De vita beata
La felicit fra Grecia e Roma
IV A 1917/18
ARCHILOCO Emma & Alice
Archiloco visse nel VII secolo e apparteneva a una famiglia nobile dellisola di Paro,
nelle Cicladi. Sulla sua vita si hanno notizie incerte e talvolta contrastanti, ricavabili
dalle opere stesse dellautore. Sappiamo che probabilmente prese parte a spedizioni
militari dei suoi concittadini sulla costa tracia e nellisola di Taso. Secondo ci che
dice lautore stesso, inoltre, ebbe un contrasto con il concittadino Licambe che gli
aveva promesso in sposa e poi rifiutata la figlia Neobule. Archiloco quindi scrisse
contro questi ultimi giambi talmente violenti che i destinatari sarebbero stati costretti
a suicidarsi.
La poesia giambica era accompagnata dal flauto e caratterizzata, secondo gli
Alessandrini, da geloion (ridicolo), loidoria (maldicenza) e aiscrologia
(turpiloquio): difatti il termine giambo deriverebbe dalla radice del verbo
(scagliare) o da Iambe, la serva di Demetra, che riusc a fare ridere la sua signora,
disperata per la perdita della figlia, grazie a una sua buffoneria, in tal caso
testimonierebbe lorigine agricola del genere poetico e la sua funzione apotropaica.
ARCHILOCO fr. 13
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Certo i dolorosi lutti, o Pericle, n alcuno dei cittadini
disprezzando godr di banchetti n la citt:
tali infatti l'onda del rumoreggiante mare
sommerse, e gonfi per le sofferenze abbiamo
i polmoni. Ma gli dei tuttavia ai mali incurabili,
o amico, la forte sopportazione posero
(come) medicina. Talora uno talora un altro ha questa sorte; ora a noi
si volse, e lamentiamo la ferita sanguinante,
ma ancora altri raggiunger. Per al pi presto
fatevi coraggio, allontanando il lutto femmineo.
Loccasione della poesia un grave lutto che ha colpito il poeta e la sua comunit in
seguito a un naufragio. Rivolgendosi a un certo Pericle, invita lui e tutti gli altri a
sopportare il dolore, unico aiuto concesso agli uomini dagli dei per sopravvivere ai
mali. La malasorte una costante nella vita umana: ora toccata ad Archiloco e ai
suoi compagni, presto a qualcunaltro, poich la giustizia divina deve compensare e
ristabilire lordine.
ARCHILOCO fr. 19
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Traduzione
La fortuna di Gige ricco doro non minteressa
non mi prese mai invidia, n sono geloso
di opere divine; un grande potere non bramo;
lontano dai miei occhi.
Aristotele nella Retorica ci informa che in questo frammento Archiloco presta la voce
a un carpentiere di nome Carone. E un chiaro esempio di persona loquens,
espediente compositivo mediante cui il poeta esprime i suoi pensieri mediante le
parole di un personaggio.
A Carone non interessa delle ricchezze di Gige, re dei Lidi, non desidera opere divine
n un grande potere: egli felice per quello che ha, ne pienamente soddisfatto e non
ricerca altro.
ARCHILOCO fr. 128
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Cuore, mio cuore, turbato da affanni senza rimedio,
sorgi, difenditi, opponendo agli avversari
il petto; e negli scontri coi nemici poniti, saldo,
di fronte a loro; e non ti vantare davanti a tutti, se vinci;
vinto, non gemere, prostrato nella tua casa.
Ma gioisci delle gioie e soffri dei dolori
non troppo: apprendi la regola che gli uomini governa.
Nel frammento il poeta esorta il suo cuore a vivere con moderazione e a reagire sia alle
gioie che ai dolori senza eccesso. Questa regola di moderazione appare quindi
come un modello di comportamento tipico degli uomini sapienti che deve essere
seguito per essere felici.
SAFFO
Cecilia
Saffo nasce nel VII sec. A.C. a Ereso, sullisola di Lesbo. A Mitilene istitu una
scuola esclusivamente femminile, consacrata ad Afrodite, il tiaso, dentro la quale
comincia la sua fervida attivit di poetessa. Di Saffo ci sono giunti diversi
frammenti papiracei o per tradizione indiretta. Catullo tradusse in latino il carme 31,
rielaborando la seconda parte in modo originale.
Il frammento 16 tratta di quale possa essere considerata sulla terra la cosa pi bella.
Si apre con un contrasto: per molti la cosa pi bella sulla terra un esercito di navi, di
fanti, di cavalieri, per la poetessa ci che si ama. E per rendere ancora pi
intellegibile questo suo pensiero, Saffo cita lesempio di Elena, che per amore ha
abbandonato al famiglia, poich Afrodite non una dea a cui si possa resistere.
Anattoria rappresenta per la poetessa lestrema felicit, in quanto la persona da essa
amata e niente pu rendere pi felice della cosa che si ama.
SAFFO fr.16
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20[]
Un esercito di cavalieri, dicono alcuni
Colei che in bellezza fu superiore
a tutti i mortali, Elena, abbandon
il marito
pur valoroso, e and per mare
e non si ricord della figlia n dei cari
genitori; ma Cipride la travolse
A
lo splendore raggiante del suo viso
pi che i carri dei Lidi e i fanti
ERODOTO, Storie I 32 Aurelia
Il brano tratto dal primo libro delle Storie. Erodoto racconta la visita a Creso, re di
Lidia, da parte del legislatore Solone, e laneddoto secondo cui questultimo, dopo
aver ammirato limmensa ricchezza del re, interrogato su chi fosse il pi felice degli
uomini, indic non Creso stesso, ma uno sconosciuto ateniese di nome Tello e, al
secondo posto, i due fratelli argivi Cleobi e Bitone.
Di fronte al disappunto e alla delusione del re, Solone spiega come lui non possa
definirlo un uomo felice finch non avr saputo che Creso morto felicemente.
Infatti, il legislatore, poich conosce quanto la divinit sia piena di invidia nei
confronti degli uomini e dunque pronta a sconvolgere ogni avvenimento, afferma che
tutto per luomo un evento fortuito, tutto governato dalla volont, misteriosa e
minacciosa, degli di. Pertanto, nonostante Creso sia un re e sia molto ricco, Solone
non gli pu attribuire ci che lui gli chiede almeno fino alla sua morte, in quanto
spesso gli di fanno intravedere la felicit agli uomini e poi ne capovolgono il
destino.
Si intuisce, a questo punto, come la felicit sia un tema centrale allinterno del brano
ed , a tal proposito, interessante notare quali specifici termini Erodoto utilizza per
esprimere un particolare valore della felicit.
Nel testo originale si osserva come lautore, attraverso le parole di Solone, opera una
netta distinzione tra luomo che fortunato (), o addirittura felice (), e
luomo che ricco (): chi molto ricco non per nulla pi felice di chi vive
una vita modesta, se il suo destino non lo conduce a morire dolcemente ancora nella
sua prosperit. Sta di fatto che molti uomini, che sono assai ricchi, non sono felici,
mentre molti che invece ricchi non sono, possono dirsi gli unici davvero fortunati.
Difatti chi ha molti beni pu s realizzare i propri desideri e sopportare le sventure pi
facilmente di quanto possa permettersi uno umile, ma questultimo, grazie alla sua
buona sorte, ne tenuto lontano e vive sano e sereno.
In seguito Erodoto discerne colui che semplicemente fortunato da quello che invece
felice, in base al criterio per cui solo chi ha una buona morte pu essere definito
come tale. Prima di morire bisogna sempre evitare di definirlo in questo modo, ma
bisogna chiamarlo soltanto fortunato (sempre per il rapporto uomo-divinit sopra
citato).
