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Diritto Tributario

Date post: 08-Jul-2015
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  DIRITTO TRIBUTARIO IL DIRITTO TRIBUTARIO. Certamente il diritto Tributario condivide una serie di caratteristiche con altre materie giuridiche: si studiano un’insieme di regole; in prima approssimazione regole tributarie, ossia regole che disciplinano il finanziamento della spesa pubblica, cioè la raccolta dei fondi che servono per la spesa pubblica. Gli enti pubblici per svolgere la loro funzione hanno bisogno di denaro: ci sono tutta una serie di fondi dai quali recuperare questo denaro; il diritto Tributario disciplina questa attività di raccolta dei fondi. Il diritto Tributario è una realtà relativa, sia nel tempo che nello spazio, nel senso che ci sono stati nel passato degli Ordinamenti che non hanno avuto un diritto Tributario e ci sono ancora adesso alcuni Ordinamenti che non hanno un diritto Tributario; cioè ci sono Stati che non hanno bisogno di imporre tributi per finanziare l’attività pubblica. In passato c’erano Ordinamenti medievali che vendevano titoli nobiliari (ad esempio una persona se voleva diventare Conte pagava una certa cifra al re, e questa serviva a finanziare al spesa pubblica, che all’epoca era costituita dalla guerra). Ci sono ancora oggi Paesi senza un diritto Tributario, come ad esempio gli Emirati Arabi, che “vivono di petrolio”: il sultano ha i suoi “pozzi di petrolio”, anche il  potere pubblico possiede i suoi “pozzi di petrolio” e ricava quello che serve semplicemente dal ricavato della vendita di petrolio. Non c’è stato sempre un diritto Tributario anche perché quando hanno incominciato ad esistere i tributi non era detto che questi fossero imposti secondo diritto (ad esempio durante il Medioevo il sovrano aveva bisogno di finanziare la sua spesa, ma procedeva in modo molto semplice, senza ricorrere a leggi o atti amministrativi, bensì a prese di guerra, espropriazioni, spoliazioni). Al di là di questa premessa storica è importante tenere presente che è vero che il diritto Tributario disciplina il finanziamento della spesa pubblica, ma è anche vero che i tributi non sono l’unica forma di finanziamento della spesa pubblica, in quanto la spesa pubblica si può finanziare con entrate che sono finanziarie (in quanto la finanza è il fenomeno di raccolta dei fondi della spesa pubblica) ma non necessariamente tributarie. Quindi i tributi sono una parte delle finanze, delle entrate finanziarie (ad esempio se lo Stato possiede immobili che affitta riceve canoni che costituiscono una forma di finanza, denaro che entra nelle casse dello Stato, ma che non sono tributi). Quindi esiste il diritto Finanziario che costituisce un cerchio più ampio all’interno del quale si colloca il diritto Tributario. Il diritto Finanziario è propriamente (quindi correggiamo la definizione data sopra) quella disciplina giuridica che regola tutto il reperimento dei fondi per la spesa pubblica. Il diritto Tributario disciplina quella parte di finanza pubblica, quella parte di reperimento dei fondi che corrisponde ai tributi. NORME FONDAMENTALI CHE RIGUARDANO IL DIRITTO TRIBUTARIO.
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DIRITTO TRIBUTARIO

IL DIRITTO TRIBUTARIO. Certamente il diritto Tributario condivide una serie dicaratteristiche con altre materie giuridiche: si studiano un’insieme di regole; in primaapprossimazione regole tributarie, ossia regole che disciplinano il finanziamento dellaspesa pubblica, cioè la raccolta dei fondi che servono per la spesa pubblica. Gli entipubblici per svolgere la loro funzione hanno bisogno di denaro: ci sono tutta una serie difondi dai quali recuperare questo denaro; il diritto Tributario disciplina questa attività diraccolta dei fondi.

Il diritto Tributario è una realtà relativa, sia nel tempo che nello spazio, nel senso

che ci sono stati nel passato degli Ordinamenti che non hanno avuto un diritto Tributarioe ci sono ancora adesso alcuni Ordinamenti che non hanno un diritto Tributario; cioè cisono Stati che non hanno bisogno di imporre tributi per finanziare l’attività pubblica. Inpassato c’erano Ordinamenti medievali che vendevano titoli nobiliari (ad esempio unapersona se voleva diventare Conte pagava una certa cifra al re, e questa serviva afinanziare al spesa pubblica, che all’epoca era costituita dalla guerra).

Ci sono ancora oggi Paesi senza un diritto Tributario, come ad esempio gliEmirati Arabi, che “vivono di petrolio”: il sultano ha i suoi “pozzi di petrolio”, anche il

  potere pubblico possiede i suoi “pozzi di petrolio” e ricava quello che servesemplicemente dal ricavato della vendita di petrolio.

Non c’è stato sempre un diritto Tributario anche perché quando hannoincominciato ad esistere i tributi non era detto che questi fossero imposti secondo diritto(ad esempio durante il Medioevo il sovrano aveva bisogno di finanziare la sua spesa, maprocedeva in modo molto semplice, senza ricorrere a leggi o atti amministrativi, bensì aprese di guerra, espropriazioni, spoliazioni).

Al di là di questa premessa storica è importante tenere presente che è vero che ildiritto Tributario disciplina il finanziamento della spesa pubblica, ma è anche vero che itributi non sono l’unica forma di finanziamento della spesa pubblica, in quanto la spesapubblica si può finanziare con entrate che sono finanziarie (in quanto la finanza è ilfenomeno di raccolta dei fondi della spesa pubblica) ma non necessariamente tributarie.

Quindi i tributi sono una parte delle finanze, delle entrate finanziarie (ad esempiose lo Stato possiede immobili che affitta riceve canoni che costituiscono una forma difinanza, denaro che entra nelle casse dello Stato, ma che non sono tributi). Quindi esiste ildiritto Finanziario che costituisce un cerchio più ampio all’interno del quale si colloca ildiritto Tributario.

Il diritto Finanziario è propriamente (quindi correggiamo la definizione datasopra) quella disciplina giuridica che regola tutto il reperimento dei fondi per la spesapubblica.

Il diritto Tributario disciplina quella parte di finanza pubblica, quella parte direperimento dei fondi che corrisponde ai tributi.

NORME FONDAMENTALI CHE RIGUARDANO IL DIRITTO TRIBUTARIO.

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Innanzitutto occorre far riferimento all’art. 23 della Costituzione che dice che“nessuna prestazione personale (che non ci interessa) o patrimoniale può essere impostase non in base alla legge”; ciò vuol dire che esiste una categoria di prestazioni, piùpropriamente obblighi che o la legge li prevede o altrimenti non sono validi.

Bisogna dunque conoscere bene la nozione di “prestazione patrimonialeimposta”. Innanzitutto affinché si possa dire imposta una prestazione ci vuole la legge.

L’aggettivo “patrimoniale” fa riferimento a qualcosa che è valutabileeconomicamente. In realtà ai fini della definizione che ci interessa non basta; non bastaperché deve trattarsi di una prestazione materiale, deve cioè avere un prevalentecontenuto materiale. La differenza con le prestazioni personali si nota facilmente:esempio di prestazione personale imposta era il servizio militare (comportamento,obbligo di fare che non interessa ovviamente il diritto Tributario). Quindi prestazionepatrimoniale non vuol dire solo economicamente valutabile ma significa anche fatta dimateria; sostanzialmente vuol dire pagare del denaro.

Quando è che una prestazione patrimoniale si dice imposta? In alcuni casi è moltosemplice, cioè se la persona non ha possibilità di scelta, ma è obbligata in quanto c’è unpotere amministrativo che la “costringe” (e ciò è pacifico). Ad esempio l’imposta suiredditi, somma che lo Stato preleva forzosamente dai guadagni; è pacifico che si tratti diprestazione patrimoniale imposta.

Dunque è giusto dire che la prestazione patrimoniale è imposta quando c’è unpotere pubblico sovraordinato, un atto amministrativo sovrano, quando c’è un obbligo chenasce senza il concorso della volontà dell’obbligato (se io sono obbligato e non ho dato ilmio consenso è evidente che si tratta di un’imposizione, una cosa che subisco); ma puòtrattarsi di una prestazione patrimoniale imposta anche se un consenso c’è stato.

È possibile che ci siano servizi pubblici essenziali che si ottengono stipulando uncontratto, ed è possibile che non si possano ottenere se non con la stipula del contratto, eche siano anche in regime di monopolio, quindi o “prendo” il servizio così come mi vieneofferto o altrimenti non ne usufruisco. Se si facesse riferimento solo al criterio dell’attosovrano, questa non sarebbe una prestazione patrimoniale imposta perché si è in presenzadi un contratto. Ma oggi la Corte Costituzionale dice che c’è imposizione anche quando lacostrizione è sostanziale, non formale (c’è un contratto, ma sostanzialmente si tratta di uncontratto che io subisco, e lo subisco quando c’è un servizio essenziale e sostanzialmentesono privo di forza contrattuale).

Ai fini dell’art. 23 Cost. è necessario che ci sia soggezione, una situazione diimposizione, che c’è sicuramente in presenza di un atto amministrativo sovrano, quandonon vi è un contratto e formalmente non c’è una posizione di parità tra le parti; ma ci puòessere soggezione, e dal lato opposto imposizione, anche solo sostanziale. Per tutte leprestazioni patrimoniali imposte ci vuole la legge.

TRIBUTI. All’interno della categoria delle prestazioni patrimoniali imposte ci sono itributi. I tributi sono prestazioni patrimoniali imposte, ma non tutte le prestazionipatrimoniali imposte sono tributi.

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La nozione di tributo è molto importante, perché da essa ne discendono una seriedi conseguenze pratiche; ad esempio l’art.14 della Costituzione1 dice che il domicilio èinviolabile, ma tra le verifiche di domicilio consentite ci sono le verifiche fiscali (quindi èimportante sapere cosa sia un tributo); ancora l’art. 81 comma 3, dice che non si possono

istituire nuovi tributi con la legge di approvazione del bilancio2. Ma soprattutto a livellodi legge ordinaria vi sono tante norme che riguardano i tributi, che presuppongonoappunto che si sappia cosa sia un tributo. Ad esempio la disciplina della giurisdizionedelle Commissioni Tributarie, cioè la disciplina che stabilisce la giurisdizione di un certotipo di giudice (i giudici tributari), dice che i giudici tributari sono competenti per tutti itributi3, quindi di fronte ad una prestazione patrimoniale imposta   per sapere davanti aquale giudice devo andare  per tutelarmi devo sapere cosa sia un tributo.

Sui manuali si dice normalmente che il tributo o è un’imposta, o è una tassa, o èun contributo speciale o è un monopolio.

1) Imposta (da non confondere con la prestazione patrimoniale imposta).All’interno della categoria delle prestazioni patrimoniali imposte troviamo i tributi, eall’interno di questi l’imposta. L’imposta in senso tecnico è   principessa dei tributi, laforma attualmente più diffusa; è giusto dire che l’imposta è una prestazione patrimonialeimposta; inoltre l’imposta è un prelievo che serve a finanziare la spesa pubblica, ma non ècorrelata ad un particolare servizio pubblico; es. imposta sui redditi, che serve a farfunzionare ospedali, strade, ma non vi è un collegamento con il servizio, anche se c’èfinanziariamente, economicamente.

L’imposta si applica in relazione a delle forme di ricchezza che non sonocollegate direttamente con la fruizione di servizi pubblici. L’imposta riguarda solo la

ricchezza; e colpisce la ricchezza in una di queste tre forme: o si applica al reddito, o alpatrimonio o ai consumi, ma non è collegata con l’utilizzazione di un servizio pubblico.

1 Art. 14 Cost. : “Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni osequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tuteladella libertà personale. Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblicao a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali.2 Art. 81.3 Cost. : “Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributie nuove spese”.3 Art. 2 D.Lgs. n. 546/1992 “Oggetto della giurisdizione tributaria. Appartengono allagiurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie,compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale,

nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da ufficifinanziari, gli interessi e ogni altro accessorio. Restano escluse dalla giurisdizione tributariasoltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi allanotifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso di cui all'articolo 50 del decreto delPresidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi ledisposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica. Appartengono altresì allagiurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l'intestazione,la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra icompossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti laconsistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della renditacatastale. Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisionedelle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materiadi querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in

giudizio.”

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2) Ci sono però entrate tributarie collegate con la fruizione di un servizio, equeste sono le tasse. Le tasse, in senso proprio, sono tributi riscossi, pagati incollegamento con la fruizione di un servizio pubblico.

Le tasse storicamente sono esistite per prime; e rispetto ad esse vi è un problemache riguarda la distinzione tra tasse e corrispettivi pubblici: es. tassa di concessionecooperativa, licenza di telefonia mobile, chi vuole accedere come concessionario alservizio di telefonia paga un certo tributo, è correlato col servizio di concessione; ancheprendendo l’autobus pagando il biglietto mi è chiesto qualcosa che è correlato ad unservizio pubblico. La distinzione non è però sempre facile. Innanzitutto le tasse essendotributi, essendo prestazioni patrimoniali imposte, sono oggetto di imposizione. Ilproblema è che all’interno delle prestazioni patrimoniali imposte (in cui non c’è libertàma costrizione) alcune sono tasse e altre sono prestazioni patrimoniali imposte che tassenon sono.

È facile distinguere la tassa dall’imposta: l’imposta è riscossa indipendentementedalla fruizione di un servizio; la tassa è invece correlata alla fruizione di un servizio.  Ladistinzione appare facile verso l’alto, ma diventa difficile verso il basso, perché al disotto della tassa c’è qualcosa che è imposta ma non è tassa e qui le cose si complicano(soluzione non ancora trovata). Comunque la tesi prevalente è quella che sostiene che letasse sono prestazioni patrimoniali imposte riscosse a fronte di un servizio, quando quelservizio rappresenta il nucleo essenziale dei servizi pubblici, delle prestazioni delsoggetto pubblico: la giustizia è un esempio di servizio, di nucleo essenziale dei servizipubblici, cioè le prestazioni patrimoniali imposte riscosse in correlazione col serviziogiustizia sono tasse.

All’interno della nozione di somme che lo Stato percepisce in correlazione ad unservizio rientrano i corrispettivi privati (es. biglietto dell’autobus) e le prestazionipatrimoniali imposte, laddove non ho facoltà di scelta. Il problema che si pone è:all’interno delle prestazioni patrimoniali imposte in cui non ho facoltà di scegliere qualisono le tasse? Sono quelle che riguardano i servizi pubblici essenziali per lo Stato, cheriguardano il nucleo principale dell’attività pubblica (concetto relativo perché ciò che èessenziale oggi non potrebbe esserlo domani), es. giustizia e sicurezza pubblica.

3) Contributi speciali. Si è detto che l’imposta è riscossa in relazione allamanifestazione di ricchezza e che la tassa è riscossa in relazione ad un servizio pubblico, icontributi costituiscono una via di mezzo tra le due; i contributi speciali sono riscossi incorrelazione con un servizio pubblico (e fin qua è uguale alla tassa), ma si tratta di unservizio pubblico non divisibile; ad esempio la tassa di concessione la pago io inrelazione ad un servizio che ricevo io; il contributo è invece corrispondente ad unservizio pubblico che riguarda una certa collettività, non tutti ma neanche solo uno, uncerto gruppo in maniera non divisibile; un esempio di corrispettivo si ha nel caso di unabonifica (costruzioni di argini o dighe), infatti per finanziare tale attività la Regionechiede un contributo, questo contributo è correlato ad un servizio pubblico nondivisibile.

4) Monopoli. Si dice che anche i monopoli farebbero parte delle entrate tributarie,nel senso che se il soggetto pubblico gestisce un servizio o vende dei beni in regime di

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monopolio (cioè lo fa solo lui) evidentemente è svincolato dalla logica di mercato; e se èsvincolato dalla logica di mercato vuol dire che potrà imporre un prezzo che in parte è ilprezzo di mercato e qualcosa in più che è a suo vantaggio, che va anche al di là del nucleocommerciale; si dice che quella parte non ha altra giustificazione se non quella tributaria.

La parte di prezzo che sta al di sopra del prezzo di mercato si dice, seconda una tesi chenon è pacifica, che abbia natura tributaria. Si riconosce dunque anche nel fenomeno deimonopoli un’entrata tributaria, perché il monopolista, quando è soggetto pubblicoevidentemente, può riuscire ad ottenere un prezzo superiore a quello di mercato. Nelprezzo c’è il costo, il guadagno (lucro) e un qualcosa in più giustificato da ragionitributarie.

Queste quattro definizioni che esauriscono la categoria dei tributi hanno unelemento in comune; questo elemento caratterizza i tributi, è elemento unificatore dellanozione di tributo. Cosa sono allora i tributi? Intanto i tributi non sono prezzi riscossisecondo la logica di mercato, quindi non sono corrispettivi di mercato, non sono una

punizione (se pensiamo anche la multa è una prestazione patrimoniale imposta ma non èun tributo,perché la multa serve a punire), non costituiscono neanche una sanzionerisarcitoria, e non sono nemmeno corrispettivi che vengono riscossi in regime di prezzoamministrato o calmierato; cioè i tributi non sono neanche i prezzi pubblici, né i prezzi difavore; dunque cosa sono i tributi? La risposta a questo quesito la troviamo nell’art. 53della Costituzione. I tributi sono prestazioni che vengono richieste per ragioni disolidarietà; infatti l’art. 53 dice che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche inragione della loro capacità contributiva. Il Sistema tributario è informato a criteri diprogressività”. Si ritiene pressoché unanimemente che questo sia applicazione di undovere di solidarietà. 

Dunque alla domanda che cosa è che accomuna i tributi si risponde che si trattadi prestazioni patrimoniali imposte che vengono richieste per ragioni di solidarietà; cioèchi fa parte di una collettività è chiamato a pagare i tributi perché ha un dovere disolidarietà nei confronti del corpo sociale. Su questo aspetto l’art. 53 è una specificazionedell’art. 2 che dice che si è tenuti all’adempimento dei doveri inviolabili4, ed uno di questilo ritroviamo appunto nell’art. 53, e consiste nel pagare i tributi giusti a fronte di undovere di solidarietà nei confronti della collettività.

FONTI DEL DIRITTO TRIBUTARIO

Sono fonti da cui promanano le regole giuridiche. Quali sono le fonti del dirittotributario? Dove troviamo le regole tributarie? Innanzitutto le ritroviamo nellaCostituzione; alcune sono molto particolari come l’art. 75 comma 2, della Costituzioneche stabilisce che non si può indire un referendum abrogativo sulle norme tributarie5 (altrimenti avrebbe il 100% dei consensi); l’art. 81 Cost. che, come già visto, stabilisceche con la legge di approvazione del bilancio non si possono imporre nuovi tributi (ciò

4 Art. 2 Cost. : “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia comesingolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento deidoveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”5

Art. 75.2 Cost. : “Non è ammesso il referendum per leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e diindulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.”

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per ragioni di ordine, in quanto la legge di bilancio è una legge che organizza la spesa enon si vogliono mescolare le spese a contributi che sono evidentemente entrate).

Fondamentale è l’art. 53 della Costituzione, che, come già accennato, stabilisceche tutti devono concorrere alla spesa pubblica, parteciparvi in ragione della loro capacità

contributiva (cioè tutti devono pagare in relazione a quanto possono). Vediamo inparticolare cosa dice l’art. 53 Cost. 

Il primo comma dell’art. 53 usa l’espressione “tutti”; ciò vuol dire tuttiindipendentemente dal fatto di essere cittadini italiani, con “tutti” si intendono tutti coloroche hanno un rapporto con i servizi pubblici italiani.

L’art. 53 ci dà il parametro fondamentale di tutto il diritto tributario, cioè ci dà ilcentro di gravità del diritto tributario, che è la capacità contributiva: non c’è tributo senon c’è capacità contributiva. Ciò in un primo senso vuol dire che se non ho ricchezzanon posso contribuire (significato comunque banale); in realtà questo articolo mi dice cheil parametro, il fondamento del tributo è la capacità di contribuire: non ci possono essere

tributi se non c’è la capacità di contribuire e i tributi devono essere correlati alla capacitàdi contribuire.

Quindi tendenzialmente no tributo se non c’è la capacità di contribuire, più c’ècapacità di contribuire più deve esserci tributo (nucleo fondamentale e pacifico). Untributo senza capacità contributiva è incostituzionale e tendenzialmente a parità dicapacità contributiva ci deve essere uguale tributo (quindi artt. 53 e 3 Cost.6).

Questo è pacifico; tuttavia possono esserci differenti visioni: ad esempio illiberale vedrà nell’art. 53 Cost. una norma di garanzia, di difesa nei confronti dello Stato;una persona con ideologia socialista invece evidenzierà un significato diverso, mettendol’accento sulla solidarietà come obbligo nei confronti di tutti.

Con l’art. 53 il tributo non si giustifica più per il fatto che lo Stato è sovrano, nonbasta che ci sia il pubblico potere per essere soggetti ad un tributo, perché questo èlimitato dal fatto che si possono imporre tributi solo se c’è capacità contributiva.

Cosa si intende per capacità contributiva? L’art. 53 si limita a dire che tuttidevono contribuire in ragione della loro capacità contributiva senza stabilire cosa essa sia.

Una definizione di capacità contributiva la troviamo nella giurisprudenza dellaCorte Costituzionale: la Corte ha sostenuto che la capacità contributiva sia ricchezza; puòessere qualsiasi forma di ricchezza (reddito, patrimonio, stipendio, etc.). Se c’è ricchezzaautomaticamente deve esserci tributo? A livello costituzionale si, ma non basta l’art. 53ad obbligarmi; l’art. 53 è rivolto al legislatore, è un comando a lui rivolto (tu, legislatore,

 puoi tassare solo la ricchezza).La capacità contributiva deve essere effettiva ed attuale, ossia nel momento in cui

il tributo è prelevato la ricchezza ci deve stare (non posso chiederti di concorrere allespese pubbliche sulla base di una capacità contributiva, di una ricchezza che hai avuto in

  passato; ora contribuisci ora devi avere la capacità contributiva). Da qui nasce ilproblema della retroattività. Una norma tributaria retroattiva sarebbe una norma che

6 Art. 3 Cost. : “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senzadistinzioni di sesso, di razza di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali esociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della

persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavorativi all’organizzazione politica,economica e sociale del Paese.”

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pretenda di tassare oggi una ricchezza tributaria del passato; si può tassare oggi unaricchezza del passato? No, la capacità contributiva deve essere attuale.

La Corte Costituzionale dice che la capacità contributiva deve essere attuale, nelsenso che si deve poter presumere che si sia conservata; cioè non è che radicalmente tutte

le leggi che tassano una ricchezza del passato sono incostituzionali; sono costituzionali sesi può ragionevolmente presumere che anche se io mi riferisco ad un fatto del passato laricchezza è rimasta ancora adesso. Formalmente la legge può guardare al passato masolo se si può ragionevolmente presumere che la ricchezza si sia conservata ancora oggi.

Questo per quanto riguarda la retroattività delle norme tributarie sostanziali, chestabiliscono quando si paga. Problema diverso, che riguarda anche altre materie, è sepossano essere retroattive delle norme tributarie che non riguardano quando e perché si

 paga, ma riguardano il come, il procedimento di accertamento, il processo. Una cosa èdire tasso ora i tuoi redditi di 10 anni fa (norma retroattiva che riguarda la sostanza) eun’altra è dire che certe cose che sono successe nei processi tributari del passato sono

regolabili diversamente; qui evidentemente non è in gioco l’art. 53 Cost., ma è in gioco ildiritto di difesa. È evidente che è possibile che una norma retroattiva, che modifica leregole del processo a ritroso, leda il mio diritto di difesa.

Le entrate pubbliche sono qualsiasi acquisizione di valori, normalmente didenaro, da parte di un soggetto pubblico, per un qualsiasi titolo; possono essere

pubblicistiche o privatistiche.Le entrate pubbliche sono cose molto diverse: ad esempio “ il comune ha la proprietà di uno stadio, lo affitta alle società di calcio e i canoni che riceve sono in sensolato entrate pubbliche”. Le imposte, tasse, contributi sono entrate pubbliche, ma anche ledetrazioni, perché è denaro che affluisce nelle casse del soggetto pubblico.

Nella categoria delle entrate pubbliche si individua la categoria delle prestazionipatrimoniali imposte; categoria utile, perché serve ai fini dell’art. 23 Costituzione7.

Una prestazione patrimoniale è imposta quando uno è costretto a pagarla se nonpartecipa con la sua volontà al fatto che genera obbligazione, ma anche se partecipa conla sua volontà ma in sostanza la sua libertà non c’è.

Esempio: “quando lui fa sì un contratto ma non c’è libertà contrattuale, ottieneun servizio che per lui è essenziale per vivere, faccio l’esempio in passato delle tariffeelettriche e c’è un monopolista o quasi e le tariffe sono stabilite”.

All’interno delle prestazioni patrimoniali imposte ci stanno i tributi e alla domandacome si distinguono, cosa sono o come li posso assegnare all’interno delle prestazionipatrimoniali, si può rispondere in due modi:

1.  sono quelle prestazioni che vengono imposte in adempimento di doveri disolidarietà ;

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Articolo 23 Cost. “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non inbase alla legge”.

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2.  sono una prestazione che appartiene a uno di questi quattro generi: imposte,tasse, contributi speciali e monopoli.

Andando ancora più nel dettaglio la parte più difficile è distinguere tra tasse ed altreprestazioni, perché le tasse sono la forma di tributo più ambigua.

Sono riscosse da parte di un privato che va a chiedere un servizio e per ottenerlo, ocomunque quando lo ottiene, paga.“ Le tasse sono ambigue perché assomigliano al prezzo che un cliente paga”.

In che cosa si differenziano? La risposta è duplice anche qui:1.  innanzitutto sono tributi perché vengono riscosse in adempimento di doveri di

solidarietà;

2.  la dottrina dice che le tasse sono ciò che riscuote il soggetto pubblico, soltanto incorrelazione con il nucleo essenziale delle funzioni pubbliche, ad esempiogiustizia e sicurezza.

L’articolo 53 della Costituzione parla del principio della capacità contributiva8. LaCorte Costituzionale dice due cose sulla capacità contributiva: “essa deve essere attuale

ed effettiva”.

EFFETTIVITA’.

Effettiva sembra una cosa inutile, la ricchezza o c’è o non c’è. In realtà il concettodi effettività della capacità contributiva va approfondito: perché l’ideale sarebbe misurareper ciascuno di noi esattamente al centesimo di Euro quanto ciascuno guadagna, ma farequesta operazione è molto difficile, perché neanche il contribuente saprà alla fine quantoha pagato.

Ci sono categorie per cui questo è più agevole ad esempio “chi riceve redditi da  parte di una grande industria, la FIAT, è facile da controllare, perché c’è un unicodatore di lavoro e migliaia di dipendenti; allora misurare al centesimo di Euro quantoguadagna è facile, basta dire alla FIAT: Tu FIAT dimmi esattamente quanto paghi i tuoidipendenti”.

Ci sono altre categorie più difficili da controllare, pensiamo“a chi

 vende panini

con il furgoncino, possiamo dire che ha l’obbligo di emettere tutti gli scontrini fiscali, madi fatto non lo fa, quindi è più difficile sapere quanto guadagna”.

Diciamo che un ordinamento tributario si deve accontentare già se la capacitàcontributiva è misurata in modo ragionevolmente corretto, esatto non al centesimo maragionevolmente.

La capacità contributiva effettiva deve essere quindi misurata conapprossimazione accettabile e non al millesimo di Euro.

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Articolo 53 Cost. “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della lorocapacità contributiva”.

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Ritornando al problema dell’effettività, un secondo aspetto di cui molto si discuteè: è incostituzionale perché non c’è effettività di capacità contributiva in un sistemacatastale.

Sui beni immobili le imposte in Italia sono pagate secondo un criterio particolare,

ad esempio io ho la casa e non devo dichiarare sempre quanto guadagno, non si misuraperiodicamente, ma c’è un sistema di determinazione a priori che si chiama catasto. 

Il catasto dice mediamente quanto un immobile produce, cioè “quanto un terrenodestinato a produrre mele, mediamente se sfruttato ordinariamente produce tot Euroall’anno”. Questo è un sistema incostituzionale perché dice mediamente ma non mi va amisurare quanto effettivamente l’agricoltore guadagna. Questo è un errore concettuale!

La capacità contributiva deve essere effettiva, non è detto che la ricchezza debbaessere quanto io guadagno dal bene; sicuramente “se io guadagno 100 da un bene ho unaricchezza di 100; ma c’è anche un’altra cosa: se ho a disposizione un bene che potrebbe

 produrre 100, anche avere un bene che potrebbe produrre 100 è ricchezza ; se io ottengo

di meno è colpa mia”. C’è una cosa potenzialmente produttiva di 100 e io ce l’ho.Effettività della capacità contributiva non vuol dire effettività dell’incasso di una

somma di denaro, ma effettività di avere a disposizione un certo bene.Un terzo e ultimo aspetto dell’effettività è quello della ricchezza solo nominale. I

tributi sono riscossi in Italia sulla base del valore monetario senza tener contodell’inflazione. Quindi io a volte posso guadagnare solo apparentemente. Ad esempio:”seho una casa che vale 100 e c’è stata inflazione del 10% e alla fine dell’anno io la rivendoa 110 (100 + inflazione) io nella sostanza non ho guadagnato niente, perché 110 valgonocome 100 dell’anno prima”; la regola però è che, salvo correttivi, i tributi si applicano alvalore nominale.

Questo può creare problemi; negli anni ’70 c’è stata forte inflazione quindi questimeccanismi hanno portato a tassare persone che erano in perdita.La Corte Costituzionale ha detto che è legittimo un sistema che tratta i valori

nominali purchè questo rimanga nell’ambito della ragionevolezza ; cioè come dire se lacosa diventa sistematica allora si devono mettere dei correttivi. La regola salva eccezioneè che conta solo il valore nominale.

Molto spesso nel diritto tributario ci sono cose che si chiamano agevolazioni,vuol dire per definizione che una certa ricchezza è agevolata, è trattata meglio di un’altra.A parità di capacità contributiva ci sono certe ricchezze che sono sottoposte adun’imposizione inferiore.

PROGRESSIVITA’ .

Art. 53 della Costituzione non è l’unica regola costituzionale che esiste; c’èderoga alla capacità contributiva.

Nella Costituzione ci sono norme che tutelano il risparmio (art. 38 Cost.)9; quindiuna tassazione più lieve perché tendente a tutelare il risparmio non violerebbe l’art. 53Cost.

9 Articolo 38 Cost. “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha

diritto al mantenimento e all'assistenza sociale”.

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La seconda cosa che dice l’art. 53 è che il sistema tributario deve essere formato acriteri di progressività10.

Progressività vuol dire, o meglio dicesi tributo progressivo, il tributo che crescepiù che proporzionalmente al crescere della ricchezza. Progressività vuol dire non

proporzionale. Allora un tributo proporzionale è un tributo tale che alla ricchezza 100corrisponde un tributo 10, alla ricchezza che raddoppia (200) corrisponde un tributo 20.

Progressivo vuol dire invece che crescendo la ricchezza il tributo cresce più cheproporzionalmente, per esempio “se la ricchezza è 100 il tributo è 10, se la ricchezza è200 il tributo anziché essere 200 è 300”. Perché la Costituzione dice che il sistema èimprontato, ispirato a criteri di progressività? Per una ragione che se avete fatto economiaforse conoscete: è la teoria che si chiama del cucchiaio di minestra.

Si dice che “è come uno che sta seduto al tavolo, ha fame e mangia la minestra, i primi cucchiai di minestra gli fanno più piacere, lo nutrono di più, se li gusta di più; manmano che mangia i cucchiai sempre più avanti, quando si avvicina alla fine del piatto

non gli suscitano niente. Se ti tolgo il primo cucchiaio di minestra ti faccio piùdispiacere, piuttosto che se ti tolgo l’ultimo”, e mi chiedo chi è molto ricco patisce moltomeno a vedersi sottrarre detrazioni marginali più alte da un’imposta; quindi alla base diquesto ci sta il principio dell’uguaglianza del sacrificio; c’è un’interpretazione dell’art. 53che dice: i contribuenti devono tendenzialmente sacrificarsi nella stessa misura; per unsacrificio se per un povero basta toglierli una catasta di mele, per avere un sacrificio chevenga patito nella stessa misura da uno stramilionario, bisogna toglierli molto di più.

Il sistema tributario è ispirato alla regola della minestra quindi deve realizzaretendenzialmente questa regola, che non è una regola generale; quindi non tutti i tributisono progressivi, dice che ci devono essere delle forme di progressività. Questa cosa

significa che è un invito rivolto al legislatore. E se l’ordinamento tributario nonprevedesse imposte progressive? Sarebbe difficile farne una questione di legittimitàcostituzionale perché bisognerebbe chiedere alla Corte Costituzionale di aggiungerequalcosa e questa norma è abbastanza programmatica.

È un invito al legislatore, intanto lo autorizza a fare imposte progressive, o tributiprogressivi, quindi ha una prima funzione; c’è una norma che prevede il tributoprogressivo che è legittimo, e poi è anche una cosa che tende a spingere in questadirezione.

Non dice niente sul problema della capacità contributiva rispetto le tasse.

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vitain caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.

Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dalloStato.

L'assistenza privata è libera.

10 Articolo 53 comma 2 Cost. “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

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ART. 23 DELLA COSTITUZIONE

L’art. 23 della Costituzione è la seconda norma importante della Costituzione,quando parliamo di fonti. L’art. 53 dice come si fanno i tributi, l’art. 23 dice dove si

trovano le norme tributarie; l’art. 53 risponde alle domande cosa e come, l’art. 23risponde alla domanda dove. Nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se nonin base alla legge.

Quindi la risposta alla domanda dove si trova il diritto tributario e di cosa è fatto,è : è fatto principalmente di leggi.

Questa è una riserva di legge relativa; vuol dire che non tutta la disciplina deitributi deve trovarsi nella legge, ma ci si devono trovare le cose fondamentali, glielementi essenziali. Gli elementi essenziali sono chi, cosa e quanto. Chi sono i soggettipassivi, cioè chi è obbligato; cosa, cioè quale ricchezza, quanto, cioè quanto di quellaricchezza deve essere assoggettata al prelievo.

Per la Corte Costituzionale, può darsi che in certi casi non ci sia scritta l’aliquota,l’importante è che nella legge ci sia scritto un minimo e un massimo, ad esempio “ICI,c’è una norma per cui si dice che i comuni possono applicare l’aliquota dell’ICI da tot atot”.

La riserva di legge riguarda le norme sostanziali, cioè riguarda la disciplina deltributo ( chi, cosa e quanto), non le procedure; l’ art. 23 Cost. non si occupa delprocedimento amministrativo che devono seguire le amministrazioni finanziarie; e non sioccupa neanche del processo; lì la necessità dell’intervento della legge può esseredeterminata da altre ragioni, perché i processi devono essere regolati per legge perchél’art. 101 della Costituzione dice che i giudici sono soggetti soltanto alla legge, ma non è

l’art. 23.Cosa si intende per legge? Intanto la legge è approvata dal Parlamento, e poi i

tipici atti del Governo equivalenti alla legge sono decreto legislativo e decreto legge. Poici sono le leggi regionali, le leggi delle province autonome di Trento e Bolzano, e le fonticomunitarie. I regolamenti e le direttive? I regolamenti e le direttive possono essere fontidel diritto tributario italiano, ma non lo sono perché sono leggi, cioè rispettano la riservadi legge.Non esiste realmente un codice tributario; ci sono il codice penale, di procedura penale,civile e di procedura civile.

Ci sono molte leggi, nessuno sa quante, ma non c’è un’unica legge tributaria; il

che non vuol dire che non ci siano leggi importanti.Le leggi più importanti che avremo modo di conoscere sono queste:  lo Statuto del Contribuente, legge 212 del 2000, che è vicina alla Costituzione e

di cui è opportuno parlare subito; e una serie di articoli non molti, che fissano unaserie di principi generali;

  il Testo Unico delle imposte sui redditi, Decreto legislativo 917 del 1986, chedisciplina tutte le imposte sui redditi;

  il Decreto IVA, DPR 633 del 1972;  il DPR 600 del 1973, che disciplina l’accertamento sulle imposte sui redditi; dice

come l’amministrazione finanziaria va a vedere nelle nostre tasche, cioè come vaa scoprire la ricchezza che è stata nascosta e come si modella il procedimento diaccertamento;

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  il Decreto Legislativo 546 del 1992, che disciplina il contenzioso tributario, cioèil processo davanti ai giudici tributari.

LO STATUTO DEL CONTRIBUENTE11

 

E’ una legge che prevede una serie di principi generali e si apre con una fraseabbastanza solenne, perché dice: “le norme che io Statuto del Contribuente stabiliscosono norme che costituiscono applicazione e attuazione degli articoli della Costituzionein materia tributaria”.

Fin dal primo articolo lo Statuto del Contribuente dice: “attenzione che io sonouna legge importante, attenzione che io sono una legge di principi generali”.

In effetti contiene molte norme che riguardano cose diverse tra loro; leclassifichiamo in gruppi, poi le vedremo semmai caso per caso.

Alcune norme sono rivolte al legislatore ed è curioso che il legislatore stabiliscanorme per se stesso, è curioso eppure è così, cioè lo Statuto del Contribuente dice: “iod’ora in poi legislatore farò così” e dice che non farà più le leggi retroattive, contienequindi il principio di divieto di retroattività

12, e poi altro divieto importante che è ildivieto di istituire nuovi tributi con decreto legge, precisamente dice: “con decretolegge non si possono né istituire nuovi tributi, né estendere tributi che già esistono anuove categorie di contribuenti”13  perché in Italia, dato che siamo tutti un po’ troppofurbi, il Governo e il Parlamento tendevano in passato a diventare furbi anch’essi, per cuisi è assistito ad uno spettacolo piuttosto indecoroso che era la caccia al ladro.

