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CRONACHE DI ATLANTIDE
tratto da
http://ilgrandeignoto.blogspot.it
di
ANGELO CICCARELLA
sabato 13 marzo 2010
INCONTRO CON UN UOMO STRAORDINARIO 1
Il tempo è circolare, per cui vai da una parte e non trovi quello che cerchi, ma trovi
qualcos'altro che non cercavi. Io cercavo da ragazzo di espandere la coscienza,
senza ausilii chimici. All'inizio comunque era un interesse puramente conoscitivo.
Del resto tutti, anche senza studiare filosofia, si pongono domande del tipo "come
si fa a soffrire di meno o a non soffrire?". Guarda caso questo è il drive principale di
tutti i sistemi filosofici e conoscitivi. A furia poi di studiare e di trovare, senza
difficoltà, risonanze, a un certo punto mi sono detto letteralmente che non avrebbe
avuto ulteriore senso continuare a studiare e basta. Sarebbe stato come continuare
a leccare un barattolo di marmellata dal di fuori e quindi a sentire continuamente
sapore di vetro. Se poi tu scambi il sapore di vetro con quello della marmellata che
è contenuta nel barattolo allora sei pazzo... Ho dunque deciso di togliere il
coperchio. Più che altro ho deciso di tuffarmi dentro e di fare un'esperienza dal di
dentro. Questo perché a farle dal di fuori, non riuscivo a sentire altro che sapore di
vetro. Mentre, buttandomi dentro, posso testimoniarvi di aver assaggiato molti
diversi gusti arrivando poi, dopo un lungo ciclo di tre lustri, ad avere voglia di
tornare nel mondo, visto che quella era stata a tutti gli effetti una vera e propria
uscita dal mondo stesso.
Scandurra, il mio maestro, era quel barattolo, per di più col coperchio svitato. A
dirla tutta, un po' svitato lo era il mio primo maestro. Sebbene adulto, viveva ancora
a casa dai genitori che lo adoravano e lo assecondavano in ogni cosa. Scandurra
si faceva pennichelle magistrali dopo pranzo insieme ad un gattaccio esperto di
mille battaglie, spellacchiato e fetente, dalla voracità colossale. Lo chiamava in vari
modi e un giorno gli chiesi perché gli aveva dato tanti nomi e lui, “il gatto ha nove
vite, quindi l'ho battezzato nove volte”. Un giorno mi confidò di essere stato iniziato
da un noto principe romano, uomo stranissimo col quale si era imbattuto per quei
casi della vita assai trasparenti, ove tutti i torrenti portano al grande fiume. Tutto era
segnato. Mi raccontava che il suo maestro gli citava in maniera ricorrente l'Atlantide
e la ricordava come realtà presente, continente tutt'altro che sommerso, aveva
semplicemente cambiato posizione, o meglio, stato. Scandurra mi confessò che da
principio nemmeno riusciva a capire né i termini dell'insegnamento, né i concetti.
Faticò molto per star dietro al principe-mago, ma poi comprese il tutto dopo aver
ricevuto quello che lui chiamava, il dono, l'iniziazione. Gli si accesero le lampadine
e così la realtà apparve più chiara. La magia è arte – mi insegnava Scandurra –
ristabilisce la coesistenza tra l'inconscio e il conscio, soprattutto quando questo
equilibrio è sotto attacco. Il mondo è un chiaroscuro e ci sono solo pochissimi veri
valori nella vita, individuabili quando la Vita ci fa visita veramente. La magia è una
potenziale liberazione da tutte le forme di potere, persino dal limite del tempo e
dell'identità. La storia del mondo e quella individuale avvengono per mutazione,
non per evoluzione. Scandurra mi faceva l'esempio del membro maschile
(ovviamente lo chiamava nel modo popolare), esso cambia di stato se sollecitato
da un pensiero erotico che possiamo avere su una bella donna, da un fattore
eccitante, non cambia da solo. Forse non era pregnante l'esempio, ma per me era
comunque efficace. Una tensione continuata procurerà una situazione critica tale
da mutare le condizioni iniziali, fino a farle esplodere. L'immaginazione è il
propellente principale per ogni atto magico: disegna nella tua mente un cerchio
luminoso, dagli tensione finché diventa maturo per proiettarlo all'esterno,
dopodiché lo fissi ad una distanza tale da non costarti fatica, poi lo fai roteare in
senso orario e viceversa. Per mesi feci questo esercizio mentale. Fino a quando
notai che il cerchio viveva di vita propria, gli avevo dato una spinta, provocato un
movimento, insomma, potevo comandarlo a piacimento. Il mio maestro non era un
teorico, per lui la pratica era tutto. Così mi fece studiare da solo la simbologia del
cerchio attraverso diversi libri e pitture: i significati della figura mi servirono per
applicarla quando gli eventi lo richiedevano. I risultati furono entusiasmanti.
Cribbio, la magia era una cosa reale, concreta e il potere dell'immaginazione
rendeva tutto facile. Mi feci prendere un po' la mano. Non vi nascondo che non
sempre fui corretto, all'inizio. Era troppo forte. Poi Scandurra mi fece un cazziatone
pazzesco. Non mi volle vedere per un mese. Dapprima non mi turbò la lontananza.
In seguito il mio equilibrio psicofisico saltò. Passai giorni di depressione, paura. Le
notti poi, erano funestate da incubi, febbri sfiancanti. Ripresi a pregare e a
frequentare la parrocchia. Dopo un mese, una sera, il maestro si presentò a casa
mia. Bello fresco e tranquillo, mi invitò ad uscire per andare in un posto. Quando
Scandurra mi diceva, “andiamo in un posto”, di solito mi si gelava il sangue. La via
alla conoscenza diventa ardua quando si aprono i rubinetti mentali e l'acqua esce
copiosa. Ti immergi in un mondo dentro il mondo e scopri che vi sono più
dimensioni, molto prima delle scoperte della fisica quantistica. Il mio maestro mi
fece vedere che esistono punti-di-contatto tra questo universo ed altri e sono
ubicati in luoghi speciali, oppure sono cose speciali che ci permettono di
accedervi.
martedì 16 marzo 2010
IUS 2
I templari c'entrano sempre.
Il “posto” in questione era presso un bosco, denominato La Commenda, le rovine
di un'antica postazione Templare. Vi arrivammo intorno alle 23.00. Un muretto
perimetrale, alto non più di due metri per un'area di 60metri quadri, pressoché
diroccato, era l'unica traccia di un antico splendore appartenuto ad un Ordine che
faceva tremare re, papi e maomettani d'oltremare, finito tragicamente tra le fiamme
del rogo, sull'isola dei Giudei a Parigi e portandosi con sé misteri e poteri. La notte
rinfrescava. Scandurra non aveva detto una parola durante il tragitto. Parcheggiò la
cinquecento sul bordo della provinciale. Non passava un'anima... forse, giusto un
disincarnato. Lo seguii con un certo affanno dovuto all'emozione, verso l'interno del
bosco. Mi aspettavo sempre qualche evento incredibile. A volte accadeva, a volte
niente. L'aspettativa era comunque alta. Mi indicò un muretto laterale della rovina
templare. Rimanemmo a fissare il punto come antiche sentinelle. C'era sufficiente
luce per distinguere cose e vegetazione. Passarono i minuti senza alcun
cambiamento, ammesso che di cambiamento si trattasse. Non sapevo cosa
aspettarmi, eppure fremevo. Brividi lungo la schiena. Di solito, per lunga
esperienza, quando l'ignoto irrompeva – vento medianico, entità ultraterrene,
eventi mitici – provavo un curioso effetto: formicolii persistenti tra il collo e il
cervelletto. A parte i brividi, non provai niente altro. Mezz'ora dopo, il maestro si
stirò le spalle, tirò su il naso, fece cenno di andare e buonanotte. Di ritorno, tentai di
sapere qualcosa ma Scandurra, con fare dispettoso, fece spallucce. Ci salutammo
sotto casa. Insomma, non ci vedevamo da un mese, mi ricontatta e mi porta in un
posto dall'aura interessante e poi, niente. Mi andai a coricare. I miei dormivano da
un pezzo. Cercai di non far rumore, ma mia madre si alzò e mi venne incontro. “Sai,
Angelo, proprio stasera davano in tv un programma che ti avrebbe interessato, ma
stai sempre via, ecco...”. Le chiesi cos'era di così interessante, ma lei tergiversò,
dicendomi che riguardava cose strane... Con questo dubbio andai a dormire.
Verso l'una e mezzo presi sonno. Un sogno, dapprima sconclusionato, poi sempre
più preciso, particolareggiato, per certi versi, sensato, occupò gran parte della
notte.
Correvo in groppa ad un cavallo baio su di una strada sterrata, strettina alquanto
per i miei gusti. Era notte fonda e poco si vedeva. Ero vestito come un cavaliere
medioevale, calzamaglia, casacca rossa ed elmo leggero, portavo una spada sul
fianco destro – evidentemente ero mancino – ed avevo una fretta dannata. In
pratica ero io, ma mi osservavo come se fossi davanti ad uno schermo
cinematografico. All'improvviso notai una luce fortissima poco distante dal sentiero,
in mezzo ad una fratta. Mi fermai di botto. Discesi da cavallo e mi inoltrai con passo
veloce verso la luce. Proveniva dal finestrone di un grande casale e sembrava
elettrica. Era così forte da accecarmi momentaneamente. Poi mi svegliai, la scuola
mi aspettava ed ero in ritardo terribile. Mi feci una lavata approssimativa ma
quando notai gli occhi, lacrimosi, mi spaventai: le pupille erano piccolissime, come
quelle di un gatto che guarda il sole. Ripensai al sogno, alla luce brillantissima.
Scandurra e i Templari?
sabato 3 aprile 2010
IUS 3
La porta verso un altro universo.
Che cosa intendeva Scandurra per magia? Abracadabra? Sim sala bin? Nulla a
che vedere con le cialtronerie di maghetti furbetti, tanto meno può esser messa in
relazione con le 'vannamarchi' che infestano televisioni e giornali truffando la
povera gente. No, la magia del mio maestro è cosa ben diversa da quanto noto a
livello profano e persino dissimile da quanto sostenuto da pseudo-iniziati oggi in
voga, che sbraitano sul web parlando di arconti demiurghi arcangeli senza aver
mai fatto esperienza diretta di niente. Gli anni '70, in quel di Viterbo, hanno
significato una congiunzione cosmica specialissima che ha provocato un'apertura
di un portale arcano, tanto da rivaleggiare con le più notorie città magiche del
mondo come Londra, Torino, Praga. Esagero? Chi ha conosciuto quell'uomo, chi
ha vissuto a Viterbo in quel periodo e si è imbattuto in quei personaggi che
seguivano Scandurra, può testimoniarlo.
Dicevo: che cosa era la magia per il mio maestro? Il dominio sui poteri
dell'immaginazione, dell'inconscio e dell'eros. Un mondo che connetteva, in un
modo dimenticato per l'uomo moderno, conscio e inconscio, individuo e cosmo.
Scandurra ci insegnò le operazioni metafisiche della mente. Egli non era un
erudito, anzi, se possibile quantificare la sua ignoranza, sapeva poco o niente di
cose profane; scriveva in dialetto viterbese, parlava pure peggio in una sorta di
slang appartenente al sottoproletariato urbano; non sapeva far di conto se non
addizionare e sottrarre. Insomma per i benpensanti era l'emblema di una testa di
legno, inutile per la società o addirittura pericoloso. Per chi lo ha conosciuto era un
genio, un uomo di potere, forse un folle di Dio, per alcuni del diavolo.
Scandurra mi insegnò (insegnare per lui era 'far vedere') che gli uomini erano
connessi gli uni agli altri nonché al loro universo per mezzo di raggi invisibili. Vidi,
grazie ad una sua digitopressione portata su di un punto dello sterno, una realtà
intorno a me decisamente diversa, fantasmagorica, composta di filamenti e aloni
dai colori sgargianti o grigio-neri, che entravano e uscivano dalle persone da
direzioni verticale orizzontale obliqua, con un andamento ondulatorio e velocità
variabile. La visione era curiosissima, simile ad un effetto moviola: la sua bottega,
la strada all'esterno, i palazzi intorno, inseriti in una specie di acquario a
galleggiare. Tale percezione serviva a conoscere la natura delle persone oltre le
maschere, la natura della materia oltre la forma aggregante, la natura del tempo
non lineare. Incredibile. La prima volta che ebbi la visione delle materie oscure
(così le chiamava senza aver letto Blake) per alcuni giorni provai fastidi agli occhi,
all'udito e all'equilibrio; in seguito, imparai a gestire la visione. Tempo, spazio e
conoscenza in un'unica esperienza. La fisica quantistica? Double Slit?
Entanglement? Quisquilie, pinzellacchere. Scandurra proveniva da un altro
universo allo scopo di ripristinare un sistema interdimensionale perduto, qui in
terra, insieme a pochi altri viaggiatori. Non voleva discepoli, ma amici. Se ne
fregava dei soldi e delle cose, pur potendone possedere a iosa. Preferiva essere
sottovalutato e ignorato, sebbene fosse capace di violare a piacimento le leggi
della fisica: apporti, telecinesi, chiaroveggenza, precognizione. Apriva portali su
altri mondi – oggi si direbbe stargate – per poi richiuderli con facilità, come fossero
portiere di automobili. Non so quanti crederanno a quanto da me descritto, dico
soltanto che la Potenza, quella vera, abitava in un quartiere popolare e antico di
Viterbo e riceveva donne e uomini tra frutta e verdura e gli cambiava la vita, il
destino. A volte ho creduto veramente che nulla gli fosse vietato... come quando
una sera d'estate prendemmo la provinciale verso Monteromano e a qualche
chilometro dal paese gli chiesi cosa sapeva dei dischi volanti. Gli descrissi gli effetti
che producevano sugli uomini e sulle cose, quando a dieci metri dal paese mi
chiese: “Tagliano pure la corrente elettrica?” Pochi secondi dopo, un black out
colpì Monteromano, lampioni stradali, luci casalinghe, cessarono di funzionare.
Scandurra sorrise e attraversò lentamente la via principale con la sua cinquecento.
Sconcertato, provai ad avere spiegazioni da lui, invano.
lunedì 5 aprile 2010
IUS 4
Il primo passo.
Scandurra era diverso da qualsiasi altro guru mago sensitivo, che la pubblicistica
potesse mai descrivere. Era un briccone divino. Attraeva per i suoi modi spicci,
volutamente grossolani e popolari, una faccia birichina - ma sarebbe meglio
definirla da figlio di madre ignota - e occhi che sembravano guardare oltre la
persona. In realtà, lo ricordo per le sue idee strabilianti e per le gesta inusitate. Mi
ha insegnato prima di tutto che un ricercatore spirituale - ma lui lo definiva un
apprendista di materie oscure - necessitava di un'attitudine alla nobile umiltà di
capire un mondo nei suoi propri termini. Quando studiavo e praticavo le cosiddette
'materie oscure', dovevo prima di ogni altro atteggiamento sospendere la mia
incredulità e seguire perfino negli eventi più strani e inesplicabili un modello o una
logica nascosti: questa passione per l'entrare nei processi mentali di un argomento
lui la comparava all'eros. Eros, amore o amplesso del mondo, è una forza reale
che può sbloccare i misteri dell'universo. Scandurra caricava le proprie immagini
magiche col potere dell'eros. Oggi, mi rendo conto che quanti sbraitano alla luna di
cose arcane o gli intellettualoidi con la panza e la tessera di partito come L'Eco
Umberto nazionale, i credenti come gli agnostici furbetti, sono degli illetterati
metafisici. La Chiesa si abbarbica sulla ragione e su altre moderne nevrosi; la
Scienza avvinta dagli interessi delle Corporation, quando non addirittura
direzionata verso la follia della ricerca del Bosone di Higgs per imitare il Creatore o
per negarLo; e tutti a reprimere l'immaginazione. Scandurra, un venditore di frutta
di un piccolo capoluogo di provincia, licenza elementare conquistata con le
"zeppe" come mi confessava allegramente, ebbene un povero ignorantello almeno
secondo questa società, manipolava materia mente e natura. Mi diceva sempre:
"pensa con le figure". Pensare per immagini. Questo il primo passo sulla Via. E
tanti primi passi mi fece fare, tanto che un giorno gli dissi, un po' scocciato, che a
furia di fare primi passi avevo fatto il giro del mondo e lui, tranquillamente, mi
rispondeva: "Il mondo, ma questo è solo il primo passo....".
martedì 6 aprile 2010
IUS 5
L'altro regno.
All'inizio del mio apprendistato col maestro Scandurra, ero solito investirlo con
domande sull'occulto, i fenomeni paranormali, lo spiritismo. Il più delle volte, con
fare gigione, mi rispondeva che più che parlarne bisognava provarle. Non c'era
giorno che non facevamo i cosiddetti “esperimenti”. Trascurando la scuola, mi
immergevo nel pomeriggio e per buona parte della notte in pratiche di magia
cerimoniale, medianismo, regressione ipnotica, raccolta dei semplici. Frequenti
erano i contatti con i luoghi di potenza sia in città che in provincia, tra etruschi e
templari, catari e massoni; ogni traccia magica, presidio, magione, rovina o grotta,
tomba o casa infestata, mi faceva credere di essere un personaggio tratto da un
romanzo di Lovecraft. Lettore nonché cultore di ufologia, abbonato al mitico
mensile Il Giornale dei Misteri, ero collegato a vari gruppi ufologici che pullulavano
in Italia negli anni settanta. Il fenomeno dei dischi volanti mi affascinava in modo
particolare che cercavo ingenuamente, come tanti miei colleghi, di scoprire
finalmente il segreto delle sfere multicolori che sfrecciavano sopra le nostre teste
da millenni. Scandurra non poteva non sapere. La mia ossessione doveva trovar
ragione in una risposta, anche estorta, al mio maestro. Sembrava facile, ma non lo
era. Lui svicolava come una biscia quando diventavo insistente. Giocava al gatto
col topo. Mi lanciava continuamente trappole. Un pomeriggio infine, forse
impietosito dalla mia insistenza, ci recammo in un posto dove avrei trovato, a suo
dire, la risposta alla mia domanda. Poco distante da Viterbo, viaggiavamo sulla
strada Tuscanese con un andatura da passeggiata archeologica a bordo della sua
mitica 500, ad un certo punto svoltammo a sinistra per una stradina sterrata e ci
fermammo presso un fosso. Un piccolo cavalcone ci permise di oltrepassarlo a
piedi, per poi dirigerci verso una collinetta, sulla cui sommità avrei trovato quanto
desiderato. Ero elettrizzato, perché il mio maestro riservava spesso sorprese
incredibili. La mia immaginazione creava astronavi-madri sbuffanti di vapore e
pronte al decollo. Alieni benedicenti e cordiali, insomma tutta la casistica a portata
di mano...
Avevo addirittura staccato Scandurra sulla salita, meglio di un grimper sul Passo
Coppi. Quasi senza fiato giunsi in cima. Sembravo un bambino davanti ai regali di
Natale, ma anziché i doni trovai le rovine di un casale. Niente più. La delusione fu
profonda. Mandai dei colpi al maestro, subito ritirati per ovvia prudenza. Dopo un
po' fece capolino dal sentiero, si asciugò il collo col fazzoletto e fece un bel
respiro. : “Caro Angelo, abbiamo fatto tardi, il disco è appena partito, peccato”.
Essere preso per i fondelli pure, mi sembrava troppo. Stavo per avere una peste
emozionale quando vidi Scandurra acquattarsi dietro una fratta e fece cenno di
avvicinarmi...
Era un bel pomeriggio di Agosto, un caldo pazzesco. Il maestro la chiamava 'la
callaccia', ti si attaccava addosso e non ti faceva respirare. Insetti rompiscatole ci si
avvicinavano senza timore. Lui scrutava il cielo come se dovesse aspettare da un
momento all'altro chissà cosa. Dopo una prima curiosità, pensai in una sua nuova
fregatura per saggiare la mia pazienza già esigua. Ci trovavamo ad alcuni metri
dalla casa diroccata. Ad un certo punto, vidi una figura comparire al centro di
quella che doveva essere la camera principale. Si distingueva benissimo. L'uomo
portava delle brache, paragonabili a dei grossi mutandoni lunghi sino ai polpacci,
muniti di lacci per sostenere i panni da gamba. Indossava delle calze solate o
almeno questo sembravano. Sopra le calze-brache, una tunica gli scendeva fino al
ginocchio. Sembrava uscito da un set cinematografico per un film in costume
medievale, vista la nitidezza del vestiario. Aveva un ciuffo di capelli a caschetto e
rasato tutt'intorno, dalle tempie alla nuca. Si muoveva lentamente in direzione
dell'uscio o di quello che rimaneva... Il sudore mi calava sugli occhi, pensai di
avere delle allucinazioni. Con un fazzoletto mi detersi il viso. Quella sagoma era
sempre lì. Dimenticai di respirare. Non volevo far rumore. Malgrado la calura provai
un brivido di freddo lungo la schiena e i capelli dietro la testa mi si rizzavano, a
conferma che mi trovavo di fronte alla presenza di un perispirito. Che c'entravano,
però, i dischi volanti con tutto questo?
giovedì 8 aprile 2010
IUS 6
Il Vascello fantasma.
E pensare che fino al 1971 non sapevo nulla di Carlos Castaneda e il suo mentore
don Juan, altrimenti lo avrei citato per plagio. Seguivo con tutta l'anima e
l'intelligenza un autentico uomo di potere e testimone di una tradizione millenaria.
Tradizione che Scandurra faceva risalire agli atlantidi, civiltà avanzatissima al
punto tale da poter fare a meno di strumenti e di tecnologia; capace di viaggiare tra
le stelle con vascelli-fantasma (così il mio maestro chiamava i dischi volanti)
oppure di autodistruggersi. Mi raccontava che Atlantide fu colpita da un cataclisma
cosmico e geologico: a causa di un uso perverso della scienza alchemica da parte
di una elite di goeti, si venne a creare un sisma fuori da ogni scala che produsse
13 onde oceaniche alte cinque chilometri che sommersero l'intero continente
situato tra l'Europa e l'America. La gilda, attuando reazioni nucleari prodotte con gli
ultrasuoni, scosse a tal punto la materia e lo spazio che si liberò un tuono di
inaudita potenza da provocare uno squarcio nel continuum. Un varco
dimensionale agganciò l'intero continente così da impedirne l'inabissamento. Non
fu distrutta Atlantide, ma scomparve dalla nostra percezione ordinaria.
La collina dove ci eravamo recati per assistere chissà a quale evento ufologico, in
realtà era ben altro e molto di più. Scandurra chiamava questi luoghi 'prese', punti-
di-contatto con dimensioni tangenti la nostra. L'uomo che intravedevo tra le rovine
di un antico casale, non era un villano medievale. Sulla sua tunica vi era impresso
un drago stilizzato, uno dei simboli di Atlantide. Il Drago era a custodia del Giardino
delle Esperidi così come del mitico continente: forse lo stesso luogo.
Il maestro mi aveva mostrato una finestra temporale, meglio, un portale. Che uomo
era realmente Scandurra? Da cosa o da che gli derivava un tale potere?
Scombussolato com'ero, forse impaurito, non lo so, ma quella sagoma che
lentamente si muoveva e ci veniva incontro, non era certamente di questo mondo,
di questo tempo, di questa parte di realtà. Avvicinandosi a noi, mi accorsi che era
alto più di due metri, il viso risplendeva di una luce ulteriore, distinguibile persino in
un pomeriggio d'estate. Sorrideva con quel suo viso bello, i tratti somatici erano
quelli di un europeo del nord. Era ormai a pochi metri da noi, quando sgranai gli
occhi. Ehilà, mi accorsi di una cosa strabiliante: comparve o c'era sempre stata,
poco distante da lui, un'astronave pazzesca. Somigliava – scusate il paragone ma
era quello che mi venne in mente – a quella disegnata da Karel Thole per una
delle innumerevoli copertine di Urania, libri periodici di fantascienza della
Mondadori. Ecco, adesso penserete che vi racconto delle panzane o che ho
svalvolato. E come darvi torto. Siccome non mi può interessare di meno di quello
che pensano gli scettici di professione, e visto e considerato che tutti coloro che mi
seguono li considero meno fessi di quelli del Cicap e più aperti mentalmente,
continuo.
Il vascello era di dimensioni notevoli, lungo trenta metri e largo almeno dieci,
antenne, pinnacoli, geometrie aliene, insomma una visione fantastica. Era sospeso
ma galleggiava, ondeggiando. Da quello che sembrava il tubo di scarico
dell'astronave, fuoriusciva una spirale azzurrina gigantesca, occupava
praticamente tutta la sommità del poggio. Appresi in seguito che non si trattava di
gas di scarico, bensì ci trovavamo di fronte ad una specie di intercapedine
dimensionale, una scorciatoia VQM verso l'infinito ed oltre. La spirale girava
vorticosamente e mi metteva un certo disagio, nemmeno timore, disagio come se
mi trovassi fuori posto. Ricordo bene questa sensazione. La provai altre volte.
Intanto l'uomo era di fronte a noi. Scandurra si alzò e gli andò incontro con fare
normalissimo. Mi sembrava tutto surreale, felliniano: un fruttivendolo di Viterbo che
intratteneva rapporti con un pilota proveniente da un'altra dimensione o galassia,
anzi, un atlantideo redivivo in visita parenti. Pezzi grossi, banchieri, leader politici,
praticamente merdacce rispetto al mio maestro.
lunedì 12 aprile 2010
IUS 7
L'antico cittadino di Atlantide, con tono sommesso, parlottava con Scandurra
amabilmente, almeno così pensai. Sembravano due vecchi compagnoni che si
incontravano dopo anni di lontananza. Già, lontananza spaziale o temporale?
Formulai varie ipotesi, anziché tentare di capire cosa si dicevano e in quale lingua.
Forse una sorta di semantica universale, oppure l'idioma della razza madre
dell'umanità? Comunque interloquivano senza interruzione. Non usarono, in
quell'occasione, la telepatia, sistema a quanto pare molto in uso secondo i
contattisti. Riuscii ad intercettare alcune parole dell'atlantideo, le pronunciava
aspirando, le ricordo benissimo e come avrei potuto dimenticarle, del resto:
NTÀ MARMUU NTÀ K(C)ARIS ETROO DOR
Mi venne in mente, secondo l'etichetta, la remota possibilità che il mio maestro mi
presentasse l'amico. Attesi con evidente frenesia. Intanto la gigantesca astronave
fluttuava come in un acquario, poco più su e dietro le spalle dell'astronauta. Era
immensa, sembrava fatta di metallo e qui il condizionale è d'obbligo, forse di una
lega particolare, perché mutava sensibilmente di lucentezza, così pure il suo colore
andava dalle tonalità di grigio azzurro fino al nero. La sua forma era di piramide
allungata rovesciata su di un fianco, piena di protuberanze coniche, cilindriche e
altre che non riuscivo nemmeno a distinguerle. Poi, il vortice azzurrino era un
portento. Girava e proiettava scariche elettriche (?) verso l'esterno. L'aria si era
fatta, come dire, densa, erano spariti gli odori di campagna sostituiti da quelli di
officina meccanica o di laboratorio chimico; non saprei descriverli meglio. Ragazzi,
mi trovavo in pieno IR del terzo tipo. Forse quell'essere non era un extraterrestre,
oppure era più terrestre di noi uomini moderni.
Faccio una necessaria precisazione. Mi son deciso a svelare alcune delle mie
esperienze sul blog e senza tentazioni di pubblicarle sul cartaceo (qualche editore
pazzo lo avrei trovato) e magari farci qualche soldino, come molti colleghi
spiritualisti (presunti) fanno con mirabile coerenza; dicevo, mi son deciso perché i
tempi lo richiedono. Poiché quanto avvenuto in quegli anni a me e a pochi
fortunati, ritengo sia utile se non determinante proprio per affrontare quanto ci resta
prima del grande cambiamento. Gli insegnamenti di Scandurra ci conducono ad
affrontare con stato d'animo diverso e profondo questo scorcio di kali-yuga ormai
giunto alla fine. L'operazione di divulgazione da me decisa mi espone ovviamente
a critiche legittime e intelligenti, ma pure a sfottò o sberleffi da parte di una
maggioranza di lettori poco inclini ad interrompere per un po' la logica e lo
scetticismo. Ho le spalle grosse e in virtù della lezione di Scandurra, niente e
nessuno potranno mai cambiare quanto ho visto e appreso. Ogni cellula del mio
corpo e particella dell'anima è pregna di Vita vissuta, di esperienza fatta e digerita.
Quello che mi preme è donare a chi è pronto a ricevere quanto posseggo e
conosco. A molti rimarrà il rammarico di aver rinunciato ad una chance per capire
l'uomo e il mondo.
Ho sufficiente materiale da farne una trilogia libraria. E come un romanzo in
progress, lo pubblicherò tutto entro giugno del 2012. Gli anni in cui vissi e
sperimentai con Scandurra, rimangono impressi nel mio cuore e nella mia mente,
mi hanno trasformato profondamente. Alchimia pratica, materie oscure, come le
chiamava lui. Debbo però pure sottolineare che per il mio maestro, il fenomeno per
quanto strabiliante serviva a poco se non si faceva un passo verso il risveglio. Non
era nemmeno un fanatico della dottrina, se questa non era in grado di cambiare le
cose o l'uomo. Col suo parlare tranquillo, semplice e dalla sintassi creativa, era in
realtà capace di dispute dialettiche e di scontri logici con chiunque. Un nostro
amico di avventura, esperto di radiotecnica e di elettronica – diverrà in seguito
medico e fisico, un mezzo genio – insieme ad un altro, laureato in filosofia,
cercavano a volte per sfida o per diletto di incastrare Scandurra. Alla fine, ci
azzittavamo per ascoltarlo. Ogni obiezione, ogni diatriba, si esauriva. La
conoscenza sacra, diceva, è come una ceriola imbottita di prosciutto, costa più del
panino con la mortadella, che rappresenta invece il sapere profano. Però, in
definitiva, è solo una questione di gusto...
Lungo un decennio, dal 1971 al 1981 - nel pieno della mia amicizia e discepolato
con Scandurra - gli effetti del suo insegnamento e delle esperienze fatte insieme, si
traducono in una visionaria tragicità cosmologica, i miei molti appunti e resoconti
coniugano alle visioni verso dimensioni altre, lo sguardo del ricercatore sul campo,
fino a rendere i due piani intercambiabili. E la cerniera tra la percezione magica e il
mondo esterno è data da una dottrina eversiva, ironica, luminosa e oscura. Fuori
da ogni scolastica esoterica. Privo di intenti manipolativi, Scandurra non ha fondato
una setta, non ha condizionato mai nessuno. Era un viaggiatore insolito
proveniente da mondi lontanissimi che ha fatto scalo a Viterbo, un microsobborgo
dell'impero amerikano. Ha incontrato un manipolo di amici, dalle estrazioni diverse
ma con un unico obiettivo: uscire da un mondo di merda, borghese, ideologizzato,
un mondo servo di una scienza essa pure al servizio del sistema, senza
compromessi chimici né derive occultistiche.
venerdì 16 aprile 2010
IUS 8
Scandurra mi diceva che l'umanità è sulla Terra per essere felice e non per subire
torture fisiche e psicologiche, conseguenti a squinternate credenze che hanno
finito per diventare leggi. Ribattevo che la realtà poi ci faceva penare e malgrado le
religioni, la scienza, le ideologie, le cose andavano sempre peggio. E lui di
rimando: “ Per secoli alcuni grandissimi stronzi hanno generato una fede cieca
verso ciò che non si vede e non c'è e una drammatica disattenzione verso ciò che
si sentirebbe, solo rimanendo un secondo in silenzio. I preti ci dicono che Dio c'è
ma non si vede, che il Regno di Dio c'è ma lo si vedrà dopo nell'aldilà,
contraddicendo quanto invece indicato da Cristo. Tutto è sottoposto al giudizio
della vista. In realtà si vede ciò che si conosce. Se non conosco Dio come posso
vederlo? Basterebbe mettersi in uno stato di vero silenzio, ascoltare prima e sentire
poi. Così facendo si incomincia ad apprendere e a conoscere. Se sto zitto, dopo un
po' di rumore di fondo come quello del nastrino magnetico non inciso, qualcosa
incomincerai a sentire. Un suono profondo, esteso. È l'inizio. Quando tutto è
incominciato”. Il maestro mi diventava pure cosmologo.
“Il pensiero non è l'effetto del cervello, come dite voi che avete studiato? Il
nerone?”. In questi casi lo correggevo non per fare il maestrino, ma perché mi
divertivo un mondo quando interpretava lo zuccarone. “Neurone, Scandurra, alcuni
scienziati ritengono che il pensiero sia una proprietà del neurone”. E lui,
ridacchiando, terminava col dire: “ Il pensiero non è una proprietà del neurone, ma
dello spazio dove si accende. Un suono quindi, sempre una vibrazione iniziale”.
I primi tempi che bazzicavo la bottega magica, chiedevo insistentemente a
Scandurra lumi sulla religione, sullo spirito. Mi rispondeva che per fare esperienza
di ciò che i professoroni chiamavano il sacro, tutto ciò che bisogna fare era
guardare nel cielo notturno: la Via Lattea si estendeva come un lenzuolo sopra i
templi della terra, squarciato da stelle cadenti. E mi lasciava così sospeso mentre
pronunciava Via Lattea, con un tono di nostalgia infinita. Se non cerchi il potere, mi
diceva, allora conoscerai l'universo e vi potrai andare. Ogni uomo è dotato della
grande energia vivente, la luce, che è parte stessa della densità multidimensionale
del cosmo. Potrai viaggiare in istantaneo se muovi il meccanismo scatenante che
lega l'energia pura alla forma materiale. Basta estrarre luce dalle cose, da
qualunque cosa.
A due metri dalla mia postazione di fortuna, un cespuglio, di fronte a Scandurra
c'era l'uomo proveniente da Atlantide. No, non è l'incipit di un fantasy anni 40, ma è
quanto mi è accaduto in un pomeriggio di Agosto, sopra un poggio-stargate a
pochi chilometri da Viterbo. Il mio maestro era in grado di comunicare attraverso un
sistema psicotecnico – ulteriori dettagli in seguito - con un altra dimensione inserita
in un flusso temporale dissimile da quello in cui ci stavamo muovendo. L'uomo, lo
avrei saputo poi, aveva un nome, Agur-Ntà, il cui suono lo avvertivo all'altezza del
mio sterno.
Agur-Ntà era più antico dei Fenici, degli Egiziani di Ramsete, prima ancora dei testi
Veda indù. E me lo trovavo di fronte, imponente, luminoso come forse 12mila anni
fa lo erano gli antichi uomini della Terra, fatti di materia ed energia radiosa.
Ad un certo momento Scandurra si girò verso la mia direzione e mi fece cenno di
avvicinarmi. A quel punto sentii le mie gambe molli, feci una fatica spropositata per
dirigermi verso di loro. Non avevo più un corpo. Avevo la testa leggera. Gli fui
davanti e notai che non respiravo, avevo difficoltà, ansimavo ma non riuscivo ad
immettere aria nei polmoni. Credevo di svenire. Agur-Ntà mi sorrise e mi toccò la
spalla destra. Un calore buono, fortificante mi investì. Ripresi completo possesso
delle mie facoltà, ma la cosa incredibile è che mi trovai nel suo campo di forza –
direi oggi – in una condizione di sospensione, di stasi: questa era la descrizione
idonea. Si rivolse a me, come se fosse la cosa più naturale del mondo e il bello, è
che lo capivo perfettamente.
martedì 20 aprile 2010
IUS 9
Contatto!
Ora, tutti gli apocalittici per nulla integrati che mi stanno seguendo, credo abbiano
la sana curiosità di sapere cosa mi disse l'atlantideo. Ma di ciò più avanti. Ora mi
preme fare alcune riflessioni sui massimi sistemi, già, e non per spocchia e
narcisismo, semplicemente perché la potenza di cui era portatore Scandurra,
rispondeva a precise, per quanto comunicabili, leggi cosmiche. Non stava
insegnandomi una fuga dalla storia: piuttosto, la incorporava mappandola, e così
facendo la dominava. Da più parti, nelle forme più varie e da un secolo a questa
parte, la figura del maestro, del guru, dell'istruttore spirituale, è tornata alla ribalta,
con personaggi particolarissimi che non sempre rispondevano agli stereotipi
letterari o religiosi. Tra loro, le monete false e autentiche si avvicendavano con
estrema facilità, ma non per questo venivano meno i discepoli, anche quando i
presunti maestri risultavano essere dei cialtroni. La sete di assoluto e la brama di
potere andavano di pari passo. Se esiste un criterio di valutazione, seppur relativo,
sulle cosiddette guide, ritengo sia quello della gratuità del messaggio e
dell'insegnamento in primis, poi la funzionalità della sua applicazione. Se metto in
pratica un metodo che mi porta a vivere uno stato speciale di coscienza fatto di
gioia, serenità e conoscenza, tutto induce a credere che quanto mi insegna il
maestro è moneta sonante. Poi, se mi trasmette un corpus di tecniche e dottrine
misteriche, non se le fa pagare a tanto a stage. Se è quello che dice di essere,
l'iniziato non chiede ma tutto gli viene dato, quello che serve e niente di superfluo.
Il triste caso di Ramta, è emblematico dei tempi che stiamo vivendo; quanto di più
falso, manipolativo, spudorato ci possa essere oggi, riscuote successo e denaro a
palate. Il senso critico di chi cerca la conoscenza è assai limitato, se una volgare
imbrogliona americana riesce a gabbare tanta brava gente con così poco. Ma
tantè. Il vannamarchismo è il migliore alleato del sistema.
Detto questo, passiamo a cose interessanti.
Scandurra non solo non ha mai accettato un soldo da nessuno che favoriva, anzi,
non di rado metteva mano al portafoglio e, meglio ancora, metteva in moto le
energie necessarie perché una data resistenza, un blocco, un ostacolo venissero
dissolti. Ripeto, sebbene fosse circondato da libri di magia e stregoneria, edizioni
rare di alchimia e spagiria, non ne faceva uso, diceva che servivano per eludere gli
scettici e i creduloni. Lui manipolava gli archetipi, che però denominava “stelle”,
dissolveva latenze e simulacri psichici, faceva parlare i resti animici dei defunti, e
quando le cose si mettevano assai male, chiamava i suoi vecchi compaesani
atlantidi per trovare rimedio a problemi riguardanti l'altro mondo. Non aveva alcun
rapporto con l'autorità viterbese, viceversa non di rado la sua bottega era oggetto
di controlli da parte della polizia e pure spiato da pie donne al servizio di un
vescovo 'solerte' (in realtà, un vigliacco puttaniere invidioso). Non ebbe comunque
mai fastidi con la giustizia, visto che non violava il codice penale, se non bastasse
poteva vantare – si fa per dire - tra i suoi “clienti” giudici, avvocati, militari, politici e
non solo del posto. Addirittura, alcuni preti ricorrevano alle strane arti di
quell'oscuro 'fruttarolo', ignorante nei modi e tremendo nell'azione. Un noto
esorcista di Viterbo chiedeva spesso consigli a Scandurra.
Più volte mi ero avventurato in discorsi che vertevano su chi governava il mondo,
su cosa si poteva fare contro il male, insomma questioni della massima
importanza, che né la cultura cattolica né quella laica mi avevano mai convinto sia
come analisi che come possibili vie d'uscita. A Maritain e Marcuse, preferivo il
“fruttarolo delle stelle”. Per lui, quei porci bastardi a capo della cricca mondiale, ci
controllavano attraverso l'uso del sesso e delle fantasie corrispondenti, così da
frammentare la nostra coscienza già fiacca in molteplici parti, che formavano un
mare mentale, senza sponde, attraversato da correnti sotterranee terribili alternate
da ristagni insopportabili. I porci bastardi, come li definiva, controllando le nostre
fantasie ci condizionavano il destino. La cricca imperante sa tutto tranne la verità.
Scandurra ridacchiava allora, perché lasciava intendere sin troppo palesemente
questo concetto che amava ripetere: “Io non so nulla tranne che la verità”.
“Vedi Angelo, tutto nel mondo è mistero e noi, poveri sopravvissuti, abbiamo
l'obbligo di occuparcene. E chi se non noi?”.
“L'Universo adopera trucchi e mascheramenti e quei cog... di professoroni
scambiano la merda per la cioccolata e ti raccontano pure che è bella vista da
lontano”. Ribattevo che allora la fisica si sbagliava su tutto e che l'osservazione
della realtà era quindi fuori portata. Ma Scandurra sosteneva che il problema
riguardava solo l'interpretazione delle cose. Vedi sempre quello che sai, e non ci
sono santi, ripeteva, non ci sono storie. Noi osserviamo attraverso filtri, opinioni,
soltanto l'intuizione, una scarica elettrica che fa il giro della testa, velocissima a tal
punto che nemmeno si muove perché è già arrivata, ecco, scopriamo che una cosa
può esser vista in un altro modo, forse quello più prossimo alla verità. Un po' di
mentuccia romana mischiata a dei fiorellini di campo, diventa un propellente che ti
fa arrivare dove vuoi; attenzione, Scandurra diceva pure che le droghe erano per i
deboli che si accontentavano di vedere il riflesso della Luna nella pozzanghera,
mentre noi ci andiamo direttamente. Due foglie di piante diverse se fatte bollire
insieme, diventano la candela che scintilla e avvia il nostro motore e partiamo.
Prima di sperimentarle, credevo che le esperienze descritte dal maestro fossero
comunque interiori, psichedeliche per intenderci. Lui rispondeva:”Pisichedè... mah,
quello che provi dentro, se è totale, lo provi fuori”.
Di fronte a me l'atlantideo. Il volto lucente, di una bellezza non umana, virile e
dolce.
“Ora sei parte del tutto”. La sua voce la sentivo dentro e fuori di me.
“L'abisso senza fondo si è aperto, così potrai chiamarmi. Fratello 'Scandù_rra' –
pronunciò il nome del mio maestro come mai lo avevo sentito – ti indicherà come
metterti in contatto. Dovrai mutare qualcosa in te. Le particelle antiche si
risveglieranno dai millenni, la luce stenderà i suoi raggi.”
Ero incantato ma forse pure intronato. Ascoltavo quello che mi diceva, ma non
compresi subito. Particelle, parte del tutto, abisso, raggi. Quell'uomo forse era come
me e come gli altri, eppure così diverso, così lontano appariva. L'astronave
fluttuante dietro di lui l'avrei potuta quasi toccare, un sogno vero per ogni ufologo,
ma che dico, per ogni abitante di questo mondo. Non riuscivo a trattenere i
pensieri. Mi svuotavo. Dentro/fuori non erano più categorie fisse. La grandezza,
ecco, la grandezza mi avvolgeva. Mi sentivo anch'io grande nella mia fragilità di
uomo del XX° secolo. L'atomica, l'astronautica, cosa erano di fronte alla grandezza
di una civiltà incredibile antichissima, un popolo che aveva raggiunto le stelle e
poi, ancora oltre, universi dimensioni realtà, e dopo tutto questo la sparizione
dall'amato pianeta e poi ancora, il ritorno.
Ero forse tra i primi uomini a ricevere la visita degli atlantidi. Almeno nei primi anni
settanta. Che dite? Era l'epoca del rock, della rivoluzione dei costumi, del viaggio
sulla Luna. I capitalisti contro i comunisti e tutti contro la religione. E noi a Viterbo
incontravamo il fantastico oltre ogni immaginazione. Mi ero imbattuto nel passato
remotissimo della Terra e mi sembrava di vivere un milione di anni nel futuro.
sabato 24 aprile 2010
IUS 10
Agur-Ntà mi aveva accennato all'abisso senza fondo, dal quale avrei potuto
mettermi in contatto con lui. Ma che cos'era? Intanto, mi sorrise e salutò Scandurra
col segno atlantideo, si girò lentamente e si diresse verso l'astronave. Forse non
andò proprio così. Fu come inghiottito da quel vascello fluttuante; vi entrò alla
maniera di un atleta di salto con l'asta che, dopo aver superata l'asticella, cade
pesantemente sul materasso, sparendoci dentro. Quel gigante frutto di una
ingegneria esotica quanto impossibile per le nostre cognizioni, mutò in un
caleidoscopio di colori, fortissimi di intensità da nascondere il resto del paesaggio.
L'odore di officina meccanicà sparì, l'astronave fu fagocitata dal campo azzurrino
spiraliforme, vorticoso. Dopodiché sparì anch'esso nel nulla da dove era venuto.
Rimasi impietrito. Guardavo avanti a me non so più che cosa. Ci pensò il maestro a
scuotermi dal torpore, dandomi una pacca dietro la testa. “E che sarà mai, Angelo.
Manco avessi visto un fantasma”. Sorrisi, non avevo nemmeno la forza di chiedere
il centinaio di chiarimenti a Scandurra. Il ritorno fu all'insegna del silenzio, rotto solo
da un suo pensiero a voce alta: “ Debbo chiamare Duilio, la radietta non me
funziona, piglia solo 'na stazione, non so proprio dove sò finite quell'altre”. Mi
accompagnò a casa, dandomi l'appuntamento per la sera. Ma mi svegliai il giorno
dopo, verso l'ora di pranzo. Mia madre mi aveva lasciato riposare. Le chiesi se
Scandurra fosse passato la sera prima: non era passato nessuno.
Il pomeriggio mi recai alla bottega magica. Scandurra era impegnato a sistemare le
bottiglie di vino del consorzio. Tutto pacioso mi chiese come stavo. “Te sei fatto un
sonnarello, pupone della mamma”. Sapeva del mio crollo fisico e mi invitò a
prendere un 'beverone' a base di succo di frutta, latte e rum. Benché abitualmente
bevevo solo un bicchier di vino a pasto, presi lo stesso quel mix. Lo trangugiai in
un sorso. Me lo aveva messo in una tazza da latte color marrone. Il sapore era forte
ma buono. Mi sentii subito come rinforzato. Il retrogusto però non sapeva di succo,
sviluppava un prolungato calore in gola e poi... riconobbi quell'odore mischiato al
sapore di officina, lo stesso del campo che si era sviluppato intorno all'astronave.
Che cosa era successo? Cosa mi aveva fatto ingerire Scandurra? Glielo chiesi.
“È il gusto dell'abisso senza fondo. Ora dovunque ti troverai, starai sempre sull'orlo.
È un grosso peso e da questo momento rammentati una cosa. La vita è come un
albero di Natale, c'è sempre qualcuno che rompe le palle”. Ridacchiava e questo
farmi fesso da parte sua, mi indispettiva alquanto. Era mai possibile che prima
disponeva e poi mi spiegava? Ebbi pure un certo timore a quel punto. Adesso cosa
mi sarebbe successo? La testa mi girava: il rum, la preoccupazione, la presa in
giro. Piano piano tutto passò. Ero libero, pacificato; dapprima pensai che fosse
l'effetto dell'alcol. Poi, i miei occhi incominciarono a vedere e allo stesso tempo a
sentire. Sentire con gli occhi. Mi mancava proprio questa esperienza. Ma cosa si
profilava davanti a me?
Il sovrannaturale, il sacro, il mistico erano ambiti prettamente legati a categorie
teologiche. Piani dissimili da quelli puramente fisici. Così credevo prima di
conoscere Scandurra. Pensavo che il mondo interiore fosse, appunto, interno,
collocato in un qualche stato dell'essere che la metafisica indù aveva indagato e
descritto meglio della filosofia occidentale. Insomma il naturale e il sovrannaturale
erano domini differenti, livelli non sovrapponibili. Eppure una fessura, una qualche
interfaccia doveva pur esserci tra i piani. Il maestro mi fece sperimentare che noi
viviamo come pesci in uno stagno, bersagliati da forze sconosciute in mondi
paralleli che noi capiamo tanto poco quanto i pesci capiscono il mondo sopra la
superficie del loro bacino idrico. Scandurra proponeva questo: se l'ipersfera (o
come dicono i fisici, l'iperspazio) semplifica le osservazioni del mondo fisico, si può
trovare in quello le fonti delle arti metafisiche come la magia, l'astrologia e il
misticismo. L'ipersfera è l'abisso senza fondo, anzi, la fossa cosmica intorno alla
quale orbitano dalla materia stellare a quella sottile, eterica. E non solo. Gli stessi
eventi, trovano la loro origine da quell'abisso. Il tempo ci abita e si manifesta prima
a lento rilascio, poi sempre più veloce. Tutto è pensiero, amava ripetere, ma un
pensiero di cui pochi son capaci di averne coscienza. Un pensiero fatto di essere
+energia. Dentro ogni cosa, c'era la botola attraverso la quale ci si poteva
affacciare sull'abisso senza fondo. Scandurra mi aveva aperto i rubinetti mentali
collegati direttamente alla fossa. Finché sono chiusi, nessun uomo può percepire
tutta la realtà e forse, è un limite necessario.
Come mai prima di allora, compresi la potenza di cui era depositario Scandurra.
Una potenza debordante che avrebbe fatto commettere qualsiasi crimine ai potenti
della terra per ottenerla. Oggi ne parlo, perché il maestro non è più tra noi, o
meglio, probabilmente è più qui di un tempo, solo fuori portata per chiunque
cercasse di carpirne i segreti con intenti meschini. Qualcuno sorriderà, ritenendo
che sia la solita menata sui buoni propositi, il fine elevato quale condizione
necessaria per acquisire l'arcano. Quando menti folli sono in sincronia creano una
realtà alternativa, uccidono per ragioni inventate, trovano ragioni per agire facendo
di se stessi un punto fermo nell'universo. È contro tali uomini che Scandurra si
batteva e lo faceva a modo suo. All'inizio della mia avventura, a Viterbo la gente
conosceva il mio maestro semplicemente come mago di quartiere, uno dei tanti
occultisti, rispetto alla media ci indovinava, questo lo rendeva unico, però rientrava
comunque nella sociologia di una società frammentata, dissociata, nevrotica. Il suo
camuffamento era efficace, un guaritore semianalfabeta, magari sui generis in
quanto non si faceva pagare e viveva dell'attività commerciale di frutta e verdura,
ma pur sempre una persona dal basso profilo, restio ad una vita di relazione
normale. Un sociopatico come ce ne sono tanti. Da evitare, certo, secondo cattolici
borghesi democristiani comunisti cartesiani. In pratica, ma di nascosto, ci
andavano pure loro. Scandurra possedeva segreti.
I suoi segreti appartenevano ad un pensiero antico, no, nemmeno, un pensiero
senza tempo e sfaccettato, trascolorante verso forme mediate, elusive, volutamente
sincretistiche. È giunto il tempo: ho ricevuto una vecchia consegna, ossia quella di
portarli di nuovo alla luce. Per millenni, l'arte dannata e oscura era retaggio di
pochi iniziati, spesso reietti e perseguitati dalle chiese e dai mercanti, oggi è
svelata attraverso il mio raccontare, senza veli, dando le coordinate per chi volesse
seguire il medesimo cammino. Non crediate però, amici, che per il solo fatto di
divulgare un segreto, esso sia utilizzabile come una formula matematica – anche
se a volte, lui me lo faceva credere. Per far sì che sia attivata la potenza ci vuole
qualcosa che è nascosta dentro di noi, la chiave, poi trovatala bisogna cercare e
trovare la porta. Solo chi ha già aperto la porta può insegnare ad altri come fare,
così, un anello si aggancia al precedente fino a formare una catena che regge i
mondi.
mercoledì 28 aprile 2010
IUS 11
Il passato sta ancora accadendo, mi avvertiva Scandurra. A quei tempi, leggevo
narrativa d'anticipazione, fantascienza insomma, ma anche testi sulle presunte
cospirazioni, gli intrighi dietro le quinte della storia. Il maestro a tale proposito era
chiaro (traduco dal dialetto alcuni passi da 'Cronache di Atlantide').
“Ogni fatto segue un modello, come fanno i sarti quando devono realizzare un
abito, ma ad un livello più profondo di quanto noi che ci stiamo dentro possiamo
sapere. Certo che esistono quei bastardi che comandano il mondo. Seguono il
modello. Loro lo leggono, noi no. Ma sono visibili, non hanno bisogno di
nascondersi, siamo noi così rincoglioniti da non vederli. Vedi la patatella, sta' sotto
terra e noi vediamo le sue foglioline che fuoriescono appena, ma se facciamo
attenzione diventa facile trovarla. Bisogna fare molta attenzione alle cose, anche
se non sempre emergono chiaramente, abbiamo comunque sempre la possibilità
di scorgere delle tracce disseminate qui e là. Il popolo ha tante preoccupazioni di
lavoro e salute, perciò ha un certo timore reverenziale nei confronti del potere dei
mercanti che ci comandano da tanti secoli. Prima regnavano re giusti e re bastardi,
ma li scoprivi facilmente; dopo è avvenuto qualcosa di strano e si sono indebitati,
hanno pensato solo a trarre vantaggio personale dalla loro posizione; sin troppo
facile poi che qualcuno, sotto sotto, ha comprato tutte le cambiali dei re e li ha
tenuti per i coglioni. In seguito i mercanti sono riusciti a indebitare il mondo intero e
il gioco è fatto. Ma questo è solo il modello letto da sopra, quello di sotto è pure
peggiore. Ti fregano l'anima. Ti avvelenano la terra sotto i piedi, l'aria si addensa.
L'elettro orbita più veloce e girano all'inverso le particelle. Incasinano ogni cosa. Se
può tornare utile alla loro causa, interviene Jack lo squartatore per rimediare
qualche litro di sangue alla bestia; in ogni epoca c'è un esattore: il tempo si
esaurisce più in fretta. Angiole', hanno messo la scadenza”.
Chiedevo spesso a Scandurra chi governava il mondo, i nomi. A me venivano in
mente i massoni, o gli ebrei, i preti, oppure i banchieri.
“Non sono di queste parti”.
Scandurra, 168cm per 75kg di imprevedibilità, mostrava una pancia importante -
“omo de panza, omo de sostanza” -; olivastro di carnagione, portava capelli
nerissimi e un ciuffo a cascata attaccato sulla fronte, un 'emo' ante litteram. Occhi
scuri vivaci da furetto. Pareva, anche fisicamente, uscito da quei romanzi
sudamericani del realismo magico alla Allende, per intenderci. Non correva mai,
camminava lentamente e poteva ricoprire pure grandi distanze, ma senza segni di
fatica. Scandurra era un tessitore di reti e pessimo nelle scelte di abbigliamento.
Era capace di non azzeccare nemmeno un colore quando sceglieva cosa
indossare. Pantaloni a zompafosso, calzini rigorosamente corti, dai colori di volta in
volta neri verdi gialli rossi, curiosamente possedeva però una serie di camice di
pregevole fattura e costose, tutte uguali a righe blu e grige sempre portate fuori dai
calzoni. In inverno indossava sovente un maglione a collo alto e scarponcini
militari neri, se faceva freddo si metteva sulle spalle un cappotto tipo bulgaro
sfollato, mai visto con cappello o sciarpa. Scandurra aveva una mente strategica e
non sudava mai (non credo usasse botulino). Quando c'era un problema
contingente che non riuscivo a risolvere, mi diceva di essere flessibile e di cambiar
strategia. E quando applicavo la sua dritta e all'inizio non succedeva niente,
oppure le cose peggioravano, incacchiato nero mi rivolgevo di nuovo a lui:
“Sìì flessibile e cambia strategia. - mi ripeteva stancamente - Tanto prima o poi il
problema si risolve da solo e tu crederai pure di averlo risolto con la flessibilità e il
cambio di strategia”.
Vi confesso che più di una volta pensavo fortemente che mi prendesse per i
fondelli in maniera spudorata. Mi sembrava un bersaglio sempre mobile, non si
riusciva mai a prevenirne le mosse. Lui diceva di non scoprire niente, ma di
ricordare tutto.
Ero, e lo sono ancora, appassionato di rock e ambient, quanto di più lontano dai
gusti di Scandurra. Amava ascoltare col suo magnetofono Phillips, le musicassette
di Franco Califano, Charles Aznavur (si scrive così?), Claudio Villa, Adamo, Fausto
Papetti. Bruciava bastoncini di incenso Auroville che si mischiavano all'odore di
fave broccoletti melanzane cicorione, a seconda della stagione in un milieu
magico-esoterico unico e irripetibile. Ed era amico di un antico abitante di
Atlantide.
Le mattine dei mesi estivi, mi alzavo presto e mi fiondavo alla sua bottega. Lo
trovavo chino sul giornale del giorno prima, se lo faceva mettere da parte dal
barista della via. Gli chiesi perché leggeva le notizie già accadute, lui alzava gli
occhi al cielo e sbofonchiava:
“Le cose non accadono, si ripropongono come i peperoni”.
Rimanevo come un cedrone, tanto per stare in tema. Facevamo una capatina
mattutina al 'baretto' come lo chiamava lui. Appena Scandurra entrava nel locale, al
titolare gli si illuminavano gli occhi. 'Porta bene lo stregone', diceva. I suoi affari
quella mattina sarebbero andati alla grande. Il maestro prendeva un caffettuccio
corretto al mistrà, come gli ubriaconi diceva, con una bella bomba alla crema, io
insieme ad un maritozzo con panna, una spuma. Verso le 10,30 appuntamento con
la merendina mattutina, mi mandava dal pizzicagnolo a prendere uno sfilatino con
la coppa e i sottaceti per me, per lui una rosetta con la mortadella e due peroncini
freschi. Non l'ho mai visto approfittare dell'amicizia e dei favori che elargiva al
prossimo. Pagava sempre quello che acquistava, ricordandomi di non fare mai
debiti materiali e di pagare con moneta spirituale quelli invisibili.
Si avvicinavano alla sua bottega pure provocatori, cacadubbi, tanto per rompere. A
me innervosivano molto. Scandurra quando riteneva colmo il vaso, quando si
venivano a creare dissidi in seno al nostro cenacolo, in separata sede li
dissuadeva a modo suo e loro non si facevano più vedere.
A volte capitava di chiudere bottega a mezza mattina, per andare a fare una
capatina in chiesa. L'avevamo a due passi – cinquanta metri. Mi diceva che non
c'era niente di più fresco in estate che entrare in una chiesa antica. Ovviamente la
nostra non era una scelta di ristoro fisico soltanto. Facevamo un bel giro al suo
interno da sinistra a destra, per poi sederci alla prima panca vicino l'ingresso, e
osservavamo la volta altissima, gli affreschi, le statue, i candelabri, le immaginette
votive. Mi caricavo. Quel profumo di incenso mi piaceva e mi faceva star bene. Di
tanto in tanto capitava il parroco, arricciava il naso non appena scorgeva
Scandurra e si dava, invece la vecchina recitato il rosario e prima di andarsene, gli
chiedeva un appuntamento. Ritornando a bottega, gli si faceva incontro quel suo,
per modo di dire, gatto spellacchiato chissà da quale birbonata. Lo chiamava in
tanti modi come le sue nove vite. In realtà gli dava un nome per ogni occasione.
Torzo, Panzanella, Coglilova, Fregnone, Puzzoloso, Fiatella, Gattomoretto, Guerro,
Quelcoglione, erano alcuni dei nomignoli del micio. Mi assicurava che aveva più
avventure di Mandrake. Il gatto, mi ripeteva spesso, è il primo cittadino dei due
mondi, l'uomo sensitivo viene dopo, semmai.
domenica 2 maggio 2010
IUS 12
Come il miele attira l'orso, così Scandurra attirava una tipologia di persona ben
nota negli ambienti spiritualistici ed esoterici. Provo a disegnarne il profilo e credo
che voi, amici del blog, riconoscerete i tratti tipici di quel personaggio che compare
ogniqualvolta si vuole formare un cenacolo spirituale. Non credo di esagerare, ma
lo aggiungerei tra i tipi psicologici junghiani. Innanzitutto battezzerei così il tipo: il
sinistro. Proprio perché tale, il sinistro non vuole essere catalogato sotto etichette
semplificatorie. L'uomo sinistro è uno specialista di dubbi e sottigliezze, un
cacaminuzzoli, un formulatore di obiezioni e di distinguo, e talvolta anche un
azzeccagarbugli. Il sinistro, come gli è connaturato, deve arrivare alla scelta finale
– appartenere o non appartenere a quella comunità? - attraverso un complicato
processo mentale e psicologico, che affronta incertezze ontologiche, logistiche, e
alla fine non scioglierà comunque i suoi dubbi, le sue riserve, rimanendo sospeso
perennemente tra essere battitore libero e coscienza superiore, oppure infiltrarsi
con tutte le cautele del caso. Di solito il sinistro è uomo di cultura forte ma di mente
debole.
Di sinistri ne abbiamo incontrati diversi all'epoca della nostra avventura, a me
davano un fastidio insopportabile, ma anche per i miei amici non era facile
convivere con tali rompicoglioni specializzati. Scandurra non amava chi si
adoperava solo per il gusto di veder distrutto ogni tentativo di amicizia e di crescita;
lui era aperto ad ascoltare, ma fino ad un certo punto. Affermava di non essere
depositario della verità, ma di una potenza ancestrale, da millenni trasmessa
selettivamente maestro/allievo e poneva una condizione: non doveva essere
interrotta. Respingeva quelle intrusioni di perdigiorno e spie. Ci avvertiva che
quando un domani avremmo dovuto ritrasmettere il dono, non dovevamo indugiare
con i potenziali candidati: o dentro o fuori. Le dispute accademiche, i
tentennamenti amletici, erano banditi dal nostro lavoro. Le cose serie erano per le
persone serie. Non dobbiamo dimostrare niente a nessuno, non dobbiamo fondare
né una chiesa né una scuola, ma soltanto esser degni di ricevere il dono, e basta.
Filosofie, esoterismi, seghismi, se non strumentali alla comprensione, non erano di
casa nella bottega magica.
Ammusato, altro nomignolo del gatto, era entrato come una furia in bottega. Due
clienti si spaventarono e Scandurra fece loro cenno di star tranquilli.
“Avrà combinato qualche casino e lo stanno inseguendo col lansagnolo. Se lo
beccano lo spellicciano tutto e gli starebbe pure bene a quel faciolone”.
Il gatto si imboscò dietro a delle cassette accatastate. Mi venne da ridere visto il
muso del felino. Era quasi ora di chiusura serale e il tempo non era certo clemente.
Tramontanina targata Viterbo. Del resto era inverno. Il maestro dopo aver servito i
clienti, indossò il cappottone da profugo, prese dal bancone sigarette fiammiferi
chiavi e un pacco marrone che aveva destato la mia curiosità. Uscimmo dal
negozio e gli chiusi, come ero solito fare, la saracinesca. Chiesi del gatto.
“Quando incontri il tuo nemico, senti il sangue scorrere e cantare in un ritmo
inebriante, perdi così ogni pesantezza terrena. Non ti importa della vittoria, non
temi morte né dolore delle ferite. Zampilla dentro una droga che impregna il tuo
sangue, la mente e l'anima. Diventi un freddo testimone e questo è il primo passo
in battaglia, è il senso del combattimento. Se possiedi l'inizio, il resto è inevitabile. Il
gatto, in questo momento, attende questo primo passo, il suo sangue si sta
trasformando per andare incontro al nemico. Oppure si sta cacando sotto...
ehhhhhhh”.
Sì, vabbé.
Ci salutammo per quella sera. Me ne tornai un po' deluso dal pomeriggio. Mi
creavo sempre delle forti aspettative dal maestro. Ero animato da una fretta, da un
desiderio profondo di concludere, di sapere, di fare. Volevo pure io il dono. Ecco,
questo volevo.
Scandurra aveva una logica da mago, la prova concreta della possibilità di un
principio ordinatore del cosmo, che tutto il reale – soprattutto la parte ignota – è
razionale, che ci sono sintesi a priori del tutto incommensurabili. Un oggetto
malefico/negativo, secondo una sua definizione, va distrutto ritualmente così le
circostanze dietro di esso si calmano e ogni volta che applicherai il principio, il
problema si risolverà. Un principio organizzatore degli eventi del mondo è quello di
aggregazione e disgregazione della materia. Neutralizza una cosa attraverso il
fuoco e il suo potere si disgregherà. Cambio di stato. Sciogli una sostanza in acqua
corrente e il complesso egoico si semplifica, come un algoritmo.
Il portato dell'insegnamento scandurriano, sembrava in buona parte nuovo e
comunque fuori dai canoni occultistici dell'Ottocento e del Novecento. Nuovo non
solo nel linguaggio, ma nei contenuti: filosofia naturale+scienza eretica+alchimia
pratica+etnobotanica+metapsichica, il tutto miscelato con un potere personale
incredibile. Chiamatelo pure carismatico, io lo chiamerei magico, semplicemente.
Ma di un realismo magico, se mi consentite l'accostamento, che ti consente di
leggere le cose di questo mondo in una chiave incantata, ma che ti risuona dentro,
mostrandosi vera, schietta, sperimentale; un realismo magico dove la vita è
rappresentata da un mondo di segni, simboli, incontri fatidici. È la sapienza di
Atlantide di cui Scandurra era l'erede, quel mitico continente scomparso e non
sommerso. Il mio maestro, riuscendo ad insediare a Viterbo una piccola roccaforte
atlantidea, aveva compiuto un'opera grandiosa nascosta però a tutti, o quasi. Una
continuità illuminante con il lontano passato dell'umanità, avvolta in una
necessaria nuvola di imponderabilità, utilissima per meglio operare indisturbati.
Aveva stabilito un ponte-radio con lo spaziotempo, creata una nuova linea
temporale nella matrice cosmica, e tutto questo in una bottega di frutta e verdura,
situata in un quartiere popolare di una cittadina dell'Alta Tuscia, poco nota in Italia.
Così, semplicemente. Letteratura, immaginazione, mitologia? Come no!
La sera cenai insieme ai miei, poi scartabellai il diario sui compitiscolastici fatti o da
farsi. Ero spompato, come quando attendi qualcosa che ritieni importante e poi la
delusione, niente. Uno squillo improvviso al citofono e mi fiondai a rispondere. Mia
madre sbuffava. Era Zac, un sodale della gilda di Scandurra, che mi invitava ad un
incontro notturno presso la Fontana del Boia, poco fuori la città. In tutta fretta mi
preparai e scesi. Zac era di 12anni più grande di me, lavorava presso uno studio di
architetti, etruscologo e metapsichico di vaglia, amante della buona cucina – 130kg
di buon umore e ciccia – e delle comodità, ma per Scandurra avrebbe fatto
qualsiasi cosa, pure buttarsi in un fosso melmoso e puteolente, se fosse stato
necessario. Quella sera fu necessario.
sabato 8 maggio 2010
IUS 13
Dovete sapere che da quando ho incontrato il maestro nel lontano 1971, ho tenuto
un diario giornaliero su tutto quello che facevamo. Cronache, aneddoti, dottrina,
insegnamenti, esperienze singole e comunitarie. Migliaia di pagine. Quindi,
obbedendo ad una sua richiesta, sto gradualmente facendo conoscere al mondo
Scandurra, o meglio, le 'materie oscure' come le chiamava lui. In verità, forse pochi
di voi leggeranno questi post, ma chi lo farà avrà l'occasione di avvicinarsi a cose
mirabili, meravigliose, accadute negli anni settanta ma ancora operanti, oltre i
confini dei mondi.
Ho già accennato altrove che Viterbo riveste un ruolo di eccellenza sul piano sottile
che va ben al di là di quanto si ritenga in certi ambienti occultistici rinomati. Perché
questo? La natura specialissima, oserei dire quasi unica, che Viterbo possiede
rispetto a città notoriamente magiche come Praga, Parigi, Londra, Lione, Torino.
Viterbo è innanzitutto uno dei pochi scali atlantidei presenti in Europa. Tale asserto
riguarda non l'idea di un posto scelto per necessità dai superstiti
dell'inabissamento del mitico continente; anche perché noi sosteniamo la tesi che
Atlantide è sparita, cambiando posizione rispetto al continuum spazio-tempo,
incastrata nell'intersezione di due universi. Si sono in realtà stabiliti nell'alta Tuscia
per scelta, perché tale territorio rispondeva a precipui parametri al fine di realizzare
un portale che consentisse l'accesso tra i due mondi-universo, in pratica hanno
deviato sullo svincolo della tangenziale che passa sul confine dimensionale. Se
avrete pazienza vi darò la mappa con relativa legenda, dei portali atlantidei.
Il bello è che non provo alcun imbarazzo a sostenere come sto facendo da tempo,
storie oltre ogni logica e fuori dall'ordinario. Conducevo programmi radio e poi
televisivi sui misteri prima che Giacobbo mettesse i denti da latte. Quindi sono
recidivo e senza speranza che rientri tra le categorie degli integrati. Mi auguro
sinceramente che queste mie asserzioni siano sbertucciate e considerate fesserie
da quegli scettici in servizio permanente effettivo, e siano invece prese seriamente
dai pochi lettori in sintonia. Questo perché se mi espongo così - non avendo intenti
lucrosi o di propaganda ideologica - vorrei evitare che intrusi e profani (Il Gruppo)
si mettessero in testa strane idee di sfruttamento su informazioni di rilevanza
eccezionale (almeno per chi sa di cosa parlo). Nel momento in cui diffondo le
materie oscure, so bene di andare incontro a pericoli di ogni genere, tuttavia se
viviamo l'ultimo spezzone di tempo prima del grande cambiamento, chi è animato
da buone intenzioni deve avere il sacrosanto diritto di poter accedere alla
conoscenza, senza intralci e persecuzioni ulteriori, dopo secoli di dominio politico-
religioso, lucifugo e liberticida. Oggi ci troviamo tutti di fronte ad una situazione,
volenti e nolenti, credenti e scettici, di epocale stupidità e pure di invisibile
profondità: questa situazione è creata ad arte da un consorzio di interessi globali.
Di fronte a tale momento, ritengo utile indicare una via di fuga a quanti la vorranno
percorrere, a quanti avranno il coraggio di scegliere. Io la trovai già negli anni
settanta con Scandurra e nemmeno me ne accorsi, credendo di non essere
testimone del grande salto dell'umanità. Oggi, esclusi noi folli apocalittici, chi parla
di fine del mondo in Occidente. La Chiesa cattolica? Ma per favore, hanno ben più
prosaici problemi di sesso e di bancomat. I governi politici? Non esistono, in
quanto il mondialismo ha azzerato la libertà, manipolato l'informazione, asservito la
scienza e costretto i popoli a pensare poco e soffrire di più. Siamo solo noi a
cercare la verità a qualunque costo.
Zac col suo sigaro perennemente acceso, attendeva in macchina l'arrivo di
Scandurra. Io invece, per non sopportare il fumo, ero uscito e passeggiavo
nervosamente sullo sterrato, a pochi metri dalla famigerata fontana. La temperatura
era bassa, indossavo un loden, un berretto e una sciarpa che mi avvolgeva tutto;
tuttavia il freddo si faceva sentire. L'architetto mi chiamò per sapere come stavo.
Aveva notato la mia contrarietà.
Dovete sapere che all'inizio dell'apprendistato con Scandurra, tutti noi temevamo di
essere poco considerati da lui. Quasi si sgomitava per entrare nei suoi favori.
Dinamiche usuali in certi ambienti, evidentemente. Non avevamo ancora compreso
che per ricevere il dono, non contava l'intelligenza, la simpatia, la presenza, ma la
conquista del rispetto e della dignità. Voleva da noi il segno della predestinazione:
colui che è degno, regna.
Zac, benché separato dalla moglie con tutti gli strascichi del caso, conservava il
suo stile di sempre, le abitudini di sempre, le voglie di sempre e proprio per questo
Scandurra gli disse all'indomani della separazione:
“Zacco mio, sei destinato a separarti da tutte le donne del mondo, perché continui a
non separarti dalle tue cose di sempre”.
La 500 del maestro si avvicinava alla sua consueta andatura, piano andante.
Accostò dietro Zac. Gli andai incontro e gli chiesi se dovevamo aspettare pure gli
altri.
“Angiolè, stasera voglio solo voi, i migliori”. E rise soddisfatto. Io trattenni un moto di
rabbia. Zac uscì anche lui e fece cenno al maestro se voleva un sigaro. Era quasi
una pantomima, perché Scandurra fumava solo Nazionali senza filtro, le più
tremende, puzzolenti, sigarette sul mercato. Però le accettava se gliele offrivano,
per poi regalarle. Così fece per il sigaro.
In fila longobarda seguimmo il maestro mentre si inoltrava in un campo incolto,
pieno di erbacce e sassi.
Dopo alcuni minuti, egli si fermò presso un fosso puzzolente e dall'acqua sporca e
stagnante, per quanto ci fosse consentito vedere. Scandurra si guardò intorno
come era solito fare, poi depositò delicatamente nella buca il pacco marrone che
aveva destato il mio interesse a bottega.
Zac ed io ci guardammo attoniti e smarriti. Che cosa c'era dentro il fagotto? Perché
lo gettava? Il maestro si girò verso di noi:
“Questo fosso è la finestra sulla voragine senza fondo da cui si creano gli universi.
L'acqua notturna è il punto di transito, il conduttore. Vi chiederete che cosa ci ho
immerso?”
Zac con garbata ironia, disse che non ci aveva nemmeno pensato a chiederselo. Io
rimasi in uno stato indefinito, fatto di sconcerto, voglia di sapere, capire cosa fosse
il baratro senza fondo dietro ogni cosa.
“Ebbene, amici cari, dovete sapere che da quando divennero abituali le mie sortite
tra i mondi, vi sono certe commissioni da fare e alcuni compiti da adempiere.
Stasera non sbaglio nemmeno la grammatica, ma mi rifarò”.
Scandurra ci teneva sulle spine, aumentava il mistero e poi, non ci aveva ancora
spiegato cosa fosse quella cosa. Questo suo atteggiamento credevamo,
inizialmente, che fosse un pretesto o un gioco per catturare la nostra attenzione,
procurandoci indignazione. Imparammo col tempo che voleva indurci ad entrare in
una sorta di sintonia d'onda, in uno stato speciale seppur tenue di coscienza.
“Ora Zac, vorresti aiutarmi? Tuffati nel fosso e verifica se il pacco è arrivato a
destinazione”.
venerdì 14 maggio 2010
IUS 14
Zac mi guardò e di fronte alla richiesta del maestro di scendere in quella pozza,
siccome non poteva rifiutarsi, pena la supposta declassazione a discepolo
inaffidabile, con una vocina flebile flebile, gli chiese:
“Come mi accorgo dell'avvenuta consegna del pacchetto? Immagino che il fondo
sia torbido...”
“Zacco, è un gioco da ragazzi – interruppe Scandurra – lì sotto c'è un nodo
dell'ipersfera [baratro senza fondo] e ogni effetto è relativo soltanto a se stesso. Il
nodo è una stazione di transito tipo la stazione di Orte Scalo, con la differenza che
anziché dall'energia elettrica, è alimentato da una Nova [È un'enorme esplosione
nucleare causata dall'accumulo di idrogeno sulla superficie di una nana bianca,
che fa sì che la stella diventi, per qualche giorno, molto più luminosa del solito. La
parola nova può indicare sia la causa del fenomeno sia la stella stessa al momento
dell'esplosione. Va da sé che Scandurra poteva benissimo usarla come simbolo ].
Così la chiamano ed è una parola che mi piace. Non temere, non può succedere
nessuno scambio di energia tra te e la Nova, qui nel nodo, a meno che tu non sia
un anomalo e allora saresti cotto come un supplì. Eh eh eh, pensa, 130kg di
frittura”.
Zac riuscì persino a sorridere e mi fissò come se fossi l'ultima persona che avrebbe
visto sulla terra.
Si levò il giubbotto di pelle e le scarpe, poi si sedette ai bordi del fosso e con
circospezione vi si immerse. L'acqua era gelida e limacciosa, se le smorfie di Zac
non ingannavano, ma ciò non gli impedì di accennarmi alla sua ex, circa alcune
pratiche che erano in mano al suo avvocato. Scandurra sorrise e chiese a Zac se
gli lasciava quel suo bel giubbotto, aveva sempre desiderato averne uno ma non
se lo poteva permettere. Per un attimo pensai ad una sua burla, uno scherzo da
prete insomma. Che ci facevamo al freddo ed in procinto di gettarci in una fossa?
L'amico architetto prese un bel respiro e si inabissò, già, questo è il termine giusto.
Le onde che provocò sembravano quelle californiane. Mi guardai istintivamente
intorno. Non c'era anima viva. Dopo qualche secondo la superficie del fosso
cominciò a... friggere. Mi spaventai ricordandomi dell'osservazione del maestro sui
supplì, stavo per buttarmi pure io per salvare Zac, che però fece capolino
lentamente e sbuffò per qualche secondo e ci sorrise.
“Siete qui ad aspettarmi? Grazie amici, ma io stavo una favola. Gagliardissimo. Mi
hanno cercato allo studio? Che gli avete detto? Ma che mi frega. È meglio di un
romanzo d'avventura. Grazie, grazie, Scandurra, ti sono debitore per sempre.
Posso ritornarci? ah, dimenticavo, tutto a posto, il pacco è in buone mani. Mamma
mia, è fantastico. In confronto sto' mondo è un lungo incubo. Non immaginavo che
fosse così facile l'accesso e da qui, in una pozzaccia di acqua salmastra.”
Uscì dal fosso. Corsi a prendergli un plaid nella sua auto. Lo ritrovai che parlottava
col maestro. Lo avvolsi tutto sebbene una parte rimaneva fuori, vista la sua mole.
“Ma quanti giorni sono passati? Sei, sette? Certo, dopo una settimana lì, ritornare a
studio... a Viterbo... che pal...”
In pratica, non erano passati più di dieci secondi. Ah, dimenticavo: tempo terrestre.
giovedì 20 maggio 2010
IUS 15
Quella sera terminò così. Zac era euforico e corse verso casa, salutandoci.
Scandurra tutto contento si stringeva al petto il giubbotto di pelle regalatogli dal suo
allievo più promettente. Io? Ero in uno stato pietoso. Mi rodevo dall'invidia, ce
l'avevo col maestro e poi, dell'avventura dell'amico, niente, tutto rimandato al
giorno dopo.
Ma così non fu. Per ordine di Scandurra, su quanto accaduto in quel viaggio
dimensionale, spaziale o come diavolo definirlo, il massimo riserbo. Perché mi
lasciava così? Perché Zac e non io, era andato in quella missione? E, ancora,
perché mi tenevano all'oscuro di tutto? Che il maestro avesse deciso di fare una
scrematura tra i suoi fedelissimi? Queste e altre domande angosciose mi
mulinavano in testa. Non ci potevo far nulla, non mi stava bene. Avevo dedicato a
lui, giorni e giorni di massima attenzione, di pazienza, di sottomissione addirittura;
gli avevo, come si dice dalle nostre parti, “portato l'acqua con l'orecchie”, ma tutto
questo non bastava, no, non era sufficiente.
Passai notti insonni. Non mi ero più recato da Scandurra e cercai con tutta la
volontà di pensare ad altro. Mi misi a studiare e a frequentare la Biblioteca
provinciale. Ritornai ad allenarmi con la squadra di calcio del mio quartiere e mi
riconquistai un posto da titolare. Le domeniche andavamo a giocare per il
campionato e le trasferte diventavano vere e proprie avventure, tra tifosi assatanati
e arbitri “venduti”. Insomma, ritornai al mondo reale.
Il morso della vipera non cicatrizza. Il mondo occulto ribussò alla mia porta. Una
sera, insieme a mio padre, vedevamo la partita del mercoledì di coppa, dove era
impegnata una squadra italiana contro una tedesca. A quei tempi il nostro era un
calcio tattico fino all'ossessione, Gianni Brera sosteneva il modulo e auspicava
maggior atletismo, ma era ben conscio che l'italiano aveva limiti ben precisi.
Insomma, noi si giocava in contropiede e l'avversario ci assediava. Il portiere
italiano diventava l'eroe della notte. Una telefonata ci fece trasalire. Andai a
rispondere.
“Angelino che fine hai fatto”, era Scandurra con tono sardonico. “La notte è troppo
bella per passarla davanti al televisore. Dai, ti vengo a prendere”. Ero tentato di
rispondergli con un secco 'no'. Il richiamo della foresta era però più forte.
Ero deciso a tenermi sul distaccato forte, non volevo fargliela passare liscia.
Ripensandoci oggi, mi viene da sorridere, ma il 1972 avevo 14anni e certe mie
posizioni erano naturali. Scandurra guidava con la sua solita flemma, poteva
benissimo chiudere gli occhi e zigzagare per le viette di Viterbo antica senza
problemi. Uscimmo dalle mura cittadine e ci recammo verso la fontana del Boia. Vi
confesso che il cuore mi stava per sfondare il petto dall'emozione. Accostò e
scendemmo. Stavo per incamminarmi verso il fosso quando il maestro mi trattenne.
“Dove vai? Pensi di scendere laggiù? Ti senti pronto? Stasera volevo soltanto fare
un giretto e bere da questo fontanile dell'acqua fresca. Tutto qui.”
“Ma Scandurra, mi hai fatto venire per farci una bevutina serale? Non capisco. Zac
ha avuto una possibilità incredibile ed io rimango al palo. Non capisco che devo
fare. Ci sono figli e figliastri, evidentemente. Se sono pronto? Questo lo stabilisci tu,
ovvio, però ho diritto ad una spiegazione se non ti dispiace.”
Il maestro mi guardò nelle 'palle degli occhi', come soleva fare e dire, poi si umettò
le labbra e si diresse in direzione del fosso. Lo seguii un po' crucciato e una punta
di vergogna incominciò a salirmi da dentro. Con mia sorpresa, davanti al fosso,
sostava una macchina di grossa cilindrata. Scandurra si avvicinò al finestrino e
bussò. Due uomini, uno sulla cinquantina e l'altro che non aveva più di venti anni,
si tirarono su da una posizione supina, seminudi. Il più grande abbassò il finestrino
e impacciatissimo salutò Scandurra.
“Ciao carissimo, sai, stavo facendo vedere questo lotto ad un mio cliente... ehm, è
intenzionato a comprarlo per costruirci.”
“Dottor Federici, il posto è proprio bello, specialmente di notte. Spero che il suo
cliente non se lo lasci sfuggire. Ma vedo che le ha già anticipato un acconto. Bene,
è meglio non perdere tempo. Dottore, un saluto alla signora e buonanotte”.
I due 'uomini d'affari', in fretta e furia, si ricomposero e sparirono nella notte alzando
un polverone. Scandurra si mise a ridere alla grande. Conoscevo di nome il dottor
Federici. Noto proprietario terriero e di diversi negozi al centro, democristiano doc
e dirigente dell'azione cattolica provinciale. Insomma, un notabile influente e
ascoltato nei salotti che contano. Certo, pur di fare buoni affari, era disposto a tutto.
Mi rivenne il buon umore e risi col maestro.
“Copulavano, eh? Senza invidia.” Sentenziò Scandurra. Si accovacciò presso il
fosso e come se pensasse ad alta voce pronunciò uno dei suoi teoremi:
“La Materia è così evanescente da diventare un buco, lo Spirito può riempirlo
completamente perché è solido”.
La serata era fredda ma bella. Mi sentivo come riconciliato col maestro. Compresi
che ero stato infantile. Possedevo dentro di me la sacra fiamma, non avrei potuto
far altro che incamminarmi lungo i sentieri della conoscenza. Detto così sembro
enfatico, ridondante, ma chi mi conosce sa bene che è la mia natura. Mai ho
aspirato ad una vita borghese, ad una mentalità borghese, ad una fede borghese.
La religione cattolica mi stava stretta, almeno quella che ho conosciuto sin da
bambinetto. La liturgia, la preghiera, il rapporto col prete, mi apparivano
esperienze fiacche. Non volevo sentir parlare di Dio e del Suo Regno, desideravo
sperimentare, percepire. Non era orgoglio il mio, ma una sete inattenuata di
assoluto, di segrete cose. La sacra fiamma per essere acquietata, pena la
distruzione, deve canalizzarsi. Ringrazio il Padre Celeste che mi ha condotto il
maestro a tempo debito. Non tutto quel che vidi, compresi. Non tutto quel che feci,
imparai. Di tentativi ne feci tanti e di sbagli, altrettanti.
Dapprima l'odore proveniente dal fossato era insopportabile, poi cambiò.
Diventava sapore, lo sentivo in bocca. Sapeva di metallo.
“Ti senti pronto?”, mi chiese di nuovo Scandurra.
“Credo di sì, però tu conosci meglio di chiunque altro, cosa sono in grado di fare.”
All'improvviso sentivo le gambe molli, la pancia mi bruciava... Mi rendevo conto in
quel momento di quanto fosse difficile, incognito entrare lì dentro.
“Si fa presto a dire: esiste solo ciò che vedo. Si fa presto a dire: vedo solo ciò che
esiste. Ma pochi dicono: proviamo. Vedi, Angelo, da giovinetto facevo parte di
un'anonima talenti, una gilda. Gente con poteri non comuni. Il principe ci addestrò
a rendere questi poteri utili, chiavi per accedere ad altre dimensioni. Ci indicò
come trovare le botole che si affacciano su altri mondi. Alcuni di noi, forse per
superbia o perché smisuratamente sciocchi, pensarono bene di modificare
addirittura gli altri universi. Sembrava tutto pazzesco, ma anche drammatico. Un
compagno sparì. Un altrò ritornò svalvolato e non si riprese più. Per me, da
principio, il potere era una enorme scocciatura; vedere il destino ultimo delle
persone, cambiare le cose, manipolare la materia, mi faceva alla lunga soffrire. Poi
imparai ad usarlo per accedere e compresi il fine. Essere cittadino dei due mondi,
pendolare senza scalo fisso, oltrepassatore di ponti, saltafossi: questi i compiti. Zac
è tosto ma non è questo il suo lavoro, tu, invece, potresti ricevere la stessa
consegna. Si fa sul serio, maledettamente. Dovrai rinunciare a molto, forse a
troppo. Però, c'è sempre un impiego in banca che ti aspetta.”
lunedì 24 maggio 2010
IUS 16
Bancario tutta la vita? No, grazie, senza offesa per la categoria. Preferivo crepare
come saltafossi, tentare l'impossibile, scoprire mondi, regni paralleli, sforare verso
un intermundia oltre ogni ragionevole dubbio, che vivere e morire da nevrotico
borghese. Riflettevo su quanto mi aveva confidato Scandurra: sgattaiolava tra
dimensioni, aprendo e chiudendo botole, come lui le chiamava, verso un baratro
senza fondo, affacciandosi oltre ogni barriera spazio-tempo, poteva così accedere
in ogni dove. Notevole, che ne dite? Un Mandrake redivivo. Ma che dico: un dottor
Strange, un John Silence, un Cagliostro rivisitato. Mah, tra personaggi letterari,
maghi veri o presunti passati alla storia tra luci, poche, e molte ombre, è difficile far
paragoni. Scandurra ripeteva di provenire da un'anonima talenti, radunata da un
principe della cosiddetta nobiltà nera romana. Una gilda di persone, donne e
uomini, dotate di straordinarie capacità paranormali. Eccezioni di natura che per
qualche dinamica celeste specialissima, erano venuti al mondo con un compito più
che con un destino. Avrebbero comunque dovuto scegliere.
Scandurra ci rendeva partecipi di una visione del mondo di tipo esoterico;
aggettivo fin troppo abusato, da alcuni decenni a questa parte. Lui, negli anni
settanta, denominava le sue dottrine “materie oscure”, perché esistenti fin dalla
fondazione del mondo. E, vi devo confessare, sento con malinconia mista a
fastidio, oggi, di “pischelli” spirituali che pontificano di guerre tra Luce e Tenebre,
arconti e maghi, senza la benché minima cognizione ed esperienza di quanto
vanno raccontando. Vedete, il tirocinio con Scandurra non aveva niente a che
spartire con scuole alla Harry Potter, lontano anni luce dalla fumettistica
marvelliana o dai manualetti acquariani; era un cammino sacro, con conseguenze
radicali sulla nostra vita, produceva, infatti, reazioni fisiopsichiche sconvolgenti;
l'impatto di quanto andavamo facendo e acquisendo, riguardava un vero e proprio
trasmutamento, fino ad interagire col DNA. Devo dirla tutta, a scanso di equivoci e
di aspettative facili: alcuni miei amici che inizialmente hanno “bazzicato” la bottega
magica, sono fuggiti a gambe levate e denunciando temporanei disturbi fisici e
mentali. Scandurra ci sottoponeva ad un iter pesante, inframmezzato con momenti
beati, sì, ma niente era gratuito, tranne il Dono che a fine corsa ci trasmetteva. Lo
voglio ulteriormente sottolineare. Amici, quando leggerete queste Cronache,
capirete sin da subito che niente è facile sul cammino dello Spirito e della
Conoscenza. Lacrime e sangue, ma pure gogna sociale, politica e religiosa. Oggi,
non c'è più storia né memoria. Abbiamo dimenticato che da quando il mondo ha
preso una piega cosmica siffatta, l'uomo libero è il mostro da perseguitare e
uccidere. Lo dico e lo confermo: se volete imbarcarvi in un cammino iniziatico
munitevi di mutande di bandone. Nei testi cosiddetti esoterici si glissa
colpevolmente su questo pericolo. Non credete troppo al tempestivo aiuto da parte
di angeli splendenti che vi porteranno in salvo da arconti birboni; non credete a
chissà quali potenze cosmico-divine che vi sosterranno durante l'armageddon. Le
cose non stanno come le raccontano. Ci sono ottimi eruditi e qualche volta pure
qualcosina di più, che hanno scritto libri interessanti, a volte pure con dati autentici,
su questioni esoteriche. Ho notato però che sono manchevoli spesso e volentieri,
della pratica, della messa in opera, me ne sono accorto perché il morso del Drago
fa male, eccome. Discettare di cose alte, iperuraniche ci riempie, certo, ci eleva,
pure, poi, all'atto pratico, quando molto semplicemente ti metti a meditare, o meglio,
cerchi di entrare in uno stato meditativo, ecco dietro l'angolo il fardello di paure,
pensieri, desideri che ti paralizzano. E stiamo accennando solo all'inizio dell'opera.