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I 29-33 Traduzione
In una Sardi all'apice dello splendore giunsero in seguito tutti i sapienti di Grecia dell'epoca, uno
dopo l'altro, e tra gli altri Solone di Atene. Solone formul le leggi per i propri concittadini, su loro
richiesta, e poi soggiorn fuori della patria per dieci anni, partito col pretesto di un viaggio
conoscitivo, ma in realt per non essere costretto ad abrogare alcuna delle leggi che aveva
promulgato; perch gli Ateniesi, da soli, non erano in condizione di farlo: solenni giuramenti li
vincolavano per dieci anni a valersi delle norme stabilite da Solone. Per tale ragione e anche per il
suo viaggio, Solone rimase all'estero, recandosi in Egitto presso Amasi e, appunto, a Sardi presso
Creso. Al suo arrivo fu ospitato da Creso nella reggia: due o tre giorni dopo, per ordine del re,
alcuni servitori lo condussero a visitare i tesori e gli mostrarono quanto vi era di straordinario e di
sontuoso. Creso aspett che Solone avesse osservato e considerato tutto per bene e poi, al momento
giusto, gli chiese: "Ospite ateniese, ai nostri orecchi giunta la tua fama, che grande sia a causa
della tua sapienza sia per i tuoi viaggi, dato che per amore di conoscenza hai visitato molta parte
del mondo: perci ora m'ha preso un grande desiderio di chiederti se tu hai mai conosciuto
qualcuno che fosse veramente il PI FELICE di tutti. Faceva questa domanda perch riteneva di
essere lui l'uomo PI RICCO, ma Solone, evitando l'adulazione e badando alla verit, rispose:
"Certamente, signore, Tello di Atene". Creso rimase sbalordito da questa risposta e lo incalz con
un'altra domanda: "E in base a quale criterio giudichi Tello l'uomo PI FELICE?" E Solone
spieg: "Tello in un periodo di prosperit per la sua patria ebbe dei figli sani e intelligenti e tutti
questi figli gli diedero dei nipoti che crebbero tutti; lui stesso poi, secondo il nostro giudizio gi
cos fortunato in vita, ha avuto la fine pi splendida: durante una battaglia combattuta a Eleusi
dagli Ateniesi contro una citt confinante, accorso in aiuto, mise in fuga i nemici e mor
gloriosamente; e gli Ateniesi gli celebrarono un funerale di stato nel punto esatto in cui era caduto
e gli resero grandissimi onori". Quando Solone gli ebbe presentato la storia di Tello, cos ricca di
eventi fortunati, Creso gli domand chi avesse conosciuto come secondo dopo Tello, convinto di
avere almeno il secondo posto. Ma Solone disse: "Cleobi e Bitone, entrambi di Argo, i quali ebbero
sempre di che vivere e oltre a ci una notevole forza fisica, sicch tutti e due riportarono vittorie
nelle gare atletiche; di loro tra l'altro si racconta il seguente episodio: ad Argo c'era una festa
dedicata a Era e i due dovevano assolutamente portare la madre al tempio con un carro, ma i buoi
non giungevano in tempo dai campi; allora, per non arrivare in ritardo, i due giovani sistemarono i
gioghi sulle proprie spalle, tirarono il carro, sul quale viaggiava la madre, e arrivarono fino al
tempio dopo un tragitto di 45 stadi. Al loro gesto, ammirato da tutta la popolazione riunita per la
festa, segu una fine nobilissima: con loro il dio volle mostrare quanto, per un uomo, essere morto
sia meglio che vivere. Intorno ai due giovani gli uomini di Argo ne lodavano la forza, mentre le
donne si complimentavano con la madre che aveva avuto due figli come quelli; e la madre,
oltremodo felice dell'impresa e della grande reputazione derivatane, si ferm in piedi di fronte
all'immagine della dea e la preg di concedere a Cleobi e a Bitone, i suoi due figli che l'avevano
tanto onorata, la sorte migliore che possa toccare a un essere umano. Dopo questa preghiera i
giovani celebrarono i sacrifici e il banchetto e poi si fermarono a dormire l nel tempio; e
l'indomani non si svegliarono pi: furono colti cos dalla morte. Gli Argivi li ritrassero in due
statue che consacrarono a Delfi, come si fa con gli uomini pi illustri".
[32] A quei due dunque Solone assegnava il secondo posto nella graduatoria della felicit; Creso si
irrit e gli disse: "Ospite ateniese, la nostra felicit l'hai svalutata al punto da non ritenerci
neppure pari a cittadini qualunque?" E Solone rispose: "Creso tu interroghi sulla condizione
umana un uomo che sa quanto l'atteggiamento divino sia pieno di invidia e pronto a sconvolgere
ogni cosa. In un lungo arco di tempo si ha occasione di vedere molte cose che nessuno desidera e
molte bisogna subirle. Supponiamo che la vita di un uomo duri settanta anni; settanta anni da soli,
senza considerare il mese intercalare, fanno 25.200 giorni; se poi vuoi che un anno ogni due si
allunghi di un mese per evitare che le stagioni risultino sfasate, visto che in settanta anni i mesi
intercalari sono 35, i giorni da aggiungere risultano 1050. Ebbene, di tutti i giorni che formano
quei settanta anni, cio di ben 26.250 giorni, non uno solo vede lo stesso evento di un altro. E cos,
Creso, tutto per l'uomo un evento fortuito. Vedo bene che tu sei ricchissimo e re di molte genti, ma
ci che mi hai chiesto io non posso attribuirlo a te prima di aver saputo se hai concluso felicemente
la tua vita.
EPICURO Anita
Epicuro, filosofo fondatore dellepicureismo, nacque a Samo nel 341 a.C dove vi
rimase per alcuni anni, per poi trasferirsi ad Atene e fondare nel 307 a.C la sua
scuola, nota come Giardino. Scrisse diverse opere, di cui per oggi sono pervenute
solamente tre epistole filosofiche, tramandate da Diogene Laerzio.
Epicuro, in quanto filosofo, pur accogliendo la tripartizione della filosofia in logica,
fisica ed etica, si occup prevalentemente delle ultime due, essendo maggiormente
legate allargomento su cui poi si basava la sua dottrina, il vivere bene. Il pensiero
epicureo identificava la felicit con il piacere, inteso come atarassia, quella serenit
dellanimo in cui prevale lassenza di sconvolgimenti e turbamenti, condannando i
piaceri sfrenati e troppo intensi che provocano agitazione. Per questa concezione di
felicit, lideale epicureo lesistenza appartata, il vivere nascosto, il quale non
influenza solo la vita privata ma anche quella pubblica, prediligendo di conseguenza
una posizione di distacco dalla politica.
Il brano seguente tratto da una delle tre lettere che rimangono oggi di Epicuro. Le
lettere erano state scritte con lintento di ricapitolare e sintetizzare le fondamenta del
pensiero epicureo, gi trattato precedentemente nel , principale opera di
Epicuro, sviluppata in 37 libri. La Lettera a Meneceo, bench sia la pi breve tra le
tre, la pi importante, in quanto tratta delle tre questioni supreme della filosofia
epicurea: gli dei, la morte e la felicit.
EPICURO, Lettera a Meneceo 127-132
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Dobbiamo poi pensare che alcuni dei nostri desideri sono naturali, altri vani. E di quelli naturali
alcuni sono necessari, altri non lo sono. E di quelli naturali e necessari, alcuni sono necessari per
essere felici, altri per la buona salute del corpo, altri per la vita stessa. Una sicura conoscenza dei
desideri naturali necessari guida le scelte della nostra vita al fine della buona salute del corpo e
della tranquillit dell'animo, perch queste cose sono necessarie per vivere una vita felice. Infatti
noi compiamo tutte le nostre azioni al fine di non soffrire e di non avere l'animo turbato. Ottenuto
questo, ogni tempesta interiore si placher, perch il nostro animo non desidera nulla che gli
manchi, n ha altro da cercare perch sia completo il bene dell'anima e del corpo. Abbiamo infatti
bisogno del piacere quando soffriamo perch esso non c'. Quando non soffriamo, non abbiamo
neppure bisogno del piacere.Quando dunque diciamo che il piacere il bene completo e perfetto,
non ci riferiamo affatto ai piaceri dei dissoluti, come credono alcuni che non conoscono o non
condividono o interpretano male la nostra dottrina; il piacere per noi invece non avere dolore nel
corpo n turbamento nell'anima.