Quindi pertanto norme interpretative vedi ad esempio la retroattività, “faccio

valere norme che esistevano già in passato e così ti ho preso” ; oppure soprattutto nelperiodo di scarsa governabilità, quindi difficoltà per il Parlamento di adottare leggi, si èricorso molto frequentemente al decreto legge, il Governo si sostituiva al Parlamentofacendo leggi tributarie.

Decreto legislativo può essere fatto solo in casi straordinari e con necessitàurgente, però venivano fatte per qualsiasi argomento anche per vendere banane, ed eranoreiterati 24 volte; ci sono stati decreti legge ripetuti in sequenza sette, otto volte.

Quando si vanno a molestare i contribuenti con decreti legge che oggi sono fatti eche oggi stesso questi decreti legge entrano in vigore, si crea un caos irreparabile. “Tu

11 LEGGE 27 luglio 2000, n.212 “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente” . 12 Art. 3.  dello Statuto, “Efficacia temporale delle norme tributarie. 1. Salvo quanto previstodall'articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente aitributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d'imposta successivoa quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono. 2. In ogni caso,le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cuiscadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore odell'adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti. 3. I termini diprescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati”.

13 Art.4 delle Statuto, “Utilizzo del decreto-legge in materia tributaria. 1. Non si può disporre condecreto legge l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre

categorie di soggetti.” 

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  pubblichi in Gazzetta Ufficiale, ci si trovava magari con tributi che non conoscevanoneanche gli uffici perché erano stati fatti con decreto legge del giorno stesso”.

Dato che allora era un regime tributario da stato libero di banana, lo Statuto delContribuente ha deciso di metterci un freno, ora però come ha fatto il legislatore fiscale a

dare ordini a se stesso? perché il legislatore oggi dice: “io non farò più leggi retroattive,ma è il legislatore che lo dice a se stesso, non potrebbe dire domani ho cambiato idea?”. 

In effetti sì perché non è una legge costituzionale, lo Statuto del Contribuente èuna norma ordinaria. E i giuristi hanno cominciato a dire: ma allora questa norma checos’è? È chiaro che non è una norma della Costituzione perché è stata approvata con laprocedura ordinaria, è una norma di adozione della Costituzione altri invece dicono che ècarta straccia, è inutile, non serve a niente; in effetti una certa tendenza della dottrinatributaria dice che è solo un manifesto, una cosa inutile.“Il legislatore ha detto: metto queste norme qui, poi tanto quando voglio non le rispetto”.

Forse la realtà è un po’ diversa; è vero che la norma di una legge non può

vincolare la legge, perché il legislatore il giorno dopo può dire: “quel giorno lì ero dicattivo umore, ma oggi cambio”. Infatti sono uscite molte leggi successive che si sonolavate le mani del costituente, sono usciti decreti legge di questo genere. Cerchiamo ditrovare un modo per dire che lo Statuto del Contribuente non è inutile; dove lo troviamo?

Dato che il legislatore ha detto che in questo momento sta attuando laCostituzione, è come se avesse detto tendenzialmente, una volta per tutte, io da questomomento in poi la Costituzione la interpreto così.Ad esempio: “il legislatore si impegna, visto che l’ha detto la Costituzione, che non

  posso fare decreti legge in materia tributaria, è vero che il legislatore dopo potrebbecambiare idea, ma se non dicesse espressamente: ho deciso che adesso interpreto la

Costituzione in modo diverso, il comando che era: adesso interpreto la Costituzione così,rimane in vigore”.Lo Statuto del Contribuente dice attenzione avvocati, giudici, contribuenti, che io

ho detto che la Costituzione si interpreta così, poi se io non rispetto questo precetto, tugiudice sarai obbligato, se io non ti ho detto che ho cambiato idea, sarai obbligato asollevare questione di legittimità costituzionale.Si può sollevare questione di legittimità costituzionale tutte le volte che la norma vieneviolata. Se si trova una norma in contrasto con lo Statuto del Contribuente, si è obbligati amandare gli atti alla Corte Costituzionale.

Oltre ai comandi dati dal legislatore, c’è anche il divieto di nascondere norme

tributarie14, altro vizio tipico del legislatore italiano degli anni ’70 e ’80, era quello di

nascondere norme tributarie, cioè “mettere nel titolo disciplina delle banane, poi magari

14 Art. 2. dello Statuto, “Chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie. 1. Le leggi e gli altriatti aventi forza di legge che contengono disposizioni tributarie devono menzionarne l'oggetto neltitolo; la rubrica delle partizioni interne e dei singoli articoli deve menzionare l'oggetto delledisposizioni ivi contenute.2. Le leggi e gli atti aventi forza di legge che non hanno un oggetto tributario non possonocontenere disposizioni di carattere tributario, fatte salve quelle strettamente inerenti all'oggettodella legge medesima. 3. I richiami di altre disposizioni contenuti nei provvedimenti normativi inmateria tributaria si fanno indicando anche il contenuto sintetico della disposizione alla quale siintende fare rinvio. 4. Le disposizioni modificative di leggi tributarie debbono essere introdotte

riportando il testo conseguentemente modificato.”

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c’era una rubrica con scritto: interventi per favorire la disoccupazione a Pozzuoli, poic’era il quattordicesimo comma bis che diceva: è abrogato il Testo Unico sull’impostasui redditi”.

E lo Statuto del Contribuente ha cercato di mettere fine anche a questa cosa qua;

non metto norme tributarie in leggi che dal titolo non abbiano scritto: attenzione qui c’èuna norma tributaria.

Poi ci sono altre norme che non riguardano il legislatore ma sono di tiposostanziale; per esempio ci sono norme sulla compensazione dei debiti e dei credititributari, norme che dicono che “se io sono a debito per certi tributi e a credito per altri,invece di pagarne uno e chiedere il rimborso per gli altri, posso accontentarmi”.

Poi ci sono norme specifiche, su questioni particolari, ma questo tipo è in materiadi accolli d’imposta o norme che dicono come si possono fare gli accessi, che quando laGuardia di Finanza o l’amministrazione finanziaria fanno accertamenti in negozio o daimprenditore, non devono farlo patire, gli accessi e gli accertamenti e le verifiche devono

essere effettuati in modo tale da recare il minor disturbo al contribuente.Le norme tributarie sono abbastanza dettagliate, come si entra in casa, nei negozi,

negli uffici legali, poi c’è grande quesito: ma la Finanza può fare solo quello che èstabilito, oppure può fare quello che vuole, salvo quello che è vietato? Si può fare tuttociò che non è vietato, purchè si rispettino quelli che sono i principi generali.

Ad esempio “si può far finta di voler affittare una casa e intanto la si guarda?  No però finché non si inganna forse è legittimo. Non c’è niente di strano sel’amministrazione finanziaria mette delle finte inserzioni per vedere quanto guadagna unmago”; però non ci devono essere forme vietate.

In Italia dove nessuno si muove se non è telecomandato, da un’antennina che dice

fai questo, prendersi la responsabilità di una cosa del genere è abbastanza raro. Se nonsono violate regole generali o speciali, potrebbe essere consentito.

LE LEGGI REGIONALI.

Parliamo delle leggi regionali: anche le leggi regionali sono leggi in sensoformale, quindi rispettano l’art. 23 della Costituzione. Il problema è se c’è la potestàlegislativa delle regioni in materia tributaria.

Se la Costituzione consente alle regioni di introdurre tributi, anche la legge dellaregione rispetta senz’altro l’art. 23 della Costituzione.

A grandi linee basta sapere che in linea di principio le regioni hanno potestàlegislativa, ma lo Stato ha sempre potere di coordinamento, il che fino ad adesso si èsostanzialmente tradotto in: lo Stato fa le norme e le regioni le applicano, per ragioni perlo più politiche. Le regioni sono vicine all’elettorato, quindi se introducono più tributi,questi fanno perdere elettorato.

La disciplina è contenuta nell’art. 117, più precisamente nell’art. 119 dellaCostituzione. Le regioni possono stabilire tributi propri purchè rispettino la Costituzione,i principi comunitari e i principi fondamentali e di coordinamento stabiliti dallo Stato.

LE FONTI INTERNAZIONALI.

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Ci possono essere le convenzioni internazionali che possono essere di tanti tipi.Ci possono essere convenzioni internazionali che stabiliscono principi generali, adesempio la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, che puòriguardare anche il diritto tributario.

Queste trasportano essenzialmente le garanzie costituzionali, aggiungono un altrostrumento di tutela oltre alla Costituzione.

Alcune invece sono convenzioni di dettaglio, anche queste diventano efficaci inItalia con ratifica; norma interna che ordina e diventano norme interne.

NORME COMUNITARIE: I REGOLAMENTI E LE DIRETTIVE.

Nei trattati dell’Unione Europea, ci sono alcuni principi che non riguardano ildiritto tributario direttamente, ma indirettamente, vedi il principio di non

discriminazione sulla base della nazionalità (non si possono trattare diversamente le

persone solo sulla base della nazionalità); la tendenza è ampliare questo concetto, adesempio non discriminazione anche in base alla residenza.Non si deve trattare diversamente in modo ingiustificato.

Altri principi che possono incidere sono la libertà di stabilimento, “se l’Italiastabilisse che gli stranieri devono pagare 10 volte di più le tasse rispetto agli italiani, lanorma sarebbe violata”.

Lo stesso vale per la libertà di movimento di capitali, poi c’è il principio di

proporzionalità, che significa che a parità di vantaggio per lo Stato si deve arrecare alcittadino il minor svantaggio possibile; a parità di risultato si deve far sacrificare dimeno.

Quando si stabiliscono delle norme si devono fare delle norme ragionevoli.Ad esempio “è proporzionale una norma che dice che il contribuente IVA deve recarsi a  pagare l’IVA immediatamente, come l’avvocato che fa la fattura e riceve l’IVA dalcliente, e quindi deve recarsi immediatamente a versarla?” E’ incostituzionale oltre cheirragionevole.

Poi ci sono le norme comunitarie derivate che sono i regolamenti e le

direttive.Una direttiva è direttamente applicabile quando non è condizionata ed è

immediata. C’è una materia tributaria in cui la disciplina comunitaria prevale su quellainterna, ed è l’IVA; la regolamentazione comunitaria è ormai prevalente.

I REGOLAMENTI.

I regolamenti sono atti normativi fatti dal potere esecutivo o comunque nonlegislativo; in generale si fanno o perché la legge non c’è e allora si dice che piuttosto cheniente si fa un regolamento, o perché la legge c’è e si tratta in qualche modo di integrarla.

I regolamenti si dividono in:  indipendenti, sono quelli senza legge;  di esecuzione, quando c’è una disciplina legislativa, che specificano come si

esegue materialmente la legge;

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  integrativi, che invece di riguardare l’esecuzione specificano il contenuto, nondicono come si esegue, ma dicono più dettagliatamente ciò che la legge non hadisciplinato;

  delegati, è il regolamento stesso che disciplina quella materia, è la legge stessa

che dice: “non voglio disciplinare io legge, delego te amministrazione”.Questo è in generale in diritto amministrativo.Ragioniamo su come queste categorie si coniugano con il diritto tributario, perché

qualcuno potrebbe obiettare: “ma c’è la riserva di legge che vuol dire che il dirittotributario è diritto che si trova nella legge, cosa c’entrano i regolamenti?” 

I regolamenti di esecuzione dicono come va eseguita la legge, quindi ci possonostare; riguardano non la disciplina della legge, ad esempio la legge dice che “ladichiarazione dei redditi si deve fare entro il 31 Maggio, il regolamento dice in qualesportello, ufficio si deve fare”.

I regolamenti integrativi possono creare qualche problema, però la riserva di legge è

relativa, quindi non tutto ci deve stare nella legge. Se nella legge è scritto chi, cosa equanto, il regolamento integrativo ci può stare, altrimenti no.

Quelli indipendenti per definizione non ci possono stare, c’è riserva di legge, separliamo di chi, cosa e quanto, ad esempio il Governo non può dire “manca qualcosa suregolamentazione della attività fatte in internet e allora lo faccio io”, non si può fare.

Per la stessa ragione sono illegittimi i decreti delegati, qui è la legge che approva;non ci può essere rapporto simile al decreto legislativo.

Che efficacia hanno i regolamenti? Sono norme quindi sono vincolanti per ilcontribuente e per i giudici, così come la legge, però devono rispettare la legge e laCostituzione.

Se sono in contrasto con la legge o la Costituzione non sono validi, però continua aprodurre i suoi effetti; gli uffici restano vincolati ad adempiere; possono essereimpugnati, ma dove? Dipende; se li voglio fare annullare, togliere di mezzo, devo farericorso al Tribunale Regionale Amministrativo (TAR) entro 60 giorni; ma non ènecessario, perché se faccio impugnazione davanti alla Commissione Tributaria, equesta si trova davanti un regolamento invalido, non lo può annullare,ma lo puòdisapplicare.

Annullare significa che dal giorno dopo quel regolamento non esiste più,disapplicare invece significa che in quella singola controversia, non se ne tiene conto,come se non ci fosse.

Non si va davanti alla Corte Costituzionale (solo per gli atti aventi forza di legge).

INTERPRETAZIONE.

Interpretare vuol dire attribuire significato. Le leggi interpretative sono leggi unpo’ strane perché invece di disciplinare altri comportamenti, disciplinanol’interpretazione, cioè invece che dire “tu devi fare, dicono agli interpreti che la legge

  precedente va interpretata così”. Per contenuto hanno specificato cosa voleva dire lalegge.

Si vuole eliminare la discrezionalità interpretativa, tutte le interpretazioni terze ediciamo che l’interpretazione è questa.

Il problema delle leggi interpretative è un altro, cosa faceva il legislatore?

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Cambiava la legge precedente, faceva finta, diceva “ecco la legge interpretativa e sotto  però ci stavano nuove norme, cioè norme che dicevano bianco, diceva no mi sonosbagliato volevo dire nero”; ma tutto questo in cose clamorose!Questo è un gioco pericoloso.

Il legislatore ha paura di incorrere nella Corte Costituzionale, che lo bastoni sullaretroattività, perché le leggi retroattive non si fanno.Si è cercato di evitare il problema facendo finta di fare leggi interpretative, che non losono, ma la Corte Costituzionale è intervenuta ugualmente.

La prima giurisprudenza ha detto che le leggi finte interpretative devono esseregiudicate come retroattive, è retroattiva e la giudico come se fosse retroattiva.

In una isolata sentenza ha detto che è incostituzionale ciò che è innovativo echiamato interpretativo, si stavano usando gli strumenti giuridici in modo scorretto. Lo hadetto una volta nel 1990; adesso è tornata indietro all’orientamento più sostanziale: “sel’hai chiamata interpretativa ma è retroattiva, la tratto come se fosse retroattiva”. 

Lo Statuto del Contribuente dice sulle norme interpretative: le leggi interpretative sifanno:

  solo in casi eccezionali;  solo con legge ordinaria;  solo dicendo espressamente “attenzione questa è una legge interpretativa;Questo perché succedeva spesso che il legislatore intervenisse su una materia già

regolata precedentemente, dicendo una cosa apparentemente diversa, il che creava ilproblema di dire: ma questa è una norma su cui il legislatore ha aggiunto qualcosaoppure ha voluto innovare? Adesso è stabilito che devono interpretare.

LE TASSE E LA CAPACITA’ CONTRIBUTIVAIl rapporto che intercorre tra le tasse e la capacità contributiva merita una precisazione.E’ pacifico che a tutti i tributi si applica il principio di capacità contributiva.E’ altresì pacifico che i tributi si identificano nelle tasse, nei monopoli, nelle imposte ednei contributi speciali.Le due affermazioni costituiscono la premessa maggiore e la premessa minore delsillogismo che dovrebbe concludersi dicendo <<anche alle tasse si applica il principio dicapacità contributiva>>. La Corte Costituzionale, tuttavia, ha escluso che alle tasse siapplichi tale principio. La Corte ha affermato, in altri termini, che la legittimitàcostituzionale delle tasse prescinde dal fatto che chi le paga manifesti capacitàcontributiva.Il sillogismo e la decisione della Corte sono formalmente in contrasto ma esiste un modoper conciliare queste due affermazioni.Proprio perché la giurisprudenza della Corte Costituzionale nasce da dei casi in cui laprestazione imposta al privato era assimilabile al “ticket ospedaliero”, il ragionamentodella Corte può essere letto nel senso che la capacità contributiva, rispetto alle tasse, èpresunta. Nel senso che, dato l’ammontare molto esiguo delle tasse, si presume che coluiche è chiamato a pagarle abbia i mezzi per farlo15.

15 Ne deriva che anche la sanità rientra nel nucleo dei servizi pubblici essenziali insieme alla

giustizia e alla sicurezza.

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Ne consegue, altresì, che le tasse possono essere riscosse anche per servizi che nonarricchiscono l’individuo. Infatti che ricchezza manifesta uno che è malato?

SOMMARIO: 1.1. Circolari tributarie. 1.2. Analogia nel diritto tributario. 1.3. Elusione nel dirittotributario. 1.4. Struttura del tributo. 1.4.1. Classificazione delle imposte. 1.5. Esenzioni edesclusioni.

1.1 Circolari tributarie.

Nell’ambito delle fonti del diritto tributario rileva, seppur in via trasversale,l’istituto delle circolari, intese come istruzioni che l’autorità di vertice o l’autorità centraleconferisce agli uffici o ai loro funzionari circa l’assunzione delle varie modalitàcomportamentali nell’ambito tributario.

Le circolari possono disciplinare diversi aspetti riguardanti l’organizzazione degli

uffici; ai fini del diritto tributario assumono una certa importanza le circolari chestabiliscono a quali regole gli uffici dovranno attenersi per interpretare la legge.

Dalla definizione, si evincerebbe una certa correlazione tra le circolari e le fontidel diritto tributario, in quanto trattasi di “indicazioni su come interpretare la legge”.

Le prime però non sono formalmente fonti del diritto, perché consistenti in attiinterni frutto dell’opinione dell’amministrazione, ed in quanto tali non vincolanti né per ilcontribuente e né per il giudice tributario.

Assumono carattere vincolante solo nei confronti dell’ufficio destinatariodell’indicazioni in esse contenute.

1.2  Analogia nel diritto tributario.

L’analogia è quel procedimento logico di carattere interpretativo, utilizzato neldiritto in relazione all’attività di giurisdizione, consistente nel ricavare una regola digiudizio per quel caso concreto che non appaia espressamente disciplinato dalla legge,tramite l’applicazione della norma prevista per un caso che appaia simile per ratio(analogia legis) o tramite applicazione di principi generali dell’ordinamento giuridico(analogia iuris).Tale principio non si applica nei seguenti casi:

-  norme penali in ossequio al principio del “favor rei” e al principio di legalità,secondo cui ogni fattispecie penale deve essere tassativamente indicata dalla legge.

-  norme eccezionali che, in quanto tali, presentano una particolare ratio.Nel contesto tributario non sussiste un formale divieto del principio di

applicazione analogica (non essendo il diritto tributario costituito né da norme penali néda norme eccezionali); ciò nonostante tale meccanismo tendenzialmente non può trovarelibera applicazione, in quanto il presupposto del principio analogico consiste nell’assenzadi una disciplina normativa della fattispecie.

Pertanto, l’istituto medesimo lederebbe la riserva di legge (relativa) in materiatributaria, in virtù della quale una fattispecie è imponibile solo se espressamente previstadalla legge.(1)

L’analogia invece è applicabile con riferimento alle norme procedimentali –processuali tributarie, in quanto prescindono da quella categoria di norme chestabiliscono l’oggetto della tassabilità.

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1.3  Elusione nel diritto tributario.

Il fenomeno dell’elusione fiscale ricorre ogni qual volta il soggetto, pur nonrealizzando la fattispecie prevista dalla legge tributaria, ottiene in altro modo il medesimo

risultato economico che la legge intendeva assoggettare ad imposizione.(Diversa è l’evasione: la fattispecie si sostanzia di qualsiasi fatto, commissivo od

omissivo, del soggetto passivo dell’imposizione che, pur avendo posto in essere ilpresupposto del tributo, si sottrae ai connessi obblighi previsti dalla legge).

In altri termini, l’elusione consiste nell’evitare, in tutto o in parte, l’obbligod’imposta senza violare la legge tributaria e senza incorrere in alcuna sanzione da partedell’autorità; tale meccanismo si concretizza nello sfruttamento dei vuoti lasciati dalleimposizioni.

__________________________________________________________________(1)

Art. 23 Cost. “  Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essereimposta se non in base alla legge”.

Il codice civile si esprime altresì in termini di “frodare la legge”, ovverorispettarne la lettera ma denaturarne il principio.

Un esempio di operazione elusiva è il meccanismo denominato bara fiscale,consistente nello sfruttamento della disciplina della fusione societaria per compensareutili e perdite di due società, riducendo così il carico fiscale. Si ha una società “sana” cheviene incorporata in una società “morta” (bara) avente molte perdite, in modo che

fiscalmente quest’ultima risulti senza utile.Il fenomeno è diffuso nel contesto tributario in quanto l’esigenza della tassativitàdei comportamenti tassabili può essere affievolita dalle continue evoluzionidell’economia in virtù delle quali, per mezzo di innovativi escamotage comportamentali,il soggetto passivo può comunque essere autore di un atto elusivo.

A fronte di tale situazione i provvedimenti che il fisco può adottare possonoessere sostanzialmente i seguenti:

1) può di volta in volta modificare la normativa tributaria in adeguamento a taliprocessi evolutivi, al fine di limitare il più possibile la propensione dell’individuoall’elusione;

2) introdurre norme antielusive, cioè quei principi che sanciscono l’inopponibilitàal fisco delle varie manovre di aggiramento per cui, il comportamento elusivo, venendoconsiderato alla stregua di un’attività effettivamente tassata, sarebbe comunquesottoposto ad imposizione tributaria;

3) parte della dottrina ha individuato una possibile soluzione nell’articolo 1344 

del codice civile(2), il quale stabilisce la nullità di un contratto in frode alla legge.Secondo la corrente di pensiero maggioritaria, tale articolo non può essere

importato in materia tributaria per i seguenti motivi:-  un contratto è in “frode alla legge” quando aggira l’applicazione di una

norma imperativa (norme considerate di interesse pubblico esprimenti valorifondamentali).

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A riguardo, sono stati palesati dei dubbi circa l’esistenza in materia tributaria dinorme di tale tipologia.__________________________________________________________________

(2) Art. 1344 c.c. Contratto in frode alla legge: “Si reputa altresì illecita la causa

quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una normaimperativa”.

La Cassazione ritiene superabile tale limite(3) attribuendo valore di norma imperativaall’articolo 53 della Costituzione, che sancisce il dovere di contribuire alla spesa pubblica(rientrante fra i doveri di solidarietà); l’articolo rappresenta quindi il presupposto dilegittimità dell’imposizione tributaria.

- La nullità di un contratto in frode alla legge non ha rilevanza dal punto divista tributario.

Ipotizzando che ci sia una norma che stabilisca la tassabilità delle plusvalenze

percepite dalla vendita di oggetti d’arte (es. quadri); un soggetto che possiede unacollezione di quadri che intende vendere, al fine di evitare tale tassazione può, anzichéalienare la medesima nel modo tradizionale, costituire una società conferendo ad essa lapinacoteca come patrimonio ed in seguito vendere la società.

Il soggetto, sebbene abbia posto in essere un comportamento lecito ed in quantotale inopponibile, ha eluso le norme tributarie.

Con riferimento al predetto limite, anche laddove il contratto di società venissedichiarato nullo, il fisco non riuscirebbe comunque a riscuotere la tassazione relativa alleplusvalenze derivanti dalla vendita di quadri.

Va inoltre precisato che non tutte le attività elusive consistono nella stipulazione

di un contratto.L’impossibilità di giungere ad una legittima imposizione attraversoun’interpretazione estensiva delle fattispecie previste dal codice civile, hanno spinto illegislatore ad introdurre una norma antielusiva di carattere generale.

Nel nostro ordinamento normazione di tale tipo è rappresentata dall’articolo 37bis del d.p.r. 600 del 1973, che sancisce il principio secondo il quale il fisco può applicarenei confronti del contribuente, che ha posto in essere un’operazione elusiva, ledisposizioni aggirate.

La contestazione dell’elusività di operazioni compiute dai contribuenti èsubordinata alla dimostrazione, da parte del fisco, che si tratti di comportamenti :

- diretti ad aggirare obblighi o divieti ovvero ottenere riduzioni o rimborsi;- tali atti siano indebiti;

__________________________________________________________________(3) Cass., SS.UU., 3 aprile 1989, n 1611, (in tema di applicabilità dell’art 1344c.c.).-  privi di valide ragioni economiche: il soggetto passivo deve aver realizzato

tali attività con il fine esclusivo di evitare il carico fiscale.Il suddetto articolo, inoltre, elenca una serie di operazioni considerate

potenzialmente elusive: trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie edistribuzioni ai soci di somme prelevate dal patrimonio diverse da quelle formate conutili, cessioni di crediti, cessioni di eccedenze d’imposte…(4)

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Risulta utile soffermarsi sull’analisi delle diverse interpretazioni addotte a talearticolo per comprenderne la ratio.

La giurisprudenza della Cassazione e dell’amministrazione finanziaria ritiene chevenga consumata una fattispecie elusiva ogni qual volta il privato abbia posto in essere

un’operazione, prevista ex art. 37 bis, senza una valida ragione economica diversa dalrisparmio fiscale.

L’intento di tale filone di pensiero è quella di sospettare come elusiva ogniattività realizzata con strumenti giuridici per finalità diverse da quelle tradizionali.

Il professore Marcheselli critica tale posizione in quanto il punto focale dell’art.37 bis non è rappresentato tanto dall’espressione “senza una valida ragione economica”,quanto dall’attributo “indebiti”: ragion per cui se il soggetto, avendo un valido motivoeconomico (diverso da quello fiscale), è risultato attore di un’attività elencata dallanorma, non ha commesso elusione.

Secondo il professore, il citato articolo considera consumatasi la fattispecie di

elusione quando il soggetto ha posto in essere tali operazioni allo scopo di perseguirevantaggi o rimborsi contrari ai principi e regole strutturali del diritto tributario; elusionesignifica quindi aggirare le regole cardini del diritto tributario.

E’ stato istituito inoltre l’istituto dell’interpello, consistente nella possibilità per ilcontribuente di chiedere preventivamente al fisco se l’operazione che intende porre inessere abbia carattere potenzialmente elusivo.

__________________________________________________________________(4)Art 37 bis, comma 3, lettere e), f), f-bis), f-ter), f-quater) DPR 600/1973.

1.4  Struttura del tributo.

Nel diritto è sempre prevista una fattispecie (cioè la descrizione di una certa realtàdi fatto), alla quale corrisponde un determinato effetto giuridico secondo quanto previstoda una norma.

Nell’ambito tributario alla fattispecie corrisponde la capacità contributiva, ossiala ricchezza in tutte le sue forme, ed in presenza di essa scatta l’obbligo tributario (ilpagamento).

Il  presupposto è la fattispecie ovvero il fatto manifestativo di capacitàcontributiva correlato ad una data imposta; viene anche definito fatto imponibile o fattogeneratore dell’obbligo di pagare il tributo.

Concetto diverso è l’oggetto dell’imposta, cioè il tipo di ricchezza in sensoeconomico.

Esempio: il presupposto dell’IRPEF è costituito dai redditi come disciplinati dalT.U.; l’oggetto economico è il reddito o il patrimonio o il consumo intesi come tipologiadi ricchezza.

1.4.1 Classificazione delle imposte.

Sulla base del presupposto possono essere effettuate le seguenti classificazioni diimposte:

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 Imposta diretta- imposta indirettaL’imposta è diretta quando ha come presupposto fatti immediatamente

rappresentativi di capacità economica (reddito o patrimonio); esempi: IRPEF, IRPEG,IRES, IRAP…

L’imposta è indiretta quando ha come oggetto fatti non immediatamentecostitutivi di ricchezza: IVA, ICI, imposta di bollo, imposta ipotecaria e catastale,l’imposta sui consumi- quest’ultima ha per oggetto un contratto, fatto che rileva soloindirettamente la ricchezza relativa (il consumo).

Le imposte dirette si distinguono a loro volta in:

 Imposte personali- imposte realiLe prime sono imposte che nella loro determinazione constano anche di elementi

che riguardano il soggetto contribuente (e non solo la ricchezza oggetto dell’imposta).

Esempio: l’imposta sui redditi delle persone fisiche prevede tutta una serie dideduzioni e di detrazioni riferenti alle spese personali (spese mediche, donazioni fatte adenti culturali).

Le seconde non tengono conto delle esigenze, delle spese della persona; sonodefinite esclusivamente in relazione alla ricchezza sottoposta ad imposizione.

 Imposte istantanee- imposte periodicheLe imposte istantanee hanno come presupposto un fatto economico istantaneo,

che non si protrae nel tempo.Esempio: l’imposizione straordinaria sui conti correnti si applica al saldo attivo

del conto in un determinato giorno.

Le imposte periodiche colpiscono un presupposto apprezzato nella durata.Esempio: l’ IRPEF colpisce tutti i redditi prodotti in un anno.Nello Statuto del contribuente vige un principio generale che riguarda le imposte

periodiche e stabilisce che le modifiche legislative che concernono tali imposte nonpossono valere nel periodo in corso.

La struttura del tributo include anche la base imponibile e il tasso.La base imponibile è la grandezza che misura la capacità contributiva manifestata

dal presupposto.Il tasso è costituito dal coefficiente da applicare alla base imponibile per estrarre

da essa l’ammontare dell’imposta.Il tasso può essere un valore fisso ma spesso è un’aliquota, cioè una frazione della

base imponibile.Se l’aliquota consiste in una percentuale unica l’imposta si definisce

proporzionale poiché tanto cresce la base imponibile, tanto crescerà l’imposta.Se il tasso cambia, la relativa imposta è detta progressiva, per cui all’aumentare

della base imponibile aumenterà l’aliquota in modo più che proporzionale.Quest’ultimo sistema di calcolo dell’imposta risulta conforme a quanto previsto

dall’articolo 53 della Costituzione.Un metodo per applicare la progressività è quello rappresentato dalla

 progressività a scaglioni.

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Tale meccanismo consiste nel suddividere la ricchezza in fasce (da 0 ad un certoammontare, da quel valore ad un importo superiore) e a seconda delle fasce, applicare lacorrispettiva aliquota.

Supponiamo che ad esempio un soggetto guadagni Euro 1.200,00 e che

l’attribuzione dei tassi alla relativa imposta segua il seguente schema:

0-1.000 €. Tasso 10%1.000-2.000 €. Tasso 20%2.000-3.000 €. Tasso 30%

L’imposta del privato sarà gravata da un tasso del 10% relativo alla parte deiprimi 1.000, 00 Euro e dal tasso della fascia successiva (20%) in relazione alla parteeccedente i 1.000, 00 Euro (200,00 €.)

Se l’aliquota dovesse scendere, l’imposta si definisce regressiva.

1.5 Esenzioni ed esclusioni.

L’esenzione è l’istituto per cui una fattispecie, rientrante nella definizione delpresupposto, non è soggetta alla corrispondente imposizione tributaria: rappresental’eccezione.

Le operazioni esenti prescindono quindi dall’obbligo di pagare il tributo ma nondagli ulteriori effetti giuridici riferibili a quest’ultimo.

Nell’ambito delle esenzioni si distingue tra: esenzioni soggettive ed oggettive.Le esenzioni soggettive sono concesse in relazione al contribuente (per esempio

le esenzioni tributarie per gli enti religiosi).Le esenzioni oggettive riguardano il bene (per esempio l’esenzione ICI per gliedifici di culto).

L’esclusione ha accezione più radicale, in quanto questa non stabiliscel’eccezione al presupposto bensì ribadisce il confine dello stesso.

SOMMARIO: 2.1. Fattispecie sostitutive e ritenute a titolo d’imposta. 2.2. Sovrimposte eaddizionali. 2.3. I soggetti del rapporto tributario. 2.3.1. Il soggetto attivo. 2.3.2. Ilsoggetto passivo: codice fiscale e domicilio fiscale. 2.4. Obbligazioni plurisoggettive.2.4.1. Casi di plurisoggettività: solidarietà tributaria. 2.5. Notifica degli atti impositivi.

2.1 Fattispecie sostitutive e ritenute a titolo d’imposta.

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Le fattispecie sostitutive sono riferibili a quella situazione passibiledell’applicazione di un’imposta in luogo di quella prevista dal rispettivo regimeoriginario.

Esempio: è prevista un’imposizione sostitutiva per le imprese che erogano credito

all’artigianato e che non pagano imposte quali l’imposta bollo, l’imposta ipotecaria,catastale, l’imposta di registro…L’istituto delle ritenute a titolo d’imposta costituisce un diverso modo di

applicare la stessa imposta ad una fattispecie tributaria.Esempio: la ritenuta può essere effettuata sugli interessi dei conti correnti bancari

riversati a favore del titolare, come conseguenza della disponibilità concessa alla banca diuna certa somma oggetto del c/c.

Siccome tali interessi costituiscono un reddito di capitale, andrebbero dichiaratisul modello 730 e quindi sarebbero suscettibili di tassazione.

Per motivi di praticità, la concretizzazione della tassazione sugli interessi avvieneper opera della banca la quale, nel momento in cui paga gli interessi al cliente, trattienesulla rispettiva somma una quota ‘ritenuta’ a titolo d’imposta.

La differenza intercorrente tra la ritenuta e l’imposta sostitutiva ha naturameramente pratica: laddove una legge stabilisca un’esenzione di una determinata imposta,questa vale anche per la ritenuta corrispondente; tale meccanismo non è estendibile alleimposizioni sostitutive, in quanto trattasi di una tassazione diversa da quella sostituita.

2.2 Sovrimposte e addizionali.

Sovrimposte e addizionali sono sistemi che specificano quella situazione generalein cui uno stesso fatto economico, indice di ricchezza, cade nel fuoco di attenzione didiversi tributi, aventi un presupposto almeno in parte comune.

Nella specie, i suddetti istituti rappresentano ipotesi di imposte versate inaggiunta a una già prevista; la differenza consiste nel modo di calcolarle:

la sovrimposta è l’imposta che ha come base imponibile la base imponibile diun’altra, l’addizionale è invece un’imposta calcolata non sulla base imponibile di un’altraimposta, ma direttamente su quest’ultima.

Esempio: la sovrimposta regionale IRPEF viene calcolata sui redditi dichiarati aifini IRPEF (base imponibile), mentre l’addizionale viene ricavata dall’IRPEF stesso.

Tali meccanismi sono diffusi nelle fiscalità locali per ragioni di praticità.

2.3 I soggetti del rapporto tributario.

Le parti del diritto tributario sono: il creditore tributario (Stato ed enti pubblici) eil debitore (ovvero il soggetto passivo).

2.3.1 Il soggetto attivo.

Il soggetto attivo più importante, anche quantitativamente, è lo Stato;quest’ultimo è così organizzato:

•   Ministro delle finanze: esercente funzioni di indirizzo politico.•   Agenzie: rappresentano l’apparato organizzativo per l’amministrazione

dei tributi. Le agenzie sono quattro: agenzia delle entrate (avente competenza tributariagenerale), agenzia delle dogane (si occupa principalmente dei problemi legati ai dazi

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doganali), agenzia del territorio (gestisce il catasto), agenzia del demanio (non riferibile aldiritto tributario in quanto adibita all’amministrazione dei beni pubblici).

Rileva particolarmente, ai fini tributari, l’Agenzia delle Entrate, persona giuridicadi diritto pubblico centrale, con sede a Roma, avente varie articolazioni territoriali detti ‘

uffici delle entrate ’ (i quali il contribuente adisce per chiarimenti circa problemi dicarattere fiscale).

2.3.2.  Il soggetto passivo: codice fiscale e domicilio fiscale.

La parte passiva del rapporto tributario è essenzialmente rappresentata da:persone fisiche, persone giuridiche in senso stretto, enti non aventi personalità giuridicain senso stretto (come le associazioni non riconosciute, partiti politici, sindacati…).

A ciascun soggetto passivo corrispondono:•  Codice fiscale: espressione alfa-numerica servente all’identificazione del

soggetto.•    Domicilio fiscale: attraverso il quale viene individuato il luogo delle

notifiche in caso di accertamento tributario e l’ufficio delle entrate locale competenteterritorialmente.

L’individuazione dello stesso è correlata alla seguente specificazione posta inessere dalle regole tributarie:

  Soggetti residenti in Italia: se trattasi di persone fisiche, il domiciliofiscale corrisponde al luogo in cui il contribuente è iscritto all’anagrafe; per gli enti si fainvece riferimento all’ubicazione della sede legale.

  Soggetti non residenti: indifferentemente dalla loro natura giuridica, il

domicilio fiscale coincide con il luogo dove si è prodotto il reddito.

2.4 Obbligazioni plurisoggettive.

L’istituto della plurisoggettività tributaria è analogo alla situazione civilistica percui un rapporto obbligatorio concerne più soggetti dal lato attivo o passivo.

In ambito tributario l’ipotesi di plurisoggettività attiva è sostanzialmentemarginale; questo è dipeso dalla particolare struttura che il rapporto obbligatorio,d’imposta, viene ad assumere in questa branca del diritto, in cui il creditore, appunto deltributo, può essere soltanto un solo soggetto: l’ente impositore.

Mentre è frequente nonché problematica la fattispecie in cui più contribuentisono sottoposti ad una medesima imposizione tributaria.

2.4.1 Casi di plurisoggettività: solidarietà tributaria.

La solidarietà tributaria è pressoché simile a quella prevista dal codice civile percui, trattasi di obbligazione solidale quando tutti i co-obbligati sono tenuti a pagarel’intero: il pagamento da parte di uno di essi produce effetti estintivi dell’obbligazione neiconfronti di tutti gli altri.

