DesignVersoDesignVerso: una collana dedicata ai designer della comunicazione immaginata come allegato alla rivista Multiverso, Università degli Studi di Udine.
Curatori della rivista Il tocco di Noorda - Andrea SilvanoNoorda e l’editoria - Arianna LacroceBob Noorda, un viaggio attraverso la metro - collettivoCase studies - Beatrice CurtiDopo Noorda - Arianna Dipollina
Stampa GRIMM service sncdi F. Coldani e A. Rossi Via Candiani 114, Milano (MI)
Facoltà di Design, A.A. 2016/2017Laboratorio di Fondamenti del Progetto Sezione C2
Docenti Prof. Daniela Calabi Prof. Cristina Boeri Prof. Raffaella Bruno
Cultori della materia Dott.ssa Monica Fumagalli Dott.ssa Silvia Mondello
2.2 . | IL MARCHIO, IL LOGOTIPO: LE DECLINAZIONI
Designverso è una collana di monografie dedicata ai più noti designer del Novecento. Esso scaturisce dalla rivi-sta mensile Multiverso nata nel 2005 presso l’Univer-sità degli Studi di Udine. Questo numero tratta del desi-gner olandese Bob Noorda attraverso quattro sezioni. Gli articoli fanno parte di rubriche strettamente collega-te le une con le altre: la rivista è stata pensata come un percorso che vuole raccontare il designer partendo da un’introduzione di quest’ultimo nel contesto in cui ha ini-ziato i suoi primi lavori, per poi passare allo studio di al-cuni tra i suoi più noti lavori e concludere con una rubri-ca dedicata alle commemorazioni e i ricordi espressi dopo la morte di Noorda da coloro che gli furono vici-ni. Ci sembrava interessante cominciare il nostro per-corso monografico con una rubrica dedicata ai suoi pri-mi lavori; infatti Noorda fu uno tra i grandi designer che operò durante anni d’oro della grafica dando un enorme contributo alla creazione del noto stile milanese. Le due rubriche centrali trattano i lavori di Noorda nell’ambi-to dell’editoria, in particolare la sua grande collaborazio-ne con il Touring Club, e due casi studio di branding per famose istituzioni del settore terziario: Enel e Regione Lombardia. Concludiamo con un toccante ricordo del grafico da parte dei suoi colleghi e di sua moglie. Ci au-guriamo che il lettore si immedesimi nel viaggio che questa rivista si propone di essere.
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Il tocco di Noorda
06.Lo stile milaneseGli anni d’oro della grafica italiana nel capoluogo lombardo12.Un grafico, cinque puntiBob Noorda raccontato da Bob Noorda
Case studies
38.Regione LombardiaUn’ensamble di comunicato-ri diretta da Munari inventa un logo di storia e di futuro46.EnelIl progetto di un logo targa-to Noorda e Minoggio per il colosso dell’energia
Inserto
Un viaggio attraverso la metro
Alla scoperta del progetto grafico
della M1 in un inserto pieghevole che
nasconde un poster al suo interno
Noorda e l’editoria
18.Noorda su cartaNoorda e la carta stampata: fatti l’uno per l’altra26.Il grafico del viaggioIl lavoro di Noorda sull’immagine coordinata del Touring Club Italiano
Dopo Noorda
52.In memoria di NoordaUn ricordo del maestro dai suoi amici e colleghi58.Una vita di passione per il designBob Noorda per la moglie Ornella, la donna che lo ha conosciuto meglio
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di M. Piazza, 8 giugno 2007
Eccoci da Bob Noorda, limpido te-stimone di una stagione – gli anni Cinquanta e Sessanta – che ha vi-sto molti grafici e fotografi stranie-ri approdare a Milano, polo attrattivo di una cultura unica del design. Una cultura sorgiva, che si stava gene-rando, affiancando alle teorie del di-segno industriale di matrice funzio-nalista, una propensione soggettiva, tipicamente italiana, libera e immagi-nativa. Quello “stile milanese”, come lo ha definito ad esempio Hollis, che ha saputo dare un volto alla grande industria italiana. Pur non essendoci scuole, discipli-narmente orientate, Milano, con la Triennale come incubatore e cassa di risonanza della scena mondiale della ricerca, con il Compasso d’Oro de la Rinascente, le riviste da “Stile Industria” a “Pagina” era una meta, un luogo di approdo per possibili incon-tri e scoperte. È stato così per Max Huber e per tut-ta la filiera migratoria della scuola el-vetica – funzionale e costruttiva – ed è stato così anche per l’olandese Bob Noorda. Noorda: “Sono arrivato nel 1955. Dovevo scegliere se andare in
America o restare in Europa, e Milano con le esposizioni della Triennale aveva un forte richiamo. Alla fine ho scelto Milano e da allora lavoro qui. Ricordo che quando arrivai ebbi la for-tuna di incontrare un grafico di origine tedesca/cecoslovacca. Si chiamava Pavel Michael Engelmann e lavorava per la Pirelli. Abitava a Milano in via dei Transiti, a due passi da viale Monza dove aveva sede la Pirelli. Lavorava per Arrigo Castellani, il responsabile della comunicazione e aveva fatto un manifesto, Il pneumatico che morde la strada, usando dei veri copertoni per lasciare le impronte tipiche del battistrada. Così, tramite Engelmann, che quando partì mi lasciò la casa, il contatto con la Pirelli.Avevo studiato ad Amsterdam: prima all’Accademia d’arte e poi all’IvKNO, una scuola che trasmetteva e conti-nuava la lezione del Bauhaus e di De Stijl. A Milano, sono stato fortunato. Ho iniziato subito una proficua colla-borazione con la Pirelli. Nel 1961 ne sono diventato anche art director.
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“Pur non essendoci scuole disci-plinarmente orientate, Milano era una meta, un luogo di ap-prodo per possibili incontri e scoperte.”
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Castellani era un tipo molto energi-co, chiedeva una vicinanza assoluta. Dovevi essere facilmente reperibi-le e disponibile per risolvere i proble-mi: fare un manifesto, un opusco-lo. Allora la Pirelli faceva molte cose non solo per il mondo automobilisti-co, produceva anche per la casa, per l’arredamento. E l’obiettivo non era una pubblicità come si intende oggi, anzi c’era una sorta di contesa ‘cultu-rale’ con l’Olivetti. Pintori faceva una
grafica di qualità, con annunci molto originali e allo stesso tempo molto identificativi, una sorta di stile azien-dale. La Pirelli di Castellani aveva una visione più corale, un approccio un po’ come quello dello studio Boggieri. Si offriva la possibilità a molti grafi-ci di dare la propria interpretazione e i nomi di allora sono diventati tutti noti: da Tovaglia a Vignelli, da Grignani a Fletcher. Credo che Castellani cercasse una
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grafica moderna, con molta libertà di ricerca espressiva ma anche con-temporaneità da spendere nella co-municazione Pirelli”. In effetti in un numero di “L’Ufficio moderno. La pub-blicità”, Arrigo Castellani in un servi-zio Il grafico del mese: Bob Noorda scrive a proposito dell’esistenza di uno stile, un linguaggio Noorda “at-traverso il quale s’esprimono certe persuasioni occulte, certi fatti della vita collettiva come il libro o il metrò.
Si tratta di un linguaggio che ha su-perato l’epoca del pittore-pubblici-tario e che corrisponde a quella del graphic design (‘servire la tecnica’) e stimolato dalla famosa ‘filosofia del-la comunicazione’”.
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pittoricistico, è una tradizione nuova che sorprendentemente è capace di misurarsi anche con la nascente cul-tura dei consumi di massa. Noorda ha fatto annunci anche per i Pavesini e per i biscotti Plasmon. Usa la fotografia, il documento vi-sivo, ma l’impianto costruttivo è astratto. E un ordine nascosto e ra-ziocinante che sovraintende e spie-ga la chiarezza grafica di Noorda, la sua necessità di lavorare per siste-mi e per funzioni.
L’esperienza di Noorda muove pro-prio in questa direzione, l’approccio razionale della formazione olande-se, si esprime in una grafica molto controllata, costruita su temi visi-vi se vogliamo semplici, ma chiari e capaci di tenere il campo, lo spazio dell’artefatto. È una grafica sintetica, basata sul ragionamento, sulla necessità di un equilibrio da raggiungere. Ricerca un ordine formale che non è mai banale, risolto con un ap-proccio iconico prevalentemente astratto (forme geometriche e for-me tipografiche) ma anche facile da decodificare. L’orizzonte visivo di Noorda è davve-ro lontano dall’approccio figurale e
“L’approccio razionale della formazione olandese si esprime in una grafica molto controllata, costruita su temi visivi semplici.”