I mostri interiori sono i più duri da sconfiggere. Lì si trova la grande barriera
corallina dell'ego. Impenetrabile. Oltre non si passa. Ho vomitato, defecato sangue
e vecchi rifiuti chissà da dove riscappati, subìto stati depressivi, incubi diurni e
notturni, febbri, sconvolgimenti sensoriali: questo solo all'inizio della Nigredo,
intaccando il nocciolo duro dello stato del mio essere. Chi chiacchiera di
esoteriche vie; chi proclama trombonescamente di battaglie interplanetarie: in
buona parte parla di cose che non conosce, di cose apprese sui libri e spesso mal
digerite. Amici che leggerete queste Cronache, la Via è quasi impossibile da
praticare, a meno ché non si incontra un folle che c'è passato prima.
L'autoiniziazione non esiste, è un concetto new age, facilone e infondato. Diffidate
di voci interne – Giovanna d'Arco era un'entronauta atipica e forse unica nel suo
genere – che vi inducono ad iniziare il cammino, promettendovi ruoli epocali. Amici
che leggerete queste Cronache, se avete nel vostro cuore un fuoco che non brucia
e vi induce a cercare, seguitelo, ma preparatevi alla Vigilia delle Armi: sarà lunga e
sfiancante.
No, decisamente, volevo provare direttamente il salto. Non poteva bastarmi una
vita ordinaria, magari con una fede traballante, un'etichetta da appiccicarsi
addosso senza brama, priva di pazzia, di fervore. Francesco d'Assisi abbandonò
tutto quello che una vita agiata gli prometteva per unirsi anima e corpo a Dio. Un
esempio sull'esempio di Cristo. Uno yoghi cosmico che operava in Umbria. Senza
tentennamenti, senza passare per chiese e preti, senza compromessi. Del resto,
Scandurra voleva questo da noi: lascia le vecchie credenze e convenzioni, metti
sul piatto della Vita quel poco che credi di essere e libera i talenti latenti.
Di fronte a me l'occasione di vivere in prima persona l'incredibile. Avevo già visto
cose di altri mondi e dimensioni. Avevo ben impresso nella memoria l'incontro con
l'atlantideo, fratello in spirito di Scandurra. La cultura dominante, la religione di
Stato, la scienza ufficiale, ci avevano tradito, riducendo il mondo e l'uomo ai minimi
termini. Il maestro ci aveva aperto le porte, anzi, le botole verso altro, oltre lo
specchio. Non avevo bisogno di alcuna fede, sapevo. Ora dovevo però fare il salto
di qualità, buttandomi nel fosso. Già, sembrava una burla colossale. Ma la
desideravo come l'aria. Immergendomi in quella melma, sarei passato dall'oscurità
della coscienza ordinaria, alla luce della conoscenza. Esoterismo pratico, alchimia
operativa, magia stellare... etichette, sempre etichette, per natura approssimative.
Le materie oscure erano fatte di cose concrete, di formule funzionali, bisognava
però immergersi completamente, saltare oltre la volta, portarsi al di là con quel
poco o tanto che eravamo. Non c'è trucco non c'è inganno. I conti? Con se stessi,
prima, col Drago, poi.
Spesso, ci facciamo un'idea di ciò che ci aspetta, magari prima di un esame, di un
appuntamento galante, di un lavoro. Elaboriamo uno scenario capacie di includere
anche l'imprevisto. È naturale, ma non sempre si avvera.
“Il corridoio di accesso è tutt'altro che ben sistemato. Bisogna che abbassi la testa e
curvi il dorso. Dovrai ricorrere a miracoli di destrezza per posare i piedi lì.” Questo
mi indicò Scandurra.
“Ma non glielo hai detto a Zac. Lui si è buttato alla cieca ed è andato tutto bene.
Ora mi fai venire i dubbi...”
“Vedi che non sei pronto. Dai, ci ritorneremo un'altra volta.”
“Va bene, va bene. Farò come mi hai detto. Devo sapere qualcosa in più? Cioè,
che fare quando mi troverò lì? Ma dove si trova lì?”
“Angelino mio, che vuoi la carta del Touring Club?”
“Ho capito. Mi immergo.”
venerdì 28 maggio 2010
IUS 17
Rabbà disse: se i giusti volessero, potrebbero creare un mondo, perché è detto: sono i vostri
misfatti che fanno la differenza fra voi e il vostro Dio.
(Isaia 59,2)
''Due particelle +/- o sanno quello che fanno o è meglio che non s’incontrino mai”,
perché l’atomo che è nato almeno 13,7 miliardi di anni fa, non poteva venir fuori
rabberciato alla meglio….Questo vuol dire che la prima particella + e la prima
particella - avevano previsto ogni particolare, per poter aderire alle tantissime leggi
della fisica atomica''.
Massimo Corbucci, Alla scoperta della Particella di Dio, pag. 134
"Questa vasta dimora della natura è costruita con molte ali, ognuna delle quali ha il
suo ingresso. Il fisico, il chimico, il biologo entrano da porte diverse, ognuno ha la sua
sezione di scienza, e ognuno arriva a pensare che sia un suo dominio speciale,
distinto da quello degli altri. Noi dobbiamo invece ricordare che tutte le indagini hanno
come scopo il raggiungimento del sapere nella sua totalità. Nelle mie ricerche
sull'azione delle forze sulla materia, mi sono stupito nello scoprire che si annullavano
linee di demarcazione e che emergevano punti di contatto tra il mondo vivente e il
non-vivente. Ciò significa che dovremmo abbandonare tutti i preconcetti, gran parte
dei quali risultano in seguito assolutamente privi di fondamento e contrari alla realtà".
Jagadis Chandra Bose
Una Anonima Talenti si stava formando pure a Viterbo. Eravamo ben decisi e
convinti a seguire in tutto e per tutto, il nostro maestro. Diatribe personali, piccole
competizioni egoiche, infantilismi ancora da risolvere, sfumavano; ci si aprivano
orizzonti altrimenti solo sognati o immaginati. La nostra città smetteva di essere un
modesto e dimenticato capoluogo di provincia, per diventare un astroporto verso
altre dimensioni, dove un saltafossi degli spazi ignoti ci faceva sperimentare cosa
poteva fare realmente l'uomo, grazie all'emersione delle sue meravigliose latenze.
Scandurra non voleva costituire un sodalizio superomistico, composto di egolatri
intenti solo all'ottenimento di poteri paranormali – sebbene la tentazione di certi
personaggi orbitanti nella bottega magica, fosse forte - , ma preparare donne e
uomini liberi alle materie oscure, per svolgere compiti specialissimi tra universi
tangenti. Da favola e da brivido.
Seguendo le istruzioni sommarie del maestro, mi immersi lentamente nel fosso.
L'acqua salmastra era fredda, densa. Con i piedi cercai il fondo, ma con mia
grande sorpresa sembrava non esserci. Mi immersi fino alla testa e mossi le
braccia e le gambe per rimanere a galla. Mi prese un po' di strizza. Poi, feci
esattamente quanto mi suggerì Scandurra: abbassare la testa e piegare il dorso.
Presi quanta più aria possibile e mi calai dentro quella pozza. Mi raggomitolai in
posizione fetale. Dopo alcune decine di secondi, l'ossigeno nei miei polmoni si
esauriva... non vidi più nulla. Buio pesto. L'erbaccia e chi sa cosa altro mi si
attorcigliava addosso. Passai momenti di panico. Notai l'esaurirsi del mio spirito di
conservazione: giacevo passivo e sconsolato in quel nero acquitrinoso. Non avevo
reazioni. Ero come svuotato, inerte. E scendevo in direzione di un fondo che forse
non c'era.
Un bagliore frontale, dapprima tenue poi più forte, mi indicò la via da seguire. Con
una bracciata mi diressi verso quella luce brillante. Alzai la testa e distesi il corpo e
toccai il fondo con i piedi; l'acqua mi arrivava al petto. Tornai a respirare l'aria.
Tossii e sputai. Mi trovavo sotto una volta, alta non più di due metri, che dava in
una galleria ascendente e illuminata da una qualche fonte non distinguibile. Mi
inoltrai con circospezione. C'era un odore di bosco, sebbene non notai alcun tipo
di vegetazione. Man mano che salivo l'acqua si abbassava, dopo alcuni metri non
ve ne era più traccia. La galleria saliva con un angolo di 10/15gradi, il fondo era
morbido, sembrava moquette; era larga circa un metro e mezzo, scavata nella
roccia in maniera perfettamente levigata. Che fosse una costruzione artificiale non
c'erano dubbi, ma chi l'aveva fatta?
Mi resi conto soltanto dopo alcuni minuti, che ero completamente asciutto; dalla
testa ai piedi non c'era nemmeno una goccia d'acqua. Infatti, un leggero vapore
caldo inondava la galleria e pensai che potesse dipendere da questo. Non vi
erano rumori, nemmeno i miei passi sentivo. Sembrava tutto insonorizzato come in
uno studio di registrazione atipico. Provai a fischiettare. Niente, non sentivo niente.
Mi prese un po' di angoscia. Dove mi trovavo? Dovevo continuare a camminare?
Verso dove? Cosa avrei trovato alla fine della galleria? C'era una fine? Cento
domande mi affioravano, senza uno straccio di risposta. Non mi rimaneva che
andare avanti, anche perché ritornare indietro, al punto in cui mi trovavo, non
avrebbe avuto senso. Almeno così mi convinsi. Aumentai il passo. Sgombra la
mente, Angelo. Mi sentivo bene, mi liberai dei pensieri molesti e affrontai
l'avventura col giusto piglio. Avevo voluto la bicicletta...
Subentrò ad un certo punto un'idea, non del tutto campata in aria, visto che mi
trovavo nel viterbese: ero in un camminamento sotterraneo etrusco. Ovvio
pensarlo. Però, così come mi era venuta, scartai l'ipotesi. Conoscevo sin troppo
bene il mondo etrusco. Questa galleria era moderna, illuminata non si sa da che
cosa e questo, già di per sé, rendeva tutto enigmatico, lontano da vestigia note. La
questione della luce che inondava tutta la galleria senza poterne individuare la
provenienza, mi intrigava molto. Ricordai di aver letto qualcosa su fiaccole eterne
presenti in gallerie segrete e cose del genere, concernenti i Rosa+Croce, ma un
conto è apprendere queste cose a mo' di leggenda, con i “si dice, si racconta”, altra
cosa è vederle di persona. Mi trovavo dentro un mistero. Mi venne la pelle d'oca e
un certo senso di inquietudine.
Erano già passati dieci minuti d'orologio. Dell'orologio proprio volevo parlarvi. Una
premessa. Sono sempre stato un appassionato di questi strumenti di precisione,
sebbene le mie finanze non mi permettevano acquisti onerosi. Insomma, tra
permute e risparmi, ero riuscito a procurarmi un Omega Speedmaster: uno degli
orologi più precisi dell'epoca. Bene, dicevo che erano passati almeno dieci minuti,
in realtà tale computo lo dovetti fare a istinto, perché la lancetta dei secondi del mio
Omega andava visibilmente all'indietro. Sì, amici, all'indietro, ed erano passate
secondo il mio cronografo, o meglio, anticipate, almeno due ore. Dove stavo?
Forse quel vapore era tossico e mi procurava allucinazioni; oppure la mancanza di
ossigeno durante l'immersione, aveva comportato delle alterazioni neurologiche,
per cui in uno stato semi comatoso viaggiavo in chissà quale mondo della follia.
Mentre elucubravo, inciampai in qualcosa e caddi in avanti, evitai una smusata per
pochissimi centimetri, grazie alla prontezza di riflessi mi sostenni con le mani.
Questo fatto mi convinse che non sognavo e non ero vittima di allucinazioni:
sentivo il mio peso, il piccolo choc da caduta, insomma ero vivo e vegeto e
presente a me stesso. Piuttosto, cosa mi aveva fatto cadere? Non vi erano gradini o
sassi, niente che sporgesse dal suolo. Feci per rialzarmi e proprio di fronte a me,
stava una porta rossa di spesso cristallo, rettangolare, priva di maniglie che
chiudeva la galleria. Lasciava intravedere poco, oltre il vetro: forme in movimento.
C'era al di là della porta qualcosa o qualcuno, comunque. Forme mobili, vive,
quindi. Visto e considerato che mi trovavo lì, non fu né difficile né geniale decidermi
di bussare e semmai di spingere la porta. Chi domanda non fa errori.
Mentre mi accingevo ad entrare, ricordai una basilare raccomandazione di
Scandurra. Apriti al cosmo, mi ripeteva, e sentirai fluire dentro di te un treno d'onde.
Il flusso celeste ti permetterà di entrare nell'ipersfera, nel baratro senza fondo.
Cambiando la mia vibrazione e frequenza, potevo mettermi nelle condizioni ideali
per entrare in contatto con qualsiasi materia. Conoscenza e prassi; diventare
l'oggetto conosciuto; diapason vibrante con ogni cosa; estendere il mio campo di
forza in ogni dove. Per conoscere bisogna identificarsi con ciò che si vuole
conoscere. Annullare la distanza tra me e quello che guardo. Soltanto in questo
modo, posso veramente comprendere. Il mio corpo diventava alchemico, si
trasformava. Purtroppo tale trasformazione non era stabile. Richiedeva ancora del
tempo. Già riuscire ad innescare mutamenti parziali, limitati, era comunque una
condizione eccezionale. Come un'autoallucinazione, vibrava ogni cosa dentro di
me, emergeva una nuova tensione. Non mi sentivo più sparso, disciolto in strutture
psichiche e fisiche. Non ero più scisso, l'io retrocedeva nella serie cadetta, per
lasciare il campo alla mia essenza. Diventavo la chiave-codice per oltrepassare la
soglia...
giovedì 3 giugno 2010
IUS 18
Scandurra sosteneva che Viterbo, insieme ad altri luoghi fatidici sparsi per il
mondo, erano ponti dell'Universo, portali verso scali cosmici. Uno di noi, fissato con
le filosofie orientali, aveva ribattezzato questi posti, Sevagram. Sevagram è il nome
di un villaggio indiano, nello stato del Maharashtra, già sede dell'ashram del
Mahatma Gandhi. Il nome sevagram significa, in hindi, villaggio di servizio. E
proprio questo svolgeva Viterbo, un servizio di accesso.
Non fu difficile credere a quanto asseriva il maestro. Le cose che vedevo e vivevo
erano oltre ogni immaginazione. Proprio qui, nella mia città avevo l'opportunità
unica di accedere a mondi e dimensioni come le descrivevano i viaggiatori mistici,
gli sciamani, gli scrittori veggenti, i maghi. La stessa fantascienza del ventesimo
secolo, aveva ripreso nelle forme adeguate allo spirito del tempo, i temi
dell'esplorazione galattica, l'ultima frontiera oltre i confini terrestri. Verso gli anni
sessanta, la sci fi si diresse verso altri lidi, da quelli dell'esplorazione esterna alle
esperienze di alcuni coraggiosi viaggiatori alle prese con i mondi interni della
coscienza. La letteratura ebbe un ulteriore sussulto. Una nuova espressione
documentaristica, romanzesca, speculativa, fece il suo ingresso trionfante sul
panorama culturale un po' borghese e stitico, quando non violentemente
ideologico. Il Mattino dei Maghi, fu il libro chiave di questa svolta copernicana,
forse ben più di quanto si aspettassero i due autori francesi, Louis Pauwels e
Jacques Bergier. “Un'opera che getta un ponte tra il fantastico e il reale, tra la
magia, la mistica e lo spirito moderno”, così recitava il sottotitolo nell'edizione
italiana a cura di Sergio Solmi. La prima edizione Gallimard datava 1960, quella
italiana Mondadori, il 1963. Fu un fulmine a ciel sereno. Grazie a questo libro molte
persone, di tutte le età e culture, ebbero il loro testo sacro, magari demitizzante ma
tosto, intrigante, aperto ad ogni strada della conoscenza. I piani cognitivi si
avvicinavano, passato e futuro si congiungevano. Atlantide, i dischi volanti, gli
alchimisti antichi e moderni, i superpoteri psi, si ritrovavano in un mix
lussureggiante, dalle atmosfere caleidoscopiche. Si era riaperta una porta, non
solo simbolica e culturale. Soprattutto il pirotecnico Pauwels, pagano (sebbene
convertitosi alla fine del suo percorso, al cattolicesimo) ed ex allievo di Gurdjiev,
riuscì a scuotere le fondamenta del piattume occidentale, lanciando segnali per i
naviganti nelle terre incognite. Noi ci abbeverammo da questa fonte e grazie alle
sue aperture sul fantastico, sul mitico, sulla scienza di frontiera, ci mettemmo nelle
condizioni ottimali da poter incontrare Scandurra: un personaggio che non avrebbe
sfigurato tra quelli citati da Pauwels e Bergier, anzi. Quello che stavo facendo,
oltrepassare i limiti spazio-tempo trasformando me stesso, era la migliore ricezione
di quel messaggio.
Non avevo più una struttura biopsicofisica ordinaria, ero unificato. Il mio punto-
coscienza era esteso ed espanso: onda-sorgente oltre lo spettro sensoriale. Anche
la paura contribuì a realizzare questo mio stato, lo confesso. Si radunano forze,
sentimenti, aspettative, volontà, in una sintesi superiore.
Tentai di toccare la porta cristallina, pensando di trovare un ritorno di forza.
Pensavo di sentire la durezza del cristallo. Pensavo così, ma le cose stavano
diversamente. Era oleosa e plastiforme, vi penetravo con tutta la mano. La
sensazione era curiosa, in apparenza sembrava compatta, in pratica era molle.
Non realizzai che potessi essere io a trovarmi in una condizione speciale atomica
e animica, quindi oleosa e plastiforme: mi venne in mente subito dopo che
l'attraversai con tutto il mio corpo. Mai come in questo caso potevo definire il mio,
come un corpo fluidico. Il dentro e il fuori, io e la realtà che mi circondava, eravamo
comunque cambiati. Come in un grande acquario pieno di olio, mi muovevo
lentamente, quasi a sobbalzi, la gravità non era più incombente. Mentre mi
inoltravo attraverso quello spazio rosso semi-liquido, mi venivano alla mente
pensieri di rivalsa, un po' stizzosi nei confronti di alcuni coetanei che mi
canzonavano per le mie fisse col mondo dell'occulto. Adesso mi trovavo a vivere
un'avventura straordinaria, lontana dall'esperienze della maggior parte degli esseri
umani. Sulla punta della piramide, mi sentivo qualcuno...
Come capitava ogniqualvolta 'mi allargavo', una voce, un ricordo di Scandurra mi
ridimensionava.
“Se nasci falco, hai il dovere di volare alto, affrontare le correnti e il mirino del
cacciatore che vive in basso. Ognuno ha la frusta per il culo suo”.
Già nei primi tempi, mi profetizzò lo scenario della mia vita che mal compresi e men
che meno mi ci preparai.
“Sarai uno di quei rari uomini felici, a cui è concesso di esistere in un sogno da
sveglio. Diventerai un apritore di strade perché altri possano percorrerle. Oggi
nascondi il tuo segreto, lo difenderai contro tutto e tutti. Domani lo svelerai al
mondo. Se costruisci un ponte, loro verranno.”
La mia felicità la avrei dovuta condividere con più persone possibili. Una missione
in piena regola. Già ho accennato che Scandurra delineò, per sommi tratti, il
grande cambiamento che il mondo avrebbe affrontato intorno all'anno 2012. Ci
diede delle consegne. Ognuno avrebbe dovuto adempierle in tempi diversi, ma
entro quella data nevralgica. Periodicamente ci ricordava quest'incombenza, ma
inizialmente non le attribuimmo molto peso. Erano così lontani quei termini. Il
tempo però non si è fatto aspettare. Tutto scorre così velocemente. Il punto di svolta
è imminente e più vicino di quanto il calendario segni.
In quella sorta di budello vischioso, sempre più trascolorante verso il rosso scuro,
trovai serie difficoltà di equilibrio. Svolazzare in un liquido denso e al tempo stesso
solcato da una corrente ascensionale, un vento che mi innalzava, era
un'esperienza strana, più da pesce di fondale che da giovinotto assetato di
conoscenza. La conoscenza era anche questo, invece: trovarsi in un ambiente
nuovo e alieno, che faceva il paio con un sentore interno di emozione e
delucidazione. Mi prese una forte agitazione. Incominciava il timor panico. Avevo
serie difficoltà di respirazione. Me ne accorsi in quel momento che inghiottivo quel
liquido densamente strutturato. Tosse, nausea e vomito in sequenza veloce.
Sentivo una pesantezza progressiva che mi cresceva dentro. Affondai lentamente,
inesorabilmente. Pensai alla fine. In che modo morivo? Dove terminava la mia
vita? Di nuovo mi invase uno scoramento infinito.
Una sala circolare di dieci metri di diametro, scolpita nella roccia, illuminata non si
sa da dove, era la mia nuova sede. A pancia in giù, sopraffatto dalla stanchezza, la
gola come una fornace, ero vivo proprio perché sentivo dolore. Vuota la stanza,
vuoto il mio stomaco. Mi alzai e a sorpresa notai che i miei abiti erano asciutti;
niente dimostrava che fossi passato dalla zona rossa. Indubbiamente il servizio di
lavanderia e asciugatura era eccellente. Chi erano i solerti padroni di casa? Cercai
un qualche segno di riferimento sul muro, nel piancito. Niente che mi conducesse
ad una qualche risposta, niente, nemmeno una porta. Ma allora da dove ero
entrato? Nessuna fessura o piano mobile. Prigioniero, ecco che cos'ero,
prigioniero di una setta di folli adoratori di chissà quale divinità lovecraftiana. Di
nuovo la paranoia. Scandurra non mi avrebbe mai mandato allo sbaraglio, tanto
meno in una trappola senza uscita. È possibile che di fronte ad ogni ostacolo, davo
fuori di testa? Improvvisamente il pavimento insieme al soffitto incominciarono a
ruotare in sensi contrapposti. Questi spostamenti non producevano alcun rumore.
La loro velocità sembrava quella della lancetta dei secondi di un orologio. Poi, tutto
si fermò di colpo, ma non rischiai di cadere come sarebbe stato ovvio. E si aprì un
portello al centro del soffitto, da cui discese una passerella, forse metallica, fino a
terra. Non vi erano dubbi, qualcuno voleva che vi salissi sopra. Così feci. Misi
prima il piede sinistro e poi quello destro e mi resi conto che l'inclinazione era di
almeno il 70%. Ma non dovetti elucubrare più di tanto, perché si mosse e mi
innalzò lentamente verso l'alto. Sembrava una scala mobile. Intanto il soffitto si era
aperto del tutto e nemmeno me ne ero accorto, ma quello che vidi non lo avrei mai
più dimenticato.
sabato 12 giugno 2010
IUS 19
Mi trovavo in un immenso salone ottagonale, con altissimi pannelli-parete di
cristallo rosso - in tutto simili alla porta fluida - attraversato da una luce viva e
tranquilla che immergeva ogni cosa in un perpetuo succedersi di albe e tramonti
(lo constatai in seguito). Il salone poteva esser grande come un palasport senza
tribune. Quali mani avevano scolpito quel meraviglioso sito? Il pavimento era fatto
di legno – almeno così sembrava - color marrone, dalle mille sfumature e dalla
superficie levigata e morbida. Quel posto incredibile, artificiale ma che ti dava una
sensazione di simbiosi con la natura di tipo steineriano, era circondato da un
paesaggio collinare tipico del centro Italia, ma sullo sfondo si intravedevano
montagne altissime color porpora e viola, non proprio comuni dalle parti mie. L'aria
era frizzantina e profumata di fiori; non vi saprei dire quali, ma era una sensazione
molto intensa. Non c'era altro nella grande sala. Mi domandai a cosa potesse
servire tanto spazio; guardai l'orologio: fermo. Mi avvicinai alle pareti e provai a
toccarle: lo stesso effetto del portale semisolido rosso che avevo attraversato con
una certa difficoltà. Che fare? Fuori c'era una terra bellissima, niente di ostile, anzi.
La tentazione di uscire era forte. Però mi bloccai, forse dovevo attendere, cosa o
chi non lo sapevo, ma qualcosa mi suggeriva così.
Tempo addietro, in un pomeriggio tranquillo giù a bottega, senza clienti né
seguaci, Scandurra aprì il palmo destro della mano e mi fece vedere un mucchietto
di cenere, chiedendomi cosa pensassi che fosse.
“Semplice cenere”, risposi senza pensarci su.
“Già, ma è cenere di una galassia estinta. Tutta qui, in un pugno. Se la stringi,
potrai sentire il suo dolore prima della fine. Eppure, qualcosa di potente, di infinito,
rimane ancora in queste poche tracce. Qualcosa di grande permane sempre, come
dopo la nostra morte.”
Era la prima volta che il maestro mi accennava alla morte. Non compresi subito
quanto mi stava dicendo. Galassia estinta, mah. Forse era una metafora.
Scandurra percepì la mia titubanza.
“È autentica cenere di una antica galassia. Più antica della Via Lattea. Me la diede
il mio maestro e ora la do' a te. Conservala, portala sempre con te, ti servirà prima o
poi.”
Tutto mi sembrava surreale come tante cose che riguardavano Scandurra. Non mi
ci abituavo ancora alle sue stravaganze. A volte mi prendeva in giro,
bonariamente. Questa volta sembrava serio. Cosa voleva dirmi? Cenere di una
galassia. Quanto dura la vita di una galassia? La Vibuti, cenere sacra
materializzata da Sai Baba, poteva avere delle analogie con quella del maestro?
Glielo chiesi.
“Le domande giuste che mi dovresti fare sarebbero: cosa rimane di una galassia
quando muore? e poi: chi è in grado di raccorglierne i resti?”.
Gli risposi che erano sicuramente le domande più pertinenti e attesi le risposte di
Scandurra. Invano.
Mi lasciò cadere in mano la cenere e sebbene impalpabile sembrava pesante,
anzi, la sensazione era quella di tenere in mano del mercurio: solida liquida
sfuggente.
Il tramonto ammirato dai pannelli era pazzesco. Riflessi dorati, rossastri, polarizzati
si confondevano in un mix di colorazioni mai viste prima di allora. La cosa più
incredibile – abuserò spesso di questi aggettivi – era che producevano un effetto
sul mio corpo, curioso, bello, esaltante: la luce composta mi pizzicava
avvolgendomi, la sentivo coprirmi. Questo effetto non finiva lì; avevo ora la
percezione mia e dell'ambiente in cui stavo, globale, cioè vedevo dappertutto,
davanti dietro, dai fianchi, sopra sotto. A raccontarla tutta però, ciò mi fece
ondeggiare a tal punto che caddi. Mi girava la testa, anzi, non la sentivo. I sensi mi
si stavano confondendo, sopra sotto davanti dietro, i profumi fortissimi, i colori che
piccavano. Credevo di avere la febbre alta. L'io cosciente era dislocato fuori dal
corpo, oppure era così allargato da comprendere interno/esterno. Poi, dopo 4 o 5
minuti o chissà quanto, mi ripresi lentamente. Di nuovo in piedi, tonico, gagliardo.
La visione globale era uno spettacolo, altro che il 3D. Ora, comunque dovevo
decidermi: attendere o uscire alla conquista di quel mondo magico? Fremevo, una
spinta interiore interagiva con un'altra più mentale, sentivo di poter volare, correre.
Ero lì lì per uscire, quando un sapore di metallo e un ottundimento auditivo mi
fermarono, alzai la testa – non mi ero ancora abituato alla visione globale – e vidi
un vascello fantasma (così li chiamava Scandurra), insomma un disco volante –
negli anni settanta lo chiamavamo ancora così – che scendeva verso di me. Era
poco più piccolo del diametro del salone e questo mi obbligò a spostarmi verso i
pannelli. Il disco si fermò a mezzo metro da terra, senza apparenti sostegni. Ero
elettrizzato come potete ben immaginare, ma senza il benché minimo timore. Era
giunto il mio turno per incontrare l'ignoto. Io solo con altri esseri cosmici. Non c'era
Scandurra – sebbene senza di lui sarei stato ancora ad invidiare le mirabolanti
avventure di Adamsky o a sognare le Cronache Marziane di Bradbury - e così mi
sentivo padrone del mio destino. Io, Angelo, avevo un incontro ravvicinato del III
tipo, dove e con chi lo avrei saputo presto.
Il disco verdenero, saturnomorfo, non emetteva rumore, non aveva segni di
riconoscimento, la sua superficie sembrava ruvida; intanto, il sapore metallico
aumentava, più invasivo che mai. Una forte pressione alla testa, insieme ad un
senso di nausea, furono segnali anticipatori di una serie di fiotti di sangue che mi
fuoriuscirono dalle orecchie. La situazione si faceva critica. Cercai con un
fazzoletto – le mamme negli anni settanta ci ricordavano sempre di portarne uno
quando uscivamo di casa – di detergermi. Speravo in cuor mio che le cose
potessero prendere una piega positiva, come sembrava all'inizio. Subentrò la
paura. La mia percezione speciale, la visione globale, ora diventava problematica.
Tutto stava girando intorno a me. Perdevo le coordinate alto basso profondità,
suoni sapori sensazioni cambiavano repentinamente. Una fitta feroce allo stomaco
e alla tempia, simultaneamente, mi fece piegare e contorcere. Ricordo che gridai
aiuto, ma riuscii ad emettere solo un rantolo. Invocai Dio, il dolore era tremendo,
insopportabile. Istintivamente, misi la mano in tasca e cercai la cenere della
galassia estinta, conservata nel portatessera. Non so perché lo feci, se per spirito
di conservazione – ma come poteva aiutarmi un mucchietto di polvere? - o per
disperazione. Credevo di potermi sorreggere da solo tra mondi alieni, camminando
senza grucce fra dimensioni tangenti, oltre ogni più sfrenata immaginazione. Ma
nessuno nasce imparato e io non potevo fare a meno del maestro. Proprio in quel
momento toccai con mano, è proprio il caso di dirlo, uno dei più grandi misteri di
Scandurra.
giovedì 17 giugno 2010
IUS 20
Nel mondo in cui mi trovavo, la cenere di quella antica galassia estinta,
evidentemente, assumeva connotazioni impensabili, racchiudendo il ricordo di
un'energia immane non del tutto esaurita. Un'onda, letteralmente un'onda di non so
quale acqua, proveniente non si sa da dove, fresca, rigenerante, mi investì. Fui
innaffiato da una secchiata cosmica – è il caso di dirlo – che mi rimise in piedi e,
cosa curiosa (ma cosa non lo era?), non mi bagnò. Sveglio, lucido, riacquistai la
visione globale e di fronte a me, immobile e maestoso il disco verdenero, simbolo
ignoto che dovevo svelare. Mi avvicinai e lo toccai. Al tatto era morbido, come di
gomma. Una leggera pressione lo deformava, poi ritornava al suo stato iniziale. Un
disco gommoso? Mah, la mia impressione era quella di vivere in una dimensione
psichedelica, un paese delle meraviglie senza cappellai né stregatti, dove le
coordinate spazio-tempo, la logica ordinaria, erano messe a dura prova. Parlai
troppo presto. La cosmonave ebbe come un sussulto e si formò intorno ad essa un
alone luminescente azzurro, pulsante, che si estendeva per tutto il salone. Quel
cambiamento sembrava l'avvisaglia di una manifestazione; un incontro? Fui invaso
completamente da quella luce, ma non mi impedì di entrarci dentro. Non compresi
subito se vi ero entrato o mi aveva inghiottito. Un'idea dapprima confusa poi,
lentamente, più chiara e definita, si fece strada: la cenere galattica donatami da
Scandurra, non era né un corroborante né un placebo sui generis, ma un piroforo
per oltrepassare un portale. Il disco non era un'astronave, o almeno non solo;
quello che sembrava un velivolo extraterrestre, in realtà fungeva da scalo
dimensionale, per usare un'espressione a me cara in quegli anni. Quindi, una sorta
di ponte cosmico mi si era parato davanti, per permettermi con l'ausilio della
cenere di accedere verso orizzonti lontani. Questo particolare stato unitivo, che
sentivo crescere in me, una sorta di sesto senso permanente, produceva una
condizione psicosomatica e animica mai provata sino a quel momento. Mi sentivo
investito da un'energia sconosciuta e da influssi che misteriosamente si
traducevano nella mia mente in parole e immagini, o come oggi si suole dire, in
informazioni. Da quella fatidica esperienza, ebbe inizio per me una forma di ricerca
indotta, che lasciava dietro di me, per sempre, il modello deduttivo del comune
pensare.
Per Scandurra, esistono leve magiche fatte di materia, dalle apparenti funzioni
infantili o marginali, che permettono il passaggio tra i mondi. Li detengono i
discendenti di un ceppo antico, gli Atlantidei, proiezioni mutanti dell'uomo futuro.
Lui era a pieno diritto il discendente di quella superciviltà di semi-dèi. E la sua
modesta condizione sociale, secondo i canoni odierni, era un'ottima
rappresentazione del cosiddetto briccone divino, secondo i canoni antropologici.
Ritornando ai simboli di trasformazione, per il passaggio attraverso i mondi
dimensionali; è una concezione bellissima, esaltante, che qualcosa di semplice e
quindi di vero, possa permettere l'accesso da uno all'altro di questi mondi.
Schegge proiettate dalla scomparsa del mitico continente, si sparpagliarono
12mila anni fa. Sorgenti di energia, pacchetti di fotoni primordiali vennero assorbiti
da elementi di materia tra i più dissimili. Quando il maestro mi rivelò il segreto, ne
rimasi colpito, disorientato: una biglia colorata, una trottola, un pendolino, un
anello, potrebbero aprire un portale o una botola del baratro senza fondo, verso
dimensioni molteplici. Maniglie di accesso, preziosissime e pericolose, da
custodire come la vita, ereditate e conservate con estrema cautela da un'anonima
talenti che si unisce ogni volta che il caso lo richiede.
Lui le chiamava 'spolette' (ma per attivarle bisognava conoscerne il nome specifico,
la vibrazione), ce ne sono migliaia disseminate (ma non del tutto perdute) sul
nostro pianeta, tante quante sono le botole d'accesso dell'ipersfera, il baratro
senza fondo che si affaccia sugli universi tangenti. Io ne possiedo una. Il loro
valore, come potete ben comprendere, è inestimabile; per me, semplicemente
sono senza prezzo, nel senso che sono gratuite. Fate un calcolo approssimativo:
quanti potenti ne vorrebbero entrare in possesso, ad ogni costo e a qualunque
cifra? Chi possiede le spolette, possiede il mondo e gli eventuali corridoi di
accesso ad altre dimensioni. Ciò che vado raccontando ha dell'incredibile, anzi,
dell'impossibile, ma non mi preoccupo affatto del diniego degli scettici, e non per
superbia, perché insieme ad altri fortunati entronauti, abbiamo viaggiato in lungo e
in largo fra dimensioni, mondi e stati multipli, abbiamo vissuto esperienze
bellissime e terribili e nessuno, proprio nessuno, potrà mai togliercele. Forse meno
mi si crede e meglio è: le persone senza interessi ordinari e dagli intenti elevati, mi
crederanno o sospenderanno il giudizio. Non sto qui a far proseliti, non voglio
fondare né una setta né un movimento spiritualista. Semplicemente racconto
quanto mi è accaduto e, soprattutto, voglio far conoscere un maestro, umile,
semplice, ma unico, un uomo eccezionale su cui è caduto un pezzettino di Dio e
che ho avuto l'onore di incontrare. La spoletta è ancora in mio possesso e tuttavia
non la possiedo, la uso secondo la consegna di Scandurra.
Di fronte a me appariva in tutta la sua grandiosità, la fantastica stazione cosmica,
una cittadella arrampicata su di un picco montano: minareti, cupole, palazzi dalle
forme tondeggianti, vetrate multicolori, immensi padiglioni sotto un cielo di luce
brillante. Sensazioni a centinaia, a migliaia mi arrivavano. Voci suoni profumi tutti
in simultanea. Mi trovavo come in una tavola fuori testo di un libro di Tolkien o di
Lord Dunsany, ma era tutto vero, reale, magico. Il professore di Oxford, forse
conobbe Scandurra...
Nei momenti topici della vita, chissà in base a quale curiosa combinazione
psicologica, ti vengono in mente pensieri banali: sarei tornato a casa per
colazione?
venerdì 25 giugno 2010
IUS 21
Dove mi trovavo (?), il tempo assumeva un valore diverso. Si ha l'impressione di
vivere un film al rallentatore, ma, parallelamente, trascorre il nostro tempo
soggettivo. Mi sentivo in una sorta di sdoppiamento controllato, come se vivessi da
due postazioni differenti, quasi all'unisono. Mi passarono davanti/dietro, di lato e
sopra, spezzoni di immagini, venti sonori, volti e figure geometriche svolazzanti;
erano i primi segni di vita, o almeno sembravano tali, che incontrai. Nella struttura
sottile del tempo esistono cose appena abbozzate, riflessi e riverberi, che poi
ritroviamo come forme residuali in determinate condizioni sulla terra; volgarmente li
chiamiamo fantasmi. Qui, la struttura sottile assume un'estensione particolare. Un
mese lì, equivale a tre ore circa nella nostra dimensione. Provare per credere.
Il paesaggio era incantevole, fatato. Il cielo blu cobalto, mi sembrava meno
sterminato, la volta era, come dire, più raccolta, meno alta. Dopo un po' le figure
che mi aleggiavano intorno si dileguarono improvvisamente. Qualcosa stava per
succedere. Intanto, decisi di muovermi. Guardavo con curiosità i miei piedi, le
gambe, e sentivo un effetto strano, come di leggerezza, di facilità nei movimenti. Il
prato all'inglese, era soffice, sì, ma c'era minor impatto nel passeggiare; mi
sosteneva maggiormente che sulla terra, come se rimbalzassi. Non era la minore
gravità, non saprei dire perché, però aveva a che fare col tempo rallentato. Mi
osservavo da fuori e in perfetta sincronia percepivo il mondo dietro la mia fronte –
ma forse un leggero scarto divideva le visioni. Ero stimolato al massimo, sentivo
ogni cellula del mio corpo vibrare, rispondere.
La stazione che avevo di fronte, non aveva nulla dell'astroporto, ma che dico,
anche di un terrestre aeroporto. Non vedevo rampe di lancio, piste o quelle
strutture tipiche dove partono e arrivano aeroplani. Infatti, non si decollava né si
atterrava: si entrava o si usciva. Era un varco interdimensionale fuori da ogni
possibile immaginazione. Ero ad un crocevia cosmico per tutte le destinazioni,
piani dimensioni mondi, un ventaglio di possibilità che il sottoscritto, tra i pochi
uomini contemporanei, aveva avuto in dote dalla fortuna di scegliere. Scegliere per
andare dove? Un dubbio atroce mi scosse. Scandurra non mi aveva dato
indicazioni in proposito, o almeno non le ricordavo. Decisi di recarmi in quella
cittadella inerpicata lassù e così avrei chiesto a qualcuno ragguagli. A prima vista
lo scalo distava alcuni chilometri in linea d'aria. Tra me e la stazione, vi erano prati
all'inglese e alberi raggruppati in buon ordine. Non vedevo un sentiero, ma
realizzai che la linea retta mi avrebbe portato facilmente alla meta. Stupidamente
feci una balorda considerazione: e se avessi incontrato il cappellaio matto, o
comunque un tipo strano dall'idioma incomprensibile e dall'atteggiamento ancora
più illogico, come mi sarei dovuto comportare?
Niente di tutto questo avvenne. Incominciava per me l'avventura; potevo ben dire di
essere il ragazzo più fortunato del mondo. Quanti prima del sottoscritto avevano
avuto la possibilità di esplorare l'ignoto? Credo pochi, qualcuno ne aveva fatto un
resoconto camuffato da romanzo, altri avevano taciuto. I viaggi dell'anima di mistici
e sciamani, erano ben catalogati, analizzati, inseriti nella fenomenologia della
storia delle religioni; ma ben poco c'era che riguardava l'esperienza totale,
l'immersione in varchi interdimensionali, quella che stavo facendo grazie ad un
maestro unico nel suo genere, ammesso che vi fosse un genere come quello.
Ero avvolto in uno sconfinato silenzio, ne ero assorbito. Forse per spirito di
conservazione, richiamai l'attenzione e la necessaria tensione, sebbene confidassi
nella bontà di Scandurra che mai mi avrebbe mandato in un luogo da cui non sarei
stato in grado di cavarmela, ma ero pur sempre un viaggiatore in una contrada
incognita, dove le categorie spazio-tempo, la presenza a me stesso, la coscienza
ordinaria, erano rivoluzionate. Avanzavo in quello stato duplice di osservazione,
non sentivo il mio peso abituale, camminavo lentamente o forse mi vedevo
lentamente camminare.
Dovrei scrivere molto di più di quel che sto qui abbreviando, poiché le tante cose
che mi si presentarono meriterebbero una serie di capitoli di un ipotetico libro.
Quanto sto ora scrivendo è la premessa necessaria per localizzare il punto
dimensionale nel quale si verificò il fenomeno mitico che mi investì: si tratta di un
posto reale, da me raggiunto e che influì decisamente sulla mia visione della
realtà, sull'interpretazione di casistiche aliene e su come leggere il mondo.
L'aria si faceva fresca. Mi accorsi della presenza di una sorgente, sul limitare del
boschetto di destra, e poiché avevo sete, mi diressi verso una polla d'acqua.
Piegandomi, immersi cautamente la mano: era fredda e leggerissima. Allora ne
raccolsi un po' sul palmo della mano e vi accostai le labbra. Era frizzante e buona,
difficile valutarne la composizione. Notai che non vi era sottobosco né cespugli, gli
alberi erano simili a faggi, emanavano profumi mai sentiti prima. Intravidi ad un
certo momento qualcosa che si muoveva a poco più di cinque metri da me. Una
specie di roditore, un topo gigantesco, grosso come un maiale, dal colore marrone
scuro, mi fissava e alzava la sua coda anellare. Mi spaventai, lo confesso. Stava
masticando non so cosa, poi emise una specie di rutto-squittio baritonale e si girò
allontanandosi lentamente, sculettando. Il mio primo incontro con un animale di
un'altra dimensione. Se i topi erano così grossi in quel mondo, figuriamoci i gatti.
Alzai gli occhi al cielo, profondo, brillante. Finalmente realizzai: era giorno ma non
c'era nessun astro. Allora, piano piano, si formò nella mia mente un pensiero, una
domanda: dietro quel cielo c'è Dio?Sentii dei fruscii tra le foglie e restai con le
orecchie tese per capire che cos'era quel rumore. Quel bosco mi sembrava più
grande che visto da fuori. Girai intorno ad un grosso faggio e scorsi un fiume, non
più largo di 20metri che divideva il bosco. Placido, sembrava un canale artificiale
per quanto era preciso nelle sue anse e argini: un fiume disegnato da un pittore
iper-realista. Ma mentre facevo queste elucubrazioni, una vampata di luce
intensissima apparve come dal nulla proprio in mezzo al corso d'acqua. Una sfera
perfetta dal diametro di 10/12metri, mutava con velocità folle di colore; ne distinsi
solo alcuni, rosso blu giallo verde oro, gli altri non saprei come identificarli. Non
emetteva nessun suono. Stava lì sospesa a 2metri dalla superficie del fiume ed io,
sulla riva e con la bocca aperta, trattenevo il respiro. Stava lì per puro caso? Era un
u.f.o. che mi dava il benvenuto? No, quella sfera cangiante, era qualcosa che non
aveva nulla a che fare con le mie ipotesi iniziali. Il mito si era manifestato,
attraverso un simbolo, una potenza. Elettricità pura, anzi, la sua sorgente.
giovedì 1 luglio 2010
IUS 22
. . .
1.
Scrivo queste vicende senza intenti divulgativi, soltanto per registrarli con passione
e amore di discepolo, mi si passi il termine. È la meraviglia che mi spinge a
raccontare, anzi, è l'esperienza che vivo, la vita unica e speciale che mi si fa
incontro, è il miracolo disceso dentro il mio cuore. Vivere e scrivere ciò che vedo
sento gioisco; disseminare tracce di accadimenti incredibili, che pochi uomini
hanno vissuto, è un dovere, o almeno lo sento come tale. Non so se mai qualcuno
leggerà le mie Cronache; se Scandurra mi permetterà di rivelare i segreti che ci ha
donato; e comunque, credo che sia giusto lasciare un'impronta di questo uomo
straordinario, perché una nuova generazione migliore di quella nostra, possa un
domani continuare l'opera sublime che un 'fruttarolo' proveniente da Atlantide ci ha
lasciato. Se le Cronache un giorno dovessero venire alla luce in un libro, non mi
illudo che vengano accolte per quello che sono, cronache appunto. È fin troppo
facile immaginare le ironie, le spallucce, gli sfottò di tutti gli scettici del mondo.
Scandurra si nascondeva non per vergogna o timore, ma per non dare adito agli
intellettuali con le loro obiezioni di confondere i semplici. Piuttosto operava in
silenzio. Pertanto, se mi mettessi a spingere in qualche modo, onde ottenere la
possibilità di una pubblicazione, non potrei evitare situazioni generanti dubbi,
opposizioni. Allora trascrivo le Cronache per me, ma sotto sotto anche per ipotetici
lettori, magari riservati, intelligenti, aperti di mente ma non creduloni. Esistono?
2.
A volte a bottega, mi portavo il taccuino dove appuntavo i fatti salienti delle giornate
passate insieme al maestro; lui con gli occhietti furbi cercava di sbirciare cosa
scrivevo e ridacchiava:
“Oggi non concedo interviste, aspetto il contadino che mi porta certi cavoli...”.
Quando ero corrucciato per qualche problema ordinario, lui schioccava le dita e mi
rassicurava:
“Andrà bene, il karma si riassorbe”.
E dopo un po' quel peso allo stomaco che avevo, scompariva. Magia?
Suggestione? No, il maestro assorbiva su di sé l'onda emotiva. Si metteva sulle
spalle quelle mie piccole croci. Lo faceva con tutte le persone che ricorrevano a lui:
uscendo dalla sua bottega erano più sollevate e piene di speranza. A suo modo,
era un santo, senza altare e senza chiesa, certo, ma come si dice a Viterbo,
c'aveva un core così.
Mi accorgevo di certi suoi momenti difficili, che solitamente mascherava assai
bene. Tentavo di stargli vicino, senza mostrare particolare premura. Allora si rideva
su cose futili, curiose. Per lui l'amicizia era una cosa sacra, proprio per questo
aveva pochi veri amici e tanti furbi approfittatori, ma non si crucciava. Quello che
contava per lui nei rapporti, era quanti etti di cuore ci si metteva sopra, senza
interessi né senso del possesso. Pochi erano disposti ad aprirsi, a concedere un
pezzetto d'anima agli altri. Tutti accartocciati e chiusi nel proprio bozzolo egoico,
impauriti a mettersi in gioco, a rischiare per qualcosa di importante, di esemplare.
Con Scandurra tutta la vita.
3.
Quando sentivo in tv attacchi e accuse nei confronti di guaritori e sensitivi, tutti,
indistintamente, considerati cialtroni e perniciosi, avevo un moto di rabbia che a
stento controllavo. Scandurra era la prova vivente di un uomo dai poteri e
conoscenze fuori dall'ordinario, che aiutava il prossimo gratuitamente e senza dare
a vedere i sacrifici che gli costavano; e poi, qualche giornalista o scienziato, per
motivi non sempre elevati, sparava a zero su quel mondo dell'occulto, dove c'erano
senza dubbio imbroglioni, come in ogni settore del resto, ma pure operavano
personalità eccezionali, che donavano la loro vita agli altri. La stessa grassa
Chiesa cattolica, puntava il suo dito inanellato d'oro e rubino, contro medium e
paragnosti, maghi ed esoteristi, bollandoli di eresia, accusandoli di propagandare
la superstizione, di commerciare col demonio. Si respirava negli anni settanta una
non dichiarata pubblicamente caccia alle streghe, ingiusta perché generalista,
sospetta perché nascondeva timori innominabili. Scandurra mi rassicurava a modo
suo:
“Tanto verranno prima o poi tutti a bottega”.
Per certi versi era profetico. Ho visto passare dal mio maestro, tanta di quella
gente, di ogni ceto e fede, preti intellettuali funzionari medici, oltre a tante persone
bisognose con la speranza di veder risolti i loro guai. Col tempo, mi rassegnai; gli
scettici a prescindere, gli invidiosi, i superbi, erano una categoria dell'umanità che
ci avrebbe accompagnati fino alla fine, fino a quando avrebbero visto con i loro
occhi, la verità. Forse.
4.
Scandurra a volte si soffermava su quello che sarebbe dovuto avvenire di lì a poco
– correvano gli anni Settanta - ovvero sulla fine della Terra accompagnata al
risveglio delle materie oscure, anzi, proprio il ribaltamento dello stilema scienza/
magia. Le sue riflessioni sembravano più pensieri a voce alta, non erano
informazioni, descriveva ciò che vedeva, il tutto trattato in modo crepuscolare. La
sua visione che il futuro e gli altri mondi non saranno semplici estensioni di ciò che
è adesso, bensì dimensioni completamente aliene, ci lasciava atterriti. Intravedeva
un varco di proporzioni cosmiche intorno all'anno 2012 e che avrebbe interessato
tutta la Via Lattea. Noi gli chiedevamo perché proprio quella data [non sapevamo
nulla di profezie Maya]; lui, ci sussurrava:
“Siamo in riserva e l'indicatore segna già il termine”.
[E pensare che ci sembrava così lontano il 2012, un altro millennio. Non ci
riguardava. Ora ho 52anni e sento su ogni cellula del mio corpo, l'approssimarsi di
tale scadenza.]
. . .
Verso lo scalo interdimensionale - 1 parte
Quella sfera multicolore di energia cangiante, radiale, fenomeno fluttuante, mi
assorbì. Sì, è il verbo giusto. Avevo la lucida sensazione di fondermi con essa. E
così decollai, sì, decollai e allargai le braccia a mo' d'aeroplano per bilanciarmi,
istintivamente; passavano i secondi, ma sembravano più corti, mi avvicinavo fin
quasi a toccarla. La sfera di plasma luminescente stava sospesa dinanzi a me, i
suoi colori mutavano velocemente, in mille sfumature, alcune non riuscivo
nemmeno a percepirle, per me erano letteralmente ignote. Volavo, la mia stessa
intenzione dava la direzione al movimento. Il pensiero vivente mi guidava senza
incontrare ostacoli. Sentivo di poter fare qualsiasi cosa. Quindi vi entrai e un suono
profondo, un basso abissale mi investì. Ero fatto di suono luce energia movimento
gioia vibrazione espansione leggerezza. Cosa succedeva? Tempo spazio e
conoscenza, lasciavano il posto ad uno stato dell'essere nuovo, intermedio,
quando la scena mutò e mi trovai davanti ad una ruota gigantesca color testa di
moro, anch'essa sospesa ma sopra un territorio collinare bluverde, inframezzato di
laghi dalle acque rosse. Assomigliava ad una ruota di carro, semplice, robusta. Le
orbitano intorno. Il suo diametro era quello di un campo da calcio. Non produceva
suoni e girava su se stessa in senso orario, una immane lancetta dei minuti. Poi
cambiò ancora, come in dissolvenza: da una rudimentale ruota agricola ad una
specie di orologio da campanile marziano, composto da decine di ingranaggi
sovrapposti che giravano nei due sensi. Anziché i numeri, vi erano miriadi di
simboli non riconoscibili, immagini in movimento di paesaggi alieni (ma potevano
pure essere terrestri) e forme statiche.Un simbolo del Tempo? Oppure era il dio del
Tempo? Ma io cosa ci facevo lì? Chi avrei dovuto incontrare?
La sensazione di me stesso permaneva e cioè vivevo uno stato onnidirezionale,
globale, circolare, interno/esterno. Questo mi permetteva, evidentemente, di poter
accedere ad informazioni che andavano ben oltre le capacità sensoriali e cognitive
ordinarie. Ad un certo momento, un flash e sapevo o ricordavo. Giravo intorno ad
un meccanismo che regolava la meccanica celeste dello scalo interdimensionale.
Detta così, sembrerebbe cosa astrusa, letteraria, fantascientifica. In realtà, era la
sala comandi che muoveva e dirigeva l'entrata e l'uscita verso un altro universo.
Chi erano gli ingegneri cosmici che avevano realizzato quest'opera colossale di
scali dimensionali? Quale civiltà così grandiosa, evoluta, era stata capace di
collegare tra loro gli universi? Caspita, vivevo un'esperienza impossibile soltanto a
formularla, unica forse al mondo; ma poi ripensavo a Scandurra, umile fruttarolo di
Viterbo e allora rivedevo il tutto con un altro spirito, quello di servizio. Non stavo
facendo un trip psichedelico per godere di chissà quali effetti coscienziali; ero lì per
un compito ben preciso. Dovevo recarmi in quella cittadella fantastica, poggiata sul
picco della montagna azzurra. Avevo un appuntamento, certo. Con chi? Non lo
sapevo ancora, ma lui mi avrebbe riconosciuto.
lunedì 5 luglio 2010
IUS 23
. . .
1.
Scandurra era un modificatore di universi. Sembra un'espressione a dir poco
azzardata, quasi si trattasse di un essere divino, titanico. Invece, dopo anni di
frequentazione e di esperienze, il maestro faceva sembrare facile, semplice,
ordinario lo straordinario; il bello era che te lo faceva vivere, provare. Allora, ci
dimostrava che in un angolo angusto del nostro mondo interiore, poco frequentato,
in profondità ma attingibile, vi era un quid di potenza ignoto a tutti. [Il Grande
Ignoto, in pratica, eravamo noi, in quanto esseri umani ignari di possedere le leve
dell'universo: le spolette.] Modificare universi, significava operare incessantemente
tra più dimensioni al fine di restaurare un ordine là dove esso era in pericolo. Ma a
che tipo di ordine alludeva Scandurra? Ci raccontava che gli atlantidi avevano
scoperto una singolare instabilità dell'universo, che comportava la progressiva e
inesorabile fine di ogni forma di vita. L'accrescimento dell'instabilità in rapporto alla
deformazione del continuum spazio-temporale, produceva una collisione tra
universi tangenti dalle conseguenze inimmaginabili, e tutto questo avveniva in una
unità-tempo ben precisa: un centesimo di secondo. Più volte ho accennato alla tesi
del maestro sulla scomparsa del mitico continente. Ebbene, Atlantide scomparve,
frapponendosi tra la nostra e un'altra dimensione. Ora, tutto accadde, allorché le
fazioni contrapposte del Regno di Atlantide, sembravano contendersi il potere
politico. In realtà, non di poltrone parliamo. L'una, voleva salvaguardare l'equilibrio
cosmico tentando di ripristinare l'instabilità entro limiti accettabili; l'altra fazione,
contro ogni umano sentire, si adoperava per incrementare l'instabilità, così da
anticipare la fine dell'universo. A tal fine, i maghi neri (o i loro referenti ibridi, i
saturniani) avevano costruito delle cosmonavi capaci di apportare entropia
laddove erano destinate, soprattutto nei pressi delle cosiddette botole sul baratro
senza fondo. Interrogammo il maestro sulle motivazioni che spingevano degli
esseri umani come noi, sebbene evolutissimi scientificamente, a voler distruggere
l'universo. La sua risposta era più o meno questa:
“Il male è un parassita molto tenace, distrugge solidità e bellezza della creazione e
tutto ciò che è fertile, e vi lascia solo macerie. A certi livelli di conoscenza, l'essere,
a qualsiasi universo appartenga, diventa folle e il suo delirio, la sua febbre,
possono essere attenuati soltanto distruggendo tutto. Egli è spinto da una
necessità indomabile di vuoto; è come sentirsi un dio inverso. Si guarda, infine,
negli occhi Dio...”
Lo scontro fu così feroce, da portare l'intera Civiltà Umana sull'orlo
dell'autodistruzione. I 'bianchi', onde limitare le conseguenze disastrose in cui si
veniva a trovare il pianeta, che fecero? Sacrificarono Atlantide, facendola trasferire
in blocco sulla linea di confine tra gli universi, in una sorta di stasi dimensionale.
Evitarono così la distruzione della Terra. Tuttavia non riuscirono a neutralizzare
completamente le forze sinistre. Infatti, i 'neri' si salvarono in buona parte,
rimanendo su questo piano, con tutte le cosmonavi e annessi. Come fecero, è
un'altra storia. Ma ne riparleremo.
2.
Scandurra mi aveva mostrato una nuova condizione dell'essere, un
incoraggiamento al suo credo nell'Universo Magico, per cui era necessaria una
completa rivalutazione della conoscenza del mondo. Ho rinunciato, e questo già
nei primi anni settanta, al tentativo di spiegare, di cercare risposte in termini di
causa ed effetto e previsione. Mi sono lasciato dietro la struttura pragmatica tipica
del pensiero occidentale votata alla ricerca di risultati, vantaggi e domande da
porre. Ho mutato tutto il mio modo di concepire i fatti.
Ognuno di noi sa tutto di qualcosa. Ci sono fisici che studiano il caos attraverso
intricate formule matematiche e lambiccati modelli, cercando di capire se è
possibile che “il battito d'ali di una farfalla a Los Angeles provochi un uragano a
New York”, interpreti della teoria delle catastrofi, seguaci clandestini delle sinuose
rappresentazioni dei frattali. Tutta gente che ricerca un criterio alternativo di
razionalità nella disarmante irregolarità dell'universo. Il mio maestro Scandurra, già
titolare di una bottega di frutta e verdura nella Viterbo anni settanta (questi i suoi
titoli accademici), dal canto suo, decifrava l'amorfo del contingente, l'arbitrio del
casuale, attraverso una percezione a priori, e lo tramutava in una struttura
intellettuale dominata da vincolanti criteri di necessità. Scandurra era la prova
vivente della possibilità di un principio ordinatore del cosmo, che tutto il reale è
razionale in un modo speciale, che ci sono sintesi a priori del tutto
incommensurabili. Per lui, passare da una dimensione all'altra, era come salire
sulla scala mobile di un grande magazzino. Utilizzava, infatti, il passaggio
automatico di trasferimento che permetteva di infrangere la linea di separazione tra
gli Universi. Una botola, praticamente, verso il FOSSO SENZA FONDO che crea i
confini del Cosmo.
Il concetto di universo parallelo sembra oggi tornato di moda [scrivevo questo il
1973], anche presso autorevoli fisici e matematici. Nel nostro ambiente poi, è pane
quotidiano. Non c'è ufologo, contattista, medium, che non offra la sua versione
esplicativa su tale teoria. Di cosa stiamo parlando? Si tratta dell'esistenza, vera o
presunta, parallelamente al nostro universo sensibile percettivo, ma secondo
modalità analoghe di manifestazione, di altri universi sensibili. Queste regioni
normalmente si trovano tagliate fuori, indipendenti dal nostro universo, ma
possono talvolta interferire con il nostro. Scandurra è quel “talvolta”. L'idea di
universo parallelo presuppone dunque quella di separazione tra due sfere
percettive, ma anche quella di passaggi occasionali da una sfera all'altra. Tra gli
universi paralleli esiste solamente un'interazione debole.
3.
Scandurra indicava nell'anno 2012 l'apertura di un Varco cosmico, che avrebbe
interessato l'intera galassia. Tutti noi dell'anonima, gli chiedevamo ulteriori
informazioni e, soprattutto, cosa avremmo dovuto e potuto fare. Su questo evento,
in preparazione di tale cosmico cambiamento, vertevano le nostre immersioni
interdimensionali. Zac era tra noi, il più esperto in fatto di viaggi, ma la sua
reticenza ci indignava alquanto. Tuttavia ce ne dovevamo fare una ragione, perché
lui obbediva ad una consegna. Frequentando Zac anche in ambiti diversi dalla
bottega, mi resi ben presto conto che stava cambiando. Questo suo mutamento
riguardava sia l'aspetto fisico che quello interiore. Il suo sguardo, poi, era
lontanissimo. Da qualche battuta che Zac si concedeva intorno ad un tavolo
imbandito di ogni ben di Dio (nota era la sua passione per la buona cucina),
emergeva uno status nuovo, che la sua vita principale non era più di questo
pianeta. In chissà quali mondi passava buona parte del tempo speciale (diverso e
dilatato rispetto alla nostra dimensione). Compresi che l'esperienza IVI (sigla che
sta per immersione varchi interdimensionali, coniata dal nostro sodale tecnico-
scientifico) coinvolgeva a tal punto il viaggiatore da trasformarlo sin nel profondo,
DNA memoria intelligenza volontà, tutto cambiava.
. . .
Verso lo scalo interdimensionale - 11 parte
Decisi di ritornare sui miei passi e dirigermi verso la cittadella, con un semplice atto
di volontà. Mi allontanai dal grande orologio, la sala comandi, fino alla sfera
cangiante, abbassando le braccia e come un mirage a geometria variabile, atterrai
in piedi sulla riva. Ebbi la forte sensazione che era il paesaggio a muoversi e non
io a volare. Comunque, il globo luminoso si allontanò, ma sarebbe meglio dire, si
smaterializzò; mi girai e di fronte a me, con quel muso da topo, stava il grosso
roditore. Mi prese un colpo. Non me lo aspettavo. Mangiucchiava non so cosa e mi
guardava. E se mi avesse parlato? Avrei sicuramente avuto la convinzione di
vivere in un sogno acido. Invece se ne stava buono buono a masticare. Tentai un
approccio amichevole, allungando la mano verso il suo capoccione. Pessima idea:
digrignò i denti giallastri e mi sfiatò addosso del vapore grigio. Il suo fiato
denunciava pasti pesanti: una cloaca di gas mi colpì. Certo, gli animali nei romanzi
fantastici avevano ben altri aspetti, comportamenti e profumi. Continuava a
fissarmi. Cambiai strategia. Agitai le mani per tentare di spaventarlo. Niente. Mi
rivolsi al topolone con voce decisa:
“Che dobbiamo fare? Io devo andare lassù, in quella cittadella, tu che vuoi da me?
Sono grosso da mangiare, vengo dalla Terra del sistema solare e non ti piacerei.”
Così avrebbe parlato un eroe in un qualunque romanzo di fantascienza anni
quaranta. Sarà stato il mio tono scocciato, oppure la mia provenienza, il topolone si
girò, inoltrandosi poi nel bosco. Cominciavo a sentirmi più a mio agio. Non c'era
ostilità su quel mondo. Tutto ciò che è nuovo crea disagio. Uscii dal boschetto e
guardai affascinato la splendida cittadella, aggrappata su quel picco. Stava lì, la
magica cittadella, davanti a me. Una enorme porta trapezoidale preannunciava
ricchezze architettoniche, artistiche, inimmaginabili. Difficile capire di cosa fosse
fatta. Granito luccicante azzurro, levigato. Quello che però mi disorientò, era la
mancanza di vita, o almeno all'apparenza. Colossale, alta 35/40metri, la
oltrepassai con una certa apprensione. I palazzi sembravano fatti da mani umane,
ma con una visione diversa, come dire, una altra possibilità costruttiva. Le forme
erano diversificate fino a non distinguerle affatto: cubi piramidi sfere e altri volumi,
su una medesima struttura e collegate da pontili da mozza fiato. Gli sfavillanti colori
si fondevano benissimo, con sfumature che non avevano una ragione, o non la
percepivo io. Era, la mia, una visione globalizzante, un grandangolo psichico che
abbracciava buona parte della città. Mille stradine, vicoli, rampe che si slanciavano
verso i piani alti dei palazzi, il tutto aveva una sua dimensione organica, un'alveare
urbano non asfissiante sebbene intrigato, collegato. Ecco, la definizione della
cittadella: un tutto collegato armonico.
Mentre guardavo affascinato, qualcuno mi diede un colpetto sulla spalla destra, mi
girai di scatto perché pur con la mia nuova capacità onnipercettiva, non lo avevo
visto. Un giovane uomo (umano?), dalla corporatura robusta, slanciato, belloccio,
dall'incarnato rosa, occhi blu e capelli lunghi nerissimi che portava all'indietro, con
un vestito all'inglese, mi sorrise e con fare cortese si rivolse a me:
“Faccio gli onori di casa. Mi chiamo Roberto Castelli Fornasieri, sto qui da alcuni
anni terrestri. Sono un trasferitore. Sono ben contento di esserti di aiuto.”
Non avevo capito molto. Fornasieri, trasferitore... traccheggiavo. Non riuscivo a
rispondergli. Stavo facendo una figuraccia. Pure da maleducato, sarei passato.
Presi fiato e improvvisai una possibile risposta:
“Roberto, grazie della tua cortesia. Angelo è il mio nome. Mi aspettavi?”
“Non preoccuparti. Tra spirito e sensi si innesta un nuovo equilibrio. Sei ancora in
rodaggio. È accaduto a tutti quelli di passaggio. La prima volta è così. Ti attendevo.
Scandurra mi aveva avvertito 9 anni fa del tuo arrivo.”
Nove anni fa avevo cinque anni e non mi ero ancora trasferito con la famiglia a
Viterbo. Ma perché mi stupivo ancora? Parlavo con un trasferitore di origine
terrestre, che somigliava ad un modello dell'alta moda, in uno scalo
interdimensionale. Che problema c'era? IVI.
venerdì 9 luglio 2010
IUS 24
. . .
Ho maturato la convinzione che per i fisici odierni non esiste, né può esistere,
alcuna specifica concezione della Natura, tutto essendo destinato a rimanere
indeterminato e indeterminabile. Per essi, ciò che veramente importa non è tanto
interpretare i fenomeni della realtà in un modo o nell'altro, ma solo essere in grado
di prevederli e di collegarli tra loro in un modo che sia suscettibile di essere
sperimentalmente verificato. Vi sono eccezioni.
'I buchi neri. La fine dell'universo?' è il titolo di un libro di John Taylor uscito il 1978,
per Armenia e lo si può trovare in via Merulana a Roma, presso la nota Libreria
Rotondi. Lo acquistai con curiosità, anche perchè l'argomento mi intrigava assai.
Stelle collassate diventano corpi neri che posseggono temperatura ed entropia
definite dal loro campo gravitazionale e dalla loro superficie. Che fanno questi
corpi neri? Irradiano particelle, così perdono progressivamente massa fino ad
evaporare. Cosa succede poi? Inghiottono ogni cosa? Diventano finestre verso
altre dimensioni? Molte le ipotesi. Era un periodo d'oro per me, in quanto passavo
dalla metapsichica allo sciamanismo, l'alchimia e la scienza di frontiera; studi tipici
di un dilettante incasinato ma entusiasta alla conquista della conoscenza. Il mio
maestro poteva apparire l'ultima persona al mondo in grado di discettare di teoria
della relatività o di parametri fondamentali dell'universo come la velocità della luce,
la costante di gravità universale, la massa dell'elettrone, l'intensità della forza
nucleare; sì, sembrava inappropriato a qualsivoglia discussione scientifica, ma che
dico, intorno alle più semplici leggi fisiche dell'universo. Quando gli illustrai le tesi
di fondo del libro, lui mi disse stentoreo:
“Dai buchi neri, come li chiami tu, nascono le galassie. Si aprono le botole
cosmiche, così sgravano nuova vita”.
Ma che diceva Scandurra? Riprendendo oggi gli appunti segreti – sono tali perché
non li ho mai divulgati, sino ad ora – mi accorgo che la sapeva lunga. Me ne
accorsi quando, durante una serata da amici (l'anonima talenti di Scandurra, era
composta di 10/12 tra donne e uomini) in un appartamento sito a San Martino (Vt),
capitò un giovane ricercatore del CNR, Massimiliano, che accompagnava la sua
fidanzata fissata di spiritismo. Lui la amava e si vedeva, ma era pure la sua
disperazione. Ad un certo momento della sera, dopo una scorpacciata di broccoli
impanati e fritti e fettine panate, innaffiati con vinello di Gradoli, la conversazione si
spostò su di un terreno minato – temevo, in questi casi, quello che poteva fare
Scandurra. Il giovane fisico romano con la sua impostazione intellettuale, era
quanto di più lontano poteva esserci dal mondo del maestro. Con una punta di
sarcasmo malcelato, incominciò a negare sia quanto la sua ragazza sosteneva che
tutto quello che concerneva il paranormale.
“Scopo della scienza è quello di descrivere e spiegare il mondo in cui viviamo...”.
Ma prima che potesse continuare, Scandurra alzò la mano come si faceva a scuola
e destata l'attenzione del giovinotto saputello, disse:
“Mi piace caro ragazzo, dibattere sempre sul terreno del mio prossimo, non per
sfida e presunzione. No, perché credo che ci si possa intendere meglio sul campo
più vicino. La dispùta [la pronunciò accentandola sulla 'u' e questo generò una
risata tra di noi, pensando che Scandurra volendo fare il figo, usava ogni tanto
parole sconosciute al suo vocabolario] serve per capire meglio ciò che si crede di
sapere, ascoltando il proprio interlocutaneo...”, altra grassa risata.
Il fisico, per educazione, trattenne una risata per gli sfondoni lessicali del maestro.
L'atmosfera era simpatica, ci aspettavamo qualcosa di stupefacente da Scandurra.
Intanto, il nostro cortese amico che ci aveva ospitato, mise un 33 giri sul piatto, la
seconda facciata dell'album dei Pink Floyd, Meddle. Il brano era Echoes. Iniziava
con un effetto sonar. Come in una regia teatrale, il maestro attaccò a parlare dopo
poco che il suono pinkfloydiano prendesse quota.
“Caro Massimiliano, se osservi un effetto cerchi di capire quale possa essere la
sua causa. Con una teoria, un esperimento che lo riproduce in 'labboratorio'. Bene.
A volte le teorie sembrano buone perché spiegano abbastanza, ma non sempre
sono giuste. Usi dei modelli per capire l'Universo. Modelli, si dice, vero? Poi non
dite che leggo solo le bollette di gas e luce. Vedi, io non sono mai andato oltre la
quinta elementare, ed è stata dura imparare le 'tabbelline', la 'grammantica', e tutte
quelle altre fresche difficili. Ma ti dirò, mi sono imparato, grazie ad un maestro
bravo molto, come funziona davvero l'universo. Non so se è 'scintifeco', però
'funzziona'. E te la dico tutta. L'infinità dell'universo non è niente ancora, c'è di più e
di mejo”.
Scandurra infilava sovente nei suoi sporadici ma proverbiali discorsi-fiume,
strafalcioni e vernacolo, ogni tanto riusciva perfino a non violentare l'italiano. L'uso
di alcuni termini, concetti, era immaginifico e ben dimostrava l'assunto che si
proponeva, suscitando interesse e curiosità tra di noi. Non di rado utilizzava
terminologie tecniche precise, solo per addetti, da farci rimanere con un palmo di
naso e allora non ridevamo più: quell'uomo era pieno di risorse, oltre ogni
definizione.
“Devi sapere che ce so' effetti che precedeno le cause... che un
'alettone' [intendeva 'elettrone', ma forse si riferiva al quark, vallo a capire] arriva
prima de partì”, Massimiliano lo interruppe.
“Parla in termini di fisica quantistica?”.
Scandurra gli rispose tutto compito:
“Regolare”.
Noi ridacchiammo sommessi, immaginando che la fisica dei quanti esulasse dalle
materie di studio del maestro. Ma quanto ci sbagliavamo.
“La scienza moderna fatta dai professoroni, però qualcuno sdirazza, non ci fa
conoscere il mondo com'è. Osservare una cosa non è garanzia di verità, ma
soltanto quello che è secondo come lo vediamo. Ciò che vediamo non è ciò che
esiste in assoluto, non è il mondo vero, ma quello apparente. Non sarà falso ma
nemmeno completamente vero. È come il surrogato di cioccolata, ha un sapore
che gli somiglia, ma la nutella è un'altra cosa, ma costa di più e quindi non è per
tutte le tasche. Ci siamo noi costruiti i limiti degli strumenti. Se sei miope, c'è poco
da fare, ti sfuggeranno sempre i particolari di una cosa. Ci vorrebbe una lente che ti
corregge la vista, ma valla a trovare. A volte l'intuito compensa il limite, ma ci
facciamo poco affidamento ormai. L'apparenza inganna, si diceva una volta, ma
oggi crediamo solo a quello che ci appare. La scienza, la religione, parlano di cose
parziali, secondo le convenienze; difendono il loro orticello ben coltivato, ma guai a
quello che vi entra e dice, 'amici, fuori di qui ci sono altri orticelli, venite che vi ci
accompagno'. Vedrai che pochi lo seguiranno per vedere se dice il vero o mente. I
giardinieri ufficiali diranno, 'sei gojo [matto], fuori di qui non c'è niente, lo vuoi
sapere meglio di noi che abbiamo deciso quello che è vero e quello che è falso?'.
Se il gojo insiste, lo accicciano [ammazzano]. Ti ricordi di Gesù, lui venne e disse
una cosa incredibile sia per quel tempo che per oggi: 'tutto il fuori è dentro'. Parlava
dell'abisso senza fondo dentro ogni cosa e da ogni cosa ci si può arrivare. Sai
come è andata, no? lo hanno accicciato. Regolare”.
Scandurra si riempì un altro bicchiere di vino e lo ingollò di un fiato, poi aspirò il
sigaro cubano regalatogli da Zac. Lo si vedeva gongolare. Vino buono, sigaro
ottimo, un interlocutore di livello e noi tutti a pendere dalle sue labbra. Imparai poi,
che lui giocava in questi frangenti e recitava una parte, quella del guru proletario,
la sua intenzione, invece, era quella di suscitare una vibrazione speciale in noi.
Aprirci all'oceano cosmico, assaporarne i gusti e inebriarsi della bellezza della
Creazione. Da qualsiasi argomento, o cosa o idea, lui ci apriva
all'incommensurabile. Riusciva a trasmetterci suoni visioni sensazioni magiche.
Massimiliano tentò di obiettare, sostenendo che quella di Scandurra era filosofia
spicciola, e comunque non aveva nulla a che vedere con la scienza, la ricerca.
Scandurra sorrise.
“Ti faccio vedere una cosa. È la conoscenza delle leggi dell'energia e il suo
controllo. Qualcosa che è collegato al più intimo funzionamento della mente”.
Prese dal tavolo un pacchetto di sigarette. Lo tenne sul palmo della sua mano per
cinque o sei secondi, come se volesse pesarlo. Poi, lo riappoggiò al centro del
tavolo e un secondo dopo, il pacchetto fu come inghiottito, sparì. Sentimmo tutti una
leggera vibrazione.
“Ecco, le sigarette sono parcheggiate in uno spazio di un altra dimensione, qui
accanto. Hai assistito ad un fenomeno di confine che ti strappa di sotto i piedi il
pavimento su cui poggia la scienza e sfida ogni principio che voi ponete a
fondamento del sapere stesso”.
Massimiliano rimase a bocca aperta e con gli occhi sbarrati. Scandurra lo aveva
sconvolto. Ma non era finita lì. Riaprì il palmo della sua mano e, due secondi dopo,
il pacchetto delle sigarette ricomparve al centro del tavolo. O meglio, fu espulso dal
tavolo. Andammo a toccare il punto dell'apparizione, per sentire se fosse caldo
freddo molle. Ci passammo il pacchetto, per tentare di verificare il suo stato, le
eventuali variazioni. Niente di strano se non un leggero calore.
“Stabilisco io la linea di confine tra questo e un altro universo. Una parete, un
tavolo, una finestra. Il pozzo del giardino o il retrobottega. Tutto è tangente. Basta
entrare dentro le cose e ogni cosa entra dentro di te. Ammazzate come sono
approfondito stasera...”.
Scoppiò a ridere e ci fece sobbalzare tutti da quello stato speciale di coscienza,
tipico di quando ci si avvicina alla linea di confine.
“Caro Massimiliano quando la vita ti farà visita, tante certezze spariranno. Per ora
hai una bella ragazza che ti ama, hai il tuo studio e la tua scienza. Domani ti
auguro di trovare anche un senso a tutto questo. La sapienza non bazzica le
università, né le stanze dei potenti. È come il vento, non sai dove nasce e quando
lo senti, è già passato. Io ho scoperto da dove viene ed è meglio che lo sappiano in
pochi. Ho messo le mani tremando su potenze nascoste, per captarle ed
indossarle”.
Il giovane scienziato rimase in silenzio, abbassò gli occhi. Ebbe un leggero
tremore. Non saprei dire cosa gli successe. Poi guardò il suo orologio e ci salutò; la
sua ragazza andò via con lui. Lei ci fece sapere in seguito, che Massimiliano era
convinto di essere stato ingannato da un trucco da prestigiatore e noi eravamo stati
degni compari di un imbroglione.
L'esperimento del maestro fu spettacolare e semplice: rendeva ordinario lo
straordinario. Uno di noi, frattanto, era alle prese con la nutrita collezione di long
playing. Scandurra chiese se c'era un disco di Califano, al ché ci fu un mormorio di
ilarità. Il nostro ospite, si scusò, ma non ascoltava quel genere musicale. West
coast, rock psichedelico, jazz, si trovavano ben assortiti nella sua discoteca,
insomma altra musica. Scandurra con il suo ghigno diabolico prese la parola:
“Tutto il resto è noia, prima di questa frase metteteci un'idea, una cosa che valga la
pena su tutto il resto. È filosofia, è scienza, è vita. Franco ha centrato il problema
dell'uomo. Se non siamo capaci di scoprire cosa conta davvero, l'unica cosa che
per noi è importante, saremo sommersi dal nulla, la noia. Persino il sesso che tanto
ci ossessiona, l'amore che sembra finire troppo presto, persino una cosa bella, poi,
termina o, peggio, diventa abitudine”.
Un concetto filosofico da una canzone di quel tipo un po' volgarotto, sbracato, quel
gigolò dei poveri. Scandurra ci voleva provocare. Giocava.
“Dovete crescere e provare la vita, scontrarvi con essa. La maledirete per le dure
prove e vi ci aggrapperete quando fuggirà. La rinnegherete se qualcuno vi tradirà e
la tradirete mille volte per vigliaccheria. Quando la sentirete passare tra le dita,
quando ve ne rimarrà poca, vi odierete per averla sprecata con le stronzate. Da
questo mondo spariamo troppo presto, per non viverlo con dignità e benevolenza,
bevendo ogni goccia di esperienza, alzando più spesso possibile gli occhi al cielo.
Fate una bella corsa quando incontrate un sentiero di campagna, anche se la
panza vi pesa, ubriacatevi di alberi, di terra, di fiori. La libertà, amici, la libertà è
troppo preziosa per farcela restituire a rate da qualcuno. Prendetevela tutta, subito.
I nostri vecchi che di vita ne hanno consumata, eccome, hanno bisogno di chi la
vita la deve vivere tutta, non dimenticateli. È vita pure quando una donna rifiuta il
vostro amore, perché vi renderete conto che il desiderio a volte vi inganna, anche
se lo scambiavate per passione sublime. È vita quando tutto vi va bene e non
sapete perché, ma è vita pure quando tutto vi crolla addosso e puntate il dito contro
tutti e contro Dio. E non capite perché la felicità scappa sempre via, perché i
bastardi la sfangano e le brave persone ci rimettono sempre. Imparare è cambiare.
Ecco, avete un'occasione per imparare cos'è la vita, e se farete tesoro
dell'esperienze confinarie, vivrete meglio i giorni che vi resteranno da vivere nel
conosciuto. Perché a quel punto saprete che viviamo in tanti frammenti che
dovranno, prima o poi, ricongiungersi”.
. . .
Verso lo scalo interdimensionale - 111 parte
“Come ti sei trovato qui da noi? Non avevi indizi precisi, immagino. Scandurra è
avaro di dettagli. Lascia a voi il compito della scoperta e per quanto ne so, nessuno
ha mai avuto problemi.”
“Sono passato mi pare da mille porte – feci io – sembra una strada senza fine. Ho
visto l'orologio delle dimensioni, la palla splendente, un topaccio puzzolente
grosso come un cinghiale... non mi capacito ancora.”
Roberto mi mise la sua mano sulla spalla.
“Manco dalla Terra da una vita, e un po' di nostalgia, piccola piccola bada, la sento.
Ho avuto un maestro come tu hai avuto Scandurra. Mi ha tirato fuori da
un'esistenza piatta. Amministravo i beni di famiglia. Case terreni aziende. Ebbene,
Angelo, di quella vita mi son rimasti solo i vestiti e un tono snob, ma non rimpiango
certo il passato. Anzi, alcuni conoscenti che come me vivevano nel lusso, in quella
noia mortifera, non vi avrebbero comunque rinunciato per nessuna cosa al mondo.
Io ho rinunciato al molto che avevo, per l'infinito. Al confronto della nuova vita, la
ricchezza è un bruscolino. Che ne dici? “.
“Caro Roberto, per me è stato più facile, se la mettiamo in termini di condizione
sociale ed economica. Sono figlio di una famiglia dignitosa, però non vivo nel
lusso, al contrario. Un paio di scarpe per l'inverno e un altro paio per l'estate, e tutte
a crescere, così per qualche annetto si risparmia sul guardaroba. Non mi ha mai
attirato la ricchezza. Né moto né abiti, né tutto quelle cose che fanno impazzire i
miei coetanei. Voglio ben altro dalla vita. Conoscere sempre, conoscere tutto.
Scandurra mi ha aperto la porta dell'ignoto. Chi è più fortunato di me al mondo?”.
Roberto assentiva mentre gli parlavo.
“Roberto, ma chi ha costruito tutto questo? Gli scali tra una dimensione e l'altra?
Chi?”.
“Angelo, una grandiosa civiltà di immortali, vissuta miliardi di anni fa secondo il
computo terrestre, ingegneri cosmici portatori di ricchezza e abbondanza per tutti i
popoli della galassia, costruirono gli scali interdimensionali per collegare gli
universi. L'obiettivo era quello di far incontrare conoscere e rispettare tutti gli esseri
di tutti gli universi. Un piano immenso, un compito divino. Se ne ha una eco,
un'ombra nelle teogonie indù, quando si narra dei tempi mitici ove gli immortali
creavano universi... è giunto il tempo del ritorno dei grandi immortali”.
“Scandurra ci ripete una data, il 2012, la fine di un mondo o del mondo, non
abbiamo ben capito. Si riferisce al tempo del ritorno?”
“Il 2012 è il tempo dell'inizio del grande balzo. L'umanità intera si troverà sulla
soglia del tempo. Tutti insieme, in una palingenesi di fuoco rigeneratore, la civiltà
della luce del nord, quella della grande isola in mezzo al mare, fino ai
contemporanei, sarete proiettati a ricongiungervi con altri viandanti cosmici. E sulla
riva dell'universo, vedrete tutti i mondi avvicinarsi, tutti i varchi allinearsi come onde
oceaniche. La salvezza viene sempre dal cielo. Ora ti accompagno in un posto per
rifocillarti. In Italia ti avrei offerto un aperitivo al bar centrale o nella tenuta di
famiglia. Qui non badiamo a spese, anche perché non ve ne sono”.
Entrammo in un largo ingresso che immetteva in un palazzo spiraliforme, altissimo.
C'era una hall come in un albergo lussuoso, vasta, dalle tonalità celesti e in una
penombra che invitava alla riservatezza. Quasi con un senso di liberazione, mi
avvidi della presenza di astanti comodamente seduti su bassi divani. C'erano venti
persone tra donne e uomini, divisi in gruppetti che parlavano tranquillamente. Non
riuscivo a capirli, ma li sentivo vicini, insomma, terrestri come me. Qualcuno si
accorse della nostra presenza e ci fece un cenno di saluto. Mi venne spontaneo
domandare sottovoce a Roberto, la provenienza di tutte quelle persone.
“Sono viaggiatori come te che attendono di partire.”
“Una sala d'aspetto di un aeroporto, voli internazionali, come a Fiumicino?”.
“Più o meno, - mi sorrise, divertito – ti accorgerai che ci sono sistemi diversi per
viaggiare. Non partono aerei da qui, è questo mondo che si sposta”.
domenica 18 luglio 2010
IUS 25
. . .
1.
Da Scandurra ho imparato una cosa fondamentale e sperimentabile. Noi viviamo
in una dimensione, ma le nostre anime appartengono ad un'altra. È, quindi, più
facile di quanto sembri salire ad un piano superiore dell'esistenza. Tutta questione
di intensità di vibrazioni personali. Ci faceva un esempio incredibilmente concreto,
alla sua maniera, quando cioè ci svelava verità metafisiche per mezzo di cose
ordinarie. Tutto è nel tutto. Scandurra possedeva un ventilatore a due velocità che
utilizzava durante le giornate afose d'estate. Grazie a questo apparecchio ci
spiegava la fisica del teletrasporto, il passaggio attraverso i varchi
interdimensionali e il processo alchemico.
“Se guardi un ventilatore che gira lentamente, sarai in grado di vederne le palette.
Se sposti la manopola e lo fai girare rapidamente, non le potrai più vedere. Sono
diventate invisibili e puoi vederci attraverso. Questo accade anche alle nostre
anime, quando incominciano a vibrare sempre più velocemente. Col tempo non
hanno bisogno di sforzarsi per passare da una dimensione all'altra”.
Ma in che modo le nostre anime passano attraverso il “ventilatore”, la barriera tra le
dimensioni materiali e spirituali, senza venir scomposte? Per molte anime, il
passaggio attraverso la barriera verrà compiuto al momento della morte fisica. Le
vibrazioni saranno così rapide, nell'altra vita, che saremo in grado di passare
attraverso qualunque barriera materiale, come la luce passa attraverso il vetro,
come il calore passa attraverso un tubo d'acciaio. La vita, l'esistenza è
interdimensionale, e seguendo una via di risveglio, di trasmutazione – molte sono
le vie, ma pochi i viaggiatori, diceva – l'uomo può accedere a stati speciali prima
della transizione della morte. Si impara a fluire con le frequenze dimensionali e ad
entrare nei piani superiori dell'essere. Spirito corpo anima, saranno fusi in un'onda
fluttuante, una forma elettrica primordiale, capace di penetrare in più dimensioni.
La metafisica di Scandurra non aveva bisogno di enunciazioni teoretiche, di
concetti ben formulati filosoficamente. Era epigrammatico, ironico ma benevolente,
immediato, utilizzava esempi di vita quotidiana, che tutti capivano perché ne
avevano fatto esperienza. Ci diceva che se eravamo attaccati alle cose materiali,
avremmo trovato delle sorprese assai indigeste quando passavamo il fosso.
Avremmo capito a nostre spese cosa voleva dire portarsi appresso delle zavorre. In
più di una occasione, oltrepassata la botola, ci siamo imbattuti in situazioni
pericolose, pesanti, alienanti a causa del fardello esistenziale. Gli attaccamenti, il
senso del possesso di cose e persone, acquistavano una rilevanza enorme oltre il
velo. Diciamo, che abbiamo passato l'esame d'ingresso già su questo piano, senza
aspettare la morte fisica: se l'egoismo e la superbia sono le coordinate della tua
vita, incontrerai nell'altra dimensione uno specchio deformante per ogni situazione;
fino a quando non ritroverai l'armonia, esso ti distorcerà. Quando hai l'esperienza
incredibile di vivere su altri piani, ti accorgi di quanto siamo duri di cervice e infantili
con le nostre preoccupazioni materiali. Si impara a mettere una sana distanza con
ciò che è transitorio. Le diatribe, gli intoppi dell'ordinario, le beghe lavorative, le
ambascie per le mancate gratifiche dell'esistenza, ci appaiono poca cosa. La
ricchezza creativa, ma anche i vertiginosi accadimenti nei mondi interdimensionali,
ci possono aiutare in maniera determinante a vedere la nostra vita quaggiù come
l'inizio di un viaggio interminabile, una trasformazione continua, una responsabilità
accentuata nei confronti dell'umanità e dell'universo. Queste cose non te le
insegnano né a scuola né in sacrestia. La realtà, così come te la fanno percepire è
una schifezza, piatta, senza via d'uscita; quasi sempre, i padroni del vapore si son
divisi la torta, lasciandoci nell'ignoranza e nella bassezza, sbarrando con le buone
e con le cattive le porte verso la liberazione. Ci tengono prigionieri, tutti accalcati,
sporchi, ogni tanto ci danno l'ora d'aria, intanto loro se la ridono alla grande. Usano
la legge come scudo per difendersi e l'adoperano a mo' di mannaia per impedirci
di vivere da uomini liberi. I tempi che stiamo vivendo, sono i più bui e pesanti che
storia umana abbia mai visto; la corda è sul punto di rompersi.
Diceva Scandurra:
“La Terra sta per partorire di nuovo, ma non tutti assisteranno al lieto evento”.
2.
L'esperienza scandurriana può essere schematizzata o, se preferite, circoscritta in
pratica in una bottega magica dove ho percorso l'infanzia, la giovinezza e
l'ingresso nella maturità spirituale. Questa bottega, mondo chiuso solo
all'apparenza, è situata al confine interdimensionale ed è circondata da una città
dove gli abitanti ignorano nella maniera più assoluta di vivere sul crocevia
cosmico. I miei concittadini, ma sarebbe lo stesso per qualsiasi cittadino terrestre,
sono felici di restare al sicuro entro le antiche mura medievali che li proteggono; in
realtà le mura di cinta sono nella mente degli uomini. Ho più di una volta avuto
l'impressione che alcuni viterbesi, si siano imbattuti accidentalmente nella botola
sul baratro senza fondo, per una qualche particolarissima dinamica celeste hanno
avuto tale miracolosa possibilità, ma si son tirati indietro senza rimpianti.
La mia città-mondo rappresenta il guscio di cui noi siamo i prigionieri, esso ci
condiziona, limita la nostra libertà d'azione, frappone delle mura fra noi e
l'esistenza vera, reale. Dalle sue segrete (l'inconscio) emergono forze che
vorrebbero dominarci, farci rinunciare anche a quella parvenza di autonomia che
ancora possiamo conservare, invitandoci all'abbandono, nell'ingannevole e torpida
sicurezza del gesto ritualizzato sempre uguale, della vita ridotta negli interessi e
negli scopi, della volontà drogata dalla privazione di ideali superiori. Scandurra
critica la religione (intende tutte le religioni) e i suoi riti che, a causa della loro
meccanica ripetizione, sono ormai diventati dei simulacri svuotati di ogni senso del
sacro: la sacralità è viva e reale e si perpetua per il suo contenuto e non per il
trucco o lo scenario. Della religione e del potere, ormai intimamente falsi, possono
approfittare le forze oscure sempre in agguato: esse attendono il momento
opportuno per scalzare un ritualismo falso e logoro, degenerazione del rito vivente.