Infatti non danno una vita felice n i banchetti n le feste continue, n il godersi fanciulli e donne,
n il godere di una lauta mensa. La vita felice invece il frutto del sobrio calcolo che indica le
cause di ogni atto di scelta o di rifiuto, e che allontana quelle false opinioni dalle quali nascono
grandissimi turbamenti dell'animo.
LUCREZIO Eleonora
Let di Cesare, che si apre con la morte di Silla nel 78 a.C. e si chiude con la morte
di Cesare nel 44 a.C., non solo un susseguirsi di lotte per laffermazione del proprio
potere sia in campo militare che politico, ma anche un periodo di grande
arricchimento culturale.
Sul piano culturale vi , infatti, unampia diffusione del pensiero filosofico greco
attraverso la letteratura sia in chiave poetica sia in prosa.
Un esempio tangibile il De Rerum Natura di Lucrezio, un poema epico-
didascalico di sei libri, scritto in esametri con lo scopo di diffondere tra gli esponenti
della classe dirigente romana la filosofia epicurea.
Il poeta prende come modelli letterari Esiodo, Ennio ed Empedocle dAgrigento e
come modello filosofico Epicuro, il quale sostiene che il fine della vita umana sia il
raggiungimento della felicit, possibile soltanto se si abbandona la paura della morte,
degli dei e del dolore, concedendosi a quei piaceri della vita il pi possibile lontani
dalle passioni e da tutto ci che pu angosciare lanimo.
Attraverso la sua opera, che si regge su tre argomenti fondamentali la fisica,
lantropologia e la cosmologia Lucrezio mira a istruire luomo a una visione
diversa della vita, basata, appunto, sul raggiungimento della felicit attraverso
laponia (mancanza di dolore nel corpo) e latarassia ( mancanza di turbamento
nellanimo).
Nel libro II il poeta apre una questione molto interessante che concerne la felicit: il
desiderio.
In genere la felicit data dalla realizzazione dei propri desideri, specie quelli pi
complessi o irraggiungibili; per Lucrezio, per, non mai cos.
Secondo lui, infatti, la cosa veramente essenziale riuscire a raggiungere una sorta di
equilibrio interiore che consiste nel soddisfare soltanto le necessit primarie senza
esigere altro, in modo da non imbattersi nellangoscia e nel dolore, nel caso in cui ci
che tanto bramiamo non si realizzi.
Egli immagina un naufrago che ha da poco toccato le spiagge sicure, dopo unintensa
navigazione, il quale osserva altri marinai in balia del mare, con un certo sollievo nel
suo animo.
Il poeta giustifica questo sentimento del naufrago traducendolo non come sadismo nei
confronti di chi soffre, ma piuttosto come unemozione che coinvolge la sua
interiorit nel vedersi lontano da quegli affanni e da quel dolore.
Questa metafora serve a Lucrezio per introdurre il tema relativo al raggiungimento
della felicit attraverso una vita senza angosce e senza affanni. Subito dopo, infatti, si
rivolge a tutti gli uomini esortandoli a non appesantire il proprio animo ricercando
qualcosa che porter soltanto dolore e fatica, ma, al contrario, li invita a soddisfare
tutti i bisogni primari, quelli che il nostro corpo e la nostra natura richiedono.
Per fare in modo che questo concetto si imprima nelle menti dei suoi lettori, il poeta
sceglie di riportare alcuni esempi di chi vive beatamente con umilt, senza lusso o
senza pretendere troppo.
Egli afferma, infatti, che per essere felice non necessario possedere una casa ricca e
sfarzosa quando invece si potrebbe godere della compagnia dei propri amici, sdraiati
su un prato fiorito; oppure, durante una malattia non guarisce prima chi si copre con
una coperta purpurea rispetto a chi ne ha una misera.
Lucrezio termina il suo discorso paragonando tutti noi uomini a dei fanciulli: come
questi temono le tenebre, noi nella luce del giorno abbiamo paura di ci che non si
dovrebbe temere, perci quello che dobbiamo fare conoscere le leggi della natura
per liberare il nostro animo dal fardello della paura.
LUCREZIO, De rerum Natura II 1-61
Suave, mari magno turbantibus aequora ventis,
e terra magnum alterius spectare laborem;
non quia vexari quemquamst iucunda voluptas,
sed quibus ipse malis careas quia cernere suave est.
5Suave etiam belli certamina magna tueri
per campos instructa tua sine parte pericli.
Sed nil dulcius est, bene quam munita tenere
edita doctrina sapientum templa serena,
despicere unde queas alios passimque videre
10errare atque viam palantis quaerere vitae,
certare ingenio, contendere nobilitate,
noctes atque dies niti praestante labore
ad summas emergere opes rerumque potiri.
O miseras hominum mentis, o pectora caeca!
15qualibus in tenebris vitae quantisque periclis
degitur hoc aevi quodcumquest! nonne videre
nil aliud sibi naturam latrare, nisi utqui
corpore seiunctus dolor absit, mente fruatur
iucundo sensu cura semota metuque?
20Ergo corpoream ad naturam pauca videmus
esse opus omnino, quae demant cumque dolorem,
delicias quoque uti multas substernere possint.
Gratius interdum neque natura ipsa requirit,
si non aurea sunt iuvenum simulacra per aedes
25lampadas igniferas manibus retinentia dextris,
lumina nocturnis epulis ut suppeditentur,
nec domus argento fulget auroque renidet
nec citharae reboant laqueata aurataque templa,
cum tamen inter se prostrati in gramine molli
30propter aquae rivum sub ramis arboris altae
non magnis opibus iucunde corpora curant,
praesertim cum tempestas arridet et anni
tempora conspergunt viridantis floribus herbas.
Nec calidae citius decedunt corpore febres,
35textilibus si in picturis ostroque rubenti
iacteris, quam si in plebeia veste cubandum est.
Quapropter quoniam nil nostro in corpore gazae
proficiunt neque nobilitas nec gloria regni,
quod superest, animo quoque nil prodesse putandum;
40si non forte tuas legiones per loca campi
fervere cum videas belli simulacra cientis,
subsidiis magnis et ecum vi constabilitas,
ornatas armis statuas pariterque animatas,
fervere cum videas classem lateque vagari,
his tibi tum rebus timefactae religiones
45effugiunt animo pavidae; mortisque timores
tum vacuum pectus linquunt curaque solutum.
Quod si ridicula haec ludibriaque esse videmus,
re veraque metus hominum curaeque sequaces
nec metuunt sonitus armorum nec fera tela
50audacterque inter reges rerumque potentis
versantur neque fulgorem reverentur ab auro
nec clarum vestis splendorem purpureai,
quid dubitas quin omni' sit haec rationi' potestas?
omnis cum in tenebris praesertim vita laboret.
55Nam veluti pueri trepidant atque omnia caecis
in tenebris metuunt, sic nos in luce timemus
interdum, nilo quae sunt metuenda magis quam
quae pueri in tenebris pavitant finguntque futura.
Hunc igitur terrorem animi tenebrasque necessest
60non radii solis neque lucida tela diei
discutiant, sed naturae species ratioque.