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di F. Dondina e B. Noorda, 2009
Nell’affrontare il disegno di un mar-chio, ho sempre cercato, tra le altre cose, di garantirne la memorabilità. Questo nel rispetto di un pensiero di Bruno Munari, che mi è sempre sta-to utile: Munari sosteneva che un marchio svolge pienamente la sua funzione quando viene facilmente ricordato e rimane impresso nella memoria; al punto che, se viene fat-to vedere ad un bambino, anche per breve tempo, questi riesce a ridise-gnarlo, almeno nelle caratteristiche principali che lo contraddistinguono. Un buon marchio certo non decreta il successo di un’azienda, ma può in-fluenzarlo e sostenerlo significati-vamente, proprio perché capace di “raccontare” quell’azienda, presen-tandola e differenziandola rispetto all’offerta complessiva. Il metodo di lavoro per il design di un marchio par-te da un briefing sviluppato insieme al committente e, come è ovvio, il pri-mo approccio al progetto si focalizza sull’analisi del “problema”. Nel design di un marchio e di un sistema di cor-porate identity, ho sempre seguito un metodo molto semplice che es-senzialmente si basa su cinque pun-ti. Quando queste cinque regole sono rispettate e garantite, possiamo dire di essere di fronte a un progetto di corporate che funziona, che ha una propria personalità; e che quindi si è riusciti a cucire l’abito giusto per quell’azienda.
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Un altro importante ambito di lavo-ro di Noorda è stato la grafica edito-riale. Dai primi anni sessanta egli si è dedicato in maniera costante a pro-getti per l'immagine di editori, al di-segno di collane, all'art direction di riviste. Il tratto comune di questa immensa mole di realizzazioni è il prevalere di un metodo che potrem-mo definire anti-iconico. È evidente che Noorda predilige il libro come og-getto tipografico. La sua attenzione è sul manufatto, sulla composizio-ne e sul colore. Certo non esclude l'immagine, ma è un piano di secon-do livello della progettazione. La for-ma del libro la si ottiene con le lette-re, con la loro composizione, con la disposizione nella pagina, con il pro-getto cromatico e la scelta dei ma-teriali e dell'allestimento. È un te-nace assunto e sembra esprimere il significato che ha per Noorda il li-bro: una "merce" nobile, una sorta
“Il libro: una "merce" nobile, una sorta
di assoluto del progetto.”
di assoluto del progetto. Il libro non deve essere contaminato e impre-ziosito. Deve invece rispondere a un altro principio: essere parte di un si-stema molteplice. Il progetto edito-riale non è mai un unicum, è un pro-gramma, la pianificazione di una serie con regole e corollari. Nelle testate delle riviste disegnate da Noorda è sempre presente un minimalismo della "mossa" progettuale. Come se il lavoro fosse una partita a scac-chi, dove la riflessione per le scelte è sempre più audace e determinan-te dell'azione. Più pensiero, meno forma. È così per “Questo e altro”, per “aut aut”, per “Ottagono” (1966), per “l’Arca”, per “Aqua”. Anche nei li-bri troviamo lo stesso approccio. La Vallecchi dei primi anni sessanta è quasi tutta risolta tipograficamente, tranne la narrativa. La Feltrinelli, re-alizzata dopo il 1965 con Massimo Vignelli, ripropone la stessa linea. Le collane “SC/10” e “I narratori” sono rimaste un modello. La saggistica tra scienza e umanesimo è disegna-ta con copertine a goffratura tela-ta e con larghe bande diagonali di-sposte a 45 gradi a colori squillanti, come certi quadri di Kenneth Noland, dentro le quali corrono le titolazioni in Garamond. Il concetto di visibilità segnaletica entra in libreria.
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di F. Dondina e B. Noorda, 2009
Passiamo ai tuoi grandi progetti per l’editoria, come il marchio per la Mondadori. Per quel marchio, ho ottenuto l’inca-rico grazie a un concorso che ho vin-to nel 1969. Era un concorso a invi-ti: eravamo quattro o cinque grafici, i soliti nomi mi sembra che ci fosse-ro Giulio Gonfalonieri e Ilio Negri... Ma sai, una volta vinto non mi sono inte-ressato molto di chi fossero i miei concorrenti. L’ho spuntata io, con quel marchio. L’applicazione però non è stata curata da me, in quella prima fase, perché Mondadori ave-va una grossa organizzazione e uno staff grafico interno che si occu-pava di tutto questo. Quando poi, dopo qualche anno, Franco Tatò di-venne amministratore delegato, mi chiamò per vedere se fosse possibi-le cambiare nuovamente il marchio, ma a quel punto era talmente cono-sciuto che non mi sembrò il caso di
rimetterci mano per modificarlo, e lo convinsi a mantenerlo così com’era. L’unica cosa su cui sono intervenu-to è il re-design del logotipo, perché il mio marchio veniva sempre ac-compagnato dalla dicitura “Arnoldo Mondadori Editore”, che non funzio-nava bene. Così decidemmo di scri-vere solo “MONDADORI” con un al-fabeto ricavato dal carattere che avevo disegnato per il marchio della famosa “A”, con la “M” inscritta al suo interno. A quel punto mi hanno chie-sto di sviluppare il manuale di appli-cazione di Mondadori, e devo dire che sono stati straordinariamente precisi e scrupolosi nel seguirlo alla lettera. II progetto di applicazione è stato successivamente esteso anche ad altre società del gruppo, come i Multicenter ed Electa. Il carattere che hai utilizzato per questo marchio è un Bodoni? Più o meno, è un altro Noorda. Non posso dire che funzioni sempre, ma qualche volta funziona, come in que-sto caso. È molto tipico. È un mar-chio “tipicamente Mondadori”, come accadde per Agip.
“La fusione delle due iniziali porta con sé la memoria del sigillo tipografico dell'editore e l'efficacia del suggello di marchiatura del prodotto editoriale moderno.”M. Piazza
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Un altro progetto articolato, in campo editoriale, è quello che hai realizzato per la Vallecchi di Firenze. Il progetto per Vallecchi è più vec-chio rispetto a quello per Mondadori; si parla dei primi anni Sessanta. Iniziai la mia collaborazione con Vallecchi disegnando le copertine dei libri, mentre Mondadori non me ne affidò neanche una. Per Mondadori avevo soltanto definito il posizionamento dei marchio in copertina, che doveva essere a otto millimetri al piede, dal margine inferiore preferibilmente al centro, ma con la possibilità di muo-versi a destra o a sinistra a seconda del tipo di immagine sulla quale an-dava a cadere.
Capita, nei tuoi racconti, che non ricordi qualche data o qualche nome, ma noto che ricordi sempre perfettamente a quanti millime-tri, quarant’anni fa, hai allineato un marchio in una pagina. Cosa vuoi? È una deformazione pro-fessionale... Il mio rapporto con Vallecchi è iniziato disegnando le co-pertine, ma poi, quando l’azienda ha deciso di promuovere un program-ma di rinnovamento generale dell’im-magine, mi ha affidato l’incarico di realizzare il marchio insieme a Ceno Pampaloni, che era il direttore edito-riale. Il marchio, in realtà, deriva pro-prio da un’idea di Pampaloni e rappre-senta una catasta di tronchi d’albero disposti secondo un antico sche-ma tradizionale toscano. Il logotipo è stato realizzato in Bodoni classi-co. Successivamente, ho ridefinito l’impostazione grafica delle diverse collane e delle copertine, per arriva-re, anche qui, a una definizione preci-sa di un sistema coordinato. É stata una collaborazione duratura.
“Capita, nei tuoi racconti, che non
ricordi qualche data o qualche nome,
ma noto che ricordi sempre perfettamente
a quanti millimetri, quarant’anni fa, hai
allineato un marchio in una pagina.”