Scandurra ci dice che l'uomo vero deve, quindi, saper riconoscere queste forze che
salgono dal fondo della sua anima, poi scendendo sino a loro, affrontarle,
dominarle, renderle innocue. Solo così potrà essere libero, della libertà vera dello
spirito e non di quella illusoria del corpo. Se saremo capaci di distaccarci dalla
città-mondo, vincere le forze oscure che provengono dalla cantina dell'essere,
allora, solo allora, potremo lasciarci dietro un mondo per trovarne un altro che ci
attende.
3.
Quando attraversai la prima volta il fosso, si concretizzava un assunto iniziatico,
quello cioè del superamento delle acque. Esso è un simbolo antichissimo che
indica la condizione di chi, avuto sentore di un'altra sponda, è riuscito ad
abbandonare quella della sua esistenza ordinaria per raggiungerla. Non è certo un
caso che le apparizioni di esseri celesti in ogni parte del mondo, da sempre,
avvengono spesso vicino a sorgenti d'acqua, grotte. La mitologia e la storia delle
religioni, ci dicono questo: l'acqua è il grande conduttore. Poco importa se l'acqua
è stagnante o limpida, il mezzo è quello. È un margine, un confine tra elementi
della terra e del cielo. L'ingresso a mondi luminosi e oscuri.
. . .
Verso lo scalo interdimensionale - Terranusi
Ci accomodammo su uno dei pochi divani liberi. Subito fummo raggiunti da una
giovane donna dai tratti somatici che indicavano la sua provenienza slava,
ovviamente bella, che ci portò delle bevande bicolori. Mi domandavo perché le
ragazze descritte nei romanzi o le attrici, sono sempre così belle. La stessa cosa
sembrava accadere in quell'universo. Domanda stupida.
“Vedo che la osservavi attentamente, Angelo. Non è una cameriera, no, si occupa
di questa sala svolgendo tutte le attività necessarie. Diciamo che qui non ci sono
padroni né sottoposti. Vige una sorta di armonia sociale, come dirti, le attitudini di
ognuno vengono valorizzate negli ambiti idonei. Ognuno può benissimo provare a
cambiar mansione. Un consiglio si riunisce quando ce ne è bisogno ed è composto
da tutti noi. Le decisioni da prendere alla fine si trovano, l'arte del compromesso,
della sintesi è una prassi ben consolidata. Il potere sulla terra è piramidale, da noi
nessuno lo detiene perché lo detengono tutti. La sfera è il simbolo che meglio
rispecchia il nostro mondo”.
“Una forma di comunismo illuminato, in pratica”.
“Comunitarismo è la parola più indicata. Un sistema per così dire feudale senza
principe. Un'insieme di corporazioni unite a singoli cittadini che non appartengono
a nessuna categoria. Il nostro è un modello molto diffuso nella galassia, almeno tra
i mondi periferici. Le risorse energetiche sono praticamente infinite e questo grazie
agli antichi ingegneri cosmici. La ruota che hai prima visto è un rotore cosmico:
opera nei varchi spaziotemporali collegandosi agli universi, e in più trasforma la
fonte primaria per ogni nostra necessità ”.
“Un paese delle meraviglie. Un'isola felice. Credevo che queste cose
appartenessero al mondo delle fiabe o ai paradisi promessi delle religioni. Invece
mi ci trovo sopra”.
“Angelo, è la pochezza e la malvagità dei tiranni, politici preti che siano, a ridurre la
vita dell'umanità in un angusto abituro, indegno di ogni creatura dell'universo. Ci
sono forze e mezzi a disposizione di tutti per vivere liberi; ci sono le botole, come le
chiama Scandurra, che ci permettono di vivere la multidimensionalità. Eppure tutto
questo è sottratto all'umanità. Per la cupidigia, la superbia di pochi, ci hanno
rimesso tutti. Scelte scellerate hanno compromesso l'età della Luce e hanno fatto
sprofondare il mondo verso un oscuro destino. Uomini come Scandurra, sin da ere
dimenticate, tengono operativi i portali di modo ché la nostra benedetta Terra non
vaghi senza meta in uno spazio cieco. Alcuni esseri celesti, Rama Orfeo Gesù
hanno in più occasioni tentato di risvegliare lo spirito sopito degli uomini. Era più
facile e comodo adorarli che seguire i loro insegnamenti. Baciare idoli,
inginocchiarsi, cercando surrogati di divinità, piegare il capo e ossequiare
parvenze di luce, quando ogni uomo è un essere cosmico che dovrebbe ricordare
la sua antica provenienza! Scandurra ti avrà già edotto. Le leve divine le abbiamo
dentro, ma ci sentiamo smarriti, sudditi di qualche altro nostro simile. Preferiamo
sperare in un paradiso dopo la morte, piuttosto che cercarlo prima”.
Quanto mi diceva con passione Roberto risuonava dentro ogni mia particella, si
manifestava col sigillo di verità. Quante domande rivolgevo quotidianamente a
Scandurra sul destino, la vita e la morte, Dio e le chiese, Cristo, l'anima. Lo
tempestavo tutti i santi giorni con i miei dubbi, i miei tormenti, i retaggi tradizionali e
la cultura dominante che mi rendevano debole, dimesso. Lui mi insegnava a
destarmi, a risvegliare gli dèi in esilio, come li chiamava. Niente a che vedere con
la tentazione satanica o col mito del superuomo. Risvegliando ciò che dormiva in
me, ritornavo ad essere la degna creatura concepita dal Padre Celeste, per
contribuire a restaurare la fratellanza e l'armonia di tutti gli esseri e le cose
dell'universo.
“Roberto, ma i tuoi familiari, i parenti, insomma non ti cercano? Sei sparito senza
lasciar traccia. Si saranno attivate subito le forze dell'ordine dopo 24ore della tua
scomparsa”.
“In pratica ho lasciato delle tracce. Semplici lettere manoscritte, dove chiedevo
perdono a tutti per la mia scelta irremovibile di cercare una nuova esistenza
altrove, lontano”.
“Certo che effettivamente l'hai cercata lontana la tua nuova vita. Avevi una
fidanzata? Le hai detto la verità?”
“Sì, ho avuto il permesso di rivelarle i miei propositi. Di più; le ho pure chiesto di
venire con me. Non mi ha creduto e ha reagito malissimo. Non ha voluto nemmeno
seguirmi per dimostrarle che non le raccontavo delle storie. Se le volevo
veramente bene avrei dovuto rinunciare alla mia idea balzana, questo ha preteso.
Non posso biasimarla. Non capita a tutti di partire per un altro universo e
pretendere pure di esser creduto o addirittura assecondato nell'impresa. Quando
sono andato via dalla Terra, lei era un'attrice in rapida ascesa. Era bellissima”.
“Scusami, non volevo riaprirti la ferita. Sono stato inopportuno”
“Caro Angelo, i ricordi belli ce li ho tutti nel cuore. I rimpianti pure me li sono portati
appresso, ma poi si sono attenuati”.
“Non ti ho chiesto ancora il nome di questo posto, ammesso che ne abbia uno”.
“Terranusi. Da qui devono passare tutti i terrestri provenienti da ogni botola
disseminata sul pianeta”.
“Immagino un traffico pazzesco...”.
“Buona questa, Angelo. Scandurra dice che molte sono le vie ma pochi i
viaggiatori”.
“Me ne sono accorto”.
“Voglio farti conoscere il rilegatore. Un tipo speciale, simpatico e matto al punto
giusto. Suo compito è quello di curare i libri dimenticati “.
“C'è un libraio pure qui? Gagliardo. Amo i libri, ne ho un culto speciale. Se ho due
lire le spendo per comprarmeli. Le bancarelle sono il mio eldorado”.
“Vedrai, Angelo, ti piacerà. Era titolare di una libreria a New York. Poi, il suo amore
per il pensiero e la fantasia di anime alte, racchiusi in quei piccoli oggetti di
preziosa carta di cui aveva gran cura, gli ha permesso di incontrare uno come
Scandurra e il gioco era fatto. Bisogna amare tanto e chi ama non sbaglia mai”.
Allungai la mano per prendere dal tavolino il bicchiere quadrato con quella strana
bevanda dai colori blu e verde, divisi verticalmente. Ebbi qualche titubanza
nell'accostare alla bocca il bicchiere.
“Angelo, è buonissima. Vedrai che ti sentirai meglio. È un corroborante.”
“Contiene droghe o alcol?”.
“Credi che ci sia bisogno di un extra in questo scalo che ti porta a spasso per
l'universo? Tranquillo”. E rise di cuore alla faccia mia.
Bevvi tutto di un fiato, come andava andava. Caspita quanto era buona. Due liquori
che si mantenevano separati perfino in bocca, poi a contatto col palato si
mischiavano. Ero tutto un vibrare. Stavo benissimo. Raggiante nella mia
soddisfazione. Alla prima sortita oltre l'universo conosciuto, e già mi sentivo a mio
agio. Tutto era così splendente, armonico.
Proprio in quel momento riebbi la percezione della visione globale e quella bella
sensazione di benessere, di pace, scomparve. Sentivo pressioni psichiche e suoni
ad altissima frequenza da tutte le direzioni. Qualcosa di terrifico stava per accadere
a Terranusi.
mercoledì 28 luglio 2010
IUS 26
. . .
1.
Potenze primigene, prima razza madre, multidimensioni, esseri celesti, sono i punti
chiave di Scandurra. Una posizione centrale dei suoi insegnamenti,
imprescindibile, riguardava l'ascesi o la trasformazione alchemica, come la
definiva lui. Tuffi e immersioni in succulenti fondali fenomenologici: ecco il
programma da noi seguito. Diventare quello che siamo sempre stati: destare gli dèi
in esilio. Come primo passo verso la Via, dovevamo imparare a consultare
l'oracolo; ma non nel senso letterale e ordinario. Scrutare i segnacoli, le
coincidenze, i nessi, che incontravamo ogni giorno. Tutto il cosmo ci parlava, di
continuo, eppure non ce ne accorgevamo. Dovevamo affinare i sensi per poter
ricevere le energie del cosmo, ossia dei piani più sottili, sovrasensibili. Come?
Attraverso un ricettore d'energia lunisolare che dovevamo costruirci secondo un
disegnino, un ankh, la chiave della vita, che Scandurra con tratti infantili ci aveva
messo a disposizione. L'obiettivo era quello di polarizzarci in fluidi cosmici e
utilizzare l'antenna ricettrice per immagazzinarli nel nostro corpo. Chiedemmo al
maestro che materiale usare per il ricettore. Ci rispose che avremmo trovato quello
giusto per ognuno di noi. Parallelamente all'antenna ricevente, ci diede un altra
consegna per la nostra asana. Seguire un regime alimentare duro, per almeno
quaranta giorni, evitando alcolici, caffé, carne. Ci dovevamo cibare di frutta (ce la
passava lui, di quella speciale), latte, verdure crude e acqua del sindaco, di quella
corrente. Era necessario questo regime perché favoriva l'esteriorizzazione del
doppio, il corpo eterico.
Trasmutare l'unità corpo-mente, per essere in grado di ricevere gli influssi cosmici;
e per trasmutare l'unità corpo-mente, c'era bisogno di captare gli influssi cosmici.
Chiaro, no?
Per entrare nelle botole e oltrepassare la linea spazio-tempo, avremmo dovuto fare
qualche sacrificio. Estrarre la nostra essenza e trasformarla in quintessenza.
Elementale, Watson...
2.
Chi ha studiato e praticato l'occultismo, è a conoscenza dei mezzi empirici utilizzati
dagli stregoni per riuscire a realizzare la propria volontà. Il maleficio è il mezzo più
noto da sempre. Stregare qualcuno vuol dire proiettarlo in un'immagine che lo
rappresenta e, in virtù delle leggi magiche di analogia, colpirlo indirettamente nella
persona con atti esercitati su quell'immagine, il volt, in francese arcaico. Nel volt
l'operatore nasconde la sua volontà formulata. Secondo Scandurra la stregoneria è
una sopravvivenza corrotta di una raffinata scienza della mente. L'azione
stregonesca non fa che riprendere una prassi ascetica del pensiero condensato,
dinamicizzato e poi proiettato.
Ovunque, a tutte le latitudini e in ogni epoca, gli uomini hanno costruito e poi eretto
riproduzioni scolpite, talvolta gigantesche, di esseri o di simboli misteriosi. Che
queste riproduzioni siano di pietra metallo legno, le immagini appartengono, nello
stesso modo dell'arte piramidale, a una scienza universale applicata dagli uomini
prima dell'ultimo diluvio. La loro destinazione originaria sfugge alla cultura
moderna. Vi è un legame che collega tra di loro le statue gigantesche dell'isola di
Pasqua, gli Atlanti del tempio di Tula eretti dai toltechi, i Totem dei nativi
dell'America del Nord, gli Dèi dell'antico Messico, i monoliti eretti dai celti e dagli
ebrei, il Bafometto dei templari, i colossi dell'Anatolia, le madonne nere adorate
nelle cattedrali gotiche cristiane. Se cerchiamo il legame misterioso che tiene unite
queste diverse opere, scopriremo che le civiltà scomparse conoscevano e
padroneggiavano una forza della Natura, nascosta ma presente ovunque. Gli
alchimisti medievali e rinascimentali poterono ancora utilizzarne la potenza; nel XX
secolo invece, i moderni apprendisti stregoni hanno ricercato il suo inverso,
distruttivo e letale, spaccando atomi e manipolando cellule, alla conquista di quel
potere che presumono sia nascosto dentro la materia. È la Luce Cosmica, energia
di espansione e di separazione, libera dalla morte (la persona non muore),
permettendo al Sole di rinascere. I maghi antidiluviani, guidavano il mondo; alcuni
presiedono tuttora alla sua evoluzione; tutti hanno avuto ed hanno ancora a loro
disposizione una forza della quale i profani non conoscono la chiave. Questa forza
emana dall'uomo e circola liberamente nella Natura e mette la vita in movimento.
3.
La luce di Atlantide fu proiettata sulla terra nera bagnata dal grande fiume. La
civiltà egiziana è la sola che abbia saputo costruire con la coscienza dell'eternità,
della lotta contro il tempo. Queste costruzioni fanno parte degli accessori
sconosciuti dell'antica sapienza atlantidea. I sacerdoti dei santuari di Heliopolis e
di Menphi non ignoravano nessuno dei segreti della vita universale. Sapevano
maneggiare la Luce Cosmica designata col vocabolo di Nahash nel Sepher
Bereshit di Mosè. Tale potenza doveva rimanere nascosta, dimenticata, avvolta
necessariamente nella leggenda: era più facile far credere che fossero solo
fantasticherie di popoli primitivi e superstiziosi...
Questi segreti risiedono in qualcosa di semplice, come tutto ciò che è grande. La
verità è nella semplicità. La dinamizzazione del pensiero vivente e la sua
proiezione, modificano le correnti della Luce Cosmica modellandole. L'idea
trasformata in materia, unita all'esatta conoscenza delle correnti telluriche,
permette di ottenere risultati prodigiosi. Il Nahash, sottoposto al pensiero vivente, si
condensa e si accumula. I sapienti egiziani accumulavano grani di energia,
immagini dei loro desideri e della loro volontà, all'interno di monoliti incisi e scolpiti.
Tutti quelli che ritroviamo oggi appartengono a quella scienza che fu maledetta dai
mercanti di religione. Queste immagini svolgono ancor oggi, il ruolo che migliaia di
anni fa assegnarono loro i sacerdoti che le eressero.
4.
L'arte gotica nasconde la chiave della quarta dimensione e i misteri di una scienza
sacra che gli iniziati si sono trasmessi dall'origine del mondo ad oggi. Dalla grande
piramide di Cheope alle cattedrali, esiste una stretta correlazione. Quella di
Strasburgo è alta 124metri. Il metro è la decimilionesima parte del quarto del
meridiano terrestre. Per la geometria di questa cattedrale è stata utilizzata un'altra
unità di misura, anch'essa basata su una delle dimensioni del nostro pianeta, e che
dà delle operazioni senza resto. L'unità in questione è stata impiegata nella
costruzione di Cheope, del Partenone e di alcune cattedrali francesi. Quella di
Strasburgo ha una torre unica al mondo: la sua altezza è uguale all'altezza della
sua base in rapporto al livello del mare. Il suo orologio astronomico, secondo un
computo ecclesiastico dà l'ordine dell'anno nel ciclo lunare, permettendo così di
conoscere le date precise nelle quali cadranno le lune nuove dell'anno. Questo è il
numero aureo ecclesiastico, da non confondere con il numero aureo degli antichi.
Poco distante dalla cattedrale, si trova il museo dell'Opera di Notre-Dame con la
sala dei Massoni. Il monumento fu terminato il 1439, e da quella data si insediò la
Loggia Suprema dei Massoni del Sacro Impero Germanico, possessori del vero
numero aureo, chiave dell'antica architettura e base dell'armonia e delle
proporzioni. Si dice che i massoni di quella Loggia avrebbero posseduto il Graal,
nascosto ai profani da una rampa a campo magnetico di trasferimento, l'interruttore
è situato in un altra cattedrale, quella di Colonia. La geometria e il simbolismo del
monumento alsaziano, ci conducono verso rapporti tra le sue dimensioni e quelle
di Cheope. Un esempio su tutti, il suo rosone a sedici petali che ha per centro un
pentagono. Questi elementi disseminati nella cattedrale, si spiegano con
l'applicazione del numero aureo, cioè la sezione aurea che è la divisione di una
lunghezza, tale che il rapporto tra il segmento A e il più piccolo segmento B sia
uguale a quello tra la lunghezza totale A+B e il segmento A. Questo rapporto, il cui
valore universale è di 1,618 (una cifra tanto importante quanto il fattore pi greco),
non è solo primordiale per il suo aspetto matematico, ma anche per il suo aspetto
geometrico, a causa delle triangolazioni che ne derivano. Questo fattore fu
applicato da pittori eccelsi per tracciare i loro quadri su canovacci geometrici. È la
chiave dei grandi maestri dell'architettura.
La cattedrale gotica è l'enorme reliquiario delle grandi tradizioni della geometria
esoterica, che collega la dimora filosofale (così Fulcanelli) a un sapere nato all'alba
del mondo e nascosto dopo l'ultimo cataclisma. In ogni cattedrale gotica c'è un
punto dove è sufficiente appoggiare un dito per far sì che l'intera costruzione crolli.
Non mi risultano crolli, quindi il segreto è ben custodito. E vi è pure un altro punto
sul quale una semplice pressione dopo aver pronunciato una parola vibrata,
provoca l'apertura verso un mondo parallelo. A tale proposito, mi risulta invece che
centinaia di persone dal medioevo ad oggi, hanno tentato di trovare il punto di
accesso. Qualcuna ci sarà riuscita? Il segreto dei Templari e dei mastri tagliatori di
pietra, riguardava la conoscenza dell'esistenza di altre dimensioni e il modo per
accedervi. Sappiamo come andò a finire.
5.
Quando si parla della forma di un oggetto noi pensiamo allo spazio che occupa,
facendo astrazione dalla materia di cui è composta. Lo spazio non è definito
unicamente dalla grandezza dell'oggetto, cioè le distanze che separano le sue
diverse parti; si tiene anche conto delle relative direzioni e della curvatura delle
superfici. Tre dimensioni determinano la forma dell'oggetto: lunghezza, larghezza,
altezza. Il segreto della arte occulta consiste nel calcolare, per mezzo del numero
aureo, la forma di un oggetto a tre dimensioni nel quadro dell'armonia universale.
Lo spazio che occupa allora questo oggetto, e la sua forma particolare, aprono la
porta che dà sulla quarta dimensione. Ne diventa lo strumento vettore che permette
di entrarvi. L'esperienza, mostra che nel nostro spazio a tre dimensioni i volumi
sono proporzionali ai cubi delle lunghezze. Partendo da questa constatazione
possiamo capire che in certi casi la forma e il volume di un corpo, calcolati con
l'aiuto della geometria e della matematica ermetiche, fanno di questo corpo un
passaporto per un universo parallelo. Fondamentale, quindi, è la conoscenza dei
rapporti esistenti tra il mondo degli effetti e quello delle cause.
Le stesse iniziazioni, alludevano alla possibilità di far percepire al neofita la
dimensione che gli è nascosta dall'imperfezione dei suoi sensi e dalla sua sordità
alle realtà superiori. I libri di Fulcanelli, uno dei pochi, genuini alchimisti del
ventesimo secolo, sono manuali operativi che permetterebbero la trasmutazione
animico-energetica del discepolo, e usufruendo dei punti di comunicazione tra due
mondi – le cattedrali e le spolette - l'uomo nuovo potrebbe dispiegare le sue ali e
viaggiare oltre il tempo e lo spazio. Pochi crederanno a quanto affermo, e sono
quei pochi che hanno tentato l'impresa. Grazie a Scandurra e al duro lavoro, ho
potuto sperimentare l'immersione in varchi interdimensionali, passando da un
universo ad un altro.
Il passaggio si effettua grazie all'azione di un campo di energia sottile ma diffusa,
Luce del Mondo secondo gli alchimisti, una spoletta, un comune oggetto (ve ne
sono al mondo alcune migliaia) ma non per questo meno nobile, che è la chiave e
l'innesto, che è un processo mentale.
Chi possedesse questo pericoloso segreto, potrebbe apparire senza lasciare
tracce in luoghi lontani o dimensioni aliene, per poi scomparire all'istante.
Scandurra riteneva che i padroni del mondo impiegavano risorse e mezzi
considerevoli per scoprire il segreto del trasferimento dimensionale. Alchimisti,
ermetisti, sciamani e salta-fossi scandurriani, hanno trovato la chiave di accesso e
se la sono tenuta ben stretta. Minacciati, imprigionati, torturati, piuttosto si son
lasciati morire; qualcuno è riuscito ad adoperare quel potere per sgattaiolare via,
dove nessun tiranno potrebbe mai trovarlo.
Il segreto tecnico dell'apertura della botola che si affaccia su dimensioni tangenti,
lo si trova negli insegnamenti interni di confraternite di regolarità millenaria, oggi in
sonno. Ma pure presso uomini incredibili, che scelgono di rimanere nell'ombra,
nell'attesa di incontrare una persona degna e pura di cuore, per trasmettere il
dono. Già, perché di dono si tratta, senza prezzo.
6.
Le teste d'uovo della NASA, sono convinti che l'astronautica non ha un gran futuro,
al di là della propaganda per le masse. Il Pentagono, che è il vero grand commis
della Nasa, ha pianificato un progetto avveniristico, alla luce di un ovvio e quasi
banale convincimento: è oneroso e poco produttivo, il viaggio a bordo di astronavi
per andare da un pianeta ad un altro. La soluzione è il “teletrasporto”, noto grazie
ad una fortunata serie di telefilms, Star Trek, saga fantascientifica che ha avuto
inizio nel 1966 e ideata da Gene Roddenberry. Il Pentagono ha investito valanghe
di dollari sul teletrasporto alla Star Trek, in cui un corpo umano verrebbe
"scomposto", trasferito in un altro punto dello spazio, e quindi "ricostruito". Gli
scienziati a stelle e strisce avrebbero così analizzato una cavia umana (perché di
cavia si deve parlare) da teletrasportare, atomo per atomo, memorizzandone
completamente la configurazione (ammesso che sia possibile farlo). Avrebbero poi
fatto viaggiare questa informazione in un altro punto dello spazio, dove una
quantità di atomi identica a quella iniziale è stata assemblata per riprodurre
fedelmente la cavia di partenza. Il teletrasporto sarebbe simile ad una telescrivente
olivetti, che trasmette messaggi di testo attraverso la rete telegrafica: l'informazione
contenuta nel messaggio che scriviamo sul nostro dispositivo telex viene inviata e
ricostruita da chi la riceve. Quello che viaggia è l'informazione, non la materia.
Diversi e serissimi sono i problemi quando il messaggio da inviare è l'uomo:
-come estrarre tutte le informazioni contenute in un uomo;
-è per ora impossibile conoscere velocità e posizione di una particella secondo la
fisica quantistica;
-non si conoscono le dinamiche della coscienza del viaggiatore durante il
teletrasporto;
-non si è sicuri se l'uomo teletrasportato sia effettivamente lo stesso della partenza
o un duplicato;
-l'io del teletrasportato potrebbe essere diviso.
Credete che queste domande se le siano poste quelli del governo-ombra made in
USA?. La posta in palio è più importante di una vita, che è come ben sapete,
sacrificabilissima quando ci sono in ballo le ragioni di stato e la leadership
mondiale. Cosa è successo? Ebbene, alcune decine di cavie umane sono
scomparse chissà dove, altre, invece, sono state ritrovate nel posto di
assemblaggio, ma trasformate in una poltiglia di carne irriconoscibile. Orrore allo
stato puro. Da dove ho attinto queste notizie? Teletrasporto, Scotty!
Gli scienziati non sanno una cosa che un fruttarolo viterbese ha da sempre
sostenuto e dimostrato: quello che si rompe non ritorna più com'era prima. Passare
da una dimensione ad un altra, è come trovare un guado per andare da una riva
all'altra di un fiume. Difatti, l'accesso ai piani interdimensionali così come ce lo ha
insegnato il maestro, non si avvale di ipotetici macchinari teletrasportatori, ma
dell'insieme di fattori necessari: portali collocati in luoghi ove la barriera spazio-
tempo è più sottile (l'acqua bassa), spolette e processi mentali speciali. Si varcano
così i mondi.
7.
Sin dalla Seconda Guerra Mondiale, i governi alleati, l'Urss e il III°Reich,
ufficiosamente, hanno investito capitali ingenti al fine di studiare e sviluppare le
facoltà latenti dell'uomo. Sensitivi, maghi, medium, sono stati vagliati, selezionati e
utilizzati per spionaggio, sabotaggio e condizionamento psichico dell'avversario.
Non contenti, i governi alla fine della guerra hanno orientato verso altri obiettivi le
loro ricerche psi. L'ossessione dominante americana e sovietica era ed è
rappresentata dal viaggio dimensionale, con strumenti e uomini in grado di
spostarsi da un universo ad un altro. Oltre all'uso fallimentare di teletrasporti
tecnologici, come ho accennato sopra, le èlites politico-militari hanno sviluppato
programmi sulla medianità, la vecchia ma sempre misteriosa modalità dell'anima
che, in determinate condizioni, produrrebbe fenomeni di trasferimento di corpi nello
spazio e nel tempo. I risultati, allo stato attuale delle cose, sono più lusinghieri di
quelli tecnologici. Al contrario delle apparecchiature per il teletrasporto, le energie
che si innestano durante lo stato medianico, sembrano non costituire rilevanti
contro indicazioni per il sensitivo. Le èlites però non si faranno certo degli scrupoli,
pur di conseguire gli obbiettivi.
8.
Il mio maestro conosceva le botole, antiche porte di accesso interdimensionali,
disseminate un po' ovunque, ma non illimitate. Conosceva su dove affacciavano e
la strada per il ritorno. Non si tratta di scomporre trasferire e ricomporre un corpo
umano, come ipotizzato dagli scienziati. È la struttura stessa della dimensione a
farsi più sottile, più permeabile, permettendo il passaggio da un universo ad un
altro senza effetti collaterali per il viaggiatore. Non è poco, non credete? Qualcuno
si domanderà, che se è vero quanto vado affermando, mi troverei in serio pericolo,
anzi, sarei già 'terra per ceci'. Dovete sapere una cosa; quando conobbi Scandurra,
il 1971, mostrò a me e agli altri i suoi poteri pazzeschi, con facilità e semplicità. A
noi dell'anonima talenti chiese solo un piacere: di adoperarli soltanto per i compiti
specifici interdimensionali, in considerazione del fatto che qualsiasi altro uso
avrebbe comportato il risucchio del trasgressore nel baratro senza fondo.
Il 1978 fu avvicinato da agenti governativi di paesi stranieri, facile capire di quali,
che avevano ricevuto informative su questo tipo strano e povero (la sua condizione
sociale ed economica, destava curiosità e sconcerto). Scandurra, riuscì a defilarsi
con semplicità, come? Li accompagnò presso alcuni punti di accesso genuini (fossi
naturali e leghe di acqua salmastra, per lo più) e indicò loro come fare per
attraversarli. Nessuno di questi agenti ebbe lo stomaco di immergersi in un fosso
melmoso, puteolente, e che sembrava tutto meno che una porta verso l'infinito. La
pratica “Scandurra” fu chiusa.
Il suo segreto rimane inviolato non perché ben custodito, ma perché è buon senso
ritenerlo impossibile, una fantasticheria generata da una mente disturbata.
Immersioni in varchi interdimensionali? Dentro un fosso malsano? Puah, è così
poco esoterico e anti-scientifico...
. . .
Verso lo scalo interdimensionale - Terranusi 2
Il salone fu spazzato via da un vento gelido che emetteva un rombo spaventoso,
come un ruggito. Insieme al rumore fortissimo, il vento trasportò verso tutti noi una
fiumana di cose, pezzi di stoffa colorata, erbaccia, semi, spezzoni di specchi,
residui molli come gelatina, ossa di animale o di uomo. Roberto ed io,
istintivamente, ci gettammo per terra, a pancia sotto, coprendoci la testa con le
mani. Cercai di dire qualcosa, ma il suono era così assordante da non permetterci
nemmeno di comunicare fra noi. Non capivo cosa succedeva. Era così inaspettato
tutto questo che mi bloccava ogni capacità di pensare. La mia visione globale,
compariva e spariva, come un falso contatto. Che cosa potevo fare? Roberto mi
toccò sulla spalla e mi invitò ad alzarmi. Con la testa abbassata e incurvato, lo
seguii. Di tutta fretta ci avvicinammo ad una porta poco lontana, verso l'interno del
palazzo. Arrivati davanti, essa si aprì automaticamente; immetteva in un
montacarichi, così grande che poteva starci tranquillamente un camion. Entrammo
senza indugi ulteriori. Dopo qualche secondo, il tempo di riprendere fiato, che mi
resi conto della preoccupazione di Roberto. Gliela si poteva leggere in volto.
“Quel vento non era naturale. Abbiamo attraversato uno spazio esmerico, pregno
di cose e forme-pensiero di chissà quale popolo. Sembrerebbe che qualcuno non
abbia gradito la tua visita. Ci sono esseri ostili”.
Mosse delle piccole leve da un quadrante posto ad altezza-uomo sulla parete.
Leve, corone, ganci e incavi, non davano esattamente l'impressione di un
aggeggio elettrico, ma meccanico. Non notai alcun movimento del montacarichi.
Passarono una decina di secondi. Roberto mi diede una pacca sulla spalla.
“Bene, siamo arrivati, Angelo, al sicuro da interferenze psichiche indebite. Ci
troviamo ad alcuni kilometri sotto terra. Ora vedrai la grandezza degli ingegneri
cosmici. Terranusi deve ancora svelare le sue meraviglie”.
sabato 7 agosto 2010
IUS27
. . .
1.
LE MIE ESPERIENZE: LA TANA DI BIANCONIGLIO È UNO SCALO
INTERDIMENSIONALE
Cosa farebbe Alice se, attraversando lo specchio, invece di Bianconiglio
incontrasse una proiezione dei suoi materiali psichici e mitici? Meglio, cosa o chi
vedrebbe sulla base dei contenuti della sua memoria bio-storica? Essendo di
nazionalità inglese, si imbatterebbe in una compagnia di allegri hobbit ed elfi, che
la festeggerebbero offrendole cibarie. Siccome non sono nato in terra di Albione e
tanto meno mi chiamo Alice, non avendo assunto funghetti psichedelici, il minimo
che mi possa capitare è imbattermi in una creatura sì, della Terra di Mezzo, ma dai
connotati piuttosto sgradevoli e dal ghigno beffardo, tipici del patrimonio mitologico
mediterraneo. A testimonianza del fatto che quando si descrivono a tavolino i regni
sottili, che quando esperti di cose misteriose ritenuti autorevoli, scrivono di cose
supposte, ti accorgi che nello sperimentare davvero l'Ignoto, pur dopo anni di studi
e ricerche, ti troverai di fronte a qualcosa di completamente diverso da quanto
descritto sui manuali. Per proiezione psichica, intendo semplicemente che
rivestiamo col nostro inconscio ancestrale forze ed energie comunque esistenti e
presenti, quindi esse appaiono nell'unica forma possibile per noi percepibile.
L'etere universale, l'akasa secondo gli indù, provvede a strutturare l'evento, così da
potersi esplicare nel miglior modo consentito ai nostri sensi. È lo stesso processo
mito-psichico che si innesca in occasione di un avvistamento ufo: l'evento è
riempito dai nostri contenuti, pur mantenendo la sua forma originaria.
Scandurra mi aveva insegnato che per viaggiare velocemente lungo tutti i cunicoli
di accesso, era indispensabile connettere le molecole (lui le chiamava 'mollicole')
alla luce. Operazione necessaria ma difficoltosa e non per motivi tecnici, ma per la
nostra naturale disabitudine alla non collocazione della coscienza entro gli angusti
confini del corpo, nella fattispecie la testa, sito storico in cui ci troviamo agli arresti
domiciliari fin dalla nascita. Un altra regola da tener conto durante le sortite in
questi varchi, è che svariati scenari conducono a universi multipli. In effetti, sia
nella fisica quantistica sia in metapsichica, la distanza fra un punto A e un punto B
non ha alcuna importanza, poiché le transizioni virtuali di una particella o del
mercurio alchemico (corpo astrale) possono interferire tra loro a qualunque
distanza, perfino tra un universo ed un altro.
Una teologia miope e dicotomica, mette in contrasto due cose così unite come il
corpo e l'anima. Gente di frontiera, entronauti, talenti anonimi, tutti insieme
dimostriamo con le nostre sortite nella Terra di Mezzo, che non solo è possibile
entrarvi con una coscienza viaggiante, ma addirittura in specialissime condizioni –
connessione molecole-luce - anche col soma. Certo, non è il mio corpo fisico
ordinario a viaggiare oltre lo specchio dimensionale, ma una sorta di aerosoma,
mercurio volatile secondo gli alchimisti, che può penetrare in dimensioni ad alta
frequenza e basso magnetismo. Si scopre - ed io l'ho vissuto - che in quello stato, il
tempo non è oggettivo, il prima e dopo sta solamente nella logica. Capto echi di
altri mondi lontani e strani, il cui riflesso si trova a volte ad illuminare le tappe della
storia della cultura umana. È una tradizione già chiara a Dostojevskij che nei suoi
diari così scriveva: “Dio ha preso i semi da altri mondi e li ha seminati. Ed è nato
tutto ciò che poteva nascere. Ma sulla terra tutto vive attraverso il segreto contatto
con altri mondi”.
2.
ANONIMA TALENTI
Mi sono sempre chiesto come si comporti l'universo durante le nostre scorribande
aerosomatiche. Rimane forse un vuoto nel continuum in cui ci spostiamo? La
nostra energia è una sostanza concreta sebbene sottilissima che lo riempie oppure
formiamo, come suol dirsi, nodi e pieghe? Siamo individui dotati di caratteri
ereditari acquisiti, di cui la Terra ha avuto improvvisamente bisogno. Li chiamano "i
poteri" e si destano senza preavviso e si sviluppano progressivamente, accade
persino che esplodano a mo' di supernovae. Non siamo una congrega, ma
un'anonima talenti disseminata sul globo terracqueo senza apparente
collegamento, composta di sensitivi, telecinetici, elettromagnetici, veggenti e
modificatori di universi come Scandurra.
A partire dalla seconda metà del XX° secolo gli uomini credevano di aver
conquistato lo spazio, tracciato le rotte, previsto gli scali. Oggi i più onesti scoprono
di non saperne nulla. Che cos'è lo spazio curvo, a paragone di misteriosi varchi
interdimensionali, di sub-spazi che tracimano sull'universo fisico? Cos'è mai l'homo
sapiens attanagliato fra il galattico e il mutante? L'universo conosciuto non è altro
che un enclave nel caos. L'universo psichico, invece, è un pullulare di menti e di
supermenti. Vige una legge: più si va in fondo, e più ci si accorge che la realtà è
unitaria, che tende all'unità. I contenuti di tale universo sono eterogenei. Lì, non
sono più i riferimenti spaziali che valgono, ma soltanto le distinzioni qualitative.
Tuttavia è a metafore di carattere spaziale, tratte dal solo universo che noi
conosciamo per diretta esperienza - quello fisico - che dobbiamo ricorrere per
poterci orientare; e lo facciamo infatti, parlando di zone luminose e di zone oscure,
di entità elevate e di altre basse, barontiche.
. . .
Verso lo scalo interdimensionale - Terranusi 3
La porta automatica del montacarichi si aprì. Lo spettacolo che avevamo di fronte
era immenso, inatteso, strano. Poggiavamo i piedi su di una piattaforma
semicircolare color bronzo, lunga una ventina di metri, dopodiché iniziava un
labirinto-alveare multicolore, che si estendeva per kilometri, punteggiato da
migliaia di porte pentagonali, triangolari, quadrate, archi, ponti, per quanto potessi
vedere. Ai lati e in alto, invece, una volta stellata pazzesca: globi di fuoco,
nebulose, ed altri corpi celesti che non riuscivo a definire. Sembravano così vicini,
brillantissimi, quasi ne sentivo il calore.
“Roberto, mamma mia, sembra vero quel cielo. È una perfetta imitazione.”
“No, Angelo, non è un planetario. È tutto genuino.”
“Ma come è possibile, distinguo pianeti grandi come cocomeri; stelle che sputano
lingue di fiamma. Insomma, se saltassi, potrei toccarle.”
“È un altro universo, Angelo. La sua struttura è molto diversa da Il Luminoso, quello
in cui vivi.”
La volta celeste illuminava con mille sfumature blurosse la piana sconfinata, divisa
da una griglia che formava il labirinto gigante.
“E questa sterminata pianura labirintica?”.
“Sono gli accessi alle miriadi di botole che si affacciano sui pianeti di questo
universo, Il Fiammeggiante.”
La mia testa girava come una trottola. Vedevo, anzi, vivevo su di un altra
dimensione. Apprendevo pure che ogni universo aveva un nome. Roberto, che
evidentemente aveva sentito i miei pensieri, mi diede ulteriori spiegazioni.
“La grande civiltà degli Immortali, madre di tutte le civiltà del nostro universo,
nominò le dimensioni e ne definì le caratteristiche fondamentali. Ma non fu un
arbitrio. A contatto con i mondi nuovi dei nuovi universi, gli ingegneri cosmici
constatarono che i popoli nativi avevano denominato allo stesso modo l'universo
che li ospitava. Ogni cosa riconduce alla sua origine.”
Stupendo. La storia ufficiale è la più grande menzogna mai raccontata.
Istintivamente non ci ho mai creduto.
“Senti, come ci si muove su questa enorme griglia? Centinaia di kilometri e non so
quanti accessi ai cunicoli. È tutto così grandioso e noi siamo a piedi.”
“Ci verrà in aiuto una balzo-nave. Un giretto su una fuoriserie ti ecciterà, vedrai”.
A bordo di un disco volante? Caspita. Tutte queste cose che vivevo, erano
nascoste al mio mondo. Quanta gente veniva corbellata dai potenti della terra. Si
viveva una vita breve in un angusto spazio, senza minimamente immaginare
l'infinito. Perché proprio io avevo avuto questa fortuna sfacciata? Perché non
potevo gridare ai quattro venti che c'erano universi da esplorare alla nostra
portata? Che il contatto con altri esseri era fattibile? Poi pensavo ai miei genitori,
come sarebbero stati contenti stupiti orgogliosi, di avere un figlio che viaggiava tra
le dimensioni. Pensieri così semplici, forse banali, comunque spontanei. Avevo
svariati difetti, ma non ero egoista. Avrei mai avuto il permesso da Scandurra di
divulgare tali segreti?
Ammiravo stordito il cielo, quando una fiammata biancaceleste esplose davanti a
noi, subitanea, silenziosa, e poi, un secondo dopo, comparve una balzo-nave.
Sembrava la prua di un galeone. Aveva qualcosa di antico nel suo colore marrone
metallico. La parte inferiore, la chiglia diciamo così, somigliava alla pancia di un
cetaceo, i fianchi erano poderosi, il ponte di comando, composto da un grande
vetro giallognolo, semirotondo, posto molto in alto, faceva intravedere una sagoma
di una creatura che si muoveva.
Alta quaranta metri, la balzo-nave si fermò a pochi passi da dove ci trovavamo,
sospesa per due metri da terra, dondolava. Mi mancava il respiro e il mio stomaco
si appiattiva.
“Ora hai l'occasione di fare amicizia con un nativo dell'universo Il Fiammeggiante”.
lunedì 23 agosto 2010
IUS 28
. . .
1.
Cari compagni di viaggio, non sono andato in ferie, ma molto più lontano.
2.
Da Scandurra ho imparato a non insegnare a Dio a fare Dio.
3.
Le scienze dello spirito pretendono di risolvere le questioni spirituali a tavolino, la
comprensione razionale, scientifica, è un fenomeno della nostra tarda ratio, un
fenomeno tardivo, che ha poco a che fare con lo spirito. Ci sono state civiltà
totalmente spirituali, in cui la ratio era pressoché assente. Già l’idea di una scienza,
per lo spirito, ci indica una via del tutto estranea ai modi dello spirito. Se però
qualcuno vuole fare una chiacchierata, sta bene. Il venire al mondo è o non è un
fenomeno occulto? È logico? Razionale? È scientifico? Cosa c’è di razionale? La
logica stessa ci invita ad un cammino nell’ignoto anziché ad una chiacchiera
tardiva. L’esistenza è un fenomeno occulto. Noi proveniamo dall’ignoto e questo è
il punto di partenza se si vuole raccapezzarci qualcosa. L’esistenza comincia dalla
vita, muove da essa, cioè dal fenomeno più occulto che la vita ci pone, la vita
stessa. Prima, adesso e dopo, da un punto di vista occulto. Le scienze dello spirito,
si fondano su fattori linguistici, nominalistici, quasi a porre una identità tra la realtà
e il linguaggio, ma lo spirito non può essere risolto da questi espedienti di
Scolastica, così significa andare avanti per lacune, tra mezze verità. L’iniziato è un
uomo che sente la vita e muove dalla vita, la sua pulsione o il suo cuore esso li
ricava dal divino, spezzando la barriera del linguaggio.
4.
Una delle cose che mi ha insegnato Scandurra, è il controllo del magnetismo
umano e la sua proiezione nello spazio. I fluidi umani sono potenti e funzionano.
La cerchia interna dell'Ordine Templare, addestrava così i più meritevoli:
1.concentrati senza focalizzare,
2.guarda all’indietro senza voltarti,
3.senti il cuore irradiarsi a rosa.
Realizzato tutto questo, si è capaci di combattere con due spade, quella visibile e
quella invisibile.
Se miri al generale non ottieni niente, ma se miri allo specifico puoi toccare
l’universale.
Prendi ogni contrattempo come variabile portatrice di buoni auspici.
. . .
Verso lo scalo interdimensionale - Terranusi 4
Era difficile per me staccare l'attenzione da quel vascello, alla sua forma tozza,
angolosa. Non riuscivo a distinguere i suoi dispositivi di propulsione. Non vedevo
emblemi o simboli di identificazione su quello scafo. L'unica constatazione che
attenuò i miei timori fu che quello strano vascello appariva di progettazione e
costruzione umane. Almeno così mi sembrava ad una prima analisi.
La prua si spalancò come una bocca vorace. Un vapore giallognolo fuoriuscì
investendoci. Era freddo e inodore. Intravidi una scala mobile che si srotolava a mò
di serpente verso di noi. Mi rivolsi a Roberto con uno sguardo di sorpresa. Mi fece
cenno di salire. Così feci e mi diressi verso quella rampa metallica semovente che
lentamente ci trasportò dentro la balzo-nave. Tra le lingue di vapore intravidi un
uomo, alto sul metro e ottanta, robusto. Sì, decisamente era umano. Il suo
abbigliamento non aveva niente a che vedere con lo stereotipo della tuta spaziale
o del pigiamino alla Star Trek. Giacca e calzoni comodi di un mollettone verde
scuro, un gilet dello stesso colore e una camicia marrone chiaro abbottonata.
Sembrava un gentiluomo di campagna. Non dimostrava più di cinquanta anni.
Bruno e dal volto interessante, profondo, vivacissimo.
“Ben trovato Roberto”.
“Son contento di rivederti. Ho con me Angelo, amico di Scandurra”.
“Sta invecchiando quel tremendo topo di fogna spaziale. Vedo che mi manda una
recluta. Ben contento di fare la tua conoscenza. Asbel è il mio nome”.
La sua voce era calda, simpatica. Abbassai la testa e gli allungai la mano per
salutarlo. Lui fece lo stesso ma mi strinse l'avambraccio. Lo imitai a quel punto.
Aveva un'espressione che poi imparai a distinguere, quella cioè del professionista
navigato, pronto a far fronte a qualunque situazione. Ci fece strada verso l'interno
della nave che trovai più insolito dell'esterno. Pur sembrandomi di fabbricazione
umana, il suo piano generale si discostava nel modo più completo da quanto
conosciuto. Le funzioni dei molti strumenti mi apparivano familiari, ma la loro
conformazione mi era estranea. Mi guardavo intorno con un senso di meraviglia.
Infine, Asbel ci condusse in una cabina rivestita di pannelli di legno, sì, legno
autentico. Era la sala comandi, un grande vetro giallo mostrava l'esterno, ma in
realtà era un visore. C'erano quattro poltroncine legnometallo, due avanti e due
dietro a formare un trapezio. Ci invitò a sedere. Io per istinto mi accomodai dietro. Il
comandante, invece, mi indicò la postazione al suo fianco.
“Scandurra ti ha mandato qui per un gioco di una scala talmente smisurata da
polverizzare le beghe di un singolo pianeta. Il cane rabbioso è alle nostre
calcagna. Le porte sono ambite da bassi esseri disposti a tutto pur di dominare.
Dovremo far saltar via una delle zanne di quella bestia. Sembriamo, Angelo,
diversi, eppure ci lega un anello fondamentale. Saltiamo entrambi da un universo
ad un altro. Non per diletto ma per dovere. La tua galassia sta diventando piccola
come la sua riserva di tempo. Allora come in ogni crisi guerra carestia, ci son
sempre pirati d'anime che brigano oltre ogni limite per rubare la conoscenza. Ecco
quindi che entriamo in ballo noi. Ci grattano dove ci prude”.
Non compresi completamente a cosa alludesse il comandante. Con una specie di
cloche ad elle manovrò la balzo-nave con noncuranza estrema e ci alzammo. Non
avvertii pressioni di nessun tipo. Sembrava che scivolasse dentro un liquido. Vidi
l'insieme del labirinto ed era immenso e complicato. Sembrava vicino, quasi lo
potevo toccare. Eravamo diretti a rompere le ossa a non so quale cane bastardo.
Pura avventura come mai avevo sognato o rogna immensamente più grande di
me. Fra poco avrei avuto la frusta per il mio c.....
domenica 5 settembre 2010
IUS 29
“A quale risultato spaventoso ci ha mai condotto il nostro ragionamento?
Nessuno vorrà facilmente ammettere che immagazzinata ed allo stato
latente, in un chilogrammo di materia qualunque, completamente nascosta
a tutte le nostre investigazioni, si celi una tale somma di energia,
equivalente alla quantità che si può svolgere da milioni e milioni di
chilogrammi di carbone; l'idea sarà senz'altro giudicata da pazzi”.
Olinto de Pretto
“La materia di un corpo contiene una quantità di energia rappresentata
dall’intera massa del corpo, che si muovesse alla medesima velocità delle
singole particelle”.
Olinto de Pretto, da un articolo, Ipotesi dell’etere nella vita dell’Universo,
pubblicato il 23 novembre del 1903 sulla rivista scientifica Atte.
"Il potere ha dei limiti. Se sai stare in quei limiti, sei molto potente. Se stai al
di sotto di quei limiti ti senti frustrato. Se li superi ti distruggono".
Marc Saudade
“2012: quell'anno Morgan V veniva eletto Presidente degli Stati Uniti dal
Consiglio dei Magnati”.
Jack London, La Peste Scarlatta
“Nel Mistero del Golgota, Dio entra fino nell’ultimo atomo di maya per redimerla”.
Angelo Ciccarella
“Ogni atomo ponderabile è differenziato da un fluido tenue, che riempie
tutto lo spazio meramente con un moto rotatorio , proprio come fa un vortice
di acqua in un lago calmo. Una volta che questo fluido – ovvero l’etere –
viene messo in movimento, esso diventa grossolana materia. Non appena
il suo movimento viene arrestato la sostanza primaria ritorna al suo stato
normale... Può allora accadere che, se si riesce in qualche modo a
imbrigliare questo fluido, l’uomo possa innescare o fermare questi vortici di
etere in movimento, in modo da creare alternativamente la formazione e
sparizione della materia. Dunque, al suo comando, quasi senza sforzo da
parte sua, vecchi mondi svanirebbero e nuovi mondi entrerebbero
nell’esistenza. L’uomo potrebbe così alterare le dimensioni di questo
pianeta, controllare le sue stagioni, aggiustare la sua distanza dal Sole,
guidarlo nel suo eterno viaggio lungo l’orbita di sua scelta, attraverso le
profondità dell’universo. Egli potrebbe far collidere i pianeti e creare i suoi
soli e le sue stelle, il suo calore e la sua luce, egli potrebbe dare origine
alla vita in tutte le sue infinite forme. Dare origine alla nascita e alla morte
della materia sarebbe il più grande degli atti umani, cosa che darebbe
all’uomo una conoscenza profonda della creazione fisica; tutto questo gli
permetterebbe di compiere il suo destino ultimo”.
Nikola Tesla, New York Times, 21 aprile 1908
. . .
1. I DUE MONDI
La vita si appoggia su due mondi, così ci spiegava Scandurra. Da una parte la
terra, la ragione, dall’altra lo spirito. I due mondi sono due sfere vitali dell’esistenza,
e il problema è quello del mezzo che li separa. Non si tratta di un confine, una netta
linea di demarcazione che isola mondi non comunicanti, ma piuttosto di una
“frontiera”, una zona mobile nella quale sono possibili scambi e interazioni, una
specie di membrana permeabile all’azione dei diversi ambiti che è necessario
percorrere per giungere ad una visione più estesa della realtà. Una zona che
attraverso fessure, strappi, strati di maggiore sensibilità e lacerazioni permette di
intuire ciò che avviene dall’altra parte. In senso figurato, cadendo nel mondo, la
Realtà si frantuma in elementi contraddittori, non solo in opposizione, ma spesso
contemporaneamente veri, vale a dire antinomici. Ed il compito nel quale
interviene il pensiero analogico è quello di ricostruire per intero la verità.
L’asimmetria della frontiera è questa: scomposizione materiale della verità in una
direzione e sua ricomposizione spirituale nell’altra. Le due facce diventano
metafore del mondo reale e del cielo. Che ne è della zona intermedia, la frontiera?
La scoperta è che il nostro viaggio si svolge su una superficie unilatera, su un
nastro di Möbius, la cui geometria è semplicemente ellittica.
2.
Secondo Scandurra, i miti delineano una sorta di “prologo extraterrestre” alla storia
umana, e ci inducono, pertanto, a considerare e interpretare la stessa storia
conosciuta come un piccolo frammento di quella cosmica, nonché il risultato dello
scontro, iniziato nella notte dei tempi e ancora in corso, tra le Civiltà della Luce, gli
Uranidi, e quelle del Kaos, i Saturniani.
3.
Benché gli uomini di scienza non l'accettino, c'è una relazione tra l'anima e la
Natura. Madre Natura si mette ora al passo con la nostra civiltà ed incomincia
anche a distruggere.
4.
QOELET (Frammenti III)
Meglio la fine di una cosa che il suo principio;
è meglio la pazienza della superbia.
Non esser facile a irritarti nel tuo spirito, perché l'ira alberga in seno agli stolti.
Non esser troppo scrupoloso
né saggio oltre misura.
Perché vuoi rovinarti?
Non esser troppo malvagio
e non essere stolto.
Perché vuoi morire innanzi tempo?
Tutto questo io ho esaminato con sapienza e ho detto: «Voglio essere saggio!», ma
la sapienza è lontana da me!
Ciò che è stato è lontano e profondo, profondo: chi lo può raggiungere?
Mi son applicato di nuovo a conoscere e indagare e cercare la sapienza e il perché
delle cose e a conoscere che la malvagità è follia e la stoltezza pazzia.
Chi è come il saggio?
Chi conosce la spiegazione delle cose?
La sapienza dell'uomo ne rischiara il volto,
ne cambia la durezza del viso.
Sulla terra si ha questa delusione: vi sono giusti ai quali tocca la sorte meritata
dagli empi con le loro opere, e vi sono empi ai quali tocca la sorte meritata dai
giusti con le loro opere. Io dico che anche questo è vanità.
Perciò approvo l'allegria, perché l'uomo non ha altra felicità, sotto il sole, che
mangiare e bere e stare allegro.
Sia questa la sua compagnia nelle sue fatiche, durante i giorni di vita che Dio gli
concede sotto il sole.
Quando mi sono applicato a conoscere la sapienza e a considerare l'affannarsi
che si fa sulla terra - poiché l'uomo non conosce riposo né giorno né notte - allora
ho osservato tutta l'opera di Dio, e che l'uomo non può scoprire la ragione di
quanto si compie sotto il sole; per quanto si affatichi a cercare, non può scoprirla.
Anche se un saggio dicesse di conoscerla, nessuno potrebbe trovarla.
Infatti ho riflettuto su tutto questo e ho compreso che i giusti e i saggi e le loro azioni
sono nelle mani di Dio.
L'uomo non conosce né l'amore né l'odio; davanti a lui tutto è vanità.
Vi è una sorte unica per tutti,
per il giusto e l'empio,
per il puro e l'impuro,
per chi offre sacrifici e per chi non li offre,
per il buono e per il malvagio,
per chi giura e per chi teme di giurare.
Và, mangia con gioia il tuo pane,
bevi il tuo vino con cuore lieto,
perché Dio ha gia gradito le tue opere.
In ogni tempo le tue vesti siano bianche
e il profumo non manchi sul tuo capo.
Godi la vita con la sposa che ami per tutti i giorni della tua vita fugace, che Dio ti
concede sotto il sole, perché questa è la tua sorte nella vita e nelle pene che soffri
sotto il sole.
Tutto ciò che trovi da fare, fallo finché ne sei in grado, perché non ci sarà né attività,
né ragione, né scienza, né sapienza giù negli inferi, dove stai per andare.
E io dico:
È meglio la sapienza della forza,
ma la sapienza del povero è disprezzata
e le sue parole non sono ascoltate.
Le parole calme dei saggi si ascoltano
più delle grida di chi domina fra i pazzi.
Meglio la sapienza che le armi da guerra,
ma uno sbaglio solo annienta un gran bene.
Una mosca morta guasta l'unguento del profumiere:
un po' di follia può contare più della sapienza e dell'onore.
Se le nubi sono piene di acqua,
la rovesciano sopra la terra;
se un albero cade a sud o a nord,
là dove cade rimane.
Chi bada al vento non semina mai
e chi osserva le nuvole non miete.
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
e tutto è vanità.
Conclusione del discorso, dopo che si è ascoltato ogni cosa: Temi Dio e osserva i
suoi comandamenti, perché questo per l'uomo è tutto.
Infatti, Dio citerà in giudizio ogni azione, tutto ciò che è occulto, bene o male.
5.
Scandurra amava parlare in forma dialettale. Il dialetto è il linguaggio della
necessità, è il momento elfico della lingua. Se la lingua è storica e culturale, il
dialetto è cosmico. Scandurra mi diceva che chi muore, muore in dialetto!
6.
Il nostro universo si sta semplicemente scaricando come una molla. Sembra
lasciarsi andare, privo di ordine, senza comando né disposizione.
7.
Non temendo più Dio credevamo di accrescerci, invece precipitiamo
inesorabilmente.
8.
“Troppa evoluzione ti allontana dal meschin pensiero, diceva Darwin, penso
avesse ragione, per una volta. Qui con questa mania della psicologia ti voltano le
spalle anche quelli che fanno affari con te, il problema è sostanziale. Noi vivendo
in questo Antico Paese, alimentiamo anzi paghiamo tramite le tasse dirette e/o
indirette questo sistema di cui ci dovremmo vergognare; io per tutti quelli che
sgomberano Miriam incinta dalle baracche perché extracomunitaria provo
vergogna, d'altronde non era la Madonna un'extracomunitaria? Non dovette
partorire a Betlemme in una grotta da extracomunitaria? Cosa succede 2000 anni
dopo, lo stesso, Caino contro Abele, tutti contro tutti ASPETTANDO LA FINE DEL
MONDO, CHE DIO MANDERÀ PERCHE' TUTTI NOI CE LA MERITIAMO, appunto
perché complici di questo subdolo sistema - anche se indirettamente. Non ci siamo
mai ribellati, abbiamo sempre subito in silenzio questi Vampiri che ci comandano
dalla notte dei tempi. INVECE DI SPERARE NELL'INDULGENZA DI DIO verso di
noi dovremmo FARE QUALCOSA, FINCHÈ SIAMO IN TEMPO”. Gianni De Caro
. . .
Deya: il pianeta labirintico.
Asbel pilotava la balzo-nave come avrebbe potuto farlo un giovinottello su di una
giostra: facilmente e divertendosi. Ondeggiava, piroettava, era uno spasso. La
manovrabilità di questo gigante dell'aria aveva del magico.
“Asbel, cosa fa muovere questa magnifica nave?”
“La balzo-nave è fatta della stessa cosa che la fa muovere. Guarda, la guido senza
toccare strumenti. Alto basso laterale diagonale”.
In effetti la guidava senza l'uso di strumentazione. Era mai possibile che fosse il
pensiero a comandarla?
“La balzo-nave è costruita col sacro vuoto. Lo stesso che ha creato gli universi. Da
qui l'apparizione della luce che muove un moto; e ogni moto genera calore, da qui
la materia manifesta: luce e calore sono i marcatori del flusso eterno che lega ogni
materia, spessa e sottile, al suo Creatore. La balzo-nave è il veicolo di questo
flusso. Dietro la mia porta passiva, l'ombelico, c'è un punto di acqua notturna,
l'energia vitale contenuta nel ventre che si allinea con la voragine sacra. Il gioco è
fatto: navigo letteralmente sull'acqua onnipresente. Conosci anche tu il punto”.
L'aeronave fatta con ciò che la faceva volare, acqua notturna... attesi momenti più
idonei per riprendere il discorso che mi affascinava alquanto. Gli chiesi sulla nostra
destinazione.
“Ti farò scendere in quel ginepraio labirintico, tra mille vicoletti cantine botteghe
templi e lì, nascosta, c'è qualcosa di camuffato, già, una macchina depositata da
quei neri...”
“Ma non so niente di queste faccende. Sono un ragazzo soltanto e...”, mi interruppe
con una risata colossale.
“Se ti trovi in un altro universo, ci sarà un motivo. Non è per qualche fortunata
occasione cosmica che hai incontrato Scandurra. E se ti ha dato l'accesso a questi
mondi... non ti rendi conto ancora, ma sarai perfettamente in grado di svolgere la
missione. Al peggio ci lasci le penne. Ma vuoi mettere la gloria?”
Ridacchiava alla maniera di uno scaltro figlio di buona donna. Ancora una volta fui
preso dal curioso e anomalo disegno della balzo-nave. Era come se una cultura
senza contatti o scambi con la mia si fosse trovata a dover risolvere identici
problemi d'ingegneria. Da ciò l'inafferrabile alienità della nave, anche se era stata
progettata e costruita per essere usata da esseri umani. Mi trovavo, evidentemente,
in contatto con una cultura di un altra dimensione ma parallela. Virate, impennate,
discese, comunque si muovesse la nave, noi dalla cabina di pilotaggio non
avvertivamo alcuno spostamento. L'impressione era quella di trovarsi alle prese
con un simulatore di volo. Prima di questa esperienza incredibile, gli aerei li avevo
visti solo volare. Ero a bordo di un'astronave dalle mirabolanti prestazioni, in un
altro universo, in procinto di svolgere una missione speciale, di cui non conoscevo
né i termini né i rischi reali. Osservavo, senza darlo a vedere, Asbel, ed era vero e
smanettava come un giocattolo la piccola leva, sorvolando una spettacolare città-
labirinto. Dietro di me c'era Roberto, che osservava con attenzione quello che
accadeva sotto di noi.
“Ricordati che al centro di tutto c'è la storia, con la sua un’architettura…”. Asben
così interruppe le mie considerazioni.
“L’architettura di Deya è composta di monumenti grandiosi e spaventosi al tempo
stesso e va a formare la sua spina dorsale. Ci sono simboli nell’architettura deyana
che contengono qualcosa di vivo, un collegamento con l’ombra eterna del Male e
la Luce nascosta dell’uomo, una fitta rete che va a contenere storie e storia, una
sorgente eterea. Il suo antico e conturbante costruttore, tagliava le pietre in modo
che trasmettessero l’ombra”.
“Asben, chi era il costruttore?” La cosa mi intrigava e sconvolgeva e volevo
saperne di più.
“Un ingegnere cosmico, un rinnegato che diede forma all’infinità stessa. Il tempo è
un’illusione dell’uomo e tutti i tempi co-esistono nella straordinaria totalità
dell’eternità. C’è un legame fra l’architettura e il tempo. Il tempo stesso ha
un’architettura. Noi e gli eventi siamo inevitabilmente collegati a qualcos’altro di
più grande: un’architettura temporale”.
Incominciavano a formarsi nella mia coscienza, più che nuovi concetti, antiche
risonanze. Ciò che asseriva con trasporto Asben, non era poi così alieno, lontano,
insolito. Vibravano dentro di me alcuni discorsi appena abbozzati di Scandurra;
discorsi, apparentemente, slegati, contorti, ma che adesso diventavano chiari,
avevano un senso, uno schema, un modello interpretativo.
“Avrai modo di conoscere l’esistenza di un’architettura temporale maligna, che
appare come una sorta di cappa sotto cui si muovono gli esseri umani. Vedrai
all'opera i suoi emissari. Compiono quelle azioni terribili perché è nella loro natura
e non c'è universo dimensione livello che li trattiene. Il Novecento del tuo mondo è
il secolo in cui il Male regna in maniera assoluta ed evidente. Gli emissari hanno
mostrato il volto degli arcani del potere. E il segreto di quel potere sta nel sangue”.
Asbel, nel frattempo, ci aveva portati sull'obiettivo. Quale, però, non ci era dato
sapere. Eravamo sospesi sulla verticale, a non più di dieci metri, di uno degli
innumerevoli vicoli del labirinto. Mi accorsi che c'era una vita brulicante.
Intravedevo uomini e donne, forse bambini. Sempre che quello che guardavo non
fosse un mio modo naturale di razionalizzare qualcosa che non comprendevo.
giovedì 23 settembre 2010
IUS 30
. . .
1.
Dopo duemila anni, il sacrificio di Cristo è ancora presente nel nostro encefalo,
dentro le nostre cellule, fa parte di noi, al di là di qualsiasi credo religioso. Forse,
grazie a questo, godremo di un qualche genere di salvacondotto quando il varco
previsto per la fine del 2012 si aprirà e ci inghiottirà trascinandoci nella grande
mareggiata cosmica. Non bisogna dirsi cristiani, cattolici o ebrei, islamici o indù:
siamo tutti portatori di cellule cristiche.
2.
Le interferenze del sovrannaturale nella nostra realtà si stanno verificando oggi più
che mai. Và anche detto che esse sono di duplice segno, e proprio per questo
dobbiamo aprire l'occhio del cuore per riconoscerle, onde evitare illusioni e
trappole. Questa raccomandazione tanto più è valida per chi si avventura per le vie
del Grande Ignoto. Ci sono forze spirituali oggettive nemiche dell'uomo, contro le
quali è necessario combattere con le armi in dotazione da sempre e cioè fede e
conoscenza. Non credo in chi sostiene che il male è complementare del bene e
che quindi andrebbe trasformato; o peggio, che non esiste perché tutto fa brodo.
Ho imparato a mie spese.
3.
Una Tradizione "che non sia anonima, non sia generica, non sia opinabile, non sia
immaginaria, non sia volubile, non sia inesistente, ma porti chiaramente impresso
uno dei nomi seguenti: Cristianesimo, Giudaismo, Islamismo, Buddismo,
Confucianesimo, Taoismo, Parsismo". "Tutte queste famiglie possono, più o meno,
ricondursi alla Tradizione originaria, o Tradizione adamitica" (Articolo di Silvano
Panunzio pubblicato su Carattere, riprodotto su L’Alfiere, n. gennaio 1966, pp. 7-8.)
4.
Stiamo entrando in un ciclo di epoche in cui l’anima femminile diventerà sempre
più pura e grande, in cui più e più donne diventeranno ispiratrici profonde, madri
sensibili e leader sagge e visionarie. Questo sarà il ciclo d’epoche in cui la
componente femminile dell’umanità si manifesterà con forza senza precedenti,
bilanciando il dominio precedende di forze maschili in una armonia perfetta.
Daniil Andreev, 1950s, Roza Mira (The Rose of the world)
5.
Ho conosciuto Scandurra a 16 anni, mosso dall'aspirazione alla conoscenza. Mi ha
accolto come si accoglie un uomo di desiderio, guardando oltre il ragazzotto timido
e confuso. Nei suoi insegnamenti ho incontrato il grande Giroscopio Cosmico, colui
che indica una via, che offre senza chiedere nulla in cambio. Scandurra faceva
agire la luce che toglie la materia dalla tenebra. Non giudicava se non per dare un
indirizzo, non chiedeva niente, non ti attirava nei suoi pensieri e sentimenti, non ti
offriva una concezione del mondo, non ti proponeva neanche una via interiore se
questa via non era già dentro di te: si offriva e così facendo attivava quella Vita
presente in ogni essere umano.
B.F., un vecchio discepolo
6.
"...Ognuno di noi ha al suo interno una luce divina, un incanto, un istinto magico,
divino, da far emergere verso la superficie di se stesso. Questa luce, questo istinto
divino, la consapevolezza di “noi stessi e del TUTTO che ci circonda” non
dobbiamo mai soffocarla..." Elena Galanti, fotografa
. . .
Deya: il pianeta labirintico 2
Seguii Roberto che mi indicò il punto del mio trasferimento. Compresi con senso di
angoscia che in quell'incredibile labirinto mi sarei trovato da solo a cercare cosa,
poi, non avevo ancora capito. Ebbi la sensazione agghiacciante dell'eventualità di
perdermi, e forse non era nemmeno la cosa peggiore che mi sarebbe potuta
capitare. Dove diavolo mi ero cacciato? Dove mi aveva condotto Scandurra?
Avevo pure insistito per viaggiare nell'interdimensionale. Complimenti. Invidiavo
pure il mio amico Zac per essere stato il primo dell'anonima talenti a saltare il fosso
e poi, quando mi si presentava l'occasione, me la facevo sotto.
Roberto, dopo avermi fatto percorrere mezza nave – rampe, camminamenti a file
parallele, botole del tipo 'pompieri' e scale mobili - mi indicò un cilindro verticale di
oltre due metri e vi entrai; mi trovai così incassato dentro un lungo budello di
legnometallo scuro. Un vapore giallognolo scese su di me. Era fresco e mi
pizzicava in faccia. Mi aspettavo chissà quale magia smaterializzante. Invece si
aprì d'improvviso la base sotto i miei piedi e precipitai nel vuoto. Non mi
smaterializzai ma discesi lentamente come se fossi imbracato da una corda
elastica. Ero avviluppato da un alone giallo che mi permise di planare. Il
paracadute gassoso mi depositò morbidamente in mezzo ad una piazzetta.
Messo piede a terra, mi resi conto di trovarmi in mezzo ad una curiosissima città
piena di gente. La giornata vista dal basso era più assolata, i raggi dell'astro
trovavano insolite angolazioni, tagli di luce multicolori colpivano torrette altissime,
templi dai più curiosi addobbi e simboli, palazzine ad un piano piene di botteghe e
rivendite di tutto, ma proprio di tutto. Fui invaso dal chiasso festoso di una umanità
(seppur di un altro universo, così mi appariva) indaffarata a comprare,
bighellonare, parlottare, ridere, vendere, barattare. Nessuno fece caso a me, calato
dal cielo come un angelo; evidentemente, erano ben avvezzi a cose strane. Il fatto
veramente straordinario, almeno per me, riguardava la lingua o meglio, le lingue
che questo popolo vivo ed esuberante usava. Distinsi persino un idioma simile
all'italiano parlottato da tre tipi, vicini ad un negozio di semenze. Mi avvicinai a loro
con cautela. Sembravano completamente presi dall'animata discussione e non si
curavano della mia presenza. Allora decisi di intervenire:
“Scusate l'intromissione, ma vorrei avere alcune informazioni. Innanzitutto, ho
accidentalmente ascoltato la vostra conversazione e parlavate in italiano. Mi
chiamo Angelo. Sono dell'universo Il Luminoso. Sono stato mandato da un certo
Asbel”.
Tre uomini, forse affaristi giunti su Deya chissà da dove per lavoro, indossavano
cappottoni scuri lunghi sino alle caviglie e copricapi a punta di lana con
paraorecchie. Possedevano tratti somatici simili agli slavi e sembravano parenti.
Uno di loro, il più autoritario si rivolse a me con voce tagliente:
“Asbel, sì, lo conosciamo. Ti aspettavamo più tardi. Comunque già che stai qui,
benvenuto su Deya. Noi siamo della fratellanza Darest Sharma e ti condurremo in
un posto discreto dove poter parlare liberamente. Mi chiamo Tarim lo 'scaltro'. Lui è
'l'orologiaio', Finut e l'altro è Bedan, 'l'esattore'”.
“Spero che possiate darmi le informazioni di cui ho bisogno. Asbel non mi ha
voluto o potuto dirmi molto”.
“Sei armato?”, fece Tarim.
“Cosa? No, per carità e poi perché dovrei esserlo”.
“Asbel ti ha inviato in un posto tra i più pericolosi dell'universo. Conosce il fatto suo,
comunque. Vorrà dire che ti proteggeremo noi”.
Detto questo, Tarim e gli altri si diressero in tutta fretta su per una stradina,
leggermente in salita e io li seguii con apprensione. Facevo fatica a reggere il loro
passo, anche perché la folla mi rallentava. Sembrava un vicolo di Napoli, pieno
zeppo di gente con fagottoni, un vociare alto, frammentato, risa e versi insoliti.
Notai la varietà dei costumi. Probabilmente provenivano da mondi diversi e giunti
tutti qui, a Deya, un luogo fatidico, fondato da un ingegnere cosmico, folle o
perverso, non capivo bene. I palazzi, i monumenti, racchiudevano storie, potenze,
vibrazioni incredibili. Asbel me lo aveva accennato. Infatti, sentivo, sapevo, vedevo
dapprima lentamente, a singhiozzo, una serie di immagini, provavo sentori e
percezioni. Sembrava che la città labirintica mi volesse raccontare la sua storia.
Storia antica, estrema, di lotta e di dolore. Quel posto parlava. Come una immensa
bobina magnetica, multitraccia, che diffondeva particelle audio-video con effetti
sensoriali, psichici.
Continuavo a seguire affannosamente i tre compari. Una sensazione mi investì.
Chi erano realmente quei tizi? Amici? Poco probabile, scoprivo ora. Affiorava uno
stato di paura all'altezza del mio plesso solare. Sorse in me una fortissima
convinzione. Mi avevano ingannato per estorcermi notizie, 'accicciarmi' e
abbandonarmi in qualche angoletto di quel cinepraio. Che fine assurda. Parlando
italiano, avevano attirato ovviamente la mia attenzione. Ero stato un imbecille.
Accennando ad Asbel mi ero scoperto. Volevo vivere come in un racconto
d'avventura, eccola l'avventura. Riemerse dal sonno della coscienza la visione
globale delle cose, che mi consigliava di scappare. Tutto era chiaro. Li vedevo
finalmente come in una radiografia dell'anima: fetenti sicari. Senza pensarci su
troppo. Forza. Via e poi qualche santo (funzionano pure in un altro universo?) mi
avrebbe aiutato. Così feci.
mercoledì 6 ottobre 2010
IUS 31
. . .
1.
Nel romanzo "Il deserto dei Tartari" di Dino Buzzati, vi è un personaggio, il tenente Giovanni
Drogo che, asserragliato nella Fortezza Bastiani, passa la sua intera esistenza ad attendere
dal confine della collinetta dei nemici che non arriveranno mai all'orizzonte, anche se le loro
gesta - di anni e anni prima ormai - erano leggendarie. Quella postazione militare, che attende
per decenni l'arrivo di un nemico, ha però instaurato una disciplina, una tradizione dura a
morire. Ecco, a costo di apparire nostalgici di un tempo che fu; a costo di attendere invano il
Grande Cambiamento del 2012; a costo di apparire paranoici aspettando l'invasione aliena;
costruiamoci la nostra Fortezza Bastiani, e tendiamo agguati al nemico invisibile.
2.
ISTRUZIONI SCANDURRIANE
* Visualizziamo le forze che ci muovono e contempliamo le forme della bellezza.
* Condividiamo le esperienze visionarie.
* Immergiamoci nel Bosco e ascendiamo il Monte.
* Approccio psicotattile con massi, alberi, antichi templi abbandonati, portali primevi.
* Intorno al fuoco raccontiamoci le storie dei nostri nonni; svegliamoci all'alba per ricordare
ed interpretare i sogni e assorbire il raggio d'oro.
* Prepariamoci il nostro pane quotidiano con amore, almeno una volta al giorno, lasciandone
un poco al rappresentante del Piccolo Popolo.
* Coltiviamo l'arte del Silenzio.
* Sentiamoci parte di una immensa struttura che connette in un unico schema fluttuante un
multiverso di vite pulsanti, avventurose e appassionate, unite in una grande fratellanza
cosmica.
* Onoriamo sempre l'eredità ricevuta.
3.
Scandurra ci insegna a tornare alla casa dei padri, ci indica una via del ritorno a ciò che
abbiamo dimenticato. Ci mette di fronte alla responsabilità nei confronti di noi stessi, del
prossimo e del Dharma. Ci rivela i passaggi tra i mondi e le dimensioni, fuori dalle mappe
ufficiali. Ci offre l'ispirazione per trovare una via d'uscita dal caos imperante. È un risvegliare il
divino che giace sepolto dentro strati kilometrici di corazze sociali, ideologiche e psicologiche.
4.
Avverto una potenza latente, sommatoria di accumuli stratificati di energia raccolta, assorbita,
indotta durante un percorso animico e cognitivo di trentacinque anni. Tale potenza mi
avvicina e, quindi, ci avvicina ad una dimensione diversa. Una potenza che cresce e si
espande sulle cose. Tutto diventa più intenso. È l'adeguata condizione interna/esterna mia e
vostra all'attraversamento del Varco 2012.
Amici, ricordiamocelo: c'è una soglia che occorre varcare. Sarà tutto per sempre diverso. Da
essa già traspare la Luce che ci spingerà in avanti. Il meglio è ancora da fare. Per passare,
amici, ci vuole coraggio. Padre Celeste, abbi pietà.
5.
Ragiona come se ogni esperienza fosse nuova, focalizza ogni dettaglio in funzione del
quadro generale. La visione è saper cogliere la densità della realtà; più a lungo guardi una
cosa e più mondo ci vedrai dentro.
6.
In un documento della Trilateral Commission del 1975 si legge che“...il funzionamento efficace
di un sistema democratico richiede una qualche misura di apatia e non coinvolgimento da
parte di individui e gruppi.”
Rapporto sulle Governabilità delle Democrazie, in “Triangle Papers”, New York University
Press, New York 1975, pag. 114
7.
Winston Churchill riteneva che l’Italia fosse “un paese di tanti misteri, ma di nessun segreto”.
8.
Uno dei commentatori più distaccati della società italiana, il sociologo Giuseppe De Rita, nel
settembre del 1996 sosteneva che “è in atto un tentativo di pm, polizia giudiziaria servizi
segreti che minacciano lo Stato di diritto e vogliono conquistare il potere”.
Dichiarazione riportata in http://digilander.libero.it/infoprc/manipulite.html
9.
Atomus temporis (quandam momenti stillam)
Si trovano atomi tanto in un corpo, quanto nel tempo e nel numero. (…) Nel tempo, il termine
atomo s’intende nel seguente modo: se dividi, ad esempio, un anno in mesi e poi dividi i mesi
in giorni e i giorni in ore, le cui parti ammettono un’ulteriore suddivisione fino ad arrivare a un
punto temporale, quasi una goccia di un momento che non ammette indugio alcuno, per
quanto piccolo, e che non può, quindi, essere ulteriormente divisa, quest’ultima è l’atomo del
tempo.
Isidoro, Etimologie XIII, 2.
10.
* Cosa facciamo questa sera/per arrivare fino a domani (Garbo, "Grandi giorni")
* E nella schiuma della nostra scia qualcosa appare e scompare (Dino Buzzati)
* La fine del mondo non è per domani (per nessun “domani” definibile): lo è, ciò che più
conta, in un certo modo, già per oggi. (H.I.Marrou)
* Sei uomo:/ non dire mai/ quel che accadrà domani,/ e se vedi un altro fortunato,/ fino a
quando lo sarà./ Come il battito d'ali tese d'una mosca/ Veloce è il mutamento. (Simonide)
* Le parole non bastano e sdraiarsi nel comodo letto della vanità ciarliera è come farsi
smidollare da una cupa e sonnolenta meretrice. Le ‘parole’ sono le ancelle d’una Circe
bagasciona, e tramutano in bestia chi si lascia affascinare dal loro tintinno. (C.E. Gadda)
. . .
Deya: il pianeta labirintico 3
Rallentai il passo, approfittando pure della folla, fino a quando persi di vista i miei
nemici. Ad un certo punto svicolai per un altra stradina. L'astro sembrava in
perenne tramonto. I suoi raggi rimbalzavano su tutto, uomini e cose, in una cascata
di riflessi. In particolar modo fui investito da un raggio rosso corallo. Gli odori mi
aggredirono, forti, pungenti, mai sentiti, così come i suoni, era tutto amplificato: la
visione globale mi venne in aiuto. Con passo svelto mi diressi verso un portoncino
azzurro alla mia sinistra. Sentivo che dovevo entrare. Lo trovavo un posto sicuro,
protetto. Non bussai, ma spinsi la porta e questa si aprì. Mi trovai in una piccola
bottega piena di fumo celestino e in penombra, non compresi cosa vi si vendeva in
realtà. Un bancone con sopra una specie di consòlle, era tutto quello che c'era lì
dentro. Chino su qualcosa dietro un banco, un vecchietto dai capelli bianchi, lunghi
e arruffati stava armeggiando con chissà che cosa, quando alzò lo sguardo nella
mia direzione e sorrise. Il suo volto era quello di un saggio, ieratico, placido, dagli
occhietti vispi, in tutto simile allo stereotipo del santone descritto nei romanzi.
“La Luce ti ha condotto da me. Essa non sbaglia. Amico di sempre. Sono un salta-
fossi come il tuo maestro e il mio nome è Fornari.”
Rimasi interdetto. Un collega di Scandurra al posto giusto nel momento giusto.
Quando si dice il c***.
Parlava in un italiano similmeridionale, da calabrese o siciliano istruito. La sua
voce? La sua voce era incantatrice, magica, calda, con un curioso effettorisonanza.
Gli risposi stentato:
“Dio sia ringraziato, signor Fornari, scappo da tre 'freschi', cioè da tre
malintenzionati che mi volevano fregare. Piuttosto, sono Angelo.”
“Tutto è deciso e scritto. Brutta gente si aggira su Deya. Ma non sono tutti come
loro. La città-mondo è il crocevia del nostro bersagliato Universo. Da qui tutti
devono passare almeno una volta nella vita.
Mettiti seduto, non c'è pericolo nel mio negozio.”
Mi indicò una panca sulla destra vicino il muro. La stanza sembrava quella di
Scandurra, semplice, quadrata, con un retrobottega nascosto da una tenda scura.
Fornari con quelle sue dita come rami d'albero, muoveva velocemente i tasti sul
quadro comandi, o almeno su quello strano aggeggio che destò la mia curiosità.
“Ti prego non prendermi per impiccione, cioè per curioso. Scandurra
ordinariamente vende frutta e verdura, mentre qua dentro non c'è niente da
comprare...ma è una copertura o cosa?”
“Oh, innanzitutto dovrò chiamarti nel modo di Deya. Devi sapere che quando si fa
visita alla città- mondo, si cambia nome. Ogni essere dell'Universo ne possiede
uno fin dalla nascita ad uso deyano. Una questione di onde.”
“Qual'è il mio nome deyano?”
“Darrell Zelio, naturalmente. Ti accompagnerà fin quando risiederai su Deya. Più
che vendere, sintonizzo. Sintonizzo le onde-sorgenti per le botole. Questa
macchina è in fondo una radio, composta da un trasmettitore, un'antenna, un
ricevitore, il controllo rumori, ed infine un alimentatore. Ogni qualvolta un salta-fossi
con allievi al seguito, oltrepassano la frontiera, io faccio in modo che tutto
proceda per il meglio. Correggo le aberrazioni e gli scarti di frequenza. Allineo le
vibrazioni dei passeggeri con le onde-sorgenti e la porta si apre avanti e indietro.”
“Questo segreto di poter varcare la botola è un peso immenso. Scandurra è
costretto a fare il fruttivendolo e ad avere una vita parallela. Farebbero di tutto i
padroni del mondo per tirargli fuori quello che sa.”
“Non credere che da noi si viva in un mondo pacifico. Siamo perseguitati quanto e
più che sul vostro Piano. Deya è l'unico luogo in cui è consentito negoziare la
conoscenza. Quella della Luce e quella dell'Ombra. La vita è dura per tutti, ma non
mi lamento. Ho scelto, sono scelto per far quello che faccio. I tre tipacci in cui ti sei
imbattuto sono emissari dell'Ombra. Ti hanno sottovalutato. Credevano
che il Bagliore non ti avrebbe aiutato. Quando esso si sprigiona e si sprigiona
quando serve, immancabilmente, ti consente di veder chiaro e di agire per il
meglio.”
Intanto aveva preso da sotto il bancone una bottiglia trasparente, dal collo lungo,
contenente un liquido verde bosco, insieme a due bicchierini anch'essi trasparenti.
“Un goccetto di arborèa ci vuole proprio. Serve per smaltire la paura e il pericolo.
Bevila di un fiato.”
Mi alzai ma Fornari mi fece cenno di aspettare. Girò intorno al bancone e con mia
grande sorpresa vidi che sedeva su di una seggiola a rotelle. Senza che usasse le
mani, la carrozzella si muoveva nella direzione desiderata, come a comando e si
avvicinò silenziosamente.
“Sei sorpreso, eh? Anche un salta-fossi ha bisogno di riposarsi... la mia infermità è
la conseguenza di un brutto incontro finito male... per l'altro ovviamente.”
Rise di cuore, con gusto. Mi porse il bicchierino contenente il liquore verde. Lo
tenni tra due dita, sembrava di gomma al tatto. Lo avvicinai alle labbra. Lui mimò il
gesto di ingollarlo a 'scoppio', come diciamo a Viterbo. E così feci. Caspita che
buono. Dolce quanto basta e forte come la terra. Sapeva di erbe e di ferro.
Scendeva giù dal gargarozzo che era una bellezza. A cascata. Mi dava energia.
Ero in stato di grazia. Mi sentivo bene. Mi trovavo ad un universo luce di distanza,
ma era come se fossi a casa. Curioso proprio sto Fornari, indossava un giubbotto
rosso scuro di velluto, o almeno gli somigliava, un calzone dello stesso tessuto ma
marrone e degli scarponcini di stoffa. Si intravedeva la magrezza delle sue gambe
immobili. Gli porsi la mano e lui me la strinse. Le sue mani nodose mi trasmisero
una scarica elettrica. Letteralmente.
“Il tuo mondo ha fatto un lungo cammino. Da qui a pochi anni cambierà. Tutto sarà
diverso ma non tutto andrà perduto. Germoglierà una nuova pianta dalle radici più
estese. Come per miracolo si presenterà un aiuto inatteso, che ne faciliterà la
crescita. Il tempo sposta il luogo. È una legge dei nove universi. Il tempo sposterà
la terra. Ogni forza comporta una resistenza. Là dove l'energia fluisce, arde, si
strugge, dove la terra grezza diventa cristallo. Sarai tra quelli che insegneranno
agli altri come emanare il Bagliore, come saltare oltre il Varco e così tutti i mondi si
avvicenderanno quieti, senza fragori. Onde cosmiche si muteranno in spuma lieve
e accarezzeranno le anime e i corpi che splenderanno di nuova luce. Quanti
vorranno sentirvi, quando per generazioni son rimasti ciechi e sordi ai maestri?
Quanti? Non ci è dato saperlo e forse è giusto che sia così.”
Ascoltai con molta attenzione. Assorbii ogni parola, ogni pausa, intonazione di
Fornari. Mi apparve fuori portata il compito da svolgere. Potevo saltare il fosso, è
vero e non era da tutti; viaggiare e giungere in un altro universo e conoscere cose
e persone di mondi lontani, anche questo era vero.
Tuttavia, avevo ancora le idee confuse su quanto sarebbe dovuto accadere al
nostro pianeta da lì a poco. L'Apocalisse? E poi, chi mi avrebbe creduto? Forse
avrei potuto portare in salvo un numero significativo di persone disposte a
seguirmi, ma la scelta sarebbe stata equa? Sarei stato giusto? Non ero il Salvatore,
né l'avatar come annunciato nei testi vedici. Un ragazzo, ecco che cosa ero, un
perfetto inesperto incappato in una storia impossibile, grandiosa, e senza merito né
capacità speciali.
Mille di questi pensieri mi angosciavano. Le cose si facevano maledettamente
serie.
“Non aggiungere altri bagagli. È già dura così, non vi è bisogno di appesantire la
soma. Il cammino è lungo. Dovrai farti le ossa, si dice così? Nevvero? E
l'esperienza viene con l'esperienza. Ti dirò di più.
Se unisci ti apri, se dividi ti chiudi.”
“Fornari, se puoi parlami di questi personaggi pericolosi. Che volevano
esattamente da me? Mi avevano accennato di appartenere ad una fratellanza Dare
Shhh...”
“Non ti hanno mentito in questo. Sono emissari della fratellanza Darest Sharma,
una delle emanazioni dell'Ombra, che opera e progetta intrighi su Deya. Si
spacciano per liberatori del popolo. Liberatori dall'antico culto della Luce. Così
dicono. Lo combattono per distruggerlo in modo da elargire potere e conoscenza a
tutto l'Universo. Secondo loro, noi nascondiamo la conoscenza alla gente per
dominarla, asservirla, promuovendo una specie di fede che riduce la libertà
personale. Sono pietosi e generosi, pensa un po'. Occupano già ogni punto
strategico della confederazione stellare, ma non paghi, vorrebbero possedere ad
ogni costo il segreto per varcare la frontiera degli universi e propagandare la loro
politica libertaria per ogni dove. Devi sapere che questo negozio è una
propaggine di un'immensa metastruttura, tangente a quasi tutta l'estensione del tuo
Universo. Lì vi è il patrimonio conoscitivo e strategico degli ingegneri cosmici.
Laboratorio-crogiolo delle botole interdimensionali.”
Mi girava la testa. Scenari incomprensibili quanto a vastità e implicazioni. Guerre
eterne per il potere assoluto. Magia mischiata a ritrovati tecnici superiori. Saggi,
stregoni, spie. Ripensavo al fascino dei romanzi di Urania e a quanto sognavo di
far parte di una qualche trama avvincente a bordo di astronavi, tra supernovae e
nebulose. Eroe dei mille mondi. Poi, ritornavo al presente. Stavo in carne ed ossa
in un altro universo, nel bel mezzo proprio di una di quelle trame galattiche. La
fantascienza non c'entrava, però. Qui la cosa era complessa, obliqua. Arcani e
vascelli volanti, occulto e macchine cosmiche, avevano regolare cittadinanza. Mai
avrei immaginato che la tecnica e quindi una qualche scienza avanzatissima,
potesse convivere con il mondo della magia, con l'esoterico.
“Cosa devo fare, Fornari?”
Il vecchio si umettò con la lingua le labbra.
“Per prima cosa andremo a far visita senza essere invitati, al quartier generale del
Darest Sharma. Così conoscerai da vicino il motivo per cui Scandurra ti ha
mandato su Deya. Non ci sarà da menar le mani. Peggio.”
“Dove si trova questo posto? Come ci andremo?”, feci con impazienza. Ero tutto un
vibrare."
“Il posto è all'altro capo di Deya e ci andremo a piedi. Dovremo attraversare
migliaia di strade, ponti, sotterranei e altre cose difficili da spiegarti.”
“A piedi? Ma non daremo nell'occhio?”, intervenni sorpreso e preoccupato."
“È il mezzo più sicuro e veloce. Sprigiona il tuo Bagliore, Darrell, e si accenderà la
via. Se unisci ti apri, se dividi ti chiudi.”
giovedì 4 novembre 2010
IUS 32
. . .
1.
Non è facile saper ascoltare. Occorre cedere al silenzio. Occorre lasciar parlare la
realtà. Trattieni il respiro per cogliere l'essenza delle cose. Perché il silenzio parla
un linguaggio misterioso. (Scandurra)
2.
L’amore è qualcosa di incandescente e dà vita a un cerchio ardente. Guidato da un
desiderio indomabile, sono precipitato in un cerchio di fuoco. (Johnny Cash)
3.
Spesso gli artisti più illuminati sono anche spiriti fragili, anime che sanguinano e si
lasciano travolgere da una fiamma che arde troppo velocemente. A volte ne
vengono amplificate le gesta, le pose, o gli eccessi, non di rado anche oltre gli
effettivi meriti. Altre volte invece il caso decide di accantonarli, ed essi vengono
lasciati a decantare in una sorta di limbo mediatico, fino a quando le loro opere
non ritornano a galla nella propria prepotente ed autentica bellezza.
4.