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Aspetto peculiare di tale istituto è nel vantaggio per il creditore di soddisfare ilproprio credito per l’intero, rivolgendosi ad uno qualsiasi dei suoi debitori.

Quest’ultimo, una volta adempiuto l’intera obbligazione solidale, potrà esercitareil diritto di rivalsa nei confronti degli altri co-obbligati.

Nel contesto tributario si ravvisano due tipi di solidarietà: paritetica e dipendente.Nella solidarietà paritetica si rinviene un vincolo di solidarietà nei confronti di

più debitori, appunto co-obbligati, in cui è a tutti riferibile la realizzazione delpresupposto del tributo, cioè quella fattispecie che denota la capacità contributivagiustificativa del prelievo fiscale ex art 53 Costituzione.

Esempio: sono sottoposti all’imposta di registro in eguale misura le parti di uncontratto di compravendita.

Nell’ipotesi della solidarietà dipendente, detta anche responsabilità d’imposta, illegislatore tributario ha unito con un vincolo di solidarietà per il pagamento del tributo,oltre quei co-obbligati che hanno realizzato la fattispecie principale (il presupposto),

persone le quali, lungi dall’aver realizzato il presupposto, hanno semplicemente posto inessere un’attività collaterale, detta fattispecie secondaria in quanto denotativa dellacapacità contributiva(1).

Con riferimento all’esempio precedente, al pagamento dell’imposta di registroprenderà parte anche il notaio che formalizza la compravendita, anche se non costituenteparte contrattuale; in generale, la responsabilità dei pubblici ufficiali non si estende alpagamento di imposte complementari e suppletive.(2)

__________________________________________________________________________________________________

(1)Art 64,DPR 600/1973: è definito responsabile d’imposta “chi, in forza di

disposizioni di legge, è obbligato al pagamento di un’imposta insieme con gli altri per  fatti e situazioni esclusivamente riferiti a questi…”(2)Art 57, comma 1-2, TU in materia di imposta di registro.La solidarietà dipendente è ravvisabile anche in altri due casi:

1) in materia di imposta sul valore aggiunto: è prevista la responsabilità solidalein capo al rappresentante, residente nel territorio dello Stato italiano (nominato nelleforme previste dall’art 1, comma 4, del DPR 10 novembre 1997, n. 441), di un soggettonon residente, per obblighi e i diritti derivanti dall’applicazione delle norme in materia diIVA relativamente ad operazioni effettuate nel territorio dello Stato da o nei confronti diquest’ultimo (il rappresentato). (3)

2) Nella disciplina della cessione d’azienda: il cessionario è responsabile insolido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti delvalore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioniriferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei dueprecedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche seriferite a violazioni commesse in epoca anteriore.(4) 

La solidarietà dipendente ha suscitato dubbi sulla sua conformità all’art 53 dellaCostituzione (che prevede l’imposizione fiscale solo per i soggetti titolari di capacitàcontributiva); a riguardo la Corte Costituzionale ha ritenuto l’istituto legittimocostituzionalmente purché dettato da ragioni di praticità e conforme al criterio diragionevolezza.

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Le differenze intercorrenti tra le due tipologie di solidarietà non rilevano tanto neirapporti esterni con il fisco, quanto nei rapporti interni tra i condebitori:

- il diritto di regresso spetta all’obbligato solidale paritetico limitatamente alleparti di debito corrispondenti a ciascuno condebitore; il responsabile d’imposta ha azione

di regresso per l’intero.- Il cosiddetto beneficio di escussione è ammesso solo nell’ipotesi di solidarietà

dipendente, per cui si può esigere dal fisco che la riscossione del debito tributario vengarivolta in primis agli altri condebitori e non necessariamente al beneficiario (ilresponsabile d’imposta). La ratio di tale istituto consiste nel cercare di limitare laresponsabilità del co-obbligato che ricopre nel rapporto tributario un ruolo marginale,soggetto non presente in regime di solidarietà paritetica.

__________________________________________________________________(3)Art 17, comma 2, DPR 633/1972.(4)

Art 14, d.lgs., 472/1972.

2.5 Notifica degli atti impositivi.

Come già accennato in precedenza, il fisco ha il vantaggio di poter esigere lariscossione tributaria da uno dei suoi condebitori, notificando solo a questi l’accertamentocontenente la pretesa d’imposta.

In passato si riteneva che codesta notifica, effettuata nei confronti di uno dei co-

obbligati, dispiegasse effetti giuridici anche nei confronti degli altri.Tutto questo per garantire l’unitarietà nella definizione del rapporto fisco-contribuenti (co-obbligati), senza però preoccuparsi degli svantaggi che ciò comportavanei confronti dei secondi, i debitori, le cui posizioni venivano così del tutto penalizzaterispetto al loro creditore, l’Amministrazione finanziaria, e vedendosi, tra l’altro, cosìlimitati nel loro costituzionale diritto di difesa.

Tale meccanismo, detto supersolidarietà, è stato perciò dichiarato dalla CorteCostituzionale incostituzionale, in quanto nessun soggetto può subire gli effetti di unatto di cui non è stato portato a conoscenza.(5)

Sotto questo aspetto rileva la questione relativa all’impugnazione degli attinormativi, effettuabile entro certi termini di decadenza (60 giorni dalla notifica), scaduti iquali l’atto non impugnato diventa definitivo: secondo il vecchio sistema, l’attoprodurrebbe effetti vincolanti non solo nei confronti del destinatario della notifica, bensìanche nei confronti degli altri soggetti co-obbligati, seppur ignari della stessa.

Per ovvie ragioni è prevalsa successivamente la tesi per cui gli atti notificati ad unsoggetto hanno efficacia soltanto nei confronti di quest’ultimo.

Anche questa nuova impostazione ha però creato problematiche non di pococonto, palesabili analizzando la seguente questione: si supponga che il fisco notifichil’atto di accertamento a tutti i condebitori (nella fattispecie due) e uno di essi impugnil’atto in questione, ottenendone l’annullamento, l’altro rimanga inerte (facendo in modoche l’atto di accertamento diventi nei suoi confronti definitivo, ovvero vincolante).

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Il soggetto che non ha impugnato diligentemente e quindi perseguito dal fisco,essendo un obbligato solidale, una volta estinto l’intero debito tributario,

__________________________________________________________________(5)Corte Costituzionale, 16 maggio 1968, n 48.

può intentare un’azione di regresso nei confronti dell’altro co-obbligato relativamente allasua parte (il quale però ha ottenuto l’annullamento dell’atto tributario e quindil’esclusione dal pagamento dell’imposta tributaria); si evince come la situazione possacreare problemi in ordine al principio di eguaglianza.

La giurisprudenza ha cercato di ovviare a tale nodo giuridico prospettando unasoluzione ravvisabile nell’art 1306 c.c. , secondo cui fra più condebitori solidali ilgiudicato favorevole si propaga. (6)

In ragione a ciò, colui che non ha negligentemente impugnato l’atto di

accertamento può comunque opporsi al pagamento dell’imposta solidale, appellandosialla sentenza di annullamento emessa a favore dell’altro co-obbligato. 

Si precisa però che la possibilità di opporre un giudicato favorevole non èammessa se l’obbligato ha anch’egli impugnato l’atto ottenendo però un giudicatocontrario.

La via risolutiva proposta dalla giurisprudenza denuncia un difetto concettuale difondo: questa trasposizione della disciplina civilistica in materia tributaria non tiene contodel fatto che gli atti definitivi fanno stato così come le sentenze.

Attualmente la Cassazione ha tentato di superare il sopra descritto paradossologico con il seguente principio: ogni qual volta che, per effetto della norma tributaria o

 per l’azione esercitata dall’amministrazione finanziaria, l’atto impositivo debba essere osia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione una pluralità di soggetti, e il ricorso proposto da uno o più degli obbligati abbia ad oggettonon la singola posizione debitoria del ricorrente, ma la posizione inscindibilmentecomune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativoimpugnato, ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario aisensi dell’art 14, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992.(7)

In base a ciò, se l’oggetto del ricorso riguarda più soggetti, questi devono esseretutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente adalcuni di essi.__________________________________________________________________

(6) Art 1306 c.c. : “ La sentenza pronunziata tra creditore e uno dei debitori insolido… non ha effetto contro gli altri debitori … Gli altri debitori possono opporla alcreditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore…” 

(7) Cass. , SS.UU., 18 gennaio 2007, n. 1052.

In caso contrario, è ordinata dalla Commissione tributaria l’integrazione delcontraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena didecadenza.

Questa impostazione, però, tende a smontare il fondamento dell’istituto dellasolidarietà, ovvero la facoltà per il fisco di poter soddisfare il credito tributario perl’intero, rivolgendosi ad uno solo dei soggetti passivi obbligati in solido.

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Pertanto, parte della dottrina ritiene che i problemi quì sopra affrontati possanoessere superati soltanto considerando autonomi i vari rapporti tra il singolo condebitore eil fisco.

In ordine al meccanismo di notifica, in generale, può essere colta un’ulteriore

distinzione tra regime di solidarietà paritetica e dipendente: la Cassazione ritienesufficiente notificare al responsabile d’imposta, come primo atto della procedura, un attodella riscossione successivo allo accertamento (necessariamente reso noto all’obbligatosolidale paritetico), in quanto il debito tributario coinvolge essenzialmente i condebitoriprincipali.

Altra regola giurisprudenziale è la cosiddetta interruzione di decadenza. In generale, l’amministrazione, per recuperare le imposte non pagate dal soggetto

passivo, deve notificare l’atto di accertamento entro certi termini di decadenza, a pena dinullità delle sue pretese tributarie.

Con riferimento alle obbligazioni tributarie, la giurisprudenza ha asserito che, al

fine di evitare la decadenza nei confronti di tutti i co-obbligati, sia sufficiente che l’ufficiotributario rispetti tali termini nei confronti di uno solo di essi, conservando così il suopotere pretensivo su tutti gli altri.

La suddetta elaborazione giurisprudenziale risulta opinabile, in quanto adinterrompersi è la prescrizione (cioè un diritto tra soggetti, in posizioni di parità, nonesercitato per lungo tempo).

La decadenza è invece un limite di un potere attribuito ad un soggettosovraordinato, potere che, se non esercitato nei termini, si estingue, per cui i destinataridello stesso non sono più sottoposti a soggezione; ragion per cui asserire che ‘ siinterrompe la decadenza ’ significa tralasciare il fatto che quello dell’amministrazione

finanziaria non è il diritto di un privato bensì il potere di un soggetto pubblico.

LE FATTISPECIE SOSTITUTIVE

Nel diritto tributario le fattispecie sostitutive sono le situazioni nelle quali in luogo diun’imposta, che sarebbe ordinariamente applicabile, se ne applica un’altra insostituzione. In materia di regimi sostitutivi si consideri, ad esempio, l’imposta sostitutivadovuta dagli istituti di credito che effettuano operazioni di credito nel settore

dell’artigianato. Tali istituti, in luogo delle imposte di registro, di bollo, ipotecarie ecatastali sono soggetti ad un’unica imposta. Siamo, dunque, di fronte ad una imposizionesostitutiva.In altri termini, nelle fattispecie sostitutive siamo in presenza di un regime ordinario, unregime, cioè, che prevede che una certa fattispecie debba scontare una certa imposta e diun’eccezione in forza della quale, in certi casi, si applica un’ imposta diversa.Le fattispecie sostitutive hanno una certa somiglianza con le ritenute d’acconto a titolod’imposta. Somiglianza ma non uguaglianza. La ritenuta d’acconto è un modo diverso diapplicare la stessa imposta16; l’imposta sostitutiva è altra imposta. Ne deriva una

16

Esempio: la ritenuta a titolo d’imposta si applica agli interessi dei conti correnti bancari, per cuila banca quando paga i propri clienti trattiene sulla somma medesima una quota ritenuta a titolo

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differenza pratica: nel primo caso se la legge stabilisce una esenzione da quella imposta siè, automaticamente, esenti anche dalla relativa ritenuta; nel secondo caso, invece,l’esenzione dall’imposta A non è automaticamente esenzione dall’imposta B.

SOVRIMPOSTE E ADDIZIONALISpesso lo stesso fatto economico, lo stesso indice di ricchezza, cade nel “fuoco diattenzione” di diversi tributi che possono avere un presupposto, almeno in parte,comune17.Quando parliamo di sovrimposte e addizionali, invece, intendiamo qualcosa di piùspecifico, più tecnico, perché la sovrimposta è l’imposta che come base imponibile ha labase imponibile di un’altra; l’addizionale, invece, è una imposta che è calcolatadirettamente su un’altra imposta.In entrambi i casi qualcosa si aggiunge all’imposta principale, quello che è diverso è ilmetodo di calcolo.

In Italia le sovrimposte e addizionali sono molto diffuse in quanto rendono agevole ilcalcolo, basti pensare che quasi tutta la finanza regionale e comunale si basa su queste,appoggiandosi il comune o la regione a quello che viene calcolato per le imposte suiredditi . La fiscalità locale, salvo l’ICI, è quasi tutta, oramai, di questo tipo.

SOGGETTI DEL RAPPORTO TRIBUTARIOFondamentalmente nel rapporto tributario ci sono due parti, il creditore, soggettopubblico, e il debitore, detto soggetto passivo o impropriamente “contribuente”.

Soggetti attivi

Il soggetto attivo più importante è lo Stato.Lo Stato, come creditore di tributi, ha una struttura organizzativa di questo tipo: al verticesi trova il Ministero delle finanze, avente funzione di indirizzo politico, e, in posizionesubordinata, le Agenzie che sono l’organizzazione amministrativa per la gestione deitributi. Le Agenzie sono quattro:

1.  Agenzia delle entrate, la quale si occupa di quasi tutti i tributi;2.  Agenzia delle dogane che provvede principalmente alle problematiche

concernenti i dazi doganali;3.  Agenzia del territorio, la quale gestisce il catasto;4.  Agenzia del demanio che si occupa della amministrazione dei beni pubblici.

Ai fini del nostro studio rileva per lo più l’Agenzia delle entrate.

L’Agenzia delle entrate è una persona giuridica di diritto pubblico centrale, con sede aRoma, articolata territorialmente tramite uffici delle entrate.

Soggetti passivi

d’imposta. Ecco perché gli interessi sui conti correnti bancari non vanno dichiarati nel modello730.17 Esempio: l’acquisto di uno chalet a poco prezzo e la sua rivendita dopo molti anni, a seguitodella costruzione di impianti sciistici, determina una forte plusvalenza tassabile; non solo, il

contratto di compravendita immobiliare costituisce allo stesso tempo il presupposto dell’impostadi registro.

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Più complicato il discorso per i soggetti passivi. Cos’è la soggettività tributaria? Qualetipo di soggetto può diventare contribuente?I contribuenti possono essere persone fisiche, persone giuridiche nonché enti non aventipersonalità giuridica in senso stretto. Non esistono, in proposito, regole particolari

dedicate all’individuazione dei soggetti passivi che sono, invece, identificati dalle singolenorme tributarie.Il soggetto passivo viene identificato attraverso due elementi fondamentali:

•  il codice fiscale, viene attribuito fin dalla nascita al contribuente alloscopo di identificarlo;

•  il domicilio fiscale18, serve a risolvere alcuni problemi di ordinepratico,in particolare, individua il luogo delle notifiche in caso diaccertamento tributario e prima ancora determina l’ ufficio delle entratecompetente. Il domicilio fiscale dei residenti è nel comune dell’anagrafein cui sono iscritti; per le società e per gli enti è nel comune in cui hanno

la sede legale; i non residenti sono domiciliati nel comune in cui èprodotto il reddito.

Problema della pluri-soggettività tributaria

Nonostante l’ipotesi normale veda un solo creditore contrapposto ad un solo debitore cisono, tuttavia, obbligazioni con più debitori e più creditori. Nel diritto tributario lapluralità di creditori costituisce un problema residuo, più rilevante è l’ipotesi opposta incui sono presenti più soggetti passivi, più contribuenti. Si tratta di un problema complessonel senso che, essendo il procedimento amministrativo molto lungo, più persone possono

essere debitrici in modo molto diverso19

.Se l’ipotesi normale prevede il coinvolgimento, nel procedimento tributario, di piùpersone portatrici della capacità economica, non è da escludere che possano esserecoinvolti anche dei soggetti terzi estranei al fenomeno indice di ricchezza20.Il coinvolgimento di un soggetto estraneo alla capacità contributiva pone, tuttavia,problemi di coordinamento con il principio sancito dall’art 53 Cost.La Corte Costituzionale, tenuto conto della praticità di tale meccanismo, ha consideratolegittimo questo coinvolgimento rispetto al dettato costituzionale purché sia ragionevole.Il caso più importante di pluri-soggettività è quello della solidarietà. Il concetto disolidarietà tributaria, lo stesso previsto dal codice civile21, rappresenta una comodità, un

18Il concetto di domicilio impiegato a fini fiscali diverge da quello civilisticoCfr art.43 c.c. comma primo << Domicilio e residenza. Il domicilio di una persona è nel luogo incui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi >>.19 La presenza di più soggetti nel rapporto tributario crea ulteriori problemi a causa dell’ambiguitàche caratterizza la disciplina tributaria in quanto , laddove non sia specificatamente disciplinatauna certa questione, è dubbio se occorra ricorrere alle norme del codice civile o a quelle del dirittoamministrativo.

20 Esempio: il notaio quale responsabile d’imposta.21 Cfr. art 1292 c.c. << Nozione della solidarietà. L’obbligazione è in solido quando più debitorisono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costrettoall’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri; oppure quando

tra più creditori ciascuno ha diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione el’adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore verso tutti i creditori >>

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vantaggio per il creditore che può rivolgersi ad uno qualsiasi dei debitori per chiederel’intero, fermo restando la possibilità in capo al debitore che ha adempiuto di rivalersi neiconfronti degli altri coobbligati. Nel diritto tributario, così come nel diritto civile, ci sonodue tipi di solidarietà

•  solidarietà paritetica: tutti i debitori sono sullo stesso piano e sonougualmente interessati al fatto imponibile.(esempio: compratore-venditore rispetto all’imposta di registro)

•  solidarietà dipendente o responsabilità d’imposta: non tutti i debitorisono sullo stesso piano; c’è l’obbligato principale e l’obbligatodipendente detto anche responsabile d’imposta (esempio: il notaio, cheredige l’atto di compravendita immobiliare, è anche lui obbligato apagare l’imposta di registro anche se nulla ha a che vedere con ilcontratto22. Non solo, se paga avrà diritto di rivalsa sui clienti perl’intera somma corrisposta mentre l’obbligato solidale paritetico

limitatamente alla sua quota.) Nel diritto tributario una norma appositafornisce la definizione di sostituto e di responsabile d’imposta23.

La solidarietà dipendente, oltre che nel caso del notaio, è ravvisabile in altre due ipotesi:a.  la responsabilità solidale del rappresentante in Italia del soggetto non residente,

che è responsabile dell’ IVA dovuta da quest’ultimo24.b.  la responsabilità solidale del cessionario di azienda25.

Nel diritto tributario, in realtà, la distinzione tra solidarietà paritetica e solidarietàdipendente non è di grande rilevanza nei rapporti tra i debitori e il fisco ma lo è, alcontrario, nei rapporti interni . Tuttavia qualche differenza è pur sempre ravvisabile:

•  è solo rispetto alle ipotesi di solidarietà dipendente che può operare il

beneficio di escussione, in forza del quale è possibile esigere dal fiscoche la riscossione del debito tributario non venga rivoltanecessariamente al responsabile d’imposta, ma in primo luogo agli altricondebitori.

•  al responsabile d’imposta non è necessario notificare tutti gli atti delprocedimento di accertamento, la procedura resta valida anche qualoraquesto soggetto venga coinvolto solo nella fase della riscossione.

Preso atto del fatto che anche nel diritto tributario si manifesta la plurisoggettività passivaè necessario esaminare quale debba essere in tali casi l’atteggiamento del fisco.

22 Cfr art 57 D.P.R 26 Aprile 1986, n°13123 Cfr art 64 D.P.R 29 Settembre 1973, n°600, SOSTITUTO E RESPONSABILED’IMPOSTA. Comma primo << Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento diimposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo d’acconto, deveesercitare la rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso .>> comma terzo << Chi in

 forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri, per fatti osituazioni esclusivamente riferibili a questi, ha diritto di rivalsa.>>Gli elementi centrali della definizione di responsabile d’imposta sono le locuzioni “insieme” ed“esclusivamente,” laddove la prima rappresenta il cuore della solidarietà, mentre la secondaevidenzia la circostanza che il presupposto è estraneo al responsabile d’imposta.

24

Cfr art 17.2 D.P.R 633 del 197225 Cfr art 14 d.lgs 472 del 1972

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Il fisco ha il vantaggio di poter notificare ad uno solo dei condebitori l’accertamento. Inpassato si riteneva che l’avviso di accertamento, notificato ad uno soltanto deicondebitori, fosse efficace nei confronti di tutti i condebitori, per cui se l’atto non eraimpugnato e diventava definitivo si riteneva che gli effetti valessero nei confronti di tutti.

La Corte costituzionale26 ha dichiarato tale meccanismo di “supersolidarietà”incostituzionale per contrasto con l’art 24 Cost27.Anche volendo rovesciare il discorso e sostenere che gli atti notificati ad uno soltanto deicondebitori abbiano efficacia esclusivamente nei suoi confronti, non si riuscirebbe asuperare la censura costituzionale per contrasto con l’art 3 Cost. Nel senso che,proclamando l’autonomia di tutti i rapporti, può accadere che in caso di notifica di unavviso di accertamento a due contribuenti, l’uno impugni, ottenendo l’annullamento,mentre l’altro rimanga inerte subendo gli effetti dell’atto di accertamento divenutodefinitivo nei suoi confronti. A questo punto non è da escludere che il contribuente pigrosi rivalga su chi ha impugnato e ha vinto. Entrambi i contribuenti hanno a rigor di logica

ragione e la giurisprudenza ha trovato un correttivo nell’art 1306 del c.c.28

secondo cui lasentenza può valere anche ultra partes quando sia favorevole al debitore. Tuttavial’estensione degli effetti della sentenza favorevole ad un coobbligato non è ammessa perchi abbia impugnato l’accertamento e sia risultato soccombente.

Un’ulteriore regola elaborata dalla giurisprudenziale è quella della c.d. “interruzione delladecadenza”. La giurisprudenza ritiene che in caso di obbligazioni solidali quando l’avvisonon sia notificato nei termini a tutti sia applicabile l’art 1310 c.c. secondo cui gli atti con i

quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido hanno effettoanche nei riguardi degli altri debitori. Questo orientamento è opinabile perché estende alladecadenza una norma dettata per la prescrizione, per cui dire che si interrompe ladecadenza significa tralasciare la circostanza che l’amministrazione finanziaria ed ilcontribuente non sono in posizione di parità e dimenticare che l’amministrazione, qualesoggetto pubblico, è titolare di un potere e non di un diritto.La Cassazione a Sezioni Unite29, terrorizzata da ingiustizie rispetto a questo problema, èintervenuta in modo rivoluzionario dicendo che nelle obbligazioni solidarie tributarie c’èlitisconsorzio necessario, per cui tutti i condebitori devono essere parte dello stessoprocesso e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi. Questoorientamento non solo svuota di significato la solidarietà ma lascia irrisolta la questionerelativa alla necessità di notificare a tutti gli atti di accertamento.

26 Corte Costituzionale, 16 Maggio 1968, n°4827 Cfr art 24 Cost. comma primo << Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti einteressi legittimi>>. Nel caso di specie la Corte Costituzionale ha riscontrato la lesione del dirittodi difesa dei condebitori nel fatto che l’atto potesse esplicare effetti senza che ad essi fossenotificato e senza consequenziale possibilità di contestazione in giudizio.28 Art. 1306 c.c. << Sentenza.  La sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solidoo tra il debitore e uno dei creditori in solido non ha effetto contro gli altri debitori o contro glialtri creditori. Gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni

  personali al condebitore. Gli altri creditori possono farla valere contro il debitore salve le

eccezioni personali che questi possono opporre a ciascuno di essi. >>29 Cass. SS.UU. 18 Gennaio 2007, n°1052

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Al di là del fatto che la questione sarà sicuramente oggetto di sviluppi ulteriori, possiamofin d’ora notare che è preferibile ragionare in termini di buona fede piuttosto che digiustizia poiché anche colui che abbia ottenuto un giudicato favorevole avrebbe potuto,usando l’ordinaria diligenza, evitare l’azione di regresso chiamando in causa l’altro.

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SOMMARIO: 1.1. La nozione di sostituto d’imposta. – 1.2. Gli obblighi del sostituto d’imposta. – 1.3. Laritenuta a titolo d’imposta. – 1.4. La ritenuta a titolo d’acconto. – 1.5. Le liti sulla sostituzione. – 1.6. Latraslazione e l’accollo di tributi.

1.1 La nozione di sostituto d’imposta.

Normalmente il soggetto passivo dell’obbligazione tributaria è colui in capo al quale si realizza ilpresupposto impositivo. Tuttavia il caso della sostituzione d’imposta deroga a questo schema poiché gliobblighi tributari sono posti in capo ad un soggetto diverso da colui cui va riferito il presuppostoimpositivo, cioè colui che è portatore della capacità contributiva.

I soggetti protagonisti di questo meccanismo sono due: il sostituto che eroga il compenso e poipreleva e trattiene una parte di tale compenso attraverso lo strumento della ritenuta, e il sostituito chepercepisce tale compenso decurtato della quota trattenuta. Quindi il sostituito è il soggetto in capo al quale sirealizza il meccanismo impositivo, mentre il sostituto è il soggetto tenuto all’obbligazione tributaria.

La caratterista peculiare del sostituto d’imposta è quella di essere un debitore di una somma che

costituisce la ricchezza da tassare per il contribuente. Tutte le volte in cui in un’obbligazione tributariavenga coinvolto un soggetto diverso dal portatore della capacità contributiva deve esistere unagiustificazione di ragionevolezza ai fini dell‘art. 53 Cost.30, poiché tale norma non consente di stabilire tributia carico di soggetti diversi da coloro cui si riferiscono i fatti o i presupposti impositivi, salvo semplificazioniche siano ragionevoli. Nel caso della sostituzione d’imposta l’elemento di praticità risiede nel nesso didipendenza che lega il sostituto al sostituito e per lo Stato sarà più agevole pretendere il prelievo tributariodal sostituto anziché dal sostituito.

Le ipotesi tipiche di sostituzione o ritenuta d’imposta sono due:1.   Ritenuta a titolo d’imposta: il rapporto tributario si esaurisce con il pagamento della ritenuta

stessa(Esempio: Sostituzione a titolo di imposta sugli interessi bancari. Sul denaro depositato inbanca si maturano degli interessi che sono soggetti a imposta. La banca, come sostitutod’imposta, decurta da tali interessi maturati una somma a titolo di ritenuta d’imposta);

2.    Ritenuta a titolo d’acconto: è una somma trattenuta e poi versata come acconto oanticipazione delle imposte effettivamente dovute.(Esempio: Ritenuta a titolo di acconto del datore di lavoro. Il datore di lavoro quando paga laretribuzione al lavoratore la decurta di una somma che è un’anticipazione delle imposte chedovrà pagare il lavoratore stesso. Alla fine dell’anno il lavoratore dovrà sommare leretribuzioni lorde ricevute, calcolare su tali retribuzioni l’imposta che dovrà pagare e

sottrarre da tale imposta ciò che ha già pagato tramite la ritenuta).Una parte della dottrina ritiene che rientri nella categoria delle ritenute anche la c.d. ritenuta diretta 

qualificandola come tertium genus e che si ha quando lo Stato sia al contempo debitore del contribuente, maanche creditore del tributo. In realtà in questo caso non si può parlare di ritenuta, ma si è in presenza delmeccanismo civilistico della compensazione31.

Il sostituto d’imposta è definito legislativamente dall’art. 64 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 60032 insieme al responsabile d’imposta, ovvero l’obbligato solidale dipendente.

30“ Art. 53, comma 1, Cost. “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacitàcontributiva”.

31 Art. 1242 c.c. – Estinzione per compensazione – “Quando due persone sono obbligate l'una verso l'altra, i

due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti”.32 Art. 64 D.P.R. n. 600/1973- Sostituto e responsabile d’imposta - “Chi in forza di disposizioni di legge èobbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto,deve esercitare la rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso.

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Il sostituto è “tenuto in luogo di altri”, mentre il responsabile è “tenuto insieme ad altri” alpagamento dell’imposta. In questo caso la legge vuole rimarcare che il responsabile d’imposta, essendo unobbligato solidale, è tenuto alla stessa prestazione, infatti l’espressione “in luogo” significa che sussiste unaprestazione sostitutiva, che è appunto l’effettuare la ritenuta.

Nel caso del sostituto la norma afferma che deve trattarsi di “ fatti riferibili ad altri”, mentre nel caso

del responsabile di “ fatti esclusivamente riferibili ad altri”. Con l’espressione “esclusivamente riferibili” lalegge vuole sottolineare come il responsabile d’imposta sia totalmente estraneo rispetto al presuppostodell’imposta, poiché estraneo alla ricchezza ed estraneo ai fatti che danno luogo alla ricchezza. Il sostituto,invece, è estraneo alla ricchezza, ma è parte del rapporto, perché è un debitore del contribuente.

Nel caso del sostituto la legge afferma che la rivalsa è obbligatoria, nel senso che costui deve dedurrela ritenuta dal compenso del sostituito. Se il sostituto non esercitasse la rivalsa, e quindi non trattenessel’importo della ritenuta pagando al contribuente la retribuzione al lordo, si verificherebbe un’ipotesi dievasione.

Esempio: Supponiamo che il datore di lavoro debba pagare al lavoratore un compenso di 1000assoggettato ad una ritenuta del 10%. La situazione fisiologica sarebbe quella per cui il datore di

lavoro trattenga 100 a titolo di ritenuta e paghi al lavoratore 900 di retribuzione. Supponiamo,invece, che il datore di lavoro trattenga 100 a titolo di ritenuta, ma che alla fine paghi comunque allavoratore una retribuzione di 1000.Quindi: 1000 (al lavoratore) + 100 (di ritenuta) = 1100.In questo caso il datore di lavoro avrebbe dovuto trattenere 110 a titolo di ritenuta.L’art. 23, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973 indica i soli soggetti che possano diventare sostituti

d’imposta tra i quali sono ricomprese entità che di per sé abbiano una certa organizzazione tra cui società,enti diversi dalle persone fisiche, gli imprenditori, i liberi professionisti e il condominio33.

1.2 Gli obblighi del sostituto d’imposta

Principalmente il sostituto d’imposta deve:•  calcolare la ritenuta;•  effettuare la ritenuta (ed è proprio in questo momento che adempie all’obbligo di rivalsa sul

sostituito);•  versare la ritenuta entro breve termine con versamento diretto all’esattoria o alla tesoreria

provinciale competente;•  deve presentare la dichiarazione dei sostituti d’imposta34 in cui devono essere indicate tutte

le ritenute e i versamenti effettuati dal sostituto nell’anno solare precedente;

 Il sostituto ha facoltà di intervenire nel procedimento di accertamento dell’imposta.Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri, per fatti o

situazioni esclusivamente riferibili a questi, ha diritto di rivalsa”.33 Art. 23, comma 1, D.P.R. n. 600/1973 - Ritenuta sui redditi di lavoro dipendente - “ Gli enti e le società

indicati nell’articolo 87, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con Decreto del Presidente della  Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le società e associazioni indicate nell’articolo 5 del predetto testo unico e le persone fisiche che esercitano imprese commerciali, ai sensi dell’articolo 51 del citato testo unico, o imprese agricole,le persone fisiche che esercitano arti e professioni nonché il condominio quale sostituto d`imposta, i qualicorrispondono somme e valori di cui all’articolo 48 dello stesso testo unico, devono operare all’atto del pagamentouna ritenuta a titolo di acconto dell`imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti, con obbligo dirivalsa. Nel caso in cui la ritenuta da operare sui predetti valori non trovi capienza, in tutto o in parte, sui contestuali

  pagamenti in denaro, il sostituito è tenuto a versare al sostituto l’importo corrispondente all’ammontare della

ritenuta”.34 Art. 7 D.P.R. n. 600/1973 – Dichiarazione dei sostituti d’imposta – “  I soggetti indicati nel titolo III, checorrispondono compensi, sotto qualsiasi forma, soggetti a ritenute alla fonte secondo le disposizioni dello stesso titolo,devono presentare annualmente apposita dichiarazione unica, anche ai fini dei contributi dovuti all’Istituto nazionale

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•  deve rilasciare al sostituito un’apposita certificazione che attesti l’ammontare complessivodelle ritenute operate.

1.3 La ritenuta a titolo d’imposta

La ritenuta a titolo d’imposta è una somma sottratta dal reddito ad opera di chi lo eroga, cioè il sostitutod’imposta, e che rappresenta l’intera imposta dovuta. Il contribuente o sostituito non ha quindi piùl’obbligo di dichiarare il reddito in questione. La ritenuta a titolo d’imposta non è altro che un modo diapplicazione di quell’imposta e il sostituito la subisce non solo in relazione al tipo di compenso che gliviene erogato dal sostituto, ma vi è ritenuta a titolo d’imposta ogni volta in cui il soggetto che eroga talecompenso sia uno di quei soggetti tenuti ad effettuare le ritenute ex art. 23, comma 1, del D.P.R. n.600/1973.

Nel caso in cui il compenso erogato dal sostituto al sostituito sia in parte una prestazione in natura ein parte una prestazione in denaro, la ritenuta va imputata esclusivamente alla prestazione in denaro. Se,invece, l’intero compenso sia esclusivamente una prestazione in natura sarà il sostituito a dover anticipare in

denaro l’importo della ritenuta al sostituto.Parlando di omissione di ritenute a titolo d’imposta si possono rilevare due situazioni tipiche.La prima situazione si ha quando il sostituto non abbia applicato la ritenuta e non l’abbia, di

conseguenza, neppure versata al fisco. In questo caso il fisco in sede di accertamento, trattandosi di ritenuta atitolo d’imposta, potrà recuperare solo l’importo della ritenuta evasa insieme alle sanzioni35 e agli interessi.L’accertamento dovrà essere intestato esclusivamente al sostituto poiché i relativi obblighi sono postisolamente a suo carico. Solo dopo aver iniziato la fase di riscossione nei confronti del sostituto il fisco potràeventualmente recuperare l’importo della ritenuta anche dal sostituito36.

La seconda situazione si verifica quando il sostituto abbia applicato la ritenuta, ma non l’abbia poi versataal fisco. Le conseguenze in questo caso ricadranno unicamente sul sostituto poiché il rapporto tributario

tra sostituito e fisco è esaurito dal momento che il sostituito ha effettivamente subito il prelievo tramiteritenuta. Il sostituto in questo caso incorrerà in sanzioni amministrative tributarie e si potrà configurareanche un’ipotesi di reato di omesso versamento delle ritenute.

1.4 La ritenuta a titolo d’acconto

La ritenuta a titolo d’acconto è una somma sottratta dal reddito ad opera di chi lo eroga, cioè il sostitutod’imposta, che rappresenta una parte dell’imposta totale dovuta. I proventi su cui viene operata la ritenutad’acconto concorrono a formare il reddito al lordo della ritenuta, la quale sarà poi confrontata dalsostituito con l’imposta complessiva con diritto al rimborso di eventuali eccedenze di ritenute o con

obbligo di versare ulteriori imposte che risaltassero dovute.Anche nell’ipotesi di ritenute a titolo d’acconto si possono verificare due situazioni tipiche.

La prima situazione si ha quando il sostituto non abbia applicato la ritenuta e non l’abbia, di conseguenza,neppure versata al fisco. In questo caso il sostituito potrà dichiarare i relativi redditi e pagherà l’imposta

 per la previdenza sociale (INPS) e dei premi dovuti all’Istituto nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni sullavoro (INAIL), relativa a tutti i percipienti…”.

35Art. 14 D.lgs n. 471/1997 - Violazioni dell'obbligo di esecuzione di ritenute alla fonte – “Chi non esegue, intutto o in parte, le ritenute alla fonte e' soggetto alla sanzione amministrativa pari al venti per cento dell'ammontarenon trattenuto, salva l'applicazione delle disposizioni dell'articolo 13 per il caso di omesso versamento”.

36

Art.35 D.P.R. n. 602/1973 – Solidarietà del sostituito d’imposta - “Quando il sostituto viene iscritto a ruolo per imposte, sopratasse e interessi relativi a redditi sui quali non ha effettuato né le ritenute a titolo di imposta né irelativi versamenti, il sostituito è coobbligato in solido”.

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interamente sulla base della dichiarazione annuale. Tuttavia in questo caso il sostituto subirà dellesanzioni amministrative per la violazione dell’obbligo di operare le ritenute.

La seconda situazione tipica si realizza nell’ipotesi in cui avendo il sostituto omesso di applicare laritenuta d’acconto, di conseguenza il sostituito si senta tentato di non dichiarare i relativi redditi. In talcaso il fisco potrà rivolgersi sia al sostituto sia al sostituito per ottenere l’adempimento.

1.5 Le liti sulla sostituzione

Fra sostituto e sostituito può nascere conflitto di interessi. Il sostituto generalmente non ha interessea sottrarsi all’obbligo della ritenuta in quanto le relative somme non resterebbero a lui, ma andrebbero incapo al sostituito. Tendenzialmente il sostituto tende a largheggiare e anche in ipotesi dubbie tende lo stessoad effettuare le ritenute ponendo così a carico del sostituito l’onere di chiedere il rimborsoall’amministrazione finanziaria.

Qualora si instauri una lite fra sostituto e sostituito circa l’assoggettabilità o meno di una determinatasomma a ritenuta ci si domanda quale sia la giurisdizione competente.