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Un’altra grande casa editrice con cui hai lavorato è Feltrinelli. Per Feltrinelli ho iniziato a disegnare copertine negli anni Sessanta, diret-tamente con Giangiacomo Feltrinelli. Con Massimo Vignelli, abbiamo pro-gettato anche l’immagine coordi-nata di alcune collane, la cui più for-te caratterizzazione è quella SC/10, della Serie cultura, che propose an-che una nuova concezione editoria-le, I’high quality paperback. ll nome dell’autore, il titolo e l’editore erano su campo bianco, inseriti all’inter-no di una “F” composta da tre ban-de diagonali che, inclinata a quaran-tacinque gradi, correva dalla prima alla quarta di copertina. Si trattava di un caratterizzazione visiva in cui la componente cromatica, fortemente calibrata, non era secondaria. Segni forti, che dovevano assicurare l’im-mediata identificazione della casa editrice sugli scaffali delle librerie. Più tardi, negli anni Ottanta, sono stato incaricato di ridefinire com-pletamente la corporate identity.
Innanzitutto abbiamo scelto come carattere istituzionale per il nuo-vo logotipo, cioè la scritta del nome per esteso, il carattere Century, che è stato utilizzato anche per tutti i ti-toli delle copertine. L’intero proget-to è stato molto bene organizzato e ancora adesso viene applicato con scrupolo. Il marchio, invece, è sta-to costruito sul quadrato, tagliato in diagonale e ruotato di quarantacin-que gradi, partendo proprio dalla col-lana degli economici di cui ti parlavo. Si andava ad appoggiare sul margi-ne esterno della pagina, al vivo, alla fine di una linea. Da li è stato adot-tato come marchio istituzionale. Ho visto che è stato utilizzato anche in forma tridimensionale, per gli allesti-menti dei megastore, e mi sembra funzioni molto bene.
“Quando disegno un marchio lo faccio
avendo presente l’aspetto culturale,
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un’azienda.”Bob Noorda
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di F. E. Guida, 2011
Chi scrive è certo che, a proposito di Noorda e del lavoro che egli ha svol-to per il Touring Club Italiano, nell’im-maginario di molti sono rimaste im-presse, oltre le celebri guide rosse o quelle verdi, i distintivi e distinguibili Atlanti d’Italia (quelli con le copertine verdi e il dettaglio della mappa nella medesima tonalità) o quelli d’Euro-pa. Oggetti d’uso se non quotidia-no, sicuramente frequente per chi programmava uno o più viaggi l’anno alla scoperta delle bellezze d’Italia o d’Europa. Oggetti, reliquie di un’e-poca, oggetti-libri che, se non era-no conservati nella propria bibliote-ca con attenzione e referenza –per
l’autorevolezza di chi li aveva prodot-ti–, restavano per anni in auto, ad ac-compagnare gli spostamenti. Certo oggi fa un certo effetto pensare a quanto potessero essere diffusi e popolari tali oggetti, oggi che per il viaggio non si ricorre più alla map-pa o all’atlante cartaceo, ma all’ot-tuso per quanto aggiornato e geo-referenziato navigatore elettronico. Nessuna nostalgia, ma certo è che Noorda ha svolto un ruolo determi-nante, assumendosene anche la re-sponsabilità, nel dare non solo nuo-vo vigore all’immagine di uno storico sodalizio, ma soprattutto a farlo en-trare nell’immaginario di più genera-zioni di persone, di italiani, che pro-prio a cavallo degli anni Ottanta viaggiavano, vivendo il turismo non semplicemente come ferie o vacan-za, ma come momento di scoperta, riflessione, approfondimento se non aggiornamento culturale. Quando Noorda inizia la sua collaborazione con il Touring –che durerà continuati-vamente per più di tre lustri–, nel so-dalizio, definito come la più grande libera associazione italiana del tem-po, vi si respira un clima di fiducia e aspettativa. Nel ’78 gli organi diretti-vi avevano impostato una operazio-ne di rinnovamento che si concretiz-zerà negli anni a seguire e porterà a ridefinirne tutta l’immagine, a carat-terizzarne tutte le principali uscite editoriali degli anni ’80 fino alla pri-ma metà degli anni ’90, ed è Noorda a donarvi una nuova e aggiornata au-torevolezza comunicativa, fatta di raffinata e controllata eleganza, di chiarezza ragionata a beneficio de-gli utenti finali.
“...ed è Noorda a donarvi una
nuova e aggiornata autorevolezza
comunicativa, fatta di raffinata e controllata
eleganza, di chiarezza ragionata a beneficio degli utenti
finali.”
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Noorda per tutta la durata del rap-porto con il TCI fornisce indicazioni e determina le scelte grafiche, spes-so firmando le prime uscite del-le collane, o i primi numeri delle rivi-ste come “Qui Touring”, “Alisei” o “Le vie del Mondo”, per poi lasciare che sia l’ufficio tecnico del sodalizio a portare avanti, spesso adattando-lo alle esigenze, il progetto grafico originale. Per quanto è dato sapere non esiste un manuale di istruzioni per l’applicazione di regole grafiche specifiche alla produzione editoria-le, ma è possibile individuare alcu-ni elementi di continuità negli accor-gimenti –primi fra tutti la tipografia, l’organizzazione delle informazioni accompagnate da pittogrammi e i
colori– che rimandano a un sistema ragionato in grado di definire l’iden-tità dell’editore e di facilitare la con-sultazione degli strumenti da parte del viaggiatore-turista. Il tradizionale fermento editoria-le del TCI quindi riprende vivacità in coincidenza con l’inizio della col-laborazione di Noorda e da subi-to questi viene coinvolto nel ridefi-nire gli impaginati di alcuni titoli già in programma dagli anni preceden-ti e le copertine delle nuove collane come quella dedicata ai manuali pra-tici di turismo le cui prime due usci-te sono del 1979 (“Manuale pratico per viaggiare” e “Manuale pratico di campeggio”). Si tratta di pubblicazio-ni turistiche snelle e di agile lettura, A
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caratterizzate da copertine essen-ziali che sembrano voler recupera-re quello spirito partecipativo del TCI proprio delle origini nell’utilizzo di fotografie amatoriali per quanto espressive ed esplicative dei con-tenuti, nel solco di quella tradizione che chiede ai soci di documentare fotograficamente i viaggi e di met-tere a disposizione dell’Associazio-ne tali documenti. Immagini che non hanno nulla di autoriale, ma sempli-cemente documentano i molteplici aspetti del turismo. Su queste im-magini Noorda compone le informa-zioni in carattere Times introducen-do da subito la divisione mediante i letti e articolando i vari blocchi di te-sto in modo razionale e leggibile. Una partizione del campo grafico delle copertine che d’ora in avanti diver-rà la caratteristica di molte delle gui-de (come le verdi), dei repertori (a cominciare da quella per “Campeggi e villaggi turitici in Italia 1979” e per tutte le edizioni successive fino al 1994), delle carte e degli atlanti (a partire dal 1980). L’altro evidente contributo di Noorda è l’utilizzo dei noti pittogrammi, come per la co-pertina del menzionato repertorio del 1979, ma anche per i successivi “Campeggi in Europa” e, soprattutto,
“Aveva una visione globale dell’azienda; sentiva la necessità di scoprirne identità e unicità per trasferirla a tutti gli elementi, che compongono il racconto dell’aziendastessa.“A. Guerretti
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per l’“Annuario generale dei comu-ni” del 1980. Pittogrammi che in re-altà aveva ridisegnato non tanto per ragioni decorative o di mera evoca-zione di soggetti turistici, ma per ag-giornare e unificare le legende dei vari repertori e, soprattutto, com-porre tipograficamente la miriade di informazioni contenuta in ciascuna pubblicazione. L’attenzione è rivolta in questo caso a una scala microti-pografica, a quella dell’accesso alle informazioni, in cui l’obiettivo della leggibilità è prioritario non solo per il progettista ma per il committen-te stesso. Più in generale emerge una cura ti-pografica che determina l’immagine delle varie pubblicazioni: per le co-pertine è sintomatico l’utilizzo del graziato istituzionale dalla spaziatu-ra ristretta per i titoli, eccezion fatta per l’Helvetica utilizzato per la nuo-va carta dell’Europa editata a scala continentale e in collaborazione con l’Alliance Internationale de Tourisme (AIT) nel 1980. La copertina quindi ha una doppia valenza, da un lato informativa ed evocativa sui contenuti del volume, dall’altro di affermazione di una re-putazione, quella del TCI, da adegua-re ai tempi nel rispetto della propria
missione statutaria e degli obietti-vi strategici. Strategia che da subito dà i suoi risultati tanto che nel 1980 il fatturato dall’editoria è quasi dop-pio rispetto all’anno precedente rag-giungendo le 950.000 copie vendu-te nel complesso. Una cura evidente anche negli impa-ginati revisionati o progettati ex-no-vo come nel caso delle celebri gui-de rosse (Guida d’Italia) per le quali Noorda riorganizza la pagina e le in-formazioni, facendo guadagnare ai testi leggibilità e chiarezza conser-vandone i tratti distintivi e il formato. Si tratta di guide per un turista dai tempi cadenzati, contemplativi e pertanto la leggibilità è indispensa-bile a una lettura conoscitiva dei luo-ghi. Noorda nel dare maggiore ario-sità alla composizione tipografica, aggiunge alcuni semplici elementi peritestuali come le testatine nella parte superiore della pagina (inizial-mente nel colore del resto del testo, in nero, poi in verde) per rendere più fruibile il contenuto e di migliorato utilizzo lo strumento nel suo insie-me. È un intervento umile, quasi arti-gianale, neanche troppo evidente se non lo si utilizza. Le copertine resta-no le stesse, in tela rossa con tito-lazioni composte a epigrafe e stam-pagliate in oro. Noorda interviene a partire dalla metà degli anni Ottanta anche sull’altra storica serie di guide del TCI, genericamente note come le guide verdi, introducendo alcuni ac-corgimenti che verranno poi ripresi e mantenuti per i successivi 15 anni.