L'Odissea non può che essere stellare. Oltre le Colonne, verso l'Infinito, l'Odissea
continua. (Peter Kolosimo > Odissea stellare, SugarCo, Milano – 1974)
5.
Esiste, e si propaga contro corrente attraverso l’’Entropia , una deriva cosmica
della materia verso strati di asservimento sempre più complicati (in direzione – o
all’interno – di un “terzo infinito”, l’”infinito di Complessità”, tanto reale quanto
l’Infinito e l’Immenso) E la coscienza si presenta sperimentalmente come l’effetto,
o proprietà specifica, di questa Complessità spinta a valori estremi.
(Teilhard de Chardin, Pierre s.j. New York 14 gennaio 1954. Pubblicato sulla
Rivista “Les Etudes philosophiques" nel numero di ottobre-dicembre 1955)
6.
C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani, ma Gesù non se ne va affatto.
Non si rifugia affatto dietro alla cattiveria di tempi. Non impiegò i suoi anni a
gemere e lamentare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. Oh in modo molto
semplice! Facendo il cristianesimo. Non si mise ad incriminare, ad accusare
qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo: salvò il mondo. Questi altri invece
vituperano, raziocinando, incriminano. Medici che ingiuriano, che se la prendono
con il malato. Essi accusano l’arida sabbia del secolo; ma al tempo di Gesù
c’erano anche allora il secolo e le sabbie del secolo. Ma sulla sabbia arida, una
sorgente, una sorgente di grazia, inesauribile, cominciò a zampillare. (C. Peguy)
7.
Enigmatico il gatto è affine a quelle strane cose che l'uomo non può vedere. È lo
spirito dell'antico Egitto , depositario dei racconti a noi giunti dalle città dimenticate
delle terre di Meroe e Ophir. È parente dei signori della giungla , erede dell'Africa
oscura e feroce. La sfinge è sua cugina, e lui parla la sua lingua; ma il gatto è più
vecchio della sfinge, e ricorda ciò che lei ha dimenticato..
(H.P.L.)
8.
SUPERIORITA' DELL'ITALIA
La nostra Italia, a paragone dei paesi grossi e grassi e degli imperi potenti e
prepotenti, è forse piccola, povera, misera, sciupata, decaduta, e l’abita un popolo
inquieto, volubile, riottoso, scettico eppur portato alla violenza. Ma, a dispetto di
tutte queste inferiorità, vere o esagerate che siano, il popolo italiano è superiore a
tutti i popoli della terra almeno in una cosa la quale non dipende dalla bellezza
della natura, dalla dolcezza del clima, dalla grandezza della tradizione e dell’arte e
neanche dall’acuta vivezza dell’intelligenza. È una superiorità che gli italiani
debbono prima di tutto alla loro saggezza umana e alla loro anima naturalmente
cristiana.
Nel nostro paese non si vedono mai cadere teste sanguinolenti, spiccate dal busto
da una mannaia calante giù da un sinistro arco color sangue, rotolare in un
paniere pieno di segatura. non si vedono mai creature umane col viso bendato, col
collo stretto da un cappio di corda che ad un tratto, allo spalancarsi d’una botola,
precipitano nel buio del vuoto e dell’orrida morte, alla presenza di sacerdoti
impassibili, di magistrati burocrati, e di testimoni gelidi e anonimi.
Non si vedono mai, nelle nostre prigioni, le orribili celle della morte dove son
condotti i criminali per essere fulminati dall’elettricità o uccisi dai gas avvelenanti.
Non si vedono mai, nel fossato di una fortezza o dirimpetto ad un muro bianco e
nudo, dieci armati che sparano tutti insieme contro il dorso di un uomo solo legato
ad una sedia, con le mani dietro la schiena.
Né questi né consimili atroci e assurdi spettacoli, che gridano vendetta al cospetto
del Dio del Sinai e del Golgota, si vedono mai in Italia, mentre sono faccende
ordinarie e quasi quotidiane nei paesi che si credono o son creduti più civili e
progrediti del nostro.
In Italia soltanto gli assassini assassinano, soltanto gli omicidi ammazzano i loro
simili, soltanto i frenetici, i dementi e i bruti tolgono la vita i loro fratelli. La legge
italiana non conosce e non ammette il diritto, da parte dei rappresentanti della
ragione e della giustizia, di strangolare, decapitare, avvelenare, fulminare e
fucilare gli esseri umani, anche se hanno commesso i peggiori delitti. In Italia,
ringraziando il gran Dio Creatore, non esiste un pubblico ufficiale chiamato boia o
carnefice. In Italia si contano ottocentomila cacciatori e parecchie centinaia di
malfattori sanguinari ma non esiste un uomo che riceva dallo Stato un salario in
compenso della prestazione d’opera per troncare la vita di altri uomini.
Il popolo italiano, a dispetto di tante sue tare e colpe, è superiore per molti versi
agli altri popoli ma di nessuna superiorità può andare orgoglioso, secondo me,
quanto di questo suo rifiuto del terribile diritto di vita e di morte sopra le creature
fatte a immagine e somiglianza di Dio.
(Giovanni Papini, Le felicità dell’infelice, Vallecchi, Firenze, 1956, pagg. 189-191)
9.
AUTOMI CONTRO DESERTI
È probabile che nelle guerre future si vedano apparecchi senza piloti, cioè
radiocomandati da lontano con cervelli elettronici che andranno a bombardare città
abbandonate dalla popolazione, città deserte, cioè armi senza combattenti contro
città senza abitanti, macchine vuote contro muraglie vuote.
Gli uomini viventi saranno tutti nascosti sotto terra e dal cielo pioveranno turbini di
fuoco per distruggere tutto ciò che il genio e il lavoro creò sulla superficie della
terra.
Ecco una profezia molto facile, oggi, ma talmente assurda e apocalittica che non
balenò neppure alla fertile fantasia scientifica del mio vecchio amico Wells.
(Giovanni Papini, La spia del mondo, Vallecchi, Firenze, 1955, pagg. 269-270)
[...]
SONO UN FIGLIO D’UOMO
Da anni conservo in me una nostalgia di cui non parlo mai senza una grande
discrezione, che è divenuta tuttavia uno stato d’animo permanente: la nostalgia
degli anni in cui i cristiani non sapevano di essere cristiani. La prima volta che si
cominciò ad usare questo appellativo fu nel 43 d.C. in Antiochia (Atti 11,26). In tutti
questi primi anni dopo la risurrezione, i discepoli di Gesù non si dicevano cristiani,
essi erano paghi di chiamarsi fratelli, sorelle, discepoli, credenti. Non furono essi
che inventarono il nome e già questo mi consola. E non furono nemmeno gli ebrei
che, meno di tutti al mondo, non ritenevano affatto Gesù come il Cristo (Messia) e
che per disprezzo chiamavano i suoi discepoli Nazareni. L’opinione più fondata è
che coloro che utilizzarono questo termine per la prima volta fossero gli impiegati o
i militari romani che, per motivi di ordine pubblico, consideravano i discepoli di
Gesù come i membri di un partito politico con retroterra giudaico. Fu insomma il
potere ad inventare questo nome! Ciò mi basta perché possa sentirmi libero di
coltivare la nostalgia dei giorni durante i quali i cristiani non lo erano affatto, in
attesa di un tempo in cui i cristiani non lo saranno più.
[...]
Nella nostra epoca, la crisi della nostra identità di cristiani si iscrive nella crisi del
cristianesimo che dobbiamo comprendere ormai nel senso più radicale e dunque
come morte del cristianesimo. Per il sociologo agnostico, questa morte è una lenta
e definitiva scomparsa, per me, credente, è l’entrata del cristianesimo con tutta la
sua identità, nelle tenebre del venerdì santo in cui, come in un oscuro crogiuolo, si
consumano le teologie, le istituzioni giuridiche, i patrimoni culturali. La mia stessa
identità dì cristiano si dissolve nella Croce, io non voglio restare cristiano se questo
significa rimanere chiuso nella determinazione che un tale nome esprime per
l’utopista poeta, per il marxista, per l’agnostico, per il commissario di polizia e forse
anche per l’impiegato della Curia. No, io non sono un cristiano, sono soltanto un
uomo, come diceva Pietro a Cornelio. Io sono un uomo che considera tutti gli
uomini come suoi fratelli e che vuole essere considerato da tutti come fratello
perché, come spiega Martin Hillairet, è in questo atmosfera fraterna il luogo del
cristianesimo. Il cuore del cristianesimo non è costituito da “nuovi riti religiosi” ma
semplicemente da un uomo chiamato Gesù che ha vissuto la realtà banale della
condizione umana .
[...]
LA MIA UMANITÀ E' AL FUTURO
Ecco cosa mi dico: il Cristo viene a te sotto le specie sacramentali del diverso: la
donna, l’operaio, il nero, il musulmano, il buddista ecc. Il Dio di Gesù Cristo è
nascosto in ogni diversità, egli è il Santo. Ma la sua diversità ha disteso veli tra noi
e ci viene incontro attraverso gli uomini differenti da noi. Il viso di Dio è il viso
dell’uomo che io non arrivo a comprendere. Mio compito non è far diventare
cristiani gli altri, bensì quello di entrare nella identità degli altri e di comprenderli o,
almeno, di prenderla come misura delle possibilità del Regno. La vera via della
Trascendenza è nel passaggio verso l’altro, è nel fatto dì accogliere la
provocazione dell’altro conservandola nel mio cuore come faceva Maria mentre
ascoltava lo parola del Figlio, il Diverso per eccellenza.
È su questa premessa che baso la mia risposta alla domanda: Perché rimango
cristiano? Resto cristiano per essere totalmente uomo. Quando dico totalmente
non faccio allusione alle dimensioni di tipo esistenziale contenute nella totalità
dell’umanità; l ‘uomo vero è la realizzazione delle possibilità che giacciono come
una semenza nelle profondità dell’uomo “homo absconditus”. Diciamo che siamo
figli di Dio ma non sappiamo propriamente chi siamo noi. Lo sapremo quando
vedremo Dio faccia a faccia. La mia identità è quindi al futuro e sarà esprimibile
soltanto nel momento in cui l’umanità raggiungerà la sua pienezza. Questa
pienezza è il Regno di Dio. lo non vivo per la Chiesa, non vivo per dilatare la
comunità dei cristiani. Vivo perché venga il Regno. La Chiesa alla quale
appartengo è un segno ed uno strumento di questo futuro, ma questo futuro la
oltrepassa, io stesso la oltrepasso pur restando fedele.
Ieri come prete portavo abiti, segni distintivi dell’istituzione di cui ero il
rappresentante. Due anni or sono, in un dibattito a Milano, una pia signora mi
chiese perché non portavo l’abito da prete . “È bene che si sappia con chi si ha a
che fare, un agente di polizia porta l’uniforme, se ne ho bisogno so a chi devo
rivolgermi”. Ebbene, io non sono affatto l’agente di polizia di Dio. Vorrei essere
come il Cristo, semplicemente un figlio d’uomo, qualcuno che difende l’uomo per
l’uomo.
Come dicevo all’inizio, la mia identità è di non averne alcuna o, meglio, di averne
una che è situata nel futuro, una che riscopro soltanto quando dico: “Venga il tuo
regno, sulla terra come nel cielo”.
Per esporre in maniera riassuntiva Dio, la Chiesa, il mondo: ieri, credevo che Dio
amasse la Chiesa e la inviasse al mondo per salvarlo; oggi, credo che Dio ami il
mondo e che la Chiesa sia un segno ed uno strumento di questo amore che la
precede e la oltrepassa. Ieri, mi definivo collocandomi dentro la Chiesa e
guardando il mondo come una realtà da conquistare per la Chiesa; oggi, mi
colloco nel mondo e vivo entro la Chiesa quel tanto che anticipa simbolicamente
l’avvenire del mondo.
Ma mentre ieri guardavo il mondo a partire dalla Chiesa, oggi guardo la Chiesa a
partire dal mondo e mi siedo alla tavola della Chiesa, la tavola eucaristica,
precisamente perché là si ascoltano le parole che rivelano i segreti nascosti fin
dalla creazione del mondo, perché là si elaborano le speranze di cui tutti gli uomini
hanno bisogno.
È vero, esiste ancora, e quanto è ingombrante, una Chiesa che si esprime col
linguaggio della prudenza politica, che riveste di sacro la morale dominante.
Questa chiesa non mi interessa, è quella di cui contemplo il declino con cuore
gioioso. In me essa è già quasi morta. Ma questo declino è direttamente
proporzionale all’emergenza della Chiesa come assemblea di coloro che non si
curano di sapere chi essi sono, ma sanno di non avere, quaggiù, una città
permanente (e dunque non è affatto necessario esservi registrati) e che cercano la
città futura, la città verso la quale vanno tutti gli uomini, ciascuno con lo sua
diversità. Si narra che durante l’età post-apostolica, si dava ai cristiani che
partivano in viaggio, un frammento di vaso di terracotta. Al ritorno sarebbero stati
riconosciuti per il fatto che il loro frammento poteva combinarsi perfettamente con
gli altri. Sì, io so che la verità di cui vivo è appena un frammento. La mia identità è
appunto il pezzo di un tutto. Quando tutti i frammenti saranno riuniti, allora io saprò
veramente chi sono. La mia presunzione di ieri era di voler concentrare il tutto negli
stretti limiti del mio frammento. Allora dicevo “noi cristiani ” con gran fierezza.
Vorrei essere fedele al mio frammento nell’attesa che si compia la totalità. La via
verso questo futuro è la stessa via che mi conduce verso il fratello per unirmi a lui,
non in quello che egli è (poiché la suo verità è solo un altro frammento) ma in ciò
che egli cerca. E’ così che io mi sento a casa mia in tutti i luoghi di questo mondo.
Io sono finalmente cattolico, e precisamente perché non lo sono più, perché sono
un figlio dell’uomo.
Padre Ernesto Balducci (tratta dalla postfazione al libro di Paul Gauthier, “Vangeli
del terzo millennio”, ed. Qualevita 1992)
. . .
Deya: il pianeta labirintico 4
Darest Sharma, un nome che mi risuonava dentro la testa e incominciava a
produrre echi, forse immagini, ma era ancora come una sensazione sbiadita.
Intanto, mastro Fornari si diresse nel retrobottega e ne uscì poco dopo,
imbacuccato da un cappottone grigiastro munito di mantella. Un vestiario fine
ottocento, ma del resto mi trovavo in un altro universo e tutto era possibile e
concesso e se dico 'tutto'...
“Darrell Zelio, le distanze su Deya si misurano in unitempo, poiché i luoghi sono
fatti dal sonno del Grande Tempo. Le strade, i palazzi, le cose e un po' anche gli
abitanti son tutti impregnati. Molti unitempo ci separano da quel funesto posto.
Tuttavia, in certi momenti puoi percorrere lo spazio in minor unitempo. Il problema
sorge non tanto perché ci sono emissari sparsi dappertutto, ma qui le case
ascoltano registrano e poi, segnalano la nostra presenza e direzione a Darest
Sharma. Devi provare ad accendere il Bagliore così ché la luce ti renda invisibile.”
La luce ci nasconderebbe; bella questa.
“ Ricordi cosa ti diceva Scandurra a proposito del Bagliore? C'è un luogo nel tuo
corpo dove tutto si unisce, lì è il nesso esistente fra lo spirito e la materia. Visita
quel punto meraviglioso e scaturirà il Bagliore.”
Ricordavo certo il punto meraviglioso. Quanti tentativi, delusioni, fino
all'accensione che sprigionò il Bagliore. Inondò la mia cameretta. Un'esperienza
psichedelica, anzi, illuminante. Mi resi conto della conoscenza di Scandurra:
incredibile. Ne sapeva più di ogni altro, scienziato filosofo intellettuale del mondo.
In quel piccolo uomo, illetterato, semplice di modi, modesto, senza pretese
ordinarie; in quel piccolo uomo era celato un potere immenso e tuttavia a
disposizione di tutti. Non ci volevano chissà quali capacità, intelligenza, furbizia,
cultura; lui ci chiedeva ardore, quella spinta formidabile verso le cose segrete della
Vita.
“Attendiamo ora che faccia buio, così il nostro Bagliore ci nasconderà al meglio.”
“Mastro Fornari, in questo universo valgono sempre certi principii, certe leggi che
Scandurra mi ha illustrato sin dall'inizio del lavoro interno? Insomma, quel poco
che ho imparato potrà essermi utile, sufficiente per non essere di intoppo? Devo
sapere qualcosa?”.
Fornari si sistemò i capelli – teoricamente, visto il cespuglio arruffato che si
ritrovava.
“Discettare di materie oscure e perché no? È una buona disciplina... noi viviamo in
uno spazio che per contenere il tutto, è uno spazio tenue. È una tenuità dove col
pensiero non ce la facciamo ad intenderci, non c'è distanza non c'è tempo, non c'è
centro, non c'è periferia. È tutto un compenetrarsi di ciò che si muove in questo
spazio dove appaiono le forme, tante forme, sempre diverse: non solo pietre piante
animali esseri, ma pure aurore meriggi tramonti e stelle e galassie. Tutto ciò che è
forma diventa condensazione di questa unica energia cosmica, il lumen, che
genera vibrando variamente, che tutto condensa e tutto attenua e grazie al lumen
noi vibriamo e quindi percepiamo. Cosa siamo noi in questo mondo? Siamo tutti
galleggianti vaganti, in questa tenuità dello spazio che non ha un centro-origine,
non ha estremi: pullula, ed è in moto, ma non in un moto direzionale, con distanza
tempo velocità. Invece chi usa il pensiero stabilisce confini, misure, confronti,
dominii. È il pensiero che crea un centro, l'ego, che non ha umiltà non ha amore,
né innocenza, ma è violenza per emergere, per accentrare e quindi prendere,
dando origine a sforzi a conflitti senza fine. E l'io si associa poi al pensiero che lo
crea e lo sostiene e lo collega alle sensazioni al solo scopo di procurarsi piacere,
quel piacere che copra e ci illuda l'inquietitudine del domani. Catturare piacere
perché si è soli, perché c'è il pungolo del sentirsi disperatamente soli, del sentirsi
d'essere un vuoto, senza appoggi. Buttarsi, identificarsi, fuggire da questo vuoto
che ci fa terrore, per ricevere ricompense. Ci si sbatacchia in ricerca del più.”
Ascoltavo raccolto, ammaliato dalla sua stringente chiarezza.
“Qui ci muoviamo cauti e sciolti, coi piedi saldi sul terreno mentre tutto il resto è
immerso nel cielo: e cielo è mistero. E chiederci: cosa siamo, perché siamo qui
come uomini? È ben chiaro che le superfici sono fatte di particelle come l'aria
avvolgente, campi di energie vibranti che sono non separati ma in relazione totale,
fusi fra loro. Tutto ciò che è, che appare ai sensi, immagini e sogni e concetti
formulati dai pensieri, dinamismi corporali o sottili, tutto è di natura energetica. Noi
viviamo immersi in un mondo che facciamo coi pensieri. Dunque noi siamo
creature operanti nel mondo che è energia, mondo denso e sottile. Così infatti ci
comportiamo: sempre avidi per prendere possedere oltre il necessario, febbrili per
l'insicurezza del domani. Le cellule per vivere respirano cioè bruciano e quindi
devono essere avide di cibo per non soccombere, ma non assumono nulla di più
del proprio fabbisogno, hanno un contegno. Gli uomini che pensano, quelli
dell'ombra, non hanno contegno, prendono più di quanto gli necessita, perché il
pensiero è vorace e mai sazio. Vegetali animali seguono leggi che regolano e le
loro forme e le loro funzioni. Abitano nell'ordine di natura. La forma umana è
l'unica, l'unico ricettacolo di un uovo-anima che non è inerente alla natura: è il
lumen che genera e sostiene tutto ciò che è natura; e dentro e fuori questo nostro
corpo c'è l'uovo-anima che ci può liberare da ogni funzione materiale e mentale,
farci ricettacolo pieno del mistero, di cui l'intelligenza e la volontà e l'amore e
l'innocenza la bontà sono le manifestazioni.
In questa tenuità che è assenza di io, che è tutta energia cosmica del sacrale,
energia che si muove in un pullulio, energia che non ha vibrazioni in onde di varia
frequenza, che ha un potenziale illimitato, è in questa tenuità, che è la nostra
essenza, è qui che in noi si raccolgono pure tutte le energie corporali psicologiche,
che invece vibrano con tantissime frequenze e nelle cellule e nella mente. Tutte
queste varie forme di energie corporali, brame e passioni, tormenti e paure,
incertezze ed illusioni, è qui in questa tenuità che queste energie non più
sperperate in vane attività logoranti, è qui in questa tenuità che insieme si
raccolgono tutte per darci un reale senso di pienezza, di consapevolezza, di
attenzione, di vera intelligenza esplosiva, con intuizioni ed azioni istantanee
precise, sane. È qui, in questa tenuità, che noi veramente si consiste, uomo che è
umanità: c'è pace gioia amore. Gli uomini dell'ombra hanno rinunciato all'uovo-
anima, perciò sono spenti e perseguono l'oscurità universale. Gli uomini dell'ombra
mettono al centro della vita il pensiero che tutto divide e spacca e limita. Inventano
macchine senza anima, non come le nostre. Inventano le macchine del caos fatte
di pensiero fluttuante. Il pensiero è acqua stagnante, luce riflessa. L'uovo-anima è
fiume e bagliore.”
Un forte colpo alla porta della bottega, mi fece trasalire.
martedì 23 novembre 2010
IUS 33
. . .
1.
Le cose del mondo sono trattate in segreto da una sinarchia, il governo mondiale,
del quale l’intermediario misterioso, cioè la Salamandra, è uno strumento.
2.
La sostanza di cui sono intessuti tutti i corpi sottili dell'uomo – comunque
denominati – è l'Etere vibratorio (Akasha) in qualità via via più rarefatte e via via più
iperfisiche. [Silvano Panunzio]
3.
Nel mondo reale, quando amiamo comunichiamo a distanza misteriosamente,
aiutati in ciò dallo Spirito Santo (o comunque lo vogliate chiamare) e dai nostri
Amici Celesti. Nella mia esperienza Loro rivestono un ruolo estremamente discreto
e potente e personale: gli angeli si annunciano sulla soglia della vita con un fruscio
frequenziale e, dopo la morte, fanno vedere il proprio volto.
4.
ENRICO MEDI
PAROLE AI GIOVANI
... L'uomo è più grande delle stelle. Ecco la nostra immensa dignità immensa
grandezza dell'uomo, della vita umana. Giovani, godete di questo dono che a voi è
stato dato e che a noi fu dato. Non perdete un'ora sola di giovinezza, perché un'ora
di giovinezza perduta non ritorna più. Non la perdete in vani clamori, in vane
angoscie, in vani timori, in folli pazzie, ma nella saggezza e nell'amore, nella gioia
e nella festa, nel prepararvi con entusiasmo e con speranza. Da una cosa Iddio vi
protegga: dallo scetticismo, dal criticismo e dal cinismo; il giovane sprezzante di
tutte le cose è un vecchio che è risorto dalla tomba. Guai se la giovinezza perde il
canto dell'entusiasmo.
5.
ALGERNON BLACKWOOD
LA CASA DEL PASSATO
Una notte, in sogno venne uno Spirito e mi portò una vecchia chiave rugginosa.
Egli mi guidò attraverso campi e dolci vicoli odorosi dove le siepi sussurravano fra
loro nell'oscurità della primavera, finchè arrivammo a una enorme, vecchia casa
con finestre sbarrate e alti tetti seminascosti nelle ombre del primo mattino. Io notai
che le imposte erano ermeticamente oscurate e la casa sembrava avvolta in una
quiete assoluta. "Questa" sussurrò lo spirito vicino al mio orecchio "è la Casa del
Passato. Vieni con me e attraverserai alcune sue stanze e corridoi; ma presto,
poichè io ho la chiave solo per poco tempo e la notte sta per finire. Allora, forse, ti
ricorderai!"
La chiave fece un rumore terribile mentre girava nella serratura, e quando la
grande porta si aprì in una sala vuota e noi entrammo, udii suoni di sussurri e
pianti, fruscii di vesti come di persone che si muovevano nel sonno e stavano per
svegliarsi. Poi all'improvviso un senso di profonda tristezza mi sopraffece
imbevendomi fino all'anima; i miei occhi incominciarono a bruciare e a farmi male,
e nel mio cuore divenni consapevole di una strana sensazione di srotolamento di
qualcosa che aveva dormito per anni. Il mio intero essere, incapace di resistere, si
arrese subito al senso di profonda malinconia; e il dolore del mio cuore, mentre la
Casa si muoveva e si risvegliava, divenne in un istante troppo forte per esprimerlo
a parole... Mentre avanzavamo, le deboli voci e i pianti fuggivano via davanti a noi
e si ritiravano nelle interiorità della Casa; e io allora mi accorsi che l'aria era piena
di mani alzate, di indumenti fluttuanti, di trecce pendule e di occhi così tristi e
nostalgici che le lacrime, che già sentivo spuntare nei miei occhi, si trattenevano
per la meraviglia alla vista di un tale insopportabile struggimento. "Non permettere
che tutta questa tristezza ti opprima" sussurrò lo Spirito al mio fianco. "Non succede
spesso che Essi si sveglino. Dormono per anni e anni e anni. Le stanze sono tutte
piene e a meno che non arrivino visitatori come noi a disturbarli, non si
sveglieranno mai di loro volontà. Ma, quando uno si agita, il sonno degli altri è
disturbato e anche questi si svegliano, finchè il movimento passa da una stanza
all'altra e poi alla fine in tutta l'intera Casa... Allora, qualche volta, la tristezza è
troppo grande per essere sopportata e la mente si sveglia. Per questa ragione la
Memoria dà a loro il sonno più dolce e più profondo che ha, e usa molto poco
questa vecchia chiave rugginosa. Ma ascolta ora" aggiunse alzando la mano "non
senti attraverso la Casa tutto quel tremolio dell'aria simile al lontano mormorio
dell'acqua che cade? E riesci tu ora... forse..., a ricordare?" Ancora prima che
parlasse, io avevo già afferrato debolmente l'inizio di un nuovo suono; e ora, nelle
profondità delle cantine sotto i nostri piedi, e anche dalle regioni superiori della
grande Casa sentivo i sussurri e i fruscii, e l'intimo agitarsi delle Ombre
addormentate. Il suono saliva come un accordo vibrato delicatamente da enormi
corde invisibili tese da qualche parte fra le fondamenta della Casa, e questo
tremolio si propagava dolcemente attraverso i muri e i soffitti. E io sapevo di aver
sentito il lento risveglio degli spettri del passato.
Ah, povero me, per quel terribile afflusso di tristezza stavo con gli occhi bagnati e
ascoltavo le deboli voci morte tanto tempo fa... Poichè, davvero, l'intera Casa si
stava svegliando; e arrivava alle mie narici il sottile, penetrante profumo del
passato: di lettere a lungo conservate, con l'inchiostro sbiadito e i pallidi nastri; di
trecce profumate bionde o brune, stese teneramente fra fiori secchi che ancora
conservavano la dolcezza della loro fragranza dimenticata; la profumata presenza
di memorie perdute, l'intossicante incenso del passato. I miei occhi piangevano, il
mio cuore si contraeva e si espandeva, mentre il mio essere cedeva senza riserve
a quei vecchi, vecchi influssi di suoni e di odori. Questi Spettri del Passato
(dimenticati nel tumulto delle memorie più recenti) pulsavano intorno a me,
prendevano le mie mani nelle loro e sussurravano cose che avevo da tanto tempo
obliato, sospiravano scuotendo dai loro capelli e indumenti gli ineffabili odori delle
epoche morte, mentre mi guidavano attraverso la Casa da stanza a stanza, da
piano a piano.
E gli Spettri, non li distinguevo tutti perfettamente. Alcuni avevano solo una vita
debolissima, mi impressionavano poco e lasciavano solo una indistinta confusa
impressione nell'aria. Mentre altri mi guardavano quasi con rimprovero, attraverso
occhi sbiaditi, incolori, desiderosi di farsi riconoscere alla mia memoria. E poi,
vedendo che non venivano riconosciuti, galleggiavano indietro, leggermente,
dentro le ombre della loro stanza per addormentarsi di nuovo indisturbati fino al
Giorno finale, quando io non avrei mancato di riconoscerli. "Molti di loro hanno
dormito così tanto" disse lo Spirito accanto a me "che si svegliano solo con grande
difficoltà. Una volta svegli però, essi sanno e si ricordano di te anche se tu non
riesci a ricordarti di loro. Poichè la regola in questa Casa del Passato è che, se non
ti ricordi di loro distintamente, se non ricordi precisamente quando li hai conosciuti
e in quali particolari cause della tua passata evoluzione erano associati, essi non
possono rimanere svegli. Se non ti ricordi di loro quando incontri i loro occhi, se il
loro sguardo di riconoscimento non viene ricambiato, allora essi sono obbligati a
ritornare al loro sonno, silenziosi e dispiaciuti, con le mani vuote, le voci
inespresse, per dormire e sognare, immortali, pazienti fino a..."
In quel momento le sue parole svanirono improvvisamente nella distanza e io
divenni consapevole di una prepotente sensazione di gioia e felicità. Qualcosa mi
aveva toccato le labbra, e un forte, dolce fuoco mi illuminò il cuore e fece scorrere il
mio sangue tumultuosamente nelle vene. Il mio polso batteva selvaggiamente, la
mia pelle bruciava, i miei occhi si scioglievano e la terribile tristezza del posto era
istantaneamente dissipata come per magia. Girandomi con un grido di gioia, che
era subito inghiottito dal coro di pianti e sospiri intorno a me, guardai... e
istintivamente tesi avanti le braccia in un raptus di felicità verso... verso la visione di
un Volto... capelli, labbra, occhi; una stoffa d'oro contornava il bel collo,e il vecchio,
vecchio profumo dell'Est era nel suo respiro. Solo le stelle sanno quanto tempo fa...
Le sue labbra erano di nuovo sulle mie; i suoi capelli sopra i miei occhi; le sue
braccia attorno al mio collo, e l'amore della sua antica anima si riversava nella mia
attraverso i suoi occhi stellanti e non ancora offuscati. Oh! Il violento tumulto,
l'inesprimibile stupore, se solo io potessi ricordare!... Quel sottile, evocante odore di
tanto tempo fa, una volta così familiare... prima che le colline di Atlantide fossero
sopra l'azzurro mare, o le sabbie avessero incominciato a formare la culla della
Sfinge. Ancora l'attesa; ecco ritorna indietro; io incomincio a ricordare. Tende su
tende si sollevano nella mia anima, e io posso quasi vedere al di là. Ma quella
mostruosa distesa di anni, terribile e sinistra, migliaia e migliaia... Il mio cuore
trema e ho paura. Un'altra tenda si alza e una nuova prospettiva, più lontana delle
altre, si rende visibile, interminabile, verso un punto lontano, fra la nebbia spessa.
Adesso tutto si sta muovendo, si alza, si illumina. Finalmente potrò vedere... già
incomincio a ricordare... la pelle oscura... la grazia dell'Est, gli occhi meravigliosi
che detenevano la conoscenza di Buddha e la saggezza di Cristo prima ancora
che essi avessero sognato di realizzarla. Come un sogno dentro un sogno, mi
sorprende di nuovo, si impossessa fortemente di tutto il mio essere... la forma più
esile... le stelle nel magico cielo dell'Est.... le ali che sussurrano fra i palmeti... il
mormorio delle onde del fiume e la musica delle canne dove si piegano e
sospirano nelle cave con la sabbia dorata. Migliaia di anni fa, oltre cosmiche
distanze. Il ricordo sbiadisce un poco e incomincia a passare; poi sembra tornare
di nuovo. Ah povero me, quel sorriso di denti scintillanti... quelle palpebre dalle
lunghe ciglia. Oh, chi mi aiuterà a ricordare, poichè è troppo lontano, troppo
oscuro, e io non riesco a ricordare; anche se le mie labbra ancora tremano e le mie
braccia sono aperte, tutto incomincia a sbiadire. Sopravviene un senso dl tristezza
inesprimibile quando lei sente che io non mi ricordo più... lei, la cui semplice
vicinanza poteva, una volta, cancellare tutto l'universo... e lei ritorna indietro,
lentamente, dolorosamente, silenziosamente al suo oscuro terribile sonno, per
sognare e sognare il giorno in cui io DOVRÒ ricordare e lei DOVRÀ venire da chi
le appartiene. Ella mi guarda dal fondo della stanza dove le Ombre già la coprono
e la avvolgono, con le braccia tese, al suo lungo, lungo sonno nella Casa del
Passato. Tutto tremante, con uno strano odore ancora nelle narici e col cuore
infuocato, mi girai e seguii lo Spirito su per una larga scala, in un'altra regione della
Casa.
Come entrammo nei corridoi superiori io sentii il vento che passava sospirando
sopra il tetto. La sua musica si impossessò di me finchè sentii come se il mio intero
corpo fosse un singolo cuore, dolorante, teso, pulsante fino a spaccarsi; e solo
poiché avevo sentito il vento sospirare intorno alla Casa del Passato. "Ma ricorda"
sussurrò lo Spirito rispondendo al mio muto stupore "che tu stai ascoltando la
canzone cantata da epoche sconosciute a miriadi di orecchi sconosciuti. La sua
musica fa ritornare spaventose paure; e in questa semplice nenia, profonda nella
sua terribile monotonia, ci sono le associazioni e i ricordi delle gioie, dolori e
battaglie di tutte le esistenze precedenti. Il vento, come il mare, parla alla memoria
interiore, ed ecco perché la sua voce è di tale profonda tristezza spirituale. E' la
musica delle cose per sempre incomplete, non finite, insoddisfatte."
Mentre passavamo attraverso le stanze a volta, notai che nulla si muoveva. Non
c'erano veri suoni, solo una impressione generale di profondo respiro collettivo,
simile all'ansito di un oceano imprigionato. Ma le stanze, lo capii subito, erano
piene fino alle pareti, affollate, file su file... E, dai piani inferiori, saliva anche il
mormorio di Ombre piangenti mentre ritornavano al loro sonno, e si coricavano di
nuovo nel silenzio, nell'oscurità e nella polvere. La polvere... Ah, la polvere che
galleggiava nella Casa del Passato, così spessa, così penetrante; così fine,
riempiva la gola e gli occhi senza dolore; così fragrante, calmava i sensi e quietava
il cuore che soffriva; così soffice, inaridiva la lingua senza irritare; e così silenziosa,
cadeva, si raccoglieva, si adagiava sopra ogni cosa, così che rimaneva nell'aria
simile a una nebbia sottile e le Ombre dormienti ne erano avvolte come dentro i
loro sudari. "E queste sono le più vecchie, quelle che hanno dormito più a lungo"
disse lo Spirito indicando le file affollate di silenziosi dormienti. "Nessuno qui si è
svegliato da epoche innumerevoli; e perfino se si svegliassero tu non li
riconosceresti. Essi sono, come gli altri, tutte personalità tue, ma essi sono le
memorie dei tuoi stadi primitivi lungo il grande Sentiero dell'Evoluzione. Un giorno
però, essi si sveglieranno, e tu dovrai riconoscerli, e rispondere alle loro domande,
poiché essi non possono morire finché non sono esauriti di nuovo attraverso te,
che li hai fatto nascere." "Ah!" Mentre ascoltavo il significato delle ultime parole
pensavo: "quali madri , padri, fratelli possono essere addormentati in questa
stanza; quali fedeli amanti, quali veri amici, quali antichi nemici! E pensare che un
giorno essi verranno avanti e si confronteranno con me, e io dovrò incontrare
ancora i loro occhi, ascoltare i loro diritti, conoscerli, perdonarli ed essere
perdonato... le memorie di tutto il mio Passato..."Mi voltai per parlare allo Spirito al
mio fianco, ma egli stava già sbiadendo nell'oscurità e, mentre guardavo di nuovo,
l'intera Casa si fondeva nel rossore del cielo a est, e sentii gli uccelli cantare e vidi
le nuvole sopra di me che velavano le stelle nella luce del giorno che stava per
nascere.
[...]
7.
DAN SIMMONS
L'ESTATE DELLA PAURA
Incipit
La Old Central School si ergeva ancora imponente, racchiudendo saldamente
all’interno i propri silenzi e i propri segreti. La polvere di gesso accumulata
nell’arco di ottantaquattro anni fluttuava intrappolata nei rari raggi di luce solare
che penetravano al suo interno, mentre i ricordi di oltre otto decenni di mani di
vernice salivano le scale e dai pavimenti scuri per diffondere nell’aria imprigionata
odore di mogano - l’odore delle bare. Le pareti erano talmente spesse da dare
l’impressione di assorbire i suoni, le alte finestre tingevano l’aria di una stanca
tonalità color seppia con i loro vetri deformati e distorti dal tempo. Se pure scorreva,
il tempo lo faceva con maggiore lentezza dentro la Old Central, dove i passi
echeggiavano lungo i corridoi e su per il pozzo delle scale con suoni che parevano
soffocati e fuori sincrono rispetto a qualsiasi movimento visibile nell’ombra. La sua
prima pietra era stata deposta nel 1876, l’anno in cui il generale Custer e i suoi
uomini erano stati massacrati vicino al fiume Little Big Horn, nel lontano West, lo
stesso anno in cui il primo telefono era stato esposto nel corso della Fiera del
Centenario, a Philadelphia, nell’altrettanto lontano Est; la old Central School era
stata costruita nell’Illinois, a metà strada fra quei due eventi, ma lontana dal fluire
della storia.
8.
WILLIAM H. HODGSON
LA CASA SULL'ABISSO
Incipit
Per innumerevoli ore ho riflettuto sulla storia che è presentata nelle pagine
seguenti. E innumerevoli volte, nella mia veste di redattore del manoscritto, ho
provato la tentazione di dargli una forma letteraria; ma non credo che il mio istinto
si sbagli, nel suggerirmi di lasciarlo così com'è scritto, in tutta la sua semplicità. E il
manoscritto... cercate di immaginarvi la scena, allorchè giunse nelle mie mani e io
lo osservai da ogni lato, con curiosità, e ne sfogliai rapidamente, distrattamente, la
pagine. E' un quaderno di non grande dimensione, ma ha molte pagine, anzi tutte,
eccetto le ultime, scritte in una grafia strana ma leggibile, in lettere assai minute.
Ancora adesso, mentre scrivo, mi pare di fiutare l'odore di muffa delle sue pagine, e
di avere sotto le dita la sua carta gualcita dall'umidità.
Ricordo senza difficoltà la mia prima impressione del contenuto del quaderno: che
fosse un racconto di fantasia. Tale mi parve leggendo qualche parole qua e là,
senza eccessiva attenzione.
Ora, pensate invece a quando, comodamente seduto in poltrona, mi sono accinto a
passare le ore della sera in compagnia delle sue pagine. E a come sia cambiato il
mio giudizio! Dapprima il sospetto che potesse trattarsi di fatti realmente accaduti.
Da quella che sembrava una narrazione fantastica, era emersa una coerente,
convincente successione di idee, che avevano assorbito la mia attenzione ben più
che se si fosse trattato di una cronaca o di una storia, quale delle due fosse la
natura di quella narrazione (e confesso di essere tentato di usare il primo dei due
termini). In quella che pareva una storia senza importanza, trovai il resoconto di
grandi eventi, e ciò che pareva assurdo e paradossale divenne ragionevole. Lo
lessi e, leggendo, allontanai da me i veli dell'impossibile, che accecano la mente, e
spinsi il mio sguardo nell'ignoto.
9.
[…] e vidi allora un donna stupenda indossante una tunica blu delicatamente
ornata, come il cielo, di stelle d'oro. Nella mano destra stringeva una tromba dorata
su cui era inciso un nome […]. Nella mano sinistra teneva un pacco di lettere,
scritte in molteplici lingue […]. Aveva delle ali belle e grandi, totalmente ricoperte di
occhi, con cui poteva librarsi in alto e volare più veloce dell'aquila. [Johann
Valentin Andreae, Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz, a cura di Elsa
Aichner, SE, Milano 2006, p. 11].
10.
Si tenga a mente solo questo brevissimo specchietto sulle fasi della vita dell’eroe:
una nascita misteriosa, i cui genitori naturali non siano direttamente rintracciabili!
relazione difficile con la figura paterna! Separazione ! Iniziazione ! Ritorno e
compimento risolutivo.
11.
I Folli per Cristo sono individui che spinti dall’amore di Dio e del prossimo, hanno
adottato una forma ascetica della pietà cristiana che si chiama la follia per l’amore
del Cristo. Essi rinunciano volontariamente non solo alle comodità e ai beni della
vita terrestre, ai vantaggi della vita in comunità e ai beni di famiglia, ma accettano
per di più di assumere l’apparenza di un folle, che misconosce le regole di
convenienza e di pudore e si permette spesso di commettere azioni scandalose.
Questi asceti non temono di dire la verità ai potenti di questo mondo, accusando
quelli che avevano dimenticato la giustizia di Dio e consolando quelli la cui pietà
temeva Dio.
12.
Riflessione di Francesco De Gregori interpellato da L'Avvenire a proposito della
festa natalizia: Qualunque uomo ha dentro il senso dell'infinito. Nessuno, quindi,
può rimanere indifferente di fronte alla Resurrezione. Certo Foscolo pensava che
non morire mai volesse dire semplicemente essere ricordati. Ma credo che sia
un'idea banale, come quella che risorgere dalla tomba sia soltanto uscire da una
tomba. Mi piace pensare a un passo di Resistenza e resa di Dietrich Bonhoeffer
dove lui raggiunge un momento di grande comunione con Dio quando vede un
fiorellino su un muro [...] in quel fiore per me c'è ciò che ci precede e ciò che ci
seguirà. C'è il senso della vita [da L'Avvenire, 23 marzo 2005; p. 56].
13.
Noi marciamo da lungo tempo verso un magico punto zero, da cui si allontanerà
solo colui che potrà disporre di altre, più invisibili fonti di energia.
(E. Jünger citato in Alain de Benoist, Ernst Jünger: la Figure du Travailleur entre les
dieux et les titans, in Nouvelle Ecole n. 40, settembre-novembre 1983, pag. 11-61,
trad. it. Di Marco Tarchi, L'operaio tra gli Dei e i Titani. Ernst Jünger ‘sismografo’
dell'era della tecnica, Terzavia, Milano, 2000, p. 88)
14.
La modernità e la ragione illuministica sezionano, classificano ed analizzano, e
pongono fine a quell'ontologia arcaica per la quale non esisteva soluzione di
continuità tra sacro e profano romanticamente intesi, tra sogno e realtà; ciò avviene
all'interno di un movimento/momento storico relativo alla presa di coscienza
moderna - e occidentale - del mondo. Ma secondo me non possiamo non sentire
talvolta, sepolta sotto i nostri lavori, i nostri sogni, le nostre passioni, i nostri
passatempi e hobbies, quella nostalgia delle origini che bussa da lontano, quella
chiamata all'unità che ci spinge nella fulgida creazione o nella disperazione
depressiva. Gli uomini hanno dimenticato i loro dèi e distrutti i loro sogni. Ma per
che cosa?
15.
La felicità non ha che un nome vero, antico e moderno: la fede. […] Al tempo della
guerra di Vandea i contadini ribelli si battevano con valore senza pari, al grido “Per
il mio Dio e per il mio Re!”. […] Sull’altra sponda, innumerevoli furono quelli che
caddero cantando e gridando “Viva la Repubblica!” […]. Dalle due parti c’era,
incrollabile, una fede. In Dio, qui. Nell’Uomo, là. Ma c’era, disinteressata e
follemente pura, la fede! E, per lei, la felicità di combattere, di vivere o morire. […]
Perché viviamo? interrogano i giovani. Netta risposta: per nulla, se voi non sapete
più perché accettereste di morire, e se la nostra società non è più capace di
armarvi per sfidare quella morte. Una vita non vale se non in questa dura luce [Le
scuderie d’Occidente Volpe, Roma, 1973 di Jean Cau, pp. 158-159].
Con lo stupido pretesto del ritorno alle sorgenti e alla semplicità evangelica, i nostri
preti vogliono delle chiese più brutte d’un baraccone e sono pronti a celebrare la
messa in giacca e calzoni [Le scuderie d’Occidente, p. 85]
16.
L’approssimarsi al muro del tempo, quel Varco di cui vado sostenendo
l'inevitabilità, provocato dall’accelerazione dell'ispessimento coscienziale
dell'umanità ma anche dal compimento del ciclo cosmico, intensifica i fenomeni “di
soglia”, fa assottigliare sempre di più quel velo che per noi separa visibile e
invisibile, e quindi intensifica la ricerca e l’attesa dell’irruzione dello straordinario,
tanto come avvento salvifico e nuovo inizio (anche nella vita del singolo), quanto
nella forma di un evento minaccioso e distruttivo. L’immaginario dell’epoca attuale
è pressoché tutto su questo registro, anche se prevale (e ce n’è ben donde)
l’aspetto paranoico del complotto totalizzante ai danni dell’umanità (il che la dice
lunga, molto al di là della retorica scientifica, sulla percezione di massa dei pericoli
e delle oscure trame della tecnoscienza).
17.
Voi preti che vendete a tutti un’altra vita/ se c’è come voi dite un Dio nell’infinito,
guardatevi nel cuore, l’avete gia tradito/ e voi materialisti col vostro chiodo fisso che
Dio è morto e l’uomo è solo in questo abisso/ le verità cercate per terra da maiali/,
tenetevi le ghiande lasciatemi le ali. [Francesco Guccini]
18.
ALFRED KUBIN
L'ALTRA PARTE
Pensavo alla mia morte come a una gioia grandissima, celeste, come all’inizio di
una eterna notte nuziale. Come tutto si rivolta contro di lei, e come sono buone le
sue intuizioni! In ogni volto cercavo ansiosamente i suoi segni, nelle pieghe e nelle
rughe della vecchiaia scoprivo i suoi baci. Sempre nuova mi appariva; e come
erano squisiti i suoi colori! I suoi sguardi risplendevano così seducenti che i più forti
dovevano cedere, e allora lei gettava la sua maschera e senza mantello il morente
la vedeva circondata da diamanti, nei riflessi di mille sfaccettature. Più tardi,
quando osai rientrare nella vita, scoprii che la mia dea regnava solo a metà.
Divideva le cose più grandi e le più piccole con un antagonista, che voleva la vita.
Le forze di attrazione e di repulsione, i poli della terra con le loro correnti,
l’alternarsi delle stagioni, il giorno e la notte, il bianco e il nero, non sono che
l’espressione di una lotta. Il vero inferno consiste nel fatto che questo doppio gioco
contraddittorio si prolunga in noi. L’amore stesso ha il suo centro di gravità “inter
feces et urinas”. I momenti più alti possono soggiacere al ridicolo, allo scherno,
all’ironia.
19.
PELLEGRINI – PILGRIMS
A volte ti senti così lontano,
tenuto a distanza dal cuore della recita,
incapace di intuirne l’importanza,
mentre osservi la trama con diffidente scoramento,
bloccato al centro del palco,
mentre cerchi a tentoni nel tuo diario una pagina perduta:
incerto del sogno.
Prendere a calci una pietra attraverso la spiaggia,
mentre ti logori in cerca di un amore e di un sollievo irraggiungibili;
la via che si apre di fronte sembra così desolata,
non è rimasto nessuno con cui parlare che ti sia lontanamente amico
o che ti mostri una qualsiasi relazione
tra la tua situazione presente e quella futura…
insensibile al sogno.
Via, via, via – guarda al giorno futuro
in cerca di speranza, di una qualche forma di pace
nel mezzo della tempesta che si rafforza.
Mi arrampico attraverso la sera, vivo e fiducioso
che nel tempo tutti conosceremo i nostri scopi e quindi, infine, la nostra meta;
per ora, tutto è segreto – anche se (come faccio a dirlo?),
lasciate che io mantenga il sogno in vista!
Ho atteso così a lungo
soltanto per vedere infine,
tutte le mani stringersi tra loro saldamente,
tutti noi pellegrini.
Mentre camminiamo in silenzio lungo la costa,
soltanto per viaggiare, qui la speranza è tutto,
anche solo sapere che c’è una fine;
tutti noi, amanti, fratelli, sorelle, amici
mano nella mano…
Impronte splendenti sulla sabbia umida
conducono al sogno.
Il tempo è giunto, la marea si è quasi alzata
ed ha prosciugato le profondità:
mi sveglio da un sonno lungo una vita.
Sembra che abbia sognato per così tanto tempo –
ora, da sveglio, riesco a vedere
che siamo pellegrini e per questo dobbiamo percorrere questa strada,
con un fine sconosciuto, soli, ma non senza valore,
e la meta che continua a chiamarci.
Abbiamo aspettato qui così a lungo,
con le mani di noi tutti unite nella speranza,
restando in equilibrio sulla fune -
tutti noi pellegrini.
[Van Der Graaf Generator/Peter Hammill]
20.
Quel che di più grande esiste nella Creazione, è la possibilità di amare che l'uomo
possiede, è l'amore che vive nell'uomo ed emana da lui. [dagli scritti di
Theodossios Maria della Croce, Nel grande mattino del mondo. Ed. Jaca Book]
21.
IL LINGUAGGIO DEI SEGNI
THEODOSSIOS MARIA DELLA CROCE
Il tempo passa, l'Eternità rimane; ecco il permanente prisma attraverso il quale si
debbono vedere e filtrare le cose, tutte le cose, tutti i pensieri, tutti i sentimenti, tutti i
ricordi, tutte le generosità e tutte le miserie, tutti i momenti di splendore dell'infanzia
e tutti i ripiegamenti su se stessa dell'anima colpita. Quel che permane è l'Eternità,
eterno è soltanto l'amore.
Paesaggi solinghi, prati e giardini dall'infinita tenerezza, azzurri mari sotto l'azzurro
cielo d'estate, fiori delicati offerti piamente da anime delicate, elevatissime
montagne e pacifici rivi, finestre aperte su verdi distese, profumi di timo e d'incenso
e di cera pura, croci bianche piantate su desertiche colline, lontani rumori della
sera nelle piane e fertili campagne, voci amiche vibranti di eterna fedeltà che
attraversano l'ora profumata del crepuscolo, infermità e piaghe profonde offerte con
dolcezza e senza ribellione, offerte per la libertà e la gioia di anime sconosciute,
presenze che popolano tutte le solitudini e solitudini di amore infinito che
trascendono ogni presenza, sbagli dall'origine santa, riuscite senza merito che
riempiono l'anima di segreta tristezza nelle ore di lode e di ovazione, brividi di
solitudine e di vuoto cosmici dinanzi all'immagine dell'infinito universo, mobile e
senza amore; brividi e calde lacrime di riconoscenza dinanzi alla piccola discreta
vibrazione dell'infinito amore del Creatore, sussurri di dolce saggezza in seno ad
amicizie stabilite da Dio nell'eternità, empiono la mia anima quando penso a
ciascuno di voi mentre penosamente ci avviciniamo al mistero delle festività di
dolore e di resurrezione.
Ormai per milioni di uomini la nostalgia della bellezza e dell'amore eterno non fa
parte del "reale". Tutto un linguaggio, linguaggio umano, sensibile, tutte le
sfumature e le delicatezze nel significato delle parole dispaiono nella coscienza e
nella sensibilità di milioni e milioni di uomini. Mentre lo scopo della creazione ed il
mezzo per raggiungerlo come individui, come popoli e come razze, restano
immutabili. Così ogni anima fedele ed amante è portata, in mezzo ad ogni
tribolazione, a percepire e a vivere, per quanto le è possibile e permesso, dietro
ogni cosa il suo segno, il suo linguaggio intimo di creatura creata innocente prima
di ogni alterazione, per sentire dietro ogni cosa l'amore eterno di Dio e della sua
creazione in Lui.
Sulle foglie degli alberi, trasparenti ed auree di sole, si legge il messaggio del
Verbo: la speranza. Si legge un appello, un sogno ed una promessa. Tutta la
creazione contiene il segno infinitamente variabile ed assolutamente unico della
finalità della creazione. Al fondo dell'orizzonte riluce l'orizzonte interiore. E
sull'orizzonte interiore riluce il volto dell'Amore eterno, il volto umano e divino; volto
del molteplice infinito e dell'uno infinito, poiché è il volto del Creatore e del Figlio
unico del Creatore e dello Spirito tre volte Santo del Creatore.
I più piccoli fiori dei campi, l'intimo degli occhi amici, i pianeti e le galassie, i
barlumi della lampada ad olio davanti ad una icona, le tombe dei bambini piccoli e
i cimiteri dei secoli, tutte le acque pure e i profumi soavi dei campi e delle foreste, il
vento salato dell'oceano contengono un canto segreto, un canto dolce, discreto e
infinito, il canto del Signore.
I fiori e gli alberi e le pietre preziose, come gli umili sassi, le acque, le distese e le
montagne, ogni cosa è una bella lettera e una parola del linguaggio nascosto della
vita eterna. Per questo la Sacra Scrittura e tutti gli scritti sacri dei servitori di Dio
sono pieni di paragoni e di riferimenti alla natura. I fiori esprimono una pienezza
spirituale che sale dal fondo della creazione iniziale della terra d'origine. Le pietre
preziose esprimono la fissità delle virtù conquistate, e ogni elemento contiene
qualità immutabili accanto a elementi corrosivi. Ed ecco che San Paolo scrive:
"Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere
contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna
potenza e divinità" (Rom. 1, 20). l fiori e gli alberi e le pietre preziose, come gli umili
sassi, le acque, le distese e le montagne, ogni cosa è una bella lettera e una
parola del linguaggio nascosto della vita eterna. Per questo la Sacra Scrittura e tutti
gli scritti sacri dei servitori di Dio sono pieni di paragoni e di riferimenti alla natura. I
fiori esprimono una pienezza spirituale che sale dal fondo della creazione iniziale
della terra d'origine. Le pietre preziose esprimono la fissità delle virtù conquistate,
e ogni elemento contiene qualità immutabili accanto a elementi corrosivi. Ed ecco
che San Paolo scrive: "Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni
invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute,
come la sua eterna potenza e divinità" (Rom. 1, 20).
L'anima di buona volontà, quando è entrata definitivamente nella via dell'umiltà
fondamentale, comincia a essere riconoscente per la più piccola rotella che l'uomo
può fabbricare, per la più piccola medicina, per l'acqua dei fiumi e della pioggia,
per la lana degli abiti, per la legge del suono che permette lo strumento musicale,
per il metallo che permette lo strumento del medico e l'ago calamitato; è
riconoscente per le leggi che conosce del mondo naturale, per la percezione
dell'infinitamente piccolo e dell'infinitamente grande, nei rapporti con la natura
finita, per i colori, per i fiori, per il firmamento. E' riconoscente perché, grazie
all'apertura dell'umiltà fondamentale e della morte, capisce il linguaggio di tutto
l'universo visibile e di tutte le leggi della natura, che non parlano d'altro che di
questa vita d'ordine e di pace e di amore eterno del Regno.
Per comprendere e penetrare ciò che vuol dire "la bontà delle cose", cioè quello
che le cose esprimono e il loro segno, i libri servono a poco quando l'uomo è
appesantito sul suo "Io"; è necessario che egli sia libero ed è liberato dal suo io
quando entra nella gloria dell'amore, quando si interessa ai suoi fratelli, quando si
interessa, per esempio, a scrivere una lettera tenera alla mamma che ama; allora
l'uomo è libero, è allegro e sorridente.
E' assolutamente impossibile cogliere il mistero di un paesaggio, cogliere il mistero
degli animali, il mistero del rapporto degli uomini con gli animali, se ogni giorno
non armonizziamo il nostro sapere con la conoscenza intima vissuta, se non siamo
continuamente mossi dal desiderio di essere uniti alla Verità eterna.
Le cose esprimono un'immensa bontà, quando manifestano all'uomo il messaggio
dell'amore di Dio. E gli esseri umani stessi contengono un grande segreto sacro e
possono contenere un'immensa bontà, un amore che è una partecipazione
all'amore di Dio.
Quando si comunica con la Creazione, vi è una grande nostalgia perché dietro
ogni espressione è consegnata, è celata ovunque, la grande bontà di Dio. Vi è
celata anche la morte perché l'uomo non può più comunicare soltanto con la bontà
delle cose, e se vuole separarsi egoisticamente dal male della morte, amando se
stesso, allora egli si separa in se stesso e abbandona l'opera della Creazione.
E' ciò che vuole il diavolo che odia la Creazione, che odia l'uomo. La forma con cui
più si manifesta il peccato e il disordine iniziale, è la chiusura alla penetrazione del
mistero della Creazione, il chiudersi all'amore delle opere di Dio. Quando la natura
non è dominata dall'amore eterno dell'uomo, la bontà delle cose si perde.
Per essere costantemente con Dio, è necessario amarlo pienamente, amare ciò
che ha voluto fare: ha voluto salvare il mondo, cioè ha voluto che l'uomo possa
comunicare con la bontà delle cose, con la bontà della Creazione, con Lui. Così
devo essere pieno di disponibilità per comprendere la bontà delle cose: la bontà
della fiamma d'olio, la bontà del colore verde di un campo la bontà di un sorriso, la
bontà di un sopracciglio, la bontà di una pietra, la bontà del calore in una camera
quando rientro dopo il freddo, la bontà misteriosa che emana dalla foresta, bontà
della terra, delle foglie, delle cortecce; la vibrazione di bontà che emana da un
uomo, dal suo spirito, dal suo cuore, dai suoi capelli, dalle sue orecchie, dalle sue
ossa.
E come mai ci sono tanti crimini? Assenza d'amore. Tante volgarità? Assenza
d'amore. Là dove non c'è amore tutto è sporco, dove c'è l'amore tutto diviene santo,
perché qualunque sia l'amore dell'uomo, anche il più ordinario, esso è una
partecipazione all'amore di Dio, e Cristo è venuto per santificarlo.
Tutto ciò che è senza amore conduce alla morte, anche se è fatto in nome di Dio.
Per questo San Paolo ha detto, e lo ripeterò fino alla fine della mia vita: posso
possedere tutta la sapienza e conoscere tutte le lingue, posso dare il mio corpo in
olocausto, se non ho la carità sono un cembalo squillante.
Quando siete stati in contatto con la bontà delle cose, quando cioè, il contatto con il
mondo esterno ha elevato la vostra anima e vi ha riempiti di gioia d'amore sacro,
eravate liberi, senza problemi; quando ci si appesantisce si entra nelle tenebre.
Non crediate che la bontà consista nel non volere il male. La bontà non è di non
volere il male, è un'attività continua, come una luce continua. E quando l'altro,
vicino a noi, è debole e appesantito su se stesso o soddisfatto di sé, o meditativo o
un po' cupo, dobbiamo essere luce per dissolvere le sue tenebre.
Credetemi, la conoscenza è un cammino senza fine, è un cammino per conoscere
Dio. Si avanza, si avanza... Ciò che è definito è la via, e la via è unica: amare,
volere il bene, avere una pazienza senza fine, non disperare mai.
L'uomo di verità scopre la firma del Creatore impressa nell'intimità di ogni cosa, ed
entra nel cammino che conduce fuori dalla storia. Scopre che Cristo è entrato nella
storia per liberare l'uomo dalla Grande Illusione. Così ai piedi della Croce inizia il
cammino della liberazione, in cui l'uomo scopre a poco a poco il linguaggio mistico
di tutte le cose visibili. E allora viene il giorno in cui l'universo tace e la storia tace.
L'Illusione si dissolve. La falsa immagine dell'universo è rovesciata. E l'anima
conosce e vive, perché conosce il reale eterno, l'Ineffabile.
. . .
Darest Sharma.
E adesso chi era alla porta? Ebbi paura, stupidamente. Mastro Fornari era con me,
perché temevo?
“Entra se hai buone intenzioni, altrimenti preparati”. Esclamò con tono enfatico.
Giocava o faceva sul serio quell'incredibile salta-fossi. La porta si aprì ed entrò una
giovane donna. Bella, caspita. A Viterbo l'avrebbero apostrofata con ben altri
epiteti. Alta più di me (180cm), un soprabito nero col collo alzato, luccicante, stivali
scuri ed un sorriso spettacolare. Il volto era una poesia. Come nei romanzi di
avventura finalmente entrava in scena la bellona di turno ed io, lì, in mezzo ad una
guerra eterna. Un ragazzo di provincia immerso in una fiaba. La donna salutò
Fornari col gesto simbolico della gilda e abbassò lievemente la testa in segno di
rispetto. Mi guardò distrattamente e si rivolse al maestro in una lingua musicale ma
per me incomprensibile. Non riuscivo a captare niente. Parole, suoni, modulazioni
aliene.
“Ranna Abarel, benvenuta. Parliamo nel gergo di mastro Scandurra, così il nostro
amico potrà capire. Viene dalla Terra e si chiama Darrell Zelio”.
Lei mi squadrò con sospetto e sorpresa. Faticò nel farmi un lieve sorriso e avanzò
con lente falcate verso di me. Divenni rosso come un peperone. Quella tipa mi
metteva a disagio. Ora mi stava a mezzo metro e potei sentire il suo profumo da
capogiro. Il volto sembrava acceso come un faro. I capelli lunghi e biondi si
muovevano al minimo moto della testa, come se ci fosse il vento. Gli occhi, poi,
erano blu. Una svedese come fattezze, ma con un qualcosa di alieno. Che
scoperta, eh? visto dove ci trovavamo.
“Non sei troppo piccolo per queste cose?”.
Balbettai non ricordo cosa, poi mi ripresi.
“Se il mio maestro ha deciso così, avrà avuto dei buoni motivi”.
Prendi e porta a casa. L'orgoglio terrestre scattò, mi si caricava all'altezza della
pancia. Non sarebbe stata una spillungona proveniente da un altro universo a
farmi sentire un fesso. Mastro Fornari si esibì in una grassa risata.
“Buoni buoni. Siamo tutti fedeli custodi del Lumen. Non è il momento per tirar fuori
le unghie. Avrete ben altre occasioni. C'è da stabilire un piano per penetrare nel
castello rotante. Lo elaboreremo durante il tragitto”.
Abbassai la testa per farmi perdonare. Lei mi squadrò di nuovo e poi si sedette
scocciatissima. Certo che ero inesperto, prassi e dottrina da poco apprese erano
ben lungi da un rodaggio significativo. Ma mi trovavo lì perché inviato e con
informazioni alquanto incomplete, e se c'era uno che si doveva sentire scocciato,
se c'era qualcuno in seria difficoltà perché catapultato su quello strano mondo ove
il tempo era fuso con le cose, tanto da condizionare pensieri e azioni; ehi!, ero io
quello ad aver diritto di essere un tantinello contrariato.
Fornari si ravvivò i capelli e chiese attenzione.
“Dunque, vediamo. L'equilibrio tra universi si poggia sull'energia che scaturisce
dall'unione dei contrari. Ma la negazione, cioè il potere dell'Ombra volto alla
dissoluzione e oppositore di ogni cosa; ecco dicevo, la negazione si frappone tra i
contrari e impedisce la loro unione. Tenendo separati gli opposti, l'Ombra li rende
infetti con la propria malattia. L'equilibrio viene meno e gli eventi incrementano la
loro consistenza. Il tuo universo, Darrell, collassa, il Grande Tempo esaurisce la
sua energia e accelera gli eventi. Tutto si ispessisce. Ciò non avviene per qualche
errore degli ingegneri cosmici o per i capricci di un dio sadico. No, la Torre Rotante
è la macchina del Kaos ed è tutt'una con l'Ombra, è il suo doppio. Cosa produce? Il
morbo nero ed è un flagello che non perdona. Contamina tutti gli esseri viventi che
rechino in sé una tara, una falla nell'uovo-anima. Orgoglio, violenza, superbia, pur
se latenti e occulti, attraggono la malia come magneti psichici. Questo cancro
tenebroso e multiforme è da tempo tracimato nel tuo universo e già corrode la
galassia. Darest Sharma è un porto cosmico, una cittadella morta in realtà. Ma la
morte lì è più che viva. Vi sono antiche rampe di decollo, banchine e oscure
taverne ricettacolo di fuoriusciti di pianeti sconfitti. Circolano voci strane assai. In
quei posti si parla di cose segrete, crudeli, blasfeme. I vascelli cosmici evitano
come la morte quel posto. Persino le dicerie, le paure, si materializzano a Darest
Sharma. Dicono che si veda il castello rotante in lontananza, a volte, proprio al
tramonto, solo quando è visibile lo si può avvicinare. L'Ombra che ti ho più volte
citato, non è una categoria astratta. Essa è una entità incarnata in un essere... è lui
il morbo stesso che si propaga in tutti gli universi. Eppure Darrell, le potenze
oscure qui all'opera che disfunzionano il bilanciamento, fanno comunque parte del
grande piano disegnato sul testo sacro delle origini compilato dai Vedenti... credo
che sia giunto il momento di andare. C'è una guerra da combattere. È antica e
forse è giunta al suo epilogo. Ogni cosa è stata messa in tensione dinamica. Ogni
essere ha scelto o evitato di scegliere da che parte stare. Darrell ha fatto una lunga
strada, è stato scelto da Scandurra che qui è una leggenda come tu ben sai,
Ranna. Sicuramente questo ragazzo ha doti notevoli e soprattutto è allievo di uno
della schiatta di Atlantide, ultimi depositari della sapienza dei Vedenti. Darrell,
ricorda, il Bagliore ci salva da incontri pericolosi”.
Ranna, mi offrì il suo braccio in segno di amicizia.
“Darrell, sono stata inospitale e volgare. Ti chiedo perdono. Faremo bene insieme,
vedrai”.
“Non c'è problema”, feci io con ostentata sicurezza.
Scandurra una leggenda in questo universo. Per la steppa! Addirittura discendeva
dai Vedenti. Dovevo sapere queste cose proprio ora. Mi si gonfiò il petto di
orgoglio. Quel piccolo uomo rinchiuso in una bottega di frutta e verdura a Viterbo,
era un personaggio più che noto, un mito in un altra dimensione. Pensare che sulla
mia Terra uomini da poco si credono i padroni, pensano di essere la causa dei
destini di molti e invece... forze ai più ignote si muovono e operano indisturbate in
una guerra senza quartiere sui nove piani della realtà. Io avevo l'onore di
conoscere Scandurra, mi consideravo la persona più fortunata del mondo ma il
mondo lo ignorava. Non comparirà mai in televisione, né sarà in prima pagina,
nessuno saprà mai ciò che veramente accade dietro le quinte della storia e di
quello che un pugno di uomini, salta-fossi interdimensionali, fanno con coraggio e
dedizione assoluta. Nessuno. Ma non importa. Scrivo queste Cronache perché un
giorno qualcuno potrà salvarsi dalla fine del mondo.
Mastro Fornari si alzò dalla carrozzella, pestò i piedi sull'impiantito e si diresse
come se niente fosse fuori. Rimasi basito. Ranna se ne accorse.
“Il maestro è ferito soltanto qui dentro, nel passavia”.
Uscimmo in tutta fretta e ci inoltrammo in mezzo alla folla di Deya. All'imbrunire
iniziava la nostra missione. Incominciavo a capire che quella avventura aveva una
connotazione ben più ampia di un viaggio oltre i confini dell'universo, che non era
cosa da poco del resto. Una stilettata ghiacciata salì lungo la mia schiena. Il
morbo? Sarebbe arrivato sulla Terra. Ma no, non era possibile. Già, perché era
possibile viaggiare per dimensioni? Era possibile colloquiare con esseri di altri
mondi? La Magia poteva convivere con la tecnica? Sì, tutto è possibile.
Mentre con passo svelto e in fila longobarda ci dirigevamo verso Darest Sharma,
ultimo della compagine, richiamavo il Bagliore. Ranna rallentò e si affiancò alla
mia sinistra.
“Guardati dai disseminatori. Gettano per strada cartocci di materia infetta. Nei loro
laboratori ne producono in quantità tali da ammorbare un universo”.
“Perché Ranna quest'odio?”.
Ma lei era già passata avanti a me. Untori di manzoniana memoria, perseguivano
intenti di morte non per trarne chissà quale profitto di dominio, o almeno non lo
credevo. Piuttosto, diffondere in tutti i pianeti la morte sembrava più una tendenza
perversa interiore, malvagità allo stato assoluto, quasi come se appartenessero ad
una stirpe votata alla distruzione di tutto ciò che è vita. Oppure una sete di vendetta
folle perché colpisce tutti indistintamente. Non riuscivo a capire cosa spingeva
alcuni ad odiare tutti: l'inferno sono gli altri? La realtà vera sporca feroce, è che tutti,
ogni creatura dei multiuniversi, si misura col Male tutti i santi giorni, il problema è
che pochi ne sono coscienti.
Ci muovevamo agilmente in quel labirinto estenuante, fatto di stradine e sottopassi
zeppi di botteghe, ponticelli e piazzette. Le case poi erano bizzarre alquanto, mura
curve o dritte puntate al cielo, piccole tozze e basse o altissimi palazzi pseudo
rinascimentali che si fondevano con altri di stile diverso. Zac mi avrebbe poi detto
che quei palazzi erano strutture caratterizzate dall'alternanza di elementi
discontinui in compressione tenuti insieme da un sistema di elementi continui ed
elastici in tensione. E poi rumori puzze profumi, luci multicolori, si rincorrevano in
un guazzabuglio inestricabile. Deya univa il mito senza tempo e l’esperienza
individuale contemporanea. Rendeva lecito il girovagare attraverso elementi
futuribili e del sovrannaturale. Deya appariva una sorta di deposito gigantesco di
relitti resti cose intrighi memorie di tutte le razze dell'universo. Qui coincidevano
magia e tecnica, potenze e limiti, qui si giocava un gioco millenario che attendeva
la parola fine. Tutto mi sembrava strano, diverso, ma ogni tanto percepivo qualcosa
di familiare. Magari dentro un portone, da una finestra, in un negozio, sul volto di
un passante frettoloso, sentivo una vicinanza e mi pareva di essere anche io di
casa, col mio leggero bagaglio di ricordi, esperienze, dolori e amori. Ma poi il
presente, la sua densità, mi rimetteva in tiro. Ahimè! L'incubo del morbo era
qualcosa di molto concreto. Uno stato di ansia mi sorprese. Il Bagliore si affievolì.
Da un muro, alla mia destra, emerse una testa informe dagli occhi di serpente, che
mi fissò.
domenica 19 dicembre 2010
IUS 34
. . .
1.
L'impero non è mai cessato (P.K. Dick)
Sulla paura generalizzata e sul sentimento liberato da ogni controllo razionale si
edificano gli imperi. Non è un caso se la contemporaneità si rispecchia nei miti
gnostici del I secolo d.C. Da Minority Report fino al Truman Show, dal Grande
Fratello televisivo e letterario fino ai vari Matrix, passando attraverso l'opera più
emblematica per comprendere il nostro tempo - intendo la narrativa di P.K. Dick -,
l'uomo contemporaneo si immagina, come l'antico gnostico, rinchiuso in una
gabbia di ferro, chiamata cosmo, generata da un dio decaduto irrazionale e pazzo.
L'Impero, secondo la gnosi, è stato generato dalla paura di un Dio minore che si
sente minacciato e che si alimenta della paura di uomini che non cessano mai di
tremare. Se cessassero di tremare l'Impero si scioglierebbe, in un sol giorno, come
neve al sole. Per evitare questa catastrofe occorre perciò che il Terrore sia
costantemente evocato dall'Impero. Non c'è nemmeno più bisogno di un terrore
reale. È sufficiente la minaccia periodica. All'uomo deve infatti essere ricordata
costantemente la sua natura pascaliana di esile canna. Così si potranno all'infinito
costruire muri e dispensare protezione. Che ne sarebbe invece dell'Impero e di
quel Dio minorato che lo regge se l'uomo, come insegnano i classici, si ricordasse
della sua somiglianza con il vero Dio e della sua partecipazione a quella natura
divina? (Rocco Ronchi)
2.
La nostra epoca di mass – media trasforma la soggettività della Storia, che per
lungo tempo non fu un problema che per i filosofi, vale a dire di un numero piccolo,
in strumento universale per violare e plasmare la coscienza delle folle e, di
conseguenza, in fattore politico essenziale e primario.(Raymond Abellio)
3.
Fra gli Etruschi…e noi [Romani] c'è questa differenza: noi riteniamo che i fulmini
scocchino quando c'è stato uno scontro di nuvole, essi credono invece che le
nuvole si urtino per far scoccare i fulmini. Infatti, dal momento che attribuiscono
ogni cosa alla divinità, essi sono convinti non già che le cose abbiano un
significato in quanto avvengono, ma piuttosto che avvengono perché debbono
avere un significato (Seneca, Nat. Quaest., 2, 32)
4.
Contro le blasfemie dei nuovi archeognostici anglofoni, c'è quel genio incompreso
di Peter Kolosimo. Terra senza tempo, Ombre sulle stelle, l’incredibile Non è
terrestre, Odissea stellare, l’inquietante e castanediano Guida al mondo dei sogni,
l’ecumene cosmica di Fratelli dell’infinito, l’ambiguo e occulto Polvere d’inferno,
l’indicibile (fino a sfiorare il comico per la tesi, che è però di fatto una realtà) Italia
mistero cosmico, Civiltà del mistero, Viaggiatori del tempo.
5.
GLI AFORISMI DI ZURAU
Franchino Kafka, tra il 1917 e il 18, se ne va in campagna a Zürau illudendosi di
sfuggire agli scarafaggi e di curare la sua tubercolosi. Si mette a scrivere un
centinaio di foglietti di quaderno che contengono una serie di aforismi e storielle
che stanno a metà - e al di sopra, forse - tra Epicuro e lo stoicismo e che, da soli,
valgono almeno quanto il resto della sua produzione letteraria.
La vera via passa per una corda che non è tesa in alto, ma appena al di sopra del
suolo. Sembra destinata a far inciampare più che a essere percorsa.
Da un certo punto in là non vi è più ritorno. Questo è il punto da raggiungere.
Se fosse così, che tu procedi su un piano, con la buona volontà di andare avanti e
però fai dei passi indietro, allora sarebbe una situazione disperata; ma poiché ti
stai arrampicando su un pendio ripido, così ripido come tu stesso appari visto dal
basso, i passi indietro possono anche essere causati soltanto dalla natura del
terreno e non devi disperare.
Come un sentiero d'autunno: appena è tutto spazzato, si copre nuovamente di
foglie secche.
Leopardi irrompono nel tempio e svuotano i vasi sacrificali; questo si ripete
continuamente; alla fine lo si può calcolare in anticipo e diventa una parte della
cerimonia.
Tu sei il compito. Nessun allievo in vista, da nessuna parte.
È ridicolo come ti sei bardato per questo mondo.
Venne data loro la possibilità di scegliere fra diventare re o corrieri del re. Come
bambini, vollero tutti essere corrieri. Per questo ci sono soltanto corrieri,
scorrazzano per il mondo e, poiché di re non ce ne sono, gridano i messaggi ormai
privi di senso l'uno all'altro. Volentieri porrebbero fine alla loro miserevole vita, ma
non osano farlo per via del giuramento che hanno prestato.
Mettiti alla prova con l'umanità. Essa fa dubitare chi dubita, fa credere chi crede.
Questa sensazione: «Qui non getto l'ancora» e subito sentirsi trascinati dai flutti
ondeggianti.
Due compiti per iniziare la vita: restringere il tuo cerchio sempre più e controllare
continuamente se tu stesso non ti trovi nascosto da qualche parte al di fuori del tuo
cerchio.
6.
GLI AFORISMI DI SCANDURRA
Il Lumen è la traccia che è nascosta in ogni essere e che Dio protegge affinché non
sia oscurata da influenze esterne. Chi cerca questa traccia, la troverà sicuramente
e, con l’aiuto di Dio, essa si espanderà e si diffonderà fino a colmare tutta la
persona e il mondo.
Impara sempre, da qualunque cosa.
Siamo sempre agganciati con qualcos’altro.
Non temere il diavolo, arriverà il giorno in cui lui ti temerà, ma per te non avrà più
importanza.
Il potere è una brutta bestia. Spesso è incontrollabile e pronto a divorarti. Se
rimarrai umile come all'inizio del cammino, non potrà farti male.
Ci sono segni sparsi ovunque, ma pure tanti ciechi.
Metti cura in ogni cosa che fai, onori così il tempo che è sempre più scarso, e
rispetti ogni tua azione nata dal cuore.
Dove rivolgi lo sguardo la cosa cambia, perciò devi essere sempre sveglio.
Se ti colleghi al Lumen, nessuno potrà squilibrarti, altrimenti subirebbe il colpo di
ritorno.
Bacia il fico prima di mangiarlo, così ringrazi la Natura che è sempre generosa.
7.
“Nemico non è il concorrente o l’avversario in generale. Nemico non è neppure
l’avversario privato che ci odia in base a sentimenti di antipatia. Nemico è solo un
insieme di uomini che combatte almeno virtualmente, cioè in base a una possibilità
reale, e che si contrappone ad un altro raggruppamento umano dello stesso
genere. Nemico è solo il nemico pubblico, poiché tutto ciò che si riferisce ad un
simile raggruppamento, e in particolare ad un intero popolo, diventa per ciò stesso
pubblico. Il nemico è l’hostis, non l’inimicus in senso ampio: il polemios non
l’echthros. La lingua tedesca, come altre, non distingue fra ‘nemico’ privato e
politico, cosicché sono possibili, in tal campo, molti fraintendimenti ed aberrazioni.
Il citatissimo passo che dice “amate i vostri nemici” (Matteo, 5, 44; Luca, 6, 27)
recita “diligite inimicos vestros” e non “diligite hostes vestros“: non si parla qui del
nemico politico. Nella lotta millenaria fra Cristianità ed Islam, mai un cristiano ha
pensato che si dovesse cedere l’Europa, invece che difenderla, per amore verso i
Saraceni o i Turchi. Non è necessariamente odiare personalmente il nemico in
senso politico, e solo nella sfera privata ha senso ‘amare’ il proprio nemico, cioè il
proprio avversario. Quel passo della Bibbia riguarda la contrapposizione politica
ancor meno di quanto non voglia eliminare le distinzioni di buono e cattivo, di bello
e brutto. Esso soprattutto non comanda che si debbano amare i nemici del proprio
popolo e che li si debba sostenere contro di esso”.
(Carl Schmitt, giurista e pensatore politico tedesco - Plettenberg 1888-1985)
8.
Calcina viva nuova 10 libbre, acqua barilli 4, carbone di frassino. Covri la grata
della fornace co' carboni accesi a fiamma di brace; con ausilio di mantici a basso
vento. Cala il Modello da covrire in una vasca ammattonata; indi covrilo con velo
sottilissimo di spezial tessuto bagnato con acqua e Calcina. Modella le forme e
gitta lentamente l'acqua e la Calcina Misturate. Per l'esecuzione: soffia leve co'
mantici i vapori esalati dalla brace nella vasca sotto il liquido composito. Per
quattro dì ripeti l'Opera rinnovando l'acqua e la Calcina. Con Macchina preparata
alla bisogna Leva il Modello e deponilo sul piano di lavoro, acciocché il rifinitore
Lavori d'acconcia Arte. Sarà il velo come di marmo divenuto al Naturale e il
Sembiante del modello Trasparire.
(Raimondo di Sangro principe di San Severo, in un documento dell'Archivio
Notarile di Napoli, rogato in data 25 novembre 1752, indicò le istruzioni per
marmorizzare un velo).
9.
Si può infatti negare la produttività di qualsiasi sforzo inteso a comprendere e
definire ciò che è destinato a rimanere invisibile (e figuriamoci poi se l'entità
indagata è doppiamente invisibile); si può sostenere che l'uomo non può accedere
alla sfera dell'idea platonica, anche ammettendo per intuizione che essa sia la
sede del suo essere, ed anzi si può addirittura definire questo volgersi indietro
verso la patria originaria come un'audacia rischiosa, pericolosa come la libertà che
pure viene da lì. Rimane il fatto che l'immagine di questa patria lontana produce
quell'incessante nostalgia che ci accompagna per tutta la vita.
(Broch, H. 1955 ‘Politik. Ein Kondensat’ in H. Arendt ed. Hermann Broch. Erkennen
und Handeln, Band II. Zürich: Rhein-Verlag, cit. in Esposito 1999, p. 144 )
10.
“[...] Il racconto mitico riveste così spesso tutti i valori; mette in giuoco dei jolly o
elementi bianchi. Per questo sta a monte, sempre, dell'insieme delle spiegazioni,
tutte lineari ed analitiche, tutte inclinate. Il mito include la storia; e invece nessuna
storia spiega il mito”.
(Serres M. -1991-, Roma, Il libro delle fondazioni, Hopeful Monster editore, Firenze,
pp. 45-46 )
11.
Scandurra mi dava una lezione di storia ben diversa da quella che avevo ricevuto
dalla scuola, la quale mi aveva trasmesso un solido schema di fatti, una
cronologia. Scandurra, invece, mi offriva vertiginose visioni topografiche d'insieme.
Non allenava la mia memoria, ma saggiava la mia fantasia. Le sue non erano
nozioni o informazioni. Era un 'sapere' di altro genere. Per la cultura profana, la via
della conoscenza passava per un sapere universale, sempre accessibile a tutti.
Ogni uomo di buona volontà poteva assimilarlo e percorrere così la via che
conduce alla verità. E la verità è la somma di ciò che si può sapere. Scandurra
invece sosteneva che la verità è ciò che non si può e non si deve esprimere. È per
sua natura segreta. Il sapere a essa legato non può essere comunicato per via
diretta. Il mezzo per comunicarla è l'immagine mitica. Quello che chiamava
coscienza profonda era in realtà partecipazione a un sapere esoterico di cui
possedeva la chiave. Si sentiva custode di un mistero. Arcano era una delle sue
parole preferite, che veniva fuori di continuo. Ma per quanto segreta,
incomunicabile, la sapienza attraverso Scandurra diveniva visibile, palpabile,
dimostrativa. La chiave non se la teneva stretta, la donava e solo così, diceva,
poteva conservarsi intatta, segreta.
. . .
Darest Sharma 2
Basta un attimo e, come si dice da noi, 'sei del gatto'. Ebbi un giramento di testa.
Persi l'equilibrio e quella strana cosa serpentiforme che fuoriusciva dal muro mi
avviluppò, oppure mi entrò dentro e vomitai. Cambiò scenario immediatamente. Mi
trovavo disteso su di un tavolaccio al centro di uno stanzone in penombra.
Sembrava una di quelle cucine ancora in uso nei nostri casali di campagna. Ero
nudo come un verme, tremavo e battevo i denti, mi misi seduto e vidi per terra
diverse pozze di sangue con sopra centinaia di insetti e dei secchi sparpagliati,
pieni di budella e frattaglie. Appesi ai muri c'erano utensili come coltellacci e frese,
seghe, ganci e corone di ferro, mannaie di tutte le misure e batticarne. Ahimè! Se
mi trovavo veramente in una cucina, quel giorno avrei fatto parte del menù.
Diamine, cosa ci facevo lì? E come era potuto succedere? Abbassando la guardia,
evidentemente Deya aveva mostrato il suo volto peggiore. Il Bagliore mi
proteggeva dai gorghi dimensionali, dai demoni in agguato; la disattenzione nel
sostenerlo mi stava costando un prezzo mortale. Mi feci anima e coraggio, tentai di
riaccendere la Luce, ma non rispondeva. Scesi dalla tavola, cercando di non
calpestare il sangue disseminato un po' ovunque e mi avvicinai al finestrone. Ciò
che vidi non mi tranquillizzò affatto. Mi trovavo dentro un castello, con mura formate
da pietroni inframmezzate da torri altissime. Sorse un pensiero raccapricciante: ero
prigioniero di Darest Sharma. Discendo dall'aeronave e subito mi faccio
sorprendere dai tre emissari; inizio la missione con Mastro Fornari e Ranna, e già
sono 'beccato' da chissà quale satanasso e portato allo scannatoio. Mi si prese uno
sconforto sconfinato. Scandurra dove sei? Ripetevo. Dio in che pasticcio mi sono
messo? Invocavo.
“Aoh? Prima missione ed eccoti incasinato. Questi nuovi allievi... si fa presto a dire
salta-fossi”.
Dietro di me stava Scandurra col cappottone da profugo. Fu naturale abbracciarlo.
Mi sentivo come un pischello in cerca di avventure che si era perso nel bosco. Non
mi vergogno a dirlo, ma scoppiai a piangere. Il maestro si levò il cappotto e me lo
fece indossare.
“Copriti, se mi pigli freddo altro che Bagliore”.
Ero contento come una pasqua. Scandurra c'aveva sotto un altro cappottone, come
suo solito era sempre attrezzato. Non gli chiesi nemmeno come aveva fatto a
venire sin lì, né come aveva saputo della mia disavventura. Era Scandurra, e
questo bastava e avanzava.
“Ora, andiamo via di qua. Qualcuno sta già preparando il condimento. Non senti
che odorino?”.
Lo seguii verso l'uscita. La sua tipica andatura non mutava nemmeno in quest'altra
dimensione. Percorremmo un corridoio malamente illuminato da fiaccole. Eravamo
in pieno medioevo, almeno così appariva quel posto. I piedi mi dolevano per delle
piccole ferite causate dal pavimento di lastroni grezzi. Ad un certo punto,
Scandurra mi fece cenno di acquattarmi.
“Daglie de tacco daglie de punta, quant'è bbona la sora Assunta [traduzione
politicamente corretta: nello spazio qualunque retta è condannata a curvarsi, fino a
ritornare al suo punto iniziale.]”. Cantilenò a mò di stornello.
Brrrrrr... il suono del passaggio e così ci trovammo al centro di uno stagno in mezzo
ad un bosco. Scandurra aveva preso la prima uscita disponibile del GRA
interdimensionale, ed eccoci lontano da quel luogo d'incubo. Non avevo contezza
dell'accadimento. Era semplicemente avvenuto.
“Bene, ora raggiungiamo i nostri amici che staranno in pensiero. Vicino a quel
macchione ho nascosto un po' di cose che ti serviranno, visto come sei conciato. È
meglio che non ti presenti a mastro Fornari e soprattutto a Ranna in questo stato.
Potrebbero schifarsi ed io ho una certa reputazione da queste parti. Eh eh eh”.
Giunti al macchione trovammo una busta della spesa di un noto supermercato di
Viterbo, contenente un calzone di velluto marrone, un camicione a quadri rosso-
blu, un gilet beige da cacciatore, scarponcini militari e calzettoni di lana, un
tascapane liso e macchiato. Indossai velocemente i vestiti e ci dirigemmo verso
l'appuntamento con gli amici.
“Avrai fame. Lì dentro ci trovi uno sfilatino con coppa, sottaceti e da bere il solito
peroncino. Regolare, no?” indicandomi il tascapane.
Ci trovavamo in un altro universo e stavo mangiando la mia merenda preferita che
Scandurra aveva fatto preparare dal sor Michele, titolare di una drogheria a
Pianoscarano, antico quartiere di Viterbo. Regolare, no? Mi venne pure in mente
una domanda atroce: quanto tempo era passato da quando mi ero immerso nella
fossa? Che cosa avrebbero fatto i miei vecchi? Una certa inquietitudine mi prese.
Poi, mi resi conto che il vero, reale, impellente problema riguardava il qui e ora.
Dovevo allontanare ogni altra preoccupazione e concentrarmi sul presente. La
facilità dimostrata dalla creatura del sottomondo nel rapirmi e condurmi al
mattatoio, era la conferma, ancora una volta, che si stava combattendo una guerra
terribile e non potevo certo permettermi di 'sbracare'.
“Buono lo sfilatino, eh? la 'biretta' è fredda però”.
Scandurra trovava anche in questo caso il tempo di celiare, ma forse ogni
momento e cosa, per lui, avevano la loro importanza. Viveva contemporaneamente
in più dimensioni. Una manifestazione di sé era capace di interagire su più piani,
così come manipolava il tempo o sequenze di esso quando doveva deviare la
linea destinale di qualcuno animato da cattive intenzioni, o evitare il peggio per
qualcun altro che si fosse trovato in una data situazione pericolosa. Interrompeva
le volute del kaos e le deviava altrove dove non potevano nuocere. Per non parlare
di quanto appena avvenuto, ossia del trasferimento subitaneo dallo stanzone del
castello allo stagno, senza mediazioni di porte e camminamenti interdimensionali.
Ma chi era veramente Scandurra? Anonima Talenti allo stato puro.
“Ci raggiungeranno ai quattro avamposti di osservazione, se già non si trovano lì.
Sono dei propugnacoli di difesa, sparsi in punti chiave di Deya”.
Affrettammo il passo lungo quel sentiero che zigzagando si inoltrava nel bosco. Era
notte, ma assomigliava piuttosto ad una sorta di crepuscolo rossoviolaceo che
trascolorava le forme delle cose in maniera bizzarra e durava fino al mattino.
Intanto ascoltavo una misticanza di versi e di suoni con effetto risonanza, che
provenivano da ogni parte. Non avevo paura, mi sentivo un drago a fianco del
maestro. La pagnottella mi aveva rigenerato e non ansimavo nemmeno. Chiesi a
Scandurra se avremmo fatto la stessa strada per entrare al castello.
“Lì, saranno tutti in allarme. Dovremmo sorprenderli, busseremo alla porta
principale”.
Bella sorpresa!, pensai io, ma non replicai. Incominciavo a far parte di uno spazio
di manovra dove entravano in gioco criteri strategici fuori da ogni logica. Scandurra
era fuori da ogni logica. Era così fuori da essere dentro ogni cosa.
martedì 1 febbraio 2011
IUS 35
. . .
1.
Nel passaggio da uno stadio di sviluppo ad un altro vi sono due decorsi principali,
che nella vita dell'uomo appaiono praticamente l'uno accanto all'altro. L'uno di essi
è la grande rottura d'argine, in cui con l'estrema energia a disposizione si attua un
mutamento che altrimenti non si riuscirebbe a compiere. Sono le crisi della vita in
cui si resta a malapena ancora in vita, e che in verità superano le nostre forze.
Ulisse per ascoltare le sirene si fa legare all'albero della nave. Bisogna prendere
prima tutte le precauzioni per affrontare il pericolo, trarne sì la conoscenza che da
esso deriva, ma senza lasciare lacune. Tali crisi, che mettono seriamente a
repentaglio la ragione, si ripetono ciclicamente, cedendo il posto a un sistema
valoriale nuovo, ad un altro sentimento di vita.