Traduzione
1. dolce, mentre la superficie del vasto mare agitata 2. dai venti, contemplare da terra la gran fatica di altri; 3. non perch il soffrire di qualcuno sia un piacere lieto, 4. ma perch dolce capire da che sventure sei esente. 5. dolce anche contemplare grandi contese di guerra 6. allestite per i campi senza la tua parte di rischio. 7. Ma nulla pi dolce che occupare i sereni regni 8. del cielo, ben difesi dalla dottrina dei filosofi, 9. da cui puoi guardare gi e vedere gli altri errare 10. dappertutto, e cercar invano, allo sbando, il senso 11. della vita, e fara a gara in talento, e rivaleggiare in 12. titoli di nobilt, e aspirare giorno e notte con gran 13. fatica a conquistare potere e ricchezze eccezionali. 14. O sciagurate menti degli uomini, o intelletti ciechi! 15. In che tenebre dellesistenza e in che pericoli 16. trascorre questa vita, quale che sia! Come non 17. vedere che la natura reclama nullaltro se non che 18. il dolore, staccato dal corpo, sia del tutto assente, e che 19. nella mente goda in felicit, senza affanno e paura? 20. Quindi notiamo che poche cose sono fondamentali 21. per la natura corporea: quelle che tolgono il dolore 22. e che possono apportare anche molto piacere; n 23. la natura stessa domanda talora cosa pi gradita - 24. se nelle case non ci sono statue doro di giovani che 25. stringono nelle mani destre fiaccole splendenti che 26. diano luce ai banchetti notturni, e se la villa non 27. splende e luccica doro e dargento, n che i templi 28. dorati e decorati a cassettoni risuonino della cetra - 29. quando, sdraiati tutti insieme sullerba molle presso 30. un corso dacqua, sotto i rami di un alto albero, danno 31. piacevolmente ristoro ai loro corpi con mezzi semplici, 32. specialmente quando il tempo sorride e la stagione 33. sparpagliano le erbi splendenti di fiori. 34. N le febbri abbandonano prima il corpo, se ti agiti 35. tra drappi ricamanti e rosseggianti di porpora o se 36. invece ti tocca giacere sotto una coperta ordinaria. 37. Perci, poich le ricchezze nulla giovano al nostro 38. corpo e neppure la nobilt e la fama del potere, 39. bisogna inoltre ritenere che nulla giovino allanimo 40. a meno che per caso, quando vedi le tue legioni 41. sul campo sollevando stendardi di guerra, supportate 42. da potenti rinforzi e da reparti di cavalleria, e le 43. disponi equipaggiate darmi e parimenti animose, 44. le religioni, allora, terrorizzate da queste cose, ti 45. fuggano dallanimo paurose, e le ansie della morte 46. lascino allora il tuo cuore libero e sciolto dalla paura. 47. Ma, se constatiamo che queste cose son ridicole e 48. risibili, e se in realt la paura degli uomini e le ansie 49. incalzanti non temono n il rumore delle armi, n le
50. frecce spietate, e sfacciatamente si aggirano tra re e 51. potenti del pianeta, e non onorano il fulgore delloro 52. n il limpido splendore duna veste di porpora, come 53. puoi dubitare che tale potere sia tutto della ragione? 54. Soprattutto quando tutta la vita soffre nelle tenebre. 55. Infatti, come i bimbi tremano e temono tutto nel buio 56. pi totale, cos noi a volte nella luce abbiamo paura 57. di ci che non da temere nulla pi che di ci che 58. i bimbi al buio temono e si immaginano avvenire. 59. quindi necessario che tale paura e queste tenebre 60. dellanimo le disperdano non i raggi del giorno, 61. ma la forma e la legge profonda della natura.
VIRGILIO Riccardo
Virgilio nacque il 15 ottobre del 70 a.C. ad Andes, nel mantovano, da una ricca
famiglia di proprietari terrieri, che gli finanziarono gli studi in citt via via pi
importanti, quali Cremona, Milano e Roma, dove frequent la scuola di retorica. Si
dedic allo studio della filosofia presso lepicureo Sirone, a Napoli. Tornato a Roma
entr a far parte del circolo di Mecenate.
La prima opera pubblicata da Virgilio (nel 39 a.C.) fu una raccolta di dieci carmi in
esametri, intitolata Bucoliche, ambientata in un paesaggio di campagna incontaminata
in cui la vita dei pastori scorre serenamente nella cornice di una natura idealizzata.
In seguito, nel 29 a.C., il poeta pubblic le Georgiche, dedicate a Mecenate. Lopera
composta di quattro libri, ed inscrivibile nel genere del poema epico-didascalico; i
temi centrali sono la coltivazione dei campi e lallevamento del bestiame.
Nel 19 a.C. Virgilio pubblico lEneide, il poema epico in dodici libri in esametri che
ha rinnovato gli schemi classici dellepica.
VIRGILIO, Georgiche II vv. 490-502:
Il passo si apre con laggettivo Felix, che gli studiosi hanno pensato essere riferito al
saggio epicureo; egli infatti capace di dominare la natura con il solo uso della
ragione, svelandone cos i segreti pi profondi e sfatando tutti i miti creati dalla
superstizione riguardo ad essa. Viene poi rappresentata la felicit del Fortunatus,
propria dellagricola, che non tanto frutto della ricerca scientifica e razionale,
quanto invece direttamente derivata dal vivere in completa armonia con la natura.
Un altro elemento che caratterizza il contadino il fatto che egli non sia affranto dalle
passioni tipiche degli uomini comuni, quali invidia e ambizione, ma anche il fatto che
non abbia paura della morte, probabilmente perch vive le sue giornate con
leggerezza: intesa non come superficialit, ma come quella che Calvino descrive
come planare sulle cose dallalto, non avere macigni sul cuore. Per quando riguarda
lagricola, dunque, possiamo parlare di una vera e propria filosofia di vita: egli
accetta un rapporto con la natura non basato sul dominio, ma piuttosto sull'amore,
sulla cooperazione, sulla condivisione e la consapevolezza dei propri limiti.
Felix, qui potuit rerum cognoscere causas,
atque metus omnes et inexorabile fatum
subiecit pedibus strepitumque Acherontis avari.
Fortunatus et ille, deos qui novit agrestes,
Panaque Silvanumque senem Nymphasque sorores.
495Illum non populi fasces, non purpura regum
flexit et infidos agitans Discordia fratres,
aut coniurato descendens Dacus ab Histro,
non res Romanae perituraque regna; neque ille
aut doluit miserans inopem aut invidit habenti.
500Quos rami fructus, quos ipsa volentia rura
sponte tulere sua, carpsit, nec ferrea iura
insanumque forum aut populi tabularia vidit.
Taduzione
Felice colui che pot conoscere le cause dei fenomeni,
e tutti i timori e l'inesorabile fato
gett sotto ai piedi e lo strepito dell'avido Acheronte.
Fortunato anche colui che conosce gli dei agresti,
e Pan e il vecchio Silvano e le Ninfe sorelle.
Quello non i fasci del popolo, non la porpora dei re
piegarono e la Discordia che agita fratelli infidi,
o i Daci che, impegnatisi con giurameto, scendono dall'Istro,
non le vicende romane e i regni destinati a finire; n quello
o soffr commiserando un povero o prov invidia per uno che ha.
Quei frutti che i rami, quelli che le campagne stesse ben volentieri
spontaneamente produssero egli raccolse, n vide ferree leggi
e il foro dissennato o gli archivi del popolo.
ORAZIO Satire I 1 Gabriele
Orazio scelse questo componimento per aprire il I libro delle Satire, anzitutto, perch
dedicato a Mecenate, che diventa cos il destinatario dellintera raccolta, e poi
perch compaiono molti degli elementi tipici del genere letterario a cui Orazio aveva
deciso di dedicarsi: c infatti il fine morale, che richiama la diatriba, tradotto in una
struttura letteraria agile e accattivante, particolarmente adatta alla divulgazione, che si
avvale spesso di tecniche proprie della commedia. La satira presenta da un lato il
tema della lamentela per la propria sorte, dallaltro quello dellavidit e dellavarizia.