“Nel 1980 il fatturato dall’editoria è quasi
doppio rispetto all’anno precedente raggiungendo le
950.000 copie vendute nel complesso.”
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“Un denso essere scarni convinto che semplicità significasse sottrarre l’ovvio e aggiungere il significato. Ed è in questa “scarsità” che Noorda adhuc loquitur.”D. Piscitelli
In questo periodo –oltre ad aver in-trodotto o fatto introdurre su tutta la collana la sequenza progressiva di linee parallele che la caratterizzerà per tutti gli anni Novanta– suggeri-sce una distinzione cromatica tra le varie sotto-collane in parte mes-sa poi in essere con le “Guide del Mondo” e il prototipo delle “Guide re-gionali d’Europa” (nello specifico il volume “Corsica” uscito nel 1995). La proposta è di caratterizzare cro-maticamente la serie di linee paral-lele –introdotte proprio con i volumi delle “Guide del Mondo” nel 1987– mantenendo invariato il distintivo colore verde di sfondo. Suggerisce infatti un marrone per le “Guide d’Eu-ropa”, un viola per le “Guide regiona-li d’Europa” (applicato nel menziona-to prototipo), un blu per le “Guide del Mondo” e un verde più brillante per le “Guide d’Italia”. Tale proposta non verrà mai accolta in pieno, per quan-to negli anni successivi molte gui-de utilizzeranno la medesima logica di distinzione, come ad esempio le “Guide del sole”. Ma la ricchezza della produzione è tale che si potrebbero aprire altri capitoli: basti menzionare i progetti per la collana “Nauticus” e le “Guide escursionistiche per valli e rifugi”, poi più avanti quelli per le “Guide ai pae-si lontani” e le “Guide di viaggio”. Ma anche, in tempi più recenti, a testi-moniare la ripresa di un rapporto in-terrottosi a metà anni Novanta e sintomo di una stima reciproca mai venuta meno, il progetto grafico per la collana “Reportage” (2004). Una produzione dalla quale emerge quel-la capacità –se non necessità– di controllo della serie, con “regole e corollari” precisi.
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Tecnologia CinePrint
“CinePrint” è un concept sviluppato da Lexus nel 2012 per dare nuova vita alla carta. Sovrapponendo il fo-glio allo schermo di un iPad o iPad Mini il cartaceo e l’audiovisivo si in-tegrano in una simbiosi che genera un nuovo medium. Originariamente concepito come forma di pubblicità sperimentale, per questo progetto è stato usato a scopo divulgativo.
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di A.Rauch e G.Sinni, 2009
“Finito il lavoro della commissione degli esperti, il 27 febbraio 1974, il Presidente della Giunta regiona-le, dott. Piero Bassetti, e l’Assesso-re alla Cultura, prof. Sandro Fontana invitano i tre grafici, segnalati dal-la commissione, prof. Bob Noorda, prof. Roberto Sambonet, prof. Pino Tovaglia a elaborare lo stemma regionale.A questi si sono aggiunti il prof. Bruno Munari come coordinatore e il dott. Pietro Gasperini come segretario.”
Alla definizione della struttura di pro-getto per il marchio della Regione Lombardia (istituita al pari delle altre Regioni italiane a Statuto ordinario nel 1970) si era giunti dopo un lungo lavoro di preparazione e di definizione del campo operata da altri prestigio-si professionisti: Bruno Munari, che sarà confermato come coordinato-re del team di progettisti, Italo Lupi e Massimo Venecchia.Si era in sostanza esaminato qua-le tipo di lavoro progettuale avreb-be dovuto svolgersi, quale la direzio-ne dove guardare per il disegno del marchio, quali i riferimenti storici da valutare e considerare. Tra questi
elementi una ricognizione era stata effettuata in quello che si potreb-be definire ‘l’i-mmaginario collettivo’ delle popolazioni lombarde, unaprima ‘analisi di mercato’, testata tra cinquecento cittadini: “... si va - è scritto nella relazione - dall’efiige di Sant’Ambrogio ai Longobardi, ri-evocati con la corona ferrea, la cro-ce di Agilulfo o altri elementi; dal Medioevo genericamente presen-tato con castelli o mura al periodo dei Comuni simboleggiato con ripro-duzioni del Carroccio, giuramento di Pontida, battaglia di Legnano, Alberto da Giussano; dalle Signorie eviden-ziate attraverso il biscione viscon-teo, il Castello sforzesco, il Duomo di Milano, i ritratti di alcuni Visconti, la Sforzinda, cioè la città ideale pro-gettata da Filarete, sino agli stemmi delle Province e della città di Milano.”
Campo, come si vede, molto vasto che portò i progettisti a una prima scrematura sia logico-politica che tecnico-progettuale.Furono scartati i simboli troppo evidentemente riferiti alla città di Milano, che non poteva essere consi-derata se non un primus inter pares, furono evitati gli elementi di lettura così iconograficamente complessi
“Uno stato moderno ha la sua immagine culturale che si evidenzia nei suoi stampati e nell’uso della comunicazione visiva esatta.”Bruno Munari
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da non poter essere riassunti in un simbolo graficamente efficace (es.il Carroccio). Altre ipotesi furono ac-cantonate perché di esse aveva già fatto uso la società civile (il ‘biscio-ne’, ad esempio, era già nello stem-ma dell’Alfa Romeo e nello scudet-to dell’Inter Football Club. Si sarebbe in seguito aggiunta la Fininvest ma, all’epoca, delle attività di Berlusconi con il ‘biscione’ si conosceva soltan-to il simbolo di Milano Due).La scelta dei progettisti cadde alla fine su un graffito rupestre della Val Camonica, la cosidetta ‘rosa camu-na’: attraverso questi segni incisi su pietra - si legge ancora nella relazione di progetto - conosciamo le creden-ze, gli usi, i costumi e la vita di antichi
abitanti della Lombardia, che sono i testimoni e i messaggeri di tappe fondamentali della civiltà europea nelle sue fasi formative dal neolitico fino alle Età del Bronzo e del Ferro.”La restituzione grafica della rosa fu ‘normalizzata’ da un disegno che te-nesse evidenti i nessi di geometrialeonardesca. Il colore istituzionale fu bianco su verde perché la Lombardia “...è ricca di acque e di verde”.Il carattere istituzionale fu, da allora, il Futura con eventuali accostamenti in Times Roman.“Il simbolo fu sottoposto al giudizio di numerose persone. Gli intervistati ne hanno intravisto molti significati: ruota, elica, turbina, manubrio, volan-te, svincolo autostradale, colomba,
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ameba, erba di buon augurio, pianta di un castello, rosone gotico, sezione di pilastro gotico, sezione di un estru-so o di un profilato...”.