Il secondo decorso è quasi l'opposto di questo impeto di valanga. L'immagine della
valanga collega i due decorsi e permette di scorgerne le condizioni e le relazioni.
Ci viene in aiuto l'esempio della stella marina che si gira. Diciamo per caso essa
trova un movimento o una serie ristretta di movimenti che improvvisamente
costellano l'immagine. E con questo il passaggio è creato organicamente e con
facilità. Questo secondo meccanismo considera dunque le piccole operazioni,
poco appariscenti, che non costano nulla. Sono facili da compiere e
padroneggiare. Il più delle volte non ci rendiamo conto della loro importanza. Esse
sono quei piccoli iniziali nuclei di valanga, che si distaccano e poi irresistibilmente
diventano una valanga che non può più essere trattenuta. Questa nuova
immagine, cresciuta da piccoli inizi, può condurre verso ambedue i lati, quello da
superare e quello nuovo da conquistare. Non è necessario che l'uomo porti a
termine i grandi compiti con l'impiego di tutte le sue forze. Egli deve compiere le
piccole cose facilmente raggiungibili, così come anche l'I King dice spesso che “è
divino riconoscere i germi” (16, 2 e altrove).
2.
"Nell’incontro del pensiero con il sensibile, con il molteplice, con il finito, del quale
l’Oriente tradizionale non poteva concepire la possibilità di una scienza, è presente
l’Io, con la sua interna trascendenza: nell’ a n t e c e d e n t e s i m u l t a n e o e
non cosciente della percezione, agisce il pensiero di profondità dell’Io: perciò la
sua correlazione con il segreto del Cosmo.
Tale possibilità, oggi comune a quasi tutta l’umanità, ha avuto inizio come
esperienza tipica del pensiero occidentale, grazie ai pionieri del pensiero
cosciente e del metodo sperimentale. Senza la presenza dell’Io spirituale nel
pensiero, non si sarebbero avuti l’elettricità, il telefono, i transatlantici, la radiofonia,
i missili, la ricerca nucleare, ecc.: le espressioni più elementari e primitive di tale
presenza, che tuttavia permane per l’indagatore che se ne giova, la presenza
ignorata. Grazie ad essa, il pensare è la donazione profonda di sé nel percepire,
da cui sorge la coscienza dell’Io.
Il discepolo può constatare che la forza radiante dell’Io, come donazione di sé
illimitata, è presente nel percepire sensorio. Nella sensazione e nella
rappresentazione, essa subisce ogni volta uno smorzamento del suo potere di vita:
è l’arresto di forza provocato dalla mediazione cerebrale, necessaria
all’assunzione cosciente dei contenuti: il pensiero riflesso, in fatti, non accoglie i
contenuti, ma la forma conseguente allo smorzamento vitale, il valore astratto. Lo
scienziato tuttavia crede assumere l’oggetto nella sua concretezza e procede di
conseguenza, validando come realtà il riflesso astratto del sensibile: assolutezza di
una relazione incompiuta epperò inanimata, da cui trae come produzione reale il
mondo meccanico, tecnologico, ignorandone la provvisorietà, ossia la contingente
strumentalità rispetto all’assunto da cui inizialmente muove.
Mediante la più semplice contemplazione, la coscienza ha la possibilità di
congiungersi con le forze profonde dell’Io nella percezione sensoria, ma l’uomo
occidentale, che ha avuto tale iniziale dono come la massima possibilità di
penetrazione dello Spirito nella terrestrità, dell’immediato percepire assume la
forma riflessa come valore sul quale modella il pensiero. Nel percepire ha
l’immediato moto dell’Io come moto di puro pensiero, ma lo ignora, perché è preso
dal percepito, dalla mera tangenza sensoria: in realtà non afferra il percepito, non
lo contempla, non lo fronteggia, non vi incontra il momento della coscienza che si
unisce con il mondo.
Si tratta di p e r c e p i r e la forza fluente in questo momento vivo: la sua
correlazione con le Gerarchie cosmiche. In realtà l’uomo non percepisce il
pensiero, manca del tipo di percezione più elevato a cui possa accedere mediante
la coscienza di sé: perciò è privo del reale contenuto della esperienza sensoria.
Egli non realizza il potere di donazione soprasensibile del pensiero a cui ogni
momento ricorre: ignora la presenza dell’Atman nel moto di profondità con cui si
unisce alla terrestrità nel percepire.
La concentrazione conduce lo sperimentatore alla obbiettivazione del pensiero,
ma non ancora alla sua percezione, essendo ancora il percepire minimamente
consapevole al livello dei sensi. La percezione sensoria è un processo ignoto
all’indagatore di questo tempo, perché il potere extraumano che incanta il
percepire nella forma riflessa, ogni volta invade la zona della coscienza in cui
dovrebbe essere presente l’Io quale penetratore ed elaboratore di tale forma. Nella
zona in cui l’uomo dovrebbe essere sveglio rispetto la vita dei sensi, si lascia
sopraffare dal risuonare della loro tangenza formale: rispetto ad essi è immerso in
stato di sonno. Ma i meccanismi logico-dialettici gli danno l’illusione di essere
sveglio.
Il discepolo deve conquistarsi lo stato di veglia rispetto alla normale vita dei sensi:
egli deve poter avvertire che, privo di tale stato di veglia, opera nella quotidiana
vita come un sonnambulo, malgrado le discipline interiori. Dovunque è percezione,
è la presenza dell’Io originario, con l’assoluta incondizionatezza che gli è propria e
la sua correlazione con le Potenze sorreggenti l’Universo."
(Da: "La tradizione solare'' di Massimo Scaligero - Editrice Teseo Roma)
3.
Non vi è nella storia, nulla di grande che abbia avuto grandi inizi. Quanto di ciò che
è nato grande ha avuto poi sorte piccola. La legge della vita prevede, ovunque,
che anche gli organismi destinati a diventare maggiori traggano origine da un
piccolo seme, quasi invisibile agli occhi degli uomini.
4.
IN PRINCIPIO FURONO I GIGANTI
Giganti che superavano centinaia di volte la massa del Sole: erano così le prime
stelle comparse nell'universo alla fine della cosiddetta ''Età buia'', a poche
centinaia di milioni di anni dal Big Bang. La loro prima descrizione è stata
pubblicata questa settimana su Science. La loro enorme massa è stata cruciale per
innescare le reazioni che poi hanno dato forma all'universo che vediamo oggi. A
descriverle per la prima volta è la ricerca coordinata dagli Stati Uniti, con la
Columbia University di New York. Capire come si formarono le prime stelle è una
delle principali questioni dell'astrofisica. Si ipotizza che esse nacquero da nubi
calde composte dai due gas primordiali, idrogeno ed elio, che si raffreddarono e si
condensarono. Un passaggio chiave di questo processo di raffreddamento sono
state le collisioni avvenute fra ioni positivi e negativi dei gas che diedero origine
alle molecole di idrogeno (H2). La simulazione pubblicata su Science ricostruisce
queste collisioni e mostra in modo chiaro che il processo di raffreddamento dei gas
è avvenuto tramite rotazioni di bassa energia degli atomi all'interno delle nubi
primordiali. Al raffreddamento ha fatto seguito un addensamento dei gas e da
questo processo sono emerse le prime stelle, la cui massa è stata cruciale per le
evoluzioni cosmiche successive. Due polarità (caldo e freddo, elio e idrogeno)
danno il via al tutto alla fine dell' "Età Buia". Nascono i Giganti. Dal loro
smembramento nasce il cosmo. Non vi ricorda nulla?
www.noreporter.org
5.
Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti
essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa
aveva da insegnarmi, e per non scoprire in punto di morte, che non ero vissuto.
Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse
assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il
midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non
fosse vita…
Henry D. Thoreau, Walden ovvero vita nei boschi
6.
I sistemi complessi, prevedono in determinati momenti della loro evoluzione una
duplice possibilità, entrambe possibili ma assolutamente imprevedibili, sia per la
struttura stessa del fenomeno (sistemi complessi), sia perché sensibili alle
condizioni iniziali (sistemi caotici). Le Biforcazioni sono momenti o situazioni dai
quali due possibili scenari possono scaturire, senza alcuna possibilità di prevedere
quale opzione verrà determinata dalle impercettibili variazioni delle condizioni
iniziali. Le biforcazioni sbocciano in corrispondenza degli attrattori.
7.
Tutte le scuole sapienzali, pongono l'accento sulla necessità dell'attenzione, della
presenza mentale, o consapevolezza. Scandurra non è da meno. Sostiene, infatti,
che una persona distratta o fagocitata dai pensieri è menomata nel principio stesso
della coscienza. “Sostare sui pensieri ti ruba energia. Attento al respiro, così esso
non diverrà meccanico. Sìì uno per ogni cosa che fai. Sìì attento così ti dilati e ti
appuntisci”. Chi si perde nel flusso caotico e ristagnante dei pensieri, ricordi o
fantasticherie accelera la sua morte, mentre, chi è attento e presente a sé stesso si
incammina sulla via del risveglio. Cristo più volte ci invita alla vigilanza: “Abbiate
sempre i fianchi cinti e le lucerne accese” (Lc. XII: 35), e la Sua è una indicazione
che va ben oltre la psicodinamica, il riferimento è di ordine iniziatico. Il buon
Buddha non è da meno quando dice: “L'attenzione è il sentiero che conduce
all'immortalità, la disattenzione è il sentiero della morte”.
8.
Quando un ciclo di civiltà volge verso la fine, è difficile poter giungere a qualcosa
resistendo, contrastando direttamente le forze in moto. La corrente è troppo forte, si
sarebbe travolti. L’essenziale è non lasciarsi impressionare dall’onnipotenza e dal
trionfo apparente delle forze dell’epoca.
Julius Evola – ‘Cavalcare la Tigre’
9.
Il cielo non si è chiuso.
10.
La realtà ordinaria che conosciamo può essere contraddistinta da due fattori: il
movimento e la persistenza nel tempo.
11.
Il portamento di Scandurra è centrato sulla verticale psichica che regge tutta la
persona, eretto e abbandonato insieme, riposante perfettamente in se stesso.
12.
DES CHRISTEN HERZ AUF ROSEN GEHT | WENNS MITTEN UNTERM KREUZE
STEHT. [Il cuore del cristiano riposa sulle rose, quando sta esattamente sotto la
croce] Motto di Martin Lutero.
13.
UNA BREVE RIFLESSIONE SUL MITO E NOSTRO FUOCO SEGRETO
da Galeno68
Annoto questi appunti attingendo alla bisogna, nel fondo pozzo delle consolazioni
di un avvenire ulteriore, che le storie e favole della nostra Tradizione nell’allegoria
nascondono.
Indizio inequivocabile della consumazione dei tempi, è anche il solo fatto che noi
virtualmente qui ci ritroviamo, ad annotare pensieri altrui misti a personali
riflessioni destinate in massima parte a non essere nemmeno lette per la
scomodità e disumanità intrinseca del supporto di cui ci avvaliamo, che pure, in
definitiva, omologa e livella ogni riflessione a pura aneddotica. Il potere sminuente
della macchina o della sua incapacità consolatoria delle interiori afflizioni umane.
Ma davvero trovo anche utile trascrivere quanto segue: Boccaccio nella sua
Genealogie Deorum, rammenta che allegoria deriva da "allon" = alieno, estraneo,
dove il significato letterale è solo la scorza che riveste più profondi contenuti. Del
pari nell’albero la corteccia…la corteccia, preserva l’interno della pianta, dove nel
suo centro scorre la linfa, il nutrimento utile ad ogni sua parte.
Per esempio, determinate considerazioni che si ricavano da letture o esperienze
sperimentate in prima persona, ma d'altronde la stessa lettura, se intimamente
vissuta, non è forse essa stessa un esperienza dell’anima? Insomma, ciò che
intendo dire è che la mia ossessione preminente, riguarda la sostanza di un canto
inudibile, epperciò astratto, ma che pure per propagarsi e trovare verità,
necessariamente deve rimbalzare sui volumi delle cose: ecco dunque la sostanza,
il valore indicibile dell’ispirazione.
Se diamo ascolto e veridicità alle parole di Omero, Virgilio, Apollonio Rodio e ai
maggiori poeti dell’antichità il cui messaggio s’è propagato fino ai margini estremi
del Rinascimento italiano, (ma si dovrebbe dire Italico) se diamo loro ascolto si
comprende che solo profondamente ispirati noi comunichiamo con gli Dèi. Gli Dèi
accolgono grati i nostri slanci lirici e solo per questi l’Universo realizza la sua più
intima essenza, la misteriosa forza cantata nelle Metamorfosi da Ovidio.
L’ispirazione è proprio quel fuoco segreto che da senso più vero al nostro Atanòr,
perché l’Alchimia e dunque l’Arte e dunque la Poesia, non derivarono dallo
strumento solo materiale dell’intelligenza. Leggevo uno studio del prof. Catinella,
dov’è scritto che Clemente Alessandrino fa derivare la parola Mito dalla greca
Metos che è seme, granello, sicché ogni mito o favola antica reca in sé il seme
occulto, che una volta deposto nelle profondità dell’animo, assieme a questo
genera il Nume che diverremo…sempre ammesso, che saremo capaci di prenderci
cura del virgulto segreto che nel fondo della coscienza lentamente matura.
Il primo divieto, che i Misteri antichi indicavano all’iniziato, era quello di non porre
fine alla propria esistenza prima che questa, da sola, fosse naturalmente giunta al
termine dei suoi giorni, poiché ogni momento che ci rimane da vivere, è utile a
sviluppare tale segreta essenza che in noi dimora.
Mistero: senso di una cosa superiore all’intelligenza – verità celata sotto finzione –
Mysterium è spiegato dal glossario latino come secretum sacrum. Cristo disse:
molti i chiamati e pochi gli eletti…lo stesso, a Eleusi, assai prima, vigeva il detto
che molti erano i portatori di tirso, ma pochi sarebbero divenuti Baccòi…a
significare dell’estrema difficoltà che intercorre dal momento in cui il seme è
deposto, alla formazione della coscienza numinosa.
Sostanzialmente, i Miti originari della creazione, credo originano dalla necessità di
rivelare l’eminente verità universale attraverso una modalità che lungo il corso dei
millenni non avrebbe alterato il proprio valore e che al contempo, potesse offrire
più chiavi interpretative a secondo della capacità d’intendimento di quanti vi si
accostassero.
Se accettiamo l’idea che prima dell’ultimo diluvio, vi fosse l’esistenza di una Civiltà
evoluta, (ormai le prove vi sono e numerose) questa necessariamente doveva
riferirsi ai medesimi valori d’amore e d’ingegno e, per quanto lo stravolgimento
epocale in quei tempi remoti possa aver sommerso l'ispirazione originaria…penso
agli immensi stravolgimenti cosmici narrati nelle favole di Fetonte o alla stessa
guerra combattuta da Giove contro i Titani…comunque, i semi immortali, una volta
trascorso un periodo indefinito di oscuramento, poterono nuovamente assorbire
quel tepore riposto nell’apparente vuoto cosmico, che ravvivò - ravvivò in sé - come
recondita necessità, un ulteriore significato della vita, un ulteriore avanzamento
della vita stessa al di la di sé, attraverso l’imperscrutabile necessità dell’ispirazione
(avrei dovuto scrivere ISPIRAZIONE) appunto, i Miti…la loro abissale commozione
riecheggiante nella vastità universale, il loro senso appena soffiato o trasportato da
inquieti venti siderali, che in tempi di cui non si può avere nozione, ravvivarono il
seme invisibile che relega l’essere al nulla e che, in un certo senso, è come
deposto nel grembo della Conoscenza. Questo, "il seme dei metalli" degli
alchimisti medievali, il lievito primordiale.
L’estrema complessità di calcoli calendariali cosmici, la profonda struttura della
materia, è adombrata nell’allegoria mitologica, dove nelle alterne vicissitudini dei
suoi protagonisti divini, nella loro inconoscibile sostanza, la struttura del
messaggio, riguarda essenzialmente la verità di un campo energetico che connette
tutta la realtà universale…non a caso a Dodona, nel tempio arcaico della Dea,
anteriore a quello di Delfi, pendevano dal soffitto un gran numero di campane
bronzee, che significavano proprio il valore di tale realtà diffusiva e intimo legame
del tutto con il tutto, in ogni sua parte…dove una campana il vento muoveva e
cento risuonavano.
Dione-Dodo = Colei che dona, che dona per amore…il più elevato prestigio del
senso mitologico...intimamente congiunta alla figura di Giove (androginia arcaica)
che a Dodona era chiamato Naios – dio delle sorgenti.
Quest’immensità energetica, è contenitore e ponte delle più elevate percezioni
metafisiche. I primi rivelatori della divinità, furono i poeti, che erano sciamani
estatici…i Miti, c’informano della possibilità di interagire con la vastità universale
esclusivamente mediante il linguaggio delle emozioni, per quanto esse siano
temperate sul maglio della ragione. Non per semplice sentimento di vaghezza, il
lirismo è presente nel carattere degli dèi, e che essi nell’uomo lo ricercano e
l’ammirano: poiché attraverso l’ispirazione noi presagiamo l’immortalità.
14.
LA SAGA DI HOLGER
Holger Carlsen era sdraiato sulla spiaggia pietrosa e sparava, sparava, con la
Luger che gli bruciava in mano. Dalla strada piovevano le raffiche dei mitra nemici,
sempre più nutrite, sempre più vicine. Le acque del Sund (Öre Sund: è lo stretto fra
la Danimarca e la Svezia. Sulla sua sponda occidentale, danese, sorge Helsingör,
con il castello di Kronborg, dove Shakespeare ha ambientato il suo Amleto, su
quella orientale la città svedese di Hälsingborg) battevano sulle rocce, indifferenti,
indifferenti brillavano le stelle e, al di là del mare, baluginavano le luci tranquille
della costa svedese. Holger continuava a sparare. Non sapeva se ce l'avrebbe
fatta, non sapeva se i suoi compagni sarebbero riusciti, con lui, a condurre a
termine la missione. Sapeva soltanto che si trattava di un'operazione
importantissima, forse decisiva per le sorti del conflitto: trasportare al di là del Sund,
in Svezia, un personaggio di cui ignorava tutto, identità, professione, scopi.
«Udì un miagolìo di pallottole intorno al capo, l'urlo di un uomo che, colpito al petto,
tossiva sangue. Holger prese ancora la mira, tornò a sparare. Poi tutto il suo
mondo esplose in una fiammata e fu il buio».
Si svegliò, ed era giorno. Una pallottola lo aveva colpito di striscio al capo, ma non
era più sulla spiaggia. Si alzò nel cuore di una foresta sconosciuta, dagli alberi
immensi, annosi, coperti di muschio. Una foresta vergine in Danimarca? No, non
poteva esistere, come non sarebbe potuto logicamente esistere tutto quanto
doveva scoprire subito dopo: un gigantesco cavallo nero bardato d'argento, una
lancia, una daga, un elmo, un'armatura, una spada e uno scudo. E sullo scudo
spiccavano, in campo d'oro, tre cuori rossi e tre leoni azzurri. Così hanno inizio le
tumultuose peripezie di Holger Carlsen, sbalzato di colpo da un incantesimo dalla
Danimarca occupata dai nazisti, contro cui combatteva, in pieno medioevo, nel
mondo delle saghe carolinge, dove sta scatenandosi un altro tremendo conflitto
che opporrà le forze della Luce a quelle del Caos e del cui esito egli è chiamato
dal destino a decidere, come lo fu, inconsciamente, sulle sponde del Sund. Eventi
che egli aveva creduto vivi soltanto nella sfera delle antiche Chansons de Geste lo
attendono, con personaggi altrettanto fiabeschi: la strega Gert, il nano Hugi, il
viscido Alfric, duca del Mondo Fatato, draghi volanti, unicorni, esseri mostruosi, la
splendida e perfida Fata Morgana, la candida, bellissima Alianora, la Vergine-
Cigno. L'eroe vivrà sino in fondo la sua straordinaria avventura, riuscirà a dare la
vittoria ai buoni ed a rituffarsi nel nostro mondo e nella nostra era, che non è forse
la sua. Vagherà poi, infatti, alla ricerca di testi antichi e di libri modernissimi, di
trattati di magia e di volumi sulle più recenti speculazioni matematiche, sulle
probabilità, sul caso, sulle possibilità alterne. Perché l'amore per la Vergine-Cigno
lo richiama «laggiù».
«Ormai non lo vedo da tempo», conclude l'autore della storia, «e da tempo non ho
sue notizie. Talvolta mi chiedo se sia tornato dalla sua Alianora... e spero che sia
riuscito a farlo».
L'autore è Poul Anderson, la storia s'intitola «Tre cuori e tre leoni»: è una bella,
poetica versione in chiave di fantascienza della saga di Holger Danske, Ogier le
Danois per i francesi, fratello di Alda, la moglie di Orlando. La leggenda vuole che
dorma sotto una delle possenti torri del castello di Kronborg, pronto a ridestarsi ed
a brandire la sua invincibile spada Cortana ogni volta che la Danimarca e la
Francia si trovino in pericolo.
Leggenda a parte, Anderson sembra aver fatto compiere al nostro eroe un viaggio
nel tempo e si appoggia, per questa sua escursione letteraria, ad alcune teorie
delineate nel finale. Ma è davvero possibile viaggiare nel tempo?
(Peter Kolosimo - Viaggiatori del tempo)
. . .
Darest Sharma 3
Usciti da una specie di sottobosco abbastanza intrigato, si presentò ai nostri occhi
un panorama grandioso. I quattro avamposti di osservazione erano davanti a noi:
pinnacoli altissimi brunati, piantati nel bel mezzo di una vasta tavola pianeggiante
verdeoro, circondata da montagne azzurre. Erano i vertici che formavano un
perfetto quadrato ideale, esteso come dieci campi di calcio (parametro da me usato
spesso). Sulla punta avevano un faro rivolto verso il cielo, si piegavano un po' al
vertice, a mò di ferro di prua della gondola veneziana. Raggiungevano un'altezza
di due chilometri, mi assicurò Scandurra. Gli domandai se erano fari o radar o che
altro.
“Il problema è che Deya non ha limiti”, disse sibillino il maestro e continuò, “la città
assume il dominio di tutto. Ora accucciati dietro questa fratta. Aspettiamoli qui.
Meglio assicurarsi una copertura. Come nella campagna viterbese, potremmo
imbatterci in qualche canaccio randagio. Sai, c'è sempre un bastardo pronto a
mozzicarti”.
Così feci. Mi abbassai il più possibile. Il discorso sul canaccio mi mise in una certa
apprensione, che poi svanì. Quello strano tramonto che durava la notte intera,
rendeva il paesaggio magico come in un quadro di Rembrandt. La temperatura era
mite, sebbene ogni tanto un venticello freddo si faceva sentire dietro le spalle.
Ripensavo alla missione. Scandurra, evidentemente aveva colto qualcosa che mi
rendeva pensieroso, anche se ad intermittenza.
“Se manovri dentro di te, manovri quello che è fuori di te. La realtà, meglio, la verità
per essere compresa deve essere sperimentata. La parola scritta, la fede senza
esperienza, non salva. Il mondo è in perenne fecondazione. Il mondo è pancia e
cervello. Senti le cose che ti circondano dentro il tuo ventre, se esse invece ti
invadono la mente falle scendere in basso”.
Il mondo è pancia. Le parole di Scandurra avevano una forza speciale, anche
quando mi ripeteva le stesse istruzioni, esse possedevano potenza, profondità. Mi
risuonavano dentro come nuove. Nel frattempo, il maestro come se niente fosse si
accese una sigaretta delle sue, nazionali senza filtro. L'odore caratteristico mi
rammentò la bottega di frutta e verdura di Viterbo. Raccolse una pianticella
dappresso, se la rimirò e recitò una preghiera, un mantra, una parola di
ringraziamento.
“Questa è buona in padella con la frittata. Vediamo se ne troviamo altre”.
Mi misi a cercarle insieme a lui. Non riuscii a trattenere una risata. Stavamo in
attesa degli amici per chissà quale misteriosa e difficile missione su di un pianeta
situato in un altro universo, e il maestro ed io raccoglievamo cicoria. Non c'è che
dire, ogni occasione è buona. Per il maestro, se il corpo è lo specchio del divino, la
bocca è il fornetto del mondo, dove ogni elemento della terra viene trasformato.
Mangiando, o ci innalziamo o cadiamo nella materialità animale. L'alchimista
trasmuta ogni cosa in energia cosmica. Le esperienze scandurriane ci hanno
permesso l'allargamento della coscienza, la consapevolezza che in ogni momento
possiamo trasformare la materia e portarla alla sua luce originaria. Il bene è ciò
che estende la coscienza; il male è ciò che la restringe, la nasconde nella tenebra
della negazione. Così ogni cosa che facciamo diventa rito, mito, simbolo,
immensità. Ogni nostro gesto libero dall'io può cambiare il mondo, risanandolo. Ci
ha insegnato ad utilizzare l'energia degli avi, il lumen. Il morbo che l'Ombra sparge
per l'universo è l'anti-lumen, ci cristallizza, ci restringe, imprigionando il vivente
nelle celle antibiotiche. Scandurra ci dice anche di non personalizzare il lumen,
che altro non ci chiede se non di essere riconosciuto e quindi innalzato. Meditando
– quella consapevolezza cosmica straniera all'io – risuoniamo con l'Universo.
Meditando troviamo le sostanze trasmutatrici, le spolette interdimensionali. Una
nuova visione, ci permette di interagire col tutto. Meditare per Scandurra, è ritrovare
l'originaria coscienza numinosa, senza divisioni, facendo scaturire dai mondi
interiori il suono-parola, il seme del mondo. Dobbiamo però piantarla di parlare
con noi stessi, di lamentarci. Il suono-parola è preghiera. Così, ogni nostra parola
diventa chimica del cervello, consapevolezza della carne, meditazione appunto.
Scandurra rispecchia un modo ideale di relazionarsi al mondo naturale. Non nel
senso di quei movimenti politici come i Verdi, ma in un senso magico. È un artista,
ma anche scienziato e mistico amante della Natura: ama in modo intenso e intimo,
gli alberi e i fiori, le colline e i fiumi, i venti e i suoni della terra, di cui si prende cura,
che celebra e cerca di preservare la loro magia. Lui, ultimo dei maghi atlantidei,
reincanta il mondo lavorando all'orticello di casa. Riflettevo su quel tipo tutto ricurvo
che palpava il terreno. Viaggiava per dimensioni e, a quanto diceva la bellona, era
un eroe in quell'angolo di cosmo; sapeva cose, possedeva poteri, come pochi ed
era al tempo stesso di una semplicità unica. Mi tornò in mente la questione del
cane bastardo.
“Come facciamo a sentirlo se si avvicina?”
“Se siedi sulla merda, prima o poi puzzerai”, fu la risposta di Scandurra.
“Allora c'è un pericolo effettivo. Ci seguono?”
Scandurra mi fece segno di star zitto. Toccò col palmo della mano sinistra il terreno
vicino ad un arbusto verdeviola. Lo compresse, o almeno così sembrava. Ebbi
come un giramento di testa, vidi le cose intorno a me girarmi velocemente, poi, si
distorsero come uno schermo televisivo quando la valvola disfunziona. Si fece
scuro ma non proprio buio. Una nebbia rossa ci avvolse. Le distanze cambiarono,
perché tutto il paesaggio sembrava più piccolo, in scala. Oppure eravamo diventati
dei giganti. Una manciata di secondi, poi tutto ritornò al suo posto.
“Cos'è successo?”
“Ho dischiuso per un attimo il sottomondo”.
“Cioè?”
“C'è un sopra e un sotto in tutte le cose. Una sbirciatina può tornarci utile. Si stirano
le lenzuola quando si piegano”.
Rinunciai a chiedere ulteriori delucidazioni, perché un rumore, o meglio, un sibilo
proveniente dal sottobosco dietro di noi si avvicinava. Alzammo la testa e
vedemmo un'astronave gigante, grigiorossa di forma piramidale, passarci sopra a
non più di … insomma un po' più in alto dei pinnacoli. Si fermò proprio sulla nostra
verticale.
“E adesso?”
“Eccoli, così ci risparmiano la faticaccia di ritornare al castello a piedi”.
“Ma chi sono, i cattivi?”
“Non ci amano, però non possiamo pretendere di essere simpatici a tutti? Che
dici?”
Quelli di Darest Sharma ci avevano trovati. Scandurra non sembrava minimamente
preoccupato. Non so se gestisse mirabilmente le emozioni, oppure la questione
proprio non gli faceva né caldo né freddo. Eravamo in missione, me lo ripetevo per
mantenere un minimo di concentrazione.
“Non essergli ostile. È gente strana, ma tu lascia irradiarti dal Lumen. Catturalo,
concentralo e amplificalo, distribuiscilo internamente e espandilo all'esterno. Fa'
questo, solo questo. Vedi, Angelo, ti ho portato a zero per ricostruire dalle tue
stesse macerie. Solo così si innesta il Bagliore. Non c'hai più vibrazioni del ricordo,
memorie ataviche che possano diventar terreno di influenza per gli ostacolatori.
Qui non si tratta di una guerra muscolare, ma magica, si lotta nel sottomondo. È
determinante come sei messo dentro di te”.
Dall'astropiramide partì e ci venne incontro una navicella per prelevarci, o almeno
quella doveva essere la sua funzione. Mi venne istintivo appoggiarmi alla spalla di
Scandurra. Una inquietudine mi prese forte. Ebbi pure timore per il maestro e fu la
prima volta che lo provai.
giovedì 17 marzo 2011
IUS 36
. . .
1.
[…] l'anima, in complesso, tripartita, fatta di ragione, aggressività e appetizione.
Virtù della ragione è la saggezza; dell'aggressività il coraggio; dell'appetizione la
moderazione; e dell'anima nel suo complesso la giustizia. [...]Quando le cose
vanno in questo modo, la vita diventa giusta.
[…] Anche le costituzioni politiche sorgono in conformità con la tripartizione
dell'anima. Infatti i governanti assomigliano alla ragione, i guerrieri all'aggressività,
e le masse alle appetizioni. Sorge regalità là dove tutto va secondo ragione, e
comandi in assoluto il migliore; dove, invece si segua ragione non disgiunta da
aggressività, e comandi più di uno, si instaura aristocrazia; mentre la forma in cui si
governa sotto la guida delle appetizioni, e gli onori vanno assieme alle cifre di
danaro, ha per nome timocrazia.
("De diis et Mundo" di Salustio, Ed. Adelphi)
2.
Di qualunque cosa si tratti, non la conosciamo. Ma tu conosci i particolari, lo
schema dei circuiti? Non rispondere a voce alta, basta il pensiero, è un sistema più
rapido e il tempo conta... Cerca di ricordare... sì, hai visto gli schemi e i valori...
l’equazione. Tu non li conosci coscientemente, ma essi sono nel tuo subconscio,
credo che potrei farli venire alla luce sottoponendoti a una leggera ipnosi. Accetti di
sottoporti all’esperimento?. (L'ASSURDO UNIVERSO di Fredric Brown)
3.
Il mondo spirituale, invisibile, non è in qualche luogo lontano, ma ci circonda; e noi
siamo come nel fondo dell’oceano, siamo sommersi nell’oceano di luce, eppure
per la scarsa abitudine, per l’immaturità dell’occhio spirituale non notiamo questo
regno di luce, nemmeno ne sospettiamo la presenza, e soltanto con il cuore
indistintamente percepiamo il carattere generale delle correnti spirituali che si
muovono attorno a noi. Quando il Cristo sanò il cieco dalla nascita, questi
dapprima vide la gente intorno come alberi: tale è il primo delinearsi delle cose
celesti. Ma noi non vediamo gli angeli trascorrenti come alberi e nemmeno come
ombre di ali lontane interposte fra noi e il sole, anche se i più sensitivi talvolta
colgono i battiti possenti di ali angeliche; questi battiti si percepiscono appena,
come il più delicato dei soffi. (Pavel Florenskij)
4.
La filosofia non potrà produrre nessuna immediata modificazione dello stato
attuale del mondo. E questo non vale soltanto per la filosofia, ma anche per tutto
ciò che è mera intrapresa umana. Ormai solo un Dio ci può salvare.
(Martin Heidegger, Ormai solo un dio ci può salvare, Guanda, 1987, p.136)
5.
Non si distruggerà mai il sistema con una rivoluzione diretta, dialettica,
dell’infrastruttura economica o politica. … Non lo si vincerà mai secondo la sua
stessa logica, quella dell’energia, del calcolo, della ragione e della rivoluzione,
quella della storia e del potere,quella di qualsivoglia finalità o controfinalità: a
questo livello la peggiore violenza non ha presa e si rivolge contro se stessa. Non
si vincerà mai il sistema sul piano reale.
Ciò che occorre fare è dunque spostare tutto nella sfera del simbolico, dove la
legge è quella della sfida, della reversione, del rilancio. Tale che alla morte non si
può rispondere che con una morte uguale o superiore. … Se la dominazione
proviene dal fatto che il sistema detiene l’esclusiva del dono senza contro-dono
(dono del lavoro al quale si può rispondere soltanto con la distruzione o il
sacrificio, se non nel consumo che non è che una spirale di più della
dominazione…), allora l’unica soluzione è di ritorcere contro il sistema il principio
stesso del suo potere: l’impossibilità di risposta e di ritorsione. Sfidare il sistema
con un dono al quale non possa rispondere, se non con la propria morte e il
proprio crollo. Perché nulla, nemmeno il sistema, sfugge all’obbligazione
simbolica, ed è in questa trappola che sta l’unica possibilità della sua catastrofe. …
Bisogna che il sistema stesso si suicidi in risposta alla sfida moltiplicata della morte
e del suicidio.
(Jean Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte)
6.
Forse conservando e restaurando - attività gradita a un numero crescente di adepti
- anche l'anima tornerà a splendere nei suoi colori originari. (Fausto
Gianfranceschi)
7.
LETTERA DI GUSTAV MEYRINK AL SIGNOR OLDRICH NEUBERT
da “La casa dell’Alchimista”, edizioni I libri del Graal
Gustav Meyrink
Al Signor Oldrich Neubert
Smichow-Hrebenka 29
(tel. 492-79)
25/07/1932
Mio caro amico,
ho ritrovato mio figlio e mi sono ricongiunto con lui. Ma questa ricongiunzione è
totalmente differente da come me l’ero rappresentata. Se qualcuno mi avesse
detto, tempo fa, che le cose sarebbero andate così e così, ne sarei stato molto
rattristato, nella mia cecità terrena, pensando che questa fosse una ben modesta
consolazione. Ma in realtà è qualcosa di grandioso, da far sembrare, a chi lo
sperimenta, che debba scoppiare il cuore da un momento all’altro. Non riesco, qui
sulla carta, a metter giù i pensieri con ordine: sono costretto a scrivere senza una
vera coerenza.
Ma voglio mettere per iscritto tutto, anche se alla rinfusa, affinché ti possa giungere
un suggerimento interiore sul modo - uguale o simile - di metterti in contatto con la
tua amata compagna. Non posso affermare che mi sia stato comunicato, dall’aldilà,
con parole cosa dovessi fare, bensì è scesa su di me come una coscienza propria
che diveniva sempre più desta, una coscienza che ho posseduto da millenni ma
che avevo dimenticato. Dapprima mi destai, nel cuore della notte, e mi parve di
dover bere un bicchier d’acqua. Non avevo affatto sete, eppure era proprio sete,
ma differente da come comunemente la si prova. Bevvi un bicchier d’acqua, ma mi
ci dovetti costringere, poiché non mi piaceva affatto. Allora ne fui d’un tratto
conscio: mio figlio ha sete ed io bevo al suo posto! Così mi fu improvvisamente
chiaro che si stava instaurando nient’altro se non un rapporto con lui! Le particelle
elementari che si distaccano dal suo cadavere e che erano scomparse insieme a
lui quali parti costitutive della vita, esse hanno sete, non è lui ad aver sete! Il
mattino seguente seppi, d’improvviso, che dovevo indossare il suo cappello, così
come nel Golem Pernath si mette il cappello dell’altro. Lo feci pensando: ora sono,
in un certo senso, mio figlio, e lui è me. Al tempo stesso intuii la chiave
fondamentale di cui si ha bisogno per giungere ad un rapporto autentico con i
morti: deve esserci un motivo giusto! La nostra nostalgia umana di rincontrare i
morti e di star in loro compagnia non è sufficientemente pura e altruista perché la
nostra implorazione venga ascoltata; infatti il mondo spirituale esaudisce solo un
desiderio, la cui realizzazione ci sia veramente utile spiritualmente. Perciò tal
motivo deve essere: io devo aiutare il defunto. Non lui deve aiutare me, no, io
voglio e devo aiutare lui. Ma in che modo posso aiutarlo, mi sono domandato
perplesso, non riesco a capire come fare. Non è necessario che tu lo capisca, è
stata la risposta: è sufficiente il tuo puro ed ardente desiderio di aiutare; in verità lui
non ha affatto bisogno del tuo aiuto, eppure tu devi dirigere tali pensieri verso di lui,
pensieri di aiuto, dato che altri pensieri non possono raggiungerlo. Da quel
momento non ho pensato né fatto nient’altro. Il resto è venuto da sé. È
sopraggiunta poi, d’un tratto, una impetuosa ispirazione: implora, con tutto il fervore
possibile, ISIDE, la madre divina, la Madre degli Dèi degli Egizi, della quale si dice
che non è soggetta a legge alcuna, terrena o celeste che sia, che non considera né
torto né ragione. Con il suo amore infrange ogni rigida legge, ogni Karma, ogni
cosa. Allora ho rivolto lo sguardo in direzione dell’Egitto ed ho urlato, dentro di me:
Iside, Madre di ogni cosa, fai un miracolo, un miracolo incomprensibile, per mio
figlio, per mia moglie e mia figlia, la sorella di mio figlio! Non voglio sapere come
sarà questo miracolo, e, anche se ne dovessi venir annichilito, non importa, basta
che Tu lo compia, il miracolo. E il prodigio ha avuto presto inizio, ed è ancora
lontano dal cessare; continua sempre. Si è riversato d’un tratto su di me un tale
torrente di sapere e di conoscenza inauditi, da non permettermi più di riconoscere
il me stesso ch’ero ieri. È come se l’uomo ch’ero ieri fosse morto e fosse risorto un
uomo nuovo. Il dolore per mio figlio è scomparso, non ne è rimasta traccia. Se
potessi. solo con un gesto della mano, far sì che non fosse avvenuto tutto ciò che è
stato, la caduta sugli sci e tutto il resto, non lo farei, brucerei piuttosto la mano nel
fuoco. Un infinito senso di felicità del quale prima non supponevo che potesse
esistere una cosa del genere. Così stanno le cose: nel corso della vita sulla Terra,
non si è affatto uniti alle persone che si amano! È come se due bottiglie, l’una
piena di un liquido rosso e l’altra, diciamo, di uno blu, stessero accanto, vicine.
Quei due liquidi non potranno mai mischiarsi, ne saranno sempre impediti dal vetro
delle bottiglie che li separano l’uno dall’altro. Solo dopo la morte i due liquidi si
possono unire e diventare così di un colore solo: nel caso dell’esempio (che
naturalmente è solo un esempio scadente), da rosso e blu risulterebbe il viola.
Questo divenir uno, nel mio caso non è necessario che sia qualcosa di continuo,
né lo desidererei, poiché quando viene la nostalgia e noi diventiamo d’improvviso
un essere solo, è molto più beatificante, il sentimento che mio figlio è di là ed io
sono di qua.
Non sono in grado di descriverti con le parole quanto tutto ciò colmi di gioia, ma ti
auguro, di tutto cuore, che tu possa sperimentarlo lo stesso. Ad udire solo vuote
parole, si pensa: ah, è troppo poco. Se però lo si sperimenta, ci si accorge di
quanto sino a quel momento si fosse stati ciechi, sordi e muti.
Anche il mondo esteriore sembra mutato, è come se lo vedessi d’un tratto per la
prima volta. Ogni foglia, ogni albero e ogni animale mi appaiono nuovi. È come se,
d’improvviso, io stesso fossi fresco e giovane come un fanciullo e contemplassi la
natura con gli occhi di un bimbo felice. Si dimentica, con il passare degli anni,
come si è visto il mondo da bambini e come si è gioito a giocare e a rallegrarsi.
Sono veramente stupito di come tutto ciò è ritornato dagli anni dell’infanzia. Ho
dimenticato, poi, di dire che quando iniziai a mettere il cappello di mio figlio - per
stabilire, in un certo senso, un contatto magnetico - mi immaginavo sempre,
quando mangiavo o bevevo o fumavo: lui, - mio figlio, - mangia e beve adesso con
la mia bocca, io gli presto la bocca, gli occhi, il corpo e così via.
Mi è accaduto talvolta, in modo affatto straordinario, di aver d’improvviso desiderio
di bevande o di cibi che personalmente non mi piacciono. Mi rammentavo, allora,
che a mio figlio, quand’era vivo, piacevano particolarmente. È singolare anche che
nella notte del 12 luglio, nella notte in cui mio figlio si è ucciso, mi abbandonarono
d’un tratto gli atroci dolori tra le spalle che sino a quel momento mi avevano
tormentato ininterrottamente per oltre un mese; mi destai al mattino quasi
completamente guarito! Mentre era ancora in clinica mio figlio soffrì orrendamente
degli stessi dolori nello stesso punto. Allora gli presi la mano e mi concentrai allo
scopo di farli cessare. Poco dopo gli erano passati ed erano venuti a me al suo
posto. Più tardi, quando era già morto ed io cercavo un contatto con lui mi colpì la
riflessione: questo ricongiungermi con lui è un processo analogo a quello della
cosiddetta trasfigurazione medianica, solo che è molto superiore. In quanto la
trasfigurazione medianica fa prendere al medium per alcuni momenti persino la
forma corporea del defunto, ma senza che ci sia coscienza di quanto si fa, essendo
in stato di trance, mentre io mi trasformavo interiormente in mio figlio, restando
desto e cosciente e raggiungendo ogni volta una perfezione sempre maggiore. So
che sarà sempre più bello e in un modo in cui oggi non sono in grado naturalmente
di farmi immagine alcuna. Io penso quindi che tu dovresti fare, con tua moglie,
analogamente a come io ho fatto con mio figlio. Rivolgi il tuo amore e la tua
speranza alla Madre Universale Iside, e Lei ti aiuterà. Tua moglie era l’amore e la
bontà personificate; è quindi una brava figlia di Iside e la Madre Iside verrà in
soccorso, in qualche modo incomprensibile, tuo e di sua figlia. In un modo
inconcepibile, del quale non ti devi fare alcuna immagine, dato che l’avvenimento
è molto al di là di ciò che un uomo è in grado di immaginare. Soprattutto ti deve
spingere il desiderio: devi aiutare tua moglie, anche se lei non ne ha affatto
bisogno. In questo modo tu ti avvicini a lei, anche se non spazialmente. In realtà,
non esiste né uno spazio né una distanza, queste sono solo suggestioni e cecità
terrene. I defunti sono proprio qui, dove siamo noi, sono soltanto le loro oscillazioni
che sono differenti dalle nostre a farci credere di essere separati da loro
spazialmente. Se le oscillazioni diventano uguali allora ci ricongiungiamo a loro. In
mia figlia, - sebbene io non abbia parlato con lei a proposito di mio figlio - si è già
manifestata la stessa mia condizione. Ieri sera mi ha detto: Non so che mi è
accaduto, da un momento all’altro, mi sento d’improvviso così infinitamente felice,
come non mi era mai capitato in tutta la mia vita. Non provo più sofferenza per lui e
sono così lieta che sia morto... ho terrore di me stessa, che la cosa suona come
una mostruosa mancanza di sensibilità. Era presente mio genero che impallidì di
orrore: temeva naturalmente che mia figlia fosse impazzita. Mi venne di pensare a
quel passo del Golem, in cui il Rabbino Hillel ride lentamente sulla morte della sua
amata sposa e al brano dello spostamento dei lumi in Lazarus Eidotter nella Faccia
Verde. Mi chiedo soltanto: come potevo allora, quando ho scritto questi due
romanzi, sapere che esiste qualcosa del genere?
Si deve sempre aver davanti agli occhi questo: la vita sulla Terra è come una
condanna alla reclusione: e invece di rallegrarsi di cuore quando uno vien fuori di
prigione e ritorna alla libertà di cui si era nel frattempo del tutto dimenticato, si
piange e ci si dispera. L’uomo si è proprio del tutto rovesciato? Quel che ho vissuto
è naturalmente ancora ben poco in confronto a ciò che seguirà, ne sono certo. Stai
tranquillo, mio caro amico, ti scriverò subito non appena avrò qualcosa con cui
poterti aiutare e star vicino.
Ti auguro di tutto cuore di essere al più presto felice come sono io!
Per quel che riguarda mia moglie il miracolo è imminente. Va detto che sino ad ora
lei è rimasta calma, ma la cosa grande deve ancora aver luogo. Ho l’impressione
che in lei sarà qualcosa di affatto speciale.
Tuo
Gustav Meyrink
8.
Viva è ancora nella memoria, come certi incubi della fanciullezza, l'impressione
della mia prima visita al tempio di Kali a Calcutta. S'entrava per sdruccioli angusti e
lerci in uno spazio, non molto capace, pavimentato con lastre di pietra logore e mal
connesse: nel centro, legato ad un palo, un caprone presagiva, lamentando, il
sacrificio imminente: sparso intorno nereggiava ed imputridiva al sole il sangue
delle vittime che lo avevano preceduto. Sullo sfondo, la cappella, costruita sopra
un basamento massiccio, spalancava la bocca della porta alta e stretta alla quale
conducevano pochi gradini di pietra: pellegrini e fedeli salivano raccolti, si
prostravano di fronte all'immagine che s'intravedeva nella cella e quindi, tenendo
per devozione alla propria destra l'edificio, scendevano frettolosi per la scala del
lato opposto. Mi insinuai anche io tra la folla e l'alito delle bocche contaminava la
mia faccia e le carni nude e sudate s'appiccicavano ai miei vestiti; quasi trascinato
da quel gorgo mi trovai sulla soglia della cappella. Entrare chi non fosse brahmino
non poteva. Soffermatomi sul limitare scorsi la mole nera dell'immagine prendere a
poco a poco precisione di contorni, a mano a mano che l'occhio si abituava
all'oscurità: protesa dalla bocca enorme e zannuta, la lingua triangolare lambiva il
sangue sugli squarci di un cadavere che la dea serrava nella stretta delle mani
adunche: ma le braccia non erano soltanto due: altre ancora apparivano sulle
spalle potenti e tutte brandivano strumenti di morte.
(Giuseppe Tucci, Il paese delle donne dai molti mariti - Neri Pozza - Il cammello
battriano 2005)
9.
Chi vuole osservare gli uccelli non li deve inseguire; deve appostarsi rimanendo
cortesemente in silenzio. Allora si avvicinano spontaneamente. con questa
intenzione mi sono scelto un terreno pieno di mandorli in fiore, circondato da un
boschetto di acacie. Dal piumaggio bipennato del fogliame svettava una pallida
nidiata di lunghissimi aculei. E' un paradiso per le averle e gli uccelli di macchia e
di nido. Altre specie volatili sfrecciavano tra le chiome degli alberi. Mentre, seduto
como su una pietra in pieno sole, seguivo lo spettacolo, vidi passare lì vicino un
gregge di pecore. I campanelli tintinnavano; polvere sospinta dal vento veniva dal
pendio già arido. Le bestie avevano strette e come intagliate le teste, e le loro
orecchie pendenti le coprivano in parte come mantelline. A capo del gregge
procedeva il montone conle corna scanalate e ritorte. Il pastore gli aveva legato sul
davanti un grembiule di pelle, per impedirgli di montare le pecore. Era
un'immagine primordiale, quella delle bestie che passavano oltre accalcandosi,
scampanellanti sulle loro esili zampe. Seguiva una pecora che doveva avere
appena partorito, poiché l'agnellino che essa conduceva non era in grado di tenere
il passo. Era ancora roseo, forse appena nato, e si stringeva addosso alla madre
per avvertirne la presenza quando la toccava con la minuscola coda. Così si
sentiva al sicuro. Di tanto in tanto la madre si fermava e con la testa lo spingeva
accostandolo a sé, stretto al suo corpo. Un quadretto commovente - si, ma anche di
potente forza. Qui si rivela ciò che lega gli atomi e tiene uniti il sole, la luna e i
pianeti. Come cantava lontano, il pastore, mentre passava oltre con il gregge!
Questa è autentica, perenne potenza, e un giorno il pastore sospingerà il gregge
anche sulle nostre città.
(Ernst Junger, Il Contemplatore Solitario.)
. . .
Darest Sharma 4
La navicella aveva forma di conchiglia, grigiastra e grossa come un furgone.
Atterrò di fronte a noi e un portellone si aprì senza rumore. Una ventata di vapore ci
investì, una rampa a scala mobile si allungò verso la nostra direzione, a pochi
centimetri. Fummo prelevati e fatti sedere su poltroncine strette. L'abitacolo era
spartano, non c'erano luci o altro che facesse intendere la presenza di una qualche
strumentazione. Due piloti muniti di casco integrale riportarono la navetta verso
quella 'madre', come? non lo compresi. L'astronave mi apparve immensa vista da
vicino. La piramide volante ci inghiottì da un portale che si era aperto nel frattempo,
posto sotto la base. Una specie di hangar gigante ci accolse. Vi erano
parcheggiate altre navette-conchiglia. Atterrati, si riaprì lo sportellone e un pilota ci
indicò di uscire con un gesto universale fatto con la mano. Mettemmo piede a
bordo e la sensazione fu non proprio di curiosità. Scandurra con gesto automatico
si accese una 'nazionale'. Per lui, ogni situazione sembrava avere la stessa
intensità, cioè bassa. Gli chiesi cosa poteva capitarci.
- Al peggio ci scannano e ci danno in pasto a qualche bestiaccia mezzo umana.
Ma vedrai che cercheranno prima di negoziare. Quello che vogliono fare non
servirà né a loro né a noi. A me stanno a cuore i destini di tanta gente che sulla
terra schiatta per un basso salario... e non viene mai informata su niente.
- Adesso mi fai il comunista...
- Macché, il movimento è fallito. Io in quanto fruttarolo sono per il capitalismo
spinto... eh eh eh. Se la montagna di bugie cadesse addosso ai bugiardi, il popolo
finalmente vedrebbe un po' di luce. Chissà un giorno che non ci riesca di rompere
le scatole ai potenti della terra.
L'aria che si respirava era piena di gas e vapori. Gli occhi mi lacrimarono e
cominciai a tossire.
- Poi mi rompi sempre col fumo... entri dentro una nave che vola e aspiri le peggiori
cose dell'universo. Ma dai, una sigaretta non ha mai ucciso nessuno.
- Se continui a fumare le nazionali, la fine è assicurata.
- Io sono nazionalista. Bisogna aiutare il monopolio, così le tasse le useranno per
fare più ospedali, scuole, bus, strade. Finanzio lo stato.
Il maestro mi sfotteva sempre. Mi chiamava 'socera' per i miei continui appunti.
Ovviamente inascoltati. Aspettammo che qualcuno si facesse vedere. Lì, era
freddino e in penombra. Stavo riacquistando fiducia nel maestro. Niente di brutto
poteva capitarci. Scandurra non voleva che nutrissi sentimenti ostili, con nessuno.
Era difficile, ma era la cosa giusta da fare. A poche decine di metri, un soldato o
comunque un tizio in divisa spuntò non so da dove verso di noi. Aveva le scarpe
gommate evidentemente, non faceva il minimo rumore. Alto non più di me (175cm)
ci si piazzò davanti. Divisa grigionera, portava in testa un basco dello stesso
colore. Carnagione chiara e capelli biondi, non mostrava alcuna emozione.
Sembrava un nazi. Ci indicò con un cenno della testa di seguirlo. Ci
incamminammo in fila indiana, dietro di lui. Aveva un doppio auricolare, di quelli da
noi usati per ascoltare le radioline senza disturbare il prossimo. In questo caso
però, parlottava con qualcuno di là dal filo, senza l'ausilio di un microfono. Mi parve
curiosa la cosa. [E pensare che crediamo noi di aver inventato la tecnologia!] Ad un
certo punto il milite si fermò di colpo e questo mi fece 'storzare' (scattare
d'improvviso). Non aveva emesso un suono, evidentemente queste erano le sue
consegne. Ciò rendeva surreale la cosa, almeno per me. Un sogno, meglio, un
incubo di quelli veridici, lo stavo vivendo, senza comprendere in realtà cosa ci
aspettava e perché volevano parlarci. Scandurra mi toccò la spalla,
improvvisamente. Un pizzicorio si espanse dappertutto, fino ai piedi, facendomi
sentire elettrico.
Ci trovammo sprofondati in un magazzino enorme, quadrangolare, dal soffitto alto
e di metallo scuro, illuminato fiocamente da una fonte invisibile, giallastra.
Assomigliava ad una autorimessa militare, ma non c'erano veicoli, bensì scatole
giganti di ferro accatastate. L'odore era quello tipico di un magazzino, o quasi.
Scandurra ancora una volta mi aveva fatto passare da qualche botola transitoria, di
quelle che conosceva solo lui. Ebbi problemi di respirazione; mi mancava
l'ossigeno; il maestro mi fece il verso di mettere 'a beccuccio' le labbra per
assumere aria sottile, alla maniera di certe pratiche psicofisiche tratte dalle sue
materie oscure.
- Giriamo come uno stornavello [gergale: uccellino particolarmente esagitato e
girandolone]. Gli si intrecceranno gli occhi a quelli di Sharma. Ma di solito a me
piace scegliermi da solo ora data e luogo dell'appuntamento. Ora manderanno
tutta una truppa a cercarci per l'astronave. E quando ci pizzicano?
- Perché allora siamo saliti? Potevamo andarcene con comodo e sarebbero rimasti
a bocca asciutta. Non ci capisco niente.
- Quando si negozia, bisogna avere qualcosa da scambiare. Adesso ci andiamo a
prendere il fusibilone da cui traggono la 'brumba' [energia] per viaggiare. Vedrai. Il
gran capo dovrà cedere qualcosa. Quella merda di morbo nero che stanno
seminando in questo universo e che arriverà pure al nostro, andrà spazzata via.
Che dici? Tanto se ci riusciremo, non ci daranno né medaglie né premi. Io rimarrò
un fruttarolo senza un conto in banca e tu diventerai come me. Sai che culo?
Scandurra con semplici parole descriveva cose dell'altro mondo. Avventure
fantastiche e viaggi tra universi e mondi, sembravano scaramucce tra bande di
quartiere. Per lui l'incredibile era la vita stessa. Il quotidiano era lo straordinario. E
tutto senza superbia, né un pizzico di presunzione. Un santo? No, un uomo che
aiutava il prossimo senza pretendere nulla in cambio. Amava senza possedere. In
quei frangenti lo osservavo intensamente. Volevo bene a quell'uomo. A me e ad
altri aveva donato cose preziose, uniche, senza prezzo, con la stessa semplicità
con cui si regala un fiore di campo.
- Ora aspettami. Faccio un giretto e ritorno con la spoletta. Così li teniamo per le
palle.
Si allontanò con quella sua andatura caracollante, i piedi divergenti. Con una
velocità e agilità insospettate, zigzagò tra pacchi, assi, sbarre e raggiunse una
porta lì vicino e vi sparì dentro. Poi, trovandomi da solo, mi venne in mente che
forse eravamo controllati da qualche televisione a circuito chiuso. Poi, pensai che
Scandurra aveva sicuramente provveduto a neutralizzare qualsiasi occhio
malevolo. Passarono alcuni minuti – tempo di Deya – ed eccolo rispuntare da dove
era partito. Si avvicinò velocemente e mi mostrò una cosa che somigliava ad un
fusibile, solo grande come una bottiglia, che conteneva una luce scoppiettante,
azzurrina, densissima. O meglio, quella luce si trovava al centro del fusibile, come
sospesa.
- Ecco l'arnese che li fa spostare. È una spoletta di quelle gagliarde, è spettacolare.
Viaggiano in questo universo, ma quando gli pare possono attraversare la botola
per fare una visitina al nostro. Insomma, un bel congegno adatto per muoversi con
mezzi di grandi dimensioni. Sai che forza sulla mia 500. Ma poi, il solito vigile
cornuto me la sequestrerebbe perché non omologata. Che ci vuoi fare. Non
conoscono le nuove frontiere della tecnica. L'autorità è sempre retromane
[retrograda, forse voleva dire].
Gli chiesi se quello che aveva in mano fosse il sistema propulsivo dei dischi
volanti.
- Non è una propulsione. È una chiave per scivolare nello spazio attraverso le
botole e per attraversare gli universi. Con questa apri e poi chiudi la porta. È una
spoletta prevista per cosmonavi e pianeti artificiali. Gli ingegneri cosmici c'avevano
una bella capoccia, cosa credi?
Caspita! Avevo a portata di mano il segreto degli u.f.o. . Però, come ogni segreto
che si rispetti me lo dovevo tenere per me. Non poterlo gridare ai quattro venti che
non siamo soli nell'universo; che c'è il modo di passare tra le dimensioni; che
vivono miriadi di altre civiltà sparse un po' ovunque; ecco, sapere, vedere, vivere
queste realtà e mantenere il riserbo. Una bella fregatura.
- Maestro, potrò mai raccontare quanto sto vivendo? Potrò mai dimostrare che
esiste il metodo per viaggiare tra gli universi senza spostarsi?
- Alla vigilia del grande Varco, racconterai tutto o in parte quello che sarà
necessario far sapere. Il problema riguarda l'effetto provocato da quello che farai.
All'inizio, vedrai, ti crederanno in pochi, quelli giusti. Poi, qualche figlio di buona
donna, sospetterà che dietro le tue rivelazioni mirabolanti c'è dell'arrosto ed è
allora che cominceranno le rogne. E di quelle grosse. Ma il grande segreto non è
nella spoletta interdimensionale, nei vascelli fantasma che schizzano da nord a
sud, no, la cosa più preziosa è il lumen. È quello che hai dentro di te e che fa
muovere tutto. Nessuno te lo potrà mai rubare... a meno che tu non lo voglia.
- Mi spaventa comunque. È un compito rognosissimo. Da un lato, lo sai, vorrei tanto
che quanto ho ricevuto gratis sia donato a tutti. Ma non sono uno sciocco. So bene
che certi poteri non possono essere trasmessi senza criterio. Tuttavia mi spaventa.
Ho un fardello pesante e anche se fra trenta anni dovessi essere gagliardo e tosto
come dici sempre tu, mi troverei a dover giustificare, spiegare, esporre cose
scottanti. Ai fetenti al potere, tutto questo roderà.
Scandurra ondeggiò la testa e fece un ghigno dei suoi, come a dire: l'hai voluta la
bicicletta... Poi giocherellò – almeno così mi sembrava - con la spoletta gigante,
muovendola avanti e indietro ritmicamente per un numero determinato di volte, fino
a quando emise un fascio di luce blu che avvertii come vibrazione all'altezza del
plesso solare. Mi prese uno sturbo. Quella cosa rispondeva alle sollecitazioni di
Scandurra, che contraccambiò. Dalla sua pancia fuoriuscì un budello di luce
azzurrina – lo vedevo distintamente - che si congiunse con quello proveniente
dalla spoletta. I due raggi si fusero per poi estinguersi velocemente. L'aria vibrò.
Non avevo le traveggole. Scandurra era in contatto con il cosmo e vibrava con le
potenze operanti.
- Ora, caro Angelo, riporto al suo posto la spolettona. Mi obbedirà come un
cagnolino. Poi andremo dal maestro dell'Ombra. Attento solo di una cosa: lui ti
legge dentro fino alle frattaglie. Sarai di fronte a lui come in un cacatoio pubblico
senza porta.
. . .
USCITA DAL TEMPO
Voglio fare di questo racconto qualche cosa di più. E questo qualche cosa di più è
un'altra uscita fuori del tempo. Le Cronache di Atlantide si svolgono nelle tre
dimensioni che formano o deformano il nostro concetto del tempo: passato,
presente e futuro. Dalla scomparsa del continente atlantideo – e relativo
incurvamento nel muro del Tempo - arriviamo al passato storico in pieno medioevo
templare, fino al '900, dove si allinea e riafferma un vettore di potenza, collegato ai
punti di contatto interdimensionali cosmici. Il secolo scorso ha visto assottigliarsi il
canale temporale, tanto da presentare una sfida inaudita per l'umanità: andare
avanti o scivolare indietro? Avvicinarsi al Varco 2012 o ritornare alla sorgente
maledetta? Se dal punto di vista esoterico ci si convince che il tempo in cui ci
troviamo è la fine di un ciclo, e che niente possiamo contro di lui, nessuna
ribellione è efficace, perché comunque dovremo arrivare fino in fondo al Kali Yuga,
perché scrivere, perché sopravvivere? In alcuni potrebbe subentrare un
pessimismo distruttore, quasi una conclusione logica di fronte alla fine. La
maggioranza diciamo 'realista', non avrebbe nessun sentore di trovarsi ai margini
dell'Apocalisse, potrebbe così incorrere in un risveglio altrettanto distruttore. La
prospettiva del disastro è lo stesso nascosta nell'anima di ogni uomo ed è bene
ricordarlo, non si sfugge. E allora? Colui che sa, che ha coscienza della fine, è
altrettanto consapevole dell'entrata in un nuovo ciclo e diventa un preparatore del
tempo nuovo. Non invito nessuno a seguirmi. Non sono né un politico né un
ideologo. Ho la convinzione però che in epoche agoniche come la nostra, sento
forte il dovere di scuotere le coscienze, di svegliarle dal loro sonno tecnico-
ottimista, di provocare una rottura nell'omogeneità, nel pensiero unico. Intanto
preparo l'accampamento.
SULL'ORLO DEL MONDO
Certo, la scadenza epocale che vede la sua apoteosi nel Varco, mi induce a
pensare in grande, ai destini dei singoli e dei popoli. Il termine di una fase, di un
ciclo della storia dell'umanità, non può concepirsi con le categorie della ragione. Ci
troviamo sull'orlo del mondo, dopo millenni di cammino, dopo spinte e
controspinte, nudi, senza soverchie possibilità di interferire sul nostro destino. Ai
confini dell'Apocalisse ci attende il venir meno di sogno e realtà, divisione e unità,
e tutto ciò ci sarà imposto. La salvezza – ci insegna il maestro - è situata
nell'energia che scaturisce dall'unione dei contrari. Ma la negazione dell'Ombra si
frappone tra i contrari e impedisce il loro matrimonio. La separazione li rende
infetti. Redimere gli opposti, è il lavoro da fare. È alchimia. Il piano è chiaro e
lineare. Contrastare la diffusione del morbo nero e prepararsi ad accogliere gli
esuli, secondo una previsione di Scandurra:
L'ONDA-LUCE CHE GOVERNA LE COSE COMINCERÀ A INDEBOLIRSI GIÀ
DALLA FINE DEL MILLENNIO, COSÌ COME IL GRANDE TEMPO ESAURIRÀ IL
SUO FIUME DI ENERGIA. A QUESTO PUNTO, GLI URANIDI DISCENDERANNO
SULLE ROVINE DELLO SPENTO UNIVERSO PER RIPORTARE L'ORDINE. MA
NON SARANNO BEN ACCOLTI. GLI EMISSARI DELL'OMBRA AVRANNO
ASSORBITO QUASI TUTTA LA LUCE E I POCHI UOMINI RIMASTI INDENNI,
DOVRANNO ASSUMERSI IL COMPITO DI ORGANIZZARE LA RESISTENZA.
lunedì 18 aprile 2011
IUS 37
Aprèslude
di Gottfried Benn
"Devi saperti immergere, devi imparare,
un giorno è gioia e un altro giorno obbrobrio,
non desistere, andartene non puoi
quando è mancata all’ora la sua luce.
Durare, aspettare, ora giú a fondo,
ora sommerso ed ora ammutolito,
strana legge, non sono faville,
non soltanto – guardati attorno:
la natura vuoi fare le sue ciliegie,
anche con pochi bocci in aprile
le sue merci di frutta le conserva
tacitamente fino agli anni buoni.
Nessuno sa dove si nutron le gemme,
nessuno sa se mai la corolla fiorisca -
durare, aspettare, concedersi,
oscurarsi, invecchiare, aprèslude."
Darest Sharma 5
Esistono mondi e territori segreti di cui si parla solo a bassa voce...
Il maestro dell'Ombra? Chi era? Cosa rappresentava? Scandurra con una certa
fretta, insolita per lui, tornò e mi fece accovacciare e si produsse nel suo numero
più spettacolare sebbene più misterioso, quello del passaggio attraverso la botola
transitoria. Non capivo proprio come diavolo facesse a trovarle dappertutto, eppure
riusciva ad alzare un lembo di tessuto cosmico per ogni occasione e necessità.
Come aprire un chiusino. Semplicemente.
Ci trovammo presso un condotto quadrato, basso e lungo e fievolmente illuminato
da quella luce giallognola, che evidentemente era la fonte presente ovunque.
Bisognava camminarci strisciando. Lui era silenzioso e malgrado indossasse quel
pesante cappottone, filava liscio che era una bellezza. Io un po ' meno, ma mi
arrangiavo. Il condotto girava verso destra e così ci trovammo poco dopo, davanti
ad una porta di servizio, metallica e senza maniglia né serratura.
- Ora ci vuole attenzione, Angelo. Entreremo nello stanzone del loro maestro.
Occhio. Ricordati quello che ti dico sempre. Manda il lumen. Si deve
spandere come l'olio quando non sta più dentro la bottiglia e niente e
nessuno potrà invitarsi da solo.
Mi sembrò pure troppo facile l'operazione. Scandurra toccò la porta e questa si aprì
con uno scatto. Entrammo in quello che secondo il maestro doveva essere lo '
stanzone ', in realtà ci trovavamo in una sala circolare, del diametro di almeno
35/40metri, con al centro una colonna trasparente che collegava il soffitto col
pavimento, per una altezza di almeno 6metri. Dentro il cilindro fluttuava uno
psicofluido [ sostanze psi che rispondono ad interferenze umane ] ovale di luce
azzurra. Non c 'era nessuno oltre a noi. Guardai il mio maestro con espressione
interrogativa. Lui mi fece cenno con la mano di attendere paziente. Infatti, poco
dopo, dalla parte opposta ecco apparire un montacarichi dal quale uscirono un
manipolo di 6 soldati, che con passo marziale si diressero verso di noi
attraversando quel grande spazio a pianta circolare, il quartier generale secondo
Scandurra. Furono su di noi in poco tempo e ci circondarono. Dalla medesima
porta entrò colui che in seguito rappresentò per il sottoscritto, l'archetipo del
maestro oscuro. Presenza e incubo degli anni a venire...
. . .
Non posso continuare il racconto dell'incontro con l'Ombra in persona, senza prima
cimentarmi in una riflessione. Questo perché vediamo ciò che conosciamo e più
ampliamo lo spettro della nostra consapevolezza, più ricordiamo. Scandurra ci
esortava: abbiate il coraggio di conoscere per assaggiare! Ecco, dovevamo partire
da questo approccio solo apparentemente formale. In realtà, Scandurra ci metteva
in guardia su di un aspetto fondamentale del cammino che rischiava di essere
sottovalutato: quando vi si apriranno i rubinetti mentali, scorrerà tanta di quella
acqua da inondare il mondo intero. La corrente sarà così forte da travolgervi. Allora
non vi potrete permettere di aver paura. Infatti, il maestro non si lamentava tanto
per la mancanza di allievi; pochi erano quelli veramente coraggiosi che
rimanevano. Non insegnava solo un metodo o un modo di pensare. Le materie
oscure erano l'oggetto del conoscere e del suo insegnamento. Poi, ognuno di noi
le digeriva come poteva e ne aveva subito contezza quando entrava in pista.
Scandurra non ha mai anteposto la teoria alla pratica. Mentre sperimentavamo ci
faceva capire cosa stavamo facendo, quali dinamiche, energie, leggi erano in
gioco. Le potevamo sentire e mentre esse ci attraversavano le facevamo nostre,
erano parte di noi. Per raggiungere questi livelli, era imperativo tirar fuori ogni
oncia di coraggio, allontanare ogni titubanza, eludere i fantasmi della nostra
memoria bio-storica che lungo il cammino avremmo incontrati. Passando
attraverso una botola, durante un IVI (Immersione Varchi Interdimensionali) ci
giocavamo veramente tutto. Potevamo uscirne malconci o addirittura fulminati;
lasciarci qualche pezzo di ciccia; subire un 'amnesia parziale o un 'inversione di
attese cinetiche permanente. Quindi, non era un giro di giostra e non tutte le pance
tenevano il botto. Le mie Cronache, nella loro forma romanzata, potrebbero
ingenerare la convinzione di una automatica vittoria delle forze benigne su quelle
maligne. La contrapposizione tra potenze creative e ostacolatrici, deve sempre
tener conto della dinamica degli opposti, dell'effetto bilancia. Non è sempre
immediata la lettura delle cose e della realtà. A volte una resistenza alle nostre
azioni, non è per questo motivo totalmente negativa; potrebbe ritardare un evento
tragico così da permetterci una via di fuga. O ancora, da ostacolo divenire prova da
superare.
Beh, sulla questione del coraggio dipendeva l'intera avventura dell'anonima talenti.
Le nostre storie personali diventavano decisive. Come eravamo, la cultura
acquisita, l'educazione, la fede, rappresentavano il terreno di scontro, freno o
accelerazione della trasformazione. Questione di energia: ognuno aveva la sua,
unica, caratteristica, riconoscibile. Se deficitaria, incompleta, limitata, per cambiarla
bisognava fare un doppio, un triplo salto mortale. Rovesciarci, strammazzando al
suolo ogni volta che la nostra energia personale si scontrava con le prove che
Scandurra ci faceva affrontare. Capimmo poco dopo che era questione di ''pancia''.
Se riuscivamo a controllare quel calore febbrile che sentivamo dentro e a
neutralizzare quel brivido che inchiodava lungo la schiena ogni nostra reazione
vitale, tutto diventava facile. Come? Sostituendo la paura tradotta in anti-energia
col lumen, l'energia della luce allo stato puro. Immettendo in una stanza oscura la
luce rischiarante, avremmo avuto la meglio su qualsiasi fronte ostile.
. . .
Malgrado fosse ancora lontano, appariva alto. Caspita! La forma era umana,
segaligna, camminava lentamente come se avesse difficoltà fisiche. Indossava una
specie di argentea vestaglia lunga fino a nascondergli i piedi. Ci mise quasi un
minuto per raggiungerci. Il volto era quello di una persona malata, scavata dalla
sofferenza. I tratti del viso erano duri ma non perversi. Glabro, aveva occhi come
fessure che non voleva o poteva aprire di più. In una lingua a me sconosciuta e
indistinguibile si rivolse a Scandurra. La voce era sibilante e frammezzata da
pause asmatiche. Sembrava avere 60anni. Il mio maestro gli rispose in italiano:
- Non è un dispetto quello di fregarti la spoletta. Mi prendo un minimo vantaggio
che poi sai bene, perderò. Vorrei solo che capissi quanto casino fai immettendo
quel morbo nero anche nel mio mondo. Non riusciresti più a governare i piani. Mi
son dovuto muovere per impedire che qualche fesso dei tuoi, si pappasse il mio
amico. Ma li tieni a stecchetta per dieta o non c'hai più una lira?
Accennò ad un sorriso l'Ombra. Loro due avevano un rapporto strano, come se si
conoscessero da millenni per giocare una partita a scacchi mai conclusa, senza
che nessuno avesse però voglia di terminare il gioco. Ma non era un gioco. Poi,
lentamente si diressero verso il montacarichi. Li seguii circondato dalle guardie.
Chissà cosa mi credevo. Avevo immaginato botte da orbi, ma evidentemente lo
scontro se c'era, non faceva rumore.
Quello che avevo definito un montacarichi, era un cubo trasparente di una qualche
sostanza tipo plexiglass, 6m per 6m, che si spostava volando nello spazio interno
dell'astronave piramidale. Vidi tutta una serie di piani, terrazze immense, hangars,
costruzioni sferiche sovrapposte e torri altissime; e un via vai di altri cubi
svolazzanti che sembravano guidati da pazzi piloti ubriachi, tanto saettavano
veloci, e malgrado questo si sfioravano senza mai toccarsi. Non sentivo il
movimento dentro quel taxi alieno. A dirla tutta, non capivo nemmeno chi lo
guidasse. Ero abbastanza vicino all'Ombra per avvertirne l'odore – metallico – e
scrutare la sua lunga tunica d'argento riempita di una miriade di segmenti, rette,
cerchi piccolissimi, simboli, ma la cosa più incredibile era che si muovevano come
se stessero dentro uno schermo televisivo. Guardare quello strano essere di un
altro universo, temutissimo da tutti, insieme a Scandurra, era veramente
spiazzante. Il mio maestro si esprimeva in viterbese e il bello era che l'Ombra
dimostrava di capirlo perfettamente, sebbene continuasse ad interloquire con il suo
idioma alieno. Agganciammo una sede cubica che dava su di un altro tunnel. Vi
entrammo e dopo una ventina di passi, una guardia che ci precedeva aprì un
portone. Uscimmo all'aperto. Ci trovavamo nel bel mezzo della piazza d'armi
interna del castello di Darest Sharma. Era mattina presto, l'aria frizzantina ben si
gemellava col cielo terso; un brivido freddo mi gelò il sangue.
lunedì 23 maggio 2011
IUS 38
Le mura apparivano più alte di come le ricordassi. Il senso di impotenza nel
trovarmi lì, fu forte. Non avrei dovuto provarlo, eppure mi sentii fragile in quel
contesto così immenso, alieno, dove camminavamo a fianco di una potenza oscura
inimmaginabile. Non capivo. Era considerato il nemico di quell'universo, un
pericolo per tutti gli abitanti di Deya. Il nostro più temibile avversario. Invece che
succedeva? Scandurra dialogava e scherzava tranquillamente con lui. Certo,
aveva sabotato l'aeronave, tuttavia sembrava tutto così surreale. Mi ricordava le
gesta dei cavalieri Templari che di giorno combattevano ferocemente contro i
saraceni e poi, di notte, i rispettivi stati maggiori si riunivano a discutere di
metafisica e geopolitica. Come i ladri di Pisa. Il giorno litigavano e di notte
andavano a rubare insieme.
Un soldato dell'Ombra si avvicinò, porgendo al suo capo con deferenza assoluta
una brocca rossomarrone. Lui la passò a Scandurra che la avvicinò alla bocca e
ne bevve il contenuto, poi toccò a me. Pesava ed era ruvida. Conteneva dell'acqua.
- Bevila Angelo, è acqua di stelle, distillato di guazza cosmica.
La bevvi. Frizzante, fresca, saporita e leggerissima. Ecco, non ne sentivo il peso sul
palato. Acqua. Già. Ma gli effetti dopo qualche secondo non erano quelli di una
gazzosa. Certo che no. La testa cominciava a girarmi come una trottola. Poi,
avvertii una bella scarica elettrica che mi rimise in tono. Cacchio, un toccasana
corroborante. Strano: avevo la sensazione di essere riempito d'acqua dalla testa ai
piedi.
- Dobbiamo recarci di nuovo a Deya. Cose grosse in vista, Angelo. Vedrai in prima
fila come muore un mondo.
- Quale mondo?
- Il nostro.
Scandurra con quel suo modo di raccontare le cose più incredibili come se stesse
elencando la lista della spesa, mi rimise in agitazione. Del resto stavamo in trincea,
sebbene non comprendevo bene contro chi combattevamo. Intanto l'Ombra si era
dileguata, forse questo era il termine giusto, o più semplicemente non me ne ero
accorto. Il maestro mi fece cenno di seguirlo al centro della piazza d'armi. Lì,
sarebbe atterrata l'aeronave che ci avrebbe condotti alla città-labirinto.
Percepii una pressione sulla testa. Ed ecco atterrare una specie di vascello senza
vele ed alberi, che per il resto sembrava dover salpare da qualche porto marino.
Ricorreva, evidentemente, in quell'universo la forma 'a nave' per le astronavi. La
forma rivela la funzione. In fondo si navigava sempre. Una passerella come una
lingua ci permise di salire a bordo. Due militari ci fecero accomodare in una stanza
quadrata, di simil-legno con una simil-finestra che occupava tutte le pareti e che ci
permetteva di ammirare il paesaggio. La televisione a pannelli era così realistica
da farci sembrare di stare all'aperto, sul ponte della nave. La giornata era
splendida, i boschetti si alternavano ai laghi e alle colline, come in un plastico
ideale.
- Scandurra, non riesco a capacitarmi. Ma con chi stiamo? L'Ombra è un demonio
da tenersi alla larga o dobbiamo farci pace?
- Negoziare, innanzitutto. Romperci a vicenda il c*** non aiuterà nessuno.
Non sappiamo tutti gli esiti delle nostre azioni. Siamo legati a tutti e a tutto, in una
rete intrigata. L'Ombra? È potente, eccome, ha mire di dominio, certo, ma c'ha un
codice pure lui. Non è lo stesso degli altri popoli, comunque ci si può mettere in
equilibrio. Un peso noi e un peso lui. Bilanciare, sì, questo dobbiamo fare. Qui non
dobbiamo fare la gara a chi ce lo ha più grosso, come spesso accade sulla Terra
anche tra i più inteligentoni. Bilanciare i contrari.
- Mi sembra di aver capito che andiamo a vedere come muore la nostra Terra?
Allora non ci ritorniamo più? Ma come?
- Non è cosa di adesso, sebbene da millenni il Tempo ha iniziato a scorrere più in
fretta. Così ci siamo avvicinati al suo esaurimento. L'inverno dell'anno 2012 sarà
particolarmente caldo.
- Maestro, vorrei comprendere cosa intendi per fine del mondo. Le religioni
annunciano delle cose, la scienza dice altro ancora. In base a cosa si crede...
- Angelino mio, credo che sia giunto il momento di chiarire o di velare. Se ci
troviamo qui è pure per vedere come andranno le cose. L'umanità e la natura sono
legati allo stesso destino.
- Quale destino, Scandurra?
- Si trasformeranno entrambi in luce e pura forma. Non sarà però un fatto
meccanico. Dall'ordine dentro di me dipende quello del mondo attorno a me.
Se divento pura e infinita luce, la materia che mi circonda muterà allo stesso
modo.
- Come posso diventare pura luce?
- Il tuo carattere darà forma al tuo destino. Se porti la lunghezza d'onda del tuo
cuore verso l'alto, la vibrazione, la frequenza si riduce in basso, questo processo
risuona nella natura tutta.
- Se pecco, quindi...
- Ah, i peccati. Dipende. Essi ti ispessiscono a volte e così rendono più erta la
realtà. Disfunzioni nell'ordine delle cose. Dalla luce provengono i migliori frutti.
Cioè, sono le cose buone, vere, giuste. È la Vita, quella con la vi maiuscola. Tu mi
chiedevi ragione sulla mia, diciamo, amicizia con l'Ombra.
Ebbene, solo se separi la luce dalla tenebra, cioè se capi [spicchi] il frutto dalla
buccia, è possibile che tutti e due risorgano nel seme. Tu, io, tutti, il frutto e il
guscio, saranno riuniti, riassorbiti nell'origine comune: il seme. Per giungere a tale
immane impresa, non spegnere mai il lumen. Esso deve divampare, come fuoco.
All'inizio è fumoso. Progressivamente, da fumoso diverrà lucente, come
progressivamente l'anima da acquosa diventerà oliata.
- Qual'è il modo migliore, la tecnica per raggiungere questo stato?
- Devi diventare come il mormorio dell'acqua viva di sorgente. Come il movimento
delle foglie di un albero pennellato dal venticello d'estate.
Adesso divento pure poeta, stai a vedere. Vivi scorrevolmente. Questo è pregare.
Questa è purificazione. Scorri dalla pancia, non dal cervello.
L'acqua di vita deve emergere dal plesso solare. È la presenza. Falla sgorgare dal
cuore, dalle viscere.
- Maestro, se dovrò affrontare dei pericoli effettivi?
- Tutto ha una forza, o la afferri o la eviti, perché contrastarla?
Atterrammo su di una piattaforma circolare, posta sul fianco di un palazzo altissimo,
in pieno stile gotico – sembrava il Duomo di Milano - nel bel mezzo di Deya. Ci
fecero scendere e poi entrare in una stanza legnometallo e tutto il palazzo
cominciò a muoversi.
- Grazie all'acqua stellare, non sentiremo la velocità di entrata nei piani interni. Ci
schiaccerebbe altrimenti.
- Ma come mai è tutto lo stabile a muoversi? E poi, perché non usare le nostre
spolette?
- A loro piace fare le cose in grande. Noi abbiamo la bottega a Viterbo come
interscalo. Quando sei invitato, bisogna rispettare le consuetudini della casa... a
volte. Eh, eh, eh...
- Ci faranno vedere la nostra terra come finirà?
- No. Soltanto gli ultimi battiti della Via Lattea, prima di spostarsi...
mercoledì 15 giugno 2011
IUS 39
(DEYA)
- Perché collaborano con noi? Perché si fidano così tanto da farci vedere la fine del
nostro mondo? O ci vogliono fregare per indurci a cambiare il futuro già scritto?
- Il mondo non finirà, Angelo, credimi. Si sposterà soltanto. Loro non si fidano di noi
né ci sono alleati. In questa guerra cosmica il nemico non sempre è quello che ci
sta di fronte, quindi raccogliamo le forze e partecipiamo insieme agli eventi
grandiosi che riguarderanno tutti i popoli degli universi, pur mantenendo le nostre
posizioni e ragioni. Qui non uccidono l'avversario, magari se lo mangiano per ...
beh a loro interessa incasinare le nostre manovre. Fregarci una spoletta che
ritengono più utile di altre. Rubarci informazioni su questo o quello... sono stranetti,
Angelo, non ragionano come noi, quando ragioniamo... ma non per questo sono
stupidamente cattivi. Diffondono il morbo perché magari sbrirciando sui possibili
futuri leggono tracce che gli suggeriscono che il male minore è la morte di migliaia
di cristiani per evitare il peggio. Hanno la capacità di prevedere disastri, cataclismi,
fine di mondi, leggono le tracce del movimento del Tempo e del Kaos e per questo
la sanno lunga.
- Si sostituiscono a Dio, cacchio.
- Angelo Angelo, ci sono cose più complicate, diverse da quello che ci raccontano
sulla terra. Dio? Chi ha creato tutto, ha messo a disposizione ogni cosa. C'è chi si
prende la potenza senza chiedere il permesso, chi non la prende per paura di
commettere un peccato, chi nemmeno ci fa caso che c'è tutto questa roba a
disposizione. Noi non ci prendiamo niente, noi sappiamo abbastanza per farne
buon uso e poi bilanciamo tutte le energie in gioco. Abbiamo bisogno anche dei
cosiddetti cattivi così come loro hanno bisogno di noi. Perfino gli artefici, gli
ingegneri cosmici che hanno costruito le botole tra universi, non hanno potuto fare
a meno dell'aiuto di chi li ha traditi. Giuda era l'uomo che portava la borsa, ossia la
conoscenza e sapeva quel che faceva, sebbene fosse infame il suo gesto. Alla fine
i contrari si riuniscono. Ma i carnefici non vivranno mai assieme alle loro vittime in
qualche paradiso inventato dai preti. C'è sempre un codice da rispettare, pure tra
opposti. Chi sgarra paga sempre e comunque. Giuda era una superspia in grado di
leggere i tracciati temporali. Riuscì a sconfiggere il Sinedrio illudendoli che se
avesse consegnato nelle mani della giustizia il Cristo, la sua azione sarebbe stata
ridotta e dimenticata. Agli occhi del mondo, Giuda sarebbe lo stesso passato come
il traditore di sempre. Da quel momento, invece, è iniziato tutto.
Non mi accorsi della fine corsa. I sei soldati dell'Ombra ci scortarono fuori dalla
stanza e ci trovammo dentro un tunnel lunghissimo, pieno di condotti e cavi, sporco
di fango e detriti, malamente illuminato da lampade schermate blu. I militi ci
precedevano con passo veloce e io stentavo a stargli dietro, mentre Scandurra
sembrava pienamente a suo agio in quella fogna. La puzza di escrementi era ai
limiti del sopportabile e ciò rendeva ulteriormente curiosa la situazione. Già,
perché mi ero immaginato ampi saloni pieni di schermi o chissà cosa altro;
macchinari, scale mobili. Insomma, lo scenario era bel lontano da qualsiasi
previsione. Chiesi a bassa voce che diavolo di posto fosse quello in cui ci
trovavamo. Il maestro ridacchiò.
- Vuoi conoscere le fondamenta di Babilonia? Vuoi sbirciare oltre le mura del
Tempo? Dovrai sempre passare dalle fogne dei mondi. Ci troviamo nei condotti di
Deya, dove tutto riposa stagna muore sopravvive strilla trapassa fonde e ritorna
come prima. Guardati soltanto da quei topacci neri. Spuntano all'improvviso e
azzannano le palle dei malcapitati. Se ti mozzicano non mollano più. Io li chiamo
rosicapalle. Brutte bestie, certo, ma che vuoi... pure loro tengono famiglia.
- Ah! Pure.
Misi in allarme tutti i sensi, soprattutto accesi il bagliore. Continuavo a non capire. I
condotti, il Tempo, Babilonia. Il tunnel deviò ad un certo punto verso sinistra.
Stesso spettacolo. Intrigo di fili, tubi e merda in quantità industriale. Poco distante
dai soldati una cosa, una bestia scura delle dimensioni di un cane di taglia media
scappò fuori dalla melma e si diresse velocissima verso il primo. Scandurra emise
un suono basso e poi un altro stridulo e il rosicapalle sgattaiolò – non conosco un
verbo per il topo – verso il soffitto del condotto per poi imbucarsi in un pertugio che
non avevo notato prima. Il capo del manipolo ringraziò il mio maestro in un italiano
stentato ma comprensibile. Ma il pericolo non era ancora finito. A circa cinquanta
metri, un branco di quelle bestiacce si dirigeva con passo di carica verso di noi.
Caspita, da dove erano sbucati? Guardai con speranza Scandurra. I soldati si
fermarono e seppur armati rimasero come bloccati. Forse non potevano far fuoco
dentro quel condotto e si girarono anch'essi speranzosi verso il maestro.
Evidentemente ne conoscevano le doti, non lo so, ma non c'era molto tempo da
perdere. Allora il fruttarolo di Viterbo si fece strada tra i soldati e fece un cenno con
la mano di accucciarci. Una scarica elettrica azzurroverde luminescente, un suono
di basso profondo e via. Ci trovammo tutti carponi in un altro tunnel, sempre
maleodorante ma libero da ospiti indesiderati. Scandurra aveva aperto e chiuso
una botola occasionale, di quelle che trovava sempre e comunque.
. . .
1.
A proposito della capacità speciale di Scandurra di attraversare o, come direbbe
lui, di scivolare da un posto ad un altro violando i limiti di spazio tempo ed energia,
credo meriti qualche approfondimento. Sarà non di poco conto tentare di
racimolare piccoli elementi per poi inserirli in una qualche inquadratura
concettuale. Non sono in grado, per la verità, di elaborare un teorema generale
che includa il meraviglioso. Forse non è proprio possibile circoscrivere ciò che non
può essere legato. Carpisco qualche frammento qui e là dalle imprese del maestro
e da quanto mi concede. Non posso nemmeno pretendere di usare i parametri
della ragione per cose che vanno oltre ogni ragione umana. Blaise Pascal a tale
proposito ci ricordava che il cuore ha ragioni che la ragione non conosce. Persino
sui foglietti acclusi nei cioccolatini Baci Perugina, si trova questa massima
fondamentale, sebbene usata in ambito sentimentale. La Realtà, quella immensa,
non può essere inclusa da nessuna teoria esauriente. Ci confidava Scandurra che
a volte riusciva a far cose che andavano ben oltre i suoi mezzi. Ci riusciva e basta.
Era l'intuizione, l'illimitata sapienza racchiusa nel non sapere. E per quanto
riguarda lo strumento principe delle immersione nei varchi interdimensionali, la
spoletta, beh, le notizie su di essa non erano mai esaurienti. Scoprivamo sempre
qualcosa di nuovo sulle sue caratteristiche e significati.
Ogni spoletta è un mondo a sé. È un pò come guardare dal buco della serratura di
una stanza contigua con leggi e situazioni uniche. Dal buco della serratura si vede
la Natura in tutta la sua vastità e meraviglia, perché il buco è nella Porta di Giano,
la quale non immette in una stanza vicina, ma nell’altra metà della stanza intera
della manifestazione materiale, di cui la nostra mezza stanza è quella del mondo
sensibile. L’Universo è bilocale. C'è un filo dal quale è possibile riaggomitolare gli
eventi.
2.
Entriamo proprio nel cuore della missione. Del senso ultimo della nostra storia. In
quegli anni Settanta di apprendistato e di consapevolezza crescente al seguito di
un maestro insolito, forse unico, sicuramente sconosciuto; in quegli anni di
rivoluzione underground vera o presunta che divampava in tutto il mondo, da una
bottega di 'frutta e verdura', in quel di Viterbo, avvenivano trasformazioni. Le
informazioni che stavamo mano a mano acquisendo, non potevamo capire fino in
fondo quanto valessero, quanto potessero tornarci utili. Era un impresa ardua
ricucire tutti i dati in una trama leggibile. L'anonima talenti si stava formando nostro
malgrado. Le esperienze dei singoli erano patrimonio di tutti. Un passo che facevo
io, portava avanti tutti e così era per gli altri. Un fascio di forze benigne nei gangli
del sistema dei mondi. Non era soltanto la nostra terra ad essere schiava di
potenze occulte. Certe trame coinvolgevano tutti gli universi. Uno spiraglio di luce
acceso quaggiù, riverberava ovunque. La responsabilità delle scelte che ogni
uomo è portato a fare, è enorme. Oltre ogni immaginazione. Pochi se ne rendono
effettivamente conto.
3.
