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_Cronache Di Atlantide_ Di Angelo Ciccarella - Articoli (IUS) Tratti Dal Blog _Il Grande Ignoto

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CRONACHE DI ATLANTIDE tratto da http://ilgrandeignoto.blogspot.it di ANGELO CICCARELLA
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CRONACHE DI ATLANTIDE

tratto da

http://ilgrandeignoto.blogspot.it

di

ANGELO CICCARELLA

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sabato 13 marzo 2010

INCONTRO CON UN UOMO STRAORDINARIO 1

Il tempo è circolare, per cui vai da una parte e non trovi quello che cerchi, ma trovi

qualcos'altro che non cercavi. Io cercavo da ragazzo di espandere la coscienza,

senza ausilii chimici. All'inizio comunque era un interesse puramente conoscitivo.

Del resto tutti, anche senza studiare filosofia, si pongono domande del tipo "come

si fa a soffrire di meno o a non soffrire?". Guarda caso questo è il drive principale di

tutti i sistemi filosofici e conoscitivi. A furia poi di studiare e di trovare, senza

difficoltà, risonanze, a un certo punto mi sono detto letteralmente che non avrebbe

avuto ulteriore senso continuare a studiare e basta. Sarebbe stato come continuare

a leccare un barattolo di marmellata dal di fuori e quindi a sentire continuamente

sapore di vetro. Se poi tu scambi il sapore di vetro con quello della marmellata che

è contenuta nel barattolo allora sei pazzo... Ho dunque deciso di togliere il

coperchio. Più che altro ho deciso di tuffarmi dentro e di fare un'esperienza dal di

dentro. Questo perché a farle dal di fuori, non riuscivo a sentire altro che sapore di

vetro. Mentre, buttandomi dentro, posso testimoniarvi di aver assaggiato molti

diversi gusti arrivando poi, dopo un lungo ciclo di tre lustri, ad avere voglia di

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tornare nel mondo, visto che quella era stata a tutti gli effetti una vera e propria

uscita dal mondo stesso.

Scandurra, il mio maestro, era quel barattolo, per di più col coperchio svitato. A

dirla tutta, un po' svitato lo era il mio primo maestro. Sebbene adulto, viveva ancora

a casa dai genitori che lo adoravano e lo assecondavano in ogni cosa. Scandurra

si faceva pennichelle magistrali dopo pranzo insieme ad un gattaccio esperto di

mille battaglie, spellacchiato e fetente, dalla voracità colossale. Lo chiamava in vari

modi e un giorno gli chiesi perché gli aveva dato tanti nomi e lui, “il gatto ha nove

vite, quindi l'ho battezzato nove volte”. Un giorno mi confidò di essere stato iniziato

da un noto principe romano, uomo stranissimo col quale si era imbattuto per quei

casi della vita assai trasparenti, ove tutti i torrenti portano al grande fiume. Tutto era

segnato. Mi raccontava che il suo maestro gli citava in maniera ricorrente l'Atlantide

e la ricordava come realtà presente, continente tutt'altro che sommerso, aveva

semplicemente cambiato posizione, o meglio, stato. Scandurra mi confessò che da

principio nemmeno riusciva a capire né i termini dell'insegnamento, né i concetti.

Faticò molto per star dietro al principe-mago, ma poi comprese il tutto dopo aver

ricevuto quello che lui chiamava, il dono, l'iniziazione. Gli si accesero le lampadine

e così la realtà apparve più chiara. La magia è arte – mi insegnava Scandurra –

ristabilisce la coesistenza tra l'inconscio e il conscio, soprattutto quando questo

equilibrio è sotto attacco. Il mondo è un chiaroscuro e ci sono solo pochissimi veri

valori nella vita, individuabili quando la Vita ci fa visita veramente. La magia è una

potenziale liberazione da tutte le forme di potere, persino dal limite del tempo e

dell'identità. La storia del mondo e quella individuale avvengono per mutazione,

non per evoluzione. Scandurra mi faceva l'esempio del membro maschile

(ovviamente lo chiamava nel modo popolare), esso cambia di stato se sollecitato

da un pensiero erotico che possiamo avere su una bella donna, da un fattore

eccitante, non cambia da solo. Forse non era pregnante l'esempio, ma per me era

comunque efficace. Una tensione continuata procurerà una situazione critica tale

da mutare le condizioni iniziali, fino a farle esplodere. L'immaginazione è il

propellente principale per ogni atto magico: disegna nella tua mente un cerchio

luminoso, dagli tensione finché diventa maturo per proiettarlo all'esterno,

dopodiché lo fissi ad una distanza tale da non costarti fatica, poi lo fai roteare in

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senso orario e viceversa. Per mesi feci questo esercizio mentale. Fino a quando

notai che il cerchio viveva di vita propria, gli avevo dato una spinta, provocato un

movimento, insomma, potevo comandarlo a piacimento. Il mio maestro non era un

teorico, per lui la pratica era tutto. Così mi fece studiare da solo la simbologia del

cerchio attraverso diversi libri e pitture: i significati della figura mi servirono per

applicarla quando gli eventi lo richiedevano. I risultati furono entusiasmanti.

Cribbio, la magia era una cosa reale, concreta e il potere dell'immaginazione

rendeva tutto facile. Mi feci prendere un po' la mano. Non vi nascondo che non

sempre fui corretto, all'inizio. Era troppo forte. Poi Scandurra mi fece un cazziatone

pazzesco. Non mi volle vedere per un mese. Dapprima non mi turbò la lontananza.

In seguito il mio equilibrio psicofisico saltò. Passai giorni di depressione, paura. Le

notti poi, erano funestate da incubi, febbri sfiancanti. Ripresi a pregare e a

frequentare la parrocchia. Dopo un mese, una sera, il maestro si presentò a casa

mia. Bello fresco e tranquillo, mi invitò ad uscire per andare in un posto. Quando

Scandurra mi diceva, “andiamo in un posto”, di solito mi si gelava il sangue. La via

alla conoscenza diventa ardua quando si aprono i rubinetti mentali e l'acqua esce

copiosa. Ti immergi in un mondo dentro il mondo e scopri che vi sono più

dimensioni, molto prima delle scoperte della fisica quantistica. Il mio maestro mi

fece vedere che esistono punti-di-contatto tra questo universo ed altri e sono

ubicati in luoghi speciali, oppure sono cose speciali che ci permettono di

accedervi.

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martedì 16 marzo 2010

IUS 2

I templari c'entrano sempre.

Il “posto” in questione era presso un bosco, denominato La Commenda, le rovine

di un'antica postazione Templare. Vi arrivammo intorno alle 23.00. Un muretto

perimetrale, alto non più di due metri per un'area di 60metri quadri, pressoché

diroccato, era l'unica traccia di un antico splendore appartenuto ad un Ordine che

faceva tremare re, papi e maomettani d'oltremare, finito tragicamente tra le fiamme

del rogo, sull'isola dei Giudei a Parigi e portandosi con sé misteri e poteri. La notte

rinfrescava. Scandurra non aveva detto una parola durante il tragitto. Parcheggiò la

cinquecento sul bordo della provinciale. Non passava un'anima... forse, giusto un

disincarnato. Lo seguii con un certo affanno dovuto all'emozione, verso l'interno del

bosco. Mi aspettavo sempre qualche evento incredibile. A volte accadeva, a volte

niente. L'aspettativa era comunque alta. Mi indicò un muretto laterale della rovina

templare. Rimanemmo a fissare il punto come antiche sentinelle. C'era sufficiente

luce per distinguere cose e vegetazione. Passarono i minuti senza alcun

cambiamento, ammesso che di cambiamento si trattasse. Non sapevo cosa

aspettarmi, eppure fremevo. Brividi lungo la schiena. Di solito, per lunga

esperienza, quando l'ignoto irrompeva – vento medianico, entità ultraterrene,

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eventi mitici – provavo un curioso effetto: formicolii persistenti tra il collo e il

cervelletto. A parte i brividi, non provai niente altro. Mezz'ora dopo, il maestro si

stirò le spalle, tirò su il naso, fece cenno di andare e buonanotte. Di ritorno, tentai di

sapere qualcosa ma Scandurra, con fare dispettoso, fece spallucce. Ci salutammo

sotto casa. Insomma, non ci vedevamo da un mese, mi ricontatta e mi porta in un

posto dall'aura interessante e poi, niente. Mi andai a coricare. I miei dormivano da

un pezzo. Cercai di non far rumore, ma mia madre si alzò e mi venne incontro. “Sai,

Angelo, proprio stasera davano in tv un programma che ti avrebbe interessato, ma

stai sempre via, ecco...”. Le chiesi cos'era di così interessante, ma lei tergiversò,

dicendomi che riguardava cose strane... Con questo dubbio andai a dormire.

Verso l'una e mezzo presi sonno. Un sogno, dapprima sconclusionato, poi sempre

più preciso, particolareggiato, per certi versi, sensato, occupò gran parte della

notte.

Correvo in groppa ad un cavallo baio su di una strada sterrata, strettina alquanto

per i miei gusti. Era notte fonda e poco si vedeva. Ero vestito come un cavaliere

medioevale, calzamaglia, casacca rossa ed elmo leggero, portavo una spada sul

fianco destro – evidentemente ero mancino – ed avevo una fretta dannata. In

pratica ero io, ma mi osservavo come se fossi davanti ad uno schermo

cinematografico. All'improvviso notai una luce fortissima poco distante dal sentiero,

in mezzo ad una fratta. Mi fermai di botto. Discesi da cavallo e mi inoltrai con passo

veloce verso la luce. Proveniva dal finestrone di un grande casale e sembrava

elettrica. Era così forte da accecarmi momentaneamente. Poi mi svegliai, la scuola

mi aspettava ed ero in ritardo terribile. Mi feci una lavata approssimativa ma

quando notai gli occhi, lacrimosi, mi spaventai: le pupille erano piccolissime, come

quelle di un gatto che guarda il sole. Ripensai al sogno, alla luce brillantissima.

Scandurra e i Templari?

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sabato 3 aprile 2010

IUS 3

La porta verso un altro universo.

Che cosa intendeva Scandurra per magia? Abracadabra? Sim sala bin? Nulla a

che vedere con le cialtronerie di maghetti furbetti, tanto meno può esser messa in

relazione con le 'vannamarchi' che infestano televisioni e giornali truffando la

povera gente. No, la magia del mio maestro è cosa ben diversa da quanto noto a

livello profano e persino dissimile da quanto sostenuto da pseudo-iniziati oggi in

voga, che sbraitano sul web parlando di arconti demiurghi arcangeli senza aver

mai fatto esperienza diretta di niente. Gli anni '70, in quel di Viterbo, hanno

significato una congiunzione cosmica specialissima che ha provocato un'apertura

di un portale arcano, tanto da rivaleggiare con le più notorie città magiche del

mondo come Londra, Torino, Praga. Esagero? Chi ha conosciuto quell'uomo, chi

ha vissuto a Viterbo in quel periodo e si è imbattuto in quei personaggi che

seguivano Scandurra, può testimoniarlo.

Dicevo: che cosa era la magia per il mio maestro? Il dominio sui poteri

dell'immaginazione, dell'inconscio e dell'eros. Un mondo che connetteva, in un

modo dimenticato per l'uomo moderno, conscio e inconscio, individuo e cosmo.

Scandurra ci insegnò le operazioni metafisiche della mente. Egli non era un

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erudito, anzi, se possibile quantificare la sua ignoranza, sapeva poco o niente di

cose profane; scriveva in dialetto viterbese, parlava pure peggio in una sorta di

slang appartenente al sottoproletariato urbano; non sapeva far di conto se non

addizionare e sottrarre. Insomma per i benpensanti era l'emblema di una testa di

legno, inutile per la società o addirittura pericoloso. Per chi lo ha conosciuto era un

genio, un uomo di potere, forse un folle di Dio, per alcuni del diavolo.

Scandurra mi insegnò (insegnare per lui era 'far vedere') che gli uomini erano

connessi gli uni agli altri nonché al loro universo per mezzo di raggi invisibili. Vidi,

grazie ad una sua digitopressione portata su di un punto dello sterno, una realtà

intorno a me decisamente diversa, fantasmagorica, composta di filamenti e aloni

dai colori sgargianti o grigio-neri, che entravano e uscivano dalle persone da

direzioni verticale orizzontale obliqua, con un andamento ondulatorio e velocità

variabile. La visione era curiosissima, simile ad un effetto moviola: la sua bottega,

la strada all'esterno, i palazzi intorno, inseriti in una specie di acquario a

galleggiare. Tale percezione serviva a conoscere la natura delle persone oltre le

maschere, la natura della materia oltre la forma aggregante, la natura del tempo

non lineare. Incredibile. La prima volta che ebbi la visione delle materie oscure

(così le chiamava senza aver letto Blake) per alcuni giorni provai fastidi agli occhi,

all'udito e all'equilibrio; in seguito, imparai a gestire la visione. Tempo, spazio e

conoscenza in un'unica esperienza. La fisica quantistica? Double Slit?

Entanglement? Quisquilie, pinzellacchere. Scandurra proveniva da un altro

universo allo scopo di ripristinare un sistema interdimensionale perduto, qui in

terra, insieme a pochi altri viaggiatori. Non voleva discepoli, ma amici. Se ne

fregava dei soldi e delle cose, pur potendone possedere a iosa. Preferiva essere

sottovalutato e ignorato, sebbene fosse capace di violare a piacimento le leggi

della fisica: apporti, telecinesi, chiaroveggenza, precognizione. Apriva portali su

altri mondi – oggi si direbbe stargate – per poi richiuderli con facilità, come fossero

portiere di automobili. Non so quanti crederanno a quanto da me descritto, dico

soltanto che la Potenza, quella vera, abitava in un quartiere popolare e antico di

Viterbo e riceveva donne e uomini tra frutta e verdura e gli cambiava la vita, il

destino. A volte ho creduto veramente che nulla gli fosse vietato... come quando

una sera d'estate prendemmo la provinciale verso Monteromano e a qualche

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chilometro dal paese gli chiesi cosa sapeva dei dischi volanti. Gli descrissi gli effetti

che producevano sugli uomini e sulle cose, quando a dieci metri dal paese mi

chiese: “Tagliano pure la corrente elettrica?” Pochi secondi dopo, un black out

colpì Monteromano, lampioni stradali, luci casalinghe, cessarono di funzionare.

Scandurra sorrise e attraversò lentamente la via principale con la sua cinquecento.

Sconcertato, provai ad avere spiegazioni da lui, invano.

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lunedì 5 aprile 2010

IUS 4

Il primo passo.

Scandurra era diverso da qualsiasi altro guru mago sensitivo, che la pubblicistica

potesse mai descrivere. Era un briccone divino. Attraeva per i suoi modi spicci,

volutamente grossolani e popolari, una faccia birichina - ma sarebbe meglio

definirla da figlio di madre ignota - e occhi che sembravano guardare oltre la

persona. In realtà, lo ricordo per le sue idee strabilianti e per le gesta inusitate. Mi

ha insegnato prima di tutto che un ricercatore spirituale - ma lui lo definiva un

apprendista di materie oscure - necessitava di un'attitudine alla nobile umiltà di

capire un mondo nei suoi propri termini. Quando studiavo e praticavo le cosiddette

'materie oscure', dovevo prima di ogni altro atteggiamento sospendere la mia

incredulità e seguire perfino negli eventi più strani e inesplicabili un modello o una

logica nascosti: questa passione per l'entrare nei processi mentali di un argomento

lui la comparava all'eros. Eros, amore o amplesso del mondo, è una forza reale

che può sbloccare i misteri dell'universo. Scandurra caricava le proprie immagini

magiche col potere dell'eros. Oggi, mi rendo conto che quanti sbraitano alla luna di

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cose arcane o gli intellettualoidi con la panza e la tessera di partito come L'Eco

Umberto nazionale, i credenti come gli agnostici furbetti, sono degli illetterati

metafisici. La Chiesa si abbarbica sulla ragione e su altre moderne nevrosi; la

Scienza avvinta dagli interessi delle Corporation, quando non addirittura

direzionata verso la follia della ricerca del Bosone di Higgs per imitare il Creatore o

per negarLo; e tutti a reprimere l'immaginazione. Scandurra, un venditore di frutta

di un piccolo capoluogo di provincia, licenza elementare conquistata con le

"zeppe" come mi confessava allegramente, ebbene un povero ignorantello almeno

secondo questa società, manipolava materia mente e natura. Mi diceva sempre:

"pensa con le figure". Pensare per immagini. Questo il primo passo sulla Via. E

tanti primi passi mi fece fare, tanto che un giorno gli dissi, un po' scocciato, che a

furia di fare primi passi avevo fatto il giro del mondo e lui, tranquillamente, mi

rispondeva: "Il mondo, ma questo è solo il primo passo....".

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martedì 6 aprile 2010

IUS 5

L'altro regno.

All'inizio del mio apprendistato col maestro Scandurra, ero solito investirlo con

domande sull'occulto, i fenomeni paranormali, lo spiritismo. Il più delle volte, con

fare gigione, mi rispondeva che più che parlarne bisognava provarle. Non c'era

giorno che non facevamo i cosiddetti “esperimenti”. Trascurando la scuola, mi

immergevo nel pomeriggio e per buona parte della notte in pratiche di magia

cerimoniale, medianismo, regressione ipnotica, raccolta dei semplici. Frequenti

erano i contatti con i luoghi di potenza sia in città che in provincia, tra etruschi e

templari, catari e massoni; ogni traccia magica, presidio, magione, rovina o grotta,

tomba o casa infestata, mi faceva credere di essere un personaggio tratto da un

romanzo di Lovecraft. Lettore nonché cultore di ufologia, abbonato al mitico

mensile Il Giornale dei Misteri, ero collegato a vari gruppi ufologici che pullulavano

in Italia negli anni settanta. Il fenomeno dei dischi volanti mi affascinava in modo

particolare che cercavo ingenuamente, come tanti miei colleghi, di scoprire

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finalmente il segreto delle sfere multicolori che sfrecciavano sopra le nostre teste

da millenni. Scandurra non poteva non sapere. La mia ossessione doveva trovar

ragione in una risposta, anche estorta, al mio maestro. Sembrava facile, ma non lo

era. Lui svicolava come una biscia quando diventavo insistente. Giocava al gatto

col topo. Mi lanciava continuamente trappole. Un pomeriggio infine, forse

impietosito dalla mia insistenza, ci recammo in un posto dove avrei trovato, a suo

dire, la risposta alla mia domanda. Poco distante da Viterbo, viaggiavamo sulla

strada Tuscanese con un andatura da passeggiata archeologica a bordo della sua

mitica 500, ad un certo punto svoltammo a sinistra per una stradina sterrata e ci

fermammo presso un fosso. Un piccolo cavalcone ci permise di oltrepassarlo a

piedi, per poi dirigerci verso una collinetta, sulla cui sommità avrei trovato quanto

desiderato. Ero elettrizzato, perché il mio maestro riservava spesso sorprese

incredibili. La mia immaginazione creava astronavi-madri sbuffanti di vapore e

pronte al decollo. Alieni benedicenti e cordiali, insomma tutta la casistica a portata

di mano...

Avevo addirittura staccato Scandurra sulla salita, meglio di un grimper sul Passo

Coppi. Quasi senza fiato giunsi in cima. Sembravo un bambino davanti ai regali di

Natale, ma anziché i doni trovai le rovine di un casale. Niente più. La delusione fu

profonda. Mandai dei colpi al maestro, subito ritirati per ovvia prudenza. Dopo un

po' fece capolino dal sentiero, si asciugò il collo col fazzoletto e fece un bel

respiro. : “Caro Angelo, abbiamo fatto tardi, il disco è appena partito, peccato”.

Essere preso per i fondelli pure, mi sembrava troppo. Stavo per avere una peste

emozionale quando vidi Scandurra acquattarsi dietro una fratta e fece cenno di

avvicinarmi...

Era un bel pomeriggio di Agosto, un caldo pazzesco. Il maestro la chiamava 'la

callaccia', ti si attaccava addosso e non ti faceva respirare. Insetti rompiscatole ci si

avvicinavano senza timore. Lui scrutava il cielo come se dovesse aspettare da un

momento all'altro chissà cosa. Dopo una prima curiosità, pensai in una sua nuova

fregatura per saggiare la mia pazienza già esigua. Ci trovavamo ad alcuni metri

dalla casa diroccata. Ad un certo punto, vidi una figura comparire al centro di

quella che doveva essere la camera principale. Si distingueva benissimo. L'uomo

portava delle brache, paragonabili a dei grossi mutandoni lunghi sino ai polpacci,

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muniti di lacci per sostenere i panni da gamba. Indossava delle calze solate o

almeno questo sembravano. Sopra le calze-brache, una tunica gli scendeva fino al

ginocchio. Sembrava uscito da un set cinematografico per un film in costume

medievale, vista la nitidezza del vestiario. Aveva un ciuffo di capelli a caschetto e

rasato tutt'intorno, dalle tempie alla nuca. Si muoveva lentamente in direzione

dell'uscio o di quello che rimaneva... Il sudore mi calava sugli occhi, pensai di

avere delle allucinazioni. Con un fazzoletto mi detersi il viso. Quella sagoma era

sempre lì. Dimenticai di respirare. Non volevo far rumore. Malgrado la calura provai

un brivido di freddo lungo la schiena e i capelli dietro la testa mi si rizzavano, a

conferma che mi trovavo di fronte alla presenza di un perispirito. Che c'entravano,

però, i dischi volanti con tutto questo?

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giovedì 8 aprile 2010

IUS 6

Il Vascello fantasma.

E pensare che fino al 1971 non sapevo nulla di Carlos Castaneda e il suo mentore

don Juan, altrimenti lo avrei citato per plagio. Seguivo con tutta l'anima e

l'intelligenza un autentico uomo di potere e testimone di una tradizione millenaria.

Tradizione che Scandurra faceva risalire agli atlantidi, civiltà avanzatissima al

punto tale da poter fare a meno di strumenti e di tecnologia; capace di viaggiare tra

le stelle con vascelli-fantasma (così il mio maestro chiamava i dischi volanti)

oppure di autodistruggersi. Mi raccontava che Atlantide fu colpita da un cataclisma

cosmico e geologico: a causa di un uso perverso della scienza alchemica da parte

di una elite di goeti, si venne a creare un sisma fuori da ogni scala che produsse

13 onde oceaniche alte cinque chilometri che sommersero l'intero continente

situato tra l'Europa e l'America. La gilda, attuando reazioni nucleari prodotte con gli

ultrasuoni, scosse a tal punto la materia e lo spazio che si liberò un tuono di

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inaudita potenza da provocare uno squarcio nel continuum. Un varco

dimensionale agganciò l'intero continente così da impedirne l'inabissamento. Non

fu distrutta Atlantide, ma scomparve dalla nostra percezione ordinaria.

La collina dove ci eravamo recati per assistere chissà a quale evento ufologico, in

realtà era ben altro e molto di più. Scandurra chiamava questi luoghi 'prese', punti-

di-contatto con dimensioni tangenti la nostra. L'uomo che intravedevo tra le rovine

di un antico casale, non era un villano medievale. Sulla sua tunica vi era impresso

un drago stilizzato, uno dei simboli di Atlantide. Il Drago era a custodia del Giardino

delle Esperidi così come del mitico continente: forse lo stesso luogo.

Il maestro mi aveva mostrato una finestra temporale, meglio, un portale. Che uomo

era realmente Scandurra? Da cosa o da che gli derivava un tale potere?

Scombussolato com'ero, forse impaurito, non lo so, ma quella sagoma che

lentamente si muoveva e ci veniva incontro, non era certamente di questo mondo,

di questo tempo, di questa parte di realtà. Avvicinandosi a noi, mi accorsi che era

alto più di due metri, il viso risplendeva di una luce ulteriore, distinguibile persino in

un pomeriggio d'estate. Sorrideva con quel suo viso bello, i tratti somatici erano

quelli di un europeo del nord. Era ormai a pochi metri da noi, quando sgranai gli

occhi. Ehilà, mi accorsi di una cosa strabiliante: comparve o c'era sempre stata,

poco distante da lui, un'astronave pazzesca. Somigliava – scusate il paragone ma

era quello che mi venne in mente – a quella disegnata da Karel Thole per una

delle innumerevoli copertine di Urania, libri periodici di fantascienza della

Mondadori. Ecco, adesso penserete che vi racconto delle panzane o che ho

svalvolato. E come darvi torto. Siccome non mi può interessare di meno di quello

che pensano gli scettici di professione, e visto e considerato che tutti coloro che mi

seguono li considero meno fessi di quelli del Cicap e più aperti mentalmente,

continuo.

Il vascello era di dimensioni notevoli, lungo trenta metri e largo almeno dieci,

antenne, pinnacoli, geometrie aliene, insomma una visione fantastica. Era sospeso

ma galleggiava, ondeggiando. Da quello che sembrava il tubo di scarico

dell'astronave, fuoriusciva una spirale azzurrina gigantesca, occupava

praticamente tutta la sommità del poggio. Appresi in seguito che non si trattava di

gas di scarico, bensì ci trovavamo di fronte ad una specie di intercapedine

dimensionale, una scorciatoia VQM verso l'infinito ed oltre. La spirale girava

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vorticosamente e mi metteva un certo disagio, nemmeno timore, disagio come se

mi trovassi fuori posto. Ricordo bene questa sensazione. La provai altre volte.

Intanto l'uomo era di fronte a noi. Scandurra si alzò e gli andò incontro con fare

normalissimo. Mi sembrava tutto surreale, felliniano: un fruttivendolo di Viterbo che

intratteneva rapporti con un pilota proveniente da un'altra dimensione o galassia,

anzi, un atlantideo redivivo in visita parenti. Pezzi grossi, banchieri, leader politici,

praticamente merdacce rispetto al mio maestro.

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lunedì 12 aprile 2010

IUS 7

L'antico cittadino di Atlantide, con tono sommesso, parlottava con Scandurra

amabilmente, almeno così pensai. Sembravano due vecchi compagnoni che si

incontravano dopo anni di lontananza. Già, lontananza spaziale o temporale?

Formulai varie ipotesi, anziché tentare di capire cosa si dicevano e in quale lingua.

Forse una sorta di semantica universale, oppure l'idioma della razza madre

dell'umanità? Comunque interloquivano senza interruzione. Non usarono, in

quell'occasione, la telepatia, sistema a quanto pare molto in uso secondo i

contattisti. Riuscii ad intercettare alcune parole dell'atlantideo, le pronunciava

aspirando, le ricordo benissimo e come avrei potuto dimenticarle, del resto:

NTÀ MARMUU NTÀ K(C)ARIS ETROO DOR

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Mi venne in mente, secondo l'etichetta, la remota possibilità che il mio maestro mi

presentasse l'amico. Attesi con evidente frenesia. Intanto la gigantesca astronave

fluttuava come in un acquario, poco più su e dietro le spalle dell'astronauta. Era

immensa, sembrava fatta di metallo e qui il condizionale è d'obbligo, forse di una

lega particolare, perché mutava sensibilmente di lucentezza, così pure il suo colore

andava dalle tonalità di grigio azzurro fino al nero. La sua forma era di piramide

allungata rovesciata su di un fianco, piena di protuberanze coniche, cilindriche e

altre che non riuscivo nemmeno a distinguerle. Poi, il vortice azzurrino era un

portento. Girava e proiettava scariche elettriche (?) verso l'esterno. L'aria si era

fatta, come dire, densa, erano spariti gli odori di campagna sostituiti da quelli di

officina meccanica o di laboratorio chimico; non saprei descriverli meglio. Ragazzi,

mi trovavo in pieno IR del terzo tipo. Forse quell'essere non era un extraterrestre,

oppure era più terrestre di noi uomini moderni.

Faccio una necessaria precisazione. Mi son deciso a svelare alcune delle mie

esperienze sul blog e senza tentazioni di pubblicarle sul cartaceo (qualche editore

pazzo lo avrei trovato) e magari farci qualche soldino, come molti colleghi

spiritualisti (presunti) fanno con mirabile coerenza; dicevo, mi son deciso perché i

tempi lo richiedono. Poiché quanto avvenuto in quegli anni a me e a pochi

fortunati, ritengo sia utile se non determinante proprio per affrontare quanto ci resta

prima del grande cambiamento. Gli insegnamenti di Scandurra ci conducono ad

affrontare con stato d'animo diverso e profondo questo scorcio di kali-yuga ormai

giunto alla fine. L'operazione di divulgazione da me decisa mi espone ovviamente

a critiche legittime e intelligenti, ma pure a sfottò o sberleffi da parte di una

maggioranza di lettori poco inclini ad interrompere per un po' la logica e lo

scetticismo. Ho le spalle grosse e in virtù della lezione di Scandurra, niente e

nessuno potranno mai cambiare quanto ho visto e appreso. Ogni cellula del mio

corpo e particella dell'anima è pregna di Vita vissuta, di esperienza fatta e digerita.

Quello che mi preme è donare a chi è pronto a ricevere quanto posseggo e

conosco. A molti rimarrà il rammarico di aver rinunciato ad una chance per capire

l'uomo e il mondo.

Ho sufficiente materiale da farne una trilogia libraria. E come un romanzo in

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progress, lo pubblicherò tutto entro giugno del 2012. Gli anni in cui vissi e

sperimentai con Scandurra, rimangono impressi nel mio cuore e nella mia mente,

mi hanno trasformato profondamente. Alchimia pratica, materie oscure, come le

chiamava lui. Debbo però pure sottolineare che per il mio maestro, il fenomeno per

quanto strabiliante serviva a poco se non si faceva un passo verso il risveglio. Non

era nemmeno un fanatico della dottrina, se questa non era in grado di cambiare le

cose o l'uomo. Col suo parlare tranquillo, semplice e dalla sintassi creativa, era in

realtà capace di dispute dialettiche e di scontri logici con chiunque. Un nostro

amico di avventura, esperto di radiotecnica e di elettronica – diverrà in seguito

medico e fisico, un mezzo genio – insieme ad un altro, laureato in filosofia,

cercavano a volte per sfida o per diletto di incastrare Scandurra. Alla fine, ci

azzittavamo per ascoltarlo. Ogni obiezione, ogni diatriba, si esauriva. La

conoscenza sacra, diceva, è come una ceriola imbottita di prosciutto, costa più del

panino con la mortadella, che rappresenta invece il sapere profano. Però, in

definitiva, è solo una questione di gusto...

Lungo un decennio, dal 1971 al 1981 - nel pieno della mia amicizia e discepolato

con Scandurra - gli effetti del suo insegnamento e delle esperienze fatte insieme, si

traducono in una visionaria tragicità cosmologica, i miei molti appunti e resoconti

coniugano alle visioni verso dimensioni altre, lo sguardo del ricercatore sul campo,

fino a rendere i due piani intercambiabili. E la cerniera tra la percezione magica e il

mondo esterno è data da una dottrina eversiva, ironica, luminosa e oscura. Fuori

da ogni scolastica esoterica. Privo di intenti manipolativi, Scandurra non ha fondato

una setta, non ha condizionato mai nessuno. Era un viaggiatore insolito

proveniente da mondi lontanissimi che ha fatto scalo a Viterbo, un microsobborgo

dell'impero amerikano. Ha incontrato un manipolo di amici, dalle estrazioni diverse

ma con un unico obiettivo: uscire da un mondo di merda, borghese, ideologizzato,

un mondo servo di una scienza essa pure al servizio del sistema, senza

compromessi chimici né derive occultistiche.

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venerdì 16 aprile 2010

IUS 8

Scandurra mi diceva che l'umanità è sulla Terra per essere felice e non per subire

torture fisiche e psicologiche, conseguenti a squinternate credenze che hanno

finito per diventare leggi. Ribattevo che la realtà poi ci faceva penare e malgrado le

religioni, la scienza, le ideologie, le cose andavano sempre peggio. E lui di

rimando: “ Per secoli alcuni grandissimi stronzi hanno generato una fede cieca

verso ciò che non si vede e non c'è e una drammatica disattenzione verso ciò che

si sentirebbe, solo rimanendo un secondo in silenzio. I preti ci dicono che Dio c'è

ma non si vede, che il Regno di Dio c'è ma lo si vedrà dopo nell'aldilà,

contraddicendo quanto invece indicato da Cristo. Tutto è sottoposto al giudizio

della vista. In realtà si vede ciò che si conosce. Se non conosco Dio come posso

vederlo? Basterebbe mettersi in uno stato di vero silenzio, ascoltare prima e sentire

poi. Così facendo si incomincia ad apprendere e a conoscere. Se sto zitto, dopo un

po' di rumore di fondo come quello del nastrino magnetico non inciso, qualcosa

incomincerai a sentire. Un suono profondo, esteso. È l'inizio. Quando tutto è

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incominciato”. Il maestro mi diventava pure cosmologo.

“Il pensiero non è l'effetto del cervello, come dite voi che avete studiato? Il

nerone?”. In questi casi lo correggevo non per fare il maestrino, ma perché mi

divertivo un mondo quando interpretava lo zuccarone. “Neurone, Scandurra, alcuni

scienziati ritengono che il pensiero sia una proprietà del neurone”. E lui,

ridacchiando, terminava col dire: “ Il pensiero non è una proprietà del neurone, ma

dello spazio dove si accende. Un suono quindi, sempre una vibrazione iniziale”.

I primi tempi che bazzicavo la bottega magica, chiedevo insistentemente a

Scandurra lumi sulla religione, sullo spirito. Mi rispondeva che per fare esperienza

di ciò che i professoroni chiamavano il sacro, tutto ciò che bisogna fare era

guardare nel cielo notturno: la Via Lattea si estendeva come un lenzuolo sopra i

templi della terra, squarciato da stelle cadenti. E mi lasciava così sospeso mentre

pronunciava Via Lattea, con un tono di nostalgia infinita. Se non cerchi il potere, mi

diceva, allora conoscerai l'universo e vi potrai andare. Ogni uomo è dotato della

grande energia vivente, la luce, che è parte stessa della densità multidimensionale

del cosmo. Potrai viaggiare in istantaneo se muovi il meccanismo scatenante che

lega l'energia pura alla forma materiale. Basta estrarre luce dalle cose, da

qualunque cosa.

A due metri dalla mia postazione di fortuna, un cespuglio, di fronte a Scandurra

c'era l'uomo proveniente da Atlantide. No, non è l'incipit di un fantasy anni 40, ma è

quanto mi è accaduto in un pomeriggio di Agosto, sopra un poggio-stargate a

pochi chilometri da Viterbo. Il mio maestro era in grado di comunicare attraverso un

sistema psicotecnico – ulteriori dettagli in seguito - con un altra dimensione inserita

in un flusso temporale dissimile da quello in cui ci stavamo muovendo. L'uomo, lo

avrei saputo poi, aveva un nome, Agur-Ntà, il cui suono lo avvertivo all'altezza del

mio sterno.

Agur-Ntà era più antico dei Fenici, degli Egiziani di Ramsete, prima ancora dei testi

Veda indù. E me lo trovavo di fronte, imponente, luminoso come forse 12mila anni

fa lo erano gli antichi uomini della Terra, fatti di materia ed energia radiosa.

Ad un certo momento Scandurra si girò verso la mia direzione e mi fece cenno di

avvicinarmi. A quel punto sentii le mie gambe molli, feci una fatica spropositata per

dirigermi verso di loro. Non avevo più un corpo. Avevo la testa leggera. Gli fui

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davanti e notai che non respiravo, avevo difficoltà, ansimavo ma non riuscivo ad

immettere aria nei polmoni. Credevo di svenire. Agur-Ntà mi sorrise e mi toccò la

spalla destra. Un calore buono, fortificante mi investì. Ripresi completo possesso

delle mie facoltà, ma la cosa incredibile è che mi trovai nel suo campo di forza –

direi oggi – in una condizione di sospensione, di stasi: questa era la descrizione

idonea. Si rivolse a me, come se fosse la cosa più naturale del mondo e il bello, è

che lo capivo perfettamente.

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martedì 20 aprile 2010

IUS 9

Contatto!

Ora, tutti gli apocalittici per nulla integrati che mi stanno seguendo, credo abbiano

la sana curiosità di sapere cosa mi disse l'atlantideo. Ma di ciò più avanti. Ora mi

preme fare alcune riflessioni sui massimi sistemi, già, e non per spocchia e

narcisismo, semplicemente perché la potenza di cui era portatore Scandurra,

rispondeva a precise, per quanto comunicabili, leggi cosmiche. Non stava

insegnandomi una fuga dalla storia: piuttosto, la incorporava mappandola, e così

facendo la dominava. Da più parti, nelle forme più varie e da un secolo a questa

parte, la figura del maestro, del guru, dell'istruttore spirituale, è tornata alla ribalta,

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con personaggi particolarissimi che non sempre rispondevano agli stereotipi

letterari o religiosi. Tra loro, le monete false e autentiche si avvicendavano con

estrema facilità, ma non per questo venivano meno i discepoli, anche quando i

presunti maestri risultavano essere dei cialtroni. La sete di assoluto e la brama di

potere andavano di pari passo. Se esiste un criterio di valutazione, seppur relativo,

sulle cosiddette guide, ritengo sia quello della gratuità del messaggio e

dell'insegnamento in primis, poi la funzionalità della sua applicazione. Se metto in

pratica un metodo che mi porta a vivere uno stato speciale di coscienza fatto di

gioia, serenità e conoscenza, tutto induce a credere che quanto mi insegna il

maestro è moneta sonante. Poi, se mi trasmette un corpus di tecniche e dottrine

misteriche, non se le fa pagare a tanto a stage. Se è quello che dice di essere,

l'iniziato non chiede ma tutto gli viene dato, quello che serve e niente di superfluo.

Il triste caso di Ramta, è emblematico dei tempi che stiamo vivendo; quanto di più

falso, manipolativo, spudorato ci possa essere oggi, riscuote successo e denaro a

palate. Il senso critico di chi cerca la conoscenza è assai limitato, se una volgare

imbrogliona americana riesce a gabbare tanta brava gente con così poco. Ma

tantè. Il vannamarchismo è il migliore alleato del sistema.

Detto questo, passiamo a cose interessanti.

Scandurra non solo non ha mai accettato un soldo da nessuno che favoriva, anzi,

non di rado metteva mano al portafoglio e, meglio ancora, metteva in moto le

energie necessarie perché una data resistenza, un blocco, un ostacolo venissero

dissolti. Ripeto, sebbene fosse circondato da libri di magia e stregoneria, edizioni

rare di alchimia e spagiria, non ne faceva uso, diceva che servivano per eludere gli

scettici e i creduloni. Lui manipolava gli archetipi, che però denominava “stelle”,

dissolveva latenze e simulacri psichici, faceva parlare i resti animici dei defunti, e

quando le cose si mettevano assai male, chiamava i suoi vecchi compaesani

atlantidi per trovare rimedio a problemi riguardanti l'altro mondo. Non aveva alcun

rapporto con l'autorità viterbese, viceversa non di rado la sua bottega era oggetto

di controlli da parte della polizia e pure spiato da pie donne al servizio di un

vescovo 'solerte' (in realtà, un vigliacco puttaniere invidioso). Non ebbe comunque

mai fastidi con la giustizia, visto che non violava il codice penale, se non bastasse

poteva vantare – si fa per dire - tra i suoi “clienti” giudici, avvocati, militari, politici e

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non solo del posto. Addirittura, alcuni preti ricorrevano alle strane arti di

quell'oscuro 'fruttarolo', ignorante nei modi e tremendo nell'azione. Un noto

esorcista di Viterbo chiedeva spesso consigli a Scandurra.

Più volte mi ero avventurato in discorsi che vertevano su chi governava il mondo,

su cosa si poteva fare contro il male, insomma questioni della massima

importanza, che né la cultura cattolica né quella laica mi avevano mai convinto sia

come analisi che come possibili vie d'uscita. A Maritain e Marcuse, preferivo il

“fruttarolo delle stelle”. Per lui, quei porci bastardi a capo della cricca mondiale, ci

controllavano attraverso l'uso del sesso e delle fantasie corrispondenti, così da

frammentare la nostra coscienza già fiacca in molteplici parti, che formavano un

mare mentale, senza sponde, attraversato da correnti sotterranee terribili alternate

da ristagni insopportabili. I porci bastardi, come li definiva, controllando le nostre

fantasie ci condizionavano il destino. La cricca imperante sa tutto tranne la verità.

Scandurra ridacchiava allora, perché lasciava intendere sin troppo palesemente

questo concetto che amava ripetere: “Io non so nulla tranne che la verità”.

“Vedi Angelo, tutto nel mondo è mistero e noi, poveri sopravvissuti, abbiamo

l'obbligo di occuparcene. E chi se non noi?”.

“L'Universo adopera trucchi e mascheramenti e quei cog... di professoroni

scambiano la merda per la cioccolata e ti raccontano pure che è bella vista da

lontano”. Ribattevo che allora la fisica si sbagliava su tutto e che l'osservazione

della realtà era quindi fuori portata. Ma Scandurra sosteneva che il problema

riguardava solo l'interpretazione delle cose. Vedi sempre quello che sai, e non ci

sono santi, ripeteva, non ci sono storie. Noi osserviamo attraverso filtri, opinioni,

soltanto l'intuizione, una scarica elettrica che fa il giro della testa, velocissima a tal

punto che nemmeno si muove perché è già arrivata, ecco, scopriamo che una cosa

può esser vista in un altro modo, forse quello più prossimo alla verità. Un po' di

mentuccia romana mischiata a dei fiorellini di campo, diventa un propellente che ti

fa arrivare dove vuoi; attenzione, Scandurra diceva pure che le droghe erano per i

deboli che si accontentavano di vedere il riflesso della Luna nella pozzanghera,

mentre noi ci andiamo direttamente. Due foglie di piante diverse se fatte bollire

insieme, diventano la candela che scintilla e avvia il nostro motore e partiamo.

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Prima di sperimentarle, credevo che le esperienze descritte dal maestro fossero

comunque interiori, psichedeliche per intenderci. Lui rispondeva:”Pisichedè... mah,

quello che provi dentro, se è totale, lo provi fuori”.

Di fronte a me l'atlantideo. Il volto lucente, di una bellezza non umana, virile e

dolce.

“Ora sei parte del tutto”. La sua voce la sentivo dentro e fuori di me.

“L'abisso senza fondo si è aperto, così potrai chiamarmi. Fratello 'Scandù_rra' –

pronunciò il nome del mio maestro come mai lo avevo sentito – ti indicherà come

metterti in contatto. Dovrai mutare qualcosa in te. Le particelle antiche si

risveglieranno dai millenni, la luce stenderà i suoi raggi.”

Ero incantato ma forse pure intronato. Ascoltavo quello che mi diceva, ma non

compresi subito. Particelle, parte del tutto, abisso, raggi. Quell'uomo forse era come

me e come gli altri, eppure così diverso, così lontano appariva. L'astronave

fluttuante dietro di lui l'avrei potuta quasi toccare, un sogno vero per ogni ufologo,

ma che dico, per ogni abitante di questo mondo. Non riuscivo a trattenere i

pensieri. Mi svuotavo. Dentro/fuori non erano più categorie fisse. La grandezza,

ecco, la grandezza mi avvolgeva. Mi sentivo anch'io grande nella mia fragilità di

uomo del XX° secolo. L'atomica, l'astronautica, cosa erano di fronte alla grandezza

di una civiltà incredibile antichissima, un popolo che aveva raggiunto le stelle e

poi, ancora oltre, universi dimensioni realtà, e dopo tutto questo la sparizione

dall'amato pianeta e poi ancora, il ritorno.

Ero forse tra i primi uomini a ricevere la visita degli atlantidi. Almeno nei primi anni

settanta. Che dite? Era l'epoca del rock, della rivoluzione dei costumi, del viaggio

sulla Luna. I capitalisti contro i comunisti e tutti contro la religione. E noi a Viterbo

incontravamo il fantastico oltre ogni immaginazione. Mi ero imbattuto nel passato

remotissimo della Terra e mi sembrava di vivere un milione di anni nel futuro.

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sabato 24 aprile 2010

IUS 10

Agur-Ntà mi aveva accennato all'abisso senza fondo, dal quale avrei potuto

mettermi in contatto con lui. Ma che cos'era? Intanto, mi sorrise e salutò Scandurra

col segno atlantideo, si girò lentamente e si diresse verso l'astronave. Forse non

andò proprio così. Fu come inghiottito da quel vascello fluttuante; vi entrò alla

maniera di un atleta di salto con l'asta che, dopo aver superata l'asticella, cade

pesantemente sul materasso, sparendoci dentro. Quel gigante frutto di una

ingegneria esotica quanto impossibile per le nostre cognizioni, mutò in un

caleidoscopio di colori, fortissimi di intensità da nascondere il resto del paesaggio.

L'odore di officina meccanicà sparì, l'astronave fu fagocitata dal campo azzurrino

spiraliforme, vorticoso. Dopodiché sparì anch'esso nel nulla da dove era venuto.

Rimasi impietrito. Guardavo avanti a me non so più che cosa. Ci pensò il maestro a

scuotermi dal torpore, dandomi una pacca dietro la testa. “E che sarà mai, Angelo.

Manco avessi visto un fantasma”. Sorrisi, non avevo nemmeno la forza di chiedere

il centinaio di chiarimenti a Scandurra. Il ritorno fu all'insegna del silenzio, rotto solo

da un suo pensiero a voce alta: “ Debbo chiamare Duilio, la radietta non me

funziona, piglia solo 'na stazione, non so proprio dove sò finite quell'altre”. Mi

accompagnò a casa, dandomi l'appuntamento per la sera. Ma mi svegliai il giorno

dopo, verso l'ora di pranzo. Mia madre mi aveva lasciato riposare. Le chiesi se

Scandurra fosse passato la sera prima: non era passato nessuno.

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Il pomeriggio mi recai alla bottega magica. Scandurra era impegnato a sistemare le

bottiglie di vino del consorzio. Tutto pacioso mi chiese come stavo. “Te sei fatto un

sonnarello, pupone della mamma”. Sapeva del mio crollo fisico e mi invitò a

prendere un 'beverone' a base di succo di frutta, latte e rum. Benché abitualmente

bevevo solo un bicchier di vino a pasto, presi lo stesso quel mix. Lo trangugiai in

un sorso. Me lo aveva messo in una tazza da latte color marrone. Il sapore era forte

ma buono. Mi sentii subito come rinforzato. Il retrogusto però non sapeva di succo,

sviluppava un prolungato calore in gola e poi... riconobbi quell'odore mischiato al

sapore di officina, lo stesso del campo che si era sviluppato intorno all'astronave.

Che cosa era successo? Cosa mi aveva fatto ingerire Scandurra? Glielo chiesi.

“È il gusto dell'abisso senza fondo. Ora dovunque ti troverai, starai sempre sull'orlo.

È un grosso peso e da questo momento rammentati una cosa. La vita è come un

albero di Natale, c'è sempre qualcuno che rompe le palle”. Ridacchiava e questo

farmi fesso da parte sua, mi indispettiva alquanto. Era mai possibile che prima

disponeva e poi mi spiegava? Ebbi pure un certo timore a quel punto. Adesso cosa

mi sarebbe successo? La testa mi girava: il rum, la preoccupazione, la presa in

giro. Piano piano tutto passò. Ero libero, pacificato; dapprima pensai che fosse

l'effetto dell'alcol. Poi, i miei occhi incominciarono a vedere e allo stesso tempo a

sentire. Sentire con gli occhi. Mi mancava proprio questa esperienza. Ma cosa si

profilava davanti a me?

Il sovrannaturale, il sacro, il mistico erano ambiti prettamente legati a categorie

teologiche. Piani dissimili da quelli puramente fisici. Così credevo prima di

conoscere Scandurra. Pensavo che il mondo interiore fosse, appunto, interno,

collocato in un qualche stato dell'essere che la metafisica indù aveva indagato e

descritto meglio della filosofia occidentale. Insomma il naturale e il sovrannaturale

erano domini differenti, livelli non sovrapponibili. Eppure una fessura, una qualche

interfaccia doveva pur esserci tra i piani. Il maestro mi fece sperimentare che noi

viviamo come pesci in uno stagno, bersagliati da forze sconosciute in mondi

paralleli che noi capiamo tanto poco quanto i pesci capiscono il mondo sopra la

superficie del loro bacino idrico. Scandurra proponeva questo: se l'ipersfera (o

come dicono i fisici, l'iperspazio) semplifica le osservazioni del mondo fisico, si può

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trovare in quello le fonti delle arti metafisiche come la magia, l'astrologia e il

misticismo. L'ipersfera è l'abisso senza fondo, anzi, la fossa cosmica intorno alla

quale orbitano dalla materia stellare a quella sottile, eterica. E non solo. Gli stessi

eventi, trovano la loro origine da quell'abisso. Il tempo ci abita e si manifesta prima

a lento rilascio, poi sempre più veloce. Tutto è pensiero, amava ripetere, ma un

pensiero di cui pochi son capaci di averne coscienza. Un pensiero fatto di essere

+energia. Dentro ogni cosa, c'era la botola attraverso la quale ci si poteva

affacciare sull'abisso senza fondo. Scandurra mi aveva aperto i rubinetti mentali

collegati direttamente alla fossa. Finché sono chiusi, nessun uomo può percepire

tutta la realtà e forse, è un limite necessario.

Come mai prima di allora, compresi la potenza di cui era depositario Scandurra.

Una potenza debordante che avrebbe fatto commettere qualsiasi crimine ai potenti

della terra per ottenerla. Oggi ne parlo, perché il maestro non è più tra noi, o

meglio, probabilmente è più qui di un tempo, solo fuori portata per chiunque

cercasse di carpirne i segreti con intenti meschini. Qualcuno sorriderà, ritenendo

che sia la solita menata sui buoni propositi, il fine elevato quale condizione

necessaria per acquisire l'arcano. Quando menti folli sono in sincronia creano una

realtà alternativa, uccidono per ragioni inventate, trovano ragioni per agire facendo

di se stessi un punto fermo nell'universo. È contro tali uomini che Scandurra si

batteva e lo faceva a modo suo. All'inizio della mia avventura, a Viterbo la gente

conosceva il mio maestro semplicemente come mago di quartiere, uno dei tanti

occultisti, rispetto alla media ci indovinava, questo lo rendeva unico, però rientrava

comunque nella sociologia di una società frammentata, dissociata, nevrotica. Il suo

camuffamento era efficace, un guaritore semianalfabeta, magari sui generis in

quanto non si faceva pagare e viveva dell'attività commerciale di frutta e verdura,

ma pur sempre una persona dal basso profilo, restio ad una vita di relazione

normale. Un sociopatico come ce ne sono tanti. Da evitare, certo, secondo cattolici

borghesi democristiani comunisti cartesiani. In pratica, ma di nascosto, ci

andavano pure loro. Scandurra possedeva segreti.

I suoi segreti appartenevano ad un pensiero antico, no, nemmeno, un pensiero

senza tempo e sfaccettato, trascolorante verso forme mediate, elusive, volutamente

sincretistiche. È giunto il tempo: ho ricevuto una vecchia consegna, ossia quella di

portarli di nuovo alla luce. Per millenni, l'arte dannata e oscura era retaggio di

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pochi iniziati, spesso reietti e perseguitati dalle chiese e dai mercanti, oggi è

svelata attraverso il mio raccontare, senza veli, dando le coordinate per chi volesse

seguire il medesimo cammino. Non crediate però, amici, che per il solo fatto di

divulgare un segreto, esso sia utilizzabile come una formula matematica – anche

se a volte, lui me lo faceva credere. Per far sì che sia attivata la potenza ci vuole

qualcosa che è nascosta dentro di noi, la chiave, poi trovatala bisogna cercare e

trovare la porta. Solo chi ha già aperto la porta può insegnare ad altri come fare,

così, un anello si aggancia al precedente fino a formare una catena che regge i

mondi.

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mercoledì 28 aprile 2010

IUS 11

Il passato sta ancora accadendo, mi avvertiva Scandurra. A quei tempi, leggevo

narrativa d'anticipazione, fantascienza insomma, ma anche testi sulle presunte

cospirazioni, gli intrighi dietro le quinte della storia. Il maestro a tale proposito era

chiaro (traduco dal dialetto alcuni passi da 'Cronache di Atlantide').

“Ogni fatto segue un modello, come fanno i sarti quando devono realizzare un

abito, ma ad un livello più profondo di quanto noi che ci stiamo dentro possiamo

sapere. Certo che esistono quei bastardi che comandano il mondo. Seguono il

modello. Loro lo leggono, noi no. Ma sono visibili, non hanno bisogno di

nascondersi, siamo noi così rincoglioniti da non vederli. Vedi la patatella, sta' sotto

terra e noi vediamo le sue foglioline che fuoriescono appena, ma se facciamo

attenzione diventa facile trovarla. Bisogna fare molta attenzione alle cose, anche

se non sempre emergono chiaramente, abbiamo comunque sempre la possibilità

di scorgere delle tracce disseminate qui e là. Il popolo ha tante preoccupazioni di

lavoro e salute, perciò ha un certo timore reverenziale nei confronti del potere dei

mercanti che ci comandano da tanti secoli. Prima regnavano re giusti e re bastardi,

ma li scoprivi facilmente; dopo è avvenuto qualcosa di strano e si sono indebitati,

hanno pensato solo a trarre vantaggio personale dalla loro posizione; sin troppo

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facile poi che qualcuno, sotto sotto, ha comprato tutte le cambiali dei re e li ha

tenuti per i coglioni. In seguito i mercanti sono riusciti a indebitare il mondo intero e

il gioco è fatto. Ma questo è solo il modello letto da sopra, quello di sotto è pure

peggiore. Ti fregano l'anima. Ti avvelenano la terra sotto i piedi, l'aria si addensa.

L'elettro orbita più veloce e girano all'inverso le particelle. Incasinano ogni cosa. Se

può tornare utile alla loro causa, interviene Jack lo squartatore per rimediare

qualche litro di sangue alla bestia; in ogni epoca c'è un esattore: il tempo si

esaurisce più in fretta. Angiole', hanno messo la scadenza”.

Chiedevo spesso a Scandurra chi governava il mondo, i nomi. A me venivano in

mente i massoni, o gli ebrei, i preti, oppure i banchieri.

“Non sono di queste parti”.

Scandurra, 168cm per 75kg di imprevedibilità, mostrava una pancia importante -

“omo de panza, omo de sostanza” -; olivastro di carnagione, portava capelli

nerissimi e un ciuffo a cascata attaccato sulla fronte, un 'emo' ante litteram. Occhi

scuri vivaci da furetto. Pareva, anche fisicamente, uscito da quei romanzi

sudamericani del realismo magico alla Allende, per intenderci. Non correva mai,

camminava lentamente e poteva ricoprire pure grandi distanze, ma senza segni di

fatica. Scandurra era un tessitore di reti e pessimo nelle scelte di abbigliamento.

Era capace di non azzeccare nemmeno un colore quando sceglieva cosa

indossare. Pantaloni a zompafosso, calzini rigorosamente corti, dai colori di volta in

volta neri verdi gialli rossi, curiosamente possedeva però una serie di camice di

pregevole fattura e costose, tutte uguali a righe blu e grige sempre portate fuori dai

calzoni. In inverno indossava sovente un maglione a collo alto e scarponcini

militari neri, se faceva freddo si metteva sulle spalle un cappotto tipo bulgaro

sfollato, mai visto con cappello o sciarpa. Scandurra aveva una mente strategica e

non sudava mai (non credo usasse botulino). Quando c'era un problema

contingente che non riuscivo a risolvere, mi diceva di essere flessibile e di cambiar

strategia. E quando applicavo la sua dritta e all'inizio non succedeva niente,

oppure le cose peggioravano, incacchiato nero mi rivolgevo di nuovo a lui:

“Sìì flessibile e cambia strategia. - mi ripeteva stancamente - Tanto prima o poi il

problema si risolve da solo e tu crederai pure di averlo risolto con la flessibilità e il

cambio di strategia”.

Vi confesso che più di una volta pensavo fortemente che mi prendesse per i

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fondelli in maniera spudorata. Mi sembrava un bersaglio sempre mobile, non si

riusciva mai a prevenirne le mosse. Lui diceva di non scoprire niente, ma di

ricordare tutto.

Ero, e lo sono ancora, appassionato di rock e ambient, quanto di più lontano dai

gusti di Scandurra. Amava ascoltare col suo magnetofono Phillips, le musicassette

di Franco Califano, Charles Aznavur (si scrive così?), Claudio Villa, Adamo, Fausto

Papetti. Bruciava bastoncini di incenso Auroville che si mischiavano all'odore di

fave broccoletti melanzane cicorione, a seconda della stagione in un milieu

magico-esoterico unico e irripetibile. Ed era amico di un antico abitante di

Atlantide.

Le mattine dei mesi estivi, mi alzavo presto e mi fiondavo alla sua bottega. Lo

trovavo chino sul giornale del giorno prima, se lo faceva mettere da parte dal

barista della via. Gli chiesi perché leggeva le notizie già accadute, lui alzava gli

occhi al cielo e sbofonchiava:

“Le cose non accadono, si ripropongono come i peperoni”.

Rimanevo come un cedrone, tanto per stare in tema. Facevamo una capatina

mattutina al 'baretto' come lo chiamava lui. Appena Scandurra entrava nel locale, al

titolare gli si illuminavano gli occhi. 'Porta bene lo stregone', diceva. I suoi affari

quella mattina sarebbero andati alla grande. Il maestro prendeva un caffettuccio

corretto al mistrà, come gli ubriaconi diceva, con una bella bomba alla crema, io

insieme ad un maritozzo con panna, una spuma. Verso le 10,30 appuntamento con

la merendina mattutina, mi mandava dal pizzicagnolo a prendere uno sfilatino con

la coppa e i sottaceti per me, per lui una rosetta con la mortadella e due peroncini

freschi. Non l'ho mai visto approfittare dell'amicizia e dei favori che elargiva al

prossimo. Pagava sempre quello che acquistava, ricordandomi di non fare mai

debiti materiali e di pagare con moneta spirituale quelli invisibili.

Si avvicinavano alla sua bottega pure provocatori, cacadubbi, tanto per rompere. A

me innervosivano molto. Scandurra quando riteneva colmo il vaso, quando si

venivano a creare dissidi in seno al nostro cenacolo, in separata sede li

dissuadeva a modo suo e loro non si facevano più vedere.

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A volte capitava di chiudere bottega a mezza mattina, per andare a fare una

capatina in chiesa. L'avevamo a due passi – cinquanta metri. Mi diceva che non

c'era niente di più fresco in estate che entrare in una chiesa antica. Ovviamente la

nostra non era una scelta di ristoro fisico soltanto. Facevamo un bel giro al suo

interno da sinistra a destra, per poi sederci alla prima panca vicino l'ingresso, e

osservavamo la volta altissima, gli affreschi, le statue, i candelabri, le immaginette

votive. Mi caricavo. Quel profumo di incenso mi piaceva e mi faceva star bene. Di

tanto in tanto capitava il parroco, arricciava il naso non appena scorgeva

Scandurra e si dava, invece la vecchina recitato il rosario e prima di andarsene, gli

chiedeva un appuntamento. Ritornando a bottega, gli si faceva incontro quel suo,

per modo di dire, gatto spellacchiato chissà da quale birbonata. Lo chiamava in

tanti modi come le sue nove vite. In realtà gli dava un nome per ogni occasione.

Torzo, Panzanella, Coglilova, Fregnone, Puzzoloso, Fiatella, Gattomoretto, Guerro,

Quelcoglione, erano alcuni dei nomignoli del micio. Mi assicurava che aveva più

avventure di Mandrake. Il gatto, mi ripeteva spesso, è il primo cittadino dei due

mondi, l'uomo sensitivo viene dopo, semmai.

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domenica 2 maggio 2010

IUS 12

Come il miele attira l'orso, così Scandurra attirava una tipologia di persona ben

nota negli ambienti spiritualistici ed esoterici. Provo a disegnarne il profilo e credo

che voi, amici del blog, riconoscerete i tratti tipici di quel personaggio che compare

ogniqualvolta si vuole formare un cenacolo spirituale. Non credo di esagerare, ma

lo aggiungerei tra i tipi psicologici junghiani. Innanzitutto battezzerei così il tipo: il

sinistro. Proprio perché tale, il sinistro non vuole essere catalogato sotto etichette

semplificatorie. L'uomo sinistro è uno specialista di dubbi e sottigliezze, un

cacaminuzzoli, un formulatore di obiezioni e di distinguo, e talvolta anche un

azzeccagarbugli. Il sinistro, come gli è connaturato, deve arrivare alla scelta finale

– appartenere o non appartenere a quella comunità? - attraverso un complicato

processo mentale e psicologico, che affronta incertezze ontologiche, logistiche, e

alla fine non scioglierà comunque i suoi dubbi, le sue riserve, rimanendo sospeso

perennemente tra essere battitore libero e coscienza superiore, oppure infiltrarsi

con tutte le cautele del caso. Di solito il sinistro è uomo di cultura forte ma di mente

debole.

Di sinistri ne abbiamo incontrati diversi all'epoca della nostra avventura, a me

davano un fastidio insopportabile, ma anche per i miei amici non era facile

convivere con tali rompicoglioni specializzati. Scandurra non amava chi si

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adoperava solo per il gusto di veder distrutto ogni tentativo di amicizia e di crescita;

lui era aperto ad ascoltare, ma fino ad un certo punto. Affermava di non essere

depositario della verità, ma di una potenza ancestrale, da millenni trasmessa

selettivamente maestro/allievo e poneva una condizione: non doveva essere

interrotta. Respingeva quelle intrusioni di perdigiorno e spie. Ci avvertiva che

quando un domani avremmo dovuto ritrasmettere il dono, non dovevamo indugiare

con i potenziali candidati: o dentro o fuori. Le dispute accademiche, i

tentennamenti amletici, erano banditi dal nostro lavoro. Le cose serie erano per le

persone serie. Non dobbiamo dimostrare niente a nessuno, non dobbiamo fondare

né una chiesa né una scuola, ma soltanto esser degni di ricevere il dono, e basta.

Filosofie, esoterismi, seghismi, se non strumentali alla comprensione, non erano di

casa nella bottega magica.

Ammusato, altro nomignolo del gatto, era entrato come una furia in bottega. Due

clienti si spaventarono e Scandurra fece loro cenno di star tranquilli.

“Avrà combinato qualche casino e lo stanno inseguendo col lansagnolo. Se lo

beccano lo spellicciano tutto e gli starebbe pure bene a quel faciolone”.

Il gatto si imboscò dietro a delle cassette accatastate. Mi venne da ridere visto il

muso del felino. Era quasi ora di chiusura serale e il tempo non era certo clemente.

Tramontanina targata Viterbo. Del resto era inverno. Il maestro dopo aver servito i

clienti, indossò il cappottone da profugo, prese dal bancone sigarette fiammiferi

chiavi e un pacco marrone che aveva destato la mia curiosità. Uscimmo dal

negozio e gli chiusi, come ero solito fare, la saracinesca. Chiesi del gatto.

“Quando incontri il tuo nemico, senti il sangue scorrere e cantare in un ritmo

inebriante, perdi così ogni pesantezza terrena. Non ti importa della vittoria, non

temi morte né dolore delle ferite. Zampilla dentro una droga che impregna il tuo

sangue, la mente e l'anima. Diventi un freddo testimone e questo è il primo passo

in battaglia, è il senso del combattimento. Se possiedi l'inizio, il resto è inevitabile. Il

gatto, in questo momento, attende questo primo passo, il suo sangue si sta

trasformando per andare incontro al nemico. Oppure si sta cacando sotto...

ehhhhhhh”.

Sì, vabbé.

Ci salutammo per quella sera. Me ne tornai un po' deluso dal pomeriggio. Mi

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creavo sempre delle forti aspettative dal maestro. Ero animato da una fretta, da un

desiderio profondo di concludere, di sapere, di fare. Volevo pure io il dono. Ecco,

questo volevo.

Scandurra aveva una logica da mago, la prova concreta della possibilità di un

principio ordinatore del cosmo, che tutto il reale – soprattutto la parte ignota – è

razionale, che ci sono sintesi a priori del tutto incommensurabili. Un oggetto

malefico/negativo, secondo una sua definizione, va distrutto ritualmente così le

circostanze dietro di esso si calmano e ogni volta che applicherai il principio, il

problema si risolverà. Un principio organizzatore degli eventi del mondo è quello di

aggregazione e disgregazione della materia. Neutralizza una cosa attraverso il

fuoco e il suo potere si disgregherà. Cambio di stato. Sciogli una sostanza in acqua

corrente e il complesso egoico si semplifica, come un algoritmo.

Il portato dell'insegnamento scandurriano, sembrava in buona parte nuovo e

comunque fuori dai canoni occultistici dell'Ottocento e del Novecento. Nuovo non

solo nel linguaggio, ma nei contenuti: filosofia naturale+scienza eretica+alchimia

pratica+etnobotanica+metapsichica, il tutto miscelato con un potere personale

incredibile. Chiamatelo pure carismatico, io lo chiamerei magico, semplicemente.

Ma di un realismo magico, se mi consentite l'accostamento, che ti consente di

leggere le cose di questo mondo in una chiave incantata, ma che ti risuona dentro,

mostrandosi vera, schietta, sperimentale; un realismo magico dove la vita è

rappresentata da un mondo di segni, simboli, incontri fatidici. È la sapienza di

Atlantide di cui Scandurra era l'erede, quel mitico continente scomparso e non

sommerso. Il mio maestro, riuscendo ad insediare a Viterbo una piccola roccaforte

atlantidea, aveva compiuto un'opera grandiosa nascosta però a tutti, o quasi. Una

continuità illuminante con il lontano passato dell'umanità, avvolta in una

necessaria nuvola di imponderabilità, utilissima per meglio operare indisturbati.

Aveva stabilito un ponte-radio con lo spaziotempo, creata una nuova linea

temporale nella matrice cosmica, e tutto questo in una bottega di frutta e verdura,

situata in un quartiere popolare di una cittadina dell'Alta Tuscia, poco nota in Italia.

Così, semplicemente. Letteratura, immaginazione, mitologia? Come no!

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La sera cenai insieme ai miei, poi scartabellai il diario sui compitiscolastici fatti o da

farsi. Ero spompato, come quando attendi qualcosa che ritieni importante e poi la

delusione, niente. Uno squillo improvviso al citofono e mi fiondai a rispondere. Mia

madre sbuffava. Era Zac, un sodale della gilda di Scandurra, che mi invitava ad un

incontro notturno presso la Fontana del Boia, poco fuori la città. In tutta fretta mi

preparai e scesi. Zac era di 12anni più grande di me, lavorava presso uno studio di

architetti, etruscologo e metapsichico di vaglia, amante della buona cucina – 130kg

di buon umore e ciccia – e delle comodità, ma per Scandurra avrebbe fatto

qualsiasi cosa, pure buttarsi in un fosso melmoso e puteolente, se fosse stato

necessario. Quella sera fu necessario.

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sabato 8 maggio 2010

IUS 13

Dovete sapere che da quando ho incontrato il maestro nel lontano 1971, ho tenuto

un diario giornaliero su tutto quello che facevamo. Cronache, aneddoti, dottrina,

insegnamenti, esperienze singole e comunitarie. Migliaia di pagine. Quindi,

obbedendo ad una sua richiesta, sto gradualmente facendo conoscere al mondo

Scandurra, o meglio, le 'materie oscure' come le chiamava lui. In verità, forse pochi

di voi leggeranno questi post, ma chi lo farà avrà l'occasione di avvicinarsi a cose

mirabili, meravigliose, accadute negli anni settanta ma ancora operanti, oltre i

confini dei mondi.

Ho già accennato altrove che Viterbo riveste un ruolo di eccellenza sul piano sottile

che va ben al di là di quanto si ritenga in certi ambienti occultistici rinomati. Perché

questo? La natura specialissima, oserei dire quasi unica, che Viterbo possiede

rispetto a città notoriamente magiche come Praga, Parigi, Londra, Lione, Torino.

Viterbo è innanzitutto uno dei pochi scali atlantidei presenti in Europa. Tale asserto

riguarda non l'idea di un posto scelto per necessità dai superstiti

dell'inabissamento del mitico continente; anche perché noi sosteniamo la tesi che

Atlantide è sparita, cambiando posizione rispetto al continuum spazio-tempo,

incastrata nell'intersezione di due universi. Si sono in realtà stabiliti nell'alta Tuscia

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per scelta, perché tale territorio rispondeva a precipui parametri al fine di realizzare

un portale che consentisse l'accesso tra i due mondi-universo, in pratica hanno

deviato sullo svincolo della tangenziale che passa sul confine dimensionale. Se

avrete pazienza vi darò la mappa con relativa legenda, dei portali atlantidei.

Il bello è che non provo alcun imbarazzo a sostenere come sto facendo da tempo,

storie oltre ogni logica e fuori dall'ordinario. Conducevo programmi radio e poi

televisivi sui misteri prima che Giacobbo mettesse i denti da latte. Quindi sono

recidivo e senza speranza che rientri tra le categorie degli integrati. Mi auguro

sinceramente che queste mie asserzioni siano sbertucciate e considerate fesserie

da quegli scettici in servizio permanente effettivo, e siano invece prese seriamente

dai pochi lettori in sintonia. Questo perché se mi espongo così - non avendo intenti

lucrosi o di propaganda ideologica - vorrei evitare che intrusi e profani (Il Gruppo)

si mettessero in testa strane idee di sfruttamento su informazioni di rilevanza

eccezionale (almeno per chi sa di cosa parlo). Nel momento in cui diffondo le

materie oscure, so bene di andare incontro a pericoli di ogni genere, tuttavia se

viviamo l'ultimo spezzone di tempo prima del grande cambiamento, chi è animato

da buone intenzioni deve avere il sacrosanto diritto di poter accedere alla

conoscenza, senza intralci e persecuzioni ulteriori, dopo secoli di dominio politico-

religioso, lucifugo e liberticida. Oggi ci troviamo tutti di fronte ad una situazione,

volenti e nolenti, credenti e scettici, di epocale stupidità e pure di invisibile

profondità: questa situazione è creata ad arte da un consorzio di interessi globali.

Di fronte a tale momento, ritengo utile indicare una via di fuga a quanti la vorranno

percorrere, a quanti avranno il coraggio di scegliere. Io la trovai già negli anni

settanta con Scandurra e nemmeno me ne accorsi, credendo di non essere

testimone del grande salto dell'umanità. Oggi, esclusi noi folli apocalittici, chi parla

di fine del mondo in Occidente. La Chiesa cattolica? Ma per favore, hanno ben più

prosaici problemi di sesso e di bancomat. I governi politici? Non esistono, in

quanto il mondialismo ha azzerato la libertà, manipolato l'informazione, asservito la

scienza e costretto i popoli a pensare poco e soffrire di più. Siamo solo noi a

cercare la verità a qualunque costo.

Zac col suo sigaro perennemente acceso, attendeva in macchina l'arrivo di

Scandurra. Io invece, per non sopportare il fumo, ero uscito e passeggiavo

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nervosamente sullo sterrato, a pochi metri dalla famigerata fontana. La temperatura

era bassa, indossavo un loden, un berretto e una sciarpa che mi avvolgeva tutto;

tuttavia il freddo si faceva sentire. L'architetto mi chiamò per sapere come stavo.

Aveva notato la mia contrarietà.

Dovete sapere che all'inizio dell'apprendistato con Scandurra, tutti noi temevamo di

essere poco considerati da lui. Quasi si sgomitava per entrare nei suoi favori.

Dinamiche usuali in certi ambienti, evidentemente. Non avevamo ancora compreso

che per ricevere il dono, non contava l'intelligenza, la simpatia, la presenza, ma la

conquista del rispetto e della dignità. Voleva da noi il segno della predestinazione:

colui che è degno, regna.

Zac, benché separato dalla moglie con tutti gli strascichi del caso, conservava il

suo stile di sempre, le abitudini di sempre, le voglie di sempre e proprio per questo

Scandurra gli disse all'indomani della separazione:

“Zacco mio, sei destinato a separarti da tutte le donne del mondo, perché continui a

non separarti dalle tue cose di sempre”.

La 500 del maestro si avvicinava alla sua consueta andatura, piano andante.

Accostò dietro Zac. Gli andai incontro e gli chiesi se dovevamo aspettare pure gli

altri.

“Angiolè, stasera voglio solo voi, i migliori”. E rise soddisfatto. Io trattenni un moto di

rabbia. Zac uscì anche lui e fece cenno al maestro se voleva un sigaro. Era quasi

una pantomima, perché Scandurra fumava solo Nazionali senza filtro, le più

tremende, puzzolenti, sigarette sul mercato. Però le accettava se gliele offrivano,

per poi regalarle. Così fece per il sigaro.

In fila longobarda seguimmo il maestro mentre si inoltrava in un campo incolto,

pieno di erbacce e sassi.

Dopo alcuni minuti, egli si fermò presso un fosso puzzolente e dall'acqua sporca e

stagnante, per quanto ci fosse consentito vedere. Scandurra si guardò intorno

come era solito fare, poi depositò delicatamente nella buca il pacco marrone che

aveva destato il mio interesse a bottega.

Zac ed io ci guardammo attoniti e smarriti. Che cosa c'era dentro il fagotto? Perché

lo gettava? Il maestro si girò verso di noi:

“Questo fosso è la finestra sulla voragine senza fondo da cui si creano gli universi.

L'acqua notturna è il punto di transito, il conduttore. Vi chiederete che cosa ci ho

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immerso?”

Zac con garbata ironia, disse che non ci aveva nemmeno pensato a chiederselo. Io

rimasi in uno stato indefinito, fatto di sconcerto, voglia di sapere, capire cosa fosse

il baratro senza fondo dietro ogni cosa.

“Ebbene, amici cari, dovete sapere che da quando divennero abituali le mie sortite

tra i mondi, vi sono certe commissioni da fare e alcuni compiti da adempiere.

Stasera non sbaglio nemmeno la grammatica, ma mi rifarò”.

Scandurra ci teneva sulle spine, aumentava il mistero e poi, non ci aveva ancora

spiegato cosa fosse quella cosa. Questo suo atteggiamento credevamo,

inizialmente, che fosse un pretesto o un gioco per catturare la nostra attenzione,

procurandoci indignazione. Imparammo col tempo che voleva indurci ad entrare in

una sorta di sintonia d'onda, in uno stato speciale seppur tenue di coscienza.

“Ora Zac, vorresti aiutarmi? Tuffati nel fosso e verifica se il pacco è arrivato a

destinazione”.

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venerdì 14 maggio 2010

IUS 14

Zac mi guardò e di fronte alla richiesta del maestro di scendere in quella pozza,

siccome non poteva rifiutarsi, pena la supposta declassazione a discepolo

inaffidabile, con una vocina flebile flebile, gli chiese:

“Come mi accorgo dell'avvenuta consegna del pacchetto? Immagino che il fondo

sia torbido...”

“Zacco, è un gioco da ragazzi – interruppe Scandurra – lì sotto c'è un nodo

dell'ipersfera [baratro senza fondo] e ogni effetto è relativo soltanto a se stesso. Il

nodo è una stazione di transito tipo la stazione di Orte Scalo, con la differenza che

anziché dall'energia elettrica, è alimentato da una Nova [È un'enorme esplosione

nucleare causata dall'accumulo di idrogeno sulla superficie di una nana bianca,

che fa sì che la stella diventi, per qualche giorno, molto più luminosa del solito. La

parola nova può indicare sia la causa del fenomeno sia la stella stessa al momento

dell'esplosione. Va da sé che Scandurra poteva benissimo usarla come simbolo ].

Così la chiamano ed è una parola che mi piace. Non temere, non può succedere

nessuno scambio di energia tra te e la Nova, qui nel nodo, a meno che tu non sia

un anomalo e allora saresti cotto come un supplì. Eh eh eh, pensa, 130kg di

frittura”.

Zac riuscì persino a sorridere e mi fissò come se fossi l'ultima persona che avrebbe

visto sulla terra.

Si levò il giubbotto di pelle e le scarpe, poi si sedette ai bordi del fosso e con

circospezione vi si immerse. L'acqua era gelida e limacciosa, se le smorfie di Zac

non ingannavano, ma ciò non gli impedì di accennarmi alla sua ex, circa alcune

pratiche che erano in mano al suo avvocato. Scandurra sorrise e chiese a Zac se

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gli lasciava quel suo bel giubbotto, aveva sempre desiderato averne uno ma non

se lo poteva permettere. Per un attimo pensai ad una sua burla, uno scherzo da

prete insomma. Che ci facevamo al freddo ed in procinto di gettarci in una fossa?

L'amico architetto prese un bel respiro e si inabissò, già, questo è il termine giusto.

Le onde che provocò sembravano quelle californiane. Mi guardai istintivamente

intorno. Non c'era anima viva. Dopo qualche secondo la superficie del fosso

cominciò a... friggere. Mi spaventai ricordandomi dell'osservazione del maestro sui

supplì, stavo per buttarmi pure io per salvare Zac, che però fece capolino

lentamente e sbuffò per qualche secondo e ci sorrise.

“Siete qui ad aspettarmi? Grazie amici, ma io stavo una favola. Gagliardissimo. Mi

hanno cercato allo studio? Che gli avete detto? Ma che mi frega. È meglio di un

romanzo d'avventura. Grazie, grazie, Scandurra, ti sono debitore per sempre.

Posso ritornarci? ah, dimenticavo, tutto a posto, il pacco è in buone mani. Mamma

mia, è fantastico. In confronto sto' mondo è un lungo incubo. Non immaginavo che

fosse così facile l'accesso e da qui, in una pozzaccia di acqua salmastra.”

Uscì dal fosso. Corsi a prendergli un plaid nella sua auto. Lo ritrovai che parlottava

col maestro. Lo avvolsi tutto sebbene una parte rimaneva fuori, vista la sua mole.

“Ma quanti giorni sono passati? Sei, sette? Certo, dopo una settimana lì, ritornare a

studio... a Viterbo... che pal...”

In pratica, non erano passati più di dieci secondi. Ah, dimenticavo: tempo terrestre.

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giovedì 20 maggio 2010

IUS 15

Quella sera terminò così. Zac era euforico e corse verso casa, salutandoci.

Scandurra tutto contento si stringeva al petto il giubbotto di pelle regalatogli dal suo

allievo più promettente. Io? Ero in uno stato pietoso. Mi rodevo dall'invidia, ce

l'avevo col maestro e poi, dell'avventura dell'amico, niente, tutto rimandato al

giorno dopo.

Ma così non fu. Per ordine di Scandurra, su quanto accaduto in quel viaggio

dimensionale, spaziale o come diavolo definirlo, il massimo riserbo. Perché mi

lasciava così? Perché Zac e non io, era andato in quella missione? E, ancora,

perché mi tenevano all'oscuro di tutto? Che il maestro avesse deciso di fare una

scrematura tra i suoi fedelissimi? Queste e altre domande angosciose mi

mulinavano in testa. Non ci potevo far nulla, non mi stava bene. Avevo dedicato a

lui, giorni e giorni di massima attenzione, di pazienza, di sottomissione addirittura;

gli avevo, come si dice dalle nostre parti, “portato l'acqua con l'orecchie”, ma tutto

questo non bastava, no, non era sufficiente.

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Passai notti insonni. Non mi ero più recato da Scandurra e cercai con tutta la

volontà di pensare ad altro. Mi misi a studiare e a frequentare la Biblioteca

provinciale. Ritornai ad allenarmi con la squadra di calcio del mio quartiere e mi

riconquistai un posto da titolare. Le domeniche andavamo a giocare per il

campionato e le trasferte diventavano vere e proprie avventure, tra tifosi assatanati

e arbitri “venduti”. Insomma, ritornai al mondo reale.

Il morso della vipera non cicatrizza. Il mondo occulto ribussò alla mia porta. Una

sera, insieme a mio padre, vedevamo la partita del mercoledì di coppa, dove era

impegnata una squadra italiana contro una tedesca. A quei tempi il nostro era un

calcio tattico fino all'ossessione, Gianni Brera sosteneva il modulo e auspicava

maggior atletismo, ma era ben conscio che l'italiano aveva limiti ben precisi.

Insomma, noi si giocava in contropiede e l'avversario ci assediava. Il portiere

italiano diventava l'eroe della notte. Una telefonata ci fece trasalire. Andai a

rispondere.

“Angelino che fine hai fatto”, era Scandurra con tono sardonico. “La notte è troppo

bella per passarla davanti al televisore. Dai, ti vengo a prendere”. Ero tentato di

rispondergli con un secco 'no'. Il richiamo della foresta era però più forte.

Ero deciso a tenermi sul distaccato forte, non volevo fargliela passare liscia.

Ripensandoci oggi, mi viene da sorridere, ma il 1972 avevo 14anni e certe mie

posizioni erano naturali. Scandurra guidava con la sua solita flemma, poteva

benissimo chiudere gli occhi e zigzagare per le viette di Viterbo antica senza

problemi. Uscimmo dalle mura cittadine e ci recammo verso la fontana del Boia. Vi

confesso che il cuore mi stava per sfondare il petto dall'emozione. Accostò e

scendemmo. Stavo per incamminarmi verso il fosso quando il maestro mi trattenne.

“Dove vai? Pensi di scendere laggiù? Ti senti pronto? Stasera volevo soltanto fare

un giretto e bere da questo fontanile dell'acqua fresca. Tutto qui.”

“Ma Scandurra, mi hai fatto venire per farci una bevutina serale? Non capisco. Zac

ha avuto una possibilità incredibile ed io rimango al palo. Non capisco che devo

fare. Ci sono figli e figliastri, evidentemente. Se sono pronto? Questo lo stabilisci tu,

ovvio, però ho diritto ad una spiegazione se non ti dispiace.”

Il maestro mi guardò nelle 'palle degli occhi', come soleva fare e dire, poi si umettò

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le labbra e si diresse in direzione del fosso. Lo seguii un po' crucciato e una punta

di vergogna incominciò a salirmi da dentro. Con mia sorpresa, davanti al fosso,

sostava una macchina di grossa cilindrata. Scandurra si avvicinò al finestrino e

bussò. Due uomini, uno sulla cinquantina e l'altro che non aveva più di venti anni,

si tirarono su da una posizione supina, seminudi. Il più grande abbassò il finestrino

e impacciatissimo salutò Scandurra.

“Ciao carissimo, sai, stavo facendo vedere questo lotto ad un mio cliente... ehm, è

intenzionato a comprarlo per costruirci.”

“Dottor Federici, il posto è proprio bello, specialmente di notte. Spero che il suo

cliente non se lo lasci sfuggire. Ma vedo che le ha già anticipato un acconto. Bene,

è meglio non perdere tempo. Dottore, un saluto alla signora e buonanotte”.

I due 'uomini d'affari', in fretta e furia, si ricomposero e sparirono nella notte alzando

un polverone. Scandurra si mise a ridere alla grande. Conoscevo di nome il dottor

Federici. Noto proprietario terriero e di diversi negozi al centro, democristiano doc

e dirigente dell'azione cattolica provinciale. Insomma, un notabile influente e

ascoltato nei salotti che contano. Certo, pur di fare buoni affari, era disposto a tutto.

Mi rivenne il buon umore e risi col maestro.

“Copulavano, eh? Senza invidia.” Sentenziò Scandurra. Si accovacciò presso il

fosso e come se pensasse ad alta voce pronunciò uno dei suoi teoremi:

“La Materia è così evanescente da diventare un buco, lo Spirito può riempirlo

completamente perché è solido”.

La serata era fredda ma bella. Mi sentivo come riconciliato col maestro. Compresi

che ero stato infantile. Possedevo dentro di me la sacra fiamma, non avrei potuto

far altro che incamminarmi lungo i sentieri della conoscenza. Detto così sembro

enfatico, ridondante, ma chi mi conosce sa bene che è la mia natura. Mai ho

aspirato ad una vita borghese, ad una mentalità borghese, ad una fede borghese.

La religione cattolica mi stava stretta, almeno quella che ho conosciuto sin da

bambinetto. La liturgia, la preghiera, il rapporto col prete, mi apparivano

esperienze fiacche. Non volevo sentir parlare di Dio e del Suo Regno, desideravo

sperimentare, percepire. Non era orgoglio il mio, ma una sete inattenuata di

assoluto, di segrete cose. La sacra fiamma per essere acquietata, pena la

distruzione, deve canalizzarsi. Ringrazio il Padre Celeste che mi ha condotto il

maestro a tempo debito. Non tutto quel che vidi, compresi. Non tutto quel che feci,

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imparai. Di tentativi ne feci tanti e di sbagli, altrettanti.

Dapprima l'odore proveniente dal fossato era insopportabile, poi cambiò.

Diventava sapore, lo sentivo in bocca. Sapeva di metallo.

“Ti senti pronto?”, mi chiese di nuovo Scandurra.

“Credo di sì, però tu conosci meglio di chiunque altro, cosa sono in grado di fare.”

All'improvviso sentivo le gambe molli, la pancia mi bruciava... Mi rendevo conto in

quel momento di quanto fosse difficile, incognito entrare lì dentro.

“Si fa presto a dire: esiste solo ciò che vedo. Si fa presto a dire: vedo solo ciò che

esiste. Ma pochi dicono: proviamo. Vedi, Angelo, da giovinetto facevo parte di

un'anonima talenti, una gilda. Gente con poteri non comuni. Il principe ci addestrò

a rendere questi poteri utili, chiavi per accedere ad altre dimensioni. Ci indicò

come trovare le botole che si affacciano su altri mondi. Alcuni di noi, forse per

superbia o perché smisuratamente sciocchi, pensarono bene di modificare

addirittura gli altri universi. Sembrava tutto pazzesco, ma anche drammatico. Un

compagno sparì. Un altrò ritornò svalvolato e non si riprese più. Per me, da

principio, il potere era una enorme scocciatura; vedere il destino ultimo delle

persone, cambiare le cose, manipolare la materia, mi faceva alla lunga soffrire. Poi

imparai ad usarlo per accedere e compresi il fine. Essere cittadino dei due mondi,

pendolare senza scalo fisso, oltrepassatore di ponti, saltafossi: questi i compiti. Zac

è tosto ma non è questo il suo lavoro, tu, invece, potresti ricevere la stessa

consegna. Si fa sul serio, maledettamente. Dovrai rinunciare a molto, forse a

troppo. Però, c'è sempre un impiego in banca che ti aspetta.”

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lunedì 24 maggio 2010

IUS 16

Bancario tutta la vita? No, grazie, senza offesa per la categoria. Preferivo crepare

come saltafossi, tentare l'impossibile, scoprire mondi, regni paralleli, sforare verso

un intermundia oltre ogni ragionevole dubbio, che vivere e morire da nevrotico

borghese. Riflettevo su quanto mi aveva confidato Scandurra: sgattaiolava tra

dimensioni, aprendo e chiudendo botole, come lui le chiamava, verso un baratro

senza fondo, affacciandosi oltre ogni barriera spazio-tempo, poteva così accedere

in ogni dove. Notevole, che ne dite? Un Mandrake redivivo. Ma che dico: un dottor

Strange, un John Silence, un Cagliostro rivisitato. Mah, tra personaggi letterari,

maghi veri o presunti passati alla storia tra luci, poche, e molte ombre, è difficile far

paragoni. Scandurra ripeteva di provenire da un'anonima talenti, radunata da un

principe della cosiddetta nobiltà nera romana. Una gilda di persone, donne e

uomini, dotate di straordinarie capacità paranormali. Eccezioni di natura che per

qualche dinamica celeste specialissima, erano venuti al mondo con un compito più

che con un destino. Avrebbero comunque dovuto scegliere.

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Scandurra ci rendeva partecipi di una visione del mondo di tipo esoterico;

aggettivo fin troppo abusato, da alcuni decenni a questa parte. Lui, negli anni

settanta, denominava le sue dottrine “materie oscure”, perché esistenti fin dalla

fondazione del mondo. E, vi devo confessare, sento con malinconia mista a

fastidio, oggi, di “pischelli” spirituali che pontificano di guerre tra Luce e Tenebre,

arconti e maghi, senza la benché minima cognizione ed esperienza di quanto

vanno raccontando. Vedete, il tirocinio con Scandurra non aveva niente a che

spartire con scuole alla Harry Potter, lontano anni luce dalla fumettistica

marvelliana o dai manualetti acquariani; era un cammino sacro, con conseguenze

radicali sulla nostra vita, produceva, infatti, reazioni fisiopsichiche sconvolgenti;

l'impatto di quanto andavamo facendo e acquisendo, riguardava un vero e proprio

trasmutamento, fino ad interagire col DNA. Devo dirla tutta, a scanso di equivoci e

di aspettative facili: alcuni miei amici che inizialmente hanno “bazzicato” la bottega

magica, sono fuggiti a gambe levate e denunciando temporanei disturbi fisici e

mentali. Scandurra ci sottoponeva ad un iter pesante, inframmezzato con momenti

beati, sì, ma niente era gratuito, tranne il Dono che a fine corsa ci trasmetteva. Lo

voglio ulteriormente sottolineare. Amici, quando leggerete queste Cronache,

capirete sin da subito che niente è facile sul cammino dello Spirito e della

Conoscenza. Lacrime e sangue, ma pure gogna sociale, politica e religiosa. Oggi,

non c'è più storia né memoria. Abbiamo dimenticato che da quando il mondo ha

preso una piega cosmica siffatta, l'uomo libero è il mostro da perseguitare e

uccidere. Lo dico e lo confermo: se volete imbarcarvi in un cammino iniziatico

munitevi di mutande di bandone. Nei testi cosiddetti esoterici si glissa

colpevolmente su questo pericolo. Non credete troppo al tempestivo aiuto da parte

di angeli splendenti che vi porteranno in salvo da arconti birboni; non credete a

chissà quali potenze cosmico-divine che vi sosterranno durante l'armageddon. Le

cose non stanno come le raccontano. Ci sono ottimi eruditi e qualche volta pure

qualcosina di più, che hanno scritto libri interessanti, a volte pure con dati autentici,

su questioni esoteriche. Ho notato però che sono manchevoli spesso e volentieri,

della pratica, della messa in opera, me ne sono accorto perché il morso del Drago

fa male, eccome. Discettare di cose alte, iperuraniche ci riempie, certo, ci eleva,

pure, poi, all'atto pratico, quando molto semplicemente ti metti a meditare, o meglio,

cerchi di entrare in uno stato meditativo, ecco dietro l'angolo il fardello di paure,

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pensieri, desideri che ti paralizzano. E stiamo accennando solo all'inizio dell'opera.