La progettazione di un simbolo è oggi un lavoro preciso e complesso che richiede un impegno di tipo pro-fessionale e la collaborazione di que-gli esperti che possono collaborare per ogni componente che si presen-ti nell’analisi del problema. Nel caso della progettazione di un simbolo per un ente pubblico, è indispensabi-le avere la collaborazione di esperti di araldica, di storici, di percettologi, di psicologi, di esperti di problemi lega-li, di sociologi, oltre ai grafici.Non si può progettare un simbolo partendo dalla pura ispirazione, sen-za tener conto dei valori preesistenti di immagini già memorizzate da gene-razioni vissute in quel territorio. Non si può progettare un simbolo senza considerare gli aspetti sociali delle immagini, senza considerare come questo simbolo da progettare può essere visto, letto e interpretato dal pubblico, senza verificare quali ele-menti si possono estrarre dalla tra-dizione locale, senza compiere delle ricerche sugli elementi visivi basilari percepibili anche nella riduzione del simbolo alla misura di cinque millime-tri, senza considerare tutte le possi-bili applicazioni che potrà avere que-sto simbolo che non saranno limitate all’uso sugli stemmi e sul gonfaIone e sugli stampati dell’ente che lo userà,
“Non si può progettare un simbolo senza considerare gli aspetti sociali delle immagini, senza considerare come questo simbolo da progettare può essere visto, letto e interpretato dal pubblico” A
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Scelta della Rosa CamunaLa scelta cadde alla fine su
un graffito rupestre della Val Camonica, la cosidetta
‘rosa camuna’, segno dell’esistenza di antichissimi
abitanti in Lombardia.
Progetto e storiaPrimo esame del tipo di lavoro
progettuale da svolgere e selezione di quali riferimenti storici valutare e considerare,Selezione fra svariati simboli della storia lombarda.
SemplificazioneLa restituzione grafica della rosa fu ‘normalizzata’ da un disegno geometrico che tenesse ben evidenti i nessi
di geometria leonardesca.
Colore e fontIl colore istituzionale fu bianco
su verde perché la Lombardia “...è ricca di acque e di verde”.
Il carattere istituzionale fu, da allora, il Futura con eventuali
accostamenti in Times Roman.
A destra: 01 Simbolo tradizionale del biscione, stemma dell’aquila asburgica e stemma lombardo medievale 02 Simboli rupestri della rosa camuna e scorcio della Valle Camonica03 Passaggi del processo di sintesi del simbolo rupestre effettuati dai progettisti04 Logo definitivo, vista aerea della Lombardia che testimonia il moltissimo verde caratteristico del territorio, Cascate dell’Acquafraggia in Val Chiavenna (SO)
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ma anche ingrandito a grandi misu-re per certe manifestazioni all’aper-to oppure rimpicciolito al minimo su un distintivo o un biglietto da visita: in bianco e nero o a colori su stampati vari, su libri, su cataloghi, su depliant turistici, nella propaganda, negli av-venimenti sportivi ecc. Costruito in carta, in legno, in metallo, in cemen-to, a due dimensioni, a tre dimensio-ni, luminoso, proiettato, sagomato eccetera. E alla fine sarà necessa-rio verificare se il simbolo che si sta progettando non sia già stato pro-gettato da altri, in altri paesi.Oggi l’informazione corre rapida nel mondo. Occorre quindi consultare tutte le pubblicazioni esistenti. tut-te le raccolte di simboli, di marchi di
fabbrica, di segnali, di stemmi, di se-gni sintetici ed eventualmente anche di scritture.A questo punto si può capire quan-to sia sbagliato fare concorsi nelle scuole o chiamare i cittadini a man-dare delle loro idee; per cui si racco-glierà una moltitudine di lavori di ogni tipo, dai disegni su cartolina postale, ai dipinti a molti colori e pieni di sog-getti e di significati illeggibili, dai pac-chi di disegni dei bambini delle scuole elementari ai disegni più complicati e impossibili da realizzare. Questi con-corsi in genere sono pura demagogia e producono una moltitudine di scon-tenti e delusi [...]
“Tutte le possibili applicazioni che potrà avere questo simbolo che non saranno limitate all’uso sugli stemmi e sul gonfaIone”
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di F. Dondina e B. Noorda, 2009
Tra gli anni novanta e il duemila hai realizzato altri marchi molto importanti, sviluppando in seguito programmi di immagine coordinata che rappresentano una continuità nel tuo percorso; uno di questi è il nuovo marchio di Enel.La genesi di quel marchio -sviluppato con Maurizio Minoggio, un mio allievo all’Istituto Europeo di Design- ha una sua storia abbastanza complessa. L’immagine su cui si basa mette in-sieme due elementi molto importan-ti: il primo è il sole -o meglio, i raggi del sole- per esprimere l’idea di energia; il secondo è l’albero, a simboleggiare il radicamento nella terra. Abbiamo
girato verso la terra due raggi di sole, per indicare il concetto di sole come energia e suggerire un’impressione di solidità, e da qui è scaturita la figura dell’albero. Il sole come emblema di energia, luce, calore, forza, e l’albero come simbolo di ambiente, ecologia, natura, vitaltà. I raggi/rami sono nove, perchè il Gruppo Enel aveva nove divi-sioni: Produzione, Distribuzione, e via dicendo. Il colore scelto per questo marchio è un arancione caldo, come è ovvio, non si poteva fare altrimenti. Ho trasformato il logotipo ENEL, che sta per “Ente Nazionale per l’Energia Elettrica”, in “Enel”, in maiuscolo/mi-nuscolo e in corsivo, come una pa-rola sola. Volevo che diventasse un acronimo spersonalizzato.
“Il colore scelto per questo marchio è un arancione caldo, come è ovvio, non si poteva fare altrimenti.”
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di R.Fontanella, M. Di Somma, M. Cesar e F.Ruta, 2016
L’Enel, acronimo di “Ente Nazionale per l’Energia Elettrica”, nacque nel 1963 come ente pubblico frutto del-la nazionalizzazione di un migliaio di aziende operanti nel settore dell’en-ergia elettrica e con il compito di assicurare una disponibilità di ener-gia elettrica adeguata alle esigenze dello sviluppo economico del Paese. Il primo marchio presentava l’acroni-mo composto in maiuscolo con let-tere graziate ed imponenti, inserite in una cornice arrotondata. All’inizio degli anni Ottanta fu sostituito dal marchio con la saetta. Nel 1991 l’Enel, analogamente ad altri enti di proprietà dello Stato, fu trasformata in società per azioni
interamente posseduta dal Minis-tero del Tesoro, come primo passo verso la privatizzazione. La denom-inazione fu modificata in “Enel SpA” e furono costituite società separate per lo svolgimento delle attività in settori affini assumendo funzioni di indirizzo e coordinamento. Il marchio era composto in Futura maiuscolo, imponente ma statico ed imperson-ale. Nel 1997, quando ci fu la piena privatizzazione, si pensò a cambiare il marchio, segno del rinnovamento e delle nuove prospettive di sviluppo. Fu indetto un concorso ristretto e la scelta definitiva cadde sulla propos-ta di Maurizio Minoggio, progettista del marchio di Unimark, ed avvenne sulla base della straordinaria corris-
“Straordinaria corrispondenza tra il segno e la pluralità di valenze richieste sul piano simbolico ed evocativo”
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pondenza tra il segno e la pluralità di valenze richieste sul piano simboli-co ed evocativo. Infatti si è preferito un marchio di tipo pittogrammatico che si avvalesse di una simbologia primaria e familiare: il sole, l’albero, la raggiera e l’albero con le radici. La sintesi di questi simboli ha generato un marchio originale, dalle linee mor-bide; qualcuno ravvisa una lampadi-na al centro dell’albero, prodotta da un’illusione ottica. I colori, l’arancio ed il blu, completano l’idea che l’Enel intende dare: energia e vitalità nuove. Per il logotipo si è scelto il Frutiger capitalizzato, leggermente modifi-cato otticamente per ottenere una migliore percezione complessiva. Per adattare l’immagine di Enel ai cambia-menti in corso all’interno del gruppo e alla rapida evoluzione del settore energetico, nel 2016 cambia la sua corporate identity. L’imponente lav-oro di rebranding è stato affidato al direttore della comunicazione Ryan O’Keeffe che si è assicurato l’aiuto dell’agenzia Wolff Olins; il progetto del nuovo logotipo riflette l’esigenza di ampliare l’offerta di energia con la filosofia “Open Power” incarnando la natura innovativa, sostenibile, multi-dimensionale e “digital” dell’azienda. In particolare la sua forma è creata dai cursori luminosi che informano il “look and feel” della corporate iden-tity per creare l’emozione della luce. Rappresentano anche il punto di avvio di una scia colorata di energia che, con il suo movimento, disegna le forme delle lettere.
