un futuro piùdemocratico, sostenibile ed equo,l’equilibrio del potere si allontana, fino ache anche le battaglie per i salari e per lecondizioni di lavoro diventanoinaccessibili. Con sindacati coraggiosi emovimenti popolari possiamo riscrivere le regole del gioco. n

IL LIBROCreare la libertà, Potere, controlloe la lotta per il nostro futuro(https://bit.ly/2qO6giD)IL PODCAST (https://bit.ly/2MsBJPr)

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IL COMMENTO©

UNS

PLAS

H

Direttore responsabile Guido Ioccainserto a cura di Maurizio Minnuccieditore Edit. Coop. società cooperativa di giornalisti,Via delle Quattro Fontane, 109 - 00184 RomaReg. Trib. di Roma n. 13101 del 28/11/1969Proprietà della testata Ediesse SrlGrafica e impaginazione Massimiliano Acerra

a cura di Chiara ManciniUfficio Progetto Lavoro 4.0, Cgil nazionaleCorso d’Italia 25 - 00184 Roma - [email protected] idea Diffusaa cura dell’Agenzia Lama

IDEA DIFFUSA

L’economiaè democratica?

Cambiano gli attori, i luoghi e i tempi,ma il governo dei rapporti di forza,anche digitali, resta indispensabile

n Riforma del capitalismo e democrazia economica, per un nuovo modello di sviluppo (https://bit.ly/2R3TVSQ)n Lavoro e innovazioneper riformare il capitalismo

(https://bit.ly/2Omo1T0)

PER APPROFONDIRE

DALLA PRIMA Martinez

di chiaRa Mancinicoordinatrice della piattaformaIdea Diffusa

Ti sei inserito nella realtà deiriders, a fianco di questilavoratori condividendo la lorocondizione, quasi come uninfiltrato speciale: un’azionedecisamente innovativa da unpunto di vista sindacale.Com’è nata questa esigenza eche ruolo ha avuto la tuaorganizzazione sindacale?A marzo, in un clima dicrescente attenzione da partedell’opinione pubblica sultema, a Pavia abbiamocercato di capire qualepotesse essere la modalitàper organizzare i lavoratoriche stanno all’interno diqueste aziende definite“piattaforme” che hanno unmodello di organizzazionedel lavoro inedito nella storia.La risposta è stata quella diinserirci tra questi lavoratori,partendo dal lavoro stesso:sono andato quindi alavorare per le duepiattaforme operanti a Pavia.La valutazione che abbiamofatto è partita da duepresupposti: il primo è quellodi conoscere dall’interno

l’organizzazione tecnica dellavoro e con essa lecondizioni contraddittorie dicui è portatrice; il secondo ècapire se esiste uno spazioper provare a socializzare esindacalizzare questilavoratori, intercettandoli sulluogo di lavoro che in questocaso è lo spazio dilatato dellacittà. Insomma, la nostra èstata una nuova rispostaorganizzativa che nasce dal sindacato.

Quali sono stati i principalipassi di questa azione?Per farmi assumere hoinnanzitutto oscurato ilprofilo Facebook per evitareun facile controllo; dopo averfatto l’applicazione online,sono stato contattato dalleaziende ed è bastato che misia detto disponibile e inpossesso di bicicletta emacchina. Insomma,nessuna formazione da partedi una piattaforma epochissima (qualche minuto)da parte di un’altra. A quelpunto ho dato le primedisponibilità orarie e mi sonoritrovato subito a fare consegne.

Quali condizioni di lavoro haitrovato, ma soprattutto qualiluoghi e modalità disocializzazione tra i riders?

Le condizioni sono in parteormai note: si lavora acottimo puro (pagamentodella consegna) e questogenera pressione sullavoratoree contrapposizionetra colleghi. L’unicointerlocutore è losmartphone e questo generaalienazione. Non esiste alcuntipo di tutela a partire dallamalattia, per cui quando sista poco bene, non solo siresta senza paga, ma si vienepenalizzati poiché non ingrado di garantire affidabilità:oltre il danno la beffa. Vi sonodei luoghi di ritrovo informali,spesso centrali rispetto allaposizione degli esercentioperanti sull’applicazione:questo concentramentopermette anche una primasocializzazione informale,anche solo per scambiarsiinformazioni lavorative.