Sotto un primo profilo si potrebbe ritenere competente alla risoluzione di queste controversie ilgiudice civile. Tuttavia la sentenza civile avrebbe effetto solo tra le parti della lite, cioè fra sostituto esostituito, non potendo quindi essere opponibile anche all’amministrazione finanziaria estranea alla lite civile(si ricadrebbe in questo caso in una di quelle ipotesi di giudicato che non si estende a chi è rimasto fuori dallacausa).

La soluzione più corretta e accreditata dalla maggioranza della giurisprudenza risulta essere quellaper cui le controversie fra sostituto e sostituito siano di competenza delle commissioni tributarie per ilprincipio del litisconsorzio necessario poiché è bene che in giudizio siano presenti tutte le parti interessate, inparticolare il sostituto, il sostituito e l’amministrazione finanziaria.

1.6 La traslazione e l’accollo di tributi

Economicamente può esistere l’interesse di spostare il carico tributario dal soggetto passivo deltributo (o contribuente di diritto) ad un altro (contribuente di fatto) sul quale l’onore finanziario viene adessere riversato dal soggetto tenuto per legge, e ciò è possibile attraverso varie tecniche.

Un metodo molto semplice è quello della c.d. traslazione occulta che si verifica tutte le volte in cui ilcontribuente di diritto in sede di rapporti economico-giuridici con il contribuente di fatto riesca ad inglobarenella prestazione gravante su quest’ultimo una quota corrispondente all’entità dell’obbligazione impositivacui per legge è tenuto.

Esempio: Sul ricavato della vendita di un bene il venditore dovrà pagare delle imposte. Per tenersi

indenne dal pagamento di queste imposte aumenterà il prezzo in base alla quota che immagineràessere quella del tributo. Questo meccanismo non funziona sempre poiché il venditore non sempresarà in grado di valutare di quanto aumentare il prezzo ed è anche possibile che le imposte stessedipendano dal prezzo.Si può fare ricorso anche ad un altro meccanismo di c.d. traslazione palese il cui metodo principale è

l’accollo. In questo caso il contribuente di diritto, attraverso una specifica clausola contrattuale recante“oneri tributari a carico di…”, conviene con il contribuente di fatto affinché quest’ultimo si accolli l’oneredelle prestazione tributaria.

La validità ed efficacia di tali clausole è stata in passato a lungo contestata. Una parte della dottrina edella giurisprudenza si era opposta sulla legittimità di tali clausole ritenendole in contrasto con l’art. 53

Cost., poiché attraverso l’accollo si eluderebbe tale norma imperativa spostando il carico tributario su unsoggetto diverso dall’effettivo titolare della capacità contributiva.

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Secondo altra parte della dottrina gli accolli sarebbero stati validi poiché l’art. 53 Cost. andrebbe intesocome norma di garanzia rivolta allo Stato senza limitare la libertà negoziale dei privati di poter trasferirel’onere tributario ad altri soggetti37.

Attualmente la questione è stata superata dal disposto dell’art. 8, comma 2, dello Statuto dei diritti delcontribuente il quale ha espressamente affermato la validità di accolli d’imposta senza liberazione del

contribuente38. Tale norma non ha però risolto il problema se per effetto dell’accollo l’amministrazionetributaria acquisti un diritto nei confronti del terzo. Tale questione non trova ancora oggi soluzione.

Il tenore letterale della norma afferma che “è valido l’accollo di imposte” sembrando così escludere lapossibilità di accolli di tasse e tributi. Sicuramente tale norma non disciplina l’accollo di sanzioni previstodall’art. 11, comma 6, del D.Lgs. n. 472/1997. In realtà non esiste alcuna ragione per cui dovrebbe essereconsentito l’accollo di imposte e non quello di tasse, di conseguenza la soluzione più accreditata sarebbequella per cui si tratti solo di una imprecisione terminologica.

37 Corte Cass. Sez. Un. 18 dicembre 1985 n. 6445, in Rass. Trib., 1985, II, 15938

Art. 8, comma 2, L. n. 212/2000 - Tutela dell'integrità patrimoniale – “..È ammesso l'accollo del debitod'imposta altrui senza liberazione del contribuente originario…”.

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SOMMARIO: 2.1 Il procedimento tributario. 2.1.1 La struttura del procedimento amministrativo tributario:iniziativa, istruttoria, decisione. 2.1.2 I principi: buona fede, tutela dell’affidamento,

contraddittorio. 2.2 La dichiarazione dei redditi. 2.2.1 Quando deve essere presentata ladichiarazione dei redditi. 2.2.2 Chi deve presentare la dichiarazione dei redditi. 2.2.3 Ilcontenuto della dichiarazione dei redditi. 2.2.4 La firma della dichiarazione dei redditi. 2.2.5Termini di presentazione della dichiarazione dei redditi. 2.2.6 Natura giuridica delladichiarazione dei redditi. 2.2.7 Errori nella dichiarazione dei redditi. 2.2.8 La dichiarazionedel sostituto d'imposta. 2.2.9 Le sanzioni.

2.1 IL PROCEDIMENTO TRIBUTARIO

 2.1.1.  La struttura del procedimento amministrativo tributario: iniziativa, istruttoria, decisione.

Un procedimento è una successione coordinata di atti, una catena di atti, ciascuno dei quali nepresuppone alcuni ed è presupposto di altri.

Tutti i procedimenti amministrativi, ed anche il procedimento amministrativo tributario, hannofondamentalmente una struttura in tre parti: hanno una fase in cui si innescano (l'iniziativa); hanno una frasein cui si verifica qual è l'assetto del fatto di diritto, diciamo che si accerta (l'istruttoria); infine hanno unafase, dove si stabilisce l'esito del provvedimento (la decisione).

L'iniziativa, nel diritto tributario, di solito è degli uffici; fa eccezione la richiesta di rimborso in cui èil contribuente che innesca la procedura.

L'istruttoria ha contenuti molto variabili.Le decisione infine, di norma, si chiama atto di accertamento.In realtà, parlare in generale del procedimento tributario, oltre un certo limite, è un discorso un poco

astratto, perché non tutti i procedimenti tributari sono perfettamente uguali ed anzi, possono svolgersi inmodo anche molto diverso tra loro. In questa sede si delinea la struttura generale.

Possiamo dire che storicamente39 c'è stata una grossa trasformazione, in passato il contribuente eraposto in una veste soltanto passiva e l’iniziativa era attività tutta dell'amministrazione.

La situazione oggi è molto diversa ed il dovere di contribuire alle spese dello Stato è in capo alsingolo soggetto, sia esso persona fisica o giuridica. Al fine di far espletare questo compito si è venuto acreare un sistema tributario in cui l’attività è svolta quasi completamente dai contribuenti.

Se dovessimo dire qual è la vera struttura, perché la più frequente statisticamente, del procedimentotributario tipo, dovremmo affermare che questo funziona sostanzialmente in questo modo: il contribuente sidenuncia, cioè fa una dichiarazione al fisco della sua ricchezza, il fisco controlla, cioè verifica se è stata fattacorrettamente la dichiarazione e solo se emergono irregolarità emette un atto di accertamento. I casi dideviazione da questo schema non mancano, così ad esempio, è possibile che chi, obbligato alladichiarazione, non la presenti, il fisco allora non controllerà una dichiarazione ma si porrà alla ricerca delmancato contribuente.

Nel nostro sistema l'attività tributaria è svolta in gran parte su iniziativa dei privati e più del 70% ditutta la capacità contributiva in Italia, viene intercettata dai sostituti d’imposta.

39

Anticamente era un sistema più semplice, nel senso che non esisteva la dichiarazione dei redditi, non c'eranogli obblighi dei singoli. Sostanzialmente i Re, o comunque lo Stato, esigevano da una comunità delle dazioni, non sicuravano di stabilire il dovuto dell’individuo ma solo di quanto era dovuto complessivamente . L'attività amministrativanon era un accertamento, i compiti dell'amministrazione erano molto ridotti.

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 2.1.2 I Principi: buona fede, tutela dell’affidamento, contraddittorio

Il primo principio del procedimento tributario è quello della buona fede.Nel codice civile si distingue tra buona fede soggettiva e buona fede oggettiva. La buona fede

soggettiva è la convinzione di comportarsi secondo il proprio diritto; la buona fede oggettiva è il comportarsi

oggettivamente correttamente, nel senso che, ad esempio, le parti di un contratto sono tenute a comportarsi inmodo tale da soddisfare le ragioni dell'altra parte, venire incontro alle ragioni dell'altra parte nei limiti in cuiquesto non costituisce un sacrificio. La buona fede oggettiva è quindi una regola di fair-play.

Per il procedimento tributario la buona fede è delineata dall'articolo 10 dello Statuto delContribuente40, che al primo comma fa un’affermazione molto generica, ma importante: " i rapporti tracontribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona

 fede".È un principio generale di grande rilievo, suscettibile di molteplici applicazioni concrete:

contribuente e fisco hanno il dovere di collaborare fattivamente, adottando il comportamento che, a pariefficacia, è meno pregiudizievole per la controparte.

Un'applicazione importante del principio di buona fede, cioè di questo principio di correttezza, è latutela dell'affidamento.

Tutela dell'affidamento significa comportarsi rispettando la legittima aspettativa che si è indottanella controparte con il proprio comportamento.

Nel diritto tributario ci sono applicazioni molto importanti:  se il contribuente ha chiesto precise indicazioni e si è attenuto a quanto indicatogli dagli uffici,

per il principio di buona fede e tutela dell’affidamento il fisco non potrà contraddirsisuccessivamente e tanto meno applicare delle sanzioni.

  se l'amministrazione con una circolare dichiara la non tassabilità di una certa operazione e, sullabase di detta circolare, il contribuente non indica quella operazione nella dichiarazione,

l’amministrazione non potrà poi cambiare idea.Anche il contribuente è tenuto al rispetto del principio di buona fede:è lesivo del principio di correttezza il comportamento del contribuente che, convocato presso l’ufficio afornire spiegazioni sulla propria dichiarazione, si rifiuti di collaborare tacendo, per poter poi dichiarare leproprie ragioni nel giudizio. L’atteggiamento collaborativo del contribuente può comportare un granderisparmio per entrambe le parti: il contraddittorio svolto con correttezza nella fase amministrativa può infatticonvincere il fisco a non proseguire con l’atto di accertamento, evitando tutte le spese conseguenti.

Il secondo comma dell’art. 10 dello Statuto del Contribuente41 fa un’affermazione più specifica:“ Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato aindicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificatedall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fattidirettamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa”.

La norma parla di sanzioni, dice che non si può essere puniti, ma non dice che non si può esseretassati. In realtà la tendenza della giurisprudenza va in questa direzione: se l’amministrazione fornisce unparere al contribuente sulle modalità di tassazione di una certa operazione, e questi si attiene alle indicazioniricevute, qualora l’amministrazione cambi idea , non solo non potrà sanzionare il contribuente, ma nemmenopotrà chiedergli un tributo maggiore.

È un principio molto importante, soprattutto per chi svolge attività imprenditoriale: l’imprenditoredeve poter calcolare tutti i costi di ogni operazione, tra i quali rientrano gli aspetti tributari.

40

L. 27 luglio 2000, n. 212 “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”, in G.U. n. 177 del31/07/200041 L. 27 luglio 2000, n. 212 “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”, in G.U. n. 177 del

31/07/2000.

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Quello della tutela dell'affidamento e della buona fede è un settore in via di espansione; lagiurisprudenza sta ampliando sempre di più, ormai anche a livello di Corte di Cassazione, la tuteladell'affidamento.

Un altro principio del procedimento tributario è il principio del contraddittorio.All’interno del procedimento amministrativo tributario non esiste una norma generale che stabilisca

la doverosità del contraddittorio: tuttavia esso è previsto da norme specifiche.Così è, ad esempio, per l’imposizione fiscale basata su uno studio di settore42, in cui una specifica

norma prevede che il contribuente possa essere convocato per il contraddittorio prima dell’emissionedell’atto di accertamento.

Un'altra norma simile a questa è l'articolo 32 del decreto sull'accertamento43: in materia diaccertamenti bancari, gli uffici devono convocare il contribuente per chiedergli spiegazioni su operazionibancarie ritenute sospette.

Tuttavia la giurisprudenza prevalente ritiene che, anche quando previsto da specifiche norme, ilcontraddittorio non sia necessario: l’atto di accertamento emesso senza preventivo contraddittorio, ècomunque legittimo, perche si sostiene che il contribuente avrà comunque la possibilità di difendersi in

giudizio.La posizione della giurisprudenza è profondamente criticata dalla dottrina che la ritiene sbagliata e

iniqua: il contraddittorio nella fase procedimentale potrebbe persino evitare il processo con i relativi oneriper entrambe le parti.

2.2 LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI

Si è già detto che, di norma, il procedimento tributario inizia con un atto del contribuente che siautosegnala; nel caso del procedimento più importante, le imposte sui redditi, questo atto si chiama

dichiarazione dei redditi.

 2.2.1 Quando deve essere presentata la dichiarazione dei redditi.

La dichiarazione dei redditi si fa con riferimento all'anno solare precedente: nel 2008 si dichiarano iredditi percepiti nel 2007.

 2.2.2 Chi deve presentare la dichiarazione dei redditi.

La dichiarazione dei redditi va presentata da coloro che hanno prodotto dei redditi, anche se nondevono pagare dei tributi (il che è perfettamente possibile quando dal calcolo dell’imposta un contribuente vain pareggio o a credito grazie alla presenza, ad esempio, di oneri deducibili o di crediti degli anni precedenti).

Tuttavia, ci sono dei soggetti che devono presentare la dichiarazione dei redditi anche se non hannoprodotto dei redditi: è il caso dei soggetti tenuti alle scritture contabili. Un avvocato, ad esempio, che è statotutto l'anno precedente inattivo, perché in ferie, deve comunque presentare la dichiarazione dei redditi.Quindi l'obbligo di dichiarazione non dipende né dal fatto di dover pagare le imposte, né, in certi casi, dalfatto di aver prodotto dei redditi.

Per contro, ci sono dei casi in cui un soggetto, pur avendo prodotto dei redditi, non è obbligato apresentare la dichiarazione. È il caso del soggetto che ha percepito solo redditi esenti.

42 Vedi capitolo Studi di Settore.43 DPR 29 settembre 1973, n. 600, “ Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”,

in G.U. 268 supplemento ordinario del 16/10/1973

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I contribuenti che hanno solo redditi da lavoro dipendente (e la prima casa) hanno degli obblighifiscali semplificati, con la possibilità di utilizzare il cosiddetto modello semplificato.

  2.2.3 Il contenuto della dichiarazione dei redditi.

La dichiarazione dei redditi contiene tutti gli elementi attivi e passivi che concorrono a determinare ilreddito complessivo del contribuente.

Un imprenditore, ad esempio, nella dichiarazione dei redditi dovrà indicare per gli elementi attivi: iricavi, cioè i prezzi che ha riscosso per i propri beni o servizi; le plusvalenze, cioè il guadagno dalle venditedi beni strumentali; gli interessi, se aveva dei titoli e ne ha riscosso gli interessi. Per gli elementi passividovrà indicare ad esempio i costi delle retribuzioni, se aveva dei dipendenti.

Si sommano tra loro tutte le voci, per l'importo globale, e si ottiene il reddito lordo.Dal reddito lordo, nella dichiarazione, si sottrae l’insieme degli oneri deducibili, cioè quelle spese,

che riguardano la persona del contribuente, di cui specifiche norme fiscali consentono la deduzione.Con questa operazione si ottiene la base imponibile delle imposte sui redditi, il cosiddetto reddito

netto.Sulla base imponibile, si applica l'aliquota dell'imposta. L'imposta sui redditi si basa sugli scaglioni

progressivi, per cui ad ogni scaglione di reddito corrisponde la relativa aliquota. Per determinare l’impostalorda si dovranno sommare le singole quote di imposta, determinate moltiplicando il reddito di ogniscaglione per la relativa aliquota.

Dall'imposta lorda si devono togliere le detrazioni, cioè quelle spese riguardanti la persona delcontribuente, cui specifiche norme fiscali consentono la detrazione, (ad esempio le spese mediche). Si ottienecosì l’imposta netta a cui si dovrà togliere quanto già pagato cioè gli acconti44 e le ritenute45.

Il risultato finale che si ottiene potrà essere positivo o negativo. Se il risultato è positivo, si versa alloStato il dovuto; se invece il risultato è negativo, o come si dice comunemente si è a credito, si aprono due

possibilità per far valere questo credito nei confronti del fisco: si chiede il rimborso, barrando la casella nelmodulo della dichiarazione, oppure si chiede di riportare questo credito al successivo periodo d’imposta.Il contribuente effettuerà la scelta sulla previsione di utile nel successivo periodo: se riterrà che

anche in futuro continuerà ad essere a credito, sceglierà il rimborso; se invece riterrà che l’anno successivodovrà versare delle imposte, sceglierà di riportare il credito a quel periodo.

I casi di credito del contribuente che risultano dai conteggi precedenti non destano perplessità alfisco che farà i controlli necessari. Ben diverso è il caso per cui il contribuente vanti un credito dovuto adun’interpretazione diversa di una norma che gli imporrebbe una quota di tributi inferiore a quanto giàversato.

Distinzione tra oneri deducibili46 e detrazioniEntrambe le categorie corrispondono a crediti del contribuente. Gli oneri deducibili si deducono dal

reddito, quindi a monte del calcolo dell'imposta. Le detrazioni invece, si detraggono dopo aver calcolatol’imposta.

Gli oneri deducibili sono una variabile che dipende dall’aliquota, le detrazioni invece sono fisse,pertanto gli oneri deducibili comportano un risparmio fiscale maggiore in corrispondenza di una aliquota piùelevata. Le spese mediche ad esempio, sono passate da deduzioni a detrazioni, per far ottenere una maggioreutilità ai contribuenti a basso reddito. Esempi di deduzione possono essere le erogazioni liberali in denaro a

44 Gli acconti sono somme pagate dal contribuente sul futuro reddito. Ad esempio, nel corso del 2008 oltre adichiarare i redditi del 2007, si paga un acconto sui redditi che si prevede si realizzeranno nel 2008, quando poi verrà ilmomento di pagare l’imposta sui redditi del 2008, cioè nel 2009, quello che ho già pagato come acconto dovrà essere

tolto dall’imposta netta.45 Le ritenute sono quegli importi che sono stati dedotti dal sostituto d'imposta.46 Artt. 10 e 10 bis Testo Unico delle Imposte sui Redditi, Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre

1986 n. 917.

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favore dello Stato, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni e di associazioni legalmente riconosciute chesenza scopo di lucro svolgono o promuovono attività di studio, di ricerca e di documentazione di rilevantevalore culturale e artistico.

  2.2.4 La firma della dichiarazione dei redditi.

La dichiarazione deve essere firmata, a pena di nullità, dal contribuente personalmente se personafisica, dal rappresentante e dal presidente del collegio sindacale se soggetto I.R.E.S.

In mancanza di firma, gli uffici invitano il contribuente a provvedere; se questi non adempie, ladichiarazione è nulla, tamquam non esset . Per le società la firma del presidente del collegio sindacale,richiesta per responsabilizzare il collegio, non è requisito di validità: la sua mancanza non comporta nullitàdella dichiarazione, ma la semplice applicazione di una sanzione.

 2.2.5 Termini di presentazione della dichiarazione dei redditi.

Le società soggette all’I.R.E.S. hanno l’obbligo di presentare la dichiarazione entro un mesedall'approvazione del bilancio; gli altri contribuenti devono presentare la dichiarazione entro sei mesi dalperiodo d'imposta.

La dichiarazione presentata entro 90 giorni dalla scadenza dei termini è considerata dichiarazionetardiva: è ancora una dichiarazione valida, cui si applicherà una sanzione.

La dichiarazione presentata oltre 90 giorni dalla scadenza dei termini è considerata dichiarazioneomessa: si applicano sanzioni più severe e si innesca l’accertamento d'ufficio.

Sia la dichiarazione tardiva che quella omessa,( presentata oltre i 90 giorni), costituiscono titolo perla riscossione.

Esistono regole particolari: ad esempio nel caso del soggetto incapace (minorenne), la dichiarazione

deve essere presentata dal suo rappresentante legale; in caso di fallimento ci sono due dichiarazioni, la primariguarda la fase che va dall'inizio del periodo d'imposta sino alla data di apertura del fallimento, la secondariguarda tutto il periodo del fallimento.

  2.2.6 Natura giuridica della dichiarazione dei redditi.

In passato sono state proposte diverse teorie: negozio giuridico, cioè una manifestazione di volontàche produce degli effetti giuridici; prova, in particolare una confessione stragiudiziale; dichiarazione discienza, cioè la comunicazione di un fatto.

Nella consapevolezza che la dichiarazione dei redditi comporta anche delle opzioni, quindi è ancheuna manifestazione di volontà, oggi prevale la convinzione che la dichiarazione sia una dichiarazione di

scienzaAlla dichiarazione di scienza le norme tributarie danno un rilievo procedimentale, i cui effetti

fondamentalmente sono due: la dichiarazione è il titolo della riscossione per il fisco e del rimborso per ilcontribuente, la dichiarazione esonera il fisco dalla motivazione della prova (se il contribuente dichiara diaver percepito dei redditi, l’ufficio non è tenuto a doverlo provare).

  2.2.7 Errori nella dichiarazione dei redditi.

Se il contribuente, in buona fede, è ancora nei termini, può presentare una nuova dichiarazione cheannulla e sostituisce la precedente. Se i termini sono scaduti, ma comunque entro il periodo in cui l'ufficio

può fare l’accertamento, il contribuente può presentare una dichiarazione che si chiama integrativa.Le sanzioni sono ridotte a premiare il contribuente che si autodenuncia.

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L'articolo due comma otto bis del D.P.R. n. 322 del 199847, come modificato dal D.P.R. n. 435/2001,disciplina espressamente l’ipotesi in cui il contribuente abbia sbagliato a suo danno: “ Le dichiarazioni deiredditi, dell'imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possono essere integrate daicontribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'indicazione di un maggior redditoo, comunque, di un maggior debito d'imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare,

secondo le disposizioni di cui all'articolo 3, utilizzando modelli conformi a quelli approvati per il periodod'imposta cui si riferisce la dichiarazione, non oltre il termine prescritto per la presentazione delladichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo. L'eventuale credito risultante dalle predettedichiarazioni può essere utilizzato in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 241del 1997 ”.

  2.2.8 La dichiarazione del sostituto d'imposta.

Non è la dichiarazione dei redditi percepiti dal sostituito d’imposta, ma è la dichiarazione di tutte leritenute effettuate, che permette al fisco di verificare se i soggetti in essa contenuti hanno fatto la loro

dichiarazione.

  2.2.9 Le sanzioni.

Se la dichiarazione è incompleta (cioè se omette qualche elemento) o infedele (cioè se indica deglielementi falsi), si soggiace all'accertamento in rettifica; se la dichiarazione è omessa, si soggiaceall'accertamento d'ufficio.

L'ufficio finanziario può fare due tipi di accertamento: accertamento d'ufficio quando il contribuentenon ha fatto la dichiarazione, accertamento in rettifica quando il contribuente ha fatto dichiarazione cuil'amministrazione non crede. Nel primo tipo di accertamento l'ufficio è più libero nel suo procedere, non

essendo obbligato a confutare voce per voce la dichiarazione o rigo per rigo le scritture contabili.

ISTRUTTORIA

L’istruttoria è quella fase del procedimento tributario in cui si raccolgono le informazioni che sononecessarie a procedere.Abbiamo detto che nel procedimento per l’accertamento delle imposte sui redditi, come quasi in tutti iprocedimenti, a grandi linee si possono distinguere 2 fasi: dichiarazione e controllo.Della dichiarazione abbiamo già parlato nelle lezioni precedenti. In questa sede ci occuperemo dei controlli.In realtà, anche se siamo all’interno dei procedimenti di accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA cisono tante variabili, il procedimento può assumere diverse forme.

Quanto ai procedimenti che la legge adotta per l’attuazione della norma tributaria, la tendenza prevalente dellegislatore in sede di riforma è stata di unificare i sistemi di accertamento e prelievo e di adottare tecnicheprecise secondo modalità precostituite (moduli) nel procedimento applicativo.In linea di massima l’accertamento può avvenire in due modi:-  mediante DICHIARAZIONE dello stesso contribuente la quale viene poi eventualmente controllata ed

integrata a seguito di RATTIFICA dell’ente impositore;-  mediante ACCERTAMENTO D’UFFICIO da parte dello stesso ente impositore.Come si arriva ad accertare la conformità della dichiarazione?

47

Decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n.322 “  Regolamento recante modalità per la  presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive eall'imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell'articolo 3, comma 136, della legge 23 dicembre 1996, n. 662” in G.U. n.208 del 07/09/1998.

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Il primo passo è quello della scelta dei soggetti su cui effettuare il controllo. Tale scelta avviene sulla base didati ed informazioni in possesso dell’amministrazione finanziaria. Allo scopo di ridurre l’evasione fiscale, lariforma tributaria degli anni ’70 ha introdotto l’anagrafe tributaria, ossia un centro di raccolta e dielaborazione, su scala nazionale, dei lati e delle notizie direttamente o indirettamente indicativi della capacitàcontributiva dei singoli soggetti o di smistamento agli uffici preposti all’accertamento e al controllo. Una

volta effettuata la scelta si procederà alla verifica delle informazioni contenute nelle dichiarazioni.I controlli nel sistema attuale assumono notevole rilevanza in quanto quasi tutta la fiscalità si basasull’iniziativa del contribuente. L’amministrazione finanziaria non è in grado di apportare un controllo totalesu tutto il territorio, anche per la numerosità dei contribuenti. Quindi si procede a un CONTROLLO A

CAMPIONE: si scelgono i contribuenti, a campione appunto, sulla base di direttive generali, stabilite dalMinistro dell’economia e della finanza che vengono stabilite all’inizio dell’anno dall’amministrazionefinanziaria, cercando i contribuenti più sospetti (tendenzialmente si andrà a cercare per i controlli sul campocontribuenti appartenenti a categorie che non subiscono la ritenuta, perché le categorie che subiscono laritenuta sono facilmente rintracciabili).Il controllo e la liquidazione delle imposte sui redditi sono stati completamente ridisciplinati dall’art. 13 del

D.Lgs. 241/199748

che ha sostituito gli artt. 36bis e 36ter del D.P.R. 600/1973, separando così le disposizioni

48 Art.13 liquidazione delle imposte sui redditi 1. Nel decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, riguardante l'accertamento delle imposte suiredditi, gli articoli 36-bis e 36-ter sono sostituiti dai seguenti: "Art. 36-bis (Liquidazioni delle imposte, dei contributi,dei premi e dei rimborsi dovuti in base alle dichiarazioni) - 1. Avvalendosi di procedure automatizzate,l'amministrazione finanziaria procede, entro l'inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all'annosuccessivo, alla liquidazione delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti, nonche' dei rimborsi spettanti in base alledichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d'imposta.2. Sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possessodell'anagrafe tributaria, l'Amministrazione finanziaria provvede a:a) correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione degli imponibili, delle

imposte, dei contributi e dei premi;b) correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze delle imposte, dei contributi edei premi risultanti dalle precedenti dichiarazioni;c) ridurre le detrazioni d'imposta indicate in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sullabase dei dati risultanti dalle dichiarazioni;d) ridurre le deduzioni dal reddito esposte in misura superiore a quella prevista dalla legge;e) ridurre i crediti d'imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base deidati risultanti dalle dichiarazione;f) controllare la rispondenza con la dichiarazione e la tempestivita' dei versamenti delle imposte, dei contributi e deipremi dovuti a titolo di acconto e di saldo e delle ritenute alla fonte operate in qualita' di sostituto d'imposta.3. Quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione,l'esito della liquidazione e' comunicato al contribuente o al sostituto d'imposta per evitare la reiterazione di errori e perconsentire la regolarizzazione degli aspetti formali e la comunicazione all'Amministrazione finanziaria di eventuali dati

ed elementi non considerati nella liquidazione.4. I dati contabili risultanti dalla liquidazione prevista nel presente articolo si considerano, a tutti gli effetti, comedichiarati dal contribuente e dal sostituto d'imposta.

Art. 36ter Controllo formale delle dichiarazioni.1. Gli uffici periferici dell'amministrazione finanziaria, procedono, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo aquello di presentazione, al controllo formale delle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d'imposta sullabase dei criteri selettivi fissati dal Ministro delle finanze, tenendo anche conto delle capacità operative dei medesimiuffici (25/l). 2. Senza pregiudizio dell'azione accertatrice a norma degli articoli 37 e seguenti, gli uffici possono: a)escludere in tutto o in parte lo scomputo delle ritenute d'acconto non risultanti dalle dichiarazioni dei sostituti d'imposta,dalle comunicazioni di cui all'articolo 20, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,n. 605, o dalle certificazioni richieste ai contribuenti ovvero delle ritenute risultanti in misura inferiore a quella indicatanelle dichiarazioni dei contribuenti stessi; b) escludere in tutto o in parte le detrazioni d'imposta non spettanti in base ai

documenti richiesti ai contribuenti o agli elenchi di cui all'articolo 78, comma 25, della legge 30 dicembre 1991, n. 413;c) escludere in tutto o in parte le deduzioni dal reddito non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o aglielenchi menzionati nella lettera b); d) determinare i crediti d'imposta spettanti in base ai dati risultanti dalledichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti; e) liquidare la maggiore imposta sul reddito delle persone fisiche e

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in materia di liquidazione da quelle in materia di controllo, precedentemente racchiuse in un unico articolo(36bis). La normativa è stata poi ulteriormente modificata, a decorrere dal 20 marzo 2001, dal D.Lgs. 26-1-2001, n. 32, emanato in attuazione dell’art. 16 della L. 212/2000 (Statuto del contribuente).Ci sono diversi tipi di controllo. Il controllo più semplice consiste nel leggere la dichiarazione dei redditi evedere se la dichiarazione si presenta regolare in sé. Una cosa che è immediatamente controllabile è la

conformità alla legge di quanto dichiarato: per fare questo controllo basta avere la dichiarazione delcontribuente e il Testo Unico delle imposte sui redditi. Altra cosa semplice da controllare è che quanto scrittosulla dichiarazione sia coerente in se stesso: se ci sono delle somme sbagliate per errori di calcolo questesono facili da individuare. Oppure, altra cosa di immediato controllo, è la corrispondenza della dichiarazioneai versamenti effettuati (attraverso le distinte dei versamenti): es. si dichiara un reddito per cui bisognaversare 100 ma si è versato solo 80. Questo è un controllo che si può effettuare immediatamente.Questo primo tipo di controlli, i cd CONTROLLI FORMALI, sono disciplinati dall’art. 36-bis del decreto600/73 sull’accertamento. Questo articolo descrive questa tipologia di controlli in maniera articolata, ma inrealtà sono semplicemente quei controlli che possono essere fatti avendo soltanto come fonti ladichiarazione, gli estremi del versamento e la legge.

Cosa succede se da questi controlli si scopre la non conformità della dichiarazione? L’art. 36-bis descrive laPROCEDURA: l’ufficio deve mandare una comunicazione al contribuente con la quale spiega il problemariscontrato (si sono sbagliati i conti, si sono dedotte le spese che non erano deducibili, ecc.), tecnicamentedefinita CONTESTAZIONE. Da questa contestazione il contribuente ha un termine di 30 giorni per pagare.Se paga subisce delle sanzioni ridotte e la questione si chiude. Se il contribuente non paga inizia laRISCOSSIONE. Il nome del contribuente viene scritto in un atto, che impareremo a conoscere meglio più

avanti, chiamato RUOLO

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(elenco dei debitori). Da questo elenco viene estratta la parte che riguarda ilcontribuente e che si chiama CARTELLA ESATTORIALE. Questa viene notificata al contribuente: o ilcontribuente paga, o viene pignorato, contenente l’intimazione a pagare entro 60 giorni dalla notifica, conl’avvertimento che, in mancanza di pagamento si provvederà all’esecuzione forzata.Questo era il controllo più semplice. Il livello successivo è stabilito dall’art. 36-ter. Questo articolo disciplinacontrolli leggermente più complicati:

  Controllo della corrispondenza delle dichiarazioni con l’importo che risulta dalle dichiarazioni deisostituti d’imposta: controllo incrociato sui dati

  Verifica dei documenti: si possono dedurre o detrarre certe spese che si riferiscono a determinateprestazioni (es. spese mediche), naturalmente bisogna avere dei documenti che attestino queste

i maggiori contributi dovuti sull'ammontare complessivo dei redditi risultanti da più dichiarazioni o certificati di cuiall'articolo 1, comma 4, lettera d), presentati per lo stesso anno dal medesimo contribuente; f) correggere gli errorimateriali e di calcolo commessi nelle dichiarazioni dei sostituti d'imposta. 3. Ai fini dei commi 1 e 2, il contribuente o ilsostituto d'imposta è invitato, anche telefonicamente o in forma scritta o telematica, a fornire chiarimenti in ordine aidati contenuti nella dichiarazione e ad eseguire o trasmettere ricevute di versamento e altri documenti non allegati alladichiarazione o difformi dai dati forniti da terzi. 4. L'esito del controllo formale è comunicato al contribuente o alsostituto d'imposta con l'indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili, delle imposte, delleritenute alla fonte, dei contributi e dei premi dichiarati, per consentire anche la segnalazione di eventuali dati edelementi non considerati o valutati erroneamente in sede di controllo formale.

49 Titolo esecutivo istituito nel 1990 valiso sia per le imposte dirette che per quelle indirette. Il ruolo è l’elenco deidebitori e delle somme da loro dovute formato dall’Ufficio per la Riscossione tramite concessionario (ora Riscossiones.p.a.)

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spese. Con la verifica dei documenti l’ufficio può convocare il contribuente e chiedergli l’esibizionedei documenti che attestano queste spese.

Il presupposto del controllo disciplinato dall’art. 36-ter è diverso rispetto a quello del controllo dell’art. 36-bis, ma la procedura è la medesima. Se si scopre che qualcosa non va l’ufficio lo comunica al contribuenteinvitandolo a mettersi in regola entro 30 gg., se non lo fa viene iscritto al ruolo e gli viene notificata una

cartella esattoriale.Quanto tempo hanno gli uffici tributari per effettuare questi controlli? La cartella di pagamento (atto con cuisi inizia la riscossione) va notificata al contribuente entro il 31 dicembre del 3° anno successivo alladichiarazione per i controlli formali dell’art. 36-bis, entro il 31 dicembre del 4° anno successivo alladichiarazione per i controlli dell’art. 36-ter. Se la cartella esattoriale arriva oltre questi termini è nulla.Che cosa succede se l’ufficio non convoca il contribuente prima di metterlo in riscossione? L’opinione piùcorretta è ritenere che il procedimento in questi casi sia nullo.

I controlli dell’amministrazione finanziaria più significativi in realtà non sono quelli fin ora esaminati:l’amministrazione finanziaria è una pubblica amministrazione e quindi ha poteri di supremazia, di invasione

della sfera privata, di costrizione (il fisco può entrare in casa, nell’azienda, può fare delle domande ochiedere documenti; il contribuente ha l’obbligo di rispondere alle domande e di fornire i documentirichiesti). Questi poteri essendo invasivi della sfera privata quindi necessitano di una garanzia: devono essereprevisti dalla legge (PRINCIPIO DI LEGALITA’). In questo campo poi operano altri 2 principi cheabbiamo visto parlando dei principi generali in materia tributaria: PRINCIPIO DI BUONA FEDE ePRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’ (il fisco non può esagerare, non può fare più di quellonecessario). Un’importante applicazione del principio di proporzionalità e buona fede è che il fisco non puòchiedere al contribuente di consegnare documenti che sono già in suo possesso. Un’altra norma dello Statutodel Contribuente dice, per esempio, che nei controlli fatti nelle aziende non si può stare più di un certonumero di giorni e la finanza deve arrecare il minor disagio possibile al contribuente. Allora è giusto

chiedersi il fisco può fare solo ciò che è espressamente previsto dalla legge? No. I poteri del fisco devonoessere espressamente previsti dalla legge, la supremazia, la costrizione, l’obbligo devono avere una fontelegale. Il che non vuol dire che il fisco non possa fare altro, purché non costringa. Esempio: il finanziere chesi finge cliente del mago guaritore e si introduce nel suo negozio non sta facendo niente di male, sta usandodella fantasia. Quello che non può fare il finanziere è minacciare sanzioni, millantare poteri e ingannare (nelsenso di indurre in errore provocando un danno, ma fingersi un malato cliente del mago guaritore è una bugiama non è una truffa).

Quali sono questi poteri dell’amministrazione finanziaria? Non serve saperli uno per uno, l’importante èsaperli distinguere in categorie. Si distinguono in due categorie:

  POTERI IN UFFICIO, istruttorie ed iniziative in ufficio:1.  inviti a comparire (si invita il contribuente in ufficio per farlo rispondere a delle domande),2.  questionari (si pongono delle domande per iscritto al contribuente),3.  richieste di documenti.