I tempi ultimi che stiamo vivendo, non sono la continuazione scalare dei
precedenti: come una linea retta che proceda stancamente verso chissà quale
futuro. No, la cesura epocale ci nasconde impreviste manifestazioni,
macrocosmiche e individuali. Il futuro rimanente si insinua nei nostri sogni come se
la mente, di notte, compisse ricognizioni lungo la quarta dimensione. Come si
insinua? Con un segnale che ci avverte anche in pieno assetto diurno della
coscienza, malgrado ci troviamo risucchiati dalle correnti samsariche, dal
contingente, dal transitorio. Un segnale imperioso, un richiamo, che irrompe dal
profondo e si modula in svariate maniere, la più tenue delle quali è rappresentata
dal presentimento immotivato che 'qualcosa sta per succedere'. Non tutti i
presentimenti hanno valore precognitivo; ma in molti casi la correlazione con
l'evento epocale della fine dell'anno 2012 è innegabile. Non mi sorprende se a
fronte di tali fenomeni insoliti, metapsichici, l'establishment culturale è irridente e
scettico. Del resto è ostile ad ogni pensiero innovatore, tanto più se noi, 'fuori dal
coro', sosteniamo che il futuro spiega il passato. Cosa volete che pensino i
depositari della scienza ufficiale sulle crisi di angoscia e paura che assalgono
moltissime persone e che riguardano la fine di un mondo: fobie, nevrosi, fughe
dalla realtà, sarebbero le diagnosi. C'è uno stretto rapporto tra nevrosi e
premonizioni. Se da qualche parte tuona da un'altra lampeggia. Il futuro di
ciascuno di noi è registrato nelle profondità della coscienza. Lo sperimentiano ogni
giorno. La vita stessa è formata in buona parte di contatti con la realtà futura,
spesso sono contatti furtivi, sovente inavvertiti. È la mente cosciente che tende a
difendersi e li mette fuori legge. Se così non fosse, il presente e il futuro
tenderebbero ad accavallarsi disordinatamente anche sul nostro schermo mentale
diurno, e non sarebbe l'ideale per condurre la propria esistenza in un mondo a tre
dimensioni, dove il tempo viene vissuto istante per istante, mentre l'attenzione si
focalizza in continuazione sul mondo circostante e su ciò che esso pretende da noi
che si faccia. Alla luce della problematica extrasensoriale è inevitabile adottare un
antico e quanto mai attuale concetto magico, secondo cui noi viviamo due vite in
parallelo. Una sul piano tridimensionale e terrestre, dove tutto appare soggetto alla
legge di causalità e condizionato dalle localizzazioni e limitazioni spazio-temporali.
Un'altra che si dispiega nelle dimensioni superiori dell'universo, le quali sono
inaccessibili alla mente cosciente e si sottraggono per loro stessa natura a quelle
limitazioni. Quel tipo di realtà superiore si inserisce ogni tanto nella nostra; e
quando si inserisce, detta legge.
. . .
La puzza che emanava quel luogo era veramente insopportabile. E proprio per
questo motivo i soldati avevano indossato delle mascherine trasparenti che gli
coprivano bocca e naso. Ci feci caso soltanto in quel frangente. E noi? Ci
dovevamo sorbire quei miasmi fetenti, forse pure tossici? Scandurra intuì il mio
reclamo.
- Respira profondamente tutta la puzza del posto, fa bene per l'asma.
- Ma io non soffro di asma.
- E se un giorno ti dovesse venire?
Mi sfotteva come al solito. Perché non sfruttavamo i poteri di trasferimento
istantaneo del maestro per spostarci senza il rischio di incontrare pericoli? Me lo
chiedevo spesso, ma sarebbe stato inutile pretendere una sua risposta. Intanto il
tragitto incominciava a farsi sentire sulle gambe. Mi dolevano gli stinchi. Eppure
credevo di essere allenato; mi ritenevo un discreto sportivo, ma sembrava che in
quella dimensione andassero riviste pure le certezze acquisite.
Improvvisamente ebbi la curiosa sensazione che qualcuno ci seguisse. Paranoia
frutto di anomalie magnetiche? Eppure... dovevo urgentemente voltarmi e così feci.
A non più di 40/50metri, un tizio effettivamente ci seguiva senza produrre alcun
rumore. Sottovoce avvertii Scandurra di quella presenza. Lui mi sussurrò che
avevo fatto un buon lavoro accendendo i sensi, per il resto non mi dovevo
preoccupare, ché la strada era di tutti. Cominciai a respirare affannosamente
quando i soldati si fermarono. Il condotto ebbe come uno scossone per poi
inclinarsi di 45gradi verso destra. Non avvertimmo però la pendenza: eravamo
tutt'uno con l'ambiente che ci conteneva. Poi, ebbi la sensazione che tutto ruotasse
lentamente di 90gradi verso sinistra. Sembrava essersi stabilizzato il tutto. Un
rivolo di sangue uscì dal mio orecchio destro e mi colò giù fino al collo. Mi
spaventai, ovviamente. Il maestro mi prestò il suo fazzoletto; somigliava a quello di
un carrozziere dopo una giornata di lavoro.
- Ma è sporco, Scandurra. Mi verrà un infezione.
- Quello che non strozza ingrassa.
Cercai un lembo pulito, invano, e mi detersi il sangue. I soldati nel frattempo ci
avevano circondati assumendo una posizione di protezione. Non riuscivo ad
immaginare cosa dovevo aspettarmi. O chi ci avrebbe raggiunti? Le lampade
cominciarono a pulsare ad intermittenza, per poi cambiar di colore: giallo, verde,
rosso, azzurro, blu. Ad ogni colore si univa un suono diverso. Poi, il silenzio e il
buio. Non più di 30secondi e si aprì sopra di noi il soffitto e fummo elevati verso
l'esterno, verso un cielo al tramonto, rosa rosso viola. Ci trovavamo su di una
piattaforma circolare posta sopra un pinnacolo altissimo, forse di 10km.. Un forte
vento freddo ci colpì senza ritegno. Il panorama cieloterra era grandioso. Cime
altissime di montagne blu e rosso ci circondavano imperiose e noi stessi
poggiavamo su di un rilievo non meno eminente. Non vi erano segni viventi
espliciti ma poi comparvero a ore tre, due grandi stelle affiancate, splendenti, che
sembravano aspettarci chissà da quanto. Non erano però finite le sorprese.
Nell'aria c'era un non so ché di strano, un senso di attesa imminente. Di cosa? Non
riuscivo a figurarmi niente di possibile, in quell'universo incredibile.
- Angelo, registra tutto quello che vedrai. Quando sarai un uomo maturo, dovrai
parlarne a chi sarà in grado di ascoltare su quanto vedrai da adesso in poi. Poco
importa se ti crederanno. Conta ri-trasmettere l'energia scaturita dalle fondamenta
del cosmo. Si è destinati a cose non riconoscibili subito, ma tempo verrà che tutto
sarà più chiaro, evidente. Sarebbe meglio che gli uomini facessero un atto di fede
per riconoscere la verità. Credere per conoscere. Predisporsi internamente. Aprire
la porta. Poiché ciò che avverrà non attenderà i ritardatari. Te e gli amici della
talenti, sarete chiamati ad un lavoro sottotraccia, cioè quello di ripristinare il ponte
sulla Via Lattea, di modo ché la gente farà provvista di vastità.
mercoledì 6 luglio 2011
IUS 40
Contemplando quella magnifica natura, mi lasciai condurre dal fiume dei miei
pensieri; meditazioni su svelamenti. Non esiste un solo universo, e quello che
vediamo non è il più importante. Ho scoperto cosa c’è “dietro” il visibile, l’invisibile,
l’altro sole... lo spazio è contenuto nel Pensiero. Con i viaggi cosmici scoprivo
l’infinito nelle cose. Perché la vera mistica non è che lo straordinario dell'ordinario.
Il reale è molto di più di quello che i nostri sensi possono percepire. Il miracolo è
alla radice delle cose, è l’essere stesso di ciò che siamo e di ciò che ci circonda.
Scandurra mi dimostrava ad ogni occasione che il sovrannaturale è implicito nel
naturale. Noi troviamo la vita al suo più alto grado d’intensità. Siamo alchimisti
perché purifichiamo la terra col nostro corpo. Noi viviamo ogni istante l'esperienza
d'un Universo la cui immensità, mediante l'alchimia dei nostri sensi e della nostra
ragione, si raccoglie sempre più semplicemente in ciascuno di noi. Non da tutti è
percepita coscientemente, ma è comunque vissuta, registrata, interiorizzata. Anche
il nostro corpo è tessuto di immensità, attraversato da linee epidermiche, strade
connesse all'infinito. Parti di un tutto. Si stabilisce sin dall'inizio un vincolo organico
tra il Divino e ogni uomo. Il decadimento dei mondi e dell'asse strutturale
ontologico poi, attenuerà tale rapporto, ma non potrà mai essere reciso, perché noi
esseri viventi siamo penetrati nell'Universo da una porta sovrannaturale.
Scandurra direbbe che l'umanità così come la conosciamo e tutte le civiltà
extraterrestri, sono apparse da un numero consistente di botole, athanor cosmici al
servizio di fabbricanti d'universi. Le botole, ma cosa sono in realtà? Sono punti di
transito che possono essere paragonati ai cambiamenti di stato (solido, liquido,
vapore) dei corpi fisici. Quando la superficie si riduce a un punto, il solido cede, il
liquido bolle. Sarebbe come dire che al punto critico di una curva geometrica si
produce una reazione chimica, l'intensificazione di un colore produce l'energia
elettrica, ecc. La sfera intera delle cose si trova ad avere la proprietà essenziale di
contrarsi poco a poco sul suo centro, per avvicinamento sempre più riflesso degli
elementi [centri] che la compongono. L'Universo si completa in una sintesi di centri,
in conformità perfetta con la legge dell'Unione. Scandurra era l'icona di questa
legge, difatti cercava, quando accoglieva qualcuno nella sua bottega magica, di
farsi vuoto, di non interporsi, di aprirsi simultaneamente all’altro e al Divino. Quello
che compresi e feci mio dopo è che, per arrivare a questo doppio vuoto, bisogna
aver raggiunto la preghiera “spontanea” che non si separa più dal respiro e dal
battito del cuore.. Allora l’uomo non prega più, è egli preghiera, in lui si formula la
celebrazione dell’universo, egli diviene sull’altare del cuore, il ponte del mondo.
Tutto è riempito di luce.
Su quell'altissimo pinnacolo stava per accadere qualcosa di grande e, tanto per
cambiare, mi sentivo inadeguato. Qualunque esperienza si possa fare, non
arriveremo mai a comprendere interamente il concetto di immortale, che domina i
cieli, le stelle e i pianeti, le tempeste elettroniche e termonucleari, gli orrori e gli
incanti della Natura. Lassù, in prima fila cresceva in me il desiderio di eterno, di
immortale. Eppure ero agitato, inquieto. Stavo per compiere un viaggio sino ai limiti
del creato, del tempo e dello spazio. Certamente ci sarebbe voluta una penna ben
più agile e immaginifica di quella mia, per descrivere le sensazioni sovrumane che
avrei provato. Ma i grandi eventi sembrano capitare ai dilettanti volenterosi... Ogni
cosa che vidi rimase impressa a fuoco nella mia giovane anima, sebbene le parole
non riusciranno mai a descrivere compiutamente quanto da me vissuto.
Fissavo smarrito quel panorama, mi confondevo con esso. La coppia di stelle
luminosissime si avvicinava decisamente alla nostra postazione. Mentre le
osservavo concentrato, con la coda dell'occhio feci caso di sfuggita ad un fatto che
la mia mente non poteva, non voleva accettare. D'un tratto, delle onde mostruose
stavano sormontando le montagne tutt'intorno a noi. Dapprima sembrava un
ammasso di nuvole, poi si faceva sempre più evidente un'onda immane che
scavalcò le cime montane. Il paesaggio mutava velocemente. Ebbi un moto di
terror panico. Cercai il braccio di Scandurra. Non riuscivo nemmeno ad emettere
un suono. Il cielo diventò nuvoloso e l'onda-oceano coprì tutta la valle in un batter
d'occhio a velocità altissima, fino ad infrangersi di poco sotto la piattaforma della
torre. Il mare era mosso, agitato da enormi cavalloni che però rallentavano
curiosamente, rasentando il bordo del piano dove ci trovavamo, senza
sommergerci. Spumeggiavano, ci incalzavano, ma c'era qualcosa che li frenava,
solo alcuni schizzi freddi ci colpivano. L'aria s'era fatta pregna di acqua salsoiodica
polverizzata. Stavamo in mezzo ad un mare grigioazzurro. Impressionante il rombo
sordo di quella massa d'acqua, come un maglio mi colpiva al plesso solare. Il
maestro mi strinse il polso e ne ebbi un giovamento immediato di elettricità diffusa
in tutto il corpo. Di fronte a certe cose emergeva la mia vulnerabilità, la mia
debolezza.
Le stelle si avvicinavano sempre più verso la nostra direzione. E così vidi due
lance volanti, che emettevano quel bagliore accecante. Sì, due barche leggere che
sfiorarono agilmente la superficie delle acque, come se nulla fosse. A bordo di ogni
lancia vi erano due esseri misteriosi in piedi, che ci guardavano. Il cuore mi batteva
forte e la mia coscienza si accorciava in un punto piccolo piccolo. A pochi metri da
noi, sospesi sulle acque, stavano quattro esseri rivestiti d'una succinta tunica rosso
cupo, che lasciava vedere le gambe nude e senza maniche, stretta ai fianchi da
una cintura colore dell'olivo. Giovani, dalle sembianze umane, portavano un
berretto nero, che sulla fronte si apriva a raggiera e si ripiegava sulla nuca. Con
mia evidente sorpresa, uno di loro mi parlò in italiano o almeno così intesi.
- Rasserenati come la nuova veste che ti ricopre!
Guardai i miei vestiti e con meraviglia mi vidi addosso una tunica blu. Dove erano
andati a finire i miei vestiti? Vivevo un'allucinazione? O cosa?
- È il tuo corpo sidereo – mi fece Scandurra rassicurante – ora stai percependo
questo tuo nuovo stato.
- Ma chi sono? Angeli?
- Uranidi, per la precisione, soltanto uranidi – mi corresse il maestro.
L'essere che mi aveva parlato fece un gesto universale per invitarmi a bordo della
piccola barca. In maniera dapprima maldestra poi, quasi con naturalezza, spiccai
un salto ed entrai nella lancia luminosa. Non sentii paura né disorientamento.
- Approderemo oltre la linea dei mondi, per meglio vedere i tempi che verranno.
Quasi li sfioravo. Erano alti 190cm o poco più. Avevano una pelle luminosa e
bianca. Letteralmente bianca. Profumavano di cose belle, anche se non saprei dire
quali. Bello l'aspetto, dolce l'atteggiamento. Erano angeli?
- Riferirai agli uomini. Comunque pochi ascolteranno. Altri navigatori prima di te,
hanno visto e riferito. Ti scambieranno per folle o per profeta, l'ennesimo.
Siamo esseri provenienti da altri mondi, fatti di forma che governa l'energia, come
te.
Quelle frasi mi rinfrancarano. Anche se non erano angeli, sicuramente mi trovavo
di fronte ad esseri così progrediti da sembrarlo. Uranidi, secondo Scandurra.
Balbettai non so quali parole. Pochi istanti dopo, mentre tentavo di porre qualche
domanda, la lancia si oscurò. All'improvviso l'oscurità fu rotta da due linee
abbaglianti, che sfrecciavano fino all'infinito, dove pareva si congiungessero in un
cerchio potentissimo, che diffondeva fasci di luce dai riflessi d'oro. Le linee
partivano dalla nostra navetta sulla quale mi trovavo. Essa però aveva perduto
ogni luminosità; ma correva velocemente e sicura sulle acque in tempesta, tutto
superando, tutto vincendo. Dove mi avrebbero condotto gli uranidi? Il mistero
avvolgeva la mia vita. Cosa mi avrebbe riservato il destino?
- L'atlantideo ha formato una forte genìa nel corso degli anni. Hai molto tempo
davanti per crescere. Prima di te, altri della talenti si sono immersi nei varchi.
Hanno veduto quello che verrà. Saprai descrivere, trasmettere e trasformare la
gente che ti seguirà? È un peso conoscere, a volte acceca, perciò gli umani spesso
chiudono gli occhi.
Ascoltavo sbalordito. Mi trovavo con esseri cosmici elevatissimi. Sembravano
divinità greche o indù. Eppure erano come me, come ogni altro essere umano
della Terra. Ogni vivente possiede un'essenza, è ciò che ci accomuna tutti.
Osservai meglio la lancia che mi trasportava. Sembrava più una tavola come
quella usata dagli sportivi californiani per cavalcare le onde dell'oceano. Il suo
colore era celeste chiaro. La sua base era piana ma semitrasparente. Uno strato,
tipo silicone o gomma, lasciava intravedere intricati geroglifici sottostanti. Non
capivo come facessero a guidare la navetta. Né comprendevo come potessi stare
in piedi, dritto, senza alcuna fatica e senza avvertire la gravità e la forte
accelerazione. Incominciammo ad allontanarci dalle acque, e mi sentii ad un tratto
come trasportato da una forza sovrumana che mi attraeva. Salivamo a velocità
pazzesca. Stavamo lasciando Deya. In quell'universo, gli astri e i pianeti li avvertivo
vicinissimi, li vedevo in movimento e la mia mente comprendeva, così
naturalmente, come le varie forze, sviluppantisi dai movimenti impressi loro dal
Creatore, generassero altre forze, che con i loro contrasti, tenevano sospesi i corpi
celesti. Ogni sole o pianeta che incontravamo, emetteva un suono. Guardavo e
ascoltavo. Mi commossi. L'infinito azzurro, seminato di astri, mi attraversava. Poi,
una domanda scema mi distolse. Come facevo a respirare nello spazio? Lo
percorravamo sopra una tavola non più grande di una barca, scoperta, e
respiravamo senza problemi. Mi spaventai. Notarono la mia paura, evidentemente.
L'altro che non aveva ancora parlato, sorrise e appoggiò la sua mano sulla mia
spalla. Provai un tepore strano ma positivo. Gli chiesi quale fosse il suo nome, se
poteva dirmelo.
- Bina, è il mio nome. Mio fratello è Saril-Da. Gli altri due si chiamano Tion-De e
Farà. Abbiamo visitato già la tua terra ed è bella. Voi siete così estremi nel sentire e
nell'agire. Ho conosciuto degli uomini e delle donne. Ho apprezzato le vostre
speranze, compreso le vostre paure. Attendete un segno dal cielo perché la vostra
epoca è così povera di futuro. Ma perdonami, tu volevi farmi anche un'altra
domanda. Non posso fare a meno di sentirla dentro di te, ma per rispetto rivolgo
altrove il mio fuoco.
- Bina, volevo chiederti come facciamo a muoverci sopra questa tavola e, poi, beh
io respiro pur trovandomi nello spazio. Come è possibile questo?
- Vuoi che ti sveli i misteri degli uranidi, così come ci chiama Scandurra? Non
abbiamo divieti né limitiamo la conoscenza a pochi prescelti. Abbiamo donato tutto
a tutti negli universi in cui siamo stati, e ognuno ha preso secondo possibilità e fine.
Non si può riempire una brocca più della sua capacità, e la sua misura è sempre
quella giusta. Talvolta gli esseri dei mondi terreni non hanno cognizione della loro
grandezza ma nemmeno della loro finitudine. Ah! Vuoi sapere come ci muoviamo.
Conosci di massima come certe civiltà costruiscono le loro navi stellari, come
scivolano tra i varchi. Alcune usano elementi naturali seppur trasformati, altre
ancora, poche per la verità, hanno raggiunto livelli insuperati. Parlo di materia
binomiale, filosofale direbbe Scandurra. Ora tu ti trovi sulla prima navicella
interdimensionale costruita dagli ingegneri cosmici. Viene descritta nei libri sacri di
tutti i popoli. Non è immateriale come tu puoi ben vedere, eppure il suo stato è
sottile. Ha due facce, esterna e interna. È indistruttibile, può essere durissima ma
anche fluida. La guida è semplice: c'è un rapporto d'ordine cosmobiologico che
collega la navicella al suo pilota. Attraversa i varchi tra dimensioni, perché è in
grado di farsi attraversare da essi. Non è in vendita, però.
Battuta regolare. Si fece una gran risata e questo me lo rese umano.
- Ma allora la Bibbia sarebbe una cronaca che descrive i vostri viaggi nel nostro
mondo?
- Tutte le religioni hanno origine da un'accadimento speciale: una interferenza
terra-cosmo. I racconti sulle origini delle civiltà, sono descrizioni puntuali di questi
contatti. Vanno però distinte le gerarchie tra i celesti e noi.
Entrambi abbiamo comunque assolto a dei compiti elevati per il bene
dell'umanità. Noi siamo fatti come voi, forma ed energia, i celesti, invece, sono pura
energia. Poi ci sono gli oscuri e come ben sai, perseguono la distruzione dei
mondi. Anch'essi si dividono in due manifestazioni, evanescenti e densi. Gli oscuri,
diciamo, più densi hanno stabilito alleanze con i titani provenienti dal sottomondo.
Gli altri hanno scelto di colonizzare l'anima degli uomini e di deviarne il cammino.
Ero tutto preso ad ascoltare Bina che non mi resi conto che ci stavamo avvicinando
all'emisfero della Luna avvolto nella notte. La riconobbi facilmente perché intravidi
la nostra Terra, azzurra e bellissima, sospesa sull'orizzonte del satellite. Insomma,
avevamo attraversato un altro universo per ritornare dalle mie parti. E senza
passare dagli scali. Rimasi interdetto, ma non cercai risposte subito, attesi gli
eventi. Mi si offrì allo sguardo un paesaggio grigio, eppure interessante. Crateri
qua e là d'ogni grandezza, catene di montagne e pianure, si delineavano nitide in
quel sereno tempestato di stelle. Ma quello che vidi mentre ci avvicinavamo ad un
gigantesco cratere, fu qualcosa di stupefacente. Mai e poi mai mi sarei aspettato di
vedere una cosa simile lì.
martedì 26 luglio 2011
IUS 41
Grande come Piazza del Comune, simile all'otturatore centrale di una macchina
fotografica, la bocca gigante si trovava perfettamente al centro del cratere.
Lentamente ci avvicinammo e con la medesima lentezza una serie di lamelle poste
sullo stesso piano, sei per la precisione - imperniate su due circonferenze
concentriche che si muovono una al contrario dell’altra - si mossero verso l’esterno
e ci consentirono di passare. Una corrente fluida mi sospinse dolcemente fuori
dalla tavola volante e mi sentii sospeso e con un movimento rallentato planai verso
il piano sottostante. Gli uranidi, con le rispettive navicelle interdimensionali,
scomparvero alla mia vista e mi ritrovai solo soletto dentro un cratere lunare.
Cacchio! E adesso? Una debole luce verdastra a mala pena illuminava quel luogo.
Le lame sopra di me si richiusero senza rumore. Già, sulla Luna non essendoci
atmosfera i suoni... A quel punto, ebbi uno scuotimento formidabile per tutto il
corpo. Vomitai pure quello che non c'avevo e colpi di tosse che sembravano non
finire mai mi fecero stramazzare al suolo. Percepii tutto il mio corpo e la mia natura
di essere umano, proprio lì dentro. Chiuso e, pensai, prigioniero. Lo stato sidereo
era meno di un ricordo. La carne mi bruciava e le sensazioni psichiche ritornarono
ad invadere la mia mente. Il peso dell'umano si faceva sentire, eccome. Caspita.
Era tutto vero, reale, maledettamente tosto. Respiravo, sentivo l'ossigeno che mi
riempiva i polmoni. Ma allora prima, quando quegli esseri eletti mi traghettavano
da un universo ad un altro, come facevo? Non avevo memoria di aver respirato. E
ora? In quel momento, l'esperienza e gli insegnamenti di Scandurra – dove sei? -
mi ridiedero forza.
Quando procedo da solo - mi suggeriva il rapporto ispirativo scandurriano cui non
sarei stato più in grado di sfuggire - mi lascio abbandonare all'istinto magnetico,
esso mi guiderà sostenendomi anche e specialmente in quei posti senza voce,
senza variazione di forme. Un altro aspetto del bagliore, del lumen che viene in
mio soccorso. Grazie ad esso, non mi prenderà al collo la cosmofobia. Sarò invece
investito da una provvidenziale onda rivelativa senza limiti di spazio e di tempo,
attraverso impulsi di alto magnetismo immaterializzato.
L'area circolare dentro la quale mi trovavo, divenne più chiara. Ciò mi permise di
intravedere sulle pareti pannelli di metallobronzo e meccanismi composti da perni,
rocchetti, ruote seghettate; riquadri indicatori, leve e pulsanti di varia grandezza. Vu
meter quadrati rotondi, triangolari si alternavano a maniglie verticali e bobine. E poi
morsetti, raccordi, canaline, manicotti. Da alcuni condotti fuoriuscivano vapori
grigiocelesti che formavano colonne-serpentoni che toccavano il soffitto del locale.
Mi trovavo veramente sul satellite della Terra e in quale epoca? Tutto lasciava
intendere che mani umane avessero toccato quel posto dimenticato. Sentivo,
ormai, con assoluta certezza che uomini come me si trovavano sulla Luna da un
bel po' di tempo. Mi avvicinai a quei pannelli elettro-termo-meccanici. Toccai una
maniglia. Era concreta, solida. La superficie dura e porosa, mi dava la strana
sensazione di essere familiare e al tempo stesso extraterrestre. Mi feci guidare da
quell'istinto magnetico che mi diresse verso una porta rettangolare. Come per
magia si aprì da sola e una valanga di vapore caldo mi investì.
Mi venne in mente l'immaginario letterario di Giulio Verne. Forse non era
fantascienza quella che leggevamo da ragazzi. Eravamo proprio sicuri che la
tecnica e la scienza nata dalla modernità fossero il prodotto più avanzato della
storia umana?
La civiltà di Atlantide aveva raggiunto livelli di conoscenza incredibili. Avevano
esplorato mondi e dimensioni, costruito macchine stellari e manipolato ogni tipo di
energia e dopo la sparizione del continente, un bagaglio di sapienza e di
tecnologia era pur sopravvissuto e trasmesso a pochi superstiti. Scandurra era
considerato in quella parte di universo, un atlantideo. Usava spolette che gli
permettevano di immergersi in varchi interdimensionali attraverso botole cosmiche.
Era lui stesso una spoletta e ne avevo potuto apprezzare le gesta. Perché
escludere che la Luna fosse abitata? Perché considerarla soltanto un ciottolone
che girava intorno al nostro pianeta? Quali segreti custodiva? Non era solo
appannaggio di poeti e romantici credere alla sua natura animata e qualcosa mi
diceva che tracce del continente scomparso le avrei trovate proprio lì.
Gli esuli di Atlantide avevano comunque conservato intatte le capacità fantastiche
tipiche del loro elevato grado di sviluppo, ciò non escludeva quindi che potessero
muoversi a piacimento dappertutto, indipendentemente dalle ere storiche.
Extrastorici, tuttavia interagivano a volte con noi. Operavano in segreto, sebbene
qualcosa traspariva dalle cronache e dai miti degli antichi popoli sumeri, maya,
indù. Egiziani, greci, romani e germani ci raccontavano cose prodigiose, magiche,
sovrumane. Innalzavano monumenti immani per collegarsi al faro-pinnacolo
galattico. E i costruttori di cattedrali? Le pietre soniche, gli archi a basso
magnetismo e gravità limitata, i demoni cristallizzati da furbi alchimisti, le loro
ubicazioni a terra che rimandavano ad una mappatura celeste, gli spinotti
cosmotellurici... Quante conoscenze andarono sepolte o tradotte male? Quanti
uomini si fecero custodi di segnacoli ed energie mascherate per i profani?
Attraversai la porta. Ero in ballo. Avrei incontrato sicuramente qualcuno che mi
avrebbe parlato del futuro della Terra. Avevo un compito pazzesco, ingombrante e
pesante per le mie possibilità, ma non potevo certo tornare sui miei passi. Mi
toccava. Un'altra porta di ferro a pochi metri si aprì e intravidi un salotto, credo stile
ottocento, decisamente terrestre. Vi entrai. Una lampada dalla luce soffusa era
accanto ad un signore seduto in poltrona. Era un giovane uomo vestito in linea con
l'epoca dell'arredamento. Egli si alzò e mi venne incontro con fare cordiale, anzi, si
mostrava contento. Ma io lo conoscevo. Un vecchio allievo di Scandurra... e che
abitava sulla Luna. Ero fuori di testa, evidentemente.
- Angelo ti aspettavo. Bello rivederti. Siediti – mi indicò una poltrona a fianco
della sua - che sarai abbastanza scosso dal viaggio. Il nostro compito è
quello di far comprendere a tutti che soltanto un atto di conoscenza può farci
uscire dalle paludi del nostro tempo. Esso prelude al grande cambiamento.
Ricordo che sei astemio, ma un brandy è quello che ci vuole.
mercoledì 10 agosto 2011
IUS 42
(L'APERTURA DEI RUBINETTI MENTALI)
Mi accomodai in poltrona. Ero sconcertato. Ardengo Pellizzari, il primo degli allievi
del maestro in grado di passare attraverso le botole – da Viterbo si trasferì a Milano
(evidentemente aveva allungato) - faceva gli onori di casa in un salotto stile
inglese, facente parte di una struttura fantascientifica incastrata dentro un cratere
lunare. Le sorprese non mancavano di certo.
- Ardè, ma che ci fai qui? Cosa c'entra tutto questo con la fine del tempo, del
mondo?
- Carissimo Angelo, sei gradito ospite in una colonia atlantidea. Gli esuli del
continente oceanico hanno costruito per tutta la galassia postazioni e cittadelle. Ci
troviamo in questo caso in una postazione. Che pretendi, il personale è scarso e
troviamo in questo caso in una postazione. Che pretendi, il personale è scarso e
allora Scandurra ha rimediato cogli stagionali.
Una delle sue fragorose risate echeggiò per il salone. Si trasformava quando
scoppiava a ridere. Di solito era sempre inappuntabile. Noi della talenti lo
chiamavamo 'l'inglese', vuoi per una certa rassomiglianza con l'attore inglese
Michael Caine, sia per i modi ma principalmente per la sua mania di indossare
vestiti inglesi, che acquistava a Londra. Un viterbese! Del resto, se lo poteva
permettere, visto che era un dirigente di prima fascia presso una multinazionale.
Intanto, assaporai quel brandy, ne apprezzai la forza e l'aroma... così si dice.
- Bene Angelo, è ora che ti dia le coordinate generali, un pizzico di sana scienza e
di visioni.
- Dimmi di te, se puoi, se vuoi. Hai compiuto una scelta estrema, radicale. Da
quanto tempo ti trovi quassù?
- Sì, una scelta radicale e convinta. Se ti chiedessero, bada, senza obblighi, ecco,
se ti chiedessero di dare il tuo contributo alla causa, lasciando affetti, lavoro,
insomma abbandonando addirittura il nostro pianeta... non per sempre, ma per un
periodo ragionevole, beh allora che cosa faresti? Io ho accettato. Il nostro destino è
stellare.
- Ma qui come funziona tutto? Ardè, vedo apparecchiature non proprio
avanzatissime. Sembrano quelle di cento anni fa. Mi pare l'interno del Nautilus. Ci
manca che appaia il capitano Nemo...
- Ah ah ah, sembriamo così matusa? Le forme possono sembrare antiche... e infatti
lo sono. La cosa incredibilmente avanzata e tuttavia senza tempo, è ciò che muove
tutto questo ambaradan tremendamente ordinato. Noi qui utilizziamo materia
continua che è uguale in ogni luogo ed in ogni direzione. Perciò, non solo
sostituisce tempo spazio e gravitazione, ma soprattutto, negando il vuoto, diventa
la generatrice ed il primo costituente dei corpi. Ti ricordi l’etimo segreto degli
alchimisti? Mater ea, la materia. Basta trovare un magnete per attirare la materia
continua. E guarda un po' i casi della vita, il magnete sta ben protetto dentro il
nostro organismo, a metà strada tra il soma e lo spirito. Non ti puoi sbagliare, esso
prende la forma di un diamante, ricettacolo di luce.
- Poi ci ritorniamo Ardè, perché vorrei capirci meglio. Mi preme sapere una cosa.
- Poi ci ritorniamo Ardè, perché vorrei capirci meglio. Mi preme sapere una cosa.
Gli universi paralleli e la maniera di accedervi, il lumen, sono segreti rimasti
appannaggio di pochi sopravvissuti alla scomparsa di Atlantide. Buoni motivi,
credo, hanno accompagnato chi ha detenuto la conoscenza nel corso dei millenni,
senza divulgarla. Vedi gli alchimisti, per esempio. Oggi mi dici che l'umanità deve
fare un atto di conoscenza per la fine ciclo...
- I maya e i cinesi credevano all'esistenza dei Nove Mondi. Lasciti segreti di civiltà
scomparse. La catena della Conoscenza non ha mai conosciuto soste né
interruzioni, semmai è stata celata fino a tempi più idonei. Se prima era custodita
da strette cerchie di ierofanti, oggi è tempo che essa scorra ininterrotta tra tutte le
genti, poiché tutte degne di possedere le chiavi. In prossimità della fine della civiltà
odierna, i pochi hanno tanto più il dovere di rilasciare quanto ricevuto, senza
tentazioni esclusiviste. Il Varco attrarrà ogni donna, ogni uomo, come una titanica
arca argentata che porterà l'umanità tutta, oltre i limiti conosciuti...
- Ma i potenti del mondo non credo rimangano a guardare senza batter ciglio.
Vorranno avere l'esclusiva, riservarsi i posti in prima fila per sfangarla anche
questa volta. Insomma, vorranno fregarci.
- Il potere, già. C’è il potere che ti viene concesso dagli altri che riconoscono i tuoi
meriti, e vogliono darti la possibilità di conquistarne altri nell’interesse di tutti ed è
un potere che vuol mantenere un equilibrio tra chi ha dato e chi ha ricevuto. Ed è
quello che ho ereditato da Scandurra. Ma c’è il potere che si conquista, senza aver
dato nulla, schiacciando gli altri. È proprio questa la forma di potere che piace a chi
ha così bassa considerazione di sé, da avere bisogno di conferme continue, anche
solo attraverso l’illusione di dominare altri esseri umani e la natura. Il potere porta
con sé un virus psichico indistruttibile. Il potere si nutre di potere il quale, per
esistere ha bisogno di essere attuato, non essendo un valore interiore, mentale o
spirituale. Il potere se non viene esercitato non c’è. E per esserci ha bisogno di
crescere. Ma c’è una sorta di meccanismo automatico di autodistruzione che ad un
punto misterioso ma certo, scatta e travolge chi il potere lo esercita e chi se ne fa
strumento. Forse il punto è determinato dal livello di pressione che il potere riesce
ad esercitare su esseri umani e sulla natura, fino al punto, quel punto, in cui scatta
qualcosa, un “no”, così ampio e travolgente da rendere gli inermi più forti dei
potenti. Noi faremo scattare quel punto.
Estrasse dal panciotto a fiori una barretta metallica tipo righello di 20cm. A mo' di
ascia colpì più volte il tavolino, lasciandoci un segno profondo. Me la porse. La
sentii morbidissima, sembrava di gomma e si piegava a 360gradi. Mi invitò a fare la
stessa operazione sul tavolino. Così feci, ma la barretta rimbalzò praticamente
sulla superficie di legno senza scalfirla minimamente. Un trucco, un incantesimo,
pensai.
- Materia continua. Dipende dalla funzione che tu vuoi darle. Stabilisci
mentalmente a cosa deve servire e la materia ti risponderà fedele. Crea un campo
col magnete ed essa si relaziona. Ti immette su quel ponte che collega materia e
metafisica. È reale solo ciò che può essere pensato; e ciò che non si può pensare,
non può neppure esistere. Ciò può accadere perché non esiste lo spazio. Spazio è
una espressione ingannevole, sia a livello piccolo che grande. Quando si pensa
allo “Spazio” c’è l’immagine consueta di vuoto nero, privo di vita che separa i
mondi... No: spazio è una parola sbagliata. Noi lo chiamiamo semplicemente “i
cieli”. In virtù dei cieli, quello che hai appena visto, accade. È sempre una
questione di campo. Ma al di là dei concetti, il primo grande passo, ciò che
trasforma e permette meraviglie è il pensiero atlantideo, il primo e imprescindibile
insegnamento di Scandurra. Ordinare la vita seguendo esclusivamente la modalità
analogica, e cioè quel polo della mente che coglie ovunque somiglianze, nessi,
affinità, corrispondenze.
- Ho conosciuto l'Ombra. Ti confesso che non ho ancora capito la sua posizione, gli
equilibri e quant'altro. Una cosa però credo di aver bene inquadrato, almeno nelle
sue linee essenziali: l'importanza che avrà nel nostro futuro Darest Sharma.
- Hai colto pienamente nel segno. Darest Sharma è un castello minerale e
organico a un tempo. Grande magnete di quello strano universo. È un luogo
germinale, da cui sembrano provenire la potenza e la stranezza dei nostri stessi
sogni. Incomberà su tutti gli universi. Interferirà pericolosamente col nostro compito.
A fine ciclo esso sarà veduto in tutti i cieli e scambiato per la città celeste o il
Walhalla dei redivivi. Quanti abboccheranno? L'Ombra poi...in lui coincidono gli
opposti... sebbene prevalga l'aspetto basso. È capace di meraviglie e di orrori
impronunciabili. Definirlo demonio è da preti... comunque, è bene non girargli mai
le spalle. Pochi nei nove mondi possono dire di capire in parte i suoi intenti.
le spalle. Pochi nei nove mondi possono dire di capire in parte i suoi intenti.
Scandurra è uno di questi, forse perché ha in comune con l'Ombra una cosa. Ma
non mi chiedere quale.
Si alzò lentamente dalla poltrona. Ardengo si diresse verso un grande quadro
appeso alla parete. Praticamente la ricopriva tutta. Vi era raffigurata una scena di
caccia, ovviamente alla volpe. Pensai che la scelta dell'arredamento fosse opera
del mio camerata. Egli sfiorò la pittura e ritornò a sedere vicino a me. Uno o due
secondi e lo scenario di caccia si frantumò in mille parti fino a scomparire del tutto
e fu sostituito dall'immagine mobile di una immensa città fantastica, con ponti e
strade sopraelevate. Torri e palazzi altissimi, piramidi tronche a terrazze, un fascio
di elementi architettonici arditi si innalzavano sfidando la forza di gravità. Luci
intermittenti e suoni periodici, la rendevano viva.
- È Petralunata, la città sotterranea edificata dagli atlantidi 20mila anni fa. Si trova
cinque kilometri sotto i nostri piedi.
- Chi ci abita?
- Nessuno ancora. È comunque in perfetta efficienza. Abitabile e capace di ospitare
un milione di persone. Quando i cardini del tempo si staccheranno dall'infisso
cosmico e l'umanità traslocherà su di una rinnovata terra, allora rimarranno gli
esuli, scelti per attendere che la ruota rifaccia appieno il suo corso. Troveranno
rifugio su Petralunata che li attende da millenni.
- Quindi Ardè, una piccola parte dell'umanità sarà scelta per restare, riparandosi
sulla Luna. Ma chi sceglierà quali uomini e donne dovranno rimanere? E come ci
arriveranno? Ma soprattutto, sembra una punizione terribile.
- Quel mattacchione di Scandurra le chiamava botole, no? Vie remote che
connettono altri universi alla Terra. Non vi sono problemi insormontabili a far
passare un milione di persone attraverso le botole. Quante ne sono? Un migliaio
almeno, quelle capaci di far passare più persone di seguito. Non vi sono ostacoli
tecnici. Semmai sarà difficile far comprendere a tutti che esiste una realtà ben più
complessa di come ce la descrivono i professionisti del sapere. I condizionamenti
sono duri a morire. Comunque... un segnale cosmico dal centro della Via Lattea
giungerà sulla Terra, e sarà percepito dagli esuli. Il faro galattico manderà più volte
l'impulso-visione, il tempo necessario per captarlo. Poi ognuno farà la sua scelta.
Altro che punizione. Un compito elevato, difficile ma entusiasmante... dovranno
Altro che punizione. Un compito elevato, difficile ma entusiasmante... dovranno
instaurare il centro perduto.
- Sai bene Ardè, che il passaggio attraverso la botola non è una passeggiata di
salute. Il maestro ci ha addestrati, ripuliti, trasformati prima di intraprendere
l'immersione.
- Sì, Angelo, lo so. La conversione di solito riguarda la dimensione interiore di una
persona, il suo cambiamento, il suo pensiero. Qui però è il mondo come lo
conosciamo che è in gioco. Ci troviamo oggi di fronte ad un accadimento
planetario, che tutto coinvolge, che tutti coinvolge. In ragione di questo, la
conversione si intenderà in termini di vista nuova, nel senso anche fisiologico. Ogni
parola aprirà l’intelligenza. Chi guarderà il Varco, sarà stravolto da un immane
temporale che lo squarcerà e allo stesso tempo lo pulirà, così, dissolta ogni nube,
potranno di nuovo mostrarsi le stelle di un nuovo firmamento. Faremo tutti una
capriola cosmica. Questo è il senso della nostra vita. Prima che queste cose
accadano, andremo incontro ad una notte ancora più buia persino di quella
precedente la creazione.
Saturno mostrerà la sua vera natura e i suoi anelli artificiali imploderanno fino a
strozzarlo. Come direbbe Scandurra, saranno c**** amari.
Mille domande mi frullavano per la testa. Ardengo dimostrava di conoscere assai
bene e in dettaglio, cosa sarebbe successo alla fine dell'anno 2012.
- Ora ti mostrerò una registrazione da una bobina magnetica, di un evento per certi
versi analogo a quello in cui sarà coinvolta la nostra Terra fra pochi anni. Un
grande pianeta di un altro universo cambiò posizione dimensionale. Una finestra
immensa si aprì e tutto fu più chiaro.
immensa si aprì e tutto fu più chiaro.
domenica 4 settembre 2011
IUS 43
- Desideravo farti ancora una domanda. Nel mese di luglio del 1969 ufficialmente
degli uomini hanno messo piede sulla Luna. Mi ricordo... eravamo tutti incollati
davanti al primo canale della Rai. Tito Stagno e il professor Medi ci raccontavano
in diretta la cronaca. Partecipavamo alla storia. Dicevano che era un grande passo
per l'umanità. Tu come l'hai vissuta da quassù la cosa?
- Il governo americano è specializzato in bugie. Ne hanno raccontate così tante in
così breve tempo da battere chiunque nella storia. Fesserie sono le dichiarazioni
d'intenti. Fesserie sono le promesse di benefici per tutti. Fessi siamo tutti noi che
crediamo ancora a queste cose. Sopprimono la verità su tutto. Trattano i popoli
come sudditi. Ma loro non si vergognano. Son venuti qui per una cosa precisa:
rubare. Sì, rubare è il verbo adeguato. Nessuna nazione può arrogarsi il diritto di
prendere ciò che non gli appartiene, anche se si trovasse su di un altro pianeta. Gli
Atlantidi hanno lasciato un patrimonio immenso per l'umanità che sarebbe venuta
dopo. Petralunata e altre superstrutture sotterranee, non sono acquisibili da chi
segue le stesse orme dei goeti del mitico continente scomparso. Esse
apparterranno a chi non avrà avuto responsabilità col marciume mondiale, a tutte
le vittime del male, alle persone oneste che non hanno mai chiesto nulla di più del
necessario. Tale clausola la facciamo rispettare noi. Sarebbe immorale,
insopportabile che chi ha contribuito attivamente al disfacimento di ogni ordine
morale e spirituale, avesse pure la possibilità di accumulare tesori e di fuggire alla
fine del Tempo. No, non funzionerà così...
Non lo conoscevo così deciso, così duro nei toni, animato da una passione
profonda.
- Non volevo farti inquietare Ardè.
- Non abbiamo mai accettato che pochi dovessero decidere le sorti di molti. Che
pochi dovessero occultare conoscenza e prosperità, anziché distribuirla
liberamente a tutti. La conoscenza è la nostra maggior difesa contro gli attacchi più
svariati. A proposito... in questo momento stai in uno dei posti più fortificati della
galassia dopo Saturno e nessuna agenzia spaziale e forza militare della Terra
galassia dopo Saturno e nessuna agenzia spaziale e forza militare della Terra
potrà mai entrarci senza invito.
- Hai detto che sono venuti a rubare. Che cosa?
- Non siamo soltanto noi della talenti ad essere in possesso di informazioni,
diciamo così, riservate. Sul finire della Seconda Guerra mondiale, il governo degli
Stati Uniti istituì un'unità speciale di ricerca e sviluppo, in grado di accedere a certe
cose ritenute ufficialmente fantasiose. Hanno sottratto come bottino di guerra e
grazie al tradimento di alcuni scienziati e gerarchi della Germania nazista sconfitta,
mezzi e progetti d'avanguardia, soprattutto sistemi di propulsione e tecniche
ingegneristiche che gli alleati non avrebbero mai potuto realizzare.
- Perché? Sempre di ingegno umano parliamo, no?
- L'ordine nero hitleriano aprì una porta che dava su di un altro universo, popolato
da esseri non-umani, i fravashi, ritenuti a torto angeli divini... stabilirono con l'inner
circle nazista proficui contatti, trasmettendogli conoscenze straordinarie. Ma, come
direbbe Scandurra, 'a mozzichi e bocconi'. Ciò gli consentì comunque di andare
sulla Luna e tentare di accedere alle installazioni sotterranee, senza fortuna.
Persero la guerra non potendo utilizzare le armi-ultra, che erano ancora in cantiere
per adeguarle alla funzione terrestre. Fu un bene, certo, ma i pericoli per l'umanità
non diminuirono. Non di rado, chi vince appare come liberatore e inscena la
solita pantomima ai danni del popolo, tra quello che si fa e non si dice e quello che
si dice soltanto per celare. Il potere si perpetua attraverso il segreto, quasi sempre
minaccioso. Dunque, i governativi allestirono una organizzazione militare e
scientifica dotata di fondi pressoché illimitati, per andare sulla Luna armati e
conquistare quanto lasciato dagli atlantidi: tecnologia ed energia infinita senza
costo. Ma odore di destino non cambia.
Il 1952 allunarono in più punti con mezzi da sbarco spaziali; discesero da
un'astronave-madre in orbita intorno al satellite. Stormbringer era il suo nome.
Fecero 'due fatiche'. Rimasero in panne sulla superficie lunare, così dovettero
distruggere ogni traccia, tanto un cratere in più non avrebbe certo fatto notizia.
Pensa che lordura morale li guidi: soldati e piloti fatti saltare insieme ai mezzi da
sbarco. Carne da cannone. Pedine sacrificabili.
- Furono gli atlantidi a bloccarli?
- No, un giovane custode attento e solerte...
- Scandurra?
- No, un giovane custode attento e solerte...
- Scandurra?
- E chi altrimenti? Quel fruttarolo sconosciuto e analfabeta, ha contrastato i potenti
del mondo pigiando un semplice pulsante. La vera forza è la conoscenza. Lui
stava al posto giusto quando serviva. Nessuno potrebbe mai immaginare che
dietro la versione ufficiale delle cose, dietro quella che molti chiamano realtà, ci
siano altri attori che recitano parti più decisive per le sorti dell'umanità. Uomini e
donne che si nascondono a tutti, ma che decidono di fare la differenza. E questo
confonde incredibilmente i potenti.
- Quando sarà riscritta la storia? Quando tutti potranno finalmente sapere la
verità?
- Non conviene a nessuno dire la verità, almeno secondo i termini umani.
Quando uno fuori dal coro ci ha provato, non gli hanno concesso di rivedere
l'alba. L'umanità sarà mai pronta in blocco a percepire la luce? Costa un prezzo
altissimo, pare, ma dopo scopri che era sempre lì, a portata di mano e gratuita.
Dopo una pausa di alcuni secondi, mi indicò lo schermo.
- Angelo, sarai gettato dentro gli accadimenti. Un viaggio nel tempo.
Conosciamo l'esito di quel pianeta, ma non il tuo. Si uniscono dimensioni e
come un RVM si conservano intatti gli ultimi respiri di un mondo, ma in aggiunta ci
sarà una stranezza temporale: te.
Cosa intendeva Ardengo? Avrei vissuto direttamente l'evento? Viaggi nel tempo,
catastrofi planetarie... ma se ero ancora un 'fischiotto' secondo Scandurra, che
ruolo avrei mai potuto svolgere in questo immane scenario? Dovevo esserci
abituato ormai, ma in pratica mi sentivo inadeguato malgrado le conoscenze in mio
possesso. Ero fatto così: prima mettevo il carro in salita, poi...
Dallo schermo-quadro partì nella mia direzione un raggio azzurro che mi investì
completamente. Fui incapsulato in una sfera dentro la quale fluttuavo.
Eccomi sul pianeta in un attimo. Ebbi per un istante l'illusione di ritrovarmi sulla mia
Terra, tanta era la somiglianza con questa. Il clima primaverile; il suo cielo, di un
azzurro cupo anche di giorno, lasciava scorgere le stelle e due lune oltre al suo
sole, più piccolo del nostro. Rigogliosa appariva la vegetazione, alimentata forse
dai corsi d'acqua sotterranei, perché scarsi erano i fiumi che si vedevano. Questo
pianeta era privo di oceani e di mari; molti i laghi e avvicinandomi – evidentemente
era la mia volontà che dirigeva lo sferoide, oppure era teleguidato da qualcuno –
planai sulla superficie di uno di questi, grande, di un blu profondo; sentivo il suo
profumo: acqua mista ad erba. Era lo stesso odore che si avvertiva su di un campo
di calcio dopo l'irrigazione. L'unione chimico-fisica di vegetazione e acqua era il
comun denominatore di questo mondo.
Ebbi sentore che sul mio capo passavano dei dischi verde-luminoso. Erano sei in
formazione a 'V', sembravano seguirmi. Dentro la sfera mi sentivo pervaso da
un'ebbrezza strana, potente. Non temevo quella situazione. Ero attore principale, o
almeno così mi collocavo in quello scenario extraterrestre.
Ed ecco, una colossale muraglia rossa cremisi si alzò dalla linea dell'orizzonte fino
a coprire il cielo, come se avvolgesse completamente il pianeta dei laghi. E udii
suoni lamenti boati: da dove provenivano? Che mondo era mai quello? I dischi
furono agganciati da colonne simili a mani ciclopiche che provenivano dalla
muraglia e gettati a terra come fuscelli. La sfera che mi trasportava ebbe un
sussulto e perse stabilità. Cadde a spirale lentamente in mezzo ad un lago. A
contatto con l'acqua si sgretolò come un vaso di coccio ed io provai l'effetto del
gelido fluido, melmoso e profondo. Pensavo che la sfera fosse fatta di energia o
comunque non di materia densa. Caspita, se era un'esperienza psichedelica si
dimostrava sin troppo realistica. Si inzupparono i miei vestiti e annaspai
maldestramente. Ero un buon nuotatore, ma in quella 'fanga' diventava un'impresa
rimanere a galla. Un risucchio potente mi trascinava sotto. Ero nelle 'peste' come si
dice a Viterbo: panico allo stato puro. Tutto lasciava credere che in quell'apocalisse
avvenuta chissà quanti secoli o millenni prima, ero una vittima postuma.
Anche il lago si colorò di rosso. Rivoli di sangue mi fuoriuscivano da orecchie e
naso. Che sapore aveva la morte?
Il solito pessimista. Una mano decisa mi prese per l'avambraccio destro tirandomi
in superficie. Un tizio dalle sembianze umane in tuta militare verdescuro, imbracato
e appeso ad un cordone metallico penzolante da un'aeronave spettacolare, mi era
venuto in soccorso giusto in tempo. Mi avvinghiai a lui e così fummo portati sani e
salvi dentro la carlinga della nave stellare.
Può un uomo del ventesimo secolo penetrare in un tempo passato, dentro un
universo altro? Quale impatto potrebbe mai avere sulle cose, sulle persone? Gli
eventi, quelli almeno più significativi, si deformerebbero se ci fosse un'interferenza
di un'altra linea temporale? O per qualche sorta di bilanciamento cosmico che tutto
sorregge e ammortizza, ogni anomalia è comunque assorbita nel flusso del
vivente? Quegli esseri che incontrai, ebbero la loro vita mutata per sempre? Nella
mia epoca, esistevo?
Intanto il mio salvatore mi offrì da una busta di plastica del 'cordiale', sì, sembrava
proprio il liquore degli alpini. Mi sentii tonificato, tranquillo come a casa. Intorno a
me c'erano altri militari che mi fissavano curiosi. Feci un cenno con la mano a mo'
di saluto. Uno di loro mi stupì:
- Viterbese?
giovedì 29 settembre 2011
IUS 44
(LAKUSTRA)
Accennai con la testa ad un 'sì'.
- Cosa sta succedendo dalle tue parti, un'emigrazione di massa? Ma state così
male in quel paese? Diavolo di Scandurra, vi semina dappertutto... come ti senti
adesso?
- Bene grazie. Mi ha riscaldato quel liquore. Ma come mai parli in italiano? Dove
siamo? Ah scusa, il mio nome è Angelo.
- Stiamo salvando le ultime comunità rimaste su Lakustra, pianeta d'acqua. Il Varco
è prossimo ed è bene tenersi a distanza di sicurezza fino al momento decisivo. Il
nostro comando ci ha mandati a recuperarti. I dati in nostro possesso sulla tua
posizione e tempo erano esatti. Leggiamo con discreto anticipo le tracce del chaos
e questo ci rende in un certo senso attori principali degli eventi.
- Siete umani?
- Siamo esseri come te e come mille altri. Non abbiamo difficoltà ad imparare un
idioma nuovo. Le possibilità della nostra natura sono immense. Le radici sono le
stesse... Piuttosto il mio nome è Geter Delorenzi.
Mi indicò una cuccetta per riposarmi. In effetti ero stanchissimo. Mi passò pure una
specie di tuta mimetica. Ero zuppo e un cambio di panni asciutti era quello che ci
voleva e così feci.
- Esiste in tutti gli universi quella guerra antica per la conquista del Cuore del
Mondo. Nel tuo mondo è quel pezzo di terra che va dalla Mesopotamia all'India. Si
dice che chi lo conquisterà dominerà il mondo. La guerra antica si dispiega in una
rete intelligente così vasta che se ne vede solo un po' per volta. Essa è conclusa
quando sono morti tutti. Non prima. Nel tuo mondo chi detiene le chiavi della rete è
l'Inghilterra, da secoli. Utilizzano migliaia di agenti, dalle più diverse competenze.
Psicologi, etnologi, poliziotti, interpreti, ingegneri, tutti addestrati, tutti provenienti da
famiglie appartenenti alla nobiltà o vicina ad essa. Ma ce n'è uno che coordina
l'intera rete. Dubita sempre su quanto dice un suddito di sua maestà la regina, ma
non tenerne conto sarebbe da stupidi. Le spie più efficienti si muovono come
etnologi che non si muovono mai a caso. Insomma se un etnologo ti vuole entrare
in casa, spranga la porta.
- Come fai ad essere così informato sulla mia Terra? Vivi in un altro universo e... -
mi fece un gesto con la mano come di aspettare.
- Sono terrestre. Ho fatto l'apprendistato nell'anonima e inviato qui, per un compito
speciale e mortale. I miei camerati provengono da altri posti dell'universo. Alcuni di
noi hanno il preciso compito di stanare le spie.
- Che faccia hanno in questo pianeta d'acqua le spie? Adottano la stessa strategia
di tutte le guerre?
- Hanno la presunzione di generare stelle dal chaos, si industriamo in tutti i modi
per anticipare la fine dei tempi a costo di distruggere tutto, anche su questo mondo
creano soldi dai soldi. L'inganno massimo sta alla base della loro strategia. Un
fumo che uccide.
- Non c'è molta differenza allora con i padroni del vapore che guidano il nostro
mondo. Geter, ma l'anonima talenti è impegnata, quindi, su pianeti e universi per
salvare i popoli dalla fine dei tempi?
- Prepararli, soprattutto. Indicando loro le salvaterre, i luoghi sacri dove ripararsi e
sopravvivere agli eventi cosmici di cambiamento. Tuttavia la strada è tortuosa,
forze avverse controbilanciano egregiamente la nostra missione. Altri, come gli
uranidi, beh, lo sai, stanno lì alla finestra e osservano, di tanto in tanto
intervengono nella lotta ma con risultati non immediati. Una costante universale è
quella dell'interferenza del chaos sull'ordine prestabilito, sull'armonia delle forze,
sulla bilancia dei contrari. Le continue violazioni comportano alterazioni strutturali
sulle cose, sulle persone, sui cicli temporali. Quante volte ci siamo incaponiti su
percorsi che ritenevamo giusti e malgrado la nostra convinzione, mura invalicabili
c'hanno bloccati. Anche se tutti i nostri sacrifici erano destinati a fini superiori,
qualcosa doveva andare male, dalle piccole cose alle grandi.
Forze misteriose sono all'opera. Oltre le nostre capacità e conoscenze.
Sembrerebbe necessario pure il male... e tutto ciò per un pezzo di Cuore del
Mondo.
Rimuginavo le ultime cose dette da Geter. Preparare la gente alla fine. Un atto di
conoscenza, un risveglio. Ma quella poca esperienza che avevo fatto mi suggeriva
che i cambiamenti son sempre individuali. Ogni uomo deve fare la sua parte. Aprire
gli occhi, non è un'azione così naturale, considerando come siamo messi male.
Cosa mettiamo di nostro sulla bilancia della vita? Ho realizzato che la gente, in
generale, è intontita dal sistema, impicciata in mille faccende che non porteranno
alla fine nessun vantaggio o arricchimento. Però i richiami ricevuti da più parti, mi
suggeriscono di lavorare a questo scopo, impegnarmi al massimo per trasmettere
quanto ricevuto. Sarà l'unica consegna da assolvere. Nella terra desolata, insieme
ad altri miei compagni d'arme, daremo tutta la nostra vita, goccia dopo goccia per
rendere di nuovo fertile il suolo. Ricordo le mie letture su Parsifal e il Graal.
Storielle? No, le bugie ce le raccontano a scuola, le fesserie le trasmettono in tivvù.
Le imprese degli uomini risvegliati sono queste: difendere l'ordine dal chaos
dilagante. Come? Proiettando la luce dentro la camera oscura dell'esistenza. Non
possiamo far uscire tutte le tenebre dal mondo; possiamo introdurvi la luce. Ecco,
questo è il compito.
Improvvisamente ricordai un particolare che mi era sfuggito mentre boccheggiavo
nella fanga di Lakustra. Ardengo mi aveva parlato a proposito di questo pianeta, di
eventi catastrofici collocabili indietro rispetto al nostro tempo ed io, sarei stato una
stranezza temporale. Questo mi dava alla testa. Che cosa voleva dire? Il tempo, già
e come la mettiamo con la mia presenza. Vengo dal futuro, che diavolo accadrà
allora con la mia intromissione? E poi, come fa a dialogare col sottoscritto un uomo
del passato? Insomma, che cosa stava accadendo e in quale pezzo temporale?
Decisi di far conoscere a Geter le mie preoccupazioni assillanti.
- Il mio pensiero non è né sistematico né filosofico, perché come tu già sai è
imparentato com'è più alle materie oscure che alle esasperanti sottigliezze di un
certo pensiero astrattizzante. Il tempo è una grande clessidra che contiene un
titanico pugno di polvere cosmica a rilascio lento, almeno all'inizio, poi sempre più
veloce scorre via fino a svuotarla. La clessidra si rigira per un nuovo ciclo, ma la
polvere diminuisce ogni volta. Spesso si confonde la cosa misurata e cioè il tempo,
con la sua misura. Gli einsteiniani ci hanno giocato con lo spazio-tempo. Il tempo
che è una forma sottile di energia non inesauribile, è contenuto in un'intercapedine
gravitazionale, da dove fuoriesce a flusso nell'universo fino ad esaurimento scorte;
perde così la sua linearità per poi tendere a curvarsi, a chiudersi su sé stesso. Ad
ogni chiusura nasce un resto di tempo pluridimensionale e con esso gli oggetti
presenti nello spazio e immobili nel tempo, come Terranusi. Ti dicevo della fine del
tempo. Bene, vi trovate di fronte alla fine di un'era. Il mondo del dopo non sarà più
quello del prima, pur continuando ad essere fattualmente il mondo. La scomparsa
di Atlantide abbreviò l'era corrodendo il flusso temporale. Vi troverete così a dover
affrontare con anticipo di fase l'anno in cui la Terra passerà il Varco, ad
incominciare dalla fine dell'anno 2012. Nel nostro universo non abbiamo avuto un
continente come Atlantide che ha deragliato dal binario e così il ciclo non ha subito
scossoni e perdita di energia. Tu non ti trovi qui a vivere nel passato, vivi il nostro
presente sebbene sia passato rispetto al mondo da cui provieni. È un paradosso
temporale? No, è il vostro tempo che si assottiglia e la terra collassa. Ehi, guarda
un attimo ad ore 3...
L'aeronave stava facendo un largo giro verso... non ricordo l'espressione
aeronautica, beh, verso destra. E vidi cosa stava accadendo. Laghi giganti si
alzavano dalla loro sede naturale. Montagne d'acqua venivano risucchiate verso il
cielo e velocemente sparirono tra gli astri e i pianeti dello spazio, visibilissimi e
terribilmente vicini. In mezzo ad un tale finimondo il nostro apparecchio si
destreggiava a meraviglia, come se nulla lo toccasse. Geter mi prese il braccio e mi
indirizzò verso una poltrona. Trascinandomi lentamente mi diressi lì. Finestre-
pannelli video o simili, mi consentivano di vedere lo scenario fantastico che mi
faceva girar la testa. Una vertigine fortissima mi fece quasi svenire, ma la poltrona
evidentemente attrezzata alla bisogna, riuscì a farmi rinvenire grazie alla
produzione di un flusso elettrico a basso voltaggio che attraversò tutto il mio corpo.
Mi ripresi e scoprii che mi si adattava perfettamente, conformandosi a peso e
altezza.
Lakustra, che pianeta! Vidi finalmente le città galleggianti. Strutture incredibili quasi
sospese sull'acqua. Del resto essendo ricoperto quasi totalmente da laghi, era
giocoforza installarvi soluzioni architettoniche che potessero adattarsi alle
caratteristiche veramente uniche del pianeta. Torri altissime si alternavano a
cupole immense, moduli abitativi a parchi, non vi erano strade ma canali, solcati da
motoscafi aerodinamici e cabinati. Venezia 2. Curiosamente la vita su quelle città
sembrava non accorgersi del cataclisma in atto.
- La gente che vedi sono quelli che rimarranno. Poche migliaia di donne e uomini,
di vecchi e bambini che hanno scelto di restare. Pochi in ogni città, ma sufficienti
per continuare a fare destino insieme a quello di Lakustra.
- Ma moriranno, Geter, come potranno sopravvivere?
- Eh, ce la faranno perché hanno trovato i salvaterre e ciò permetterà loro di
continuare la storia di Lakustra, ma sotto nuovi cieli.
Sfiorammo una torre metallica sulla cui cima c'era un grande padiglione. Intravidi
alcune persone che da dietro enormi finestre ci salutavano col tipico movimento
della mano. Poi, improvvisamente, la navicella stellare virò verso l'alto in
diagonale. Non avvertii pressioni: un gioiello ingegneristico. Con l'andar sempre
più veloci, ci allontanammo da Lakustra in pochi secondi... ma non entrammo, se
così si può dire, nello spazio pullulante di pianeti e stelle. Penetrammo in una zona
quasi senza luce e caliginosa. Intravidi enormi massi, non so di quale materia, che
con l'urtarsi, spezzarsi, moltiplicarsi costituivano una paurosa barriera, e scariche
di energia bluastra gigantesche avvolgevano aree sconfinate di spazio buio.
Frustate di fasci oliocarminio lunghi mille miglia percorrevano da destra verso
sinistra tutta la nostra visuale. Come passare in mezzo a tanto pericolo? Pensai e
mi aggrappai ai braccioli della poltrona. L'astronave procedeva, senza venire
minimamente urtata, in mezzo a tale bolgia. Allora, invece di venir meno dinanzi al
terrifico scenario, incominciai a percepire un senso di dominio sul mondo esterno.
Fui attraversato da un'ebbrezza potente, sovrumana.
Saettavano continuamente sul mio capo semisferoidi luminosi in una sequenza di
colori spettacolare: psicofluidi proiettati dal mio corpo eterico. Tutto all'intorno
scorgevo quell'altissima colossale muraglia rossa vista in precedenza, ma non
arrivavo a conoscere di che materia fosse costituita; più che le parole mi
mancavano le idee di quanto vedevo di straordinario. Non riuscivo a ben
distinguere in che elemento l'aeronave si trovasse a volare. Eravamo circondati da
cose, elementi, sprofondi senza fine. Non vedevo più il cielo, solo visioni terrificanti,
troppo per me. A un tratto – ma forse il tempo non scorreva già più – l'astronave,
sotto l'azione di pressanti forze contrarie, rallentò la sua corsa, finché si fermò. Che
cosa stava succedendo? Dove ci trovavamo? Mi sembrava di essere diventato
vaporoso e di non avere più corpo. Una forza arcana mi teneva lontano da quella
immensa muraglia. Tutto tremò, tutto si agitò, ogni elemento era in rivoluzione.
Frequenze acutissime ci investirono... poi boommm, un boato profondissimo da
scuotere le fondamenta dell'universo, che sentii all'altezza del plesso solare.
Panico allo stato puro. Credevo di essere arrivato al capolinea. A mala pena sentii
la voce di Geter:
- Siamo nel bel mezzo del Varco. Vedi Angelo, l'uomo non crede più in un c**** di
niente come dice Scandurra. Non crede più nell'anima, non segue più un principio.
O accumula denaro o cerca il sesso di un attimo. Per quei 10cc di liquido, magari
sopra un sedile puzzolente di un auto, crede di avere il mondo ma non ha niente,
anzi perde pure quel poco che possiede. La donna invece è prigioniera di se
stessa dopo millenni di schiavitù; potrebbe disseppellire la potenza, invece che fa?
O imita l'uomo che è oramai finito, oppure si vende per quattro soldi o, ancora, si
dedica fino allo sfinimento agli altri, figli mariti genitori. Si immola senza tenere
nulla per sé. Siamo nel Varco, Angelo, lo specchio cosmico dove ognuno ci vede il
suo riflesso, quello che è veramente.
Le sue parole avevano un effetto riverbero. La muraglia divenne tutta luminosa, di
un bianco sparato e si aprì un valico proiettando un'abbagliante luce. Tra la paura,
la commozione e il pianto, alzai le mani in alto, così semplicemente, implorando
aiuto.
Ecco presentarsi un maestoso e placido cigno bianco. Sbarrai gli occhi per meglio
vedere e allontanare un eventuale abbaglio. Era vero e lucente, con due occhi più
vivi del sole.
lunedì 31 ottobre 2011
IUS 45
La scena da sola annullò la mia coscienza. Ero il fortunato mortale che attende per
varcare l'impenetrabile barriera che segna il confine del mondo. Ritornerò? La
domanda da buon mortale mi assillava, anziché contemplare la visione
miracolosa. Avvertivo durante le mie avventurose prove, un senso di appartenenza
alla mia amata Terra. Mi interrogavo - quasi avessi la risposta - su come avrei
potuto scamparla. O, nel peggiore degli esiti, cosa sarebbe successo ai miei
genitori, cosa avrebbe provato mio fratello più piccolo? Eppure grazie a Scandurra
avevo potuto provare l'ineffabile. Le nozioni di corpo anima spirito, non erano più
materia teologica o filosofica. Quel fruttarolo di Viterbo, pur usando espressioni
dialettali da sottoproletariato urbano, ci spiegava i massimi misteri del tempo, dello
spazio, della Vita, ci creava immaginifiche costruzioni cognitive per meglio farci
comprendere i livelli dimensionali, dimostrando la necessità di tagliare vincoli,
zavorre karmiche, per volare liberi. Ci ricordava l'umiltà come virtù fondamentale
per ogni realizzazione spirituale. L'umile, ci diceva, sostiene il mondo. Assaporai il
nettare della conoscenza, provai l'esperienza assoluta di viaggiare oltre la realtà
conosciuta, ma ogni tanto, sporadicamente, la nostalgia per quel mondo che mi
aveva ospitato, mi inondava. Un mantra ricorrente.
Il cigno si muoveva lentamente. Guardava ora a destra, ora a sinistra. Nulla lo
turbava. Sembrava non accorgersi nemmeno della mia presenza. Chi era? Esclusi
la sua natura animale. Un simbolo vivente? Un mito incarnato? Una divinità
manifesta?
Si trovava a non più di 10m da me. Non capivo cosa avrei dovuto fare. Forse
soltanto attendere. Che fretta c'era?
Mentre finalmente riuscii a fermare i miei pensieri, ebbi la percezione istintiva di un
qualcosa che si stava avvicinando da tergo. Poi avvertii un fragore come di una
folla che si stava muovendo verso di me. Mi girai e intravidi lontano, in un fulgore di
luci bianche come mille flash, una colonna di esseri. Persone, sì, donne uomini
bambini che a passo lento si dirigevano nella direzione del cigno. Mi scostai per
non intralciare il loro cammino, ma con grande sorpresa mi accorsi che rallentavo
meccanicamente. La sensazione fu curiosa. La fiumana umana procedeva con
andatura normale ed io annaspavo, tentavo di sbrigarmi senza successo. A mala
pena evitai di scontrarmi con i primi della colonna. Il loro aspetto denunciava uno
stato d'animo quasi di sogno, sebbene non avevano la difficoltà di movimento che
avevo io. Appartenevano sicuramente a quella terra, Lakustra, lo sapevo...
semplicemente. Non vi era nei loro volti paura né tormento. Piccoli e adulti
possedevano una forza, una convinzione per quello che facevano malgrado la
strana condizione ambientale e coscienziale in cui versavano. Era una
processione lunghissima, senza fine. Ognuno passando di fianco al cigno, lo
salutava con un cenno della testa, spontaneamente. Credevo di essere invisibile ai
loro occhi – chissà perché – invece alcuni si giravano e mi guardavano sorridendo.
Contraccambiai.
La mia anima si apriva: un moto profondo fuoriusciva incontrollabile verso quella
gente. Potevo sentirne gli umori, i pensieri, le tensioni. Non solo. La gioia vera, alta,
serena si estendeva dappertutto. Avvertivo l'umanità di quella marea di persone.
Come un suono proveniente da lontano che si avvicina progressivamente, ascoltai
un canto che mi entrava dentro con la sua vibrazione, un'onda oceanica invadeva
il flusso sanguigno che si illuminava perché raggiungeva il cielo. Una melodia
stupenda, ricca di sentimento ma non sdolcinata. Potente, ci prendeva al petto. Da
dove veniva quel canto bellissimo? Non riuscivo a capire, ma poco contava.
Sembrava che l'universo, come un'orchestra infinita, suonasse il suo inno alla
gioia. Dov'ero? In paradiso? Tutte quelle anime avevano un corpo, ne sentivo i
passi, l'ansimare dei più anziani e il vociare dei piccoli. Se non era quello un posto
edenico, sicuramente apparteneva ad un sovramondo oltre ogni più sfrenata
immaginazione. Mano a mano che passava il tempo – ma il tempo, passava? -
gradualmente, sopra la testa di ognuno di loro, si formavano luci abbaglianti, stelle
raggianti di colori, delle dimensioni di una mela: angeli custodi o forme dello spirito
che non hanno forma. Lo scenario era fantastico come la copertina di un disco
degli Osibisa. Da quel momento, la fiumana cambiò atteggiamento. Tutti, nei modi
più diversi, manifestavano contentezza, alcuni cantavano, i bambini saltavano.
Erano belli, felici. Il Varco trasformava l'essere, o meglio, lo trasmutava. Ma chi
sceglieva chi? Chi decideva chi doveva varcarlo? Altre persone sarebbero rimaste
su Lakustra. Vi era, quindi, una selezione, un criterio discriminante. Oppure cosa?
Poi mi sentii assorbire. Sì, il termine è questo. Qualcosa mi traeva verso il punto più
lontano del Varco. Velocemente fui allontanato. Troppo velocemente. Persi i sensi.
Geter sorrideva e mi sosteneva la schiena. Ero di nuovo seduto all'interno
dell'aeronave. Intorno, gli altri militari mi squadravano con curiosità. Cercai di dire
qualcosa, ma le parole non mi uscivano. Ero stordito, fiaccato nel fisico come dopo
una lunga fatica. Di nuovo bevvi quel liquore. Mi ripresi.
- Hai potuto avere un'esperienza mistica che diventerà mitica quando la narrerai
alle generazioni future – mi fece Geter.
- Ma cos'era, il paradiso?
- Oh Angelo, non si ritorna di solito da quel posto. Hai avuto la possibilità di essere
testimone di un passaggio cosmico di un mondo in un altro mondo.
La gente che hai veduto non sono defunti. Donne uomini bambini in carne e ossa
attraversano il ponte del Varco. Un ciclo è giunto alla fine e la ruota gira
nuovamente. Di esodi ce ne sono stati molti nella storia dei nostri popoli. Ma si
fuggiva da qualcuno o da qualcosa di terribile. Il Varco, invece, è una grande
occasione, unica, formidabile per quella generazione che arriva al termine di
un'era.
- E tu Geter non li invidi?
- Ognuno di noi ha un compito. Cerco di onorarlo. È già un miracolo trovare una
causa per cui val la pena morire. Quanti vagano trascinandosi durante tutta la vita,
senza una stella di orientamento, senza un senso da dare all'esistenza. Ognuno di
noi ha una missione da compiere in questo tratto di strada della Vita, ma pochi la
scoprono in tempo.
- Ora Geter che faremo?
- È necessario per te vedere come il caos opera. Ti servirà al momento opportuno.
La Terra, la nostra Terra affronterà il Varco come i lakustriani. Ma non è automatico.
Le leggi celesti non sono programmi definiti e rifiniti in ogni dettaglio. C'è un
margine, un fattore squilibrante, necessario, maledettamente necessario. Lo hai
incontrato credo... l'Ombra. Già quando da piccolini scopriamo il male nelle sue
forme relative magari, cominciamo a domandarci perché. Perché se la Creazione è
opera di Dio, sommo bene, vi è una parte oscura che tende a violare quest'ordine?
È implicito nella Creazione il male? E allora Dio ha una faccia oscura? La libertà di
scelta di ogni creatura è autentica libertà o è un frammento di quel disordine? Se
non vogliamo essere automi, quanto male siamo disposti a concedere per avere
la libertà? Chi ti parla è un soldato che non di rado ha ucciso e ha incontrato mille
volte il male e per molti miei nemici potevo io apparire il male, il loro male. Ho
tradito spesso il nostro codice per far rientrare in un altra prospettiva le cose. Ho
abiurato la mia fede per non distruggere quella altrui e dopo, rivisitando le mie
azioni, vergognandomene, ma soprattutto pentendomene amaramente, non ero
più così sicuro di stare dalla parte giusta. Se l’uomo, come si legge nel Prologo di
Zarathustra, il mio libro- chiave da giovane, è un cavo teso tra la bestia e il
superuomo, io mi ci sono sentito in più di un'occasione, e ti giuro Angelo, era
qualcosa di terribile.
- Scandurra ha uno strano rapporto con quell'essere maligno, l'Ombra. Non
capisco. Sarà la mia cultura cattolica preconciliare, ma credevo che col male non si
negoziasse.
- Invece si negozia, eccome, caro Angelo. Ci si insozza fino a sentirtelo dentro.
Diventa parte della tua natura. Difficile combattere un nemico che ha teste di ponte
nel tuo cervello.
Ti riporto sulla Luna. Tutto inizierà da lì.
sabato 10 dicembre 2011
IUS 46
«Il mondo vive di scintille di purezza; quando sono disseminate nel mondo e
vengono poi raccolte, il mondo dell'impurità crolla su se stesso».
Jacob Taubes, La teologia politica di San Paolo, Adelphi,
Milano 1997 (pagg. 31-32)
La pressione sul plesso solare fu tremenda. Persi alcune facoltà sensoriali. Anzi,
subii l'effetto d'inversione di attese cinetiche. Vedevo in movimento ciò che
ordinariamente e logicamente doveva restar fermo. Il pavimento, non so di cosa,
girava e oscillava ad altalena ed io avvertivo la gravità schiacciarmi verso un asse
ortogonale posto in fondo all'abisso. Poi un tavolaccio... ci stavo sopra ed ero nudo
come un verme. Un freddo boia mi costrinse ad assumere la posizione fetale. Dove
diavolo mi trovavo? Nella casa del diavolo, appunto. Il castello dell'Ombra. Di
nuovo. Perché? Mi sarei dovuto dirigere verso la Luna. Perché? Cosa era
successo? Un casino temporale?
La perversa cucina piena zeppa di laghi di sangue, era sempre la stessa. Terrifica.
Darest Sharma! Sembrava che ci dovessi comunque fare i conti. In un modo o
nell'altro. Mastro Fornari, Ranna, Scandurra, dove eravate? Avrò un altra
occasione?
L'odore del sangue e il rumore degli insetti famelici, rappresentavano il simbolo di
questo posto. La nudità mi creava non pochi problemi. Nella mia testa si agitava la
speranza di risentire la voce sghignazzante del maestro che mi avrebbe di nuovo
salvato. Ma i minuti passavano e non si vedeva via d'uscita. La luce che entrava
dalla finestra era quella del tramonto. Provai – povero illuso! - a chiamare
sottovoce Scandurra. Dall'esterno provenivano rumori di passi e di trascinamenti di
cose o... di spuntini umani. Uscii dalla cucina e mi inoltrai con cautela lungo il
corridoio. In punta di piedi, muro muro, raggiunsi una svolta verso sinistra. Altro
corridoio e stessa situazione. Mi dovevo sbrigare: dicevo a me stesso ''pensa,
Angelo, pensa''. Rammentai le regolette d'oro di Scandurra. Se spando il lumen,
esso mi avrebbe aiutato a trovar la via di fuga innescando una serie di eventi utili a
farmi uscire da questa trappola mortale. Il lumen contrasta efficacemente il kaos. Mi
venne, però, l'ansia. Brutta cosa, l'ansia. La paura blocca ogni azione sovrana.
Ebbi una sorta di crisi isterica. Non avevo più il controllo del respiro e della volontà.
Lasciai andare il corpo verso la parete e scivolai lentamente a terra. Ansimai a tal
punto da sentirmi soffocare. Il panico ebbe il sopravvento. Giocai male le carte a
mia disposizione. Eppure riuscivo abbastanza bene a modulare il lumen, a
direzionarlo, a metterlo nelle condizioni di evidenziare inghippi magici, a
smolecolare larve e assorbire latenze psichiche mortali. Eppure, in quel momento
fatidico, ero bloccato, un corpo morto senza reazioni, prigioniero nel posto più
malefico di quello strano universo.
Lo stato penoso in cui versavo derivante dal ritorno malaugurato a Darest Sharma,
pensai, forse era necessario per il mio percorso di risveglio. Tornare all'inferno,
quando sembrava, invece, che i miei incontri-avventure-visioni fossero
predominanti e liberatori della mia fase; ecco, ritrovarmi nella casa del diavolo –
senza enfasi – riguardava una verifica, meglio, una prova da superare lungo la via
iniziatica. Affrontare i mostri interiori fino alla loro distruzione, rappresenta il primo e
decisivo passo dell'Opera al Nero. Già, ma avrà un termine la Nigredo?
Eppure l'esperienza sembrava interna/esterna. La paura mi paralizzava. Senza
l'aiuto di Scandurra come avrei mai potuto fuggire? La botola del GRA
interdimensionale, ma sarebbe bastata anche una di quelle transitorie, chi diavolo
le avrebbe aperte? A proposito del diavolo...
- Sei sul limitare di una porta spalancata sull'abisso. Darest Sharma collega tutti gli
inferni degli universi... ed è molto trafficata come potrai constatare nel giro che
faremo. Non sarò il tuo Virgilio, eh eh, ma il padrone di casa in persona.
L'Ombra era dietro di me. Mi voltai con lentezza involontaria. Rattrappito come ero
dal terrore non mi riuscì di fare più in fretta. Eccolo. Da brividi. Alto più di me di due
spanne, intabardato da quella tunica argentea animata, sembrava sorridermi. Poi
si girò e lo seguii verso una porta poco distante.
- Lì troverai dei vestiti. Spero che siano adatti. Un attendente ti aspetterà fuori dal
vestibolo e quando sarai pronto ti condurrà nella sala imperiale.
- È stato lei a dirottarmi nel suo castello?
- Il corpo umano... quest'ammasso di oscure energie e di proteine facilmente
sublimabili... ma c'è la custodia.
- La custodia? - ripetei sbalordito.
- Sì, l'uovo-anima e visto che il tempo è una ruota essa può agganciarlo in ogni
punto della circonferenza e viceversa. Ed ora sbrigati che fa freddo.
Si allontanò senza far rumore. Appena entrai trovai una stanza enorme che si
illuminò automaticamente. C'era, appoggiata ad una parete, una panca e di fronte
un guardaroba fornitissimo, funzionale e con un certo qual stile, scarpiere e tutto il
necessario: fazzoletti, acqua di colonia, rasoi ecc.. Compresi dalla forma la
funzione di questi oggetti anche se la foggia era alquanto bizzarra. Trovai
un'enorme varietà di indumenti. Scelsi un paio di calzoni marroni di fustagno e un
maglione a collo alto color senape, morbido e leggero. Stivaletti di pelle... di chi?
Non ebbi problemi con le misure e finalmente mi sentii meglio, comodo e più
sicuro. Non mi avevano mangiato, almeno.
Scandurra in più di un'occasione mi ha assicurato che in caso di estremo pericolo,
avrebbero vegliato misteriose intelligenze soprannaturali. In ciò confido. Ogni
religione tradizionale asserisce tale verità, ma se si escludono pochi fortunati o
prescelti che ne hanno fatto esperienza diretta, il resto dell'umanità alle soglie del
duemila deve ancora aggrapparsi alla fede. Leggo sul Giornale dei Misteri
dell'approssimarsi di un'Età dell'Acquario, di psicotematiche, di messaggistica
medianica che preannunciano grandi cambiamenti che riguarderanno tutti. Non ho
motivo di dubitarne. So dell'esistenza di universi paralleli per esserci andato, di
mondi abitati da esseri come noi o quasi, dagli intenti diversi ma in buona parte
positivi, costruttivi, dotati di eccellenti qualità etico-morali. Tali premesse fanno ben
sperare in un possibile contatto tra i mondi, in special modo noi di Madreterra con
le altre civiltà stellari. Una rinnovata visione cosmica è necessaria, anzi, di vitale
importanza per noi uomini del XX° secolo. Abbiamo dimenticata la nostra vera
origine, senza per questo sottovalutare la responsabilità di una élite segreta che ha
soppresso la conoscenza per dominare i popoli, sta di fatto che non possiamo
rimanere ciechi e sordi e continuare a vivacchiare, senza orizzonti, privi di
speranze e progetti. È tempo di cambiare. Sento forte in me l'esigenza di gridare ai
quattro venti che esseri incredibili popolano i cieli, che da quando esiste il mondo
ci fanno visita, e per comunicare con loro non ci vogliono requisiti speciali o
raccomandazioni politiche. Sono disposto a donare all'umanità gli strumenti per
accedere all'arcana struttura parallela: le botole scandurriane. La responsabilità
già l'avverto. Il peso forse mi schiaccerà. E se alcuni ne facessero un uso
improprio? Se i potenti che governano la Madreterra, prendessero con la violenza
gli accessi interdimensionali? La storia ci insegna a dubitare di chi vuole decidere
per gli altri. Tuttavia, certe conoscenze non possono rimanere nascoste e sottratte
agli uomini per troppo tempo. L'energia dello spirito come un fiume carsico emerge
all'improvviso, si incarna e spariglia i rapporti di forza. Forse l'era nuova porterà
nuova libertà, lo spirito si riprenderà il posto rubato dalla cultura del profitto. Forse.
Mentre mi accingevo ad uscire dallo spogliatoio, una vibrazione sinistra risalì dal
coccige fin su il cervelletto. Perché quella visione edulcorata dell'èra acquariana si
scontra con una realtà complessa, bipolare, manichea. A margine del visibile, vive
un mondo pieno di forze diaboliche, un mondo che possiede le proprie leggi e
interferisce nelle esistenze umane. Una dimensione oscura confina e si mescola
con la nostra e da essa provengono entità terrifiche, distruttive, capaci di entrare
nell'uovo-anima di soggetti particolarmente predisposti, oppure di influenzare e
indurre donne e uomini a compiere i più spregevoli misfatti. La nuova èra se deve
giungere dovrà prima cimentarsi con un passato che non passa. Nulla è scontato,
niente è già deciso.
L'attendente che mi aspettava non sembrava proprio un soldato. Aveva l'aspetto e
il fare da prete, con un abito talare rosso lungo fino alle caviglie, il volto giovane da
seminarista con un taglio di capelli 'all'Umberto'. Mi sorrise e arrossì, fece un cenno
ad indicarmi di seguirlo. Così feci. Il suo passo spedito, nervoso mi obbligò quasi a
correre. Attraversammo corridoi, pianerottoli, salimmo scale dai gradini antichi fino
ad arrivare ad un enorme salone di stile medievale terrestre (forse il medioevo era
uguale dappertutto?). Alle pareti vi erano agganciati spadoni, appese picche,
appoggiati al muro scudi dai blasoni colorati con scene di guerra o con animali
esotici. Vi faceva bella figura pure una testa di bestia a metà tra un leone e un
cinghiale, forse trofeo di caccia. Un tavolo rettangolare 3 per 15 era posto al centro
della sala ottagonale, dal soffitto altissimo. Insomma, la scena era tutto meno che
strana. Un castello, semplicemente. Questa era la mia prima impressione. Il prete
mi indicò una grossa seggiola legnometallo a capotavola. Lui si allontanò in tutta
fretta. La luce filtrava attraverso il vetro colorato e disegnato di un finestrone a
forma di losanga. Appoggiai le mani sul tavolo, era freddo e al tatto sembrava
gommato. Intanto, la mia mente cominciava a viaggiare con le ipotesi. Cosa mi
sarei dovuto aspettare? L'Ombra si sarebbe ricordato che ero un allievo del suo
amico/nemico Scandurra? Cosa voleva da me e cosa avrei potuto dargli? Mi
convinsi, comunque, che non mi avrebbe fatto del male. Mi sembrava l'unico dato
certo. E poi, il maestro non mi avrebbe lasciato lì, in balia di persone ed eventi
minacciosi. È un peccato morire da giovani quando sembra che la vita e l'universo
si spalanchino davanti.
L'Ombra si faceva attendere.
- Si vede solo ciò che già esiste nella mente. Quante cose sfuggono a causa di
schemi... - Con tono sommesso mi fece sobbalzare dalla sedia.
Era dietro di me. Non riuscivo mai ad avvertirlo arrivare. Mi alzai e lo guardai da
vicino. Il suo volto era scavato come quello di Edoardo De Filippo, ma con un
ghigno persistente e dagli occhi piccoli, fessure terribili che ti scrutavano dentro.
L'esperienza di stargli di fronte non era per niente salutare. Ricordai che Scandurra
mi diceva di mettermi leggermente di traverso quando incontravo un potenziale
nemico o uno sconosciuto.
- Ottima tattica. Sei proprio un buon allievo di Scandurra.
- Non deve offendersi, signore. Adotto semplici accorgimenti automaticamente.
- Da tempo che non mi imbattevo in un inviato di quell'atlantideo. Per giunta un
terrestre. La forza, quella vera del tuo maestro, è di non odiare nessuno, nemmeno
i nemici più feroci e, ti assicuro, ce li ha a iosa! Ha uno spirito direi unico. Sembra
sempre che si trovi per caso in ogni plaga degli universi, mangiando quelle cose
oleose e dagli odori pungenti e trangugiando bevande fermentate... poi che fa?
Risolve situazioni tra le più ingarbugliate ed evita pericoli immani con la stessa
facilità con la quale addenta il pane unto che conserva sempre in quelle tasche
infinite. È nato così. Un miracolo in carne ed ossa. È impossibile ucciderlo o
ingannarlo. Forse solo se lo decide lui...
Lasciò quella frase in sospeso. Che voleva dire? Devo sottolineare che l'Ombra
parlava un italiano con una inflessione mai sentita prima. È banale ciò che dico, lo
so. Non riesco a spiegarmi bene quando devo descrivere fatti gente cose così
estranee al nostro comune sentire. A volte sembrava uno di noi, altre un essere
così lontano dalla nostra esperienza umana. Eppure, vi era qualcosa in lui che lo
rendeva comune alla razza da cui provengo. Chi era realmente l'Ombra? Il diavolo
così come è descritto dalle teologie? O un uomo che ha tradito l'umanità?
- Come era il mondo prima delle tenebre? Lo sai, Angelo? La nostra schiatta ha
una grande nostalgia, malata, degenerante. Soffriamo della mancanza di ciò che
non abbiamo mai posseduto. Allora distruggiamo tutti i nodi divini che vi collegano
ai cieli e rendono la vostra natura luminosa. Siamo malvagi? Oh no, questa è una
categoria banale. È qualcosa di più blasfemo.
Si agita in noi la volontà di far strage di ogni essere, creatura che abiti nei nove
universi, per rimanere soli, non per sostituirci al Dio che conosci, ma per essere
amati come unici figli rimasti, almeno per una unità di tempo. Non potrebbe altresì
condannarci, sarebbe contro la sua legge. Farebbe risorgere ogni essere e
creatura da noi uccisa, rendendo cento al posto di uno per ogni sofferenza e dolore
patito dai suoi. Facciamo il male a fin di bene... Siamo in realtà costruttori di
paradisi nel momento in cui distruggiamo tutti. Attori consumati nel teatro
dell'infinito, a cui è toccato il ruolo più odiato ma pure necessario. La genialità
dell'errore sta in questo.
Assumere una identità contraria a tutto in modo da liberare dall'errore e dalla
tentazione i più fragili, portando il carico più pesante del cosmo.