I mostri interiori sono i più duri da sconfiggere. Lì si trova la grande barriera

corallina dell'ego. Impenetrabile. Oltre non si passa. Ho vomitato, defecato sangue

e vecchi rifiuti chissà da dove riscappati, subìto stati depressivi, incubi diurni e

notturni, febbri, sconvolgimenti sensoriali: questo solo all'inizio della Nigredo,

intaccando il nocciolo duro dello stato del mio essere. Chi chiacchiera di

esoteriche vie; chi proclama trombonescamente di battaglie interplanetarie: in

buona parte parla di cose che non conosce, di cose apprese sui libri e spesso mal

digerite. Amici che leggerete queste Cronache, la Via è quasi impossibile da

praticare, a meno ché non si incontra un folle che c'è passato prima.

L'autoiniziazione non esiste, è un concetto new age, facilone e infondato. Diffidate

di voci interne – Giovanna d'Arco era un'entronauta atipica e forse unica nel suo

genere – che vi inducono ad iniziare il cammino, promettendovi ruoli epocali. Amici

che leggerete queste Cronache, se avete nel vostro cuore un fuoco che non brucia

e vi induce a cercare, seguitelo, ma preparatevi alla Vigilia delle Armi: sarà lunga e

sfiancante.

No, decisamente, volevo provare direttamente il salto. Non poteva bastarmi una

vita ordinaria, magari con una fede traballante, un'etichetta da appiccicarsi

addosso senza brama, priva di pazzia, di fervore. Francesco d'Assisi abbandonò

tutto quello che una vita agiata gli prometteva per unirsi anima e corpo a Dio. Un

esempio sull'esempio di Cristo. Uno yoghi cosmico che operava in Umbria. Senza

tentennamenti, senza passare per chiese e preti, senza compromessi. Del resto,

Scandurra voleva questo da noi: lascia le vecchie credenze e convenzioni, metti

sul piatto della Vita quel poco che credi di essere e libera i talenti latenti.

Di fronte a me l'occasione di vivere in prima persona l'incredibile. Avevo già visto

cose di altri mondi e dimensioni. Avevo ben impresso nella memoria l'incontro con

l'atlantideo, fratello in spirito di Scandurra. La cultura dominante, la religione di

Stato, la scienza ufficiale, ci avevano tradito, riducendo il mondo e l'uomo ai minimi

termini. Il maestro ci aveva aperto le porte, anzi, le botole verso altro, oltre lo

specchio. Non avevo bisogno di alcuna fede, sapevo. Ora dovevo però fare il salto

di qualità, buttandomi nel fosso. Già, sembrava una burla colossale. Ma la

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desideravo come l'aria. Immergendomi in quella melma, sarei passato dall'oscurità

della coscienza ordinaria, alla luce della conoscenza. Esoterismo pratico, alchimia

operativa, magia stellare... etichette, sempre etichette, per natura approssimative.

Le materie oscure erano fatte di cose concrete, di formule funzionali, bisognava

però immergersi completamente, saltare oltre la volta, portarsi al di là con quel

poco o tanto che eravamo. Non c'è trucco non c'è inganno. I conti? Con se stessi,

prima, col Drago, poi.

Spesso, ci facciamo un'idea di ciò che ci aspetta, magari prima di un esame, di un

appuntamento galante, di un lavoro. Elaboriamo uno scenario capacie di includere

anche l'imprevisto. È naturale, ma non sempre si avvera.

“Il corridoio di accesso è tutt'altro che ben sistemato. Bisogna che abbassi la testa e

curvi il dorso. Dovrai ricorrere a miracoli di destrezza per posare i piedi lì.” Questo

mi indicò Scandurra.

“Ma non glielo hai detto a Zac. Lui si è buttato alla cieca ed è andato tutto bene.

Ora mi fai venire i dubbi...”

“Vedi che non sei pronto. Dai, ci ritorneremo un'altra volta.”

“Va bene, va bene. Farò come mi hai detto. Devo sapere qualcosa in più? Cioè,

che fare quando mi troverò lì? Ma dove si trova lì?”

“Angelino mio, che vuoi la carta del Touring Club?”

“Ho capito. Mi immergo.”

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venerdì 28 maggio 2010

IUS 17

Rabbà disse: se i giusti volessero, potrebbero creare un mondo, perché è detto: sono i vostri

misfatti che fanno la differenza fra voi e il vostro Dio.

(Isaia 59,2)

''Due particelle +/- o sanno quello che fanno o è meglio che non s’incontrino mai”,

perché l’atomo che è nato almeno 13,7 miliardi di anni fa, non poteva venir fuori

rabberciato alla meglio….Questo vuol dire che la prima particella + e la prima

particella - avevano previsto ogni particolare, per poter aderire alle tantissime leggi

della fisica atomica''.

Massimo Corbucci, Alla scoperta della Particella di Dio, pag. 134

"Questa vasta dimora della natura è costruita con molte ali, ognuna delle quali ha il

suo ingresso. Il fisico, il chimico, il biologo entrano da porte diverse, ognuno ha la sua

sezione di scienza, e ognuno arriva a pensare che sia un suo dominio speciale,

distinto da quello degli altri. Noi dobbiamo invece ricordare che tutte le indagini hanno

come scopo il raggiungimento del sapere nella sua totalità. Nelle mie ricerche

sull'azione delle forze sulla materia, mi sono stupito nello scoprire che si annullavano

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linee di demarcazione e che emergevano punti di contatto tra il mondo vivente e il

non-vivente. Ciò significa che dovremmo abbandonare tutti i preconcetti, gran parte

dei quali risultano in seguito assolutamente privi di fondamento e contrari alla realtà".

Jagadis Chandra Bose

Una Anonima Talenti si stava formando pure a Viterbo. Eravamo ben decisi e

convinti a seguire in tutto e per tutto, il nostro maestro. Diatribe personali, piccole

competizioni egoiche, infantilismi ancora da risolvere, sfumavano; ci si aprivano

orizzonti altrimenti solo sognati o immaginati. La nostra città smetteva di essere un

modesto e dimenticato capoluogo di provincia, per diventare un astroporto verso

altre dimensioni, dove un saltafossi degli spazi ignoti ci faceva sperimentare cosa

poteva fare realmente l'uomo, grazie all'emersione delle sue meravigliose latenze.

Scandurra non voleva costituire un sodalizio superomistico, composto di egolatri

intenti solo all'ottenimento di poteri paranormali – sebbene la tentazione di certi

personaggi orbitanti nella bottega magica, fosse forte - , ma preparare donne e

uomini liberi alle materie oscure, per svolgere compiti specialissimi tra universi

tangenti. Da favola e da brivido.

Seguendo le istruzioni sommarie del maestro, mi immersi lentamente nel fosso.

L'acqua salmastra era fredda, densa. Con i piedi cercai il fondo, ma con mia

grande sorpresa sembrava non esserci. Mi immersi fino alla testa e mossi le

braccia e le gambe per rimanere a galla. Mi prese un po' di strizza. Poi, feci

esattamente quanto mi suggerì Scandurra: abbassare la testa e piegare il dorso.

Presi quanta più aria possibile e mi calai dentro quella pozza. Mi raggomitolai in

posizione fetale. Dopo alcune decine di secondi, l'ossigeno nei miei polmoni si

esauriva... non vidi più nulla. Buio pesto. L'erbaccia e chi sa cosa altro mi si

attorcigliava addosso. Passai momenti di panico. Notai l'esaurirsi del mio spirito di

conservazione: giacevo passivo e sconsolato in quel nero acquitrinoso. Non avevo

reazioni. Ero come svuotato, inerte. E scendevo in direzione di un fondo che forse

non c'era.

Un bagliore frontale, dapprima tenue poi più forte, mi indicò la via da seguire. Con

una bracciata mi diressi verso quella luce brillante. Alzai la testa e distesi il corpo e

toccai il fondo con i piedi; l'acqua mi arrivava al petto. Tornai a respirare l'aria.

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Tossii e sputai. Mi trovavo sotto una volta, alta non più di due metri, che dava in

una galleria ascendente e illuminata da una qualche fonte non distinguibile. Mi

inoltrai con circospezione. C'era un odore di bosco, sebbene non notai alcun tipo

di vegetazione. Man mano che salivo l'acqua si abbassava, dopo alcuni metri non

ve ne era più traccia. La galleria saliva con un angolo di 10/15gradi, il fondo era

morbido, sembrava moquette; era larga circa un metro e mezzo, scavata nella

roccia in maniera perfettamente levigata. Che fosse una costruzione artificiale non

c'erano dubbi, ma chi l'aveva fatta?

Mi resi conto soltanto dopo alcuni minuti, che ero completamente asciutto; dalla

testa ai piedi non c'era nemmeno una goccia d'acqua. Infatti, un leggero vapore

caldo inondava la galleria e pensai che potesse dipendere da questo. Non vi

erano rumori, nemmeno i miei passi sentivo. Sembrava tutto insonorizzato come in

uno studio di registrazione atipico. Provai a fischiettare. Niente, non sentivo niente.

Mi prese un po' di angoscia. Dove mi trovavo? Dovevo continuare a camminare?

Verso dove? Cosa avrei trovato alla fine della galleria? C'era una fine? Cento

domande mi affioravano, senza uno straccio di risposta. Non mi rimaneva che

andare avanti, anche perché ritornare indietro, al punto in cui mi trovavo, non

avrebbe avuto senso. Almeno così mi convinsi. Aumentai il passo. Sgombra la

mente, Angelo. Mi sentivo bene, mi liberai dei pensieri molesti e affrontai

l'avventura col giusto piglio. Avevo voluto la bicicletta...

Subentrò ad un certo punto un'idea, non del tutto campata in aria, visto che mi

trovavo nel viterbese: ero in un camminamento sotterraneo etrusco. Ovvio

pensarlo. Però, così come mi era venuta, scartai l'ipotesi. Conoscevo sin troppo

bene il mondo etrusco. Questa galleria era moderna, illuminata non si sa da che

cosa e questo, già di per sé, rendeva tutto enigmatico, lontano da vestigia note. La

questione della luce che inondava tutta la galleria senza poterne individuare la

provenienza, mi intrigava molto. Ricordai di aver letto qualcosa su fiaccole eterne

presenti in gallerie segrete e cose del genere, concernenti i Rosa+Croce, ma un

conto è apprendere queste cose a mo' di leggenda, con i “si dice, si racconta”, altra

cosa è vederle di persona. Mi trovavo dentro un mistero. Mi venne la pelle d'oca e

un certo senso di inquietudine.

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Erano già passati dieci minuti d'orologio. Dell'orologio proprio volevo parlarvi. Una

premessa. Sono sempre stato un appassionato di questi strumenti di precisione,

sebbene le mie finanze non mi permettevano acquisti onerosi. Insomma, tra

permute e risparmi, ero riuscito a procurarmi un Omega Speedmaster: uno degli

orologi più precisi dell'epoca. Bene, dicevo che erano passati almeno dieci minuti,

in realtà tale computo lo dovetti fare a istinto, perché la lancetta dei secondi del mio

Omega andava visibilmente all'indietro. Sì, amici, all'indietro, ed erano passate

secondo il mio cronografo, o meglio, anticipate, almeno due ore. Dove stavo?

Forse quel vapore era tossico e mi procurava allucinazioni; oppure la mancanza di

ossigeno durante l'immersione, aveva comportato delle alterazioni neurologiche,

per cui in uno stato semi comatoso viaggiavo in chissà quale mondo della follia.

Mentre elucubravo, inciampai in qualcosa e caddi in avanti, evitai una smusata per

pochissimi centimetri, grazie alla prontezza di riflessi mi sostenni con le mani.

Questo fatto mi convinse che non sognavo e non ero vittima di allucinazioni:

sentivo il mio peso, il piccolo choc da caduta, insomma ero vivo e vegeto e

presente a me stesso. Piuttosto, cosa mi aveva fatto cadere? Non vi erano gradini o

sassi, niente che sporgesse dal suolo. Feci per rialzarmi e proprio di fronte a me,

stava una porta rossa di spesso cristallo, rettangolare, priva di maniglie che

chiudeva la galleria. Lasciava intravedere poco, oltre il vetro: forme in movimento.

C'era al di là della porta qualcosa o qualcuno, comunque. Forme mobili, vive,

quindi. Visto e considerato che mi trovavo lì, non fu né difficile né geniale decidermi

di bussare e semmai di spingere la porta. Chi domanda non fa errori.

Mentre mi accingevo ad entrare, ricordai una basilare raccomandazione di

Scandurra. Apriti al cosmo, mi ripeteva, e sentirai fluire dentro di te un treno d'onde.

Il flusso celeste ti permetterà di entrare nell'ipersfera, nel baratro senza fondo.

Cambiando la mia vibrazione e frequenza, potevo mettermi nelle condizioni ideali

per entrare in contatto con qualsiasi materia. Conoscenza e prassi; diventare

l'oggetto conosciuto; diapason vibrante con ogni cosa; estendere il mio campo di

forza in ogni dove. Per conoscere bisogna identificarsi con ciò che si vuole

conoscere. Annullare la distanza tra me e quello che guardo. Soltanto in questo

modo, posso veramente comprendere. Il mio corpo diventava alchemico, si

trasformava. Purtroppo tale trasformazione non era stabile. Richiedeva ancora del

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tempo. Già riuscire ad innescare mutamenti parziali, limitati, era comunque una

condizione eccezionale. Come un'autoallucinazione, vibrava ogni cosa dentro di

me, emergeva una nuova tensione. Non mi sentivo più sparso, disciolto in strutture

psichiche e fisiche. Non ero più scisso, l'io retrocedeva nella serie cadetta, per

lasciare il campo alla mia essenza. Diventavo la chiave-codice per oltrepassare la

soglia...

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giovedì 3 giugno 2010

IUS 18

Scandurra sosteneva che Viterbo, insieme ad altri luoghi fatidici sparsi per il

mondo, erano ponti dell'Universo, portali verso scali cosmici. Uno di noi, fissato con

le filosofie orientali, aveva ribattezzato questi posti, Sevagram. Sevagram è il nome

di un villaggio indiano, nello stato del Maharashtra, già sede dell'ashram del

Mahatma Gandhi. Il nome sevagram significa, in hindi, villaggio di servizio. E

proprio questo svolgeva Viterbo, un servizio di accesso.

Non fu difficile credere a quanto asseriva il maestro. Le cose che vedevo e vivevo

erano oltre ogni immaginazione. Proprio qui, nella mia città avevo l'opportunità

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unica di accedere a mondi e dimensioni come le descrivevano i viaggiatori mistici,

gli sciamani, gli scrittori veggenti, i maghi. La stessa fantascienza del ventesimo

secolo, aveva ripreso nelle forme adeguate allo spirito del tempo, i temi

dell'esplorazione galattica, l'ultima frontiera oltre i confini terrestri. Verso gli anni

sessanta, la sci fi si diresse verso altri lidi, da quelli dell'esplorazione esterna alle

esperienze di alcuni coraggiosi viaggiatori alle prese con i mondi interni della

coscienza. La letteratura ebbe un ulteriore sussulto. Una nuova espressione

documentaristica, romanzesca, speculativa, fece il suo ingresso trionfante sul

panorama culturale un po' borghese e stitico, quando non violentemente

ideologico. Il Mattino dei Maghi, fu il libro chiave di questa svolta copernicana,

forse ben più di quanto si aspettassero i due autori francesi, Louis Pauwels e

Jacques Bergier. “Un'opera che getta un ponte tra il fantastico e il reale, tra la

magia, la mistica e lo spirito moderno”, così recitava il sottotitolo nell'edizione

italiana a cura di Sergio Solmi. La prima edizione Gallimard datava 1960, quella

italiana Mondadori, il 1963. Fu un fulmine a ciel sereno. Grazie a questo libro molte

persone, di tutte le età e culture, ebbero il loro testo sacro, magari demitizzante ma

tosto, intrigante, aperto ad ogni strada della conoscenza. I piani cognitivi si

avvicinavano, passato e futuro si congiungevano. Atlantide, i dischi volanti, gli

alchimisti antichi e moderni, i superpoteri psi, si ritrovavano in un mix

lussureggiante, dalle atmosfere caleidoscopiche. Si era riaperta una porta, non

solo simbolica e culturale. Soprattutto il pirotecnico Pauwels, pagano (sebbene

convertitosi alla fine del suo percorso, al cattolicesimo) ed ex allievo di Gurdjiev,

riuscì a scuotere le fondamenta del piattume occidentale, lanciando segnali per i

naviganti nelle terre incognite. Noi ci abbeverammo da questa fonte e grazie alle

sue aperture sul fantastico, sul mitico, sulla scienza di frontiera, ci mettemmo nelle

condizioni ottimali da poter incontrare Scandurra: un personaggio che non avrebbe

sfigurato tra quelli citati da Pauwels e Bergier, anzi. Quello che stavo facendo,

oltrepassare i limiti spazio-tempo trasformando me stesso, era la migliore ricezione

di quel messaggio.

Non avevo più una struttura biopsicofisica ordinaria, ero unificato. Il mio punto-

coscienza era esteso ed espanso: onda-sorgente oltre lo spettro sensoriale. Anche

la paura contribuì a realizzare questo mio stato, lo confesso. Si radunano forze,

sentimenti, aspettative, volontà, in una sintesi superiore.

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Tentai di toccare la porta cristallina, pensando di trovare un ritorno di forza.

Pensavo di sentire la durezza del cristallo. Pensavo così, ma le cose stavano

diversamente. Era oleosa e plastiforme, vi penetravo con tutta la mano. La

sensazione era curiosa, in apparenza sembrava compatta, in pratica era molle.

Non realizzai che potessi essere io a trovarmi in una condizione speciale atomica

e animica, quindi oleosa e plastiforme: mi venne in mente subito dopo che

l'attraversai con tutto il mio corpo. Mai come in questo caso potevo definire il mio,

come un corpo fluidico. Il dentro e il fuori, io e la realtà che mi circondava, eravamo

comunque cambiati. Come in un grande acquario pieno di olio, mi muovevo

lentamente, quasi a sobbalzi, la gravità non era più incombente. Mentre mi

inoltravo attraverso quello spazio rosso semi-liquido, mi venivano alla mente

pensieri di rivalsa, un po' stizzosi nei confronti di alcuni coetanei che mi

canzonavano per le mie fisse col mondo dell'occulto. Adesso mi trovavo a vivere

un'avventura straordinaria, lontana dall'esperienze della maggior parte degli esseri

umani. Sulla punta della piramide, mi sentivo qualcuno...

Come capitava ogniqualvolta 'mi allargavo', una voce, un ricordo di Scandurra mi

ridimensionava.

“Se nasci falco, hai il dovere di volare alto, affrontare le correnti e il mirino del

cacciatore che vive in basso. Ognuno ha la frusta per il culo suo”.

Già nei primi tempi, mi profetizzò lo scenario della mia vita che mal compresi e men

che meno mi ci preparai.

“Sarai uno di quei rari uomini felici, a cui è concesso di esistere in un sogno da

sveglio. Diventerai un apritore di strade perché altri possano percorrerle. Oggi

nascondi il tuo segreto, lo difenderai contro tutto e tutti. Domani lo svelerai al

mondo. Se costruisci un ponte, loro verranno.”

La mia felicità la avrei dovuta condividere con più persone possibili. Una missione

in piena regola. Già ho accennato che Scandurra delineò, per sommi tratti, il

grande cambiamento che il mondo avrebbe affrontato intorno all'anno 2012. Ci

diede delle consegne. Ognuno avrebbe dovuto adempierle in tempi diversi, ma

entro quella data nevralgica. Periodicamente ci ricordava quest'incombenza, ma

inizialmente non le attribuimmo molto peso. Erano così lontani quei termini. Il

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tempo però non si è fatto aspettare. Tutto scorre così velocemente. Il punto di svolta

è imminente e più vicino di quanto il calendario segni.

In quella sorta di budello vischioso, sempre più trascolorante verso il rosso scuro,

trovai serie difficoltà di equilibrio. Svolazzare in un liquido denso e al tempo stesso

solcato da una corrente ascensionale, un vento che mi innalzava, era

un'esperienza strana, più da pesce di fondale che da giovinotto assetato di

conoscenza. La conoscenza era anche questo, invece: trovarsi in un ambiente

nuovo e alieno, che faceva il paio con un sentore interno di emozione e

delucidazione. Mi prese una forte agitazione. Incominciava il timor panico. Avevo

serie difficoltà di respirazione. Me ne accorsi in quel momento che inghiottivo quel

liquido densamente strutturato. Tosse, nausea e vomito in sequenza veloce.

Sentivo una pesantezza progressiva che mi cresceva dentro. Affondai lentamente,

inesorabilmente. Pensai alla fine. In che modo morivo? Dove terminava la mia

vita? Di nuovo mi invase uno scoramento infinito.

Una sala circolare di dieci metri di diametro, scolpita nella roccia, illuminata non si

sa da dove, era la mia nuova sede. A pancia in giù, sopraffatto dalla stanchezza, la

gola come una fornace, ero vivo proprio perché sentivo dolore. Vuota la stanza,

vuoto il mio stomaco. Mi alzai e a sorpresa notai che i miei abiti erano asciutti;

niente dimostrava che fossi passato dalla zona rossa. Indubbiamente il servizio di

lavanderia e asciugatura era eccellente. Chi erano i solerti padroni di casa? Cercai

un qualche segno di riferimento sul muro, nel piancito. Niente che mi conducesse

ad una qualche risposta, niente, nemmeno una porta. Ma allora da dove ero

entrato? Nessuna fessura o piano mobile. Prigioniero, ecco che cos'ero,

prigioniero di una setta di folli adoratori di chissà quale divinità lovecraftiana. Di

nuovo la paranoia. Scandurra non mi avrebbe mai mandato allo sbaraglio, tanto

meno in una trappola senza uscita. È possibile che di fronte ad ogni ostacolo, davo

fuori di testa? Improvvisamente il pavimento insieme al soffitto incominciarono a

ruotare in sensi contrapposti. Questi spostamenti non producevano alcun rumore.

La loro velocità sembrava quella della lancetta dei secondi di un orologio. Poi, tutto

si fermò di colpo, ma non rischiai di cadere come sarebbe stato ovvio. E si aprì un

portello al centro del soffitto, da cui discese una passerella, forse metallica, fino a

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terra. Non vi erano dubbi, qualcuno voleva che vi salissi sopra. Così feci. Misi

prima il piede sinistro e poi quello destro e mi resi conto che l'inclinazione era di

almeno il 70%. Ma non dovetti elucubrare più di tanto, perché si mosse e mi

innalzò lentamente verso l'alto. Sembrava una scala mobile. Intanto il soffitto si era

aperto del tutto e nemmeno me ne ero accorto, ma quello che vidi non lo avrei mai

più dimenticato.

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sabato 12 giugno 2010

IUS 19

Mi trovavo in un immenso salone ottagonale, con altissimi pannelli-parete di

cristallo rosso - in tutto simili alla porta fluida - attraversato da una luce viva e

tranquilla che immergeva ogni cosa in un perpetuo succedersi di albe e tramonti

(lo constatai in seguito). Il salone poteva esser grande come un palasport senza

tribune. Quali mani avevano scolpito quel meraviglioso sito? Il pavimento era fatto

di legno – almeno così sembrava - color marrone, dalle mille sfumature e dalla

superficie levigata e morbida. Quel posto incredibile, artificiale ma che ti dava una

sensazione di simbiosi con la natura di tipo steineriano, era circondato da un

paesaggio collinare tipico del centro Italia, ma sullo sfondo si intravedevano

montagne altissime color porpora e viola, non proprio comuni dalle parti mie. L'aria

era frizzantina e profumata di fiori; non vi saprei dire quali, ma era una sensazione

molto intensa. Non c'era altro nella grande sala. Mi domandai a cosa potesse

servire tanto spazio; guardai l'orologio: fermo. Mi avvicinai alle pareti e provai a

toccarle: lo stesso effetto del portale semisolido rosso che avevo attraversato con

una certa difficoltà. Che fare? Fuori c'era una terra bellissima, niente di ostile, anzi.

La tentazione di uscire era forte. Però mi bloccai, forse dovevo attendere, cosa o

chi non lo sapevo, ma qualcosa mi suggeriva così.

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Tempo addietro, in un pomeriggio tranquillo giù a bottega, senza clienti né

seguaci, Scandurra aprì il palmo destro della mano e mi fece vedere un mucchietto

di cenere, chiedendomi cosa pensassi che fosse.

“Semplice cenere”, risposi senza pensarci su.

“Già, ma è cenere di una galassia estinta. Tutta qui, in un pugno. Se la stringi,

potrai sentire il suo dolore prima della fine. Eppure, qualcosa di potente, di infinito,

rimane ancora in queste poche tracce. Qualcosa di grande permane sempre, come

dopo la nostra morte.”

Era la prima volta che il maestro mi accennava alla morte. Non compresi subito

quanto mi stava dicendo. Galassia estinta, mah. Forse era una metafora.

Scandurra percepì la mia titubanza.

“È autentica cenere di una antica galassia. Più antica della Via Lattea. Me la diede

il mio maestro e ora la do' a te. Conservala, portala sempre con te, ti servirà prima o

poi.”

Tutto mi sembrava surreale come tante cose che riguardavano Scandurra. Non mi

ci abituavo ancora alle sue stravaganze. A volte mi prendeva in giro,

bonariamente. Questa volta sembrava serio. Cosa voleva dirmi? Cenere di una

galassia. Quanto dura la vita di una galassia? La Vibuti, cenere sacra

materializzata da Sai Baba, poteva avere delle analogie con quella del maestro?

Glielo chiesi.

“Le domande giuste che mi dovresti fare sarebbero: cosa rimane di una galassia

quando muore? e poi: chi è in grado di raccorglierne i resti?”.

Gli risposi che erano sicuramente le domande più pertinenti e attesi le risposte di

Scandurra. Invano.

Mi lasciò cadere in mano la cenere e sebbene impalpabile sembrava pesante,

anzi, la sensazione era quella di tenere in mano del mercurio: solida liquida

sfuggente.

Il tramonto ammirato dai pannelli era pazzesco. Riflessi dorati, rossastri, polarizzati

si confondevano in un mix di colorazioni mai viste prima di allora. La cosa più

incredibile – abuserò spesso di questi aggettivi – era che producevano un effetto

sul mio corpo, curioso, bello, esaltante: la luce composta mi pizzicava

avvolgendomi, la sentivo coprirmi. Questo effetto non finiva lì; avevo ora la

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percezione mia e dell'ambiente in cui stavo, globale, cioè vedevo dappertutto,

davanti dietro, dai fianchi, sopra sotto. A raccontarla tutta però, ciò mi fece

ondeggiare a tal punto che caddi. Mi girava la testa, anzi, non la sentivo. I sensi mi

si stavano confondendo, sopra sotto davanti dietro, i profumi fortissimi, i colori che

piccavano. Credevo di avere la febbre alta. L'io cosciente era dislocato fuori dal

corpo, oppure era così allargato da comprendere interno/esterno. Poi, dopo 4 o 5

minuti o chissà quanto, mi ripresi lentamente. Di nuovo in piedi, tonico, gagliardo.

La visione globale era uno spettacolo, altro che il 3D. Ora, comunque dovevo

decidermi: attendere o uscire alla conquista di quel mondo magico? Fremevo, una

spinta interiore interagiva con un'altra più mentale, sentivo di poter volare, correre.

Ero lì lì per uscire, quando un sapore di metallo e un ottundimento auditivo mi

fermarono, alzai la testa – non mi ero ancora abituato alla visione globale – e vidi

un vascello fantasma (così li chiamava Scandurra), insomma un disco volante –

negli anni settanta lo chiamavamo ancora così – che scendeva verso di me. Era

poco più piccolo del diametro del salone e questo mi obbligò a spostarmi verso i

pannelli. Il disco si fermò a mezzo metro da terra, senza apparenti sostegni. Ero

elettrizzato come potete ben immaginare, ma senza il benché minimo timore. Era

giunto il mio turno per incontrare l'ignoto. Io solo con altri esseri cosmici. Non c'era

Scandurra – sebbene senza di lui sarei stato ancora ad invidiare le mirabolanti

avventure di Adamsky o a sognare le Cronache Marziane di Bradbury - e così mi

sentivo padrone del mio destino. Io, Angelo, avevo un incontro ravvicinato del III

tipo, dove e con chi lo avrei saputo presto.

Il disco verdenero, saturnomorfo, non emetteva rumore, non aveva segni di

riconoscimento, la sua superficie sembrava ruvida; intanto, il sapore metallico

aumentava, più invasivo che mai. Una forte pressione alla testa, insieme ad un

senso di nausea, furono segnali anticipatori di una serie di fiotti di sangue che mi

fuoriuscirono dalle orecchie. La situazione si faceva critica. Cercai con un

fazzoletto – le mamme negli anni settanta ci ricordavano sempre di portarne uno

quando uscivamo di casa – di detergermi. Speravo in cuor mio che le cose

potessero prendere una piega positiva, come sembrava all'inizio. Subentrò la

paura. La mia percezione speciale, la visione globale, ora diventava problematica.

Tutto stava girando intorno a me. Perdevo le coordinate alto basso profondità,

suoni sapori sensazioni cambiavano repentinamente. Una fitta feroce allo stomaco

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e alla tempia, simultaneamente, mi fece piegare e contorcere. Ricordo che gridai

aiuto, ma riuscii ad emettere solo un rantolo. Invocai Dio, il dolore era tremendo,

insopportabile. Istintivamente, misi la mano in tasca e cercai la cenere della

galassia estinta, conservata nel portatessera. Non so perché lo feci, se per spirito

di conservazione – ma come poteva aiutarmi un mucchietto di polvere? - o per

disperazione. Credevo di potermi sorreggere da solo tra mondi alieni, camminando

senza grucce fra dimensioni tangenti, oltre ogni più sfrenata immaginazione. Ma

nessuno nasce imparato e io non potevo fare a meno del maestro. Proprio in quel

momento toccai con mano, è proprio il caso di dirlo, uno dei più grandi misteri di

Scandurra.

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giovedì 17 giugno 2010

IUS 20

Nel mondo in cui mi trovavo, la cenere di quella antica galassia estinta,

evidentemente, assumeva connotazioni impensabili, racchiudendo il ricordo di

un'energia immane non del tutto esaurita. Un'onda, letteralmente un'onda di non so

quale acqua, proveniente non si sa da dove, fresca, rigenerante, mi investì. Fui

innaffiato da una secchiata cosmica – è il caso di dirlo – che mi rimise in piedi e,

cosa curiosa (ma cosa non lo era?), non mi bagnò. Sveglio, lucido, riacquistai la

visione globale e di fronte a me, immobile e maestoso il disco verdenero, simbolo

ignoto che dovevo svelare. Mi avvicinai e lo toccai. Al tatto era morbido, come di

gomma. Una leggera pressione lo deformava, poi ritornava al suo stato iniziale. Un

disco gommoso? Mah, la mia impressione era quella di vivere in una dimensione

psichedelica, un paese delle meraviglie senza cappellai né stregatti, dove le

coordinate spazio-tempo, la logica ordinaria, erano messe a dura prova. Parlai

troppo presto. La cosmonave ebbe come un sussulto e si formò intorno ad essa un

alone luminescente azzurro, pulsante, che si estendeva per tutto il salone. Quel

cambiamento sembrava l'avvisaglia di una manifestazione; un incontro? Fui invaso

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completamente da quella luce, ma non mi impedì di entrarci dentro. Non compresi

subito se vi ero entrato o mi aveva inghiottito. Un'idea dapprima confusa poi,

lentamente, più chiara e definita, si fece strada: la cenere galattica donatami da

Scandurra, non era né un corroborante né un placebo sui generis, ma un piroforo

per oltrepassare un portale. Il disco non era un'astronave, o almeno non solo;

quello che sembrava un velivolo extraterrestre, in realtà fungeva da scalo

dimensionale, per usare un'espressione a me cara in quegli anni. Quindi, una sorta

di ponte cosmico mi si era parato davanti, per permettermi con l'ausilio della

cenere di accedere verso orizzonti lontani. Questo particolare stato unitivo, che

sentivo crescere in me, una sorta di sesto senso permanente, produceva una

condizione psicosomatica e animica mai provata sino a quel momento. Mi sentivo

investito da un'energia sconosciuta e da influssi che misteriosamente si

traducevano nella mia mente in parole e immagini, o come oggi si suole dire, in

informazioni. Da quella fatidica esperienza, ebbe inizio per me una forma di ricerca

indotta, che lasciava dietro di me, per sempre, il modello deduttivo del comune

pensare.

Per Scandurra, esistono leve magiche fatte di materia, dalle apparenti funzioni

infantili o marginali, che permettono il passaggio tra i mondi. Li detengono i

discendenti di un ceppo antico, gli Atlantidei, proiezioni mutanti dell'uomo futuro.

Lui era a pieno diritto il discendente di quella superciviltà di semi-dèi. E la sua

modesta condizione sociale, secondo i canoni odierni, era un'ottima

rappresentazione del cosiddetto briccone divino, secondo i canoni antropologici.

Ritornando ai simboli di trasformazione, per il passaggio attraverso i mondi

dimensionali; è una concezione bellissima, esaltante, che qualcosa di semplice e

quindi di vero, possa permettere l'accesso da uno all'altro di questi mondi.

Schegge proiettate dalla scomparsa del mitico continente, si sparpagliarono

12mila anni fa. Sorgenti di energia, pacchetti di fotoni primordiali vennero assorbiti

da elementi di materia tra i più dissimili. Quando il maestro mi rivelò il segreto, ne

rimasi colpito, disorientato: una biglia colorata, una trottola, un pendolino, un

anello, potrebbero aprire un portale o una botola del baratro senza fondo, verso

dimensioni molteplici. Maniglie di accesso, preziosissime e pericolose, da

custodire come la vita, ereditate e conservate con estrema cautela da un'anonima

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talenti che si unisce ogni volta che il caso lo richiede.

Lui le chiamava 'spolette' (ma per attivarle bisognava conoscerne il nome specifico,

la vibrazione), ce ne sono migliaia disseminate (ma non del tutto perdute) sul

nostro pianeta, tante quante sono le botole d'accesso dell'ipersfera, il baratro

senza fondo che si affaccia sugli universi tangenti. Io ne possiedo una. Il loro

valore, come potete ben comprendere, è inestimabile; per me, semplicemente

sono senza prezzo, nel senso che sono gratuite. Fate un calcolo approssimativo:

quanti potenti ne vorrebbero entrare in possesso, ad ogni costo e a qualunque

cifra? Chi possiede le spolette, possiede il mondo e gli eventuali corridoi di

accesso ad altre dimensioni. Ciò che vado raccontando ha dell'incredibile, anzi,

dell'impossibile, ma non mi preoccupo affatto del diniego degli scettici, e non per

superbia, perché insieme ad altri fortunati entronauti, abbiamo viaggiato in lungo e

in largo fra dimensioni, mondi e stati multipli, abbiamo vissuto esperienze

bellissime e terribili e nessuno, proprio nessuno, potrà mai togliercele. Forse meno

mi si crede e meglio è: le persone senza interessi ordinari e dagli intenti elevati, mi

crederanno o sospenderanno il giudizio. Non sto qui a far proseliti, non voglio

fondare né una setta né un movimento spiritualista. Semplicemente racconto

quanto mi è accaduto e, soprattutto, voglio far conoscere un maestro, umile,

semplice, ma unico, un uomo eccezionale su cui è caduto un pezzettino di Dio e

che ho avuto l'onore di incontrare. La spoletta è ancora in mio possesso e tuttavia

non la possiedo, la uso secondo la consegna di Scandurra.

Di fronte a me appariva in tutta la sua grandiosità, la fantastica stazione cosmica,

una cittadella arrampicata su di un picco montano: minareti, cupole, palazzi dalle

forme tondeggianti, vetrate multicolori, immensi padiglioni sotto un cielo di luce

brillante. Sensazioni a centinaia, a migliaia mi arrivavano. Voci suoni profumi tutti

in simultanea. Mi trovavo come in una tavola fuori testo di un libro di Tolkien o di

Lord Dunsany, ma era tutto vero, reale, magico. Il professore di Oxford, forse

conobbe Scandurra...

Nei momenti topici della vita, chissà in base a quale curiosa combinazione

psicologica, ti vengono in mente pensieri banali: sarei tornato a casa per

colazione?

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venerdì 25 giugno 2010

IUS 21

Dove mi trovavo (?), il tempo assumeva un valore diverso. Si ha l'impressione di

vivere un film al rallentatore, ma, parallelamente, trascorre il nostro tempo

soggettivo. Mi sentivo in una sorta di sdoppiamento controllato, come se vivessi da

due postazioni differenti, quasi all'unisono. Mi passarono davanti/dietro, di lato e

sopra, spezzoni di immagini, venti sonori, volti e figure geometriche svolazzanti;

erano i primi segni di vita, o almeno sembravano tali, che incontrai. Nella struttura

sottile del tempo esistono cose appena abbozzate, riflessi e riverberi, che poi

ritroviamo come forme residuali in determinate condizioni sulla terra; volgarmente li

chiamiamo fantasmi. Qui, la struttura sottile assume un'estensione particolare. Un

mese lì, equivale a tre ore circa nella nostra dimensione. Provare per credere.

Il paesaggio era incantevole, fatato. Il cielo blu cobalto, mi sembrava meno

sterminato, la volta era, come dire, più raccolta, meno alta. Dopo un po' le figure

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che mi aleggiavano intorno si dileguarono improvvisamente. Qualcosa stava per

succedere. Intanto, decisi di muovermi. Guardavo con curiosità i miei piedi, le

gambe, e sentivo un effetto strano, come di leggerezza, di facilità nei movimenti. Il

prato all'inglese, era soffice, sì, ma c'era minor impatto nel passeggiare; mi

sosteneva maggiormente che sulla terra, come se rimbalzassi. Non era la minore

gravità, non saprei dire perché, però aveva a che fare col tempo rallentato. Mi

osservavo da fuori e in perfetta sincronia percepivo il mondo dietro la mia fronte –

ma forse un leggero scarto divideva le visioni. Ero stimolato al massimo, sentivo

ogni cellula del mio corpo vibrare, rispondere.

La stazione che avevo di fronte, non aveva nulla dell'astroporto, ma che dico,

anche di un terrestre aeroporto. Non vedevo rampe di lancio, piste o quelle

strutture tipiche dove partono e arrivano aeroplani. Infatti, non si decollava né si

atterrava: si entrava o si usciva. Era un varco interdimensionale fuori da ogni

possibile immaginazione. Ero ad un crocevia cosmico per tutte le destinazioni,

piani dimensioni mondi, un ventaglio di possibilità che il sottoscritto, tra i pochi

uomini contemporanei, aveva avuto in dote dalla fortuna di scegliere. Scegliere per

andare dove? Un dubbio atroce mi scosse. Scandurra non mi aveva dato

indicazioni in proposito, o almeno non le ricordavo. Decisi di recarmi in quella

cittadella inerpicata lassù e così avrei chiesto a qualcuno ragguagli. A prima vista

lo scalo distava alcuni chilometri in linea d'aria. Tra me e la stazione, vi erano prati

all'inglese e alberi raggruppati in buon ordine. Non vedevo un sentiero, ma

realizzai che la linea retta mi avrebbe portato facilmente alla meta. Stupidamente

feci una balorda considerazione: e se avessi incontrato il cappellaio matto, o

comunque un tipo strano dall'idioma incomprensibile e dall'atteggiamento ancora

più illogico, come mi sarei dovuto comportare?

Niente di tutto questo avvenne. Incominciava per me l'avventura; potevo ben dire di

essere il ragazzo più fortunato del mondo. Quanti prima del sottoscritto avevano

avuto la possibilità di esplorare l'ignoto? Credo pochi, qualcuno ne aveva fatto un

resoconto camuffato da romanzo, altri avevano taciuto. I viaggi dell'anima di mistici

e sciamani, erano ben catalogati, analizzati, inseriti nella fenomenologia della

storia delle religioni; ma ben poco c'era che riguardava l'esperienza totale,

l'immersione in varchi interdimensionali, quella che stavo facendo grazie ad un

maestro unico nel suo genere, ammesso che vi fosse un genere come quello.

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Ero avvolto in uno sconfinato silenzio, ne ero assorbito. Forse per spirito di

conservazione, richiamai l'attenzione e la necessaria tensione, sebbene confidassi

nella bontà di Scandurra che mai mi avrebbe mandato in un luogo da cui non sarei

stato in grado di cavarmela, ma ero pur sempre un viaggiatore in una contrada

incognita, dove le categorie spazio-tempo, la presenza a me stesso, la coscienza

ordinaria, erano rivoluzionate. Avanzavo in quello stato duplice di osservazione,

non sentivo il mio peso abituale, camminavo lentamente o forse mi vedevo

lentamente camminare.

Dovrei scrivere molto di più di quel che sto qui abbreviando, poiché le tante cose

che mi si presentarono meriterebbero una serie di capitoli di un ipotetico libro.

Quanto sto ora scrivendo è la premessa necessaria per localizzare il punto

dimensionale nel quale si verificò il fenomeno mitico che mi investì: si tratta di un

posto reale, da me raggiunto e che influì decisamente sulla mia visione della

realtà, sull'interpretazione di casistiche aliene e su come leggere il mondo.

L'aria si faceva fresca. Mi accorsi della presenza di una sorgente, sul limitare del

boschetto di destra, e poiché avevo sete, mi diressi verso una polla d'acqua.

Piegandomi, immersi cautamente la mano: era fredda e leggerissima. Allora ne

raccolsi un po' sul palmo della mano e vi accostai le labbra. Era frizzante e buona,

difficile valutarne la composizione. Notai che non vi era sottobosco né cespugli, gli

alberi erano simili a faggi, emanavano profumi mai sentiti prima. Intravidi ad un

certo momento qualcosa che si muoveva a poco più di cinque metri da me. Una

specie di roditore, un topo gigantesco, grosso come un maiale, dal colore marrone

scuro, mi fissava e alzava la sua coda anellare. Mi spaventai, lo confesso. Stava

masticando non so cosa, poi emise una specie di rutto-squittio baritonale e si girò

allontanandosi lentamente, sculettando. Il mio primo incontro con un animale di

un'altra dimensione. Se i topi erano così grossi in quel mondo, figuriamoci i gatti.

Alzai gli occhi al cielo, profondo, brillante. Finalmente realizzai: era giorno ma non

c'era nessun astro. Allora, piano piano, si formò nella mia mente un pensiero, una

domanda: dietro quel cielo c'è Dio?Sentii dei fruscii tra le foglie e restai con le

orecchie tese per capire che cos'era quel rumore. Quel bosco mi sembrava più

grande che visto da fuori. Girai intorno ad un grosso faggio e scorsi un fiume, non

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più largo di 20metri che divideva il bosco. Placido, sembrava un canale artificiale

per quanto era preciso nelle sue anse e argini: un fiume disegnato da un pittore

iper-realista. Ma mentre facevo queste elucubrazioni, una vampata di luce

intensissima apparve come dal nulla proprio in mezzo al corso d'acqua. Una sfera

perfetta dal diametro di 10/12metri, mutava con velocità folle di colore; ne distinsi

solo alcuni, rosso blu giallo verde oro, gli altri non saprei come identificarli. Non

emetteva nessun suono. Stava lì sospesa a 2metri dalla superficie del fiume ed io,

sulla riva e con la bocca aperta, trattenevo il respiro. Stava lì per puro caso? Era un

u.f.o. che mi dava il benvenuto? No, quella sfera cangiante, era qualcosa che non

aveva nulla a che fare con le mie ipotesi iniziali. Il mito si era manifestato,

attraverso un simbolo, una potenza. Elettricità pura, anzi, la sua sorgente.

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giovedì 1 luglio 2010

IUS 22

. . .

1.

Scrivo queste vicende senza intenti divulgativi, soltanto per registrarli con passione

e amore di discepolo, mi si passi il termine. È la meraviglia che mi spinge a

raccontare, anzi, è l'esperienza che vivo, la vita unica e speciale che mi si fa

incontro, è il miracolo disceso dentro il mio cuore. Vivere e scrivere ciò che vedo

sento gioisco; disseminare tracce di accadimenti incredibili, che pochi uomini

hanno vissuto, è un dovere, o almeno lo sento come tale. Non so se mai qualcuno

leggerà le mie Cronache; se Scandurra mi permetterà di rivelare i segreti che ci ha

donato; e comunque, credo che sia giusto lasciare un'impronta di questo uomo

straordinario, perché una nuova generazione migliore di quella nostra, possa un

domani continuare l'opera sublime che un 'fruttarolo' proveniente da Atlantide ci ha

lasciato. Se le Cronache un giorno dovessero venire alla luce in un libro, non mi

illudo che vengano accolte per quello che sono, cronache appunto. È fin troppo

facile immaginare le ironie, le spallucce, gli sfottò di tutti gli scettici del mondo.

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Scandurra si nascondeva non per vergogna o timore, ma per non dare adito agli

intellettuali con le loro obiezioni di confondere i semplici. Piuttosto operava in

silenzio. Pertanto, se mi mettessi a spingere in qualche modo, onde ottenere la

possibilità di una pubblicazione, non potrei evitare situazioni generanti dubbi,

opposizioni. Allora trascrivo le Cronache per me, ma sotto sotto anche per ipotetici

lettori, magari riservati, intelligenti, aperti di mente ma non creduloni. Esistono?

2.

A volte a bottega, mi portavo il taccuino dove appuntavo i fatti salienti delle giornate

passate insieme al maestro; lui con gli occhietti furbi cercava di sbirciare cosa

scrivevo e ridacchiava:

“Oggi non concedo interviste, aspetto il contadino che mi porta certi cavoli...”.

Quando ero corrucciato per qualche problema ordinario, lui schioccava le dita e mi

rassicurava:

“Andrà bene, il karma si riassorbe”.

E dopo un po' quel peso allo stomaco che avevo, scompariva. Magia?

Suggestione? No, il maestro assorbiva su di sé l'onda emotiva. Si metteva sulle

spalle quelle mie piccole croci. Lo faceva con tutte le persone che ricorrevano a lui:

uscendo dalla sua bottega erano più sollevate e piene di speranza. A suo modo,

era un santo, senza altare e senza chiesa, certo, ma come si dice a Viterbo,

c'aveva un core così.

Mi accorgevo di certi suoi momenti difficili, che solitamente mascherava assai

bene. Tentavo di stargli vicino, senza mostrare particolare premura. Allora si rideva

su cose futili, curiose. Per lui l'amicizia era una cosa sacra, proprio per questo

aveva pochi veri amici e tanti furbi approfittatori, ma non si crucciava. Quello che

contava per lui nei rapporti, era quanti etti di cuore ci si metteva sopra, senza

interessi né senso del possesso. Pochi erano disposti ad aprirsi, a concedere un

pezzetto d'anima agli altri. Tutti accartocciati e chiusi nel proprio bozzolo egoico,

impauriti a mettersi in gioco, a rischiare per qualcosa di importante, di esemplare.

Con Scandurra tutta la vita.

3.

Quando sentivo in tv attacchi e accuse nei confronti di guaritori e sensitivi, tutti,

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indistintamente, considerati cialtroni e perniciosi, avevo un moto di rabbia che a

stento controllavo. Scandurra era la prova vivente di un uomo dai poteri e

conoscenze fuori dall'ordinario, che aiutava il prossimo gratuitamente e senza dare

a vedere i sacrifici che gli costavano; e poi, qualche giornalista o scienziato, per

motivi non sempre elevati, sparava a zero su quel mondo dell'occulto, dove c'erano

senza dubbio imbroglioni, come in ogni settore del resto, ma pure operavano

personalità eccezionali, che donavano la loro vita agli altri. La stessa grassa

Chiesa cattolica, puntava il suo dito inanellato d'oro e rubino, contro medium e

paragnosti, maghi ed esoteristi, bollandoli di eresia, accusandoli di propagandare

la superstizione, di commerciare col demonio. Si respirava negli anni settanta una

non dichiarata pubblicamente caccia alle streghe, ingiusta perché generalista,

sospetta perché nascondeva timori innominabili. Scandurra mi rassicurava a modo

suo:

“Tanto verranno prima o poi tutti a bottega”.

Per certi versi era profetico. Ho visto passare dal mio maestro, tanta di quella

gente, di ogni ceto e fede, preti intellettuali funzionari medici, oltre a tante persone

bisognose con la speranza di veder risolti i loro guai. Col tempo, mi rassegnai; gli

scettici a prescindere, gli invidiosi, i superbi, erano una categoria dell'umanità che

ci avrebbe accompagnati fino alla fine, fino a quando avrebbero visto con i loro

occhi, la verità. Forse.

4.

Scandurra a volte si soffermava su quello che sarebbe dovuto avvenire di lì a poco

– correvano gli anni Settanta - ovvero sulla fine della Terra accompagnata al

risveglio delle materie oscure, anzi, proprio il ribaltamento dello stilema scienza/

magia. Le sue riflessioni sembravano più pensieri a voce alta, non erano

informazioni, descriveva ciò che vedeva, il tutto trattato in modo crepuscolare. La

sua visione che il futuro e gli altri mondi non saranno semplici estensioni di ciò che

è adesso, bensì dimensioni completamente aliene, ci lasciava atterriti. Intravedeva

un varco di proporzioni cosmiche intorno all'anno 2012 e che avrebbe interessato

tutta la Via Lattea. Noi gli chiedevamo perché proprio quella data [non sapevamo

nulla di profezie Maya]; lui, ci sussurrava:

“Siamo in riserva e l'indicatore segna già il termine”.

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[E pensare che ci sembrava così lontano il 2012, un altro millennio. Non ci

riguardava. Ora ho 52anni e sento su ogni cellula del mio corpo, l'approssimarsi di

tale scadenza.]

. . .

Verso lo scalo interdimensionale - 1 parte

Quella sfera multicolore di energia cangiante, radiale, fenomeno fluttuante, mi

assorbì. Sì, è il verbo giusto. Avevo la lucida sensazione di fondermi con essa. E

così decollai, sì, decollai e allargai le braccia a mo' d'aeroplano per bilanciarmi,

istintivamente; passavano i secondi, ma sembravano più corti, mi avvicinavo fin

quasi a toccarla. La sfera di plasma luminescente stava sospesa dinanzi a me, i

suoi colori mutavano velocemente, in mille sfumature, alcune non riuscivo

nemmeno a percepirle, per me erano letteralmente ignote. Volavo, la mia stessa

intenzione dava la direzione al movimento. Il pensiero vivente mi guidava senza

incontrare ostacoli. Sentivo di poter fare qualsiasi cosa. Quindi vi entrai e un suono

profondo, un basso abissale mi investì. Ero fatto di suono luce energia movimento

gioia vibrazione espansione leggerezza. Cosa succedeva? Tempo spazio e

conoscenza, lasciavano il posto ad uno stato dell'essere nuovo, intermedio,

quando la scena mutò e mi trovai davanti ad una ruota gigantesca color testa di

moro, anch'essa sospesa ma sopra un territorio collinare bluverde, inframezzato di

laghi dalle acque rosse. Assomigliava ad una ruota di carro, semplice, robusta. Le

orbitano intorno. Il suo diametro era quello di un campo da calcio. Non produceva

suoni e girava su se stessa in senso orario, una immane lancetta dei minuti. Poi

cambiò ancora, come in dissolvenza: da una rudimentale ruota agricola ad una

specie di orologio da campanile marziano, composto da decine di ingranaggi

sovrapposti che giravano nei due sensi. Anziché i numeri, vi erano miriadi di

simboli non riconoscibili, immagini in movimento di paesaggi alieni (ma potevano

pure essere terrestri) e forme statiche.Un simbolo del Tempo? Oppure era il dio del

Tempo? Ma io cosa ci facevo lì? Chi avrei dovuto incontrare?

La sensazione di me stesso permaneva e cioè vivevo uno stato onnidirezionale,

globale, circolare, interno/esterno. Questo mi permetteva, evidentemente, di poter

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accedere ad informazioni che andavano ben oltre le capacità sensoriali e cognitive

ordinarie. Ad un certo momento, un flash e sapevo o ricordavo. Giravo intorno ad

un meccanismo che regolava la meccanica celeste dello scalo interdimensionale.

Detta così, sembrerebbe cosa astrusa, letteraria, fantascientifica. In realtà, era la

sala comandi che muoveva e dirigeva l'entrata e l'uscita verso un altro universo.

Chi erano gli ingegneri cosmici che avevano realizzato quest'opera colossale di

scali dimensionali? Quale civiltà così grandiosa, evoluta, era stata capace di

collegare tra loro gli universi? Caspita, vivevo un'esperienza impossibile soltanto a

formularla, unica forse al mondo; ma poi ripensavo a Scandurra, umile fruttarolo di

Viterbo e allora rivedevo il tutto con un altro spirito, quello di servizio. Non stavo

facendo un trip psichedelico per godere di chissà quali effetti coscienziali; ero lì per

un compito ben preciso. Dovevo recarmi in quella cittadella fantastica, poggiata sul

picco della montagna azzurra. Avevo un appuntamento, certo. Con chi? Non lo

sapevo ancora, ma lui mi avrebbe riconosciuto.

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lunedì 5 luglio 2010

IUS 23

. . .

1.

Scandurra era un modificatore di universi. Sembra un'espressione a dir poco

azzardata, quasi si trattasse di un essere divino, titanico. Invece, dopo anni di

frequentazione e di esperienze, il maestro faceva sembrare facile, semplice,

ordinario lo straordinario; il bello era che te lo faceva vivere, provare. Allora, ci

dimostrava che in un angolo angusto del nostro mondo interiore, poco frequentato,

in profondità ma attingibile, vi era un quid di potenza ignoto a tutti. [Il Grande

Ignoto, in pratica, eravamo noi, in quanto esseri umani ignari di possedere le leve

dell'universo: le spolette.] Modificare universi, significava operare incessantemente

tra più dimensioni al fine di restaurare un ordine là dove esso era in pericolo. Ma a

che tipo di ordine alludeva Scandurra? Ci raccontava che gli atlantidi avevano

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scoperto una singolare instabilità dell'universo, che comportava la progressiva e

inesorabile fine di ogni forma di vita. L'accrescimento dell'instabilità in rapporto alla

deformazione del continuum spazio-temporale, produceva una collisione tra

universi tangenti dalle conseguenze inimmaginabili, e tutto questo avveniva in una

unità-tempo ben precisa: un centesimo di secondo. Più volte ho accennato alla tesi

del maestro sulla scomparsa del mitico continente. Ebbene, Atlantide scomparve,

frapponendosi tra la nostra e un'altra dimensione. Ora, tutto accadde, allorché le

fazioni contrapposte del Regno di Atlantide, sembravano contendersi il potere

politico. In realtà, non di poltrone parliamo. L'una, voleva salvaguardare l'equilibrio

cosmico tentando di ripristinare l'instabilità entro limiti accettabili; l'altra fazione,

contro ogni umano sentire, si adoperava per incrementare l'instabilità, così da

anticipare la fine dell'universo. A tal fine, i maghi neri (o i loro referenti ibridi, i

saturniani) avevano costruito delle cosmonavi capaci di apportare entropia

laddove erano destinate, soprattutto nei pressi delle cosiddette botole sul baratro

senza fondo. Interrogammo il maestro sulle motivazioni che spingevano degli

esseri umani come noi, sebbene evolutissimi scientificamente, a voler distruggere

l'universo. La sua risposta era più o meno questa:

“Il male è un parassita molto tenace, distrugge solidità e bellezza della creazione e

tutto ciò che è fertile, e vi lascia solo macerie. A certi livelli di conoscenza, l'essere,

a qualsiasi universo appartenga, diventa folle e il suo delirio, la sua febbre,

possono essere attenuati soltanto distruggendo tutto. Egli è spinto da una

necessità indomabile di vuoto; è come sentirsi un dio inverso. Si guarda, infine,

negli occhi Dio...”

Lo scontro fu così feroce, da portare l'intera Civiltà Umana sull'orlo

dell'autodistruzione. I 'bianchi', onde limitare le conseguenze disastrose in cui si

veniva a trovare il pianeta, che fecero? Sacrificarono Atlantide, facendola trasferire

in blocco sulla linea di confine tra gli universi, in una sorta di stasi dimensionale.

Evitarono così la distruzione della Terra. Tuttavia non riuscirono a neutralizzare

completamente le forze sinistre. Infatti, i 'neri' si salvarono in buona parte,

rimanendo su questo piano, con tutte le cosmonavi e annessi. Come fecero, è

un'altra storia. Ma ne riparleremo.

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2.

Scandurra mi aveva mostrato una nuova condizione dell'essere, un

incoraggiamento al suo credo nell'Universo Magico, per cui era necessaria una

completa rivalutazione della conoscenza del mondo. Ho rinunciato, e questo già

nei primi anni settanta, al tentativo di spiegare, di cercare risposte in termini di

causa ed effetto e previsione. Mi sono lasciato dietro la struttura pragmatica tipica

del pensiero occidentale votata alla ricerca di risultati, vantaggi e domande da

porre. Ho mutato tutto il mio modo di concepire i fatti.

Ognuno di noi sa tutto di qualcosa. Ci sono fisici che studiano il caos attraverso

intricate formule matematiche e lambiccati modelli, cercando di capire se è

possibile che “il battito d'ali di una farfalla a Los Angeles provochi un uragano a

New York”, interpreti della teoria delle catastrofi, seguaci clandestini delle sinuose

rappresentazioni dei frattali. Tutta gente che ricerca un criterio alternativo di

razionalità nella disarmante irregolarità dell'universo. Il mio maestro Scandurra, già

titolare di una bottega di frutta e verdura nella Viterbo anni settanta (questi i suoi

titoli accademici), dal canto suo, decifrava l'amorfo del contingente, l'arbitrio del

casuale, attraverso una percezione a priori, e lo tramutava in una struttura

intellettuale dominata da vincolanti criteri di necessità. Scandurra era la prova

vivente della possibilità di un principio ordinatore del cosmo, che tutto il reale è

razionale in un modo speciale, che ci sono sintesi a priori del tutto

incommensurabili. Per lui, passare da una dimensione all'altra, era come salire

sulla scala mobile di un grande magazzino. Utilizzava, infatti, il passaggio

automatico di trasferimento che permetteva di infrangere la linea di separazione tra

gli Universi. Una botola, praticamente, verso il FOSSO SENZA FONDO che crea i

confini del Cosmo.

Il concetto di universo parallelo sembra oggi tornato di moda [scrivevo questo il

1973], anche presso autorevoli fisici e matematici. Nel nostro ambiente poi, è pane

quotidiano. Non c'è ufologo, contattista, medium, che non offra la sua versione

esplicativa su tale teoria. Di cosa stiamo parlando? Si tratta dell'esistenza, vera o

presunta, parallelamente al nostro universo sensibile percettivo, ma secondo

modalità analoghe di manifestazione, di altri universi sensibili. Queste regioni

normalmente si trovano tagliate fuori, indipendenti dal nostro universo, ma

possono talvolta interferire con il nostro. Scandurra è quel “talvolta”. L'idea di

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universo parallelo presuppone dunque quella di separazione tra due sfere

percettive, ma anche quella di passaggi occasionali da una sfera all'altra. Tra gli

universi paralleli esiste solamente un'interazione debole.

3.

Scandurra indicava nell'anno 2012 l'apertura di un Varco cosmico, che avrebbe

interessato l'intera galassia. Tutti noi dell'anonima, gli chiedevamo ulteriori

informazioni e, soprattutto, cosa avremmo dovuto e potuto fare. Su questo evento,

in preparazione di tale cosmico cambiamento, vertevano le nostre immersioni

interdimensionali. Zac era tra noi, il più esperto in fatto di viaggi, ma la sua

reticenza ci indignava alquanto. Tuttavia ce ne dovevamo fare una ragione, perché

lui obbediva ad una consegna. Frequentando Zac anche in ambiti diversi dalla

bottega, mi resi ben presto conto che stava cambiando. Questo suo mutamento

riguardava sia l'aspetto fisico che quello interiore. Il suo sguardo, poi, era

lontanissimo. Da qualche battuta che Zac si concedeva intorno ad un tavolo

imbandito di ogni ben di Dio (nota era la sua passione per la buona cucina),

emergeva uno status nuovo, che la sua vita principale non era più di questo

pianeta. In chissà quali mondi passava buona parte del tempo speciale (diverso e

dilatato rispetto alla nostra dimensione). Compresi che l'esperienza IVI (sigla che

sta per immersione varchi interdimensionali, coniata dal nostro sodale tecnico-

scientifico) coinvolgeva a tal punto il viaggiatore da trasformarlo sin nel profondo,

DNA memoria intelligenza volontà, tutto cambiava.

. . .

Verso lo scalo interdimensionale - 11 parte

Decisi di ritornare sui miei passi e dirigermi verso la cittadella, con un semplice atto

di volontà. Mi allontanai dal grande orologio, la sala comandi, fino alla sfera

cangiante, abbassando le braccia e come un mirage a geometria variabile, atterrai

in piedi sulla riva. Ebbi la forte sensazione che era il paesaggio a muoversi e non

io a volare. Comunque, il globo luminoso si allontanò, ma sarebbe meglio dire, si

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smaterializzò; mi girai e di fronte a me, con quel muso da topo, stava il grosso

roditore. Mi prese un colpo. Non me lo aspettavo. Mangiucchiava non so cosa e mi

guardava. E se mi avesse parlato? Avrei sicuramente avuto la convinzione di

vivere in un sogno acido. Invece se ne stava buono buono a masticare. Tentai un

approccio amichevole, allungando la mano verso il suo capoccione. Pessima idea:

digrignò i denti giallastri e mi sfiatò addosso del vapore grigio. Il suo fiato

denunciava pasti pesanti: una cloaca di gas mi colpì. Certo, gli animali nei romanzi

fantastici avevano ben altri aspetti, comportamenti e profumi. Continuava a

fissarmi. Cambiai strategia. Agitai le mani per tentare di spaventarlo. Niente. Mi

rivolsi al topolone con voce decisa:

“Che dobbiamo fare? Io devo andare lassù, in quella cittadella, tu che vuoi da me?

Sono grosso da mangiare, vengo dalla Terra del sistema solare e non ti piacerei.”

Così avrebbe parlato un eroe in un qualunque romanzo di fantascienza anni

quaranta. Sarà stato il mio tono scocciato, oppure la mia provenienza, il topolone si

girò, inoltrandosi poi nel bosco. Cominciavo a sentirmi più a mio agio. Non c'era

ostilità su quel mondo. Tutto ciò che è nuovo crea disagio. Uscii dal boschetto e

guardai affascinato la splendida cittadella, aggrappata su quel picco. Stava lì, la

magica cittadella, davanti a me. Una enorme porta trapezoidale preannunciava

ricchezze architettoniche, artistiche, inimmaginabili. Difficile capire di cosa fosse

fatta. Granito luccicante azzurro, levigato. Quello che però mi disorientò, era la

mancanza di vita, o almeno all'apparenza. Colossale, alta 35/40metri, la

oltrepassai con una certa apprensione. I palazzi sembravano fatti da mani umane,

ma con una visione diversa, come dire, una altra possibilità costruttiva. Le forme

erano diversificate fino a non distinguerle affatto: cubi piramidi sfere e altri volumi,

su una medesima struttura e collegate da pontili da mozza fiato. Gli sfavillanti colori

si fondevano benissimo, con sfumature che non avevano una ragione, o non la

percepivo io. Era, la mia, una visione globalizzante, un grandangolo psichico che

abbracciava buona parte della città. Mille stradine, vicoli, rampe che si slanciavano

verso i piani alti dei palazzi, il tutto aveva una sua dimensione organica, un'alveare

urbano non asfissiante sebbene intrigato, collegato. Ecco, la definizione della

cittadella: un tutto collegato armonico.

Mentre guardavo affascinato, qualcuno mi diede un colpetto sulla spalla destra, mi

girai di scatto perché pur con la mia nuova capacità onnipercettiva, non lo avevo

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visto. Un giovane uomo (umano?), dalla corporatura robusta, slanciato, belloccio,

dall'incarnato rosa, occhi blu e capelli lunghi nerissimi che portava all'indietro, con

un vestito all'inglese, mi sorrise e con fare cortese si rivolse a me:

“Faccio gli onori di casa. Mi chiamo Roberto Castelli Fornasieri, sto qui da alcuni

anni terrestri. Sono un trasferitore. Sono ben contento di esserti di aiuto.”

Non avevo capito molto. Fornasieri, trasferitore... traccheggiavo. Non riuscivo a

rispondergli. Stavo facendo una figuraccia. Pure da maleducato, sarei passato.

Presi fiato e improvvisai una possibile risposta:

“Roberto, grazie della tua cortesia. Angelo è il mio nome. Mi aspettavi?”

“Non preoccuparti. Tra spirito e sensi si innesta un nuovo equilibrio. Sei ancora in

rodaggio. È accaduto a tutti quelli di passaggio. La prima volta è così. Ti attendevo.

Scandurra mi aveva avvertito 9 anni fa del tuo arrivo.”

Nove anni fa avevo cinque anni e non mi ero ancora trasferito con la famiglia a

Viterbo. Ma perché mi stupivo ancora? Parlavo con un trasferitore di origine

terrestre, che somigliava ad un modello dell'alta moda, in uno scalo

interdimensionale. Che problema c'era? IVI.

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venerdì 9 luglio 2010

IUS 24

. . .

Ho maturato la convinzione che per i fisici odierni non esiste, né può esistere,

alcuna specifica concezione della Natura, tutto essendo destinato a rimanere

indeterminato e indeterminabile. Per essi, ciò che veramente importa non è tanto

interpretare i fenomeni della realtà in un modo o nell'altro, ma solo essere in grado

di prevederli e di collegarli tra loro in un modo che sia suscettibile di essere

sperimentalmente verificato. Vi sono eccezioni.

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'I buchi neri. La fine dell'universo?' è il titolo di un libro di John Taylor uscito il 1978,

per Armenia e lo si può trovare in via Merulana a Roma, presso la nota Libreria

Rotondi. Lo acquistai con curiosità, anche perchè l'argomento mi intrigava assai.

Stelle collassate diventano corpi neri che posseggono temperatura ed entropia

definite dal loro campo gravitazionale e dalla loro superficie. Che fanno questi

corpi neri? Irradiano particelle, così perdono progressivamente massa fino ad

evaporare. Cosa succede poi? Inghiottono ogni cosa? Diventano finestre verso

altre dimensioni? Molte le ipotesi. Era un periodo d'oro per me, in quanto passavo

dalla metapsichica allo sciamanismo, l'alchimia e la scienza di frontiera; studi tipici

di un dilettante incasinato ma entusiasta alla conquista della conoscenza. Il mio

maestro poteva apparire l'ultima persona al mondo in grado di discettare di teoria

della relatività o di parametri fondamentali dell'universo come la velocità della luce,

la costante di gravità universale, la massa dell'elettrone, l'intensità della forza

nucleare; sì, sembrava inappropriato a qualsivoglia discussione scientifica, ma che

dico, intorno alle più semplici leggi fisiche dell'universo. Quando gli illustrai le tesi

di fondo del libro, lui mi disse stentoreo:

“Dai buchi neri, come li chiami tu, nascono le galassie. Si aprono le botole

cosmiche, così sgravano nuova vita”.

Ma che diceva Scandurra? Riprendendo oggi gli appunti segreti – sono tali perché

non li ho mai divulgati, sino ad ora – mi accorgo che la sapeva lunga. Me ne

accorsi quando, durante una serata da amici (l'anonima talenti di Scandurra, era

composta di 10/12 tra donne e uomini) in un appartamento sito a San Martino (Vt),

capitò un giovane ricercatore del CNR, Massimiliano, che accompagnava la sua

fidanzata fissata di spiritismo. Lui la amava e si vedeva, ma era pure la sua

disperazione. Ad un certo momento della sera, dopo una scorpacciata di broccoli

impanati e fritti e fettine panate, innaffiati con vinello di Gradoli, la conversazione si

spostò su di un terreno minato – temevo, in questi casi, quello che poteva fare

Scandurra. Il giovane fisico romano con la sua impostazione intellettuale, era

quanto di più lontano poteva esserci dal mondo del maestro. Con una punta di

sarcasmo malcelato, incominciò a negare sia quanto la sua ragazza sosteneva che

tutto quello che concerneva il paranormale.

“Scopo della scienza è quello di descrivere e spiegare il mondo in cui viviamo...”.

Ma prima che potesse continuare, Scandurra alzò la mano come si faceva a scuola

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e destata l'attenzione del giovinotto saputello, disse:

“Mi piace caro ragazzo, dibattere sempre sul terreno del mio prossimo, non per

sfida e presunzione. No, perché credo che ci si possa intendere meglio sul campo

più vicino. La dispùta [la pronunciò accentandola sulla 'u' e questo generò una

risata tra di noi, pensando che Scandurra volendo fare il figo, usava ogni tanto

parole sconosciute al suo vocabolario] serve per capire meglio ciò che si crede di

sapere, ascoltando il proprio interlocutaneo...”, altra grassa risata.

Il fisico, per educazione, trattenne una risata per gli sfondoni lessicali del maestro.

L'atmosfera era simpatica, ci aspettavamo qualcosa di stupefacente da Scandurra.

Intanto, il nostro cortese amico che ci aveva ospitato, mise un 33 giri sul piatto, la

seconda facciata dell'album dei Pink Floyd, Meddle. Il brano era Echoes. Iniziava

con un effetto sonar. Come in una regia teatrale, il maestro attaccò a parlare dopo

poco che il suono pinkfloydiano prendesse quota.

“Caro Massimiliano, se osservi un effetto cerchi di capire quale possa essere la

sua causa. Con una teoria, un esperimento che lo riproduce in 'labboratorio'. Bene.

A volte le teorie sembrano buone perché spiegano abbastanza, ma non sempre

sono giuste. Usi dei modelli per capire l'Universo. Modelli, si dice, vero? Poi non

dite che leggo solo le bollette di gas e luce. Vedi, io non sono mai andato oltre la

quinta elementare, ed è stata dura imparare le 'tabbelline', la 'grammantica', e tutte

quelle altre fresche difficili. Ma ti dirò, mi sono imparato, grazie ad un maestro

bravo molto, come funziona davvero l'universo. Non so se è 'scintifeco', però

'funzziona'. E te la dico tutta. L'infinità dell'universo non è niente ancora, c'è di più e

di mejo”.

Scandurra infilava sovente nei suoi sporadici ma proverbiali discorsi-fiume,

strafalcioni e vernacolo, ogni tanto riusciva perfino a non violentare l'italiano. L'uso

di alcuni termini, concetti, era immaginifico e ben dimostrava l'assunto che si

proponeva, suscitando interesse e curiosità tra di noi. Non di rado utilizzava

terminologie tecniche precise, solo per addetti, da farci rimanere con un palmo di

naso e allora non ridevamo più: quell'uomo era pieno di risorse, oltre ogni

definizione.

“Devi sapere che ce so' effetti che precedeno le cause... che un

'alettone' [intendeva 'elettrone', ma forse si riferiva al quark, vallo a capire] arriva

prima de partì”, Massimiliano lo interruppe.

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“Parla in termini di fisica quantistica?”.

Scandurra gli rispose tutto compito:

“Regolare”.

Noi ridacchiammo sommessi, immaginando che la fisica dei quanti esulasse dalle

materie di studio del maestro. Ma quanto ci sbagliavamo.

“La scienza moderna fatta dai professoroni, però qualcuno sdirazza, non ci fa

conoscere il mondo com'è. Osservare una cosa non è garanzia di verità, ma

soltanto quello che è secondo come lo vediamo. Ciò che vediamo non è ciò che

esiste in assoluto, non è il mondo vero, ma quello apparente. Non sarà falso ma

nemmeno completamente vero. È come il surrogato di cioccolata, ha un sapore

che gli somiglia, ma la nutella è un'altra cosa, ma costa di più e quindi non è per

tutte le tasche. Ci siamo noi costruiti i limiti degli strumenti. Se sei miope, c'è poco

da fare, ti sfuggeranno sempre i particolari di una cosa. Ci vorrebbe una lente che ti

corregge la vista, ma valla a trovare. A volte l'intuito compensa il limite, ma ci

facciamo poco affidamento ormai. L'apparenza inganna, si diceva una volta, ma

oggi crediamo solo a quello che ci appare. La scienza, la religione, parlano di cose

parziali, secondo le convenienze; difendono il loro orticello ben coltivato, ma guai a

quello che vi entra e dice, 'amici, fuori di qui ci sono altri orticelli, venite che vi ci

accompagno'. Vedrai che pochi lo seguiranno per vedere se dice il vero o mente. I

giardinieri ufficiali diranno, 'sei gojo [matto], fuori di qui non c'è niente, lo vuoi

sapere meglio di noi che abbiamo deciso quello che è vero e quello che è falso?'.

Se il gojo insiste, lo accicciano [ammazzano]. Ti ricordi di Gesù, lui venne e disse

una cosa incredibile sia per quel tempo che per oggi: 'tutto il fuori è dentro'. Parlava

dell'abisso senza fondo dentro ogni cosa e da ogni cosa ci si può arrivare. Sai

come è andata, no? lo hanno accicciato. Regolare”.

Scandurra si riempì un altro bicchiere di vino e lo ingollò di un fiato, poi aspirò il

sigaro cubano regalatogli da Zac. Lo si vedeva gongolare. Vino buono, sigaro

ottimo, un interlocutore di livello e noi tutti a pendere dalle sue labbra. Imparai poi,

che lui giocava in questi frangenti e recitava una parte, quella del guru proletario,

la sua intenzione, invece, era quella di suscitare una vibrazione speciale in noi.

Aprirci all'oceano cosmico, assaporarne i gusti e inebriarsi della bellezza della

Creazione. Da qualsiasi argomento, o cosa o idea, lui ci apriva

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all'incommensurabile. Riusciva a trasmetterci suoni visioni sensazioni magiche.

Massimiliano tentò di obiettare, sostenendo che quella di Scandurra era filosofia

spicciola, e comunque non aveva nulla a che vedere con la scienza, la ricerca.

Scandurra sorrise.

“Ti faccio vedere una cosa. È la conoscenza delle leggi dell'energia e il suo

controllo. Qualcosa che è collegato al più intimo funzionamento della mente”.

Prese dal tavolo un pacchetto di sigarette. Lo tenne sul palmo della sua mano per

cinque o sei secondi, come se volesse pesarlo. Poi, lo riappoggiò al centro del

tavolo e un secondo dopo, il pacchetto fu come inghiottito, sparì. Sentimmo tutti una

leggera vibrazione.

“Ecco, le sigarette sono parcheggiate in uno spazio di un altra dimensione, qui

accanto. Hai assistito ad un fenomeno di confine che ti strappa di sotto i piedi il

pavimento su cui poggia la scienza e sfida ogni principio che voi ponete a

fondamento del sapere stesso”.

Massimiliano rimase a bocca aperta e con gli occhi sbarrati. Scandurra lo aveva

sconvolto. Ma non era finita lì. Riaprì il palmo della sua mano e, due secondi dopo,

il pacchetto delle sigarette ricomparve al centro del tavolo. O meglio, fu espulso dal

tavolo. Andammo a toccare il punto dell'apparizione, per sentire se fosse caldo

freddo molle. Ci passammo il pacchetto, per tentare di verificare il suo stato, le

eventuali variazioni. Niente di strano se non un leggero calore.

“Stabilisco io la linea di confine tra questo e un altro universo. Una parete, un

tavolo, una finestra. Il pozzo del giardino o il retrobottega. Tutto è tangente. Basta

entrare dentro le cose e ogni cosa entra dentro di te. Ammazzate come sono

approfondito stasera...”.

Scoppiò a ridere e ci fece sobbalzare tutti da quello stato speciale di coscienza,

tipico di quando ci si avvicina alla linea di confine.

“Caro Massimiliano quando la vita ti farà visita, tante certezze spariranno. Per ora

hai una bella ragazza che ti ama, hai il tuo studio e la tua scienza. Domani ti

auguro di trovare anche un senso a tutto questo. La sapienza non bazzica le

università, né le stanze dei potenti. È come il vento, non sai dove nasce e quando

lo senti, è già passato. Io ho scoperto da dove viene ed è meglio che lo sappiano in

pochi. Ho messo le mani tremando su potenze nascoste, per captarle ed

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indossarle”.

Il giovane scienziato rimase in silenzio, abbassò gli occhi. Ebbe un leggero

tremore. Non saprei dire cosa gli successe. Poi guardò il suo orologio e ci salutò; la

sua ragazza andò via con lui. Lei ci fece sapere in seguito, che Massimiliano era

convinto di essere stato ingannato da un trucco da prestigiatore e noi eravamo stati

degni compari di un imbroglione.

L'esperimento del maestro fu spettacolare e semplice: rendeva ordinario lo

straordinario. Uno di noi, frattanto, era alle prese con la nutrita collezione di long

playing. Scandurra chiese se c'era un disco di Califano, al ché ci fu un mormorio di

ilarità. Il nostro ospite, si scusò, ma non ascoltava quel genere musicale. West

coast, rock psichedelico, jazz, si trovavano ben assortiti nella sua discoteca,

insomma altra musica. Scandurra con il suo ghigno diabolico prese la parola:

“Tutto il resto è noia, prima di questa frase metteteci un'idea, una cosa che valga la

pena su tutto il resto. È filosofia, è scienza, è vita. Franco ha centrato il problema

dell'uomo. Se non siamo capaci di scoprire cosa conta davvero, l'unica cosa che

per noi è importante, saremo sommersi dal nulla, la noia. Persino il sesso che tanto

ci ossessiona, l'amore che sembra finire troppo presto, persino una cosa bella, poi,

termina o, peggio, diventa abitudine”.

Un concetto filosofico da una canzone di quel tipo un po' volgarotto, sbracato, quel

gigolò dei poveri. Scandurra ci voleva provocare. Giocava.

“Dovete crescere e provare la vita, scontrarvi con essa. La maledirete per le dure

prove e vi ci aggrapperete quando fuggirà. La rinnegherete se qualcuno vi tradirà e

la tradirete mille volte per vigliaccheria. Quando la sentirete passare tra le dita,

quando ve ne rimarrà poca, vi odierete per averla sprecata con le stronzate. Da

questo mondo spariamo troppo presto, per non viverlo con dignità e benevolenza,

bevendo ogni goccia di esperienza, alzando più spesso possibile gli occhi al cielo.

Fate una bella corsa quando incontrate un sentiero di campagna, anche se la

panza vi pesa, ubriacatevi di alberi, di terra, di fiori. La libertà, amici, la libertà è

troppo preziosa per farcela restituire a rate da qualcuno. Prendetevela tutta, subito.

I nostri vecchi che di vita ne hanno consumata, eccome, hanno bisogno di chi la

vita la deve vivere tutta, non dimenticateli. È vita pure quando una donna rifiuta il

vostro amore, perché vi renderete conto che il desiderio a volte vi inganna, anche

se lo scambiavate per passione sublime. È vita quando tutto vi va bene e non

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sapete perché, ma è vita pure quando tutto vi crolla addosso e puntate il dito contro

tutti e contro Dio. E non capite perché la felicità scappa sempre via, perché i

bastardi la sfangano e le brave persone ci rimettono sempre. Imparare è cambiare.

Ecco, avete un'occasione per imparare cos'è la vita, e se farete tesoro

dell'esperienze confinarie, vivrete meglio i giorni che vi resteranno da vivere nel

conosciuto. Perché a quel punto saprete che viviamo in tanti frammenti che

dovranno, prima o poi, ricongiungersi”.

. . .

Verso lo scalo interdimensionale - 111 parte

“Come ti sei trovato qui da noi? Non avevi indizi precisi, immagino. Scandurra è

avaro di dettagli. Lascia a voi il compito della scoperta e per quanto ne so, nessuno

ha mai avuto problemi.”

“Sono passato mi pare da mille porte – feci io – sembra una strada senza fine. Ho

visto l'orologio delle dimensioni, la palla splendente, un topaccio puzzolente

grosso come un cinghiale... non mi capacito ancora.”

Roberto mi mise la sua mano sulla spalla.

“Manco dalla Terra da una vita, e un po' di nostalgia, piccola piccola bada, la sento.

Ho avuto un maestro come tu hai avuto Scandurra. Mi ha tirato fuori da

un'esistenza piatta. Amministravo i beni di famiglia. Case terreni aziende. Ebbene,

Angelo, di quella vita mi son rimasti solo i vestiti e un tono snob, ma non rimpiango

certo il passato. Anzi, alcuni conoscenti che come me vivevano nel lusso, in quella

noia mortifera, non vi avrebbero comunque rinunciato per nessuna cosa al mondo.

Io ho rinunciato al molto che avevo, per l'infinito. Al confronto della nuova vita, la

ricchezza è un bruscolino. Che ne dici? “.

“Caro Roberto, per me è stato più facile, se la mettiamo in termini di condizione

sociale ed economica. Sono figlio di una famiglia dignitosa, però non vivo nel

lusso, al contrario. Un paio di scarpe per l'inverno e un altro paio per l'estate, e tutte

a crescere, così per qualche annetto si risparmia sul guardaroba. Non mi ha mai

attirato la ricchezza. Né moto né abiti, né tutto quelle cose che fanno impazzire i

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miei coetanei. Voglio ben altro dalla vita. Conoscere sempre, conoscere tutto.

Scandurra mi ha aperto la porta dell'ignoto. Chi è più fortunato di me al mondo?”.

Roberto assentiva mentre gli parlavo.

“Roberto, ma chi ha costruito tutto questo? Gli scali tra una dimensione e l'altra?

Chi?”.

“Angelo, una grandiosa civiltà di immortali, vissuta miliardi di anni fa secondo il

computo terrestre, ingegneri cosmici portatori di ricchezza e abbondanza per tutti i

popoli della galassia, costruirono gli scali interdimensionali per collegare gli

universi. L'obiettivo era quello di far incontrare conoscere e rispettare tutti gli esseri

di tutti gli universi. Un piano immenso, un compito divino. Se ne ha una eco,

un'ombra nelle teogonie indù, quando si narra dei tempi mitici ove gli immortali

creavano universi... è giunto il tempo del ritorno dei grandi immortali”.

“Scandurra ci ripete una data, il 2012, la fine di un mondo o del mondo, non

abbiamo ben capito. Si riferisce al tempo del ritorno?”

“Il 2012 è il tempo dell'inizio del grande balzo. L'umanità intera si troverà sulla

soglia del tempo. Tutti insieme, in una palingenesi di fuoco rigeneratore, la civiltà

della luce del nord, quella della grande isola in mezzo al mare, fino ai

contemporanei, sarete proiettati a ricongiungervi con altri viandanti cosmici. E sulla

riva dell'universo, vedrete tutti i mondi avvicinarsi, tutti i varchi allinearsi come onde

oceaniche. La salvezza viene sempre dal cielo. Ora ti accompagno in un posto per

rifocillarti. In Italia ti avrei offerto un aperitivo al bar centrale o nella tenuta di

famiglia. Qui non badiamo a spese, anche perché non ve ne sono”.

Entrammo in un largo ingresso che immetteva in un palazzo spiraliforme, altissimo.

C'era una hall come in un albergo lussuoso, vasta, dalle tonalità celesti e in una

penombra che invitava alla riservatezza. Quasi con un senso di liberazione, mi

avvidi della presenza di astanti comodamente seduti su bassi divani. C'erano venti

persone tra donne e uomini, divisi in gruppetti che parlavano tranquillamente. Non

riuscivo a capirli, ma li sentivo vicini, insomma, terrestri come me. Qualcuno si

accorse della nostra presenza e ci fece un cenno di saluto. Mi venne spontaneo

domandare sottovoce a Roberto, la provenienza di tutte quelle persone.

“Sono viaggiatori come te che attendono di partire.”

“Una sala d'aspetto di un aeroporto, voli internazionali, come a Fiumicino?”.

“Più o meno, - mi sorrise, divertito – ti accorgerai che ci sono sistemi diversi per

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viaggiare. Non partono aerei da qui, è questo mondo che si sposta”.

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domenica 18 luglio 2010

IUS 25

. . .

1.

Da Scandurra ho imparato una cosa fondamentale e sperimentabile. Noi viviamo

in una dimensione, ma le nostre anime appartengono ad un'altra. È, quindi, più

facile di quanto sembri salire ad un piano superiore dell'esistenza. Tutta questione

di intensità di vibrazioni personali. Ci faceva un esempio incredibilmente concreto,

alla sua maniera, quando cioè ci svelava verità metafisiche per mezzo di cose

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ordinarie. Tutto è nel tutto. Scandurra possedeva un ventilatore a due velocità che

utilizzava durante le giornate afose d'estate. Grazie a questo apparecchio ci

spiegava la fisica del teletrasporto, il passaggio attraverso i varchi

interdimensionali e il processo alchemico.

“Se guardi un ventilatore che gira lentamente, sarai in grado di vederne le palette.

Se sposti la manopola e lo fai girare rapidamente, non le potrai più vedere. Sono

diventate invisibili e puoi vederci attraverso. Questo accade anche alle nostre

anime, quando incominciano a vibrare sempre più velocemente. Col tempo non

hanno bisogno di sforzarsi per passare da una dimensione all'altra”.

Ma in che modo le nostre anime passano attraverso il “ventilatore”, la barriera tra le

dimensioni materiali e spirituali, senza venir scomposte? Per molte anime, il

passaggio attraverso la barriera verrà compiuto al momento della morte fisica. Le

vibrazioni saranno così rapide, nell'altra vita, che saremo in grado di passare

attraverso qualunque barriera materiale, come la luce passa attraverso il vetro,

come il calore passa attraverso un tubo d'acciaio. La vita, l'esistenza è

interdimensionale, e seguendo una via di risveglio, di trasmutazione – molte sono

le vie, ma pochi i viaggiatori, diceva – l'uomo può accedere a stati speciali prima

della transizione della morte. Si impara a fluire con le frequenze dimensionali e ad

entrare nei piani superiori dell'essere. Spirito corpo anima, saranno fusi in un'onda

fluttuante, una forma elettrica primordiale, capace di penetrare in più dimensioni.

La metafisica di Scandurra non aveva bisogno di enunciazioni teoretiche, di

concetti ben formulati filosoficamente. Era epigrammatico, ironico ma benevolente,

immediato, utilizzava esempi di vita quotidiana, che tutti capivano perché ne

avevano fatto esperienza. Ci diceva che se eravamo attaccati alle cose materiali,

avremmo trovato delle sorprese assai indigeste quando passavamo il fosso.

Avremmo capito a nostre spese cosa voleva dire portarsi appresso delle zavorre. In

più di una occasione, oltrepassata la botola, ci siamo imbattuti in situazioni

pericolose, pesanti, alienanti a causa del fardello esistenziale. Gli attaccamenti, il

senso del possesso di cose e persone, acquistavano una rilevanza enorme oltre il

velo. Diciamo, che abbiamo passato l'esame d'ingresso già su questo piano, senza

aspettare la morte fisica: se l'egoismo e la superbia sono le coordinate della tua

vita, incontrerai nell'altra dimensione uno specchio deformante per ogni situazione;

fino a quando non ritroverai l'armonia, esso ti distorcerà. Quando hai l'esperienza

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incredibile di vivere su altri piani, ti accorgi di quanto siamo duri di cervice e infantili

con le nostre preoccupazioni materiali. Si impara a mettere una sana distanza con

ciò che è transitorio. Le diatribe, gli intoppi dell'ordinario, le beghe lavorative, le

ambascie per le mancate gratifiche dell'esistenza, ci appaiono poca cosa. La

ricchezza creativa, ma anche i vertiginosi accadimenti nei mondi interdimensionali,

ci possono aiutare in maniera determinante a vedere la nostra vita quaggiù come

l'inizio di un viaggio interminabile, una trasformazione continua, una responsabilità

accentuata nei confronti dell'umanità e dell'universo. Queste cose non te le

insegnano né a scuola né in sacrestia. La realtà, così come te la fanno percepire è

una schifezza, piatta, senza via d'uscita; quasi sempre, i padroni del vapore si son

divisi la torta, lasciandoci nell'ignoranza e nella bassezza, sbarrando con le buone

e con le cattive le porte verso la liberazione. Ci tengono prigionieri, tutti accalcati,

sporchi, ogni tanto ci danno l'ora d'aria, intanto loro se la ridono alla grande. Usano

la legge come scudo per difendersi e l'adoperano a mo' di mannaia per impedirci

di vivere da uomini liberi. I tempi che stiamo vivendo, sono i più bui e pesanti che

storia umana abbia mai visto; la corda è sul punto di rompersi.

Diceva Scandurra:

“La Terra sta per partorire di nuovo, ma non tutti assisteranno al lieto evento”.

2.

L'esperienza scandurriana può essere schematizzata o, se preferite, circoscritta in

pratica in una bottega magica dove ho percorso l'infanzia, la giovinezza e

l'ingresso nella maturità spirituale. Questa bottega, mondo chiuso solo

all'apparenza, è situata al confine interdimensionale ed è circondata da una città

dove gli abitanti ignorano nella maniera più assoluta di vivere sul crocevia

cosmico. I miei concittadini, ma sarebbe lo stesso per qualsiasi cittadino terrestre,

sono felici di restare al sicuro entro le antiche mura medievali che li proteggono; in

realtà le mura di cinta sono nella mente degli uomini. Ho più di una volta avuto

l'impressione che alcuni viterbesi, si siano imbattuti accidentalmente nella botola

sul baratro senza fondo, per una qualche particolarissima dinamica celeste hanno

avuto tale miracolosa possibilità, ma si son tirati indietro senza rimpianti.

La mia città-mondo rappresenta il guscio di cui noi siamo i prigionieri, esso ci

condiziona, limita la nostra libertà d'azione, frappone delle mura fra noi e

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l'esistenza vera, reale. Dalle sue segrete (l'inconscio) emergono forze che

vorrebbero dominarci, farci rinunciare anche a quella parvenza di autonomia che

ancora possiamo conservare, invitandoci all'abbandono, nell'ingannevole e torpida

sicurezza del gesto ritualizzato sempre uguale, della vita ridotta negli interessi e

negli scopi, della volontà drogata dalla privazione di ideali superiori. Scandurra

critica la religione (intende tutte le religioni) e i suoi riti che, a causa della loro

meccanica ripetizione, sono ormai diventati dei simulacri svuotati di ogni senso del

sacro: la sacralità è viva e reale e si perpetua per il suo contenuto e non per il

trucco o lo scenario. Della religione e del potere, ormai intimamente falsi, possono

approfittare le forze oscure sempre in agguato: esse attendono il momento

opportuno per scalzare un ritualismo falso e logoro, degenerazione del rito vivente.