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In questi casi si applica l’art. 6 dello Statuto del Contribuente50 che dice che l’ufficio non può esercitarequesti poteri per acquisire dati, documenti e informazioni di cui è già in possesso. Questo sia per unaragione di economia e anche perché questo atteggiamento sarebbe una tortura per il contribuente, sarebbeun modo per generare soggezione. Le richieste possono essere fatte anche a terzi, non al contribuente. Isoggetti più importanti sono le Banche: si possono chiedere informazioni riguardanti il contribuente alle

Banche e queste non possono opporre il segreto. Il problema, soprattutto in passato, era che non erasemplice stabilire con quale banca il contribuente avesse stipulato un contratto di conto corrente, manormalmente, trovata qualche distinta bancaria o qualche estratto conto nella villa, si andava a fare ilcontrollo in Banca. Normalmente l’evasore fiscale si tutela attraverso rapporti bancari intestati aprestanome o a persone diverse. Un documento che dovrebbe facilitare il controllo adesso è l’anagrafebancaria: a fianco del nome, cognome, codice fiscale, data di nascita del contribuente si ha anche la listadi tutte le banche con cui questo intrattiene dei rapporti. E’ chiaro però che una persona astuta eorganizzata aggira il sistema: si intestano i conti a diverse persone o a prestanome. Per questi inviti c’èun termine per adempiere: se non si ottempera agli inviti è prevista una sanzione pecuniaria. Ma oltre lasanzione pecuniaria che ad un evasore può solo far sorridere, è prevista una sanzione di tipo diverso:

l’oggetto della richiesta da parte dell’ufficio, che il contribuente ha rifiutato di fornire o ha dichiarato dinon avere, non può più essere utilizzato dal contribuente a suo favore nel corso del giudizio. Ilcontribuente può quindi anche scegliere di non collaborare, ma se non collabora tutto quello che c’è negliatti e nei documenti che ha tenuto nascosti non può più utilizzarlo nel momento in cui gli serve, a menoche non dimostri che era stato nell’impossibilità di riprodurle. Perché scatti questa preclusione, questodivieto di utilizzabilità da parte del contribuente, bisogna che la richiesta dell’ufficio sia un minimospecifica. Anche qui si applica il principio di buona fede: l’amministrazione finanziaria non può chiedereal contribuente di fornire tutti i dati che riguardano l’attività economica in modo così generico. Se ilcontribuente non fornisce tutto, l’amministrazione non può poi dire di aver chiesto tutto il materiale e dinon averlo ricevuto. Perché scatti la preclusione occorre che il contribuente non fornisca i documenti

richiesti espressamente dall’amministrazione.

50 Art 6 conoscenza degli atti e semplificazione1. L’amministrazione finanziaria deve assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a luidestinati. A tal fine essa provvede comunque a comunicarli nel luogo di effettivo domicilio del contribuente, qualedesumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione o di altre amministrazioni pubbliche indicate dalcontribuente, ovvero nel luogo ove il contribuente ha eletto domicilio speciale ai fini dello specifico procedimento cui siriferiscono gli atti da comunicare. Gli atti sono in ogni caso comunicati con modalità idonee a garantire che il lorocontenuto non sia conosciuto da soggetti diversi dal loro destinatario. Restano ferme le disposizioni in materia dinotifica degli atti tributari.

2. L’amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possaderivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o

correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito.3. L’amministrazione finanziaria assume iniziative volte a garantire che i modelli di dichiarazione, le istruzioni e, ingenerale, ogni altra propria comunicazione siano messi a disposizione del contribuente in tempi utili e sianocomprensibili anche ai contribuenti sforniti di conoscenze in materia tributaria e che il contribuente possa adempiere leobbligazioni tributarie con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose e più agevoli.

4. Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possessodell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali documenti edinformazioni sono acquisiti ai sensi dell’articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, relativi ai casi diaccertamento d’ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa.

5. Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualorasussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente,a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancantientro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si

applica anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto aquello richiesto. La disposizione non si applica nell’ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contribuente nonè tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui alpresente comma.

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  POTERI SUL CAMPO:1.  ACCESSO: accesso vuol dire entrare nel luogo di attività del contribuente. Ad esempio il

fisco ha la dichiarazione di un ristoratore che dice di guadagnare 1000 all’anno: unaccesso è andare nel ristorante e vedere com’è il locale (la finanza guarda se il locale è

pieno o meno, quanti tavoli ha, guarda la carta dei vini, il loro prezzo, ecc. e si fa un’idea).2.  ISPEZIONE: per accertare una cosa in particolare.3.  VERIFICA: controllo della auto-liquidazione.

Quello che a noi interessa è andare a vedere cosa è specificato dallo Statuto del Contribuente in materiadi poteri sul campo dell’amministrazione finanziaria nell’art. 1251. Accessi, ispezioni e verifiche devonocagionare il minor disagio possibile per il rispetto del principio di proporzionalità e del principio dibuona fede: a parità di risultati si deve scegliere la procedura che arrechi meno fastidio al contribuente.E’ prevista anche una durata massima: l’accesso, l’ispezione e la verifica non possono durare più di 30giorni (al massimo prorogabili di altri 30 giorni). Se questi 30 giorni vengono superati cosa succede? Cisi limita ad un eventuale sanzione di chi ha proceduto o ci sono conseguenze ulteriori? La sanzione di chi

ha proceduto è certa, la questione se l’atto sia invalido o meno è opinabile. Dovrebbe essere consideratoinvalido ma la giurisprudenza sul punto è piuttosto lassista, tende a ritenere che si tratti regole derogabili.Al limite, come giudice tributario, ci si potrebbe spingere a dire che magari c’era qualche circostanzaeccezionale che giustificava il protrarsi del termine, anche se nella legge c’è già scritto che il termine puòessere prorogato al massimo di 30 gg.La disciplina sugli accessi si trova nell’art. 52 del decreto IVA52 

51 Art 12 Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali 1. Tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali,agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo. Essisi svolgono, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, durante l’orario ordinario di esercizio delleattività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse nonchè alle

relazioni commerciali o professionali del contribuente.2. Quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbianogiustificata e dell’oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanziagli organi di giustizia tributaria, nonchè dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasionedelle verifiche.

3. Su richiesta del contribuente, l’esame dei documenti amministrativi e contabili può essere effettuato nell’ufficiodei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta.

4. Delle osservazioni e dei rilievi del contribuente e del professionista, che eventualmente lo assista, deve darsi attonel processo verbale delle operazioni di verifica.

5. La permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sededel contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolarecomplessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede delcontribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal

contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio,per specifiche ragioni.6. Il contribuente, nel caso ritenga che i verificatori procedano con modalità non conformi alla legge, può rivolgersi

anche al Garante del contribuente, secondo quanto previsto dall’articolo 13.7. Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del

processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entrosessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non puòessere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.52 Art 52 del decreto 633/1972 accessi, ispezioni e verificheGli uffici dell'imposta sul valore aggiunto possono disporre l'accesso di impiegatidell'Amministrazione finanziaria nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali,agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazionie ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l'accertamento dell'imposta e per

la repressione dell'evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l'accessodevono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dalcapo dell'ufficio da cui dipendono. Tuttavia per accedere in locali che siano adibitianche ad abitazione è necessaria anche l'autorizzazione del procuratore della

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che stabilisce delle regole a proposito. La prima è che per entrare nelle imprese ci vuole l’autorizzazionedel capo ufficio. Ma ci sono regole più importanti. La prima riguarda l’entrata nelle abitazioni, cioè iluoghi di privata dimora: per entrare nelle abitazioni private serve l’autorizzazione del pubblico

Repubblica. In ogni caso, l'accesso nei locali destinati all'esercizio di arti o professionidovra` essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato.L'accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito,previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizidi violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri,documenti, scritture ed altre prove delle violazioni.E` in ogni caso necessaria l'autorizzazione del procuratore della Repubblica odell'autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l'accesso a perquisizionipersonali e all'apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli esimili e per l'esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali èeccepito il segreto professionale ferma restando la norma di cui all'articolo 103 delcodice di procedura penale.L'ispezione documentale si estende a tutti i libri, registri, documenti e scritture che sitrovano nei locali, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie.I libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l'esibizione non possono esserepresi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell'accertamento in sedeamministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche ladichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione diessi alla ispezione.Di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e lerilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le rispostericevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresentaovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione.Il contribuente ha diritto diaverne copia.I documenti e le scritture possono essere sequestrati soltanto se non è possibileriprodurne o farne constatare il contenuto nel verbale, nonché in caso di mancata

sottoscrizione o di contestazione del contenuto del verbale.I libri e i registri non possono essere sequestrati; gli organi procedenti possonoeseguirne o farne eseguire copie o estratti, possono apporre nelle parti che interessano lapropria firma o sigla insieme con la data e il bollo d'ufficio e possono adottare le cauteleatte ad impedire l'alterazione o la sottrazione dei libri e dei registri.Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche per l'esecuzione di verifiche edi ricerche relative a merci o altri beni viaggianti su autoveicoli e natanti adibiti altrasporto per conto di terzi.In deroga alle disposizioni del settimo comma gli impiegati che procedono all'accessonei locali di soggetti che si avvalgono di sistemi meccanografici, elettronici e simili,hanno facoltà di provvedere con mezzi propri all'elaborazione dei supporti fuori deilocali stessi qualora il contribuente non consenta l'utilizzazione dei propri impianti e delproprio personale.

Se il contribuente dichiara che le scritture contabili o alcune di esse si trovano pressoaltri soggetti deve esibire una attestazione dei soggetti stessi recante la specificazionedelle scritture in loro possesso. Se l'attestazione non è esibita e se il soggetto che l'harilasciata si oppone all'accesso o non esibisce in tutto o in parte le scritture si applicanole disposizioni del quinto comma.Gli uffici dell'I.V.A. hanno facoltà di disporre l'accesso di propri impiegati muniti diapposita autorizzazione presso le pubbliche amministrazioni e gli enti indicati al n. 5)dell'art. 51 allo scopo di rilevare direttamente i dati e le notizie ivi previste e presso leaziende e istituti di credito e l'Amministrazione postale allo scopo di rilevaredirettamente i dati e le notizie relativi ai conti la cui copia sia stata richiesta a norma deln. 7) dello stesso art. 51 e non trasmessa entro il termine previsto nell'ultimo comma ditale articolo o allo scopo di rilevare direttamente la completezza o la esattezza dei dati enotizie, allorché l'ufficio abbia fondati sospetti che le pongano in dubbio, contenuti nella

copia dei conti trasmessa, rispetto a tutti i rapporti intrattenuti dal contribuente con leaziende e istituti di credito e l'Amministrazione postale.Si applicano le disposizioni dell'ultimo comma dell'art. 33 del D.P.R. 29 settembre1973, n. 600, e successive modificazioni.

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ministero e questa può essere data soltanto in presenza di gravi indizi di violazioni. Nel caso degli studiprofessionali l’autorizzazione del PM non è necessaria, è necessaria però se il professionista oppone ilsegreto professionale. Un problema particolare è rappresentato dal fatto che la legge richiede che quandosi effettua un controllo in uno studio professionale ci sia la presenza del professionista o di un suodelegato (la norma dice “..deve avvenire alla presenza di…”). E se il professionista rifiuta di presentarsi

e non nomina un suo delegato? Alla lettera sembrerebbe che in questi casi l’accesso non sia possibile. Lanorma dovrebbe dire che il professionista deve essere messo nelle condizioni di presenziare. Per leperquisizioni, cioè per mettere le mani sul contribuente, o per aprire cose chiuse (casseforti, ecc..) civuole sempre l’autorizzazione del PM.

Come ci si difende se queste regole sono violate? Come ci si difende di fronte ad un’iniziativaillegittima? La prima cosa da chiedersi è se si possa paralizzare questa iniziativa prima che l’autorità lacompia. Esempio: la finanza bussa alla porta della dimora del contribuente pretendendo di entrare senzaautorizzazione del PM. Cosa può fare il contribuente? Può impedire l’ingresso in casa? Se cerchiamo unarisposta dal punto di vista giudiziario non la troviamo facilmente: è difficile trovare un giudice a cui

chiedere di ordinare alla finanza di non entrare. Il giudice più vicino potrebbe essere il giudiceamministrativo perché stiamo parlando di un atto di supremazia, ma non esiste la possibilità di chiederel’inibitoria al giudice amministrativo. In astratto si potrebbe pensare di fare un ricorso al giudice civileperché l’unico strumento generico previsto dalla legge è quello dell’art. 700 C.p.p.53, ma non è chequando arriva la finanza a casa del contribuente per entrare questo possa rivolgersi direttamente algiudice civile. Quindi bloccare l’iniziativa prima con un provvedimento giudiziario è molto difficile.Talaltro a volte non ci sono neanche dei provvedimenti da impugnare: quando la finanza vuole entrarenell’abitazione del contribuente cosa si può impugnare davanti al giudice? Il contribuente non puòbloccare l’iniziativa giuridicamente ma può resistere materialmente? Resistere passivamente si può,resistere violentemente è già più opinabile. In realtà c’è un decreto luogotenenziale del 1944 che dice che

è legittimo resistere alle prepotenze dell’autorità pubblica, ma l’applicabilità di questo decreto è talvoltadiscussa. La resistenza passiva però è ammessa. Vediamo se almeno il contribuente può difendersi dopol’iniziativa illegittima dell’autorità pubblica, dato che non può impedirla prima. Esempio: hanno trovatonascosti nel calzino i rotoli di €, il fisco fa l’accertamento, il contribuente può chiedere l’annullamentodell’accertamento perché l’accesso è avvenuto senza mandato? Problema diverso è se chi ha commessol’abuso sia punibile: sarà punibile ma al contribuente interessa far dichiarare l’accertamento invalido,non gli interessa se il finanziere che ha fatto l’accesso senza mandato verrà punito o meno. Questaquestione divide la giurisprudenza, due sono le tesi:

•  L’atto di accertamento è valido lo stesso (Sezione della Cassazione presieduta da Sceriffi): nonsi può applicare al processo tributario il principio processual-penalistico dell’inutilizzabilità delle

prove illegittimamente acquisite. Questo principio è valido quando si tratta di condannare lagente perché sono necessarie maggiori garanzie, nel processo tributario l’inutilizzabilità non valeperché non è prevista da nessuna norma tributaria.

•  L’atto di accertamento è illegittimo (orientamento ribadito anche dalle Sezioni Unite della Cortedi Cassazione ma successivamente smentito da altra giurisprudenza)

53 Art 700 c.p.p. documenti a sostegno della domanda1. L'estradizione è consentita soltanto sulla base di una domanda alla quale sia allegata copia del provvedimentorestrittivo della libertà personale o della sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla domanda stessa(201 att.). 2. Alla domanda devono essere allegati: a) una relazione sui fatti addebitati alla persona della quale èdomandata l'estradizione, con l'indicazione del tempo e del luogo di commissione dei fatti stessi e della loroqualificazione giuridica; b) il testo delle disposizioni di legge applicabili, con l'indicazione se per il fatto per cui è

domandata l'estradizione è prevista dalla legge dello Stato estero la pena di morte e, in tal caso, quali assicurazioni lostato richiedente fornisce che tale pena non sarà inflitta o, se già inflitta, che non sarà eseguita; c) i dati segnaletici eogni altra possibile informazione atta a determinare l'identità e la nazionalità della persona della quale è domandatal'estradizione.

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Come si risolve il problema? Il fondamento non deve essere ricercato nelle norme del processo penale:l’inutilizzabilità deriva da un’altra fonte. Il procedimento tributario è un procedimento amministrativo. Ilprocedimento amministrativo può esser considerato come una successione di atti e uno dei principi tipicidi questo procedimento è che il vizio di un atto si riverbera su tutti quelli successivi: se è viziato un atto amonte cadono anche gli atti a valle. L’istruttoria viene prima dell’avviso di accertamento: se è viziata

l’istruttoria cade anche l’avviso di accertamento. In linea di principio è corretto l’orientamento delleSezioni Unite della Corte di Cassazione. Questo però non significa che la violazione di tutte le regoledetermina l’invalidità dell’avviso di accertamento, non sempre le scorrettezze dell’istruttoria comportanol’invalidità dell’accertamento. Ci possono essere violazioni più o meno gravi, ma la distinzione piùimportante è un’altra: ci sono regole che tutelano il contribuente e ci sono regole che con la tutela delcontribuente non hanno niente a che vedere. Esempio: gli accessi nelle imprese devono essere autorizzatidal capo dell’ufficio, ma che tutela ha il contribuente dal fatto che l’autorizzazione deve provenire dalcapo dell’ufficio? Non è che questo sia più garantista dell’impiegato, questa è una regola organizzativainterna, se l’ufficio la viola non c’è nessun vizio dell’accertamento perché è una questione organizzativadell’amministrazione. Se invece si tratta dell’autorizzazione del PM per entrare nell’abitazione privata

allora si verifica la funzione di tutela del contribuente: la norma è una norma di garanzia di interessiprivati, se viene violata il contribuente può farla valere. E se per caso il controllo è stato fatto in casa diun terzo? Esempio: il contribuente nasconde tutta la sua contabilità a casa di sua cognata, la finanza va acasa di sua cognata senza l’autorizzazione del PM. La finanza invade la sfera privata della cognata e poifa l’accertamento al contribuente. Il contribuente potrà dolersi del fatto che è stata lesa la sfera privatanon sua, ma di un altro soggetto? Si, perché quello che importa è che ci sia una tutela di interessi privativiolata dall’autorità pubblica. Discorso diverso è quando la norma violata riguardi interessi diversi.Abbiamo già fatto l’esempio dell’autorizzazione del capo dell’ufficio. Vediamone un altro: molto spessogli accertamenti tributari nascono dal processo penale, ad esempio si indaga qualcuno per spaccio didroga, riciclaggio, ecc.. si trova un grosso quantitativo di denaro e si vogliono trasmettere le risultanze

delle indagini penali alla guardia di finanza o agli uffici tributari. C’è una norma che dice che questatrasmissione si può fare solo con l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria che deve valutare se questa siacompatibile con le esigenze delle indagini. La ragione per cui si richiede l’autorizzazione dell’autoritàgiudiziaria è tutelare il segreto dell’indagine. Molto spesso la trasmissione degli atti agli uffici tributariavviene senza questa autorizzazione e il contribuente in questi casi cerca di far annullare l’accertamento.Sulla base di quanto detto sopra (bisogna andare a vedere qual è l’interesse leso) si arriva allaconclusione che il ragionamento del contribuente non è fondato: a lui cosa interessa della necessità disegretezza delle indagini? Nulla. L’autorizzazione del PM deve essere motivata. Cosa succede sel’autorizzazione non è motivata? Dipende da che livello di garanzia si desidera: se riteniamo che il fattoche il PM l’abbia saputo sia una garanzia sufficiente può bastare anche l’autorizzazione non motivata.Ma un’autorizzazione non motivata è anche un’autorizzazione non controllabile (anche se è un atto nonimpugnabile la motivazione serve comunque a sapere perché il PM ha deciso di concedere o menol’autorizzazione). Quali sono le conseguenze della mancata motivazione? Dipende da quanto riteniamoforte la garanzia.

ACCERTAMENTI BANCARI

Abbiamo già detto che vige il principio di trasparenza delle Banche. Una regola strana e bizzarradell’ordinamento tributario la troviamo nell’art. 32 del D.Pr. 600/7354. Questo articolo dice che i dati che

54 Art 32 D.P.R. 600/1973 potere degli uffici; titolo IV accertamenti e controlli[1] Per l'adempimento dei loro compiti gli Uffici delle imposte possono:1) procedere all'esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche a norma del successivo art. 33;

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2)invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati enotizie rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti, anche relativamente alle operazioni annotate nei conti, la cuicopia sia stata acquisita a norma del numero 7), o rilevate a norma dell'articolo 33, secondo e terzo comma . I singolidati ed elementi risultanti dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che

non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche edaccertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario, i prelevamenti annotati negli stessi conti e nonrisultanti dalle scritture contabili. Le richieste fatte e le risposte ricevute devono risultare da verbale sottoscritto anchedal contribuente o dal suo rappresentante; in mancanza deve essere indicato il motivo della mancata sottoscrizione. Ilcontribuente ha diritto ad avere copia del verbale.3)invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai finidell'accertamento nei loro confronti, compresi i documenti di cui al successivo art. 34. Ai soggetti obbligati alla tenutadi scritture contabili secondo le disposizioni del titolo III può essere richiesta anche l'esibizione dei bilanci o rendicontie dei libri o registri previsti dalle disposizioni tributarie. L'ufficio può estrarne copia ovvero trattenerli, rilasciandonericevuta, per un periodo non superiore a sessanta giorni dalla ricezione. Non possono essere trattenute le scritturecronologiche in uso;4)inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell'accertamento neiloro confronti, con invito a restituirli compilati e firmati;

5) richiedere agli organi e alle Amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici non economici, alle società ed enti diassicurazione ed alle società ed enti che effettuano istituzionalmente riscossioni e pagamenti per conto di terzi, ovveroattività di gestione e intermediazione finanziaria, anche in forma fiduciaria, la comunicazione, anche in deroga acontrarie disposizioni legislative, statutarie o regolamentari, di dati e notizie relativi a soggetti indicati singolarmente oper categorie. Alle società ed enti di assicurazione, per quanto riguarda i rapporti con gli assicurati del ramo vita,possono essere richiesti dati e notizie attinenti esclusivamente alla durata del contratto di assicurazione, all'ammontaredel premio e alla individuazione del soggetto tenuto a corrisponderlo. Le informazioni sulla categoria devono esserefornite, a seconda della richiesta, cumulativamente o specificamente per ogni soggetto che ne fa parte. Questadisposizione non si applica all'Istituto centrale di statistica, agli Ispettorati del lavoro per quanto riguarda le rilevazioniloro commesse dalla legge, e, salvo il disposto del n. 7), all'Amministrazione postale, alle aziende e istituti di credito perquanto riguarda i rapporti con i clienti inerenti o connessi all'attività di raccolta del risparmio e all'esercizio del creditoeffettuati ai sensi della legge 7 marzo 1938, n. 141;6) richiedere copie o estratti degli atti e dei documenti depositati presso i notai, i procuratori del registro, i conservatori

dei registri immobiliari e gli altri pubblici ufficiali. Le copie e gli estratti, con l'attestazione di conformità all'originale,devono essere rilasciate gratuitamente;6-bis) richiedere, previa autorizzazione del direttore regionale delle entrate ovvero, per la Guardia di finanza, delcomandante di zona, ai soggetti sottoposti ad accertamento, ispezione o verifica il rilascio di una dichiarazionecontenente l'indicazione della natura, del numero e degli estremi identificativi dei rapporti intrattenuti con aziende oistituti di credito, con l'amministrazione postale, con società fiduciarie ed ogni altro intermediario finanziario nazionaleo straniero, in corso ovvero estinti da non più di cinque anni dalla data della richiesta. Il richiedente e coloro chevengono in possesso dei dati raccolti devono assumere direttamente le cautele necessarie alla riservatezza dei datiacquisiti;7) richiedere, previa autorizzazione dell'ispettore compartimentale delle imposte dirette ovvero, per la Guardia difinanza, del comandante di zona, alle aziende e istituti di credito per quanto riguarda i rapporti con i clienti eall'Amministrazione postale per quanto attiene ai dati relativi ai servizi dei conti correnti postali, ai libretti di depositoed ai buoni postali fruttiferi, copia dei conti intrattenuti con il contribuente con la specificazione di tutti i rapporti

inerenti o connessi a tali conti, comprese le garanzie prestate da terzi; ulteriori dati, notizie e documenti di caratterespecifico relativi agli stessi conti possono essere richiesti con l'invio alle aziende e istituti di credito eall'Amministrazione postale di questionari redatti su modello conforme a quello approvato con decreto del Ministrodelle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro. La richiesta deve essere indirizzata al responsabile della sede odell'ufficio destinatario che ne dà notizia immediata al soggetto interessato; la relativa risposta deve essere inviata altitolare dell'ufficio procedente;8) richiedere ai soggetti indicati nell'articolo 13 dati, notizie e documenti relativi ad attività svolte in un determinatoperiodo d'imposta nei confronti di clienti, fornitori e prestatori di lavoro autonomo nominativamente indicati;8-bis) invitare ogni altro soggetto ad esibire o trasmettere, anche in copia fotostatica, atti o documenti fiscalmenterilevanti concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuente e a fornire i chiarimenti relativi;8-ter) richiedere agli amministratori di condominio negli edifici dati, notizie e documenti relativi alla gestionecondominiale;[2] Gli inviti e le richieste di cui al presente articolo devono essere notificati ai sensi dell'art. 60. Dalla data di notifica

decorre il termine fissato dall'Ufficio per l'adempimento, che non può essere inferiore a quindici giorni ovvero per ilcaso di cui al n. 7) a sessanta giorni. Il termine può essere prorogato per un periodo di trenta giorni su istanzadell'azienda o istituto di credito, per giustificati motivi, dal competente ispettore compartimentale.

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risultano dai conti corrente bancari, prelevamenti e versamenti, o il contribuente li giustifica uno per uno,indicandone il beneficiario e dimostrando che non hanno rilevanza reddituale, o altrimenti sono consideratitutti ricavi. Esempio: T versa 1 milione di euro e preleva 1 milione di euro, se T non dice da dove vengono isoldi, da chi li ha avuti e se non dimostra che non sono manifestazioni di reddito, quei 2 milioni vengonoconsiderati come reddito. L’assurdità di questa norma è che vengono considerati come reddito sia i

versamenti che i prelevamenti. La questione è andata anche alla Corte Costituzionale che con unamotivazione stranissima e fumosissima ha detto che va bene comunque. Talaltro questa norma è consideratadalla giurisprudenza come una presunzione legale: o il contribuente dà la prova contraria o quei dati vengonoconsiderati reddito. Il senso della norma potrebbe stare nel fatto che è evidente che se il contribuente noncollabora, non risponde, è perché sta evadendo, però anche se il contribuente sta evadendo, sta evadendo 1milione e non 2 (secondo l’esempio di prima).

Dopo gli accessi si arriva al P.V.C. (Processo Verbale di Constatazione). Il P.V.C. è semplicemente ilriassunto di quanto è stato fatto durante il controllo e il riassunto di ciò che è uscito dal controllo, cioè dicosa si è scoperto. Il problemi che da il P.V.C. sono 3:

1.  E’ un atto impugnabile? No.2.  E’ legittimo che l’amministrazione finanziaria faccia l’atto di accertamento limitandosi a richiamare

il P.V.C.? Sarebbe molto comodo per l’ufficio. Il D.Pr. 600/73 sull’accertamento (art. 42)55 dice checiò che non è allegato al provvedimento o non è altrimenti conosciuto deve essere riprodottonell’accertamento. Lo Statuto del Contribuente dice però una cosa lievemente diversa l’atto deveessere riprodotto o allegato, quindi non basta che sia conosciuto. Del P.V.C. viene rilasciata unacopia al contribuente, quindi se si segue il D.Pr. 600/73 l’atto non deve essere riprodotto perché è giàconosciuto dal contribuente, se si applica lo Statuto del contribuente bisogna rilasciare un ulteriorecopia dell’atto. Il principio di buona fede implica però che così come l’amministrazione non puòchiedere 2 volte la copia di atti che ha già non può neanche fornire più copie al contribuente di atti

da lui già conosciuti.3.  I processi verbali fatti da un soggetto pubblico fanno prova fino a querela di falso. Ma su cosa fannoprova fino a querela di falso? Fanno prova fino a querela di falso solo le cose che il pubblicoufficiale ha fatto o ha visto accadere sotto i suoi occhi. Quindi, ad esempio, le valutazioni delpubblico ufficiale contenute nel processo verbale non fanno prova fino a querela di falso.

[3] Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agliinviti dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell'accertamento in sedeamministrativa e contenziosa. Di ciò l'ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta.

[4] Le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi inallegato all'atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e iregistri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a luinon imputabile.55 Art 42 D.P.R. 600/1972 avviso di accertamento[1] Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d'ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante lanotificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell'Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato.[2] L'avviso di accertamento deve recare l'indicazione dell'imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquoteapplicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti d'imposta, edeve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e in relazione aquanto stabilito dalle disposizioni di cui ai precedenti articoli che sono state applicate, con distinto riferimento ai singoliredditi delle varie categorie e con la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodiinduttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni. Se la motivazione fa

riferimento ad un altro atto non conosciuto ne' ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all'atto che lorichiama salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale[3] L'accertamento è nullo se l'avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articoloe ad esso non e' allegata la documentazione di cui all'ultimo periodo del secondo comma

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ATTO FINALE DEL PROCEDIMENTO TRIBUTARIO

Il procedimento tributario può finire con l’ATTO DI ACCERTAMENTO. Questo atto è un provvedimentoamministrativo autoritativo che contiene la determinazione in forma autoritativa della pretesa tributaria delfisco. L’atto di accertamento è un eventualità: non è detto che ci sia sempre. Prima di tutto perché il fisco

non controlla tutti, poi quelli che vengono controllati possono anche essere in regola, oppure trattandosi dicontrollo formale si passa direttamente riscossione.Si dice che l’atto di accertamento non sia un provvedimento discrezionale. Cosa intendiamo perdiscrezionalità? Se per discrezionalità intendiamo il bilanciamento tra interessi contrapposti il fisco non puòoperare questo tipo di valutazioni: se la capacità contributiva è 100 non è perché un contribuente è piùsimpatico di un altro che paga di meno. Quindi in questo senso l’atto di accertamento non può essereconsiderato un provvedimento discrezionale. Questo però non vuol dire che gli uffici tributari sono come deirobot che funzionano automaticamente, c’è tutta una serie di valutazioni da fare, dall’interpretazione dellalegge ai ragionamenti, che non sono vincolate dalla legge, tutt’altro. Quindi l’attività dell’amministrazionefinanziaria è un’attività vincolata però è anche un’attività valutativa.

Quali sono i contenuti dell’atto di accertamento? Sostanzialmente 2:  MOTIVAZIONE: è la parte dell’atto che ci dice il perché l’ufficio ha così deciso;  DISPOSITIVO: è la parte dell’atto che dice che cosa l’ufficio ha deciso.

Per le imposte sui redditi la disciplina del dispositivo dell’atto di accertamento si trova nell’art. 42 del D.Pr.600/73: l’atto di accertamento deve contenere l’imponibile (la misurazione della capacità contributiva), lealiquote, l’imposta lorda, le detrazioni, i crediti di imposta, le ritenute e l’imposta netta. L’imponibilenell’avviso di accertamento c’è sempre, ma non è detto che ci siano tutti gli elementi perché è anchepossibile che si faccia un avviso di rettifica in cui non si scopre che il contribuente deve pagare qualcosa, masi scopre che il contribuente si era portato a credito più di quello di cui aveva diritto. Ci può essere quindi unavviso di accertamento senza imposta dovuta.

Che cos’è la motivazione? E’ un discorso che serve a giustificare il provvedimento, che da conto dei motivigiuridici e di fatto della decisione. A cosa serve la motivazione? Innanzitutto serve come tutela delcontribuente che può controllare se è vittima di un ingiustizia oppure no. La motivazione prima che adaiutare il contribuente, serve a controllare l’operato della pubblica amministrazione. Il contenuto dellamotivazione è molto ovvio: ci sono i fatti che si sono accertati (es. il contribuente ha nascosto dei ricavi), sidice come si sono accertati questi fatti (es. si è scoperta una documentazione segreta) e quali norme si sonoapplicate. La motivazione deve esserci per tutti gli atti dell’amministrazione tributaria. Questo è uno deiprincipi più importanti è uno dei principi più disattesi: c’è una categoria di atti, ad esempio le cartelleesattoriali, che tradizionalmente sono sempre molto poco e molto mal motivate. L’art. 42 afferma anche chel’atto di accertamento, oltre alla motivazione, deve indicare qual è l’ufficio a cui rivolgersi per chiarimenti,chi è il responsabile del procedimento, qual è l’autorità competente per l’eventuale riesame, qual è il giudicecompetente e qual è il termine per fare impugnazione. E’ interessante domandarsi che cosa succede se questeindicazioni non ci sono (ad esempio se manca l’indicazione del responsabile del procedimento)? In tutto ildiritto, e anche nel diritto tributario la cosa che conta di più è il buon senso, quindi non tutte le mancanze diun atto amministrativo, anche non tributario, determinano la sua nullità. C’è una norma che prevede la nullitàdell’atto amministrativo nel caso di mancata indicazione del responsabile del procedimento, ma è una normaun po’ sproporzionata. Diverso è il caso in cui nell’atto ci fosse indicato un termine sbagliato per impugnareo il giudice sbagliato. Ad esempio si indica un termine per impugnare di 70 giorni quando invece il termine èdi 60: il contribuente è in buona fede, gli dicono che ha 70 gg. per impugnare e lui impugna il 69° giorno.Cosa succede in questi casi? Nessuna norma afferma come procedere ma ci sembrerebbe corretto ritenerel’impugnazione tardiva giustificata . E’ importante invece il vizio di motivazione: se la motivazione manca onon è sufficiente o è contraddittoria l’atto può essere annullato dal giudice. Una volta preparato, l’atto diaccertamento, va firmato dal responsabile. Senza firma l’atto di accertamento è un pezzo di carta che non

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vale nulla. L’atto di accertamento, anche se firmato, non ha nessun effetto giuridico se non è portato a legaleconoscenza dell’interessato: la procedura per portare l’atto alla legale conoscenza dell’interessato è lanotifica (art. 60 del D.Pr. 600/7356), mediante la consegna al destinatario medesimo (o ad altre personeindicate dalla legge) di una copia conforme dell’originale dell’atto da notificare. Il codice di procedura civiledisciplina diverse ipotesi di notificazione:

1.  in mani proprie (art. 138)2.  nella residenza, nel domicilio o nella dimora (art. 139)3.  presso il domiciliatario (art. 141)4.  a mezzo di servizio postale (art. 149)5.  per pubblici proclami (art. 150).

ACCERTAMENTOINVALIDITA DELL’ATTO DI ACCERTAMENTOAUTOTUTELAEFFETTI DELL’ATTO DI ACCERTAMENTOTIPI DI ACCERTAMENTO

L’ACCERTAMENTO va completato entro un termine didecadenza,

se non si rispetta questo termine l’attodi accertamento è invalido, può essere impugnato e annullato.Il termine è il 31 dicembre del quarto anno successivo alla dichiarazione per gli accertamenti in rettifica.

56 Art 60 notificazioni [1] La notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente è eseguitasecondo le norme stabilite dagli artt. 137 e segg. del Codice di procedura civile con le seguenti modifiche:a) la notificazione è eseguita dai messi comunali ovvero dai messi speciali autorizzati dall'Ufficio delle imposte;b) il messo deve fare sottoscrivere dal consegnatario l'atto o l'avviso ovvero indicare i motivi per i quali il consegnatarionon ha sottoscritto;c) salvo il caso di consegna dell'atto o dell'avviso in mani proprie, la notificazione deve essere fatta nel domicilio fiscale

del destinatario;d) è in facoltà del contribuente di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio del comune del proprio domiciliofiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano. In tal caso l'elezione di domicilio deve risultareespressamente dalla dichiarazione annuale ovvero da altro atto comunicato successivamente al competente Ufficioimposte a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento;e) quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente,l'avviso del deposito prescritto dall'art. 140 del Codice di procedura civile si affigge nell'albo del comune e lanotificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell'ottavo giorno successivo a quellodi affissione;f) le disposizioni contenute negli artt. 142, 143, 146, 150 e 151 del Codice di procedura civile non si applicano.[2] L'elezione di domicilio non risultante dalla dichiarazione annuale ha effetto dal sessantesimo giorno successivo aquello della data di ricevimento della comunicazione prevista alla lettera d) del comma precedente.[3] Le variazioni e le modificazioni dell'indirizzo non risultanti dalla dichiarazione annuale hanno effetto, ai fini delle

notificazioni, dal sessantesimo giorno successivo a quello dell'avvenuta variazione anagrafica o, per le personegiuridiche e le società ed enti privi di personalità giuridica, dal trentesimo giorno successivo a quello della ricezione daparte dell'Ufficio della comunicazione prescritta nel secondo comma dell'art. 36. Se la comunicazione è stata omessa lanotificazione è eseguita validamente nel comune di domicilio fiscale risultante dall'ultima dichiarazione annuale.

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Il termine è invece il 31 dicembre del quarto anno successivo alla dichiarazione per i casi dove manca ladichiarazione.Dal 2006 c’è una norma che stabilisce che in caso di violazione che comporti obbligo di denuncia per unreato tributario i termini d’accertamento relativi all’anno in cui sarebbe stata commessa la violazione sonoraddoppiati.

Quindi il termine è il 31 dicembre dell’ottavo anno.Ci si chiede cosa voglia dire “violazione che comporti obbligo di denuncia”. Se c’è stato reato, si saprà allafine, basta allora che ci sia stata la denuncia per raddoppiare i termini?Sembra un po’ strano, visto che qualcuno un po’ furbo la denuncia potrebbe “inventarsela” così siraddoppierebbero i termini.I termini raddoppiano anche se la denuncia risulta infondata?Difficile dare una risposta, è ovvio che deve esserci un minimo di fondamento, ma se questo fondamento nonc’è proprio?Ci si chiede poi cosa bisogna fare esattamente prima dello scadere del termine.Bisogna NOTIFICARE.

Nel caso di notifica a mezzo posta, la data rilevante è quella di spedizione, la data in cui consegno all’ufficiopostale.È intervenuto a riguardo anche la Corte Costituzionale dicendo che tutti i termini di notifiche via postadevono ritenersi rispettati se si spedisce entro il termine.Nella notifica a mano il termine s’intende rispettato con la consegna al destinatario o ad una delle personeabilitate a ricevere.Ci sono due casi un po’ particolari:

1)  nel comune di domicilio fiscale il soggetto non ha casa o ufficio. È un caso complicato perché non sipuò fare ne consegna ne spedizione . Il procedimento consiste nel depositare una copia dell’atto allacasa del comune, un avviso si affigge nell’albo del comune e si aspettano 8 giorni. All’ottavo giorno

la notifica s’intende perfezionata.2)  Caso più frequente. La notifica è da farsi tramite consegna, ma in casa non c’è nessuno, o comunquec’è qualcuno che però non è disposto a firmare. La procedura prevede che si lasci un avviso sullaporta, si faccia il deposito nella casa comunale e si mandi una raccomandata contenente l’avvisodell’atto depositato. 