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di G. Colin, 12 gennaio 2010
«Non ho una teoria da divulgare, posso solo parlare del mio lavoro»: Bob Noorda, classe 1927, olandese di Amsterdam ma ormai milanesissi-mo, uno dei grandi maestri della co-municazione visiva, rispondeva così, con pudore e garbo a Francesco Dondina in un libro intervista pubbli-cato solo qualche mese fa. Noorda se n’è andato ieri, improvvisamente, lasciando nel mondo della grafica, del design, ma soprattutto in quello della cultura un vuoto che si sentirà davvero: è mancato un raffinato e ri-goroso progettista, un protagonista della creatività internazionale, ma soprattutto un uomo dotato di stra-ordinaria sensibilità.
Noorda era molto amato: per il suo fare allegro, per l’ironia, per l’eleganza (era molto invidiato per il suo fascino nordico), per la sua capacità di rap-portarsi con il mondo. Un’abitudine di intendere la vita che univa rigore e divertimento, diventati subito carat-tere riconoscibile della sua proget-tazione, essenziale ma sempre ric-ca di fantasia. Se ne accorsero negli anni 50 per primi alla Pirelli. Vedendo quel giovane, benché fosse un po’ ingenuo (si era portato le matite e la carta temendo di non trovarle nell’I-talia del post dopoguerra) alla Pirelli rimasero incantati dalla qualità del suo lavoro. Partirà da quella straordi-naria esperienza il rapporto strettis-simo di Noorda con la cultura (anche
imprenditoriale) italiana. Già, Bob Noorda è dentro la storia italiana, pa-radossalmente, in modo tanto stret-to quanto invisibile.
Qualche esempio? È lui ad aver inventato il siste-ma di immagine coordinata della Metropolitana di Milano, un siste-ma talmente perfetto da essere poi declinato per New York e San Paolo. È lui ad aver disegnato l’immagi-ne coordinata della Feltrinelli. È suo il marchio Mondadori, dell’Enel, del-la Regione Lombardia, del Touring Club, per citare solo qualche proget-to. E ancora suo l’intero sistema vi-sivo della Coop e quello dell’Agip ar-ticolando la codifica dei caratteri e dei colori. Tra gli altri, anche un pro-getto dei primi anni 80 sul «Corriere della Sera», bellissimo, mai attuato: troppo avanzato per quegli anni. Un grande «progettista invisibile», dun-que, che ha contribuito a far cre-scere una cultura visiva come po-chi. Un uomo che ha disegnato la vita. «Autenticamente uno dei mi-gliori grafici che avevamo» afferma Gillo Dorfles, che gli era amico. «La scomparsa di Bob è dolorosa per tutti. L’importanza del suo lavoro è notevole, perché univa il rigore tra-dizionale dell’Olanda e dei Paesi del Nord con la fantasia e la rapidità cre-ativa che l’Italia gli aveva comunica-to». Già, Noorda incarnava proprio la tradizione e la severità della scuola razionalista con la libertà espressiva del suo carattere.
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Lo ricorda anche Italo Lupi: «La sua grande importanza è stata quella di trasformare il concetto stesso di immagine coordinata in qualcosa che aveva una logica. L’olandesità era un suo punto di forza: non porta-va in Italia solo la grande tradizione della scuola della Bauhaus, ma so-steneva anche gli umori di una ter-ra più sanguigna. Le pianure dell’O-landa si avvertono nella sua grafica. Per questo ha arricchito la scuola
milanese». Noorda da uomo silen-zioso, sotto il sorriso dei suoi baffi chiari, forse non era davvero consa-pevole di tutto questo. Anche il giorno del conferimento del-la laurea honoris causa in Disegno in-dustriale al Politecnico di Milano, nel 2005, fece un discorso brevissimo, illuminante come il suo segno. Lo ri-corda Anna Steiner, figlia di Albe: «Sì, è stato un intervento toccante: sul senso del togliere, sul cercare
“Non portava solo tradizione del Bauhaus, anche gli umori di una terra sanguigna.”
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l’essenziale, in fondo, sul senso eti-co di fare grafica».
Di sicuro, Bob Noorda era ben consa-pevole di quanto fosse importante trasmettere la memoria e l’esperien-za. Eccolo protagonista all’Umanita-ria, all’Istituto Europeo di Design, ec-colo insegnare al Politecnico, alla facoltà di Architettura di Venezia. Molti studenti ancora ricordano la sua forma maniacale per il disegno del carattere. Come quella volta che con l’amico Massimo Vignelli, con cui divideva il celebre studio Unimark, sul treno Milano-Venezia decide di fare una gara su chi meglio riesce a scrivere in Helvetica, corpo 8, nono-stante i sobbalzi della carrozza.
«Per lui, il carattere era l’architet-tura della grafica», sottolinea Aldo Colonetti, direttore di «Ottagono» (tra l’altro, una delle tante riviste progettate da Noorda). «Aveva una visione laica della grafica. Era amato
perché non era un fondamentalista del segno, piuttosto un ascoltatore e un intellettuale che sapeva inter-pretare il giusto rapporto tra forma e funzione».
In questo, Noorda sembra incarna-re, paradossalmente, meglio di altri, un rigore lombardo. Eppure, Milano, non gli è stata del tutto riconoscen-te: di recente l’Atm ha cambiato i “suoi” caratteri (pensati con Franco
“...un ascoltatore e un intellettuale che sapeva interpretare il giusto rapporto tra forma e funzione.”Aldo Colonetti
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Albini) della Metropolitana. Poi, gra-zie anche alla protesta di molti cit-tadini (e poi con un intervento del sindaco Letizia Moratti) è riuscito a supervisionare il restyling: ha dife-so fino all’ultimo il suo progetto ma mai la città ha organizzato una mo-stra su di lui. Ora, il Comune vuole rendergli omag-gio con la proposta di ospitare le sue spoglie al Famedio. «Eravamo an-dati a trovarlo poco tempo fa con Dorfles», ricorda Colonetti. Voleva fare un libro sui suoi lavori. Ma era come assente: tre anni fa una ma-lattia fulminante gli aveva portato via un figlio. Forse lì, Bob, ha iniziato a morire».
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di G. Zuccari, 2013
L’appartamento di Ornella Noorda a Milano. La prima cosa che cattura il mio sguardo è un dipinto di Fontana. Ogni centimetro quadrato trasuda arte. Ornella mi dà un caloroso ben-venuto al piano di sopra, un ampio e luminoso attico.Mi fa vedere le sue piante, orgoglio-samente in mostra nell’atrio dietro grandi lastre di vetro. Iniziamo subito U
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una piacevole conversazione che dura fino al tardo pomeriggio. Parlando con Ornella, dimentico la sua reputazione da designer di pro-dotto, e il fatto che sia la vedova di Bob Noorda (1927-2010), il padre della grafica italiana. Bob Noorda nacque nei Paesi Bassi ma si trasferì in Italia all’inizio della sua carriera. I suoi progetti sono an-cora visibili ovunque in Italia: il logo di Eni, il maggiore fornitore energetico
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in Italia; la segnaletica della metro-politana a Milano; il logo di una del-le maggiori catene di supermerca-ti italiani, la COOP, e molto altro. La sua presenza si percepisce anco-ra a casa di Ornella. È una donna vi-tale e carismatica che ama tutte le forme d’arte e, sopratutto, la natura. Lungo la sua vita ha lavorato su pro-getti elaborati e ama la sperimenta-zione e l’assemblaggio. Plastica e vetro restano i suoi mate-riali preferiti per la loro trasparenza e perché sono difficili da modellare.
La prima cosa che ero curiosa di sapere era in proposito al lavoro di Ornella, e così iniziò l’intervista.
Cosa significa per te essere una designer, e come descriveresti il tuo lavoro?Se dovessi dire cosa faccio, rispon-derei: tutto. Mi piace dedicarmi a ogni tipo di lavoro in cui posso esprime-re la mia immaginazione e creativi-tà. Sono una designer a tutto ton-do e ogni volta che ho l’opportunità di lavorare con un nuovo materiale o di sviluppare un progetto che non ho mai fatto, sono sempre molto en-tusiasta. Anche se significa essere ‘la moglie di Bob Noorda’ per tutta la vita, come Ella Fitzgerald.