Come è stata percepita la tuapresenza una volta che haisvelato la tua identità?Molto bene: sono stati subitomolto incuriositi dallapresenza di un giovanesindacalista che con lorocondivideva quel tipo dilavoro. All'inizio sono stati unpaio di loro a individuarmidopo avere letto un articolo digiornale che parlava di un

infiltrato della Cgil fra i riders.Successivamente si sonoavvicinati al sindacato e oraabbiamo un discretoriconoscimento sul territorio.

Adesso che rapporto c’è con i riders?Abbiamo diversi iscritti e conloro stiamo muovendo iprimi passi per stabilizzare ilsistema di relazioni nelsindacato, per organizzare leloro istanze sul territorio.Stiamo cercando di costruiree stabilizzare una prassi conloro, creando un sistema diservizi che possa migliorarela qualità dei tempi di lavoroe le loro vite in generale.

C’è un punto qualificante diquesta tua esperienza chepuò insegnarci qualcosa sucome fare sindacato in unmondo del lavoro che cambia?La nostra è stata unasperimentazione esportabile,ma senza pretesa didiventare un modello. Ciò chequalifica l'esperienza è cosìsintetizzabile: per nuovimodelli di organizzazione dellavoro, il sindacato confederalepuò sperimentare nuovimodelli di organizzazione deilavoratori. Laddove in tantisostenevano che fosse unmondo del lavorodifficilmente intercettabile esindacalizzabile, noi abbiamosperimentato una tipologia diapproccio che nel nostro casoha funzionato.

Come si lega questo tema aquello della democrazia,oggetto delle Giornate dellavoro di Lecce?Credo che il tema dellademocrazia sia anche il temadelle formazioni sociali edella loro organizzazione. Èimprescindibile dunqueprovare a dare una rispostaalle formazioni socialivecchie e nuove. Ancheorganizzare i riders nelsindacato significa costruireuna cultura democratica chepassi per l’intermediazione enon il contrario. �

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Un sindacalista “infiltrato” tra i riders

Andrea Frangiamore,funzionario Filt Cgil Pavia

L’INTERVISTA

3settembre 2018

Ho oscurato il mio profilo Facebook e mi sono iscritto a un paio di piattaforme per capire come aiutare questi lavoratori.Quando ho svelato la mia identità, i colleghi l’hanno presa molto bene

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di cinzia Maiolinisegretaria nazionale Slc Cgil

Assistiamo inermi auna sostanzialesottovalutazione e a

un serio ritardo della politicasull’impatto della diffusionecosì pervasiva delletecnologie, anche sui processidella democraziarappresentativa. La oldeconomyè stata sostituita daigiganti della Silicon Valley e il

mondo digitale è dominatoda cinque grandi gruppi chedeterminano ormai unassetto oligopolista, se nonaddirittura la formazione diun monopolio di fatto. Gruppiche cercano di riconfiguraregli ideali degli utenti pergiustificare il loro modello dibusiness e finiscono così pererodere il libero arbitrio. Èquesta la tesi alla base diHomo premium: come la

tecnologia ci divide(edizioni Laterza), il recente libro diMassimo Gaggi nelquale il giornalistae scrittore indicagli esiti possibili,in assenza di governo, deiprocessi di trasformazionetecnologica digitali. Alcuni fenomeni sonoindicatori della propensione ausare la tecnologia come

antidoto a una percezione diinaffidabilità delle istituzioniumane. Lo dimostrano

l’ispirazione allademocraziadiretta, così come ilboom dei bitcoin edelle criptovalute.Tutto grazieall’utilizzo dellablockchainche,secondo l’autore, èuna propaggine nelterzo millenniodella controcultura

californiana degli anniSettanta, invocata proprio perl’esercizio della democraziadiretta, e che ridisegna ilconcetto stesso ditransazione e di fiducia. Nellibro si sostiene che non sipossono ignorare i rischi diun vero e proprio “terremoto”sociale. Senza un interventoregolatorio, il pericolo che sicorre è la nascita di un HomoPremium, ricco, in salute,potenziato nel fisico enell’intelletto, e allo stessotempo la diffusione di gruppisvantaggiati sotto tutti i puntidi vista. Come nelle pagine diPiano Meccanicodi Vonnegut,datato 1952, uno iatoprofondo tra gli espulsi dalprocesso produttivo e i pochiche godranno appieno deivantaggi delle tecnologieinformatiche più avanzate.Se questo è lo scenario, moltopiù che possibile, Gaggisostiene siano necessariinterventi che attenuino glieffetti discriminatori edisumanizzanti dovuti aquesta inarrestabile avanzatatecnologica, che arrestino laprogressiva demolizione deldiritto individuale allaprivacy e l’erosione dellaproprietà intellettuale deisingoli, scongiurando ilrischio di instabilità sociale epolitica determinata dalladivaricazionetra il ceto medioe, appunto, il nuovo Homopremium.n