In questo caso non è stabilito espressamente quando la notifica s’intende perfezionata, per il professore èperfezionata nel momento della spedizione della raccomandata.INVALIDITA DELL’ATTO D’ACCERTAMENTOIl contribuente può far cadere la pretesa tributaria quando l’atto d’accertamento è invalido.La disciplina generale si ricerca nella legge concernente il procedimento amministrativo legge 241/1990(recentemente riformata).Importanti sono gli articoli 21 septies e 21 octies.L’atto nullo non produce effetti, neanche provvisoriamente.L’atto annullabile produce effetti fino a che non è annullato.Per l’art 21 septies la nullità si ha quando:-  l’atto manca di elementi essenziali-  se c’è difetto assoluto di attribuzione(carenza assoluta di potere) -  l’atto è in violazione del giudicato Nel diritto tributario, il legislatore e la giurisprudenza parlano di nullità nei casi in cui invece ilprocedimento amministrativo e civile parlano di annullabilità.L’atto nullo per il diritto tributario è quello considerato annullabile dal diritto amministrativo.I tributaristi preferiscono parlare di inesistenza per riferirsi a ciò che il diritto amministrativo chiamanullità.

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In che casi l’atto di accertamento è inesistente?-  Quando manca la firma del funzionario;-  Quando si tratta di atti rivolti a soggetti che non esistono; -  L’atto è emesso dall’ufficio territorialmente incompetente; -  L’atto è emesso dopo la scadenza del termine. 

In questo caso l’atto è inesistente o nullo?Il potere dell’amministrazione finanziaria si consuma o no?Il contribuente è soggetto all’amministrazione finanziaria solo fino a che la legge lo dice, scaduto iltermine il potere non esiste più.Altri potrebbero dire cha l’atto anche se tardivo è comunque efficace a meno che non lo si impugni,questo è l’orientamento della giurisprudenza(sentenza della Corte di Cassazione numero 18 o 19 /2007).Tutti siamo sottoposti al fisco per cui l’atto tardivo è invalido ma comunque efficace; bisognerà dunque:-  impugnarlo-  impugnarlo deducendone il vizio già nel ricorso introduttivo Un altro caso di inesistenza si ha quando l’atto non è stato notificato.

L’art 21 octies dice che se l’atto ha violato delle regole di procedimento(formali)ma il suo contenuto ècorretto non può essere annullato.L’unica cosa che rileva è il contenuto, se ho evaso non c’è nulla da fare. Nel caso in cui non ho evasoposso fare qualcosa.In realtà l’art 21 octies non dice che conta solo il contenuto, ma dice che gli atti automatici, cioè quelliche per definizione non possono avere alcun altro tipo di contenuto, non possono essere annullati perragioni formali.Sennonchè l’atto di accertamento è un atto vincolato(si deve rispettare la legge)ma non per questo è unatto automatico.Nell’accertamento tributario ci sono grossi poteri valutativi, quindi l’art 21 octies non si applica

all’accertamento tributario, anche se resta salva la possibilità di far valere tutti i vizi di forma.Un problema particolare resta la motivazione che potrebbe essere considerata inutile.In realtà l’art 42 dice che se manca motivazione l’atto è nullo e poi la motivazione non è solo requisitoformale ma è contenuto essenziale dell’atto.Bisogna però stare attenti a parlare di nullità perché nessun giudice tributario ha mai detto che se mancala motivazione allora l’atto è inesistente.Quindi quella nullità è da considerarsi nel senso dell’annullabilità.

AUTOTUTELAC’è onere di impugnare entro il termine di decadenza, dopo l’atto diventa definitivo.Dal punto di vista giudiziario non posso più farci nulla, ma questo non toglie che non ci sia un’ultimavia.Questa via consiste nel chiedere all’amministrazione di ritirarlo in autotutela(di annullarselo da sola).Quando è possibile questo ritiro?Non è sufficiente che l’atto sia invalido ci vuole qualcosa di più. La pubblica amministrazione ritiral’atto invalido solo in due casi eccezionali:1)  c’è un interesse pubblico a che quell’atto sia ritirato, non basta che quell’interesse pubblico sia

l’illegittimità dell’atto, deve esserci qualcosa di più forte.2)  Se l’atto non è ancora definitivo, l’interesse pubblico a ritirarlo può consistere nella necessità di

risparmiare sui costi del processo che ci sarebbero se si facesse ricorso. 

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3)  Se l’atto è definitivo è più difficile, il ritiro è davvero eccezionale. È avvenuto nel caso del c.d“cartelle pazze”, avviso di accertamenti sbagliati, in quel caso per ragioni di equità la pubblicaamministrazione ritira gli atti. 

EFFETTI DELL’ATTO DI ACCERTAMENTO

L’atto d accertamento contiene la determinazione della pretesa del fisco, e ha effetti solo nei confrontidel destinatario a cui l’atto è stato notificato, non ha mai effetto nei confronti dei terzi, ma li ha neiconfronti degli eredi(che non sono terzi).

TIPI DI ACCERTAMENTO NELLE IMPOSTE SUI REDDITI

Sono i metodi per scoprire le evasioni fiscali, che si cercano nelle leggi.Dall’art 38 al 41 del d.pr 600/1973 si disciplinano i diversi tipi di accertamento.Una prima distinzione è quella tra:

1)  metodi che cercano di scoprire le singole componenti del reddito(analitico)2)  metodi che cercano di accertare il reddito globale tout court(sintetico) I metodi analitici vanno a cercare punto per punto le fonti di reddito per confrontarli con quantodichiaratoI metodi sintetici vanno direttamente al risultato finale, cercando quanto si è guadagnato in quell’anno.Questi metodi partono dalla spesa.Alla base dei metodi sintetici c’è il ragionamento per cui se qualcuno spende è perché guadagna.Se qualcuno spende 100 allora guadagna per 100.Il procedimento è:1)  si inizia a misurare la spesa per certi beni che sono considerati significativi(si seguono cioè certi

indici, come ad esempio:cavalli, barche, donne di servizio…)2)  si cerca di stabilire quella spesa a che parte corrisponde del totale dei redditi 3)  quello che si è speso è davvero reddito? È un tipo di accertamento che è da valutarsi caso per caso, esistono tuttavia delle norme che lodisciplinano dicendo: art 381)l’accertamento si può fare se con esso si arriva ad uno scostamento dal reddito dichiarato di almeno ¼.(Almeno il 25% di più rispetto al dichiarato).2)I redditometri sono tabelle che ipotizzavano redditi rispetto alle spese effettuate. Ci si chiedeva sequesto meccanismo fosse un ‘inversione dell’onere della prova. Era il contribuente a doversi difendere serientrante nel redditometro o è solo un mezzo di cui si avvale l’ufficio?La giurisprudenza riconosce nel redditometro una presunzione legale, per il professore no.3)Il contribuente per difendersi dal redditometro può provare che si tratta di un reddito esente o soggettoa ritenuta a titolo di imposta.Tale norma fa nascere l’equivoco che questo sia l’unico modo che ha il contribuente per difendersi, inrealtà le cause per cui si può avere ragione sono molte di più(non solo perché quel reddito è esente ooggetto di ritenute).La giurisprudenza dice infatti che il contribuente può avvalersi di tutto ciò che vuole per difendersi.

TIPI DI ACCERTAMENTI

Gli accertamenti possono essere induttivi o non induttivi. 

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L’accertamento è induttivo quando si ragiona per induzione, attraverso una presunzione semplice(10tavoli in un bar sempre pieno, visti i prezzi del menù con un calcolo ci si fa un’idea del redditogiornaliero di quel bar).L’accertamento è non induttivo quando c’è una prova diretta che solitamente sono documentali. Quindil’accertamento non è induttivo quando trovo un documento che prova l’evasione(contabilità nera).

Nel meccanismo dell’accertamento tributario c’è stato e c’è tutt’ora un grave problema. In Italia ci sonodue categorie di contribuenti:1)i segnalati sono coloro che ricevono redditi intercettati dai sostituti d’imposta. Sono coloro che nonpossono scappare perché c’è qualcuno che li “segnale”, sono la maggior parte.Sono i lavoratori dipendenti(il datore di lavoro fa la ritenuta, contemporaneamente fa la dichiarazione alsostituto e li segnala dicendo quanto sono stati pagati).Sono segnalati anche i professionisti quando lavorano come società perché la società ha la necessità diridurre i costi della prestazione e quindi richiede la fattura.Per i segnalati l’accertamento funziona bene.2)i sommersi sono coloro che non sono segnalati. Sono piccoli imprenditori, professionisti, chi riceve

dei redditi, ma non da soggetti tenuti alla ritenuta d’imposta. Non c’è nessuno che dice quantoguadagnano.Come si fa a scoprirli?Nel 1973 il legislatore dà una risposta utopistica, tutti devono tenere una rigorosa contabilità in cuiindicare minuziosamente giorno per giorno, quanto si è guadagnato.In realtà la contabilità non serve a tutte le grandi imprese e i grandi contribuenti ne hanno bisogno persapere cosa succede nelle loro aziende, ma per i negozianti non serve un granchè e spesso non la tengonoo la tengono male.Quindi l’idea del legislatore non sembra funzionare, quindi cosa si fa?

LE SCRITTURE CONTABILI

L’art. 39 del D.p.r. 600 del 1973 stabilisce al primo comma che siano tenute le scritture contabili, alsecondo comma specifica però, che in alcuni casi, si può prescindere dalle scritture contabili, ovvero quando:-  il soggetto non è tenuto a redigerle-  non sono attendibili (perché errate)-  presentano gravi irregolarità tali da rendere inattendibile l’intera scrittura contabile.

Maggiori difficoltà si riscontrano nell’accertamento del reddito di piccoli imprenditori e lavoratori

autonomi che non redigono la contabilità in modo sistematico e preciso. Per questo a partire dalla prima metàdegli anni ’80 il legislatore ha introdotto delle normative idonee ad accertare il reddito basandosi sullecaratteristiche estrinseche dell’attività svolta dal soggetto. Si tratta degli ‘studi di settore’ che consistono inun riferimento economico ottenuto attraverso una analisi del settore economico a cui appartiene undeterminato contribuente. I dati utilizzati per l’elaborazione dei singoli studi di settore sono stati ricavatiattraverso la collaborazione delle varie categorie professionali, nonostante sia venuta meno la fase successivadi controllo di coerenza di tali dati con la situazione reale.

Gli studi di settore danno una determinazione presuntiva dei ricavi e dei compensi del contribuente,sono perciò riferiti alla sua capacità potenziale e non reale di produrli. Da questo deriva il problema distabilire la natura degli studi di settore e la relativa difesa del contribuente; si distinguono due tesi:

-  una tesi, sostenuta dal Ministero delle Finanze e dall’Agenzia delle Entrate, afferma che gli studi disettore abbiano valore di presunzione legale per cui il contribuente ha l’onere di provare eventualmentel’inesattezza dei dati predeterminati.

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-  Una seconda tesi ritiene che si tratti di dati generici, calcolati in modo generale da utilizzarsi come baseragionevole di confronto che necessitano di un controllo a posteriori.

È opportuno trovare un compromesso tra questi due orientamenti accostando ai dati emergenti daglistudi di settore un’indagine istruttoria che permetta di verificarne la veridicità. Uno strumento utile è laconvocazione del contribuente, cosiddetta ‘chiamata in contraddittorio’, che potrà aiutare a fare maggior

chiarezza sulla situazione reddituale del soggetto. Durante la convocazione del contribuente questi può nondifendersi oppure difendersi fornendo informazioni al fisco di cui si dovrà verificare l’esattezza. Circa lanecessità del contraddittorio vi sono due diversi orientamenti:-  Il primo ritiene non necessario il contraddittorio perché, anche se mancante, è sempre possibile ricorrere

in giudizio-  Il secondo, sostenuto da una sentenza della Corte di Cassazione (n. 17229 del 2006), reputa che

l’accertamento avvenuto in mancanza di contraddittorio possa essere nullo in quanto non è statoprecedentemente convocato il contribuente.

Attraverso lo strumento del contraddittorio il contribuente può dimostrare l’esistenza di circostanzedi fatto atte a giustificare uno scostamento rispetto ai dati presunti negli studi di settore.

L’accertamento sintetico, il redditometro e gli studi di settore sono strumenti per la ricostruzione delreddito effettivo, ma si tratta pur sempre di una presunzione di fronte alla quale il contribuente può sempredimostrarne l’inesattezza. Sono meccanismi da non confondere con il concetto di reddito normale e con lacatastizzazione del reddito che fanno riferimento al reddito medio tassabile.

Attualmente anche le ricchezze da proventi illeciti sono tassabili. L’unico metodo idoneoall’accertamento di tali ricchezze da reato è l’accertamento sintetico.

I TIPI DI ACCERTAMENTO

Vi sono 4 tipi di accertamento del reddito:-  Accertamento ordinario-  Accertamento parziale (disciplinato dall’art. 41bis del D.p.r. 600 del 1973)-  Accertamento integrativo (disciplinato dall’art. 43 del D.p.r. 600 del 1973)-  Accertamento con adesione (disciplinato dal D. Lgs. n. 218 del 1997)

L’accertamento ordinario è il più comune e si effettua in modo unitario e globale sull’intero reddito.L’accertamento parziale si effettua solo su una porzione dei redditi; si applica in caso di ispezioni,

accessi e verifiche.L’accertamento integrativo presuppone che ci sia già stato un accertamento e che successivamente si

scoprano nuovi elementi. Si può effettuare solo entro i termini di decadenza generali e solo per sopravvenutaconoscenza di nuovi elementi che non fossero già conoscibili al momento del primo accertamento laddove laconoscibilità si valuta attraverso un criterio di diligenza.

L’accertamento con adesione è un avviso fissato in accordo con lo stesso contribuente che vieneinfatti firmato anche da quest’ultimo. L’iniziativa può essere o del contribuente o dell’Ufficio competente(solitamente è di questo). Il contribuente che sta subendo un accesso, un’ispezione o una verifica puòpresentare istanza per ricercare un accordo con l’Amministrazione finanziaria prima che scadano i 60 giornidisponibili per impugnare l’accertamento. Tale istanza sospende il termine fino ad un massimo di 90 giorni.L’accertamento con adesione si conclude con l’apposizione della firma ma si ritiene che il perfezionamentoavvenga al momento del pagamento della somma stabilita nell’accordo. Se non si raggiunge l’accordoricominciano a decorrere i termini per l’impugnazione, se invece si raggiunge l’accordo tale accertamento

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non sarà più impugnabile. L’Ufficio può sempre effettuare successivamente all’accertamento con adesioneun accertamento integrativo se ricorrono alternativamente uno dei due presupposti :-  se la somma derivante dall’accertamento integrativo è superiore del 50% rispetto a quella dedotta

nell’accordo;-  se la somma risultante è superiore a 150 milioni di lire (equivalenti a € 75.500)

Gli effetti favorevoli per il contribuente dell’ accertamento con adesione sono:-  la riduzione della sanzione ad un quarto del minimo,-  la determinazione della somma da pagare attraverso lo stesso perfezionamento dell’accordo.

LA RISCOSSIONE

La riscossione è la fase che permette di incassare i tributi. La maggior parte dei meccanismi diriscossione si basano sulla collaborazione con il contribuente, sono: i versamenti spontanei, i versamentidiretti e le ritenute. Fa eccezione la riscossione coattiva che è ormai piuttosto rara. I versamenti delle impostedirette sono gli acconti e i saldi: alcuni esempi di acconto sono i versamenti effettuati nella dichiarazione dei

redditi per l’anno in corso oppure le ritenute di acconto, i saldi invece sono successivi agli acconti e vannoeseguiti dopo la dichiarazione dei redditi.

La dichiarazione è un titolo idoneo perché il contribuente possa effettuare il versamento, invecel’accertamento non è sufficiente. Il fisco inserisce il nome del contribuente ‘moroso’ in un registro detto‘ruolo’ in cui vi è un elenco di somme da pagare attribuite ciascuna ai nomi dei contribuenti.

La società che si occupa della riscossione è la Riscossioni S.p.A. a cui sono affidate le funzioni di :-  incassare le somme pagate mediante versamento diretto e quello iscritto a ruolo;-  gestire il ‘conto fiscale’ e provvedere ai rimborsi connessi a tale conto;-  provvedere alla esecuzione forzata;-  eseguire i rimborsi.

Le imposte sui redditi sono riscosse mediante ritenuta diretta, versamenti diretti e iscrizione nei ruoli.Il versamento diretto viene effettuato dal contribuente o dal sostituto d’imposta senza che ci sia statal’iscrizione a ruolo.

Le ritenute sono dovute solo per determinati tipi di redditi (è escluso, ad esempio, il reddito diimpresa) e solo per alcune categorie di contribuenti quali i soggetti organizzati, i lavoratori dipendenti e queilavoratori autonomi che percepiscono reddito nella forma di provvigioni, premi di vincite e redditi dicapitale. Nel caso di iscrizione a ruolo del contribuente a quest’ultimo sarà notificato solo un estratto delruolo detto ‘cartella di pagamento’ in cui vengono indicate le modalità e la somma del pagamento. Lacartella di pagamento deve essere motivata, è un atto impugnabile da parte del contribuente e contienel’invito a pagare entro 60 giorni. Perché avvenga l’iscrizione a ruolo deve sussistere un titolo che logiustifichi come ad esempio un avviso di accertamento. Se il contribuente impugna l’avviso di accertamentoverrà comunque iscritta a ruolo una somma pari al 50% del pagamento totale. In seguito al giudizio se ilcontribuente vince la causa gli verrà restituito quel 50% già pagato, se perde in primo grado dovrà pagare idue terzi della somma totale e se perde in secondo grado pagherà l’intero.

I termini per la notifica della cartella di pagamento sono stabiliti all’art. 25 del D.p.r. n.602 del 1973.

GLI INTERESSI 

Gli interessi si applicano se vi è un ritardo nel pagamento, se ne distinguono quattro tipi:-  interessi per il mancato versamento diretto che ammontano al 5%;-  interessi per ritardata iscrizione a ruolo che ammontano al 5%;-  interessi per dilazione di pagamento che ammontano al 6%;

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-  interessi di mora che sono dovuti sulle somme messe a ruolo trascorsi i 60 giorni indicati nella cartella dipagamento e sono calcolati in base ad una percentuale stabilita nei decreti ministeriali.

Successivamente si ricorrerà all’esecuzione forzata, se però questa non iniza entro un anno dallanotificazione della cartella l’Ufficio dovrà emettere un ulteriore atto necessario per effettuare lariscossione forzata detto ‘avviso di mora’.

Il fermo amministrativo dei beni mobili registrati, come disciplinato dall’art. 86 del D.p.r. 602 del1973 è un istituto particolare perché blocca formalmente e non materialmente l’utilizzo del bene.Non è un sequestro conservativo e non ha la funzione cautelare e, è piuttosto un incentivoall’adempimento.

I CREDITI DI IMPOSTA

Riguardano i casi in cui il contribuente è creditore dell’Amministrazione finanziaria, si possonoverificare tre situazioni:-  il contribuente può aver pagato un reddito dal quale era esente;

-  il contribuente ha versato indebitamente una somma superiore a quella dovuta;-  il terzo tipo è quello che identifica in senso stretto i cosiddetti ‘crediti di imposta’. Un esempio è quello

rappresentato dal pagamento effettuato in caso di doppia imposizione internazionale gravante sullostesso reddito. Dall’imposta da pagare in Italia il contribuente dovrà detrarre una somma pari a quantogià versato all’esterno in relazione al valore calcolato sull’importo di ciò che pagherebbe in Italia.

I crediti di imposta si soddisfano attraverso compensazione oppure rimborso. Gli interessi sul tardatorimborso ammontano al 2,5%. L’art. 21 comma 2 del D.p.r. 546 del 1992 indica i termini di decadenzaper chiedere il rimborso: la regola generale prevede due anni dal momento del pagamento,eccezionalmente ci sono regole speciali che prevedono termini differenti come ad esempio l’imposta suiredditi che è fissata a 48 mesi.

Se il fisco non ritiene di dover pagare allora emanerà un atto detto ‘rigetto’, impugnabile dalcontribuente entro 90 giorni. Se il fisco non si pronuncia entro 90 giorni il contribuente potrà fare richiestadirettamente alla Commissione Tributaria entro il termine di prescrizione.

GIUSTIZIA TRIBUTARIA

Tutela giurisdizionale

Nella materia tributaria esiste un giudica speciale ed è corpo delle commissioni tributarie.Le commissioni tributarie sono i giudici del rapporto tributario.Sono organizzate così: ci sono le commissioni tributarie provinciali nelle Province(giudici di primo grado) ecommissioni tributarie regionali (giudici di secondo grado da cui si fa l’appello). Contro la decisione dellacommissione tributaria regionale si va in cassazione. Accanto in maniera residuale alle competenze dellecommissioni tributarie ci sono le funzioni del giudice ordinario(quindi il tribunale e la corte d’appello) e delgiudice amministrativo (cioè il TAR E il consiglio di Stato).

Quando c’e giurisdizione delle commissioni tributarie? 

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È una giurisdizione che negli anni è andata sempre allargandosi ed è disciplinata adesso dall’ art. 2 deldecreto legislativo 546/1992 (decreto che contiene disciplina del contenzioso tributario).Art. 2 : contiene elenco molto lungo, ma la cosa fondamentale è che prevede che la commissione tributariaabbia giurisdizione sui tributi di ogni genere e specie comunque denominati. E’ qui che diventa rilevantestabilire cos’ è un tributo perché stabilire che una cosa è un tributo determina immediatamente la

designazione del giudice che ha la giurisdizione, e cioè la commissione tributaria.Questo articolo ci dice che le controversie sui tributi sono di giurisdizione dei giudici tributari e lo sonoanche le eventuali sovraimposte addizionali e le sanzioni irrogate per violazioni inerenti i tributi.Inoltre aggiunge: “…e comunque le sanzioni applicate dagli uffici finanziari” , quindi indipendentemente dalfatto che si riferiscano a rapporti tributari. Es. le violazioni in materia di lavoro irregolare: chi assumemanodopera straniera violando le norme sulle assunzioni sono sanzioni che non c’entrano niente con lamateria tributaria però sono sanzioni irrogate dagli uffici entrate.L’ art. 102 della costituzione vieta l’ istituzione di giudici speciali: le commissioni tributarie sono unproblema per l’ art. 102, sono state storicamente un problema, ma lo sono ancora tuttora perché il legislatorecon tutta una serie di leggi ha progressivamente ampliato la competenza di queste commissioni attribuendo

alle competenze di queste commissioni sempre più cose e anche cose che non c’entrano niente con i tributi.Ad es. il canone delle occupazioni delle aree pubbliche.La corte costituzionale ha sempre ritenuto che il divieto dell’ art. 102 Cost. sia violato non solo se illegislatore istituisce un giudice che non esisteva prima, ma anche quando le funzioni di un giudice che esistegià siano stravolte, cioè si aggiungono funzioni nuove che non rientravano nel nucleo proprio di queste.Allora qualcuno si è chiesto se tutte le norme introdotte dal 2000, che hanno continuato ad aggiungerefunzioni alle commissioni tributarie, violino l’art. 102 Cost. e a tale interrogativo la Corte costituzionale harisposto di sì con la sentenza del 10/03/’08 n.64. Tale sentenza ha messo per la prima volta un “paletto”sostenendo che non si potranno più aggiungere funzioni alle commissioni tributarie se queste nonriguarderanno tributi, dichiarando così incostituzionale la norma nella parte in cui attribuiva alle competenze

delle commissioni tributarie il canone dell’ occupazione delle aree pubbliche, ma è probabile che ci sarannoa breve altre sentenze che toglieranno alle commissioni tributarie tutte le funzioni non strettamentetributarie.

QUANDO SI VA DAL GIUDICE TRIBUTARIO?

Dal giudice tributario si va SOLO per impugnare certi atti, non si può fare ad es. davanti al giudice tributarioun giudizio di mero accertamento. La giurisdizione tributaria si attiva sempre impugnando unprovvedimento. Questo lo dice l’ art. 19 del d.lvo 546/’92.Anche questo articolo contiene un elenco degli atti impugnabili che si possono così raggruppare:

1.  atto che determina quanto è dovuto: accertamento e avviso di liquidazione (altro nome dell’avviso di accertamento)

2.  atto che irroga le sanzioni3.  atti da riscossione: il ruolo, la cartella di pagamento, avviso di mora

Sono poi elencati tutta un’altra serie di atti tra cui ad es. il diniego o revoca di agevolazioni, diniego dirimborsi (rifiuto espresso o tacito).

2 PROBLEMI SULL’INGRESSO DAVANTI AL GIUDICE TRIBUTARIO:

•  l’elenco dell’ art. 19 è tassativo oppure è possibile impugnare altri atti oltre a quelli elencati?Risposta si è tassativo! Posso impugnare solo gli atti dell’ art.19.

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•  per quali vizi questi atti possono essere impugnati? L’ art. 19 dice solo per vizi propri dell’ attoimpugnato o vizi di atti antecedenti che non sono impugnabili il che vuol dire che se io ricevo un attoche sia viziato ed è impugnabile lo DEVO impugnare (nel senso dell’onere);se mi faccio scappare lepossibilità di impugnare il primo atto non posso poi impugnare quello successivo per il vizio del

primo. Se l’ atto precedente invece non era impugnabile col primo atto impugnabile potròdifendermi.

•  Cosa succede in questa serie di atti quando l’ atto precedente non mi è stato notificato?L’ordinamento tributario è una successione ordinata di atti però è possibile che il primo atto che miviene notificato non è il primo atto (es. mandano avviso di accertamento all’indirizzo sbagliato e poisuccessivamente mi viene notificato all’indirizzo esatto direttamente la cartella di pagamento). Ilpuro e semplice fatto che mi sia stato notificato il secondo atto senza che mi sia stato notificato ilprimo è già un vizio? La giurisprudenza fino qualche tempo fa sosteneva la tesi che non era un vizioe che impugnando il secondo atto avrei potuto far valere anche i vizi che avrei fatto valere

impugnando il primo atto. Questa soluzione però non è soluzione molto equilibrata perché se èprevista la sequenza di una serie di atti non è giusto procedere in modo scorretto e anche perchéfacendo in questo modo l’ amministrazione potrebbe iscrivere tutti a ruolo e poi inviare direttamentela cartella. Il contribuente si trova così informato a cose fatte e in una fase già avanzata tenendoanche presente che gli atti della riscossione sono molto meno motivati dell’ avviso di accertamento ecosì potrei trovarmi ad impugnare una cartella di cui non capisco niente. Ecco allora che lagiurisprudenza comincia a dire no, la mancata notifica dell’ atto precedente è comunque un vizio.Importante perché se io ricevo il secondo atto senza il primo e il contribuente sa di essere in torto favalere il vizio di mancata notifica prendendo così tempo e costringo la procedura a ripartiredall’inizio e magari così nel frattempo i 5 anni per notificare l’ accertamento sono decaduti.

QUANDO C’E’ GIURISDIZIONE DEL GIUDIICE ORDINARIO?

Ormai è ridotta a spazi ristrettissimi perché dal giudice ordinario si va solo nei seguenti casi:

•  quando chiedo risarcimento danni per una riscossione illegittima;•  per fare opposizione agli atti esecutivi (quando c’è già stata esecuzione forzata mi posso lamentare

delle modalità di esecuzione);•  opposizione all’esecuzione, ma non per contestare che il debito non esiste, ma per contestare che i

beni pignorati non erano pignorabili;•  opposizione di terzo, se vengono pignorate cose non mie, ma di un terzo, questo terzo può reclamare

la restituzione delle sue cose.

GIUDICE AMMINISTRATIVO

Questo giudice ha giurisdizione per l’annullamento degli atti amministrativi, evidentemente non hagiurisdizione per l’annullamento degli atti previsti dall’art. 19. Nell’ applicazione dei tributi ci sono atti

amministrativi che non sono impugnabili davanti alla commissione tributaria. La categoria più importante èquella degli atti a carattere generale come i regolamenti, non sono atti singoli rivolti ad una singola personaal quale sono notificati e che può impugnare, ma hanno carattere generale. I regolamenti illegittimi si

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possono far disapplicare dal giudice tributario, ma se voglio farlo annullare nei confronti di tutti ecco unagiurisdizione del TAR.Fuori da questa area ristretta il giudice amministrativo non ha giurisdizione.

QUAL’ E’ LA COMMISSIONE TERRITORIALMTE COMPETENTE?

Quella dove ha sede l’ufficio che ha emesso l’atto. Se faccio ricorso alla commissione sbagliata, lacommissione che ha ricevuto il ricorso si dichiara incompetente, dà un termine per riassumere il giudiziodavanti a quella competente. Dato che il termine per impugnare è di 60 giorni, perciò molto stretto, potrebbeessere rischioso sbagliare commissione, però mi salvo perché la commissione sbagliata mi dà un nuovotermine che non devo assolutamente far decorrere altrimenti il processo si estingue e l’ atto impugnatodiviene definitivo.Posso dare in commissione tributaria da solo o devo essere accompagnato da un difensore?Si può stare in giudizio da soli fino al limite in genere di £ 5.000.000ovviamente possono fare ricorso allacommissione tributaria senza professionista coloro che sono professionisti e che sono avvocati, dottori

commercialisti, ragionieri e questi hanno facoltà di difesa generale o ius postulandi. Poi ci sono professionistiche possono difendere in commissione tributaria solo se si tratta di certe materie (es. ingegneri per lequestioni tributarie).Se vado in commissione tributaria senza difensore, mentre avrei dovuto averlo, tale commissione mi dà untermine per munirmi di un difensore. Anche qui se lascio decorrere inutilmente il temine il ricorso vienedichiarato inammissibile.

CHI E’ LA CONTROPARTE DEL CONTRIBUENTE?

Gli uffici delle agenzia delle entrate che possono stare in giudizio senza difensore. C’è la possibilità di farsi

difendere dall’avvocatura di Stato solo dal grado di appello.

 LITISCONSORZIO NECESSARIO

Normalmente c’è contribuente e amministrazione finanziaria. Ci sono casi in cui il processo non puòsvolgersi se non con la presenza di più parti. Es. la sentenza delle Sez. Unite ritiene che ci sia litisconsorzionecessario nel caso di obbligati solidali.

COME SI PRODUCE IL GIUDIZIO TRIBUTARIO?

L’ atto introduttivo è un ricorso che deve contenere i dati del contribuente(chi fa ricorso), l’ ufficio che haemanato l’atto (contro chi) e cosa si chiede (petitum) cioè la pronuncia che si chiede al giudice chesolitamente è un annullamento, ma può anche essere annullamento e condanna.Le ragioni sono sostanzialmente i vizi della attività dell’ amministrazione finanziaria che io voglio far valere.Il ricorso va, ovviamente, firmato.La legge dice che tutti questi sono elementi necessari del processo a pena di inammissibilità.È da indicare anche il codice fiscale, ma non a pena di inammissibilità.

Se si chiede al giudice l’ annullamento, il giudice lo annulla e il processo si ferma lì; oppure può essere che ilcontribuente si dolga che il contenuto dell’ atto sia in tutto o in parte sbagliato e pertanto può chiedere ( o ungiudice può ritenere) che soltanto una parte della pretesa è giustificata e quindi non ci sarà un annullamentototale dell’atto, ma ci sarà una rideterminazione dell’ imposta.

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In questo ultimo caso si dice che la giurisdizione è di impugnazione in merito perché va anche nel merito esostituisce l’ atto.Si può poi anche chiedere al giudice una condanna, il che si ha tutte le volte che il contribuente chiede unrimborso. Se chiede un rimborso chiede anche che l’ amministrazione sia condannata a pagarlo.Cosa deve fare il contribuente?

Una volta scritto il ricorso lo si deve prima notificare e poi depositare e non il contrario. Anche per lanotifica del ricorso ci sono le due modalità che sono: la spedizione via posta oppure la notifica attraverso l’ufficiale giudiziario. C’e una differenza pratica: se io notifico per via postale notifico l’ originale ed è lacopia che rimane che io deposito; se invece scelgo la notifica tramite l’ ufficiale giudiziario questo consegnauna copia tenendosi l’ originale.La notifica è un adempimento da compiere nel termine di 60 giorni dalla notifica dell’ atto impugnato. Senon notifico entro il termine l’ atto impugnato diviene definitivo.Dopo fatta la notifica bisogna completare il percorso e perciò costituirmi in giudizio disciplinata dagli artt.22 e 23 del d.lvo 546/’92. la costituzione è una cosa semplice: entro 30 giorni dalla notifica del ricorso devodepositare il fascicolo ( si può fare anche via posta) presso la segreteria della commissione tributaria. È da

depositare il ricorso (copia o originale) e la prova che l’ ho notificata, eventuali documenti a sostegno dellamia domanda e la copia dell’ atto impugnato. Anche questo termine per il deposito, se non rispettato, fadivenire il ricorso inammissibile e l’ atto impugnato definitivo.A questo punto i compiti del contribuente sono finiti.Cosa deve fare la controparte?La controparte può costituirsi, che vuol dire a sua volta depositare degli atti nella segreteria dellacommissione. L’ ufficio ha 60 giorni di tempo da quando ha ricevuto la notifica per costituirsi e se non sicostituisce adeguatamente il processo va avanti. L’ ufficio che non si costituisce ci rimette perché nonessendosi costituito non svolgerà le sue difese e in secondo luogo non verrà avvisato di quando è la datadell’udienza, in terzo luogo non gli viene data la comunicazione della decisione. Se il ricorrente dopo essersi

costituito decide di rinunciare al ricorso, se l’ufficio si è costituito dovrà accettare la rinuncia, se invece nonsi è costituito la rinuncia del ricorrente è immediatamente efficace. Adempimenti del giudice? Il Presidente della commissione legge il ricorso e controlla velocemente che non sia inammissibile, se mancaqualcuno degli elementi essenziali il processo si ferma lì perché il Presidente fa un decreto diinammissibilità, se invece il ricorso non è manifestamente inammissibile il Presidente lo assegna ad una delleSezioni. Il Presidente della sezione fissa una udienza e avvisa le parti che si sono costituite. La datadell’udienza è importante perché a ritroso ricorrono alcuni termini:

•  fino a 20 giorni prima le parti possono depositare dei documenti;•  fino a 10 giorni prima possono depositare delle memorie, cioè delle argomentazioni ulteriori a

sostegno delle loro ragioni;•  fino a 5 giorni prima possono replicare alle memorie della controparte.

Se nessuna delle parti ha chiesto di svolgere la discussione, le parti non sono ammesse a contatto colGiudice, cioè si riuniscono solo i giudici con le carte e decidono sulla base delle carte. Se invece almeno unadelle parti ha richiesto di poter fare la discussione orale, la porta si apre entrano gli avvocato delcontribuente, i rappresentanti dell’ ufficio e davanti la commissione tributaria discutono. Dopodiché vieneemessa la sentenza.Il processo tributario è un processo molto, molto “sciatto”, è raro che ci sia una discussione orale per lamaggior parte delle volte è scritto.Si emette la sentenza che può essere impugnata in un termine o breve o lungo: se una delle parti prendel’iniziativa di notificare la sentenza all’altra parte il temine per fare appello è 60 giorni dalla notifica, se

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invece nessuna parte prende l’iniziativa di notificare la sentenza all’ altra parte il termine è 1 anno da quandola sentenza viene depositata.Ci sono casi in cui non si arriva alla sentenza finale:

•  quando il ricorrente rinuncia al ricorso ( il processo si estingue e l’atto impugnato diventadefinitivo); la rinuncia deve comunque essere accettata dalla controparte costituita. L’ ufficio

potrebbe avere interesse a non accettare la rinuncia pèrchè sicuro della sua ragione, eviterebbe cosìdi pagare le spese legali;

•  per inattività: quando il processo deve essere riassunto se non lo si fa entro il termine il processo siestingue;

•  quando viene meno la materia del contendere, succede qualcosa per cui il processo non serve più. Èuna cosa abbastanza frequente per cui si pronuncia il provvedimento di avvenuta cessazione dellamateria del contendere. Si pronuncia quando è intervenuto un condono,quando è intervenuta laconciliazione o quando l’atto impugnato viene ritirato in autotutela. Sono tutti e tre casi nei quali unalite non c’e più.

CONDONO: è una legge che consente di chiudere tutti i procedimenti amministrativi e i procedimentitributari pagando una certa somma. È una concessione agevolata per cui lo Stato dichiara di rinunciare adandare avanti col giudizio purchè il contribuente paghi una piccola somma. Quando c’è una legge di condonoa cui il contribuente aderisce la causa finisce lì.

RITIRO DELL’ATTO IN AUTOTUTELA: l’ amministrazione ritira il suo atto quando ad esempio verificala non validità di questo.

CONCILIAZIONE: le parti si mettono d’accordo nel corso del giudizio. È il corrispondente, nella fase delgiudizio, dell’ accertamento a buona visione. Il Giudice non si può opporre a tale conciliazione a meno chenon verifichi di essere in presenza di quelle condizioni per cui la conciliazione è esclusa (es. la sanzione).