Stiamo perdendo anima, gradualmente, inesorabilmente per questa opera
immane. La paghiamo con dignità, consapevoli della fine.
- Se ho capito bene, in fondo lavorate per il Creatore in un compito infame ma utile.
- Gioco al rapace che si trastulla con la preda impotente e per rendere più
interessante la caccia si traveste da suo simile. Seguimi che ti faccio vedere come
la mente inganna e come brucia l'inferno. Lo promisi a Scandurra di trasmettere la
conoscenza delle tenebre ad un eventuale apprendista. Sul sentiero si incontrano
ostacoli inaspettati, ma solo in apparenza nuovi. Le forme cambiano spesso, il
fuoco che le anima è sempre lo stesso.
Ci avvicinammo presso una porta rossa di ferro. Lui pronunciò bisbigliando alcune
parole. Nell'occasione non utilizzò il mio idioma, ma una lingua lontana, dal suono
arcaico.
Radenà zaril nardùk … assal denda magalat
anedàr liraz kudràn … lassa adned talagam
La portà però non si aprì, come invece mi aspettavo. Fu il pavimento a lastroni
marroni ad allungarsi e tutto si fece più esteso. Le mura, il soffitto, le cose, si
dilatarono o forse noi ci stavamo allontanando. Difficile a dirsi. Incominciai a
preoccuparmi. L'Ombra si chinò e colpì terra con un pugno. La scena rallentò
gradualmente fino a fermarsi. La porta rossa sembrò dischiudersi con uno scatto,
come da un comando elettrico. Mi precedette e io non potei fare altro che seguirlo.
Per troppi secoli il potere di una minoranza ha negato l'accesso alla conoscenza;
le chiese perdono terreno, la fede diviene un fatto sentimentale e le montagne non
si spostano più. Certi libri di magia e occultismo, son giudicati fandonie per fessi e
paranoici, ma anche il più misero e cialtronesco di questi racchiude una verità
fondamentale, più di ogni testo di scienza accademica, più di ogni trattato
sociologico e studio psicologico. L'analogia, ossia l'azione a distanza senza l'uso
dei sensi e di mezzi ordinari, è la base della magia. Simboli e figure mitologiche
sono schemi d'energia, porte che dischiudono saperi e cose di altri piani. Forze
cosmiche ci mantengono in vita e sottili rapporti sussistono fra mondo corporeo e
mondi incorporei. Se vogliamo riascoltare i cieli e la terra dobbiamo farci sempre
più sottili, perdendo i metalli che compongono il nostro ego e fonderci con il soffio
della vita, e vibrare nell’eco dell'antico suono. Se il mio cuore vibra in frequenze
più alte ciò aziona un processo analogico nel cuore del mio prossimo. Se vibro
evoco forze superiori. Ogni manualetto di magia pratica ci insegna queste semplici
e decisive realtà. Ma quanti gli danno retta? Chi si mette con pazienza e costanza
a far pratica?
Ho letto un libro dal titolo 'Ciclomanzia' che promette poteri paranormali attraverso
gli esercizi di immaginazione guidata. Ho illustrato il contenuto a Scandurra: mi ha
confermato la bontà delle tecniche ivi descritte, sebbene critica l'uso che l'autore
indica. Alcuni credono di intercettare la possibilità di acquisire poteri e allora si
impegnano fino allo spasimo per provare e riprovare tecniche: se l'intento è quello
del profitto, sarà un fallimento. A nulla valgono le raccomandazioni di maghi e
alchimisti. L'uomo moderno è desideroso di potenza, di capacità extraumane onde
influenzare il prossimo per squallidi fini. Poco gliene verrà. Sarà un portatore di
larve e di mestizia.
- Non accendere la tua luce, se non vorrai esser sbranato dal mostro in
perenne agguato – così mi ordinò il negromante.
Scandurra invece mi esorta a evocare il lumen per meglio vedere e attingere
energia vitale. L'Ombra vuole ingannarmi o mi mette alla prova? Che cosa devo
fare? È una tattica? E poi di che mostro parla? È una prova mentale?
Varcai la porta rossa e storzai, sussultai perché mi trovai di fronte ad una belva dal
collo taurino e dalla testa di felino, il suo corpo tozzo e grigio era senza peli.
Grosso come un vitellone, l'animale si trovava appollaiato su di un piedistallo
cilindrico di roccia, posto in una grotta verde smeraldo grande come un garage.
Emetteva un ringhio sfiatato, e si leccava il muso con una lingua rossastra. Ero ad
un bivio: scegliere se usare il lumen o seguire il consiglio dell'Ombra, che tra l'altro
era sparita. Optai per il lumen e la bestiaccia mi ruggì contro con tutto il suo fiato.
Un puzzo orribile mi investì insieme alla saliva, che scoprii essere urticante. Il viso,
il collo e le mani erano piene di bolle, dopo pochi secondi. Cercai di togliermela di
dosso, invano. Mi bruciava tutto e mi grattai spasmodicamente. Cavolo! Forse
aveva ragione il padrone di casa, non avrei dovuto esibire i documenti, cioè il mio
potere luminoso. La bestia si lanciò su di me. Tremavo così tanto da dissociarmi.
Era a pochi centimetri da me, ormai. Non riuscivo nemmeno a scartare di lato, la
paura mi paralizzava. Temevo di non essere pronto di fronte ad un pericolo:
attraiamo gli eventi secondo la nostra natura.
Un colpo a mano aperta colpì irrimediabilmente il bestione sul collo, schiattò per
terra a pochi centimetri dai miei piedi. Scandurra allontanò con un calcione
l'animale.
- Non rimpiangere di non aver dato ascolto all'Ombra. Quello lì, se gli viene fatta
bene, ti fotte. Tutto è prova dice lui... certo, ma ci sono pure le fregature, i frutti
velenosi. Ovunque tu spanda il lumen, noi lo avvertiamo.
Abbracciai con tutti i sentimenti quell'uomo incredibile. Quando c'è bisogno, eccolo
spuntare.
- Allora non era un inganno mentale quella specie di leone?
- Macché, era una bestia bastarda che se avesse potuto ti avrebbe sgranocchiato
come un croccantino. Angelo mio, 'sto posto è diabolicamente satanico... non so se
ti ho reso l'idea. Ora andiamocene, è meglio. Sarà per un'altra volta la gita turistica.
Uscimmo dalla porta rossa verso il salone. Il mio maestro ruotò per alcuni secondi
le dita della mano sinistra in senso orario, emise uno strano verso e poi corremmo
via verso l'uscita. Ovviamente Scandurra aprì una botola transitoria, quelle di
passaggio breve, che si trovava non so per quale magia accanto agli scudi
poggiati al muro.
Vibrazione ronzio nausea antigravità... eccoci in un boschetto lussureggiante di
piante fiori alberi dai più svariati colori. Scandurra mi consigliò di abbandonare gli
abiti, se non volevo rischiare di essere seguito dall'Ombra.
- Ha un naso eccezionale quell'essere. Ti sente anche se stai su di un altro
pianeta. Dietro quel frattone ci sono degli abiti. Non sono italiani, certo, ma
comunque svolgono bene il loro compito.
- Va bene, vado e mi cambio.
Mi svestii in tutta fretta e aprii il sacco dove c'erano i nuovi abiti. Già, una
calzamaglia verdastra e stretta, un giubbotto di pelle marrone e un paio di stivaletti
dello stesso colore, morbidi. Sembravo un paesanotto medioevale vagante in un
altra dimensione. Pazienza. Uscii dalla fratta ma di Scandurra nemmeno l'ombra.
Si trovava penzolone sul ramo più grande di un albero vicino, tentava di prendere
un grappolo di bacche arancioni.
- Sono buone, sai? Dolcissime e ti daranno pure forza. È quello che ti serve.
Le staccò con forza e ridiscese con insolita agilità. Me le porse. In effetti erano
buonissime, assomigliavano alle amarene. Le mangiai tutte con una certa
ingordigia e come per incanto le bolle e il prurito sparirono in pochi secondi. Poi
Scandurra sbottò in una risata senza freni.
- Ma ti sei visto? Sembri un ballerino con le palle al fresco.
- Mi hai rimediato una cosa assurda. E poi mi sfotti pure. Che devo fare. Qui dove
trovo dei negozi di abbigliamento? - feci io un po' seccato.
- Torniamo a Deya e ti porto in uno spaccio fornitissimo, dove puoi trova' 'gni cosa.
Vestiti, cibarie, radioline, armi. Tutto quello che serve a dei viaggiatori come noi. Mi
fanno credito, sai, sono un eroe nazionale. A Viterbo non conto una sega, in questo
universo mi son fatto una posizione. Eh eh.
- Quanto dista la città?
- Se camminiamo senza fermarci, impiegheremo due giorni. Se faremo delle soste,
meno di una giornata.
- Come? Ma perché non usiamo la benedetta botola?
- Ti perderesti il meglio. Non possiamo usare sempre la via breve, camminare è
un'arte, si impara molto passando su sentieri mal frequentati. E poi, vuoi mettere i
pericoli, i trabocchetti, gli oscuri dietro ogni fratta o grotta, zingari felici che
spargono malinconia e ladri furbacchioni, pezzi di merda e abitanti dei regni
intermedi. Se vuoi accujarti prendiamo il sottopasso cosmico, ma fidati, ci
divertiremo per strada. Non temere, al limite sparisco e poi ricomparo.
venerdì 20 gennaio 2012
IUS 47
Ritorno a Deya 1
''Col ricordo risvegli i sensi''.
Scandurra
''… ce l'hai presente il bumeranghe, sì, quello che usano l'australici? Beh, il suo
baricentro si trova dove non c'è massa, al di fuori di esso: così è per lo spirito
dell'uomo''.
Scandurra
''… gli atlantidi c'avevano una conoscenza tale da illuminare a festa la Via Lattea, o
da farla esplodere. È bene giungere così in alto? L'uomo saprà mai contentarsi del
giusto?''.
Scandurra
Deya mi mancava. La città-labirinto, crocevia dell'universo dove il Grande Tempo
scolpiva la materia, luogo di mille intrighi, di ordini oscuri e di luminosi esseri,
rappresentava il centro della conoscenza. Deya, nome magico che mi risuonava
dentro. Forse avrei rivisto Ranna. Quella tipa così distante, altera, nobile, mi
affascinava.
Ci inoltrammo nel bosco. Ogni tanto Scandurra si soffermava a tastare un frutto per
vedere se fosse maturo (deformazione professionale?); staccava un ramo a 'V' e lo
imboscava nel cappottone; sfiorava un fiore a calice e palpeggiava il tronco di un
albero; spianava col piede un piccolo 'montarozzo' di terra fresca. Insomma, aveva
comunque qualcosa da fare e quello che faceva sembrava avere un senso, ben al
di là delle apparenze. Conosceva ogni piazzola, sentiero, fosso che incontravamo.
Un perfetto viaggiatore di mondi e universi, senza passaporto perché di casa
dappertutto.
La temperatura si faceva più tiepida all'imbrunire. Gli odori erano forti e spade di
luce rossoviola attraversavano le fronde e toccando terra sembravano continuare il
loro viaggio altrove. A mala pena si intravedevano movimenti di animali – o chissà
che altro – tra gli arbusti.
- Caro Angelo, se non vi fossero due opposti non sarebbero possibili i campi di
forza. 'Ste forze agiscono in parallelo per coesistere, altrimenti non potrebbe
circolare l'energia, né scorrere le correnti luminose e tenebrose nel cosmo ed in
ogni dimensione. Se vuoi scacciare il diavolo devi scaldare l'acqua santa col fuoco.
Dappertutto le forze tendono ad equilibrarsi e ad annientarsi in specifici ritmi di
aggregazione e disgregazione. Queste sono le leggi delle materie oscure. Tienile
bene a mente, ti serviranno presto.
- Scusami Scandurra, sono un po' confuso...
- In fondo... tutto si riduce a una misurazione di forze.
Intanto mi indicò di sedermi ai piedi di una roccia grigionera che non sembrava
così naturale, conficcata nel bel mezzo di un piccolo spiazzo. Un menhir messo lì
non certo a caso, magari ad indicare un … campo di forza, appunto.
- Ricevi in questo modo lo spirito del luogo. Un lasciapassare per essere accolto
come amico. Non si entra a casa degli altri senza prima bussare.
- Che genere di abitanti si trovano qui?
- I senzacorpo... spettri... adesso seguirò le loro impronte spettrali per cercare un
contatto.
- Perché? Cosa ci debbono dire?
- Sono io che devo informarli su certe cose.
- Spettri dici, sono quindi anime di defunti?
- No, sono antichi abitanti del posto legati a questo piano anche quando cambiano
di stato. Spettri che mantengono un centro di coscienza sostenuto da un'energia
quasi infinita. La loro vita continua senza per questo abbandonare il posto dove
hanno vissuto prima.
- Ma li posso vedere anche io?
- Se c'hai core [coraggio]...
Ecco di nuovo una prova. Ogni passo, un incontro fatidico. Scandurra ad un certo
momento prese dalla tasca del cappotto un pugno di terriccio giallastro, lo gettò per
terra e si accovacciò. Premette le mani su quel composto. Era il suo rituale. Le
mani aperte, parallele con le dita separate: segno ancestrale di quelli che erano in
contatto con le ombre. Mani, ponti con l'aldilà. Mormorò una frase incomprensibile
che produsse un effetto risonanza, poi si alzò e attese.
Mentre sostavo ai piedi del masso, mi venne in mente un episodio, uno dei tanti, in
cui provai un'emozione travolgente. La primavera dell'anno scorso, Scandurra ci
portò a noi dell'anonima, sul Monte Venere in prossimità del Lago di Vico, a pochi
chilometri da Viterbo. Raggiungemmo una serie di grossi massi naturali (forse)
vicini alla sommità; da lì potevamo ammirare quella magica terra al tramonto.
- Questa è l'ora buona per vedere le porte del cosmo aprirsi in tutto il loro
splendore. Mettetevi a cerchio e prendete le distanze a braccia aperte... come a
scuola. Il cerchio chiama il punto che spinto con decisione mette in moto
l'ingranaggio... è tutta una questione di misurazione di forze.
Così facemmo. Eravamo in quell'occasione in nove. Sei maschi e tre femmine, di
età diverse ma tutti accomunati dallo stesso ardore. Sebbene fosse caldo, un
venticello fresco ci colpì ad altezza collo. Un tuono profondo ci scosse, proveniva
da est. Il cielo era sereno. Di seguito, un altro tuono più forte ancora ci raggiunse
dalla stessa direzione. La terra sotto i nostri piedi tremò. Guardai un po'
preoccupato i compagni e una sorta di tremore circolò fra noi. Cosa stava per
succedere? Quale diavoleria ci serviva Scandurra?
- Bene, ora possiamo ritornare alle nostre macchine – ci invitò Scandurra divertito.
- Tutto qui? - fece Claudia.
Ci precedette il maestro con la sua andatura caracollante. Tra di noi ci
scambiammo qualche commento di sorpresa mista a delusione. Raggiunte le tre
automobili accostate ai bordi del sentiero montano, ci salutammo un po' interdetti e
procedemmo lentamente sullo sterrato verso la provinciale. Quando, come
apparso dal nulla, incrociammo un magnifico cavallo baio guidato da un cavaliere
con tunica rossa e calzari, come nei film mitologici di Maciste ed Ursus. Sembrava
una comparsa di Cinecittà.
- Ma che girano un film? - feci io.
- Boh? Mi sembra 'na carnevalata. Grande, grosso e cojone. A quell'età ancora si
traveste da saettone [bamboccione giocherellone] – rispose Quintilio.
Il tizio sul cavallo si fermò dopo averci superato. Lo vedemmo dallo specchietto
scendere da cavallo. Ci osservava con atteggiamento sorpreso.
- È un atlantideo. Si chiama Rameter, un portaordini.
- Chi è? Non ci canzonare maestro. Va bene che ci devi addestrare ma...
Scandurra fermò la sua 500 e così fecero gli altri al seguito. Uscimmo tutti. Il
maestro si diresse verso quell'uomo. Distava da noi 15metri circa. Alto, muscoloso
e dalla folta capigliatura legata dietro, parlottava sottovoce col nostro mentore. Ci
chiedemmo se tutto questo fosse una presa in giro per metterci alla prova. Di cosa,
poi. Il fruttarolo folle ritornò con fare truffaldino e si mise al volante dell'auto. Il baldo
cavaliere rimontò a cavallo e proseguì la sua corsa. Raggiunto il Passamontagna,
incrocio tra Viterbo e Ronciglione, ad uno di noi gli si accese la lampadina:
- Ma avete notato che non c'è più l'asfalto stradale? Siamo passati su di una
strada sterrata. Che fine ha fatto la provinciale?
- Vedrai, durerà per poco. Se scendi verso città, a pochi decine di metri ritroverai la
strada normale insieme al tempo normale – rispose ridacchiando Scandurra.
- Vuoi dirci che abbiamo vissuto un'esperienza nel lontano passato dell'umanità?
- No, abbiamo aperto una breccia nel Tempo e un mondo affiancato si è
mostrato a noi.
Ci fermammo alla piazzola del Passamontagna. Non volevamo andar via da quel
mondo antico. Ci rifiutavamo di imboccare la via per Viterbo. Avevamo paura di
lasciarci alle spalle un'epoca spettacolare, dove gli atlantidi dominavano su quella
terra che fu poi degli Etruschi (colonia rossa anch'essa). Con dovuto rispetto, mi
rivolsi a Scandurra:
- Maestro, cosa succederebbe se rimanessimo in questo mondo antidiluviano?
- Dieci abitanti di qui dovrebbero passare nel ventesimo secolo e non sarebbe
nemmeno risolto il problema... è complicato assai, ma soprattutto non è giusto.
Abbiamo da fare delle cose importanti, non possiamo abbandonare un mondo agli
sgoccioli. Non è per caso se state acquisendo le materie oscure, non lo
dimenticate. Il fuoco va tenuto sempre acceso, soprattutto quando tutto si oscura
intorno a noi.
Rientrammo tutti nelle nostre macchinette, abbacchiati e delusi, quando un
qualcosa, un movimento improvviso dietro di noi ci fece girare la testa verso il lago.
Un'aeronave immensa quanto lo specchio d'acqua dei Cimini, si alzò verso il cielo,
si fermò a poche centinaia di metri dalla superfice del lago per cinque secondi, non
di più, e poi sparì alla nostra vista in un lampo. Dal movimento dell'acqua capimmo
che era decollata dal fondo del Lago di Vico. Magnifica nella sua complessità
aerodinamica, non sembrava però extraterrestre. Non ci spiegammo perché,
apparteneva comunque a questo mondo, magari di una grande civiltà: Atlantide,
appunto.
Quintilio chiese spiegazioni al maestro:
- Come mai fanno uso di cavalli e poi viaggiano in astronave? Oppure sono popoli
diversi, dei regrediti insieme a dei supersviluppati?
- Si può viaggiare a piedi o a cavallo e percorrere centinaia di chilometri in pochi
minuti e navigare tra le stelle con lo stesso principio. L'importante è conoscere il
mistero del tempo e dello spazio, il resto è un gioco da ragazzi.
- Come mai gli atlantidi bazzicavano pure la Tuscia?
- Qui fanno delle ottime frittate con gli strigoli. Le erbette di campo così, le trovi in
poche parti del mondo... eh eh eh. Il territorio nostro è particolarmente prezioso. Da
qui si viaggia che è una bellezza. È il posto più prossimo alla serie di mondi
tangenti. Le botole sono ricettive e funzionali, che io sappia non ci sono stati
incidenti di immersioni in varchi interdimensionali, fatta eccezione per non graditi
ospiti. La terra che vi tiene è viva, porosa, mista di materia densa e tenue. Più in
generale, i popoli si muovono per conoscere o per conquistare e a volte per
entrambe le ragioni. E quando la terra sembra troppo piccola si punta verso le
stelle e poi, beh e poi ti aspettano altri universi. Siamo viaggiatori nati, fino a
quando non troviamo un bel posticino e con l'amore della nostra vita viviamo
soddisfatti e in pace. È quello che auguro a tutti voi.
Nella conca del cielo ardeva il tuono. Tornammo sull'asfalto della strada Cimina a
riveder la nostra amata cittadina, interscalo cosmico non segnalato sulle mappe.
Giunti a Piazza del Comune, entrammo gongolanti al Bar Centrale. Era ora di cena
e qualcuno di noi volle consumare un pasto adeguato, altri se ne tornarono a casa.
Quei quattro avventori presenti al bar ci facevano tenerezza, perché ignari di
quante cose immense e sublimi si nascondevano dietro le pieghe del tempo e
dello spazio. Le esperienze mirabolanti non ci insuperbivano, anzi, ci sentivamo
piccoletti di fronte all'infinito. Acquistavamo pian piano un respiro cosmico, una
veduta più ampia e profonda della realtà. Emergevano bruciandosi, come in
un'Opera al Nero, in tutta la loro inutilità le nostre miserie, le invidie, gli orgogli, le
brame di possesso; prendevamo così le dovute distanze dalle cose comuni, senza
rimpianti. Non ci sfiorava nemmeno l'idea di lucrare su quanto in nostro possesso.
Possedere, che brutto verbo. La Vita andava vissuta senza frontiere e la gioia era
nel vedere che ''tutto abbiamo in prestito'' e che ci aspetta qualcosa di diverso, di
elevato, ben lontano da tutte le filosofie e scienze del mondo. Le fessure, o meglio,
le brecce che Scandurra apportava alla struttura del reale, servivano a connetterci
con le storie di altre civiltà, antichissime o in divenire. Crescevamo e in questo
fermento qualcosa si risvegliava in noi. La memoria di ciò che eravamo, ben oltre
quel sistema di significato chiamato 'cultura' che ci imprigionava. Ci diceva:
- Rinunciate senza sforzo a ciò che è conosciuto, usatelo solo là dove è
necessario, siate abbandonati, lasciate ogni presa, ogni identificazione; solo così
aperti, sinceri, seri e senza maschere, solo così i vincoli cadono e le ali si sciolgono
libere, e noi si è librati in volo, senza lasciar tracce, senza ricompensa, liberi nel
cielo che è il sacrale del mistero. Essere idonei a riceverlo è tutto: se in noi c'è
l'ordine, l'armonia come nella stanza pulita, con le finestre aperte, allora il vento
profumato dei diecimila fiori di Deya entra e tutto compenetra. Vivete in voi non
come vi dico ora, vivete in voi come avvenimento nuovo, originale perché
originario, che sia vostro non mio, che sia vostra scoperta. La realtà per ciascuno è
l'esperienza viva, è la cosa appresa ora. Liberatevi dalla corrente del mondo che
travolge tutti, donando senza ricompensa, amando senza ricerca del piacere. Si è
vero uomo, maestro con la maestria del comprendere, con la maestria dell'agire,
con la maestria che con l'amore è perpetua libera creazione.
Con Scandurra ci affacciavamo sull'ignoto ed esso era grande.
Mi destai dall'onda del ricordo, quando una leggera pressione mi colpì la faccia e
la testa. Un senzacorpo si stava avvicinando velocemente verso di noi. Ma come
diavolo potevo vedere uno spettro se non possedeva un corpo? Semplice, c'aveva
comunque una forma. Una sagoma umanoide multicolore, cangiante che lasciava
una scia di particelle luminose, come nei cartoni animati di Walt Disney. Pura
elettricità mossa da una coscienza, forse un'anima allo stato puro, chissà. Alta tre
metri, illuminava tutto il boschetto in cui ci eravamo accampati. Guardai
preoccupato Scandurra. Lui chinò il capo in segno di rispetto e salutò allargando le
braccia a croce. Lo stesso fece la sagoma elettrica, poi si girò velocemente verso di
me. Scattai subito in piedi e salutai in tutta fretta. Ricambiò un po' seccata. Così mi
sembrò.
- Si chiama Ha LL Fast, nome che riproduce la sua frequenza vibratoria. Se la
pronunci come si deve, lei ti sente ovunque tu sia. Vibrazioni subspettrali
ovviamente, essendo spettri eh eh, che viaggiano tra le botole senza limiti né
impedimenti.
- È una donna? - feci io.
- Mah, è difficile definirla così. Era comunque una bonazza quando c'aveva il
corpo, ma alta com'era mi sentivo troppo ciuco [piccolo], adesso poi...
- Perché, adesso sono repellente? - una voce bellissima, gentile, dai toni alti,
provenne dalle parti di quell'essere elettrico.
- No, no, anzi. Però cara mia, avevo difficoltà quando eri di ciccia, figurati adesso
che pari un fulmine.
venerdì 9 marzo 2012
IUS 48
L'essere si inoltrò nel bosco. Lo seguimmo. Scandurra mi accennò all'esistenza di
una vetta luminosa. Poi, avvertimmo un melodioso canto di bambini che si alzò
tutt'intorno. Era canto gioioso. Poi li vidi. Erano luci nelle luci, senza ombre, privi di
contrasti interni, immersi in un campo radiante multicolore. I senzacorpo, come li
denominò il maestro, ci aprirono la strada verso una collina. Avvertii un desiderio
inquieto, che si ripercosse su tutta la mia anima. Sembrava una processione,
ascoltando le note del canto. Il contrasto era straordinario tra noi uomini in carne
ed ossa e loro, i senzacorpo splendenti, energie luminescenti che fluttuavano
nell'aria come angeli. La scena assumeva i contorni di un sogno soave, leggero,
fresco. E allora ammirammo la vetta di quel colle, coronata di luci. Ha LL Fast si
rivolse a noi:
- Vorremmo perfezionarci ulteriormente, non per superbia ma per una necessità
della nostra stessa essenza. Di natura rifuggiamo il caos. Ma la cima è ancora
lontana.
Giunti sulla sommità, fummo circondati da centinaia di esseri elettrici, quasi fossero
un comitato di ricevimento. Sentivo la loro natura, normalmente felice. Erano
contagiosi. Ci sentimmo, infatti, contenti. La collinetta si ergeva su di uno
strapiombo il cui fondo era coperto da nebbia. Ebbi paura di quell'abisso così
tenebroso.
- Hanno voluto condividere con noi l'adunanza sacra. Ad ogni fine ciclo cosmico si
radunano quassù e cantano la loro felicità all'universo. La propagano e ogni
essere può sentirla. Esistono per ricordare al mondo che il nostro fine è la gioia.
Per induzione risvegliano l'anima di ognuno di noi.
Quando senza motivo apparente percepiamo un brivido corroborante, un fremito di
benessere, beh, è la vibrazione del loro canto felice che ci giunge.
Pensa, Angelo, ci sono popoli che dedicano tutta la loro vita per gli altri. Così,
senza compensi o vantaggi. Naturalmente.
In quell'immensa plaga di luce, come tanti fiori, spuntarono miriadi di senzacorpo,
luccicanti, gloriosi. Mi sfiorarono il viso. Fui inondato da un calore buono e mille
scintille sgorgarono dalle loro forme. Quelle gocce di luce sembrarono vivere di
vita propria, volavano saettando per ogni direzione, come impazzite. Allargai le
braccia e vi si posarono. Prive di peso e tuttavia avvertivo la loro leggera pressione
sul mio corpo. E allora vidi il mio riflesso su di uno specchio d'acqua, ma rovesciato
e mi prese una vertigine. L'alto e il basso si scambiarono di posto. Il mondo
sembrava invertito: cielo sotto e terra sopra. Aghi luminosi mi penetrarono
dappertutto. Una lunga scossa elettrica mi attraversò. Dalla mia spina dorsale
scaturirono flussi vitali di energia che a velocità pazzesca raggiunsero la sommità
della mia testa e oltre, a mò di fontana. Avvertivo ogni cellula del mio corpo, ne
sentivo l'orbita, il movimento. Caspita, era fantastico. Un fascio di condotti lucenti
giravano a mille all'ora dentro di me. E spaziavo viaggiavo, mi estendevo ovunque.
Ridevo dalla contentezza. Piangevo dalla contentezza. Mi commuovevo col tipico
pizzicorio al naso. Rilasciavo robaccia putrida fuori di me. Odori immondi
fuoriuscivano da ogni poro della mia pelle. Quando, lentamente uno stato di gioia
pura mi assalì. Spruzzi odorosi di rosa giungevano alle mie nari. E poi mi adagiai
per terra. Quello fu l'ultimo ricordo che ebbi lassù, tra gli angeli di luce benedicenti.
Il maestro mi scosse. Ripresi lentamente coscienza. Appoggiato ai piedi di un
albero, cercai di riprendermi. Avevo la bocca impastata e non riuscivo a spiccicar
parola. La testa nemmeno la sentivo. A dirla tutta, era tutto il corpo che avvertivo
diverso. Mi guardavo le mani, le ruotavo di 180° e mi apparivano assai diverse,
come più lontane dai miei occhi. Già, i miei occhi: mi vedevo oltre la nuca, un po'
spostato in alto. Ero fuori di me? Eppure governavo il mio corpo, ma da un altro
punto di osservazione. Quanto sarebbe durata questa sensazione? Oppure questa
sarebbe stata da lì in poi il mio nuovo status: quell' essenza di pura energia che
aveva un prolungamento di carne e nervi non più decisivi per la vita. La mia vita mi
appariva una rappresentazione della Vita più grande, estesa, intensa, compiuta.
- Vuoi spremere il limone invece che coltivare la pianta? - mi fece Scandurra.
Il suo intervento ebbe l'effetto di uno scrollone. Tutto ritornò alla normalità, sebbene
essa mi sembrò sempre meno uguale a quella di prima.
- Cosa mi è successo? Sono cambiato? Avverto ancora le scosse elettriche dietro
la schiena. Cos'è... kundalini che si è svegliata?
- Lascia dormire il serpe, se non sei in grado di domarlo, giovane amico. Un
passo... un passo per annerire le cose, vecchie di generazioni. Ci si abbevera alla
fonte e il gioco è fatto. Certo, bisogna farne di strada e non tutti i ristori sono schietti.
- In pratica ho fatto un passetto in avanti sulla via o cosa?
- Una piccola apertura che comunque permane. Vi sono delle esperienze
devastanti che o ti ammazzano o ti rendono più vivo. La circolazione delle luci ha
fatto capolino, il pavone ha sciolto la coda. Un omaggio del popolo dei senzacorpo.
Ripartimmo di buona lena. Seguendo il maestro, notavo la sua perizia da
camminatore. Ci insegnava, infatti, che ''camminare è un'arte''. Seguendo i sentieri
giusti, compivamo un atto magico. La terra che ti reggeva, diventava tua alleata.
Uno scambio di forze si innescava: scaricavamo fatica e zavorre per poi assorbire
freschezza e vigore. Il passo lento, corto, le spalle che dondolavano e le braccia-a-
bilancia nei tratti più duri della strada, senza dimenticare le mani ad antenna per
meglio raccogliere il flusso proveniente dal suolo. Era uno spettacolo emulare
Scandurra che camminava tra boschi e campagne, sia viterbesi che deyane. C’è
poi pure un suo passo speciale, che contraddistingue il procedere verso cose
grandi. È simile a una freccia diretta al suo bersaglio …
Feci tesoro dei suoi insegnamenti. Lo seguivo senza affaticarmi, anche per
chilometri. Di tanto in tanto, ci fermavamo per appoggiarci al tronco di un albero,
sfioravamo un masso roccioso, aggiravamo uno stagno, saltavamo un ruscello:
tutto ciò per captare segnali. Madrenatura ci parlava e noi dovevamo soltanto
ascoltarla col dovuto rispetto. Tutto è opera della Creazione.
- L'uomo potrebbe conoscere la posizione precisa di ogni atomo del cosmo,
fiammeggiare della stessa luce divina, soltanto se fosse allacciato al Padre
Celeste. Invece che fa? Si è fatto intrappolare in un carcere radioattivo, che
giorno dopo giorno gli rosica l'anima. Eppure, prima di Atlantide e quando
Saturno non era ancora velenoso, gli uomini della prima razza c'avevano
tutto gratis. Riuscivano perfino a sentire i suoni delle stelle perché liberi dal
velo. La Luna regolava il ciclo femminile al millesimo e tutto viaggiava in
armonia. Era bello, Angelo. Eh, poi c'è sempre qualche ''rompicojoni''
cosmico, titanico e senza vergogna, che si nutre di mondi e contamina cuori
e intelletti della stessa fame. La conoscenza allora ''sdirazza''. Ogni tanto si
sente una nostalgia profonda, qualcosa che ci manca e che abbiamo
perduto. Dentro ogni uomo permane una cellula primigenia, retaggio
ancestrale permanente che lo collega con l'origine malgrado i milioni d'anni
passati. In fondo, non possiamo fare a meno di ricercare la nostra casa.
Uscimmo dal fitto bosco in direzione di una grande distesa pianeggiante verdeblu.
A circa cinquanta passi da noi, notammo la sagoma di una piattaforma circolare. Ci
avvicinammo. Alta non più di un metro per cento di diametro. Liscia e senza segni
di saldatura, era di metallo bronzeo; se ne stava lì, placida e un po' curiosa tra
onde d'erba. Somigliava ad una enorme moneta, poggiata o conficcata non si sa
bene perché. Che cos'era? Quale era la sua funzione? Scandurra notò la mia
curiosità e prima che glielo domandassi, mi anticipò:
- Antichissime vestigia, così si dice?, di una civiltà scomparsa, Samastia.
Sembra una base di atterraggio? Ed è così, infatti. È tutto ciò che è rimasto di quel
popolo, di quella città. In mezzo al prato, un astroporto dimenticato ma
perfettamente funzionante.
- In che senso, funzionante?
- Attende da cento anni una nave galattica salpata e mai più ritornata. Per quella
civiltà era di vitale importanza la missione di quei pochi coraggiosi.
Ma un turbine di fuoco incenerì tutti e di quel vascello non se ne seppe più nulla...
ma l'astroporto è sempre pronto per l'atterraggio.
- Ma maestro, chi aspetta? C'è qualcuno?
- Oh no. Morirono tutti. Ma prima prepararono le condizioni utili per l'eventuale
ritorno dei loro fratelli.
Non riuscii a comprendere cosa volesse intendere. Che senso aveva tutto questo?
E poi, che missione avrebbero dovuto compiere? E poi ancora, dopo un secolo
nessun pilota sarebbe sopravvissuto.
- Come i sopravvissuti di Atlantide. Esuli dal grande evento distruttore, si diressero
su altri mondi. Ma ritorneranno.
Si sedette sul bordo della piattaforma e io con lui. Malgrado la temperatura esterna
fosse mite, quel metallo era freddo. Scandurra si guardò intorno e sorrise a mezza
bocca.
- Pensa se tornassero proprio adesso che ci stiamo noi. Sarebbe magnifico.
- Mi prendi in giro, maestro, vero?
- Mah, ho la netta sensazione che dopo cent'anni sia giunto il tempo del ritorno. Noi
li accoglieremo col massimo rispetto.
Un silenzio improvviso pervase tutta la pianura. Non si sentivano più gli strani versi
di animali. Mi si rizzarono i capelli dietro la nuca. L'astroporto cominciò a vibrare. Ci
alzammo svelti. Scandurra mi spinse verso l'inizio del bosco, a 50metri di distanza
e mi indicò col dito una direzione del cielo. Una specie di ragno gigantesco si
avvicinava velocissimo alla piattaforma. Una massa titanica, una carlinga immane,
scura, spaventosa frenò di colpo a pochi metri di altezza e atterrò. Malgrado la
mole non emise alcun rumore. Silenziosa e mortale. Alta cento e larga almeno
centocinquanta metri, a mala pena toccava con le sue quattro zampe di ferro il
bordo della piattaforma, che rinculò per poi stabilizzarsi. Sottovoce chiesi a
Scandurra se si fosse preso gioco di me. Era tutto combinato, immaginai.
- No, sapevo del loro ritorno, ma non si aspettano di trovare noi. Hanno creduto di
potercela fare a salvare il loro popolo, toccando i posti più lontani degli universi
sulle tracce di un essere, forse in grado, da solo, di evitare il disastro... a volte la
fede è tutto quello che ti serve. Le cose purtroppo presero un altro verso. Gli
emissari di Darest Sharma furono implacabili e disintegrarono ogni cosa. Ora i
samasti sono ritornati e dove prima c'era una splendida città-stato, vedranno ciò
che è rimasto. Una piccola traccia di quello che era prima: un cerchio fedele.
Sempre Darest Sharma al centro di tutte le disgrazie. Sembra la storia comune a
molte civiltà. Alcune declinano naturalmente, ma molte, appunto, spariscono nel
nulla a causa di guerre infinite. Poi, non so bene perché ma ebbi uno strano
presentimento, probabilmente privo di fondamento, ma fu così dirompente che
chiesi al maestro:
- Tu fai riferimento ad una data, un anno... il 2012 come fine del nostro mondo. Te
la butto così come mi viene... faremo la stessa fine di questa civiltà deyana dei
samasti? Soccomberemo anche noi ad una invasione?
- L'umanità, uso 'sta parola perché non mi piace quell'altra, la massa, oggi usata
dai politici; allora, l'umanità ha perso il contatto con l'origine. E questo è un fatto.
Non ci sono più nobiltà dello spirito. Secondo gli atlantidei, gli uomini si
differenziano in nobili e bassi. Non c'entrano le caste, le classi, no, qui si intende
ben altro. L'uomo atlantideo, che è come dire nobile, sceglie i mezzi e sa
rischiare... è distante nei confronti di se stesso. Egli c'ha fede, osserva un codice
d'onore, possiede una visione della realtà al di sopra dello sporco ego. Non teme
la morte e rispetta la vita, ma sempre con distanza. Per l'atlantideo è vergognoso
attaccarsi a cose meschine, senza importanza reale. Una parte dell'essenza di
quegli uomini alti, fu trasmessa ai popoli d'Europa e a quelli di India e Tibet. Ma gli
uomini bassi ebbero il sopravvento, perché i nobili decaddero a causa della
superbia. Credere però che ciò derivi dal materialismo, dall'avarizia, dal potere che
è in mano a quattro stronzoni, vuol dire essere ingenui. Anche se fossimo tutti
buoni e bravi, il pericolo della fine non diminuirebbe di un etto. Cristo fu messo in
croce perché i potenti del tempo erano ignoranti, non possedendo più la
conoscenza non compresero. No, Angelo, non è una questione morale.
Atlantide finì non per la corruzione e i bordelli che pure erano presenti, ma per una
conoscenza deviata e, tuttavia, il mondo fu salvo ma perdette qualcosa di grande.
Oggi si nega la fonte originaria e forse è troppo tardi. La legge dei cicli cosmici non
si batte, una rottura tosta profonda lacerante ci sarà, ma non tutto è perduto. Non
tutto. Un filo ci lega sempre all'origine. Un filo sottile, certo, tenue, ma non si
spezzerà. L'energia e la struttura cosmica
che guidano i cicli non sono state costruite a cacchio di cane. Che ne dici? Il
Grande Tempo si sta esaurendo, ma quel poco che rimane è di qualità; rode lo
spazio, e questo è un altro fatto, ma lo spazio scivola altrove e si distende meglio di
prima. Noi conosciamo il Tempo e ne leggiamo i flussi, la loro misura e dove si
dirigono. Ciò non esclude un intervento extraterrestre distruttore, che rientrerebbe
nella scena degli eventi lungo la linea di confine. Possiamo far qualcosina per
dirigere il Passaggio nel Varco e incanalare tutto il disordine in un nuovo ordine.
Faremo queste cose non perché siamo i migliori, ma perché siamo gli unici a farlo.
Un fascio di luce blu sortì da un lato della nave stellare verso terra. Una sagoma
umanoide lo attraversò lentamente e si diresse verso di noi.
lunedì 9 aprile 2012
IUS 49
Sento la sua presenza ogni giorno. E questo mi esalta. Ho avuto una gran fortuna,
all'epoca. Qualunque cosa succedesse, qualunque cosa ci capitasse o facessimo
insieme, sapevo che Scandurra era davvero speciale. Ci sono uomini che fanno la
storia ma non sono citati sui libri di storia. Ci sono uomini che fanno anima ma non
hanno altari. Ci sono uomini che grazie al loro lavoro sotterraneo illuminano il
mondo. Non sono dèi, ma gli dèi contano su di loro.
“Vedo i cieli accartocciarsi come cartapesta; vedo la pioggia infuocata di asteroidi e
grandi ali spezzate solcano lo spazio esterno. Vedo la spaventosa coorte che
sorge dalle tenebre, i fiumi di sangue, le montagne fuggenti e la Stella Assenzio
dei due universi che arderà un terzo dei viventi. Vedo le città morte sotto l'onda
rossa di veleno, la vibrazione che paralizza le menti, l'essere senza volto che
incede sulle facce dei morti. Vedo la guerra. Certo, le legioni dei Luminosi
combattenti riporteranno un trionfo simile alla nascita di una galassia. Colpito dal
fulmine, è vero, l'Ombra dalle ali caluginose cadrà nel baratro senza fondo che ha
egli stesso spalancato... ma Deya è sul punto di morire, spente le stelle e smarrita
la speranza. Su Samastia resta una bestia esomorfa che urla sul corpo dell'ultimo
fanciullo. Non c'è tregua per Deya. Non v'è futuro per Samastia. Dal cielo, ancora
una nave giunge per terminare la Battaglia e portare in salvo il primogenito. Non
v'è profezia che sia ascoltata; non v'è profezia che non annunci disgrazie; non v'è
profezia che non sia evitabile; non v'è profezia che non sia augurabile. I popoli non
credono più agli indovini e per questo non sanno più dove andare”.
La battaglia dei luminosi: gli Annali di Samastia
Scandurra, mentre si avvicinava quell'essere, mi toccò la spalla e così vidi la fine di
una civiltà.
Mi trovai immerso in una notte sconfinata. La sola, pallida luce proveniva da
costellazioni ignote di stelle e da alcune installazioni, situate ai margini dello
spazioporto. Come in un filmato di guerra, vidi sfilare innanzi a me le strade morte,
le facciate degli edifici bombardati, e soprattutto mucchi di rottami metallici
abbandonati che dovevano, un tempo, essere stati mezzi di trasporto. La città era
tanto immensa quanto spaventosa nella sua fine... ma quando era avvenuto tutto
questo? La forma dei palazzi non consentiva di formulare ipotesi, anche se avevo
la terribile impressione che l'attacco fosse recente, dato che i muri erano ben
conservati, e le strade ancora ben visibili. L'aria era tagliente, non mi viene in
mente altro termine, l'odore dei mucchi di cadaveri insopportabile, ma la mia pietà
era superiore alla nausea. Il cielo improvvisamente divenne rosso, una coltre
densa e immane come un oceano scese su quella città morente per coprirla e
disintegrarla. Durò pochi secondi. Poi, passarono velocemente le alternanze notte/
giorno. Deya risanò se stessa e ricomparvero prati e boschi. E ancora un evento mi
si manifestò davanti: una piattaforma circolare fece capolino da sotto terra.
- Il tempo passa, l’eternità si avvicina - ci disse il pilota con voce flebile ma decisa,
in un italiano dalla pronuncia perfetta.
- Vogliono chiudere a chiave le stelle. - Rispose Scandurra con un cenno della
testa per rispetto.
- Non ci riusciranno. No, spetta a noi continuare la lotta. E dopo di noi, ai nostri figli.
Fino alla fine.
- Harn Riley, il mio cuore è pieno di morte. Quei bastardi non hanno avuto pietà
degli innocenti. Non c'hanno mai pietà. La vita stessa è infetta di maligno: lo
scoglio sarà superato, al ripristino del regno della Luce.
Si abbracciarono come fratelli separati da anni. Li osservavo e l'onda delle
emozioni mi prese. Piansi, come parte di un dramma universale. Quell'uomo si
accorse di me e si avvicinò. Era giovane e tuttavia alcune rughe da espressione,
profondissime, rivelarono la sua esperienza scolpita sulla pelle olivastra, il volto
nobile (si dice così, credo) e indurito, snello ma tosto.
- Tu sei... aspetta... rammento, Angelo, è così?
- Sì, signore. Ma come fa a conoscermi?
- Eh, cos'è il tempo? Cosa sono le cose? Quel che conta nella Vita è la passione, è
l'onore, è la fede, esse son più potenti di una flotta di navi stellari rasdotan
equipaggiate per distruggere un sistema. Tale codice sorregge le danze planetarie
e penetra i gorghi senzaluce, fa di noi esseri umani unici e distinti da tutte le
esoforme spurie presenti ovunque. Quanto facciamo non è mai per profitto. C'è
scritto da qualche parte che tu saresti venuto qui, ad aspettarci insieme a
Scandurra. Son passati periodi lunghi, ma voi siete qui, all'appuntamento.
Mi abbracciò con forza, quasi mi stritolò.
- Ora seguitemi sull'unità di trasferimento orbitale. Starete comodi e vi rifocillerete.
Ci porterà a Deya e lì incontremo gli amici. Importanti decisioni andranno prese. A
breve toccherà alla vostra galassia tentare di respingere la marea oscura.
Ci dirigemmo presso l'astronave. Era enorme, nera come la pece, costellata di
torrette e antenne. Non tenterò nemmeno di spiegare come ci ritrovammo tutti e tre
all'interno della navetta stellare. Una forza invisibile ci trasse su, e basta. O forse un
elevatore magnetico, un montacarichi traente, che so. Fatto sta che bevemmo e
mangiammo, seduti intorno ad un tavolo e in piacevole compagnia. Due donne alte
e belle, almeno secondo i criteri terrestri, si erano avvicinate e presentate. La
stanza in cui ci ristorammo era spaziosa e non aveva l'aspetto spartano tipico di un
ambiente militare. Il cibo era gustoso. Carne a tocchi cubici dal sapore di vitella,
purè rosso dal sapore di patate, vino forte e aromatico: il menù era di quelli che
non si dimenticano. Finito il lauto pasto, Harn offrì a Scandurra un sigaro
azzurrognolo e dall'odore intenso di bosco. Io rifiutai gentilmente la sua offerta. Il
maestro sorrise.
- L'Ombra si fa sempre più incalzante in tutti gli ammassi stellari. La sento muovere.
Quando deciderà di entrare nel nostro universo, saranno c**** amari. Troverà
alleati devoti e complici a buon prezzo. Si venderanno Madreterra per salvarsi il
culo. Sai, da noi, ci sono certi figli di mignotta a livello galattico. Pronti a servire il
primo stronzo che capita.
- Scandurra anche qui ci sono i traditori. Pochi per scelta, molti per paura e ancor di
più per avidità. Samastia è stata distrutta perché qualcuno ha venduto i nostri piani
di difesa. Forse so chi è e lo troverò a Deya. Milioni di donne bambini uomini son
stati bruciati vivi. La vendetta mi pare poca cosa eppure vanno onorati gli innocenti,
punendo i traditori e quei mostri dell'Ombra.
- Ti aiuterò a scovarlo. Credo però che non abbia agito da solo. Angelo ed io
torneremo a Deya e scopriremo chi sono stì bastardi infami. È meglio che non vi
fate vedere in giro, te e i tuoi compagni. Vi imboscherò dentro un posto sicuro, in
città. Quando li 'sgamamo' [scopriamo] ti chiamo.
- Come vuoi tu. Darò disposizioni a riguardo. Ora riposatevi se volete.
Ci condusse nelle nostre stanze, queste sì spartane. Branda, armadio, seggiola
plastificata trasparente, rivolta verso il muro, dove un quadrovisore trasmetteva
filmati riguardanti fatti e persone di luoghi sconosciuti: telegiornali extraterrestri,
pensai. Mi stesi e il sonno ebbe il sopravvento. Sognai città distrutte, urla,
esplosioni e sangue, sangue ovunque. Poi il mio sogno cambiò colori sequenze
luoghi e mi mostrò Piazza San Pietro diroccata e Roma in rovina e poi come se
fossi in aeroplano, virai verso la Tuscia, le mie parti, a velocità istantanea, ma
quello che scorsi mi terrorizzò. Le campagne e poi le colline erano solcate da
immense voragini e fosse profonde, ma ciò era frutto di un evento incredibile: una
mano titanica, metallica con una picca gigantesca fatta di mille arcobaleni
accecanti, trinciava il terreno come burro. Simboli apocalittici, proprio da fine del
mondo. Mi svegliai di soprassalto. Sudato e in stato febbrile, mi girai istintivamente
verso destra e c'era lì Scandurra, seduto con un bel sigaro fumante.
- Prima o poi dovevi cedere. Le prove che hai affrontato sono state tante e toste. Il
tuo corpo e i tuoi nervi hanno lavorato sempre in debito. Stai giù, fra poco la
punturina che ti ho fatto farà effetto. Scusa per il lividone sul braccio, ma non
trovavo la vena adatta. Sei secco sparuto, eh!
Non riuscivo nemmeno a spiccicar parola. Avevo la bocca impastata. Mi stesi di
nuovo e le visioni mi avvolsero come una coperta calda e appiccicosa.
- Come sta il mio giovane cavaliere?
Ranna Abarel, sempre bellissima, stava ai piedi del letto e con quegli occhioni
azzurri mi sorrideva, pur rimanendo composta.
- Che bello vederti – risposi con un tono rauco.
- Mi hanno raccontato di quante ne hai passate. Ora sei fra amici – con voce
melodiosa mi rassicurava.
Poi mi accorsi che non stavo più nella stanzetta scrausa [spoglia, povera]
dell'astronave, bensì mi trovavo supino su di un lettone a baldacchino, al centro di
un salone stile rinascimentale. Finestroni altissimi, decorazioni artistiche, quadri
alle pareti e soffitto affrescato. Caspita, ma dove mi avevano portato? Eravamo in
una penombra riposante per gli occhi e i nervi e oltre a Ranna, c'era Scandurra
insieme ad Harn Riley. Tutti comunque mi sorridevano.
- Lasciatelo ancora riposare. Il figlione mi deve recuperare. A dopo Angelo – con
tono faceto Scandurra si congedò con gli altri, che mi salutarono con un gesto della
mano.
Stavo decisamente meglio, ma mi trovavo così bene su quel letto che indugiai ad
alzarmi, e quando mi decisi a mala pena mi reggevo in piedi. Indossavo un
camicione giallo paglierino che mi arrivava alle ginocchia. Sotto ero nudo.
Profumavo di bucato e la pelle era lustra e morbida. Appoggiati sulla spalliera di
una poltroncina, c'erano dei vestiti nuovi che avrei dovuto indossare. Un calzone
attillato rosso cremisi e una casacca dello stesso colore, un mantello scuro, una
mutandina elasticizzata e una maglia della salute a collo alto, finissima. Decisi di
vestirmi e, infine, indossai degli stivaletti aderentissimi che sembravano fatti di
plastica, poggiati a fianco della poltrona. Mi sentivo un fesso, non so perché: un
Flash Gordon dei poveri. Abituarsi a Deya era difficile pure col vestiario. In quella
tenuta da film di cappa e spada, uscii dal salone e mi diressi... beh, un corridoio
poco illuminato conduceva in un'unica direzione. Scesi due rampe di uno scalone
di similmarmo, non so, che mi portò in un salone grande come mezzo campo di
calcio. Un tavolo ovale al centro, intorno al quale sedevano gli amici. Stavano
parlando in atteggiamento sereno ma serio.
- Siediti Angelo, ti faccio portare delle vivande che ti daranno forza e benessere –
Ranna, con tono ospitale e fraterno.
Mi sedetti e fui scrutato da cima a fondo dai tre, in tono preoccupato. Allora li
rassicurai sul mio stato di salute.
- Bene – mi fece Harn – sono contento che tu abbia recuperato. Ranna ci ha messo
a disposizione la sua casa come base di appoggio. È sicura e ben protetta. Al suo
interno vi sono dispositivi per accedere in più punti di Deya.
Darest Sharma è in movimento e la citta-dedalo è piena di suoi emissari. Il nostro
obiettivo è scoprire chi ha tradito il mio popolo, lo stesso fedifrago che continua
indisturbato... chissà da quando, a informare l'Ombra su tutti i cittadini deyani e sui
forestieri di passaggio. Una spia ben introdotta. Oggi una notizia interessante può
fruttare molti crediti.
- Ho la sensazione che il bastardo infame sia tra gli amministratori governativi...
come li chiamate... i consulti – Scandurra sembrava saperla lunga.
- I consulti lo sono di nascita. Nobili di antichissime famiglie, insospettabili, direi –
intervenne Ranna.
- Eh, ne basta uno di puzzaculo, che credi? L'ambizione è una brutta bestia come
la vendetta – fece Scandurra.
- Sembra, amico mio terrestre, che tu sappia qualcosa di preciso. Parli di un
consulto, magari ambizioso, o forse animato dal demone della vendetta – Harn
aveva pizzicato la veggenza scandurriana.
- Se vuoi ti dico chi è, ma per ora non chiedermi come lo so. È un terrestre che
gioca su due tavoli. Da noi occupa una posizione elevata della politica mondiale,
influentissimo come qui da voi. La sua anima saturnina è rimasta su questo piano
per compiere lavori sporchi; da secoli serpeggia e mozzica. Il suo veleno è mortale.
- Scandurra, allora esistono persone che campano centinaia d'anni per motivi
occulti – feci io, curioso di conoscere il nome del tizio così potente anche sulla
Terra.
- Come no...! lo avrai sentito nominare al telegiornale tante volte, è K.. Certa gente
tradirebbe un mondo intero per scopi impronunciabili. Che gliene frega? Lucidi
inumani si muovono a zigghezagghe come la serpe delle tombe etrusche. Quasi
quasi non la vedi ed essa, senza far rumore ti si avvicina e te mozzica. Lui... il
consulto, ha la facoltà di cercarsi un corpo giusto per il suo mandato. Ha completo
dominio delle dinamiche animiche.
Darest Sharma è la migliore scuola di stregoni degli universi, sa come istruirli per
ogni missione.
- Scandurra, dove cominceranno a diffondere il morbo nero nel vostro universo? -
Domandò Harn.
- Il Padre Celeste ha scelto un punto nel kaos ove poter appoggiare l'inizio dei
Nove Mondi. La Creazione della nostra Terra è iniziata dalla Selva Cimina. Lì c'è la
sacra fonte di tutto: noi ne siamo i custodi. Il morbo nero della Torre Rotante di
Darest Sharma, fu fabbricato con l'intento di avvelenare la fonte così da uccidere
Madreterra. Avviano lo stesso processo su ogni pianeta in tutte le dimensioni. - Il
maestro non fu mai così serio come in quel momento.
Apprendevo per la prima volta che i Monti Cimini nascondevano l'origine della
nostra amata Terra. Fui inondato da un'energia strana, estesa ed espansa.
Scandurra diceva: nulla è erotico come un passaggio di conoscenza.
domenica 29 aprile 2012
IUS 50
"Nec falso - nec alieno"
né con falsa, né con estranea (luce)
Cristina di Svezia (1626-1689)
Scandurra, Ranna ed io, dopo aver salutato con un abbraccio Harn, ci dirigemmo
verso l'uscita del palazzo. Sentivo tutto il peso della missione. Il cielo rossoviolaceo
incombeva sui vicoli di Deya che brulicavano di gente indaffaratissima. Bancarelle,
botteghe, vecchi che fumavano seduti fuori l'uscio di casa, bambini che si
rincorrevavano e sopra le nostre teste, navi stellari in avvicinamento, alcune
silenziose, altre rombanti da tapparsi le orecchie, e tra rumori e colori mi arrivavano
alle nari odori di frittura e di spezie. Un colpo d'occhio spettacolare. Medioevo
stregoneria magia tecnologia corporativismo gilde scienza, in una misticanza
inestricabile.
- È un gran bel casino, come piace a me. Tutto sembra fuori controllo. Ma non ti
fidare, Angelo, non c'è niente che non abbia una causa e dove c'è un'origine c'è
pure uno scopo – il maestro non rinunciava mai a darmi indicazioni.
- La mia città è unica in tutto l'universo. Vive anche nel granito di cui son fatti i
palazzi o nel cristallo delle sue cupole. Miriadi di esseri vengono almeno una volta
nella loro vita a Deya. Chi per culto, chi per affari, chi per godere e soddisfare vizi
innominabili. Soprattutto se si vuole fare esperienza del tutto, toccando scienza e
magia, briciole di antiche religioni e superstizioni costruttive; Deya ti offre ogni
cosa, ma può toglierti la vita e l'anima – Ranna proferì quelle parole con amore
struggente, ma una lieve malinconia si nascondeva dietro il suo parlare.
- Devo irradiare il lumen? - dallo sguardo di Scandurra, compresi che lo avrei
dovuto già fare.
Il maestro si fermò presso un banco di frittelle fumanti. Ne acquistò un cartoccio e
ce le dividemmo. Calde dolci buonissime.
- Maestro, con quale denaro le hai comprate?
- Con le lirette nostre. Ogni commerciante, pizzicarolo o professionista che
incontrerai su Deya, è anche un cambiavalute. Accettano monete di ogni universo.
Ma non tentare di fregarli. Gli ho dato due gettoni del telefono e trecento lire.
Bastavano. Qui la vita non è cara, in tutti i sensi. Magari ti strappano e ti mangiano
il cuore, però i funerali sono a carico dell'amministrazione. Mica male.
Scandurra era veramente cittadino dei Nove Mondi. Gestiva tutto come se si
trovasse a gironzolare nel vecchio quartiere viterbese, dove aveva la bottega di
frutta e verdura. Poi, aumentò il passo e lo seguimmo di buona lena. Si infilò in una
stradina stretta e scese delle scale e così facemmo noi.
- Entreremo in una zona di Deya speciale, la chiamano 'sottomondo'. Allora, prima
lezione: quando la via è dritta, sarete frenati nel passo, viceversa, in curva subirete
un'accelerazione. Non toccate le mura delle case né a destra né a sinistra. Se
incontrerete qualcuno, chiunque sia, non dategli credenza, andate per la vostra
direzione e basta.
- Maestro, che significato c'ha questo posto così strano? - feci io con
preoccupazione.
- Lo scoprirai ad ogni passo entrando nell'oceano deyano. Se entri ti svuoti.
Cominci la via iniziatica svuotandoti. C'è la fine dell'ambizione. La fine di ciò che
chiedi a te stesso. Non chiederai più niente a te stesso. Comincerai a svuotarti
degli obblighi e dei vincoli, delle necessità che ritenevi importanti.
E quando queste cose cominceranno a sparire, resterà un'enorme quantità di
tempo. E poi scivolerà via anche il tempo. E si vivrà senza tempo.
- Il tuo maestro è una calamita. In tutti gli universi cercano qualcosa cui attaccarsi.
Vogliono qualcosa, ed è la sua capacità di cristallizzare e formulare. Le persone
sono in pessima forma di questi tempi, l'universo è in pessima forma. E in qualche
modo il suo aver trovato qualche solidità li attrae – Ranna fu molto cara parlando di
Scandurra; mi sentii orgoglioso di essere suo allievo.
Il primo passo mi proiettò verso uno stato-di-coscienza/territorio immenso. Il flusso
dei pensieri si interruppe, qualunque contatto con l’ambiente circostante cessava.
Un senso di angoscia, dapprima, mi pigliava, come sbalzato in un tempo, uno
spazio, un universo qualitativamente differenti. Sovvenne la meraviglia: è il senso
di rivelazione sconvolgente di una realtà di fronte alla quale il mondo sensibile non
è altro che ombra, associato alla consapevolezza che un unico slancio vitale,
un‘unica emozione eterna ci anima tutti allo stesso modo, da sempre e per sempre.
La gioia (ananda) mi investì, come uno scroscio d'acqua proveniente dall'alto. Un
gavettone divino. La gioia mi liberava dai ghirigori concettuali, accompagnata da
una dilatazione infinita della coscienza. Come inghiottire tutto. È il fiume unitivo
della Vita che si fonde nell'oceano cosmico della Creazione.
Il secondo passo fu terribile. Il mio stato di svuotamento espresse qualcosa che
non avevo finora realizzato e che può riassumersi nella parola coagulatio. Due
princìpi governano tutti i processi alchemici: la coagulatio e la dissolutio.
Coagulatio in alchimia significa rapprendersi in un punto, diventare più solidi, più
definiti, formati. Ora l'intero processo che stavo attraversando era la coagulazione
della mia vita nel tempo. Ma la coagulatio è sempre seguita dalla dissolutio. Che è
esattamente il contrario: dissoluzione, le cose che si separano, si sciolgono,
perdono la loro capacità di definirsi. La cosa interessante è che improvvisamente
questo spiegava i miei sintomi. Non facevo che pensare che stavo affondando
sempre di più, che mi stavo dissolvendo. Ma le due cose, dissoluzione e
coagulazione, sono inscindibili. Non ci avevo riflettuto finché non mi venne per la
prima volta in mente la coagulatio. E la rubefactio, che permette alla bellezza di
mostrarsi. Così, in quell'istante ero una persona diversa. Non avevo mai sentito
queste cose dentro di me. O non le avevo mai riconosciute. Prima, non avevo mai
saputo chi ero. Feci, di nuovo, la scoperta dell'acqua calda. Il ''normale'' ormai è
riferito a valutazioni culturali, sociali e utilitaristiche, ed ogni stato speciale di
coscienza diventa, secondo i canoni ufficiali, alterato, allucinatorio ed isterico di
natura patologica e, se questo può essere vero in alcuni casi, non lo è certo in tutti.
Oggi questo meccanismo riduzionistico è diventato automatico, lo si applica a tutto
ciò che esula dal comune senso accettato; in pratica, il sistema in cui ci muoviamo
è diventato la nostra prigione sensoriale, le convenzioni sono diventate
convinzioni, le regole trasformate in preconcetti.
Ero strano. Diverso. Notai il cambio del taglio della luce sulle cose, l'aria si era fatta
più tenue. Eravamo entrati in un altra dimensione, almeno così sembrava. Forte era
la sensazione di camminare all'incontrario su di una scala mobile. Facevo fatica a
tenere il passo. Poi il vicolo svoltò verso destra. Una pressione dietro la schiena mi
spinse a velocità tripla e caddi scompostamente. Presi una 'smusata' sul piancito.
Persi del sangue dal naso: un tonfo incredibile. Una situazione che non avrei mai
voluto provare: Ranna e Scandurra risero di gusto. Mi rialzai di scatto ma non
avendo oltrepassato la curva, fui di nuovo spinto come da una mano gigante per le
terre. Giù, stavolta però riuscii a pararmi il viso con le mani. Col mantello tentai di
asciugarmi il volto dal sangue. Ranna mi porse un fazzoletto. Cacchio, non riuscivo
proprio a sbrigarmela. Come si poteva camminare così?
- Prendi il tempo giusto e lasciati trasportare – fece Ranna.
- Una parola! Non vi sono segni che mi indicano l'inizio della pressione.
- Ci sono, Angelino. Quando il tuo lumen si contrae, abbandonati, fatti portare
dall'accelerazione – la dritta di Scandurra.
- 'Dopo li fochi', maestro. Prima non me lo potevi accennare?
- Oh sì, ma vuoi mettere lo spasso nel vederti arrancare e 'scoppiare' per terra?
Ecco come mi insegnava. Come diciamo dalle parti nostre, 'a mozzichi e bocconi'.
Prima mi ci faceva sbattere la testa. Anche letteralmente, se necessario.
Comunque, feci attenzione ai movimenti del lumen e, devo ammetterlo, in tal modo
diventava un gioco da ragazzi. Sembrava di stare sulle giostre. La spinta che
ricevevo dalla curva diventava sufficiente a farmi camminare senza sforzo sul dritto.
Come un surfista che sfrutta l'energia trasversale dell'onda per risalire. Che i Beach
Boys mi aiutino.
Questa fase della nostra missione nel quartiere sottomondo, è indicativa per come
dovremo affrontare la fine dell'anno 2012. Conoscenza e carattere, abilità e senso
della sfida, sono componenti basilari della nostra maniera di essere e di agire.
Come ci ha sempre detto Scandurra, quel lontano futuro, il 2012, che non è poi
così lontano, è il più libero dei campi, il più insicuro ma aperto ad ogni evento; la
qualità della nostra energia sarà determinante circa il significato che avrà per noi il
Varco.
Quali sono le caratteristiche di cui ci dobbiamo dotare per un più adatto ingresso a
fine ciclo? Innanzitutto ricordiamoci che siamo pellegrini in questa vita. Cosa ci è
utile? Senso dinamico dell'equilibrio nello spostarci, sia fisico che mentale;
capacità di mimetizzarci e di attendere, non dimenticando mai, e dico mai, la nostra
meta: attraversare il Varco. Capacità di adattamento a condizioni ambientali e
spazio/temporali, a costumi e linguaggi desueti, ricorrendo all'intuito e alla
creatività. Vi saranno intoppi imprevisti, effetti mal gestiti prodotti dalla mutevolezza
delle percezioni, ma ciò non dovrà distoglierci dal programma. Varianti sul
cammino ce ne saranno, non è difficile prevederlo, tuttavia queste dovranno essere
accolte non con fatalismo nocivo, bensì come occasioni di esperienza ulteriore. Il
passaggio del Varco metterà a dura prova quello che credevamo di sapere e di
essere: le resistenze psicologiche al nuovo, le sovrastrutture derivanti dai processi
subiti di acculturazione moderna e riduzionista. Come ci diceva Scandurra: ogni
brutta cosa che ci capita, rilascia un piccolo segreto. Non si butta niente.
Quali cambiamenti dovremo sostenere per il 2012? Vi sono percorsi interni
trasformativi. Una sorta di intensivo d'illuminazione, magari non in dieci lezioni,
sicuramente senza spendere una lira, ma mettendoci totalmente in gioco. Tuttavia,
ognuno di noi dovrebbe sentire come ineluttabile un compito da svolgere, qui e
ora; un desiderio di ricerca del significato della Vita, prima di ogni altro impulso o
convenienza. E non si dovrebbe attendere la fine del mondo, per chiederci cosa ci
stiamo a fare quaggiù. L'esperienza insegna che per molti, la necessità spinge
spesso nella direzione giusta. Pochi scelgono liberamente.
Dicevo dell'intensivo. Creiamo campi vitali composti dalla sommatoria di energia
emotiva-pranica (prajna), nomi di potenza (o anche i mantra) e cosmogrammi (o
anche le iconografie dell'arte sacra occidentale), manipolando le sequenze finché
non si configurano e si adattano alla nostra fisiologia interiore. Antica ed
efficacissima tecnica di magia bianca. Costruiremo così un tempio del nostro vigore
intelligente, sviluppando cioè forme adatte a questa energia personale e al suo
uso pratico, con un carburante (respiro), accompagnato da pause di ricarica
meditativa. È un po' come creare un campo di energia elettrica normale, con i
procedimenti del caso. Pensando alla nostra mente come ad un relais elettrico, con
un suo potenziale, possiamo creare le condizioni di attività necessarie. Però,
ricordiamocelo, vanno eliminate le interferenze, disturbi del campo vitale stesso,
ossia liberiamoci da ogni distrazione. Concentriamoci, in silenzio (poi lo si potrà
fare anche in mezzo al casino), prima entriamo in uno stato meditativo, attraverso il
respiro programmato 1:4:2, inspirare-ritenere-espirare, l'oblio del presente
esteriore, lasciando andare la danza dei pensieri attiviamo la ricerca
dell'attenzione totale. Facciamo tutto ciò, notte e giorno che sia, nelle ore più
confacenti al nostro regime interno. Poi passiamo in rassegna le disposizioni
emotive più dinamiche. Questo è il carburante di cui parlavo, il voltaggio più giusto
per noi. Ciò in pratica è possibile ripetendo questa ricarica personale, con ritmi
quotidiani precisi. Avremo bisogno di quintalate di questa energia, e la potremo
acquisire in quantità industriali a patto di ritmizzare l'uso: manutenzione e
rifornimento costante, senza pause.
Il campo vitale può essere realizzato anche in altre forme, deambulanti,
osservative, rotanti. Durante una passeggiata lungo un sentiero collinare, una
corsetta di alleggerimento, leggendo in immersione il libro-mondo L'Arcobaleno
della Gravità di Pynchon o La Montagna Incantata di Mann, sbirciando l'ultimo
capitolo de Il Mistero delle Cattedrali di Fulcanelli. Facendoci riscaldare da Il fuoco
dell'Amore Divino di Rumi e visualizzando le scene in parallelo descritte dai
quattro Vangeli. Seguendo i consigli dell'abate Susone. Nel Savitri di Aurobindo
ammirando la vicenda di una donna che conquista la morte. Entrando nei
paesaggi magici di William Wordsworth. Scoprendo il segreto de La nascita di
Venere del Botticelli, entrando in punta di piedi ne L'Ultima Cena di Leonardo,
fissando le mani nell'opera di Carlo Crivelli. Ascoltando in esaltazione perenne,
scopriremo l'armonia e la gioia della Settima Sinfonia di Beethoven, aumentando
le frequenze con The Cycle Is Complete di Bruce Palmer, facendoci sommergere
dalla cascata sonica di Interstellar Space di Coltrane, in assenza di rumori di fondo
turbativi, accettando quelle dinamiche come parte del relais. Svegliandoci all'alba,
salutiamo il Sole e facciamoci bagnare dai suoi raggi, mentre beviamo un bicchiere
d'acqua tiepida a stomaco vuoto: così, ogni mattina fino alla fine del Tempo, ci
trasmutiamo. Posizionandoci al centro di un cerchio sacro megalitico, scoperto
come per caso in una passeggiata domenicale nel bosco vicino casa e, incantando
i sensi, sentiremo le linee curve girare in senso orario. Le forme rotanti sono quelle
corali e danzanti. Tali terapie d'accesso saranno efficacissime mantenendo
l'intensità dell'attenzione. Si può viaggiare ovunque col carburante e il campo vitale
adatti. Poi... bisogna andare avanti, oltre la struttura ordinaria in uso e rintracciare i
fili della Creazione che ci stanno attorno e sfruttarne le cariche. Superata la fase di
sopravvivenza a cui siamo avviati, il futuro Varco è pura ricerca bidirezionale: il
verticale, tutto quel che sta oltre la dimensione Terra e nelle sue viscere, e
l'interiore, tutto quel che è in noi, da sviluppare, perfino fisiologicamente negli
apparati che ci formano, specie nell'uso delle circonvoluzioni cerebrali, dove le
possibilità già pronte sono almeno il quadruplo del tentativo medio da noi messo in
opera. Da uomini planetari giungeremo ad essere uomini cosmici, quello che
siamo sempre stati.
Scandurra ci avverte di un pericolo formidabile, da non sottovalutare. Ogni nostro
passo verso l'anno 2012, sarà controllato dai signori della Fiamma, i saturniani,
nell'accezione più ampia. Non solo, se possibile tenteranno di deviare il nostro
corso, introducendo veleni mascherati da farmaci, allestendo scenari extraterrestri
per la grande pantomima finale. Ogni mezzo sarà adottato da chi attenta
all'armonia del mondo e combatte la Luce in ogni sua espressione. Come
difenderci? Costruendo una sacralità di tipo liturgico, in cui esprimerci con silenzi e
astensioni, seguiti da azioni determinate e coraggiose. Il maestro ci ha insegnato a
viaggiare dentro/fuori, ad accendere il lumen e irradiarlo, senza pensare a sconfitta
o successo. Costruiremo un ponte e loro verranno. Gli esuli torneranno e
Madreterra sarà più splendida.
Notai una scultura di donna reggente un calice, in un'edicola ad arco incastonata
in un muro divisorio. Attraverso una finestra intravidi un soffitto affrescato. Da un
altro finestrone, al secondo piano di un palazzo elegante, un muro di libri di tutti i
formati e fogge sembrava invitarmi ad entrare. Lucernai balconcini scalette profferli.
Mille elementi architettonici, diversificati e appartenenti, pare, ad epoche non
recenti. Stili e valori variegati, ci circondavano durante il nostro cammino. Un
signore ammantellato ci incrociò come spuntato dal nulla. Feci finta di non vederlo,
ma la mia curiosità fu così forte che lui la notò, evidentemente. Egli abbassò il
cappuccio che svelò un volto butterato e pallido come un cadavere; quegli occhi
rossofuoco mi squadrarono. Divenni rigido, poi dondolai e persi i sensi... il lumen si
ritrasse. E fu buio fondo.
domenica 17 giugno 2012
IUS 51
«Prendi, se così devi, questo fastello di sogni;
sciogline la corda, ed essi ti si avvolgeranno attorno».
William Butler Yeats - The Rose, 1893
Precipitavo in un pozzo scuro senza fine apparente. Largo tre metri di diametro,
sembrava fatto di roccia levigata da mani umane. Cadevo velocemente e non
riuscivo a mantenere un assetto lineare. Dapprima a testa in giù, poi rotolando
cinque o sei volte, ancora di lato e supino, ero completamente in balia della
gravità. Strillai come un figlio piccolo.
Scandurra, nelle prime istruzioni per oltrepassare le botole, ci suggeriva, in caso di
attraversamento di pozzi o camini per la verità non rari, di fare il morto a galla, di
non tentare assolutamente altre manovre, se ci abbandonavamo si sarebbero
verificate specialissime condizioni fisiche: l'energia tangenziale e l'energia radiale
presenti in tali condotti, divenivano complementari. Un po' sgomento mi
abbandonai nel vuoto, che poi proprio vuoto non era. Una mano invisibile mi
sostenne immediatamente.
Quando ci liberiamo dalle sovrastrutture create ad arte dal processo di
acculturazione del sistema e non facciamo più resistenza a ciò che è ancestrale e
vive in esilio dentro di noi, allora tutto si accende. Esso è il sole che fa crescere
tutto, la linfa che ci nutre all’interno.
L'energia del luogo mi condusse a velocità sopportabile, planavo a pancia in giù
come il tiro a foglia morta di Mariolino Corso, a distanza di sicurezza dalle pareti
del pozzo. Scomparve la paura. Controllavo completamente la situazione. Una
leggera luminescenza mi avvolse e vidi, così, il termine del percorso. Atterrai in una
piazzola sotterranea circolare, poco più ampia del pozzo. Dietro di me una porta
con grata di ferro di un metro e ottanta, indicava senza equivoci l'unica via di uscita.
La raggiunsi e tentai di spingerla senza esito. Non aveva serratura, pareva
incastrata. La tirai, niente. Poi, dopo qualche secondo di turbamento, mi accorsi
che non aveva cardini. Le sbarre erano infilate nella roccia. Al di là della porta,
c'era un tratto di strada rettilineo e per venti metri si poteva ancora distinguere.
Cosa potevo fare? Prenderla a spallate mi sembrò una buona idea... Presi una
breve rincorsa e mi schiantai addosso alle sbarre. Rimbalzai all'indietro come una
palla di gomma. Era tosta come... una porta di ferro, appunto. E adesso? Cosa mi
rimaneva da fare? Non possedevo quel potere, veramente unico di Scandurra di
trovare sempre e ovunque quelle piccole fessure interdimensionali a corto raggio,
ma sufficienti a spostarsi per diverse decine di metri e sventare qualsiasi pericolo.
Mi sedetti tutto indolenzito al centro della piazzetta. La luminescenza che mi
permetteva di vedere al buio, stava esaurendosi. Tentai allora di chiamare
Scandurra con schemi d'energia psichica già sperimentati con successo. Ma lo
stato di coscienza alterato mi impedì di visualizzarli. Dovevo ritrovare il mio centro.
Quando perdi l'equilibrio, attaccati al tuo centro e non cadrai. Già, ma proprio
perché avevo perso il mio centro, non avevo più equilibrio. Insomma, la mia testa
girava come un'elica e non trovavo pace. Poi una speranza si fece strada:
Scandurra sarebbe comparso per portarmi via. L'aveva fatto in precedenza. Lui
sentiva, eccome, ogni cosa di suo interesse e mai ci avrebbe abbandonato al
nostro destino. Facevo parte dell'anonima talenti, cacchio!
Passarono minuti e poi ore. Niente, Scandurra sembrava affaccendato in altre
faccende. Ero intrappolato chissà dove, senza poter fare alcunché. Pensa, Angelo,
pensa. Meglio, abbandonati, Angelo, abbandonati, fai scorrere il lumen e così tutto
si rischiarerà. L'alone magico di luce mi avvolse di nuovo. Un cappotto caldo per
giorni di freddo intenso. Scintillavo come un lampione. Mi avvicinai alla porta, la
spinsi leggermente ed essa cadde in avanti come un ferro vecchio insieme a pezzi
di roccia. Un gioco da ragazzi.
Il lumen ci tira fuori da ogni guaio. Diciamo: è tremendamente efficace quando ci
imbattiamo nella fanga puzzolente che la Vita, a volte, ci vomita addosso. Una
potenza che Scandurra ci ha trasmesso per utilizzarla sia quando ci troviamo in
seria difficoltà, sia per il prossimo bisognoso. Possiamo, infatti, orientarla verso chi
si trova a mal partito, convergendola sulla sua anima per deviare le forze del kaos.
Non tutto è permesso. Non sempre si riesce a cambiare sostanzialmente le linee
destinali delle persone, tuttavia anche una pur piccola deviazione lungo la strada
della Vita e si attenuano le energie distruttrici. Un dono immenso al servizio degli
altri. Dio crea persone come Scandurra per alleviare la sofferenza degli universi,
per bilanciarli. Il mio maestro non è un santo, almeno nell'accezione religiosa del
termine. Anzi, spesso mi pare che si comporti ai limiti della morale corrente. Forse
non riusciamo a capirlo fino in fondo. Quel che è certo, anziché vivere come tanti
stronzi che tiranneggiano il prossimo, accumulando ricchezze materiali e facendosi
una posizione, Scandurra sceglie di viaggiare negli universi a raddrizzar torti e a
far casino (leggi: intricare le strategie dell'Ombra). Non so nemmeno come
inquadrarlo sul piano iniziatico, ma etichette e classificazioni dei metafisici gli
vanno comunque stretti. Fuori classe, outsider, briccone divino, mago, sciamano di
provincia, folle-saggio: semplicemente Scandurra.
Un particolare mi ha incuriosito sin dalla prima ora: la serenità con cui Scandurra
affronta il Grande Ignoto. I motivi per cui non prova sgomento di fronte a spettri e
magie, sono più di uno. Nel maestro è presente un altro registro, più nascosto e
arcaico, che entra in attività di fronte alla provocazione dell’ignoto. Scandurra sa
che la quotidianità è ambigua, duplice, fluida, esiste sempre qualche faglia
temporale dove ci si può perdere. Quando la civiltà, appollaiata in cima alla propria
idea di realtà vacilla e crolla su se stessa, ecco che tornano alla luce tutti i mostri
dimenticati e prende il sopravvento la faccia oscura della vita. In fondo per lui non è
importante che non si creda, ma che non si tremi. Egli non mette mai in dubbio
l’esistenza di forze misteriose ma anche di fronte ai più terribili portenti si comporta
come se il nemico fosse uno qualunque, senza paura e senza perdere la speranza
di combatterle e di vincerle. È quasi curioso vederlo che, pur in difficoltà di fronte a
entità barontiche, mantiene il suo comportamento e la fiducia nelle proprie
conoscenze e capacità. Le manifestazioni magiche e metapsichiche, oltre a quelle
sovrannaturali atterriscono solo chi non ci crede, mentre chi è disposto ad
accettarle, ammettendo che possa esistere qualcos’altro oltre al mondo che ci
circonda, sfugge alla morsa del terrore, e trova proprio nella sua accettazione la
forza di reagire alla minaccia dell’ignoto. Questa è esattamente la reazione di
Scandurra: la magia dell'Ombra, i fenomeni sovrasensibili, i fatti che la scienza non
può spiegare, non lo impressionano più di tanto, perché è disposto ad accettarli.
Quindi tutt’altro che “scettico” o “credulone”, la sua mente non si fossilizza sulle
verità imposte dal razionalismo, invece mantiene un’elasticità di giudizio che, lungi
dal farne un bevifrottole, gli permette di estendere il confine del reale oltre il limite
stabilito dai nostri cinque sensi. Va comunque detto che quando i meno attrezzati si
recano da lui a bottega, curiosi schizzati velleitari fissati e desiderosi di potere,
Scandurra non li asseconda minimamente, anzi. Il pericolo è che a leggere e
praticare certa roba senza i dovuti accorgimenti e privi di saldezza interiore, ci si
espone a determinate influenze. Dopo un po’ l’esoterismo si rivela per quello che
in buona parte è: un’agenda piena di indirizzi di esseri ostili.
Per non farci ossessionare da enti occulti e larve, lungo e complicato è
l'allenamento magico a cui ci sottopone Scandurra. Semplice nell'enunciazione,
tortuoso nella pratica. Il risveglio dell'anima avviene ora, in questo mondo, grazie a
un atto di conoscenza: l'immaginazione. L'anima assorbita dalle esperienze
comuni si accartoccia, si dilacera, ma l'immaginazione può ri-allinearla, scioglierla
dal suo stato miserando. L'Arte e Madrenatura ci vengono incontro. Facendoci
inondare da immagini di pace e di potenza, si attinge ad un piano esoterico. Se
non ci facciamo guidare da questi archetipi – Scandurra li chiamava segni stellari –
rischiamo di perdere il contatto con la Realtà: quando ci ritiriamo in noi stessi,
isolandoci da ogni stimolo esterno, emergono immagini vorticose che ci rapiscono,
perché provengono da un abisso senza Dio. Il piano sottile si raggiunge grazie allo
stato meditativo, che ci fa muovere col cosmo. Affluiranno immagini. Dobbiamo
però dare loro ordine. Ecco allora l'uso del simbolo magico, dell'archetipo. Durante
l'apprendistato, il maestro ci consegna delle piante officinali che trova nelle
campagne viterbesi, da lui considerate tra le più magiche del mondo, e prima di
raccoglierle recita una preghiera o sussurra il nome dell'angelo giornaliero. Le
mettiamo sotto il cuscino la sera, prima di coricarci. Esse danno intelligenza ai
simboli evocati marcando il territorio magico.
Mi misi in marcia di buzzo buono. I timori si erano dileguati. Mi caricai di luce. Bella
sensazione, davvero. Feci dieci quindici passi e mi trovai fuori, all'aperto. Ero uscito
da un tumulo, o almeno ci somigliava parecchio. Di fronte a me una casa a due
piani sotto un cielo verderosso. Assomigliava a quelle dimore di legno tipiche della
provincia americana. Un bel tetto, un porticato, grandi finestre... una finestra della
veranda era illuminata. C'era qualcuno. Oh, oh! E adesso? Che significato aveva la
mia presenza in questo posto? Perché quello strano figuro incappucciato mi aveva
catapultato lì? Parcheggiata di fianco alla casa, c'era un automobile blu dal profilo
arrotondato, in perfetto stile anni cinquanta. Ritenni naturale, non so per quale
precisa considerazione, avvicinarmi e bussare. Non avvertivo niente di avverso e
tutto lasciava intendere che mi trovassi sulla Terra. La struttura abitativa era quanto
di più umano, di più normale potesse esistere. La porta si aprì e il padrone di casa
era un extraterrestre...
mercoledì 25 luglio 2012
IUS 52
"Sei sicuro che il meccanismo che vi annullerà non sia già partito? ”
K.K.Fargo
"Bianco e nero, freddo e caldo, riflesso e assorbimento, sono le coordinate della
Vita. Quando tutto sarà finito e il mondo assomiglierà ad una poltiglia di cenere e
merda, ritorneremo per mettere le cose a posto. Bianco e nero...”
Scandurra
Mi fece cenno di entrare e mi accomodai su di una poltrona vecchio stile. Il salone
era completamente di legno: pareti, pavimento, mobilia. Un camino acceso, dava
l'idea di un tipico ambiente della provincia americana, con un particolare insolito
però: una piramide di travertino scolpita sullo stipide sinistro. Il marziano – li
riconoscevo ormai, esuli da secoli e trascinati su altri universi – possedeva tratti
somatici a metà tra il pellerossa e … il marziano. Non saprei come dire. Non
spiccicò parola, ma aveva una tristezza dipinta in volto, come di un condannato a
morte (si dice così di solito) che valeva più di mille parole. Indossava una tuta
argentea da pilota d'aereo ed era alto 180/185cm.. Uscì dal salotto con un'andatura
sofferta, quasi si trascinava. Evidentemente si trovava in una condizione forzata a
fare il maggiordomo di... già, di chi? Dalle stelle a lui tanto care, simboli di potenza
e grazia, aveva finito per chiudere il suo viaggio in un altro mondo, la Terra, come
prigioniero. Sentivo il suo dramma, la sua sofferenza. Viveva di (e nel) passato.
Stagnava. Agonizzava. Ed è ingiusto piantarsi sui ricordi, sulle lacrime. Siamo nati
liberi. La libertà è un principio fondatore in tutte le dimensioni. Ma io mi
preoccupavo per quel marziano, dimenticando il mio stato. Cosa mi dovevo
aspettare? Forse la mia posizione non era così diversa da quella del marziano. Il
“Sogno nel sogno" di Poe e il “Teatro nel teatro" shakespeariano, ben
rappresentavano in quel momento il mio mondo interiore.
A quella detenzione sostanziale in cui mi trovavo, si opposero inaspettati suoni/
percezioni che venivano da un altrove lontano, galleggianti a distanze
astronomiche che il mio occhio trasformava, non so nemmeno io in che modo, in
enormi sorgenti di energia. Mi si presentava fuori/dentro un mare calmissimo
attraversato a velocità folle, a pelo d'acqua, da uno sciame di asteroidi multicolore:
l'essenza magica del lumen che inonda e ti fa sentire non più solo, ma collegato
all'oceano cosmico. Ecco il simbolo iniziatico del pesce con due gambe:
navighiamo e camminiamo su più piani, cittadini di due mondi.
Mentre viaggiavo nel mio firmamento e trasportavo all'esterno il lumen che illumina
e anima la materia tutta; ecco, mentre facevo il mio lavoro magico di richiamo, entrò
un uomo anziano, stempiato e un po' curvo. Indossava una giacca da camera color
corallo e un paio di pantofole chiuse con la zip. Un nonnino. Un tipo inoffensivo,
insomma.
- Ben contento di fare la tua conoscenza. Mi risulta che sei tra i migliori della
nidiata. Quell'uomo sa selezionare, non c'è dubbio. Mi presento... K.K.Fargo e
medio tra la Terra e i Nove Mondi, per conto dell'Ombra. L'Ombra è un nome
melodrammatico, sì, ma ci sta tutto, credimi. - senza por tempo in mezzo e con voce
pacata e buona pronuncia della lingua italiana, si rivolse a me.
- Che cosa vuole? - feci io senza timore, per una volta.
- Vai subito al dunque... un altro insegnamento di Scandurra, vero? Giusto,
nemmeno a me piacciono i convenevoli. Voglio, anzi, vogliamo una spoletta, una
qualsiasi, ma la vogliamo. Se ti rifiuti, faremo una visita ai tuoi familiari... Siete
ovunque circondati da Titani, senza volto e della consistenza dell'aria. Tali forze
sono figlie del caos, dell'incontrollato e del disordine. Non ci sarà scampo per
nessuno. Lo sai e non puoi sottrarti. Cedi prima che tutto sia crollato. Non ti chiedo
di tradire ma di affrettare la fine dell'agonia dei tuoi amici. Ovunque c'è la nostra
impronta. Coloro che appartengono al sistema del potere sono corrotti non soltanto
a causa delle opportunità insite nei loro incarichi, ma anche per necessità. Non v'è
possibilità di cambiare le cose.
- Bastardi. Cascate male, però. Siamo protetti, soprattutto da possibili ricatti.
Non ho paura e non mi terrete al guinzaglio come quel poveraccio di marziano.
- Rhiah... oh, è tenero e fedele. Alla fine tutti crollano dopo una tortura ben
assestata... Sei sicuro che il meccanismo che vi annullerà non sia già partito?
Quel vecchio stronzo si congedò e uscì. Intanto il fuoco del camino scoppiettava. Mi
venne l'idea di fuggire via, senza indugi o tattiche di sorta. La finestra era grande,
come tutte quelle delle case americane. Un tuffo a pesce coprendomi gli occhi e
non mi avrebbero preso. Un vecchio e un povero marziano rincoglionito, non
sarebbero stati grossi inseguitori. Non avvertivo altri in quella casa, perciò mi decisi
e con breve rincorsa mi lanciai verso la finestra. Sfasciai vetro e infissi e ruzzolai
per le terre. Via, più veloce della luce. Ero un discreto quattrocentista con buona
resistenza. Mi allontanai a lunghe falcate, inoltrandomi in un boschetto. L'istinto mi
diceva che attraversandolo avrei messo tra me e loro parecchi centinaia di metri da
subito. Chissà perché? Il cielo era scuro, ormai. Nel mezzo della vegetazione mi
bloccai. Non vedevo un bel niente. Cercai invano di accendere il lumen. Erano
cacchi acidi. Ora, la mia sicumera si affievoliva con la velocità del lampo. Un odore
acre non so di cosa mi ferì le narici. Scartai di lato e intravidi una sagoma
gigantesca, alta due volte una porta da calcio. Una statua? Macché. Quell'essere
enorme si mosse e verso di me. Io ero spento come la Pallanzana (ex vulcano
vicino Viterbo) e mi sentivo piccolo come un sorcio. Una voce bassa e profonda
quasi meccanica, proveniente da quel gigante, mi investì.
- "Il tuo viaggio finisce qui.”
Si avvicinò con un sol passo. Come se avesse inseriti tubi al neon, gli si illuminò la
corazza di rosso porpora, marcandone la sagoma. Un essere titanico a mò di
cavaliere antico o d'extraterrestre origine, mi si piazzò di fronte e dovetti alzare più
che potei la testa per tentare di vederne il volto. Un casco squadrato di ferro gli
copriva la faccia. Dalla fessura orizzontale all'altezza degli occhi, intravidi due fori
oblunghi violacei, senza pupille. Chi diavolo era? Ne sentivo la presenza elettrica.
Emetteva pure un campo di forza, esteso, denso. Forse un robot che proteggeva
Fargo. Il lumen si era bloccato. Avevo perduto la mia sicurezza e tutto si faceva
scuro...
Scandurra lo risucchiò dentro chissà quale pozzo senza fondo. In un secondo vidi
quel bestione inghiottito da un gorgo gialloverde. Un tremolio del terreno e poi
silenzio. Il maestro si appoggiò ad un albero. Lo vidi stanco, col fiatone.