IL DIBATTITODemocrazia è... umani non automi (https://bit.ly/2Qx8Ep4)

Persuasori digitali,serve più trasparenza

IL LIBRO

LA RICERCA

Se la tecnologia ci divideUn monito sui rischi della contrapposizione tra una nuova “specie”,fatta di poche persone ricche e in salute, e tutto il resto del mondoche rischia l’espulsione dal processo produttivo

di Giulio De PetRa, componente del direttivo del Centro per la Riforma dello Stato

Internet e i social media hanno rapidamente mutato il volto dellecampagne elettorali: la diffusione di messaggi politici personalizzatiper ciascun utente, senza che tutti gli altri ne siano a conoscenza (dark

ads); profili automatizzati (bot) che diffondono contenuti politici,alterando l’agenda mediatica e ingannando gli elettori circa il realeconsenso creatosi intorno a un’idea o proposta politica; disinformazionecostruita ad arte per sfruttare la disintermediazione consentita dalle reti

sociali (fake news); interferenza occulta di soggetti estranei al processo democratico, tramitehackingo manipolazione dell’informazione. Per analizzare e provare a trovare soluzioni, la Slc Cgil ha contribuito al laboratorio partecipato delprogetto Punto Zero, cui hanno preso parte istituzioni, piattaforme digitali, partiti politici, agenziedi comunicazione, associazioni di categoria ed esperti. Ci si è chiesti, per esempio, se e comeregolamentare l’uso di pubblicità politica sui social media, con quali criteri minimi di trasparenzae con quali responsabilità in capo a determinati soggetti; se fenomeni mediaticamente moltodiscussi, ma scientificamente altrettanto discutibili, come le fake news e l’ingerenza straniera nelprocesso democratico necessitino o meno di un intervento specifico del legislatore; se gli utentiabbiano il diritto o meno di sapere se un profilo con cui interagiscono su una piattaforma digitalesia appartenente a un umano o sia, invece, una macchina; se la “par condicio”, il divieto disondaggi e il silenzio elettorale, così come li conosciamo, abbiano ancora senso.L’innovativo metodo scelto ha coniugato rigore scientifico e partecipazione dei diversi portatoridi interesse, per giungere a una serie di raccomandazioni concertate e realistiche, destinateprincipalmente ai decisori politici e istituzionali, ma anche alla comunità dei ricercatori e deglistudiosi che lavorano su questi temi. “Serve più trasparenza sulla pubblicità politicapersonalizzata sui social media”, è scritto tra l’altro nelle conclusioni, nelle quali si trova un elencodi suggerimenti su cose da fare (per esempio, rendere palese la distinzione tra i bot politici – che

comunque non vanno messi all’indice – e i profilidi utenti umani) e cose da non fare (“no a una

regolamentazione della verità o falsità dei contenutidiffusi”). Ma le questioni aperte, e non poteva esserealtrimenti vista la complessità dell’argomento, sonoancora molte. n

I risultatidel progetto“Punto zero”in un dossier

sulle campagneelettorali digitali

IL RAPPORTOPersuasori social Trasparenza e democrazia nelle campagne elettorali digitali(https://bit.ly/2xUoyBF)

4 settembre 2018

di antonio scala, ricercatore Cnr

Per spiegare la dinamica delleelezioni presidenziali Usa del2000 e dell’impeachmentdel

presidente Clinton, Cass Sunstein,professore dell’università di Harvard,introdusse il concetto delle “cameredell’eco” (echo chambers), ovvero lapossibilità che il dibattere, una voltaspostato sui social media, attraversomeccanismi di polarizzazione creasseuna frattura profonda all’interno deigruppi di discussione, segregando lepersone all’interno di comunità in cui leidee preesistenti vengono amplificate fino a perdere ogni possibilità dicomunicazione con l’esterno.