Scandurra ci dice che l'uomo vero deve, quindi, saper riconoscere queste forze che

salgono dal fondo della sua anima, poi scendendo sino a loro, affrontarle,

dominarle, renderle innocue. Solo così potrà essere libero, della libertà vera dello

spirito e non di quella illusoria del corpo. Se saremo capaci di distaccarci dalla

città-mondo, vincere le forze oscure che provengono dalla cantina dell'essere,

allora, solo allora, potremo lasciarci dietro un mondo per trovarne un altro che ci

attende.

3.

Quando attraversai la prima volta il fosso, si concretizzava un assunto iniziatico,

quello cioè del superamento delle acque. Esso è un simbolo antichissimo che

indica la condizione di chi, avuto sentore di un'altra sponda, è riuscito ad

abbandonare quella della sua esistenza ordinaria per raggiungerla. Non è certo un

caso che le apparizioni di esseri celesti in ogni parte del mondo, da sempre,

avvengono spesso vicino a sorgenti d'acqua, grotte. La mitologia e la storia delle

religioni, ci dicono questo: l'acqua è il grande conduttore. Poco importa se l'acqua

è stagnante o limpida, il mezzo è quello. È un margine, un confine tra elementi

della terra e del cielo. L'ingresso a mondi luminosi e oscuri.

. . .

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Verso lo scalo interdimensionale - Terranusi

Ci accomodammo su uno dei pochi divani liberi. Subito fummo raggiunti da una

giovane donna dai tratti somatici che indicavano la sua provenienza slava,

ovviamente bella, che ci portò delle bevande bicolori. Mi domandavo perché le

ragazze descritte nei romanzi o le attrici, sono sempre così belle. La stessa cosa

sembrava accadere in quell'universo. Domanda stupida.

“Vedo che la osservavi attentamente, Angelo. Non è una cameriera, no, si occupa

di questa sala svolgendo tutte le attività necessarie. Diciamo che qui non ci sono

padroni né sottoposti. Vige una sorta di armonia sociale, come dirti, le attitudini di

ognuno vengono valorizzate negli ambiti idonei. Ognuno può benissimo provare a

cambiar mansione. Un consiglio si riunisce quando ce ne è bisogno ed è composto

da tutti noi. Le decisioni da prendere alla fine si trovano, l'arte del compromesso,

della sintesi è una prassi ben consolidata. Il potere sulla terra è piramidale, da noi

nessuno lo detiene perché lo detengono tutti. La sfera è il simbolo che meglio

rispecchia il nostro mondo”.

“Una forma di comunismo illuminato, in pratica”.

“Comunitarismo è la parola più indicata. Un sistema per così dire feudale senza

principe. Un'insieme di corporazioni unite a singoli cittadini che non appartengono

a nessuna categoria. Il nostro è un modello molto diffuso nella galassia, almeno tra

i mondi periferici. Le risorse energetiche sono praticamente infinite e questo grazie

agli antichi ingegneri cosmici. La ruota che hai prima visto è un rotore cosmico:

opera nei varchi spaziotemporali collegandosi agli universi, e in più trasforma la

fonte primaria per ogni nostra necessità ”.

“Un paese delle meraviglie. Un'isola felice. Credevo che queste cose

appartenessero al mondo delle fiabe o ai paradisi promessi delle religioni. Invece

mi ci trovo sopra”.

“Angelo, è la pochezza e la malvagità dei tiranni, politici preti che siano, a ridurre la

vita dell'umanità in un angusto abituro, indegno di ogni creatura dell'universo. Ci

sono forze e mezzi a disposizione di tutti per vivere liberi; ci sono le botole, come le

chiama Scandurra, che ci permettono di vivere la multidimensionalità. Eppure tutto

questo è sottratto all'umanità. Per la cupidigia, la superbia di pochi, ci hanno

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rimesso tutti. Scelte scellerate hanno compromesso l'età della Luce e hanno fatto

sprofondare il mondo verso un oscuro destino. Uomini come Scandurra, sin da ere

dimenticate, tengono operativi i portali di modo ché la nostra benedetta Terra non

vaghi senza meta in uno spazio cieco. Alcuni esseri celesti, Rama Orfeo Gesù

hanno in più occasioni tentato di risvegliare lo spirito sopito degli uomini. Era più

facile e comodo adorarli che seguire i loro insegnamenti. Baciare idoli,

inginocchiarsi, cercando surrogati di divinità, piegare il capo e ossequiare

parvenze di luce, quando ogni uomo è un essere cosmico che dovrebbe ricordare

la sua antica provenienza! Scandurra ti avrà già edotto. Le leve divine le abbiamo

dentro, ma ci sentiamo smarriti, sudditi di qualche altro nostro simile. Preferiamo

sperare in un paradiso dopo la morte, piuttosto che cercarlo prima”.

Quanto mi diceva con passione Roberto risuonava dentro ogni mia particella, si

manifestava col sigillo di verità. Quante domande rivolgevo quotidianamente a

Scandurra sul destino, la vita e la morte, Dio e le chiese, Cristo, l'anima. Lo

tempestavo tutti i santi giorni con i miei dubbi, i miei tormenti, i retaggi tradizionali e

la cultura dominante che mi rendevano debole, dimesso. Lui mi insegnava a

destarmi, a risvegliare gli dèi in esilio, come li chiamava. Niente a che vedere con

la tentazione satanica o col mito del superuomo. Risvegliando ciò che dormiva in

me, ritornavo ad essere la degna creatura concepita dal Padre Celeste, per

contribuire a restaurare la fratellanza e l'armonia di tutti gli esseri e le cose

dell'universo.

“Roberto, ma i tuoi familiari, i parenti, insomma non ti cercano? Sei sparito senza

lasciar traccia. Si saranno attivate subito le forze dell'ordine dopo 24ore della tua

scomparsa”.

“In pratica ho lasciato delle tracce. Semplici lettere manoscritte, dove chiedevo

perdono a tutti per la mia scelta irremovibile di cercare una nuova esistenza

altrove, lontano”.

“Certo che effettivamente l'hai cercata lontana la tua nuova vita. Avevi una

fidanzata? Le hai detto la verità?”

“Sì, ho avuto il permesso di rivelarle i miei propositi. Di più; le ho pure chiesto di

venire con me. Non mi ha creduto e ha reagito malissimo. Non ha voluto nemmeno

seguirmi per dimostrarle che non le raccontavo delle storie. Se le volevo

veramente bene avrei dovuto rinunciare alla mia idea balzana, questo ha preteso.

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Non posso biasimarla. Non capita a tutti di partire per un altro universo e

pretendere pure di esser creduto o addirittura assecondato nell'impresa. Quando

sono andato via dalla Terra, lei era un'attrice in rapida ascesa. Era bellissima”.

“Scusami, non volevo riaprirti la ferita. Sono stato inopportuno”

“Caro Angelo, i ricordi belli ce li ho tutti nel cuore. I rimpianti pure me li sono portati

appresso, ma poi si sono attenuati”.

“Non ti ho chiesto ancora il nome di questo posto, ammesso che ne abbia uno”.

“Terranusi. Da qui devono passare tutti i terrestri provenienti da ogni botola

disseminata sul pianeta”.

“Immagino un traffico pazzesco...”.

“Buona questa, Angelo. Scandurra dice che molte sono le vie ma pochi i

viaggiatori”.

“Me ne sono accorto”.

“Voglio farti conoscere il rilegatore. Un tipo speciale, simpatico e matto al punto

giusto. Suo compito è quello di curare i libri dimenticati “.

“C'è un libraio pure qui? Gagliardo. Amo i libri, ne ho un culto speciale. Se ho due

lire le spendo per comprarmeli. Le bancarelle sono il mio eldorado”.

“Vedrai, Angelo, ti piacerà. Era titolare di una libreria a New York. Poi, il suo amore

per il pensiero e la fantasia di anime alte, racchiusi in quei piccoli oggetti di

preziosa carta di cui aveva gran cura, gli ha permesso di incontrare uno come

Scandurra e il gioco era fatto. Bisogna amare tanto e chi ama non sbaglia mai”.

Allungai la mano per prendere dal tavolino il bicchiere quadrato con quella strana

bevanda dai colori blu e verde, divisi verticalmente. Ebbi qualche titubanza

nell'accostare alla bocca il bicchiere.

“Angelo, è buonissima. Vedrai che ti sentirai meglio. È un corroborante.”

“Contiene droghe o alcol?”.

“Credi che ci sia bisogno di un extra in questo scalo che ti porta a spasso per

l'universo? Tranquillo”. E rise di cuore alla faccia mia.

Bevvi tutto di un fiato, come andava andava. Caspita quanto era buona. Due liquori

che si mantenevano separati perfino in bocca, poi a contatto col palato si

mischiavano. Ero tutto un vibrare. Stavo benissimo. Raggiante nella mia

soddisfazione. Alla prima sortita oltre l'universo conosciuto, e già mi sentivo a mio

agio. Tutto era così splendente, armonico.

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Proprio in quel momento riebbi la percezione della visione globale e quella bella

sensazione di benessere, di pace, scomparve. Sentivo pressioni psichiche e suoni

ad altissima frequenza da tutte le direzioni. Qualcosa di terrifico stava per accadere

a Terranusi.

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mercoledì 28 luglio 2010

IUS 26

. . .

1.

Potenze primigene, prima razza madre, multidimensioni, esseri celesti, sono i punti

chiave di Scandurra. Una posizione centrale dei suoi insegnamenti,

imprescindibile, riguardava l'ascesi o la trasformazione alchemica, come la

definiva lui. Tuffi e immersioni in succulenti fondali fenomenologici: ecco il

programma da noi seguito. Diventare quello che siamo sempre stati: destare gli dèi

in esilio. Come primo passo verso la Via, dovevamo imparare a consultare

l'oracolo; ma non nel senso letterale e ordinario. Scrutare i segnacoli, le

coincidenze, i nessi, che incontravamo ogni giorno. Tutto il cosmo ci parlava, di

continuo, eppure non ce ne accorgevamo. Dovevamo affinare i sensi per poter

ricevere le energie del cosmo, ossia dei piani più sottili, sovrasensibili. Come?

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Attraverso un ricettore d'energia lunisolare che dovevamo costruirci secondo un

disegnino, un ankh, la chiave della vita, che Scandurra con tratti infantili ci aveva

messo a disposizione. L'obiettivo era quello di polarizzarci in fluidi cosmici e

utilizzare l'antenna ricettrice per immagazzinarli nel nostro corpo. Chiedemmo al

maestro che materiale usare per il ricettore. Ci rispose che avremmo trovato quello

giusto per ognuno di noi. Parallelamente all'antenna ricevente, ci diede un altra

consegna per la nostra asana. Seguire un regime alimentare duro, per almeno

quaranta giorni, evitando alcolici, caffé, carne. Ci dovevamo cibare di frutta (ce la

passava lui, di quella speciale), latte, verdure crude e acqua del sindaco, di quella

corrente. Era necessario questo regime perché favoriva l'esteriorizzazione del

doppio, il corpo eterico.

Trasmutare l'unità corpo-mente, per essere in grado di ricevere gli influssi cosmici;

e per trasmutare l'unità corpo-mente, c'era bisogno di captare gli influssi cosmici.

Chiaro, no?

Per entrare nelle botole e oltrepassare la linea spazio-tempo, avremmo dovuto fare

qualche sacrificio. Estrarre la nostra essenza e trasformarla in quintessenza.

Elementale, Watson...

2.

Chi ha studiato e praticato l'occultismo, è a conoscenza dei mezzi empirici utilizzati

dagli stregoni per riuscire a realizzare la propria volontà. Il maleficio è il mezzo più

noto da sempre. Stregare qualcuno vuol dire proiettarlo in un'immagine che lo

rappresenta e, in virtù delle leggi magiche di analogia, colpirlo indirettamente nella

persona con atti esercitati su quell'immagine, il volt, in francese arcaico. Nel volt

l'operatore nasconde la sua volontà formulata. Secondo Scandurra la stregoneria è

una sopravvivenza corrotta di una raffinata scienza della mente. L'azione

stregonesca non fa che riprendere una prassi ascetica del pensiero condensato,

dinamicizzato e poi proiettato.

Ovunque, a tutte le latitudini e in ogni epoca, gli uomini hanno costruito e poi eretto

riproduzioni scolpite, talvolta gigantesche, di esseri o di simboli misteriosi. Che

queste riproduzioni siano di pietra metallo legno, le immagini appartengono, nello

stesso modo dell'arte piramidale, a una scienza universale applicata dagli uomini

prima dell'ultimo diluvio. La loro destinazione originaria sfugge alla cultura

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moderna. Vi è un legame che collega tra di loro le statue gigantesche dell'isola di

Pasqua, gli Atlanti del tempio di Tula eretti dai toltechi, i Totem dei nativi

dell'America del Nord, gli Dèi dell'antico Messico, i monoliti eretti dai celti e dagli

ebrei, il Bafometto dei templari, i colossi dell'Anatolia, le madonne nere adorate

nelle cattedrali gotiche cristiane. Se cerchiamo il legame misterioso che tiene unite

queste diverse opere, scopriremo che le civiltà scomparse conoscevano e

padroneggiavano una forza della Natura, nascosta ma presente ovunque. Gli

alchimisti medievali e rinascimentali poterono ancora utilizzarne la potenza; nel XX

secolo invece, i moderni apprendisti stregoni hanno ricercato il suo inverso,

distruttivo e letale, spaccando atomi e manipolando cellule, alla conquista di quel

potere che presumono sia nascosto dentro la materia. È la Luce Cosmica, energia

di espansione e di separazione, libera dalla morte (la persona non muore),

permettendo al Sole di rinascere. I maghi antidiluviani, guidavano il mondo; alcuni

presiedono tuttora alla sua evoluzione; tutti hanno avuto ed hanno ancora a loro

disposizione una forza della quale i profani non conoscono la chiave. Questa forza

emana dall'uomo e circola liberamente nella Natura e mette la vita in movimento.

3.

La luce di Atlantide fu proiettata sulla terra nera bagnata dal grande fiume. La

civiltà egiziana è la sola che abbia saputo costruire con la coscienza dell'eternità,

della lotta contro il tempo. Queste costruzioni fanno parte degli accessori

sconosciuti dell'antica sapienza atlantidea. I sacerdoti dei santuari di Heliopolis e

di Menphi non ignoravano nessuno dei segreti della vita universale. Sapevano

maneggiare la Luce Cosmica designata col vocabolo di Nahash nel Sepher

Bereshit di Mosè. Tale potenza doveva rimanere nascosta, dimenticata, avvolta

necessariamente nella leggenda: era più facile far credere che fossero solo

fantasticherie di popoli primitivi e superstiziosi...

Questi segreti risiedono in qualcosa di semplice, come tutto ciò che è grande. La

verità è nella semplicità. La dinamizzazione del pensiero vivente e la sua

proiezione, modificano le correnti della Luce Cosmica modellandole. L'idea

trasformata in materia, unita all'esatta conoscenza delle correnti telluriche,

permette di ottenere risultati prodigiosi. Il Nahash, sottoposto al pensiero vivente, si

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condensa e si accumula. I sapienti egiziani accumulavano grani di energia,

immagini dei loro desideri e della loro volontà, all'interno di monoliti incisi e scolpiti.

Tutti quelli che ritroviamo oggi appartengono a quella scienza che fu maledetta dai

mercanti di religione. Queste immagini svolgono ancor oggi, il ruolo che migliaia di

anni fa assegnarono loro i sacerdoti che le eressero.

4.

L'arte gotica nasconde la chiave della quarta dimensione e i misteri di una scienza

sacra che gli iniziati si sono trasmessi dall'origine del mondo ad oggi. Dalla grande

piramide di Cheope alle cattedrali, esiste una stretta correlazione. Quella di

Strasburgo è alta 124metri. Il metro è la decimilionesima parte del quarto del

meridiano terrestre. Per la geometria di questa cattedrale è stata utilizzata un'altra

unità di misura, anch'essa basata su una delle dimensioni del nostro pianeta, e che

dà delle operazioni senza resto. L'unità in questione è stata impiegata nella

costruzione di Cheope, del Partenone e di alcune cattedrali francesi. Quella di

Strasburgo ha una torre unica al mondo: la sua altezza è uguale all'altezza della

sua base in rapporto al livello del mare. Il suo orologio astronomico, secondo un

computo ecclesiastico dà l'ordine dell'anno nel ciclo lunare, permettendo così di

conoscere le date precise nelle quali cadranno le lune nuove dell'anno. Questo è il

numero aureo ecclesiastico, da non confondere con il numero aureo degli antichi.

Poco distante dalla cattedrale, si trova il museo dell'Opera di Notre-Dame con la

sala dei Massoni. Il monumento fu terminato il 1439, e da quella data si insediò la

Loggia Suprema dei Massoni del Sacro Impero Germanico, possessori del vero

numero aureo, chiave dell'antica architettura e base dell'armonia e delle

proporzioni. Si dice che i massoni di quella Loggia avrebbero posseduto il Graal,

nascosto ai profani da una rampa a campo magnetico di trasferimento, l'interruttore

è situato in un altra cattedrale, quella di Colonia. La geometria e il simbolismo del

monumento alsaziano, ci conducono verso rapporti tra le sue dimensioni e quelle

di Cheope. Un esempio su tutti, il suo rosone a sedici petali che ha per centro un

pentagono. Questi elementi disseminati nella cattedrale, si spiegano con

l'applicazione del numero aureo, cioè la sezione aurea che è la divisione di una

lunghezza, tale che il rapporto tra il segmento A e il più piccolo segmento B sia

uguale a quello tra la lunghezza totale A+B e il segmento A. Questo rapporto, il cui

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valore universale è di 1,618 (una cifra tanto importante quanto il fattore pi greco),

non è solo primordiale per il suo aspetto matematico, ma anche per il suo aspetto

geometrico, a causa delle triangolazioni che ne derivano. Questo fattore fu

applicato da pittori eccelsi per tracciare i loro quadri su canovacci geometrici. È la

chiave dei grandi maestri dell'architettura.

La cattedrale gotica è l'enorme reliquiario delle grandi tradizioni della geometria

esoterica, che collega la dimora filosofale (così Fulcanelli) a un sapere nato all'alba

del mondo e nascosto dopo l'ultimo cataclisma. In ogni cattedrale gotica c'è un

punto dove è sufficiente appoggiare un dito per far sì che l'intera costruzione crolli.

Non mi risultano crolli, quindi il segreto è ben custodito. E vi è pure un altro punto

sul quale una semplice pressione dopo aver pronunciato una parola vibrata,

provoca l'apertura verso un mondo parallelo. A tale proposito, mi risulta invece che

centinaia di persone dal medioevo ad oggi, hanno tentato di trovare il punto di

accesso. Qualcuna ci sarà riuscita? Il segreto dei Templari e dei mastri tagliatori di

pietra, riguardava la conoscenza dell'esistenza di altre dimensioni e il modo per

accedervi. Sappiamo come andò a finire.

5.

Quando si parla della forma di un oggetto noi pensiamo allo spazio che occupa,

facendo astrazione dalla materia di cui è composta. Lo spazio non è definito

unicamente dalla grandezza dell'oggetto, cioè le distanze che separano le sue

diverse parti; si tiene anche conto delle relative direzioni e della curvatura delle

superfici. Tre dimensioni determinano la forma dell'oggetto: lunghezza, larghezza,

altezza. Il segreto della arte occulta consiste nel calcolare, per mezzo del numero

aureo, la forma di un oggetto a tre dimensioni nel quadro dell'armonia universale.

Lo spazio che occupa allora questo oggetto, e la sua forma particolare, aprono la

porta che dà sulla quarta dimensione. Ne diventa lo strumento vettore che permette

di entrarvi. L'esperienza, mostra che nel nostro spazio a tre dimensioni i volumi

sono proporzionali ai cubi delle lunghezze. Partendo da questa constatazione

possiamo capire che in certi casi la forma e il volume di un corpo, calcolati con

l'aiuto della geometria e della matematica ermetiche, fanno di questo corpo un

passaporto per un universo parallelo. Fondamentale, quindi, è la conoscenza dei

rapporti esistenti tra il mondo degli effetti e quello delle cause.

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Le stesse iniziazioni, alludevano alla possibilità di far percepire al neofita la

dimensione che gli è nascosta dall'imperfezione dei suoi sensi e dalla sua sordità

alle realtà superiori. I libri di Fulcanelli, uno dei pochi, genuini alchimisti del

ventesimo secolo, sono manuali operativi che permetterebbero la trasmutazione

animico-energetica del discepolo, e usufruendo dei punti di comunicazione tra due

mondi – le cattedrali e le spolette - l'uomo nuovo potrebbe dispiegare le sue ali e

viaggiare oltre il tempo e lo spazio. Pochi crederanno a quanto affermo, e sono

quei pochi che hanno tentato l'impresa. Grazie a Scandurra e al duro lavoro, ho

potuto sperimentare l'immersione in varchi interdimensionali, passando da un

universo ad un altro.

Il passaggio si effettua grazie all'azione di un campo di energia sottile ma diffusa,

Luce del Mondo secondo gli alchimisti, una spoletta, un comune oggetto (ve ne

sono al mondo alcune migliaia) ma non per questo meno nobile, che è la chiave e

l'innesto, che è un processo mentale.

Chi possedesse questo pericoloso segreto, potrebbe apparire senza lasciare

tracce in luoghi lontani o dimensioni aliene, per poi scomparire all'istante.

Scandurra riteneva che i padroni del mondo impiegavano risorse e mezzi

considerevoli per scoprire il segreto del trasferimento dimensionale. Alchimisti,

ermetisti, sciamani e salta-fossi scandurriani, hanno trovato la chiave di accesso e

se la sono tenuta ben stretta. Minacciati, imprigionati, torturati, piuttosto si son

lasciati morire; qualcuno è riuscito ad adoperare quel potere per sgattaiolare via,

dove nessun tiranno potrebbe mai trovarlo.

Il segreto tecnico dell'apertura della botola che si affaccia su dimensioni tangenti,

lo si trova negli insegnamenti interni di confraternite di regolarità millenaria, oggi in

sonno. Ma pure presso uomini incredibili, che scelgono di rimanere nell'ombra,

nell'attesa di incontrare una persona degna e pura di cuore, per trasmettere il

dono. Già, perché di dono si tratta, senza prezzo.

6.

Le teste d'uovo della NASA, sono convinti che l'astronautica non ha un gran futuro,

al di là della propaganda per le masse. Il Pentagono, che è il vero grand commis

della Nasa, ha pianificato un progetto avveniristico, alla luce di un ovvio e quasi

banale convincimento: è oneroso e poco produttivo, il viaggio a bordo di astronavi

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per andare da un pianeta ad un altro. La soluzione è il “teletrasporto”, noto grazie

ad una fortunata serie di telefilms, Star Trek, saga fantascientifica che ha avuto

inizio nel 1966 e ideata da Gene Roddenberry. Il Pentagono ha investito valanghe

di dollari sul teletrasporto alla Star Trek, in cui un corpo umano verrebbe

"scomposto", trasferito in un altro punto dello spazio, e quindi "ricostruito". Gli

scienziati a stelle e strisce avrebbero così analizzato una cavia umana (perché di

cavia si deve parlare) da teletrasportare, atomo per atomo, memorizzandone

completamente la configurazione (ammesso che sia possibile farlo). Avrebbero poi

fatto viaggiare questa informazione in un altro punto dello spazio, dove una

quantità di atomi identica a quella iniziale è stata assemblata per riprodurre

fedelmente la cavia di partenza. Il teletrasporto sarebbe simile ad una telescrivente

olivetti, che trasmette messaggi di testo attraverso la rete telegrafica: l'informazione

contenuta nel messaggio che scriviamo sul nostro dispositivo telex viene inviata e

ricostruita da chi la riceve. Quello che viaggia è l'informazione, non la materia.

Diversi e serissimi sono i problemi quando il messaggio da inviare è l'uomo:

-come estrarre tutte le informazioni contenute in un uomo;

-è per ora impossibile conoscere velocità e posizione di una particella secondo la

fisica quantistica;

-non si conoscono le dinamiche della coscienza del viaggiatore durante il

teletrasporto;

-non si è sicuri se l'uomo teletrasportato sia effettivamente lo stesso della partenza

o un duplicato;

-l'io del teletrasportato potrebbe essere diviso.

Credete che queste domande se le siano poste quelli del governo-ombra made in

USA?. La posta in palio è più importante di una vita, che è come ben sapete,

sacrificabilissima quando ci sono in ballo le ragioni di stato e la leadership

mondiale. Cosa è successo? Ebbene, alcune decine di cavie umane sono

scomparse chissà dove, altre, invece, sono state ritrovate nel posto di

assemblaggio, ma trasformate in una poltiglia di carne irriconoscibile. Orrore allo

stato puro. Da dove ho attinto queste notizie? Teletrasporto, Scotty!

Gli scienziati non sanno una cosa che un fruttarolo viterbese ha da sempre

sostenuto e dimostrato: quello che si rompe non ritorna più com'era prima. Passare

da una dimensione ad un altra, è come trovare un guado per andare da una riva

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all'altra di un fiume. Difatti, l'accesso ai piani interdimensionali così come ce lo ha

insegnato il maestro, non si avvale di ipotetici macchinari teletrasportatori, ma

dell'insieme di fattori necessari: portali collocati in luoghi ove la barriera spazio-

tempo è più sottile (l'acqua bassa), spolette e processi mentali speciali. Si varcano

così i mondi.

7.

Sin dalla Seconda Guerra Mondiale, i governi alleati, l'Urss e il III°Reich,

ufficiosamente, hanno investito capitali ingenti al fine di studiare e sviluppare le

facoltà latenti dell'uomo. Sensitivi, maghi, medium, sono stati vagliati, selezionati e

utilizzati per spionaggio, sabotaggio e condizionamento psichico dell'avversario.

Non contenti, i governi alla fine della guerra hanno orientato verso altri obiettivi le

loro ricerche psi. L'ossessione dominante americana e sovietica era ed è

rappresentata dal viaggio dimensionale, con strumenti e uomini in grado di

spostarsi da un universo ad un altro. Oltre all'uso fallimentare di teletrasporti

tecnologici, come ho accennato sopra, le èlites politico-militari hanno sviluppato

programmi sulla medianità, la vecchia ma sempre misteriosa modalità dell'anima

che, in determinate condizioni, produrrebbe fenomeni di trasferimento di corpi nello

spazio e nel tempo. I risultati, allo stato attuale delle cose, sono più lusinghieri di

quelli tecnologici. Al contrario delle apparecchiature per il teletrasporto, le energie

che si innestano durante lo stato medianico, sembrano non costituire rilevanti

contro indicazioni per il sensitivo. Le èlites però non si faranno certo degli scrupoli,

pur di conseguire gli obbiettivi.

8.

Il mio maestro conosceva le botole, antiche porte di accesso interdimensionali,

disseminate un po' ovunque, ma non illimitate. Conosceva su dove affacciavano e

la strada per il ritorno. Non si tratta di scomporre trasferire e ricomporre un corpo

umano, come ipotizzato dagli scienziati. È la struttura stessa della dimensione a

farsi più sottile, più permeabile, permettendo il passaggio da un universo ad un

altro senza effetti collaterali per il viaggiatore. Non è poco, non credete? Qualcuno

si domanderà, che se è vero quanto vado affermando, mi troverei in serio pericolo,

anzi, sarei già 'terra per ceci'. Dovete sapere una cosa; quando conobbi Scandurra,

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il 1971, mostrò a me e agli altri i suoi poteri pazzeschi, con facilità e semplicità. A

noi dell'anonima talenti chiese solo un piacere: di adoperarli soltanto per i compiti

specifici interdimensionali, in considerazione del fatto che qualsiasi altro uso

avrebbe comportato il risucchio del trasgressore nel baratro senza fondo.

Il 1978 fu avvicinato da agenti governativi di paesi stranieri, facile capire di quali,

che avevano ricevuto informative su questo tipo strano e povero (la sua condizione

sociale ed economica, destava curiosità e sconcerto). Scandurra, riuscì a defilarsi

con semplicità, come? Li accompagnò presso alcuni punti di accesso genuini (fossi

naturali e leghe di acqua salmastra, per lo più) e indicò loro come fare per

attraversarli. Nessuno di questi agenti ebbe lo stomaco di immergersi in un fosso

melmoso, puteolente, e che sembrava tutto meno che una porta verso l'infinito. La

pratica “Scandurra” fu chiusa.

Il suo segreto rimane inviolato non perché ben custodito, ma perché è buon senso

ritenerlo impossibile, una fantasticheria generata da una mente disturbata.

Immersioni in varchi interdimensionali? Dentro un fosso malsano? Puah, è così

poco esoterico e anti-scientifico...

. . .

Verso lo scalo interdimensionale - Terranusi 2

Il salone fu spazzato via da un vento gelido che emetteva un rombo spaventoso,

come un ruggito. Insieme al rumore fortissimo, il vento trasportò verso tutti noi una

fiumana di cose, pezzi di stoffa colorata, erbaccia, semi, spezzoni di specchi,

residui molli come gelatina, ossa di animale o di uomo. Roberto ed io,

istintivamente, ci gettammo per terra, a pancia sotto, coprendoci la testa con le

mani. Cercai di dire qualcosa, ma il suono era così assordante da non permetterci

nemmeno di comunicare fra noi. Non capivo cosa succedeva. Era così inaspettato

tutto questo che mi bloccava ogni capacità di pensare. La mia visione globale,

compariva e spariva, come un falso contatto. Che cosa potevo fare? Roberto mi

toccò sulla spalla e mi invitò ad alzarmi. Con la testa abbassata e incurvato, lo

seguii. Di tutta fretta ci avvicinammo ad una porta poco lontana, verso l'interno del

palazzo. Arrivati davanti, essa si aprì automaticamente; immetteva in un

montacarichi, così grande che poteva starci tranquillamente un camion. Entrammo

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senza indugi ulteriori. Dopo qualche secondo, il tempo di riprendere fiato, che mi

resi conto della preoccupazione di Roberto. Gliela si poteva leggere in volto.

“Quel vento non era naturale. Abbiamo attraversato uno spazio esmerico, pregno

di cose e forme-pensiero di chissà quale popolo. Sembrerebbe che qualcuno non

abbia gradito la tua visita. Ci sono esseri ostili”.

Mosse delle piccole leve da un quadrante posto ad altezza-uomo sulla parete.

Leve, corone, ganci e incavi, non davano esattamente l'impressione di un

aggeggio elettrico, ma meccanico. Non notai alcun movimento del montacarichi.

Passarono una decina di secondi. Roberto mi diede una pacca sulla spalla.

“Bene, siamo arrivati, Angelo, al sicuro da interferenze psichiche indebite. Ci

troviamo ad alcuni kilometri sotto terra. Ora vedrai la grandezza degli ingegneri

cosmici. Terranusi deve ancora svelare le sue meraviglie”.

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sabato 7 agosto 2010

IUS27

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. . .

1.

LE MIE ESPERIENZE: LA TANA DI BIANCONIGLIO È UNO SCALO

INTERDIMENSIONALE

Cosa farebbe Alice se, attraversando lo specchio, invece di Bianconiglio

incontrasse una proiezione dei suoi materiali psichici e mitici? Meglio, cosa o chi

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vedrebbe sulla base dei contenuti della sua memoria bio-storica? Essendo di

nazionalità inglese, si imbatterebbe in una compagnia di allegri hobbit ed elfi, che

la festeggerebbero offrendole cibarie. Siccome non sono nato in terra di Albione e

tanto meno mi chiamo Alice, non avendo assunto funghetti psichedelici, il minimo

che mi possa capitare è imbattermi in una creatura sì, della Terra di Mezzo, ma dai

connotati piuttosto sgradevoli e dal ghigno beffardo, tipici del patrimonio mitologico

mediterraneo. A testimonianza del fatto che quando si descrivono a tavolino i regni

sottili, che quando esperti di cose misteriose ritenuti autorevoli, scrivono di cose

supposte, ti accorgi che nello sperimentare davvero l'Ignoto, pur dopo anni di studi

e ricerche, ti troverai di fronte a qualcosa di completamente diverso da quanto

descritto sui manuali. Per proiezione psichica, intendo semplicemente che

rivestiamo col nostro inconscio ancestrale forze ed energie comunque esistenti e

presenti, quindi esse appaiono nell'unica forma possibile per noi percepibile.

L'etere universale, l'akasa secondo gli indù, provvede a strutturare l'evento, così da

potersi esplicare nel miglior modo consentito ai nostri sensi. È lo stesso processo

mito-psichico che si innesca in occasione di un avvistamento ufo: l'evento è

riempito dai nostri contenuti, pur mantenendo la sua forma originaria.

Scandurra mi aveva insegnato che per viaggiare velocemente lungo tutti i cunicoli

di accesso, era indispensabile connettere le molecole (lui le chiamava 'mollicole')

alla luce. Operazione necessaria ma difficoltosa e non per motivi tecnici, ma per la

nostra naturale disabitudine alla non collocazione della coscienza entro gli angusti

confini del corpo, nella fattispecie la testa, sito storico in cui ci troviamo agli arresti

domiciliari fin dalla nascita. Un altra regola da tener conto durante le sortite in

questi varchi, è che svariati scenari conducono a universi multipli. In effetti, sia

nella fisica quantistica sia in metapsichica, la distanza fra un punto A e un punto B

non ha alcuna importanza, poiché le transizioni virtuali di una particella o del

mercurio alchemico (corpo astrale) possono interferire tra loro a qualunque

distanza, perfino tra un universo ed un altro.

Una teologia miope e dicotomica, mette in contrasto due cose così unite come il

corpo e l'anima. Gente di frontiera, entronauti, talenti anonimi, tutti insieme

dimostriamo con le nostre sortite nella Terra di Mezzo, che non solo è possibile

entrarvi con una coscienza viaggiante, ma addirittura in specialissime condizioni –

connessione molecole-luce - anche col soma. Certo, non è il mio corpo fisico

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ordinario a viaggiare oltre lo specchio dimensionale, ma una sorta di aerosoma,

mercurio volatile secondo gli alchimisti, che può penetrare in dimensioni ad alta

frequenza e basso magnetismo. Si scopre - ed io l'ho vissuto - che in quello stato, il

tempo non è oggettivo, il prima e dopo sta solamente nella logica. Capto echi di

altri mondi lontani e strani, il cui riflesso si trova a volte ad illuminare le tappe della

storia della cultura umana. È una tradizione già chiara a Dostojevskij che nei suoi

diari così scriveva: “Dio ha preso i semi da altri mondi e li ha seminati. Ed è nato

tutto ciò che poteva nascere. Ma sulla terra tutto vive attraverso il segreto contatto

con altri mondi”.

2.

ANONIMA TALENTI

Mi sono sempre chiesto come si comporti l'universo durante le nostre scorribande

aerosomatiche. Rimane forse un vuoto nel continuum in cui ci spostiamo? La

nostra energia è una sostanza concreta sebbene sottilissima che lo riempie oppure

formiamo, come suol dirsi, nodi e pieghe? Siamo individui dotati di caratteri

ereditari acquisiti, di cui la Terra ha avuto improvvisamente bisogno. Li chiamano "i

poteri" e si destano senza preavviso e si sviluppano progressivamente, accade

persino che esplodano a mo' di supernovae. Non siamo una congrega, ma

un'anonima talenti disseminata sul globo terracqueo senza apparente

collegamento, composta di sensitivi, telecinetici, elettromagnetici, veggenti e

modificatori di universi come Scandurra.

A partire dalla seconda metà del XX° secolo gli uomini credevano di aver

conquistato lo spazio, tracciato le rotte, previsto gli scali. Oggi i più onesti scoprono

di non saperne nulla. Che cos'è lo spazio curvo, a paragone di misteriosi varchi

interdimensionali, di sub-spazi che tracimano sull'universo fisico? Cos'è mai l'homo

sapiens attanagliato fra il galattico e il mutante? L'universo conosciuto non è altro

che un enclave nel caos. L'universo psichico, invece, è un pullulare di menti e di

supermenti. Vige una legge: più si va in fondo, e più ci si accorge che la realtà è

unitaria, che tende all'unità. I contenuti di tale universo sono eterogenei. Lì, non

sono più i riferimenti spaziali che valgono, ma soltanto le distinzioni qualitative.

Tuttavia è a metafore di carattere spaziale, tratte dal solo universo che noi

conosciamo per diretta esperienza - quello fisico - che dobbiamo ricorrere per

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poterci orientare; e lo facciamo infatti, parlando di zone luminose e di zone oscure,

di entità elevate e di altre basse, barontiche.

. . .

Verso lo scalo interdimensionale - Terranusi 3

La porta automatica del montacarichi si aprì. Lo spettacolo che avevamo di fronte

era immenso, inatteso, strano. Poggiavamo i piedi su di una piattaforma

semicircolare color bronzo, lunga una ventina di metri, dopodiché iniziava un

labirinto-alveare multicolore, che si estendeva per kilometri, punteggiato da

migliaia di porte pentagonali, triangolari, quadrate, archi, ponti, per quanto potessi

vedere. Ai lati e in alto, invece, una volta stellata pazzesca: globi di fuoco,

nebulose, ed altri corpi celesti che non riuscivo a definire. Sembravano così vicini,

brillantissimi, quasi ne sentivo il calore.

“Roberto, mamma mia, sembra vero quel cielo. È una perfetta imitazione.”

“No, Angelo, non è un planetario. È tutto genuino.”

“Ma come è possibile, distinguo pianeti grandi come cocomeri; stelle che sputano

lingue di fiamma. Insomma, se saltassi, potrei toccarle.”

“È un altro universo, Angelo. La sua struttura è molto diversa da Il Luminoso, quello

in cui vivi.”

La volta celeste illuminava con mille sfumature blurosse la piana sconfinata, divisa

da una griglia che formava il labirinto gigante.

“E questa sterminata pianura labirintica?”.

“Sono gli accessi alle miriadi di botole che si affacciano sui pianeti di questo

universo, Il Fiammeggiante.”

La mia testa girava come una trottola. Vedevo, anzi, vivevo su di un altra

dimensione. Apprendevo pure che ogni universo aveva un nome. Roberto, che

evidentemente aveva sentito i miei pensieri, mi diede ulteriori spiegazioni.

“La grande civiltà degli Immortali, madre di tutte le civiltà del nostro universo,

nominò le dimensioni e ne definì le caratteristiche fondamentali. Ma non fu un

arbitrio. A contatto con i mondi nuovi dei nuovi universi, gli ingegneri cosmici

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constatarono che i popoli nativi avevano denominato allo stesso modo l'universo

che li ospitava. Ogni cosa riconduce alla sua origine.”

Stupendo. La storia ufficiale è la più grande menzogna mai raccontata.

Istintivamente non ci ho mai creduto.

“Senti, come ci si muove su questa enorme griglia? Centinaia di kilometri e non so

quanti accessi ai cunicoli. È tutto così grandioso e noi siamo a piedi.”

“Ci verrà in aiuto una balzo-nave. Un giretto su una fuoriserie ti ecciterà, vedrai”.

A bordo di un disco volante? Caspita. Tutte queste cose che vivevo, erano

nascoste al mio mondo. Quanta gente veniva corbellata dai potenti della terra. Si

viveva una vita breve in un angusto spazio, senza minimamente immaginare

l'infinito. Perché proprio io avevo avuto questa fortuna sfacciata? Perché non

potevo gridare ai quattro venti che c'erano universi da esplorare alla nostra

portata? Che il contatto con altri esseri era fattibile? Poi pensavo ai miei genitori,

come sarebbero stati contenti stupiti orgogliosi, di avere un figlio che viaggiava tra

le dimensioni. Pensieri così semplici, forse banali, comunque spontanei. Avevo

svariati difetti, ma non ero egoista. Avrei mai avuto il permesso da Scandurra di

divulgare tali segreti?

Ammiravo stordito il cielo, quando una fiammata biancaceleste esplose davanti a

noi, subitanea, silenziosa, e poi, un secondo dopo, comparve una balzo-nave.

Sembrava la prua di un galeone. Aveva qualcosa di antico nel suo colore marrone

metallico. La parte inferiore, la chiglia diciamo così, somigliava alla pancia di un

cetaceo, i fianchi erano poderosi, il ponte di comando, composto da un grande

vetro giallognolo, semirotondo, posto molto in alto, faceva intravedere una sagoma

di una creatura che si muoveva.

Alta quaranta metri, la balzo-nave si fermò a pochi passi da dove ci trovavamo,

sospesa per due metri da terra, dondolava. Mi mancava il respiro e il mio stomaco

si appiattiva.

“Ora hai l'occasione di fare amicizia con un nativo dell'universo Il Fiammeggiante”.

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lunedì 23 agosto 2010

IUS 28

. . .

1.

Cari compagni di viaggio, non sono andato in ferie, ma molto più lontano.

2.

Da Scandurra ho imparato a non insegnare a Dio a fare Dio.

3.

Le scienze dello spirito pretendono di risolvere le questioni spirituali a tavolino, la

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comprensione razionale, scientifica, è un fenomeno della nostra tarda ratio, un

fenomeno tardivo, che ha poco a che fare con lo spirito. Ci sono state civiltà

totalmente spirituali, in cui la ratio era pressoché assente. Già l’idea di una scienza,

per lo spirito, ci indica una via del tutto estranea ai modi dello spirito. Se però

qualcuno vuole fare una chiacchierata, sta bene. Il venire al mondo è o non è un

fenomeno occulto? È logico? Razionale? È scientifico? Cosa c’è di razionale? La

logica stessa ci invita ad un cammino nell’ignoto anziché ad una chiacchiera

tardiva. L’esistenza è un fenomeno occulto. Noi proveniamo dall’ignoto e questo è

il punto di partenza se si vuole raccapezzarci qualcosa. L’esistenza comincia dalla

vita, muove da essa, cioè dal fenomeno più occulto che la vita ci pone, la vita

stessa. Prima, adesso e dopo, da un punto di vista occulto. Le scienze dello spirito,

si fondano su fattori linguistici, nominalistici, quasi a porre una identità tra la realtà

e il linguaggio, ma lo spirito non può essere risolto da questi espedienti di

Scolastica, così significa andare avanti per lacune, tra mezze verità. L’iniziato è un

uomo che sente la vita e muove dalla vita, la sua pulsione o il suo cuore esso li

ricava dal divino, spezzando la barriera del linguaggio.

4.

Una delle cose che mi ha insegnato Scandurra, è il controllo del magnetismo

umano e la sua proiezione nello spazio. I fluidi umani sono potenti e funzionano.

La cerchia interna dell'Ordine Templare, addestrava così i più meritevoli:

1.concentrati senza focalizzare,

2.guarda all’indietro senza voltarti,

3.senti il cuore irradiarsi a rosa.

Realizzato tutto questo, si è capaci di combattere con due spade, quella visibile e

quella invisibile.

Se miri al generale non ottieni niente, ma se miri allo specifico puoi toccare

l’universale.

Prendi ogni contrattempo come variabile portatrice di buoni auspici.

. . .

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Verso lo scalo interdimensionale - Terranusi 4

Era difficile per me staccare l'attenzione da quel vascello, alla sua forma tozza,

angolosa. Non riuscivo a distinguere i suoi dispositivi di propulsione. Non vedevo

emblemi o simboli di identificazione su quello scafo. L'unica constatazione che

attenuò i miei timori fu che quello strano vascello appariva di progettazione e

costruzione umane. Almeno così mi sembrava ad una prima analisi.

La prua si spalancò come una bocca vorace. Un vapore giallognolo fuoriuscì

investendoci. Era freddo e inodore. Intravidi una scala mobile che si srotolava a mò

di serpente verso di noi. Mi rivolsi a Roberto con uno sguardo di sorpresa. Mi fece

cenno di salire. Così feci e mi diressi verso quella rampa metallica semovente che

lentamente ci trasportò dentro la balzo-nave. Tra le lingue di vapore intravidi un

uomo, alto sul metro e ottanta, robusto. Sì, decisamente era umano. Il suo

abbigliamento non aveva niente a che vedere con lo stereotipo della tuta spaziale

o del pigiamino alla Star Trek. Giacca e calzoni comodi di un mollettone verde

scuro, un gilet dello stesso colore e una camicia marrone chiaro abbottonata.

Sembrava un gentiluomo di campagna. Non dimostrava più di cinquanta anni.

Bruno e dal volto interessante, profondo, vivacissimo.

“Ben trovato Roberto”.

“Son contento di rivederti. Ho con me Angelo, amico di Scandurra”.

“Sta invecchiando quel tremendo topo di fogna spaziale. Vedo che mi manda una

recluta. Ben contento di fare la tua conoscenza. Asbel è il mio nome”.

La sua voce era calda, simpatica. Abbassai la testa e gli allungai la mano per

salutarlo. Lui fece lo stesso ma mi strinse l'avambraccio. Lo imitai a quel punto.

Aveva un'espressione che poi imparai a distinguere, quella cioè del professionista

navigato, pronto a far fronte a qualunque situazione. Ci fece strada verso l'interno

della nave che trovai più insolito dell'esterno. Pur sembrandomi di fabbricazione

umana, il suo piano generale si discostava nel modo più completo da quanto

conosciuto. Le funzioni dei molti strumenti mi apparivano familiari, ma la loro

conformazione mi era estranea. Mi guardavo intorno con un senso di meraviglia.

Infine, Asbel ci condusse in una cabina rivestita di pannelli di legno, sì, legno

autentico. Era la sala comandi, un grande vetro giallo mostrava l'esterno, ma in

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realtà era un visore. C'erano quattro poltroncine legnometallo, due avanti e due

dietro a formare un trapezio. Ci invitò a sedere. Io per istinto mi accomodai dietro. Il

comandante, invece, mi indicò la postazione al suo fianco.

“Scandurra ti ha mandato qui per un gioco di una scala talmente smisurata da

polverizzare le beghe di un singolo pianeta. Il cane rabbioso è alle nostre

calcagna. Le porte sono ambite da bassi esseri disposti a tutto pur di dominare.

Dovremo far saltar via una delle zanne di quella bestia. Sembriamo, Angelo,

diversi, eppure ci lega un anello fondamentale. Saltiamo entrambi da un universo

ad un altro. Non per diletto ma per dovere. La tua galassia sta diventando piccola

come la sua riserva di tempo. Allora come in ogni crisi guerra carestia, ci son

sempre pirati d'anime che brigano oltre ogni limite per rubare la conoscenza. Ecco

quindi che entriamo in ballo noi. Ci grattano dove ci prude”.

Non compresi completamente a cosa alludesse il comandante. Con una specie di

cloche ad elle manovrò la balzo-nave con noncuranza estrema e ci alzammo. Non

avvertii pressioni di nessun tipo. Sembrava che scivolasse dentro un liquido. Vidi

l'insieme del labirinto ed era immenso e complicato. Sembrava vicino, quasi lo

potevo toccare. Eravamo diretti a rompere le ossa a non so quale cane bastardo.

Pura avventura come mai avevo sognato o rogna immensamente più grande di

me. Fra poco avrei avuto la frusta per il mio c.....

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domenica 5 settembre 2010

IUS 29

“A quale risultato spaventoso ci ha mai condotto il nostro ragionamento?

Nessuno vorrà facilmente ammettere che immagazzinata ed allo stato

latente, in un chilogrammo di materia qualunque, completamente nascosta

a tutte le nostre investigazioni, si celi una tale somma di energia,

equivalente alla quantità che si può svolgere da milioni e milioni di

chilogrammi di carbone; l'idea sarà senz'altro giudicata da pazzi”.

Olinto de Pretto

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“La materia di un corpo contiene una quantità di energia rappresentata

dall’intera massa del corpo, che si muovesse alla medesima velocità delle

singole particelle”.

Olinto de Pretto, da un articolo, Ipotesi dell’etere nella vita dell’Universo,

pubblicato il 23 novembre del 1903 sulla rivista scientifica Atte.

"Il potere ha dei limiti. Se sai stare in quei limiti, sei molto potente. Se stai al

di sotto di quei limiti ti senti frustrato. Se li superi ti distruggono".

Marc Saudade

“2012: quell'anno Morgan V veniva eletto Presidente degli Stati Uniti dal

Consiglio dei Magnati”.

Jack London, La Peste Scarlatta

“Nel Mistero del Golgota, Dio entra fino nell’ultimo atomo di maya per redimerla”.

Angelo Ciccarella

“Ogni atomo ponderabile è differenziato da un fluido tenue, che riempie

tutto lo spazio meramente con un moto rotatorio , proprio come fa un vortice

di acqua in un lago calmo. Una volta che questo fluido – ovvero l’etere –

viene messo in movimento, esso diventa grossolana materia. Non appena

il suo movimento viene arrestato la sostanza primaria ritorna al suo stato

normale... Può allora accadere che, se si riesce in qualche modo a

imbrigliare questo fluido, l’uomo possa innescare o fermare questi vortici di

etere in movimento, in modo da creare alternativamente la formazione e

sparizione della materia. Dunque, al suo comando, quasi senza sforzo da

parte sua, vecchi mondi svanirebbero e nuovi mondi entrerebbero

nell’esistenza. L’uomo potrebbe così alterare le dimensioni di questo

pianeta, controllare le sue stagioni, aggiustare la sua distanza dal Sole,

guidarlo nel suo eterno viaggio lungo l’orbita di sua scelta, attraverso le

profondità dell’universo. Egli potrebbe far collidere i pianeti e creare i suoi

soli e le sue stelle, il suo calore e la sua luce, egli potrebbe dare origine

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alla vita in tutte le sue infinite forme. Dare origine alla nascita e alla morte

della materia sarebbe il più grande degli atti umani, cosa che darebbe

all’uomo una conoscenza profonda della creazione fisica; tutto questo gli

permetterebbe di compiere il suo destino ultimo”.

Nikola Tesla, New York Times, 21 aprile 1908

. . .

1. I DUE MONDI

La vita si appoggia su due mondi, così ci spiegava Scandurra. Da una parte la

terra, la ragione, dall’altra lo spirito. I due mondi sono due sfere vitali dell’esistenza,

e il problema è quello del mezzo che li separa. Non si tratta di un confine, una netta

linea di demarcazione che isola mondi non comunicanti, ma piuttosto di una

“frontiera”, una zona mobile nella quale sono possibili scambi e interazioni, una

specie di membrana permeabile all’azione dei diversi ambiti che è necessario

percorrere per giungere ad una visione più estesa della realtà. Una zona che

attraverso fessure, strappi, strati di maggiore sensibilità e lacerazioni permette di

intuire ciò che avviene dall’altra parte. In senso figurato, cadendo nel mondo, la

Realtà si frantuma in elementi contraddittori, non solo in opposizione, ma spesso

contemporaneamente veri, vale a dire antinomici. Ed il compito nel quale

interviene il pensiero analogico è quello di ricostruire per intero la verità.

L’asimmetria della frontiera è questa: scomposizione materiale della verità in una

direzione e sua ricomposizione spirituale nell’altra. Le due facce diventano

metafore del mondo reale e del cielo. Che ne è della zona intermedia, la frontiera?

La scoperta è che il nostro viaggio si svolge su una superficie unilatera, su un

nastro di Möbius, la cui geometria è semplicemente ellittica.

2.

Secondo Scandurra, i miti delineano una sorta di “prologo extraterrestre” alla storia

umana, e ci inducono, pertanto, a considerare e interpretare la stessa storia

conosciuta come un piccolo frammento di quella cosmica, nonché il risultato dello

scontro, iniziato nella notte dei tempi e ancora in corso, tra le Civiltà della Luce, gli

Uranidi, e quelle del Kaos, i Saturniani.

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3.

Benché gli uomini di scienza non l'accettino, c'è una relazione tra l'anima e la

Natura. Madre Natura si mette ora al passo con la nostra civiltà ed incomincia

anche a distruggere.

4.

QOELET (Frammenti III)

Meglio la fine di una cosa che il suo principio;

è meglio la pazienza della superbia.

Non esser facile a irritarti nel tuo spirito, perché l'ira alberga in seno agli stolti.

Non esser troppo scrupoloso

né saggio oltre misura.

Perché vuoi rovinarti?

Non esser troppo malvagio

e non essere stolto.

Perché vuoi morire innanzi tempo?

Tutto questo io ho esaminato con sapienza e ho detto: «Voglio essere saggio!», ma

la sapienza è lontana da me!

Ciò che è stato è lontano e profondo, profondo: chi lo può raggiungere?

Mi son applicato di nuovo a conoscere e indagare e cercare la sapienza e il perché

delle cose e a conoscere che la malvagità è follia e la stoltezza pazzia.

Chi è come il saggio?

Chi conosce la spiegazione delle cose?

La sapienza dell'uomo ne rischiara il volto,

ne cambia la durezza del viso.

Sulla terra si ha questa delusione: vi sono giusti ai quali tocca la sorte meritata

dagli empi con le loro opere, e vi sono empi ai quali tocca la sorte meritata dai

giusti con le loro opere. Io dico che anche questo è vanità.

Perciò approvo l'allegria, perché l'uomo non ha altra felicità, sotto il sole, che

mangiare e bere e stare allegro.

Sia questa la sua compagnia nelle sue fatiche, durante i giorni di vita che Dio gli

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concede sotto il sole.

Quando mi sono applicato a conoscere la sapienza e a considerare l'affannarsi

che si fa sulla terra - poiché l'uomo non conosce riposo né giorno né notte - allora

ho osservato tutta l'opera di Dio, e che l'uomo non può scoprire la ragione di

quanto si compie sotto il sole; per quanto si affatichi a cercare, non può scoprirla.

Anche se un saggio dicesse di conoscerla, nessuno potrebbe trovarla.

Infatti ho riflettuto su tutto questo e ho compreso che i giusti e i saggi e le loro azioni

sono nelle mani di Dio.

L'uomo non conosce né l'amore né l'odio; davanti a lui tutto è vanità.

Vi è una sorte unica per tutti,

per il giusto e l'empio,

per il puro e l'impuro,

per chi offre sacrifici e per chi non li offre,

per il buono e per il malvagio,

per chi giura e per chi teme di giurare.

Và, mangia con gioia il tuo pane,

bevi il tuo vino con cuore lieto,

perché Dio ha gia gradito le tue opere.

In ogni tempo le tue vesti siano bianche

e il profumo non manchi sul tuo capo.

Godi la vita con la sposa che ami per tutti i giorni della tua vita fugace, che Dio ti

concede sotto il sole, perché questa è la tua sorte nella vita e nelle pene che soffri

sotto il sole.

Tutto ciò che trovi da fare, fallo finché ne sei in grado, perché non ci sarà né attività,

né ragione, né scienza, né sapienza giù negli inferi, dove stai per andare.

E io dico:

È meglio la sapienza della forza,

ma la sapienza del povero è disprezzata

e le sue parole non sono ascoltate.

Le parole calme dei saggi si ascoltano

più delle grida di chi domina fra i pazzi.

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Meglio la sapienza che le armi da guerra,

ma uno sbaglio solo annienta un gran bene.

Una mosca morta guasta l'unguento del profumiere:

un po' di follia può contare più della sapienza e dell'onore.

Se le nubi sono piene di acqua,

la rovesciano sopra la terra;

se un albero cade a sud o a nord,

là dove cade rimane.

Chi bada al vento non semina mai

e chi osserva le nuvole non miete.

Vanità delle vanità, dice Qoèlet,

e tutto è vanità.

Conclusione del discorso, dopo che si è ascoltato ogni cosa: Temi Dio e osserva i

suoi comandamenti, perché questo per l'uomo è tutto.

Infatti, Dio citerà in giudizio ogni azione, tutto ciò che è occulto, bene o male.

5.

Scandurra amava parlare in forma dialettale. Il dialetto è il linguaggio della

necessità, è il momento elfico della lingua. Se la lingua è storica e culturale, il

dialetto è cosmico. Scandurra mi diceva che chi muore, muore in dialetto!

6.

Il nostro universo si sta semplicemente scaricando come una molla. Sembra

lasciarsi andare, privo di ordine, senza comando né disposizione.

7.

Non temendo più Dio credevamo di accrescerci, invece precipitiamo

inesorabilmente.

8.

“Troppa evoluzione ti allontana dal meschin pensiero, diceva Darwin, penso

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avesse ragione, per una volta. Qui con questa mania della psicologia ti voltano le

spalle anche quelli che fanno affari con te, il problema è sostanziale. Noi vivendo

in questo Antico Paese, alimentiamo anzi paghiamo tramite le tasse dirette e/o

indirette questo sistema di cui ci dovremmo vergognare; io per tutti quelli che

sgomberano Miriam incinta dalle baracche perché extracomunitaria provo

vergogna, d'altronde non era la Madonna un'extracomunitaria? Non dovette

partorire a Betlemme in una grotta da extracomunitaria? Cosa succede 2000 anni

dopo, lo stesso, Caino contro Abele, tutti contro tutti ASPETTANDO LA FINE DEL

MONDO, CHE DIO MANDERÀ PERCHE' TUTTI NOI CE LA MERITIAMO, appunto

perché complici di questo subdolo sistema - anche se indirettamente. Non ci siamo

mai ribellati, abbiamo sempre subito in silenzio questi Vampiri che ci comandano

dalla notte dei tempi. INVECE DI SPERARE NELL'INDULGENZA DI DIO verso di

noi dovremmo FARE QUALCOSA, FINCHÈ SIAMO IN TEMPO”. Gianni De Caro

. . .

Deya: il pianeta labirintico.

Asbel pilotava la balzo-nave come avrebbe potuto farlo un giovinottello su di una

giostra: facilmente e divertendosi. Ondeggiava, piroettava, era uno spasso. La

manovrabilità di questo gigante dell'aria aveva del magico.

“Asbel, cosa fa muovere questa magnifica nave?”

“La balzo-nave è fatta della stessa cosa che la fa muovere. Guarda, la guido senza

toccare strumenti. Alto basso laterale diagonale”.

In effetti la guidava senza l'uso di strumentazione. Era mai possibile che fosse il

pensiero a comandarla?

“La balzo-nave è costruita col sacro vuoto. Lo stesso che ha creato gli universi. Da

qui l'apparizione della luce che muove un moto; e ogni moto genera calore, da qui

la materia manifesta: luce e calore sono i marcatori del flusso eterno che lega ogni

materia, spessa e sottile, al suo Creatore. La balzo-nave è il veicolo di questo

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flusso. Dietro la mia porta passiva, l'ombelico, c'è un punto di acqua notturna,

l'energia vitale contenuta nel ventre che si allinea con la voragine sacra. Il gioco è

fatto: navigo letteralmente sull'acqua onnipresente. Conosci anche tu il punto”.

L'aeronave fatta con ciò che la faceva volare, acqua notturna... attesi momenti più

idonei per riprendere il discorso che mi affascinava alquanto. Gli chiesi sulla nostra

destinazione.

“Ti farò scendere in quel ginepraio labirintico, tra mille vicoletti cantine botteghe

templi e lì, nascosta, c'è qualcosa di camuffato, già, una macchina depositata da

quei neri...”

“Ma non so niente di queste faccende. Sono un ragazzo soltanto e...”, mi interruppe

con una risata colossale.

“Se ti trovi in un altro universo, ci sarà un motivo. Non è per qualche fortunata

occasione cosmica che hai incontrato Scandurra. E se ti ha dato l'accesso a questi

mondi... non ti rendi conto ancora, ma sarai perfettamente in grado di svolgere la

missione. Al peggio ci lasci le penne. Ma vuoi mettere la gloria?”

Ridacchiava alla maniera di uno scaltro figlio di buona donna. Ancora una volta fui

preso dal curioso e anomalo disegno della balzo-nave. Era come se una cultura

senza contatti o scambi con la mia si fosse trovata a dover risolvere identici

problemi d'ingegneria. Da ciò l'inafferrabile alienità della nave, anche se era stata

progettata e costruita per essere usata da esseri umani. Mi trovavo, evidentemente,

in contatto con una cultura di un altra dimensione ma parallela. Virate, impennate,

discese, comunque si muovesse la nave, noi dalla cabina di pilotaggio non

avvertivamo alcuno spostamento. L'impressione era quella di trovarsi alle prese

con un simulatore di volo. Prima di questa esperienza incredibile, gli aerei li avevo

visti solo volare. Ero a bordo di un'astronave dalle mirabolanti prestazioni, in un

altro universo, in procinto di svolgere una missione speciale, di cui non conoscevo

né i termini né i rischi reali. Osservavo, senza darlo a vedere, Asbel, ed era vero e

smanettava come un giocattolo la piccola leva, sorvolando una spettacolare città-

labirinto. Dietro di me c'era Roberto, che osservava con attenzione quello che

accadeva sotto di noi.

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“Ricordati che al centro di tutto c'è la storia, con la sua un’architettura…”. Asben

così interruppe le mie considerazioni.

“L’architettura di Deya è composta di monumenti grandiosi e spaventosi al tempo

stesso e va a formare la sua spina dorsale. Ci sono simboli nell’architettura deyana

che contengono qualcosa di vivo, un collegamento con l’ombra eterna del Male e

la Luce nascosta dell’uomo, una fitta rete che va a contenere storie e storia, una

sorgente eterea. Il suo antico e conturbante costruttore, tagliava le pietre in modo

che trasmettessero l’ombra”.

“Asben, chi era il costruttore?” La cosa mi intrigava e sconvolgeva e volevo

saperne di più.

“Un ingegnere cosmico, un rinnegato che diede forma all’infinità stessa. Il tempo è

un’illusione dell’uomo e tutti i tempi co-esistono nella straordinaria totalità

dell’eternità. C’è un legame fra l’architettura e il tempo. Il tempo stesso ha

un’architettura. Noi e gli eventi siamo inevitabilmente collegati a qualcos’altro di

più grande: un’architettura temporale”.

Incominciavano a formarsi nella mia coscienza, più che nuovi concetti, antiche

risonanze. Ciò che asseriva con trasporto Asben, non era poi così alieno, lontano,

insolito. Vibravano dentro di me alcuni discorsi appena abbozzati di Scandurra;

discorsi, apparentemente, slegati, contorti, ma che adesso diventavano chiari,

avevano un senso, uno schema, un modello interpretativo.

“Avrai modo di conoscere l’esistenza di un’architettura temporale maligna, che

appare come una sorta di cappa sotto cui si muovono gli esseri umani. Vedrai

all'opera i suoi emissari. Compiono quelle azioni terribili perché è nella loro natura

e non c'è universo dimensione livello che li trattiene. Il Novecento del tuo mondo è

il secolo in cui il Male regna in maniera assoluta ed evidente. Gli emissari hanno

mostrato il volto degli arcani del potere. E il segreto di quel potere sta nel sangue”.

Asbel, nel frattempo, ci aveva portati sull'obiettivo. Quale, però, non ci era dato

sapere. Eravamo sospesi sulla verticale, a non più di dieci metri, di uno degli

innumerevoli vicoli del labirinto. Mi accorsi che c'era una vita brulicante.

Intravedevo uomini e donne, forse bambini. Sempre che quello che guardavo non

fosse un mio modo naturale di razionalizzare qualcosa che non comprendevo.

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giovedì 23 settembre 2010

IUS 30

. . .

1.

Dopo duemila anni, il sacrificio di Cristo è ancora presente nel nostro encefalo,

dentro le nostre cellule, fa parte di noi, al di là di qualsiasi credo religioso. Forse,

grazie a questo, godremo di un qualche genere di salvacondotto quando il varco

previsto per la fine del 2012 si aprirà e ci inghiottirà trascinandoci nella grande

mareggiata cosmica. Non bisogna dirsi cristiani, cattolici o ebrei, islamici o indù:

siamo tutti portatori di cellule cristiche.

2.

Le interferenze del sovrannaturale nella nostra realtà si stanno verificando oggi più

che mai. Và anche detto che esse sono di duplice segno, e proprio per questo

dobbiamo aprire l'occhio del cuore per riconoscerle, onde evitare illusioni e

trappole. Questa raccomandazione tanto più è valida per chi si avventura per le vie

del Grande Ignoto. Ci sono forze spirituali oggettive nemiche dell'uomo, contro le

quali è necessario combattere con le armi in dotazione da sempre e cioè fede e

conoscenza. Non credo in chi sostiene che il male è complementare del bene e

che quindi andrebbe trasformato; o peggio, che non esiste perché tutto fa brodo.

Ho imparato a mie spese.

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3.

Una Tradizione "che non sia anonima, non sia generica, non sia opinabile, non sia

immaginaria, non sia volubile, non sia inesistente, ma porti chiaramente impresso

uno dei nomi seguenti: Cristianesimo, Giudaismo, Islamismo, Buddismo,

Confucianesimo, Taoismo, Parsismo". "Tutte queste famiglie possono, più o meno,

ricondursi alla Tradizione originaria, o Tradizione adamitica" (Articolo di Silvano

Panunzio pubblicato su Carattere, riprodotto su L’Alfiere, n. gennaio 1966, pp. 7-8.)

4.

Stiamo entrando in un ciclo di epoche in cui l’anima femminile diventerà sempre

più pura e grande, in cui più e più donne diventeranno ispiratrici profonde, madri

sensibili e leader sagge e visionarie. Questo sarà il ciclo d’epoche in cui la

componente femminile dell’umanità si manifesterà con forza senza precedenti,

bilanciando il dominio precedende di forze maschili in una armonia perfetta.

Daniil Andreev, 1950s, Roza Mira (The Rose of the world)

5.

Ho conosciuto Scandurra a 16 anni, mosso dall'aspirazione alla conoscenza. Mi ha

accolto come si accoglie un uomo di desiderio, guardando oltre il ragazzotto timido

e confuso. Nei suoi insegnamenti ho incontrato il grande Giroscopio Cosmico, colui

che indica una via, che offre senza chiedere nulla in cambio. Scandurra faceva

agire la luce che toglie la materia dalla tenebra. Non giudicava se non per dare un

indirizzo, non chiedeva niente, non ti attirava nei suoi pensieri e sentimenti, non ti

offriva una concezione del mondo, non ti proponeva neanche una via interiore se

questa via non era già dentro di te: si offriva e così facendo attivava quella Vita

presente in ogni essere umano.

B.F., un vecchio discepolo

6.

"...Ognuno di noi ha al suo interno una luce divina, un incanto, un istinto magico,

divino, da far emergere verso la superficie di se stesso. Questa luce, questo istinto

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divino, la consapevolezza di “noi stessi e del TUTTO che ci circonda” non

dobbiamo mai soffocarla..." Elena Galanti, fotografa

. . .

Deya: il pianeta labirintico 2

Seguii Roberto che mi indicò il punto del mio trasferimento. Compresi con senso di

angoscia che in quell'incredibile labirinto mi sarei trovato da solo a cercare cosa,

poi, non avevo ancora capito. Ebbi la sensazione agghiacciante dell'eventualità di

perdermi, e forse non era nemmeno la cosa peggiore che mi sarebbe potuta

capitare. Dove diavolo mi ero cacciato? Dove mi aveva condotto Scandurra?

Avevo pure insistito per viaggiare nell'interdimensionale. Complimenti. Invidiavo

pure il mio amico Zac per essere stato il primo dell'anonima talenti a saltare il fosso

e poi, quando mi si presentava l'occasione, me la facevo sotto.

Roberto, dopo avermi fatto percorrere mezza nave – rampe, camminamenti a file

parallele, botole del tipo 'pompieri' e scale mobili - mi indicò un cilindro verticale di

oltre due metri e vi entrai; mi trovai così incassato dentro un lungo budello di

legnometallo scuro. Un vapore giallognolo scese su di me. Era fresco e mi

pizzicava in faccia. Mi aspettavo chissà quale magia smaterializzante. Invece si

aprì d'improvviso la base sotto i miei piedi e precipitai nel vuoto. Non mi

smaterializzai ma discesi lentamente come se fossi imbracato da una corda

elastica. Ero avviluppato da un alone giallo che mi permise di planare. Il

paracadute gassoso mi depositò morbidamente in mezzo ad una piazzetta.

Messo piede a terra, mi resi conto di trovarmi in mezzo ad una curiosissima città

piena di gente. La giornata vista dal basso era più assolata, i raggi dell'astro

trovavano insolite angolazioni, tagli di luce multicolori colpivano torrette altissime,

templi dai più curiosi addobbi e simboli, palazzine ad un piano piene di botteghe e

rivendite di tutto, ma proprio di tutto. Fui invaso dal chiasso festoso di una umanità

(seppur di un altro universo, così mi appariva) indaffarata a comprare,

bighellonare, parlottare, ridere, vendere, barattare. Nessuno fece caso a me, calato

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dal cielo come un angelo; evidentemente, erano ben avvezzi a cose strane. Il fatto

veramente straordinario, almeno per me, riguardava la lingua o meglio, le lingue

che questo popolo vivo ed esuberante usava. Distinsi persino un idioma simile

all'italiano parlottato da tre tipi, vicini ad un negozio di semenze. Mi avvicinai a loro

con cautela. Sembravano completamente presi dall'animata discussione e non si

curavano della mia presenza. Allora decisi di intervenire:

“Scusate l'intromissione, ma vorrei avere alcune informazioni. Innanzitutto, ho

accidentalmente ascoltato la vostra conversazione e parlavate in italiano. Mi

chiamo Angelo. Sono dell'universo Il Luminoso. Sono stato mandato da un certo

Asbel”.

Tre uomini, forse affaristi giunti su Deya chissà da dove per lavoro, indossavano

cappottoni scuri lunghi sino alle caviglie e copricapi a punta di lana con

paraorecchie. Possedevano tratti somatici simili agli slavi e sembravano parenti.

Uno di loro, il più autoritario si rivolse a me con voce tagliente:

“Asbel, sì, lo conosciamo. Ti aspettavamo più tardi. Comunque già che stai qui,

benvenuto su Deya. Noi siamo della fratellanza Darest Sharma e ti condurremo in

un posto discreto dove poter parlare liberamente. Mi chiamo Tarim lo 'scaltro'. Lui è

'l'orologiaio', Finut e l'altro è Bedan, 'l'esattore'”.

“Spero che possiate darmi le informazioni di cui ho bisogno. Asbel non mi ha

voluto o potuto dirmi molto”.

“Sei armato?”, fece Tarim.

“Cosa? No, per carità e poi perché dovrei esserlo”.

“Asbel ti ha inviato in un posto tra i più pericolosi dell'universo. Conosce il fatto suo,

comunque. Vorrà dire che ti proteggeremo noi”.

Detto questo, Tarim e gli altri si diressero in tutta fretta su per una stradina,

leggermente in salita e io li seguii con apprensione. Facevo fatica a reggere il loro

passo, anche perché la folla mi rallentava. Sembrava un vicolo di Napoli, pieno

zeppo di gente con fagottoni, un vociare alto, frammentato, risa e versi insoliti.

Notai la varietà dei costumi. Probabilmente provenivano da mondi diversi e giunti

tutti qui, a Deya, un luogo fatidico, fondato da un ingegnere cosmico, folle o

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perverso, non capivo bene. I palazzi, i monumenti, racchiudevano storie, potenze,

vibrazioni incredibili. Asbel me lo aveva accennato. Infatti, sentivo, sapevo, vedevo

dapprima lentamente, a singhiozzo, una serie di immagini, provavo sentori e

percezioni. Sembrava che la città labirintica mi volesse raccontare la sua storia.

Storia antica, estrema, di lotta e di dolore. Quel posto parlava. Come una immensa

bobina magnetica, multitraccia, che diffondeva particelle audio-video con effetti

sensoriali, psichici.

Continuavo a seguire affannosamente i tre compari. Una sensazione mi investì.

Chi erano realmente quei tizi? Amici? Poco probabile, scoprivo ora. Affiorava uno

stato di paura all'altezza del mio plesso solare. Sorse in me una fortissima

convinzione. Mi avevano ingannato per estorcermi notizie, 'accicciarmi' e

abbandonarmi in qualche angoletto di quel cinepraio. Che fine assurda. Parlando

italiano, avevano attirato ovviamente la mia attenzione. Ero stato un imbecille.

Accennando ad Asbel mi ero scoperto. Volevo vivere come in un racconto

d'avventura, eccola l'avventura. Riemerse dal sonno della coscienza la visione

globale delle cose, che mi consigliava di scappare. Tutto era chiaro. Li vedevo

finalmente come in una radiografia dell'anima: fetenti sicari. Senza pensarci su

troppo. Forza. Via e poi qualche santo (funzionano pure in un altro universo?) mi

avrebbe aiutato. Così feci.

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mercoledì 6 ottobre 2010

IUS 31

. . .

1.

Nel romanzo "Il deserto dei Tartari" di Dino Buzzati, vi è un personaggio, il tenente Giovanni

Drogo che, asserragliato nella Fortezza Bastiani, passa la sua intera esistenza ad attendere

dal confine della collinetta dei nemici che non arriveranno mai all'orizzonte, anche se le loro

gesta - di anni e anni prima ormai - erano leggendarie. Quella postazione militare, che attende

per decenni l'arrivo di un nemico, ha però instaurato una disciplina, una tradizione dura a

morire. Ecco, a costo di apparire nostalgici di un tempo che fu; a costo di attendere invano il

Grande Cambiamento del 2012; a costo di apparire paranoici aspettando l'invasione aliena;

costruiamoci la nostra Fortezza Bastiani, e tendiamo agguati al nemico invisibile.

2.

ISTRUZIONI SCANDURRIANE

* Visualizziamo le forze che ci muovono e contempliamo le forme della bellezza.

* Condividiamo le esperienze visionarie.

* Immergiamoci nel Bosco e ascendiamo il Monte.

* Approccio psicotattile con massi, alberi, antichi templi abbandonati, portali primevi.

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* Intorno al fuoco raccontiamoci le storie dei nostri nonni; svegliamoci all'alba per ricordare

ed interpretare i sogni e assorbire il raggio d'oro.

* Prepariamoci il nostro pane quotidiano con amore, almeno una volta al giorno, lasciandone

un poco al rappresentante del Piccolo Popolo.

* Coltiviamo l'arte del Silenzio.

* Sentiamoci parte di una immensa struttura che connette in un unico schema fluttuante un

multiverso di vite pulsanti, avventurose e appassionate, unite in una grande fratellanza

cosmica.

* Onoriamo sempre l'eredità ricevuta.

3.

Scandurra ci insegna a tornare alla casa dei padri, ci indica una via del ritorno a ciò che

abbiamo dimenticato. Ci mette di fronte alla responsabilità nei confronti di noi stessi, del

prossimo e del Dharma. Ci rivela i passaggi tra i mondi e le dimensioni, fuori dalle mappe

ufficiali. Ci offre l'ispirazione per trovare una via d'uscita dal caos imperante. È un risvegliare il

divino che giace sepolto dentro strati kilometrici di corazze sociali, ideologiche e psicologiche.

4.

Avverto una potenza latente, sommatoria di accumuli stratificati di energia raccolta, assorbita,

indotta durante un percorso animico e cognitivo di trentacinque anni. Tale potenza mi

avvicina e, quindi, ci avvicina ad una dimensione diversa. Una potenza che cresce e si

espande sulle cose. Tutto diventa più intenso. È l'adeguata condizione interna/esterna mia e

vostra all'attraversamento del Varco 2012.

Amici, ricordiamocelo: c'è una soglia che occorre varcare. Sarà tutto per sempre diverso. Da

essa già traspare la Luce che ci spingerà in avanti. Il meglio è ancora da fare. Per passare,

amici, ci vuole coraggio. Padre Celeste, abbi pietà.

5.

Ragiona come se ogni esperienza fosse nuova, focalizza ogni dettaglio in funzione del

quadro generale. La visione è saper cogliere la densità della realtà; più a lungo guardi una

cosa e più mondo ci vedrai dentro.

6.

In un documento della Trilateral Commission del 1975 si legge che“...il funzionamento efficace

di un sistema democratico richiede una qualche misura di apatia e non coinvolgimento da

parte di individui e gruppi.”

Rapporto sulle Governabilità delle Democrazie, in “Triangle Papers”, New York University

Press, New York 1975, pag. 114

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7.

Winston Churchill riteneva che l’Italia fosse “un paese di tanti misteri, ma di nessun segreto”.

8.

Uno dei commentatori più distaccati della società italiana, il sociologo Giuseppe De Rita, nel

settembre del 1996 sosteneva che “è in atto un tentativo di pm, polizia giudiziaria servizi

segreti che minacciano lo Stato di diritto e vogliono conquistare il potere”.

Dichiarazione riportata in http://digilander.libero.it/infoprc/manipulite.html

9.

Atomus temporis (quandam momenti stillam)

Si trovano atomi tanto in un corpo, quanto nel tempo e nel numero. (…) Nel tempo, il termine

atomo s’intende nel seguente modo: se dividi, ad esempio, un anno in mesi e poi dividi i mesi

in giorni e i giorni in ore, le cui parti ammettono un’ulteriore suddivisione fino ad arrivare a un

punto temporale, quasi una goccia di un momento che non ammette indugio alcuno, per

quanto piccolo, e che non può, quindi, essere ulteriormente divisa, quest’ultima è l’atomo del

tempo.

Isidoro, Etimologie XIII, 2.

10.

* Cosa facciamo questa sera/per arrivare fino a domani (Garbo, "Grandi giorni")

* E nella schiuma della nostra scia qualcosa appare e scompare (Dino Buzzati)

* La fine del mondo non è per domani (per nessun “domani” definibile): lo è, ciò che più

conta, in un certo modo, già per oggi. (H.I.Marrou)

* Sei uomo:/ non dire mai/ quel che accadrà domani,/ e se vedi un altro fortunato,/ fino a

quando lo sarà./ Come il battito d'ali tese d'una mosca/ Veloce è il mutamento. (Simonide)

* Le parole non bastano e sdraiarsi nel comodo letto della vanità ciarliera è come farsi

smidollare da una cupa e sonnolenta meretrice. Le ‘parole’ sono le ancelle d’una Circe

bagasciona, e tramutano in bestia chi si lascia affascinare dal loro tintinno. (C.E. Gadda)

. . .

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Deya: il pianeta labirintico 3

Rallentai il passo, approfittando pure della folla, fino a quando persi di vista i miei

nemici. Ad un certo punto svicolai per un altra stradina. L'astro sembrava in

perenne tramonto. I suoi raggi rimbalzavano su tutto, uomini e cose, in una cascata

di riflessi. In particolar modo fui investito da un raggio rosso corallo. Gli odori mi

aggredirono, forti, pungenti, mai sentiti, così come i suoni, era tutto amplificato: la

visione globale mi venne in aiuto. Con passo svelto mi diressi verso un portoncino

azzurro alla mia sinistra. Sentivo che dovevo entrare. Lo trovavo un posto sicuro,

protetto. Non bussai, ma spinsi la porta e questa si aprì. Mi trovai in una piccola

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bottega piena di fumo celestino e in penombra, non compresi cosa vi si vendeva in

realtà. Un bancone con sopra una specie di consòlle, era tutto quello che c'era lì

dentro. Chino su qualcosa dietro un banco, un vecchietto dai capelli bianchi, lunghi

e arruffati stava armeggiando con chissà che cosa, quando alzò lo sguardo nella

mia direzione e sorrise. Il suo volto era quello di un saggio, ieratico, placido, dagli

occhietti vispi, in tutto simile allo stereotipo del santone descritto nei romanzi.

“La Luce ti ha condotto da me. Essa non sbaglia. Amico di sempre. Sono un salta-

fossi come il tuo maestro e il mio nome è Fornari.”

Rimasi interdetto. Un collega di Scandurra al posto giusto nel momento giusto.

Quando si dice il c***.

Parlava in un italiano similmeridionale, da calabrese o siciliano istruito. La sua

voce? La sua voce era incantatrice, magica, calda, con un curioso effettorisonanza.

Gli risposi stentato:

“Dio sia ringraziato, signor Fornari, scappo da tre 'freschi', cioè da tre

malintenzionati che mi volevano fregare. Piuttosto, sono Angelo.”

“Tutto è deciso e scritto. Brutta gente si aggira su Deya. Ma non sono tutti come

loro. La città-mondo è il crocevia del nostro bersagliato Universo. Da qui tutti

devono passare almeno una volta nella vita.

Mettiti seduto, non c'è pericolo nel mio negozio.”

Mi indicò una panca sulla destra vicino il muro. La stanza sembrava quella di

Scandurra, semplice, quadrata, con un retrobottega nascosto da una tenda scura.

Fornari con quelle sue dita come rami d'albero, muoveva velocemente i tasti sul

quadro comandi, o almeno su quello strano aggeggio che destò la mia curiosità.

“Ti prego non prendermi per impiccione, cioè per curioso. Scandurra

ordinariamente vende frutta e verdura, mentre qua dentro non c'è niente da

comprare...ma è una copertura o cosa?”

“Oh, innanzitutto dovrò chiamarti nel modo di Deya. Devi sapere che quando si fa

visita alla città- mondo, si cambia nome. Ogni essere dell'Universo ne possiede

uno fin dalla nascita ad uso deyano. Una questione di onde.”

“Qual'è il mio nome deyano?”

“Darrell Zelio, naturalmente. Ti accompagnerà fin quando risiederai su Deya. Più

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che vendere, sintonizzo. Sintonizzo le onde-sorgenti per le botole. Questa

macchina è in fondo una radio, composta da un trasmettitore, un'antenna, un

ricevitore, il controllo rumori, ed infine un alimentatore. Ogni qualvolta un salta-fossi

con allievi al seguito, oltrepassano la frontiera, io faccio in modo che tutto

proceda per il meglio. Correggo le aberrazioni e gli scarti di frequenza. Allineo le

vibrazioni dei passeggeri con le onde-sorgenti e la porta si apre avanti e indietro.”

“Questo segreto di poter varcare la botola è un peso immenso. Scandurra è

costretto a fare il fruttivendolo e ad avere una vita parallela. Farebbero di tutto i

padroni del mondo per tirargli fuori quello che sa.”

“Non credere che da noi si viva in un mondo pacifico. Siamo perseguitati quanto e

più che sul vostro Piano. Deya è l'unico luogo in cui è consentito negoziare la

conoscenza. Quella della Luce e quella dell'Ombra. La vita è dura per tutti, ma non

mi lamento. Ho scelto, sono scelto per far quello che faccio. I tre tipacci in cui ti sei

imbattuto sono emissari dell'Ombra. Ti hanno sottovalutato. Credevano

che il Bagliore non ti avrebbe aiutato. Quando esso si sprigiona e si sprigiona

quando serve, immancabilmente, ti consente di veder chiaro e di agire per il

meglio.”

Intanto aveva preso da sotto il bancone una bottiglia trasparente, dal collo lungo,

contenente un liquido verde bosco, insieme a due bicchierini anch'essi trasparenti.

“Un goccetto di arborèa ci vuole proprio. Serve per smaltire la paura e il pericolo.

Bevila di un fiato.”

Mi alzai ma Fornari mi fece cenno di aspettare. Girò intorno al bancone e con mia

grande sorpresa vidi che sedeva su di una seggiola a rotelle. Senza che usasse le

mani, la carrozzella si muoveva nella direzione desiderata, come a comando e si

avvicinò silenziosamente.

“Sei sorpreso, eh? Anche un salta-fossi ha bisogno di riposarsi... la mia infermità è

la conseguenza di un brutto incontro finito male... per l'altro ovviamente.”

Rise di cuore, con gusto. Mi porse il bicchierino contenente il liquore verde. Lo

tenni tra due dita, sembrava di gomma al tatto. Lo avvicinai alle labbra. Lui mimò il

gesto di ingollarlo a 'scoppio', come diciamo a Viterbo. E così feci. Caspita che

buono. Dolce quanto basta e forte come la terra. Sapeva di erbe e di ferro.

Scendeva giù dal gargarozzo che era una bellezza. A cascata. Mi dava energia.

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Ero in stato di grazia. Mi sentivo bene. Mi trovavo ad un universo luce di distanza,

ma era come se fossi a casa. Curioso proprio sto Fornari, indossava un giubbotto

rosso scuro di velluto, o almeno gli somigliava, un calzone dello stesso tessuto ma

marrone e degli scarponcini di stoffa. Si intravedeva la magrezza delle sue gambe

immobili. Gli porsi la mano e lui me la strinse. Le sue mani nodose mi trasmisero

una scarica elettrica. Letteralmente.

“Il tuo mondo ha fatto un lungo cammino. Da qui a pochi anni cambierà. Tutto sarà

diverso ma non tutto andrà perduto. Germoglierà una nuova pianta dalle radici più

estese. Come per miracolo si presenterà un aiuto inatteso, che ne faciliterà la

crescita. Il tempo sposta il luogo. È una legge dei nove universi. Il tempo sposterà

la terra. Ogni forza comporta una resistenza. Là dove l'energia fluisce, arde, si

strugge, dove la terra grezza diventa cristallo. Sarai tra quelli che insegneranno

agli altri come emanare il Bagliore, come saltare oltre il Varco e così tutti i mondi si

avvicenderanno quieti, senza fragori. Onde cosmiche si muteranno in spuma lieve

e accarezzeranno le anime e i corpi che splenderanno di nuova luce. Quanti

vorranno sentirvi, quando per generazioni son rimasti ciechi e sordi ai maestri?

Quanti? Non ci è dato saperlo e forse è giusto che sia così.”

Ascoltai con molta attenzione. Assorbii ogni parola, ogni pausa, intonazione di

Fornari. Mi apparve fuori portata il compito da svolgere. Potevo saltare il fosso, è

vero e non era da tutti; viaggiare e giungere in un altro universo e conoscere cose

e persone di mondi lontani, anche questo era vero.

Tuttavia, avevo ancora le idee confuse su quanto sarebbe dovuto accadere al

nostro pianeta da lì a poco. L'Apocalisse? E poi, chi mi avrebbe creduto? Forse

avrei potuto portare in salvo un numero significativo di persone disposte a

seguirmi, ma la scelta sarebbe stata equa? Sarei stato giusto? Non ero il Salvatore,

né l'avatar come annunciato nei testi vedici. Un ragazzo, ecco che cosa ero, un

perfetto inesperto incappato in una storia impossibile, grandiosa, e senza merito né

capacità speciali.

Mille di questi pensieri mi angosciavano. Le cose si facevano maledettamente

serie.

“Non aggiungere altri bagagli. È già dura così, non vi è bisogno di appesantire la

soma. Il cammino è lungo. Dovrai farti le ossa, si dice così? Nevvero? E

l'esperienza viene con l'esperienza. Ti dirò di più.

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Se unisci ti apri, se dividi ti chiudi.”

“Fornari, se puoi parlami di questi personaggi pericolosi. Che volevano

esattamente da me? Mi avevano accennato di appartenere ad una fratellanza Dare

Shhh...”

“Non ti hanno mentito in questo. Sono emissari della fratellanza Darest Sharma,

una delle emanazioni dell'Ombra, che opera e progetta intrighi su Deya. Si

spacciano per liberatori del popolo. Liberatori dall'antico culto della Luce. Così

dicono. Lo combattono per distruggerlo in modo da elargire potere e conoscenza a

tutto l'Universo. Secondo loro, noi nascondiamo la conoscenza alla gente per

dominarla, asservirla, promuovendo una specie di fede che riduce la libertà

personale. Sono pietosi e generosi, pensa un po'. Occupano già ogni punto

strategico della confederazione stellare, ma non paghi, vorrebbero possedere ad

ogni costo il segreto per varcare la frontiera degli universi e propagandare la loro

politica libertaria per ogni dove. Devi sapere che questo negozio è una

propaggine di un'immensa metastruttura, tangente a quasi tutta l'estensione del tuo

Universo. Lì vi è il patrimonio conoscitivo e strategico degli ingegneri cosmici.

Laboratorio-crogiolo delle botole interdimensionali.”

Mi girava la testa. Scenari incomprensibili quanto a vastità e implicazioni. Guerre

eterne per il potere assoluto. Magia mischiata a ritrovati tecnici superiori. Saggi,

stregoni, spie. Ripensavo al fascino dei romanzi di Urania e a quanto sognavo di

far parte di una qualche trama avvincente a bordo di astronavi, tra supernovae e

nebulose. Eroe dei mille mondi. Poi, ritornavo al presente. Stavo in carne ed ossa

in un altro universo, nel bel mezzo proprio di una di quelle trame galattiche. La

fantascienza non c'entrava, però. Qui la cosa era complessa, obliqua. Arcani e

vascelli volanti, occulto e macchine cosmiche, avevano regolare cittadinanza. Mai

avrei immaginato che la tecnica e quindi una qualche scienza avanzatissima,

potesse convivere con il mondo della magia, con l'esoterico.

“Cosa devo fare, Fornari?”

Il vecchio si umettò con la lingua le labbra.

“Per prima cosa andremo a far visita senza essere invitati, al quartier generale del

Darest Sharma. Così conoscerai da vicino il motivo per cui Scandurra ti ha

mandato su Deya. Non ci sarà da menar le mani. Peggio.”

“Dove si trova questo posto? Come ci andremo?”, feci con impazienza. Ero tutto un

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vibrare."

“Il posto è all'altro capo di Deya e ci andremo a piedi. Dovremo attraversare

migliaia di strade, ponti, sotterranei e altre cose difficili da spiegarti.”

“A piedi? Ma non daremo nell'occhio?”, intervenni sorpreso e preoccupato."

“È il mezzo più sicuro e veloce. Sprigiona il tuo Bagliore, Darrell, e si accenderà la

via. Se unisci ti apri, se dividi ti chiudi.”

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giovedì 4 novembre 2010

IUS 32

. . .

1.

Non è facile saper ascoltare. Occorre cedere al silenzio. Occorre lasciar parlare la

realtà. Trattieni il respiro per cogliere l'essenza delle cose. Perché il silenzio parla

un linguaggio misterioso. (Scandurra)

2.

L’amore è qualcosa di incandescente e dà vita a un cerchio ardente. Guidato da un

desiderio indomabile, sono precipitato in un cerchio di fuoco. (Johnny Cash)

3.

Spesso gli artisti più illuminati sono anche spiriti fragili, anime che sanguinano e si

lasciano travolgere da una fiamma che arde troppo velocemente. A volte ne

vengono amplificate le gesta, le pose, o gli eccessi, non di rado anche oltre gli

effettivi meriti. Altre volte invece il caso decide di accantonarli, ed essi vengono

lasciati a decantare in una sorta di limbo mediatico, fino a quando le loro opere

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non ritornano a galla nella propria prepotente ed autentica bellezza.