- Son sempre delle bestiacce 'sti titani. Porcazozzaladra che fiacca. Eh, Angelino,
t'accendi e ti spegni come un albero di Natale e non sempre quando serve.
Comunque, è tutta esperienza. Arriverà il giorno in cui terrai botta di fronte a
qualsiasi nemico o rogna. Ma io non campo sempre, perciò sbrigate.
Lo abbracciai. Gli chiesi se dovevamo sistemare anche quel vecchio bastardo.
- C'è tempo. Lasciamoli crepare lentamente. Le forze all'opera hanno tempi diversi.
Mi serve che faccia ancora le sue mosse. Si allungherà la catena sempre di più e
così li legheremo tutti insieme in un bel fascetto.
Scandurra spesso si fermava ad un passo dal bersaglio, prima di chiudere certe
questioni. Le linee della storia, quella occulta non raccontata sui giornali, erano
intrecciate assai. Passato presente e futuro si potevano manipolare, a patto di
conoscere le tracce che il kaos lasciava lungo il grande fiume eterico, a patto di
saper modificare impercettibilmente le cariche montanti. Senza dimenticare le
relazioni tra dimensioni. Insomma, pane per i denti di Scandurra. Che il Padre
celeste ce lo conservi sempre.
- È un pezzo di carne essiccata, mangiala, è buona, soprattutto quando si ha fame.
A Deya ci faremo una bella cenetta con gli amici e ci sbornieremo con birra rossa e
vino. Vai tranquillo, sanculo ti ha protetto ancora.
venerdì 31 agosto 2012
IUS 53
. . .
La speranza spezzata
è la tua eredità.
Fallimento di una vita
di coraggio e di viltà.
Troverai sul cammino
fango e corruzione.
E la voglia tu avrai
di sdraiarti al suolo
per guardare come in un film
i colombi in volo.
Ti faranno fumare
per farti sognare che
il futuro od “un messia"
presto tutto cambierà.
Ed avrai come vanto
una nuova condanna
ti diranno che il vento è
il respiro di una donna
per far sì che un lamento, uno solo,
copra ogni tormento di un velo.
Ma se tu rifiuterai
di giocare all'attore
forse un libro scriverai
come libero autore.
E tu forse parlerai
di orizzonti più vasti
dove uomini celesti
portandoti dei figli
ti diranno: "Scegli!"
ben sapendo che ridendo tu
tu a loro ti unirai...
(Mogol/Battisti - Gli uomini celesti)
L'uomo che sogna è soprattutto un essere vivente, e tutto ciò che egli vede
acquista vita. È il regno di Proteo, ovvero della cosa che si trasforma per
un'interiore forza.
(Simone Weil)
La natura ci pone un limite che se lo superiamo diventa ingestibile: quando ci
ritroviamo confinati in un angolo reagiamo per disperazione e paura ed in questo
contesto facebook e twitter possono amplificare le nostre emozioni ed accellerare i
tempi di formazione di una massa critica. I figli della vedova nel loro delirio di
onnipotenza (il potere è un pagliativo, l'illusione misera e patetica di poter
sconfiggere la morte) credono di avere gli strumenti per controllare ogni cosa ed è
un errore che si perpetua da sempre! Corrono il rischio di finire appesi ai lampioni:
lo insegna la storia! In ambienti popolari dove ancora la gente si aggrega e
socializza: bar, osterie, piccoli negozi, l'umore è quello di chi sta aspettando il
"LA"... non lo auspico ma ho la sensazione che siamo vicini.
(anonima talenti)
La nostra arte è misura dell'intensità.
(Scandurra)
E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuna carne si salverebbe; ma a motivo
degli eletti quei giorni saranno abbreviati.
(Matteo 24,22)
Immagina un cerchio e immagina che ne stai percorrendo la circonferenza.
Qualunque sia il punto in cui cominci il percorso, quello è il tuo inizio. Ma, una volta
che cominci a muoverti, non c’è fine; continui a girare in tondo. Se vuoi uscire fuori
dal cerchio senza fine, devi essere consapevole che il cerchio ha un centro e che
tu devi stare in quel centro, invece che lungo la circonferenza. Cos’è questo
centro? È la realtà che risiede permanentemente nel Cuore di tutti gli esseri. È la
coscienza, è verità ed amore. Tutti devono conoscere quel centro, se vogliono
smettere di girare in tondo all’infinito, spostandosi continuamente da un punto
all’altro (…). Non c’è né inizio né fine nel centro, perché lì cessa ogni direzione,
distinzione e movimento. (…) Se riposi in quel centro, il mondo non potrà turbarti o
toccarti in alcun modo.
(H.W.L. Poonja, maestro vedanta indiano del secolo scorso)
[Satana] sa di aver forza solo se si fa passare per uno che sta dalla parte di Dio,
per uno che sostiene la sua causa. Solo se si presenta come devoto a Dio il
serpente può essere malvagio. […] Se il male si mostra nella propria totale
separazione da Dio, allora è del tutto privo di forza, è uno spauracchio per bambini,
non occorre temerlo, anzi il male non concentra lì la sua forza, e per lo più su
questo punto attrae l’attenzione per distrarla da quell’altro punto in cui
effettivamente vuole aprirsi la breccia ed irrompere.
(Dietrich Bonhoeffer)
. . .
(LA BOTTEGA DI SCANDURRA)
Ci accucciammo e brrrrrr... oltre i limiti terracielo, al di là della frontiera degli spazi
ignoti, sull'istmo dei Nove Mondi. Ed eccoci a Deya città-labirinto, immensa,
lontana eppure familiare, soltanto collocata in un altro universo. Entrammo in una
taverna, riconoscibilissima per i tavoli e gli avventori che chiacchieravano bevendo
con allegria. Era a pianta quadrata iscritta in una croce greca. Geometria
deyana, talvolta semplice come le costruzioni dei bambini. L’odore di fritto
si espandeva anche all'esterno. Ci sedemmo ad un tavolo vicino la porta
d'ingresso. Scandurra fece un cenno all'oste, insomma al titolare dell'esercizio.
Questi con passo lento e strascicato si avvicinò. Era un omone dalla faccia paciosa
ma con un ghigno poco rassicurante, indossava un sinalone zozzo-sporco; ci tirò
un fogliaccio rigido dall'apparenza di menù, anch'esso lordo e grasso. Scandurra
gli chiese in una lingua ignota non so cosa, lo compresi dal modo interrogativo.
L'omone si fece serio e chinò il capoccione stempiato. Con inattesa velocità
scomparve nel retrobottega. Chiesi al maestro cosa gli avesse detto.
- Mah, gli ho chiesto di portarci un frizzantino aromatizzato, focacce in abbondanza
con sciroppo marmellatoso e... un camion blindato.
- Ma come pagherai la colazione... e il camion soprattutto?
- Mi fa credito da una vita. Gli ho salvato il culo una volta e quando ho bisogno, lui
è pronto e disponibile. Mi teme, ma non mi conosce bene, so “bbono” come il pane
io.
- Già già è proprio così... Maestro, tu sei una leggenda da queste parti. Cacchio,
sono l'aiutante di un eroe.
- Fregnacce. Eroe, bah. Sono un fruttarolo in trasferta. Salto fossi di universi, ma
senza merito. Ho avuto più core di altri, tutto qua. Aiuto chi ha bisogno e lo fai pure
tu, e questo mi rende felice. Sistemiamo certi squilibri e alterazioni. Siamo fatti di
terra e stelle, solo che ce lo dimentichiamo spesso, allora i pochi che rammentano
chi sono, si fanno carico dei casini degli altri e dei mondi. La stragrande
maggioranza dell'umanità, perché smemorata, non è in grado di vedere la Realtà. I
sensi la filtrano, per comprenderla. Si creano costrutti per affrontarla. Per vedere la
Realtà autentica, la sua totalità, è necessario risvegliare il divino che dorme dentro
di noi. Come si fa? Semplicemente ricordando chi siamo. A bottega questo
facciamo, ricordiamo. E lo sperimentiamo mentre prepariamo il caffettuccio,
cucinando il sughetto per le penne all'arrabbiata, sentendo l'uovo-anima presente
in ogni cliente che entra. C'è tutto un cosmo da scoprire dentro il nostro angoletto
d'universo. Gente che va e che viene, anime che fanno capolino e chiedono un
momento d'attenzione per dipanare un nodo creato quando erano su 'sto mondo.
Passeggeri di aeronavi d'Atlantide, gatti ubriachi di vita e gente di frontiera. Ecco, io
sono lì, seduto dietro un banco, alla mia sinistra una vecchia bilancia bugiarda, alla
destra una cassa leggera leggera, perché non sono io a far pagare i conti della
vita. Un eroe? No, soltanto un uomo che crede nell'arte della magia e quel che è
peggio, l'adopera.
Mi vennero in mente alcune domande da rivolgere a Scandurra. Nel frattempo
l'oste ci aveva servito focacce, vino, sciroppi di frutta. Mangiammo di gusto.
- Noi come ci poniamo nei confronti degli universi? In fondo siamo sempre stranieri
a casa degli altri. Hai detto che raddriziamo torti, mettiamo ordine nei casini altrui...
tuttavia dici pure che a volte non si può, non si deve intervenire né chiudere
definitivamente un caso.
- Quando si dà una bella botta contro la solida consistenza dell'essere, è stilosa
'sta espressione, sa di filosofia... la solida consistenza dell'essere... insomma
quando vai a “sbatte” contro una porta, non a caso si dice: «Ho visto le stelle!». La
Creazione è stata la rivoluzione più grande della storia, la sola unica
indispensabile rivoluzione positiva, e noi uomini abbiamo bisogno di allenarci
continuamente alla meraviglia per l'esserci del mondo.
Non c'entra il sentimento eh, anzi è una faccenda concreta mettersi a guardare
l'essere delle cose attorno a noi con la coscienza che esse sono il giornale
quotidiano scritto dal Padre Celeste per non farci dimenticare che il suo gesto
supremo è stato quello di aver sottratto ogni cosa al nulla. I segni che ci mette
davanti sono semplici, come una foglia, o spettacolari come le galassie o
travolgenti come i mondi intermedi. Se vi ho insegnato veramente qualcosa di utile
è stato quello di allenarvi alla meraviglia; non è l'ottimismo per reagire alle batoste
della Vita, è anzitutto una naturale vocazione dell'uomo alla battaglia. Quando le
forze soccombono, quando si perde la presa, quando le cose della vita ci
inchiodano senza la possibilità di reazione, c’è ancora una missione da compiere,
c’è ancora una testimonianza da dare. La nostra nascita somiglia molto a un
servizio di leva con cui il Creatore ci ha assunto nel suo progetto di operosa
opposizione al nulla. Questo ci fa sentire vivi, pronti a fare qualcosa, poco o tanto
poco importa, contro ciò che è avverso alla Vita, contro chi agevola il kaos, senza
piangerci addosso o, peggio, senza prenderci per il culo, senza considerare i costi
e i profitti. Ci troviamo in prima linea, basta e avanza.
Gli Universi sono il polverone esplosivo, entusiasmante, drammatico, gioioso
sollevato da Dio contro il nulla. E noi ci siamo finiti in mezzo; a volte è difficile
vederci chiaro. Ogni giorno siamo alle prese con piccole e grandi battaglie e
diventa ultimamente frustrante fondare l'equilibrio della nostra vita sul bilancio tra
risultati positivi e negativi, tra successi e disfatte. Allenarsi alla meraviglia è, perciò,
un esercizio e non una teoria per ricordarci che il nostro agire è accompagnato da
una solida speranza di fondo: ci costringe a vedere il lavoro della vita non
misurandolo con una lente d'ingrandimento, ma piuttosto con il cannocchiale di un
progetto universale in cui siamo coinvolti.
La Creazione è il disegno di Dio, e il suo disegno prevede che anche noi ci
mettiamo a disegnare. È questo l'orizzonte vero in cui ogni nostra azione trova
equilibrio, senso: gli esiti altalenanti delle nostre opere sono solo il fumo di
superficie di una battaglia ben più importante che ci tiene davvero tutti in piedi.
Perché, in ogni caso e in qualunque circostanza, noi siamo parte e testimonianza
di questo operoso spettacolo che è l'essere. Mettersi a guardare, a ritrovare le
stelle è un sano e vigoroso esercizio di piena umanità. Ricordati che l'Essere,
come creato, è la bandiera che sventola in ogni remoto angolo dei Nove Mondi.
Ricordati, l'Ombra con i suoi battaglioni ombrati non sono il Grande Nulla. No,
l'Ombra è la forza che si contrappone a noi, ma è parte di quel codice binario che
mette ordine al Kaos. Soltanto scontrandoci portiamo in equilibrio i piatti della
bilancia.
- Cosa vedi maestro alla fine del 2012? Credi che la gente capisca e scelga
bene da che parte stare?
- Il futuro è già all'opera adesso, qui, su Deya e noi dobbiamo ancora
combattere una guerra passata. Quanti uomini vedi al nostro fianco? Pochi,
vero? È sempre stato così. L'Ombra, sì, Shiva lo stupratore di mondi, incantatore di
sensi e di coscienze, dirottatore di sessi, mostra meraviglie e poi... poi alza il velo e
appare il suo volto sotto la maschera ed è mostruoso. I potenti della Terra che
credevano di guidare il mondo con le loro squadrette compassate, usando l'oro
fregato all'Ordine rossocrociato e adorando idoli tebani, scopriranno troppo tardi di
essere pupazzi nelle mani di potenze ignote. Eppure ne hanno fatti di danni.
Hanno fondato un impero e quando hanno agito, hanno creato la realtà. E mentre il
resto del mondo stava analizzando quella realtà, loro agivano di nuovo creandone
un’altra e poi un’altra ancora. È così che sono andate le cose per secoli.
Arriveranno aiuti luminosi da ogni dove, è vero, ma anche creature sulfuree si
ritroveranno sulle colline intorno Gerusalemme. Un lavoro da fare per il 2012 è
quello di attrarre dal firmamento l'energia nel nostro spazio esistenziale.
Quanto amo 'sta benedetta Terra, ma quanto è tosto difenderla. Angelo, fra poco mi
leverò dai cojoni per poi tornare alla fine. Sai a me piacciono le uscite e le entrate
spettacolari. Non sono l'attore principale ma un buon caratterista che sulla scena
cosmica fa la sua bella figura, dando sostanza alla trama. Interpretiamo dei ruoli,
decisivo è non stare fra gli spettatori quando andrà a fuoco il teatro.
Finimmo le cibarie e ci alzammo veloci. Girammo intorno allo stabile ed entrammo
nel suo cortile interno: una camionetta blu di forma circolare, blindata tipo militare,
era parcheggiata in bella mostra. Scandurra spinse un pulsante in prossimità della
portiera che si aprì. La guida era a destra come in Inghilterra. Mi accomodai al
posto del passeggero. L'abitacolo era avvolgente, anatomico, perfettamente
avvolti. Il maestro prese la cloche e... decollammo. In pochi secondi dominavamo
Deya dall'altezza di alcuni kilometri. Bellissima, intricata e intrigante, si estendeva a
perdita d'occhio.
- Maestro ma sai guidare un aereo?
- No, perché?
lunedì 14 gennaio 2013
IUS: L'ULTIMO
. . .
La Magia rivela le trame degli Universi; labbra sfingea che svela l'uomo all'uomo.
Essa non è pane per cialtroni e sfruttatori dell'umano bisogno. Essa non è mera
ricerca di potere. La Magia è captare e manovrare i due principii cosmici, l'uno
attivo e l'altro passivo, al fine di raddrizzare ciò che è storto e piegare ciò che è
rigido. Il mago coopera con la Natura e ne individua i vincoli invisibili che tutto
legano. Gli stregoni fanno uso, invece, di energie appartenenti al regno oscuro,
sublunare, che solo in apparenza assumono le forme della Natura. La Magia non è
una scienza, è un'Arte, cangiante, creativa, analogica, immaginifica. I rituali da soli
non funzionano, per far scattare la Magia ci vuole passione e conoscenza. Ci vuole
il fuoco per incendiare. La Magia non si impara, si trasmette.
Scandurra, tra una pesata di pere e cavoli, in procinto di attraversare botole, o nel
momento più pericoloso, almanacca sulle piccole cose e sulle grandi imprese.
• Cerca di non arrecare dolore, supera la violenza con la conoscenza, fai morire
ogni autoinganno.
• Guardati le spalle e cammina muro muro, ma al tempo stesso non ti chiudere del
tutto, lascia socchiuso l'uscio.
• La magia è tutto un universo in cui vivere.
• Ogni azione magica, produce l'effetto di ritorno, tienilo nel dovuto conto.
• La trasmutazione avviene se sei disposto a tutto... e spesso non basta.
• Non aver fretta di riuscire, quando credi che la meta sia lontana essa si avvicina e
viceversa.
• Domina la paura, ma non eliminarla del tutto, essa può salvarti la vita.
• Distruggi lo stronzo che è in te, perché abbiamo bisogno di uomini coraggiosi,
leali, umili, non di prepotenti.
• Tutto ha una forza, o la afferri o la eviti, perché contrastarla?
• Solo durante il plenilunio raccoglierai la pianta che ti curerà, la linfa è più forte ed
efficace. Senti quando il tempo è propizio per ricevere visioni e viaggiare. Tutto
obbedisce ad influenze stellari positive e negative. Muoviti in base a questa legge.
• Non mi serve gente che fa resistenza, ma che mi aiuti a spingere.
• La presa salda ma non serrata, le ginocchia appena piegate, le spalle rilassate.
Nessuna tensione nella schiena. Le tensioni rendono lenti. Se sei lento, muori!
• Le cose succedono...
• Il Grande Varco è l'unico lontano evento cosmico verso cui tende ogni cosa
creata.
• Chi entra nella mia bottega, è sempre un uomo che sta cercando di rimettere
insieme la sua vita.
• Per conoscere, impara a fare.
I professoroni di scuola ci dicono che la terra scompare nella vastità dell'universo.
Io ti faccio vedere che la terra è il crocevia dei Nove Mondi.
Scandurra
«Una nuova visione sta cominciando a formarsi e una nuova coscienza a
spiegarsi. Si avverte già un nuovo entusiasmo e un nuovo fremito della stessa vita.
Una forza nuova nata dalla sofferenza pulsa nelle vene e una nuova simpatia e
comprensione sta scaturendo dalla passata sofferenza. Un più vivo desiderio di
vedere altri soffrire di meno e, se devono soffrire, vedere che lo sopportino
nobilmente e ne escono senza eccessive ferite. Io Krishnamurti adesso ho zelo più
ardente, fede più grande, simpatia più viva e amore più forte. Adesso so, e ne sono
più certo che mai, che nella vita esiste veramente una Bellezza , una felicità che
nessun avvenimento materiale può sconvolgere, una grande forza che gli eventi
transeunti non possono indebolire e un grande Amore permanente, imperituro e
invincibile».
Jiddu Krishnamurti
«La Verità arriva come un ladro di notte, quando meno ve lo aspettate. Vorrei poter
inventare un nuovo linguaggio, ma non potendolo, vorrei distruggere tutti i vecchi
frasari e le antiche concezioni. Nessuno può darvi la liberazione, dovete scoprirla
da voi, ma dato che io l’ho trovata vorrei indicarvi la via. Chi ha acquistato la
liberazione è diventato il Maestro, come me. Consiste nel potere che tutti hanno di
entrare nella Fiamma, di diventare la Fiamma. La liberazione non è per pochi eletti.
La liberazione è vita e la cessazione della vita. È un gran Fuoco e quando vi
entrate voi diventate la Fiamma e diventate scintille, lingue, particelle di quella
Fiamma.
Io sostengo che esiste una Vita Eterna che è la sorgente e la foce, l’inizio e la fine e
pur sempre senza fine e senza inizio. Solamente in quella Vita ci si realizza
veramente. E chi riesce a realizzare quella Vita, possiede la chiave della verità
senza limiti. E quella Vita è per tutti e in quella Vita sono entrati il Buddha e il
Cristo. Dal mio punto di vista, ho raggiunto e sono entrato in quella Vita. Quella Vita
non ha forma come la verità non ha forme e non ha limiti. E a quella Vita tutti
debbono tornare».
Jiddu Krishnamurti
«Nihil sine domino» avvertono i Gesuiti, nulla accade senza la volontà di Dio.
La grandezza, per quanto breve, ce la portiamo sempre dentro.
Il Lumen è la corrente primaria donata a chi è disposto a tutto per la causa; energia
d'accesso ai Nove Mondi, ma pure fardello di responsabilità.
Gli adulti in genere e gli insegnanti in particolare, spesso dimostrano di avere serie
difficoltà rispetto alle esigenze dei giovani; tutt'al più rimandano la patata bollente
allo psicologo, ovvero tutto ciò che nei ragazzi appare come naturale crisi ed
inquietudine da attraversare, diventa un problema allarmante da esaminare ed
analizzare. Scandurra non analizza il suo allievo né lo esamina ma lo prende con
sé così com'è, perché sa che in quel volto pieno di domande c'è un destino e
nell'istante della comunicazione di sé (attraverso l'insegnamento) esso si rivela,
senza rimandi.
Dormono nella terra degli antichi miti,
dodici presagi dei fiumi, dodici
auspici della primavera.
Al loro risveglio saranno guerrieri
di obliata tradizione. Le loro memorie inaugurano
il tempo annunciato dai poeti.
Cavalli e leoni misteriosi nella casa
del Orixá,
dodici fulmini invisibili che mutano segno
dei mesi.
Al loro risveglio cresceranno senza tempo,
molteplici e segreti, come
radici della terra
e stupiranno le orecchie del mercante e dello zappaterra
e abbatteranno i templi
che alieni dèi sorressero.
Pablo Armando Fernandez
Il YICHING, il nostro Maestro, l'ha detto: Calpestando la brina della cattiva
abitudine, il ghiaccio del male e della disgrazia sopraggiunge; ora, sono secoli che
quelli dell'Occidente calpestano la brina, ed hanno costruito un tale muro di
ghiaccio che il calore della verità non arriverà mai a fonderlo. Avete bruciato i
templi, rovinato i bambini, disperse le ossa degli avi. Così fecero un tempo i
mongoli nel nord dell'impero... Ma ecco il vostro maggior crimine: mentre noi
abbiamo devotamente conservato, voi avete dimenticato la vostra origine e il vostro
destino; ignorate addirittura ciò che siete, e i vostri sapienti, con i vostri applausi, vi
pretendono figli di scimmie; quando, per caso, vi ricordate il nome dell'Assoluto, è
per trascinarlo nel fango del vostro ignorante disprezzo. Avete spento, a vantaggio
del corpo imbecille, ogni chiarezza dello spirito; per la perfezione degli ingranaggi
dei vostri orologi e delle vostre macchine, avete perso la conoscenza del
movimento dell'universo. E vagate orgogliosamente nelle tenebre più cupe, a tal
punto che tu - che credo essere un mandarino della tua razza - sei accecato dalla
fiamma vacillante che ti ho messo in mano, come da un sole.
Matgioi, La Via del Taoismo Melita Ed. p. 237
Le nostre città civilizzate nascono morte, somigliano agli scheletri degli alberi
giovani, uccisi dai vermi durante la crescita. Perché se l'obiettivo del cosiddetto
progresso, delle cosiddette civiltà, è ottenere la felicità dell'uomo, senza dubbio è
un obiettivo fallito. Gli Ashannca, i Campa, invece, sono felici, vivono in armonia
con la natura, con la natura del reale-reale e con la natura del reale-sognato, non
contendono a nessuno lo spazio per vivere, e sono loro dunque, e non noi, i
civilizzati, i detentori del progresso, i vivi. Sono città vive, selve piene di porte
inaspettate, aperte soltanto per chi le sa vedere, per chi le sa fare, varcare e
meritare, nel sonno e nella veglia, porte invisibili tra la folta vegetazione e il
pericolo costante, rischi che danno dignità, danni che fortificano!
César Calvo, Le tre metà di Ino Moxo e altri maghi verdi - Feltrinelli p. 172
Fra i tratti caratteristici della mentalità moderna, e come argomento centrale del
nostro studio, prenderemo subito in esame la tendenza a ridurre ogni cosa al solo
punto di vista quantitativo, tendenza talmente radicata nelle concezioni
'scientifiche' degli ultimi secoli, e reperibile d'altronde altrettanto nettamente negli
altri campi, come ad esempio quello dell'organizzazione sociale, da permettere
quasi di definire la nostra epoca essenzialmente e innanzitutto come il regno della
quantità. Se adottiamo questa categoria a preferenza di qualsiasi altra non è tanto
o principalmente perché sia più visibile o meno contestabile, ma perché ci appare
come veramente fondamentale, dato che tale riduzione al quantitativo traduce
rigorosamente le condizioni della fase ciclica raggiunta dall'umanità nei tempi
moderni, e perché la tendenza in questione conduce logicamente al punto d'arrivo
di quella 'discesa' effettuantesi a velocità sempre più accelerata, dall'inizio alla fine
di un Manvantara, cioè nel corso di una manifestazione di una umanità come la
nostra. Tale 'discesa', come abbiamo già avuto occasione di affermare, non è altro
che il graduale allontanamento dal principio, necessariamente inerente ad ogni
processo di manifestazione; in virtù delle condizioni speciali di esistenza cui il
nostro mondo deve sottostare, il punto più basso riveste l'aspetto della quantità
pura priva di qualsiasi distinzione qualitativa; è ovvio che si tratta esclusivamente
di un limite, e che quindi si può parlare solamente di 'tendenza', poiché nello
svolgimento del ciclo tale limite non può assolutamente essere raggiunto,
trovandosi in qualche modo al di fuori e al di sotto di qualsiasi esistenza realizzata
o realizzabile.
René Guenon, Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi Adelphi pp. 12, 13
Quanto ai mezzi mediante i quali l'Occidente è giunto ad affermare questa
dominazione, basta riportarsi a quanto ne abbiamo detto in altre opere, per
convincersi che, in definitiva, essi si basano esclusivamente sulla forza materiale, il
che, in altri termini, equivale a dire che la dominazione occidentale non è altro
essa stessa che un'espressione del 'regno della quantità'.
R. Guenon, Il Regno della Quantità... p. 16
Poiché lo svolgimento discendente della manifestazione, e quindi del ciclo che ne
è espressione, si effettua dal polo positivo od essenziale dell'esistenza verso il suo
polo negativo o sostanziale, ne consegue che tutte le cose devono prendere un
aspetto sempre meno qualitativo e sempre più quantitativo; ed è per questo che
l'ultimo periodo del ciclo deve tendere, in modo del tutto particolare, ad affermarsi
come il regno della quantità.
R. Guenon, Il Regno della Quantità... p. 47
Negli individui la quantità predominerà tanto più sulla qualità, quanto più saranno
ridotti ad essere, se così si può dire, dei semplici individui, e quanto più saranno,
appunto per questo, separati gli uni dagli altri, il che, si badi, non vuole affatto dire
più differenziati, poiché vi è anche una differenziazione qualitativa che è proprio
l'inverso di quella differenziazione del tutto quantitativa che è la separazione in
questione. La quantità, torniamo ad insistere, può soltanto separare, non unire;
sotto forme diverse, tutto ciò che procede dalla 'materia' non produce altro che
antagonismo fra quelle 'unità' frammentarie che sono all'estremo opposto della
vera unità, o che almeno vi tendono con tutto il peso di una quantità non più
equilibrata dalla qualità....
La conclusione deducibile da quanto precede è che l'uniformità, per essere
possibile, supporrebbe esseri sprovvisti di qualsiasi qualità e ridotti a semplici
'unità numeriche'; ed è perciò che un'uniformità del genere non è mai realizzabile
di fatto, e che tutti gli sforzi compiuti a tal fine, specie nell'ambito umano, possono
avere l'unico risultato di spogliare più o meno completamente gli esseri delle
qualità loro proprie, e di fare di essi qualcosa che assomiglia al massimo a
semplici macchine, in quanto la macchina, prodotto tipico del mondo moderno, è
appunto ciò che rappresenta, al più alto grado finora raggiunto, la predominanza
della quantità sulla qualità. Proprio a questo tendono particolarmente dal punto di
vista sociale, le concezioni 'democratiche' ed 'egualitarie' secondo cui tutti gli
individui si equivalgono, supposizione assurda la quale induce a ritenere che tutti
debbano essere ugualmente adatti a non importa cosa...
R. Guenon, Il Regno della Quantità... pp. 51-55
L'occidente moderno, del resto, non si accontenta di imporre a casa sua un tal
genere di educazione; egli vuole imporlo anche agli altri, unitamente a tutto il
complesso delle sue abitudini mentali e corporee, al fine di uniformare il mondo
intero di cui contemporaneamente uniforma l'aspetto esteriore mediante la
diffusione dei prodotti della sua industria. Ne deriva la conseguenza, solo in
apparenza paradossale, che il mondo è tanto meno 'unificato' nel senso reale del
termine, quanto più diviene uniformato.
R. Guenon, Il Regno della Quantità... p. 55
I tempi mutano, e con essi le richieste. Così anche nell'annata cosmica vi sono
primavere ed autunni di popoli e di nazioni, che richiedono trasformazioni sociali.
R. Wilhelm, I CHING da "Il Sovvertimento", "La Muda" p. 216
Se parliamo di evoluzione, intendiamo il graduale spiegamento nel tempo di ciò
che è potenzialmente presente ma non è ancora apparso nella visibile e tangibile
realtà. Ogni fase è un aspetto del tutto sotto le date condizioni del tempo e delle
circostanze. Se possiamo vedere le connessioni causali, parliamo di evoluzione.
Se il processo occorre spontaneamente, parliamo di mutazione. Il primo è un
processo che avviene perifericamente, cioè nel medium del tempo; l'altro avviene
radialmente, direttamente dal centro senza tempo, tagliando verticalmente, per così
dire, attraverso i movimenti del tempo e della causalità.
A. Govinda, The Inner Structure of the Book of Changes Wheelwright p. 9
La croce eretta sul Golgota rappresenta un riposizionamento dell’asse terrestre e
dell’animo umano.
L'aquila non può levarsi a volo dal piano terra; bisogna che saltelli faticosamente
su una roccia o su un tronco d'albero: ma da lì si lancia alle stelle.
Hugo von Hofmannsthal
Fausto Gianfranceschi, aforismi scelti da Aforismi del dissenso:
“Conosci te stesso”: mai sentenza è stata più difficile da eseguire. Quanto a
conoscere gli altri, nessun oracolo prova nemmeno a suggerirtelo.
Dignità: non ci sono scuole per conseguirla. Ovvero ci sono scuole per stroncarne
anche la memoria.
Avanguardia, in genere destinata alla distruzione. La storia apparterrà al grosso
dell’esercito.
Le rinunce, più dei successi che non mi sono del tutto mancati, mi hanno
modellato. Lo scultore opera togliendo.
Julies Evola è l’ultimo erede dello stoicismo romano: “Fai che ciò su cui nulla puoi
nulla possa su di te”.
Il silenzio e la parola: due innamorati.
Talvolta abbiamo il coraggio di giudicarci come il più severo dei tribunali, e non ci
assolviamo; però trascuriamo di infliggerci la pena.
Chi crede in Dio ha talvolta un dubbio. Chi crede in Darwin non lo ha mai.
Egualitarismo moderno: dove trovare qualcuno che non sia “sopra la media”.
L’antinconformismo? Essere buoni.
Uscire di casa, tornare a casa: sono due gesti quotidiani in apparenza banali;
invece hanno un formidabile senso simbolico. Se non esci ti avveleni, se non torni
ti perdi.
Una scritta su un muro di Roma: Nietzsche è morto. Firmato Dio.
“Lo spirito è forte ma la carne è debole”. Questo valeva una volta, mentre oggi è il
contrario: la carne – in questa civiltà medicalizzata, ospedalizzata, plastificata – è
forte, ma lo spirito è invigliacchito dalla vanità e dall’avidità.
Non si sconsacrano solo le chiese, si sconsacrano anche le parole. Si pensi alla
parola erotico: dal mito al cicaleccio idiota.
Dio ha più risposte di quante domande hanno gli uomini: per questo sembra che
non risponda.
Il nichilismo? Siamo così sprofondati che sembra un valore.
Se cerchi di seguire i comandamenti soltanto come obbligo morale, ti precludi di
intendere che essi indicano anche la via verso la sapienza che è sopra la morale.
Non sei solo se sai guardare.
La poesia è sempre sacra. O non è poesia.
Si cammina avanti, poi insensibilmente si devia, si percorre un arco e si torna
indietro, sempre più indietro. Questo è l’itinerario della Sapienza.
Spero perché è assurdo e impossibile, altrimenti sarebbe una ben pigra speranza.
La vita è una seconda gravidanza che ci porterà a una seconda nascita. Intanto
tiriamo calci nel ventre della vita.
La potenza delle cose: se ti concentri su un oggetto il resto dell’universo scompare.
Dice un maestro arabo che se Dio non trasparisse nelle cose, queste non
sarebbero visibili.
Sto scordando come mi sentivo quando stavo bene. Quando lo avrò dimenticato
del tutto, comincerà una nuova normalità.
Oltre all’attesa di quello che accadrà dopo la morte, mi inquietano altri due
interrogativi antecedenti e senza risposte: quando e come morirò? E il quando è
meno preoccupante del come.
I vivi, nati nel mondo. I morti, nati nel cielo.
Ogni mattina mia moglie mi guarda con apprensione e mi chiede come sto. Sono
miracolato: ogni mattina come Lazzaro mi alzo e cammino.
Volendo fare un esercizio di ottimismo, potrei immaginare che, una volta affrontate
e vinte tutte le malattie possibili, sarò in grado di affacciarmi in gran forma alla
morte.
Sono eroi i combattenti che affrontano la morte in guerra. Siamo eroi anche noi
vecchi che affrontiamo la morte senza bombe e senza assalti, senza fracasso e
senza gloria.
Irreparabile, incurabile, irrecuperabile, insostenibile, irreversibile, sono le parole
che, anche non dette, rimbombano nel grande teatro della vecchiaia.
Con gli anni si imparano le potenti, misteriose qualità del silenzio. Gli altri parlano,
tu taci e li domini.
La vecchiaia comincia quando nella forma del viso si intuisce il teschio.
Parlare delle piccole cose è umiliante; né si può parlare delle grandi che sono
ineffabili. Non resta che tacere.
. . .
Sembrava un veterano del volo. Scandurra ogni volta mi stupiva. Su Deya era
considerato un eroe, un santone, una guida da ascoltare in religioso silenzio; a
Viterbo era invece temuto, spesso scansato come un appestato, certamente
incompreso. Egli si muoveva sulla Terra come un rapace notturno, silenzioso e in
costante all'erta. Non si curava di quello che dicevano gli altri, tanto era
concentrato nella sua missione cosmica. Del resto, non poteva occuparsi d'altro,
sin troppo era immerso nella trama delle cose e del tempo. Portava quel velivolo
terra/aria con lo stesso estro di quando correva con la sua Fiat 500 per le strade
montane del viterbese, senza mai sbagliare una curva. Si accese una nazionale
senza filtro e riuscì ad impuzzolentire pure quell'abitacolo: mi venne in mente la
bottega, la nostra città, gli amici. Una caratteristica formidabile di Scandurra era
quella di farci sentire a casa ovunque.
- Guarda che bella Deya. Uno spettacolo mondiale. Non c'è paragone con nessuna
città terrestre. Mi piace come la prima volta. Bella, misteriosa, incasinata ma con
criterio, si beve e si mangia benissimo. Gli abitanti poi... tutti i popoli di questo
universo son qui rappresentati e nessuno si sente migliore dell'altro perché
ognuno conosce il suo compito e trae vantaggio dalla conoscenza del prossimo,
poiché ciò che è utile è disseminato ovunque e in chiunque. Ci si scanna, certo, si
lotta, mai per stronzate. Ognuno è animato da una spinta, per conoscere, amare, e
spesso per entrambe le cose. Si vive con gusto. Non ci si piange addosso. Anche
l'ultimo dei cittadini che si trova in difficoltà, non è mai solo, può sempre trovare un
amico disinteressato che gli permette di risolvere il suo problema.
- Maestro, cosa dobbiamo fare quassù?
- Goditi il panorama e... poi attendiamo l'apertura del punto di inserimento. Fra
poco conoscerai i popoli sotterranei di Deya, i Primevi e le loro città. Essi sono
imparentati con le genti di sottomondo, quelle che vivono nelle intercapedini della
Terra.
- Leggende orientali raccontano di civiltà nascoste che guiderebbero le sorti
di noi umani...
- Che fanno? Noi siamo trascinati da pezzi di merda avidi, che accumulano tutto
senza nulla dare; 'sti pezzi grossi sono orientati verso una totale indifferenza per le
questioni umane e religiose. I Primevi comunicano, è vero, con alcuni di noi ma pur
dando consigli e influenzando sottilmente l'umanità, non riescono quasi mai a
cambiare il corso delle cose. Il nostro caro Angelino, 'sto mondo nostro corre
veloce verso la sua fine, sta a noi e ai risvegliati tentare di costruire il ponte verso le
stelle. Nulla è già scritto e non tutto è spiegato.
- In ragione di ciò che dici, se nulla è già scritto, che cosa possiamo ancora fare per
limitare gli effetti negativi del passaggio di un'era?
- Pochi possono ancora fare molto per tutti. Incominciando da ora. Chi sa deve fare
di più, anche se quei quattro stronzoni bastardi hanno impresso al mondo una
velocità folle verso l'abisso. Perché abbiamo dimenticato ciò che era originario? I
milioni d'anni dalla comparsa della prima razza-madre, non bastano a spiegare
l'amnesia. Atlantide deteneva ancora il potere derivato dalla Conoscenza, quella
tosta, ma sembra che questo ubriachi anche i migliori, facendoli perdere
l'equilibrio. La bilancia non è “para”, come quella mia a bottega. Pende sempre da
qualche parte, spesso a danno del più debole.
- L'abisso, maestro, è la fine dell'anno 2012?
- La fine dell'anno 2012 è la discesa che precede la risalita. Tutto sarà più chiaro.
Le potenze oscure prenderanno il sopravvento senza nascondersi. L'Ombra, il
doppio, il sosia, sarà eletto imperatore del mondo, almeno questo è il suo piano...
già, ha sempre avuto un debole per 'sto mondo. Il Grande Varco con tempismo
perfetto mostrerà a chi avrà il terzo occhio di vedere la via della trasformazione
verso altra destinazione, per chi non vede... beh nulla cambierà della propria vita di
penombra. Si diventa ciò che si pensa. Il cambiamento non sarà senza dolore. La
vita, la morte dipendono dalla potenza del pensiero, dalla purezza
dell'immaginazione, e poi dall'affinamento del desiderio verso un più benevolo
amore. Bisognerà che voi indichiate i rifugi, dai quali emanano potenti onde
armoniche e si irradiano spettacolari fasci di luce. Vi seguiranno? Vi crederanno?
Che ne so? Il Messico è uno dei luoghi speciali della geografia sacra del pianeta.
Dove la terra s'assottiglia, lì è la salvezza. Luoghi che hanno mantenuta la loro
intensità, questo è ciò che intendo per sacro, proteggeranno donne uomini bambini
dagli effetti più cruenti del cambiamento. Dai Paesi, città, passi sperduti, dedicati
all'arcangelo Michele e prima ad altre potenze e alla Madre Celeste e prima ad
altra potenza; grotte e ruscelli carichi di esmeriche, ipogei etruschi, romani, egizi.
La terra Cimina degli esuli Atlantidi prima e degli Etruschi dopo, è un luogo di
confine, tra i più potenti. Ogni fine ciclo porta con sé il travaglio. Le fondamenta
saranno scosse. Hai già veduto questo, Angelo. Il sacro cigno appare quando l'ora
è giunta. Non faccio lo strologo, lo sai, mi limito a leggere le tracce del caos, metto
in relazione una sequenza di eventi al ciclo al quale la sequenza appartiene.
Oh sì, il 2012 è il punto di non ritorno. Chi si è messo a guidare le sorti dell'umanità,
ha avuto mille possibilità di alleviare le pene, di dare a tutti il giusto, invece ha
fallito per superbia e fame di potere. Le religioni, tutte le religioni bada, hanno
aiutato gli uomini ad alzare lo sguardo e a guardarsi dentro, finché non sono
subentrate superbia, brama di potere, avidità.
Dovevano rispettare le piccole comunità tradizionali dell'estremo Occidente
e del sud del mondo, invece di imporsi. Rispettandole, ci saremmo tutti arricchiti
spiritualmente e avremmo conservati intatti i siti magici, crocevia dimensionali. Le
religioni hanno fallito, il legame terracielo è stato in buona parte interrotto. L'uomo,
malgrado tutto, non deve e non può staccare la spina che lo collega al Cielo. Guai
a chi vive senza il contatto, diventa cieco e vagherà per sempre senza lume sui
piani sottili. Dicono che Dio è comunque misericordioso, ma che vita è strisciare
quando si può volare? Le forze titaniche che muovono i cicli storici non fanno
sconti, esse sono sensibili ai cambiamenti dei popoli, dello spirito dei popoli. Conta
ciò in cui si crede e si fa. Le stelle, i pianeti e ogni cosa che galleggi nel Cosmo
sono anche specchi che rimandano ciò che ricevono. Si ammalano come si
ammala ogni organismo. Le macchie della più piccola stella determinano la salute
mentale di interi popoli. L'oscurità è l'era che ci tocca vivere. Mettiamo più noi in
crisi l'universo e i suoi meccanismi, di quanto siamo disposti a credere.
- Allora non c'è più possibilità di intervento – feci io, scoraggiato.
- Esiste una Porta di Luce... o Albero Primordiale... presso tutti i Nove mondi.
Attraverso di essa, l'influsso divino arriva ai pianeti. Essa è sensibile all'anima dei
popoli. Se tu, io, gli altri cerchiamo Dio, in qualunque forma e dottrina, la Porta si
espande, riempendosi di ogni genere di emanazione che fluisce dall'alto, da
riversare nello spinotto cielo-terra che abbiamo dentro.. sì, ricordi la spina dei
Templari? In questo modo ogni cosa è benedetta. Al contrario, se noi perseguiamo
il male, il potere distruttivo, la Porta si raccoglie e si contrae, allontanandosi, quindi
cessa il flusso e lo spinotto si ossida. Abbiamo un immenso potere, positivo e
negativo, creativo e distruttivo. Certo, non credere che l'uomo possa impunemente
fare quello che gli pare senza pagare il conto. Quando si arriva al punto di non
ritorno, ecco intervenire i Celesti a mettere le cose a posto. Ora si avvicina il
concilio occulto del ciclo di Bera-Meter. Tutti i saltafossi dei Nove Mondi, che hanno
l'incarico di custodire la Porta di Luce sono chiamati a raccolta... che cosa credi?
Qui si fa sul serio.
- La festa del Wesak?
- Una specie, ma noi siamo fatti di ciccia. Milioni di esseri da tutte le dimensioni ci
sentono operare, quelli dalle grande orecchie... sì, certo che hai capito, i medium, i
sensitivi, gli sciamani, per intenderci. Grazie a loro, il passaggio da un'era ad
un'altra è meno terribile. Siamo gente di frontiera, nati per accompagnare ai valichi
i pellegrini.
- Maestro, che validità hanno le profezie? E poi vorrei chiederti ancora... se il
Grande Varco si vedrà proprio alla fine del 2012. Insomma, se ti è possibile
descrivere con precisione lo scenario. Lo devo sapere, se gli altri e io dobbiamo
preparare le genti.
- Alcuni pensano che la profezia sia come leggere oggi il giornale di dopodomani. I
fatterelli, la cronaca nera, le notizie sportive, tutte informazioni ben elencate, con
nomi e indirizzi. Magari con foto a colori, così si riconoscono i posti... È la profezia
che guida l'umanità e il singolo uomo nel viaggio. La storia ha bisogno del mistero
per penetrare uomini e civiltà. La storia può fare a meno della realtà, quella che gli
uomini comuni percepiscono secondo i sensi ordinari, la storia, invece, deve
entrare nei sottosuoli dell'anima. Il nostro viaggio non si perde tra le paludi della
ragione, noi costruiamo leggende miti avventure, una segnaletica occulta a favore
di chi dopo di noi seguirà la nostra stessa strada. I fatti li lasciamo ai notai, noi
scolpiamo il tempo e saettiamo tra dimensioni. La profezia è uno strumento che
legge il piano di volo, poi compete a noi sostare e proseguire.
Non passerà l'anno 2012 senza che il Varco si schiuda. Ne sono certo.
Preparate chi vorrà passarvi. Un ultima cosa Angelo. Insegna a non chiedere mai
spiegazioni, ma a cercare di capire il senso o la maschera che si vive nel segreto
del mistero delle civiltà e dei popoli. Insegna a non chiedere giustificazioni. La
storia non potrà mai darle.
- Tu ci sarai, Maestro?
- Io ce l'ho un posto, in una piega del Grande Tempo non segnata sulle mappe,
dove nessuno potrebbe mai trovarmi. E comunque sarò in qualunque luogo
lontano dall'inferno. Poi tornerò per il 2012. L'Ombra non vorrà più sentir ragioni.
Non potremo più negoziare. Si agiterà fino a far tremare la terra che ci regge. Dopo
il concilio occulto, le nostre strade si divideranno. Angelo, avrai libero accesso alle
botole, fanne buon uso sempre e dai uno sguardo agli altri dell'anonima.
Mentre mi parlava, Scandurra pareva sdoppiarsi. Mi prese un dolore allo stomaco.
Non avrei più visto il maestro chissà per quanto. Oppure... Immergermi nei Varchi
Interdimensionali senza la sua guida, mi spaventava. Avvertii tutto il peso. Ero un
ragazzotto con una dote immensa, sproporzionata alla mia esperienza e maturità.
Non mi bastava la considerazione che lui aveva di me. Ero smarrito e irritato.
Cacchio, dove sarei andato a finire?
Sterzò verso destra e senza avvertire alcuna pressione ci dirigemmo in direzione di
uno sperone di roccia non distante da Deya. Vi era un crepaccio verticale nel
mezzo, stretto all'apparenza, ma Scandurra girò il velivolo di taglio ed entrammo.
Accese i fari e con maestria curvò verso la galleria in basso e a tutta manetta ci
tuffammo nel vuoto oscuro. Mi aggrappai ai braccioli della poltrona anatomica. Non
dubitavo delle capacità del maestro, ma provai una certa inquietudine. Poi,
raddrizzò il mezzo e atterrò su di una pedana trapezoidale che si dimostrò
morbidissima al contatto. Ci trovammo all'interno di una cupola artificiale
gigantesca, illuminata, non so da cosa, di rosso tramonto. Uscimmo dalla
camionetta e ci dirigemmo verso un portale alto forse 20metri. Avrei assistito
all'adunanza di uomini speciali, un consiglio interdimensionale. Caspita, io, un
allievo, testimone di chissà quali decisioni importanti. Scandurra tirò fuori dalla
tasca, piegato a fazzoletto, un saio rosso cremisi, il colore degli Atlantidi, di seta
finissima che si infilò in tutta fretta. Quanto vidi all'interno di quel mondo, non potrò
mai dimenticarlo.
. . .
Durante questo particolare periodo cosmico di Bera-Meter, una nube stellare
errante opera con particolare intensità su Deya. Ogni abitante ne riceve l'influsso.
Perciò è insieme loro interesse e loro dovere conoscerne la natura, accoglierlo e
assimilarlo, esprimendone e trasmettendone gli aspetti superiori. Ogni deyano è
saturo, così, di desiderio e un senso di liberazione lo colma. Il desiderio ha, nella
prima parte del ciclo deyano, una funzione importante, anzi necessaria. La brama
di soddisfazioni e di esperienze spinge l'essere ad uscire dall'inerzia – ogni civiltà
di questo universo così più antico del nostro, subisce una stasi più o meno
prolungata che si avvicina pericolosamente alla decadenza – per risvegliare via
via le sue potenzialità assopite. Dopo una serie di amare delusioni derivanti
dall'acquisizione di poteri difficilmente controllabili, il desiderio di appagamento
personale si trasforma in desiderio di conoscenza. Riscopre il perché della Vita e
lo scopo ultimo. Il desiderio intelligente ha per risultato l'illuminazione. Alla luce
dello spirito, il deyano scopre la vanità degli idoli materiali e degli attaccamenti
personali. Allora sorge in lui il desiderio di superare il desiderio. In altre parole, il
desiderio si trasmuta in aspirazione della Pura Luce. Si ritorna tutti trasformati alle
proprie occupazioni, semplici o di responsabilità, poco importa. E la civiltà deyana
riprende con spinta rinnovata il cammino verso l'infinito. Non mancheranno le lotte
per il dominio, per ottenere segreti indicibili, per la supremazia di questa o quella
fazione. Tuttavia, niente è più lo stesso di prima. Il mutamento è collettivo, nella
misura dell'energia vitale di ognuno. Una comunità organica, Deya, composta da
esseri provenienti dai più differenti universi, eppure accomunati da un medesimo
destino, quello di questo pianeta-labirinto, magico e tecnologicamente
avanzatissimo, dove arti, religioni e scienze convivono, si intrecciano, si fondono.
* * *
IL MODELLO DI REALTÀ ATLANTIDEO
Sebbene fossimo incuriositi da questo strano maestro, appartenente al popolo e al
suo servizio, così diverso dai guru che in quegli anni pullulavano in Occidente –
Bhagwan Shree Rajneesh, Paramahansa Yogananda, Maharishi Mahesh Yogi, tra
i più noti - ci domandavamo da cosa derivasse il nostro voler evadere dal mondo
conosciuto per inoltrarci lungo le vie tortuose ed evanescenti dell'ignoto. Perché
volevamo negare alla realtà, quella accessibile ai sensi ordinari, alle cose che si
vedono, si toccano e si ascoltano la prerogativa di essere “la” realtà? L'unica
realtà? In pratica, ci ponevamo tra due piani: quello visibile cui fa da controparte
una realtà invisibile.
Scandurra ci dimostrava che usando conoscenze e tecniche di una tradizione
lontanissima - quella di una Atlantide circondata ancora dalla leggenda e priva di
conferme ufficiali sulla sua esistenza – si poteva entrare dentro le cose, oltre le
apparenze. Ci insegnava ad esplorare la nostra anima, a stabilire un contatto con
una realtà invisibile, tangente a quella fisica, ma in grado di comunicare con l'uomo
e influire sulla sua vita.
La nostra strampalata combriccola, che poi sarebbe diventata “l'anonima talenti”, si
era ritrovata insieme per quei casi assurdi dell'esistenza, soltanto perché sentiva
un'esigenza decisamente infantile di poter influire in qualche modo su quanto
accade senza che l'uomo possa interferire secondo le possibilità conosciute;
oppure eravamo spinti da un atteggiamento dettato da un rispetto profondo verso
tutto ciò che sta dietro il regno umano, minerale, animale, vegetale, e che ci
riconduce ad una visione magica, mitica dell'esistenza e della realtà.
La seconda ipotesi, ce ne accorgemmo in seguito, era quella che ci aveva condotti
da Scandurra: il Faro sulla collina.
Sin da subito ci illustrò la sua visione. La Natura e l'Universo hanno la capacità di
intendere e di essere oltre la dimensione biologica. Le cose divengono corpi di
potenze sottili e i numi anime delle cose. L'equilibrio del tutto è il prodotto di uno
scambio reciproco di doni fra esseri di altre dimensioni, noi uomini compresi, e Dio.
Scandurra ci parlava in modo schematico, senza entrare nei particolari.
Apprendemmo, poi, che non c'erano i particolari. L'universo è una unità d'essere
pervasa da un unico soffio o energia immateriale. Essa non solo crea le cose
partendo da modelli spirituali che risiedono nelle stelle, ma continuamente dà
essere a quanto esiste mantenendolo in vita. Dietro questo c'è il creatore di tutto, il
Padre Celeste e, diceva Scandurra, non c'è padre senza una madre; infatti, la
Madre Celeste crea le forme molteplici degli universi. L'esistente è avvinghiato allo
spazio-tempo, tuttavia vi sono punti di inserimento costruiti da degli ingegneri
cosmici appartenenti ad una civiltà antichissima e progredita spiritualmente oltre
ogni immaginazione; il maestro le chiama “botole interdimensionali” per entrare in
contatto con altri Mondi, le Nove dimensioni.
Due sono i principii cosmici manovrati dai maghi atlantidei, uno attivo, l'altro
passivo. L'attivo è il soffio che dà la vita e le cose che, in quanto animate dal soffio,
sono incardinate nello spazio e nel tempo. La Terra è passiva e femminile, il Cielo
è il principio maschile.
Scandurra, di là da rappresentazioni di modelli di universi, ci ha donato soprattutto
la capacità di aprire i nostri rubinetti mentali per entrare nello stato magico, un
territorio che spazia dall'infrarosso psichico all'ultravioletto eterico, dove operano
sciamani e mistici e sensitivi, ma anche medium per quanto inconsapevoli. Quando
la magia entra in noi, per così dire si innesca, ecco sorgere una sensazione, una
vibrazione che si estende dalla pancia fino al cervelletto. Un tremolio caratteristico,
riconoscibile, che prelude la potenza emergente oltre i sensi, oltre la mente, che
rompe qualsiasi rapporto col cervello, per manifestarsi e andare oltre. In quel dato
momento entriamo in un altro stato della materia e dell'energia. “Non dovete
pensare le parole, invece sentite le cose, percepite le immagini, avvicinatevi ad
esse galleggiando nel firmamento mistico, dovrete essere così vicini da
dimenticare cosa erano, così le vedrete come nuove e l'antico nervo verrà
attraversato dalla corrente primaria, il lumen, attingerete così alla visione globale
che vi permetterà la veggenza e la capacità di teleforesi attraverso le botole. Ciò
che è sepolto in voi dell'uomo atlantideo, si risveglierà e non sarete più uomini
comuni, egoisti e miseri. Ritornerete ad essere uomini lucenti, come vi costruì il
Padre Celeste. Sarete rugiada che stilla.” La conoscenza si attua per identità fra
soggetto ed oggetto e non per contenuti, come il sapere profano. Questa identità va
realizzata attraverso l'ascesi, il primo passo della quale è la concentrazione, cui
fanno seguito la meditazione e la contemplazione. Scandurra ci fece provare in
una sola volta i tre passi: come oggetto ci diede la metà di una mela...
L'universo scandurriano non è lo stesso dei fisici e degli astronomi moderni, i quali
osservano solo la scorza, la parvenza della Realtà. Quello che ci ha fatto vedere
rende bene il tipo di percezione del mondo e della vita che dovevano avere gli
antichi. Nulla a che vedere con l'universo-macchina concepito dalla casta degli
illuminati, che in virtù del loro potere, grazie ai mass media e al processo di
acculturazione scolastico condizionano la mente della gente, limitandone
l'ancestrale occhio. La visione del maestro – ed in fondo di tutte le stirpi antiche – è
quella di una Natura personificata, organismo vivente abitato ed animato di forze
dotate di una coscienza. Entità magiche, elementari o divine, di cui resta vaga
memoria nei miti e nelle fiabe popolari. “C'è soltanto un muoversi infinito di Forze
inesprimibili che creano i mondi. Poi la Forza scende e diventa Lumen e il Lumen
splende lungo la spina dorsale e l'uomo si erge dritto nella sua cosmica dignità.”
Così ci descriveva il tutto Scandurra.
* * *
« Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è
veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace,
menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo… l’uomo non ha limiti e quando un
giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo ».
Giordano Bruno fu condannato e ucciso non perché propagandava eresie
teologiche (lo avrebbero sopportato), bensì per alcune sue rivelazioni scientifiche
sulla pluralità dei mondi abitati, tratte dalla magia egizia, figlia della sapienza di
Atlantide. Morì perché svelò ciò che doveva restar segreto. L'uomo non può
conoscere la verità, ma solo un suo modello addomesticato, secondo quanto
imposto dagli incappucciati di ogni tempo e luogo.
La coscienza risvegliata genera e domina la materia: lavoraci e così nessun
arconte potrà decidere della tua vita.
* * *
La miglior razza degli uomini, gli atlantidi, abitò fra noi. La stregoneria li distrusse
quasi completamente. Gli esuli, in parte salparono verso le stelle ed ora stanno per
tornare, il resto sbarcò in Europa e nelle Americhe. Il seme della razza rossa non
muore, per rivivere in noi.
Ci troviamo a vivere come se fossimo collocati nel punto in cui finisce l'attrazione
terrestre e comincia quella lunare: l'umanità, muovendosi dall'inizio del mondo
verso la sua fine, si trova in una risacca temporale dove termina la storia e
comincia il regno dello spirito. La rovina delle vecchie forme che bruciano
nell'athanor della Creazione, preannuncia la nascita di un nuovo universo dove la
Vita tornerà ad essere il centro dell'esistenza.
domenica 9 giugno 2013
THE FLAME STILL BURNS
-1-
Il codice del samurai va cercato nella morte.
Si mediti quotidianamente sulla sua ineluttabilità.
Ogni giorno, quando qualcosa turba la nostra mente,
dobbiamo immaginarci squarciati da frecce,
fucili, lance, spade.
Travolti da onde impetuose,
avvolti dalle fiamme in immenso rogo,
folgorati da una saetta, scossi da un terremoto che non lascia scampo,
precipitati in un dirupo senza fine,
agonizzanti per una malattia
o pronti al suicidio per la morte del nostro signore.
E ogni giorno immancabilmente
dobbiamo considerarci morti.
È questa l'essenza del codice del samurai.
-2-
È male quando una convinzione diventa duplice.
Non si deve cercare altrove se si è scelta la Regola del samurai.
Questo vale per qualsiasi cosa venga definita "Regola".
Chi si attiene a questo principio dovrebbe essere in grado
di prestare orecchio a tante Regole diverse
essendo, tuttavia, sempre in armonia con la propria.
-3-
Se si dovesse esprimere in una parola il requisito essenziale del samurai,
la base di tutto è una incondizionata devozione al proprio signore, anima e corpo.
Mai dimenticare che quanto di più fondamentale esista per il servitore è il suo
signore.
-4-
È un'utile prospettiva vedere il mondo alla stregua di un sogno.
Quando abbiamo un incubo, ci svegliamo e diciamo a noi stessi che abbiamo
sognato.
Si dice che il mondo in cui viviamo non è affatto diverso.
-5-
Tra le massime scolpite sul muro del signore Naoshiga ce n'è una che diceva:
"le questioni di maggiore gravità vanno trattate con leggerezza"
Il maestro Ittai commentò: "le questioni di minore gravità vanno trattate seriamente".
-6-
Come diceva uno degli anziani, chi colpisce il nemico sul campo di battaglia è
come
il falco che si avventa su un uccello. Sebbene nello stormo se ne contino migliaia,
il falco non presta attenzione ad alcun uccello se non a quello che ha puntato per
primo.
-7-
Secondo gli antichi una decisione andrebbe presa nello spazio di sette respiri.
È necessario essere determinati e avere il coraggio di gettarsi al di là dello
steccato.
-8-
È bene che il samurai anche quando è sul punto di
essere decapitato conservi l'abilità di compiere
un'ulteriore azione senza incertezze.
Se saprà tramutarsi in un fantasma vendicatore
e mostrare grande determinazione,
benché privato della testa,
egli non morirà.
-9-
È bene che si porti sempre nella manica un po' di terra rossa.
Può accadere che nel riaversi dopo l'ebbrezza,
o destandosi dal sonno, il samurai mostri un colorito esangue.
In tali occasioni è opportuno fare ricorso
alla terra rossa.
-10-
Quando si è presa la decisione di uccidere una persona,
anche se sarà difficile riuscire seguendo un percorso rettilineo,
indugiare in lunghi accerchiamenti non avrà alcuna efficacia.
La regola del samurai impone l'immediatezza,
dunque è meglio attaccare frontalmente.
-11-
I nostri corpi ricevono la vita dal profondo del nulla.
Esistere là dove non vi è nulla è il significato della frase:
" la Forma è il vuoto".
E il fatto che ogni cosa trae sostentamento
dal nulla, è il significato della frase:
" il Vuoto è forma".
Sarebbe errato pensare che si tratti di due concetti distinti.
-12-
Di certo non esiste altro che il particolare scopo del momento presente.
Tutta la vita di un uomo è fatta di momenti che si susseguono.
Chi sa comprendere pienamente il momento presente,
non dovrà fare altro né dovrà porsi altri scopi.
-13-
Si può imparare qualcosa da un temporale.
Quando ci sorprende un acquazzone
Cerchiamo di non bagnarci affrettando il cammino ma,
anche sforzandoci di passare sotto i cornicioni delle case,
ci bagniamo ugualmente.
Agendo con risolutezza fin dal principio,
eviteremo dunque ogni perplessità
e non per questo ci bagneremo di più.
Tale consapevolezza si applica a tutte le cose.
-14-
Si dice che ciò che siamo soliti definire "lo spirito di un'epoca"
sia una cosa alla quale non possiamo tornare.
Il fatto che questo spirito tenda gradualmente a dissiparsi
è dovuto all'approssimarsi della fine del mondo.
Pertanto, sebbene coltiviamo il desiderio di
riportare il mondo allo spirito di cento o più anni fa,
ciò non è possibile.
Dunque è importante che da ogni generazione si tragga il meglio.
-15-
Nella regione di Kamigata è diffusa una specie di
cestino da pranzo intrecciato che si usa
un solo giorno nelle
passeggiate campestri.
Al ritorno i gitanti se ne liberano calpestandolo.
La fine è importante in tutte le cose.
[ Yamamoto Tsunetomo, Hagakure (1659-1721)]
SPLENDESSERO LANTERNE
Splendessero lanterne, il sacro volto,
Preso in un ottagono d’insolita luce,
Avvizzirebbe, e il giovane amoroso
Esiterebbe, prima di perdere la grazia.
I lineamenti, nel loro buio segreto,
Sono di carne, ma fate entrare il falso giorno
E dalle labbra le cadrà stinto pigmento,
La tela della mummia mostrerà un antico seno.
Mi fu detto: ragiona con il cuore;
Ma il cuore, come la testa, è un’inutile guida.
Mi fu detto: ragiona con il polso;
Ma, quando affretta, àltero il passo delle azioni
Finché il tetto ed i campi si livellano, uguali,
Così rapido fuggo, sfidando il tempo, calmo gentiluomo
Che dimena la barba al vento egiziano.
Ho udito molti anni di parole, e molti anni
Dovrebbero portare un mutamento.
La palla che lanciai giocando nel parco
Non è ancora scesa al suolo.
[Dylan Thomas]
Tu già fosti ruscello
e poi quel fiume
che inondò la terra dei miei giorni.
Così la tua alluvione fosse alta
e tracimasse l'argine di fine
io m'abbandonerei lento per lune
bianco di bianco a l'acqua di morire.
[Ferdinando Tartaglia]
Quello che veramente ami rimane,
il resto è scorie
Quello che veramente ami non ti sarà strappato
Quello che veramente ami è la tua vera eredità
Il mondo a chi appartiene, a me, a loro
o a nessuno?
Prima venne il visibile, quindi il palpabile
Elisio, sebbene fosse nelle dimore d’inferno,
Quello che veramente ami è la tua vera eredità
La formica è un centauro nel suo mondo di draghi.
Strappa da te la vanità, non fu l’uomo
A creare il coraggio, o l’ordine, o la grazia,
Strappa da te la vanità, ti dico strappala
Impara dal mondo verde quale sia il tuo luogo
Nella misura dell’invenzione, o nella vera abilità dell’artefice,
Strappa da te la vanità,
Paquin strappala!
Il casco verde ha vinto la tua eleganza.
“Dominati, e gli altri ti sopporteranno”
Strappa da te la vanità
Sei un cane bastonato sotto la grandine,
Una pica rigonfia in uno spasimo di sole,
Metà nero metà bianco
Né distingui un’ala da una coda
Strappa da te la vanità
Come son meschini i tuoi rancori
Nutriti di falsità.
Strappa da te la vanità,
Avido di distruggere, avaro di carità,
Strappa da te la vanità,
Ti dico strappala.
Ma avere fatto in luogo di non avere fatto
questa non è vanità. Avere, con discrezione, bussato
Perché un Blunt aprisse
Aver raccolto dal vento una tradizione viva
o da un bell’occhio antico la fiamma inviolata
Questa non è vanità.
Qui l’errore è in ciò che non si è fatto, nella diffidenza che fece esitare.
[Ezra Pound, Pisan Cantos (Canto 81)]
Di là dall’intelletto raziocinante, di là dalle credenze, di là dai sentimenti, di là da
ciò che oggi vale in genere come cultura e come scienza, esiste un sapere
superiore. In esso cessa l’angoscia dell’individuo, in esso si dissipa l’oscurità e la
contingenza dello stato umano di esistenza, in esso si risolve il problema
dell’essere. Questa conoscenza è trascendente, anche nel senso che essa
presuppone un cambiamento di stato. Non la si consegue che trasformando un
modo di essere in un altro modo di essere, mutando la propria coscienza.
Trasformarsi – questa è la premessa della conoscenza superiore. La quale non sa
di “problemi”, ma solo di compiti e di realizzazioni[…]La mutazione della propria
struttura più profonda è ciò che solo conta ai fini della conoscenza superiore.
Questa conoscenza – la quale è ad un tempo sapienza e potenza – è
essenzialmente “non-umana” e ad essa si perviene per una via presupponente il
superamento attivo ed effettivo, ontologico, della condizione umana.[…]La
conoscenza superiore è in tutto e per tutto esperienza.
[Gruppo di Ur, Introduzione alla Magia (Ed. Mediterranee)]
Io ho sempre considerato le credenze umane — quelle che i padri ci trasmettono
con il sangue e che troviamo quasi solidificate nelle opinioni comuni fino a che
nuove idee, insinuandovisi, non le sconvolgono — come una realtà invisibile,
logicamente indimostrabile eppure presente e viva assai più delle cose che si
toccano con mano: un’aura misteriosa che ci avvolge e nella quale ci muoviamo e
che ad andarci contro ci si sente quasi mozzare il fiato, come succede a chi corra
contro vento. Per la qual cosa, dovunque mi trovi, cerco sempre di mettermi in
sintonia con cotesta atmosfera spirituale che io sento nuova e diversa, ma che mi
investe e poi mi trascina. Anche adesso debbo dimenticarmi di essere un europeo,
abituato a giudicare tutto al lume della logica e a distillare concetti con l’alambicco
dell’intelletto; debbo quasi dissolvere la mia personalità nel subconscio collettivo di
questo popolo che mi ospita, come in un mare tranquillo sul quale ancora non
freme vento di opinioni nuove e ribelli. Prima di mettermi in camino farò come
fanno i Tibetani che, sul punto di intraprendere un viaggio o, comunque, quando
avvertono per misteriosi suggerimenti la imminenza di forze ostili, ricorrono a una
cerimonia propiziatoria ed esorcistica che si chiama barcè selvà «eliminazione
degli ostacoli» (...). Certi riti non si capiscono con la descrizione che ne puoi
leggere sui libri; bisogna vederli. E poi, chissà? Io per natura ho sempre creduto
più alle cose che non vedo che a quelle di cui la scienza mi vuole far certo e che
oggi sono in un modo e domani in un altro. Togli all’uomo l’imprevisto ed il mistero
ed il vivere si riduce a un noioso transito di cibo.
[Giuseppe Tucci, A Lhasa e oltre.]
Egli è convinto di credere al nulla, pensa di abbandonarsi al nulla, ma sotto questa
parola negativa, sotto questa parola approssimativa, sotto questa parola limite c’è
qualcosa che gli resta nascosto.
[Pierre Drieu La Rochelle, Racconto segreto, cit., p. 23]
Dio ci concede la grazia del primo capitolo, poi tocca a noi scrivere il secondo.
[Scandurra]
VOLERE NON E' POTERE
Malinconico è lo spettacolo dell'indifferenza e dell'indolenza generale per il piano
invisibile, la cosa più importante della vita. Capisco bene che chi è costretto a
lavorare per guadagnarsi il pane oggi, non abbia tempo di pensare al domani.
Disperazione e paura attanaglia l'animo della gente semplice e buona, che non ha
nulla a che vedere con coloro che si son macchiati delle peggiori nefandezze per
dominare il mondo. Si addensano sull'orizzonte nuvoloni di tempesta da far
spavento e quella infame cricca di potenti a stelle e strisce continuano imperterriti
nella realizzazione di piani infausti per l'umanità, come se niente fosse, così, giù
nell'abisso, con quel senso perverso di autodistruzione. A nulla servono le piroette
dialettiche di quegli imbonitori da circo, affaristi dell'anima, che via tivvù o web, nei
teatri o attraverso corsi costosi, ci illudono con le tesi secondo le quale basta
credere in se stessi e facendo un mai precisato salto quantistico si è così arbitri del
proprio destino. Ma per favore, ci vuole ben altro che formulette e slogan
pubblicitari per cambiare la propria vita. “Pensa positivo” e il mondo si piegherà ai
tuoi piedi, è un gran bel sogno che resterà tale. Ho imparato che per spostare un
millimetro la linea destinale della mia vita c'ho impiegato dieci anni e con l'aiuto
decisivo di Scandurra, non so se mi spiego. Case editrici pur serie, continuano a
stampare libri coloratissimi e dai titoli roboanti sul segreto dell'universo a portata di
mano, sulle dieci regole per far successo e guadagnare milioni, di tecniche grazie
alle quali potersi collegare alla fonte dell'energia dell'Universo per compiere
miracoli: brodetti new age che promettono mari e monti in poche paginette di
esercizi pseudoyogici, con aggiunta di fisica quantistica da rotocalco ed una
spruzzatina di mentalismo americano alla Mulford. Mutare in corso d'opera la
propria vita, contrastare il riflesso della morte lenta e inesorabile dell'Universo,
sono battaglie titaniche per chiunque. E poi, ma ci rendiamo conto dei reali rapporti
di forza tra noi, poveri disgraziati e i padroni del mondo? Che nelle mani di pochi
bastardi ci sono le risorse di tutto il pianeta, che possiedono tecnologia e armi
sofisticatissime, che fanno il bello e il cattivo tempo, anche in senso letterale?
Entrano a gamba tesa nella nostra coscienza per irretirla, adulterarla, invaderla. Ci
vuol ben altro per contrastare la marea nera della narcoipnosi, della finanza
avvelenata, della politica che puzza di merda fumante, dell'ingiustizia sistematica.
Ci attaccano da tutte le parti, in una guerra soprattutto dell'anima, dove soltanto
forze tremende provenienti dal cosmo potrebbero cambiare le nostre sorti. Ma
arriverà qualcuno a salvarci? Io dico di sì, ma non basta ancora, occorre un puro
atto di conoscenza da parte nostra per vedere il Varco, e decidere il da farsi. Ci
rincuorerebbe assai vedere l'invisibile e grazie a ciò non perderemmo la speranza
in una vita migliore. Scandurra ci diceva che quei porci bastardi che governano la
Terra, un domani prossimo soccomberanno, ma ci vorrà sempre una nostra
spintarella per gettarli nel fosso. Facciamo a capirci.
INIZIO DEL CAMMINO
Strana scienza la sapienza arcana, l'unica che, per essere studiata, richieda una
trasformazione interiore, e poi, sul più bello, quando già si pregustano i frutti,
eccola sfuggire di nuovo. Allora ci dobbiamo preparare a nuove fatiche, la nostra
stessa costanza è sotto esame, per vedere quanto vale la decisione presa di
elevare se stessi dal misero stato della vita ordinaria, in fondo tale anche per chi è
sorretto da un buon karma. Ero ragazzo a 13anni, quindi giovanissimo per i criteri
comuni, ma il ricordo di come avevo vissuto e l'idea di quanto la mia vita era stata
in balia delle circostanze, allora diventava sempre più netta la sensazione che non
ero poi così giovane. Finita la scuola dell'obbligo con esiti modesti, di estrazione
sociale media, non ero legato ad alcun gruppo politico perché mi resi conto che
ben altro tipo di comprensione occorreva allora come oggi per sanare le piaghe di
questa società. Data la mia situazione, forse non priva di un fattore
psicopatologico, fatta da un'idea di forza, di perfezione, ma anche da una natura
debole, decisi di orientarmi a ricercare i mezzi del successo (o forse
semplicemente per sopravvivere) nel misterioso e nelle possibilità della mente.
Dopo delle forti delusioni, dovute anche al fatto di non essere mai riuscito a mettere
in pratica quanto letto sui vari libri, mi sono trovato diverso, più adattabile nella
forma e più sicuro nella sostanza; con una migliore conoscenza di me stesso,
dovuta al fatto di aver allargato la coscienza ad una porzione di quello che prima
era il subconscio. Diverso, sì, con una esigenza nuova di equilibrio spirituale,
connesso con la vita di ogni giorno, ma senza esserne minimamente corrotto.
Questa diversità tra me ed i coetanei aveva creato qualche problema di
socializzazione, compensata in parte dalla mia natura solare. Il mio isolamento,
non tanto sociale quanto psicologico, più una fragilità nervosa formavano il carico,
il fardello di una personalità fallace, lungi da essere realizzata. E come avrei
potuto, del resto. Comunque, per tornare a bomba, non avete idea di quanti
mosconi accorrano quando lanci idealmente un messaggio nella bottiglia?
L'Occulto è una radio cosmica in modulazione di frequenza: basta accenderla e ti
ritrovi con cento emittenti sfavillanti, fracassone, sobrie, enigmatiche, parafiene,
confusionarie, dai sapori forti o insipidi. Sul sentiero incontrai alcuni
presumibilmente più avanti di me, ognuno sostenitore accanito delle più svariate
dottrine, che valutai allora tutte interessanti e in pochi mesi – correva l'anno 1971 –
preso da una frenesia insana le provai tutte. Non sempre però tali “maestri” si
rivelavano all'altezza. Spesso, si dimostravano di basso livello, senza alcun fine
spirituale. Scoprii, insomma, l'acqua calda delle umane debolezze. Notai pure che
l'una corrente misteriosofica criticava l'altra – Dash lava più bianco – e non riuscivo
a comprendere se questo era un bene oppure no. Sapevo di confraternite
superiori, rosa+croce e templarismo su tutte, eppure non mi capacitavo dove si
nascondevano i loro epigoni regolari, tra le tante offerte moderne di esoterismo
riveduto e corretto. Mi trovavo in mezzo al guado spirituale, senza bussola né
consapevolezza di cosa stavo cercando realmente.
Erano emerse alcune questioni che reputavo capitali. Domande alle quali ritenevo
urgente delle risposte.
Qual è il limite tra vita ordinaria e vita occulta? Quali dovevano essere i requisiti
necessari del neofita? Gli esoteristi devono aver successo nella vita mondana o
devono nascondersi? Che atteggiamento avrei dovuto prendere verso la Chiesa e
la religione? Dovevo, prima di dedicarmi anima e corpo alle cose occulte,
sistemarmi sul piano ordinario?
Vivevo tra mille dubbi. Sconfortato dagli scarsi risultati, ero sull'orlo di abbandonare
ogni velleità esoterica. Poi incontrai Scandurra. Si dice che quando il discepolo è
pronto, il maestro arriva. Io non ero pronto, ma siccome stavo affogando un
soccorritore giunse al momento giusto. Certo, rispetto alle biografie dei grandi
iniziati del passato, lui era un attimino diverso. Anzi, non sembrava proprio un
maestro di sapienza. Ma tant'è. Forse mi meritavo un “fruttarolo” analfabeta,
scurrile, dedito al fumo e all'alcol... Beh, ringrazio il Cielo per avermelo fatto
incontrare.
Molte cose mi si schiarirono in pochi giorni, frequentando semplicemente la sua
bottega magica. Innanzitutto la mia natura propendeva verso la conoscenza, anche
concepita come acquisizione di poteri: Scandurra fece in modo di mortificare tale
aspetto della mia tendenza. Mi insegnò ad operare simultaneamente sul mio
mondo interno e nel mondo profano. Dovevo tendere sempre e comunque a
equilibrare, a temperare tali componenti della mia vita. Aprirsi al mondo senza farsi
coinvolgere. Non aver paura a nascondere la propria natura quando realizzata. Il
segreto non va protetto, esso si protegge da solo: chi ha cattive intenzioni non
potrà mai usare la nostra conoscenza. Scandurra dice che la cassaforte dove è
depositato il tesoro è sempre aperta, ma pochi sanno come è fatta.
I requisiti ce li avevo, eccome, e, al contrario di quanto andavano affermando negli
ambienti iniziatici, il mio maestro sosteneva che li avevano tutti gli uomini, in fondo,
bastava tirarseli fuori. Caspita, compresi che il cammino non era elitario, per pochi,
ma soltanto per chi desiderava farlo e chi lo desiderava trovava la strada. Tutto qui.
La religione andava rispettata. Nella sua liturgia, nella preghiera, nei riti, si
nascondevano verità, potenze, mezzi. Avevamo dei doveri verso la società e verso
noi stessi, dovendo ognuno adempiere agli uni e agli altri con giusta proporzione,
a seconda quanto ci dettava la coscienza, fino a quando le istituzioni rimanevano
degne e rispettose della libertà e della giustizia: Re finché ne è degno.
In conclusione. L'importante è saper trarre un profitto spirituale da tutto ciò che
accade in noi e intorno a noi; e poi, cercare ciò che è bello, perché possiede luci e
dimensioni destinate a rinnovare gli stati della nostra coscienza. Ammirare un
tramonto sopra un orizzonte collinare, non è romanticismo, è per la legge
analogica un percepire la linea cielo/terra dentro di noi e cogliere il punto di
congiunzione tra spirito e materia. Bello è un incipit di un libro che casualmente
sfogliamo in una libreria del centro, e che ci prende per forza e messaggio. Bello è
paralizzarsi di fronte ad una cattedrale che punta i suoi pinnacoli verso l'universo e
ascoltare la musica delle pietre. Bello è entrare in un bosco per sentieri interrotti e
scoprire che esiste la pace e il ristoro dell'anima. Bello e contemplare il volto di una
donna senza desideri di possesso. Bello è un goal di Cavani guidato nel puro
gesto dagli dèi indi. Bella è la sensazione che ci dà una voce umana, un canto, un
quieto parlare. Bello è farci bagnare i piedi dalla schiuma dell'onda marina,
quando l'acqua è un brodo. Un valico, una sorgente, un albero solitario in mezzo
ad una campagna autunnale: bellezza allo stato puro. Bello è vivere, anche
quando sembra tutto finito.
LA MEMORIA DELL'ANTICA POTENZA
Oggi la scienza e la cultura dominante ci vorrebbero far credere che la storia sia
progressiva e che un continuo incremento di valore contraddistingua l'essere e
l'agire dell'uomo; noi dell'anonima abbiamo ragione di credere, e non solo noi, che
l'umanità sia in realtà in uno stato miserevole di regresso. Le facoltà extrasensoriali
che tuttora si manifestano in una minoranza della popolazione mondiale, non sono
che forze residuali salvate dalla memoria bio-storica, tracce di profonde correnti di
forza psico-animica aggregatrice che in una situazione primordiale, edenica se
volete, mantenevano armonici rapporti fra gli uomini, fra questi e le forze cosmiche.
La telepatia, per indicare una emblematica potenza dell'anima, era allora una forza
operante ed universale che univa gli uomini fra loro. Sentimenti e pensieri erano
messi a disposizione in ogni comunità: nessuno può far soffrire deliberatamente un
altro, se avverte le sofferenze di quello come proprie; nessuno è deficiente, quando
ha a propria disposizione le risorse intellettive dell'intero gruppo. È il segreto di una
società perfettamente integrata. Le grandi tradizioni religiose e mitiche narrano di
una caduta, di un tragico strappo avvenuto tra gli uomini e il divino: di un'età del
ferro che succedette a quella mitica dell'oro; di un peccato d'origine che valse a
scatenare gli appetiti e gli sfoghi di un ego separatista, aggressivo, sopraffattore.
Ora non ci rimane di far altro che restaurare lo stato edenico perduto. Solo se
riusciremo a sentire l'antica fiamma crepitare sotto millenni di sovrastrutture
ideologiche e restrizioni goetiche, potremo di nuovo, per l'ultima volta, far rinascere
l'uomo solare. Nel frattempo, Atlantide risorgerà dall'oblio.
UOMINI FIAMMA
• Era un'idea folle – raccontava Scandurra – e grazie al cielo la presero in
considerazione e l'attuarono. Durante il grande esodo, dopo la dipartita di Atlantide
verso lidi interdimensionali, alcuni gruppi usciti dai sopravvissuti, sono partiti per
formare mondi coloniali secondo specialissimi criteri. Uno fra questi gruppi, un
culto eccentrico, aveva lo scopo dichiarato di ripristinare quei sensi che l'uomo
avrebbe lasciato atrofizzare nel proprio organismo. Gli uomini-fiamma, così erano
soprannominati, risvegliarono la potenza, altrimenti in esilio dopo la fine di
Atlantide. Grazie ad una rigida applicazione della loro conoscenza sono riusciti a
tirar fuori alcuni individui dotati di talenti spettacolari, sì, proprio incredibili se
valutati rispetto ai normali standard umani. All'inizio neppure gli uomini-fiamma
avevano idea dell'effettiva estensione dei campi sensoriali che stavano facendo
emergere. Sono nati talenti in grado di affrontare situazioni di cui neppure loro
concepivano l'esistenza. Dopo Atlantide, è tutto un mondo che prende vita.
L'anonima talenti che iniziò a formarsi dal 1968 circa, fu la continuazione con
risultati alterni ma non meno eccezionali, di quelle comunità cultuali della fiamma
che si propagarono nei Nove Mondi. Scandurra fu fortunato – come asseriva di
frequente – a trovare elementi come noi disposti a tutto: intenzionati a rinunciare a
carriere, profitti, successi mondani, a tranquille esistenze, per dedicarci unicamente
all'addestramento. Mentre ci insegnava a risvegliare la potenza, sperimentavano la
stessa in mille modi.
Dobbiamo entrare dentro alle cose, per capire la realtà che ci circonda. Sentirla,
fino a inghiottirla e scomparire in essa. La linea di demarcazione tra ciò che
percepiamo e ciò che si situa oltre i sensi ordinari, è sottilissima, facile a passare
se ci abituiamo a sentire il mondo dentro, facendo a meno dei pensieri e
sostituendoli con le figure, le immagini, i segni stellari (gli archetipi). Questo lavoro
di sostituzione della forma-pensiero con le immagini, non è frutto di un
procedimento meccanico né concettuale, bensì un lento ma progressivo lasciarsi
andare verso l'essenza delle cose, del loro interno, entrare in risonanza con oggetti
e persone, con le forze della Natura e i suoi abitanti sottili. La materia ci risponde
se noi la sollecitiamo, se le lanciamo un messaggio ad alta frequenza. Scopriamo
che tutto è vivo e ci chiama, perciò dobbiamo affinare i sensi, o meglio, scuotere
l'anima, ricondurla alla sua reale dimensione, che tutto infonde e con tutto è fusa.
Emerge così una nuova vibrazione, che ci permette di entrare in sintonia d'onda col
Creato. Si infrangono le paratie stagne della condizione umana terrena e
prendiamo contatto con le dinamiche cosmiche.
UN MONDO DENTRO UN MONDO
Scandurra benché conosciuto in certi ambienti iniziatici – le voci viaggiano così
come le energie – faceva di tutto per rimanere un insignificante “fruttarolo”, un po'
strano, certo, ma confuso tra i tanti operatori dell'occulto presenti in provincia. Chi
però entrava casualmente in quella bottega, scarsamente illuminata e dove gli
odori di verdura e di frutta si mischiavano al puzzo perenne di sigaretta, non
rimaneva indifferente. Una mattina, un cliente del quartiere entrò trafelato e
balbettando si rivolse al maestro:
- Mio figlio è stato arrestato dalla polizia per detenzione e spaccio. Gli venisse un
colpo. Quel cojone s'è messo a fare il delinquente per guadagnare soldi facili. Gli
ho trovato lavoro come muratore. Non ha voluto studiare, pazienza, vorrà dire che
come me avrebbe lavorato da subito, e allora cosa dovevo fare? Dai e dai un posto
glielo ho trovato. E lui che fa? Lo stronzo. Non so a quale santo raccomannamme.
Scandurra gli offrì un bicchiere di bianco e lo fece sedere su una cassetta vicino al
bancone.
- Tuo figlio non c'entra. Lo conosco. L'hanno incastrato. Qualche suo amico, fijo de
bbona donna l'ha messo in mezzo per parasse il culo. Vedrai che tutto s'aggiusta.
Ora telefono al capo della squadra mobile e gli dico le cose come stanno.
- Ma Scandù, quelli nun te vedono e nun te sentono. Devo trovargli un ca*** di
avvocato...
- Ma hai capito che ti ho detto? Ma che cacchio dichi? Adesso vo al bar e telefono
in questura. Tu stai bbono, ti calmi un attimino e poi ti dico.
Uscì in fretta e furia. Dopo un decina di minuti tornò con un vassoio con bitter e
tramezzini.
- Tutto a posto. Il dottore è stato bravo. Ha capito subito e, tempo 24 ore, tuo figlio è
fuori.
- Ma come è possibile? - fece il padre, tra l'incredulo e lo speranzoso.
- Mi deve dei favori. Ogni tanto l'aiuto e sa che non sbaglio quando posso. Ora
magna e bevi. Ripigliate. Eh, 'sti padri c'hanno 'na stima pè li figli... appena c'è un
casino, giù botte bestemmioni e capocciate addosso al muro.
Il poveraccio non riuscì a mandar giù niente e se ne andò a testa bassa. Non
compresi se si fosse veramente fidato di Scandurra o meno. La sera stessa il
ragazzo fu scagionato e liberato. Un miracolo per davvero, visto come andavano le
cose in Italia. Non era l'unica volta che lui sbrigava affari come questo. Piccoli e
grandi drammi della vita si abbattevano come macigni sulla gente. Se poi eri un
poveraccio, un disgraziato, non contavi un cavolo e nessuno ti filava. Tranne
Scandurra. Ebbe pure dei guai dalla malavita locale. Le sue soffiate alle autorità
per districare casi come quello sopra accennato, comportavano reazioni uguali e
contrarie – in realtà vedeva dove altri nemmeno immaginavano e le sue
informazioni riservate provenivano in realtà da forze extraumane, che
convergevano con insistenza sull'intima attività della sua psiche.
Una sera uscimmo dalla bottega verso le 21.00, più tardi del solito. A Viterbo a
quell'ora c'era il coprifuoco. Manco i fantasmi si facevano vedere in giro, ma i
delinquenti sì.
Chiusi la saracinesca quando due tizi ci affrontarono, minacciando di tirar fuori il
coltello se avessimo strillato. Dovevamo seguirli in macchina.
- Chi siete e che volete? - fece Scandurra con tono fermo.
- Senti stronzone infame, vieni con noi con le buone senza fare resistenza,
altrimenti ti spanzamo qui, in mezzo alla strada – parlò il più grosso dei due.
- Non penso proprio. Ora accompagno il mio amico a casa e poi verrò con voi.
Questo è quanto – il suo parlare aveva un incedere particolare, rituale.
Curiosamente i due ceffi accettarono. Mentre Scandurra mi portava a casa, non
riuscii a spiccicar parola. Ero atterrito, eppure non avrei dovuto temere, visto e
considerato che col mio mentore avevamo affrontato ben altri guai. Non so, ma uno
strano sentore mi turbava. Appena giunti sotto la palazzina dove abitavo, con un
filo di voce salutai il maestro:
- Ci vediamo domani, non è vero?
- Ma sì, dai... - mi rispose.
La mattina seguente, corsi letteralmente a bottega, dall'altra parte della città. Il
negozio era aperto, grazie a Dio. Entrai di slancio e vidi Scandurra con un'amica a
cazzeggiare.
- Maestro, tutto bene?
- Oh sì. Ci tenevano tanto quelli lì a rivedere i loro cari defunti che glieli ho fatti
incontrare. Bisogna che certa gente sappia cosa si provi a morire, così camperà
meglio e non romperà i cojoni al prossimo.
Ad onor del vero, devo anche dire che Scandurra non si interessava a tutti i casi
che gli capitavano. Non vi era giornata in cui qualcuno non aveva bisogno delle
arti del maestro. Ogni santo giorno, entrava nella sua bottega almeno un uomo o
una donna, giovane vecchio maturo, talvolta disperati che necessitavano di aiuto,
un ultima speranza spesso: lui diceva 'non posso per ora, la situazione è bloccata'
ad uno su tre. Questo non significa che li abbandonava al loro destino. Voleva dire
che in quel preciso momento non poteva/doveva far nulla. Su sentieri sconosciuti il
maestro li seguiva e nei modi e nei tempi giusti, una mano la dava a tutti. Alcuni
casi erano irrisolvibili, almeno secondo i desideri degli interessati, ma statene certi,
qualcosa cambiava sempre nella storia di ognuno quando incontrava un uomo
come Scandurra.
Nel nostro ambiente esoterico si parla spesso di iniziati, a torto o a ragione, che
guardano con occhi distaccati il mondo che gli passa davanti. Non muovono un
dito per gli altri, miseri ignoranti. Siccome viaggiano per stati dell'essere
irraggiungibili per i comuni mortali, non si mischiano alle beghe umane. A volte
penso che certi percorsi esoterici siano alienanti e sterili. Chi non mette a
disposizione del prossimo le proprie presunte capacità o i conquistati poteri, o è un
volgare cialtrone oppure non ha raggiunto l'illuminazione e non concepisce che
sostenere il peso a chi non è dotato non solo è cosa buona e bella, ma è
necessario per la legge della Bilancia cosmica. Pure la regina ebbe bisogno della
stracciona. Chiuso in una torre di cartapesta, il c.d. iniziato non si accorge che la
sua vita sta scemando senza amore. Ci sono scuole di saggezza (sic) che
insegnano ad abbandonare passioni e sentimenti, a bruciare ogni forma di
desiderio per non esserne schiavi. In realtà, soltanto penetrando dentro le cose ed
esplorando l'anima dell'uomo ci si avvicina a Dio. Tormenti, lacrime, malattie, morti
sono pur sempre aperture, tragiche certo, che tuttavia ci appartengono e ci
permettono di proiettarci verso quel mondo interiore più vasto dell'universo,
l'originario, dove la felicità non è un sogno.