L’esistenza di queste camere dell’eco èstata dimostrata quantitativamente daun gruppo di ricercatori italiani, i qualimisurando le interazioni degli utentiFacebook con l’informazioneosservarono una polarizzazione in duecomunità distinte e – soprattutto – noncomunicanti. Come osserva lo storicoPondrano Altavilla, il fatto che un mezzocome internet che semplifica lapossibilità di comunicare abbia portato aseparare le persone e a diminuire ildialogo, rappresenta un paradosso chemina le fondamenta dello stato liberale,all’interno del quale la varietà diopinioni rappresenta una ricchezza inquanto permette tramite il dibattitopolitico di mitigare le posizioni

ideologiche dell’una o dell’altra parte. D’altro canto, la disumanizzazione deirapporti provocati dai mezzi informaticie, insieme, la nostra vulnerabilità a biascognitivi che ci fanno cadere incomportamenti pre-sociali a causa dellavelocità delle interazioni e dellostrabordare delle informazioni, portanaturalmente a “spegnere” i lenti efaticosi processi razionali. In talicondizioni, è naturale cercare confermeai propri pregiudizi (anche quelli chenon sappiamo coscientemente di avere)aggregandoci in maniera tribale, perchéci rassicurano e ci identificano condinamiche del tipo “chi è con noi è nelgiusto, gli altri sono nemici”. Per pensarebene, bisogna invece rallentare (perpermettere l’innesco del pensierorazionale) e interagire di persona (perevitare la disumanizzazione dell’altro,storicamente presupposto di genocidi).Internet è un mezzo fantastico, ma solo se usato con consapevolezza,pena ritornare alla preistoria e all’annullamento di quella checonsideriamo società civile. n

IL LIBRO: Liberi di crederci(https://bit.ly/2HznkSX)

5settembre 2018

INFOSFERA

I padroni del vapore della Retedi toMMaso Giuntellapresidente del Centro studi democrazie digitali

Il sistema di comunicazione dellasocietà industriale ruotava attorno aimass media, caratterizzati dalla

distribuzione di massa di un messaggiounidirezionale one-to-many,da uno amolti. Il fondamento comunicativo dellanetwork society è invece costituito dalsistema globale di reti di comunicazioneorizzontale, che comprende lo scambiomultimodale di messaggi interattivimany-to-many, ossia da molti a molti. Sitratta di uno spazio comunicativoimmenso, internazionale e multilingue.Un serbatoio di contenuti e notizie, doveperò appare sempre più complicatoverificare la veridicità e l’autorevolezza,sovvertendo de factoogni regola delsistema informativo tradizionale. Inquesto senso la definizione dell’attualestato di auto-percezione econsapevolezza degli utenti chepopolano quell’ambiente, è in grado di

produrre proiezioni predittive suimeccanismi di generazione di sensocomune e di costruzione degliimmaginari collettivi e individuali. Nell’ultimo anno abbiamo assistito aldisvelamento di una realtàpreoccupante: la capacità dei padronidel vapore della rete di orientarel’opinione pubblica e la definizione di unmodello di business incentrato sullavendita di questo servizio ad acquirentidi ogni tipo, da multinazionaliinteressate a ottimizzare la vendita di unprodotto fino a governi interessati ainfluenzare risultati elettorali. MarkZuckerberg ha dato per scontata laframmentazione degli utenti della Retein una miriade di comunità elettive, e ciha spiegato che il potere dei proprietaridel social network di bloccare l’accessoagli haters fosse la risposta allaformazione di imprenditori dell’odio.L’approccio di Zuckerberg non può cheessere quello di un’industria

dell’opinione pubblica che ha costruito ilproprio potere mantenendo saldamenteil ruolo di gatekeepere custode del vero edel moralmente accettabile.La liberazione degli ambienti digitalie la costruzione di processi dipartecipazione e di rigenerazione dellademocrazia passano inevitabilmentedallo sviluppo di una critica a questanuova economia dell’opinione pubblicaemotiva. Sviluppare un pensiero criticoin grado di proporre una costituzioneche delinei i diritti, i doveri, i limiti e icompromessi necessari alla convivenzacivile nella piazza digitale, sono i primipassi poter trasformare l’attualeoligarchia digitale in una verademocrazia. n

Il rischio è restare intrappolati nelle “camere dell’eco”, finendo col parlare soltanto con chi la pensa come noi

Nella piazza digitale occorreun nuovo pensiero critico.Solo così potremo sconfiggerel’attuale oligarchia

DEMOCRAZIA E WEB

In isolamentosui social

#GDL2018, GLI SPECIALIRASSEGNA SINDACALE(https://bit.ly/2wZqSHB)RADIOARTICOLO1(https://bit.ly/2xT5aVy)


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