4.

L'Odissea non può che essere stellare. Oltre le Colonne, verso l'Infinito, l'Odissea

continua. (Peter Kolosimo > Odissea stellare, SugarCo, Milano – 1974)

5.

Esiste, e si propaga contro corrente attraverso l’’Entropia , una deriva cosmica

della materia verso strati di asservimento sempre più complicati (in direzione – o

all’interno – di un “terzo infinito”, l’”infinito di Complessità”, tanto reale quanto

l’Infinito e l’Immenso) E la coscienza si presenta sperimentalmente come l’effetto,

o proprietà specifica, di questa Complessità spinta a valori estremi.

(Teilhard de Chardin, Pierre s.j. New York 14 gennaio 1954. Pubblicato sulla

Rivista “Les Etudes philosophiques" nel numero di ottobre-dicembre 1955)

6.

C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani, ma Gesù non se ne va affatto.

Non si rifugia affatto dietro alla cattiveria di tempi. Non impiegò i suoi anni a

gemere e lamentare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. Oh in modo molto

semplice! Facendo il cristianesimo. Non si mise ad incriminare, ad accusare

qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo: salvò il mondo. Questi altri invece

vituperano, raziocinando, incriminano. Medici che ingiuriano, che se la prendono

con il malato. Essi accusano l’arida sabbia del secolo; ma al tempo di Gesù

c’erano anche allora il secolo e le sabbie del secolo. Ma sulla sabbia arida, una

sorgente, una sorgente di grazia, inesauribile, cominciò a zampillare. (C. Peguy)

7.

Enigmatico il gatto è affine a quelle strane cose che l'uomo non può vedere. È lo

spirito dell'antico Egitto , depositario dei racconti a noi giunti dalle città dimenticate

delle terre di Meroe e Ophir. È parente dei signori della giungla , erede dell'Africa

oscura e feroce. La sfinge è sua cugina, e lui parla la sua lingua; ma il gatto è più

vecchio della sfinge, e ricorda ciò che lei ha dimenticato..

(H.P.L.)

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8.

SUPERIORITA' DELL'ITALIA

La nostra Italia, a paragone dei paesi grossi e grassi e degli imperi potenti e

prepotenti, è forse piccola, povera, misera, sciupata, decaduta, e l’abita un popolo

inquieto, volubile, riottoso, scettico eppur portato alla violenza. Ma, a dispetto di

tutte queste inferiorità, vere o esagerate che siano, il popolo italiano è superiore a

tutti i popoli della terra almeno in una cosa la quale non dipende dalla bellezza

della natura, dalla dolcezza del clima, dalla grandezza della tradizione e dell’arte e

neanche dall’acuta vivezza dell’intelligenza. È una superiorità che gli italiani

debbono prima di tutto alla loro saggezza umana e alla loro anima naturalmente

cristiana.

Nel nostro paese non si vedono mai cadere teste sanguinolenti, spiccate dal busto

da una mannaia calante giù da un sinistro arco color sangue, rotolare in un

paniere pieno di segatura. non si vedono mai creature umane col viso bendato, col

collo stretto da un cappio di corda che ad un tratto, allo spalancarsi d’una botola,

precipitano nel buio del vuoto e dell’orrida morte, alla presenza di sacerdoti

impassibili, di magistrati burocrati, e di testimoni gelidi e anonimi.

Non si vedono mai, nelle nostre prigioni, le orribili celle della morte dove son

condotti i criminali per essere fulminati dall’elettricità o uccisi dai gas avvelenanti.

Non si vedono mai, nel fossato di una fortezza o dirimpetto ad un muro bianco e

nudo, dieci armati che sparano tutti insieme contro il dorso di un uomo solo legato

ad una sedia, con le mani dietro la schiena.

Né questi né consimili atroci e assurdi spettacoli, che gridano vendetta al cospetto

del Dio del Sinai e del Golgota, si vedono mai in Italia, mentre sono faccende

ordinarie e quasi quotidiane nei paesi che si credono o son creduti più civili e

progrediti del nostro.

In Italia soltanto gli assassini assassinano, soltanto gli omicidi ammazzano i loro

simili, soltanto i frenetici, i dementi e i bruti tolgono la vita i loro fratelli. La legge

italiana non conosce e non ammette il diritto, da parte dei rappresentanti della

ragione e della giustizia, di strangolare, decapitare, avvelenare, fulminare e

fucilare gli esseri umani, anche se hanno commesso i peggiori delitti. In Italia,

ringraziando il gran Dio Creatore, non esiste un pubblico ufficiale chiamato boia o

carnefice. In Italia si contano ottocentomila cacciatori e parecchie centinaia di

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malfattori sanguinari ma non esiste un uomo che riceva dallo Stato un salario in

compenso della prestazione d’opera per troncare la vita di altri uomini.

Il popolo italiano, a dispetto di tante sue tare e colpe, è superiore per molti versi

agli altri popoli ma di nessuna superiorità può andare orgoglioso, secondo me,

quanto di questo suo rifiuto del terribile diritto di vita e di morte sopra le creature

fatte a immagine e somiglianza di Dio.

(Giovanni Papini, Le felicità dell’infelice, Vallecchi, Firenze, 1956, pagg. 189-191)

9.

AUTOMI CONTRO DESERTI

È probabile che nelle guerre future si vedano apparecchi senza piloti, cioè

radiocomandati da lontano con cervelli elettronici che andranno a bombardare città

abbandonate dalla popolazione, città deserte, cioè armi senza combattenti contro

città senza abitanti, macchine vuote contro muraglie vuote.

Gli uomini viventi saranno tutti nascosti sotto terra e dal cielo pioveranno turbini di

fuoco per distruggere tutto ciò che il genio e il lavoro creò sulla superficie della

terra.

Ecco una profezia molto facile, oggi, ma talmente assurda e apocalittica che non

balenò neppure alla fertile fantasia scientifica del mio vecchio amico Wells.

(Giovanni Papini, La spia del mondo, Vallecchi, Firenze, 1955, pagg. 269-270)

[...]

SONO UN FIGLIO D’UOMO

Da anni conservo in me una nostalgia di cui non parlo mai senza una grande

discrezione, che è divenuta tuttavia uno stato d’animo permanente: la nostalgia

degli anni in cui i cristiani non sapevano di essere cristiani. La prima volta che si

cominciò ad usare questo appellativo fu nel 43 d.C. in Antiochia (Atti 11,26). In tutti

questi primi anni dopo la risurrezione, i discepoli di Gesù non si dicevano cristiani,

essi erano paghi di chiamarsi fratelli, sorelle, discepoli, credenti. Non furono essi

che inventarono il nome e già questo mi consola. E non furono nemmeno gli ebrei

che, meno di tutti al mondo, non ritenevano affatto Gesù come il Cristo (Messia) e

che per disprezzo chiamavano i suoi discepoli Nazareni. L’opinione più fondata è

che coloro che utilizzarono questo termine per la prima volta fossero gli impiegati o

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i militari romani che, per motivi di ordine pubblico, consideravano i discepoli di

Gesù come i membri di un partito politico con retroterra giudaico. Fu insomma il

potere ad inventare questo nome! Ciò mi basta perché possa sentirmi libero di

coltivare la nostalgia dei giorni durante i quali i cristiani non lo erano affatto, in

attesa di un tempo in cui i cristiani non lo saranno più.

[...]

Nella nostra epoca, la crisi della nostra identità di cristiani si iscrive nella crisi del

cristianesimo che dobbiamo comprendere ormai nel senso più radicale e dunque

come morte del cristianesimo. Per il sociologo agnostico, questa morte è una lenta

e definitiva scomparsa, per me, credente, è l’entrata del cristianesimo con tutta la

sua identità, nelle tenebre del venerdì santo in cui, come in un oscuro crogiuolo, si

consumano le teologie, le istituzioni giuridiche, i patrimoni culturali. La mia stessa

identità dì cristiano si dissolve nella Croce, io non voglio restare cristiano se questo

significa rimanere chiuso nella determinazione che un tale nome esprime per

l’utopista poeta, per il marxista, per l’agnostico, per il commissario di polizia e forse

anche per l’impiegato della Curia. No, io non sono un cristiano, sono soltanto un

uomo, come diceva Pietro a Cornelio. Io sono un uomo che considera tutti gli

uomini come suoi fratelli e che vuole essere considerato da tutti come fratello

perché, come spiega Martin Hillairet, è in questo atmosfera fraterna il luogo del

cristianesimo. Il cuore del cristianesimo non è costituito da “nuovi riti religiosi” ma

semplicemente da un uomo chiamato Gesù che ha vissuto la realtà banale della

condizione umana .

[...]

LA MIA UMANITÀ E' AL FUTURO

Ecco cosa mi dico: il Cristo viene a te sotto le specie sacramentali del diverso: la

donna, l’operaio, il nero, il musulmano, il buddista ecc. Il Dio di Gesù Cristo è

nascosto in ogni diversità, egli è il Santo. Ma la sua diversità ha disteso veli tra noi

e ci viene incontro attraverso gli uomini differenti da noi. Il viso di Dio è il viso

dell’uomo che io non arrivo a comprendere. Mio compito non è far diventare

cristiani gli altri, bensì quello di entrare nella identità degli altri e di comprenderli o,

almeno, di prenderla come misura delle possibilità del Regno. La vera via della

Trascendenza è nel passaggio verso l’altro, è nel fatto dì accogliere la

provocazione dell’altro conservandola nel mio cuore come faceva Maria mentre

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ascoltava lo parola del Figlio, il Diverso per eccellenza.

È su questa premessa che baso la mia risposta alla domanda: Perché rimango

cristiano? Resto cristiano per essere totalmente uomo. Quando dico totalmente

non faccio allusione alle dimensioni di tipo esistenziale contenute nella totalità

dell’umanità; l ‘uomo vero è la realizzazione delle possibilità che giacciono come

una semenza nelle profondità dell’uomo “homo absconditus”. Diciamo che siamo

figli di Dio ma non sappiamo propriamente chi siamo noi. Lo sapremo quando

vedremo Dio faccia a faccia. La mia identità è quindi al futuro e sarà esprimibile

soltanto nel momento in cui l’umanità raggiungerà la sua pienezza. Questa

pienezza è il Regno di Dio. lo non vivo per la Chiesa, non vivo per dilatare la

comunità dei cristiani. Vivo perché venga il Regno. La Chiesa alla quale

appartengo è un segno ed uno strumento di questo futuro, ma questo futuro la

oltrepassa, io stesso la oltrepasso pur restando fedele.

Ieri come prete portavo abiti, segni distintivi dell’istituzione di cui ero il

rappresentante. Due anni or sono, in un dibattito a Milano, una pia signora mi

chiese perché non portavo l’abito da prete . “È bene che si sappia con chi si ha a

che fare, un agente di polizia porta l’uniforme, se ne ho bisogno so a chi devo

rivolgermi”. Ebbene, io non sono affatto l’agente di polizia di Dio. Vorrei essere

come il Cristo, semplicemente un figlio d’uomo, qualcuno che difende l’uomo per

l’uomo.

Come dicevo all’inizio, la mia identità è di non averne alcuna o, meglio, di averne

una che è situata nel futuro, una che riscopro soltanto quando dico: “Venga il tuo

regno, sulla terra come nel cielo”.

Per esporre in maniera riassuntiva Dio, la Chiesa, il mondo: ieri, credevo che Dio

amasse la Chiesa e la inviasse al mondo per salvarlo; oggi, credo che Dio ami il

mondo e che la Chiesa sia un segno ed uno strumento di questo amore che la

precede e la oltrepassa. Ieri, mi definivo collocandomi dentro la Chiesa e

guardando il mondo come una realtà da conquistare per la Chiesa; oggi, mi

colloco nel mondo e vivo entro la Chiesa quel tanto che anticipa simbolicamente

l’avvenire del mondo.

Ma mentre ieri guardavo il mondo a partire dalla Chiesa, oggi guardo la Chiesa a

partire dal mondo e mi siedo alla tavola della Chiesa, la tavola eucaristica,

precisamente perché là si ascoltano le parole che rivelano i segreti nascosti fin

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dalla creazione del mondo, perché là si elaborano le speranze di cui tutti gli uomini

hanno bisogno.

È vero, esiste ancora, e quanto è ingombrante, una Chiesa che si esprime col

linguaggio della prudenza politica, che riveste di sacro la morale dominante.

Questa chiesa non mi interessa, è quella di cui contemplo il declino con cuore

gioioso. In me essa è già quasi morta. Ma questo declino è direttamente

proporzionale all’emergenza della Chiesa come assemblea di coloro che non si

curano di sapere chi essi sono, ma sanno di non avere, quaggiù, una città

permanente (e dunque non è affatto necessario esservi registrati) e che cercano la

città futura, la città verso la quale vanno tutti gli uomini, ciascuno con lo sua

diversità. Si narra che durante l’età post-apostolica, si dava ai cristiani che

partivano in viaggio, un frammento di vaso di terracotta. Al ritorno sarebbero stati

riconosciuti per il fatto che il loro frammento poteva combinarsi perfettamente con

gli altri. Sì, io so che la verità di cui vivo è appena un frammento. La mia identità è

appunto il pezzo di un tutto. Quando tutti i frammenti saranno riuniti, allora io saprò

veramente chi sono. La mia presunzione di ieri era di voler concentrare il tutto negli

stretti limiti del mio frammento. Allora dicevo “noi cristiani ” con gran fierezza.

Vorrei essere fedele al mio frammento nell’attesa che si compia la totalità. La via

verso questo futuro è la stessa via che mi conduce verso il fratello per unirmi a lui,

non in quello che egli è (poiché la suo verità è solo un altro frammento) ma in ciò

che egli cerca. E’ così che io mi sento a casa mia in tutti i luoghi di questo mondo.

Io sono finalmente cattolico, e precisamente perché non lo sono più, perché sono

un figlio dell’uomo.

Padre Ernesto Balducci (tratta dalla postfazione al libro di Paul Gauthier, “Vangeli

del terzo millennio”, ed. Qualevita 1992)

. . .

Deya: il pianeta labirintico 4

Darest Sharma, un nome che mi risuonava dentro la testa e incominciava a

produrre echi, forse immagini, ma era ancora come una sensazione sbiadita.

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Intanto, mastro Fornari si diresse nel retrobottega e ne uscì poco dopo,

imbacuccato da un cappottone grigiastro munito di mantella. Un vestiario fine

ottocento, ma del resto mi trovavo in un altro universo e tutto era possibile e

concesso e se dico 'tutto'...

“Darrell Zelio, le distanze su Deya si misurano in unitempo, poiché i luoghi sono

fatti dal sonno del Grande Tempo. Le strade, i palazzi, le cose e un po' anche gli

abitanti son tutti impregnati. Molti unitempo ci separano da quel funesto posto.

Tuttavia, in certi momenti puoi percorrere lo spazio in minor unitempo. Il problema

sorge non tanto perché ci sono emissari sparsi dappertutto, ma qui le case

ascoltano registrano e poi, segnalano la nostra presenza e direzione a Darest

Sharma. Devi provare ad accendere il Bagliore così ché la luce ti renda invisibile.”

La luce ci nasconderebbe; bella questa.

“ Ricordi cosa ti diceva Scandurra a proposito del Bagliore? C'è un luogo nel tuo

corpo dove tutto si unisce, lì è il nesso esistente fra lo spirito e la materia. Visita

quel punto meraviglioso e scaturirà il Bagliore.”

Ricordavo certo il punto meraviglioso. Quanti tentativi, delusioni, fino

all'accensione che sprigionò il Bagliore. Inondò la mia cameretta. Un'esperienza

psichedelica, anzi, illuminante. Mi resi conto della conoscenza di Scandurra:

incredibile. Ne sapeva più di ogni altro, scienziato filosofo intellettuale del mondo.

In quel piccolo uomo, illetterato, semplice di modi, modesto, senza pretese

ordinarie; in quel piccolo uomo era celato un potere immenso e tuttavia a

disposizione di tutti. Non ci volevano chissà quali capacità, intelligenza, furbizia,

cultura; lui ci chiedeva ardore, quella spinta formidabile verso le cose segrete della

Vita.

“Attendiamo ora che faccia buio, così il nostro Bagliore ci nasconderà al meglio.”

“Mastro Fornari, in questo universo valgono sempre certi principii, certe leggi che

Scandurra mi ha illustrato sin dall'inizio del lavoro interno? Insomma, quel poco

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che ho imparato potrà essermi utile, sufficiente per non essere di intoppo? Devo

sapere qualcosa?”.

Fornari si sistemò i capelli – teoricamente, visto il cespuglio arruffato che si

ritrovava.

“Discettare di materie oscure e perché no? È una buona disciplina... noi viviamo in

uno spazio che per contenere il tutto, è uno spazio tenue. È una tenuità dove col

pensiero non ce la facciamo ad intenderci, non c'è distanza non c'è tempo, non c'è

centro, non c'è periferia. È tutto un compenetrarsi di ciò che si muove in questo

spazio dove appaiono le forme, tante forme, sempre diverse: non solo pietre piante

animali esseri, ma pure aurore meriggi tramonti e stelle e galassie. Tutto ciò che è

forma diventa condensazione di questa unica energia cosmica, il lumen, che

genera vibrando variamente, che tutto condensa e tutto attenua e grazie al lumen

noi vibriamo e quindi percepiamo. Cosa siamo noi in questo mondo? Siamo tutti

galleggianti vaganti, in questa tenuità dello spazio che non ha un centro-origine,

non ha estremi: pullula, ed è in moto, ma non in un moto direzionale, con distanza

tempo velocità. Invece chi usa il pensiero stabilisce confini, misure, confronti,

dominii. È il pensiero che crea un centro, l'ego, che non ha umiltà non ha amore,

né innocenza, ma è violenza per emergere, per accentrare e quindi prendere,

dando origine a sforzi a conflitti senza fine. E l'io si associa poi al pensiero che lo

crea e lo sostiene e lo collega alle sensazioni al solo scopo di procurarsi piacere,

quel piacere che copra e ci illuda l'inquietitudine del domani. Catturare piacere

perché si è soli, perché c'è il pungolo del sentirsi disperatamente soli, del sentirsi

d'essere un vuoto, senza appoggi. Buttarsi, identificarsi, fuggire da questo vuoto

che ci fa terrore, per ricevere ricompense. Ci si sbatacchia in ricerca del più.”

Ascoltavo raccolto, ammaliato dalla sua stringente chiarezza.

“Qui ci muoviamo cauti e sciolti, coi piedi saldi sul terreno mentre tutto il resto è

immerso nel cielo: e cielo è mistero. E chiederci: cosa siamo, perché siamo qui

come uomini? È ben chiaro che le superfici sono fatte di particelle come l'aria

avvolgente, campi di energie vibranti che sono non separati ma in relazione totale,

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fusi fra loro. Tutto ciò che è, che appare ai sensi, immagini e sogni e concetti

formulati dai pensieri, dinamismi corporali o sottili, tutto è di natura energetica. Noi

viviamo immersi in un mondo che facciamo coi pensieri. Dunque noi siamo

creature operanti nel mondo che è energia, mondo denso e sottile. Così infatti ci

comportiamo: sempre avidi per prendere possedere oltre il necessario, febbrili per

l'insicurezza del domani. Le cellule per vivere respirano cioè bruciano e quindi

devono essere avide di cibo per non soccombere, ma non assumono nulla di più

del proprio fabbisogno, hanno un contegno. Gli uomini che pensano, quelli

dell'ombra, non hanno contegno, prendono più di quanto gli necessita, perché il

pensiero è vorace e mai sazio. Vegetali animali seguono leggi che regolano e le

loro forme e le loro funzioni. Abitano nell'ordine di natura. La forma umana è

l'unica, l'unico ricettacolo di un uovo-anima che non è inerente alla natura: è il

lumen che genera e sostiene tutto ciò che è natura; e dentro e fuori questo nostro

corpo c'è l'uovo-anima che ci può liberare da ogni funzione materiale e mentale,

farci ricettacolo pieno del mistero, di cui l'intelligenza e la volontà e l'amore e

l'innocenza la bontà sono le manifestazioni.

In questa tenuità che è assenza di io, che è tutta energia cosmica del sacrale,

energia che si muove in un pullulio, energia che non ha vibrazioni in onde di varia

frequenza, che ha un potenziale illimitato, è in questa tenuità, che è la nostra

essenza, è qui che in noi si raccolgono pure tutte le energie corporali psicologiche,

che invece vibrano con tantissime frequenze e nelle cellule e nella mente. Tutte

queste varie forme di energie corporali, brame e passioni, tormenti e paure,

incertezze ed illusioni, è qui in questa tenuità che queste energie non più

sperperate in vane attività logoranti, è qui in questa tenuità che insieme si

raccolgono tutte per darci un reale senso di pienezza, di consapevolezza, di

attenzione, di vera intelligenza esplosiva, con intuizioni ed azioni istantanee

precise, sane. È qui, in questa tenuità, che noi veramente si consiste, uomo che è

umanità: c'è pace gioia amore. Gli uomini dell'ombra hanno rinunciato all'uovo-

anima, perciò sono spenti e perseguono l'oscurità universale. Gli uomini dell'ombra

mettono al centro della vita il pensiero che tutto divide e spacca e limita. Inventano

macchine senza anima, non come le nostre. Inventano le macchine del caos fatte

di pensiero fluttuante. Il pensiero è acqua stagnante, luce riflessa. L'uovo-anima è

fiume e bagliore.”

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Un forte colpo alla porta della bottega, mi fece trasalire.

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martedì 23 novembre 2010

IUS 33

. . .

1.

Le cose del mondo sono trattate in segreto da una sinarchia, il governo mondiale,

del quale l’intermediario misterioso, cioè la Salamandra, è uno strumento.

2.

La sostanza di cui sono intessuti tutti i corpi sottili dell'uomo – comunque

denominati – è l'Etere vibratorio (Akasha) in qualità via via più rarefatte e via via più

iperfisiche. [Silvano Panunzio]

3.

Nel mondo reale, quando amiamo comunichiamo a distanza misteriosamente,

aiutati in ciò dallo Spirito Santo (o comunque lo vogliate chiamare) e dai nostri

Amici Celesti. Nella mia esperienza Loro rivestono un ruolo estremamente discreto

e potente e personale: gli angeli si annunciano sulla soglia della vita con un fruscio

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frequenziale e, dopo la morte, fanno vedere il proprio volto.

4.

ENRICO MEDI

PAROLE AI GIOVANI

... L'uomo è più grande delle stelle. Ecco la nostra immensa dignità immensa

grandezza dell'uomo, della vita umana. Giovani, godete di questo dono che a voi è

stato dato e che a noi fu dato. Non perdete un'ora sola di giovinezza, perché un'ora

di giovinezza perduta non ritorna più. Non la perdete in vani clamori, in vane

angoscie, in vani timori, in folli pazzie, ma nella saggezza e nell'amore, nella gioia

e nella festa, nel prepararvi con entusiasmo e con speranza. Da una cosa Iddio vi

protegga: dallo scetticismo, dal criticismo e dal cinismo; il giovane sprezzante di

tutte le cose è un vecchio che è risorto dalla tomba. Guai se la giovinezza perde il

canto dell'entusiasmo.

5.

ALGERNON BLACKWOOD

LA CASA DEL PASSATO

Una notte, in sogno venne uno Spirito e mi portò una vecchia chiave rugginosa.

Egli mi guidò attraverso campi e dolci vicoli odorosi dove le siepi sussurravano fra

loro nell'oscurità della primavera, finchè arrivammo a una enorme, vecchia casa

con finestre sbarrate e alti tetti seminascosti nelle ombre del primo mattino. Io notai

che le imposte erano ermeticamente oscurate e la casa sembrava avvolta in una

quiete assoluta. "Questa" sussurrò lo spirito vicino al mio orecchio "è la Casa del

Passato. Vieni con me e attraverserai alcune sue stanze e corridoi; ma presto,

poichè io ho la chiave solo per poco tempo e la notte sta per finire. Allora, forse, ti

ricorderai!"

La chiave fece un rumore terribile mentre girava nella serratura, e quando la

grande porta si aprì in una sala vuota e noi entrammo, udii suoni di sussurri e

pianti, fruscii di vesti come di persone che si muovevano nel sonno e stavano per

svegliarsi. Poi all'improvviso un senso di profonda tristezza mi sopraffece

imbevendomi fino all'anima; i miei occhi incominciarono a bruciare e a farmi male,

e nel mio cuore divenni consapevole di una strana sensazione di srotolamento di

qualcosa che aveva dormito per anni. Il mio intero essere, incapace di resistere, si

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arrese subito al senso di profonda malinconia; e il dolore del mio cuore, mentre la

Casa si muoveva e si risvegliava, divenne in un istante troppo forte per esprimerlo

a parole... Mentre avanzavamo, le deboli voci e i pianti fuggivano via davanti a noi

e si ritiravano nelle interiorità della Casa; e io allora mi accorsi che l'aria era piena

di mani alzate, di indumenti fluttuanti, di trecce pendule e di occhi così tristi e

nostalgici che le lacrime, che già sentivo spuntare nei miei occhi, si trattenevano

per la meraviglia alla vista di un tale insopportabile struggimento. "Non permettere

che tutta questa tristezza ti opprima" sussurrò lo Spirito al mio fianco. "Non succede

spesso che Essi si sveglino. Dormono per anni e anni e anni. Le stanze sono tutte

piene e a meno che non arrivino visitatori come noi a disturbarli, non si

sveglieranno mai di loro volontà. Ma, quando uno si agita, il sonno degli altri è

disturbato e anche questi si svegliano, finchè il movimento passa da una stanza

all'altra e poi alla fine in tutta l'intera Casa... Allora, qualche volta, la tristezza è

troppo grande per essere sopportata e la mente si sveglia. Per questa ragione la

Memoria dà a loro il sonno più dolce e più profondo che ha, e usa molto poco

questa vecchia chiave rugginosa. Ma ascolta ora" aggiunse alzando la mano "non

senti attraverso la Casa tutto quel tremolio dell'aria simile al lontano mormorio

dell'acqua che cade? E riesci tu ora... forse..., a ricordare?" Ancora prima che

parlasse, io avevo già afferrato debolmente l'inizio di un nuovo suono; e ora, nelle

profondità delle cantine sotto i nostri piedi, e anche dalle regioni superiori della

grande Casa sentivo i sussurri e i fruscii, e l'intimo agitarsi delle Ombre

addormentate. Il suono saliva come un accordo vibrato delicatamente da enormi

corde invisibili tese da qualche parte fra le fondamenta della Casa, e questo

tremolio si propagava dolcemente attraverso i muri e i soffitti. E io sapevo di aver

sentito il lento risveglio degli spettri del passato.

Ah, povero me, per quel terribile afflusso di tristezza stavo con gli occhi bagnati e

ascoltavo le deboli voci morte tanto tempo fa... Poichè, davvero, l'intera Casa si

stava svegliando; e arrivava alle mie narici il sottile, penetrante profumo del

passato: di lettere a lungo conservate, con l'inchiostro sbiadito e i pallidi nastri; di

trecce profumate bionde o brune, stese teneramente fra fiori secchi che ancora

conservavano la dolcezza della loro fragranza dimenticata; la profumata presenza

di memorie perdute, l'intossicante incenso del passato. I miei occhi piangevano, il

mio cuore si contraeva e si espandeva, mentre il mio essere cedeva senza riserve

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a quei vecchi, vecchi influssi di suoni e di odori. Questi Spettri del Passato

(dimenticati nel tumulto delle memorie più recenti) pulsavano intorno a me,

prendevano le mie mani nelle loro e sussurravano cose che avevo da tanto tempo

obliato, sospiravano scuotendo dai loro capelli e indumenti gli ineffabili odori delle

epoche morte, mentre mi guidavano attraverso la Casa da stanza a stanza, da

piano a piano.

E gli Spettri, non li distinguevo tutti perfettamente. Alcuni avevano solo una vita

debolissima, mi impressionavano poco e lasciavano solo una indistinta confusa

impressione nell'aria. Mentre altri mi guardavano quasi con rimprovero, attraverso

occhi sbiaditi, incolori, desiderosi di farsi riconoscere alla mia memoria. E poi,

vedendo che non venivano riconosciuti, galleggiavano indietro, leggermente,

dentro le ombre della loro stanza per addormentarsi di nuovo indisturbati fino al

Giorno finale, quando io non avrei mancato di riconoscerli. "Molti di loro hanno

dormito così tanto" disse lo Spirito accanto a me "che si svegliano solo con grande

difficoltà. Una volta svegli però, essi sanno e si ricordano di te anche se tu non

riesci a ricordarti di loro. Poichè la regola in questa Casa del Passato è che, se non

ti ricordi di loro distintamente, se non ricordi precisamente quando li hai conosciuti

e in quali particolari cause della tua passata evoluzione erano associati, essi non

possono rimanere svegli. Se non ti ricordi di loro quando incontri i loro occhi, se il

loro sguardo di riconoscimento non viene ricambiato, allora essi sono obbligati a

ritornare al loro sonno, silenziosi e dispiaciuti, con le mani vuote, le voci

inespresse, per dormire e sognare, immortali, pazienti fino a..."

In quel momento le sue parole svanirono improvvisamente nella distanza e io

divenni consapevole di una prepotente sensazione di gioia e felicità. Qualcosa mi

aveva toccato le labbra, e un forte, dolce fuoco mi illuminò il cuore e fece scorrere il

mio sangue tumultuosamente nelle vene. Il mio polso batteva selvaggiamente, la

mia pelle bruciava, i miei occhi si scioglievano e la terribile tristezza del posto era

istantaneamente dissipata come per magia. Girandomi con un grido di gioia, che

era subito inghiottito dal coro di pianti e sospiri intorno a me, guardai... e

istintivamente tesi avanti le braccia in un raptus di felicità verso... verso la visione di

un Volto... capelli, labbra, occhi; una stoffa d'oro contornava il bel collo,e il vecchio,

vecchio profumo dell'Est era nel suo respiro. Solo le stelle sanno quanto tempo fa...

Le sue labbra erano di nuovo sulle mie; i suoi capelli sopra i miei occhi; le sue

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braccia attorno al mio collo, e l'amore della sua antica anima si riversava nella mia

attraverso i suoi occhi stellanti e non ancora offuscati. Oh! Il violento tumulto,

l'inesprimibile stupore, se solo io potessi ricordare!... Quel sottile, evocante odore di

tanto tempo fa, una volta così familiare... prima che le colline di Atlantide fossero

sopra l'azzurro mare, o le sabbie avessero incominciato a formare la culla della

Sfinge. Ancora l'attesa; ecco ritorna indietro; io incomincio a ricordare. Tende su

tende si sollevano nella mia anima, e io posso quasi vedere al di là. Ma quella

mostruosa distesa di anni, terribile e sinistra, migliaia e migliaia... Il mio cuore

trema e ho paura. Un'altra tenda si alza e una nuova prospettiva, più lontana delle

altre, si rende visibile, interminabile, verso un punto lontano, fra la nebbia spessa.

Adesso tutto si sta muovendo, si alza, si illumina. Finalmente potrò vedere... già

incomincio a ricordare... la pelle oscura... la grazia dell'Est, gli occhi meravigliosi

che detenevano la conoscenza di Buddha e la saggezza di Cristo prima ancora

che essi avessero sognato di realizzarla. Come un sogno dentro un sogno, mi

sorprende di nuovo, si impossessa fortemente di tutto il mio essere... la forma più

esile... le stelle nel magico cielo dell'Est.... le ali che sussurrano fra i palmeti... il

mormorio delle onde del fiume e la musica delle canne dove si piegano e

sospirano nelle cave con la sabbia dorata. Migliaia di anni fa, oltre cosmiche

distanze. Il ricordo sbiadisce un poco e incomincia a passare; poi sembra tornare

di nuovo. Ah povero me, quel sorriso di denti scintillanti... quelle palpebre dalle

lunghe ciglia. Oh, chi mi aiuterà a ricordare, poichè è troppo lontano, troppo

oscuro, e io non riesco a ricordare; anche se le mie labbra ancora tremano e le mie

braccia sono aperte, tutto incomincia a sbiadire. Sopravviene un senso dl tristezza

inesprimibile quando lei sente che io non mi ricordo più... lei, la cui semplice

vicinanza poteva, una volta, cancellare tutto l'universo... e lei ritorna indietro,

lentamente, dolorosamente, silenziosamente al suo oscuro terribile sonno, per

sognare e sognare il giorno in cui io DOVRÒ ricordare e lei DOVRÀ venire da chi

le appartiene. Ella mi guarda dal fondo della stanza dove le Ombre già la coprono

e la avvolgono, con le braccia tese, al suo lungo, lungo sonno nella Casa del

Passato. Tutto tremante, con uno strano odore ancora nelle narici e col cuore

infuocato, mi girai e seguii lo Spirito su per una larga scala, in un'altra regione della

Casa.

Come entrammo nei corridoi superiori io sentii il vento che passava sospirando

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sopra il tetto. La sua musica si impossessò di me finchè sentii come se il mio intero

corpo fosse un singolo cuore, dolorante, teso, pulsante fino a spaccarsi; e solo

poiché avevo sentito il vento sospirare intorno alla Casa del Passato. "Ma ricorda"

sussurrò lo Spirito rispondendo al mio muto stupore "che tu stai ascoltando la

canzone cantata da epoche sconosciute a miriadi di orecchi sconosciuti. La sua

musica fa ritornare spaventose paure; e in questa semplice nenia, profonda nella

sua terribile monotonia, ci sono le associazioni e i ricordi delle gioie, dolori e

battaglie di tutte le esistenze precedenti. Il vento, come il mare, parla alla memoria

interiore, ed ecco perché la sua voce è di tale profonda tristezza spirituale. E' la

musica delle cose per sempre incomplete, non finite, insoddisfatte."

Mentre passavamo attraverso le stanze a volta, notai che nulla si muoveva. Non

c'erano veri suoni, solo una impressione generale di profondo respiro collettivo,

simile all'ansito di un oceano imprigionato. Ma le stanze, lo capii subito, erano

piene fino alle pareti, affollate, file su file... E, dai piani inferiori, saliva anche il

mormorio di Ombre piangenti mentre ritornavano al loro sonno, e si coricavano di

nuovo nel silenzio, nell'oscurità e nella polvere. La polvere... Ah, la polvere che

galleggiava nella Casa del Passato, così spessa, così penetrante; così fine,

riempiva la gola e gli occhi senza dolore; così fragrante, calmava i sensi e quietava

il cuore che soffriva; così soffice, inaridiva la lingua senza irritare; e così silenziosa,

cadeva, si raccoglieva, si adagiava sopra ogni cosa, così che rimaneva nell'aria

simile a una nebbia sottile e le Ombre dormienti ne erano avvolte come dentro i

loro sudari. "E queste sono le più vecchie, quelle che hanno dormito più a lungo"

disse lo Spirito indicando le file affollate di silenziosi dormienti. "Nessuno qui si è

svegliato da epoche innumerevoli; e perfino se si svegliassero tu non li

riconosceresti. Essi sono, come gli altri, tutte personalità tue, ma essi sono le

memorie dei tuoi stadi primitivi lungo il grande Sentiero dell'Evoluzione. Un giorno

però, essi si sveglieranno, e tu dovrai riconoscerli, e rispondere alle loro domande,

poiché essi non possono morire finché non sono esauriti di nuovo attraverso te,

che li hai fatto nascere." "Ah!" Mentre ascoltavo il significato delle ultime parole

pensavo: "quali madri , padri, fratelli possono essere addormentati in questa

stanza; quali fedeli amanti, quali veri amici, quali antichi nemici! E pensare che un

giorno essi verranno avanti e si confronteranno con me, e io dovrò incontrare

ancora i loro occhi, ascoltare i loro diritti, conoscerli, perdonarli ed essere

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perdonato... le memorie di tutto il mio Passato..."Mi voltai per parlare allo Spirito al

mio fianco, ma egli stava già sbiadendo nell'oscurità e, mentre guardavo di nuovo,

l'intera Casa si fondeva nel rossore del cielo a est, e sentii gli uccelli cantare e vidi

le nuvole sopra di me che velavano le stelle nella luce del giorno che stava per

nascere.

[...]

7.

DAN SIMMONS

L'ESTATE DELLA PAURA

Incipit

La Old Central School si ergeva ancora imponente, racchiudendo saldamente

all’interno i propri silenzi e i propri segreti. La polvere di gesso accumulata

nell’arco di ottantaquattro anni fluttuava intrappolata nei rari raggi di luce solare

che penetravano al suo interno, mentre i ricordi di oltre otto decenni di mani di

vernice salivano le scale e dai pavimenti scuri per diffondere nell’aria imprigionata

odore di mogano - l’odore delle bare. Le pareti erano talmente spesse da dare

l’impressione di assorbire i suoni, le alte finestre tingevano l’aria di una stanca

tonalità color seppia con i loro vetri deformati e distorti dal tempo. Se pure scorreva,

il tempo lo faceva con maggiore lentezza dentro la Old Central, dove i passi

echeggiavano lungo i corridoi e su per il pozzo delle scale con suoni che parevano

soffocati e fuori sincrono rispetto a qualsiasi movimento visibile nell’ombra. La sua

prima pietra era stata deposta nel 1876, l’anno in cui il generale Custer e i suoi

uomini erano stati massacrati vicino al fiume Little Big Horn, nel lontano West, lo

stesso anno in cui il primo telefono era stato esposto nel corso della Fiera del

Centenario, a Philadelphia, nell’altrettanto lontano Est; la old Central School era

stata costruita nell’Illinois, a metà strada fra quei due eventi, ma lontana dal fluire

della storia.

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8.

WILLIAM H. HODGSON

LA CASA SULL'ABISSO

Incipit

Per innumerevoli ore ho riflettuto sulla storia che è presentata nelle pagine

seguenti. E innumerevoli volte, nella mia veste di redattore del manoscritto, ho

provato la tentazione di dargli una forma letteraria; ma non credo che il mio istinto

si sbagli, nel suggerirmi di lasciarlo così com'è scritto, in tutta la sua semplicità. E il

manoscritto... cercate di immaginarvi la scena, allorchè giunse nelle mie mani e io

lo osservai da ogni lato, con curiosità, e ne sfogliai rapidamente, distrattamente, la

pagine. E' un quaderno di non grande dimensione, ma ha molte pagine, anzi tutte,

eccetto le ultime, scritte in una grafia strana ma leggibile, in lettere assai minute.

Ancora adesso, mentre scrivo, mi pare di fiutare l'odore di muffa delle sue pagine, e

di avere sotto le dita la sua carta gualcita dall'umidità.

Ricordo senza difficoltà la mia prima impressione del contenuto del quaderno: che

fosse un racconto di fantasia. Tale mi parve leggendo qualche parole qua e là,

senza eccessiva attenzione.

Ora, pensate invece a quando, comodamente seduto in poltrona, mi sono accinto a

passare le ore della sera in compagnia delle sue pagine. E a come sia cambiato il

mio giudizio! Dapprima il sospetto che potesse trattarsi di fatti realmente accaduti.

Da quella che sembrava una narrazione fantastica, era emersa una coerente,

convincente successione di idee, che avevano assorbito la mia attenzione ben più

che se si fosse trattato di una cronaca o di una storia, quale delle due fosse la

natura di quella narrazione (e confesso di essere tentato di usare il primo dei due

termini). In quella che pareva una storia senza importanza, trovai il resoconto di

grandi eventi, e ciò che pareva assurdo e paradossale divenne ragionevole. Lo

lessi e, leggendo, allontanai da me i veli dell'impossibile, che accecano la mente, e

spinsi il mio sguardo nell'ignoto.

9.

[…] e vidi allora un donna stupenda indossante una tunica blu delicatamente

ornata, come il cielo, di stelle d'oro. Nella mano destra stringeva una tromba dorata

su cui era inciso un nome […]. Nella mano sinistra teneva un pacco di lettere,

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scritte in molteplici lingue […]. Aveva delle ali belle e grandi, totalmente ricoperte di

occhi, con cui poteva librarsi in alto e volare più veloce dell'aquila. [Johann

Valentin Andreae, Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz, a cura di Elsa

Aichner, SE, Milano 2006, p. 11].

10.

Si tenga a mente solo questo brevissimo specchietto sulle fasi della vita dell’eroe:

una nascita misteriosa, i cui genitori naturali non siano direttamente rintracciabili!

relazione difficile con la figura paterna! Separazione ! Iniziazione ! Ritorno e

compimento risolutivo.

11.

I Folli per Cristo sono individui che spinti dall’amore di Dio e del prossimo, hanno

adottato una forma ascetica della pietà cristiana che si chiama la follia per l’amore

del Cristo. Essi rinunciano volontariamente non solo alle comodità e ai beni della

vita terrestre, ai vantaggi della vita in comunità e ai beni di famiglia, ma accettano

per di più di assumere l’apparenza di un folle, che misconosce le regole di

convenienza e di pudore e si permette spesso di commettere azioni scandalose.

Questi asceti non temono di dire la verità ai potenti di questo mondo, accusando

quelli che avevano dimenticato la giustizia di Dio e consolando quelli la cui pietà

temeva Dio.

12.

Riflessione di Francesco De Gregori interpellato da L'Avvenire a proposito della

festa natalizia: Qualunque uomo ha dentro il senso dell'infinito. Nessuno, quindi,

può rimanere indifferente di fronte alla Resurrezione. Certo Foscolo pensava che

non morire mai volesse dire semplicemente essere ricordati. Ma credo che sia

un'idea banale, come quella che risorgere dalla tomba sia soltanto uscire da una

tomba. Mi piace pensare a un passo di Resistenza e resa di Dietrich Bonhoeffer

dove lui raggiunge un momento di grande comunione con Dio quando vede un

fiorellino su un muro [...] in quel fiore per me c'è ciò che ci precede e ciò che ci

seguirà. C'è il senso della vita [da L'Avvenire, 23 marzo 2005; p. 56].

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13.

Noi marciamo da lungo tempo verso un magico punto zero, da cui si allontanerà

solo colui che potrà disporre di altre, più invisibili fonti di energia.

(E. Jünger citato in Alain de Benoist, Ernst Jünger: la Figure du Travailleur entre les

dieux et les titans, in Nouvelle Ecole n. 40, settembre-novembre 1983, pag. 11-61,

trad. it. Di Marco Tarchi, L'operaio tra gli Dei e i Titani. Ernst Jünger ‘sismografo’

dell'era della tecnica, Terzavia, Milano, 2000, p. 88)

14.

La modernità e la ragione illuministica sezionano, classificano ed analizzano, e

pongono fine a quell'ontologia arcaica per la quale non esisteva soluzione di

continuità tra sacro e profano romanticamente intesi, tra sogno e realtà; ciò avviene

all'interno di un movimento/momento storico relativo alla presa di coscienza

moderna - e occidentale - del mondo. Ma secondo me non possiamo non sentire

talvolta, sepolta sotto i nostri lavori, i nostri sogni, le nostre passioni, i nostri

passatempi e hobbies, quella nostalgia delle origini che bussa da lontano, quella

chiamata all'unità che ci spinge nella fulgida creazione o nella disperazione

depressiva. Gli uomini hanno dimenticato i loro dèi e distrutti i loro sogni. Ma per

che cosa?

15.

La felicità non ha che un nome vero, antico e moderno: la fede. […] Al tempo della

guerra di Vandea i contadini ribelli si battevano con valore senza pari, al grido “Per

il mio Dio e per il mio Re!”. […] Sull’altra sponda, innumerevoli furono quelli che

caddero cantando e gridando “Viva la Repubblica!” […]. Dalle due parti c’era,

incrollabile, una fede. In Dio, qui. Nell’Uomo, là. Ma c’era, disinteressata e

follemente pura, la fede! E, per lei, la felicità di combattere, di vivere o morire. […]

Perché viviamo? interrogano i giovani. Netta risposta: per nulla, se voi non sapete

più perché accettereste di morire, e se la nostra società non è più capace di

armarvi per sfidare quella morte. Una vita non vale se non in questa dura luce [Le

scuderie d’Occidente Volpe, Roma, 1973 di Jean Cau, pp. 158-159].

Con lo stupido pretesto del ritorno alle sorgenti e alla semplicità evangelica, i nostri

preti vogliono delle chiese più brutte d’un baraccone e sono pronti a celebrare la

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messa in giacca e calzoni [Le scuderie d’Occidente, p. 85]

16.

L’approssimarsi al muro del tempo, quel Varco di cui vado sostenendo

l'inevitabilità, provocato dall’accelerazione dell'ispessimento coscienziale

dell'umanità ma anche dal compimento del ciclo cosmico, intensifica i fenomeni “di

soglia”, fa assottigliare sempre di più quel velo che per noi separa visibile e

invisibile, e quindi intensifica la ricerca e l’attesa dell’irruzione dello straordinario,

tanto come avvento salvifico e nuovo inizio (anche nella vita del singolo), quanto

nella forma di un evento minaccioso e distruttivo. L’immaginario dell’epoca attuale

è pressoché tutto su questo registro, anche se prevale (e ce n’è ben donde)

l’aspetto paranoico del complotto totalizzante ai danni dell’umanità (il che la dice

lunga, molto al di là della retorica scientifica, sulla percezione di massa dei pericoli

e delle oscure trame della tecnoscienza).

17.

Voi preti che vendete a tutti un’altra vita/ se c’è come voi dite un Dio nell’infinito,

guardatevi nel cuore, l’avete gia tradito/ e voi materialisti col vostro chiodo fisso che

Dio è morto e l’uomo è solo in questo abisso/ le verità cercate per terra da maiali/,

tenetevi le ghiande lasciatemi le ali. [Francesco Guccini]

18.

ALFRED KUBIN

L'ALTRA PARTE

Pensavo alla mia morte come a una gioia grandissima, celeste, come all’inizio di

una eterna notte nuziale. Come tutto si rivolta contro di lei, e come sono buone le

sue intuizioni! In ogni volto cercavo ansiosamente i suoi segni, nelle pieghe e nelle

rughe della vecchiaia scoprivo i suoi baci. Sempre nuova mi appariva; e come

erano squisiti i suoi colori! I suoi sguardi risplendevano così seducenti che i più forti

dovevano cedere, e allora lei gettava la sua maschera e senza mantello il morente

la vedeva circondata da diamanti, nei riflessi di mille sfaccettature. Più tardi,

quando osai rientrare nella vita, scoprii che la mia dea regnava solo a metà.

Divideva le cose più grandi e le più piccole con un antagonista, che voleva la vita.

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Le forze di attrazione e di repulsione, i poli della terra con le loro correnti,

l’alternarsi delle stagioni, il giorno e la notte, il bianco e il nero, non sono che

l’espressione di una lotta. Il vero inferno consiste nel fatto che questo doppio gioco

contraddittorio si prolunga in noi. L’amore stesso ha il suo centro di gravità “inter

feces et urinas”. I momenti più alti possono soggiacere al ridicolo, allo scherno,

all’ironia.

19.

PELLEGRINI – PILGRIMS

A volte ti senti così lontano,

tenuto a distanza dal cuore della recita,

incapace di intuirne l’importanza,

mentre osservi la trama con diffidente scoramento,

bloccato al centro del palco,

mentre cerchi a tentoni nel tuo diario una pagina perduta:

incerto del sogno.

Prendere a calci una pietra attraverso la spiaggia,

mentre ti logori in cerca di un amore e di un sollievo irraggiungibili;

la via che si apre di fronte sembra così desolata,

non è rimasto nessuno con cui parlare che ti sia lontanamente amico

o che ti mostri una qualsiasi relazione

tra la tua situazione presente e quella futura…

insensibile al sogno.

Via, via, via – guarda al giorno futuro

in cerca di speranza, di una qualche forma di pace

nel mezzo della tempesta che si rafforza.

Mi arrampico attraverso la sera, vivo e fiducioso

che nel tempo tutti conosceremo i nostri scopi e quindi, infine, la nostra meta;

per ora, tutto è segreto – anche se (come faccio a dirlo?),

lasciate che io mantenga il sogno in vista!

Ho atteso così a lungo

soltanto per vedere infine,

tutte le mani stringersi tra loro saldamente,

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tutti noi pellegrini.

Mentre camminiamo in silenzio lungo la costa,

soltanto per viaggiare, qui la speranza è tutto,

anche solo sapere che c’è una fine;

tutti noi, amanti, fratelli, sorelle, amici

mano nella mano…

Impronte splendenti sulla sabbia umida

conducono al sogno.

Il tempo è giunto, la marea si è quasi alzata

ed ha prosciugato le profondità:

mi sveglio da un sonno lungo una vita.

Sembra che abbia sognato per così tanto tempo –

ora, da sveglio, riesco a vedere

che siamo pellegrini e per questo dobbiamo percorrere questa strada,

con un fine sconosciuto, soli, ma non senza valore,

e la meta che continua a chiamarci.

Abbiamo aspettato qui così a lungo,

con le mani di noi tutti unite nella speranza,

restando in equilibrio sulla fune -

tutti noi pellegrini.

[Van Der Graaf Generator/Peter Hammill]

20.

Quel che di più grande esiste nella Creazione, è la possibilità di amare che l'uomo

possiede, è l'amore che vive nell'uomo ed emana da lui. [dagli scritti di

Theodossios Maria della Croce, Nel grande mattino del mondo. Ed. Jaca Book]

21.

IL LINGUAGGIO DEI SEGNI

THEODOSSIOS MARIA DELLA CROCE

Il tempo passa, l'Eternità rimane; ecco il permanente prisma attraverso il quale si

debbono vedere e filtrare le cose, tutte le cose, tutti i pensieri, tutti i sentimenti, tutti i

ricordi, tutte le generosità e tutte le miserie, tutti i momenti di splendore dell'infanzia

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e tutti i ripiegamenti su se stessa dell'anima colpita. Quel che permane è l'Eternità,

eterno è soltanto l'amore.

Paesaggi solinghi, prati e giardini dall'infinita tenerezza, azzurri mari sotto l'azzurro

cielo d'estate, fiori delicati offerti piamente da anime delicate, elevatissime

montagne e pacifici rivi, finestre aperte su verdi distese, profumi di timo e d'incenso

e di cera pura, croci bianche piantate su desertiche colline, lontani rumori della

sera nelle piane e fertili campagne, voci amiche vibranti di eterna fedeltà che

attraversano l'ora profumata del crepuscolo, infermità e piaghe profonde offerte con

dolcezza e senza ribellione, offerte per la libertà e la gioia di anime sconosciute,

presenze che popolano tutte le solitudini e solitudini di amore infinito che

trascendono ogni presenza, sbagli dall'origine santa, riuscite senza merito che

riempiono l'anima di segreta tristezza nelle ore di lode e di ovazione, brividi di

solitudine e di vuoto cosmici dinanzi all'immagine dell'infinito universo, mobile e

senza amore; brividi e calde lacrime di riconoscenza dinanzi alla piccola discreta

vibrazione dell'infinito amore del Creatore, sussurri di dolce saggezza in seno ad

amicizie stabilite da Dio nell'eternità, empiono la mia anima quando penso a

ciascuno di voi mentre penosamente ci avviciniamo al mistero delle festività di

dolore e di resurrezione.

Ormai per milioni di uomini la nostalgia della bellezza e dell'amore eterno non fa

parte del "reale". Tutto un linguaggio, linguaggio umano, sensibile, tutte le

sfumature e le delicatezze nel significato delle parole dispaiono nella coscienza e

nella sensibilità di milioni e milioni di uomini. Mentre lo scopo della creazione ed il

mezzo per raggiungerlo come individui, come popoli e come razze, restano

immutabili. Così ogni anima fedele ed amante è portata, in mezzo ad ogni

tribolazione, a percepire e a vivere, per quanto le è possibile e permesso, dietro

ogni cosa il suo segno, il suo linguaggio intimo di creatura creata innocente prima

di ogni alterazione, per sentire dietro ogni cosa l'amore eterno di Dio e della sua

creazione in Lui.

Sulle foglie degli alberi, trasparenti ed auree di sole, si legge il messaggio del

Verbo: la speranza. Si legge un appello, un sogno ed una promessa. Tutta la

creazione contiene il segno infinitamente variabile ed assolutamente unico della

finalità della creazione. Al fondo dell'orizzonte riluce l'orizzonte interiore. E

sull'orizzonte interiore riluce il volto dell'Amore eterno, il volto umano e divino; volto

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del molteplice infinito e dell'uno infinito, poiché è il volto del Creatore e del Figlio

unico del Creatore e dello Spirito tre volte Santo del Creatore.

I più piccoli fiori dei campi, l'intimo degli occhi amici, i pianeti e le galassie, i

barlumi della lampada ad olio davanti ad una icona, le tombe dei bambini piccoli e

i cimiteri dei secoli, tutte le acque pure e i profumi soavi dei campi e delle foreste, il

vento salato dell'oceano contengono un canto segreto, un canto dolce, discreto e

infinito, il canto del Signore.

I fiori e gli alberi e le pietre preziose, come gli umili sassi, le acque, le distese e le

montagne, ogni cosa è una bella lettera e una parola del linguaggio nascosto della

vita eterna. Per questo la Sacra Scrittura e tutti gli scritti sacri dei servitori di Dio

sono pieni di paragoni e di riferimenti alla natura. I fiori esprimono una pienezza

spirituale che sale dal fondo della creazione iniziale della terra d'origine. Le pietre

preziose esprimono la fissità delle virtù conquistate, e ogni elemento contiene

qualità immutabili accanto a elementi corrosivi. Ed ecco che San Paolo scrive:

"Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere

contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna

potenza e divinità" (Rom. 1, 20). l fiori e gli alberi e le pietre preziose, come gli umili

sassi, le acque, le distese e le montagne, ogni cosa è una bella lettera e una

parola del linguaggio nascosto della vita eterna. Per questo la Sacra Scrittura e tutti

gli scritti sacri dei servitori di Dio sono pieni di paragoni e di riferimenti alla natura. I

fiori esprimono una pienezza spirituale che sale dal fondo della creazione iniziale

della terra d'origine. Le pietre preziose esprimono la fissità delle virtù conquistate,

e ogni elemento contiene qualità immutabili accanto a elementi corrosivi. Ed ecco

che San Paolo scrive: "Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni

invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute,

come la sua eterna potenza e divinità" (Rom. 1, 20).

L'anima di buona volontà, quando è entrata definitivamente nella via dell'umiltà

fondamentale, comincia a essere riconoscente per la più piccola rotella che l'uomo

può fabbricare, per la più piccola medicina, per l'acqua dei fiumi e della pioggia,

per la lana degli abiti, per la legge del suono che permette lo strumento musicale,

per il metallo che permette lo strumento del medico e l'ago calamitato; è

riconoscente per le leggi che conosce del mondo naturale, per la percezione

dell'infinitamente piccolo e dell'infinitamente grande, nei rapporti con la natura

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finita, per i colori, per i fiori, per il firmamento. E' riconoscente perché, grazie

all'apertura dell'umiltà fondamentale e della morte, capisce il linguaggio di tutto

l'universo visibile e di tutte le leggi della natura, che non parlano d'altro che di

questa vita d'ordine e di pace e di amore eterno del Regno.

Per comprendere e penetrare ciò che vuol dire "la bontà delle cose", cioè quello

che le cose esprimono e il loro segno, i libri servono a poco quando l'uomo è

appesantito sul suo "Io"; è necessario che egli sia libero ed è liberato dal suo io

quando entra nella gloria dell'amore, quando si interessa ai suoi fratelli, quando si

interessa, per esempio, a scrivere una lettera tenera alla mamma che ama; allora

l'uomo è libero, è allegro e sorridente.

E' assolutamente impossibile cogliere il mistero di un paesaggio, cogliere il mistero

degli animali, il mistero del rapporto degli uomini con gli animali, se ogni giorno

non armonizziamo il nostro sapere con la conoscenza intima vissuta, se non siamo

continuamente mossi dal desiderio di essere uniti alla Verità eterna.

Le cose esprimono un'immensa bontà, quando manifestano all'uomo il messaggio

dell'amore di Dio. E gli esseri umani stessi contengono un grande segreto sacro e

possono contenere un'immensa bontà, un amore che è una partecipazione

all'amore di Dio.

Quando si comunica con la Creazione, vi è una grande nostalgia perché dietro

ogni espressione è consegnata, è celata ovunque, la grande bontà di Dio. Vi è

celata anche la morte perché l'uomo non può più comunicare soltanto con la bontà

delle cose, e se vuole separarsi egoisticamente dal male della morte, amando se

stesso, allora egli si separa in se stesso e abbandona l'opera della Creazione.

E' ciò che vuole il diavolo che odia la Creazione, che odia l'uomo. La forma con cui

più si manifesta il peccato e il disordine iniziale, è la chiusura alla penetrazione del

mistero della Creazione, il chiudersi all'amore delle opere di Dio. Quando la natura

non è dominata dall'amore eterno dell'uomo, la bontà delle cose si perde.

Per essere costantemente con Dio, è necessario amarlo pienamente, amare ciò

che ha voluto fare: ha voluto salvare il mondo, cioè ha voluto che l'uomo possa

comunicare con la bontà delle cose, con la bontà della Creazione, con Lui. Così

devo essere pieno di disponibilità per comprendere la bontà delle cose: la bontà

della fiamma d'olio, la bontà del colore verde di un campo la bontà di un sorriso, la

bontà di un sopracciglio, la bontà di una pietra, la bontà del calore in una camera

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quando rientro dopo il freddo, la bontà misteriosa che emana dalla foresta, bontà

della terra, delle foglie, delle cortecce; la vibrazione di bontà che emana da un

uomo, dal suo spirito, dal suo cuore, dai suoi capelli, dalle sue orecchie, dalle sue

ossa.

E come mai ci sono tanti crimini? Assenza d'amore. Tante volgarità? Assenza

d'amore. Là dove non c'è amore tutto è sporco, dove c'è l'amore tutto diviene santo,

perché qualunque sia l'amore dell'uomo, anche il più ordinario, esso è una

partecipazione all'amore di Dio, e Cristo è venuto per santificarlo.

Tutto ciò che è senza amore conduce alla morte, anche se è fatto in nome di Dio.

Per questo San Paolo ha detto, e lo ripeterò fino alla fine della mia vita: posso

possedere tutta la sapienza e conoscere tutte le lingue, posso dare il mio corpo in

olocausto, se non ho la carità sono un cembalo squillante.

Quando siete stati in contatto con la bontà delle cose, quando cioè, il contatto con il

mondo esterno ha elevato la vostra anima e vi ha riempiti di gioia d'amore sacro,

eravate liberi, senza problemi; quando ci si appesantisce si entra nelle tenebre.

Non crediate che la bontà consista nel non volere il male. La bontà non è di non

volere il male, è un'attività continua, come una luce continua. E quando l'altro,

vicino a noi, è debole e appesantito su se stesso o soddisfatto di sé, o meditativo o

un po' cupo, dobbiamo essere luce per dissolvere le sue tenebre.

Credetemi, la conoscenza è un cammino senza fine, è un cammino per conoscere

Dio. Si avanza, si avanza... Ciò che è definito è la via, e la via è unica: amare,

volere il bene, avere una pazienza senza fine, non disperare mai.

L'uomo di verità scopre la firma del Creatore impressa nell'intimità di ogni cosa, ed

entra nel cammino che conduce fuori dalla storia. Scopre che Cristo è entrato nella

storia per liberare l'uomo dalla Grande Illusione. Così ai piedi della Croce inizia il

cammino della liberazione, in cui l'uomo scopre a poco a poco il linguaggio mistico

di tutte le cose visibili. E allora viene il giorno in cui l'universo tace e la storia tace.

L'Illusione si dissolve. La falsa immagine dell'universo è rovesciata. E l'anima

conosce e vive, perché conosce il reale eterno, l'Ineffabile.

. . .

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Darest Sharma.

E adesso chi era alla porta? Ebbi paura, stupidamente. Mastro Fornari era con me,

perché temevo?

“Entra se hai buone intenzioni, altrimenti preparati”. Esclamò con tono enfatico.

Giocava o faceva sul serio quell'incredibile salta-fossi. La porta si aprì ed entrò una

giovane donna. Bella, caspita. A Viterbo l'avrebbero apostrofata con ben altri

epiteti. Alta più di me (180cm), un soprabito nero col collo alzato, luccicante, stivali

scuri ed un sorriso spettacolare. Il volto era una poesia. Come nei romanzi di

avventura finalmente entrava in scena la bellona di turno ed io, lì, in mezzo ad una

guerra eterna. Un ragazzo di provincia immerso in una fiaba. La donna salutò

Fornari col gesto simbolico della gilda e abbassò lievemente la testa in segno di

rispetto. Mi guardò distrattamente e si rivolse al maestro in una lingua musicale ma

per me incomprensibile. Non riuscivo a captare niente. Parole, suoni, modulazioni

aliene.

“Ranna Abarel, benvenuta. Parliamo nel gergo di mastro Scandurra, così il nostro

amico potrà capire. Viene dalla Terra e si chiama Darrell Zelio”.

Lei mi squadrò con sospetto e sorpresa. Faticò nel farmi un lieve sorriso e avanzò

con lente falcate verso di me. Divenni rosso come un peperone. Quella tipa mi

metteva a disagio. Ora mi stava a mezzo metro e potei sentire il suo profumo da

capogiro. Il volto sembrava acceso come un faro. I capelli lunghi e biondi si

muovevano al minimo moto della testa, come se ci fosse il vento. Gli occhi, poi,

erano blu. Una svedese come fattezze, ma con un qualcosa di alieno. Che

scoperta, eh? visto dove ci trovavamo.

“Non sei troppo piccolo per queste cose?”.

Balbettai non ricordo cosa, poi mi ripresi.

“Se il mio maestro ha deciso così, avrà avuto dei buoni motivi”.

Prendi e porta a casa. L'orgoglio terrestre scattò, mi si caricava all'altezza della

pancia. Non sarebbe stata una spillungona proveniente da un altro universo a

farmi sentire un fesso. Mastro Fornari si esibì in una grassa risata.

“Buoni buoni. Siamo tutti fedeli custodi del Lumen. Non è il momento per tirar fuori

le unghie. Avrete ben altre occasioni. C'è da stabilire un piano per penetrare nel

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castello rotante. Lo elaboreremo durante il tragitto”.

Abbassai la testa per farmi perdonare. Lei mi squadrò di nuovo e poi si sedette

scocciatissima. Certo che ero inesperto, prassi e dottrina da poco apprese erano

ben lungi da un rodaggio significativo. Ma mi trovavo lì perché inviato e con

informazioni alquanto incomplete, e se c'era uno che si doveva sentire scocciato,

se c'era qualcuno in seria difficoltà perché catapultato su quello strano mondo ove

il tempo era fuso con le cose, tanto da condizionare pensieri e azioni; ehi!, ero io

quello ad aver diritto di essere un tantinello contrariato.

Fornari si ravvivò i capelli e chiese attenzione.

“Dunque, vediamo. L'equilibrio tra universi si poggia sull'energia che scaturisce

dall'unione dei contrari. Ma la negazione, cioè il potere dell'Ombra volto alla

dissoluzione e oppositore di ogni cosa; ecco dicevo, la negazione si frappone tra i

contrari e impedisce la loro unione. Tenendo separati gli opposti, l'Ombra li rende

infetti con la propria malattia. L'equilibrio viene meno e gli eventi incrementano la

loro consistenza. Il tuo universo, Darrell, collassa, il Grande Tempo esaurisce la

sua energia e accelera gli eventi. Tutto si ispessisce. Ciò non avviene per qualche

errore degli ingegneri cosmici o per i capricci di un dio sadico. No, la Torre Rotante

è la macchina del Kaos ed è tutt'una con l'Ombra, è il suo doppio. Cosa produce? Il

morbo nero ed è un flagello che non perdona. Contamina tutti gli esseri viventi che

rechino in sé una tara, una falla nell'uovo-anima. Orgoglio, violenza, superbia, pur

se latenti e occulti, attraggono la malia come magneti psichici. Questo cancro

tenebroso e multiforme è da tempo tracimato nel tuo universo e già corrode la

galassia. Darest Sharma è un porto cosmico, una cittadella morta in realtà. Ma la

morte lì è più che viva. Vi sono antiche rampe di decollo, banchine e oscure

taverne ricettacolo di fuoriusciti di pianeti sconfitti. Circolano voci strane assai. In

quei posti si parla di cose segrete, crudeli, blasfeme. I vascelli cosmici evitano

come la morte quel posto. Persino le dicerie, le paure, si materializzano a Darest

Sharma. Dicono che si veda il castello rotante in lontananza, a volte, proprio al

tramonto, solo quando è visibile lo si può avvicinare. L'Ombra che ti ho più volte

citato, non è una categoria astratta. Essa è una entità incarnata in un essere... è lui

il morbo stesso che si propaga in tutti gli universi. Eppure Darrell, le potenze

oscure qui all'opera che disfunzionano il bilanciamento, fanno comunque parte del

grande piano disegnato sul testo sacro delle origini compilato dai Vedenti... credo

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che sia giunto il momento di andare. C'è una guerra da combattere. È antica e

forse è giunta al suo epilogo. Ogni cosa è stata messa in tensione dinamica. Ogni

essere ha scelto o evitato di scegliere da che parte stare. Darrell ha fatto una lunga

strada, è stato scelto da Scandurra che qui è una leggenda come tu ben sai,

Ranna. Sicuramente questo ragazzo ha doti notevoli e soprattutto è allievo di uno

della schiatta di Atlantide, ultimi depositari della sapienza dei Vedenti. Darrell,

ricorda, il Bagliore ci salva da incontri pericolosi”.

Ranna, mi offrì il suo braccio in segno di amicizia.

“Darrell, sono stata inospitale e volgare. Ti chiedo perdono. Faremo bene insieme,

vedrai”.

“Non c'è problema”, feci io con ostentata sicurezza.

Scandurra una leggenda in questo universo. Per la steppa! Addirittura discendeva

dai Vedenti. Dovevo sapere queste cose proprio ora. Mi si gonfiò il petto di

orgoglio. Quel piccolo uomo rinchiuso in una bottega di frutta e verdura a Viterbo,

era un personaggio più che noto, un mito in un altra dimensione. Pensare che sulla

mia Terra uomini da poco si credono i padroni, pensano di essere la causa dei

destini di molti e invece... forze ai più ignote si muovono e operano indisturbate in

una guerra senza quartiere sui nove piani della realtà. Io avevo l'onore di

conoscere Scandurra, mi consideravo la persona più fortunata del mondo ma il

mondo lo ignorava. Non comparirà mai in televisione, né sarà in prima pagina,

nessuno saprà mai ciò che veramente accade dietro le quinte della storia e di

quello che un pugno di uomini, salta-fossi interdimensionali, fanno con coraggio e

dedizione assoluta. Nessuno. Ma non importa. Scrivo queste Cronache perché un

giorno qualcuno potrà salvarsi dalla fine del mondo.

Mastro Fornari si alzò dalla carrozzella, pestò i piedi sull'impiantito e si diresse

come se niente fosse fuori. Rimasi basito. Ranna se ne accorse.

“Il maestro è ferito soltanto qui dentro, nel passavia”.

Uscimmo in tutta fretta e ci inoltrammo in mezzo alla folla di Deya. All'imbrunire

iniziava la nostra missione. Incominciavo a capire che quella avventura aveva una

connotazione ben più ampia di un viaggio oltre i confini dell'universo, che non era

cosa da poco del resto. Una stilettata ghiacciata salì lungo la mia schiena. Il

morbo? Sarebbe arrivato sulla Terra. Ma no, non era possibile. Già, perché era

possibile viaggiare per dimensioni? Era possibile colloquiare con esseri di altri

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mondi? La Magia poteva convivere con la tecnica? Sì, tutto è possibile.

Mentre con passo svelto e in fila longobarda ci dirigevamo verso Darest Sharma,

ultimo della compagine, richiamavo il Bagliore. Ranna rallentò e si affiancò alla

mia sinistra.

“Guardati dai disseminatori. Gettano per strada cartocci di materia infetta. Nei loro

laboratori ne producono in quantità tali da ammorbare un universo”.

“Perché Ranna quest'odio?”.

Ma lei era già passata avanti a me. Untori di manzoniana memoria, perseguivano

intenti di morte non per trarne chissà quale profitto di dominio, o almeno non lo

credevo. Piuttosto, diffondere in tutti i pianeti la morte sembrava più una tendenza

perversa interiore, malvagità allo stato assoluto, quasi come se appartenessero ad

una stirpe votata alla distruzione di tutto ciò che è vita. Oppure una sete di vendetta

folle perché colpisce tutti indistintamente. Non riuscivo a capire cosa spingeva

alcuni ad odiare tutti: l'inferno sono gli altri? La realtà vera sporca feroce, è che tutti,

ogni creatura dei multiuniversi, si misura col Male tutti i santi giorni, il problema è

che pochi ne sono coscienti.

Ci muovevamo agilmente in quel labirinto estenuante, fatto di stradine e sottopassi

zeppi di botteghe, ponticelli e piazzette. Le case poi erano bizzarre alquanto, mura

curve o dritte puntate al cielo, piccole tozze e basse o altissimi palazzi pseudo

rinascimentali che si fondevano con altri di stile diverso. Zac mi avrebbe poi detto

che quei palazzi erano strutture caratterizzate dall'alternanza di elementi

discontinui in compressione tenuti insieme da un sistema di elementi continui ed

elastici in tensione. E poi rumori puzze profumi, luci multicolori, si rincorrevano in

un guazzabuglio inestricabile. Deya univa il mito senza tempo e l’esperienza

individuale contemporanea. Rendeva lecito il girovagare attraverso elementi

futuribili e del sovrannaturale. Deya appariva una sorta di deposito gigantesco di

relitti resti cose intrighi memorie di tutte le razze dell'universo. Qui coincidevano

magia e tecnica, potenze e limiti, qui si giocava un gioco millenario che attendeva

la parola fine. Tutto mi sembrava strano, diverso, ma ogni tanto percepivo qualcosa

di familiare. Magari dentro un portone, da una finestra, in un negozio, sul volto di

un passante frettoloso, sentivo una vicinanza e mi pareva di essere anche io di

casa, col mio leggero bagaglio di ricordi, esperienze, dolori e amori. Ma poi il

presente, la sua densità, mi rimetteva in tiro. Ahimè! L'incubo del morbo era

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qualcosa di molto concreto. Uno stato di ansia mi sorprese. Il Bagliore si affievolì.

Da un muro, alla mia destra, emerse una testa informe dagli occhi di serpente, che

mi fissò.

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domenica 19 dicembre 2010

IUS 34

. . .

1.

L'impero non è mai cessato (P.K. Dick)

Sulla paura generalizzata e sul sentimento liberato da ogni controllo razionale si

edificano gli imperi. Non è un caso se la contemporaneità si rispecchia nei miti

gnostici del I secolo d.C. Da Minority Report fino al Truman Show, dal Grande

Fratello televisivo e letterario fino ai vari Matrix, passando attraverso l'opera più

emblematica per comprendere il nostro tempo - intendo la narrativa di P.K. Dick -,

l'uomo contemporaneo si immagina, come l'antico gnostico, rinchiuso in una

gabbia di ferro, chiamata cosmo, generata da un dio decaduto irrazionale e pazzo.

L'Impero, secondo la gnosi, è stato generato dalla paura di un Dio minore che si

sente minacciato e che si alimenta della paura di uomini che non cessano mai di

tremare. Se cessassero di tremare l'Impero si scioglierebbe, in un sol giorno, come

neve al sole. Per evitare questa catastrofe occorre perciò che il Terrore sia

costantemente evocato dall'Impero. Non c'è nemmeno più bisogno di un terrore

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reale. È sufficiente la minaccia periodica. All'uomo deve infatti essere ricordata

costantemente la sua natura pascaliana di esile canna. Così si potranno all'infinito

costruire muri e dispensare protezione. Che ne sarebbe invece dell'Impero e di

quel Dio minorato che lo regge se l'uomo, come insegnano i classici, si ricordasse

della sua somiglianza con il vero Dio e della sua partecipazione a quella natura

divina? (Rocco Ronchi)

2.

La nostra epoca di mass – media trasforma la soggettività della Storia, che per

lungo tempo non fu un problema che per i filosofi, vale a dire di un numero piccolo,

in strumento universale per violare e plasmare la coscienza delle folle e, di

conseguenza, in fattore politico essenziale e primario.(Raymond Abellio)

3.

Fra gli Etruschi…e noi [Romani] c'è questa differenza: noi riteniamo che i fulmini

scocchino quando c'è stato uno scontro di nuvole, essi credono invece che le

nuvole si urtino per far scoccare i fulmini. Infatti, dal momento che attribuiscono

ogni cosa alla divinità, essi sono convinti non già che le cose abbiano un

significato in quanto avvengono, ma piuttosto che avvengono perché debbono

avere un significato (Seneca, Nat. Quaest., 2, 32)

4.

Contro le blasfemie dei nuovi archeognostici anglofoni, c'è quel genio incompreso

di Peter Kolosimo. Terra senza tempo, Ombre sulle stelle, l’incredibile Non è

terrestre, Odissea stellare, l’inquietante e castanediano Guida al mondo dei sogni,

l’ecumene cosmica di Fratelli dell’infinito, l’ambiguo e occulto Polvere d’inferno,

l’indicibile (fino a sfiorare il comico per la tesi, che è però di fatto una realtà) Italia

mistero cosmico, Civiltà del mistero, Viaggiatori del tempo.

5.

GLI AFORISMI DI ZURAU

Franchino Kafka, tra il 1917 e il 18, se ne va in campagna a Zürau illudendosi di

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sfuggire agli scarafaggi e di curare la sua tubercolosi. Si mette a scrivere un

centinaio di foglietti di quaderno che contengono una serie di aforismi e storielle

che stanno a metà - e al di sopra, forse - tra Epicuro e lo stoicismo e che, da soli,

valgono almeno quanto il resto della sua produzione letteraria.

La vera via passa per una corda che non è tesa in alto, ma appena al di sopra del

suolo. Sembra destinata a far inciampare più che a essere percorsa.

Da un certo punto in là non vi è più ritorno. Questo è il punto da raggiungere.

Se fosse così, che tu procedi su un piano, con la buona volontà di andare avanti e

però fai dei passi indietro, allora sarebbe una situazione disperata; ma poiché ti

stai arrampicando su un pendio ripido, così ripido come tu stesso appari visto dal

basso, i passi indietro possono anche essere causati soltanto dalla natura del

terreno e non devi disperare.

Come un sentiero d'autunno: appena è tutto spazzato, si copre nuovamente di

foglie secche.

Leopardi irrompono nel tempio e svuotano i vasi sacrificali; questo si ripete

continuamente; alla fine lo si può calcolare in anticipo e diventa una parte della

cerimonia.

Tu sei il compito. Nessun allievo in vista, da nessuna parte.

È ridicolo come ti sei bardato per questo mondo.

Venne data loro la possibilità di scegliere fra diventare re o corrieri del re. Come

bambini, vollero tutti essere corrieri. Per questo ci sono soltanto corrieri,

scorrazzano per il mondo e, poiché di re non ce ne sono, gridano i messaggi ormai

privi di senso l'uno all'altro. Volentieri porrebbero fine alla loro miserevole vita, ma

non osano farlo per via del giuramento che hanno prestato.

Mettiti alla prova con l'umanità. Essa fa dubitare chi dubita, fa credere chi crede.

Questa sensazione: «Qui non getto l'ancora» e subito sentirsi trascinati dai flutti

ondeggianti.

Due compiti per iniziare la vita: restringere il tuo cerchio sempre più e controllare

continuamente se tu stesso non ti trovi nascosto da qualche parte al di fuori del tuo

cerchio.

6.

GLI AFORISMI DI SCANDURRA

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Il Lumen è la traccia che è nascosta in ogni essere e che Dio protegge affinché non

sia oscurata da influenze esterne. Chi cerca questa traccia, la troverà sicuramente

e, con l’aiuto di Dio, essa si espanderà e si diffonderà fino a colmare tutta la

persona e il mondo.

Impara sempre, da qualunque cosa.

Siamo sempre agganciati con qualcos’altro.

Non temere il diavolo, arriverà il giorno in cui lui ti temerà, ma per te non avrà più

importanza.

Il potere è una brutta bestia. Spesso è incontrollabile e pronto a divorarti. Se

rimarrai umile come all'inizio del cammino, non potrà farti male.

Ci sono segni sparsi ovunque, ma pure tanti ciechi.

Metti cura in ogni cosa che fai, onori così il tempo che è sempre più scarso, e

rispetti ogni tua azione nata dal cuore.

Dove rivolgi lo sguardo la cosa cambia, perciò devi essere sempre sveglio.

Se ti colleghi al Lumen, nessuno potrà squilibrarti, altrimenti subirebbe il colpo di

ritorno.

Bacia il fico prima di mangiarlo, così ringrazi la Natura che è sempre generosa.

7.

“Nemico non è il concorrente o l’avversario in generale. Nemico non è neppure

l’avversario privato che ci odia in base a sentimenti di antipatia. Nemico è solo un

insieme di uomini che combatte almeno virtualmente, cioè in base a una possibilità

reale, e che si contrappone ad un altro raggruppamento umano dello stesso

genere. Nemico è solo il nemico pubblico, poiché tutto ciò che si riferisce ad un

simile raggruppamento, e in particolare ad un intero popolo, diventa per ciò stesso

pubblico. Il nemico è l’hostis, non l’inimicus in senso ampio: il polemios non

l’echthros. La lingua tedesca, come altre, non distingue fra ‘nemico’ privato e

politico, cosicché sono possibili, in tal campo, molti fraintendimenti ed aberrazioni.

Il citatissimo passo che dice “amate i vostri nemici” (Matteo, 5, 44; Luca, 6, 27)

recita “diligite inimicos vestros” e non “diligite hostes vestros“: non si parla qui del

nemico politico. Nella lotta millenaria fra Cristianità ed Islam, mai un cristiano ha

pensato che si dovesse cedere l’Europa, invece che difenderla, per amore verso i

Saraceni o i Turchi. Non è necessariamente odiare personalmente il nemico in

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senso politico, e solo nella sfera privata ha senso ‘amare’ il proprio nemico, cioè il

proprio avversario. Quel passo della Bibbia riguarda la contrapposizione politica

ancor meno di quanto non voglia eliminare le distinzioni di buono e cattivo, di bello

e brutto. Esso soprattutto non comanda che si debbano amare i nemici del proprio

popolo e che li si debba sostenere contro di esso”.

(Carl Schmitt, giurista e pensatore politico tedesco - Plettenberg 1888-1985)

8.

Calcina viva nuova 10 libbre, acqua barilli 4, carbone di frassino. Covri la grata

della fornace co' carboni accesi a fiamma di brace; con ausilio di mantici a basso

vento. Cala il Modello da covrire in una vasca ammattonata; indi covrilo con velo

sottilissimo di spezial tessuto bagnato con acqua e Calcina. Modella le forme e

gitta lentamente l'acqua e la Calcina Misturate. Per l'esecuzione: soffia leve co'

mantici i vapori esalati dalla brace nella vasca sotto il liquido composito. Per

quattro dì ripeti l'Opera rinnovando l'acqua e la Calcina. Con Macchina preparata

alla bisogna Leva il Modello e deponilo sul piano di lavoro, acciocché il rifinitore

Lavori d'acconcia Arte. Sarà il velo come di marmo divenuto al Naturale e il

Sembiante del modello Trasparire.

(Raimondo di Sangro principe di San Severo, in un documento dell'Archivio

Notarile di Napoli, rogato in data 25 novembre 1752, indicò le istruzioni per

marmorizzare un velo).

9.

Si può infatti negare la produttività di qualsiasi sforzo inteso a comprendere e

definire ciò che è destinato a rimanere invisibile (e figuriamoci poi se l'entità

indagata è doppiamente invisibile); si può sostenere che l'uomo non può accedere

alla sfera dell'idea platonica, anche ammettendo per intuizione che essa sia la

sede del suo essere, ed anzi si può addirittura definire questo volgersi indietro

verso la patria originaria come un'audacia rischiosa, pericolosa come la libertà che

pure viene da lì. Rimane il fatto che l'immagine di questa patria lontana produce

quell'incessante nostalgia che ci accompagna per tutta la vita.

(Broch, H. 1955 ‘Politik. Ein Kondensat’ in H. Arendt ed. Hermann Broch. Erkennen

und Handeln, Band II. Zürich: Rhein-Verlag, cit. in Esposito 1999, p. 144 )

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10.

“[...] Il racconto mitico riveste così spesso tutti i valori; mette in giuoco dei jolly o

elementi bianchi. Per questo sta a monte, sempre, dell'insieme delle spiegazioni,

tutte lineari ed analitiche, tutte inclinate. Il mito include la storia; e invece nessuna

storia spiega il mito”.

(Serres M. -1991-, Roma, Il libro delle fondazioni, Hopeful Monster editore, Firenze,

pp. 45-46 )

11.

Scandurra mi dava una lezione di storia ben diversa da quella che avevo ricevuto

dalla scuola, la quale mi aveva trasmesso un solido schema di fatti, una

cronologia. Scandurra, invece, mi offriva vertiginose visioni topografiche d'insieme.

Non allenava la mia memoria, ma saggiava la mia fantasia. Le sue non erano

nozioni o informazioni. Era un 'sapere' di altro genere. Per la cultura profana, la via

della conoscenza passava per un sapere universale, sempre accessibile a tutti.

Ogni uomo di buona volontà poteva assimilarlo e percorrere così la via che

conduce alla verità. E la verità è la somma di ciò che si può sapere. Scandurra

invece sosteneva che la verità è ciò che non si può e non si deve esprimere. È per

sua natura segreta. Il sapere a essa legato non può essere comunicato per via

diretta. Il mezzo per comunicarla è l'immagine mitica. Quello che chiamava

coscienza profonda era in realtà partecipazione a un sapere esoterico di cui

possedeva la chiave. Si sentiva custode di un mistero. Arcano era una delle sue

parole preferite, che veniva fuori di continuo. Ma per quanto segreta,

incomunicabile, la sapienza attraverso Scandurra diveniva visibile, palpabile,

dimostrativa. La chiave non se la teneva stretta, la donava e solo così, diceva,

poteva conservarsi intatta, segreta.

. . .

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Darest Sharma 2

Basta un attimo e, come si dice da noi, 'sei del gatto'. Ebbi un giramento di testa.

Persi l'equilibrio e quella strana cosa serpentiforme che fuoriusciva dal muro mi

avviluppò, oppure mi entrò dentro e vomitai. Cambiò scenario immediatamente. Mi

trovavo disteso su di un tavolaccio al centro di uno stanzone in penombra.

Sembrava una di quelle cucine ancora in uso nei nostri casali di campagna. Ero

nudo come un verme, tremavo e battevo i denti, mi misi seduto e vidi per terra

diverse pozze di sangue con sopra centinaia di insetti e dei secchi sparpagliati,

pieni di budella e frattaglie. Appesi ai muri c'erano utensili come coltellacci e frese,

seghe, ganci e corone di ferro, mannaie di tutte le misure e batticarne. Ahimè! Se

mi trovavo veramente in una cucina, quel giorno avrei fatto parte del menù.

Diamine, cosa ci facevo lì? E come era potuto succedere? Abbassando la guardia,

evidentemente Deya aveva mostrato il suo volto peggiore. Il Bagliore mi

proteggeva dai gorghi dimensionali, dai demoni in agguato; la disattenzione nel

sostenerlo mi stava costando un prezzo mortale. Mi feci anima e coraggio, tentai di

riaccendere la Luce, ma non rispondeva. Scesi dalla tavola, cercando di non

calpestare il sangue disseminato un po' ovunque e mi avvicinai al finestrone. Ciò

che vidi non mi tranquillizzò affatto. Mi trovavo dentro un castello, con mura formate

da pietroni inframmezzate da torri altissime. Sorse un pensiero raccapricciante: ero

prigioniero di Darest Sharma. Discendo dall'aeronave e subito mi faccio

sorprendere dai tre emissari; inizio la missione con Mastro Fornari e Ranna, e già

sono 'beccato' da chissà quale satanasso e portato allo scannatoio. Mi si prese uno

sconforto sconfinato. Scandurra dove sei? Ripetevo. Dio in che pasticcio mi sono

messo? Invocavo.

“Aoh? Prima missione ed eccoti incasinato. Questi nuovi allievi... si fa presto a dire

salta-fossi”.

Dietro di me stava Scandurra col cappottone da profugo. Fu naturale abbracciarlo.

Mi sentivo come un pischello in cerca di avventure che si era perso nel bosco. Non

mi vergogno a dirlo, ma scoppiai a piangere. Il maestro si levò il cappotto e me lo

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fece indossare.

“Copriti, se mi pigli freddo altro che Bagliore”.

Ero contento come una pasqua. Scandurra c'aveva sotto un altro cappottone, come

suo solito era sempre attrezzato. Non gli chiesi nemmeno come aveva fatto a

venire sin lì, né come aveva saputo della mia disavventura. Era Scandurra, e

questo bastava e avanzava.

“Ora, andiamo via di qua. Qualcuno sta già preparando il condimento. Non senti

che odorino?”.

Lo seguii verso l'uscita. La sua tipica andatura non mutava nemmeno in quest'altra

dimensione. Percorremmo un corridoio malamente illuminato da fiaccole. Eravamo

in pieno medioevo, almeno così appariva quel posto. I piedi mi dolevano per delle

piccole ferite causate dal pavimento di lastroni grezzi. Ad un certo punto,

Scandurra mi fece cenno di acquattarmi.

“Daglie de tacco daglie de punta, quant'è bbona la sora Assunta [traduzione

politicamente corretta: nello spazio qualunque retta è condannata a curvarsi, fino a

ritornare al suo punto iniziale.]”. Cantilenò a mò di stornello.

Brrrrrr... il suono del passaggio e così ci trovammo al centro di uno stagno in mezzo

ad un bosco. Scandurra aveva preso la prima uscita disponibile del GRA

interdimensionale, ed eccoci lontano da quel luogo d'incubo. Non avevo contezza

dell'accadimento. Era semplicemente avvenuto.

“Bene, ora raggiungiamo i nostri amici che staranno in pensiero. Vicino a quel

macchione ho nascosto un po' di cose che ti serviranno, visto come sei conciato. È

meglio che non ti presenti a mastro Fornari e soprattutto a Ranna in questo stato.

Potrebbero schifarsi ed io ho una certa reputazione da queste parti. Eh eh eh”.

Giunti al macchione trovammo una busta della spesa di un noto supermercato di

Viterbo, contenente un calzone di velluto marrone, un camicione a quadri rosso-

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blu, un gilet beige da cacciatore, scarponcini militari e calzettoni di lana, un

tascapane liso e macchiato. Indossai velocemente i vestiti e ci dirigemmo verso

l'appuntamento con gli amici.

“Avrai fame. Lì dentro ci trovi uno sfilatino con coppa, sottaceti e da bere il solito

peroncino. Regolare, no?” indicandomi il tascapane.

Ci trovavamo in un altro universo e stavo mangiando la mia merenda preferita che

Scandurra aveva fatto preparare dal sor Michele, titolare di una drogheria a

Pianoscarano, antico quartiere di Viterbo. Regolare, no? Mi venne pure in mente

una domanda atroce: quanto tempo era passato da quando mi ero immerso nella

fossa? Che cosa avrebbero fatto i miei vecchi? Una certa inquietitudine mi prese.

Poi, mi resi conto che il vero, reale, impellente problema riguardava il qui e ora.

Dovevo allontanare ogni altra preoccupazione e concentrarmi sul presente. La

facilità dimostrata dalla creatura del sottomondo nel rapirmi e condurmi al

mattatoio, era la conferma, ancora una volta, che si stava combattendo una guerra

terribile e non potevo certo permettermi di 'sbracare'.

“Buono lo sfilatino, eh? la 'biretta' è fredda però”.

Scandurra trovava anche in questo caso il tempo di celiare, ma forse ogni

momento e cosa, per lui, avevano la loro importanza. Viveva contemporaneamente

in più dimensioni. Una manifestazione di sé era capace di interagire su più piani,

così come manipolava il tempo o sequenze di esso quando doveva deviare la

linea destinale di qualcuno animato da cattive intenzioni, o evitare il peggio per

qualcun altro che si fosse trovato in una data situazione pericolosa. Interrompeva

le volute del kaos e le deviava altrove dove non potevano nuocere. Per non parlare

di quanto appena avvenuto, ossia del trasferimento subitaneo dallo stanzone del

castello allo stagno, senza mediazioni di porte e camminamenti interdimensionali.

Ma chi era veramente Scandurra? Anonima Talenti allo stato puro.

“Ci raggiungeranno ai quattro avamposti di osservazione, se già non si trovano lì.

Sono dei propugnacoli di difesa, sparsi in punti chiave di Deya”.

Affrettammo il passo lungo quel sentiero che zigzagando si inoltrava nel bosco. Era

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notte, ma assomigliava piuttosto ad una sorta di crepuscolo rossoviolaceo che

trascolorava le forme delle cose in maniera bizzarra e durava fino al mattino.

Intanto ascoltavo una misticanza di versi e di suoni con effetto risonanza, che

provenivano da ogni parte. Non avevo paura, mi sentivo un drago a fianco del

maestro. La pagnottella mi aveva rigenerato e non ansimavo nemmeno. Chiesi a

Scandurra se avremmo fatto la stessa strada per entrare al castello.

“Lì, saranno tutti in allarme. Dovremmo sorprenderli, busseremo alla porta

principale”.

Bella sorpresa!, pensai io, ma non replicai. Incominciavo a far parte di uno spazio

di manovra dove entravano in gioco criteri strategici fuori da ogni logica. Scandurra

era fuori da ogni logica. Era così fuori da essere dentro ogni cosa.

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martedì 1 febbraio 2011

IUS 35

. . .

1.

Nel passaggio da uno stadio di sviluppo ad un altro vi sono due decorsi principali,

che nella vita dell'uomo appaiono praticamente l'uno accanto all'altro. L'uno di essi

è la grande rottura d'argine, in cui con l'estrema energia a disposizione si attua un

mutamento che altrimenti non si riuscirebbe a compiere. Sono le crisi della vita in

cui si resta a malapena ancora in vita, e che in verità superano le nostre forze.

Ulisse per ascoltare le sirene si fa legare all'albero della nave. Bisogna prendere

prima tutte le precauzioni per affrontare il pericolo, trarne sì la conoscenza che da

esso deriva, ma senza lasciare lacune. Tali crisi, che mettono seriamente a

repentaglio la ragione, si ripetono ciclicamente, cedendo il posto a un sistema

valoriale nuovo, ad un altro sentimento di vita.