Di particolare interesse risulta il convincente discorso morale centrato sulletica del
giusto mezzo che larga parte ha in tutta la produzione oraziana e che qui appare
enunciato per la prima volta.
Qui fit, Maecenas, ut nemo, quam sibi sortem
seu ratio dederit seu fors obiecerit, illa
contentus vivat, laudet diversa sequentis?
"O fortunati mercatores" gravis annis
5miles ait, multo iam fractus membra labore;
contra mercator navim iactantibus Austris:
"militia est potior. Quid enim? Concurritur: horae
momento cita mors venit aut victoria laeta."
Agricolam laudat iuris legumque peritus,
10sub galli cantum consultor ubi ostia pulsat;
ille, datis vadibus qui rure extractus in urbem est,
solos felicis viventis clamat in urbe.
Cetera de genere hoc - adeo sunt multa - loquacem
delassare valent Fabium. Nec te morer, audi,
15quo rem deducam. Si quis deus "en ego" dicat
"iam faciam quod voltis: eris tu, qui modo miles,
mercator; tu, consultus modo, rusticus: hinc vos,
vos hinc mutatis discedite partibus. Eia,
quid statis?" nolint. Atqui licet esse beatis.
20Quid causae est, merito quin illis Iuppiter ambas
iratus buccas inflet neque se fore posthac
tam facilem dicat, votis ut praebeat aurem?
Praeterea, ne sic ut qui iocularia ridens
percurram - quamquam ridentem dicere verum
25quid vetat? Ut pueris olim dant crustula blandi
doctores, elementa velint ut discere prima -
sed tamen amoto quaeramus seria ludo:
ille gravem duro terram qui vertit aratro,
perfidus hic caupo, miles nautaeque, per omne
30audaces mare qui currunt, hac mente laborem
sese ferre, senes ut in otia tuta recedant,
aiunt, cum sibi sint congesta cibaria: sicut
parvula - nam exemplo est - magni formica laboris
ore trahit quodcumque potest atque addit acervo
35quem struit, haud ignara ac non incauta futuri.
Quae, simul inversum contristat Aquarius annum,
non usquam prorepit et illis utitur ante
quaesitis sapiens, cum te neque fervidus aestus
demoveat lucro neque hiems, ignis mare ferrum,
40nil obstet tibi, dum ne sit te ditior alter.
Quid iuvat immensum te argenti pondus et auri
furtim defossa timidum deponere terra?
Quod, si comminuas, vilem redigatur ad assem?
At ni id fit, quid habet pulcri constructus acervus?
45Milia frumenti tua triverit area centum:
non tuus hoc capiet venter plus ac meus:
ut si reticulum panis venalis inter onusto
forte vehas umero, nihilo plus accipias quam
qui nil portarit. Vel dic quid referat intra
50naturae finis viventi, iugera centum an
mille aret? "At suave est ex magno tollere acervo."
Dum ex parvo nobis tantundem haurire relinquas,
cur tua plus laudes cumeris granaria nostris?
Ut tibi si sit opus liquidi non amplius urna
55vel cyatho et dicas "magno de flumine mallem
quam ex hoc fonticulo tantundem sumere." Eo fit,
plenior ut siquos delectet copia iusto,
cum ripa simul avolsos ferat Aufidus acer.
At qui tantuli eget quanto est opus, is neque limo
60turbatam haurit aquam neque vitam amittit in undis.
At bona pars hominum decepta cupidine falso
"nil satis est", inquit, "quia tanti quantum habeas sis":
quid facias illi? Iubeas miserum esse, libenter
quatenus id facit: ut quidam memoratur Athenis
65sordidus ac dives, populi contemnere voces
sic solitus: "populus me sibilat, at mihi plaudo
ipse domi, simul ac nummos contemplor in arca."
Tantalus a labris sitiens fugientia captat
flumina - qui rides? Mutato nomine de te
70fabula narratur: congestis undique saccis
indormis inhians et tamquam parcere sacris
cogeris aut pictis tamquam gaudere tabellis.
Nescis, quo valeat nummus, quem praebeat usum?
Panis ematur, holus, vini sextarius, adde
75quis humana sibi doleat natura negatis.
An vigilare metu exanimem, noctesque diesque
formidare malos fures, incendia, servos,
ne te compilent fugientes, hoc iuvat? Horum
semper ego optarim pauperrimus esse bonorum.
80At si condoluit temptatum frigore corpus
aut alius casus lecto te adflixit, habes qui
adsideat, fomenta paret, medicum roget, ut te
suscitet ac reddat gnatis carisque propinquis?
Non uxor salvum te volt, non filius; omnes
85vicini oderunt, noti, pueri atque puellae.
Miraris, cum tu argento post omnia ponas,
si nemo praestet, quem non merearis, amorem?
An si cognatos, nullo natura labore
quos tibi dat, retinere velis servareque amicos,
90infelix operam perdas, ut siquis asellum
in campo doceat parentem currere frenis?
Denique sit finis quaerendi, cumque habeas plus,
pauperiem metuas minus et finire laborem
incipias, parto quod avebas, ne facias quod
95Ummidius quidam; non longa est fabula: dives
ut metiretur nummos, ita sordidus, ut se
non umquam servo melius vestiret, ad usque
supremum tempus, ne se penuria victus
opprimeret, metuebat. At hunc liberta securi
100divisit medium, fortissima Tyndaridarum.
"Quid mi igitur suades? Ut vivam Naevius aut sic
ut Nomentanus?" Pergis pugnantia secum
frontibus adversis componere: non ego avarum
cum veto te, fieri vappam iubeo ac nebulonem:
105est inter Tanain quiddam socerumque Viselli:
est modus in rebus, sunt certi denique fines,
quos ultra citraque nequit consistere rectum.
Illuc, unde abii, redeo, qui nemo, ut avarus,
se probet ac potius laudet diversa sequentis,
110quodque aliena capella gerat distentius uber,
tabescat neque se maiori pauperiorum
turbae comparet, hunc atque hunc superare laboret.
Sic festinanti semper locupletior obstat,
ut, cum carceribus missos rapit ungula currus,
115instat equis auriga suos vincentibus, illum
praeteritum temnens extremos inter euntem.
Inde fit, ut raro, qui se vixisse beatum
dicat et exacto contentus tempore vita
cedat uti conviva satur, reperire queamus.
120Iam satis est. Ne me Crispini scrinia lippi
compilasse putes, verbum non amplius addam.
Traduzione
Come mai, Mecenate, nessuno, nessuno vive contento della sorte che sceglie o che il caso gli getta innanzi e loda chi segue strade diverse?
"Fortunati i mercanti", esclama il soldato oppresso dagli anni e con le membra rotte da tanta fatica; "Meglio la vita militare" ribatte il mercante sulla nave in balia dei venti, "Che vuoi? Si va all'assalto e in breve volgere di tempo ti rapisce la morte o ti arride la vittoria". Quando al canto del gallo batte il cliente alla sua porta, l'esperto di diritto invidia il contadino; quell'altro invece, tratto a viva forza di campagna in citt a testimoniare, proclama che solo i cittadini sono felici. Esempi simili, tanto son numerosi, finirebbero per rendere afono persino un chiacchierone come Fabio.
A farla breve, ascolta dove voglio arrivare: se un dio dicesse: "Eccomi qui, pronto a fare ci che volete: tu, che eri soldato sarai mercante, e tu, giurista, un contadino: scambiatevi le parti e via, uno di qua, l'altro di l. Che fate l impalati?". Rifiuterebbero, eppure era possibile che fossero felici. Non ha forse ragione Giove a sbuffare irritandosi con loro e a sancire che d'ora in poi non sar pi tanto arrendevole da porgere orecchio a preghiere simili?