 PROVE NEL PROCESSO TRIBUTARIO

Una prova è un mezzo di convincimento che è cosa diversa dal mezzo di ricerca della prova. Concetto ancoradiverso è l’argomento di prova che è qualcosa che serve a corroborare una convinzione, ma da sola nonbasta. Non posso fondare una sentenza solo su un argomento di prova, ma posso rafforzare le mie ragionitenendo conto anche del comportamento delle parti . Quando l’ oggetto è ancora diverso si ha l’onere della

prova che significa dire qual’è la regola di giudizio se la prova non è raggiunta,cioè chi vince e chi perde senon è raggiunta la prova.L’onere della prova nel processo tributario incombe al fisco di regola, anche se il contribuente prende l’iniziativa col ricorso e impugna un atto amministrativo non è lui a dover dimostrare che l’atto amministrativoè invalido, ma è il fisco che deve dimostrare che la sua pretesa era fondata.Ci sono comunque eccezioni alla regola che l’onere della prova incombe sul fisco: innanzitutto in materia diricorso dove è il contribuente a dover dimostrare il fondamento del suo ricorso e questo vale ogni volta che ilcontribuente fa valere un suo diritto.Non tutte le prove sono ammissibili nel processo tributario. Tra quelle previste dal codice civile ne vannoescluse due: testimonianza e giuramento.Nel processo tributario è vietata la testimonianza: la corte costituzionale è stata più volte investita dallaquestione di legittimità di questa regola perchè è strano che io non possa portare testimoni a corroborare lemie ragioni. La corte ha però sempre detto che tale divieto è legittimo perché il processo tributario è sempre

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stato così, perché il processo tributario è un processo scritto e quindi non c’ è ragione di ammettere la provatestimoniale. In realtà, secondo il prof., questa regola è destinata a cadere, questa parte del diritto tributario ècostituzionalmente illegittimo perché nell’art. 24 Cost. il diritto di difesa implica che io possa utilizzare tuttigli strumenti necessari per fondare le mie ragioni. Se esiste anche solo un caso in cui la testimonianza ènecessaria i divieti sono incostituzionali.

I contribuenti che hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale avevano provato ad attaccarequesto divieto anche da un’altra parte dicendo che potrebbe essere ingiusto perché io non posso portare itestimoni, ma l’ufficio può portare i verbali della guardia di finanza in cui magari sono verbalizzati delledichiarazioni di terzi.la Corte Costituzionale non se l’è sentita di dichiarare incostituzionale questo sistema e ha detto che ciò èvero, però invece di eliminarla dice che i verbali non sono prova (sentenza 18/2000 Corte Cost.).Probabilmente questo divieto cadrà perché l’anno scorso la Corte Europea dei Diritti dell’ Uomo ha dato unasentenza fondamentale per la Finlandia dicendo che viola i diritti fondamentali dell’uomo, in unprocedimento tributario, non poter portare i testimoni quando questo sia assolutamente necessario.

Parte speciale significa descrizione dei principali tributi vigenti in Italia. Detto in altri termini, la partespeciale si occupa di analizzare le norme che, stabilito quanto della spesa pubblica deve essere finanziato nondai fruitori della spesa pubblica, quindi, quanto del costo dei servizi non va posto a carico di chi direttamenteusa i servizi, stabiliscono su quale ricchezza debba essere prelevato il tributo e in che misura.L’ ordinamento tributario italiano assomiglia agli ordinamenti tributari della gran parte dei paesi europei eanche degli Stati Uniti; più o meno tutti hanno la stessa struttura e prevedono 3 tipi fondamentali di imposta:

- imposte sul reddito

- imposte sul patrimonio

- imposte sui consumi

Tra le imposte sui redditi esistono le imposte ordinarie (in Italia le più importanti sono l’IRPEF e l’IRE ) evari principi sostitutivi.Allo stesso modo tra le imposte sul patrimonio ve ne sono di ordinarie o periodiche (ICI), e vi sono poi,come in quasi tutti i paesi europei anche in Italia, imposte sul patrimonio che colpiscono i trasferimenti dipatrimonio, quindi che non sono vincolate e non sono parametrate ad un periodo, ma si esigono in occasione

di atti di trasferimento (imposta di registro, imposte sulle successioni o sulle donazioni).Infine vi sono le imposte sui consumi. Vi sono imposte che riguardano tutti i consumi (imposta sul valoreaggiunto, IVA) e altre che riguardano solo certi consumi o solo la fabbricazione di certi beni (impostecosiddette accise, che concernono la fabbricazione di idrocarburi, di benzina).

Reddito Ordinarie (IRE)

Sostitutive

Tipi di imposta Patrimonio Ordinarie (ICI)

In occasione di atti trasferimento (registro

Consumi Su tutti i consumi (IVA)

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Su certi consumi e fabbricazione (benzina, enel..)

Come già osservato nella parte generale, le imposte si dividono in imposte dirette e indirette. Le prime sonoquelle che colpiscono la capacità contributiva immediatamente, cioè in quanto tale, mentre le secondecolpiscono atti che rivelano capacità contributiva. Si è aggiunto che gli oggetti possibili delle imposte direttesono essenzialmente il reddito o il patrimonio.

Prima di analizzare le principali imposte dirette in Italia, è opportuno definirne i relativi concetti.In prima approssimazione il reddito è definibile come ricchezza novella, come differenza di segno positivotra 2 livelli del patrimonio in un periodo dato. Esempio: se all’inizio dell’anno un soggetto avevo un

  patrimonio di 100 e a fine ha un patrimonio di 110, in prima approssimazione è possibile ipotizzare dimisurare il reddito cm la differenza tra 110 e 100.L’ imposizione si concentra principalmente sul reddito, anzichè sul patrimonio, e quindi più sul guadagnatoche sul posseduto, per la semplice ragione che il guadagnato è ciò che si spende con meno sacrificio. Se un

soggetto spende soltanto o se gli viene prelevato soltanto qualcosa nei limiti di quello che ha guadagnatonell’arco di tempo preso in considerazione non subisce un vero impoverimento: gli si preleva qualcosanell’aumento del suo patrimonio.Dunque è questa la ragione per la quale nella maggior parte dei paesi si preferisce, più che tassare ipatrimoni, cosa che potrebbe comportare il rischio di espropriare una quota della ricchezza, tassare una quotadel guadagno (guadagno è la parola non tecnica per definire il reddito).

I PROBLEMI DELLA TASSAZIONE SUI REDDITI

Occorre soffermare l’attenzione sui problemi della tassazione sui redditi in senso generale.

PROBLEMA 1) Una tassazione eccessiva sui redditi disincentiva la produzione. Se le aliquote sono moltoalte, soprattutto se sono molto alte man mano che aumenta il reddito, non si ha un grande entusiasmo nelprodurre perché è facile comprendere che gran parte del guadagno sarà prelevato sottoforma di imposta. Aquesto problema si può cercare di ovviare limitando le aliquote.

PROBLEMA 2) I redditi sono qualcosa non sempre facile da scoprire.

PROBLEMA 3) Talvolta le ricchezze si stratificano nel tempo, di generazione in generazione, e può

capitare che vi siano persone che si trovino ad avere un elevato tenore di vita, a ricevere un patrimonio adesempio dai genitori, indipendentemente dall’avere svolto un’attività produttiva. In questa prospettiva tassaresolo il reddito potrebbe generare una situazione di iniquità: ci potrebbero essere persone che non produconocon un elevato patrimonio, e se fosse prevista solo una tassazione sui redditi queste sfuggirebbero adimposizione.Per cercare di aggirare la difficoltà di accertare i redditi un mezzo è rappresentato dalla possibilità diaffiancare alle imposte sui redditi le imposte sui consumi. Si tratta quindi di intercettare la ricchezza nascostanel momento in cui si rivela, ossia nel momento in cui vengono fatti degli acquisti. È questa la ragione percui esistono le imposte sui consumi e soprattutto la ragione per la quale il consumo di beni di lusso èassoggettato all’IVA con aliquote più alte.

Le imposte sui consumi per conto loro hanno pregi e difetti speculari a quelle sui redditi.Tra i pregi sicuramente rileva quello dato dal fatto che sono molto facili da applicare, infatti è sufficienteintercettare la compravendita di prodotti; ma hanno un difetto fondamentale: proprio perchè si applicano in

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relazione ai singoli acquisti non tengono conto della situazione complessiva del contribuente. Esempio: se siapplica l’IVA sulla vendita di scarpe si tratterà di un’imposta che colpisce in modo più o meno uguale tutticoloro che comprano scarpe, ma si può trattare di persone con livelli di ricchezza molto diversi tra loro.Anche le imposte sul patrimonio (precisiamo che per patrimonio s’intende il complesso dei beni di unapersona, è il valore dell’insieme dei beni di una persona in un momento dato. Il patrimonio è una ricchezza

considerata in modo statico. Mentre il reddito, ossia la differenza tra 2 livelli di patrimonio, è flusso diricchezza, il patrimonio è una ricchezza bloccata) hanno pregi e difetti. Il principale difetto delle imposte sulpatrimonio consiste nel fatto che la loro applicazione può produrre il rischio di erodere una ricchezzaeffettiva, di essere qualcosa che, applicato nel tempo, finisce con l’avere un effetto di espropriazione.Esempio: se non guadagno nulla e ho solo un terreno e sul valore di quel terreno ogni anno mi si preleval’imposta, io potrei essere costretto a vendere un pezzo di terreno alla volta, per poter far fronte al

 pagamento del tributo.In pratica, tutti gli ordinamenti cercano un punto di equilibrio tra questi sistemi e mettono insieme impostesui redditi, sui consumi, sui patrimoni.Bisogna arrivare ad un equilibrio, abbastanza difficile, tra, da una parte, l’esigenza di equità, di giustizia

tributaria, e dall’altra l’esigenza di facilità e di praticità. Non solo. A volte, a queste esigenze si aggiungequella di disincentivare le attività economiche (problema particolarmente sentito in tempi diglobalizzazione). Occorre tener conto del fatto che ci sono ricchezze che possono fuggire dall’Italia ericchezze che sono vincolate a permanervi.- Gli immobili sono, per definizione, destinati a rimanere in Italia. Quindi sono facili da vedere e dasottoporre a imposizione.- Il lavoro, soprattutto il lavoro materiale, è destinato a rimanere in Italia. Esempio: se risiedo con la miafamiglia in Italia, qui lavoro e qui sono tassabile. I redditi di lavoro, in linea generale (non tutti i redditi dilavoro, non ad esempio il lavoro dell’artista), non sono esportabili.- I capitali possono essere esportati. Anche di questo deve tener conto il legislatore tributario perchè se per

esempio introducesse delle aliquote più pesanti di quelle dei paesi vicini per le vendite sui capitali farebbefuggire i capitali all’estero. Nella situazione appena descritta emerge in modo chiaro la contraddizione chepuò sussistere tra l’esigenza di equità e quella di non scoraggiare gli investimenti. Quest’ultima porta adavere una tassazione (ad esempio delle vendite finanziarie) bassa o quantomeno vicina a quella dei paesiconcorrenti all’Italia; al legislatore italiano non conviene fissare delle aliquote per i redditi di capitali moltopiù alte di quelle fissate dalla Francia perchè altrimenti la gente investirà non più in Italia, ma all’estero.Il problema appena affrontato non si presenta in relazione alla tassabilità delle pensioni perchè il pensionatosi trova in Italia, e quindi il pericolo di fuga del pensionato dall’Italia non sussiste.

Un'altra tendenza dei sistemi fiscali moderni, oltre a quella di trovare un difficile equilibrio tra questi fattori,è quella di limitare la progressività al fine di venire incontro al problema dell’effetto disincentivante deilivelli di tassazione alta: oltre ad un certo livello l’imposizione può scoraggiare il lavoro.Esempio: se so che facendo lo straordinario avrò un guadagno supplementare, ma che questo guadagnosupplementare sarà al 70% o all’80% sarà tassato, mi faccio 2 conti e capisco che forse non mi convienelavorare.

Un’altra scelta strategica che il legislatore deve fare è quella di trovare un giusto equilibrio tra tributi locali etributi statali. Queste sono scelte riservate alla politica, ma che sono il presupposto delle scelte del legislatoretributario. Entrambi i tributi in esame hanno pregi e difetti. I tributi locali hanno il pregio di essere stabiliti daorganismi politici più vicini ai cittadini. C è quindi una maggiore vicinanza tra chi prelieva il tributo e illuogo in cui il tributo viene speso. Si controlla molto più facilmente, proprio dal punto di vista del controllodei cittadini, la spesa, se questa è amministrata dagli stessi soggetti che la prelevano a un livello didimensione locale. Potrebbe essere più facile controllare la spesa di un comune da parte dei cittadini del

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comune rispetto a vedere dove va a finire l’importo dei tributi nazionali per le decisioni di spesa che vengonoeffettuate a Roma.Queste ragioni spingono nel senso di preferire tendenzialmente i tributi locali, perchè sono spesi più vicino alluogo in cui sono prelevati.I tributi locali presentano 2 controindicazioni:

- ci possono essere ( questo è il discorso federalismo fiscale si o no) esigenze di solidarietà anche tra leregioni, con conseguente possibilità di trasferimenti di ricchezza tra una comunità e l altra.- problemi di costi. L’amministrazione di tributi costa molto, se fatta a livello centralizzato costa meno.

Il sistema tributario italiano è la risultante del compromesso tra tutti questi fattori.

LE IMPOSTE SUI REDDITI

DEFINIZIONE.

Fatta questa introduzione di carattere generale (economico più che giuridico), veniamo a parlare delleimposte sui redditi e andiamo ad approfondire il concetto di reddito.Il reddito è nuova ricchezza affluita al soggetto in un periodo dato. E’ la differenza tra 2 livelli di patrimonioin intervallo definito di tempo.

Immanente al concetto di reddito è il suo carattere di essere netto: non si può considerare nuova ricchezza,una ricchezza lorda, cioè che non tenga conto dei costi.Il reddito è guadagno, non è ricavo. Inoltre, oltre ad essere per definizione, in quanto aumento di ricchezza,un qualcosa che deve essere depurato dai costi, è sempre qualcosa collegato a una contropartita. Esso èsempre qualcosa collegato o a un fattore produttivo o a qualcosa da cui proviene. Si è sempre escluso, da unpunto di vista economico, che possa essere considerato reddito, ciò che perviene al soggetto a titolo disuccessione o donazione, cioè a titolo gratuito.Possiamo dire che immanente al concetto di reddito è il concetto, seppur in senso lato, dell’’esserseloguadagnato. Si tratta di un concetto del tutto astratto: non è un bene, è una misurazione della ricchezza, unamanifestazione della capacità contributiva.Il T.U. delle imposte sui redditi afferma che il reddito si possiede, ma con questa disposizione il legislatorenon intende dire che il reddito è un bene. Infatti, oggetto della tassazione, è il reddito complessivo, che è unasomma di valore che non corrisponde a nessun bene, neppure al denaro. Il reddito fondiario o il redditod’impresa non sono denari che sono stati riscossi dal soggetto, ma sono delle entità a parte.Domandarsi che cos’è il reddito in generale è un problema che affascina molto gli economisti, ma a noi ilproblema interessa solamente nella sua dimensione giuridica. Una definizione di reddito nelle normedell’ordinamento italiano non c è, è presupposta dalle norme del T.U. delle imposte sui redditi. Le norme delTU definiscono le varie categorie del reddito, ma non definiscono il reddito in sé.È utile domandarsi che cos è il reddito? Può esserlo. E lo è se serve ad interpretare le singole norme chedefiniscono le categorie nei casi dubbi: se posso scegliere tra più interpretazioni sceglierò quella piùcompatibile con la nozione generale di reddito. Può poi essere utile al fine di cogliere la razionalità delsistema nel suo complesso.La scienza delle finanze ci fornisce due nozioni di reddito:

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1) REDDITO PRODOTTO. E’ la ricchezza novella che affluisce ad un soggetto in un periodo dato. Derivada una fonte produttiva che può essere:- Capitale (esempio: presto dei soldi e ricevo degli interessi)- Lavoro (esempio: io lavoro e ricevo dei compensi)

- Combinazione di capitale e lavoro ( esempio: gestisco un’impresa nella quale investo del capitale e le mieenergie lavorative e ne ritraggo un utile)

2) REDDITO COME ENTRATA. E’ una nozione più ampia che comprende sia il reddito prodotto sia iproventi di carattere straordinario e fortuito(esempio: vincita di una lotteria)Indubbiamente è reddito anche il solo il reddito entrata perchè è comunque qualcosa che incrementa il livellodel patrimonio. Ma quando la scienza delle finanze afferma che dovrebbe essere rilevante per il sistematributario solo il reddito prodotto, lo fa perchè vuole segnalare che il reddito non prodotto non ha carattereordinario, ma straordinario: esprime e proviene da qualcosa di più rischioso, esprime probabilmente unacapacità contributiva minore.

FUNZIONAMENTO DEL SISTEMA DELLE IMPOSTE SUI REDDITI.

I redditi in Italia sono tassati coordinando la tassazione dei redditi prodotti dalle persone fisiche (IRPEF,Imposta Sul Reddito Delle Persone Fisiche) e l’imposta sul reddito prodotto da società e enti (IRES, ImpostaSul Reddito Delle Società). Queste 2 imposizioni sui redditi si completano coordinandosi con eventualiregimi sostitutivi.L’ IRPEF e l’IRES hanno di regola ad oggetto la somma di redditi di diverse categorie, quello che si chiama

reddito complessivo della persona, della società o dell’ente.

Un problema particolare e pratico consiste nel collegare il reddito al momento in cui diviene tassabile. Lequestioni sono due:

1) Bisogna innanzitutto stabilire qual’è l’unità di tempo che si prende in considerazione. Si tratta di unproblema facilmente risolvibile: le imposte sui redditi, come regola generale, sono riscosse annualmente. Ilperiodo da prendere in considerazione è l’anno.

2) Il secondo problema consiste nell’individuare la modalità necessaria al fine di stabilire che una certaricchezza novella è collegabile proprio a quel periodo. Si tratta di un problema più complicato che concerne icriteri di imputazione del reddito nel tempo. I criteri previsti dall’ ordinamento italiano sono due, inalternativa tra loro:- Principio di cassa. Significa che, il momento che determina quando un provento è imponibile è ilmomento in cui quella ricchezza viene riscossa, incassata. Ecco perchè si dice principio di cassa.Esempio: se presto del denaro a mutuo, il guadagno è rappresentato dagli interessi. Sono gli interessi chesono tassabili nel momento in cui mi vengono pagati.- Criterio della competenza. Significa che il reddito della cui tassabilità si tratta è imponibile non nelmomento in cui viene incassato, ma nel momento in cui è maturato il relativo diritto, ossia nel momento incui si è formato il diritto a ricevere il pagamento.

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In Italia per le imposte sui redditi si applica sempre il principio di cassa, salvo che si tratti delle voci cheformano il reddito d’impresa, al quale si applica il criterio della competenza. Il reddito è incassabileindipendentemente dal fatto che sia stato percepito basta che sia maturato il diritto a percepirlo.Questo crea subito un problema: cosa succede se dopo il momento in cui un determinato provento è tassabileio lo perdo, ad esempio sono obbligato restituirlo?

È un problema che è più diffuso quando si applica il criterio di competenza perchè se un determinatoprovento è tassabile già solo per il fatto che ho diritto a percepirlo, questo non mi garantisce che poi ioeffettivamente lo percepirò. (esempio: è possibile che l’imprenditore acquisti il diritto a ricevere il

  pagamento del corrispettivo, lo contabilizzi, lo dichiari, ma è possibile che in effetti questo non gli sia pagato).E’ anche possibile, anche se più raramente, che questa situazione si verifichi in relazione a corrispettivi dovesi applica il principio di cassa. (esempio: ricevo una somma ma poi il contratto  viene annullato e sonocostretto a restituirla). Esistono correttivi per situazioni di questo genere? Da un punto di vista della capacità contributiva devonoesistere perchè se un certo provento è stato tassato, ma io non posso mantenerlo la mia capacità contributiva

viene meno. I correttivi sono i seguenti:

- SOPRAVVENIENZA PASSIVA. Per i redditi tassati in base al principio di competenza il correttivo sichiama sopravvenienza passiva. Essa è una voce negativa che annulla l’effetto della tassazione precedente.Esempio: se io e Tizio nel corso del 2008 ho fatto un contratto per la prestazione di certi servizi con

 pattuizione di un certo corrispettivo e i servizi sono stati espletati, questo basta perchè io abbia diritto aricevere un certo corrispettivo, perchè questa voce del reddito d impresa sia imponibile. Quindi nel 2008quel compenso sarà imponibile, ma è possibile che nel 2009 mi trovi a non aver ricevuto il mio corrispettivo.

E’ possibile che faccia causa al mio cliente e può darsi che la perda e che il cliente non mi debba pagare. Neconsegue nel 2009 potrò dedurre una sopravvenienza passiva, che è proprio una correzione rispetto al principio di competenza.

- Nel caso in cui abbia, invece, applicato il principio di cassa, ossia si trattava di uno di quei proventitassabili per cassa, è ben possibile che io sia tenuto a restituirlo.Esempio: avevo concesso una somma a mutuo per un determinato interesse, l’interesse mi viene pagatounitamente alla restituzione della somma. Successivamente e debitamente io dichiaro che assoggetto atassazione gli interessi che avevo ricevuto nel 2008; nel 2009 il mio debitore mi fa causa chiedendo larestituzione dell’interesse che mi aveva pagato adducendo che si trattava di interesse usurario. Anche inquesto caso, sono stato tassato nel 2008 per una ricchezza che nel 2009 non ho più, che sono stato costretto arestituire.In questo caso il correttivo non è la sopravvenienza passiva, ma esiste solo la possibilità di attivare unmeccanismo previsto dall’art. 10 lettera D bis del T.U. delle imposte sui redditi:“dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi

che concorrono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente le somme restituite al soggetto

erogatore, se hanno concorso a formare il reddito in anni precedenti”.

Quindi in questo caso, l’assimetria che si è venuta a verificare per il fatto che sono stato tassato nel 2008 peruna ricchezza che non era definitiva può avere correzione. L’art 10 lettera D bis ha una dizione moltorestrittiva perchè dice che si possono dedurre dal reddito di un anno solo le somme tassate in un periodoprecedente che si sono dovute restituire al soggetto che le aveva erogate. Per somme che si sono dovuterestituire non s’intendono le somme perdute. S’intende che, se nel 2008 vengo tassato per un compenso che

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ho ricevuto ma che l’anno successivo sono stato costretto a restituire potrò dedurlo; se l ho perduto per unaragione diversa (esempio: mi è bruciata la cassaforte nella quale tenevo il denaro) non potrò dedurlo.

IL PROBLEMA DELLA TASSAZIONE A VALORI NOMINALI.

Un altro profilo interessante riguarda il principio di tassazione a valori nominali (problema particolarmentesentito per le imposte sui redditi).Può capitare, dato che il sistema prevede che la tassazione venga fatta sulla base dei valori noiminali dellamoneta, che un soggetto sia sottoposto ad imposta sui redditi e che risulti come reddito un guadagno che èsolo nominale.Esempio: se do una somma a mutuo e pattuisco un interesse del 5% in un anno e nel corso di quello stessoanno l’inflazione è stata pari al 5%, io nominalmente ricevo un interesse del 5%, ma in realtà non mi sonoarricchito x nulla.Il sistema tributario italiano non prevede un correttivo automatico e generalizzato che depuri i redditi

dall’inflazione.

Questo comporta che ci possa essere il rischio della tassazione di una ricchezza in tutto o in parteinesistente. La Corte Costituzionale ha ritenuto che la mancanza di questo correttivo non renda il sistematributario costituzionalmente illegittimo, sempre che, questo fenomeno non assuma i caratteri dellasistematicità e che non abbia il significato di una tassazione di ricchezza sistematicamente inesistente. Comese la Corte avesse detto: per ragioni di praticità è giusto che la tassazione faccia riferimento a valorinominale (sarebbe complicatissimo ogni volta che si pagano i tributi, tenere il conto di quanto è ricchezza

effettiva e quanto è una ricchezza erosa dall’inflazione), però non bisogna che questo succeda sempre, chesia una cosa non sistematica e soprattutto che non succeda sempre che si tassino ricchezze apparenti.Il fatto k non esista un correttivo generale che depuri la determinazione del reddito dall’effettodell’inflazione non significa che non esistono correttivi particolari. Ne menzioniamo 2:- Il primo è dato dalle leggi di rivalutazione dei beni d impresa. Periodicamente il legislatore adotta deiprovvedimenti che consentono agli imprenditori di dare ai loro beni un valore che tenga contodell’inflazione.Esempio: il sistema della contabilità aziendale funziona nel modo seguente. L’imprenditore compra un benedel valore di 1000 e lo tiene in contabilità al valore di 1000, poi è possibile che col passare del tempo quelbene aumenti di valore, ma solo in senso nominale e cioè che diventi necessario, per esprimere il valore di1000, parlare di 2000. In un contesto come questo il fatto che se l’imprenditore dovesse vendere l’immobilein un secondo momento lo venderebbe a 2000 non significa che guadagnerebbe qualcosa, ma semplicementeche lo venderebbe al prezzo di prima. Per evitare che ci sia un’imposizione su ricchezza solo apparente illegislatore, a volte, consente di cambiare il valore nominale dei beni, aumentandolo, cosi, in caso di venditanon risulterà come guadagnato una differenza che è solo nominale.- Un altro correttivo che è stato adottato in passato e che fa tener conto dell’inflazione nel determinare ilreddito è rappresentato dai meccanismi di difesa contro il drenaggio fiscale. Bisogna tener conto che in Italiale imposte sui redditi sono progressive. Ciò significa che sono applicate con delle aliquote che salgono manmano che sale la ricchezza, quindi, sui primi 100 di ricchezza si applica l’aliquota dal 10%, per ricchezzesuperiori, ossia da 100 a 200 può scattare un’aliquota superiore. Se c’è inflazione è possibile che i guadagnidi un soggetto sembrino aumentare, ma in realtà sono solo adeguati all’inflazione, cioè è possibile che unlavoratore dipendente che guadagnava 100 nell’anno 2000, nell’anno 2002 si veda retribuire 200, ma nonperchè lavora meglio o è stato promosso, ma solo perchè la moneta ha dimezzato il suo valore. Questo è un

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fenomeno fisiologico dal punto di vista economico, ma se la determinazione delle imposte non tiene conto diquesto effetto succede che aumento l’aliquota senza che effettivamente la mia ricchezza sia aumentata,mentre l’imposizione per scaglioni dovrebbe tener conto del cambiamento di valore d’acquisto della moneta.In passato si era utilizzato uno strumento che funzionava in questo modo: se l’inflazione è stata del 100%allora bisogna raddoppiare anche gli scaglioni. Se prima lo scaglione andava da 0 a 100, adesso che la

moneta vale la metà, il primo scaglione dovrà andare da 0 a 200. Questo era un sistema utilizzato dallegislatore negli anni ‘70 quando l’inflazione era molto alta.

IL PROBLEMA DEL RISARCIMENTO DEL DANNO.

Abbiamo detto che il reddito è ricchezza novella, in termini economici il reddito è guadagno. L’ esattocontrario è una perdita. Da questa osservazione nasce una domanda che può essere ingannevole: ilrisarcimento del danno è reddito? Se si risponde superficialmente si argomenta nel modo seguente: se c’èrisarcimento del danno significa che c’è stato un danno, che si è perso un valore, ma se il reddito è ricchezza

nuova, allora il risarcimento del danno non può mai essere reddito. Questa argomentazione è sbagliata.Bisogna vedere cosa è stato perduto. Se è stato perduto un mancato guadagno allora anche il risarcimento deldanno è guadagno perchè prende il luogo del guadagno.Esempio: se una persona ha un incidente stradale e danneggia la sua automobile e allo stesso tempo devestare fermo un mese e non può lavorare, ciò che questa persona riceverà per compensare il danno subitoall’automobile non è reddito perchè è una somma che restituisce nel suo patrimonio il valore del suoautoveicolo, ma ciò che questa persona riceverà come risarcimento del danno per non aver potuto lavorare,in sostituzione delle retribuzioni mancate (supponiamo che sia un dipendente) perchè è stato malato, quellosarà reddito.

IL SISTEMA TRIBUTARIO.

L’architettura del sistema tributario delle imposte sui redditi è basato su due imposte: IRPEF e IRES.Entrambe sono disciplinate nel TU delle imposte sui redditi, d.p.r. 917/1986.Il sistema è organizzato nel modo seguente: sono individuate 6 categorie di reddito ciascuna con la suadisciplina. Ciascuna persona può produrne una o più a seconda delle attività che svolge; i redditi vengono poisommati determinando il reddito complessivo, che è la somma dei redditi delle singole categorie.Quindi il Tu delle imposte sui redditi, composto da numerosi articoli, ha questa architettura:- Definizione delle diverse categorie. ( esempio. Art. 22 d.p.r. 917/1986: Sono redditi fondiari quelli inerentiai terreni e ai fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti, con attribuzione direndita, nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio urbano).- Determinazione per ciascuna categoria, oltre che della definizione, anche del modo in cui il reddito vienedeterminato (esempio : il reddito familiare si determina con il sistema catastale… per il reddito da lavoroautonomo si tiene conto dei compensi e dai compensi si detraggono le spese… ecc…)- Norme che prevedono come deve essere fatta la somma dei redditi delle diverse categorie: la somma è ilreddito complessivo lordo. Dal reddito complessivo lordo sono ammesse delle deduzioni, oneri deducibili(esempio: donazioni a enti religiosi).Reddito complessivo lordo - oneri deducibili = reddito complessivo netto.Al reddito complessivo netto si applicano le aliquote progressive per scaglioni secondo il meccanismoanalizzato nella parte generale, e si arriva all’imposta lorda.Dall’imposta lorda si detraggono le ritenute, gli acconti già versati, i crediti d imposta e si arriva all’impostanetta da versare.

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Approfondiamo il discorso sulle categorie di reddito:La regola generale è che i proventi affluiscono ad un certo soggetto sono tassabili solo se rientrano in unadelle sei categorie previste dal T.U. delle imposte sui redditiL’altra regola importane è che, in linea di principio, per stabilire se un certo provento appartiene a una

determinata categoria si fa riferimento alla descrizione della singola categoria.Esempi: se io ho un immobile, l’immobile produce, secondo la definizione del T.U. delle imposte, redditi

 fondiari. Oppure se concedo una somma a mutuo e guadagno un interesse, questo rientra nella definizionedi reddito di capitale, e cosi via.La regola è che per stabilire la categoria del reddito si guarda obiettivamente al tipo di provento di cui sitratta e al modo in cui è stato prodotto. Se rientra nella definizione delle varie categorie rientra in quellacategoria.Vi è una grossa eccezione che corrisponde al principio dell’astrazione nel reddito d’impresa di tutti i proventipercepiti dall’imprenditore; è la regola dell’astrazione dei redditi d’impresa: i proventi di qualsiasi tipopercepiti nell’esercizio di attività commerciali confluiscono nel reddito d’impresa, anche se oggettivamente

rientrerebbero in una diversa categoria.L’impresa è come un magnete che attira tutto: tutti i proventi che l’imprenditore percepisce in quanto talerientrano nel reddito d’impresa anche se, guardando al singolo provento, questo rientrerebbe nelladefinizione di una singola categoria.Esempi: se una persona qualunque presta del denaro e percepisce del denaro come interesse, quell’interessecostituisce reddito di capitale. Se un imprenditore, qualsiasi sia la sua attività, presta del denaro, il fattodello svolgimento dell’attività d’impresa attrae l’interesse nel reddito d’impresa.

  Allo stesso modo, il proprietario di un immobile, ritrae dallo stesso un reddito che si chiama reddito  fondiario, ma se il proprietario dell’immobile è un imprenditore, l immobile non dà più vita a reddito fondiario ma a reddito d’impresa.

Questa distinzione è molto importante, non tanto per il nome, ma perchè ai redditi d’impresa si applicanodelle regole speciali.Esempio: nel caso di mutuo il reddito di capitale si tassa al lordo, il che vuol dire che l’interesse si tassasenza alcuna deduzione. Pertanto se io presto 100 e mi viene restituito 110 di cui 10 di interesse, il 10 diinteresse è imponibile senza deduzione di alcun costo. Nel caso di reddito d’impresa, invece, è sempreimponibile con deduzione dei costi. La differenza è grossa perchè l’imprenditore che svolge diverse attività,tra cui prestare denaro e ricevere interessi, metterà nelle voci positive il 10 di interessi, ma potrà dedurretutti gli eventuali costi.Per cui mentre se io, persona fisica, prendo dei soldi a mutuo da una banca all’interesse del 10% e poi liconferisco a mutuo, lucrando sulla differenza all’interesse del 20%, il mio reddito di capitale imponibile è il20%, non posso dedurre l’interesse che ho pagato per prendere la somma a prestito. Se questa stessaoperazione la pone in essere l’imprenditore, il costo invece è deducibile. La differenza è grossa perchél’importo tassabile per la persona fisica è 20 x l’imprenditore è 10, perchè solo per lui i costi sono deducibiliin virtù del fatto che l’operazione ricade nell’alveo del reddito d’impresa.

IL PROBLEMA DELLA DOPPIA IMPOSIZIONE DEI REDDITI SOCIETARI  

Uno dei principali problemi, tra i tanti, dei moderni sistemi tributari, è collegato con l’imposizione dei redditinelle società, è il cosiddetto problema della doppia imposizione dei redditi societari. E’ un problema moltocomplesso, ma che cercheremo di rendere nel modo più semplice.Sullo sfondo di questo problema sta un fatto molto semplice: molto spesso i contribuenti, per ragioni che nonhanno a che vedere con motivi di indole tributaria, costituiscono delle società. Le ragioni per la costituzione

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delle società sono raramente di tipo esclusivamente tributario; molto spesso le società vengono costituiteperchè la società comporta la segregazione di una parte del patrimonio e quindi confina il rischioimprenditoriale alla sola dotazione alla società. Se facessi una impresa individuale correrei il rischio di fallirepersonalmente con tutti i miei beni presenti e futuri, se invece faccio svolgere l attività alla società rischiosoltanto ciò che nella società trasferisco, cioè il patrimonio della società.

Il grosso problema dei sistemi fiscali è il seguente: come tasso la ricchezza prodotta dalle società? Inastratto sono configurabili diverse soluzioni possibili:

SOLUZIONE A) La soluzione più semplice, concettualmente, consisterebbe nel negare la tassazione delle

società e nell’aspettare che la ricchezza prodotta dalle società sia distribuita alle persone fisiche per poitassarla come ricchezza percepita dalle persone fisiche che non hanno società. Si tratta di una soluzionechiara, ma con una evidente controindicazione: il contribuente “furbo” potrebbe costituire una società e nondistribuire mai i dividendi, rinviando all’infinito la tassazione.Ne consegue che le società devono esseretassate, altrimenti diventerebbero un comodo meccanismo per evitare di pagare i tributi.

SOLUZIONE B) La seconda soluzione consiste nell’affermare che le società devono essere  tassate. Esistono 2 possibilità per tassare le società e per coordinare la tassazione delle società con la tassazione deisoci. Il problema di coordinare la tassazione delle società con l’imposizione a carico dei soci nasce perchésuccede questo: la società produce un certo reddito, questo reddito sconta l’imposizione, alla società rimaneun margine di utile, e questo utile viene distribuito ai soci. Questo utile distribuito ai soci rappresenta unguadagno per i soci, ma è un guadagno che in parte è già stato sottoposto ad imposizione in capo alla società.In qualche modo bisogna tener conto di questo fatto, altrimenti la stessa ricchezza verrebbe tassata 2 volte:prima in capo alla società e poi, la stessa ricchezza distribuita ai soci, in capo ai soci.Come è possibile coordinare la tassazione della ricchezza prodotta dalla società con la tassazione della stessa

ricchezza che successivamente viene distribuita ai soci? Ho 2 possibilità:

1) La prima possibilità è la cosiddetta PARTNERSHIP APPROACH.Partnership approach significa che da un punto di vista fiscale mi comporto come se la società non ci fosse,cioè mi comporto come se la società fosse trasparente e quindi la ricchezza prodotta dalla società la imputodirettamente ai soci. La società in questo caso è considerata fiscalmente trasparente.Esempio: Due soci possiedono una società al 50% ciascuno, la società produce un reddito di 100. Quelreddito lo tasso esclusivamente e direttamente in capo ai soci: 50 all’uno e 50 all’altro.Questa è l’unica soluzione prevista dal sistema fiscale italiano, dal T.U. delle imposte sui redditi, per lesocietà di persone (società in nome collettivo e società in accomandita semplice hanno questo regime) e perle società di capitali a ristretta base azionaria. I redditi prodotti da queste società si imputano direttamente aisoci in proporzione alla quota di partecipazione alla società. Quindi le società di persone non paganodirettamente le imposte sui redditi, i loro redditi sono imputati direttamente ai soci.Questo non significa che le società di persone non abbiamo obblighi tributari, esse anche se non devonopagare alcuna imposta hanno obbligo di dichiarazione, ma fanno una dichiarazione che è la dichiarazione deiredditi che poi andranno imputati ai singoli soci.Questa soluzione è obbligatoria per le società di persone e le società di capitali a ristretta base azionaria, ed èfacoltativa per le società di capitali, quindi s.p.a e s.r.l. Sono i soci e le società a decidere se voglionopossono utilizzare questo sistema di imputazione diretta ai soci.

2) La seconda soluzione è invece quella di considerare a tutti gli effetti la società un soggetto passivo equindi imporre un tributo anche a carico della società. Questa è la situazione dove nasce il problema delladoppia imposizione dei redditi societari di cui si parlava precedentemente, perché se si sceglie, come è

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previsto nell’ordinamento tributario italiano, salvo il caso di società di persone e società di capitali a ristrettabase azionaria che possono scegliere il regime della trasparenza, in questo caso abbiamo una tassazione alivello societario e poi, se ci distribuzione degli utili, una tassazione a livello di soci. La stessa ricchezzasarebbe in parte tassata due volte. Questo non è giusto perché altrimenti produrre ricchezza attraverso lacostituzione di una società avrebbe un regime tributario più severo, cioè sarebbe tassato più severamente. La

regola è che il sistema tributario deve essere neutro rispetto alle scelte dell’imprenditore. L’obiettivo daraggiungere è che la scelta se costituire una società o meno, in linea di principio, non deve avere un effetto dipremio o di disincentivazione dal punto di vista tributario. Era solo in passato che una certa tesi sostenevache il reddito prodotto attraverso le società avesse un’imposizione più alta e si adduceva a sostegno di taleimpostazione che costituire una società è già di per sé indice di ricchezza. Questa è una tesi che da un puntodi vista economico è ormai respinta.Cerchiamo di vedere materialmente il fatto che ci sia l’effetto di una doppia imposizione, ossia chel’imposizione se non coordinata tra società e soci possa produrre degli effetti sfavorevoli.Occorre soffermarsi, a tal fine, su un esempio numerico: in primis supponiamo che sia prevista sui redditidelle società un’aliquota del 20% e che i redditi percepiti dalle persone fisiche e quindi anche dai soci, siano

assoggettati, come avviene normalmente, ad un’imposta sul reddito a scaglioni progressivi e supponiamoquindi (per fare un esempio verosimile) che questa aliquota sia per la prte di redditi da zero a 100 del 10%,

 per lo scaglione di reddito da 100 a 200 sia del 20% e per lo scaglione di reddito da 200 in su sia 30%.Supponiamo che il soggetto decida di svolgere un’attività imprenditoriale, e decida di farlo direttamente,ossia senza costituire una società e abbia un utile nel corso dell’anno di 400. Come calcolo l’imposta?