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Il secondo decorso è quasi l'opposto di questo impeto di valanga. L'immagine della

valanga collega i due decorsi e permette di scorgerne le condizioni e le relazioni.

Ci viene in aiuto l'esempio della stella marina che si gira. Diciamo per caso essa

trova un movimento o una serie ristretta di movimenti che improvvisamente

costellano l'immagine. E con questo il passaggio è creato organicamente e con

facilità. Questo secondo meccanismo considera dunque le piccole operazioni,

poco appariscenti, che non costano nulla. Sono facili da compiere e

padroneggiare. Il più delle volte non ci rendiamo conto della loro importanza. Esse

sono quei piccoli iniziali nuclei di valanga, che si distaccano e poi irresistibilmente

diventano una valanga che non può più essere trattenuta. Questa nuova

immagine, cresciuta da piccoli inizi, può condurre verso ambedue i lati, quello da

superare e quello nuovo da conquistare. Non è necessario che l'uomo porti a

termine i grandi compiti con l'impiego di tutte le sue forze. Egli deve compiere le

piccole cose facilmente raggiungibili, così come anche l'I King dice spesso che “è

divino riconoscere i germi” (16, 2 e altrove).

2.

"Nell’incontro del pensiero con il sensibile, con il molteplice, con il finito, del quale

l’Oriente tradizionale non poteva concepire la possibilità di una scienza, è presente

l’Io, con la sua interna trascendenza: nell’ a n t e c e d e n t e s i m u l t a n e o e

non cosciente della percezione, agisce il pensiero di profondità dell’Io: perciò la

sua correlazione con il segreto del Cosmo.

Tale possibilità, oggi comune a quasi tutta l’umanità, ha avuto inizio come

esperienza tipica del pensiero occidentale, grazie ai pionieri del pensiero

cosciente e del metodo sperimentale. Senza la presenza dell’Io spirituale nel

pensiero, non si sarebbero avuti l’elettricità, il telefono, i transatlantici, la radiofonia,

i missili, la ricerca nucleare, ecc.: le espressioni più elementari e primitive di tale

presenza, che tuttavia permane per l’indagatore che se ne giova, la presenza

ignorata. Grazie ad essa, il pensare è la donazione profonda di sé nel percepire,

da cui sorge la coscienza dell’Io.

Il discepolo può constatare che la forza radiante dell’Io, come donazione di sé

illimitata, è presente nel percepire sensorio. Nella sensazione e nella

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rappresentazione, essa subisce ogni volta uno smorzamento del suo potere di vita:

è l’arresto di forza provocato dalla mediazione cerebrale, necessaria

all’assunzione cosciente dei contenuti: il pensiero riflesso, in fatti, non accoglie i

contenuti, ma la forma conseguente allo smorzamento vitale, il valore astratto. Lo

scienziato tuttavia crede assumere l’oggetto nella sua concretezza e procede di

conseguenza, validando come realtà il riflesso astratto del sensibile: assolutezza di

una relazione incompiuta epperò inanimata, da cui trae come produzione reale il

mondo meccanico, tecnologico, ignorandone la provvisorietà, ossia la contingente

strumentalità rispetto all’assunto da cui inizialmente muove.

Mediante la più semplice contemplazione, la coscienza ha la possibilità di

congiungersi con le forze profonde dell’Io nella percezione sensoria, ma l’uomo

occidentale, che ha avuto tale iniziale dono come la massima possibilità di

penetrazione dello Spirito nella terrestrità, dell’immediato percepire assume la

forma riflessa come valore sul quale modella il pensiero. Nel percepire ha

l’immediato moto dell’Io come moto di puro pensiero, ma lo ignora, perché è preso

dal percepito, dalla mera tangenza sensoria: in realtà non afferra il percepito, non

lo contempla, non lo fronteggia, non vi incontra il momento della coscienza che si

unisce con il mondo.

Si tratta di p e r c e p i r e la forza fluente in questo momento vivo: la sua

correlazione con le Gerarchie cosmiche. In realtà l’uomo non percepisce il

pensiero, manca del tipo di percezione più elevato a cui possa accedere mediante

la coscienza di sé: perciò è privo del reale contenuto della esperienza sensoria.

Egli non realizza il potere di donazione soprasensibile del pensiero a cui ogni

momento ricorre: ignora la presenza dell’Atman nel moto di profondità con cui si

unisce alla terrestrità nel percepire.

La concentrazione conduce lo sperimentatore alla obbiettivazione del pensiero,

ma non ancora alla sua percezione, essendo ancora il percepire minimamente

consapevole al livello dei sensi. La percezione sensoria è un processo ignoto

all’indagatore di questo tempo, perché il potere extraumano che incanta il

percepire nella forma riflessa, ogni volta invade la zona della coscienza in cui

dovrebbe essere presente l’Io quale penetratore ed elaboratore di tale forma. Nella

zona in cui l’uomo dovrebbe essere sveglio rispetto la vita dei sensi, si lascia

sopraffare dal risuonare della loro tangenza formale: rispetto ad essi è immerso in

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stato di sonno. Ma i meccanismi logico-dialettici gli danno l’illusione di essere

sveglio.

Il discepolo deve conquistarsi lo stato di veglia rispetto alla normale vita dei sensi:

egli deve poter avvertire che, privo di tale stato di veglia, opera nella quotidiana

vita come un sonnambulo, malgrado le discipline interiori. Dovunque è percezione,

è la presenza dell’Io originario, con l’assoluta incondizionatezza che gli è propria e

la sua correlazione con le Potenze sorreggenti l’Universo."

(Da: "La tradizione solare'' di Massimo Scaligero - Editrice Teseo Roma)

3.

Non vi è nella storia, nulla di grande che abbia avuto grandi inizi. Quanto di ciò che

è nato grande ha avuto poi sorte piccola. La legge della vita prevede, ovunque,

che anche gli organismi destinati a diventare maggiori traggano origine da un

piccolo seme, quasi invisibile agli occhi degli uomini.

4.

IN PRINCIPIO FURONO I GIGANTI

Giganti che superavano centinaia di volte la massa del Sole: erano così le prime

stelle comparse nell'universo alla fine della cosiddetta ''Età buia'', a poche

centinaia di milioni di anni dal Big Bang. La loro prima descrizione è stata

pubblicata questa settimana su Science. La loro enorme massa è stata cruciale per

innescare le reazioni che poi hanno dato forma all'universo che vediamo oggi. A

descriverle per la prima volta è la ricerca coordinata dagli Stati Uniti, con la

Columbia University di New York. Capire come si formarono le prime stelle è una

delle principali questioni dell'astrofisica. Si ipotizza che esse nacquero da nubi

calde composte dai due gas primordiali, idrogeno ed elio, che si raffreddarono e si

condensarono. Un passaggio chiave di questo processo di raffreddamento sono

state le collisioni avvenute fra ioni positivi e negativi dei gas che diedero origine

alle molecole di idrogeno (H2). La simulazione pubblicata su Science ricostruisce

queste collisioni e mostra in modo chiaro che il processo di raffreddamento dei gas

è avvenuto tramite rotazioni di bassa energia degli atomi all'interno delle nubi

primordiali. Al raffreddamento ha fatto seguito un addensamento dei gas e da

questo processo sono emerse le prime stelle, la cui massa è stata cruciale per le

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evoluzioni cosmiche successive. Due polarità (caldo e freddo, elio e idrogeno)

danno il via al tutto alla fine dell' "Età Buia". Nascono i Giganti. Dal loro

smembramento nasce il cosmo. Non vi ricorda nulla?

www.noreporter.org

5.

Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti

essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa

aveva da insegnarmi, e per non scoprire in punto di morte, che non ero vissuto.

Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse

assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il

midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non

fosse vita…

Henry D. Thoreau, Walden ovvero vita nei boschi

6.

I sistemi complessi, prevedono in determinati momenti della loro evoluzione una

duplice possibilità, entrambe possibili ma assolutamente imprevedibili, sia per la

struttura stessa del fenomeno (sistemi complessi), sia perché sensibili alle

condizioni iniziali (sistemi caotici). Le Biforcazioni sono momenti o situazioni dai

quali due possibili scenari possono scaturire, senza alcuna possibilità di prevedere

quale opzione verrà determinata dalle impercettibili variazioni delle condizioni

iniziali. Le biforcazioni sbocciano in corrispondenza degli attrattori.

7.

Tutte le scuole sapienzali, pongono l'accento sulla necessità dell'attenzione, della

presenza mentale, o consapevolezza. Scandurra non è da meno. Sostiene, infatti,

che una persona distratta o fagocitata dai pensieri è menomata nel principio stesso

della coscienza. “Sostare sui pensieri ti ruba energia. Attento al respiro, così esso

non diverrà meccanico. Sìì uno per ogni cosa che fai. Sìì attento così ti dilati e ti

appuntisci”. Chi si perde nel flusso caotico e ristagnante dei pensieri, ricordi o

fantasticherie accelera la sua morte, mentre, chi è attento e presente a sé stesso si

incammina sulla via del risveglio. Cristo più volte ci invita alla vigilanza: “Abbiate

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sempre i fianchi cinti e le lucerne accese” (Lc. XII: 35), e la Sua è una indicazione

che va ben oltre la psicodinamica, il riferimento è di ordine iniziatico. Il buon

Buddha non è da meno quando dice: “L'attenzione è il sentiero che conduce

all'immortalità, la disattenzione è il sentiero della morte”.

8.

Quando un ciclo di civiltà volge verso la fine, è difficile poter giungere a qualcosa

resistendo, contrastando direttamente le forze in moto. La corrente è troppo forte, si

sarebbe travolti. L’essenziale è non lasciarsi impressionare dall’onnipotenza e dal

trionfo apparente delle forze dell’epoca.

Julius Evola – ‘Cavalcare la Tigre’

9.

Il cielo non si è chiuso.

10.

La realtà ordinaria che conosciamo può essere contraddistinta da due fattori: il

movimento e la persistenza nel tempo.

11.

Il portamento di Scandurra è centrato sulla verticale psichica che regge tutta la

persona, eretto e abbandonato insieme, riposante perfettamente in se stesso.

12.

DES CHRISTEN HERZ AUF ROSEN GEHT | WENNS MITTEN UNTERM KREUZE

STEHT. [Il cuore del cristiano riposa sulle rose, quando sta esattamente sotto la

croce] Motto di Martin Lutero.

13.

UNA BREVE RIFLESSIONE SUL MITO E NOSTRO FUOCO SEGRETO

da Galeno68

Annoto questi appunti attingendo alla bisogna, nel fondo pozzo delle consolazioni

di un avvenire ulteriore, che le storie e favole della nostra Tradizione nell’allegoria

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nascondono.

Indizio inequivocabile della consumazione dei tempi, è anche il solo fatto che noi

virtualmente qui ci ritroviamo, ad annotare pensieri altrui misti a personali

riflessioni destinate in massima parte a non essere nemmeno lette per la

scomodità e disumanità intrinseca del supporto di cui ci avvaliamo, che pure, in

definitiva, omologa e livella ogni riflessione a pura aneddotica. Il potere sminuente

della macchina o della sua incapacità consolatoria delle interiori afflizioni umane.

Ma davvero trovo anche utile trascrivere quanto segue: Boccaccio nella sua

Genealogie Deorum, rammenta che allegoria deriva da "allon" = alieno, estraneo,

dove il significato letterale è solo la scorza che riveste più profondi contenuti. Del

pari nell’albero la corteccia…la corteccia, preserva l’interno della pianta, dove nel

suo centro scorre la linfa, il nutrimento utile ad ogni sua parte.

Per esempio, determinate considerazioni che si ricavano da letture o esperienze

sperimentate in prima persona, ma d'altronde la stessa lettura, se intimamente

vissuta, non è forse essa stessa un esperienza dell’anima? Insomma, ciò che

intendo dire è che la mia ossessione preminente, riguarda la sostanza di un canto

inudibile, epperciò astratto, ma che pure per propagarsi e trovare verità,

necessariamente deve rimbalzare sui volumi delle cose: ecco dunque la sostanza,

il valore indicibile dell’ispirazione.

Se diamo ascolto e veridicità alle parole di Omero, Virgilio, Apollonio Rodio e ai

maggiori poeti dell’antichità il cui messaggio s’è propagato fino ai margini estremi

del Rinascimento italiano, (ma si dovrebbe dire Italico) se diamo loro ascolto si

comprende che solo profondamente ispirati noi comunichiamo con gli Dèi. Gli Dèi

accolgono grati i nostri slanci lirici e solo per questi l’Universo realizza la sua più

intima essenza, la misteriosa forza cantata nelle Metamorfosi da Ovidio.

L’ispirazione è proprio quel fuoco segreto che da senso più vero al nostro Atanòr,

perché l’Alchimia e dunque l’Arte e dunque la Poesia, non derivarono dallo

strumento solo materiale dell’intelligenza. Leggevo uno studio del prof. Catinella,

dov’è scritto che Clemente Alessandrino fa derivare la parola Mito dalla greca

Metos che è seme, granello, sicché ogni mito o favola antica reca in sé il seme

occulto, che una volta deposto nelle profondità dell’animo, assieme a questo

genera il Nume che diverremo…sempre ammesso, che saremo capaci di prenderci

cura del virgulto segreto che nel fondo della coscienza lentamente matura.

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Il primo divieto, che i Misteri antichi indicavano all’iniziato, era quello di non porre

fine alla propria esistenza prima che questa, da sola, fosse naturalmente giunta al

termine dei suoi giorni, poiché ogni momento che ci rimane da vivere, è utile a

sviluppare tale segreta essenza che in noi dimora.

Mistero: senso di una cosa superiore all’intelligenza – verità celata sotto finzione –

Mysterium è spiegato dal glossario latino come secretum sacrum. Cristo disse:

molti i chiamati e pochi gli eletti…lo stesso, a Eleusi, assai prima, vigeva il detto

che molti erano i portatori di tirso, ma pochi sarebbero divenuti Baccòi…a

significare dell’estrema difficoltà che intercorre dal momento in cui il seme è

deposto, alla formazione della coscienza numinosa.

Sostanzialmente, i Miti originari della creazione, credo originano dalla necessità di

rivelare l’eminente verità universale attraverso una modalità che lungo il corso dei

millenni non avrebbe alterato il proprio valore e che al contempo, potesse offrire

più chiavi interpretative a secondo della capacità d’intendimento di quanti vi si

accostassero.

Se accettiamo l’idea che prima dell’ultimo diluvio, vi fosse l’esistenza di una Civiltà

evoluta, (ormai le prove vi sono e numerose) questa necessariamente doveva

riferirsi ai medesimi valori d’amore e d’ingegno e, per quanto lo stravolgimento

epocale in quei tempi remoti possa aver sommerso l'ispirazione originaria…penso

agli immensi stravolgimenti cosmici narrati nelle favole di Fetonte o alla stessa

guerra combattuta da Giove contro i Titani…comunque, i semi immortali, una volta

trascorso un periodo indefinito di oscuramento, poterono nuovamente assorbire

quel tepore riposto nell’apparente vuoto cosmico, che ravvivò - ravvivò in sé - come

recondita necessità, un ulteriore significato della vita, un ulteriore avanzamento

della vita stessa al di la di sé, attraverso l’imperscrutabile necessità dell’ispirazione

(avrei dovuto scrivere ISPIRAZIONE) appunto, i Miti…la loro abissale commozione

riecheggiante nella vastità universale, il loro senso appena soffiato o trasportato da

inquieti venti siderali, che in tempi di cui non si può avere nozione, ravvivarono il

seme invisibile che relega l’essere al nulla e che, in un certo senso, è come

deposto nel grembo della Conoscenza. Questo, "il seme dei metalli" degli

alchimisti medievali, il lievito primordiale.

L’estrema complessità di calcoli calendariali cosmici, la profonda struttura della

materia, è adombrata nell’allegoria mitologica, dove nelle alterne vicissitudini dei

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suoi protagonisti divini, nella loro inconoscibile sostanza, la struttura del

messaggio, riguarda essenzialmente la verità di un campo energetico che connette

tutta la realtà universale…non a caso a Dodona, nel tempio arcaico della Dea,

anteriore a quello di Delfi, pendevano dal soffitto un gran numero di campane

bronzee, che significavano proprio il valore di tale realtà diffusiva e intimo legame

del tutto con il tutto, in ogni sua parte…dove una campana il vento muoveva e

cento risuonavano.

Dione-Dodo = Colei che dona, che dona per amore…il più elevato prestigio del

senso mitologico...intimamente congiunta alla figura di Giove (androginia arcaica)

che a Dodona era chiamato Naios – dio delle sorgenti.

Quest’immensità energetica, è contenitore e ponte delle più elevate percezioni

metafisiche. I primi rivelatori della divinità, furono i poeti, che erano sciamani

estatici…i Miti, c’informano della possibilità di interagire con la vastità universale

esclusivamente mediante il linguaggio delle emozioni, per quanto esse siano

temperate sul maglio della ragione. Non per semplice sentimento di vaghezza, il

lirismo è presente nel carattere degli dèi, e che essi nell’uomo lo ricercano e

l’ammirano: poiché attraverso l’ispirazione noi presagiamo l’immortalità.

14.

LA SAGA DI HOLGER

Holger Carlsen era sdraiato sulla spiaggia pietrosa e sparava, sparava, con la

Luger che gli bruciava in mano. Dalla strada piovevano le raffiche dei mitra nemici,

sempre più nutrite, sempre più vicine. Le acque del Sund (Öre Sund: è lo stretto fra

la Danimarca e la Svezia. Sulla sua sponda occidentale, danese, sorge Helsingör,

con il castello di Kronborg, dove Shakespeare ha ambientato il suo Amleto, su

quella orientale la città svedese di Hälsingborg) battevano sulle rocce, indifferenti,

indifferenti brillavano le stelle e, al di là del mare, baluginavano le luci tranquille

della costa svedese. Holger continuava a sparare. Non sapeva se ce l'avrebbe

fatta, non sapeva se i suoi compagni sarebbero riusciti, con lui, a condurre a

termine la missione. Sapeva soltanto che si trattava di un'operazione

importantissima, forse decisiva per le sorti del conflitto: trasportare al di là del Sund,

in Svezia, un personaggio di cui ignorava tutto, identità, professione, scopi.

«Udì un miagolìo di pallottole intorno al capo, l'urlo di un uomo che, colpito al petto,

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tossiva sangue. Holger prese ancora la mira, tornò a sparare. Poi tutto il suo

mondo esplose in una fiammata e fu il buio».

Si svegliò, ed era giorno. Una pallottola lo aveva colpito di striscio al capo, ma non

era più sulla spiaggia. Si alzò nel cuore di una foresta sconosciuta, dagli alberi

immensi, annosi, coperti di muschio. Una foresta vergine in Danimarca? No, non

poteva esistere, come non sarebbe potuto logicamente esistere tutto quanto

doveva scoprire subito dopo: un gigantesco cavallo nero bardato d'argento, una

lancia, una daga, un elmo, un'armatura, una spada e uno scudo. E sullo scudo

spiccavano, in campo d'oro, tre cuori rossi e tre leoni azzurri. Così hanno inizio le

tumultuose peripezie di Holger Carlsen, sbalzato di colpo da un incantesimo dalla

Danimarca occupata dai nazisti, contro cui combatteva, in pieno medioevo, nel

mondo delle saghe carolinge, dove sta scatenandosi un altro tremendo conflitto

che opporrà le forze della Luce a quelle del Caos e del cui esito egli è chiamato

dal destino a decidere, come lo fu, inconsciamente, sulle sponde del Sund. Eventi

che egli aveva creduto vivi soltanto nella sfera delle antiche Chansons de Geste lo

attendono, con personaggi altrettanto fiabeschi: la strega Gert, il nano Hugi, il

viscido Alfric, duca del Mondo Fatato, draghi volanti, unicorni, esseri mostruosi, la

splendida e perfida Fata Morgana, la candida, bellissima Alianora, la Vergine-

Cigno. L'eroe vivrà sino in fondo la sua straordinaria avventura, riuscirà a dare la

vittoria ai buoni ed a rituffarsi nel nostro mondo e nella nostra era, che non è forse

la sua. Vagherà poi, infatti, alla ricerca di testi antichi e di libri modernissimi, di

trattati di magia e di volumi sulle più recenti speculazioni matematiche, sulle

probabilità, sul caso, sulle possibilità alterne. Perché l'amore per la Vergine-Cigno

lo richiama «laggiù».

«Ormai non lo vedo da tempo», conclude l'autore della storia, «e da tempo non ho

sue notizie. Talvolta mi chiedo se sia tornato dalla sua Alianora... e spero che sia

riuscito a farlo».

L'autore è Poul Anderson, la storia s'intitola «Tre cuori e tre leoni»: è una bella,

poetica versione in chiave di fantascienza della saga di Holger Danske, Ogier le

Danois per i francesi, fratello di Alda, la moglie di Orlando. La leggenda vuole che

dorma sotto una delle possenti torri del castello di Kronborg, pronto a ridestarsi ed

a brandire la sua invincibile spada Cortana ogni volta che la Danimarca e la

Francia si trovino in pericolo.

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Leggenda a parte, Anderson sembra aver fatto compiere al nostro eroe un viaggio

nel tempo e si appoggia, per questa sua escursione letteraria, ad alcune teorie

delineate nel finale. Ma è davvero possibile viaggiare nel tempo?

(Peter Kolosimo - Viaggiatori del tempo)

. . .

Darest Sharma 3

Usciti da una specie di sottobosco abbastanza intrigato, si presentò ai nostri occhi

un panorama grandioso. I quattro avamposti di osservazione erano davanti a noi:

pinnacoli altissimi brunati, piantati nel bel mezzo di una vasta tavola pianeggiante

verdeoro, circondata da montagne azzurre. Erano i vertici che formavano un

perfetto quadrato ideale, esteso come dieci campi di calcio (parametro da me usato

spesso). Sulla punta avevano un faro rivolto verso il cielo, si piegavano un po' al

vertice, a mò di ferro di prua della gondola veneziana. Raggiungevano un'altezza

di due chilometri, mi assicurò Scandurra. Gli domandai se erano fari o radar o che

altro.

“Il problema è che Deya non ha limiti”, disse sibillino il maestro e continuò, “la città

assume il dominio di tutto. Ora accucciati dietro questa fratta. Aspettiamoli qui.

Meglio assicurarsi una copertura. Come nella campagna viterbese, potremmo

imbatterci in qualche canaccio randagio. Sai, c'è sempre un bastardo pronto a

mozzicarti”.

Così feci. Mi abbassai il più possibile. Il discorso sul canaccio mi mise in una certa

apprensione, che poi svanì. Quello strano tramonto che durava la notte intera,

rendeva il paesaggio magico come in un quadro di Rembrandt. La temperatura era

mite, sebbene ogni tanto un venticello freddo si faceva sentire dietro le spalle.

Ripensavo alla missione. Scandurra, evidentemente aveva colto qualcosa che mi

rendeva pensieroso, anche se ad intermittenza.

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“Se manovri dentro di te, manovri quello che è fuori di te. La realtà, meglio, la verità

per essere compresa deve essere sperimentata. La parola scritta, la fede senza

esperienza, non salva. Il mondo è in perenne fecondazione. Il mondo è pancia e

cervello. Senti le cose che ti circondano dentro il tuo ventre, se esse invece ti

invadono la mente falle scendere in basso”.

Il mondo è pancia. Le parole di Scandurra avevano una forza speciale, anche

quando mi ripeteva le stesse istruzioni, esse possedevano potenza, profondità. Mi

risuonavano dentro come nuove. Nel frattempo, il maestro come se niente fosse si

accese una sigaretta delle sue, nazionali senza filtro. L'odore caratteristico mi

rammentò la bottega di frutta e verdura di Viterbo. Raccolse una pianticella

dappresso, se la rimirò e recitò una preghiera, un mantra, una parola di

ringraziamento.

“Questa è buona in padella con la frittata. Vediamo se ne troviamo altre”.

Mi misi a cercarle insieme a lui. Non riuscii a trattenere una risata. Stavamo in

attesa degli amici per chissà quale misteriosa e difficile missione su di un pianeta

situato in un altro universo, e il maestro ed io raccoglievamo cicoria. Non c'è che

dire, ogni occasione è buona. Per il maestro, se il corpo è lo specchio del divino, la

bocca è il fornetto del mondo, dove ogni elemento della terra viene trasformato.

Mangiando, o ci innalziamo o cadiamo nella materialità animale. L'alchimista

trasmuta ogni cosa in energia cosmica. Le esperienze scandurriane ci hanno

permesso l'allargamento della coscienza, la consapevolezza che in ogni momento

possiamo trasformare la materia e portarla alla sua luce originaria. Il bene è ciò

che estende la coscienza; il male è ciò che la restringe, la nasconde nella tenebra

della negazione. Così ogni cosa che facciamo diventa rito, mito, simbolo,

immensità. Ogni nostro gesto libero dall'io può cambiare il mondo, risanandolo. Ci

ha insegnato ad utilizzare l'energia degli avi, il lumen. Il morbo che l'Ombra sparge

per l'universo è l'anti-lumen, ci cristallizza, ci restringe, imprigionando il vivente

nelle celle antibiotiche. Scandurra ci dice anche di non personalizzare il lumen,

che altro non ci chiede se non di essere riconosciuto e quindi innalzato. Meditando

– quella consapevolezza cosmica straniera all'io – risuoniamo con l'Universo.

Meditando troviamo le sostanze trasmutatrici, le spolette interdimensionali. Una

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nuova visione, ci permette di interagire col tutto. Meditare per Scandurra, è ritrovare

l'originaria coscienza numinosa, senza divisioni, facendo scaturire dai mondi

interiori il suono-parola, il seme del mondo. Dobbiamo però piantarla di parlare

con noi stessi, di lamentarci. Il suono-parola è preghiera. Così, ogni nostra parola

diventa chimica del cervello, consapevolezza della carne, meditazione appunto.

Scandurra rispecchia un modo ideale di relazionarsi al mondo naturale. Non nel

senso di quei movimenti politici come i Verdi, ma in un senso magico. È un artista,

ma anche scienziato e mistico amante della Natura: ama in modo intenso e intimo,

gli alberi e i fiori, le colline e i fiumi, i venti e i suoni della terra, di cui si prende cura,

che celebra e cerca di preservare la loro magia. Lui, ultimo dei maghi atlantidei,

reincanta il mondo lavorando all'orticello di casa. Riflettevo su quel tipo tutto ricurvo

che palpava il terreno. Viaggiava per dimensioni e, a quanto diceva la bellona, era

un eroe in quell'angolo di cosmo; sapeva cose, possedeva poteri, come pochi ed

era al tempo stesso di una semplicità unica. Mi tornò in mente la questione del

cane bastardo.

“Come facciamo a sentirlo se si avvicina?”

“Se siedi sulla merda, prima o poi puzzerai”, fu la risposta di Scandurra.

“Allora c'è un pericolo effettivo. Ci seguono?”

Scandurra mi fece segno di star zitto. Toccò col palmo della mano sinistra il terreno

vicino ad un arbusto verdeviola. Lo compresse, o almeno così sembrava. Ebbi

come un giramento di testa, vidi le cose intorno a me girarmi velocemente, poi, si

distorsero come uno schermo televisivo quando la valvola disfunziona. Si fece

scuro ma non proprio buio. Una nebbia rossa ci avvolse. Le distanze cambiarono,

perché tutto il paesaggio sembrava più piccolo, in scala. Oppure eravamo diventati

dei giganti. Una manciata di secondi, poi tutto ritornò al suo posto.

“Cos'è successo?”

“Ho dischiuso per un attimo il sottomondo”.

“Cioè?”

“C'è un sopra e un sotto in tutte le cose. Una sbirciatina può tornarci utile. Si stirano

le lenzuola quando si piegano”.

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Rinunciai a chiedere ulteriori delucidazioni, perché un rumore, o meglio, un sibilo

proveniente dal sottobosco dietro di noi si avvicinava. Alzammo la testa e

vedemmo un'astronave gigante, grigiorossa di forma piramidale, passarci sopra a

non più di … insomma un po' più in alto dei pinnacoli. Si fermò proprio sulla nostra

verticale.

“E adesso?”

“Eccoli, così ci risparmiano la faticaccia di ritornare al castello a piedi”.

“Ma chi sono, i cattivi?”

“Non ci amano, però non possiamo pretendere di essere simpatici a tutti? Che

dici?”

Quelli di Darest Sharma ci avevano trovati. Scandurra non sembrava minimamente

preoccupato. Non so se gestisse mirabilmente le emozioni, oppure la questione

proprio non gli faceva né caldo né freddo. Eravamo in missione, me lo ripetevo per

mantenere un minimo di concentrazione.

“Non essergli ostile. È gente strana, ma tu lascia irradiarti dal Lumen. Catturalo,

concentralo e amplificalo, distribuiscilo internamente e espandilo all'esterno. Fa'

questo, solo questo. Vedi, Angelo, ti ho portato a zero per ricostruire dalle tue

stesse macerie. Solo così si innesta il Bagliore. Non c'hai più vibrazioni del ricordo,

memorie ataviche che possano diventar terreno di influenza per gli ostacolatori.

Qui non si tratta di una guerra muscolare, ma magica, si lotta nel sottomondo. È

determinante come sei messo dentro di te”.

Dall'astropiramide partì e ci venne incontro una navicella per prelevarci, o almeno

quella doveva essere la sua funzione. Mi venne istintivo appoggiarmi alla spalla di

Scandurra. Una inquietudine mi prese forte. Ebbi pure timore per il maestro e fu la

prima volta che lo provai.

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giovedì 17 marzo 2011

IUS 36

. . .

1.

[…] l'anima, in complesso, tripartita, fatta di ragione, aggressività e appetizione.

Virtù della ragione è la saggezza; dell'aggressività il coraggio; dell'appetizione la

moderazione; e dell'anima nel suo complesso la giustizia. [...]Quando le cose

vanno in questo modo, la vita diventa giusta.

[…] Anche le costituzioni politiche sorgono in conformità con la tripartizione

dell'anima. Infatti i governanti assomigliano alla ragione, i guerrieri all'aggressività,

e le masse alle appetizioni. Sorge regalità là dove tutto va secondo ragione, e

comandi in assoluto il migliore; dove, invece si segua ragione non disgiunta da

aggressività, e comandi più di uno, si instaura aristocrazia; mentre la forma in cui si

governa sotto la guida delle appetizioni, e gli onori vanno assieme alle cifre di

danaro, ha per nome timocrazia.

("De diis et Mundo" di Salustio, Ed. Adelphi)

2.

Di qualunque cosa si tratti, non la conosciamo. Ma tu conosci i particolari, lo

schema dei circuiti? Non rispondere a voce alta, basta il pensiero, è un sistema più

rapido e il tempo conta... Cerca di ricordare... sì, hai visto gli schemi e i valori...

l’equazione. Tu non li conosci coscientemente, ma essi sono nel tuo subconscio,

credo che potrei farli venire alla luce sottoponendoti a una leggera ipnosi. Accetti di

sottoporti all’esperimento?. (L'ASSURDO UNIVERSO di Fredric Brown)

3.

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Il mondo spirituale, invisibile, non è in qualche luogo lontano, ma ci circonda; e noi

siamo come nel fondo dell’oceano, siamo sommersi nell’oceano di luce, eppure

per la scarsa abitudine, per l’immaturità dell’occhio spirituale non notiamo questo

regno di luce, nemmeno ne sospettiamo la presenza, e soltanto con il cuore

indistintamente percepiamo il carattere generale delle correnti spirituali che si

muovono attorno a noi. Quando il Cristo sanò il cieco dalla nascita, questi

dapprima vide la gente intorno come alberi: tale è il primo delinearsi delle cose

celesti. Ma noi non vediamo gli angeli trascorrenti come alberi e nemmeno come

ombre di ali lontane interposte fra noi e il sole, anche se i più sensitivi talvolta

colgono i battiti possenti di ali angeliche; questi battiti si percepiscono appena,

come il più delicato dei soffi. (Pavel Florenskij)

4.

La filosofia non potrà produrre nessuna immediata modificazione dello stato

attuale del mondo. E questo non vale soltanto per la filosofia, ma anche per tutto

ciò che è mera intrapresa umana. Ormai solo un Dio ci può salvare.

(Martin Heidegger, Ormai solo un dio ci può salvare, Guanda, 1987, p.136)

5.

Non si distruggerà mai il sistema con una rivoluzione diretta, dialettica,

dell’infrastruttura economica o politica. … Non lo si vincerà mai secondo la sua

stessa logica, quella dell’energia, del calcolo, della ragione e della rivoluzione,

quella della storia e del potere,quella di qualsivoglia finalità o controfinalità: a

questo livello la peggiore violenza non ha presa e si rivolge contro se stessa. Non

si vincerà mai il sistema sul piano reale.

Ciò che occorre fare è dunque spostare tutto nella sfera del simbolico, dove la

legge è quella della sfida, della reversione, del rilancio. Tale che alla morte non si

può rispondere che con una morte uguale o superiore. … Se la dominazione

proviene dal fatto che il sistema detiene l’esclusiva del dono senza contro-dono

(dono del lavoro al quale si può rispondere soltanto con la distruzione o il

sacrificio, se non nel consumo che non è che una spirale di più della

dominazione…), allora l’unica soluzione è di ritorcere contro il sistema il principio

stesso del suo potere: l’impossibilità di risposta e di ritorsione. Sfidare il sistema

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con un dono al quale non possa rispondere, se non con la propria morte e il

proprio crollo. Perché nulla, nemmeno il sistema, sfugge all’obbligazione

simbolica, ed è in questa trappola che sta l’unica possibilità della sua catastrofe. …

Bisogna che il sistema stesso si suicidi in risposta alla sfida moltiplicata della morte

e del suicidio.

(Jean Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte)

6.

Forse conservando e restaurando - attività gradita a un numero crescente di adepti

- anche l'anima tornerà a splendere nei suoi colori originari. (Fausto

Gianfranceschi)

7.

LETTERA DI GUSTAV MEYRINK AL SIGNOR OLDRICH NEUBERT

da “La casa dell’Alchimista”, edizioni I libri del Graal

Gustav Meyrink

Al Signor Oldrich Neubert

Smichow-Hrebenka 29

(tel. 492-79)

25/07/1932

Mio caro amico,

ho ritrovato mio figlio e mi sono ricongiunto con lui. Ma questa ricongiunzione è

totalmente differente da come me l’ero rappresentata. Se qualcuno mi avesse

detto, tempo fa, che le cose sarebbero andate così e così, ne sarei stato molto

rattristato, nella mia cecità terrena, pensando che questa fosse una ben modesta

consolazione. Ma in realtà è qualcosa di grandioso, da far sembrare, a chi lo

sperimenta, che debba scoppiare il cuore da un momento all’altro. Non riesco, qui

sulla carta, a metter giù i pensieri con ordine: sono costretto a scrivere senza una

vera coerenza.

Ma voglio mettere per iscritto tutto, anche se alla rinfusa, affinché ti possa giungere

un suggerimento interiore sul modo - uguale o simile - di metterti in contatto con la

tua amata compagna. Non posso affermare che mi sia stato comunicato, dall’aldilà,

con parole cosa dovessi fare, bensì è scesa su di me come una coscienza propria

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che diveniva sempre più desta, una coscienza che ho posseduto da millenni ma

che avevo dimenticato. Dapprima mi destai, nel cuore della notte, e mi parve di

dover bere un bicchier d’acqua. Non avevo affatto sete, eppure era proprio sete,

ma differente da come comunemente la si prova. Bevvi un bicchier d’acqua, ma mi

ci dovetti costringere, poiché non mi piaceva affatto. Allora ne fui d’un tratto

conscio: mio figlio ha sete ed io bevo al suo posto! Così mi fu improvvisamente

chiaro che si stava instaurando nient’altro se non un rapporto con lui! Le particelle

elementari che si distaccano dal suo cadavere e che erano scomparse insieme a

lui quali parti costitutive della vita, esse hanno sete, non è lui ad aver sete! Il

mattino seguente seppi, d’improvviso, che dovevo indossare il suo cappello, così

come nel Golem Pernath si mette il cappello dell’altro. Lo feci pensando: ora sono,

in un certo senso, mio figlio, e lui è me. Al tempo stesso intuii la chiave

fondamentale di cui si ha bisogno per giungere ad un rapporto autentico con i

morti: deve esserci un motivo giusto! La nostra nostalgia umana di rincontrare i

morti e di star in loro compagnia non è sufficientemente pura e altruista perché la

nostra implorazione venga ascoltata; infatti il mondo spirituale esaudisce solo un

desiderio, la cui realizzazione ci sia veramente utile spiritualmente. Perciò tal

motivo deve essere: io devo aiutare il defunto. Non lui deve aiutare me, no, io

voglio e devo aiutare lui. Ma in che modo posso aiutarlo, mi sono domandato

perplesso, non riesco a capire come fare. Non è necessario che tu lo capisca, è

stata la risposta: è sufficiente il tuo puro ed ardente desiderio di aiutare; in verità lui

non ha affatto bisogno del tuo aiuto, eppure tu devi dirigere tali pensieri verso di lui,

pensieri di aiuto, dato che altri pensieri non possono raggiungerlo. Da quel

momento non ho pensato né fatto nient’altro. Il resto è venuto da sé. È

sopraggiunta poi, d’un tratto, una impetuosa ispirazione: implora, con tutto il fervore

possibile, ISIDE, la madre divina, la Madre degli Dèi degli Egizi, della quale si dice

che non è soggetta a legge alcuna, terrena o celeste che sia, che non considera né

torto né ragione. Con il suo amore infrange ogni rigida legge, ogni Karma, ogni

cosa. Allora ho rivolto lo sguardo in direzione dell’Egitto ed ho urlato, dentro di me:

Iside, Madre di ogni cosa, fai un miracolo, un miracolo incomprensibile, per mio

figlio, per mia moglie e mia figlia, la sorella di mio figlio! Non voglio sapere come

sarà questo miracolo, e, anche se ne dovessi venir annichilito, non importa, basta

che Tu lo compia, il miracolo. E il prodigio ha avuto presto inizio, ed è ancora

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lontano dal cessare; continua sempre. Si è riversato d’un tratto su di me un tale

torrente di sapere e di conoscenza inauditi, da non permettermi più di riconoscere

il me stesso ch’ero ieri. È come se l’uomo ch’ero ieri fosse morto e fosse risorto un

uomo nuovo. Il dolore per mio figlio è scomparso, non ne è rimasta traccia. Se

potessi. solo con un gesto della mano, far sì che non fosse avvenuto tutto ciò che è

stato, la caduta sugli sci e tutto il resto, non lo farei, brucerei piuttosto la mano nel

fuoco. Un infinito senso di felicità del quale prima non supponevo che potesse

esistere una cosa del genere. Così stanno le cose: nel corso della vita sulla Terra,

non si è affatto uniti alle persone che si amano! È come se due bottiglie, l’una

piena di un liquido rosso e l’altra, diciamo, di uno blu, stessero accanto, vicine.

Quei due liquidi non potranno mai mischiarsi, ne saranno sempre impediti dal vetro

delle bottiglie che li separano l’uno dall’altro. Solo dopo la morte i due liquidi si

possono unire e diventare così di un colore solo: nel caso dell’esempio (che

naturalmente è solo un esempio scadente), da rosso e blu risulterebbe il viola.

Questo divenir uno, nel mio caso non è necessario che sia qualcosa di continuo,

né lo desidererei, poiché quando viene la nostalgia e noi diventiamo d’improvviso

un essere solo, è molto più beatificante, il sentimento che mio figlio è di là ed io

sono di qua.

Non sono in grado di descriverti con le parole quanto tutto ciò colmi di gioia, ma ti

auguro, di tutto cuore, che tu possa sperimentarlo lo stesso. Ad udire solo vuote

parole, si pensa: ah, è troppo poco. Se però lo si sperimenta, ci si accorge di

quanto sino a quel momento si fosse stati ciechi, sordi e muti.

Anche il mondo esteriore sembra mutato, è come se lo vedessi d’un tratto per la

prima volta. Ogni foglia, ogni albero e ogni animale mi appaiono nuovi. È come se,

d’improvviso, io stesso fossi fresco e giovane come un fanciullo e contemplassi la

natura con gli occhi di un bimbo felice. Si dimentica, con il passare degli anni,

come si è visto il mondo da bambini e come si è gioito a giocare e a rallegrarsi.

Sono veramente stupito di come tutto ciò è ritornato dagli anni dell’infanzia. Ho

dimenticato, poi, di dire che quando iniziai a mettere il cappello di mio figlio - per

stabilire, in un certo senso, un contatto magnetico - mi immaginavo sempre,

quando mangiavo o bevevo o fumavo: lui, - mio figlio, - mangia e beve adesso con

la mia bocca, io gli presto la bocca, gli occhi, il corpo e così via.

Mi è accaduto talvolta, in modo affatto straordinario, di aver d’improvviso desiderio

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di bevande o di cibi che personalmente non mi piacciono. Mi rammentavo, allora,

che a mio figlio, quand’era vivo, piacevano particolarmente. È singolare anche che

nella notte del 12 luglio, nella notte in cui mio figlio si è ucciso, mi abbandonarono

d’un tratto gli atroci dolori tra le spalle che sino a quel momento mi avevano

tormentato ininterrottamente per oltre un mese; mi destai al mattino quasi

completamente guarito! Mentre era ancora in clinica mio figlio soffrì orrendamente

degli stessi dolori nello stesso punto. Allora gli presi la mano e mi concentrai allo

scopo di farli cessare. Poco dopo gli erano passati ed erano venuti a me al suo

posto. Più tardi, quando era già morto ed io cercavo un contatto con lui mi colpì la

riflessione: questo ricongiungermi con lui è un processo analogo a quello della

cosiddetta trasfigurazione medianica, solo che è molto superiore. In quanto la

trasfigurazione medianica fa prendere al medium per alcuni momenti persino la

forma corporea del defunto, ma senza che ci sia coscienza di quanto si fa, essendo

in stato di trance, mentre io mi trasformavo interiormente in mio figlio, restando

desto e cosciente e raggiungendo ogni volta una perfezione sempre maggiore. So

che sarà sempre più bello e in un modo in cui oggi non sono in grado naturalmente

di farmi immagine alcuna. Io penso quindi che tu dovresti fare, con tua moglie,

analogamente a come io ho fatto con mio figlio. Rivolgi il tuo amore e la tua

speranza alla Madre Universale Iside, e Lei ti aiuterà. Tua moglie era l’amore e la

bontà personificate; è quindi una brava figlia di Iside e la Madre Iside verrà in

soccorso, in qualche modo incomprensibile, tuo e di sua figlia. In un modo

inconcepibile, del quale non ti devi fare alcuna immagine, dato che l’avvenimento

è molto al di là di ciò che un uomo è in grado di immaginare. Soprattutto ti deve

spingere il desiderio: devi aiutare tua moglie, anche se lei non ne ha affatto

bisogno. In questo modo tu ti avvicini a lei, anche se non spazialmente. In realtà,

non esiste né uno spazio né una distanza, queste sono solo suggestioni e cecità

terrene. I defunti sono proprio qui, dove siamo noi, sono soltanto le loro oscillazioni

che sono differenti dalle nostre a farci credere di essere separati da loro

spazialmente. Se le oscillazioni diventano uguali allora ci ricongiungiamo a loro. In

mia figlia, - sebbene io non abbia parlato con lei a proposito di mio figlio - si è già

manifestata la stessa mia condizione. Ieri sera mi ha detto: Non so che mi è

accaduto, da un momento all’altro, mi sento d’improvviso così infinitamente felice,

come non mi era mai capitato in tutta la mia vita. Non provo più sofferenza per lui e

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sono così lieta che sia morto... ho terrore di me stessa, che la cosa suona come

una mostruosa mancanza di sensibilità. Era presente mio genero che impallidì di

orrore: temeva naturalmente che mia figlia fosse impazzita. Mi venne di pensare a

quel passo del Golem, in cui il Rabbino Hillel ride lentamente sulla morte della sua

amata sposa e al brano dello spostamento dei lumi in Lazarus Eidotter nella Faccia

Verde. Mi chiedo soltanto: come potevo allora, quando ho scritto questi due

romanzi, sapere che esiste qualcosa del genere?

Si deve sempre aver davanti agli occhi questo: la vita sulla Terra è come una

condanna alla reclusione: e invece di rallegrarsi di cuore quando uno vien fuori di

prigione e ritorna alla libertà di cui si era nel frattempo del tutto dimenticato, si

piange e ci si dispera. L’uomo si è proprio del tutto rovesciato? Quel che ho vissuto

è naturalmente ancora ben poco in confronto a ciò che seguirà, ne sono certo. Stai

tranquillo, mio caro amico, ti scriverò subito non appena avrò qualcosa con cui

poterti aiutare e star vicino.

Ti auguro di tutto cuore di essere al più presto felice come sono io!

Per quel che riguarda mia moglie il miracolo è imminente. Va detto che sino ad ora

lei è rimasta calma, ma la cosa grande deve ancora aver luogo. Ho l’impressione

che in lei sarà qualcosa di affatto speciale.

Tuo

Gustav Meyrink

8.

Viva è ancora nella memoria, come certi incubi della fanciullezza, l'impressione

della mia prima visita al tempio di Kali a Calcutta. S'entrava per sdruccioli angusti e

lerci in uno spazio, non molto capace, pavimentato con lastre di pietra logore e mal

connesse: nel centro, legato ad un palo, un caprone presagiva, lamentando, il

sacrificio imminente: sparso intorno nereggiava ed imputridiva al sole il sangue

delle vittime che lo avevano preceduto. Sullo sfondo, la cappella, costruita sopra

un basamento massiccio, spalancava la bocca della porta alta e stretta alla quale

conducevano pochi gradini di pietra: pellegrini e fedeli salivano raccolti, si

prostravano di fronte all'immagine che s'intravedeva nella cella e quindi, tenendo

per devozione alla propria destra l'edificio, scendevano frettolosi per la scala del

lato opposto. Mi insinuai anche io tra la folla e l'alito delle bocche contaminava la

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mia faccia e le carni nude e sudate s'appiccicavano ai miei vestiti; quasi trascinato

da quel gorgo mi trovai sulla soglia della cappella. Entrare chi non fosse brahmino

non poteva. Soffermatomi sul limitare scorsi la mole nera dell'immagine prendere a

poco a poco precisione di contorni, a mano a mano che l'occhio si abituava

all'oscurità: protesa dalla bocca enorme e zannuta, la lingua triangolare lambiva il

sangue sugli squarci di un cadavere che la dea serrava nella stretta delle mani

adunche: ma le braccia non erano soltanto due: altre ancora apparivano sulle

spalle potenti e tutte brandivano strumenti di morte.

(Giuseppe Tucci, Il paese delle donne dai molti mariti - Neri Pozza - Il cammello

battriano 2005)

9.

Chi vuole osservare gli uccelli non li deve inseguire; deve appostarsi rimanendo

cortesemente in silenzio. Allora si avvicinano spontaneamente. con questa

intenzione mi sono scelto un terreno pieno di mandorli in fiore, circondato da un

boschetto di acacie. Dal piumaggio bipennato del fogliame svettava una pallida

nidiata di lunghissimi aculei. E' un paradiso per le averle e gli uccelli di macchia e

di nido. Altre specie volatili sfrecciavano tra le chiome degli alberi. Mentre, seduto

como su una pietra in pieno sole, seguivo lo spettacolo, vidi passare lì vicino un

gregge di pecore. I campanelli tintinnavano; polvere sospinta dal vento veniva dal

pendio già arido. Le bestie avevano strette e come intagliate le teste, e le loro

orecchie pendenti le coprivano in parte come mantelline. A capo del gregge

procedeva il montone conle corna scanalate e ritorte. Il pastore gli aveva legato sul

davanti un grembiule di pelle, per impedirgli di montare le pecore. Era

un'immagine primordiale, quella delle bestie che passavano oltre accalcandosi,

scampanellanti sulle loro esili zampe. Seguiva una pecora che doveva avere

appena partorito, poiché l'agnellino che essa conduceva non era in grado di tenere

il passo. Era ancora roseo, forse appena nato, e si stringeva addosso alla madre

per avvertirne la presenza quando la toccava con la minuscola coda. Così si

sentiva al sicuro. Di tanto in tanto la madre si fermava e con la testa lo spingeva

accostandolo a sé, stretto al suo corpo. Un quadretto commovente - si, ma anche di

potente forza. Qui si rivela ciò che lega gli atomi e tiene uniti il sole, la luna e i

pianeti. Come cantava lontano, il pastore, mentre passava oltre con il gregge!

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Questa è autentica, perenne potenza, e un giorno il pastore sospingerà il gregge

anche sulle nostre città.

(Ernst Junger, Il Contemplatore Solitario.)

. . .

Darest Sharma 4

La navicella aveva forma di conchiglia, grigiastra e grossa come un furgone.

Atterrò di fronte a noi e un portellone si aprì senza rumore. Una ventata di vapore ci

investì, una rampa a scala mobile si allungò verso la nostra direzione, a pochi

centimetri. Fummo prelevati e fatti sedere su poltroncine strette. L'abitacolo era

spartano, non c'erano luci o altro che facesse intendere la presenza di una qualche

strumentazione. Due piloti muniti di casco integrale riportarono la navetta verso

quella 'madre', come? non lo compresi. L'astronave mi apparve immensa vista da

vicino. La piramide volante ci inghiottì da un portale che si era aperto nel frattempo,

posto sotto la base. Una specie di hangar gigante ci accolse. Vi erano

parcheggiate altre navette-conchiglia. Atterrati, si riaprì lo sportellone e un pilota ci

indicò di uscire con un gesto universale fatto con la mano. Mettemmo piede a

bordo e la sensazione fu non proprio di curiosità. Scandurra con gesto automatico

si accese una 'nazionale'. Per lui, ogni situazione sembrava avere la stessa

intensità, cioè bassa. Gli chiesi cosa poteva capitarci.

- Al peggio ci scannano e ci danno in pasto a qualche bestiaccia mezzo umana.

Ma vedrai che cercheranno prima di negoziare. Quello che vogliono fare non

servirà né a loro né a noi. A me stanno a cuore i destini di tanta gente che sulla

terra schiatta per un basso salario... e non viene mai informata su niente.

- Adesso mi fai il comunista...

- Macché, il movimento è fallito. Io in quanto fruttarolo sono per il capitalismo

spinto... eh eh eh. Se la montagna di bugie cadesse addosso ai bugiardi, il popolo

finalmente vedrebbe un po' di luce. Chissà un giorno che non ci riesca di rompere

le scatole ai potenti della terra.

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L'aria che si respirava era piena di gas e vapori. Gli occhi mi lacrimarono e

cominciai a tossire.

- Poi mi rompi sempre col fumo... entri dentro una nave che vola e aspiri le peggiori

cose dell'universo. Ma dai, una sigaretta non ha mai ucciso nessuno.

- Se continui a fumare le nazionali, la fine è assicurata.

- Io sono nazionalista. Bisogna aiutare il monopolio, così le tasse le useranno per

fare più ospedali, scuole, bus, strade. Finanzio lo stato.

Il maestro mi sfotteva sempre. Mi chiamava 'socera' per i miei continui appunti.

Ovviamente inascoltati. Aspettammo che qualcuno si facesse vedere. Lì, era

freddino e in penombra. Stavo riacquistando fiducia nel maestro. Niente di brutto

poteva capitarci. Scandurra non voleva che nutrissi sentimenti ostili, con nessuno.

Era difficile, ma era la cosa giusta da fare. A poche decine di metri, un soldato o

comunque un tizio in divisa spuntò non so da dove verso di noi. Aveva le scarpe

gommate evidentemente, non faceva il minimo rumore. Alto non più di me (175cm)

ci si piazzò davanti. Divisa grigionera, portava in testa un basco dello stesso

colore. Carnagione chiara e capelli biondi, non mostrava alcuna emozione.

Sembrava un nazi. Ci indicò con un cenno della testa di seguirlo. Ci

incamminammo in fila indiana, dietro di lui. Aveva un doppio auricolare, di quelli da

noi usati per ascoltare le radioline senza disturbare il prossimo. In questo caso

però, parlottava con qualcuno di là dal filo, senza l'ausilio di un microfono. Mi parve

curiosa la cosa. [E pensare che crediamo noi di aver inventato la tecnologia!] Ad un

certo punto il milite si fermò di colpo e questo mi fece 'storzare' (scattare

d'improvviso). Non aveva emesso un suono, evidentemente queste erano le sue

consegne. Ciò rendeva surreale la cosa, almeno per me. Un sogno, meglio, un

incubo di quelli veridici, lo stavo vivendo, senza comprendere in realtà cosa ci

aspettava e perché volevano parlarci. Scandurra mi toccò la spalla,

improvvisamente. Un pizzicorio si espanse dappertutto, fino ai piedi, facendomi

sentire elettrico.

Ci trovammo sprofondati in un magazzino enorme, quadrangolare, dal soffitto alto

e di metallo scuro, illuminato fiocamente da una fonte invisibile, giallastra.

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Assomigliava ad una autorimessa militare, ma non c'erano veicoli, bensì scatole

giganti di ferro accatastate. L'odore era quello tipico di un magazzino, o quasi.

Scandurra ancora una volta mi aveva fatto passare da qualche botola transitoria, di

quelle che conosceva solo lui. Ebbi problemi di respirazione; mi mancava

l'ossigeno; il maestro mi fece il verso di mettere 'a beccuccio' le labbra per

assumere aria sottile, alla maniera di certe pratiche psicofisiche tratte dalle sue

materie oscure.

- Giriamo come uno stornavello [gergale: uccellino particolarmente esagitato e

girandolone]. Gli si intrecceranno gli occhi a quelli di Sharma. Ma di solito a me

piace scegliermi da solo ora data e luogo dell'appuntamento. Ora manderanno

tutta una truppa a cercarci per l'astronave. E quando ci pizzicano?

- Perché allora siamo saliti? Potevamo andarcene con comodo e sarebbero rimasti

a bocca asciutta. Non ci capisco niente.

- Quando si negozia, bisogna avere qualcosa da scambiare. Adesso ci andiamo a

prendere il fusibilone da cui traggono la 'brumba' [energia] per viaggiare. Vedrai. Il

gran capo dovrà cedere qualcosa. Quella merda di morbo nero che stanno

seminando in questo universo e che arriverà pure al nostro, andrà spazzata via.

Che dici? Tanto se ci riusciremo, non ci daranno né medaglie né premi. Io rimarrò

un fruttarolo senza un conto in banca e tu diventerai come me. Sai che culo?

Scandurra con semplici parole descriveva cose dell'altro mondo. Avventure

fantastiche e viaggi tra universi e mondi, sembravano scaramucce tra bande di

quartiere. Per lui l'incredibile era la vita stessa. Il quotidiano era lo straordinario. E

tutto senza superbia, né un pizzico di presunzione. Un santo? No, un uomo che

aiutava il prossimo senza pretendere nulla in cambio. Amava senza possedere. In

quei frangenti lo osservavo intensamente. Volevo bene a quell'uomo. A me e ad

altri aveva donato cose preziose, uniche, senza prezzo, con la stessa semplicità

con cui si regala un fiore di campo.

- Ora aspettami. Faccio un giretto e ritorno con la spoletta. Così li teniamo per le

palle.

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Si allontanò con quella sua andatura caracollante, i piedi divergenti. Con una

velocità e agilità insospettate, zigzagò tra pacchi, assi, sbarre e raggiunse una

porta lì vicino e vi sparì dentro. Poi, trovandomi da solo, mi venne in mente che

forse eravamo controllati da qualche televisione a circuito chiuso. Poi, pensai che

Scandurra aveva sicuramente provveduto a neutralizzare qualsiasi occhio

malevolo. Passarono alcuni minuti – tempo di Deya – ed eccolo rispuntare da dove

era partito. Si avvicinò velocemente e mi mostrò una cosa che somigliava ad un

fusibile, solo grande come una bottiglia, che conteneva una luce scoppiettante,

azzurrina, densissima. O meglio, quella luce si trovava al centro del fusibile, come

sospesa.

- Ecco l'arnese che li fa spostare. È una spoletta di quelle gagliarde, è spettacolare.

Viaggiano in questo universo, ma quando gli pare possono attraversare la botola

per fare una visitina al nostro. Insomma, un bel congegno adatto per muoversi con

mezzi di grandi dimensioni. Sai che forza sulla mia 500. Ma poi, il solito vigile

cornuto me la sequestrerebbe perché non omologata. Che ci vuoi fare. Non

conoscono le nuove frontiere della tecnica. L'autorità è sempre retromane

[retrograda, forse voleva dire].

Gli chiesi se quello che aveva in mano fosse il sistema propulsivo dei dischi

volanti.

- Non è una propulsione. È una chiave per scivolare nello spazio attraverso le

botole e per attraversare gli universi. Con questa apri e poi chiudi la porta. È una

spoletta prevista per cosmonavi e pianeti artificiali. Gli ingegneri cosmici c'avevano

una bella capoccia, cosa credi?

Caspita! Avevo a portata di mano il segreto degli u.f.o. . Però, come ogni segreto

che si rispetti me lo dovevo tenere per me. Non poterlo gridare ai quattro venti che

non siamo soli nell'universo; che c'è il modo di passare tra le dimensioni; che

vivono miriadi di altre civiltà sparse un po' ovunque; ecco, sapere, vedere, vivere

queste realtà e mantenere il riserbo. Una bella fregatura.

- Maestro, potrò mai raccontare quanto sto vivendo? Potrò mai dimostrare che

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esiste il metodo per viaggiare tra gli universi senza spostarsi?

- Alla vigilia del grande Varco, racconterai tutto o in parte quello che sarà

necessario far sapere. Il problema riguarda l'effetto provocato da quello che farai.

All'inizio, vedrai, ti crederanno in pochi, quelli giusti. Poi, qualche figlio di buona

donna, sospetterà che dietro le tue rivelazioni mirabolanti c'è dell'arrosto ed è

allora che cominceranno le rogne. E di quelle grosse. Ma il grande segreto non è

nella spoletta interdimensionale, nei vascelli fantasma che schizzano da nord a

sud, no, la cosa più preziosa è il lumen. È quello che hai dentro di te e che fa

muovere tutto. Nessuno te lo potrà mai rubare... a meno che tu non lo voglia.

- Mi spaventa comunque. È un compito rognosissimo. Da un lato, lo sai, vorrei tanto

che quanto ho ricevuto gratis sia donato a tutti. Ma non sono uno sciocco. So bene

che certi poteri non possono essere trasmessi senza criterio. Tuttavia mi spaventa.

Ho un fardello pesante e anche se fra trenta anni dovessi essere gagliardo e tosto

come dici sempre tu, mi troverei a dover giustificare, spiegare, esporre cose

scottanti. Ai fetenti al potere, tutto questo roderà.

Scandurra ondeggiò la testa e fece un ghigno dei suoi, come a dire: l'hai voluta la

bicicletta... Poi giocherellò – almeno così mi sembrava - con la spoletta gigante,

muovendola avanti e indietro ritmicamente per un numero determinato di volte, fino

a quando emise un fascio di luce blu che avvertii come vibrazione all'altezza del

plesso solare. Mi prese uno sturbo. Quella cosa rispondeva alle sollecitazioni di

Scandurra, che contraccambiò. Dalla sua pancia fuoriuscì un budello di luce

azzurrina – lo vedevo distintamente - che si congiunse con quello proveniente

dalla spoletta. I due raggi si fusero per poi estinguersi velocemente. L'aria vibrò.

Non avevo le traveggole. Scandurra era in contatto con il cosmo e vibrava con le

potenze operanti.

- Ora, caro Angelo, riporto al suo posto la spolettona. Mi obbedirà come un

cagnolino. Poi andremo dal maestro dell'Ombra. Attento solo di una cosa: lui ti

legge dentro fino alle frattaglie. Sarai di fronte a lui come in un cacatoio pubblico

senza porta.

. . .

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USCITA DAL TEMPO

Voglio fare di questo racconto qualche cosa di più. E questo qualche cosa di più è

un'altra uscita fuori del tempo. Le Cronache di Atlantide si svolgono nelle tre

dimensioni che formano o deformano il nostro concetto del tempo: passato,

presente e futuro. Dalla scomparsa del continente atlantideo – e relativo

incurvamento nel muro del Tempo - arriviamo al passato storico in pieno medioevo

templare, fino al '900, dove si allinea e riafferma un vettore di potenza, collegato ai

punti di contatto interdimensionali cosmici. Il secolo scorso ha visto assottigliarsi il

canale temporale, tanto da presentare una sfida inaudita per l'umanità: andare

avanti o scivolare indietro? Avvicinarsi al Varco 2012 o ritornare alla sorgente

maledetta? Se dal punto di vista esoterico ci si convince che il tempo in cui ci

troviamo è la fine di un ciclo, e che niente possiamo contro di lui, nessuna

ribellione è efficace, perché comunque dovremo arrivare fino in fondo al Kali Yuga,

perché scrivere, perché sopravvivere? In alcuni potrebbe subentrare un

pessimismo distruttore, quasi una conclusione logica di fronte alla fine. La

maggioranza diciamo 'realista', non avrebbe nessun sentore di trovarsi ai margini

dell'Apocalisse, potrebbe così incorrere in un risveglio altrettanto distruttore. La

prospettiva del disastro è lo stesso nascosta nell'anima di ogni uomo ed è bene

ricordarlo, non si sfugge. E allora? Colui che sa, che ha coscienza della fine, è

altrettanto consapevole dell'entrata in un nuovo ciclo e diventa un preparatore del

tempo nuovo. Non invito nessuno a seguirmi. Non sono né un politico né un

ideologo. Ho la convinzione però che in epoche agoniche come la nostra, sento

forte il dovere di scuotere le coscienze, di svegliarle dal loro sonno tecnico-

ottimista, di provocare una rottura nell'omogeneità, nel pensiero unico. Intanto

preparo l'accampamento.

SULL'ORLO DEL MONDO

Certo, la scadenza epocale che vede la sua apoteosi nel Varco, mi induce a

pensare in grande, ai destini dei singoli e dei popoli. Il termine di una fase, di un

ciclo della storia dell'umanità, non può concepirsi con le categorie della ragione. Ci

troviamo sull'orlo del mondo, dopo millenni di cammino, dopo spinte e

controspinte, nudi, senza soverchie possibilità di interferire sul nostro destino. Ai

confini dell'Apocalisse ci attende il venir meno di sogno e realtà, divisione e unità,

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e tutto ciò ci sarà imposto. La salvezza – ci insegna il maestro - è situata

nell'energia che scaturisce dall'unione dei contrari. Ma la negazione dell'Ombra si

frappone tra i contrari e impedisce il loro matrimonio. La separazione li rende

infetti. Redimere gli opposti, è il lavoro da fare. È alchimia. Il piano è chiaro e

lineare. Contrastare la diffusione del morbo nero e prepararsi ad accogliere gli

esuli, secondo una previsione di Scandurra:

L'ONDA-LUCE CHE GOVERNA LE COSE COMINCERÀ A INDEBOLIRSI GIÀ

DALLA FINE DEL MILLENNIO, COSÌ COME IL GRANDE TEMPO ESAURIRÀ IL

SUO FIUME DI ENERGIA. A QUESTO PUNTO, GLI URANIDI DISCENDERANNO

SULLE ROVINE DELLO SPENTO UNIVERSO PER RIPORTARE L'ORDINE. MA

NON SARANNO BEN ACCOLTI. GLI EMISSARI DELL'OMBRA AVRANNO

ASSORBITO QUASI TUTTA LA LUCE E I POCHI UOMINI RIMASTI INDENNI,

DOVRANNO ASSUMERSI IL COMPITO DI ORGANIZZARE LA RESISTENZA.

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lunedì 18 aprile 2011

IUS 37

Aprèslude

di Gottfried Benn

"Devi saperti immergere, devi imparare,

un giorno è gioia e un altro giorno obbrobrio,

non desistere, andartene non puoi

quando è mancata all’ora la sua luce.

Durare, aspettare, ora giú a fondo,

ora sommerso ed ora ammutolito,

strana legge, non sono faville,

non soltanto – guardati attorno:

la natura vuoi fare le sue ciliegie,

anche con pochi bocci in aprile

le sue merci di frutta le conserva

tacitamente fino agli anni buoni.

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Nessuno sa dove si nutron le gemme,

nessuno sa se mai la corolla fiorisca -

durare, aspettare, concedersi,

oscurarsi, invecchiare, aprèslude."

Darest Sharma 5

Esistono mondi e territori segreti di cui si parla solo a bassa voce...

Il maestro dell'Ombra? Chi era? Cosa rappresentava? Scandurra con una certa

fretta, insolita per lui, tornò e mi fece accovacciare e si produsse nel suo numero

più spettacolare sebbene più misterioso, quello del passaggio attraverso la botola

transitoria. Non capivo proprio come diavolo facesse a trovarle dappertutto, eppure

riusciva ad alzare un lembo di tessuto cosmico per ogni occasione e necessità.

Come aprire un chiusino. Semplicemente.

Ci trovammo presso un condotto quadrato, basso e lungo e fievolmente illuminato

da quella luce giallognola, che evidentemente era la fonte presente ovunque.

Bisognava camminarci strisciando. Lui era silenzioso e malgrado indossasse quel

pesante cappottone, filava liscio che era una bellezza. Io un po ' meno, ma mi

arrangiavo. Il condotto girava verso destra e così ci trovammo poco dopo, davanti

ad una porta di servizio, metallica e senza maniglia né serratura.

- Ora ci vuole attenzione, Angelo. Entreremo nello stanzone del loro maestro.

Occhio. Ricordati quello che ti dico sempre. Manda il lumen. Si deve

spandere come l'olio quando non sta più dentro la bottiglia e niente e

nessuno potrà invitarsi da solo.

Mi sembrò pure troppo facile l'operazione. Scandurra toccò la porta e questa si aprì

con uno scatto. Entrammo in quello che secondo il maestro doveva essere lo '

stanzone ', in realtà ci trovavamo in una sala circolare, del diametro di almeno

35/40metri, con al centro una colonna trasparente che collegava il soffitto col

pavimento, per una altezza di almeno 6metri. Dentro il cilindro fluttuava uno

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psicofluido [ sostanze psi che rispondono ad interferenze umane ] ovale di luce

azzurra. Non c 'era nessuno oltre a noi. Guardai il mio maestro con espressione

interrogativa. Lui mi fece cenno con la mano di attendere paziente. Infatti, poco

dopo, dalla parte opposta ecco apparire un montacarichi dal quale uscirono un

manipolo di 6 soldati, che con passo marziale si diressero verso di noi

attraversando quel grande spazio a pianta circolare, il quartier generale secondo

Scandurra. Furono su di noi in poco tempo e ci circondarono. Dalla medesima

porta entrò colui che in seguito rappresentò per il sottoscritto, l'archetipo del

maestro oscuro. Presenza e incubo degli anni a venire...

. . .

Non posso continuare il racconto dell'incontro con l'Ombra in persona, senza prima

cimentarmi in una riflessione. Questo perché vediamo ciò che conosciamo e più

ampliamo lo spettro della nostra consapevolezza, più ricordiamo. Scandurra ci

esortava: abbiate il coraggio di conoscere per assaggiare! Ecco, dovevamo partire

da questo approccio solo apparentemente formale. In realtà, Scandurra ci metteva

in guardia su di un aspetto fondamentale del cammino che rischiava di essere

sottovalutato: quando vi si apriranno i rubinetti mentali, scorrerà tanta di quella

acqua da inondare il mondo intero. La corrente sarà così forte da travolgervi. Allora

non vi potrete permettere di aver paura. Infatti, il maestro non si lamentava tanto

per la mancanza di allievi; pochi erano quelli veramente coraggiosi che

rimanevano. Non insegnava solo un metodo o un modo di pensare. Le materie

oscure erano l'oggetto del conoscere e del suo insegnamento. Poi, ognuno di noi

le digeriva come poteva e ne aveva subito contezza quando entrava in pista.

Scandurra non ha mai anteposto la teoria alla pratica. Mentre sperimentavamo ci

faceva capire cosa stavamo facendo, quali dinamiche, energie, leggi erano in

gioco. Le potevamo sentire e mentre esse ci attraversavano le facevamo nostre,

erano parte di noi. Per raggiungere questi livelli, era imperativo tirar fuori ogni

oncia di coraggio, allontanare ogni titubanza, eludere i fantasmi della nostra

memoria bio-storica che lungo il cammino avremmo incontrati. Passando

attraverso una botola, durante un IVI (Immersione Varchi Interdimensionali) ci

giocavamo veramente tutto. Potevamo uscirne malconci o addirittura fulminati;

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lasciarci qualche pezzo di ciccia; subire un 'amnesia parziale o un 'inversione di

attese cinetiche permanente. Quindi, non era un giro di giostra e non tutte le pance

tenevano il botto. Le mie Cronache, nella loro forma romanzata, potrebbero

ingenerare la convinzione di una automatica vittoria delle forze benigne su quelle

maligne. La contrapposizione tra potenze creative e ostacolatrici, deve sempre

tener conto della dinamica degli opposti, dell'effetto bilancia. Non è sempre

immediata la lettura delle cose e della realtà. A volte una resistenza alle nostre

azioni, non è per questo motivo totalmente negativa; potrebbe ritardare un evento

tragico così da permetterci una via di fuga. O ancora, da ostacolo divenire prova da

superare.

Beh, sulla questione del coraggio dipendeva l'intera avventura dell'anonima talenti.

Le nostre storie personali diventavano decisive. Come eravamo, la cultura

acquisita, l'educazione, la fede, rappresentavano il terreno di scontro, freno o

accelerazione della trasformazione. Questione di energia: ognuno aveva la sua,

unica, caratteristica, riconoscibile. Se deficitaria, incompleta, limitata, per cambiarla

bisognava fare un doppio, un triplo salto mortale. Rovesciarci, strammazzando al

suolo ogni volta che la nostra energia personale si scontrava con le prove che

Scandurra ci faceva affrontare. Capimmo poco dopo che era questione di ''pancia''.

Se riuscivamo a controllare quel calore febbrile che sentivamo dentro e a

neutralizzare quel brivido che inchiodava lungo la schiena ogni nostra reazione

vitale, tutto diventava facile. Come? Sostituendo la paura tradotta in anti-energia

col lumen, l'energia della luce allo stato puro. Immettendo in una stanza oscura la

luce rischiarante, avremmo avuto la meglio su qualsiasi fronte ostile.

. . .

Malgrado fosse ancora lontano, appariva alto. Caspita! La forma era umana,

segaligna, camminava lentamente come se avesse difficoltà fisiche. Indossava una

specie di argentea vestaglia lunga fino a nascondergli i piedi. Ci mise quasi un

minuto per raggiungerci. Il volto era quello di una persona malata, scavata dalla

sofferenza. I tratti del viso erano duri ma non perversi. Glabro, aveva occhi come

fessure che non voleva o poteva aprire di più. In una lingua a me sconosciuta e

indistinguibile si rivolse a Scandurra. La voce era sibilante e frammezzata da

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pause asmatiche. Sembrava avere 60anni. Il mio maestro gli rispose in italiano:

- Non è un dispetto quello di fregarti la spoletta. Mi prendo un minimo vantaggio

che poi sai bene, perderò. Vorrei solo che capissi quanto casino fai immettendo

quel morbo nero anche nel mio mondo. Non riusciresti più a governare i piani. Mi

son dovuto muovere per impedire che qualche fesso dei tuoi, si pappasse il mio

amico. Ma li tieni a stecchetta per dieta o non c'hai più una lira?

Accennò ad un sorriso l'Ombra. Loro due avevano un rapporto strano, come se si

conoscessero da millenni per giocare una partita a scacchi mai conclusa, senza

che nessuno avesse però voglia di terminare il gioco. Ma non era un gioco. Poi,

lentamente si diressero verso il montacarichi. Li seguii circondato dalle guardie.

Chissà cosa mi credevo. Avevo immaginato botte da orbi, ma evidentemente lo

scontro se c'era, non faceva rumore.

Quello che avevo definito un montacarichi, era un cubo trasparente di una qualche

sostanza tipo plexiglass, 6m per 6m, che si spostava volando nello spazio interno

dell'astronave piramidale. Vidi tutta una serie di piani, terrazze immense, hangars,

costruzioni sferiche sovrapposte e torri altissime; e un via vai di altri cubi

svolazzanti che sembravano guidati da pazzi piloti ubriachi, tanto saettavano

veloci, e malgrado questo si sfioravano senza mai toccarsi. Non sentivo il

movimento dentro quel taxi alieno. A dirla tutta, non capivo nemmeno chi lo

guidasse. Ero abbastanza vicino all'Ombra per avvertirne l'odore – metallico – e

scrutare la sua lunga tunica d'argento riempita di una miriade di segmenti, rette,

cerchi piccolissimi, simboli, ma la cosa più incredibile era che si muovevano come

se stessero dentro uno schermo televisivo. Guardare quello strano essere di un

altro universo, temutissimo da tutti, insieme a Scandurra, era veramente

spiazzante. Il mio maestro si esprimeva in viterbese e il bello era che l'Ombra

dimostrava di capirlo perfettamente, sebbene continuasse ad interloquire con il suo

idioma alieno. Agganciammo una sede cubica che dava su di un altro tunnel. Vi

entrammo e dopo una ventina di passi, una guardia che ci precedeva aprì un

portone. Uscimmo all'aperto. Ci trovavamo nel bel mezzo della piazza d'armi

interna del castello di Darest Sharma. Era mattina presto, l'aria frizzantina ben si

gemellava col cielo terso; un brivido freddo mi gelò il sangue.

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lunedì 23 maggio 2011

IUS 38

Le mura apparivano più alte di come le ricordassi. Il senso di impotenza nel

trovarmi lì, fu forte. Non avrei dovuto provarlo, eppure mi sentii fragile in quel

contesto così immenso, alieno, dove camminavamo a fianco di una potenza oscura

inimmaginabile. Non capivo. Era considerato il nemico di quell'universo, un

pericolo per tutti gli abitanti di Deya. Il nostro più temibile avversario. Invece che

succedeva? Scandurra dialogava e scherzava tranquillamente con lui. Certo,

aveva sabotato l'aeronave, tuttavia sembrava tutto così surreale. Mi ricordava le

gesta dei cavalieri Templari che di giorno combattevano ferocemente contro i

saraceni e poi, di notte, i rispettivi stati maggiori si riunivano a discutere di

metafisica e geopolitica. Come i ladri di Pisa. Il giorno litigavano e di notte

andavano a rubare insieme.

Un soldato dell'Ombra si avvicinò, porgendo al suo capo con deferenza assoluta

una brocca rossomarrone. Lui la passò a Scandurra che la avvicinò alla bocca e

ne bevve il contenuto, poi toccò a me. Pesava ed era ruvida. Conteneva dell'acqua.

- Bevila Angelo, è acqua di stelle, distillato di guazza cosmica.

La bevvi. Frizzante, fresca, saporita e leggerissima. Ecco, non ne sentivo il peso sul

palato. Acqua. Già. Ma gli effetti dopo qualche secondo non erano quelli di una

gazzosa. Certo che no. La testa cominciava a girarmi come una trottola. Poi,

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avvertii una bella scarica elettrica che mi rimise in tono. Cacchio, un toccasana

corroborante. Strano: avevo la sensazione di essere riempito d'acqua dalla testa ai

piedi.

- Dobbiamo recarci di nuovo a Deya. Cose grosse in vista, Angelo. Vedrai in prima

fila come muore un mondo.

- Quale mondo?

- Il nostro.

Scandurra con quel suo modo di raccontare le cose più incredibili come se stesse

elencando la lista della spesa, mi rimise in agitazione. Del resto stavamo in trincea,

sebbene non comprendevo bene contro chi combattevamo. Intanto l'Ombra si era

dileguata, forse questo era il termine giusto, o più semplicemente non me ne ero

accorto. Il maestro mi fece cenno di seguirlo al centro della piazza d'armi. Lì,

sarebbe atterrata l'aeronave che ci avrebbe condotti alla città-labirinto.

Percepii una pressione sulla testa. Ed ecco atterrare una specie di vascello senza

vele ed alberi, che per il resto sembrava dover salpare da qualche porto marino.

Ricorreva, evidentemente, in quell'universo la forma 'a nave' per le astronavi. La

forma rivela la funzione. In fondo si navigava sempre. Una passerella come una

lingua ci permise di salire a bordo. Due militari ci fecero accomodare in una stanza

quadrata, di simil-legno con una simil-finestra che occupava tutte le pareti e che ci

permetteva di ammirare il paesaggio. La televisione a pannelli era così realistica

da farci sembrare di stare all'aperto, sul ponte della nave. La giornata era

splendida, i boschetti si alternavano ai laghi e alle colline, come in un plastico

ideale.

- Scandurra, non riesco a capacitarmi. Ma con chi stiamo? L'Ombra è un demonio

da tenersi alla larga o dobbiamo farci pace?

- Negoziare, innanzitutto. Romperci a vicenda il c*** non aiuterà nessuno.

Non sappiamo tutti gli esiti delle nostre azioni. Siamo legati a tutti e a tutto, in una

rete intrigata. L'Ombra? È potente, eccome, ha mire di dominio, certo, ma c'ha un

codice pure lui. Non è lo stesso degli altri popoli, comunque ci si può mettere in

equilibrio. Un peso noi e un peso lui. Bilanciare, sì, questo dobbiamo fare. Qui non

dobbiamo fare la gara a chi ce lo ha più grosso, come spesso accade sulla Terra

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anche tra i più inteligentoni. Bilanciare i contrari.

- Mi sembra di aver capito che andiamo a vedere come muore la nostra Terra?

Allora non ci ritorniamo più? Ma come?

- Non è cosa di adesso, sebbene da millenni il Tempo ha iniziato a scorrere più in

fretta. Così ci siamo avvicinati al suo esaurimento. L'inverno dell'anno 2012 sarà

particolarmente caldo.

- Maestro, vorrei comprendere cosa intendi per fine del mondo. Le religioni

annunciano delle cose, la scienza dice altro ancora. In base a cosa si crede...

- Angelino mio, credo che sia giunto il momento di chiarire o di velare. Se ci

troviamo qui è pure per vedere come andranno le cose. L'umanità e la natura sono

legati allo stesso destino.

- Quale destino, Scandurra?

- Si trasformeranno entrambi in luce e pura forma. Non sarà però un fatto

meccanico. Dall'ordine dentro di me dipende quello del mondo attorno a me.

Se divento pura e infinita luce, la materia che mi circonda muterà allo stesso

modo.

- Come posso diventare pura luce?

- Il tuo carattere darà forma al tuo destino. Se porti la lunghezza d'onda del tuo

cuore verso l'alto, la vibrazione, la frequenza si riduce in basso, questo processo

risuona nella natura tutta.

- Se pecco, quindi...

- Ah, i peccati. Dipende. Essi ti ispessiscono a volte e così rendono più erta la

realtà. Disfunzioni nell'ordine delle cose. Dalla luce provengono i migliori frutti.

Cioè, sono le cose buone, vere, giuste. È la Vita, quella con la vi maiuscola. Tu mi

chiedevi ragione sulla mia, diciamo, amicizia con l'Ombra.

Ebbene, solo se separi la luce dalla tenebra, cioè se capi [spicchi] il frutto dalla

buccia, è possibile che tutti e due risorgano nel seme. Tu, io, tutti, il frutto e il

guscio, saranno riuniti, riassorbiti nell'origine comune: il seme. Per giungere a tale

immane impresa, non spegnere mai il lumen. Esso deve divampare, come fuoco.

All'inizio è fumoso. Progressivamente, da fumoso diverrà lucente, come

progressivamente l'anima da acquosa diventerà oliata.

- Qual'è il modo migliore, la tecnica per raggiungere questo stato?

- Devi diventare come il mormorio dell'acqua viva di sorgente. Come il movimento

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delle foglie di un albero pennellato dal venticello d'estate.

Adesso divento pure poeta, stai a vedere. Vivi scorrevolmente. Questo è pregare.

Questa è purificazione. Scorri dalla pancia, non dal cervello.

L'acqua di vita deve emergere dal plesso solare. È la presenza. Falla sgorgare dal

cuore, dalle viscere.

- Maestro, se dovrò affrontare dei pericoli effettivi?

- Tutto ha una forza, o la afferri o la eviti, perché contrastarla?

Atterrammo su di una piattaforma circolare, posta sul fianco di un palazzo altissimo,

in pieno stile gotico – sembrava il Duomo di Milano - nel bel mezzo di Deya. Ci

fecero scendere e poi entrare in una stanza legnometallo e tutto il palazzo

cominciò a muoversi.

- Grazie all'acqua stellare, non sentiremo la velocità di entrata nei piani interni. Ci

schiaccerebbe altrimenti.

- Ma come mai è tutto lo stabile a muoversi? E poi, perché non usare le nostre

spolette?

- A loro piace fare le cose in grande. Noi abbiamo la bottega a Viterbo come

interscalo. Quando sei invitato, bisogna rispettare le consuetudini della casa... a

volte. Eh, eh, eh...

- Ci faranno vedere la nostra terra come finirà?

- No. Soltanto gli ultimi battiti della Via Lattea, prima di spostarsi...

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mercoledì 15 giugno 2011

IUS 39

(DEYA)

- Perché collaborano con noi? Perché si fidano così tanto da farci vedere la fine del

nostro mondo? O ci vogliono fregare per indurci a cambiare il futuro già scritto?

- Il mondo non finirà, Angelo, credimi. Si sposterà soltanto. Loro non si fidano di noi

né ci sono alleati. In questa guerra cosmica il nemico non sempre è quello che ci

sta di fronte, quindi raccogliamo le forze e partecipiamo insieme agli eventi

grandiosi che riguarderanno tutti i popoli degli universi, pur mantenendo le nostre

posizioni e ragioni. Qui non uccidono l'avversario, magari se lo mangiano per ...

beh a loro interessa incasinare le nostre manovre. Fregarci una spoletta che

ritengono più utile di altre. Rubarci informazioni su questo o quello... sono stranetti,

Angelo, non ragionano come noi, quando ragioniamo... ma non per questo sono

stupidamente cattivi. Diffondono il morbo perché magari sbrirciando sui possibili

futuri leggono tracce che gli suggeriscono che il male minore è la morte di migliaia

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di cristiani per evitare il peggio. Hanno la capacità di prevedere disastri, cataclismi,

fine di mondi, leggono le tracce del movimento del Tempo e del Kaos e per questo

la sanno lunga.

- Si sostituiscono a Dio, cacchio.

- Angelo Angelo, ci sono cose più complicate, diverse da quello che ci raccontano

sulla terra. Dio? Chi ha creato tutto, ha messo a disposizione ogni cosa. C'è chi si

prende la potenza senza chiedere il permesso, chi non la prende per paura di

commettere un peccato, chi nemmeno ci fa caso che c'è tutto questa roba a

disposizione. Noi non ci prendiamo niente, noi sappiamo abbastanza per farne

buon uso e poi bilanciamo tutte le energie in gioco. Abbiamo bisogno anche dei

cosiddetti cattivi così come loro hanno bisogno di noi. Perfino gli artefici, gli

ingegneri cosmici che hanno costruito le botole tra universi, non hanno potuto fare

a meno dell'aiuto di chi li ha traditi. Giuda era l'uomo che portava la borsa, ossia la

conoscenza e sapeva quel che faceva, sebbene fosse infame il suo gesto. Alla fine

i contrari si riuniscono. Ma i carnefici non vivranno mai assieme alle loro vittime in

qualche paradiso inventato dai preti. C'è sempre un codice da rispettare, pure tra

opposti. Chi sgarra paga sempre e comunque. Giuda era una superspia in grado di

leggere i tracciati temporali. Riuscì a sconfiggere il Sinedrio illudendoli che se

avesse consegnato nelle mani della giustizia il Cristo, la sua azione sarebbe stata

ridotta e dimenticata. Agli occhi del mondo, Giuda sarebbe lo stesso passato come

il traditore di sempre. Da quel momento, invece, è iniziato tutto.

Non mi accorsi della fine corsa. I sei soldati dell'Ombra ci scortarono fuori dalla

stanza e ci trovammo dentro un tunnel lunghissimo, pieno di condotti e cavi, sporco

di fango e detriti, malamente illuminato da lampade schermate blu. I militi ci

precedevano con passo veloce e io stentavo a stargli dietro, mentre Scandurra

sembrava pienamente a suo agio in quella fogna. La puzza di escrementi era ai

limiti del sopportabile e ciò rendeva ulteriormente curiosa la situazione. Già,

perché mi ero immaginato ampi saloni pieni di schermi o chissà cosa altro;

macchinari, scale mobili. Insomma, lo scenario era bel lontano da qualsiasi

previsione. Chiesi a bassa voce che diavolo di posto fosse quello in cui ci

trovavamo. Il maestro ridacchiò.

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- Vuoi conoscere le fondamenta di Babilonia? Vuoi sbirciare oltre le mura del

Tempo? Dovrai sempre passare dalle fogne dei mondi. Ci troviamo nei condotti di

Deya, dove tutto riposa stagna muore sopravvive strilla trapassa fonde e ritorna

come prima. Guardati soltanto da quei topacci neri. Spuntano all'improvviso e

azzannano le palle dei malcapitati. Se ti mozzicano non mollano più. Io li chiamo

rosicapalle. Brutte bestie, certo, ma che vuoi... pure loro tengono famiglia.

- Ah! Pure.

Misi in allarme tutti i sensi, soprattutto accesi il bagliore. Continuavo a non capire. I

condotti, il Tempo, Babilonia. Il tunnel deviò ad un certo punto verso sinistra.

Stesso spettacolo. Intrigo di fili, tubi e merda in quantità industriale. Poco distante

dai soldati una cosa, una bestia scura delle dimensioni di un cane di taglia media

scappò fuori dalla melma e si diresse velocissima verso il primo. Scandurra emise

un suono basso e poi un altro stridulo e il rosicapalle sgattaiolò – non conosco un

verbo per il topo – verso il soffitto del condotto per poi imbucarsi in un pertugio che

non avevo notato prima. Il capo del manipolo ringraziò il mio maestro in un italiano

stentato ma comprensibile. Ma il pericolo non era ancora finito. A circa cinquanta

metri, un branco di quelle bestiacce si dirigeva con passo di carica verso di noi.

Caspita, da dove erano sbucati? Guardai con speranza Scandurra. I soldati si

fermarono e seppur armati rimasero come bloccati. Forse non potevano far fuoco

dentro quel condotto e si girarono anch'essi speranzosi verso il maestro.

Evidentemente ne conoscevano le doti, non lo so, ma non c'era molto tempo da

perdere. Allora il fruttarolo di Viterbo si fece strada tra i soldati e fece un cenno con

la mano di accucciarci. Una scarica elettrica azzurroverde luminescente, un suono

di basso profondo e via. Ci trovammo tutti carponi in un altro tunnel, sempre

maleodorante ma libero da ospiti indesiderati. Scandurra aveva aperto e chiuso

una botola occasionale, di quelle che trovava sempre e comunque.

. . .

1.

A proposito della capacità speciale di Scandurra di attraversare o, come direbbe

lui, di scivolare da un posto ad un altro violando i limiti di spazio tempo ed energia,

credo meriti qualche approfondimento. Sarà non di poco conto tentare di

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racimolare piccoli elementi per poi inserirli in una qualche inquadratura

concettuale. Non sono in grado, per la verità, di elaborare un teorema generale

che includa il meraviglioso. Forse non è proprio possibile circoscrivere ciò che non

può essere legato. Carpisco qualche frammento qui e là dalle imprese del maestro

e da quanto mi concede. Non posso nemmeno pretendere di usare i parametri

della ragione per cose che vanno oltre ogni ragione umana. Blaise Pascal a tale

proposito ci ricordava che il cuore ha ragioni che la ragione non conosce. Persino

sui foglietti acclusi nei cioccolatini Baci Perugina, si trova questa massima

fondamentale, sebbene usata in ambito sentimentale. La Realtà, quella immensa,

non può essere inclusa da nessuna teoria esauriente. Ci confidava Scandurra che

a volte riusciva a far cose che andavano ben oltre i suoi mezzi. Ci riusciva e basta.

Era l'intuizione, l'illimitata sapienza racchiusa nel non sapere. E per quanto

riguarda lo strumento principe delle immersione nei varchi interdimensionali, la

spoletta, beh, le notizie su di essa non erano mai esaurienti. Scoprivamo sempre

qualcosa di nuovo sulle sue caratteristiche e significati.

Ogni spoletta è un mondo a sé. È un pò come guardare dal buco della serratura di

una stanza contigua con leggi e situazioni uniche. Dal buco della serratura si vede

la Natura in tutta la sua vastità e meraviglia, perché il buco è nella Porta di Giano,

la quale non immette in una stanza vicina, ma nell’altra metà della stanza intera

della manifestazione materiale, di cui la nostra mezza stanza è quella del mondo

sensibile. L’Universo è bilocale. C'è un filo dal quale è possibile riaggomitolare gli

eventi.

2.

Entriamo proprio nel cuore della missione. Del senso ultimo della nostra storia. In

quegli anni Settanta di apprendistato e di consapevolezza crescente al seguito di

un maestro insolito, forse unico, sicuramente sconosciuto; in quegli anni di

rivoluzione underground vera o presunta che divampava in tutto il mondo, da una

bottega di 'frutta e verdura', in quel di Viterbo, avvenivano trasformazioni. Le

informazioni che stavamo mano a mano acquisendo, non potevamo capire fino in

fondo quanto valessero, quanto potessero tornarci utili. Era un impresa ardua

ricucire tutti i dati in una trama leggibile. L'anonima talenti si stava formando nostro

malgrado. Le esperienze dei singoli erano patrimonio di tutti. Un passo che facevo

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io, portava avanti tutti e così era per gli altri. Un fascio di forze benigne nei gangli

del sistema dei mondi. Non era soltanto la nostra terra ad essere schiava di

potenze occulte. Certe trame coinvolgevano tutti gli universi. Uno spiraglio di luce

acceso quaggiù, riverberava ovunque. La responsabilità delle scelte che ogni

uomo è portato a fare, è enorme. Oltre ogni immaginazione. Pochi se ne rendono

effettivamente conto.

3.