Insomma, per non continuare negli scherzi, tal quale una farsa (per quanto, che cosa vieta di dire la verit scherzando? Anche i maestri a volte con blandizie danno delle chicche ai bambini, perch si decidano a imparare l'alfabeto; ma bando alle burle: pensiamo a cose serie), quello che sotto il peso dell'aratro rivolta a fatica la terra, quest' oste imbroglione, il soldato e i marinai che in ogni dove percorrono audaci il mare, a sentir loro si sobbarcano a tante fatiche con l'intenzione in vecchiaia di ritirarsi a riposare in pace, una volta messo da parte il necessario: cos la formica, minuscola ma laboriosa (l'esempio proverbiale), trascina con la bocca tutto quel che pu e l' aggiunge al mucchio che innalza, consapevole e previdente del futuro. Ma mentre lei, al volgere dell'anno che l' Aquario intristisce, non esce pi dal suo buco e, saggia, si serve delle provviste accumulate in precedenza, per te non c' torrida estate che possa distoglierti dal guadagno, n inverno, fuoco, mare o ferro, niente d'ostacolo perch nessuno mai sia pi ricco di te.
Che gusto provi a sotterrare di nascosto e pieno di paura una caterva simile d'oro e d'argento? "Ma se l'intacchi, si ridurr a un soldo bucato". E se ci non avviene, che ha di bello il mucchio raccolto? La tua aia ha trebbiato centomila moggi di grano: non sar per questo il tuo ventre pi capace del mio; cos se tra gli
schiavi condotti al mercato toccasse a te di trascinarsi in spalla il canestro del pane, non riceveresti nulla di pi di chi non ha portato niente. Dimmi che differenza fa, per chi vive entro i limiti della natura, arare cento iugeri o ararne mille? "Ma piacevole prendere da un mucchio grande". Lasciami attingere altrettanto a uno piccolo: perch mai dovresti lodare i tuoi granai pi di queste mie ceste? Come se tu avessi bisogno solo di una brocca o di un bicchiere d'acqua e dicessi: "Preferirei riempirli a un grande fiume che a questo rigagnolo". S, ma a chi fa gola una quantit maggiore al giusto, avviene che l' Aufido impetuoso se lo porti via con parte della riva. Chi invece s' accontenta del poco che ha bisogno, non attinge acqua torbida di fango e non perde la vita fra le onde.
Eppure buona parte della gente, accecata da false brame: "Niente di troppo", dice, "perch quanto hai, tanto vali". Che vuoi fargli? Lascialo nella sua miseria, visto che ci sta volentieri; come quel tale che, si racconta in Atene, spilorcio e ricco, era solito stornare cos le critiche: "La gente mi fischia, ma dentro casa, quando contemplo tutti quei denari nel forziere, io mi applaudo da solo".
Tantalo assetato cerca di suggere l'acqua via dalle sue labbra... Ridi? mutato il nome, il caso tuo: sogni a bocca aperta sui sacchi ammassati d'intorno e ti costringi a non toccarli come fossero sacri o a goderne come dei quadri. Lo sai o no a cosa serve il denaro e l'uso che puoi farne? Compraci pane, verdura, mezzo litro di vino e aggiungici anche ci che, se viene a mancare, la natura umana ne soffrirebbe. Forse vegliare mezzo morto di paura, questo che ti piace? Temere notte e giorno il flagello dei ladri, degli incendi o che i servi mettano a sacco la casa e poi fuggano? Di beni come questi io vorrei proprio farne a meno.
"Ma se, preso dai brividi, il corpo comincia a dolerti o un altro accidente t' affligge a letto, hai chi ti assiste, chi ti prepara impiastri e chiama il medico che ti rimetta in piedi e ti restituisca ai figli, all'affetto dei parenti". No, non ti vuole guarito la moglie, non lo vuole tuo figlio; non ti pu vedere nessuno, vicini, conoscenti, giovani e ragazze. E ti meravigli tu, che avanti ogni cosa metti il denaro, se nessuno ti accorda quell'affetto che certo non ti meriti? O forse pensi che perderesti il tuo tempo, se cercassi di tenerti i parenti, che per sorte la natura ti ha dato, e serbarteli amici, come chi volesse addestrare un asinello a correre nel Campo Marzio ubbidendo alle redini?
E allora smettila con questa avidit: pi ne hai e meno devi temere la miseria; poni termine alla fatica, ottenuto ci che agognavi, se non vuoi che t'accada come a quel tale Ummidio. storia breve: ricco al punto da contare i soldi a palate e cos gretto da non vestirsi meglio di un servo, temette sino all'ultimo di morire d'inedia. Ma ecco che una liberta, come la pi forte delle Tindaridi, in due lo spacc con la scure. "Che mi consigli allora? Di vivere come Nevio o come Nomentano?" Ti ostini a mettere di fronte cose che fanno a pugni: quando ti sconsiglio d' essere avaro, non ti esorto a farti scioperato e scialacquatore. C' pure una via di mezzo fra Tanai e il suocero che ha Visellio: c' una misura per tutte le cose, ci sono insomma confini precisi al di l dei quali non pu esistere il giusto.
Torno al punto d'avvio: come mai nessuno, vedi l'avaro, contento di s e loda invece chi segue strade diverse, si strugge d'invidia se la capretta del vicino ha mammelle pi turgide e, senza confrontarsi con la massa pi povera di lui, s'affanna a superare questo e quello? Come l'auriga, quando scalpitando i cavalli si lanciano coi cocchi oltre le sbarre, incalza quelli che lo superano, sprezzando chi si lasciato indietro e scivola in coda, cos a lui che s'affanna sempre si para innanzi uno pi ricco.
Ecco perch solo di rado s'incontra chi dica d'essere vissuto felice e, pago del tempo trascorso, esca di vita come un convitato sazio.
Ma ora basta; e perch tu non supponga che abbia saccheggiato gli scrigni del cisposo Crispino, non aggiunger una parola in pi.
ORAZIO, Epistole I 11 Tommaso
In questa lettera, indirizzata allamico Bullazio (probabilmente uno di quei ricchi
signori che cercavano di placare linquietudine dellanimo in un attivismo frenetico),
Orazio ci mostra come la felicit non si trovi tanto nei posti in cui si va a ricercarla
quanto in noi stessi, ed proprio esplorando il nostro animo che possiamo finalmente
trovare la pace secondo i dettami dellautentica saggezza, intesa come ragione umana
unita a buon senso (ratio et prudentia, v.25).
La prova di ci ci viene fornita dal ricco Bullazio che, proprio come ogni uomo, in
costante ricerca di serenit che per, una volta trovata, destinata a durare poco e a
creare una spirale che mantiene lessere umano in una condizione di perenne
inquietudine (strenua inertia nos exercet), sensazione che lo afferra quando
insoddisfatto di s e vanamente cerca di placarla attraverso numerose attivit tra cui i
viaggi.
Quid tibi visa Chios, Bullati, notaque Lesbos,
quid concinna Samos, quid Croesi regia Sardis,
Zmyrna quid et Colophon, maiora minorane fama?
cunctane prae Campo et Tiberino flumine sordent?
5an venit in votum Attalicis ex urbibus una,
an Lebedum laudas odio maris atque viarum?
"scis Lebedus quid sit; Gabiis desertior atque
Fidenis vicus; tamen illic vivere vellem,
oblitusque meorum obliviscendus et illis
10Neptunum procul e terra spectare furentem."
sed neque qui Capua Romam petit imbre lutoque
aspersus volet in caupona vivere; nec qui
frigus collegit, furnos et balnea laudat
ut fortunatam plene praestantia vitam.