Quali collaborazioni ti ricordi in particolare?Ricordo con grande piacere quando Nazareno Gabrielli (fondatore del fa-moso marchio italiano di prodotti in pelle e vestiti) mi chiese di trovargli un materiale alternativo alla pelle per una serie di scarpe e borse. Quindi ho disegnato la trama a lisca di pe-sce per la superficie di plastica se-rigrafata. La mia idea funzionò molto bene e la linea fu un gran successo.
Quello fu l’inizio di una collaborazio-ne che durò dieci anni. Un altro lavoro commissionato da Gabrielli fu il pro-getto e la ristrutturazione del nego-zio in Via Montenapoleone. Lo spazio sul pavimento era molto li-mitato. L’ho trattato come un palco-scenico: l’ho organizzato diagonal-mente e ho posizionato un grande specchio sul retro del corridoio per enfatizzare la lunghezza del corridoio otticamente. Ho posizionato un nu-mero di ali triangolari sui lati che fa-cevano da nicchie dove scarpe e bor-se erano in mostra, mentre Gabrielli ha suggerito di mostrare la linea ar-gentata che avevo progettato per lui su un lungo tavolo di vetro al centro del corridoio.
Parlando, Ornella continuava a cam-minare in giro prendendo foto e libri e mostrandomi i suoi lavori.
Quale dei prodotti che hai disegna-to o progetti che hai fatto conside-reresti il tuo preferito?Ce n’è più di uno; certamente, Rinascente ha marcato un periodo importante della mia vita. Ero molto giovane quando ho iniziato a lavorare su Natale Idea e ho avuto l’opportuni-tà di sperimentare con una varietà di settori e materiali: dal mobilio al pia-no degli uffici, dalla linea per bambi-ni al piano della caccia, dal legno alla plastica. Un altro progetto che non dimenticherò per la sua eterogenei-tà fu il design dello Sporting Club di Milano Due. Claudio Dini progettò le strade e gli edifici, mentre io progettai lo Sporting Club, inclusa la piscina, i per-corsi, i mobili di base - panche, lam-pade - che avevo fatto con Venini, gli spogliatoi, le uniformi degli addetti ai bagni, il fasciatoio.
“Se dovessi dire cosa faccio, risponderei:tutto.”
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Quali premi e riconoscimenti hai ap-prezzato di più?Ho ricevuto il primo premio di scul-tura a Roma quando ero appena di-ciottenne dall’allora presidente del-la Repubblica Segni e dallo scultore Marino Marini. Poi mi hanno chiamato per conse-gnarmi il premio Città di Milano ma non ho potuto riceverlo perché es-sendomi sposata con Bob avevo cambiato nazionalità. Mi è spiaciuto
molto. Quando sono andata a Tokyo, sono rimasta piacevolmente sor-presa nello scoprire che un piano dei grandi magazzini Takashimaya stava esponendo i miei pezzi. Non era esat-tamente un premio, ma l’ho conside-rato un importante riconoscimento.
Come ricordi il tuo periodo da inse-gnante? Ho insegnato per molti anni all’Istitu-to Europeo di Design (IED) a Milano e
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ho deciso di smettere dopo la morte di mio figlio e poi dei lavori commis-sionati da Tokyo. Ho insegnato in vari corsi - packaging, design del prodot-to, anche pubblicazioni per l’infanzia. Ho insegnato ai miei studenti ad ab-bandonare schemi prefissati e libera-re la loro creatività per creare qualco-sa di inaspettato e sorprendente.
Qual è la tua relazione con le tec-nologie digitali, e come hai vissuto il cambiamento?Ci è voluto molto impegno per usare i programmi di grafica, ma grazie alla pazienza del mio assistente, Paolo Vitti, ora me la cavo con Photoshop. Mi piace molto perché posso mesco-lare tutte le memorie che ho in men-te e crearne di nuove con grande fa-cilità. La tecnologia mi affascina. Mi ricordo dell’epoca in cui disegna-vo a mano ogni progetto. Mio marito, d’altro canto, era irritato perché so-steneva che il computer non aiutas-se la consistenza delle idee e portas-se la gente a dimenticare l’iportanza del progetto manuale.
Hai preso parte in eventi culturali? Ce n’è uno che ricordi in particolare?
Poco dopo la mia domanda Ornella mi ha mostrato alcune foto dei suoi viaggi con Bob. Era comossa nel ri-cordare come condividessero la loro grande passione.
Ci invitavano spesso a pranzi, cene e lezioni. Ho sempre visitato i Saloni, non solo di Milano ma anche in Nord Europa: Francia, Paesi Bassi, e Germania. Mi sento nostalgica ripen-sando ai Saloni nella vecchia Fiera di Lotto a Milano e mi fa effetto vede-re tutto vuoto adesso. Ricordo con grande gioia il viaggio organizzato dal
governo olandese nel 2006 in onore di mio marito, per evidenziare le radici della cultura grafica olandese. Siamo partiti per Amsterdam e abbiamo vi-sitato anche The Hague e Rotterdam. È stata una meravigliosa dimostra-zione d’affetto e riconoscimento da parte dei Paesi Bassi per Bob, che ha lasciato il suo segno sulla storia della grafica su scala internazionale.
Come hai incontrato tuo marito?Ho incontrato Bob per la prima vol-ta al compleanno di Arnold Maker, a cui eravamo stati invitati entrambi. Ho immediatamente individuato un uomo che mi attraeva, seduto al ta-volo con una ragazza. Quattro gior-ni dopo il primo incontro andai a Firm Italia per rivederlo con il pretesto di mostrargli alcuni miei progetti. Dopo, ho potuto conoscerlo meglio durante un viaggio io Yugoslavia or-ganizzato da amici comuni.
Com’era Bob Noorda?Bob non era dolce né sorridente: era un introverso olandese, a differen-za mia. Eravamo diversi ma allo stes-so tempo ci completavamo. Era rigo-roso, elegante, e non cercava mai di compiacere le persone. Il suo carat-tere si è probabilmente indurito du-rante il periodo passato nella colonia olandese di Sumatra durante la se-conda guerra mondiale, dove com-batté nella giungla e poi riuscì a trova-re lavoro per un giornale locale come assistente medico. Prese il tifo e ri-mase sordo da un orecchio per l’uso di una medicina sperimentale. Quando tornò nei Paesi Bassi, si do-vette nascondere dai nazisti ed escogitò una botola con una sca-la nascosta nel soffitto della casa dove passava giornate in compagnia di suo fratello.
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importante che voleva insegnare ai suoi studenti. Mi dicevano che li faceva fatica-re e che li complimentava di rado. Era lusingato dall’insegnare al Politecnico. Ricordo il giorno che gli diedero una laurea ad honorem. Fu molto commovente. Andandocene, sentimmo intermina-bili applausi, e gli studenti si alzava-no quando gli passavamo accanto.
Com’è stata l’esperienza da inse-gnante di tuo marito? Ha insegnato comunicazione visiva per un periodo allo IED e poi per mol-ti anni al Politecnico di Milano. Bob era solito a dire, “Il proces-so delle idee non si può spiegare. Posso solo dire che è un proces-so lento, individuale e di ricerca per trovare la sintesi incondizionata. È difficile.”Questa era anche la cosa più
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Cosa voleva dire per lui “essere internazionale”?Bob lavorava per importanti firme in-ternazionali, incluse Pirelli, Biennale, il Milan, le metropolitane di New York e San Paolo, Agip, Mondadori, Feltrinelli, Barilla, Enel e Cassina & Busnelli, fin-ché lui e il suo partner, Vignelli, han-no aperto sedi all’estero di Unimark. Abbiamo viaggiato molto; accom-pagnavo Bob soprattutto in viaggi a New York e Chicago. New York non
mi piaceva molto per via dei gratta-cieli altissimi, che toglievano spazio al cielo. Preferivo Chicago che, con il suo grande lago, dava alla natura più spazio e respiro. Non mi è mai piaciu-ta la mania americana dell’altezza e delle dimensioni.