I tempi ultimi che stiamo vivendo, non sono la continuazione scalare dei

precedenti: come una linea retta che proceda stancamente verso chissà quale

futuro. No, la cesura epocale ci nasconde impreviste manifestazioni,

macrocosmiche e individuali. Il futuro rimanente si insinua nei nostri sogni come se

la mente, di notte, compisse ricognizioni lungo la quarta dimensione. Come si

insinua? Con un segnale che ci avverte anche in pieno assetto diurno della

coscienza, malgrado ci troviamo risucchiati dalle correnti samsariche, dal

contingente, dal transitorio. Un segnale imperioso, un richiamo, che irrompe dal

profondo e si modula in svariate maniere, la più tenue delle quali è rappresentata

dal presentimento immotivato che 'qualcosa sta per succedere'. Non tutti i

presentimenti hanno valore precognitivo; ma in molti casi la correlazione con

l'evento epocale della fine dell'anno 2012 è innegabile. Non mi sorprende se a

fronte di tali fenomeni insoliti, metapsichici, l'establishment culturale è irridente e

scettico. Del resto è ostile ad ogni pensiero innovatore, tanto più se noi, 'fuori dal

coro', sosteniamo che il futuro spiega il passato. Cosa volete che pensino i

depositari della scienza ufficiale sulle crisi di angoscia e paura che assalgono

moltissime persone e che riguardano la fine di un mondo: fobie, nevrosi, fughe

dalla realtà, sarebbero le diagnosi. C'è uno stretto rapporto tra nevrosi e

premonizioni. Se da qualche parte tuona da un'altra lampeggia. Il futuro di

ciascuno di noi è registrato nelle profondità della coscienza. Lo sperimentiano ogni

giorno. La vita stessa è formata in buona parte di contatti con la realtà futura,

spesso sono contatti furtivi, sovente inavvertiti. È la mente cosciente che tende a

difendersi e li mette fuori legge. Se così non fosse, il presente e il futuro

tenderebbero ad accavallarsi disordinatamente anche sul nostro schermo mentale

diurno, e non sarebbe l'ideale per condurre la propria esistenza in un mondo a tre

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dimensioni, dove il tempo viene vissuto istante per istante, mentre l'attenzione si

focalizza in continuazione sul mondo circostante e su ciò che esso pretende da noi

che si faccia. Alla luce della problematica extrasensoriale è inevitabile adottare un

antico e quanto mai attuale concetto magico, secondo cui noi viviamo due vite in

parallelo. Una sul piano tridimensionale e terrestre, dove tutto appare soggetto alla

legge di causalità e condizionato dalle localizzazioni e limitazioni spazio-temporali.

Un'altra che si dispiega nelle dimensioni superiori dell'universo, le quali sono

inaccessibili alla mente cosciente e si sottraggono per loro stessa natura a quelle

limitazioni. Quel tipo di realtà superiore si inserisce ogni tanto nella nostra; e

quando si inserisce, detta legge.

. . .

La puzza che emanava quel luogo era veramente insopportabile. E proprio per

questo motivo i soldati avevano indossato delle mascherine trasparenti che gli

coprivano bocca e naso. Ci feci caso soltanto in quel frangente. E noi? Ci

dovevamo sorbire quei miasmi fetenti, forse pure tossici? Scandurra intuì il mio

reclamo.

- Respira profondamente tutta la puzza del posto, fa bene per l'asma.

- Ma io non soffro di asma.

- E se un giorno ti dovesse venire?

Mi sfotteva come al solito. Perché non sfruttavamo i poteri di trasferimento

istantaneo del maestro per spostarci senza il rischio di incontrare pericoli? Me lo

chiedevo spesso, ma sarebbe stato inutile pretendere una sua risposta. Intanto il

tragitto incominciava a farsi sentire sulle gambe. Mi dolevano gli stinchi. Eppure

credevo di essere allenato; mi ritenevo un discreto sportivo, ma sembrava che in

quella dimensione andassero riviste pure le certezze acquisite.

Improvvisamente ebbi la curiosa sensazione che qualcuno ci seguisse. Paranoia

frutto di anomalie magnetiche? Eppure... dovevo urgentemente voltarmi e così feci.

A non più di 40/50metri, un tizio effettivamente ci seguiva senza produrre alcun

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rumore. Sottovoce avvertii Scandurra di quella presenza. Lui mi sussurrò che

avevo fatto un buon lavoro accendendo i sensi, per il resto non mi dovevo

preoccupare, ché la strada era di tutti. Cominciai a respirare affannosamente

quando i soldati si fermarono. Il condotto ebbe come uno scossone per poi

inclinarsi di 45gradi verso destra. Non avvertimmo però la pendenza: eravamo

tutt'uno con l'ambiente che ci conteneva. Poi, ebbi la sensazione che tutto ruotasse

lentamente di 90gradi verso sinistra. Sembrava essersi stabilizzato il tutto. Un

rivolo di sangue uscì dal mio orecchio destro e mi colò giù fino al collo. Mi

spaventai, ovviamente. Il maestro mi prestò il suo fazzoletto; somigliava a quello di

un carrozziere dopo una giornata di lavoro.

- Ma è sporco, Scandurra. Mi verrà un infezione.

- Quello che non strozza ingrassa.

Cercai un lembo pulito, invano, e mi detersi il sangue. I soldati nel frattempo ci

avevano circondati assumendo una posizione di protezione. Non riuscivo ad

immaginare cosa dovevo aspettarmi. O chi ci avrebbe raggiunti? Le lampade

cominciarono a pulsare ad intermittenza, per poi cambiar di colore: giallo, verde,

rosso, azzurro, blu. Ad ogni colore si univa un suono diverso. Poi, il silenzio e il

buio. Non più di 30secondi e si aprì sopra di noi il soffitto e fummo elevati verso

l'esterno, verso un cielo al tramonto, rosa rosso viola. Ci trovavamo su di una

piattaforma circolare posta sopra un pinnacolo altissimo, forse di 10km.. Un forte

vento freddo ci colpì senza ritegno. Il panorama cieloterra era grandioso. Cime

altissime di montagne blu e rosso ci circondavano imperiose e noi stessi

poggiavamo su di un rilievo non meno eminente. Non vi erano segni viventi

espliciti ma poi comparvero a ore tre, due grandi stelle affiancate, splendenti, che

sembravano aspettarci chissà da quanto. Non erano però finite le sorprese.

Nell'aria c'era un non so ché di strano, un senso di attesa imminente. Di cosa? Non

riuscivo a figurarmi niente di possibile, in quell'universo incredibile.

- Angelo, registra tutto quello che vedrai. Quando sarai un uomo maturo, dovrai

parlarne a chi sarà in grado di ascoltare su quanto vedrai da adesso in poi. Poco

importa se ti crederanno. Conta ri-trasmettere l'energia scaturita dalle fondamenta

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del cosmo. Si è destinati a cose non riconoscibili subito, ma tempo verrà che tutto

sarà più chiaro, evidente. Sarebbe meglio che gli uomini facessero un atto di fede

per riconoscere la verità. Credere per conoscere. Predisporsi internamente. Aprire

la porta. Poiché ciò che avverrà non attenderà i ritardatari. Te e gli amici della

talenti, sarete chiamati ad un lavoro sottotraccia, cioè quello di ripristinare il ponte

sulla Via Lattea, di modo ché la gente farà provvista di vastità.

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mercoledì 6 luglio 2011

IUS 40

Contemplando quella magnifica natura, mi lasciai condurre dal fiume dei miei

pensieri; meditazioni su svelamenti. Non esiste un solo universo, e quello che

vediamo non è il più importante. Ho scoperto cosa c’è “dietro” il visibile, l’invisibile,

l’altro sole... lo spazio è contenuto nel Pensiero. Con i viaggi cosmici scoprivo

l’infinito nelle cose. Perché la vera mistica non è che lo straordinario dell'ordinario.

Il reale è molto di più di quello che i nostri sensi possono percepire. Il miracolo è

alla radice delle cose, è l’essere stesso di ciò che siamo e di ciò che ci circonda.

Scandurra mi dimostrava ad ogni occasione che il sovrannaturale è implicito nel

naturale. Noi troviamo la vita al suo più alto grado d’intensità. Siamo alchimisti

perché purifichiamo la terra col nostro corpo. Noi viviamo ogni istante l'esperienza

d'un Universo la cui immensità, mediante l'alchimia dei nostri sensi e della nostra

ragione, si raccoglie sempre più semplicemente in ciascuno di noi. Non da tutti è

percepita coscientemente, ma è comunque vissuta, registrata, interiorizzata. Anche

il nostro corpo è tessuto di immensità, attraversato da linee epidermiche, strade

connesse all'infinito. Parti di un tutto. Si stabilisce sin dall'inizio un vincolo organico

tra il Divino e ogni uomo. Il decadimento dei mondi e dell'asse strutturale

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ontologico poi, attenuerà tale rapporto, ma non potrà mai essere reciso, perché noi

esseri viventi siamo penetrati nell'Universo da una porta sovrannaturale.

Scandurra direbbe che l'umanità così come la conosciamo e tutte le civiltà

extraterrestri, sono apparse da un numero consistente di botole, athanor cosmici al

servizio di fabbricanti d'universi. Le botole, ma cosa sono in realtà? Sono punti di

transito che possono essere paragonati ai cambiamenti di stato (solido, liquido,

vapore) dei corpi fisici. Quando la superficie si riduce a un punto, il solido cede, il

liquido bolle. Sarebbe come dire che al punto critico di una curva geometrica si

produce una reazione chimica, l'intensificazione di un colore produce l'energia

elettrica, ecc. La sfera intera delle cose si trova ad avere la proprietà essenziale di

contrarsi poco a poco sul suo centro, per avvicinamento sempre più riflesso degli

elementi [centri] che la compongono. L'Universo si completa in una sintesi di centri,

in conformità perfetta con la legge dell'Unione. Scandurra era l'icona di questa

legge, difatti cercava, quando accoglieva qualcuno nella sua bottega magica, di

farsi vuoto, di non interporsi, di aprirsi simultaneamente all’altro e al Divino. Quello

che compresi e feci mio dopo è che, per arrivare a questo doppio vuoto, bisogna

aver raggiunto la preghiera “spontanea” che non si separa più dal respiro e dal

battito del cuore.. Allora l’uomo non prega più, è egli preghiera, in lui si formula la

celebrazione dell’universo, egli diviene sull’altare del cuore, il ponte del mondo.

Tutto è riempito di luce.

Su quell'altissimo pinnacolo stava per accadere qualcosa di grande e, tanto per

cambiare, mi sentivo inadeguato. Qualunque esperienza si possa fare, non

arriveremo mai a comprendere interamente il concetto di immortale, che domina i

cieli, le stelle e i pianeti, le tempeste elettroniche e termonucleari, gli orrori e gli

incanti della Natura. Lassù, in prima fila cresceva in me il desiderio di eterno, di

immortale. Eppure ero agitato, inquieto. Stavo per compiere un viaggio sino ai limiti

del creato, del tempo e dello spazio. Certamente ci sarebbe voluta una penna ben

più agile e immaginifica di quella mia, per descrivere le sensazioni sovrumane che

avrei provato. Ma i grandi eventi sembrano capitare ai dilettanti volenterosi... Ogni

cosa che vidi rimase impressa a fuoco nella mia giovane anima, sebbene le parole

non riusciranno mai a descrivere compiutamente quanto da me vissuto.

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Fissavo smarrito quel panorama, mi confondevo con esso. La coppia di stelle

luminosissime si avvicinava decisamente alla nostra postazione. Mentre le

osservavo concentrato, con la coda dell'occhio feci caso di sfuggita ad un fatto che

la mia mente non poteva, non voleva accettare. D'un tratto, delle onde mostruose

stavano sormontando le montagne tutt'intorno a noi. Dapprima sembrava un

ammasso di nuvole, poi si faceva sempre più evidente un'onda immane che

scavalcò le cime montane. Il paesaggio mutava velocemente. Ebbi un moto di

terror panico. Cercai il braccio di Scandurra. Non riuscivo nemmeno ad emettere

un suono. Il cielo diventò nuvoloso e l'onda-oceano coprì tutta la valle in un batter

d'occhio a velocità altissima, fino ad infrangersi di poco sotto la piattaforma della

torre. Il mare era mosso, agitato da enormi cavalloni che però rallentavano

curiosamente, rasentando il bordo del piano dove ci trovavamo, senza

sommergerci. Spumeggiavano, ci incalzavano, ma c'era qualcosa che li frenava,

solo alcuni schizzi freddi ci colpivano. L'aria s'era fatta pregna di acqua salsoiodica

polverizzata. Stavamo in mezzo ad un mare grigioazzurro. Impressionante il rombo

sordo di quella massa d'acqua, come un maglio mi colpiva al plesso solare. Il

maestro mi strinse il polso e ne ebbi un giovamento immediato di elettricità diffusa

in tutto il corpo. Di fronte a certe cose emergeva la mia vulnerabilità, la mia

debolezza.

Le stelle si avvicinavano sempre più verso la nostra direzione. E così vidi due

lance volanti, che emettevano quel bagliore accecante. Sì, due barche leggere che

sfiorarono agilmente la superficie delle acque, come se nulla fosse. A bordo di ogni

lancia vi erano due esseri misteriosi in piedi, che ci guardavano. Il cuore mi batteva

forte e la mia coscienza si accorciava in un punto piccolo piccolo. A pochi metri da

noi, sospesi sulle acque, stavano quattro esseri rivestiti d'una succinta tunica rosso

cupo, che lasciava vedere le gambe nude e senza maniche, stretta ai fianchi da

una cintura colore dell'olivo. Giovani, dalle sembianze umane, portavano un

berretto nero, che sulla fronte si apriva a raggiera e si ripiegava sulla nuca. Con

mia evidente sorpresa, uno di loro mi parlò in italiano o almeno così intesi.

- Rasserenati come la nuova veste che ti ricopre!

Guardai i miei vestiti e con meraviglia mi vidi addosso una tunica blu. Dove erano

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andati a finire i miei vestiti? Vivevo un'allucinazione? O cosa?

- È il tuo corpo sidereo – mi fece Scandurra rassicurante – ora stai percependo

questo tuo nuovo stato.

- Ma chi sono? Angeli?

- Uranidi, per la precisione, soltanto uranidi – mi corresse il maestro.

L'essere che mi aveva parlato fece un gesto universale per invitarmi a bordo della

piccola barca. In maniera dapprima maldestra poi, quasi con naturalezza, spiccai

un salto ed entrai nella lancia luminosa. Non sentii paura né disorientamento.

- Approderemo oltre la linea dei mondi, per meglio vedere i tempi che verranno.

Quasi li sfioravo. Erano alti 190cm o poco più. Avevano una pelle luminosa e

bianca. Letteralmente bianca. Profumavano di cose belle, anche se non saprei dire

quali. Bello l'aspetto, dolce l'atteggiamento. Erano angeli?

- Riferirai agli uomini. Comunque pochi ascolteranno. Altri navigatori prima di te,

hanno visto e riferito. Ti scambieranno per folle o per profeta, l'ennesimo.

Siamo esseri provenienti da altri mondi, fatti di forma che governa l'energia, come

te.

Quelle frasi mi rinfrancarano. Anche se non erano angeli, sicuramente mi trovavo

di fronte ad esseri così progrediti da sembrarlo. Uranidi, secondo Scandurra.

Balbettai non so quali parole. Pochi istanti dopo, mentre tentavo di porre qualche

domanda, la lancia si oscurò. All'improvviso l'oscurità fu rotta da due linee

abbaglianti, che sfrecciavano fino all'infinito, dove pareva si congiungessero in un

cerchio potentissimo, che diffondeva fasci di luce dai riflessi d'oro. Le linee

partivano dalla nostra navetta sulla quale mi trovavo. Essa però aveva perduto

ogni luminosità; ma correva velocemente e sicura sulle acque in tempesta, tutto

superando, tutto vincendo. Dove mi avrebbero condotto gli uranidi? Il mistero

avvolgeva la mia vita. Cosa mi avrebbe riservato il destino?

- L'atlantideo ha formato una forte genìa nel corso degli anni. Hai molto tempo

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davanti per crescere. Prima di te, altri della talenti si sono immersi nei varchi.

Hanno veduto quello che verrà. Saprai descrivere, trasmettere e trasformare la

gente che ti seguirà? È un peso conoscere, a volte acceca, perciò gli umani spesso

chiudono gli occhi.

Ascoltavo sbalordito. Mi trovavo con esseri cosmici elevatissimi. Sembravano

divinità greche o indù. Eppure erano come me, come ogni altro essere umano

della Terra. Ogni vivente possiede un'essenza, è ciò che ci accomuna tutti.

Osservai meglio la lancia che mi trasportava. Sembrava più una tavola come

quella usata dagli sportivi californiani per cavalcare le onde dell'oceano. Il suo

colore era celeste chiaro. La sua base era piana ma semitrasparente. Uno strato,

tipo silicone o gomma, lasciava intravedere intricati geroglifici sottostanti. Non

capivo come facessero a guidare la navetta. Né comprendevo come potessi stare

in piedi, dritto, senza alcuna fatica e senza avvertire la gravità e la forte

accelerazione. Incominciammo ad allontanarci dalle acque, e mi sentii ad un tratto

come trasportato da una forza sovrumana che mi attraeva. Salivamo a velocità

pazzesca. Stavamo lasciando Deya. In quell'universo, gli astri e i pianeti li avvertivo

vicinissimi, li vedevo in movimento e la mia mente comprendeva, così

naturalmente, come le varie forze, sviluppantisi dai movimenti impressi loro dal

Creatore, generassero altre forze, che con i loro contrasti, tenevano sospesi i corpi

celesti. Ogni sole o pianeta che incontravamo, emetteva un suono. Guardavo e

ascoltavo. Mi commossi. L'infinito azzurro, seminato di astri, mi attraversava. Poi,

una domanda scema mi distolse. Come facevo a respirare nello spazio? Lo

percorravamo sopra una tavola non più grande di una barca, scoperta, e

respiravamo senza problemi. Mi spaventai. Notarono la mia paura, evidentemente.

L'altro che non aveva ancora parlato, sorrise e appoggiò la sua mano sulla mia

spalla. Provai un tepore strano ma positivo. Gli chiesi quale fosse il suo nome, se

poteva dirmelo.

- Bina, è il mio nome. Mio fratello è Saril-Da. Gli altri due si chiamano Tion-De e

Farà. Abbiamo visitato già la tua terra ed è bella. Voi siete così estremi nel sentire e

nell'agire. Ho conosciuto degli uomini e delle donne. Ho apprezzato le vostre

speranze, compreso le vostre paure. Attendete un segno dal cielo perché la vostra

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epoca è così povera di futuro. Ma perdonami, tu volevi farmi anche un'altra

domanda. Non posso fare a meno di sentirla dentro di te, ma per rispetto rivolgo

altrove il mio fuoco.

- Bina, volevo chiederti come facciamo a muoverci sopra questa tavola e, poi, beh

io respiro pur trovandomi nello spazio. Come è possibile questo?

- Vuoi che ti sveli i misteri degli uranidi, così come ci chiama Scandurra? Non

abbiamo divieti né limitiamo la conoscenza a pochi prescelti. Abbiamo donato tutto

a tutti negli universi in cui siamo stati, e ognuno ha preso secondo possibilità e fine.

Non si può riempire una brocca più della sua capacità, e la sua misura è sempre

quella giusta. Talvolta gli esseri dei mondi terreni non hanno cognizione della loro

grandezza ma nemmeno della loro finitudine. Ah! Vuoi sapere come ci muoviamo.

Conosci di massima come certe civiltà costruiscono le loro navi stellari, come

scivolano tra i varchi. Alcune usano elementi naturali seppur trasformati, altre

ancora, poche per la verità, hanno raggiunto livelli insuperati. Parlo di materia

binomiale, filosofale direbbe Scandurra. Ora tu ti trovi sulla prima navicella

interdimensionale costruita dagli ingegneri cosmici. Viene descritta nei libri sacri di

tutti i popoli. Non è immateriale come tu puoi ben vedere, eppure il suo stato è

sottile. Ha due facce, esterna e interna. È indistruttibile, può essere durissima ma

anche fluida. La guida è semplice: c'è un rapporto d'ordine cosmobiologico che

collega la navicella al suo pilota. Attraversa i varchi tra dimensioni, perché è in

grado di farsi attraversare da essi. Non è in vendita, però.

Battuta regolare. Si fece una gran risata e questo me lo rese umano.

- Ma allora la Bibbia sarebbe una cronaca che descrive i vostri viaggi nel nostro

mondo?

- Tutte le religioni hanno origine da un'accadimento speciale: una interferenza

terra-cosmo. I racconti sulle origini delle civiltà, sono descrizioni puntuali di questi

contatti. Vanno però distinte le gerarchie tra i celesti e noi.

Entrambi abbiamo comunque assolto a dei compiti elevati per il bene

dell'umanità. Noi siamo fatti come voi, forma ed energia, i celesti, invece, sono pura

energia. Poi ci sono gli oscuri e come ben sai, perseguono la distruzione dei

mondi. Anch'essi si dividono in due manifestazioni, evanescenti e densi. Gli oscuri,

diciamo, più densi hanno stabilito alleanze con i titani provenienti dal sottomondo.

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Gli altri hanno scelto di colonizzare l'anima degli uomini e di deviarne il cammino.

Ero tutto preso ad ascoltare Bina che non mi resi conto che ci stavamo avvicinando

all'emisfero della Luna avvolto nella notte. La riconobbi facilmente perché intravidi

la nostra Terra, azzurra e bellissima, sospesa sull'orizzonte del satellite. Insomma,

avevamo attraversato un altro universo per ritornare dalle mie parti. E senza

passare dagli scali. Rimasi interdetto, ma non cercai risposte subito, attesi gli

eventi. Mi si offrì allo sguardo un paesaggio grigio, eppure interessante. Crateri

qua e là d'ogni grandezza, catene di montagne e pianure, si delineavano nitide in

quel sereno tempestato di stelle. Ma quello che vidi mentre ci avvicinavamo ad un

gigantesco cratere, fu qualcosa di stupefacente. Mai e poi mai mi sarei aspettato di

vedere una cosa simile lì.

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martedì 26 luglio 2011

IUS 41

Grande come Piazza del Comune, simile all'otturatore centrale di una macchina

fotografica, la bocca gigante si trovava perfettamente al centro del cratere.

Lentamente ci avvicinammo e con la medesima lentezza una serie di lamelle poste

sullo stesso piano, sei per la precisione - imperniate su due circonferenze

concentriche che si muovono una al contrario dell’altra - si mossero verso l’esterno

e ci consentirono di passare. Una corrente fluida mi sospinse dolcemente fuori

dalla tavola volante e mi sentii sospeso e con un movimento rallentato planai verso

il piano sottostante. Gli uranidi, con le rispettive navicelle interdimensionali,

scomparvero alla mia vista e mi ritrovai solo soletto dentro un cratere lunare.

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Cacchio! E adesso? Una debole luce verdastra a mala pena illuminava quel luogo.

Le lame sopra di me si richiusero senza rumore. Già, sulla Luna non essendoci

atmosfera i suoni... A quel punto, ebbi uno scuotimento formidabile per tutto il

corpo. Vomitai pure quello che non c'avevo e colpi di tosse che sembravano non

finire mai mi fecero stramazzare al suolo. Percepii tutto il mio corpo e la mia natura

di essere umano, proprio lì dentro. Chiuso e, pensai, prigioniero. Lo stato sidereo

era meno di un ricordo. La carne mi bruciava e le sensazioni psichiche ritornarono

ad invadere la mia mente. Il peso dell'umano si faceva sentire, eccome. Caspita.

Era tutto vero, reale, maledettamente tosto. Respiravo, sentivo l'ossigeno che mi

riempiva i polmoni. Ma allora prima, quando quegli esseri eletti mi traghettavano

da un universo ad un altro, come facevo? Non avevo memoria di aver respirato. E

ora? In quel momento, l'esperienza e gli insegnamenti di Scandurra – dove sei? -

mi ridiedero forza.

Quando procedo da solo - mi suggeriva il rapporto ispirativo scandurriano cui non

sarei stato più in grado di sfuggire - mi lascio abbandonare all'istinto magnetico,

esso mi guiderà sostenendomi anche e specialmente in quei posti senza voce,

senza variazione di forme. Un altro aspetto del bagliore, del lumen che viene in

mio soccorso. Grazie ad esso, non mi prenderà al collo la cosmofobia. Sarò invece

investito da una provvidenziale onda rivelativa senza limiti di spazio e di tempo,

attraverso impulsi di alto magnetismo immaterializzato.

L'area circolare dentro la quale mi trovavo, divenne più chiara. Ciò mi permise di

intravedere sulle pareti pannelli di metallobronzo e meccanismi composti da perni,

rocchetti, ruote seghettate; riquadri indicatori, leve e pulsanti di varia grandezza. Vu

meter quadrati rotondi, triangolari si alternavano a maniglie verticali e bobine. E poi

morsetti, raccordi, canaline, manicotti. Da alcuni condotti fuoriuscivano vapori

grigiocelesti che formavano colonne-serpentoni che toccavano il soffitto del locale.

Mi trovavo veramente sul satellite della Terra e in quale epoca? Tutto lasciava

intendere che mani umane avessero toccato quel posto dimenticato. Sentivo,

ormai, con assoluta certezza che uomini come me si trovavano sulla Luna da un

bel po' di tempo. Mi avvicinai a quei pannelli elettro-termo-meccanici. Toccai una

maniglia. Era concreta, solida. La superficie dura e porosa, mi dava la strana

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sensazione di essere familiare e al tempo stesso extraterrestre. Mi feci guidare da

quell'istinto magnetico che mi diresse verso una porta rettangolare. Come per

magia si aprì da sola e una valanga di vapore caldo mi investì.

Mi venne in mente l'immaginario letterario di Giulio Verne. Forse non era

fantascienza quella che leggevamo da ragazzi. Eravamo proprio sicuri che la

tecnica e la scienza nata dalla modernità fossero il prodotto più avanzato della

storia umana?

La civiltà di Atlantide aveva raggiunto livelli di conoscenza incredibili. Avevano

esplorato mondi e dimensioni, costruito macchine stellari e manipolato ogni tipo di

energia e dopo la sparizione del continente, un bagaglio di sapienza e di

tecnologia era pur sopravvissuto e trasmesso a pochi superstiti. Scandurra era

considerato in quella parte di universo, un atlantideo. Usava spolette che gli

permettevano di immergersi in varchi interdimensionali attraverso botole cosmiche.

Era lui stesso una spoletta e ne avevo potuto apprezzare le gesta. Perché

escludere che la Luna fosse abitata? Perché considerarla soltanto un ciottolone

che girava intorno al nostro pianeta? Quali segreti custodiva? Non era solo

appannaggio di poeti e romantici credere alla sua natura animata e qualcosa mi

diceva che tracce del continente scomparso le avrei trovate proprio lì.

Gli esuli di Atlantide avevano comunque conservato intatte le capacità fantastiche

tipiche del loro elevato grado di sviluppo, ciò non escludeva quindi che potessero

muoversi a piacimento dappertutto, indipendentemente dalle ere storiche.

Extrastorici, tuttavia interagivano a volte con noi. Operavano in segreto, sebbene

qualcosa traspariva dalle cronache e dai miti degli antichi popoli sumeri, maya,

indù. Egiziani, greci, romani e germani ci raccontavano cose prodigiose, magiche,

sovrumane. Innalzavano monumenti immani per collegarsi al faro-pinnacolo

galattico. E i costruttori di cattedrali? Le pietre soniche, gli archi a basso

magnetismo e gravità limitata, i demoni cristallizzati da furbi alchimisti, le loro

ubicazioni a terra che rimandavano ad una mappatura celeste, gli spinotti

cosmotellurici... Quante conoscenze andarono sepolte o tradotte male? Quanti

uomini si fecero custodi di segnacoli ed energie mascherate per i profani?

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Attraversai la porta. Ero in ballo. Avrei incontrato sicuramente qualcuno che mi

avrebbe parlato del futuro della Terra. Avevo un compito pazzesco, ingombrante e

pesante per le mie possibilità, ma non potevo certo tornare sui miei passi. Mi

toccava. Un'altra porta di ferro a pochi metri si aprì e intravidi un salotto, credo stile

ottocento, decisamente terrestre. Vi entrai. Una lampada dalla luce soffusa era

accanto ad un signore seduto in poltrona. Era un giovane uomo vestito in linea con

l'epoca dell'arredamento. Egli si alzò e mi venne incontro con fare cordiale, anzi, si

mostrava contento. Ma io lo conoscevo. Un vecchio allievo di Scandurra... e che

abitava sulla Luna. Ero fuori di testa, evidentemente.

- Angelo ti aspettavo. Bello rivederti. Siediti – mi indicò una poltrona a fianco

della sua - che sarai abbastanza scosso dal viaggio. Il nostro compito è

quello di far comprendere a tutti che soltanto un atto di conoscenza può farci

uscire dalle paludi del nostro tempo. Esso prelude al grande cambiamento.

Ricordo che sei astemio, ma un brandy è quello che ci vuole.

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mercoledì 10 agosto 2011

IUS 42

(L'APERTURA DEI RUBINETTI MENTALI)

Mi accomodai in poltrona. Ero sconcertato. Ardengo Pellizzari, il primo degli allievi

del maestro in grado di passare attraverso le botole – da Viterbo si trasferì a Milano

(evidentemente aveva allungato) - faceva gli onori di casa in un salotto stile

inglese, facente parte di una struttura fantascientifica incastrata dentro un cratere

lunare. Le sorprese non mancavano di certo.

- Ardè, ma che ci fai qui? Cosa c'entra tutto questo con la fine del tempo, del

mondo?

- Carissimo Angelo, sei gradito ospite in una colonia atlantidea. Gli esuli del

continente oceanico hanno costruito per tutta la galassia postazioni e cittadelle. Ci

troviamo in questo caso in una postazione. Che pretendi, il personale è scarso e

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troviamo in questo caso in una postazione. Che pretendi, il personale è scarso e

allora Scandurra ha rimediato cogli stagionali.

Una delle sue fragorose risate echeggiò per il salone. Si trasformava quando

scoppiava a ridere. Di solito era sempre inappuntabile. Noi della talenti lo

chiamavamo 'l'inglese', vuoi per una certa rassomiglianza con l'attore inglese

Michael Caine, sia per i modi ma principalmente per la sua mania di indossare

vestiti inglesi, che acquistava a Londra. Un viterbese! Del resto, se lo poteva

permettere, visto che era un dirigente di prima fascia presso una multinazionale.

Intanto, assaporai quel brandy, ne apprezzai la forza e l'aroma... così si dice.

- Bene Angelo, è ora che ti dia le coordinate generali, un pizzico di sana scienza e

di visioni.

- Dimmi di te, se puoi, se vuoi. Hai compiuto una scelta estrema, radicale. Da

quanto tempo ti trovi quassù?

- Sì, una scelta radicale e convinta. Se ti chiedessero, bada, senza obblighi, ecco,

se ti chiedessero di dare il tuo contributo alla causa, lasciando affetti, lavoro,

insomma abbandonando addirittura il nostro pianeta... non per sempre, ma per un

periodo ragionevole, beh allora che cosa faresti? Io ho accettato. Il nostro destino è

stellare.

- Ma qui come funziona tutto? Ardè, vedo apparecchiature non proprio

avanzatissime. Sembrano quelle di cento anni fa. Mi pare l'interno del Nautilus. Ci

manca che appaia il capitano Nemo...

- Ah ah ah, sembriamo così matusa? Le forme possono sembrare antiche... e infatti

lo sono. La cosa incredibilmente avanzata e tuttavia senza tempo, è ciò che muove

tutto questo ambaradan tremendamente ordinato. Noi qui utilizziamo materia

continua che è uguale in ogni luogo ed in ogni direzione. Perciò, non solo

sostituisce tempo spazio e gravitazione, ma soprattutto, negando il vuoto, diventa

la generatrice ed il primo costituente dei corpi. Ti ricordi l’etimo segreto degli

alchimisti? Mater ea, la materia. Basta trovare un magnete per attirare la materia

continua. E guarda un po' i casi della vita, il magnete sta ben protetto dentro il

nostro organismo, a metà strada tra il soma e lo spirito. Non ti puoi sbagliare, esso

prende la forma di un diamante, ricettacolo di luce.

- Poi ci ritorniamo Ardè, perché vorrei capirci meglio. Mi preme sapere una cosa.

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- Poi ci ritorniamo Ardè, perché vorrei capirci meglio. Mi preme sapere una cosa.

Gli universi paralleli e la maniera di accedervi, il lumen, sono segreti rimasti

appannaggio di pochi sopravvissuti alla scomparsa di Atlantide. Buoni motivi,

credo, hanno accompagnato chi ha detenuto la conoscenza nel corso dei millenni,

senza divulgarla. Vedi gli alchimisti, per esempio. Oggi mi dici che l'umanità deve

fare un atto di conoscenza per la fine ciclo...

- I maya e i cinesi credevano all'esistenza dei Nove Mondi. Lasciti segreti di civiltà

scomparse. La catena della Conoscenza non ha mai conosciuto soste né

interruzioni, semmai è stata celata fino a tempi più idonei. Se prima era custodita

da strette cerchie di ierofanti, oggi è tempo che essa scorra ininterrotta tra tutte le

genti, poiché tutte degne di possedere le chiavi. In prossimità della fine della civiltà

odierna, i pochi hanno tanto più il dovere di rilasciare quanto ricevuto, senza

tentazioni esclusiviste. Il Varco attrarrà ogni donna, ogni uomo, come una titanica

arca argentata che porterà l'umanità tutta, oltre i limiti conosciuti...

- Ma i potenti del mondo non credo rimangano a guardare senza batter ciglio.

Vorranno avere l'esclusiva, riservarsi i posti in prima fila per sfangarla anche

questa volta. Insomma, vorranno fregarci.

- Il potere, già. C’è il potere che ti viene concesso dagli altri che riconoscono i tuoi

meriti, e vogliono darti la possibilità di conquistarne altri nell’interesse di tutti ed è

un potere che vuol mantenere un equilibrio tra chi ha dato e chi ha ricevuto. Ed è

quello che ho ereditato da Scandurra. Ma c’è il potere che si conquista, senza aver

dato nulla, schiacciando gli altri. È proprio questa la forma di potere che piace a chi

ha così bassa considerazione di sé, da avere bisogno di conferme continue, anche

solo attraverso l’illusione di dominare altri esseri umani e la natura. Il potere porta

con sé un virus psichico indistruttibile. Il potere si nutre di potere il quale, per

esistere ha bisogno di essere attuato, non essendo un valore interiore, mentale o

spirituale. Il potere se non viene esercitato non c’è. E per esserci ha bisogno di

crescere. Ma c’è una sorta di meccanismo automatico di autodistruzione che ad un

punto misterioso ma certo, scatta e travolge chi il potere lo esercita e chi se ne fa

strumento. Forse il punto è determinato dal livello di pressione che il potere riesce

ad esercitare su esseri umani e sulla natura, fino al punto, quel punto, in cui scatta

qualcosa, un “no”, così ampio e travolgente da rendere gli inermi più forti dei

potenti. Noi faremo scattare quel punto.

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Estrasse dal panciotto a fiori una barretta metallica tipo righello di 20cm. A mo' di

ascia colpì più volte il tavolino, lasciandoci un segno profondo. Me la porse. La

sentii morbidissima, sembrava di gomma e si piegava a 360gradi. Mi invitò a fare la

stessa operazione sul tavolino. Così feci, ma la barretta rimbalzò praticamente

sulla superficie di legno senza scalfirla minimamente. Un trucco, un incantesimo,

pensai.

- Materia continua. Dipende dalla funzione che tu vuoi darle. Stabilisci

mentalmente a cosa deve servire e la materia ti risponderà fedele. Crea un campo

col magnete ed essa si relaziona. Ti immette su quel ponte che collega materia e

metafisica. È reale solo ciò che può essere pensato; e ciò che non si può pensare,

non può neppure esistere. Ciò può accadere perché non esiste lo spazio. Spazio è

una espressione ingannevole, sia a livello piccolo che grande. Quando si pensa

allo “Spazio” c’è l’immagine consueta di vuoto nero, privo di vita che separa i

mondi... No: spazio è una parola sbagliata. Noi lo chiamiamo semplicemente “i

cieli”. In virtù dei cieli, quello che hai appena visto, accade. È sempre una

questione di campo. Ma al di là dei concetti, il primo grande passo, ciò che

trasforma e permette meraviglie è il pensiero atlantideo, il primo e imprescindibile

insegnamento di Scandurra. Ordinare la vita seguendo esclusivamente la modalità

analogica, e cioè quel polo della mente che coglie ovunque somiglianze, nessi,

affinità, corrispondenze.

- Ho conosciuto l'Ombra. Ti confesso che non ho ancora capito la sua posizione, gli

equilibri e quant'altro. Una cosa però credo di aver bene inquadrato, almeno nelle

sue linee essenziali: l'importanza che avrà nel nostro futuro Darest Sharma.

- Hai colto pienamente nel segno. Darest Sharma è un castello minerale e

organico a un tempo. Grande magnete di quello strano universo. È un luogo

germinale, da cui sembrano provenire la potenza e la stranezza dei nostri stessi

sogni. Incomberà su tutti gli universi. Interferirà pericolosamente col nostro compito.

A fine ciclo esso sarà veduto in tutti i cieli e scambiato per la città celeste o il

Walhalla dei redivivi. Quanti abboccheranno? L'Ombra poi...in lui coincidono gli

opposti... sebbene prevalga l'aspetto basso. È capace di meraviglie e di orrori

impronunciabili. Definirlo demonio è da preti... comunque, è bene non girargli mai

le spalle. Pochi nei nove mondi possono dire di capire in parte i suoi intenti.

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le spalle. Pochi nei nove mondi possono dire di capire in parte i suoi intenti.

Scandurra è uno di questi, forse perché ha in comune con l'Ombra una cosa. Ma

non mi chiedere quale.

Si alzò lentamente dalla poltrona. Ardengo si diresse verso un grande quadro

appeso alla parete. Praticamente la ricopriva tutta. Vi era raffigurata una scena di

caccia, ovviamente alla volpe. Pensai che la scelta dell'arredamento fosse opera

del mio camerata. Egli sfiorò la pittura e ritornò a sedere vicino a me. Uno o due

secondi e lo scenario di caccia si frantumò in mille parti fino a scomparire del tutto

e fu sostituito dall'immagine mobile di una immensa città fantastica, con ponti e

strade sopraelevate. Torri e palazzi altissimi, piramidi tronche a terrazze, un fascio

di elementi architettonici arditi si innalzavano sfidando la forza di gravità. Luci

intermittenti e suoni periodici, la rendevano viva.

- È Petralunata, la città sotterranea edificata dagli atlantidi 20mila anni fa. Si trova

cinque kilometri sotto i nostri piedi.

- Chi ci abita?

- Nessuno ancora. È comunque in perfetta efficienza. Abitabile e capace di ospitare

un milione di persone. Quando i cardini del tempo si staccheranno dall'infisso

cosmico e l'umanità traslocherà su di una rinnovata terra, allora rimarranno gli

esuli, scelti per attendere che la ruota rifaccia appieno il suo corso. Troveranno

rifugio su Petralunata che li attende da millenni.

- Quindi Ardè, una piccola parte dell'umanità sarà scelta per restare, riparandosi

sulla Luna. Ma chi sceglierà quali uomini e donne dovranno rimanere? E come ci

arriveranno? Ma soprattutto, sembra una punizione terribile.

- Quel mattacchione di Scandurra le chiamava botole, no? Vie remote che

connettono altri universi alla Terra. Non vi sono problemi insormontabili a far

passare un milione di persone attraverso le botole. Quante ne sono? Un migliaio

almeno, quelle capaci di far passare più persone di seguito. Non vi sono ostacoli

tecnici. Semmai sarà difficile far comprendere a tutti che esiste una realtà ben più

complessa di come ce la descrivono i professionisti del sapere. I condizionamenti

sono duri a morire. Comunque... un segnale cosmico dal centro della Via Lattea

giungerà sulla Terra, e sarà percepito dagli esuli. Il faro galattico manderà più volte

l'impulso-visione, il tempo necessario per captarlo. Poi ognuno farà la sua scelta.

Altro che punizione. Un compito elevato, difficile ma entusiasmante... dovranno

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Altro che punizione. Un compito elevato, difficile ma entusiasmante... dovranno

instaurare il centro perduto.

- Sai bene Ardè, che il passaggio attraverso la botola non è una passeggiata di

salute. Il maestro ci ha addestrati, ripuliti, trasformati prima di intraprendere

l'immersione.

- Sì, Angelo, lo so. La conversione di solito riguarda la dimensione interiore di una

persona, il suo cambiamento, il suo pensiero. Qui però è il mondo come lo

conosciamo che è in gioco. Ci troviamo oggi di fronte ad un accadimento

planetario, che tutto coinvolge, che tutti coinvolge. In ragione di questo, la

conversione si intenderà in termini di vista nuova, nel senso anche fisiologico. Ogni

parola aprirà l’intelligenza. Chi guarderà il Varco, sarà stravolto da un immane

temporale che lo squarcerà e allo stesso tempo lo pulirà, così, dissolta ogni nube,

potranno di nuovo mostrarsi le stelle di un nuovo firmamento. Faremo tutti una

capriola cosmica. Questo è il senso della nostra vita. Prima che queste cose

accadano, andremo incontro ad una notte ancora più buia persino di quella

precedente la creazione.

Saturno mostrerà la sua vera natura e i suoi anelli artificiali imploderanno fino a

strozzarlo. Come direbbe Scandurra, saranno c**** amari.

Mille domande mi frullavano per la testa. Ardengo dimostrava di conoscere assai

bene e in dettaglio, cosa sarebbe successo alla fine dell'anno 2012.

- Ora ti mostrerò una registrazione da una bobina magnetica, di un evento per certi

versi analogo a quello in cui sarà coinvolta la nostra Terra fra pochi anni. Un

grande pianeta di un altro universo cambiò posizione dimensionale. Una finestra

immensa si aprì e tutto fu più chiaro.

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immensa si aprì e tutto fu più chiaro.

domenica 4 settembre 2011

IUS 43

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- Desideravo farti ancora una domanda. Nel mese di luglio del 1969 ufficialmente

degli uomini hanno messo piede sulla Luna. Mi ricordo... eravamo tutti incollati

davanti al primo canale della Rai. Tito Stagno e il professor Medi ci raccontavano

in diretta la cronaca. Partecipavamo alla storia. Dicevano che era un grande passo

per l'umanità. Tu come l'hai vissuta da quassù la cosa?

- Il governo americano è specializzato in bugie. Ne hanno raccontate così tante in

così breve tempo da battere chiunque nella storia. Fesserie sono le dichiarazioni

d'intenti. Fesserie sono le promesse di benefici per tutti. Fessi siamo tutti noi che

crediamo ancora a queste cose. Sopprimono la verità su tutto. Trattano i popoli

come sudditi. Ma loro non si vergognano. Son venuti qui per una cosa precisa:

rubare. Sì, rubare è il verbo adeguato. Nessuna nazione può arrogarsi il diritto di

prendere ciò che non gli appartiene, anche se si trovasse su di un altro pianeta. Gli

Atlantidi hanno lasciato un patrimonio immenso per l'umanità che sarebbe venuta

dopo. Petralunata e altre superstrutture sotterranee, non sono acquisibili da chi

segue le stesse orme dei goeti del mitico continente scomparso. Esse

apparterranno a chi non avrà avuto responsabilità col marciume mondiale, a tutte

le vittime del male, alle persone oneste che non hanno mai chiesto nulla di più del

necessario. Tale clausola la facciamo rispettare noi. Sarebbe immorale,

insopportabile che chi ha contribuito attivamente al disfacimento di ogni ordine

morale e spirituale, avesse pure la possibilità di accumulare tesori e di fuggire alla

fine del Tempo. No, non funzionerà così...

Non lo conoscevo così deciso, così duro nei toni, animato da una passione

profonda.

- Non volevo farti inquietare Ardè.

- Non abbiamo mai accettato che pochi dovessero decidere le sorti di molti. Che

pochi dovessero occultare conoscenza e prosperità, anziché distribuirla

liberamente a tutti. La conoscenza è la nostra maggior difesa contro gli attacchi più

svariati. A proposito... in questo momento stai in uno dei posti più fortificati della

galassia dopo Saturno e nessuna agenzia spaziale e forza militare della Terra

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galassia dopo Saturno e nessuna agenzia spaziale e forza militare della Terra

potrà mai entrarci senza invito.

- Hai detto che sono venuti a rubare. Che cosa?

- Non siamo soltanto noi della talenti ad essere in possesso di informazioni,

diciamo così, riservate. Sul finire della Seconda Guerra mondiale, il governo degli

Stati Uniti istituì un'unità speciale di ricerca e sviluppo, in grado di accedere a certe

cose ritenute ufficialmente fantasiose. Hanno sottratto come bottino di guerra e

grazie al tradimento di alcuni scienziati e gerarchi della Germania nazista sconfitta,

mezzi e progetti d'avanguardia, soprattutto sistemi di propulsione e tecniche

ingegneristiche che gli alleati non avrebbero mai potuto realizzare.

- Perché? Sempre di ingegno umano parliamo, no?

- L'ordine nero hitleriano aprì una porta che dava su di un altro universo, popolato

da esseri non-umani, i fravashi, ritenuti a torto angeli divini... stabilirono con l'inner

circle nazista proficui contatti, trasmettendogli conoscenze straordinarie. Ma, come

direbbe Scandurra, 'a mozzichi e bocconi'. Ciò gli consentì comunque di andare

sulla Luna e tentare di accedere alle installazioni sotterranee, senza fortuna.

Persero la guerra non potendo utilizzare le armi-ultra, che erano ancora in cantiere

per adeguarle alla funzione terrestre. Fu un bene, certo, ma i pericoli per l'umanità

non diminuirono. Non di rado, chi vince appare come liberatore e inscena la

solita pantomima ai danni del popolo, tra quello che si fa e non si dice e quello che

si dice soltanto per celare. Il potere si perpetua attraverso il segreto, quasi sempre

minaccioso. Dunque, i governativi allestirono una organizzazione militare e

scientifica dotata di fondi pressoché illimitati, per andare sulla Luna armati e

conquistare quanto lasciato dagli atlantidi: tecnologia ed energia infinita senza

costo. Ma odore di destino non cambia.

Il 1952 allunarono in più punti con mezzi da sbarco spaziali; discesero da

un'astronave-madre in orbita intorno al satellite. Stormbringer era il suo nome.

Fecero 'due fatiche'. Rimasero in panne sulla superficie lunare, così dovettero

distruggere ogni traccia, tanto un cratere in più non avrebbe certo fatto notizia.

Pensa che lordura morale li guidi: soldati e piloti fatti saltare insieme ai mezzi da

sbarco. Carne da cannone. Pedine sacrificabili.

- Furono gli atlantidi a bloccarli?

- No, un giovane custode attento e solerte...

- Scandurra?

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- No, un giovane custode attento e solerte...

- Scandurra?

- E chi altrimenti? Quel fruttarolo sconosciuto e analfabeta, ha contrastato i potenti

del mondo pigiando un semplice pulsante. La vera forza è la conoscenza. Lui

stava al posto giusto quando serviva. Nessuno potrebbe mai immaginare che

dietro la versione ufficiale delle cose, dietro quella che molti chiamano realtà, ci

siano altri attori che recitano parti più decisive per le sorti dell'umanità. Uomini e

donne che si nascondono a tutti, ma che decidono di fare la differenza. E questo

confonde incredibilmente i potenti.

- Quando sarà riscritta la storia? Quando tutti potranno finalmente sapere la

verità?

- Non conviene a nessuno dire la verità, almeno secondo i termini umani.

Quando uno fuori dal coro ci ha provato, non gli hanno concesso di rivedere

l'alba. L'umanità sarà mai pronta in blocco a percepire la luce? Costa un prezzo

altissimo, pare, ma dopo scopri che era sempre lì, a portata di mano e gratuita.

Dopo una pausa di alcuni secondi, mi indicò lo schermo.

- Angelo, sarai gettato dentro gli accadimenti. Un viaggio nel tempo.

Conosciamo l'esito di quel pianeta, ma non il tuo. Si uniscono dimensioni e

come un RVM si conservano intatti gli ultimi respiri di un mondo, ma in aggiunta ci

sarà una stranezza temporale: te.

Cosa intendeva Ardengo? Avrei vissuto direttamente l'evento? Viaggi nel tempo,

catastrofi planetarie... ma se ero ancora un 'fischiotto' secondo Scandurra, che

ruolo avrei mai potuto svolgere in questo immane scenario? Dovevo esserci

abituato ormai, ma in pratica mi sentivo inadeguato malgrado le conoscenze in mio

possesso. Ero fatto così: prima mettevo il carro in salita, poi...

Dallo schermo-quadro partì nella mia direzione un raggio azzurro che mi investì

completamente. Fui incapsulato in una sfera dentro la quale fluttuavo.

Eccomi sul pianeta in un attimo. Ebbi per un istante l'illusione di ritrovarmi sulla mia

Terra, tanta era la somiglianza con questa. Il clima primaverile; il suo cielo, di un

azzurro cupo anche di giorno, lasciava scorgere le stelle e due lune oltre al suo

sole, più piccolo del nostro. Rigogliosa appariva la vegetazione, alimentata forse

dai corsi d'acqua sotterranei, perché scarsi erano i fiumi che si vedevano. Questo

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pianeta era privo di oceani e di mari; molti i laghi e avvicinandomi – evidentemente

era la mia volontà che dirigeva lo sferoide, oppure era teleguidato da qualcuno –

planai sulla superficie di uno di questi, grande, di un blu profondo; sentivo il suo

profumo: acqua mista ad erba. Era lo stesso odore che si avvertiva su di un campo

di calcio dopo l'irrigazione. L'unione chimico-fisica di vegetazione e acqua era il

comun denominatore di questo mondo.

Ebbi sentore che sul mio capo passavano dei dischi verde-luminoso. Erano sei in

formazione a 'V', sembravano seguirmi. Dentro la sfera mi sentivo pervaso da

un'ebbrezza strana, potente. Non temevo quella situazione. Ero attore principale, o

almeno così mi collocavo in quello scenario extraterrestre.

Ed ecco, una colossale muraglia rossa cremisi si alzò dalla linea dell'orizzonte fino

a coprire il cielo, come se avvolgesse completamente il pianeta dei laghi. E udii

suoni lamenti boati: da dove provenivano? Che mondo era mai quello? I dischi

furono agganciati da colonne simili a mani ciclopiche che provenivano dalla

muraglia e gettati a terra come fuscelli. La sfera che mi trasportava ebbe un

sussulto e perse stabilità. Cadde a spirale lentamente in mezzo ad un lago. A

contatto con l'acqua si sgretolò come un vaso di coccio ed io provai l'effetto del

gelido fluido, melmoso e profondo. Pensavo che la sfera fosse fatta di energia o

comunque non di materia densa. Caspita, se era un'esperienza psichedelica si

dimostrava sin troppo realistica. Si inzupparono i miei vestiti e annaspai

maldestramente. Ero un buon nuotatore, ma in quella 'fanga' diventava un'impresa

rimanere a galla. Un risucchio potente mi trascinava sotto. Ero nelle 'peste' come si

dice a Viterbo: panico allo stato puro. Tutto lasciava credere che in quell'apocalisse

avvenuta chissà quanti secoli o millenni prima, ero una vittima postuma.

Anche il lago si colorò di rosso. Rivoli di sangue mi fuoriuscivano da orecchie e

naso. Che sapore aveva la morte?

Il solito pessimista. Una mano decisa mi prese per l'avambraccio destro tirandomi

in superficie. Un tizio dalle sembianze umane in tuta militare verdescuro, imbracato

e appeso ad un cordone metallico penzolante da un'aeronave spettacolare, mi era

venuto in soccorso giusto in tempo. Mi avvinghiai a lui e così fummo portati sani e

salvi dentro la carlinga della nave stellare.

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Può un uomo del ventesimo secolo penetrare in un tempo passato, dentro un

universo altro? Quale impatto potrebbe mai avere sulle cose, sulle persone? Gli

eventi, quelli almeno più significativi, si deformerebbero se ci fosse un'interferenza

di un'altra linea temporale? O per qualche sorta di bilanciamento cosmico che tutto

sorregge e ammortizza, ogni anomalia è comunque assorbita nel flusso del

vivente? Quegli esseri che incontrai, ebbero la loro vita mutata per sempre? Nella

mia epoca, esistevo?

Intanto il mio salvatore mi offrì da una busta di plastica del 'cordiale', sì, sembrava

proprio il liquore degli alpini. Mi sentii tonificato, tranquillo come a casa. Intorno a

me c'erano altri militari che mi fissavano curiosi. Feci un cenno con la mano a mo'

di saluto. Uno di loro mi stupì:

- Viterbese?

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giovedì 29 settembre 2011

IUS 44

(LAKUSTRA)

Accennai con la testa ad un 'sì'.

- Cosa sta succedendo dalle tue parti, un'emigrazione di massa? Ma state così

male in quel paese? Diavolo di Scandurra, vi semina dappertutto... come ti senti

adesso?

- Bene grazie. Mi ha riscaldato quel liquore. Ma come mai parli in italiano? Dove

siamo? Ah scusa, il mio nome è Angelo.

- Stiamo salvando le ultime comunità rimaste su Lakustra, pianeta d'acqua. Il Varco

è prossimo ed è bene tenersi a distanza di sicurezza fino al momento decisivo. Il

nostro comando ci ha mandati a recuperarti. I dati in nostro possesso sulla tua

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posizione e tempo erano esatti. Leggiamo con discreto anticipo le tracce del chaos

e questo ci rende in un certo senso attori principali degli eventi.

- Siete umani?

- Siamo esseri come te e come mille altri. Non abbiamo difficoltà ad imparare un

idioma nuovo. Le possibilità della nostra natura sono immense. Le radici sono le

stesse... Piuttosto il mio nome è Geter Delorenzi.

Mi indicò una cuccetta per riposarmi. In effetti ero stanchissimo. Mi passò pure una

specie di tuta mimetica. Ero zuppo e un cambio di panni asciutti era quello che ci

voleva e così feci.

- Esiste in tutti gli universi quella guerra antica per la conquista del Cuore del

Mondo. Nel tuo mondo è quel pezzo di terra che va dalla Mesopotamia all'India. Si

dice che chi lo conquisterà dominerà il mondo. La guerra antica si dispiega in una

rete intelligente così vasta che se ne vede solo un po' per volta. Essa è conclusa

quando sono morti tutti. Non prima. Nel tuo mondo chi detiene le chiavi della rete è

l'Inghilterra, da secoli. Utilizzano migliaia di agenti, dalle più diverse competenze.

Psicologi, etnologi, poliziotti, interpreti, ingegneri, tutti addestrati, tutti provenienti da

famiglie appartenenti alla nobiltà o vicina ad essa. Ma ce n'è uno che coordina

l'intera rete. Dubita sempre su quanto dice un suddito di sua maestà la regina, ma

non tenerne conto sarebbe da stupidi. Le spie più efficienti si muovono come

etnologi che non si muovono mai a caso. Insomma se un etnologo ti vuole entrare

in casa, spranga la porta.

- Come fai ad essere così informato sulla mia Terra? Vivi in un altro universo e... -

mi fece un gesto con la mano come di aspettare.

- Sono terrestre. Ho fatto l'apprendistato nell'anonima e inviato qui, per un compito

speciale e mortale. I miei camerati provengono da altri posti dell'universo. Alcuni di

noi hanno il preciso compito di stanare le spie.

- Che faccia hanno in questo pianeta d'acqua le spie? Adottano la stessa strategia

di tutte le guerre?

- Hanno la presunzione di generare stelle dal chaos, si industriamo in tutti i modi

per anticipare la fine dei tempi a costo di distruggere tutto, anche su questo mondo

creano soldi dai soldi. L'inganno massimo sta alla base della loro strategia. Un

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fumo che uccide.

- Non c'è molta differenza allora con i padroni del vapore che guidano il nostro

mondo. Geter, ma l'anonima talenti è impegnata, quindi, su pianeti e universi per

salvare i popoli dalla fine dei tempi?

- Prepararli, soprattutto. Indicando loro le salvaterre, i luoghi sacri dove ripararsi e

sopravvivere agli eventi cosmici di cambiamento. Tuttavia la strada è tortuosa,

forze avverse controbilanciano egregiamente la nostra missione. Altri, come gli

uranidi, beh, lo sai, stanno lì alla finestra e osservano, di tanto in tanto

intervengono nella lotta ma con risultati non immediati. Una costante universale è

quella dell'interferenza del chaos sull'ordine prestabilito, sull'armonia delle forze,

sulla bilancia dei contrari. Le continue violazioni comportano alterazioni strutturali

sulle cose, sulle persone, sui cicli temporali. Quante volte ci siamo incaponiti su

percorsi che ritenevamo giusti e malgrado la nostra convinzione, mura invalicabili

c'hanno bloccati. Anche se tutti i nostri sacrifici erano destinati a fini superiori,

qualcosa doveva andare male, dalle piccole cose alle grandi.

Forze misteriose sono all'opera. Oltre le nostre capacità e conoscenze.

Sembrerebbe necessario pure il male... e tutto ciò per un pezzo di Cuore del

Mondo.

Rimuginavo le ultime cose dette da Geter. Preparare la gente alla fine. Un atto di

conoscenza, un risveglio. Ma quella poca esperienza che avevo fatto mi suggeriva

che i cambiamenti son sempre individuali. Ogni uomo deve fare la sua parte. Aprire

gli occhi, non è un'azione così naturale, considerando come siamo messi male.

Cosa mettiamo di nostro sulla bilancia della vita? Ho realizzato che la gente, in

generale, è intontita dal sistema, impicciata in mille faccende che non porteranno

alla fine nessun vantaggio o arricchimento. Però i richiami ricevuti da più parti, mi

suggeriscono di lavorare a questo scopo, impegnarmi al massimo per trasmettere

quanto ricevuto. Sarà l'unica consegna da assolvere. Nella terra desolata, insieme

ad altri miei compagni d'arme, daremo tutta la nostra vita, goccia dopo goccia per

rendere di nuovo fertile il suolo. Ricordo le mie letture su Parsifal e il Graal.

Storielle? No, le bugie ce le raccontano a scuola, le fesserie le trasmettono in tivvù.

Le imprese degli uomini risvegliati sono queste: difendere l'ordine dal chaos

dilagante. Come? Proiettando la luce dentro la camera oscura dell'esistenza. Non

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possiamo far uscire tutte le tenebre dal mondo; possiamo introdurvi la luce. Ecco,

questo è il compito.

Improvvisamente ricordai un particolare che mi era sfuggito mentre boccheggiavo

nella fanga di Lakustra. Ardengo mi aveva parlato a proposito di questo pianeta, di

eventi catastrofici collocabili indietro rispetto al nostro tempo ed io, sarei stato una

stranezza temporale. Questo mi dava alla testa. Che cosa voleva dire? Il tempo, già

e come la mettiamo con la mia presenza. Vengo dal futuro, che diavolo accadrà

allora con la mia intromissione? E poi, come fa a dialogare col sottoscritto un uomo

del passato? Insomma, che cosa stava accadendo e in quale pezzo temporale?

Decisi di far conoscere a Geter le mie preoccupazioni assillanti.

- Il mio pensiero non è né sistematico né filosofico, perché come tu già sai è

imparentato com'è più alle materie oscure che alle esasperanti sottigliezze di un

certo pensiero astrattizzante. Il tempo è una grande clessidra che contiene un

titanico pugno di polvere cosmica a rilascio lento, almeno all'inizio, poi sempre più

veloce scorre via fino a svuotarla. La clessidra si rigira per un nuovo ciclo, ma la

polvere diminuisce ogni volta. Spesso si confonde la cosa misurata e cioè il tempo,

con la sua misura. Gli einsteiniani ci hanno giocato con lo spazio-tempo. Il tempo

che è una forma sottile di energia non inesauribile, è contenuto in un'intercapedine

gravitazionale, da dove fuoriesce a flusso nell'universo fino ad esaurimento scorte;

perde così la sua linearità per poi tendere a curvarsi, a chiudersi su sé stesso. Ad

ogni chiusura nasce un resto di tempo pluridimensionale e con esso gli oggetti

presenti nello spazio e immobili nel tempo, come Terranusi. Ti dicevo della fine del

tempo. Bene, vi trovate di fronte alla fine di un'era. Il mondo del dopo non sarà più

quello del prima, pur continuando ad essere fattualmente il mondo. La scomparsa

di Atlantide abbreviò l'era corrodendo il flusso temporale. Vi troverete così a dover

affrontare con anticipo di fase l'anno in cui la Terra passerà il Varco, ad

incominciare dalla fine dell'anno 2012. Nel nostro universo non abbiamo avuto un

continente come Atlantide che ha deragliato dal binario e così il ciclo non ha subito

scossoni e perdita di energia. Tu non ti trovi qui a vivere nel passato, vivi il nostro

presente sebbene sia passato rispetto al mondo da cui provieni. È un paradosso

temporale? No, è il vostro tempo che si assottiglia e la terra collassa. Ehi, guarda

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un attimo ad ore 3...

L'aeronave stava facendo un largo giro verso... non ricordo l'espressione

aeronautica, beh, verso destra. E vidi cosa stava accadendo. Laghi giganti si

alzavano dalla loro sede naturale. Montagne d'acqua venivano risucchiate verso il

cielo e velocemente sparirono tra gli astri e i pianeti dello spazio, visibilissimi e

terribilmente vicini. In mezzo ad un tale finimondo il nostro apparecchio si

destreggiava a meraviglia, come se nulla lo toccasse. Geter mi prese il braccio e mi

indirizzò verso una poltrona. Trascinandomi lentamente mi diressi lì. Finestre-

pannelli video o simili, mi consentivano di vedere lo scenario fantastico che mi

faceva girar la testa. Una vertigine fortissima mi fece quasi svenire, ma la poltrona

evidentemente attrezzata alla bisogna, riuscì a farmi rinvenire grazie alla

produzione di un flusso elettrico a basso voltaggio che attraversò tutto il mio corpo.

Mi ripresi e scoprii che mi si adattava perfettamente, conformandosi a peso e

altezza.

Lakustra, che pianeta! Vidi finalmente le città galleggianti. Strutture incredibili quasi

sospese sull'acqua. Del resto essendo ricoperto quasi totalmente da laghi, era

giocoforza installarvi soluzioni architettoniche che potessero adattarsi alle

caratteristiche veramente uniche del pianeta. Torri altissime si alternavano a

cupole immense, moduli abitativi a parchi, non vi erano strade ma canali, solcati da

motoscafi aerodinamici e cabinati. Venezia 2. Curiosamente la vita su quelle città

sembrava non accorgersi del cataclisma in atto.

- La gente che vedi sono quelli che rimarranno. Poche migliaia di donne e uomini,

di vecchi e bambini che hanno scelto di restare. Pochi in ogni città, ma sufficienti

per continuare a fare destino insieme a quello di Lakustra.

- Ma moriranno, Geter, come potranno sopravvivere?

- Eh, ce la faranno perché hanno trovato i salvaterre e ciò permetterà loro di

continuare la storia di Lakustra, ma sotto nuovi cieli.

Sfiorammo una torre metallica sulla cui cima c'era un grande padiglione. Intravidi

alcune persone che da dietro enormi finestre ci salutavano col tipico movimento

della mano. Poi, improvvisamente, la navicella stellare virò verso l'alto in

diagonale. Non avvertii pressioni: un gioiello ingegneristico. Con l'andar sempre

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più veloci, ci allontanammo da Lakustra in pochi secondi... ma non entrammo, se

così si può dire, nello spazio pullulante di pianeti e stelle. Penetrammo in una zona

quasi senza luce e caliginosa. Intravidi enormi massi, non so di quale materia, che

con l'urtarsi, spezzarsi, moltiplicarsi costituivano una paurosa barriera, e scariche

di energia bluastra gigantesche avvolgevano aree sconfinate di spazio buio.

Frustate di fasci oliocarminio lunghi mille miglia percorrevano da destra verso

sinistra tutta la nostra visuale. Come passare in mezzo a tanto pericolo? Pensai e

mi aggrappai ai braccioli della poltrona. L'astronave procedeva, senza venire

minimamente urtata, in mezzo a tale bolgia. Allora, invece di venir meno dinanzi al

terrifico scenario, incominciai a percepire un senso di dominio sul mondo esterno.

Fui attraversato da un'ebbrezza potente, sovrumana.

Saettavano continuamente sul mio capo semisferoidi luminosi in una sequenza di

colori spettacolare: psicofluidi proiettati dal mio corpo eterico. Tutto all'intorno

scorgevo quell'altissima colossale muraglia rossa vista in precedenza, ma non

arrivavo a conoscere di che materia fosse costituita; più che le parole mi

mancavano le idee di quanto vedevo di straordinario. Non riuscivo a ben

distinguere in che elemento l'aeronave si trovasse a volare. Eravamo circondati da

cose, elementi, sprofondi senza fine. Non vedevo più il cielo, solo visioni terrificanti,

troppo per me. A un tratto – ma forse il tempo non scorreva già più – l'astronave,

sotto l'azione di pressanti forze contrarie, rallentò la sua corsa, finché si fermò. Che

cosa stava succedendo? Dove ci trovavamo? Mi sembrava di essere diventato

vaporoso e di non avere più corpo. Una forza arcana mi teneva lontano da quella

immensa muraglia. Tutto tremò, tutto si agitò, ogni elemento era in rivoluzione.

Frequenze acutissime ci investirono... poi boommm, un boato profondissimo da

scuotere le fondamenta dell'universo, che sentii all'altezza del plesso solare.

Panico allo stato puro. Credevo di essere arrivato al capolinea. A mala pena sentii

la voce di Geter:

- Siamo nel bel mezzo del Varco. Vedi Angelo, l'uomo non crede più in un c**** di

niente come dice Scandurra. Non crede più nell'anima, non segue più un principio.

O accumula denaro o cerca il sesso di un attimo. Per quei 10cc di liquido, magari

sopra un sedile puzzolente di un auto, crede di avere il mondo ma non ha niente,

anzi perde pure quel poco che possiede. La donna invece è prigioniera di se

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stessa dopo millenni di schiavitù; potrebbe disseppellire la potenza, invece che fa?

O imita l'uomo che è oramai finito, oppure si vende per quattro soldi o, ancora, si

dedica fino allo sfinimento agli altri, figli mariti genitori. Si immola senza tenere

nulla per sé. Siamo nel Varco, Angelo, lo specchio cosmico dove ognuno ci vede il

suo riflesso, quello che è veramente.

Le sue parole avevano un effetto riverbero. La muraglia divenne tutta luminosa, di

un bianco sparato e si aprì un valico proiettando un'abbagliante luce. Tra la paura,

la commozione e il pianto, alzai le mani in alto, così semplicemente, implorando

aiuto.

Ecco presentarsi un maestoso e placido cigno bianco. Sbarrai gli occhi per meglio

vedere e allontanare un eventuale abbaglio. Era vero e lucente, con due occhi più

vivi del sole.

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lunedì 31 ottobre 2011

IUS 45

La scena da sola annullò la mia coscienza. Ero il fortunato mortale che attende per

varcare l'impenetrabile barriera che segna il confine del mondo. Ritornerò? La

domanda da buon mortale mi assillava, anziché contemplare la visione

miracolosa. Avvertivo durante le mie avventurose prove, un senso di appartenenza

alla mia amata Terra. Mi interrogavo - quasi avessi la risposta - su come avrei

potuto scamparla. O, nel peggiore degli esiti, cosa sarebbe successo ai miei

genitori, cosa avrebbe provato mio fratello più piccolo? Eppure grazie a Scandurra

avevo potuto provare l'ineffabile. Le nozioni di corpo anima spirito, non erano più

materia teologica o filosofica. Quel fruttarolo di Viterbo, pur usando espressioni

dialettali da sottoproletariato urbano, ci spiegava i massimi misteri del tempo, dello

spazio, della Vita, ci creava immaginifiche costruzioni cognitive per meglio farci

comprendere i livelli dimensionali, dimostrando la necessità di tagliare vincoli,

zavorre karmiche, per volare liberi. Ci ricordava l'umiltà come virtù fondamentale

per ogni realizzazione spirituale. L'umile, ci diceva, sostiene il mondo. Assaporai il

nettare della conoscenza, provai l'esperienza assoluta di viaggiare oltre la realtà

conosciuta, ma ogni tanto, sporadicamente, la nostalgia per quel mondo che mi

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aveva ospitato, mi inondava. Un mantra ricorrente.

Il cigno si muoveva lentamente. Guardava ora a destra, ora a sinistra. Nulla lo

turbava. Sembrava non accorgersi nemmeno della mia presenza. Chi era? Esclusi

la sua natura animale. Un simbolo vivente? Un mito incarnato? Una divinità

manifesta?

Si trovava a non più di 10m da me. Non capivo cosa avrei dovuto fare. Forse

soltanto attendere. Che fretta c'era?

Mentre finalmente riuscii a fermare i miei pensieri, ebbi la percezione istintiva di un

qualcosa che si stava avvicinando da tergo. Poi avvertii un fragore come di una

folla che si stava muovendo verso di me. Mi girai e intravidi lontano, in un fulgore di

luci bianche come mille flash, una colonna di esseri. Persone, sì, donne uomini

bambini che a passo lento si dirigevano nella direzione del cigno. Mi scostai per

non intralciare il loro cammino, ma con grande sorpresa mi accorsi che rallentavo

meccanicamente. La sensazione fu curiosa. La fiumana umana procedeva con

andatura normale ed io annaspavo, tentavo di sbrigarmi senza successo. A mala

pena evitai di scontrarmi con i primi della colonna. Il loro aspetto denunciava uno

stato d'animo quasi di sogno, sebbene non avevano la difficoltà di movimento che

avevo io. Appartenevano sicuramente a quella terra, Lakustra, lo sapevo...

semplicemente. Non vi era nei loro volti paura né tormento. Piccoli e adulti

possedevano una forza, una convinzione per quello che facevano malgrado la

strana condizione ambientale e coscienziale in cui versavano. Era una

processione lunghissima, senza fine. Ognuno passando di fianco al cigno, lo

salutava con un cenno della testa, spontaneamente. Credevo di essere invisibile ai

loro occhi – chissà perché – invece alcuni si giravano e mi guardavano sorridendo.

Contraccambiai.

La mia anima si apriva: un moto profondo fuoriusciva incontrollabile verso quella

gente. Potevo sentirne gli umori, i pensieri, le tensioni. Non solo. La gioia vera, alta,

serena si estendeva dappertutto. Avvertivo l'umanità di quella marea di persone.

Come un suono proveniente da lontano che si avvicina progressivamente, ascoltai

un canto che mi entrava dentro con la sua vibrazione, un'onda oceanica invadeva

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il flusso sanguigno che si illuminava perché raggiungeva il cielo. Una melodia

stupenda, ricca di sentimento ma non sdolcinata. Potente, ci prendeva al petto. Da

dove veniva quel canto bellissimo? Non riuscivo a capire, ma poco contava.

Sembrava che l'universo, come un'orchestra infinita, suonasse il suo inno alla

gioia. Dov'ero? In paradiso? Tutte quelle anime avevano un corpo, ne sentivo i

passi, l'ansimare dei più anziani e il vociare dei piccoli. Se non era quello un posto

edenico, sicuramente apparteneva ad un sovramondo oltre ogni più sfrenata

immaginazione. Mano a mano che passava il tempo – ma il tempo, passava? -

gradualmente, sopra la testa di ognuno di loro, si formavano luci abbaglianti, stelle

raggianti di colori, delle dimensioni di una mela: angeli custodi o forme dello spirito

che non hanno forma. Lo scenario era fantastico come la copertina di un disco

degli Osibisa. Da quel momento, la fiumana cambiò atteggiamento. Tutti, nei modi

più diversi, manifestavano contentezza, alcuni cantavano, i bambini saltavano.

Erano belli, felici. Il Varco trasformava l'essere, o meglio, lo trasmutava. Ma chi

sceglieva chi? Chi decideva chi doveva varcarlo? Altre persone sarebbero rimaste

su Lakustra. Vi era, quindi, una selezione, un criterio discriminante. Oppure cosa?

Poi mi sentii assorbire. Sì, il termine è questo. Qualcosa mi traeva verso il punto più

lontano del Varco. Velocemente fui allontanato. Troppo velocemente. Persi i sensi.

Geter sorrideva e mi sosteneva la schiena. Ero di nuovo seduto all'interno

dell'aeronave. Intorno, gli altri militari mi squadravano con curiosità. Cercai di dire

qualcosa, ma le parole non mi uscivano. Ero stordito, fiaccato nel fisico come dopo

una lunga fatica. Di nuovo bevvi quel liquore. Mi ripresi.

- Hai potuto avere un'esperienza mistica che diventerà mitica quando la narrerai

alle generazioni future – mi fece Geter.

- Ma cos'era, il paradiso?

- Oh Angelo, non si ritorna di solito da quel posto. Hai avuto la possibilità di essere

testimone di un passaggio cosmico di un mondo in un altro mondo.

La gente che hai veduto non sono defunti. Donne uomini bambini in carne e ossa

attraversano il ponte del Varco. Un ciclo è giunto alla fine e la ruota gira

nuovamente. Di esodi ce ne sono stati molti nella storia dei nostri popoli. Ma si

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fuggiva da qualcuno o da qualcosa di terribile. Il Varco, invece, è una grande

occasione, unica, formidabile per quella generazione che arriva al termine di

un'era.

- E tu Geter non li invidi?

- Ognuno di noi ha un compito. Cerco di onorarlo. È già un miracolo trovare una

causa per cui val la pena morire. Quanti vagano trascinandosi durante tutta la vita,

senza una stella di orientamento, senza un senso da dare all'esistenza. Ognuno di

noi ha una missione da compiere in questo tratto di strada della Vita, ma pochi la

scoprono in tempo.

- Ora Geter che faremo?

- È necessario per te vedere come il caos opera. Ti servirà al momento opportuno.

La Terra, la nostra Terra affronterà il Varco come i lakustriani. Ma non è automatico.

Le leggi celesti non sono programmi definiti e rifiniti in ogni dettaglio. C'è un

margine, un fattore squilibrante, necessario, maledettamente necessario. Lo hai

incontrato credo... l'Ombra. Già quando da piccolini scopriamo il male nelle sue

forme relative magari, cominciamo a domandarci perché. Perché se la Creazione è

opera di Dio, sommo bene, vi è una parte oscura che tende a violare quest'ordine?

È implicito nella Creazione il male? E allora Dio ha una faccia oscura? La libertà di

scelta di ogni creatura è autentica libertà o è un frammento di quel disordine? Se

non vogliamo essere automi, quanto male siamo disposti a concedere per avere

la libertà? Chi ti parla è un soldato che non di rado ha ucciso e ha incontrato mille

volte il male e per molti miei nemici potevo io apparire il male, il loro male. Ho

tradito spesso il nostro codice per far rientrare in un altra prospettiva le cose. Ho

abiurato la mia fede per non distruggere quella altrui e dopo, rivisitando le mie

azioni, vergognandomene, ma soprattutto pentendomene amaramente, non ero

più così sicuro di stare dalla parte giusta. Se l’uomo, come si legge nel Prologo di

Zarathustra, il mio libro- chiave da giovane, è un cavo teso tra la bestia e il

superuomo, io mi ci sono sentito in più di un'occasione, e ti giuro Angelo, era

qualcosa di terribile.

- Scandurra ha uno strano rapporto con quell'essere maligno, l'Ombra. Non

capisco. Sarà la mia cultura cattolica preconciliare, ma credevo che col male non si

negoziasse.

- Invece si negozia, eccome, caro Angelo. Ci si insozza fino a sentirtelo dentro.

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Diventa parte della tua natura. Difficile combattere un nemico che ha teste di ponte

nel tuo cervello.

Ti riporto sulla Luna. Tutto inizierà da lì.

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sabato 10 dicembre 2011

IUS 46

«Il mondo vive di scintille di purezza; quando sono disseminate nel mondo e

vengono poi raccolte, il mondo dell'impurità crolla su se stesso».

Jacob Taubes, La teologia politica di San Paolo, Adelphi,

Milano 1997 (pagg. 31-32)

La pressione sul plesso solare fu tremenda. Persi alcune facoltà sensoriali. Anzi,

subii l'effetto d'inversione di attese cinetiche. Vedevo in movimento ciò che

ordinariamente e logicamente doveva restar fermo. Il pavimento, non so di cosa,

girava e oscillava ad altalena ed io avvertivo la gravità schiacciarmi verso un asse

ortogonale posto in fondo all'abisso. Poi un tavolaccio... ci stavo sopra ed ero nudo

come un verme. Un freddo boia mi costrinse ad assumere la posizione fetale. Dove

diavolo mi trovavo? Nella casa del diavolo, appunto. Il castello dell'Ombra. Di

nuovo. Perché? Mi sarei dovuto dirigere verso la Luna. Perché? Cosa era

successo? Un casino temporale?

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La perversa cucina piena zeppa di laghi di sangue, era sempre la stessa. Terrifica.

Darest Sharma! Sembrava che ci dovessi comunque fare i conti. In un modo o

nell'altro. Mastro Fornari, Ranna, Scandurra, dove eravate? Avrò un altra

occasione?

L'odore del sangue e il rumore degli insetti famelici, rappresentavano il simbolo di

questo posto. La nudità mi creava non pochi problemi. Nella mia testa si agitava la

speranza di risentire la voce sghignazzante del maestro che mi avrebbe di nuovo

salvato. Ma i minuti passavano e non si vedeva via d'uscita. La luce che entrava

dalla finestra era quella del tramonto. Provai – povero illuso! - a chiamare

sottovoce Scandurra. Dall'esterno provenivano rumori di passi e di trascinamenti di

cose o... di spuntini umani. Uscii dalla cucina e mi inoltrai con cautela lungo il

corridoio. In punta di piedi, muro muro, raggiunsi una svolta verso sinistra. Altro

corridoio e stessa situazione. Mi dovevo sbrigare: dicevo a me stesso ''pensa,

Angelo, pensa''. Rammentai le regolette d'oro di Scandurra. Se spando il lumen,

esso mi avrebbe aiutato a trovar la via di fuga innescando una serie di eventi utili a

farmi uscire da questa trappola mortale. Il lumen contrasta efficacemente il kaos. Mi

venne, però, l'ansia. Brutta cosa, l'ansia. La paura blocca ogni azione sovrana.

Ebbi una sorta di crisi isterica. Non avevo più il controllo del respiro e della volontà.

Lasciai andare il corpo verso la parete e scivolai lentamente a terra. Ansimai a tal

punto da sentirmi soffocare. Il panico ebbe il sopravvento. Giocai male le carte a

mia disposizione. Eppure riuscivo abbastanza bene a modulare il lumen, a

direzionarlo, a metterlo nelle condizioni di evidenziare inghippi magici, a

smolecolare larve e assorbire latenze psichiche mortali. Eppure, in quel momento

fatidico, ero bloccato, un corpo morto senza reazioni, prigioniero nel posto più

malefico di quello strano universo.

Lo stato penoso in cui versavo derivante dal ritorno malaugurato a Darest Sharma,

pensai, forse era necessario per il mio percorso di risveglio. Tornare all'inferno,

quando sembrava, invece, che i miei incontri-avventure-visioni fossero

predominanti e liberatori della mia fase; ecco, ritrovarmi nella casa del diavolo –

senza enfasi – riguardava una verifica, meglio, una prova da superare lungo la via

iniziatica. Affrontare i mostri interiori fino alla loro distruzione, rappresenta il primo e

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decisivo passo dell'Opera al Nero. Già, ma avrà un termine la Nigredo?

Eppure l'esperienza sembrava interna/esterna. La paura mi paralizzava. Senza

l'aiuto di Scandurra come avrei mai potuto fuggire? La botola del GRA

interdimensionale, ma sarebbe bastata anche una di quelle transitorie, chi diavolo

le avrebbe aperte? A proposito del diavolo...

- Sei sul limitare di una porta spalancata sull'abisso. Darest Sharma collega tutti gli

inferni degli universi... ed è molto trafficata come potrai constatare nel giro che

faremo. Non sarò il tuo Virgilio, eh eh, ma il padrone di casa in persona.

L'Ombra era dietro di me. Mi voltai con lentezza involontaria. Rattrappito come ero

dal terrore non mi riuscì di fare più in fretta. Eccolo. Da brividi. Alto più di me di due

spanne, intabardato da quella tunica argentea animata, sembrava sorridermi. Poi

si girò e lo seguii verso una porta poco distante.

- Lì troverai dei vestiti. Spero che siano adatti. Un attendente ti aspetterà fuori dal

vestibolo e quando sarai pronto ti condurrà nella sala imperiale.

- È stato lei a dirottarmi nel suo castello?

- Il corpo umano... quest'ammasso di oscure energie e di proteine facilmente

sublimabili... ma c'è la custodia.

- La custodia? - ripetei sbalordito.

- Sì, l'uovo-anima e visto che il tempo è una ruota essa può agganciarlo in ogni

punto della circonferenza e viceversa. Ed ora sbrigati che fa freddo.

Si allontanò senza far rumore. Appena entrai trovai una stanza enorme che si

illuminò automaticamente. C'era, appoggiata ad una parete, una panca e di fronte

un guardaroba fornitissimo, funzionale e con un certo qual stile, scarpiere e tutto il

necessario: fazzoletti, acqua di colonia, rasoi ecc.. Compresi dalla forma la

funzione di questi oggetti anche se la foggia era alquanto bizzarra. Trovai

un'enorme varietà di indumenti. Scelsi un paio di calzoni marroni di fustagno e un

maglione a collo alto color senape, morbido e leggero. Stivaletti di pelle... di chi?

Non ebbi problemi con le misure e finalmente mi sentii meglio, comodo e più

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sicuro. Non mi avevano mangiato, almeno.

Scandurra in più di un'occasione mi ha assicurato che in caso di estremo pericolo,

avrebbero vegliato misteriose intelligenze soprannaturali. In ciò confido. Ogni

religione tradizionale asserisce tale verità, ma se si escludono pochi fortunati o

prescelti che ne hanno fatto esperienza diretta, il resto dell'umanità alle soglie del

duemila deve ancora aggrapparsi alla fede. Leggo sul Giornale dei Misteri

dell'approssimarsi di un'Età dell'Acquario, di psicotematiche, di messaggistica

medianica che preannunciano grandi cambiamenti che riguarderanno tutti. Non ho

motivo di dubitarne. So dell'esistenza di universi paralleli per esserci andato, di

mondi abitati da esseri come noi o quasi, dagli intenti diversi ma in buona parte

positivi, costruttivi, dotati di eccellenti qualità etico-morali. Tali premesse fanno ben

sperare in un possibile contatto tra i mondi, in special modo noi di Madreterra con

le altre civiltà stellari. Una rinnovata visione cosmica è necessaria, anzi, di vitale

importanza per noi uomini del XX° secolo. Abbiamo dimenticata la nostra vera

origine, senza per questo sottovalutare la responsabilità di una élite segreta che ha

soppresso la conoscenza per dominare i popoli, sta di fatto che non possiamo

rimanere ciechi e sordi e continuare a vivacchiare, senza orizzonti, privi di

speranze e progetti. È tempo di cambiare. Sento forte in me l'esigenza di gridare ai

quattro venti che esseri incredibili popolano i cieli, che da quando esiste il mondo

ci fanno visita, e per comunicare con loro non ci vogliono requisiti speciali o

raccomandazioni politiche. Sono disposto a donare all'umanità gli strumenti per

accedere all'arcana struttura parallela: le botole scandurriane. La responsabilità

già l'avverto. Il peso forse mi schiaccerà. E se alcuni ne facessero un uso

improprio? Se i potenti che governano la Madreterra, prendessero con la violenza

gli accessi interdimensionali? La storia ci insegna a dubitare di chi vuole decidere

per gli altri. Tuttavia, certe conoscenze non possono rimanere nascoste e sottratte

agli uomini per troppo tempo. L'energia dello spirito come un fiume carsico emerge

all'improvviso, si incarna e spariglia i rapporti di forza. Forse l'era nuova porterà

nuova libertà, lo spirito si riprenderà il posto rubato dalla cultura del profitto. Forse.

Mentre mi accingevo ad uscire dallo spogliatoio, una vibrazione sinistra risalì dal

coccige fin su il cervelletto. Perché quella visione edulcorata dell'èra acquariana si

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scontra con una realtà complessa, bipolare, manichea. A margine del visibile, vive

un mondo pieno di forze diaboliche, un mondo che possiede le proprie leggi e

interferisce nelle esistenze umane. Una dimensione oscura confina e si mescola

con la nostra e da essa provengono entità terrifiche, distruttive, capaci di entrare

nell'uovo-anima di soggetti particolarmente predisposti, oppure di influenzare e

indurre donne e uomini a compiere i più spregevoli misfatti. La nuova èra se deve

giungere dovrà prima cimentarsi con un passato che non passa. Nulla è scontato,

niente è già deciso.

L'attendente che mi aspettava non sembrava proprio un soldato. Aveva l'aspetto e

il fare da prete, con un abito talare rosso lungo fino alle caviglie, il volto giovane da

seminarista con un taglio di capelli 'all'Umberto'. Mi sorrise e arrossì, fece un cenno

ad indicarmi di seguirlo. Così feci. Il suo passo spedito, nervoso mi obbligò quasi a

correre. Attraversammo corridoi, pianerottoli, salimmo scale dai gradini antichi fino

ad arrivare ad un enorme salone di stile medievale terrestre (forse il medioevo era

uguale dappertutto?). Alle pareti vi erano agganciati spadoni, appese picche,

appoggiati al muro scudi dai blasoni colorati con scene di guerra o con animali

esotici. Vi faceva bella figura pure una testa di bestia a metà tra un leone e un

cinghiale, forse trofeo di caccia. Un tavolo rettangolare 3 per 15 era posto al centro

della sala ottagonale, dal soffitto altissimo. Insomma, la scena era tutto meno che

strana. Un castello, semplicemente. Questa era la mia prima impressione. Il prete

mi indicò una grossa seggiola legnometallo a capotavola. Lui si allontanò in tutta

fretta. La luce filtrava attraverso il vetro colorato e disegnato di un finestrone a

forma di losanga. Appoggiai le mani sul tavolo, era freddo e al tatto sembrava

gommato. Intanto, la mia mente cominciava a viaggiare con le ipotesi. Cosa mi

sarei dovuto aspettare? L'Ombra si sarebbe ricordato che ero un allievo del suo

amico/nemico Scandurra? Cosa voleva da me e cosa avrei potuto dargli? Mi

convinsi, comunque, che non mi avrebbe fatto del male. Mi sembrava l'unico dato

certo. E poi, il maestro non mi avrebbe lasciato lì, in balia di persone ed eventi

minacciosi. È un peccato morire da giovani quando sembra che la vita e l'universo

si spalanchino davanti.

L'Ombra si faceva attendere.

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- Si vede solo ciò che già esiste nella mente. Quante cose sfuggono a causa di

schemi... - Con tono sommesso mi fece sobbalzare dalla sedia.

Era dietro di me. Non riuscivo mai ad avvertirlo arrivare. Mi alzai e lo guardai da

vicino. Il suo volto era scavato come quello di Edoardo De Filippo, ma con un

ghigno persistente e dagli occhi piccoli, fessure terribili che ti scrutavano dentro.

L'esperienza di stargli di fronte non era per niente salutare. Ricordai che Scandurra

mi diceva di mettermi leggermente di traverso quando incontravo un potenziale

nemico o uno sconosciuto.

- Ottima tattica. Sei proprio un buon allievo di Scandurra.

- Non deve offendersi, signore. Adotto semplici accorgimenti automaticamente.

- Da tempo che non mi imbattevo in un inviato di quell'atlantideo. Per giunta un

terrestre. La forza, quella vera del tuo maestro, è di non odiare nessuno, nemmeno

i nemici più feroci e, ti assicuro, ce li ha a iosa! Ha uno spirito direi unico. Sembra

sempre che si trovi per caso in ogni plaga degli universi, mangiando quelle cose

oleose e dagli odori pungenti e trangugiando bevande fermentate... poi che fa?

Risolve situazioni tra le più ingarbugliate ed evita pericoli immani con la stessa

facilità con la quale addenta il pane unto che conserva sempre in quelle tasche

infinite. È nato così. Un miracolo in carne ed ossa. È impossibile ucciderlo o

ingannarlo. Forse solo se lo decide lui...

Lasciò quella frase in sospeso. Che voleva dire? Devo sottolineare che l'Ombra

parlava un italiano con una inflessione mai sentita prima. È banale ciò che dico, lo

so. Non riesco a spiegarmi bene quando devo descrivere fatti gente cose così

estranee al nostro comune sentire. A volte sembrava uno di noi, altre un essere

così lontano dalla nostra esperienza umana. Eppure, vi era qualcosa in lui che lo

rendeva comune alla razza da cui provengo. Chi era realmente l'Ombra? Il diavolo

così come è descritto dalle teologie? O un uomo che ha tradito l'umanità?

- Come era il mondo prima delle tenebre? Lo sai, Angelo? La nostra schiatta ha

una grande nostalgia, malata, degenerante. Soffriamo della mancanza di ciò che

non abbiamo mai posseduto. Allora distruggiamo tutti i nodi divini che vi collegano

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ai cieli e rendono la vostra natura luminosa. Siamo malvagi? Oh no, questa è una

categoria banale. È qualcosa di più blasfemo.

Si agita in noi la volontà di far strage di ogni essere, creatura che abiti nei nove

universi, per rimanere soli, non per sostituirci al Dio che conosci, ma per essere

amati come unici figli rimasti, almeno per una unità di tempo. Non potrebbe altresì

condannarci, sarebbe contro la sua legge. Farebbe risorgere ogni essere e

creatura da noi uccisa, rendendo cento al posto di uno per ogni sofferenza e dolore

patito dai suoi. Facciamo il male a fin di bene... Siamo in realtà costruttori di

paradisi nel momento in cui distruggiamo tutti. Attori consumati nel teatro

dell'infinito, a cui è toccato il ruolo più odiato ma pure necessario. La genialità

dell'errore sta in questo.

Assumere una identità contraria a tutto in modo da liberare dall'errore e dalla

tentazione i più fragili, portando il carico più pesante del cosmo.