15nec si te validus iactaverit Auster in alto,
idcirco navem trans Aegaeum mare vendas.
incolumi Rhodos et Mytilene pulchra facit quod
paenula solstitio, campestre nivalibus auris,
per brumam Tiberis, Sextili mense caminus.
20dum licet ac vultum servat Fortuna benignum,
Romae laudetur Samos et Chios et Rhodos absens.
tu quamcumque deus tibi fortunaverit horam
grata sume manu neu dulcia differ in annum,
ut quocumque loco fueris vixisse libenter
25te dicas; nam si ratio et prudentia curas,
non locus effusi late maris arbiter aufert,
caelum non animum mutant qui trans mare currunt.
strenua nos exercet inertia: navibus atque
quadrigis petimus bene vivere. quod petis hic est,
30 est Ulubris, animus si te non deficit aequus.
Traduzione
Allora, Bullazio, che ne pensi di Chio, della tanto decantata Lesbo, dell'eleganza di
Samo, della reggia di Creso a Sardi, e di Colofone, di Smirne? meglio o peggio della
loro fama? Nessuna, proprio, che valga Tevere e Campo Marzio? o t'ha rapito il cuore
una citt di Attalo, e ti entusiasmi di Lbedo nauseato di viaggi e crociere? Sai
Lbedo com': un villaggio pi deserto di Gabi e Fidene; ma io l vorrei vivere,
dimenticando i miei, dimenticato da loro, e da riva guardare lontano il mare in
burrasca. Certo nessuno si propone, fradicio di pioggia e fango da Capua verso
Roma, di passare la vita in una bettola; nessuno, intirizzito dal freddo, ritiene il calore
delle terme il culmine della felicit terrena; neppure tu, se la violenza del vento
t'avesse travolto in mezzo al mare, venderesti la nave, raggiunta la riva. Sano e salvo,
la bellezza di Rodi e di Mitilene ti serve come d'estate un mantello o un perizoma
quando tira aria di neve, un bagno nel Tevere d'inverno o un braciere nel mese
d'agosto. Finch possibile e la fortuna ti sorride, Samo, Chio e Rodi bene lodarle
da lontano, a Roma. Qualunque ora lieta ti concedano gli dei prendila con
riconoscenza, non rimandarne di anno in anno le gioie, e si possa dire che in ogni
situazione sei vissuto volentieri. Se la logica della saggezza, e non i luoghi che
dominano la distesa del mare, allontana gli affanni, chi solca il mare muta cielo,
non natura. Un'inquietudine impotente ci tormenta e andiamo per acque e terre
inseguendo la felicit. Ma ci che insegui qui, a lubre, se non ti manca la
ragione.
ORAZIO, Carmina I 1 Sofia
La lirica apre, nel nome di Mecenate, lintera raccolta dei primi tre libri delle Odi ed
una dichiarazione di intenti: dopo aver passato in rassegna i diversi stili di vita
(philodoxos bios, filotimos, filochrematos, philedonos), nei versi finali il poeta si
dichiara felice se Mecenate, suo rifugio e sua dolce gloria, lo inserir nel novero dei
poeti lirici. Il senso della vita consiste per lui nelleserizio della poesia e nel
riconoscimento dei suoi meriti.
Maecenas atavis edite regibus,
o | et praesidium et dulce decus meum,
sunt quos curriculo pulverem Olympicum
collegisse iuvat, metaque fervidis
5 evitata rotis palmaque nobilis
terrarum dominos evehit ad deos;
hunc si mobilium turba Quiritium
certat tergeminis tollere honoribus;
illum, si proprio condidit horreo
10 quidquid de Libycis verritur areis.
Gaudentem patrios findere sarculo
agros Attalicis condicionibus
numquam demoveas, ut trabe Cypria
Myrtoum pavidus nauta secet mare.
15 Luctantem Icariis fluctibus Africum
mercator metuens otium et oppidi
laudat rura sui; mox reficit rates
quassas, indocilis pauperiem pati.
Est qui nec veteris pocula Massici
20 nec partem solido demere de die
spernit, nunc viridi membra sub arbuto
stratus, nunc ad aquae lene caput sacrae.
Multos castra iuvant et lituo tubae
permixtus sonitus bellaque matribus
25 detestata. Manet sub Iove frigido
venator tenerae coniugis immemor,
seu visa est catulis cerva fidelibus,
seu rupit teretes Marsus aper plagas.
Me doctarum hederae praemia frontium
30 dis miscent superis, me gelidum nemus
Nympharumque leves cum Satyris chori
secernunt populo, si neque tibias
Euterpe cohibet nec Polyhymnia
Lesboum refugit tendere barbiton.
35 Quod si me lyricis vatibus inseres,
sublimi feriam sidera vertice.
Traduzione
O Mecenate, disceso da avi regali, o mio rifugio e mio dolce amore, ci sono quelli a cui piace aver raccolto con il carro la polvere di Olimpia e la meta evitata 5 con le ruote infuocate, quelli che una gloriosa vittoria trascina fino agli dei, signori delle terre: a questo piace se la folla dei Quiriti volubili fa a gara a sollevarlo con triplici cariche, a quello se ha raccolto nel proprio granaio 10 ogni cosa sia spazzata via dalle aie di Libia. Chi gioisce nel solcare con il sarchiello i campi paterni neppure a condizioni degne di Attalo lo potresti smuovere perch con una nave cipria solchi da povero marinaio il mare intorno a Myrtos. 15 Poich teme lAfrico che lotta con i flutti dellIcario il mercante loda la tranquillit e i campi della sua citt; eppure subito ripara le navi scassate, incapace di sopportare una condizione modesta. C chi n i bicchieri di vecchio Massico 20 n togliere una parte dal giorno lavorativo disdegna, ora stendendo il corpo sotto un verde corbezzolo, ora dolcemente presso la sorgente di acqua sacra; a molti piacciono gli accampamenti, il suono della tromba mescolato al lituo e le guerre odiate 25 dalle madri. Sotto la pioggia gelida rimane il cacciatore, dimentico della dolce moglie, sia se dai cani fedeli stata vista una cerva sia se un cinghiale marsico ha rotto le reti ben fatte. Me ledera, premio per le fronti dei saggi, 30 mi accomuna agli dei celesti, me il fresco bosco e le danze soavi delle Ninfe insieme ai Satiri separano dal popolo, se n Euterpe
fa tacere il flauto n Polimnia rifiuta di tendere la lira di Lesbo. 35 Perci se mi annovererai tra i poeti lirici, toccher le stelle con la punta del capo.
ORAZIO, Carmina II 10 Rachele
Questa ode del libro II dedicata a Licinio, un personaggio difficile da identificare:
secondo unipotesi accreditata sarebbe il figlio di quel Licinio Murena difeso da
Cicerone 63 a.C. dallaccusa di brogli elettorali. In questa poesia, di cui il metro la
strofa saffica, viene esposto uno dei punti cardini della poetica e dellideale stile di
vita secondo Orazio: la costante ricerca dell aurea mediocritas, ossia della giusta via
di mezzo e equilibrio in ogni situazione. Per esprimere al meglio questo concetto il
poeta si serve di un linguaggio pieno di metafore attinte a diversi ambiti: alla natura,
alla navigazione, alla quotidianit e infine anche al mito. Inoltre, sempre per
trasmettere questo senso di semplicit su cui si basa il concetto dellaurea
mediocritas, il poeta utilizza uno stile semplice caratterizzato da parallelismi di
immagini e strutture sintattiche e da una prevalenza di frasi coordinate.