Come hai vissuto le differenze tra Italia e Olanda?La prima cosa, penso, è la bellezza dei panorami olandesi, la loro capacità di
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preservare ed enfatizzare la natura. Amo i canali, il cielo ampio che copre le case basse; è diverso dall’Italia, che non è stata in grado di dare la giusta importanza al verde civico. L’Olanda è molto organizzata in termini di segnali stradali e trasporto pubblico. L’austerità domina, anche se gli olandesi si sono sempre dimostrati allegri e amichevoli. Apprezzo molto le piste ciclabili e, quando ero ad Amsterdam, sembrava straordinario il poter noleggiare una bici in qualunque momento (Milano ha imparato a farlo solo recentemente). È come se gli olandesi avessero fatto tutto prima e meglio degli italiani.
Vi scambiavate opinioni sui proget-ti su cui stavate lavorando?Lavoravamo su cose completamen-te diverse. Mentre io sperimentavo con ogni progetto e creavo in tre di-mensioni, Bob era il maestro dell’arte grafica e della linea. Era molto consistente e severo con il suo stesso lavoro e non diceva mai nulla del mio. Abbiamo lavorato insie-me per Bellato. Io ho progettato tut-ta la loro immagine, dal furgone alla cassetta per i cataloghi, e Bob ha progettato il logo. Ma anche lavoran-do sullo stesso progetto lavoravamo individualmente. Ci davamo suggerimenti a vicenda, ma Bob rifiutava di farsi influenzare. Io ho addolcito alcuni aspetti del suo carattere e i suoi gusti, ma mai i suoi lavori.
Bob ha influenzato l’arredamento dell’appartamento? Quale oggetto in casa ti ricorda di più di lui? Appena ho visto questa casa, ho immediatamento iniziato a lavorarci perché quando ho le idee non riesco a fermarle. Ogni volta che chiedevo a Bob la sua opinione, i suoi consigli arrivavano mesi dopo quando avevo già risolto la questione. Ho proget-tato e arredato la casa in cui viveva-mo, e a Bob piaceva molto. Quando degli amici architetti ci hanno fat-to complimenti sulla casa, Bob ha risposto come se ne avesse preso parte anche lui. Mi fece ridere e mi ir-ritò allo stesso tempo. Ho un caro ri-cordo di quel grande dipinto sul muro che apparteneva alla mia famiglia, con Bob che imita la posa per farsi fotografare.
Hai trasmesso la passione del desi-gn ai tuoi figli?Entrambi i miei figli hanno studiato ar-chitettura. Helbert ha studiato archi-tettura, ma era irritato dalle frequenti domande dei professori sul suo co-gnome. La sua vera passione era la fotografia. Ha lavorato per Vogue, Armani, Dior e altri grandi nomi del mondo della moda. Mi diceva sempre: ‘Mamma, finalmente mi apprezzano e nessuno mi chiede se sono il figlio di Noorda’. È morto da sette anni. Mia fi-glia, Catharin, ha iniziato nello studio di suo padre, come suo fratello, ora è architetto e gestisce uno studio di successo con suo marito.
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“Io sperimentavo con ogni progetto
e creavo in tre dimensioni, Bob era il maestro dell’arte
grafica e della linea.”
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Verso la fine dell’intervista Ornella si è alzata improvvisamente per goder-si la luce rossa del sole su Milano. Dal suo attico, la vista toglieva il fiato e potevamo vedere il Monte Rosa. La natura ci ha concesso un momento di riposo e nostalgia.
Su cosa lavori al momento?I miei lavori più recenti sono Unica, in cui cerco di imbottigliare tutte le mie emozioni e i miei ricordi di viaggio. Basandomi su questo, ho deciso di creare tavolini o pannelli di plastica trasparente. Voglio ricreare la sug-gestione di raccoglimento dentro di essi attraverso fotografie che ho scattato in quei luoghi e un oggetto naturale tridimensionale. Queste cre-azioni possono essere posizionate su una libreria, ma anche trasforma-te in un tavolino trasparente. L’India mi ha rubato il cuore e ricordo il mio viaggio in Gujarat in uno dei pannel-li. L’umanizzazione dei pesci è un al-tro soggetto della serie di scatole. Ho raccontato una storia. L’idea di inscatolare la natura è sorta dalla di-chiarazione del maestro Abbado (un famoso direttore d’orchestra italiano ed ex-direttore della Scala), che pro-mise di non tornare alla Scala a meno che Milano non piantasse mille alberi. Ho pensato che fosse grandioso e gli ho dimostrato il mio apprezzamento, ho dedicato il primo dei miei tavolini quadrati a lui, in cui ho messo albe-ri in miniatura e posizionato un mer-lo. Ho aggiunto una dedica: “Grazie ai mille alberi, più merli torneranno a in-tonare la loro canzone melodiosa nel-la nostra città.”
Alla fine Ornella mi ha chiesto di scri-vere della sua gratitudine per il com-movente e sincero discorso di Nora Stehouwer ai funerali di Bob nel 2010. Vorrebbe anche ringraziare il suo assistente, Paolo Vitti, che l’ha aiutata nella ricerca e produzione del-la serie di scatole. Ha voluto menzio-nare che Paolo Vitti è una persona eccellente che si è sempre resa di-sponibile nonostante i suoi impegni.
Amsterdam, NLLuogo di nascita nel 1927Diplomato all’ IvKNO (Instituut voor Kunstnijverheidsonderwijs) nel 1950
Chicago, USASede UnimarkNew York City, USASede UnimarkProgetto New York City Subway
Sao Paulo, BRProgetto Metropolitana di Sao Paulo
Milano, ITSede Unimark
Residenza fino alla morte nel 2011Progetto Metropolitane Milanesi
Docente Umanitaria e Polimi Venezia, IT
Docente Scuola di disegno industrialeUrbino, IT
Docente ISIA
Cre
dits
Il tocco di NoordaLo stile milaneseArticolo di M. Piazza da Periodico dell’Aiap, Giugno 2007p.6 immagine da http://milano-odd.itp.8-9 immagine da https://newsgate.it/wp-content/uploads/2016/11/120439_broadcast06.jpgp.10 immagine da https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/736x/24/0e/d9/240ed96bf9673c0fe-0f2851e9b20ff57.jpgp.11 immagine 1
Un grafico, cinque puntiArticolo 2
p.12 immagine da Manuale immagine coordinata della Metro di NYC, https://standardsmanual.comp. 14-15 immagine da 1
Case studies
Regione LombardiaArticolo 4
p. 40 immagine da www.avvenire.itp.41 immagine 4
p.43 immagini 1, http://caicusanomilanino.itp.45 foto di Beatrice Curti, 2017EnelArticolo ⚪ e museodelmarchio.itp. 46-47 foto di www.flickr.com/photos/todotoit/p.48 immagine 1
p.49 immagini da museodelmarchio.it
InsertoUn viaggio attraverso la metro
fronte:articolo 1
p.1 https://it.wikipedia.org/wiki/Segnaletica_e_allestimento_della_metropolitana_milanese
p. 3, 5, 7 foto 1 retro:
disegni di B. Curti, A. Dipollina, A. Lacroce e A. Silvano
Noorda e l’editoriaIl grafico del viaggiop. 19 articolo 1 p. 21 articolo 2
p. 18 immagine da www.archilovers.comp. 20, 21, 22, 23, 24, 25 immagini 1
p. 21 di Mario Piazza nell’ articolo “Bob Noorda: la misura dei segni” del 2014p. 24 citazione 1
Noorda su carta Articolo di C. Ferrara, F. E. Guida 3
p. 26, 28 foto di Beatrice Curtip. 29, 30, 33 immagini 3
Dopo Noorda
In memoria di NoordaArticolo di G. Colin per Corriere della Sera, 12 Gennaio 2010 p.52-53, 54, 56 e 57: foto 1
p.55 foto di Stefano J. AttardiUna vita di passione per il designArticolo di G. Zuccari per Connecting the Dots Magazi-ne, 2013 tradotto da A. Dipollinap.58-59, 62, 67: foto 1
p.61, 64-65: foto di Daniele Tamagni
1 da Bob Noorda DesignCuratori: MarioPiazza, Giovanni Anceschi e Giovanni Baule Editore 24 Ore Cultura Milano, 2015
2 daUna vita nel segno della graficaBob Noorda e Francesco DondinaEditrice San Raffaele, 2009
3 daOn the road. Bob Noorda il grafico del viaggio C. Ferrara, F. E. Guida Editore AIAP, 2011
4 da Disegnare le città, G. Sinni e A. Rauch LCD Edizioni, Firenze, 2009