Stiamo perdendo anima, gradualmente, inesorabilmente per questa opera

immane. La paghiamo con dignità, consapevoli della fine.

- Se ho capito bene, in fondo lavorate per il Creatore in un compito infame ma utile.

- Gioco al rapace che si trastulla con la preda impotente e per rendere più

interessante la caccia si traveste da suo simile. Seguimi che ti faccio vedere come

la mente inganna e come brucia l'inferno. Lo promisi a Scandurra di trasmettere la

conoscenza delle tenebre ad un eventuale apprendista. Sul sentiero si incontrano

ostacoli inaspettati, ma solo in apparenza nuovi. Le forme cambiano spesso, il

fuoco che le anima è sempre lo stesso.

Ci avvicinammo presso una porta rossa di ferro. Lui pronunciò bisbigliando alcune

parole. Nell'occasione non utilizzò il mio idioma, ma una lingua lontana, dal suono

arcaico.

Radenà zaril nardùk … assal denda magalat

anedàr liraz kudràn … lassa adned talagam

La portà però non si aprì, come invece mi aspettavo. Fu il pavimento a lastroni

marroni ad allungarsi e tutto si fece più esteso. Le mura, il soffitto, le cose, si

dilatarono o forse noi ci stavamo allontanando. Difficile a dirsi. Incominciai a

preoccuparmi. L'Ombra si chinò e colpì terra con un pugno. La scena rallentò

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gradualmente fino a fermarsi. La porta rossa sembrò dischiudersi con uno scatto,

come da un comando elettrico. Mi precedette e io non potei fare altro che seguirlo.

Per troppi secoli il potere di una minoranza ha negato l'accesso alla conoscenza;

le chiese perdono terreno, la fede diviene un fatto sentimentale e le montagne non

si spostano più. Certi libri di magia e occultismo, son giudicati fandonie per fessi e

paranoici, ma anche il più misero e cialtronesco di questi racchiude una verità

fondamentale, più di ogni testo di scienza accademica, più di ogni trattato

sociologico e studio psicologico. L'analogia, ossia l'azione a distanza senza l'uso

dei sensi e di mezzi ordinari, è la base della magia. Simboli e figure mitologiche

sono schemi d'energia, porte che dischiudono saperi e cose di altri piani. Forze

cosmiche ci mantengono in vita e sottili rapporti sussistono fra mondo corporeo e

mondi incorporei. Se vogliamo riascoltare i cieli e la terra dobbiamo farci sempre

più sottili, perdendo i metalli che compongono il nostro ego e fonderci con il soffio

della vita, e vibrare nell’eco dell'antico suono. Se il mio cuore vibra in frequenze

più alte ciò aziona un processo analogico nel cuore del mio prossimo. Se vibro

evoco forze superiori. Ogni manualetto di magia pratica ci insegna queste semplici

e decisive realtà. Ma quanti gli danno retta? Chi si mette con pazienza e costanza

a far pratica?

Ho letto un libro dal titolo 'Ciclomanzia' che promette poteri paranormali attraverso

gli esercizi di immaginazione guidata. Ho illustrato il contenuto a Scandurra: mi ha

confermato la bontà delle tecniche ivi descritte, sebbene critica l'uso che l'autore

indica. Alcuni credono di intercettare la possibilità di acquisire poteri e allora si

impegnano fino allo spasimo per provare e riprovare tecniche: se l'intento è quello

del profitto, sarà un fallimento. A nulla valgono le raccomandazioni di maghi e

alchimisti. L'uomo moderno è desideroso di potenza, di capacità extraumane onde

influenzare il prossimo per squallidi fini. Poco gliene verrà. Sarà un portatore di

larve e di mestizia.

- Non accendere la tua luce, se non vorrai esser sbranato dal mostro in

perenne agguato – così mi ordinò il negromante.

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Scandurra invece mi esorta a evocare il lumen per meglio vedere e attingere

energia vitale. L'Ombra vuole ingannarmi o mi mette alla prova? Che cosa devo

fare? È una tattica? E poi di che mostro parla? È una prova mentale?

Varcai la porta rossa e storzai, sussultai perché mi trovai di fronte ad una belva dal

collo taurino e dalla testa di felino, il suo corpo tozzo e grigio era senza peli.

Grosso come un vitellone, l'animale si trovava appollaiato su di un piedistallo

cilindrico di roccia, posto in una grotta verde smeraldo grande come un garage.

Emetteva un ringhio sfiatato, e si leccava il muso con una lingua rossastra. Ero ad

un bivio: scegliere se usare il lumen o seguire il consiglio dell'Ombra, che tra l'altro

era sparita. Optai per il lumen e la bestiaccia mi ruggì contro con tutto il suo fiato.

Un puzzo orribile mi investì insieme alla saliva, che scoprii essere urticante. Il viso,

il collo e le mani erano piene di bolle, dopo pochi secondi. Cercai di togliermela di

dosso, invano. Mi bruciava tutto e mi grattai spasmodicamente. Cavolo! Forse

aveva ragione il padrone di casa, non avrei dovuto esibire i documenti, cioè il mio

potere luminoso. La bestia si lanciò su di me. Tremavo così tanto da dissociarmi.

Era a pochi centimetri da me, ormai. Non riuscivo nemmeno a scartare di lato, la

paura mi paralizzava. Temevo di non essere pronto di fronte ad un pericolo:

attraiamo gli eventi secondo la nostra natura.

Un colpo a mano aperta colpì irrimediabilmente il bestione sul collo, schiattò per

terra a pochi centimetri dai miei piedi. Scandurra allontanò con un calcione

l'animale.

- Non rimpiangere di non aver dato ascolto all'Ombra. Quello lì, se gli viene fatta

bene, ti fotte. Tutto è prova dice lui... certo, ma ci sono pure le fregature, i frutti

velenosi. Ovunque tu spanda il lumen, noi lo avvertiamo.

Abbracciai con tutti i sentimenti quell'uomo incredibile. Quando c'è bisogno, eccolo

spuntare.

- Allora non era un inganno mentale quella specie di leone?

- Macché, era una bestia bastarda che se avesse potuto ti avrebbe sgranocchiato

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come un croccantino. Angelo mio, 'sto posto è diabolicamente satanico... non so se

ti ho reso l'idea. Ora andiamocene, è meglio. Sarà per un'altra volta la gita turistica.

Uscimmo dalla porta rossa verso il salone. Il mio maestro ruotò per alcuni secondi

le dita della mano sinistra in senso orario, emise uno strano verso e poi corremmo

via verso l'uscita. Ovviamente Scandurra aprì una botola transitoria, quelle di

passaggio breve, che si trovava non so per quale magia accanto agli scudi

poggiati al muro.

Vibrazione ronzio nausea antigravità... eccoci in un boschetto lussureggiante di

piante fiori alberi dai più svariati colori. Scandurra mi consigliò di abbandonare gli

abiti, se non volevo rischiare di essere seguito dall'Ombra.

- Ha un naso eccezionale quell'essere. Ti sente anche se stai su di un altro

pianeta. Dietro quel frattone ci sono degli abiti. Non sono italiani, certo, ma

comunque svolgono bene il loro compito.

- Va bene, vado e mi cambio.

Mi svestii in tutta fretta e aprii il sacco dove c'erano i nuovi abiti. Già, una

calzamaglia verdastra e stretta, un giubbotto di pelle marrone e un paio di stivaletti

dello stesso colore, morbidi. Sembravo un paesanotto medioevale vagante in un

altra dimensione. Pazienza. Uscii dalla fratta ma di Scandurra nemmeno l'ombra.

Si trovava penzolone sul ramo più grande di un albero vicino, tentava di prendere

un grappolo di bacche arancioni.

- Sono buone, sai? Dolcissime e ti daranno pure forza. È quello che ti serve.

Le staccò con forza e ridiscese con insolita agilità. Me le porse. In effetti erano

buonissime, assomigliavano alle amarene. Le mangiai tutte con una certa

ingordigia e come per incanto le bolle e il prurito sparirono in pochi secondi. Poi

Scandurra sbottò in una risata senza freni.

- Ma ti sei visto? Sembri un ballerino con le palle al fresco.

- Mi hai rimediato una cosa assurda. E poi mi sfotti pure. Che devo fare. Qui dove

trovo dei negozi di abbigliamento? - feci io un po' seccato.

- Torniamo a Deya e ti porto in uno spaccio fornitissimo, dove puoi trova' 'gni cosa.

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Vestiti, cibarie, radioline, armi. Tutto quello che serve a dei viaggiatori come noi. Mi

fanno credito, sai, sono un eroe nazionale. A Viterbo non conto una sega, in questo

universo mi son fatto una posizione. Eh eh.

- Quanto dista la città?

- Se camminiamo senza fermarci, impiegheremo due giorni. Se faremo delle soste,

meno di una giornata.

- Come? Ma perché non usiamo la benedetta botola?

- Ti perderesti il meglio. Non possiamo usare sempre la via breve, camminare è

un'arte, si impara molto passando su sentieri mal frequentati. E poi, vuoi mettere i

pericoli, i trabocchetti, gli oscuri dietro ogni fratta o grotta, zingari felici che

spargono malinconia e ladri furbacchioni, pezzi di merda e abitanti dei regni

intermedi. Se vuoi accujarti prendiamo il sottopasso cosmico, ma fidati, ci

divertiremo per strada. Non temere, al limite sparisco e poi ricomparo.

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venerdì 20 gennaio 2012

IUS 47

Ritorno a Deya 1

''Col ricordo risvegli i sensi''.

Scandurra

''… ce l'hai presente il bumeranghe, sì, quello che usano l'australici? Beh, il suo

baricentro si trova dove non c'è massa, al di fuori di esso: così è per lo spirito

dell'uomo''.

Scandurra

''… gli atlantidi c'avevano una conoscenza tale da illuminare a festa la Via Lattea, o

da farla esplodere. È bene giungere così in alto? L'uomo saprà mai contentarsi del

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giusto?''.

Scandurra

Deya mi mancava. La città-labirinto, crocevia dell'universo dove il Grande Tempo

scolpiva la materia, luogo di mille intrighi, di ordini oscuri e di luminosi esseri,

rappresentava il centro della conoscenza. Deya, nome magico che mi risuonava

dentro. Forse avrei rivisto Ranna. Quella tipa così distante, altera, nobile, mi

affascinava.

Ci inoltrammo nel bosco. Ogni tanto Scandurra si soffermava a tastare un frutto per

vedere se fosse maturo (deformazione professionale?); staccava un ramo a 'V' e lo

imboscava nel cappottone; sfiorava un fiore a calice e palpeggiava il tronco di un

albero; spianava col piede un piccolo 'montarozzo' di terra fresca. Insomma, aveva

comunque qualcosa da fare e quello che faceva sembrava avere un senso, ben al

di là delle apparenze. Conosceva ogni piazzola, sentiero, fosso che incontravamo.

Un perfetto viaggiatore di mondi e universi, senza passaporto perché di casa

dappertutto.

La temperatura si faceva più tiepida all'imbrunire. Gli odori erano forti e spade di

luce rossoviola attraversavano le fronde e toccando terra sembravano continuare il

loro viaggio altrove. A mala pena si intravedevano movimenti di animali – o chissà

che altro – tra gli arbusti.

- Caro Angelo, se non vi fossero due opposti non sarebbero possibili i campi di

forza. 'Ste forze agiscono in parallelo per coesistere, altrimenti non potrebbe

circolare l'energia, né scorrere le correnti luminose e tenebrose nel cosmo ed in

ogni dimensione. Se vuoi scacciare il diavolo devi scaldare l'acqua santa col fuoco.

Dappertutto le forze tendono ad equilibrarsi e ad annientarsi in specifici ritmi di

aggregazione e disgregazione. Queste sono le leggi delle materie oscure. Tienile

bene a mente, ti serviranno presto.

- Scusami Scandurra, sono un po' confuso...

- In fondo... tutto si riduce a una misurazione di forze.

Intanto mi indicò di sedermi ai piedi di una roccia grigionera che non sembrava

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così naturale, conficcata nel bel mezzo di un piccolo spiazzo. Un menhir messo lì

non certo a caso, magari ad indicare un … campo di forza, appunto.

- Ricevi in questo modo lo spirito del luogo. Un lasciapassare per essere accolto

come amico. Non si entra a casa degli altri senza prima bussare.

- Che genere di abitanti si trovano qui?

- I senzacorpo... spettri... adesso seguirò le loro impronte spettrali per cercare un

contatto.

- Perché? Cosa ci debbono dire?

- Sono io che devo informarli su certe cose.

- Spettri dici, sono quindi anime di defunti?

- No, sono antichi abitanti del posto legati a questo piano anche quando cambiano

di stato. Spettri che mantengono un centro di coscienza sostenuto da un'energia

quasi infinita. La loro vita continua senza per questo abbandonare il posto dove

hanno vissuto prima.

- Ma li posso vedere anche io?

- Se c'hai core [coraggio]...

Ecco di nuovo una prova. Ogni passo, un incontro fatidico. Scandurra ad un certo

momento prese dalla tasca del cappotto un pugno di terriccio giallastro, lo gettò per

terra e si accovacciò. Premette le mani su quel composto. Era il suo rituale. Le

mani aperte, parallele con le dita separate: segno ancestrale di quelli che erano in

contatto con le ombre. Mani, ponti con l'aldilà. Mormorò una frase incomprensibile

che produsse un effetto risonanza, poi si alzò e attese.

Mentre sostavo ai piedi del masso, mi venne in mente un episodio, uno dei tanti, in

cui provai un'emozione travolgente. La primavera dell'anno scorso, Scandurra ci

portò a noi dell'anonima, sul Monte Venere in prossimità del Lago di Vico, a pochi

chilometri da Viterbo. Raggiungemmo una serie di grossi massi naturali (forse)

vicini alla sommità; da lì potevamo ammirare quella magica terra al tramonto.

- Questa è l'ora buona per vedere le porte del cosmo aprirsi in tutto il loro

splendore. Mettetevi a cerchio e prendete le distanze a braccia aperte... come a

scuola. Il cerchio chiama il punto che spinto con decisione mette in moto

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l'ingranaggio... è tutta una questione di misurazione di forze.

Così facemmo. Eravamo in quell'occasione in nove. Sei maschi e tre femmine, di

età diverse ma tutti accomunati dallo stesso ardore. Sebbene fosse caldo, un

venticello fresco ci colpì ad altezza collo. Un tuono profondo ci scosse, proveniva

da est. Il cielo era sereno. Di seguito, un altro tuono più forte ancora ci raggiunse

dalla stessa direzione. La terra sotto i nostri piedi tremò. Guardai un po'

preoccupato i compagni e una sorta di tremore circolò fra noi. Cosa stava per

succedere? Quale diavoleria ci serviva Scandurra?

- Bene, ora possiamo ritornare alle nostre macchine – ci invitò Scandurra divertito.

- Tutto qui? - fece Claudia.

Ci precedette il maestro con la sua andatura caracollante. Tra di noi ci

scambiammo qualche commento di sorpresa mista a delusione. Raggiunte le tre

automobili accostate ai bordi del sentiero montano, ci salutammo un po' interdetti e

procedemmo lentamente sullo sterrato verso la provinciale. Quando, come

apparso dal nulla, incrociammo un magnifico cavallo baio guidato da un cavaliere

con tunica rossa e calzari, come nei film mitologici di Maciste ed Ursus. Sembrava

una comparsa di Cinecittà.

- Ma che girano un film? - feci io.

- Boh? Mi sembra 'na carnevalata. Grande, grosso e cojone. A quell'età ancora si

traveste da saettone [bamboccione giocherellone] – rispose Quintilio.

Il tizio sul cavallo si fermò dopo averci superato. Lo vedemmo dallo specchietto

scendere da cavallo. Ci osservava con atteggiamento sorpreso.

- È un atlantideo. Si chiama Rameter, un portaordini.

- Chi è? Non ci canzonare maestro. Va bene che ci devi addestrare ma...

Scandurra fermò la sua 500 e così fecero gli altri al seguito. Uscimmo tutti. Il

maestro si diresse verso quell'uomo. Distava da noi 15metri circa. Alto, muscoloso

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e dalla folta capigliatura legata dietro, parlottava sottovoce col nostro mentore. Ci

chiedemmo se tutto questo fosse una presa in giro per metterci alla prova. Di cosa,

poi. Il fruttarolo folle ritornò con fare truffaldino e si mise al volante dell'auto. Il baldo

cavaliere rimontò a cavallo e proseguì la sua corsa. Raggiunto il Passamontagna,

incrocio tra Viterbo e Ronciglione, ad uno di noi gli si accese la lampadina:

- Ma avete notato che non c'è più l'asfalto stradale? Siamo passati su di una

strada sterrata. Che fine ha fatto la provinciale?

- Vedrai, durerà per poco. Se scendi verso città, a pochi decine di metri ritroverai la

strada normale insieme al tempo normale – rispose ridacchiando Scandurra.

- Vuoi dirci che abbiamo vissuto un'esperienza nel lontano passato dell'umanità?

- No, abbiamo aperto una breccia nel Tempo e un mondo affiancato si è

mostrato a noi.

Ci fermammo alla piazzola del Passamontagna. Non volevamo andar via da quel

mondo antico. Ci rifiutavamo di imboccare la via per Viterbo. Avevamo paura di

lasciarci alle spalle un'epoca spettacolare, dove gli atlantidi dominavano su quella

terra che fu poi degli Etruschi (colonia rossa anch'essa). Con dovuto rispetto, mi

rivolsi a Scandurra:

- Maestro, cosa succederebbe se rimanessimo in questo mondo antidiluviano?

- Dieci abitanti di qui dovrebbero passare nel ventesimo secolo e non sarebbe

nemmeno risolto il problema... è complicato assai, ma soprattutto non è giusto.

Abbiamo da fare delle cose importanti, non possiamo abbandonare un mondo agli

sgoccioli. Non è per caso se state acquisendo le materie oscure, non lo

dimenticate. Il fuoco va tenuto sempre acceso, soprattutto quando tutto si oscura

intorno a noi.

Rientrammo tutti nelle nostre macchinette, abbacchiati e delusi, quando un

qualcosa, un movimento improvviso dietro di noi ci fece girare la testa verso il lago.

Un'aeronave immensa quanto lo specchio d'acqua dei Cimini, si alzò verso il cielo,

si fermò a poche centinaia di metri dalla superfice del lago per cinque secondi, non

di più, e poi sparì alla nostra vista in un lampo. Dal movimento dell'acqua capimmo

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che era decollata dal fondo del Lago di Vico. Magnifica nella sua complessità

aerodinamica, non sembrava però extraterrestre. Non ci spiegammo perché,

apparteneva comunque a questo mondo, magari di una grande civiltà: Atlantide,

appunto.

Quintilio chiese spiegazioni al maestro:

- Come mai fanno uso di cavalli e poi viaggiano in astronave? Oppure sono popoli

diversi, dei regrediti insieme a dei supersviluppati?

- Si può viaggiare a piedi o a cavallo e percorrere centinaia di chilometri in pochi

minuti e navigare tra le stelle con lo stesso principio. L'importante è conoscere il

mistero del tempo e dello spazio, il resto è un gioco da ragazzi.

- Come mai gli atlantidi bazzicavano pure la Tuscia?

- Qui fanno delle ottime frittate con gli strigoli. Le erbette di campo così, le trovi in

poche parti del mondo... eh eh eh. Il territorio nostro è particolarmente prezioso. Da

qui si viaggia che è una bellezza. È il posto più prossimo alla serie di mondi

tangenti. Le botole sono ricettive e funzionali, che io sappia non ci sono stati

incidenti di immersioni in varchi interdimensionali, fatta eccezione per non graditi

ospiti. La terra che vi tiene è viva, porosa, mista di materia densa e tenue. Più in

generale, i popoli si muovono per conoscere o per conquistare e a volte per

entrambe le ragioni. E quando la terra sembra troppo piccola si punta verso le

stelle e poi, beh e poi ti aspettano altri universi. Siamo viaggiatori nati, fino a

quando non troviamo un bel posticino e con l'amore della nostra vita viviamo

soddisfatti e in pace. È quello che auguro a tutti voi.

Nella conca del cielo ardeva il tuono. Tornammo sull'asfalto della strada Cimina a

riveder la nostra amata cittadina, interscalo cosmico non segnalato sulle mappe.

Giunti a Piazza del Comune, entrammo gongolanti al Bar Centrale. Era ora di cena

e qualcuno di noi volle consumare un pasto adeguato, altri se ne tornarono a casa.

Quei quattro avventori presenti al bar ci facevano tenerezza, perché ignari di

quante cose immense e sublimi si nascondevano dietro le pieghe del tempo e

dello spazio. Le esperienze mirabolanti non ci insuperbivano, anzi, ci sentivamo

piccoletti di fronte all'infinito. Acquistavamo pian piano un respiro cosmico, una

veduta più ampia e profonda della realtà. Emergevano bruciandosi, come in

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un'Opera al Nero, in tutta la loro inutilità le nostre miserie, le invidie, gli orgogli, le

brame di possesso; prendevamo così le dovute distanze dalle cose comuni, senza

rimpianti. Non ci sfiorava nemmeno l'idea di lucrare su quanto in nostro possesso.

Possedere, che brutto verbo. La Vita andava vissuta senza frontiere e la gioia era

nel vedere che ''tutto abbiamo in prestito'' e che ci aspetta qualcosa di diverso, di

elevato, ben lontano da tutte le filosofie e scienze del mondo. Le fessure, o meglio,

le brecce che Scandurra apportava alla struttura del reale, servivano a connetterci

con le storie di altre civiltà, antichissime o in divenire. Crescevamo e in questo

fermento qualcosa si risvegliava in noi. La memoria di ciò che eravamo, ben oltre

quel sistema di significato chiamato 'cultura' che ci imprigionava. Ci diceva:

- Rinunciate senza sforzo a ciò che è conosciuto, usatelo solo là dove è

necessario, siate abbandonati, lasciate ogni presa, ogni identificazione; solo così

aperti, sinceri, seri e senza maschere, solo così i vincoli cadono e le ali si sciolgono

libere, e noi si è librati in volo, senza lasciar tracce, senza ricompensa, liberi nel

cielo che è il sacrale del mistero. Essere idonei a riceverlo è tutto: se in noi c'è

l'ordine, l'armonia come nella stanza pulita, con le finestre aperte, allora il vento

profumato dei diecimila fiori di Deya entra e tutto compenetra. Vivete in voi non

come vi dico ora, vivete in voi come avvenimento nuovo, originale perché

originario, che sia vostro non mio, che sia vostra scoperta. La realtà per ciascuno è

l'esperienza viva, è la cosa appresa ora. Liberatevi dalla corrente del mondo che

travolge tutti, donando senza ricompensa, amando senza ricerca del piacere. Si è

vero uomo, maestro con la maestria del comprendere, con la maestria dell'agire,

con la maestria che con l'amore è perpetua libera creazione.

Con Scandurra ci affacciavamo sull'ignoto ed esso era grande.

Mi destai dall'onda del ricordo, quando una leggera pressione mi colpì la faccia e

la testa. Un senzacorpo si stava avvicinando velocemente verso di noi. Ma come

diavolo potevo vedere uno spettro se non possedeva un corpo? Semplice, c'aveva

comunque una forma. Una sagoma umanoide multicolore, cangiante che lasciava

una scia di particelle luminose, come nei cartoni animati di Walt Disney. Pura

elettricità mossa da una coscienza, forse un'anima allo stato puro, chissà. Alta tre

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metri, illuminava tutto il boschetto in cui ci eravamo accampati. Guardai

preoccupato Scandurra. Lui chinò il capo in segno di rispetto e salutò allargando le

braccia a croce. Lo stesso fece la sagoma elettrica, poi si girò velocemente verso di

me. Scattai subito in piedi e salutai in tutta fretta. Ricambiò un po' seccata. Così mi

sembrò.

- Si chiama Ha LL Fast, nome che riproduce la sua frequenza vibratoria. Se la

pronunci come si deve, lei ti sente ovunque tu sia. Vibrazioni subspettrali

ovviamente, essendo spettri eh eh, che viaggiano tra le botole senza limiti né

impedimenti.

- È una donna? - feci io.

- Mah, è difficile definirla così. Era comunque una bonazza quando c'aveva il

corpo, ma alta com'era mi sentivo troppo ciuco [piccolo], adesso poi...

- Perché, adesso sono repellente? - una voce bellissima, gentile, dai toni alti,

provenne dalle parti di quell'essere elettrico.

- No, no, anzi. Però cara mia, avevo difficoltà quando eri di ciccia, figurati adesso

che pari un fulmine.

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venerdì 9 marzo 2012

IUS 48

L'essere si inoltrò nel bosco. Lo seguimmo. Scandurra mi accennò all'esistenza di

una vetta luminosa. Poi, avvertimmo un melodioso canto di bambini che si alzò

tutt'intorno. Era canto gioioso. Poi li vidi. Erano luci nelle luci, senza ombre, privi di

contrasti interni, immersi in un campo radiante multicolore. I senzacorpo, come li

denominò il maestro, ci aprirono la strada verso una collina. Avvertii un desiderio

inquieto, che si ripercosse su tutta la mia anima. Sembrava una processione,

ascoltando le note del canto. Il contrasto era straordinario tra noi uomini in carne

ed ossa e loro, i senzacorpo splendenti, energie luminescenti che fluttuavano

nell'aria come angeli. La scena assumeva i contorni di un sogno soave, leggero,

fresco. E allora ammirammo la vetta di quel colle, coronata di luci. Ha LL Fast si

rivolse a noi:

- Vorremmo perfezionarci ulteriormente, non per superbia ma per una necessità

della nostra stessa essenza. Di natura rifuggiamo il caos. Ma la cima è ancora

lontana.

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Giunti sulla sommità, fummo circondati da centinaia di esseri elettrici, quasi fossero

un comitato di ricevimento. Sentivo la loro natura, normalmente felice. Erano

contagiosi. Ci sentimmo, infatti, contenti. La collinetta si ergeva su di uno

strapiombo il cui fondo era coperto da nebbia. Ebbi paura di quell'abisso così

tenebroso.

- Hanno voluto condividere con noi l'adunanza sacra. Ad ogni fine ciclo cosmico si

radunano quassù e cantano la loro felicità all'universo. La propagano e ogni

essere può sentirla. Esistono per ricordare al mondo che il nostro fine è la gioia.

Per induzione risvegliano l'anima di ognuno di noi.

Quando senza motivo apparente percepiamo un brivido corroborante, un fremito di

benessere, beh, è la vibrazione del loro canto felice che ci giunge.

Pensa, Angelo, ci sono popoli che dedicano tutta la loro vita per gli altri. Così,

senza compensi o vantaggi. Naturalmente.

In quell'immensa plaga di luce, come tanti fiori, spuntarono miriadi di senzacorpo,

luccicanti, gloriosi. Mi sfiorarono il viso. Fui inondato da un calore buono e mille

scintille sgorgarono dalle loro forme. Quelle gocce di luce sembrarono vivere di

vita propria, volavano saettando per ogni direzione, come impazzite. Allargai le

braccia e vi si posarono. Prive di peso e tuttavia avvertivo la loro leggera pressione

sul mio corpo. E allora vidi il mio riflesso su di uno specchio d'acqua, ma rovesciato

e mi prese una vertigine. L'alto e il basso si scambiarono di posto. Il mondo

sembrava invertito: cielo sotto e terra sopra. Aghi luminosi mi penetrarono

dappertutto. Una lunga scossa elettrica mi attraversò. Dalla mia spina dorsale

scaturirono flussi vitali di energia che a velocità pazzesca raggiunsero la sommità

della mia testa e oltre, a mò di fontana. Avvertivo ogni cellula del mio corpo, ne

sentivo l'orbita, il movimento. Caspita, era fantastico. Un fascio di condotti lucenti

giravano a mille all'ora dentro di me. E spaziavo viaggiavo, mi estendevo ovunque.

Ridevo dalla contentezza. Piangevo dalla contentezza. Mi commuovevo col tipico

pizzicorio al naso. Rilasciavo robaccia putrida fuori di me. Odori immondi

fuoriuscivano da ogni poro della mia pelle. Quando, lentamente uno stato di gioia

pura mi assalì. Spruzzi odorosi di rosa giungevano alle mie nari. E poi mi adagiai

per terra. Quello fu l'ultimo ricordo che ebbi lassù, tra gli angeli di luce benedicenti.

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Il maestro mi scosse. Ripresi lentamente coscienza. Appoggiato ai piedi di un

albero, cercai di riprendermi. Avevo la bocca impastata e non riuscivo a spiccicar

parola. La testa nemmeno la sentivo. A dirla tutta, era tutto il corpo che avvertivo

diverso. Mi guardavo le mani, le ruotavo di 180° e mi apparivano assai diverse,

come più lontane dai miei occhi. Già, i miei occhi: mi vedevo oltre la nuca, un po'

spostato in alto. Ero fuori di me? Eppure governavo il mio corpo, ma da un altro

punto di osservazione. Quanto sarebbe durata questa sensazione? Oppure questa

sarebbe stata da lì in poi il mio nuovo status: quell' essenza di pura energia che

aveva un prolungamento di carne e nervi non più decisivi per la vita. La mia vita mi

appariva una rappresentazione della Vita più grande, estesa, intensa, compiuta.

- Vuoi spremere il limone invece che coltivare la pianta? - mi fece Scandurra.

Il suo intervento ebbe l'effetto di uno scrollone. Tutto ritornò alla normalità, sebbene

essa mi sembrò sempre meno uguale a quella di prima.

- Cosa mi è successo? Sono cambiato? Avverto ancora le scosse elettriche dietro

la schiena. Cos'è... kundalini che si è svegliata?

- Lascia dormire il serpe, se non sei in grado di domarlo, giovane amico. Un

passo... un passo per annerire le cose, vecchie di generazioni. Ci si abbevera alla

fonte e il gioco è fatto. Certo, bisogna farne di strada e non tutti i ristori sono schietti.

- In pratica ho fatto un passetto in avanti sulla via o cosa?

- Una piccola apertura che comunque permane. Vi sono delle esperienze

devastanti che o ti ammazzano o ti rendono più vivo. La circolazione delle luci ha

fatto capolino, il pavone ha sciolto la coda. Un omaggio del popolo dei senzacorpo.

Ripartimmo di buona lena. Seguendo il maestro, notavo la sua perizia da

camminatore. Ci insegnava, infatti, che ''camminare è un'arte''. Seguendo i sentieri

giusti, compivamo un atto magico. La terra che ti reggeva, diventava tua alleata.

Uno scambio di forze si innescava: scaricavamo fatica e zavorre per poi assorbire

freschezza e vigore. Il passo lento, corto, le spalle che dondolavano e le braccia-a-

bilancia nei tratti più duri della strada, senza dimenticare le mani ad antenna per

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meglio raccogliere il flusso proveniente dal suolo. Era uno spettacolo emulare

Scandurra che camminava tra boschi e campagne, sia viterbesi che deyane. C’è

poi pure un suo passo speciale, che contraddistingue il procedere verso cose

grandi. È simile a una freccia diretta al suo bersaglio …

Feci tesoro dei suoi insegnamenti. Lo seguivo senza affaticarmi, anche per

chilometri. Di tanto in tanto, ci fermavamo per appoggiarci al tronco di un albero,

sfioravamo un masso roccioso, aggiravamo uno stagno, saltavamo un ruscello:

tutto ciò per captare segnali. Madrenatura ci parlava e noi dovevamo soltanto

ascoltarla col dovuto rispetto. Tutto è opera della Creazione.

- L'uomo potrebbe conoscere la posizione precisa di ogni atomo del cosmo,

fiammeggiare della stessa luce divina, soltanto se fosse allacciato al Padre

Celeste. Invece che fa? Si è fatto intrappolare in un carcere radioattivo, che

giorno dopo giorno gli rosica l'anima. Eppure, prima di Atlantide e quando

Saturno non era ancora velenoso, gli uomini della prima razza c'avevano

tutto gratis. Riuscivano perfino a sentire i suoni delle stelle perché liberi dal

velo. La Luna regolava il ciclo femminile al millesimo e tutto viaggiava in

armonia. Era bello, Angelo. Eh, poi c'è sempre qualche ''rompicojoni''

cosmico, titanico e senza vergogna, che si nutre di mondi e contamina cuori

e intelletti della stessa fame. La conoscenza allora ''sdirazza''. Ogni tanto si

sente una nostalgia profonda, qualcosa che ci manca e che abbiamo

perduto. Dentro ogni uomo permane una cellula primigenia, retaggio

ancestrale permanente che lo collega con l'origine malgrado i milioni d'anni

passati. In fondo, non possiamo fare a meno di ricercare la nostra casa.

Uscimmo dal fitto bosco in direzione di una grande distesa pianeggiante verdeblu.

A circa cinquanta passi da noi, notammo la sagoma di una piattaforma circolare. Ci

avvicinammo. Alta non più di un metro per cento di diametro. Liscia e senza segni

di saldatura, era di metallo bronzeo; se ne stava lì, placida e un po' curiosa tra

onde d'erba. Somigliava ad una enorme moneta, poggiata o conficcata non si sa

bene perché. Che cos'era? Quale era la sua funzione? Scandurra notò la mia

curiosità e prima che glielo domandassi, mi anticipò:

- Antichissime vestigia, così si dice?, di una civiltà scomparsa, Samastia.

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Sembra una base di atterraggio? Ed è così, infatti. È tutto ciò che è rimasto di quel

popolo, di quella città. In mezzo al prato, un astroporto dimenticato ma

perfettamente funzionante.

- In che senso, funzionante?

- Attende da cento anni una nave galattica salpata e mai più ritornata. Per quella

civiltà era di vitale importanza la missione di quei pochi coraggiosi.

Ma un turbine di fuoco incenerì tutti e di quel vascello non se ne seppe più nulla...

ma l'astroporto è sempre pronto per l'atterraggio.

- Ma maestro, chi aspetta? C'è qualcuno?

- Oh no. Morirono tutti. Ma prima prepararono le condizioni utili per l'eventuale

ritorno dei loro fratelli.

Non riuscii a comprendere cosa volesse intendere. Che senso aveva tutto questo?

E poi, che missione avrebbero dovuto compiere? E poi ancora, dopo un secolo

nessun pilota sarebbe sopravvissuto.

- Come i sopravvissuti di Atlantide. Esuli dal grande evento distruttore, si diressero

su altri mondi. Ma ritorneranno.

Si sedette sul bordo della piattaforma e io con lui. Malgrado la temperatura esterna

fosse mite, quel metallo era freddo. Scandurra si guardò intorno e sorrise a mezza

bocca.

- Pensa se tornassero proprio adesso che ci stiamo noi. Sarebbe magnifico.

- Mi prendi in giro, maestro, vero?

- Mah, ho la netta sensazione che dopo cent'anni sia giunto il tempo del ritorno. Noi

li accoglieremo col massimo rispetto.

Un silenzio improvviso pervase tutta la pianura. Non si sentivano più gli strani versi

di animali. Mi si rizzarono i capelli dietro la nuca. L'astroporto cominciò a vibrare. Ci

alzammo svelti. Scandurra mi spinse verso l'inizio del bosco, a 50metri di distanza

e mi indicò col dito una direzione del cielo. Una specie di ragno gigantesco si

avvicinava velocissimo alla piattaforma. Una massa titanica, una carlinga immane,

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scura, spaventosa frenò di colpo a pochi metri di altezza e atterrò. Malgrado la

mole non emise alcun rumore. Silenziosa e mortale. Alta cento e larga almeno

centocinquanta metri, a mala pena toccava con le sue quattro zampe di ferro il

bordo della piattaforma, che rinculò per poi stabilizzarsi. Sottovoce chiesi a

Scandurra se si fosse preso gioco di me. Era tutto combinato, immaginai.

- No, sapevo del loro ritorno, ma non si aspettano di trovare noi. Hanno creduto di

potercela fare a salvare il loro popolo, toccando i posti più lontani degli universi

sulle tracce di un essere, forse in grado, da solo, di evitare il disastro... a volte la

fede è tutto quello che ti serve. Le cose purtroppo presero un altro verso. Gli

emissari di Darest Sharma furono implacabili e disintegrarono ogni cosa. Ora i

samasti sono ritornati e dove prima c'era una splendida città-stato, vedranno ciò

che è rimasto. Una piccola traccia di quello che era prima: un cerchio fedele.

Sempre Darest Sharma al centro di tutte le disgrazie. Sembra la storia comune a

molte civiltà. Alcune declinano naturalmente, ma molte, appunto, spariscono nel

nulla a causa di guerre infinite. Poi, non so bene perché ma ebbi uno strano

presentimento, probabilmente privo di fondamento, ma fu così dirompente che

chiesi al maestro:

- Tu fai riferimento ad una data, un anno... il 2012 come fine del nostro mondo. Te

la butto così come mi viene... faremo la stessa fine di questa civiltà deyana dei

samasti? Soccomberemo anche noi ad una invasione?

- L'umanità, uso 'sta parola perché non mi piace quell'altra, la massa, oggi usata

dai politici; allora, l'umanità ha perso il contatto con l'origine. E questo è un fatto.

Non ci sono più nobiltà dello spirito. Secondo gli atlantidei, gli uomini si

differenziano in nobili e bassi. Non c'entrano le caste, le classi, no, qui si intende

ben altro. L'uomo atlantideo, che è come dire nobile, sceglie i mezzi e sa

rischiare... è distante nei confronti di se stesso. Egli c'ha fede, osserva un codice

d'onore, possiede una visione della realtà al di sopra dello sporco ego. Non teme

la morte e rispetta la vita, ma sempre con distanza. Per l'atlantideo è vergognoso

attaccarsi a cose meschine, senza importanza reale. Una parte dell'essenza di

quegli uomini alti, fu trasmessa ai popoli d'Europa e a quelli di India e Tibet. Ma gli

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uomini bassi ebbero il sopravvento, perché i nobili decaddero a causa della

superbia. Credere però che ciò derivi dal materialismo, dall'avarizia, dal potere che

è in mano a quattro stronzoni, vuol dire essere ingenui. Anche se fossimo tutti

buoni e bravi, il pericolo della fine non diminuirebbe di un etto. Cristo fu messo in

croce perché i potenti del tempo erano ignoranti, non possedendo più la

conoscenza non compresero. No, Angelo, non è una questione morale.

Atlantide finì non per la corruzione e i bordelli che pure erano presenti, ma per una

conoscenza deviata e, tuttavia, il mondo fu salvo ma perdette qualcosa di grande.

Oggi si nega la fonte originaria e forse è troppo tardi. La legge dei cicli cosmici non

si batte, una rottura tosta profonda lacerante ci sarà, ma non tutto è perduto. Non

tutto. Un filo ci lega sempre all'origine. Un filo sottile, certo, tenue, ma non si

spezzerà. L'energia e la struttura cosmica

che guidano i cicli non sono state costruite a cacchio di cane. Che ne dici? Il

Grande Tempo si sta esaurendo, ma quel poco che rimane è di qualità; rode lo

spazio, e questo è un altro fatto, ma lo spazio scivola altrove e si distende meglio di

prima. Noi conosciamo il Tempo e ne leggiamo i flussi, la loro misura e dove si

dirigono. Ciò non esclude un intervento extraterrestre distruttore, che rientrerebbe

nella scena degli eventi lungo la linea di confine. Possiamo far qualcosina per

dirigere il Passaggio nel Varco e incanalare tutto il disordine in un nuovo ordine.

Faremo queste cose non perché siamo i migliori, ma perché siamo gli unici a farlo.

Un fascio di luce blu sortì da un lato della nave stellare verso terra. Una sagoma

umanoide lo attraversò lentamente e si diresse verso di noi.

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lunedì 9 aprile 2012

IUS 49

Sento la sua presenza ogni giorno. E questo mi esalta. Ho avuto una gran fortuna,

all'epoca. Qualunque cosa succedesse, qualunque cosa ci capitasse o facessimo

insieme, sapevo che Scandurra era davvero speciale. Ci sono uomini che fanno la

storia ma non sono citati sui libri di storia. Ci sono uomini che fanno anima ma non

hanno altari. Ci sono uomini che grazie al loro lavoro sotterraneo illuminano il

mondo. Non sono dèi, ma gli dèi contano su di loro.

“Vedo i cieli accartocciarsi come cartapesta; vedo la pioggia infuocata di asteroidi e

grandi ali spezzate solcano lo spazio esterno. Vedo la spaventosa coorte che

sorge dalle tenebre, i fiumi di sangue, le montagne fuggenti e la Stella Assenzio

dei due universi che arderà un terzo dei viventi. Vedo le città morte sotto l'onda

rossa di veleno, la vibrazione che paralizza le menti, l'essere senza volto che

incede sulle facce dei morti. Vedo la guerra. Certo, le legioni dei Luminosi

combattenti riporteranno un trionfo simile alla nascita di una galassia. Colpito dal

fulmine, è vero, l'Ombra dalle ali caluginose cadrà nel baratro senza fondo che ha

egli stesso spalancato... ma Deya è sul punto di morire, spente le stelle e smarrita

la speranza. Su Samastia resta una bestia esomorfa che urla sul corpo dell'ultimo

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fanciullo. Non c'è tregua per Deya. Non v'è futuro per Samastia. Dal cielo, ancora

una nave giunge per terminare la Battaglia e portare in salvo il primogenito. Non

v'è profezia che sia ascoltata; non v'è profezia che non annunci disgrazie; non v'è

profezia che non sia evitabile; non v'è profezia che non sia augurabile. I popoli non

credono più agli indovini e per questo non sanno più dove andare”.

La battaglia dei luminosi: gli Annali di Samastia

Scandurra, mentre si avvicinava quell'essere, mi toccò la spalla e così vidi la fine di

una civiltà.

Mi trovai immerso in una notte sconfinata. La sola, pallida luce proveniva da

costellazioni ignote di stelle e da alcune installazioni, situate ai margini dello

spazioporto. Come in un filmato di guerra, vidi sfilare innanzi a me le strade morte,

le facciate degli edifici bombardati, e soprattutto mucchi di rottami metallici

abbandonati che dovevano, un tempo, essere stati mezzi di trasporto. La città era

tanto immensa quanto spaventosa nella sua fine... ma quando era avvenuto tutto

questo? La forma dei palazzi non consentiva di formulare ipotesi, anche se avevo

la terribile impressione che l'attacco fosse recente, dato che i muri erano ben

conservati, e le strade ancora ben visibili. L'aria era tagliente, non mi viene in

mente altro termine, l'odore dei mucchi di cadaveri insopportabile, ma la mia pietà

era superiore alla nausea. Il cielo improvvisamente divenne rosso, una coltre

densa e immane come un oceano scese su quella città morente per coprirla e

disintegrarla. Durò pochi secondi. Poi, passarono velocemente le alternanze notte/

giorno. Deya risanò se stessa e ricomparvero prati e boschi. E ancora un evento mi

si manifestò davanti: una piattaforma circolare fece capolino da sotto terra.

- Il tempo passa, l’eternità si avvicina - ci disse il pilota con voce flebile ma decisa,

in un italiano dalla pronuncia perfetta.

- Vogliono chiudere a chiave le stelle. - Rispose Scandurra con un cenno della

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testa per rispetto.

- Non ci riusciranno. No, spetta a noi continuare la lotta. E dopo di noi, ai nostri figli.

Fino alla fine.

- Harn Riley, il mio cuore è pieno di morte. Quei bastardi non hanno avuto pietà

degli innocenti. Non c'hanno mai pietà. La vita stessa è infetta di maligno: lo

scoglio sarà superato, al ripristino del regno della Luce.

Si abbracciarono come fratelli separati da anni. Li osservavo e l'onda delle

emozioni mi prese. Piansi, come parte di un dramma universale. Quell'uomo si

accorse di me e si avvicinò. Era giovane e tuttavia alcune rughe da espressione,

profondissime, rivelarono la sua esperienza scolpita sulla pelle olivastra, il volto

nobile (si dice così, credo) e indurito, snello ma tosto.

- Tu sei... aspetta... rammento, Angelo, è così?

- Sì, signore. Ma come fa a conoscermi?

- Eh, cos'è il tempo? Cosa sono le cose? Quel che conta nella Vita è la passione, è

l'onore, è la fede, esse son più potenti di una flotta di navi stellari rasdotan

equipaggiate per distruggere un sistema. Tale codice sorregge le danze planetarie

e penetra i gorghi senzaluce, fa di noi esseri umani unici e distinti da tutte le

esoforme spurie presenti ovunque. Quanto facciamo non è mai per profitto. C'è

scritto da qualche parte che tu saresti venuto qui, ad aspettarci insieme a

Scandurra. Son passati periodi lunghi, ma voi siete qui, all'appuntamento.

Mi abbracciò con forza, quasi mi stritolò.

- Ora seguitemi sull'unità di trasferimento orbitale. Starete comodi e vi rifocillerete.

Ci porterà a Deya e lì incontremo gli amici. Importanti decisioni andranno prese. A

breve toccherà alla vostra galassia tentare di respingere la marea oscura.

Ci dirigemmo presso l'astronave. Era enorme, nera come la pece, costellata di

torrette e antenne. Non tenterò nemmeno di spiegare come ci ritrovammo tutti e tre

all'interno della navetta stellare. Una forza invisibile ci trasse su, e basta. O forse un

elevatore magnetico, un montacarichi traente, che so. Fatto sta che bevemmo e

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mangiammo, seduti intorno ad un tavolo e in piacevole compagnia. Due donne alte

e belle, almeno secondo i criteri terrestri, si erano avvicinate e presentate. La

stanza in cui ci ristorammo era spaziosa e non aveva l'aspetto spartano tipico di un

ambiente militare. Il cibo era gustoso. Carne a tocchi cubici dal sapore di vitella,

purè rosso dal sapore di patate, vino forte e aromatico: il menù era di quelli che

non si dimenticano. Finito il lauto pasto, Harn offrì a Scandurra un sigaro

azzurrognolo e dall'odore intenso di bosco. Io rifiutai gentilmente la sua offerta. Il

maestro sorrise.

- L'Ombra si fa sempre più incalzante in tutti gli ammassi stellari. La sento muovere.

Quando deciderà di entrare nel nostro universo, saranno c**** amari. Troverà

alleati devoti e complici a buon prezzo. Si venderanno Madreterra per salvarsi il

culo. Sai, da noi, ci sono certi figli di mignotta a livello galattico. Pronti a servire il

primo stronzo che capita.

- Scandurra anche qui ci sono i traditori. Pochi per scelta, molti per paura e ancor di

più per avidità. Samastia è stata distrutta perché qualcuno ha venduto i nostri piani

di difesa. Forse so chi è e lo troverò a Deya. Milioni di donne bambini uomini son

stati bruciati vivi. La vendetta mi pare poca cosa eppure vanno onorati gli innocenti,

punendo i traditori e quei mostri dell'Ombra.

- Ti aiuterò a scovarlo. Credo però che non abbia agito da solo. Angelo ed io

torneremo a Deya e scopriremo chi sono stì bastardi infami. È meglio che non vi

fate vedere in giro, te e i tuoi compagni. Vi imboscherò dentro un posto sicuro, in

città. Quando li 'sgamamo' [scopriamo] ti chiamo.

- Come vuoi tu. Darò disposizioni a riguardo. Ora riposatevi se volete.

Ci condusse nelle nostre stanze, queste sì spartane. Branda, armadio, seggiola

plastificata trasparente, rivolta verso il muro, dove un quadrovisore trasmetteva

filmati riguardanti fatti e persone di luoghi sconosciuti: telegiornali extraterrestri,

pensai. Mi stesi e il sonno ebbe il sopravvento. Sognai città distrutte, urla,

esplosioni e sangue, sangue ovunque. Poi il mio sogno cambiò colori sequenze

luoghi e mi mostrò Piazza San Pietro diroccata e Roma in rovina e poi come se

fossi in aeroplano, virai verso la Tuscia, le mie parti, a velocità istantanea, ma

quello che scorsi mi terrorizzò. Le campagne e poi le colline erano solcate da

immense voragini e fosse profonde, ma ciò era frutto di un evento incredibile: una

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mano titanica, metallica con una picca gigantesca fatta di mille arcobaleni

accecanti, trinciava il terreno come burro. Simboli apocalittici, proprio da fine del

mondo. Mi svegliai di soprassalto. Sudato e in stato febbrile, mi girai istintivamente

verso destra e c'era lì Scandurra, seduto con un bel sigaro fumante.

- Prima o poi dovevi cedere. Le prove che hai affrontato sono state tante e toste. Il

tuo corpo e i tuoi nervi hanno lavorato sempre in debito. Stai giù, fra poco la

punturina che ti ho fatto farà effetto. Scusa per il lividone sul braccio, ma non

trovavo la vena adatta. Sei secco sparuto, eh!

Non riuscivo nemmeno a spiccicar parola. Avevo la bocca impastata. Mi stesi di

nuovo e le visioni mi avvolsero come una coperta calda e appiccicosa.

- Come sta il mio giovane cavaliere?

Ranna Abarel, sempre bellissima, stava ai piedi del letto e con quegli occhioni

azzurri mi sorrideva, pur rimanendo composta.

- Che bello vederti – risposi con un tono rauco.

- Mi hanno raccontato di quante ne hai passate. Ora sei fra amici – con voce

melodiosa mi rassicurava.

Poi mi accorsi che non stavo più nella stanzetta scrausa [spoglia, povera]

dell'astronave, bensì mi trovavo supino su di un lettone a baldacchino, al centro di

un salone stile rinascimentale. Finestroni altissimi, decorazioni artistiche, quadri

alle pareti e soffitto affrescato. Caspita, ma dove mi avevano portato? Eravamo in

una penombra riposante per gli occhi e i nervi e oltre a Ranna, c'era Scandurra

insieme ad Harn Riley. Tutti comunque mi sorridevano.

- Lasciatelo ancora riposare. Il figlione mi deve recuperare. A dopo Angelo – con

tono faceto Scandurra si congedò con gli altri, che mi salutarono con un gesto della

mano.

Stavo decisamente meglio, ma mi trovavo così bene su quel letto che indugiai ad

alzarmi, e quando mi decisi a mala pena mi reggevo in piedi. Indossavo un

camicione giallo paglierino che mi arrivava alle ginocchia. Sotto ero nudo.

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Profumavo di bucato e la pelle era lustra e morbida. Appoggiati sulla spalliera di

una poltroncina, c'erano dei vestiti nuovi che avrei dovuto indossare. Un calzone

attillato rosso cremisi e una casacca dello stesso colore, un mantello scuro, una

mutandina elasticizzata e una maglia della salute a collo alto, finissima. Decisi di

vestirmi e, infine, indossai degli stivaletti aderentissimi che sembravano fatti di

plastica, poggiati a fianco della poltrona. Mi sentivo un fesso, non so perché: un

Flash Gordon dei poveri. Abituarsi a Deya era difficile pure col vestiario. In quella

tenuta da film di cappa e spada, uscii dal salone e mi diressi... beh, un corridoio

poco illuminato conduceva in un'unica direzione. Scesi due rampe di uno scalone

di similmarmo, non so, che mi portò in un salone grande come mezzo campo di

calcio. Un tavolo ovale al centro, intorno al quale sedevano gli amici. Stavano

parlando in atteggiamento sereno ma serio.

- Siediti Angelo, ti faccio portare delle vivande che ti daranno forza e benessere –

Ranna, con tono ospitale e fraterno.

Mi sedetti e fui scrutato da cima a fondo dai tre, in tono preoccupato. Allora li

rassicurai sul mio stato di salute.

- Bene – mi fece Harn – sono contento che tu abbia recuperato. Ranna ci ha messo

a disposizione la sua casa come base di appoggio. È sicura e ben protetta. Al suo

interno vi sono dispositivi per accedere in più punti di Deya.

Darest Sharma è in movimento e la citta-dedalo è piena di suoi emissari. Il nostro

obiettivo è scoprire chi ha tradito il mio popolo, lo stesso fedifrago che continua

indisturbato... chissà da quando, a informare l'Ombra su tutti i cittadini deyani e sui

forestieri di passaggio. Una spia ben introdotta. Oggi una notizia interessante può

fruttare molti crediti.

- Ho la sensazione che il bastardo infame sia tra gli amministratori governativi...

come li chiamate... i consulti – Scandurra sembrava saperla lunga.

- I consulti lo sono di nascita. Nobili di antichissime famiglie, insospettabili, direi –

intervenne Ranna.

- Eh, ne basta uno di puzzaculo, che credi? L'ambizione è una brutta bestia come

la vendetta – fece Scandurra.

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- Sembra, amico mio terrestre, che tu sappia qualcosa di preciso. Parli di un

consulto, magari ambizioso, o forse animato dal demone della vendetta – Harn

aveva pizzicato la veggenza scandurriana.

- Se vuoi ti dico chi è, ma per ora non chiedermi come lo so. È un terrestre che

gioca su due tavoli. Da noi occupa una posizione elevata della politica mondiale,

influentissimo come qui da voi. La sua anima saturnina è rimasta su questo piano

per compiere lavori sporchi; da secoli serpeggia e mozzica. Il suo veleno è mortale.

- Scandurra, allora esistono persone che campano centinaia d'anni per motivi

occulti – feci io, curioso di conoscere il nome del tizio così potente anche sulla

Terra.

- Come no...! lo avrai sentito nominare al telegiornale tante volte, è K.. Certa gente

tradirebbe un mondo intero per scopi impronunciabili. Che gliene frega? Lucidi

inumani si muovono a zigghezagghe come la serpe delle tombe etrusche. Quasi

quasi non la vedi ed essa, senza far rumore ti si avvicina e te mozzica. Lui... il

consulto, ha la facoltà di cercarsi un corpo giusto per il suo mandato. Ha completo

dominio delle dinamiche animiche.

Darest Sharma è la migliore scuola di stregoni degli universi, sa come istruirli per

ogni missione.

- Scandurra, dove cominceranno a diffondere il morbo nero nel vostro universo? -

Domandò Harn.

- Il Padre Celeste ha scelto un punto nel kaos ove poter appoggiare l'inizio dei

Nove Mondi. La Creazione della nostra Terra è iniziata dalla Selva Cimina. Lì c'è la

sacra fonte di tutto: noi ne siamo i custodi. Il morbo nero della Torre Rotante di

Darest Sharma, fu fabbricato con l'intento di avvelenare la fonte così da uccidere

Madreterra. Avviano lo stesso processo su ogni pianeta in tutte le dimensioni. - Il

maestro non fu mai così serio come in quel momento.

Apprendevo per la prima volta che i Monti Cimini nascondevano l'origine della

nostra amata Terra. Fui inondato da un'energia strana, estesa ed espansa.

Scandurra diceva: nulla è erotico come un passaggio di conoscenza.

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domenica 29 aprile 2012

IUS 50

"Nec falso - nec alieno"

né con falsa, né con estranea (luce)

Cristina di Svezia (1626-1689)

Scandurra, Ranna ed io, dopo aver salutato con un abbraccio Harn, ci dirigemmo

verso l'uscita del palazzo. Sentivo tutto il peso della missione. Il cielo rossoviolaceo

incombeva sui vicoli di Deya che brulicavano di gente indaffaratissima. Bancarelle,

botteghe, vecchi che fumavano seduti fuori l'uscio di casa, bambini che si

rincorrevavano e sopra le nostre teste, navi stellari in avvicinamento, alcune

silenziose, altre rombanti da tapparsi le orecchie, e tra rumori e colori mi arrivavano

alle nari odori di frittura e di spezie. Un colpo d'occhio spettacolare. Medioevo

stregoneria magia tecnologia corporativismo gilde scienza, in una misticanza

inestricabile.

- È un gran bel casino, come piace a me. Tutto sembra fuori controllo. Ma non ti

fidare, Angelo, non c'è niente che non abbia una causa e dove c'è un'origine c'è

pure uno scopo – il maestro non rinunciava mai a darmi indicazioni.

- La mia città è unica in tutto l'universo. Vive anche nel granito di cui son fatti i

palazzi o nel cristallo delle sue cupole. Miriadi di esseri vengono almeno una volta

nella loro vita a Deya. Chi per culto, chi per affari, chi per godere e soddisfare vizi

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innominabili. Soprattutto se si vuole fare esperienza del tutto, toccando scienza e

magia, briciole di antiche religioni e superstizioni costruttive; Deya ti offre ogni

cosa, ma può toglierti la vita e l'anima – Ranna proferì quelle parole con amore

struggente, ma una lieve malinconia si nascondeva dietro il suo parlare.

- Devo irradiare il lumen? - dallo sguardo di Scandurra, compresi che lo avrei

dovuto già fare.

Il maestro si fermò presso un banco di frittelle fumanti. Ne acquistò un cartoccio e

ce le dividemmo. Calde dolci buonissime.

- Maestro, con quale denaro le hai comprate?

- Con le lirette nostre. Ogni commerciante, pizzicarolo o professionista che

incontrerai su Deya, è anche un cambiavalute. Accettano monete di ogni universo.

Ma non tentare di fregarli. Gli ho dato due gettoni del telefono e trecento lire.

Bastavano. Qui la vita non è cara, in tutti i sensi. Magari ti strappano e ti mangiano

il cuore, però i funerali sono a carico dell'amministrazione. Mica male.

Scandurra era veramente cittadino dei Nove Mondi. Gestiva tutto come se si

trovasse a gironzolare nel vecchio quartiere viterbese, dove aveva la bottega di

frutta e verdura. Poi, aumentò il passo e lo seguimmo di buona lena. Si infilò in una

stradina stretta e scese delle scale e così facemmo noi.

- Entreremo in una zona di Deya speciale, la chiamano 'sottomondo'. Allora, prima

lezione: quando la via è dritta, sarete frenati nel passo, viceversa, in curva subirete

un'accelerazione. Non toccate le mura delle case né a destra né a sinistra. Se

incontrerete qualcuno, chiunque sia, non dategli credenza, andate per la vostra

direzione e basta.

- Maestro, che significato c'ha questo posto così strano? - feci io con

preoccupazione.

- Lo scoprirai ad ogni passo entrando nell'oceano deyano. Se entri ti svuoti.

Cominci la via iniziatica svuotandoti. C'è la fine dell'ambizione. La fine di ciò che

chiedi a te stesso. Non chiederai più niente a te stesso. Comincerai a svuotarti

degli obblighi e dei vincoli, delle necessità che ritenevi importanti.

E quando queste cose cominceranno a sparire, resterà un'enorme quantità di

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tempo. E poi scivolerà via anche il tempo. E si vivrà senza tempo.

- Il tuo maestro è una calamita. In tutti gli universi cercano qualcosa cui attaccarsi.

Vogliono qualcosa, ed è la sua capacità di cristallizzare e formulare. Le persone

sono in pessima forma di questi tempi, l'universo è in pessima forma. E in qualche

modo il suo aver trovato qualche solidità li attrae – Ranna fu molto cara parlando di

Scandurra; mi sentii orgoglioso di essere suo allievo.

Il primo passo mi proiettò verso uno stato-di-coscienza/territorio immenso. Il flusso

dei pensieri si interruppe, qualunque contatto con l’ambiente circostante cessava.

Un senso di angoscia, dapprima, mi pigliava, come sbalzato in un tempo, uno

spazio, un universo qualitativamente differenti. Sovvenne la meraviglia: è il senso

di rivelazione sconvolgente di una realtà di fronte alla quale il mondo sensibile non

è altro che ombra, associato alla consapevolezza che un unico slancio vitale,

un‘unica emozione eterna ci anima tutti allo stesso modo, da sempre e per sempre.

La gioia (ananda) mi investì, come uno scroscio d'acqua proveniente dall'alto. Un

gavettone divino. La gioia mi liberava dai ghirigori concettuali, accompagnata da

una dilatazione infinita della coscienza. Come inghiottire tutto. È il fiume unitivo

della Vita che si fonde nell'oceano cosmico della Creazione.

Il secondo passo fu terribile. Il mio stato di svuotamento espresse qualcosa che

non avevo finora realizzato e che può riassumersi nella parola coagulatio. Due

princìpi governano tutti i processi alchemici: la coagulatio e la dissolutio.

Coagulatio in alchimia significa rapprendersi in un punto, diventare più solidi, più

definiti, formati. Ora l'intero processo che stavo attraversando era la coagulazione

della mia vita nel tempo. Ma la coagulatio è sempre seguita dalla dissolutio. Che è

esattamente il contrario: dissoluzione, le cose che si separano, si sciolgono,

perdono la loro capacità di definirsi. La cosa interessante è che improvvisamente

questo spiegava i miei sintomi. Non facevo che pensare che stavo affondando

sempre di più, che mi stavo dissolvendo. Ma le due cose, dissoluzione e

coagulazione, sono inscindibili. Non ci avevo riflettuto finché non mi venne per la

prima volta in mente la coagulatio. E la rubefactio, che permette alla bellezza di

mostrarsi. Così, in quell'istante ero una persona diversa. Non avevo mai sentito

queste cose dentro di me. O non le avevo mai riconosciute. Prima, non avevo mai

saputo chi ero. Feci, di nuovo, la scoperta dell'acqua calda. Il ''normale'' ormai è

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riferito a valutazioni culturali, sociali e utilitaristiche, ed ogni stato speciale di

coscienza diventa, secondo i canoni ufficiali, alterato, allucinatorio ed isterico di

natura patologica e, se questo può essere vero in alcuni casi, non lo è certo in tutti.

Oggi questo meccanismo riduzionistico è diventato automatico, lo si applica a tutto

ciò che esula dal comune senso accettato; in pratica, il sistema in cui ci muoviamo

è diventato la nostra prigione sensoriale, le convenzioni sono diventate

convinzioni, le regole trasformate in preconcetti.

Ero strano. Diverso. Notai il cambio del taglio della luce sulle cose, l'aria si era fatta

più tenue. Eravamo entrati in un altra dimensione, almeno così sembrava. Forte era

la sensazione di camminare all'incontrario su di una scala mobile. Facevo fatica a

tenere il passo. Poi il vicolo svoltò verso destra. Una pressione dietro la schiena mi

spinse a velocità tripla e caddi scompostamente. Presi una 'smusata' sul piancito.

Persi del sangue dal naso: un tonfo incredibile. Una situazione che non avrei mai

voluto provare: Ranna e Scandurra risero di gusto. Mi rialzai di scatto ma non

avendo oltrepassato la curva, fui di nuovo spinto come da una mano gigante per le

terre. Giù, stavolta però riuscii a pararmi il viso con le mani. Col mantello tentai di

asciugarmi il volto dal sangue. Ranna mi porse un fazzoletto. Cacchio, non riuscivo

proprio a sbrigarmela. Come si poteva camminare così?

- Prendi il tempo giusto e lasciati trasportare – fece Ranna.

- Una parola! Non vi sono segni che mi indicano l'inizio della pressione.

- Ci sono, Angelino. Quando il tuo lumen si contrae, abbandonati, fatti portare

dall'accelerazione – la dritta di Scandurra.

- 'Dopo li fochi', maestro. Prima non me lo potevi accennare?

- Oh sì, ma vuoi mettere lo spasso nel vederti arrancare e 'scoppiare' per terra?

Ecco come mi insegnava. Come diciamo dalle parti nostre, 'a mozzichi e bocconi'.

Prima mi ci faceva sbattere la testa. Anche letteralmente, se necessario.

Comunque, feci attenzione ai movimenti del lumen e, devo ammetterlo, in tal modo

diventava un gioco da ragazzi. Sembrava di stare sulle giostre. La spinta che

ricevevo dalla curva diventava sufficiente a farmi camminare senza sforzo sul dritto.

Come un surfista che sfrutta l'energia trasversale dell'onda per risalire. Che i Beach

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Boys mi aiutino.

Questa fase della nostra missione nel quartiere sottomondo, è indicativa per come

dovremo affrontare la fine dell'anno 2012. Conoscenza e carattere, abilità e senso

della sfida, sono componenti basilari della nostra maniera di essere e di agire.

Come ci ha sempre detto Scandurra, quel lontano futuro, il 2012, che non è poi

così lontano, è il più libero dei campi, il più insicuro ma aperto ad ogni evento; la

qualità della nostra energia sarà determinante circa il significato che avrà per noi il

Varco.

Quali sono le caratteristiche di cui ci dobbiamo dotare per un più adatto ingresso a

fine ciclo? Innanzitutto ricordiamoci che siamo pellegrini in questa vita. Cosa ci è

utile? Senso dinamico dell'equilibrio nello spostarci, sia fisico che mentale;

capacità di mimetizzarci e di attendere, non dimenticando mai, e dico mai, la nostra

meta: attraversare il Varco. Capacità di adattamento a condizioni ambientali e

spazio/temporali, a costumi e linguaggi desueti, ricorrendo all'intuito e alla

creatività. Vi saranno intoppi imprevisti, effetti mal gestiti prodotti dalla mutevolezza

delle percezioni, ma ciò non dovrà distoglierci dal programma. Varianti sul

cammino ce ne saranno, non è difficile prevederlo, tuttavia queste dovranno essere

accolte non con fatalismo nocivo, bensì come occasioni di esperienza ulteriore. Il

passaggio del Varco metterà a dura prova quello che credevamo di sapere e di

essere: le resistenze psicologiche al nuovo, le sovrastrutture derivanti dai processi

subiti di acculturazione moderna e riduzionista. Come ci diceva Scandurra: ogni

brutta cosa che ci capita, rilascia un piccolo segreto. Non si butta niente.

Quali cambiamenti dovremo sostenere per il 2012? Vi sono percorsi interni

trasformativi. Una sorta di intensivo d'illuminazione, magari non in dieci lezioni,

sicuramente senza spendere una lira, ma mettendoci totalmente in gioco. Tuttavia,

ognuno di noi dovrebbe sentire come ineluttabile un compito da svolgere, qui e

ora; un desiderio di ricerca del significato della Vita, prima di ogni altro impulso o

convenienza. E non si dovrebbe attendere la fine del mondo, per chiederci cosa ci

stiamo a fare quaggiù. L'esperienza insegna che per molti, la necessità spinge

spesso nella direzione giusta. Pochi scelgono liberamente.

Dicevo dell'intensivo. Creiamo campi vitali composti dalla sommatoria di energia

emotiva-pranica (prajna), nomi di potenza (o anche i mantra) e cosmogrammi (o

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anche le iconografie dell'arte sacra occidentale), manipolando le sequenze finché

non si configurano e si adattano alla nostra fisiologia interiore. Antica ed

efficacissima tecnica di magia bianca. Costruiremo così un tempio del nostro vigore

intelligente, sviluppando cioè forme adatte a questa energia personale e al suo

uso pratico, con un carburante (respiro), accompagnato da pause di ricarica

meditativa. È un po' come creare un campo di energia elettrica normale, con i

procedimenti del caso. Pensando alla nostra mente come ad un relais elettrico, con

un suo potenziale, possiamo creare le condizioni di attività necessarie. Però,

ricordiamocelo, vanno eliminate le interferenze, disturbi del campo vitale stesso,

ossia liberiamoci da ogni distrazione. Concentriamoci, in silenzio (poi lo si potrà

fare anche in mezzo al casino), prima entriamo in uno stato meditativo, attraverso il

respiro programmato 1:4:2, inspirare-ritenere-espirare, l'oblio del presente

esteriore, lasciando andare la danza dei pensieri attiviamo la ricerca

dell'attenzione totale. Facciamo tutto ciò, notte e giorno che sia, nelle ore più

confacenti al nostro regime interno. Poi passiamo in rassegna le disposizioni

emotive più dinamiche. Questo è il carburante di cui parlavo, il voltaggio più giusto

per noi. Ciò in pratica è possibile ripetendo questa ricarica personale, con ritmi

quotidiani precisi. Avremo bisogno di quintalate di questa energia, e la potremo

acquisire in quantità industriali a patto di ritmizzare l'uso: manutenzione e

rifornimento costante, senza pause.

Il campo vitale può essere realizzato anche in altre forme, deambulanti,

osservative, rotanti. Durante una passeggiata lungo un sentiero collinare, una

corsetta di alleggerimento, leggendo in immersione il libro-mondo L'Arcobaleno

della Gravità di Pynchon o La Montagna Incantata di Mann, sbirciando l'ultimo

capitolo de Il Mistero delle Cattedrali di Fulcanelli. Facendoci riscaldare da Il fuoco

dell'Amore Divino di Rumi e visualizzando le scene in parallelo descritte dai

quattro Vangeli. Seguendo i consigli dell'abate Susone. Nel Savitri di Aurobindo

ammirando la vicenda di una donna che conquista la morte. Entrando nei

paesaggi magici di William Wordsworth. Scoprendo il segreto de La nascita di

Venere del Botticelli, entrando in punta di piedi ne L'Ultima Cena di Leonardo,

fissando le mani nell'opera di Carlo Crivelli. Ascoltando in esaltazione perenne,

scopriremo l'armonia e la gioia della Settima Sinfonia di Beethoven, aumentando

le frequenze con The Cycle Is Complete di Bruce Palmer, facendoci sommergere

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dalla cascata sonica di Interstellar Space di Coltrane, in assenza di rumori di fondo

turbativi, accettando quelle dinamiche come parte del relais. Svegliandoci all'alba,

salutiamo il Sole e facciamoci bagnare dai suoi raggi, mentre beviamo un bicchiere

d'acqua tiepida a stomaco vuoto: così, ogni mattina fino alla fine del Tempo, ci

trasmutiamo. Posizionandoci al centro di un cerchio sacro megalitico, scoperto

come per caso in una passeggiata domenicale nel bosco vicino casa e, incantando

i sensi, sentiremo le linee curve girare in senso orario. Le forme rotanti sono quelle

corali e danzanti. Tali terapie d'accesso saranno efficacissime mantenendo

l'intensità dell'attenzione. Si può viaggiare ovunque col carburante e il campo vitale

adatti. Poi... bisogna andare avanti, oltre la struttura ordinaria in uso e rintracciare i

fili della Creazione che ci stanno attorno e sfruttarne le cariche. Superata la fase di

sopravvivenza a cui siamo avviati, il futuro Varco è pura ricerca bidirezionale: il

verticale, tutto quel che sta oltre la dimensione Terra e nelle sue viscere, e

l'interiore, tutto quel che è in noi, da sviluppare, perfino fisiologicamente negli

apparati che ci formano, specie nell'uso delle circonvoluzioni cerebrali, dove le

possibilità già pronte sono almeno il quadruplo del tentativo medio da noi messo in

opera. Da uomini planetari giungeremo ad essere uomini cosmici, quello che

siamo sempre stati.

Scandurra ci avverte di un pericolo formidabile, da non sottovalutare. Ogni nostro

passo verso l'anno 2012, sarà controllato dai signori della Fiamma, i saturniani,

nell'accezione più ampia. Non solo, se possibile tenteranno di deviare il nostro

corso, introducendo veleni mascherati da farmaci, allestendo scenari extraterrestri

per la grande pantomima finale. Ogni mezzo sarà adottato da chi attenta

all'armonia del mondo e combatte la Luce in ogni sua espressione. Come

difenderci? Costruendo una sacralità di tipo liturgico, in cui esprimerci con silenzi e

astensioni, seguiti da azioni determinate e coraggiose. Il maestro ci ha insegnato a

viaggiare dentro/fuori, ad accendere il lumen e irradiarlo, senza pensare a sconfitta

o successo. Costruiremo un ponte e loro verranno. Gli esuli torneranno e

Madreterra sarà più splendida.

Notai una scultura di donna reggente un calice, in un'edicola ad arco incastonata

in un muro divisorio. Attraverso una finestra intravidi un soffitto affrescato. Da un

altro finestrone, al secondo piano di un palazzo elegante, un muro di libri di tutti i

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formati e fogge sembrava invitarmi ad entrare. Lucernai balconcini scalette profferli.

Mille elementi architettonici, diversificati e appartenenti, pare, ad epoche non

recenti. Stili e valori variegati, ci circondavano durante il nostro cammino. Un

signore ammantellato ci incrociò come spuntato dal nulla. Feci finta di non vederlo,

ma la mia curiosità fu così forte che lui la notò, evidentemente. Egli abbassò il

cappuccio che svelò un volto butterato e pallido come un cadavere; quegli occhi

rossofuoco mi squadrarono. Divenni rigido, poi dondolai e persi i sensi... il lumen si

ritrasse. E fu buio fondo.

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domenica 17 giugno 2012

IUS 51

«Prendi, se così devi, questo fastello di sogni;

sciogline la corda, ed essi ti si avvolgeranno attorno».

William Butler Yeats - The Rose, 1893

Precipitavo in un pozzo scuro senza fine apparente. Largo tre metri di diametro,

sembrava fatto di roccia levigata da mani umane. Cadevo velocemente e non

riuscivo a mantenere un assetto lineare. Dapprima a testa in giù, poi rotolando

cinque o sei volte, ancora di lato e supino, ero completamente in balia della

gravità. Strillai come un figlio piccolo.

Scandurra, nelle prime istruzioni per oltrepassare le botole, ci suggeriva, in caso di

attraversamento di pozzi o camini per la verità non rari, di fare il morto a galla, di

non tentare assolutamente altre manovre, se ci abbandonavamo si sarebbero

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verificate specialissime condizioni fisiche: l'energia tangenziale e l'energia radiale

presenti in tali condotti, divenivano complementari. Un po' sgomento mi

abbandonai nel vuoto, che poi proprio vuoto non era. Una mano invisibile mi

sostenne immediatamente.

Quando ci liberiamo dalle sovrastrutture create ad arte dal processo di

acculturazione del sistema e non facciamo più resistenza a ciò che è ancestrale e

vive in esilio dentro di noi, allora tutto si accende. Esso è il sole che fa crescere

tutto, la linfa che ci nutre all’interno.

L'energia del luogo mi condusse a velocità sopportabile, planavo a pancia in giù

come il tiro a foglia morta di Mariolino Corso, a distanza di sicurezza dalle pareti

del pozzo. Scomparve la paura. Controllavo completamente la situazione. Una

leggera luminescenza mi avvolse e vidi, così, il termine del percorso. Atterrai in una

piazzola sotterranea circolare, poco più ampia del pozzo. Dietro di me una porta

con grata di ferro di un metro e ottanta, indicava senza equivoci l'unica via di uscita.

La raggiunsi e tentai di spingerla senza esito. Non aveva serratura, pareva

incastrata. La tirai, niente. Poi, dopo qualche secondo di turbamento, mi accorsi

che non aveva cardini. Le sbarre erano infilate nella roccia. Al di là della porta,

c'era un tratto di strada rettilineo e per venti metri si poteva ancora distinguere.

Cosa potevo fare? Prenderla a spallate mi sembrò una buona idea... Presi una

breve rincorsa e mi schiantai addosso alle sbarre. Rimbalzai all'indietro come una

palla di gomma. Era tosta come... una porta di ferro, appunto. E adesso? Cosa mi

rimaneva da fare? Non possedevo quel potere, veramente unico di Scandurra di

trovare sempre e ovunque quelle piccole fessure interdimensionali a corto raggio,

ma sufficienti a spostarsi per diverse decine di metri e sventare qualsiasi pericolo.

Mi sedetti tutto indolenzito al centro della piazzetta. La luminescenza che mi

permetteva di vedere al buio, stava esaurendosi. Tentai allora di chiamare

Scandurra con schemi d'energia psichica già sperimentati con successo. Ma lo

stato di coscienza alterato mi impedì di visualizzarli. Dovevo ritrovare il mio centro.

Quando perdi l'equilibrio, attaccati al tuo centro e non cadrai. Già, ma proprio

perché avevo perso il mio centro, non avevo più equilibrio. Insomma, la mia testa

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girava come un'elica e non trovavo pace. Poi una speranza si fece strada:

Scandurra sarebbe comparso per portarmi via. L'aveva fatto in precedenza. Lui

sentiva, eccome, ogni cosa di suo interesse e mai ci avrebbe abbandonato al

nostro destino. Facevo parte dell'anonima talenti, cacchio!

Passarono minuti e poi ore. Niente, Scandurra sembrava affaccendato in altre

faccende. Ero intrappolato chissà dove, senza poter fare alcunché. Pensa, Angelo,

pensa. Meglio, abbandonati, Angelo, abbandonati, fai scorrere il lumen e così tutto

si rischiarerà. L'alone magico di luce mi avvolse di nuovo. Un cappotto caldo per

giorni di freddo intenso. Scintillavo come un lampione. Mi avvicinai alla porta, la

spinsi leggermente ed essa cadde in avanti come un ferro vecchio insieme a pezzi

di roccia. Un gioco da ragazzi.

Il lumen ci tira fuori da ogni guaio. Diciamo: è tremendamente efficace quando ci

imbattiamo nella fanga puzzolente che la Vita, a volte, ci vomita addosso. Una

potenza che Scandurra ci ha trasmesso per utilizzarla sia quando ci troviamo in

seria difficoltà, sia per il prossimo bisognoso. Possiamo, infatti, orientarla verso chi

si trova a mal partito, convergendola sulla sua anima per deviare le forze del kaos.

Non tutto è permesso. Non sempre si riesce a cambiare sostanzialmente le linee

destinali delle persone, tuttavia anche una pur piccola deviazione lungo la strada

della Vita e si attenuano le energie distruttrici. Un dono immenso al servizio degli

altri. Dio crea persone come Scandurra per alleviare la sofferenza degli universi,

per bilanciarli. Il mio maestro non è un santo, almeno nell'accezione religiosa del

termine. Anzi, spesso mi pare che si comporti ai limiti della morale corrente. Forse

non riusciamo a capirlo fino in fondo. Quel che è certo, anziché vivere come tanti

stronzi che tiranneggiano il prossimo, accumulando ricchezze materiali e facendosi

una posizione, Scandurra sceglie di viaggiare negli universi a raddrizzar torti e a

far casino (leggi: intricare le strategie dell'Ombra). Non so nemmeno come

inquadrarlo sul piano iniziatico, ma etichette e classificazioni dei metafisici gli

vanno comunque stretti. Fuori classe, outsider, briccone divino, mago, sciamano di

provincia, folle-saggio: semplicemente Scandurra.

Un particolare mi ha incuriosito sin dalla prima ora: la serenità con cui Scandurra

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affronta il Grande Ignoto. I motivi per cui non prova sgomento di fronte a spettri e

magie, sono più di uno. Nel maestro è presente un altro registro, più nascosto e

arcaico, che entra in attività di fronte alla provocazione dell’ignoto. Scandurra sa

che la quotidianità è ambigua, duplice, fluida, esiste sempre qualche faglia

temporale dove ci si può perdere. Quando la civiltà, appollaiata in cima alla propria

idea di realtà vacilla e crolla su se stessa, ecco che tornano alla luce tutti i mostri

dimenticati e prende il sopravvento la faccia oscura della vita. In fondo per lui non è

importante che non si creda, ma che non si tremi. Egli non mette mai in dubbio

l’esistenza di forze misteriose ma anche di fronte ai più terribili portenti si comporta

come se il nemico fosse uno qualunque, senza paura e senza perdere la speranza

di combatterle e di vincerle. È quasi curioso vederlo che, pur in difficoltà di fronte a

entità barontiche, mantiene il suo comportamento e la fiducia nelle proprie

conoscenze e capacità. Le manifestazioni magiche e metapsichiche, oltre a quelle

sovrannaturali atterriscono solo chi non ci crede, mentre chi è disposto ad

accettarle, ammettendo che possa esistere qualcos’altro oltre al mondo che ci

circonda, sfugge alla morsa del terrore, e trova proprio nella sua accettazione la

forza di reagire alla minaccia dell’ignoto. Questa è esattamente la reazione di

Scandurra: la magia dell'Ombra, i fenomeni sovrasensibili, i fatti che la scienza non

può spiegare, non lo impressionano più di tanto, perché è disposto ad accettarli.

Quindi tutt’altro che “scettico” o “credulone”, la sua mente non si fossilizza sulle

verità imposte dal razionalismo, invece mantiene un’elasticità di giudizio che, lungi

dal farne un bevifrottole, gli permette di estendere il confine del reale oltre il limite

stabilito dai nostri cinque sensi. Va comunque detto che quando i meno attrezzati si

recano da lui a bottega, curiosi schizzati velleitari fissati e desiderosi di potere,

Scandurra non li asseconda minimamente, anzi. Il pericolo è che a leggere e

praticare certa roba senza i dovuti accorgimenti e privi di saldezza interiore, ci si

espone a determinate influenze. Dopo un po’ l’esoterismo si rivela per quello che

in buona parte è: un’agenda piena di indirizzi di esseri ostili.

Per non farci ossessionare da enti occulti e larve, lungo e complicato è

l'allenamento magico a cui ci sottopone Scandurra. Semplice nell'enunciazione,

tortuoso nella pratica. Il risveglio dell'anima avviene ora, in questo mondo, grazie a

un atto di conoscenza: l'immaginazione. L'anima assorbita dalle esperienze

comuni si accartoccia, si dilacera, ma l'immaginazione può ri-allinearla, scioglierla

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dal suo stato miserando. L'Arte e Madrenatura ci vengono incontro. Facendoci

inondare da immagini di pace e di potenza, si attinge ad un piano esoterico. Se

non ci facciamo guidare da questi archetipi – Scandurra li chiamava segni stellari –

rischiamo di perdere il contatto con la Realtà: quando ci ritiriamo in noi stessi,

isolandoci da ogni stimolo esterno, emergono immagini vorticose che ci rapiscono,

perché provengono da un abisso senza Dio. Il piano sottile si raggiunge grazie allo

stato meditativo, che ci fa muovere col cosmo. Affluiranno immagini. Dobbiamo

però dare loro ordine. Ecco allora l'uso del simbolo magico, dell'archetipo. Durante

l'apprendistato, il maestro ci consegna delle piante officinali che trova nelle

campagne viterbesi, da lui considerate tra le più magiche del mondo, e prima di

raccoglierle recita una preghiera o sussurra il nome dell'angelo giornaliero. Le

mettiamo sotto il cuscino la sera, prima di coricarci. Esse danno intelligenza ai

simboli evocati marcando il territorio magico.

Mi misi in marcia di buzzo buono. I timori si erano dileguati. Mi caricai di luce. Bella

sensazione, davvero. Feci dieci quindici passi e mi trovai fuori, all'aperto. Ero uscito

da un tumulo, o almeno ci somigliava parecchio. Di fronte a me una casa a due

piani sotto un cielo verderosso. Assomigliava a quelle dimore di legno tipiche della

provincia americana. Un bel tetto, un porticato, grandi finestre... una finestra della

veranda era illuminata. C'era qualcuno. Oh, oh! E adesso? Che significato aveva la

mia presenza in questo posto? Perché quello strano figuro incappucciato mi aveva

catapultato lì? Parcheggiata di fianco alla casa, c'era un automobile blu dal profilo

arrotondato, in perfetto stile anni cinquanta. Ritenni naturale, non so per quale

precisa considerazione, avvicinarmi e bussare. Non avvertivo niente di avverso e

tutto lasciava intendere che mi trovassi sulla Terra. La struttura abitativa era quanto

di più umano, di più normale potesse esistere. La porta si aprì e il padrone di casa

era un extraterrestre...

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mercoledì 25 luglio 2012

IUS 52

"Sei sicuro che il meccanismo che vi annullerà non sia già partito? ”

K.K.Fargo

"Bianco e nero, freddo e caldo, riflesso e assorbimento, sono le coordinate della

Vita. Quando tutto sarà finito e il mondo assomiglierà ad una poltiglia di cenere e

merda, ritorneremo per mettere le cose a posto. Bianco e nero...”

Scandurra

Mi fece cenno di entrare e mi accomodai su di una poltrona vecchio stile. Il salone

era completamente di legno: pareti, pavimento, mobilia. Un camino acceso, dava

l'idea di un tipico ambiente della provincia americana, con un particolare insolito

però: una piramide di travertino scolpita sullo stipide sinistro. Il marziano – li

riconoscevo ormai, esuli da secoli e trascinati su altri universi – possedeva tratti

somatici a metà tra il pellerossa e … il marziano. Non saprei come dire. Non

spiccicò parola, ma aveva una tristezza dipinta in volto, come di un condannato a

morte (si dice così di solito) che valeva più di mille parole. Indossava una tuta

argentea da pilota d'aereo ed era alto 180/185cm.. Uscì dal salotto con un'andatura

sofferta, quasi si trascinava. Evidentemente si trovava in una condizione forzata a

fare il maggiordomo di... già, di chi? Dalle stelle a lui tanto care, simboli di potenza

e grazia, aveva finito per chiudere il suo viaggio in un altro mondo, la Terra, come

prigioniero. Sentivo il suo dramma, la sua sofferenza. Viveva di (e nel) passato.

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Stagnava. Agonizzava. Ed è ingiusto piantarsi sui ricordi, sulle lacrime. Siamo nati

liberi. La libertà è un principio fondatore in tutte le dimensioni. Ma io mi

preoccupavo per quel marziano, dimenticando il mio stato. Cosa mi dovevo

aspettare? Forse la mia posizione non era così diversa da quella del marziano. Il

“Sogno nel sogno" di Poe e il “Teatro nel teatro" shakespeariano, ben

rappresentavano in quel momento il mio mondo interiore.

A quella detenzione sostanziale in cui mi trovavo, si opposero inaspettati suoni/

percezioni che venivano da un altrove lontano, galleggianti a distanze

astronomiche che il mio occhio trasformava, non so nemmeno io in che modo, in

enormi sorgenti di energia. Mi si presentava fuori/dentro un mare calmissimo

attraversato a velocità folle, a pelo d'acqua, da uno sciame di asteroidi multicolore:

l'essenza magica del lumen che inonda e ti fa sentire non più solo, ma collegato

all'oceano cosmico. Ecco il simbolo iniziatico del pesce con due gambe:

navighiamo e camminiamo su più piani, cittadini di due mondi.

Mentre viaggiavo nel mio firmamento e trasportavo all'esterno il lumen che illumina

e anima la materia tutta; ecco, mentre facevo il mio lavoro magico di richiamo, entrò

un uomo anziano, stempiato e un po' curvo. Indossava una giacca da camera color

corallo e un paio di pantofole chiuse con la zip. Un nonnino. Un tipo inoffensivo,

insomma.

- Ben contento di fare la tua conoscenza. Mi risulta che sei tra i migliori della

nidiata. Quell'uomo sa selezionare, non c'è dubbio. Mi presento... K.K.Fargo e

medio tra la Terra e i Nove Mondi, per conto dell'Ombra. L'Ombra è un nome

melodrammatico, sì, ma ci sta tutto, credimi. - senza por tempo in mezzo e con voce

pacata e buona pronuncia della lingua italiana, si rivolse a me.

- Che cosa vuole? - feci io senza timore, per una volta.

- Vai subito al dunque... un altro insegnamento di Scandurra, vero? Giusto,

nemmeno a me piacciono i convenevoli. Voglio, anzi, vogliamo una spoletta, una

qualsiasi, ma la vogliamo. Se ti rifiuti, faremo una visita ai tuoi familiari... Siete

ovunque circondati da Titani, senza volto e della consistenza dell'aria. Tali forze

sono figlie del caos, dell'incontrollato e del disordine. Non ci sarà scampo per

nessuno. Lo sai e non puoi sottrarti. Cedi prima che tutto sia crollato. Non ti chiedo

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di tradire ma di affrettare la fine dell'agonia dei tuoi amici. Ovunque c'è la nostra

impronta. Coloro che appartengono al sistema del potere sono corrotti non soltanto

a causa delle opportunità insite nei loro incarichi, ma anche per necessità. Non v'è

possibilità di cambiare le cose.

- Bastardi. Cascate male, però. Siamo protetti, soprattutto da possibili ricatti.

Non ho paura e non mi terrete al guinzaglio come quel poveraccio di marziano.

- Rhiah... oh, è tenero e fedele. Alla fine tutti crollano dopo una tortura ben

assestata... Sei sicuro che il meccanismo che vi annullerà non sia già partito?

Quel vecchio stronzo si congedò e uscì. Intanto il fuoco del camino scoppiettava. Mi

venne l'idea di fuggire via, senza indugi o tattiche di sorta. La finestra era grande,

come tutte quelle delle case americane. Un tuffo a pesce coprendomi gli occhi e

non mi avrebbero preso. Un vecchio e un povero marziano rincoglionito, non

sarebbero stati grossi inseguitori. Non avvertivo altri in quella casa, perciò mi decisi

e con breve rincorsa mi lanciai verso la finestra. Sfasciai vetro e infissi e ruzzolai

per le terre. Via, più veloce della luce. Ero un discreto quattrocentista con buona

resistenza. Mi allontanai a lunghe falcate, inoltrandomi in un boschetto. L'istinto mi

diceva che attraversandolo avrei messo tra me e loro parecchi centinaia di metri da

subito. Chissà perché? Il cielo era scuro, ormai. Nel mezzo della vegetazione mi

bloccai. Non vedevo un bel niente. Cercai invano di accendere il lumen. Erano

cacchi acidi. Ora, la mia sicumera si affievoliva con la velocità del lampo. Un odore

acre non so di cosa mi ferì le narici. Scartai di lato e intravidi una sagoma

gigantesca, alta due volte una porta da calcio. Una statua? Macché. Quell'essere

enorme si mosse e verso di me. Io ero spento come la Pallanzana (ex vulcano

vicino Viterbo) e mi sentivo piccolo come un sorcio. Una voce bassa e profonda

quasi meccanica, proveniente da quel gigante, mi investì.

- "Il tuo viaggio finisce qui.”

Si avvicinò con un sol passo. Come se avesse inseriti tubi al neon, gli si illuminò la

corazza di rosso porpora, marcandone la sagoma. Un essere titanico a mò di

cavaliere antico o d'extraterrestre origine, mi si piazzò di fronte e dovetti alzare più

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che potei la testa per tentare di vederne il volto. Un casco squadrato di ferro gli

copriva la faccia. Dalla fessura orizzontale all'altezza degli occhi, intravidi due fori

oblunghi violacei, senza pupille. Chi diavolo era? Ne sentivo la presenza elettrica.

Emetteva pure un campo di forza, esteso, denso. Forse un robot che proteggeva

Fargo. Il lumen si era bloccato. Avevo perduto la mia sicurezza e tutto si faceva

scuro...

Scandurra lo risucchiò dentro chissà quale pozzo senza fondo. In un secondo vidi

quel bestione inghiottito da un gorgo gialloverde. Un tremolio del terreno e poi

silenzio. Il maestro si appoggiò ad un albero. Lo vidi stanco, col fiatone.

- Son sempre delle bestiacce 'sti titani. Porcazozzaladra che fiacca. Eh, Angelino,

t'accendi e ti spegni come un albero di Natale e non sempre quando serve.