Rectius vives, Licini, neque altum
semper urgendo neque, dum procellas
cautus horrescis, nimium premendo
litus iniquum.
auream quisquis mediocritatem
diligit, tutus caret obsoleti
sordibus tecti, caret invidenda
sobrius aula.
saepius ventis agitatur ingens
pinus et celsae graviore casu
decidunt turres feriuntque summos
fulgura montis.
sperat infestis, metuit secundis
alteram sortem bene praeparatum
pectus: informis hiemes reducit
Iuppiter, idem
submovet; non, si male nunc, et olim
sic erit: quondam cithara tacentem
suscitat Musam neque semper arcum
tendit Apollo.
rebus angustis animosus atque
fortis adpare, sapienter idem
contrahes vento nimium secundo
turgida vela.
Traduzione
Vivrai meglio, o Licinio, non spingendoti
sempre in alto mare n rasentando troppo
la costa insidiosa mentre prudente temi
le tempeste.
Chiunque segue laureo principio del giusto mezzo,
sta lontano al sicuro dagli squallori
di una casa decadente, e sta lontano, sobrio,
da un palazzo che suscita invidia.
Pi frequentemente i venti agitano il grande pino,
le alte torri crollano con maggior rovina
e i fulmini colpiscono le cime dei monti.
Un cuore opportunamente predisposto attende
situazioni minacciose, nelle situazioni felici ha paura
del destino avverso: Giove riporta gli inverni
che rendono brutte le cose,
ed egli stesso li allontana.
Se ora le cose vanno male,
non sar cos in futuro: Apollo sveglia con la cetra
la Musa silenziosa e non tende sempre larco.
Nei momenti difficili mostrati coraggioso
e forte; allo stesso tempo tu ammainerai
sapientemente la vela gonfiata da un vento
troppo vigoroso.
ROBERTO BENIGNI, La Felicit Giulia
Penso sia impossibile dare un vero e proprio ruolo a Roberto Benigni: attore, regista,
comico e personaggio di grande rilievo, vincitore di numerosi premi e candidato al
Nobel per la letteratura nel 2007 dopo aver recitato e commentato la Divina
Commedia e I dieci comandamenti da cui tratto il seguente brano sulla felicit.
con queste profonde e toccanti parole che lartista elogia la felicit, un traguardo
che spesso tendiamo a sottovalutare e dimenticare. Forse perch non sappiamo
riconoscerla? O perch pensiamo che sia passeggera e scontata?
La fe-li-ci-t, s, la felicit. A proposito di felicit, cercatela, tutti i giorni,
continuamente, anzi chiunque mi ascolti ora, si metta in cerca della felicit, ora in
questo momento stesso perch l, ce
i lo hanno nascosto cos bene, che non si
G
C
a voltarvi di scatto, magari la pigliate di sorpresa, ma li. Dobbiamo pensarci
sempre alla felicit, e anche se lei qualche volta si dimentica di noi, noi non ci
orno della nostra vita.
(https://www.youtube.com/watch?v=FM3TDFcrt3Q)
Narratore eccezionale, pezzo sentito e commovente, recitato con passione e grande
empatia; Roberto Benigni non lascia mai nulla al caso e anche questa volta riuscito
a lasciare un contributo imperituro alla nostra societ. In questa performance riesce
ad esprimere in maniera leggera ma non frivola il profondo significato di ci che
realmente importante, del vero scopo delle nostre vite, che tutti continuamente
cerchiamo lontano, senza ricordarci n accorgerci che siamo noi i veri fautori della
nostra felicit e siamo sempre noi a privarcene credendo che dipenda da qualcuno o
qualcosa. La verit assoluta che Benigni ci ha rivelato in due minuti intensi, che
fanno sorridere e regalano una sensazione di pienezza e potenza, sono un
ammonimento per noi: Dio ci ha creato per essere felici e ci ha dato tutti i mezzi per
esserlo. In questa stressante e instancabile corsa al successo ci dimentichiamo quale
sia il vero scopo di tanta fatica, e grazie a Benigni probabilmente ce ne
dimenticheremo meno.
http://www.lasepolturadellaletteratura.it/felicita/#_ftn1https://www.youtube.com/watch?v=FM3TDFcrt3Q
ANDREA MARCOLONGO, La misura eroica Alessandra
Andrea Marcolongo, scrittrice, laureata in Lettere Classiche allUniversit degli
Studi di Milano e nella sua vita ha viaggiato molto: dopo aver vissuto in dieci citt
diverse, ha deciso infine di stabilirsi a Sarajevo, in Bosnia-Erzegovina. Dopo il
successo del suo primo libro La lingua geniale, in cui ha mostrato quanto siano
profonde le tracce lasciate dal mondo greco nella nostra contemporaneit, lautrice
torna a scrivere per raccontare, questa volta, limportanza del viaggio inteso come un
passaggio nellet adulta.
Al centro del suo secondo libro, La Misura eroica, si dispiega la metafora della vita
come una lunga e travagliata navigazione di porto in porto, di stampo classico:
lautrice riprende le vicende degli Argonauti narrate da Apollonio Rodio,
rielaborando in maniera personale le tematiche trattate e rivelando, cos, una stretta
correlazione tra lepoca antica e quella moderna. Di seguito lautrice arriva a
delineare una stretta correlazione tra lidea di felicit e la fertilit: infatti, felice in
latino si dice felix, la cui radice Fe d origine anche alla parola fecundus, che
significa propriamente fertile, produttivo.
La felicit, quindi, assume per lei un valore fortemente dinamico, contrapposta
allinfelicit delle donne di Lemno, che le ha portate a chiudersi in se stesse, nella
convinzione di unapparente calma e assenza di preoccupazioni: la felicit si riscopre
nel momento in cui si agisce, si sceglie di prendere una decisione, si decide di
cambiare e di rischiare, senza escludere il timore per limprevedibilit delle azioni.
Inoltre, contrariamente alla concezione di felicit che emerge dalla letteratura greca e
latina -dove si concepisce per lo pi come il risultato di una rinuncia, di unassenza di
paura o di piacere, cercando quantomeno di mantenere il corpo lontano dagli eccessi,
cos da preservare anche lanima in equilibrio-, lautrice riporta alla luce lidea di
sporcarsi le mani, di lanciarsi verso orizzonti sconosciuti e avere il coraggio di
lasciarsi scoprire e di scoprirsi.
Soltanto attraverso la dolcezza di una carezza, la regina Issipile riconoscer il valore
della vita e limportanza dellamore in questa, come vero motore della fertilit.
Grazie agli Argonauti e al loro amore, le donne, staccandosi dallimmobilit della
loro triste condizione, riscoprono nellospitalit la fiamma accesa del calore umano,
che le porta ad abbattere le barriere, smuovendo i loro animi. Cos, soltanto
esponendosi al pericolo, decidendo di accogliere nuovamente nella loro vita lamore,
le donne tornano a sperimentare la felicit.
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pensando ai figli che mai avrebbero avuto, a
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cuori dei suoi abitanti, li ha condotti ad una terribile sciagura.
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z e proprie mogli e i propri figli,
cominciarono a seguire il loro insaziabile desiderio di razziare le isole circostanti e
rapire le donne altrui. Quello stesso sentimento di mancanza, di assenza di
compiacimento o soddisfazione che spinge gli uomini a spendersi in frivolezze,
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della vita i loro uomini, senza distinzione tra marito, padre o figlio. Esse, consapevoli
delle loro azioni, hanno paura di fronteggiare la realt, cos preferiscono
regina Issipile suggerisce loro di mostrarsi, una volta che gli Argonauti sono
sbarcati sulle coste della loro isola.
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loro immobile staticit, richiamandole ad agire, a prendere in mano nuovamente le
loro vite; soltanto in questo modo, infatti, avrebbero potuto riconoscere la vera
felicit.
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areranno al posto vostro la terra lasciata a maggese cos che a fine stagione
mieteranno per voi le dolci spighe color ? ( )
Riflettete bene su ci che vi dico, soprattutto le pi giovani: proprio ora si apre
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