Comunque, è tutta esperienza. Arriverà il giorno in cui terrai botta di fronte a

qualsiasi nemico o rogna. Ma io non campo sempre, perciò sbrigate.

Lo abbracciai. Gli chiesi se dovevamo sistemare anche quel vecchio bastardo.

- C'è tempo. Lasciamoli crepare lentamente. Le forze all'opera hanno tempi diversi.

Mi serve che faccia ancora le sue mosse. Si allungherà la catena sempre di più e

così li legheremo tutti insieme in un bel fascetto.

Scandurra spesso si fermava ad un passo dal bersaglio, prima di chiudere certe

questioni. Le linee della storia, quella occulta non raccontata sui giornali, erano

intrecciate assai. Passato presente e futuro si potevano manipolare, a patto di

conoscere le tracce che il kaos lasciava lungo il grande fiume eterico, a patto di

saper modificare impercettibilmente le cariche montanti. Senza dimenticare le

relazioni tra dimensioni. Insomma, pane per i denti di Scandurra. Che il Padre

celeste ce lo conservi sempre.

- È un pezzo di carne essiccata, mangiala, è buona, soprattutto quando si ha fame.

A Deya ci faremo una bella cenetta con gli amici e ci sbornieremo con birra rossa e

vino. Vai tranquillo, sanculo ti ha protetto ancora.

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venerdì 31 agosto 2012

IUS 53

. . .

La speranza spezzata

è la tua eredità.

Fallimento di una vita

di coraggio e di viltà.

Troverai sul cammino

fango e corruzione.

E la voglia tu avrai

di sdraiarti al suolo

per guardare come in un film

i colombi in volo.

Ti faranno fumare

per farti sognare che

il futuro od “un messia"

presto tutto cambierà.

Ed avrai come vanto

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una nuova condanna

ti diranno che il vento è

il respiro di una donna

per far sì che un lamento, uno solo,

copra ogni tormento di un velo.

Ma se tu rifiuterai

di giocare all'attore

forse un libro scriverai

come libero autore.

E tu forse parlerai

di orizzonti più vasti

dove uomini celesti

portandoti dei figli

ti diranno: "Scegli!"

ben sapendo che ridendo tu

tu a loro ti unirai...

(Mogol/Battisti - Gli uomini celesti)

L'uomo che sogna è soprattutto un essere vivente, e tutto ciò che egli vede

acquista vita. È il regno di Proteo, ovvero della cosa che si trasforma per

un'interiore forza.

(Simone Weil)

La natura ci pone un limite che se lo superiamo diventa ingestibile: quando ci

ritroviamo confinati in un angolo reagiamo per disperazione e paura ed in questo

contesto facebook e twitter possono amplificare le nostre emozioni ed accellerare i

tempi di formazione di una massa critica. I figli della vedova nel loro delirio di

onnipotenza (il potere è un pagliativo, l'illusione misera e patetica di poter

sconfiggere la morte) credono di avere gli strumenti per controllare ogni cosa ed è

un errore che si perpetua da sempre! Corrono il rischio di finire appesi ai lampioni:

lo insegna la storia! In ambienti popolari dove ancora la gente si aggrega e

socializza: bar, osterie, piccoli negozi, l'umore è quello di chi sta aspettando il

"LA"... non lo auspico ma ho la sensazione che siamo vicini.

(anonima talenti)

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La nostra arte è misura dell'intensità.

(Scandurra)

E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuna carne si salverebbe; ma a motivo

degli eletti quei giorni saranno abbreviati.

(Matteo 24,22)

Immagina un cerchio e immagina che ne stai percorrendo la circonferenza.

Qualunque sia il punto in cui cominci il percorso, quello è il tuo inizio. Ma, una volta

che cominci a muoverti, non c’è fine; continui a girare in tondo. Se vuoi uscire fuori

dal cerchio senza fine, devi essere consapevole che il cerchio ha un centro e che

tu devi stare in quel centro, invece che lungo la circonferenza. Cos’è questo

centro? È la realtà che risiede permanentemente nel Cuore di tutti gli esseri. È la

coscienza, è verità ed amore. Tutti devono conoscere quel centro, se vogliono

smettere di girare in tondo all’infinito, spostandosi continuamente da un punto

all’altro (…). Non c’è né inizio né fine nel centro, perché lì cessa ogni direzione,

distinzione e movimento. (…) Se riposi in quel centro, il mondo non potrà turbarti o

toccarti in alcun modo.

(H.W.L. Poonja, maestro vedanta indiano del secolo scorso)

[Satana] sa di aver forza solo se si fa passare per uno che sta dalla parte di Dio,

per uno che sostiene la sua causa. Solo se si presenta come devoto a Dio il

serpente può essere malvagio. […] Se il male si mostra nella propria totale

separazione da Dio, allora è del tutto privo di forza, è uno spauracchio per bambini,

non occorre temerlo, anzi il male non concentra lì la sua forza, e per lo più su

questo punto attrae l’attenzione per distrarla da quell’altro punto in cui

effettivamente vuole aprirsi la breccia ed irrompere.

(Dietrich Bonhoeffer)

. . .

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(LA BOTTEGA DI SCANDURRA)

Ci accucciammo e brrrrrr... oltre i limiti terracielo, al di là della frontiera degli spazi

ignoti, sull'istmo dei Nove Mondi. Ed eccoci a Deya città-labirinto, immensa,

lontana eppure familiare, soltanto collocata in un altro universo. Entrammo in una

taverna, riconoscibilissima per i tavoli e gli avventori che chiacchieravano bevendo

con allegria. Era a pianta quadrata iscritta in una croce greca. Geometria

deyana, talvolta semplice come le costruzioni dei bambini. L’odore di fritto

si espandeva anche all'esterno. Ci sedemmo ad un tavolo vicino la porta

d'ingresso. Scandurra fece un cenno all'oste, insomma al titolare dell'esercizio.

Questi con passo lento e strascicato si avvicinò. Era un omone dalla faccia paciosa

ma con un ghigno poco rassicurante, indossava un sinalone zozzo-sporco; ci tirò

un fogliaccio rigido dall'apparenza di menù, anch'esso lordo e grasso. Scandurra

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gli chiese in una lingua ignota non so cosa, lo compresi dal modo interrogativo.

L'omone si fece serio e chinò il capoccione stempiato. Con inattesa velocità

scomparve nel retrobottega. Chiesi al maestro cosa gli avesse detto.

- Mah, gli ho chiesto di portarci un frizzantino aromatizzato, focacce in abbondanza

con sciroppo marmellatoso e... un camion blindato.

- Ma come pagherai la colazione... e il camion soprattutto?

- Mi fa credito da una vita. Gli ho salvato il culo una volta e quando ho bisogno, lui

è pronto e disponibile. Mi teme, ma non mi conosce bene, so “bbono” come il pane

io.

- Già già è proprio così... Maestro, tu sei una leggenda da queste parti. Cacchio,

sono l'aiutante di un eroe.

- Fregnacce. Eroe, bah. Sono un fruttarolo in trasferta. Salto fossi di universi, ma

senza merito. Ho avuto più core di altri, tutto qua. Aiuto chi ha bisogno e lo fai pure

tu, e questo mi rende felice. Sistemiamo certi squilibri e alterazioni. Siamo fatti di

terra e stelle, solo che ce lo dimentichiamo spesso, allora i pochi che rammentano

chi sono, si fanno carico dei casini degli altri e dei mondi. La stragrande

maggioranza dell'umanità, perché smemorata, non è in grado di vedere la Realtà. I

sensi la filtrano, per comprenderla. Si creano costrutti per affrontarla. Per vedere la

Realtà autentica, la sua totalità, è necessario risvegliare il divino che dorme dentro

di noi. Come si fa? Semplicemente ricordando chi siamo. A bottega questo

facciamo, ricordiamo. E lo sperimentiamo mentre prepariamo il caffettuccio,

cucinando il sughetto per le penne all'arrabbiata, sentendo l'uovo-anima presente

in ogni cliente che entra. C'è tutto un cosmo da scoprire dentro il nostro angoletto

d'universo. Gente che va e che viene, anime che fanno capolino e chiedono un

momento d'attenzione per dipanare un nodo creato quando erano su 'sto mondo.

Passeggeri di aeronavi d'Atlantide, gatti ubriachi di vita e gente di frontiera. Ecco, io

sono lì, seduto dietro un banco, alla mia sinistra una vecchia bilancia bugiarda, alla

destra una cassa leggera leggera, perché non sono io a far pagare i conti della

vita. Un eroe? No, soltanto un uomo che crede nell'arte della magia e quel che è

peggio, l'adopera.

Mi vennero in mente alcune domande da rivolgere a Scandurra. Nel frattempo

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l'oste ci aveva servito focacce, vino, sciroppi di frutta. Mangiammo di gusto.

- Noi come ci poniamo nei confronti degli universi? In fondo siamo sempre stranieri

a casa degli altri. Hai detto che raddriziamo torti, mettiamo ordine nei casini altrui...

tuttavia dici pure che a volte non si può, non si deve intervenire né chiudere

definitivamente un caso.

- Quando si dà una bella botta contro la solida consistenza dell'essere, è stilosa

'sta espressione, sa di filosofia... la solida consistenza dell'essere... insomma

quando vai a “sbatte” contro una porta, non a caso si dice: «Ho visto le stelle!». La

Creazione è stata la rivoluzione più grande della storia, la sola unica

indispensabile rivoluzione positiva, e noi uomini abbiamo bisogno di allenarci

continuamente alla meraviglia per l'esserci del mondo.

Non c'entra il sentimento eh, anzi è una faccenda concreta mettersi a guardare

l'essere delle cose attorno a noi con la coscienza che esse sono il giornale

quotidiano scritto dal Padre Celeste per non farci dimenticare che il suo gesto

supremo è stato quello di aver sottratto ogni cosa al nulla. I segni che ci mette

davanti sono semplici, come una foglia, o spettacolari come le galassie o

travolgenti come i mondi intermedi. Se vi ho insegnato veramente qualcosa di utile

è stato quello di allenarvi alla meraviglia; non è l'ottimismo per reagire alle batoste

della Vita, è anzitutto una naturale vocazione dell'uomo alla battaglia. Quando le

forze soccombono, quando si perde la presa, quando le cose della vita ci

inchiodano senza la possibilità di reazione, c’è ancora una missione da compiere,

c’è ancora una testimonianza da dare. La nostra nascita somiglia molto a un

servizio di leva con cui il Creatore ci ha assunto nel suo progetto di operosa

opposizione al nulla. Questo ci fa sentire vivi, pronti a fare qualcosa, poco o tanto

poco importa, contro ciò che è avverso alla Vita, contro chi agevola il kaos, senza

piangerci addosso o, peggio, senza prenderci per il culo, senza considerare i costi

e i profitti. Ci troviamo in prima linea, basta e avanza.

Gli Universi sono il polverone esplosivo, entusiasmante, drammatico, gioioso

sollevato da Dio contro il nulla. E noi ci siamo finiti in mezzo; a volte è difficile

vederci chiaro. Ogni giorno siamo alle prese con piccole e grandi battaglie e

diventa ultimamente frustrante fondare l'equilibrio della nostra vita sul bilancio tra

risultati positivi e negativi, tra successi e disfatte. Allenarsi alla meraviglia è, perciò,

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un esercizio e non una teoria per ricordarci che il nostro agire è accompagnato da

una solida speranza di fondo: ci costringe a vedere il lavoro della vita non

misurandolo con una lente d'ingrandimento, ma piuttosto con il cannocchiale di un

progetto universale in cui siamo coinvolti.

La Creazione è il disegno di Dio, e il suo disegno prevede che anche noi ci

mettiamo a disegnare. È questo l'orizzonte vero in cui ogni nostra azione trova

equilibrio, senso: gli esiti altalenanti delle nostre opere sono solo il fumo di

superficie di una battaglia ben più importante che ci tiene davvero tutti in piedi.

Perché, in ogni caso e in qualunque circostanza, noi siamo parte e testimonianza

di questo operoso spettacolo che è l'essere. Mettersi a guardare, a ritrovare le

stelle è un sano e vigoroso esercizio di piena umanità. Ricordati che l'Essere,

come creato, è la bandiera che sventola in ogni remoto angolo dei Nove Mondi.

Ricordati, l'Ombra con i suoi battaglioni ombrati non sono il Grande Nulla. No,

l'Ombra è la forza che si contrappone a noi, ma è parte di quel codice binario che

mette ordine al Kaos. Soltanto scontrandoci portiamo in equilibrio i piatti della

bilancia.

- Cosa vedi maestro alla fine del 2012? Credi che la gente capisca e scelga

bene da che parte stare?

- Il futuro è già all'opera adesso, qui, su Deya e noi dobbiamo ancora

combattere una guerra passata. Quanti uomini vedi al nostro fianco? Pochi,

vero? È sempre stato così. L'Ombra, sì, Shiva lo stupratore di mondi, incantatore di

sensi e di coscienze, dirottatore di sessi, mostra meraviglie e poi... poi alza il velo e

appare il suo volto sotto la maschera ed è mostruoso. I potenti della Terra che

credevano di guidare il mondo con le loro squadrette compassate, usando l'oro

fregato all'Ordine rossocrociato e adorando idoli tebani, scopriranno troppo tardi di

essere pupazzi nelle mani di potenze ignote. Eppure ne hanno fatti di danni.

Hanno fondato un impero e quando hanno agito, hanno creato la realtà. E mentre il

resto del mondo stava analizzando quella realtà, loro agivano di nuovo creandone

un’altra e poi un’altra ancora. È così che sono andate le cose per secoli.

Arriveranno aiuti luminosi da ogni dove, è vero, ma anche creature sulfuree si

ritroveranno sulle colline intorno Gerusalemme. Un lavoro da fare per il 2012 è

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quello di attrarre dal firmamento l'energia nel nostro spazio esistenziale.

Quanto amo 'sta benedetta Terra, ma quanto è tosto difenderla. Angelo, fra poco mi

leverò dai cojoni per poi tornare alla fine. Sai a me piacciono le uscite e le entrate

spettacolari. Non sono l'attore principale ma un buon caratterista che sulla scena

cosmica fa la sua bella figura, dando sostanza alla trama. Interpretiamo dei ruoli,

decisivo è non stare fra gli spettatori quando andrà a fuoco il teatro.

Finimmo le cibarie e ci alzammo veloci. Girammo intorno allo stabile ed entrammo

nel suo cortile interno: una camionetta blu di forma circolare, blindata tipo militare,

era parcheggiata in bella mostra. Scandurra spinse un pulsante in prossimità della

portiera che si aprì. La guida era a destra come in Inghilterra. Mi accomodai al

posto del passeggero. L'abitacolo era avvolgente, anatomico, perfettamente

avvolti. Il maestro prese la cloche e... decollammo. In pochi secondi dominavamo

Deya dall'altezza di alcuni kilometri. Bellissima, intricata e intrigante, si estendeva a

perdita d'occhio.

- Maestro ma sai guidare un aereo?

- No, perché?

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lunedì 14 gennaio 2013

IUS: L'ULTIMO

. . .

La Magia rivela le trame degli Universi; labbra sfingea che svela l'uomo all'uomo.

Essa non è pane per cialtroni e sfruttatori dell'umano bisogno. Essa non è mera

ricerca di potere. La Magia è captare e manovrare i due principii cosmici, l'uno

attivo e l'altro passivo, al fine di raddrizzare ciò che è storto e piegare ciò che è

rigido. Il mago coopera con la Natura e ne individua i vincoli invisibili che tutto

legano. Gli stregoni fanno uso, invece, di energie appartenenti al regno oscuro,

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sublunare, che solo in apparenza assumono le forme della Natura. La Magia non è

una scienza, è un'Arte, cangiante, creativa, analogica, immaginifica. I rituali da soli

non funzionano, per far scattare la Magia ci vuole passione e conoscenza. Ci vuole

il fuoco per incendiare. La Magia non si impara, si trasmette.

Scandurra, tra una pesata di pere e cavoli, in procinto di attraversare botole, o nel

momento più pericoloso, almanacca sulle piccole cose e sulle grandi imprese.

• Cerca di non arrecare dolore, supera la violenza con la conoscenza, fai morire

ogni autoinganno.

• Guardati le spalle e cammina muro muro, ma al tempo stesso non ti chiudere del

tutto, lascia socchiuso l'uscio.

• La magia è tutto un universo in cui vivere.

• Ogni azione magica, produce l'effetto di ritorno, tienilo nel dovuto conto.

• La trasmutazione avviene se sei disposto a tutto... e spesso non basta.

• Non aver fretta di riuscire, quando credi che la meta sia lontana essa si avvicina e

viceversa.

• Domina la paura, ma non eliminarla del tutto, essa può salvarti la vita.

• Distruggi lo stronzo che è in te, perché abbiamo bisogno di uomini coraggiosi,

leali, umili, non di prepotenti.

• Tutto ha una forza, o la afferri o la eviti, perché contrastarla?

• Solo durante il plenilunio raccoglierai la pianta che ti curerà, la linfa è più forte ed

efficace. Senti quando il tempo è propizio per ricevere visioni e viaggiare. Tutto

obbedisce ad influenze stellari positive e negative. Muoviti in base a questa legge.

• Non mi serve gente che fa resistenza, ma che mi aiuti a spingere.

• La presa salda ma non serrata, le ginocchia appena piegate, le spalle rilassate.

Nessuna tensione nella schiena. Le tensioni rendono lenti. Se sei lento, muori!

• Le cose succedono...

• Il Grande Varco è l'unico lontano evento cosmico verso cui tende ogni cosa

creata.

• Chi entra nella mia bottega, è sempre un uomo che sta cercando di rimettere

insieme la sua vita.

• Per conoscere, impara a fare.

I professoroni di scuola ci dicono che la terra scompare nella vastità dell'universo.

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Io ti faccio vedere che la terra è il crocevia dei Nove Mondi.

Scandurra

«Una nuova visione sta cominciando a formarsi e una nuova coscienza a

spiegarsi. Si avverte già un nuovo entusiasmo e un nuovo fremito della stessa vita.

Una forza nuova nata dalla sofferenza pulsa nelle vene e una nuova simpatia e

comprensione sta scaturendo dalla passata sofferenza. Un più vivo desiderio di

vedere altri soffrire di meno e, se devono soffrire, vedere che lo sopportino

nobilmente e ne escono senza eccessive ferite. Io Krishnamurti adesso ho zelo più

ardente, fede più grande, simpatia più viva e amore più forte. Adesso so, e ne sono

più certo che mai, che nella vita esiste veramente una Bellezza , una felicità che

nessun avvenimento materiale può sconvolgere, una grande forza che gli eventi

transeunti non possono indebolire e un grande Amore permanente, imperituro e

invincibile».

Jiddu Krishnamurti

«La Verità arriva come un ladro di notte, quando meno ve lo aspettate. Vorrei poter

inventare un nuovo linguaggio, ma non potendolo, vorrei distruggere tutti i vecchi

frasari e le antiche concezioni. Nessuno può darvi la liberazione, dovete scoprirla

da voi, ma dato che io l’ho trovata vorrei indicarvi la via. Chi ha acquistato la

liberazione è diventato il Maestro, come me. Consiste nel potere che tutti hanno di

entrare nella Fiamma, di diventare la Fiamma. La liberazione non è per pochi eletti.

La liberazione è vita e la cessazione della vita. È un gran Fuoco e quando vi

entrate voi diventate la Fiamma e diventate scintille, lingue, particelle di quella

Fiamma.

Io sostengo che esiste una Vita Eterna che è la sorgente e la foce, l’inizio e la fine e

pur sempre senza fine e senza inizio. Solamente in quella Vita ci si realizza

veramente. E chi riesce a realizzare quella Vita, possiede la chiave della verità

senza limiti. E quella Vita è per tutti e in quella Vita sono entrati il Buddha e il

Cristo. Dal mio punto di vista, ho raggiunto e sono entrato in quella Vita. Quella Vita

non ha forma come la verità non ha forme e non ha limiti. E a quella Vita tutti

debbono tornare».

Jiddu Krishnamurti

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«Nihil sine domino» avvertono i Gesuiti, nulla accade senza la volontà di Dio.

La grandezza, per quanto breve, ce la portiamo sempre dentro.

Il Lumen è la corrente primaria donata a chi è disposto a tutto per la causa; energia

d'accesso ai Nove Mondi, ma pure fardello di responsabilità.

Gli adulti in genere e gli insegnanti in particolare, spesso dimostrano di avere serie

difficoltà rispetto alle esigenze dei giovani; tutt'al più rimandano la patata bollente

allo psicologo, ovvero tutto ciò che nei ragazzi appare come naturale crisi ed

inquietudine da attraversare, diventa un problema allarmante da esaminare ed

analizzare. Scandurra non analizza il suo allievo né lo esamina ma lo prende con

sé così com'è, perché sa che in quel volto pieno di domande c'è un destino e

nell'istante della comunicazione di sé (attraverso l'insegnamento) esso si rivela,

senza rimandi.

Dormono nella terra degli antichi miti,

dodici presagi dei fiumi, dodici

auspici della primavera.

Al loro risveglio saranno guerrieri

di obliata tradizione. Le loro memorie inaugurano

il tempo annunciato dai poeti.

Cavalli e leoni misteriosi nella casa

del Orixá,

dodici fulmini invisibili che mutano segno

dei mesi.

Al loro risveglio cresceranno senza tempo,

molteplici e segreti, come

radici della terra

e stupiranno le orecchie del mercante e dello zappaterra

e abbatteranno i templi

che alieni dèi sorressero.

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Pablo Armando Fernandez

Il YICHING, il nostro Maestro, l'ha detto: Calpestando la brina della cattiva

abitudine, il ghiaccio del male e della disgrazia sopraggiunge; ora, sono secoli che

quelli dell'Occidente calpestano la brina, ed hanno costruito un tale muro di

ghiaccio che il calore della verità non arriverà mai a fonderlo. Avete bruciato i

templi, rovinato i bambini, disperse le ossa degli avi. Così fecero un tempo i

mongoli nel nord dell'impero... Ma ecco il vostro maggior crimine: mentre noi

abbiamo devotamente conservato, voi avete dimenticato la vostra origine e il vostro

destino; ignorate addirittura ciò che siete, e i vostri sapienti, con i vostri applausi, vi

pretendono figli di scimmie; quando, per caso, vi ricordate il nome dell'Assoluto, è

per trascinarlo nel fango del vostro ignorante disprezzo. Avete spento, a vantaggio

del corpo imbecille, ogni chiarezza dello spirito; per la perfezione degli ingranaggi

dei vostri orologi e delle vostre macchine, avete perso la conoscenza del

movimento dell'universo. E vagate orgogliosamente nelle tenebre più cupe, a tal

punto che tu - che credo essere un mandarino della tua razza - sei accecato dalla

fiamma vacillante che ti ho messo in mano, come da un sole.

Matgioi, La Via del Taoismo Melita Ed. p. 237

Le nostre città civilizzate nascono morte, somigliano agli scheletri degli alberi

giovani, uccisi dai vermi durante la crescita. Perché se l'obiettivo del cosiddetto

progresso, delle cosiddette civiltà, è ottenere la felicità dell'uomo, senza dubbio è

un obiettivo fallito. Gli Ashannca, i Campa, invece, sono felici, vivono in armonia

con la natura, con la natura del reale-reale e con la natura del reale-sognato, non

contendono a nessuno lo spazio per vivere, e sono loro dunque, e non noi, i

civilizzati, i detentori del progresso, i vivi. Sono città vive, selve piene di porte

inaspettate, aperte soltanto per chi le sa vedere, per chi le sa fare, varcare e

meritare, nel sonno e nella veglia, porte invisibili tra la folta vegetazione e il

pericolo costante, rischi che danno dignità, danni che fortificano!

César Calvo, Le tre metà di Ino Moxo e altri maghi verdi - Feltrinelli p. 172

Fra i tratti caratteristici della mentalità moderna, e come argomento centrale del

nostro studio, prenderemo subito in esame la tendenza a ridurre ogni cosa al solo

punto di vista quantitativo, tendenza talmente radicata nelle concezioni

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'scientifiche' degli ultimi secoli, e reperibile d'altronde altrettanto nettamente negli

altri campi, come ad esempio quello dell'organizzazione sociale, da permettere

quasi di definire la nostra epoca essenzialmente e innanzitutto come il regno della

quantità. Se adottiamo questa categoria a preferenza di qualsiasi altra non è tanto

o principalmente perché sia più visibile o meno contestabile, ma perché ci appare

come veramente fondamentale, dato che tale riduzione al quantitativo traduce

rigorosamente le condizioni della fase ciclica raggiunta dall'umanità nei tempi

moderni, e perché la tendenza in questione conduce logicamente al punto d'arrivo

di quella 'discesa' effettuantesi a velocità sempre più accelerata, dall'inizio alla fine

di un Manvantara, cioè nel corso di una manifestazione di una umanità come la

nostra. Tale 'discesa', come abbiamo già avuto occasione di affermare, non è altro

che il graduale allontanamento dal principio, necessariamente inerente ad ogni

processo di manifestazione; in virtù delle condizioni speciali di esistenza cui il

nostro mondo deve sottostare, il punto più basso riveste l'aspetto della quantità

pura priva di qualsiasi distinzione qualitativa; è ovvio che si tratta esclusivamente

di un limite, e che quindi si può parlare solamente di 'tendenza', poiché nello

svolgimento del ciclo tale limite non può assolutamente essere raggiunto,

trovandosi in qualche modo al di fuori e al di sotto di qualsiasi esistenza realizzata

o realizzabile.

René Guenon, Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi Adelphi pp. 12, 13

Quanto ai mezzi mediante i quali l'Occidente è giunto ad affermare questa

dominazione, basta riportarsi a quanto ne abbiamo detto in altre opere, per

convincersi che, in definitiva, essi si basano esclusivamente sulla forza materiale, il

che, in altri termini, equivale a dire che la dominazione occidentale non è altro

essa stessa che un'espressione del 'regno della quantità'.

R. Guenon, Il Regno della Quantità... p. 16

Poiché lo svolgimento discendente della manifestazione, e quindi del ciclo che ne

è espressione, si effettua dal polo positivo od essenziale dell'esistenza verso il suo

polo negativo o sostanziale, ne consegue che tutte le cose devono prendere un

aspetto sempre meno qualitativo e sempre più quantitativo; ed è per questo che

l'ultimo periodo del ciclo deve tendere, in modo del tutto particolare, ad affermarsi

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come il regno della quantità.

R. Guenon, Il Regno della Quantità... p. 47

Negli individui la quantità predominerà tanto più sulla qualità, quanto più saranno

ridotti ad essere, se così si può dire, dei semplici individui, e quanto più saranno,

appunto per questo, separati gli uni dagli altri, il che, si badi, non vuole affatto dire

più differenziati, poiché vi è anche una differenziazione qualitativa che è proprio

l'inverso di quella differenziazione del tutto quantitativa che è la separazione in

questione. La quantità, torniamo ad insistere, può soltanto separare, non unire;

sotto forme diverse, tutto ciò che procede dalla 'materia' non produce altro che

antagonismo fra quelle 'unità' frammentarie che sono all'estremo opposto della

vera unità, o che almeno vi tendono con tutto il peso di una quantità non più

equilibrata dalla qualità....

La conclusione deducibile da quanto precede è che l'uniformità, per essere

possibile, supporrebbe esseri sprovvisti di qualsiasi qualità e ridotti a semplici

'unità numeriche'; ed è perciò che un'uniformità del genere non è mai realizzabile

di fatto, e che tutti gli sforzi compiuti a tal fine, specie nell'ambito umano, possono

avere l'unico risultato di spogliare più o meno completamente gli esseri delle

qualità loro proprie, e di fare di essi qualcosa che assomiglia al massimo a

semplici macchine, in quanto la macchina, prodotto tipico del mondo moderno, è

appunto ciò che rappresenta, al più alto grado finora raggiunto, la predominanza

della quantità sulla qualità. Proprio a questo tendono particolarmente dal punto di

vista sociale, le concezioni 'democratiche' ed 'egualitarie' secondo cui tutti gli

individui si equivalgono, supposizione assurda la quale induce a ritenere che tutti

debbano essere ugualmente adatti a non importa cosa...

R. Guenon, Il Regno della Quantità... pp. 51-55

L'occidente moderno, del resto, non si accontenta di imporre a casa sua un tal

genere di educazione; egli vuole imporlo anche agli altri, unitamente a tutto il

complesso delle sue abitudini mentali e corporee, al fine di uniformare il mondo

intero di cui contemporaneamente uniforma l'aspetto esteriore mediante la

diffusione dei prodotti della sua industria. Ne deriva la conseguenza, solo in

apparenza paradossale, che il mondo è tanto meno 'unificato' nel senso reale del

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termine, quanto più diviene uniformato.

R. Guenon, Il Regno della Quantità... p. 55

I tempi mutano, e con essi le richieste. Così anche nell'annata cosmica vi sono

primavere ed autunni di popoli e di nazioni, che richiedono trasformazioni sociali.

R. Wilhelm, I CHING da "Il Sovvertimento", "La Muda" p. 216

Se parliamo di evoluzione, intendiamo il graduale spiegamento nel tempo di ciò

che è potenzialmente presente ma non è ancora apparso nella visibile e tangibile

realtà. Ogni fase è un aspetto del tutto sotto le date condizioni del tempo e delle

circostanze. Se possiamo vedere le connessioni causali, parliamo di evoluzione.

Se il processo occorre spontaneamente, parliamo di mutazione. Il primo è un

processo che avviene perifericamente, cioè nel medium del tempo; l'altro avviene

radialmente, direttamente dal centro senza tempo, tagliando verticalmente, per così

dire, attraverso i movimenti del tempo e della causalità.

A. Govinda, The Inner Structure of the Book of Changes Wheelwright p. 9

La croce eretta sul Golgota rappresenta un riposizionamento dell’asse terrestre e

dell’animo umano.

L'aquila non può levarsi a volo dal piano terra; bisogna che saltelli faticosamente

su una roccia o su un tronco d'albero: ma da lì si lancia alle stelle.

Hugo von Hofmannsthal

Fausto Gianfranceschi, aforismi scelti da Aforismi del dissenso:

“Conosci te stesso”: mai sentenza è stata più difficile da eseguire. Quanto a

conoscere gli altri, nessun oracolo prova nemmeno a suggerirtelo.

Dignità: non ci sono scuole per conseguirla. Ovvero ci sono scuole per stroncarne

anche la memoria.

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Avanguardia, in genere destinata alla distruzione. La storia apparterrà al grosso

dell’esercito.

Le rinunce, più dei successi che non mi sono del tutto mancati, mi hanno

modellato. Lo scultore opera togliendo.

Julies Evola è l’ultimo erede dello stoicismo romano: “Fai che ciò su cui nulla puoi

nulla possa su di te”.

Il silenzio e la parola: due innamorati.

Talvolta abbiamo il coraggio di giudicarci come il più severo dei tribunali, e non ci

assolviamo; però trascuriamo di infliggerci la pena.

Chi crede in Dio ha talvolta un dubbio. Chi crede in Darwin non lo ha mai.

Egualitarismo moderno: dove trovare qualcuno che non sia “sopra la media”.

L’antinconformismo? Essere buoni.

Uscire di casa, tornare a casa: sono due gesti quotidiani in apparenza banali;

invece hanno un formidabile senso simbolico. Se non esci ti avveleni, se non torni

ti perdi.

Una scritta su un muro di Roma: Nietzsche è morto. Firmato Dio.

“Lo spirito è forte ma la carne è debole”. Questo valeva una volta, mentre oggi è il

contrario: la carne – in questa civiltà medicalizzata, ospedalizzata, plastificata – è

forte, ma lo spirito è invigliacchito dalla vanità e dall’avidità.

Non si sconsacrano solo le chiese, si sconsacrano anche le parole. Si pensi alla

parola erotico: dal mito al cicaleccio idiota.

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Dio ha più risposte di quante domande hanno gli uomini: per questo sembra che

non risponda.

Il nichilismo? Siamo così sprofondati che sembra un valore.

Se cerchi di seguire i comandamenti soltanto come obbligo morale, ti precludi di

intendere che essi indicano anche la via verso la sapienza che è sopra la morale.

Non sei solo se sai guardare.

La poesia è sempre sacra. O non è poesia.

Si cammina avanti, poi insensibilmente si devia, si percorre un arco e si torna

indietro, sempre più indietro. Questo è l’itinerario della Sapienza.

Spero perché è assurdo e impossibile, altrimenti sarebbe una ben pigra speranza.

La vita è una seconda gravidanza che ci porterà a una seconda nascita. Intanto

tiriamo calci nel ventre della vita.

La potenza delle cose: se ti concentri su un oggetto il resto dell’universo scompare.

Dice un maestro arabo che se Dio non trasparisse nelle cose, queste non

sarebbero visibili.

Sto scordando come mi sentivo quando stavo bene. Quando lo avrò dimenticato

del tutto, comincerà una nuova normalità.

Oltre all’attesa di quello che accadrà dopo la morte, mi inquietano altri due

interrogativi antecedenti e senza risposte: quando e come morirò? E il quando è

meno preoccupante del come.

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I vivi, nati nel mondo. I morti, nati nel cielo.

Ogni mattina mia moglie mi guarda con apprensione e mi chiede come sto. Sono

miracolato: ogni mattina come Lazzaro mi alzo e cammino.

Volendo fare un esercizio di ottimismo, potrei immaginare che, una volta affrontate

e vinte tutte le malattie possibili, sarò in grado di affacciarmi in gran forma alla

morte.

Sono eroi i combattenti che affrontano la morte in guerra. Siamo eroi anche noi

vecchi che affrontiamo la morte senza bombe e senza assalti, senza fracasso e

senza gloria.

Irreparabile, incurabile, irrecuperabile, insostenibile, irreversibile, sono le parole

che, anche non dette, rimbombano nel grande teatro della vecchiaia.

Con gli anni si imparano le potenti, misteriose qualità del silenzio. Gli altri parlano,

tu taci e li domini.

La vecchiaia comincia quando nella forma del viso si intuisce il teschio.

Parlare delle piccole cose è umiliante; né si può parlare delle grandi che sono

ineffabili. Non resta che tacere.

. . .

Sembrava un veterano del volo. Scandurra ogni volta mi stupiva. Su Deya era

considerato un eroe, un santone, una guida da ascoltare in religioso silenzio; a

Viterbo era invece temuto, spesso scansato come un appestato, certamente

incompreso. Egli si muoveva sulla Terra come un rapace notturno, silenzioso e in

costante all'erta. Non si curava di quello che dicevano gli altri, tanto era

concentrato nella sua missione cosmica. Del resto, non poteva occuparsi d'altro,

sin troppo era immerso nella trama delle cose e del tempo. Portava quel velivolo

terra/aria con lo stesso estro di quando correva con la sua Fiat 500 per le strade

montane del viterbese, senza mai sbagliare una curva. Si accese una nazionale

senza filtro e riuscì ad impuzzolentire pure quell'abitacolo: mi venne in mente la

bottega, la nostra città, gli amici. Una caratteristica formidabile di Scandurra era

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quella di farci sentire a casa ovunque.

- Guarda che bella Deya. Uno spettacolo mondiale. Non c'è paragone con nessuna

città terrestre. Mi piace come la prima volta. Bella, misteriosa, incasinata ma con

criterio, si beve e si mangia benissimo. Gli abitanti poi... tutti i popoli di questo

universo son qui rappresentati e nessuno si sente migliore dell'altro perché

ognuno conosce il suo compito e trae vantaggio dalla conoscenza del prossimo,

poiché ciò che è utile è disseminato ovunque e in chiunque. Ci si scanna, certo, si

lotta, mai per stronzate. Ognuno è animato da una spinta, per conoscere, amare, e

spesso per entrambe le cose. Si vive con gusto. Non ci si piange addosso. Anche

l'ultimo dei cittadini che si trova in difficoltà, non è mai solo, può sempre trovare un

amico disinteressato che gli permette di risolvere il suo problema.

- Maestro, cosa dobbiamo fare quassù?

- Goditi il panorama e... poi attendiamo l'apertura del punto di inserimento. Fra

poco conoscerai i popoli sotterranei di Deya, i Primevi e le loro città. Essi sono

imparentati con le genti di sottomondo, quelle che vivono nelle intercapedini della

Terra.

- Leggende orientali raccontano di civiltà nascoste che guiderebbero le sorti

di noi umani...

- Che fanno? Noi siamo trascinati da pezzi di merda avidi, che accumulano tutto

senza nulla dare; 'sti pezzi grossi sono orientati verso una totale indifferenza per le

questioni umane e religiose. I Primevi comunicano, è vero, con alcuni di noi ma pur

dando consigli e influenzando sottilmente l'umanità, non riescono quasi mai a

cambiare il corso delle cose. Il nostro caro Angelino, 'sto mondo nostro corre

veloce verso la sua fine, sta a noi e ai risvegliati tentare di costruire il ponte verso le

stelle. Nulla è già scritto e non tutto è spiegato.

- In ragione di ciò che dici, se nulla è già scritto, che cosa possiamo ancora fare per

limitare gli effetti negativi del passaggio di un'era?

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- Pochi possono ancora fare molto per tutti. Incominciando da ora. Chi sa deve fare

di più, anche se quei quattro stronzoni bastardi hanno impresso al mondo una

velocità folle verso l'abisso. Perché abbiamo dimenticato ciò che era originario? I

milioni d'anni dalla comparsa della prima razza-madre, non bastano a spiegare

l'amnesia. Atlantide deteneva ancora il potere derivato dalla Conoscenza, quella

tosta, ma sembra che questo ubriachi anche i migliori, facendoli perdere

l'equilibrio. La bilancia non è “para”, come quella mia a bottega. Pende sempre da

qualche parte, spesso a danno del più debole.

- L'abisso, maestro, è la fine dell'anno 2012?

- La fine dell'anno 2012 è la discesa che precede la risalita. Tutto sarà più chiaro.

Le potenze oscure prenderanno il sopravvento senza nascondersi. L'Ombra, il

doppio, il sosia, sarà eletto imperatore del mondo, almeno questo è il suo piano...

già, ha sempre avuto un debole per 'sto mondo. Il Grande Varco con tempismo

perfetto mostrerà a chi avrà il terzo occhio di vedere la via della trasformazione

verso altra destinazione, per chi non vede... beh nulla cambierà della propria vita di

penombra. Si diventa ciò che si pensa. Il cambiamento non sarà senza dolore. La

vita, la morte dipendono dalla potenza del pensiero, dalla purezza

dell'immaginazione, e poi dall'affinamento del desiderio verso un più benevolo

amore. Bisognerà che voi indichiate i rifugi, dai quali emanano potenti onde

armoniche e si irradiano spettacolari fasci di luce. Vi seguiranno? Vi crederanno?

Che ne so? Il Messico è uno dei luoghi speciali della geografia sacra del pianeta.

Dove la terra s'assottiglia, lì è la salvezza. Luoghi che hanno mantenuta la loro

intensità, questo è ciò che intendo per sacro, proteggeranno donne uomini bambini

dagli effetti più cruenti del cambiamento. Dai Paesi, città, passi sperduti, dedicati

all'arcangelo Michele e prima ad altre potenze e alla Madre Celeste e prima ad

altra potenza; grotte e ruscelli carichi di esmeriche, ipogei etruschi, romani, egizi.

La terra Cimina degli esuli Atlantidi prima e degli Etruschi dopo, è un luogo di

confine, tra i più potenti. Ogni fine ciclo porta con sé il travaglio. Le fondamenta

saranno scosse. Hai già veduto questo, Angelo. Il sacro cigno appare quando l'ora

è giunta. Non faccio lo strologo, lo sai, mi limito a leggere le tracce del caos, metto

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in relazione una sequenza di eventi al ciclo al quale la sequenza appartiene.

Oh sì, il 2012 è il punto di non ritorno. Chi si è messo a guidare le sorti dell'umanità,

ha avuto mille possibilità di alleviare le pene, di dare a tutti il giusto, invece ha

fallito per superbia e fame di potere. Le religioni, tutte le religioni bada, hanno

aiutato gli uomini ad alzare lo sguardo e a guardarsi dentro, finché non sono

subentrate superbia, brama di potere, avidità.

Dovevano rispettare le piccole comunità tradizionali dell'estremo Occidente

e del sud del mondo, invece di imporsi. Rispettandole, ci saremmo tutti arricchiti

spiritualmente e avremmo conservati intatti i siti magici, crocevia dimensionali. Le

religioni hanno fallito, il legame terracielo è stato in buona parte interrotto. L'uomo,

malgrado tutto, non deve e non può staccare la spina che lo collega al Cielo. Guai

a chi vive senza il contatto, diventa cieco e vagherà per sempre senza lume sui

piani sottili. Dicono che Dio è comunque misericordioso, ma che vita è strisciare

quando si può volare? Le forze titaniche che muovono i cicli storici non fanno

sconti, esse sono sensibili ai cambiamenti dei popoli, dello spirito dei popoli. Conta

ciò in cui si crede e si fa. Le stelle, i pianeti e ogni cosa che galleggi nel Cosmo

sono anche specchi che rimandano ciò che ricevono. Si ammalano come si

ammala ogni organismo. Le macchie della più piccola stella determinano la salute

mentale di interi popoli. L'oscurità è l'era che ci tocca vivere. Mettiamo più noi in

crisi l'universo e i suoi meccanismi, di quanto siamo disposti a credere.

- Allora non c'è più possibilità di intervento – feci io, scoraggiato.

- Esiste una Porta di Luce... o Albero Primordiale... presso tutti i Nove mondi.

Attraverso di essa, l'influsso divino arriva ai pianeti. Essa è sensibile all'anima dei

popoli. Se tu, io, gli altri cerchiamo Dio, in qualunque forma e dottrina, la Porta si

espande, riempendosi di ogni genere di emanazione che fluisce dall'alto, da

riversare nello spinotto cielo-terra che abbiamo dentro.. sì, ricordi la spina dei

Templari? In questo modo ogni cosa è benedetta. Al contrario, se noi perseguiamo

il male, il potere distruttivo, la Porta si raccoglie e si contrae, allontanandosi, quindi

cessa il flusso e lo spinotto si ossida. Abbiamo un immenso potere, positivo e

negativo, creativo e distruttivo. Certo, non credere che l'uomo possa impunemente

fare quello che gli pare senza pagare il conto. Quando si arriva al punto di non

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ritorno, ecco intervenire i Celesti a mettere le cose a posto. Ora si avvicina il

concilio occulto del ciclo di Bera-Meter. Tutti i saltafossi dei Nove Mondi, che hanno

l'incarico di custodire la Porta di Luce sono chiamati a raccolta... che cosa credi?

Qui si fa sul serio.

- La festa del Wesak?

- Una specie, ma noi siamo fatti di ciccia. Milioni di esseri da tutte le dimensioni ci

sentono operare, quelli dalle grande orecchie... sì, certo che hai capito, i medium, i

sensitivi, gli sciamani, per intenderci. Grazie a loro, il passaggio da un'era ad

un'altra è meno terribile. Siamo gente di frontiera, nati per accompagnare ai valichi

i pellegrini.

- Maestro, che validità hanno le profezie? E poi vorrei chiederti ancora... se il

Grande Varco si vedrà proprio alla fine del 2012. Insomma, se ti è possibile

descrivere con precisione lo scenario. Lo devo sapere, se gli altri e io dobbiamo

preparare le genti.

- Alcuni pensano che la profezia sia come leggere oggi il giornale di dopodomani. I

fatterelli, la cronaca nera, le notizie sportive, tutte informazioni ben elencate, con

nomi e indirizzi. Magari con foto a colori, così si riconoscono i posti... È la profezia

che guida l'umanità e il singolo uomo nel viaggio. La storia ha bisogno del mistero

per penetrare uomini e civiltà. La storia può fare a meno della realtà, quella che gli

uomini comuni percepiscono secondo i sensi ordinari, la storia, invece, deve

entrare nei sottosuoli dell'anima. Il nostro viaggio non si perde tra le paludi della

ragione, noi costruiamo leggende miti avventure, una segnaletica occulta a favore

di chi dopo di noi seguirà la nostra stessa strada. I fatti li lasciamo ai notai, noi

scolpiamo il tempo e saettiamo tra dimensioni. La profezia è uno strumento che

legge il piano di volo, poi compete a noi sostare e proseguire.

Non passerà l'anno 2012 senza che il Varco si schiuda. Ne sono certo.

Preparate chi vorrà passarvi. Un ultima cosa Angelo. Insegna a non chiedere mai

spiegazioni, ma a cercare di capire il senso o la maschera che si vive nel segreto

del mistero delle civiltà e dei popoli. Insegna a non chiedere giustificazioni. La

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storia non potrà mai darle.

- Tu ci sarai, Maestro?

- Io ce l'ho un posto, in una piega del Grande Tempo non segnata sulle mappe,

dove nessuno potrebbe mai trovarmi. E comunque sarò in qualunque luogo

lontano dall'inferno. Poi tornerò per il 2012. L'Ombra non vorrà più sentir ragioni.

Non potremo più negoziare. Si agiterà fino a far tremare la terra che ci regge. Dopo

il concilio occulto, le nostre strade si divideranno. Angelo, avrai libero accesso alle

botole, fanne buon uso sempre e dai uno sguardo agli altri dell'anonima.

Mentre mi parlava, Scandurra pareva sdoppiarsi. Mi prese un dolore allo stomaco.

Non avrei più visto il maestro chissà per quanto. Oppure... Immergermi nei Varchi

Interdimensionali senza la sua guida, mi spaventava. Avvertii tutto il peso. Ero un

ragazzotto con una dote immensa, sproporzionata alla mia esperienza e maturità.

Non mi bastava la considerazione che lui aveva di me. Ero smarrito e irritato.

Cacchio, dove sarei andato a finire?

Sterzò verso destra e senza avvertire alcuna pressione ci dirigemmo in direzione di

uno sperone di roccia non distante da Deya. Vi era un crepaccio verticale nel

mezzo, stretto all'apparenza, ma Scandurra girò il velivolo di taglio ed entrammo.

Accese i fari e con maestria curvò verso la galleria in basso e a tutta manetta ci

tuffammo nel vuoto oscuro. Mi aggrappai ai braccioli della poltrona anatomica. Non

dubitavo delle capacità del maestro, ma provai una certa inquietudine. Poi,

raddrizzò il mezzo e atterrò su di una pedana trapezoidale che si dimostrò

morbidissima al contatto. Ci trovammo all'interno di una cupola artificiale

gigantesca, illuminata, non so da cosa, di rosso tramonto. Uscimmo dalla

camionetta e ci dirigemmo verso un portale alto forse 20metri. Avrei assistito

all'adunanza di uomini speciali, un consiglio interdimensionale. Caspita, io, un

allievo, testimone di chissà quali decisioni importanti. Scandurra tirò fuori dalla

tasca, piegato a fazzoletto, un saio rosso cremisi, il colore degli Atlantidi, di seta

finissima che si infilò in tutta fretta. Quanto vidi all'interno di quel mondo, non potrò

mai dimenticarlo.

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. . .

Durante questo particolare periodo cosmico di Bera-Meter, una nube stellare

errante opera con particolare intensità su Deya. Ogni abitante ne riceve l'influsso.

Perciò è insieme loro interesse e loro dovere conoscerne la natura, accoglierlo e

assimilarlo, esprimendone e trasmettendone gli aspetti superiori. Ogni deyano è

saturo, così, di desiderio e un senso di liberazione lo colma. Il desiderio ha, nella

prima parte del ciclo deyano, una funzione importante, anzi necessaria. La brama

di soddisfazioni e di esperienze spinge l'essere ad uscire dall'inerzia – ogni civiltà

di questo universo così più antico del nostro, subisce una stasi più o meno

prolungata che si avvicina pericolosamente alla decadenza – per risvegliare via

via le sue potenzialità assopite. Dopo una serie di amare delusioni derivanti

dall'acquisizione di poteri difficilmente controllabili, il desiderio di appagamento

personale si trasforma in desiderio di conoscenza. Riscopre il perché della Vita e

lo scopo ultimo. Il desiderio intelligente ha per risultato l'illuminazione. Alla luce

dello spirito, il deyano scopre la vanità degli idoli materiali e degli attaccamenti

personali. Allora sorge in lui il desiderio di superare il desiderio. In altre parole, il

desiderio si trasmuta in aspirazione della Pura Luce. Si ritorna tutti trasformati alle

proprie occupazioni, semplici o di responsabilità, poco importa. E la civiltà deyana

riprende con spinta rinnovata il cammino verso l'infinito. Non mancheranno le lotte

per il dominio, per ottenere segreti indicibili, per la supremazia di questa o quella

fazione. Tuttavia, niente è più lo stesso di prima. Il mutamento è collettivo, nella

misura dell'energia vitale di ognuno. Una comunità organica, Deya, composta da

esseri provenienti dai più differenti universi, eppure accomunati da un medesimo

destino, quello di questo pianeta-labirinto, magico e tecnologicamente

avanzatissimo, dove arti, religioni e scienze convivono, si intrecciano, si fondono.

* * *

IL MODELLO DI REALTÀ ATLANTIDEO

Sebbene fossimo incuriositi da questo strano maestro, appartenente al popolo e al

suo servizio, così diverso dai guru che in quegli anni pullulavano in Occidente –

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Bhagwan Shree Rajneesh, Paramahansa Yogananda, Maharishi Mahesh Yogi, tra

i più noti - ci domandavamo da cosa derivasse il nostro voler evadere dal mondo

conosciuto per inoltrarci lungo le vie tortuose ed evanescenti dell'ignoto. Perché

volevamo negare alla realtà, quella accessibile ai sensi ordinari, alle cose che si

vedono, si toccano e si ascoltano la prerogativa di essere “la” realtà? L'unica

realtà? In pratica, ci ponevamo tra due piani: quello visibile cui fa da controparte

una realtà invisibile.

Scandurra ci dimostrava che usando conoscenze e tecniche di una tradizione

lontanissima - quella di una Atlantide circondata ancora dalla leggenda e priva di

conferme ufficiali sulla sua esistenza – si poteva entrare dentro le cose, oltre le

apparenze. Ci insegnava ad esplorare la nostra anima, a stabilire un contatto con

una realtà invisibile, tangente a quella fisica, ma in grado di comunicare con l'uomo

e influire sulla sua vita.

La nostra strampalata combriccola, che poi sarebbe diventata “l'anonima talenti”, si

era ritrovata insieme per quei casi assurdi dell'esistenza, soltanto perché sentiva

un'esigenza decisamente infantile di poter influire in qualche modo su quanto

accade senza che l'uomo possa interferire secondo le possibilità conosciute;

oppure eravamo spinti da un atteggiamento dettato da un rispetto profondo verso

tutto ciò che sta dietro il regno umano, minerale, animale, vegetale, e che ci

riconduce ad una visione magica, mitica dell'esistenza e della realtà.

La seconda ipotesi, ce ne accorgemmo in seguito, era quella che ci aveva condotti

da Scandurra: il Faro sulla collina.

Sin da subito ci illustrò la sua visione. La Natura e l'Universo hanno la capacità di

intendere e di essere oltre la dimensione biologica. Le cose divengono corpi di

potenze sottili e i numi anime delle cose. L'equilibrio del tutto è il prodotto di uno

scambio reciproco di doni fra esseri di altre dimensioni, noi uomini compresi, e Dio.

Scandurra ci parlava in modo schematico, senza entrare nei particolari.

Apprendemmo, poi, che non c'erano i particolari. L'universo è una unità d'essere

pervasa da un unico soffio o energia immateriale. Essa non solo crea le cose

partendo da modelli spirituali che risiedono nelle stelle, ma continuamente dà

essere a quanto esiste mantenendolo in vita. Dietro questo c'è il creatore di tutto, il

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Padre Celeste e, diceva Scandurra, non c'è padre senza una madre; infatti, la

Madre Celeste crea le forme molteplici degli universi. L'esistente è avvinghiato allo

spazio-tempo, tuttavia vi sono punti di inserimento costruiti da degli ingegneri

cosmici appartenenti ad una civiltà antichissima e progredita spiritualmente oltre

ogni immaginazione; il maestro le chiama “botole interdimensionali” per entrare in

contatto con altri Mondi, le Nove dimensioni.

Due sono i principii cosmici manovrati dai maghi atlantidei, uno attivo, l'altro

passivo. L'attivo è il soffio che dà la vita e le cose che, in quanto animate dal soffio,

sono incardinate nello spazio e nel tempo. La Terra è passiva e femminile, il Cielo

è il principio maschile.

Scandurra, di là da rappresentazioni di modelli di universi, ci ha donato soprattutto

la capacità di aprire i nostri rubinetti mentali per entrare nello stato magico, un

territorio che spazia dall'infrarosso psichico all'ultravioletto eterico, dove operano

sciamani e mistici e sensitivi, ma anche medium per quanto inconsapevoli. Quando

la magia entra in noi, per così dire si innesca, ecco sorgere una sensazione, una

vibrazione che si estende dalla pancia fino al cervelletto. Un tremolio caratteristico,

riconoscibile, che prelude la potenza emergente oltre i sensi, oltre la mente, che

rompe qualsiasi rapporto col cervello, per manifestarsi e andare oltre. In quel dato

momento entriamo in un altro stato della materia e dell'energia. “Non dovete

pensare le parole, invece sentite le cose, percepite le immagini, avvicinatevi ad

esse galleggiando nel firmamento mistico, dovrete essere così vicini da

dimenticare cosa erano, così le vedrete come nuove e l'antico nervo verrà

attraversato dalla corrente primaria, il lumen, attingerete così alla visione globale

che vi permetterà la veggenza e la capacità di teleforesi attraverso le botole. Ciò

che è sepolto in voi dell'uomo atlantideo, si risveglierà e non sarete più uomini

comuni, egoisti e miseri. Ritornerete ad essere uomini lucenti, come vi costruì il

Padre Celeste. Sarete rugiada che stilla.” La conoscenza si attua per identità fra

soggetto ed oggetto e non per contenuti, come il sapere profano. Questa identità va

realizzata attraverso l'ascesi, il primo passo della quale è la concentrazione, cui

fanno seguito la meditazione e la contemplazione. Scandurra ci fece provare in

una sola volta i tre passi: come oggetto ci diede la metà di una mela...

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L'universo scandurriano non è lo stesso dei fisici e degli astronomi moderni, i quali

osservano solo la scorza, la parvenza della Realtà. Quello che ci ha fatto vedere

rende bene il tipo di percezione del mondo e della vita che dovevano avere gli

antichi. Nulla a che vedere con l'universo-macchina concepito dalla casta degli

illuminati, che in virtù del loro potere, grazie ai mass media e al processo di

acculturazione scolastico condizionano la mente della gente, limitandone

l'ancestrale occhio. La visione del maestro – ed in fondo di tutte le stirpi antiche – è

quella di una Natura personificata, organismo vivente abitato ed animato di forze

dotate di una coscienza. Entità magiche, elementari o divine, di cui resta vaga

memoria nei miti e nelle fiabe popolari. “C'è soltanto un muoversi infinito di Forze

inesprimibili che creano i mondi. Poi la Forza scende e diventa Lumen e il Lumen

splende lungo la spina dorsale e l'uomo si erge dritto nella sua cosmica dignità.”

Così ci descriveva il tutto Scandurra.

* * *

« Verrà un giorno che l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è

veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace,

menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo… l’uomo non ha limiti e quando un

giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo ».

Giordano Bruno fu condannato e ucciso non perché propagandava eresie

teologiche (lo avrebbero sopportato), bensì per alcune sue rivelazioni scientifiche

sulla pluralità dei mondi abitati, tratte dalla magia egizia, figlia della sapienza di

Atlantide. Morì perché svelò ciò che doveva restar segreto. L'uomo non può

conoscere la verità, ma solo un suo modello addomesticato, secondo quanto

imposto dagli incappucciati di ogni tempo e luogo.

La coscienza risvegliata genera e domina la materia: lavoraci e così nessun

arconte potrà decidere della tua vita.

* * *

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La miglior razza degli uomini, gli atlantidi, abitò fra noi. La stregoneria li distrusse

quasi completamente. Gli esuli, in parte salparono verso le stelle ed ora stanno per

tornare, il resto sbarcò in Europa e nelle Americhe. Il seme della razza rossa non

muore, per rivivere in noi.

Ci troviamo a vivere come se fossimo collocati nel punto in cui finisce l'attrazione

terrestre e comincia quella lunare: l'umanità, muovendosi dall'inizio del mondo

verso la sua fine, si trova in una risacca temporale dove termina la storia e

comincia il regno dello spirito. La rovina delle vecchie forme che bruciano

nell'athanor della Creazione, preannuncia la nascita di un nuovo universo dove la

Vita tornerà ad essere il centro dell'esistenza.

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domenica 9 giugno 2013

THE FLAME STILL BURNS

-1-

Il codice del samurai va cercato nella morte.

Si mediti quotidianamente sulla sua ineluttabilità.

Ogni giorno, quando qualcosa turba la nostra mente,

dobbiamo immaginarci squarciati da frecce,

fucili, lance, spade.

Travolti da onde impetuose,

avvolti dalle fiamme in immenso rogo,

folgorati da una saetta, scossi da un terremoto che non lascia scampo,

precipitati in un dirupo senza fine,

agonizzanti per una malattia

o pronti al suicidio per la morte del nostro signore.

E ogni giorno immancabilmente

dobbiamo considerarci morti.

È questa l'essenza del codice del samurai.

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-2-

È male quando una convinzione diventa duplice.

Non si deve cercare altrove se si è scelta la Regola del samurai.

Questo vale per qualsiasi cosa venga definita "Regola".

Chi si attiene a questo principio dovrebbe essere in grado

di prestare orecchio a tante Regole diverse

essendo, tuttavia, sempre in armonia con la propria.

-3-

Se si dovesse esprimere in una parola il requisito essenziale del samurai,

la base di tutto è una incondizionata devozione al proprio signore, anima e corpo.

Mai dimenticare che quanto di più fondamentale esista per il servitore è il suo

signore.

-4-

È un'utile prospettiva vedere il mondo alla stregua di un sogno.

Quando abbiamo un incubo, ci svegliamo e diciamo a noi stessi che abbiamo

sognato.

Si dice che il mondo in cui viviamo non è affatto diverso.

-5-

Tra le massime scolpite sul muro del signore Naoshiga ce n'è una che diceva:

"le questioni di maggiore gravità vanno trattate con leggerezza"

Il maestro Ittai commentò: "le questioni di minore gravità vanno trattate seriamente".

-6-

Come diceva uno degli anziani, chi colpisce il nemico sul campo di battaglia è

come

il falco che si avventa su un uccello. Sebbene nello stormo se ne contino migliaia,

il falco non presta attenzione ad alcun uccello se non a quello che ha puntato per

primo.

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-7-

Secondo gli antichi una decisione andrebbe presa nello spazio di sette respiri.

È necessario essere determinati e avere il coraggio di gettarsi al di là dello

steccato.

-8-

È bene che il samurai anche quando è sul punto di

essere decapitato conservi l'abilità di compiere

un'ulteriore azione senza incertezze.

Se saprà tramutarsi in un fantasma vendicatore

e mostrare grande determinazione,

benché privato della testa,

egli non morirà.

-9-

È bene che si porti sempre nella manica un po' di terra rossa.

Può accadere che nel riaversi dopo l'ebbrezza,

o destandosi dal sonno, il samurai mostri un colorito esangue.

In tali occasioni è opportuno fare ricorso

alla terra rossa.

-10-

Quando si è presa la decisione di uccidere una persona,

anche se sarà difficile riuscire seguendo un percorso rettilineo,

indugiare in lunghi accerchiamenti non avrà alcuna efficacia.

La regola del samurai impone l'immediatezza,

dunque è meglio attaccare frontalmente.

-11-

I nostri corpi ricevono la vita dal profondo del nulla.

Esistere là dove non vi è nulla è il significato della frase:

" la Forma è il vuoto".

E il fatto che ogni cosa trae sostentamento

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dal nulla, è il significato della frase:

" il Vuoto è forma".

Sarebbe errato pensare che si tratti di due concetti distinti.

-12-

Di certo non esiste altro che il particolare scopo del momento presente.

Tutta la vita di un uomo è fatta di momenti che si susseguono.

Chi sa comprendere pienamente il momento presente,

non dovrà fare altro né dovrà porsi altri scopi.

-13-

Si può imparare qualcosa da un temporale.

Quando ci sorprende un acquazzone

Cerchiamo di non bagnarci affrettando il cammino ma,

anche sforzandoci di passare sotto i cornicioni delle case,

ci bagniamo ugualmente.

Agendo con risolutezza fin dal principio,

eviteremo dunque ogni perplessità

e non per questo ci bagneremo di più.

Tale consapevolezza si applica a tutte le cose.

-14-

Si dice che ciò che siamo soliti definire "lo spirito di un'epoca"

sia una cosa alla quale non possiamo tornare.

Il fatto che questo spirito tenda gradualmente a dissiparsi

è dovuto all'approssimarsi della fine del mondo.

Pertanto, sebbene coltiviamo il desiderio di

riportare il mondo allo spirito di cento o più anni fa,

ciò non è possibile.

Dunque è importante che da ogni generazione si tragga il meglio.

-15-

Nella regione di Kamigata è diffusa una specie di

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cestino da pranzo intrecciato che si usa

un solo giorno nelle

passeggiate campestri.

Al ritorno i gitanti se ne liberano calpestandolo.

La fine è importante in tutte le cose.

[ Yamamoto Tsunetomo, Hagakure (1659-1721)]

SPLENDESSERO LANTERNE

Splendessero lanterne, il sacro volto,

Preso in un ottagono d’insolita luce,

Avvizzirebbe, e il giovane amoroso

Esiterebbe, prima di perdere la grazia.

I lineamenti, nel loro buio segreto,

Sono di carne, ma fate entrare il falso giorno

E dalle labbra le cadrà stinto pigmento,

La tela della mummia mostrerà un antico seno.

Mi fu detto: ragiona con il cuore;

Ma il cuore, come la testa, è un’inutile guida.

Mi fu detto: ragiona con il polso;

Ma, quando affretta, àltero il passo delle azioni

Finché il tetto ed i campi si livellano, uguali,

Così rapido fuggo, sfidando il tempo, calmo gentiluomo

Che dimena la barba al vento egiziano.

Ho udito molti anni di parole, e molti anni

Dovrebbero portare un mutamento.

La palla che lanciai giocando nel parco

Non è ancora scesa al suolo.

[Dylan Thomas]

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Tu già fosti ruscello

e poi quel fiume

che inondò la terra dei miei giorni.

Così la tua alluvione fosse alta

e tracimasse l'argine di fine

io m'abbandonerei lento per lune

bianco di bianco a l'acqua di morire.

[Ferdinando Tartaglia]

Quello che veramente ami rimane,

il resto è scorie

Quello che veramente ami non ti sarà strappato

Quello che veramente ami è la tua vera eredità

Il mondo a chi appartiene, a me, a loro

o a nessuno?

Prima venne il visibile, quindi il palpabile

Elisio, sebbene fosse nelle dimore d’inferno,

Quello che veramente ami è la tua vera eredità

La formica è un centauro nel suo mondo di draghi.

Strappa da te la vanità, non fu l’uomo

A creare il coraggio, o l’ordine, o la grazia,

Strappa da te la vanità, ti dico strappala

Impara dal mondo verde quale sia il tuo luogo

Nella misura dell’invenzione, o nella vera abilità dell’artefice,

Strappa da te la vanità,

Paquin strappala!

Il casco verde ha vinto la tua eleganza.

“Dominati, e gli altri ti sopporteranno”

Strappa da te la vanità

Sei un cane bastonato sotto la grandine,

Una pica rigonfia in uno spasimo di sole,

Metà nero metà bianco

Né distingui un’ala da una coda

Strappa da te la vanità

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Come son meschini i tuoi rancori

Nutriti di falsità.

Strappa da te la vanità,

Avido di distruggere, avaro di carità,

Strappa da te la vanità,

Ti dico strappala.

Ma avere fatto in luogo di non avere fatto

questa non è vanità. Avere, con discrezione, bussato

Perché un Blunt aprisse

Aver raccolto dal vento una tradizione viva

o da un bell’occhio antico la fiamma inviolata

Questa non è vanità.

Qui l’errore è in ciò che non si è fatto, nella diffidenza che fece esitare.

[Ezra Pound, Pisan Cantos (Canto 81)]

Di là dall’intelletto raziocinante, di là dalle credenze, di là dai sentimenti, di là da

ciò che oggi vale in genere come cultura e come scienza, esiste un sapere

superiore. In esso cessa l’angoscia dell’individuo, in esso si dissipa l’oscurità e la

contingenza dello stato umano di esistenza, in esso si risolve il problema

dell’essere. Questa conoscenza è trascendente, anche nel senso che essa

presuppone un cambiamento di stato. Non la si consegue che trasformando un

modo di essere in un altro modo di essere, mutando la propria coscienza.

Trasformarsi – questa è la premessa della conoscenza superiore. La quale non sa

di “problemi”, ma solo di compiti e di realizzazioni[…]La mutazione della propria

struttura più profonda è ciò che solo conta ai fini della conoscenza superiore.

Questa conoscenza – la quale è ad un tempo sapienza e potenza – è

essenzialmente “non-umana” e ad essa si perviene per una via presupponente il

superamento attivo ed effettivo, ontologico, della condizione umana.[…]La

conoscenza superiore è in tutto e per tutto esperienza.

[Gruppo di Ur, Introduzione alla Magia (Ed. Mediterranee)]

Page 356: _Cronache Di Atlantide_ Di Angelo Ciccarella - Articoli (IUS) Tratti Dal Blog _Il Grande Ignoto

Io ho sempre considerato le credenze umane — quelle che i padri ci trasmettono

con il sangue e che troviamo quasi solidificate nelle opinioni comuni fino a che

nuove idee, insinuandovisi, non le sconvolgono — come una realtà invisibile,

logicamente indimostrabile eppure presente e viva assai più delle cose che si

toccano con mano: un’aura misteriosa che ci avvolge e nella quale ci muoviamo e

che ad andarci contro ci si sente quasi mozzare il fiato, come succede a chi corra

contro vento. Per la qual cosa, dovunque mi trovi, cerco sempre di mettermi in

sintonia con cotesta atmosfera spirituale che io sento nuova e diversa, ma che mi

investe e poi mi trascina. Anche adesso debbo dimenticarmi di essere un europeo,

abituato a giudicare tutto al lume della logica e a distillare concetti con l’alambicco

dell’intelletto; debbo quasi dissolvere la mia personalità nel subconscio collettivo di

questo popolo che mi ospita, come in un mare tranquillo sul quale ancora non

freme vento di opinioni nuove e ribelli. Prima di mettermi in camino farò come

fanno i Tibetani che, sul punto di intraprendere un viaggio o, comunque, quando

avvertono per misteriosi suggerimenti la imminenza di forze ostili, ricorrono a una

cerimonia propiziatoria ed esorcistica che si chiama barcè selvà «eliminazione

degli ostacoli» (...). Certi riti non si capiscono con la descrizione che ne puoi

leggere sui libri; bisogna vederli. E poi, chissà? Io per natura ho sempre creduto

più alle cose che non vedo che a quelle di cui la scienza mi vuole far certo e che

oggi sono in un modo e domani in un altro. Togli all’uomo l’imprevisto ed il mistero

ed il vivere si riduce a un noioso transito di cibo.

[Giuseppe Tucci, A Lhasa e oltre.]

Egli è convinto di credere al nulla, pensa di abbandonarsi al nulla, ma sotto questa

parola negativa, sotto questa parola approssimativa, sotto questa parola limite c’è

qualcosa che gli resta nascosto.

[Pierre Drieu La Rochelle, Racconto segreto, cit., p. 23]

Dio ci concede la grazia del primo capitolo, poi tocca a noi scrivere il secondo.

[Scandurra]

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VOLERE NON E' POTERE

Malinconico è lo spettacolo dell'indifferenza e dell'indolenza generale per il piano

invisibile, la cosa più importante della vita. Capisco bene che chi è costretto a

lavorare per guadagnarsi il pane oggi, non abbia tempo di pensare al domani.

Disperazione e paura attanaglia l'animo della gente semplice e buona, che non ha

nulla a che vedere con coloro che si son macchiati delle peggiori nefandezze per

dominare il mondo. Si addensano sull'orizzonte nuvoloni di tempesta da far

spavento e quella infame cricca di potenti a stelle e strisce continuano imperterriti

nella realizzazione di piani infausti per l'umanità, come se niente fosse, così, giù

nell'abisso, con quel senso perverso di autodistruzione. A nulla servono le piroette

dialettiche di quegli imbonitori da circo, affaristi dell'anima, che via tivvù o web, nei

teatri o attraverso corsi costosi, ci illudono con le tesi secondo le quale basta

credere in se stessi e facendo un mai precisato salto quantistico si è così arbitri del

proprio destino. Ma per favore, ci vuole ben altro che formulette e slogan

pubblicitari per cambiare la propria vita. “Pensa positivo” e il mondo si piegherà ai

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tuoi piedi, è un gran bel sogno che resterà tale. Ho imparato che per spostare un

millimetro la linea destinale della mia vita c'ho impiegato dieci anni e con l'aiuto

decisivo di Scandurra, non so se mi spiego. Case editrici pur serie, continuano a

stampare libri coloratissimi e dai titoli roboanti sul segreto dell'universo a portata di

mano, sulle dieci regole per far successo e guadagnare milioni, di tecniche grazie

alle quali potersi collegare alla fonte dell'energia dell'Universo per compiere

miracoli: brodetti new age che promettono mari e monti in poche paginette di

esercizi pseudoyogici, con aggiunta di fisica quantistica da rotocalco ed una

spruzzatina di mentalismo americano alla Mulford. Mutare in corso d'opera la

propria vita, contrastare il riflesso della morte lenta e inesorabile dell'Universo,

sono battaglie titaniche per chiunque. E poi, ma ci rendiamo conto dei reali rapporti

di forza tra noi, poveri disgraziati e i padroni del mondo? Che nelle mani di pochi

bastardi ci sono le risorse di tutto il pianeta, che possiedono tecnologia e armi

sofisticatissime, che fanno il bello e il cattivo tempo, anche in senso letterale?

Entrano a gamba tesa nella nostra coscienza per irretirla, adulterarla, invaderla. Ci

vuol ben altro per contrastare la marea nera della narcoipnosi, della finanza

avvelenata, della politica che puzza di merda fumante, dell'ingiustizia sistematica.

Ci attaccano da tutte le parti, in una guerra soprattutto dell'anima, dove soltanto

forze tremende provenienti dal cosmo potrebbero cambiare le nostre sorti. Ma

arriverà qualcuno a salvarci? Io dico di sì, ma non basta ancora, occorre un puro

atto di conoscenza da parte nostra per vedere il Varco, e decidere il da farsi. Ci

rincuorerebbe assai vedere l'invisibile e grazie a ciò non perderemmo la speranza

in una vita migliore. Scandurra ci diceva che quei porci bastardi che governano la

Terra, un domani prossimo soccomberanno, ma ci vorrà sempre una nostra

spintarella per gettarli nel fosso. Facciamo a capirci.

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INIZIO DEL CAMMINO

Strana scienza la sapienza arcana, l'unica che, per essere studiata, richieda una

trasformazione interiore, e poi, sul più bello, quando già si pregustano i frutti,

eccola sfuggire di nuovo. Allora ci dobbiamo preparare a nuove fatiche, la nostra

stessa costanza è sotto esame, per vedere quanto vale la decisione presa di

elevare se stessi dal misero stato della vita ordinaria, in fondo tale anche per chi è

sorretto da un buon karma. Ero ragazzo a 13anni, quindi giovanissimo per i criteri

comuni, ma il ricordo di come avevo vissuto e l'idea di quanto la mia vita era stata

in balia delle circostanze, allora diventava sempre più netta la sensazione che non

ero poi così giovane. Finita la scuola dell'obbligo con esiti modesti, di estrazione

sociale media, non ero legato ad alcun gruppo politico perché mi resi conto che

ben altro tipo di comprensione occorreva allora come oggi per sanare le piaghe di

questa società. Data la mia situazione, forse non priva di un fattore

psicopatologico, fatta da un'idea di forza, di perfezione, ma anche da una natura

debole, decisi di orientarmi a ricercare i mezzi del successo (o forse

semplicemente per sopravvivere) nel misterioso e nelle possibilità della mente.

Dopo delle forti delusioni, dovute anche al fatto di non essere mai riuscito a mettere

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in pratica quanto letto sui vari libri, mi sono trovato diverso, più adattabile nella

forma e più sicuro nella sostanza; con una migliore conoscenza di me stesso,

dovuta al fatto di aver allargato la coscienza ad una porzione di quello che prima

era il subconscio. Diverso, sì, con una esigenza nuova di equilibrio spirituale,

connesso con la vita di ogni giorno, ma senza esserne minimamente corrotto.

Questa diversità tra me ed i coetanei aveva creato qualche problema di

socializzazione, compensata in parte dalla mia natura solare. Il mio isolamento,

non tanto sociale quanto psicologico, più una fragilità nervosa formavano il carico,

il fardello di una personalità fallace, lungi da essere realizzata. E come avrei

potuto, del resto. Comunque, per tornare a bomba, non avete idea di quanti

mosconi accorrano quando lanci idealmente un messaggio nella bottiglia?

L'Occulto è una radio cosmica in modulazione di frequenza: basta accenderla e ti

ritrovi con cento emittenti sfavillanti, fracassone, sobrie, enigmatiche, parafiene,

confusionarie, dai sapori forti o insipidi. Sul sentiero incontrai alcuni

presumibilmente più avanti di me, ognuno sostenitore accanito delle più svariate

dottrine, che valutai allora tutte interessanti e in pochi mesi – correva l'anno 1971 –

preso da una frenesia insana le provai tutte. Non sempre però tali “maestri” si

rivelavano all'altezza. Spesso, si dimostravano di basso livello, senza alcun fine

spirituale. Scoprii, insomma, l'acqua calda delle umane debolezze. Notai pure che

l'una corrente misteriosofica criticava l'altra – Dash lava più bianco – e non riuscivo

a comprendere se questo era un bene oppure no. Sapevo di confraternite

superiori, rosa+croce e templarismo su tutte, eppure non mi capacitavo dove si

nascondevano i loro epigoni regolari, tra le tante offerte moderne di esoterismo

riveduto e corretto. Mi trovavo in mezzo al guado spirituale, senza bussola né

consapevolezza di cosa stavo cercando realmente.

Erano emerse alcune questioni che reputavo capitali. Domande alle quali ritenevo

urgente delle risposte.

Qual è il limite tra vita ordinaria e vita occulta? Quali dovevano essere i requisiti

necessari del neofita? Gli esoteristi devono aver successo nella vita mondana o

devono nascondersi? Che atteggiamento avrei dovuto prendere verso la Chiesa e

la religione? Dovevo, prima di dedicarmi anima e corpo alle cose occulte,

sistemarmi sul piano ordinario?

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Vivevo tra mille dubbi. Sconfortato dagli scarsi risultati, ero sull'orlo di abbandonare

ogni velleità esoterica. Poi incontrai Scandurra. Si dice che quando il discepolo è

pronto, il maestro arriva. Io non ero pronto, ma siccome stavo affogando un

soccorritore giunse al momento giusto. Certo, rispetto alle biografie dei grandi

iniziati del passato, lui era un attimino diverso. Anzi, non sembrava proprio un

maestro di sapienza. Ma tant'è. Forse mi meritavo un “fruttarolo” analfabeta,

scurrile, dedito al fumo e all'alcol... Beh, ringrazio il Cielo per avermelo fatto

incontrare.

Molte cose mi si schiarirono in pochi giorni, frequentando semplicemente la sua

bottega magica. Innanzitutto la mia natura propendeva verso la conoscenza, anche

concepita come acquisizione di poteri: Scandurra fece in modo di mortificare tale

aspetto della mia tendenza. Mi insegnò ad operare simultaneamente sul mio

mondo interno e nel mondo profano. Dovevo tendere sempre e comunque a

equilibrare, a temperare tali componenti della mia vita. Aprirsi al mondo senza farsi

coinvolgere. Non aver paura a nascondere la propria natura quando realizzata. Il

segreto non va protetto, esso si protegge da solo: chi ha cattive intenzioni non

potrà mai usare la nostra conoscenza. Scandurra dice che la cassaforte dove è

depositato il tesoro è sempre aperta, ma pochi sanno come è fatta.

I requisiti ce li avevo, eccome, e, al contrario di quanto andavano affermando negli

ambienti iniziatici, il mio maestro sosteneva che li avevano tutti gli uomini, in fondo,

bastava tirarseli fuori. Caspita, compresi che il cammino non era elitario, per pochi,

ma soltanto per chi desiderava farlo e chi lo desiderava trovava la strada. Tutto qui.

La religione andava rispettata. Nella sua liturgia, nella preghiera, nei riti, si

nascondevano verità, potenze, mezzi. Avevamo dei doveri verso la società e verso

noi stessi, dovendo ognuno adempiere agli uni e agli altri con giusta proporzione,

a seconda quanto ci dettava la coscienza, fino a quando le istituzioni rimanevano

degne e rispettose della libertà e della giustizia: Re finché ne è degno.

In conclusione. L'importante è saper trarre un profitto spirituale da tutto ciò che

accade in noi e intorno a noi; e poi, cercare ciò che è bello, perché possiede luci e

dimensioni destinate a rinnovare gli stati della nostra coscienza. Ammirare un

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tramonto sopra un orizzonte collinare, non è romanticismo, è per la legge

analogica un percepire la linea cielo/terra dentro di noi e cogliere il punto di

congiunzione tra spirito e materia. Bello è un incipit di un libro che casualmente

sfogliamo in una libreria del centro, e che ci prende per forza e messaggio. Bello è

paralizzarsi di fronte ad una cattedrale che punta i suoi pinnacoli verso l'universo e

ascoltare la musica delle pietre. Bello è entrare in un bosco per sentieri interrotti e

scoprire che esiste la pace e il ristoro dell'anima. Bello e contemplare il volto di una

donna senza desideri di possesso. Bello è un goal di Cavani guidato nel puro

gesto dagli dèi indi. Bella è la sensazione che ci dà una voce umana, un canto, un

quieto parlare. Bello è farci bagnare i piedi dalla schiuma dell'onda marina,

quando l'acqua è un brodo. Un valico, una sorgente, un albero solitario in mezzo

ad una campagna autunnale: bellezza allo stato puro. Bello è vivere, anche

quando sembra tutto finito.

LA MEMORIA DELL'ANTICA POTENZA

Oggi la scienza e la cultura dominante ci vorrebbero far credere che la storia sia

progressiva e che un continuo incremento di valore contraddistingua l'essere e

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l'agire dell'uomo; noi dell'anonima abbiamo ragione di credere, e non solo noi, che

l'umanità sia in realtà in uno stato miserevole di regresso. Le facoltà extrasensoriali

che tuttora si manifestano in una minoranza della popolazione mondiale, non sono

che forze residuali salvate dalla memoria bio-storica, tracce di profonde correnti di

forza psico-animica aggregatrice che in una situazione primordiale, edenica se

volete, mantenevano armonici rapporti fra gli uomini, fra questi e le forze cosmiche.

La telepatia, per indicare una emblematica potenza dell'anima, era allora una forza

operante ed universale che univa gli uomini fra loro. Sentimenti e pensieri erano

messi a disposizione in ogni comunità: nessuno può far soffrire deliberatamente un

altro, se avverte le sofferenze di quello come proprie; nessuno è deficiente, quando

ha a propria disposizione le risorse intellettive dell'intero gruppo. È il segreto di una

società perfettamente integrata. Le grandi tradizioni religiose e mitiche narrano di

una caduta, di un tragico strappo avvenuto tra gli uomini e il divino: di un'età del

ferro che succedette a quella mitica dell'oro; di un peccato d'origine che valse a

scatenare gli appetiti e gli sfoghi di un ego separatista, aggressivo, sopraffattore.

Ora non ci rimane di far altro che restaurare lo stato edenico perduto. Solo se

riusciremo a sentire l'antica fiamma crepitare sotto millenni di sovrastrutture

ideologiche e restrizioni goetiche, potremo di nuovo, per l'ultima volta, far rinascere

l'uomo solare. Nel frattempo, Atlantide risorgerà dall'oblio.

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UOMINI FIAMMA

• Era un'idea folle – raccontava Scandurra – e grazie al cielo la presero in

considerazione e l'attuarono. Durante il grande esodo, dopo la dipartita di Atlantide

verso lidi interdimensionali, alcuni gruppi usciti dai sopravvissuti, sono partiti per

formare mondi coloniali secondo specialissimi criteri. Uno fra questi gruppi, un

culto eccentrico, aveva lo scopo dichiarato di ripristinare quei sensi che l'uomo

avrebbe lasciato atrofizzare nel proprio organismo. Gli uomini-fiamma, così erano

soprannominati, risvegliarono la potenza, altrimenti in esilio dopo la fine di

Atlantide. Grazie ad una rigida applicazione della loro conoscenza sono riusciti a

tirar fuori alcuni individui dotati di talenti spettacolari, sì, proprio incredibili se

valutati rispetto ai normali standard umani. All'inizio neppure gli uomini-fiamma

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avevano idea dell'effettiva estensione dei campi sensoriali che stavano facendo

emergere. Sono nati talenti in grado di affrontare situazioni di cui neppure loro

concepivano l'esistenza. Dopo Atlantide, è tutto un mondo che prende vita.

L'anonima talenti che iniziò a formarsi dal 1968 circa, fu la continuazione con

risultati alterni ma non meno eccezionali, di quelle comunità cultuali della fiamma

che si propagarono nei Nove Mondi. Scandurra fu fortunato – come asseriva di

frequente – a trovare elementi come noi disposti a tutto: intenzionati a rinunciare a

carriere, profitti, successi mondani, a tranquille esistenze, per dedicarci unicamente

all'addestramento. Mentre ci insegnava a risvegliare la potenza, sperimentavano la

stessa in mille modi.

Dobbiamo entrare dentro alle cose, per capire la realtà che ci circonda. Sentirla,

fino a inghiottirla e scomparire in essa. La linea di demarcazione tra ciò che

percepiamo e ciò che si situa oltre i sensi ordinari, è sottilissima, facile a passare

se ci abituiamo a sentire il mondo dentro, facendo a meno dei pensieri e

sostituendoli con le figure, le immagini, i segni stellari (gli archetipi). Questo lavoro

di sostituzione della forma-pensiero con le immagini, non è frutto di un

procedimento meccanico né concettuale, bensì un lento ma progressivo lasciarsi

andare verso l'essenza delle cose, del loro interno, entrare in risonanza con oggetti

e persone, con le forze della Natura e i suoi abitanti sottili. La materia ci risponde

se noi la sollecitiamo, se le lanciamo un messaggio ad alta frequenza. Scopriamo

che tutto è vivo e ci chiama, perciò dobbiamo affinare i sensi, o meglio, scuotere

l'anima, ricondurla alla sua reale dimensione, che tutto infonde e con tutto è fusa.

Emerge così una nuova vibrazione, che ci permette di entrare in sintonia d'onda col

Creato. Si infrangono le paratie stagne della condizione umana terrena e

prendiamo contatto con le dinamiche cosmiche.

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UN MONDO DENTRO UN MONDO

Scandurra benché conosciuto in certi ambienti iniziatici – le voci viaggiano così

come le energie – faceva di tutto per rimanere un insignificante “fruttarolo”, un po'

strano, certo, ma confuso tra i tanti operatori dell'occulto presenti in provincia. Chi

però entrava casualmente in quella bottega, scarsamente illuminata e dove gli

odori di verdura e di frutta si mischiavano al puzzo perenne di sigaretta, non

rimaneva indifferente. Una mattina, un cliente del quartiere entrò trafelato e

balbettando si rivolse al maestro:

- Mio figlio è stato arrestato dalla polizia per detenzione e spaccio. Gli venisse un

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colpo. Quel cojone s'è messo a fare il delinquente per guadagnare soldi facili. Gli

ho trovato lavoro come muratore. Non ha voluto studiare, pazienza, vorrà dire che

come me avrebbe lavorato da subito, e allora cosa dovevo fare? Dai e dai un posto

glielo ho trovato. E lui che fa? Lo stronzo. Non so a quale santo raccomannamme.

Scandurra gli offrì un bicchiere di bianco e lo fece sedere su una cassetta vicino al

bancone.

- Tuo figlio non c'entra. Lo conosco. L'hanno incastrato. Qualche suo amico, fijo de

bbona donna l'ha messo in mezzo per parasse il culo. Vedrai che tutto s'aggiusta.

Ora telefono al capo della squadra mobile e gli dico le cose come stanno.

- Ma Scandù, quelli nun te vedono e nun te sentono. Devo trovargli un ca*** di

avvocato...

- Ma hai capito che ti ho detto? Ma che cacchio dichi? Adesso vo al bar e telefono

in questura. Tu stai bbono, ti calmi un attimino e poi ti dico.

Uscì in fretta e furia. Dopo un decina di minuti tornò con un vassoio con bitter e

tramezzini.

- Tutto a posto. Il dottore è stato bravo. Ha capito subito e, tempo 24 ore, tuo figlio è

fuori.

- Ma come è possibile? - fece il padre, tra l'incredulo e lo speranzoso.

- Mi deve dei favori. Ogni tanto l'aiuto e sa che non sbaglio quando posso. Ora

magna e bevi. Ripigliate. Eh, 'sti padri c'hanno 'na stima pè li figli... appena c'è un

casino, giù botte bestemmioni e capocciate addosso al muro.

Il poveraccio non riuscì a mandar giù niente e se ne andò a testa bassa. Non

compresi se si fosse veramente fidato di Scandurra o meno. La sera stessa il

ragazzo fu scagionato e liberato. Un miracolo per davvero, visto come andavano le

cose in Italia. Non era l'unica volta che lui sbrigava affari come questo. Piccoli e

grandi drammi della vita si abbattevano come macigni sulla gente. Se poi eri un

poveraccio, un disgraziato, non contavi un cavolo e nessuno ti filava. Tranne

Scandurra. Ebbe pure dei guai dalla malavita locale. Le sue soffiate alle autorità

per districare casi come quello sopra accennato, comportavano reazioni uguali e

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contrarie – in realtà vedeva dove altri nemmeno immaginavano e le sue

informazioni riservate provenivano in realtà da forze extraumane, che

convergevano con insistenza sull'intima attività della sua psiche.

Una sera uscimmo dalla bottega verso le 21.00, più tardi del solito. A Viterbo a

quell'ora c'era il coprifuoco. Manco i fantasmi si facevano vedere in giro, ma i

delinquenti sì.

Chiusi la saracinesca quando due tizi ci affrontarono, minacciando di tirar fuori il

coltello se avessimo strillato. Dovevamo seguirli in macchina.

- Chi siete e che volete? - fece Scandurra con tono fermo.

- Senti stronzone infame, vieni con noi con le buone senza fare resistenza,

altrimenti ti spanzamo qui, in mezzo alla strada – parlò il più grosso dei due.

- Non penso proprio. Ora accompagno il mio amico a casa e poi verrò con voi.

Questo è quanto – il suo parlare aveva un incedere particolare, rituale.

Curiosamente i due ceffi accettarono. Mentre Scandurra mi portava a casa, non

riuscii a spiccicar parola. Ero atterrito, eppure non avrei dovuto temere, visto e

considerato che col mio mentore avevamo affrontato ben altri guai. Non so, ma uno

strano sentore mi turbava. Appena giunti sotto la palazzina dove abitavo, con un

filo di voce salutai il maestro:

- Ci vediamo domani, non è vero?

- Ma sì, dai... - mi rispose.

La mattina seguente, corsi letteralmente a bottega, dall'altra parte della città. Il

negozio era aperto, grazie a Dio. Entrai di slancio e vidi Scandurra con un'amica a

cazzeggiare.

- Maestro, tutto bene?

- Oh sì. Ci tenevano tanto quelli lì a rivedere i loro cari defunti che glieli ho fatti

incontrare. Bisogna che certa gente sappia cosa si provi a morire, così camperà

meglio e non romperà i cojoni al prossimo.

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Ad onor del vero, devo anche dire che Scandurra non si interessava a tutti i casi

che gli capitavano. Non vi era giornata in cui qualcuno non aveva bisogno delle

arti del maestro. Ogni santo giorno, entrava nella sua bottega almeno un uomo o

una donna, giovane vecchio maturo, talvolta disperati che necessitavano di aiuto,

un ultima speranza spesso: lui diceva 'non posso per ora, la situazione è bloccata'

ad uno su tre. Questo non significa che li abbandonava al loro destino. Voleva dire

che in quel preciso momento non poteva/doveva far nulla. Su sentieri sconosciuti il

maestro li seguiva e nei modi e nei tempi giusti, una mano la dava a tutti. Alcuni

casi erano irrisolvibili, almeno secondo i desideri degli interessati, ma statene certi,

qualcosa cambiava sempre nella storia di ognuno quando incontrava un uomo

come Scandurra.

Nel nostro ambiente esoterico si parla spesso di iniziati, a torto o a ragione, che

guardano con occhi distaccati il mondo che gli passa davanti. Non muovono un

dito per gli altri, miseri ignoranti. Siccome viaggiano per stati dell'essere

irraggiungibili per i comuni mortali, non si mischiano alle beghe umane. A volte

penso che certi percorsi esoterici siano alienanti e sterili. Chi non mette a

disposizione del prossimo le proprie presunte capacità o i conquistati poteri, o è un

volgare cialtrone oppure non ha raggiunto l'illuminazione e non concepisce che

sostenere il peso a chi non è dotato non solo è cosa buona e bella, ma è

necessario per la legge della Bilancia cosmica. Pure la regina ebbe bisogno della

stracciona. Chiuso in una torre di cartapesta, il c.d. iniziato non si accorge che la

sua vita sta scemando senza amore. Ci sono scuole di saggezza (sic) che

insegnano ad abbandonare passioni e sentimenti, a bruciare ogni forma di

desiderio per non esserne schiavi. In realtà, soltanto penetrando dentro le cose ed

esplorando l'anima dell'uomo ci si avvicina a Dio. Tormenti, lacrime, malattie, morti

sono pur sempre aperture, tragiche certo, che tuttavia ci appartengono e ci

permettono di proiettarci verso quel mondo interiore più vasto dell'universo,

l'originario, dove la felicità non è un sogno.


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