 Di questi 400 devo prendere la fetta dei primi 100 su cui si applica l’aliquota del 10%, quindi sui primi 100 pagherò 10. Sulla fetta di quei 400 che va da 100 a 200 dovrò pagare un’aliquota del 20%, quindi x cui 100che vanno da 100 a 200 pagherò 20. Oltre i 200 l’aliquota è 30%, il reddito ipotizzato era di 400, quindisopra 200 rimane un reddito di 200 e sarà 200che dovrò assoggettare all’aliquota del 30%. Sulla terza fettadel reddito dovrò applicare un’aliquota del 30% e quindi pagherò 60.

Primo scaglione corrisponde imposta di 10.Secondo scaglione corrisponde imposta di 20.Terzo scaglione corrisponde imposta di 60.

 Il totale dell’imposta che dovrà pagare questo imprenditore che ha deciso di svolgere la proprioa attivitàsenza la costituzione di una società è 10+20+60 = 90.Supponiamo una situazione identica, ma con la variante rappresentata dal fatto che l’imprenditore decida dicostituire una società. Quindi scaglioni con aliquote del 10%, 20%, 30%. Questa volta però il reddito di 400è prodotto dalla società. L’imposta sulle società abbiamo ipotizzato che sia del 20% quindi la società che ha

 prodotto un reddito di 400 dovrà pagare il 20% di 400 = 80. La società ha prodotto un reddito di 400 e  paga un’imposta di 80. La società al netto delle imposte conserva la differenza tra 400 e 80, ossia320.Supponiamo che la società distribuisca l’utile tra i soci, e per semplicità supponiamo che vi sia un solosocio. Il socio si vedrà corrispondere 320; a 320 applica le solite aliquote del 10%, 20%, 30%.Sui primi 100 il socio dovrà pagare 10.Per il reddito compreso tra 100 e 200 dovrà pagare 20.Per il restante reddito, superiore a 200 (320 -200 = 120) dovrà pagare 36.Quindi il socio che ha ricevuto un utile di 320 dovrà pagare un’imposta di 66.Facciamo il confronto con la situazione precedente: se quella persona avesse svolto l’attività direttamenteavrebbe pagato un’imposta di 90, se quella persona ha costituito una società l’imposta sarà quella pagatadalla società (80) più quella che paga il socio quando gli viene distribuito il dividendo (66), per un totale di146. La tassazione è diversa: è necessario trovare un correttivo. E’ importante sottolineare che questoproblema si pone solo se io ho scelto di tassare le società, se io avessi scelto il criterio che si usa per lesocietà di persone e che può essere scelto per le società di capitali a ristretta base azionaria, ossia quello ditassare solo i soci, il problema non ci sarebbe. I correttivi sono essenzialmente 2, alternativi tra loro: 

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- METODO DEL CREDITO D’IMPOSTA. Quando distribuisco l’utile tra i soci (nell’esempio precedentequei 320), restituisco loro come credito d’imposta, l’imposta che ha già pagato la società (80). Per controquegli 80 li considero anche come reddito percepito dal socio, cioè considero come se il socio percepissel’intero reddito prodotto dalla società. Calcolo l’imposta dovuta dal socio su questo ammontare, ma

dall’imposta dovuta, deduco la somma che la società ha già pagato. Si tratta di un meccanismo cheassomiglia a quello della ritenuta d’acconto. In questo modo è come se io avessi considerato che l’impostache la società ha pagato sui suoi utili era nient’altro che un’anticipazione dell’imposta del socio. Indefinitiva: tasso in capo ai soci tutto il reddito che la società aveva percepito, ma deduco dall’impostacalcolata su questo ammontare, l’imposta già pagata dalla società.

- ESENZIONE DELLA PARTECIPAZIONE. Si tratta di un sistema che mette al centro della tassazionela società. In altri termini più semplici, significa che si tassa solo al livello della società. Questo metodo ha,però, un difetto speculare a quello che mira a correggere: se io tasso solo il reddito prodotto dalla società enon tasso più quando questo reddito è distribuito ai soci, la situazione si inverte e diventa vantaggiosa. La

costituzione della società non è più neutra, ma diventa vantaggiosa ogni qualvolta l’aliquota d’imposta sullesocietà è più bassa dell’insieme delle aliquote che applicherei alle persone fisiche. Esiste poi un altroelemento dispersivo: sottrae tutti i redditi che affluiscono alle società, anche se poi distribuiti ai soci, allealiquote progressive, perché si applicherebbe solo l’aliquota sulle società. La società non paga per scaglioni,paga con un’aliquota fissa. Per questi motivi, nessun sistema tributario adotto questo metodo nella sua formapiena, cioè non ci sono (almeno in Italia) sistemi in cui il reddito è tassato solo in capo alle società. Si fa unascelta di compromesso che corrisponde al sistema attualmente vigente, salvo laddove si applica il principiodella trasparenza, cioè salvo società di persone e società di capitali a ristretta base azionaria. Il sistema checoordina la tassazione delle società con la tassazione dei soci funziona nel modo seguente: l’imposizione siapplica sulla società che produce gli utili, quando poi la società distribuisce gli utili, questi si tassano solo in

una misura ridotta. Più precisamente: se gli utili sono distribuiti alle persone fisiche sono imponibili, in capoalle persone fisiche, gli utili distribuiti con le aliquote progressive soltanto gli utili per il 40% del loroammontare; se invece sono distribuiti dalla società, che abbia come soci altre società, ad altre società sitassano solo gli utili sul 5% del loro ammontare. Si tratta di un meccanismo approssimativo che costituisceuna via di mezzo, nel senso che non si rende la ricchezza prodotta dalla società tassabile solo in capo allasocietà, ma allo stesso tempo quella stessa ricchezza non è assoggettata ad un’imposizione doppia.Riassumendo: il sistema attuale prevede che per i redditi prodotti dalle società, salvo che si applichi ilprincipio della trasparenza in caso di società di persone e di società di capitali a ristretta base azionaria, si haapplicazione dell’imposta sul reddito della società con un’unica aliquota in capo alla società. Quando poi lasocietà distribuisce utili, sottoforma di dividendi, i dividendi sono assoggettati ad imposizione solo nel 5%del loro ammontare nel caso in cui sono distribuiti ad altre società (società socie di società, gli utili sonodistribuiti dalla società a società socie); se invece gli utili sono distribuiti a persone fisiche, gli utili sonoassoggettati ad aliquote progressive, ma soltanto per il 40% del loro ammontare. Non tutto, non il 100%perché altrimenti si avrebbe doppia imposizione, ma un po’ sì, cioè il 40% sì, per garantire che una partedella ricchezza che affluisce ai soci sia assoggettata anche ad un’imposta progressiva, altrimenti, se sitassassero solo le società, sfuggirebbero tutta la tassazione della ricchezza prodotta dalle società al principiodi progressività.

Dei due sistemi appena descritti qual’è il migliore?Indubbiamente il primo metodo è più preciso, però è anche più complicato; il secondo è più approssimativo,ma di più semplice applicazione. A livello internazionale il sistema dell’esenzione è quello nettamente piùdiffuso.

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PROBLEMI DI TERRITORIALITA’

Abbiamo già detto che un primo problema è rappresentato dal fatto di collegare le imposte sui redditi al

tempo, cioè quando è stato prodotto un determinato reddito. Un altro problema è quello di collegare leimposte al territorio.Il problema è, nel senso più ampio: entro che limiti possono essere tassati, in Italia, redditi collegati anchecon l’estero?L’ordinamento tributario italiano, così come la maggior parte degli ordinamenti, ha fatto la seguente scelta,che valorizza due criteri di collegamento per rendere imponibili in Italia i redditi collegati con l’estero: ilprimo consiste nel guardare dove risiede la persona; il secondo nel guardare il luogo di produzione delreddito.Questi due criteri si coordinano in un modo molto semplice: Se il contribuente è residente in Italia, alloratutti i redditi da lui posseduti sono tassabili in Italia; se non c’è il collegamento della residenza, quindi se il

soggetto non è residente in Italia, si possono tassare in Italia i soli redditi prodotti in Italia. Quindiindividuiamo 2 regole:1) Soggetto residente non importa dove il reddito è prodotto

2) Soggetto non residente bisogna vedere dove il reddito è stato prodotto

Da queste 2 regole nascono 3 problemi:1)  Cosa vuol dire essere residenti?

Bisogna distinguere due casi: il contribuente è una persona fisica o è un ente diverso.La persona fisica è residente in Italia se:

-  per la maggior parte del periodo d’imposta, cioè praticamente per almeno 181 giorni, è iscritta in

un’anagrafe di uno dei comuni italiani-  oppure quando, in mancanza della prima condizione, ha, per la maggior parte del periodo d’imposta,in Italia il domicilio, inteso come nozione civilistica (non il domicilio fiscale), ossia come sedeprincipale dei suoi affari e interessi

-  o ancora quando ha in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, la residenza, intesa in sensocivilistico come dimora abituale. Una regola particolare riguarda il caso in cui (esempio casoValentino Rossi) un soggetto, per finalità di vantaggio fiscale, sposti la propria residenza, in unoStato, una volta si diceva, con regime fiscale privilegiato (i cosiddetti “paradisi fiscali”), ora si diceche non garantisca collaborazione con lo Stato italiano ai fini dell’accertamento tributario, cioè chenon fornisca informazioni. Gli Stati di questo tipo sono inseriti in appositi elenchi contenuti indecreti ministeriali. In questi casi il legislatore considera che ci sia un  fumus sospetto. L’art. 2 delT.U. delle imposte sui redditi dispone che chi sposta la propria residenza in un paese di cui aglielenchi sopra citati, si considerano residenti in Italia, salvo che provino il contrario. Si tratta quindidi una presunzione legislativa, di una forma di disincentivazione.

Le società e gli enti sono residenti in Italia se hanno in Italia, alternativamente:-  la sede legale-  la sede amministrativa-  l’oggetto principale della loro attività risultante dalla legge o dallo Statuto

2)  Quando un reddito è prodotto in Italia?

Le regole che servono per stabilire quando un reddito è prodotto in Italia sono diverse a seconda del tipodi reddito:

-  Redditi fondiari: il reddito è prodotto in Italia se il reddito è prodotto in Italia.

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-  Redditi di capitale: il reddito è prodotto in Italia se il soggetto che li paga risiede in Italia.(esempio: se risiedo in Venezuela e presto del denaro ad una persona che risiede in Italia,gli interessi che questa persona mi paga dall’Italia sono prodotti in Italia).

-  Redditi da lavoro dipendente e redditi da lavoro autonomo: il reddito è prodotto in Italia seL’attività, il lavoro è svolto in Italia.

-  Redditi d’impresa: il reddito è prodotto in Italia se l’impresa ha in Italia una strutturapermanente, detta stabile organizzazione

In realtà nei confronti dei non residenti ci sono delle semplificazioni: assodato che, sulla base delleregole appena descritte che il reddito sia prodotto in Italia, teoricamente, cioè se non vi fossero regoleparticolari, il non residente dovrebbe fare la dichiarazione dei redditi e pagare in Italia i tributi attraversotale dichiarazione. Poiché si tratta di una cosa difficile da esigere, perché ad esempio si può trattare dipersone che in Italia non vengono mai, questi redditi in uscita dall’Italia molto spesso sono assoggettati aritenute alla fonte a titolo d’imposta.

3)  Come si fa ad evitare la doppia imposizione internazionale?Come si fa ad evitare che, se io

risiedo in Italia e produco un reddito in Francia, il mio reddito sia tassato sia in Italia, perché sonoresidente in Italia, e sia dalla Francia, perché l’ho prodotto in Francia?

Si tratta di un problema che nasce dal fatto che molto spesso una determinata attività economica rientranel fuoco di attenzione di ordinamenti tributari di più paesi. Se risiedo in Italia e lavoro in Francia, perl’Italia sono tassabile perché risiedo in Italia, e per la Francia sono tassabile perché il mio luogo diproduzione è quello. Corro il rischio di pagare il doppio o comunque di pagare 2 imposte. Come si fa acorreggere questa duplicazione? Ci sono 2 metodi:

-  Convezioni contro le doppie imposizioni. Si tratta del metodo più diffuso e che consistenella stipulazione di convenzioni bilaterali tra paesi, a due a due, nelle quali si accordano sucome ripartire il carico tributario, utilizzando i criteri più diversi: applicazione

dell’imposizione solo in un paese, solo nell’altro, oppure per quote.-  Credito d’imposta. Si tratta di un correttivo generale e residuale che consiste nel detrarredall’imposta italiana relativa al reddito prodotto all’estero, l’imposta estera, ma solo neilimiti dell’imposta italiana che corrisponde al reddito prodotto all’estero. Esempio: io,residente in Italia, ho guadagnato 100 per aver lavorato in Francia. In Francia c’èl’aliquota del 10% e quindi in Francia ho pagato 10. Supponiamo che quei 100 siano lametà del mio reddito totale e che l’imposta italiana totale da pagare sia 15. Di quei 10 diimposta francese posso dedurre soltanto la quota d’imposta italiana che corrisponde alreddito prodotto all’estero, se il reddito prodotto in Francia è la metà del mio reddito totale,allora di quei 15 potrò dedurre soltanto la metà, cioè 7.5

REDDITI FONDIARI

I redditi fondiari misurano la ricchezza prodotta dal possesso di beni immobili (terreni e fabbricati). E’ laforma di ricchezza più antica, la più visibile, ed è facile accertarne il possesso.Per contro non è sempre di comodo accertamento: è un tipo di bene che produce ricchezza che tende adessere poco compatibile con modalità di determinazione basate su scritture contabili. Da secoli per i redditifondiari si utilizza infatti il sistema catastale: determinazione una volta per tutte del reddito medio eordinario (cioè della ricchezza che con un uso mediamente diligente si può tratte dalla cosa). E’ un sistema

che presuppone una massiccia opera di misurazione preliminare, e da un risultato stabilito una volta per tutte,uguale per tutti gli anni. Nonostante la complicatezza di questo metodo nella sua fase di preparazione, ma è

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molto semplice nella fase di attuazione (il catasto è un registro in cui sono elencati tutti i beni immobili, e adogni bene è associata una certa rendita, che è il reddito medio ordinario ritraibile da quell’immobile: diversoconcetto di effettività della capacità contributiva, che corrisponde alla disponibilità della fonte produttiva,non alla effettiva percezione di un determinato provento).I redditi fondiari sono la ricchezza inerente due fondamentali tipi di beni immobili: terreni e fabbricati.

Terreni e fabbricati, devono situarsi nel territorio It. Inoltre devono essere iscritti con l’attribuzione di unarendita, nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio urbano.I redditi fondiari si dividono in:

-  redditi dei terreni (più precisamente redditi derivanti da immobili agricoli)-  redditi dei fabbricati (più precisamente redditi derivanti da immobili destinati ad uso non

agricolo)I redditi fondiari si imputano al periodo d’imposta in relazione alla titolarità del bene nel periodo d’imposta.In caso di con titolarità, il reddito sarà imputato in percentuali uguali tra i titolari.Nel caso in cui sullo stesso immobile esistano diversi diritti reali, il reddito fondiario appartiene a chi detienecivilisticamente il possesso.

Il reddito fondiario è prodotto in It. quando l’immobile si trova in It.

  Reddito dei terreni (derivanti dai beni immobili di uso agricolo)Qui si distinguono due componenti:

-  reddito dominicale: ricchezza che corrisponde al possedere il bene. La quota di reddito dominicale,è attribuibile a chi possiede il bene a titolo di proprietà o altro diritto reale. Si vi sono più dirittireali, è titolare del reddito dominicale chi ha il diritto reale che gli attribuisce il possesso(tipicamente l’usufrutto).

-  reddito agrario: ricchezza che corrisponde allo sfruttamento del bene per l’agricoltura. La quota direddito agrario spetta a chi sfrutta il terreno (lo stesso titolare del diritto reale, ma anche il titolare

di un diritto personale di affitto che svolge l’attività di sfruttamento). Può succedere che sisovrappongano sullo stesso bene, una doppia (ma anche tripla) titolarità: titolarità di redditodominicale, ed una di reddito agrario (l’affittuario).

Il reddito agrario è la ricchezza prodotta dallo svolgimento di una attività di impresa agricola: il prodottodella attività di coltivazione del terreno, allevamento di animali sul terreno, vendita o trasformazione deiprodotti. Civilisticamente l’attività che produce reddito agrario è una impresa, ma dal punto di vista tributarioe fiscale essa non produce reddito di impresa. La differenza è notevole. Il problema è stabilire entro chelimiti l’attività svolta su un terreno agricolo può considerarsi agraria. Ci sono una serie di criteri.La coltivazione del terreno in quanto tale rientra sempre nel reddito agrario.Per quanto riguarda le altre attività:

-  Attività di vendita e trasformazione dei prodotti agricoli: art. 32 TU afferma che si tratta di attivitàche rientrano nel reddito agrario (quindi tassabile solo nella misura che risulta dalle tabellecatasto), se i prodotti oggetto di vendita e trasformazione provengano prevalentemente dal fondo(per la metà). Devono inoltre essere rispettati alcuni limiti previsti in tabelle stabilite nei decretiministeriali. L’eccedenza poi teoricamente diventa reddito di impresa.

-  Allevamento: si rimane nei limiti del reddito agrario se i capi allevati rimangono entro il limite diquattro volte quelli che si potrebbero nutrire con i mangimi prodotti dal terreno.

  Reddito dei fabbricati 

E’ la ricchezza che proviene dal possesso di edifici destinati ad uso non agricolo. Anche qui il reddito èdeterminato come reddito medio ordinario. Titolare del reddito dei fabbricati è il possessore in base ad undiritto reale (proprietario, o usufruttuario), non è mai l’inquilino titolare di un diritto personale di godimento.

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La tassazione avviene in base alle risultanze del catasto, indipendentemente dal fatto che sia stato percepitoun reddito superiore o inferiore effettivo.Queste sono le regione, ma vi sono delle eccezioni: per la prima casa il proprietario è titolare del reddito deifabbricati, egli deve dichiarare tale reddito, ma esso è deducibile (art.10. 3 bis TU).Dato il distacco tra il valore indicato nelle tabelle del catasto, e il valore reale dei fabbricati, si sono seri

necessari ei meccanismi correttivi: il più importante è quello per cui, se il bene è dato in locazione, inveceche essere imponibile la rendita catastale, se il canone di locazione è più alto, esso diventa imponibile conuna deduzione del 15 % forfettaria che serve a dedurre le spese di manutenzione dell’immobile.

Per essere produttivi di reddito fondiario, gli immobili devono essere situati nel territorio dello stato, ediscritti nel catasto, ma non tutti gli immobili che rispecchiano questi estremi danno luogo a reddito fondiario.Gli immobili posseduti da società commerciali, o imprenditori individuali (utilizzati nell’eserciziod’impresa) non danno vita al reddito fondiario, ma al reddito d’impresa. Tra tali tipi di immobili bisogna fareuna ulteriore distinzione: immobili strumentali ed immobili relativi. Questi danno vita al reddito d’impresa,ma con modalità diverse.

Gli immobili strumentali sono più intensamente collegati con l’impresa. Possono esserlo per la loro natura(es. negozio), per destinazione (potrebbero essere usate per altre funzioni, ma sono di fatto asservite allosvolgimento dell’impresa es. sede ufficio in un appartamento).Gli immobili relativi sono posseduti dall’impresa, ma non utilizzati direttamente dalla stessa, per losvolgimento dell’attività d’impresa.Questa distinzione è importante perché vigono diverse regole per la tassazione. I beni strumentali danno vitaa proventi che si tassano sulla base dei ricavi e costi: si guarda effettivamente quanto ricavato dal bene equanto speso. Non si guarda alla rendita catastale. Questo perché gli immobili utilizzati direttamente per losvolgimento dell’attività d’impresa sono dei fattori strumentali per la produzione dei ricavi (aggiungendo allatassazione anche la rendita catastale, si corre il rischio di una doppia tassazione).

Gli immobili relativi, hanno un regime diverso: non producono reddito fondiario, concorrono alladeterminazione del reddito d’impresa, ma la rendita è determinata su base catastale (che concorre a formareil reddito d’impresa).

Il titolare del reddito fondiario è solo il proprietario, o il titolare di un diritto reale che gli attribuisce ilpossesso (non il locatore). E’ però possibile che il locatore di un immobile, conceda l’immobile in sub-locazione dietro un corrispettivo (se consentito dal proprietario). Quel corrispettivo non è un redditofondiario. Inoltre i redditi da locazione solo facili da evadere, quando vi sono solo parti private, ma sel’inquilino è una società o utilizza il bene per un esercizio commerciale, può avere interesse alla deduzionedel canone (quindi sarà facilmente accertabile anche in capo al locatore). Il legislatore ha introdotto unanorma come deterrente, prevedendo che il contratto di locazione sia civilisticamente nullo se non èpresentato alla registrazione all’ufficio del registro (deposito del contratto di locazione in un ufficiopubblico). Tale nullità civilistica è stabilita dalla legge 30 dicembre 2004 n. 311.

REDDITI DI CAPITALE

I redditi di capitale sono disciplinati dagli artt. 44 e seg. del dpr. 917/1986.Essi sono: - interessi (proventi che costituiscono remunerazione di prestiti)

-  dividendi (frutti di un capitale di rischio investito in società o enti)Interessi

Le ipotesi principali sono gli interessi derivanti da mutui, depositi, conti correnti. E’ possibile però, inveceche pattuire il versamento di una determinata somma e poi la restituzione periodica di una quota di capitale e

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di una quota maggiore per gli interessi, veicolare gli interessi sotto una forma diversa: scarti di emissione(differenze positive o negative tra le somme da ricevere e le somme pagate per l'acquisto dei titoli a redditofisso ed altri titoli similari che costituiscono immobilizzazioni finanziarie e sono iscritti come tali inbilancio).

Non tutti gli interessi costituiscono reddito di capitale, ma solo gli interessi che remunerano un capitaleinvestito. Non lo sono gli interessi che risarciscono un danno (come gli interessi moratori). Nemmeno gliinteressi da dilazione di pagamento.Il criterio di tassazione degli interessi è, se sono remunerazione di capitale investito: redditi di capitale;altrimenti vige la disciplina dell’art. 6 TU sui redditi per cui gli interessi moratori e per dilazione dipagamento sono redditi della stessa categoria del provento rispetto al quale sono accessori. (es. gli interessianatocistici accedono ad interessi che erano remunerazione di capitale, e pur essendo interessi moratoridiventano redditi di capitale).

Dividendi

Sono la remunerazione di un investimento in una società o in un ente. I dividendi percepiti dalle personefisiche sono tassabili per il solo 40% del loro ammontare (non si tassano del tutto per evitare la doppiaimposizione).In caso di partecipazione ridotta al capitale sociale, è previsto anche un regime sostitutivo con la tassazioneal 12%.Se il dividendo è pagato da una società ad un'altra società, esso è tassabile solo al 5% del suo ammontare.Non è tassato interamente per evitare la doppia imposizione, ma lo si fa in una piccola percentuale perrealizzare la progressività (anche se solo le persone fisiche pagano l’imposta progressiva). La tassazione del5% avviene per una ragione tecnica: la società che riceve i dividendi, può dedurre come costi della suaattività, i costi di gestione delle sue partecipazioni; deve esserci una simmetria (se la società deduce i costi

per gestire la partecipazione, deve essere imponibile ciò che dalla partecipazione su guadagna: dato che icosti sono bassi, la soglia di tassazione dei dividendi è ridotta).

Il reddito di capitale si tassa al lordo (senza deduzione di costi). La ragione storica sta nel fatto che si èsempre ritenuto che non fossero figurabili dei costi per la produzione del reddito di capitale. Tale ragionenon è più molto attuale: nel mercato globalizzato attuale spesso per gestire bene il proprio denaro ènecessario rivolgersi a soggetti, e questo comporta costi. Questa soluzione probabilmente è incostituzionale.

Il reddito di capita si imputa al periodo d’imposta secondo il principio di cassa (quando è percepito), anchese ci sono delle presunzioni per facilitare il meccanismo. Salvo prova contraria, gli interessi e i redditi dacapitale, si presumono percepiti alle scadenze stabilite per iscritto (nel contratto). Se non è convenuta periscritto la scadenza, si presume percepito l’ammontare maturato nel periodo d’imposta (art. 45 Tu delleimposte sui redditi). Es. un prestito per 5 anni, del 10%, ogni anno si presume sia stato percepito l’interessedel 10%. Per i mutui se gli interessi non sono determinati per iscritto, si presumono all’interesse legale.I proventi obiettivamente costituenti voci di reddito di capitale, se percepiti nell’esercizio di imprese oppureda società commerciali, diventano tutti componenti del reddito di impresa, con l’effetto di comportare ladeducibilità dei costi.

Per quanto attiene ai criteri di imputazione del reddito di capitale al territorio, il reddito di capitale si diceprodotto in It., quando è erogato da un residente in It.( in criterio di collegamento è la residenza del soggettodebitore). Ci sono poi molte eccezioni e regimi sostitutivi.

REDDITI FINANZIARI

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Questa materia è caratterizzata dalla presenza di diversi e complicati regimi speciali, con ritenute a titolo diimposta, o imposte sostitutive (meccanismi più applicati per i depositi bancari, titoli di stato e leobbligazioni).Si discute molto sulla tassazione delle rendite finanziarie, affermando che l’aliquota che normalmente è

applicata a questo tipo di ricchezza (12,5%) è bassa. Bisogna però tenere conto di una serie di fattori:l’aliquota bassa serve a compensare il fatto che i redditi di capitale si riferiscono appunto al capitale (il qualetende a deprezzarsi a causa dell’inflazione, invece che rivalutarsi). Inoltre tenere basse le aliquote sugliinvestimenti finanziari, significa attrarre capitali stranieri.Se i redditi finanziari sono percepiti da società, di solito sono imponibili concorrendo nel loro ammontarelordo al reddito d’impresa, deducendo poi i costi. Se invece sono percepiti da persone fisiche, o da soggettinon commerciali, il sistema prevede il pagamento di un netto (quindi con un regime sostitutivo).Cosa diversa sono i capital gains (guadagni sulla speculazione dalla copra-vendita dei titoli). La cuidisciplina si trova nel d.lgs. 461/1997. Strutturalmente questi non sono interessi, perché non sonopredeterminati e sono aleatori. Non sono redditi di capitale. Essi sono imponibili con regimi sostitutivi:

l’imposta è applicata da un intermediario, secondo due modelli (risparmio amministrato, in cui si determinal’imposta sostitutiva sulle singole operazione, e se c’è una perdita, essa si deduce dai guadagni successivi; orisparmio gestito, in cui si guarda la gestione del portafoglio titoli di un soggetto nel corso di un datoperiodo, sommando i guadagni e sottraendo le perdite, e si applica l’imposta sul risultato).Per i fondi comuni di investimento il regime è simile a quello del risparmio gestito.

REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE (art. 49 Tu delle imposte sui redditi)

Gli elementi essenziali per avere reddito da lavoro dipendente sono: la prestazione di una attività lavorativa,alle dipendenze, e sotto la direzione di altri.

Dal punto di vista fattuale, se un contratto definisce dipendente un certo rapporto, è molto difficiledimostrare il contrario, tuttavia conta sempre la sostanza (nella realtà del rapporto deve esserci dipendenza, edirezione). Di conseguenza il lavoratore manca di una autonomia organizzativa e decisionale.Sono reddito da lavoro dipendente, tutte le pensioni da chiunque percepite (anche le pensioni di lavoratoriautonomi e imprenditori).Bisogna distinguere tra lavoro sommerso (senza imposte e senza contributi) dal lavoro dipendente-mascherato (finto autonomo). Quello che è davvero importante per il diritto tributario è il lavoro sommerso,perché non sconta imposte.

Il reddito da lavoro dipendente si considera prodotto in It. quando l’attività è svolta in It. Il residente chelavora all’estero produce un reddito che è imponibile anche in It. perché in quel caso conta la residenza.Tuttavia la determinazione della tassazione in questo caso è forfettaria (art. 51. 8 bis).

Per quanto riguarda l’imputazione del credito al periodo, vige il principio di cassa (quando lo stipendio vienepercepito).

Per la determinazione del reddito (art. 51) , si ritiene tale tutto ciò che viene percepito in relazione all’attivitàdi lavoro, comunque nominato (retribuzioni, indennità, compresi i sussidi e le gratifiche). Restano esclusisolo i risarcimento del danno (il danno emergente, perché il lucro cessante è imponibile). Sono ancoraesclusi dal reddito di lavoro dipendente, i contributi previdenziali (sia la quota a carico del datore di lavoro,che quella a carico del lavoratore). Il legislatore ha fatto una scelta: di non tassare i contributi all’istante, matassare la prestazione di previdenza quando questa sarà erogata.

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Sussiste una regola particolare per le forme di retribuzione di nature (auto aziendale): questi concorrono aformare la retribuzione sulla base del valore della prestazione del bene attribuito. Non sempre è facilestabilire se si trattiti di una retribuzione in natura oppure nella messa a disposizione di un bene che serve perlavorare (es. palmare, se è possibile l’uso fuori dall’orario di lavoro).Dal reddito di lavoro dipendente non sono deducibili spese (si tassa la retribuzione così come viene

corrisposta). In passato era prevista una detrazione d’imposta (era una forma di detrazione forfettaria dellespese) ma poi ha cambiato la sua funzione ed è diventata uno strumento per correggere la progressività. Lespese non sono deducibili perche non sono imponibili i rimborsi spese ( i rimborsi spesa non costituisconoreddito, non sono una ricchezza novella, ma solo spesa precedentemente affrontata).Per quanto riguarda la trasferta, le spese di trasporto non sono imponibili se sono rimborsatedettagliatamente, ed il meccanismo comunque è il rimborso a piè di lista. Le altre spese (vitto e alloggio)non sono imponibili se si realizza una di queste tre condizioni:

-  sono documentate dettagliatamente e rimborsate a piè di lista (il datore di lavoro può dedurre comecosti fino a 180 € al giorno);

-  è previsto un rimborso forfettario stabilito;

-  il rimborso è analitico per il vitto e l’alloggio, ma è forfettario per il resto.Se si rispettano queste condizioni, le spese per lo svolgimento della prestazione lavorativa (che non sonodeducibili) se rimborsate, vedono un rimborso non imponibile.

I redditi assimilati ai redditi da lavoro dipendente (art. 50) propriamente non sono redditi derivanti da lavorodipendente, ma hanno un regime giuridico simile a quello del lavoro dipendente. La categoria piùimportante è il “compenso per le collaborazioni coordinate e continuative”. I cococo sono rapporti dicollaborazione, aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione. Laprestazione è svolta da uno dei soggetti a favore dell’altro, e c’è un rapporto unitario e continuativo, senzaorganizzazione di mezzi e con una retribuzione periodica prestabilita.

Precedentemente i proventi derivanti da queste prestazioni erano assimilate al lavoro autonomo, mentre orasono state collocate nel lavoro dipendente. Questa operazione (che ha trasformato le relative ritenute daproporzionali a progressive) ha soppresso i cococo che prima erano molto più utilizzati.Nelle figure che danno vita a redditi assimilati al lavoro dipendente rientrano molte forme di lavoroindividuate dalla normativa lavoristica più moderna (quindi lavoro a progetto e lavoro occasionale), maanche le rendite vitalizie a titolo oneroso.

REDDITI D’ IMPRESA

E’ necessario analizzare quando un determinato provento configura reddito d’impresa per due ragioni:

1.  a volte stabilire se un determinato provento concorre a formare reddito d’impresa determina se queldeterminato provento sia o meno tassabile (ad es. certe plusvalenze sono imponibili solo seconseguite nell’esercizio di attività di impresa; in caso contrario non lo sono)

2.  tra reddito d’impresa ed altre categorie di reddito ci sono grosse differenze di trattamento.

La categoria del reddito d’impresa confina con quella del reddito da lavoro autonomo; tra di esse vi sonodelle somiglianze: organizzare una impresa o organizzare un’ attività autonoma, ma senza che abbia carattereimprenditoriale, possono essere cose concettualmente vicine.Vi sono dei casi in cui la differenza è facilmente percepibile (per es. tra la FIAT e un avvocato);

in altri casi non lo è (per es. tra un tecnico informatico e un mediatore immobiliare).

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DIFFERENZE TRA REDDITO DI LAVORO AUTONOMO E REDDITO D’IMPRESA NELTRATTAMENTO GIURIDICO

1.  nel reddito di lavoro autonomo non sono imponibili tutti i tipi di provento (lo sono solo certeplusvalenze e non lo sono, ad esempio, le plusvalenze immobiliari); nel reddito di impresa vale,

invece, il principio di onnicomprensività: ogni provento, qualunque forma esso abbia, confluisce nelreddito di impresa. Si può quindi dire che lo spettro dei proventi costituenti reddito di impresa sia piùampio di quello costituente reddito da lavoro autonomo

2.  le scritture contabili da tenere sono diverse3.  l’obbligo di ritenuta è riferito solo ai redditi da lavoro autonomo; se l’imprenditore percepisce un

certo compenso da un soggetto che rientra tra quelli che sarebbero tenuti all’obbligo di ritenuta, nonsubirà mai comunque la ritenuta alla fonte

4.  vi sono delle differenze, poi, per quanto concerne le regole di imputazione del reddito al periodo diimposta: al reddito di lavoro autonomo (come anche agli altri tipi di reddito) si applica il criterio diCASSA mentre al reddito di impresa si applica il criterio di COMPETENZA

5.  solo gli imprenditori (ed in particolare i commercianti al minuto) possono beneficiare del REGIMEDEI COMMERCIANTI AL MINUTO ossia, possono essere esonerati dall’obbligo di emettere lafattura (i professionisti no).

Dove troviamo la definizione di reddito d’impresa?La norma fondamentale a riguardo è l’art. 55 del TUIR , in combinato disposto con gli artt. 6, 3°comma, e 81dello stesso testo unico.Affinché un determinato reddito sia considerato d’impresa è sufficiente che vi sia uno di questi due criteri:

1.  SOGGETTIVO: dipende dal soggetto; vi sono dei soggetti che per le loro caratteristiche

percepiscono automaticamente redditi di impresa2.  OGGETTIVO: è necessario guardare, invece, il tipo di attività

CRITERIO SOGGETTIVO

Vi sono determinati soggetti che, per il solo fatto di avere una certa forma giuridica, percepiscono reddito diimpresa.La prima categoria di questi soggetti è disciplinata dall’art. 6, 3°comma, del TUIR, ed è costituita da: societàin nome collettivo (s.n.c.) e società in accomandita semplice (s.a.s.) residenti nel territorio dello Stato.Quindi tutti i loro redditi (anche quelli prodotti da immobili) costituiscono reddito di impresa.La seconda categoria è disciplinata dall’art. 73 lett.a del TUIR in combinato con l’art. 81 ed è costituita da:società commerciali (s.p.a. ,s.a.p.a., s.r.l.), società cooperative e mutue assicuratrici residenti nel territoriodello Stato.La terza categoria è costituita da tutte le società, tranne le società semplici, che pur non essendo residenti inItalia abbiano ivi una STABILE ORGANIZZAZIONE, indipendentemente dall’oggetto sociale e dalla loroeffettiva operatività.

Esiste, a tal proposito, il fenomeno delle c.d. SOCIETA’ DI COMODO o società non operative, cioè vienecostituita una società, a cui si intestano dei beni, ma che effettivamente non svolge alcuna attività.Questo non è un meccanismo fraudolento, ne scelto necessariamente per fini fiscali.Vi possono essere, infatti, altre ragioni per cui un soggetto preferisce intestare dei beni ad una societàanziché esserne direttamente titolare (ad es. è più facile far circolare i beni tramite la vendita delle azioni

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anziché direttamente dei beni stessi; ed è più facile anche fare la divisione dei beni sociali tramite ladivisione delle partecipazioni azionarie).Non sempre dalla decisione di intestare dei beni ad una società derivano, però, delle conseguenze favorevoli;dato che tutti i proventi entrano a fare parte del reddito d’impresa tutte le plusvalenze di conseguenza,diventeranno imponibili.

Vi sono delle operazioni che danno luogo a proventi che sarebbero tassabili solo ove fossero realizzate dasocietà.Tra le più importanti conseguenze favorevoli derivanti dalla costituzione di una società vi è, invece, quellacostituita dal fatto che i redditi d’impresa si tassano al netto ( con possibilità di dedurre i costi), mentre iredditi di capitale si tassano al lordo ( senza possibilità di dedurre costi).

Tornando alle società non operative, il legislatore prevede che esse producano redditi imponibili anche se inconcreto non agiscono. Le leggi 724/’94 e 662/’96 hanno stabilito che le società “inattive” (con ricavi al disotto dei minimi stabiliti da appositi decreti) si considerano produttive di un REDDITO MINIMOPRESUNTO.

Si è discusso sulla legittimità della presunzione di redditività minima delle società di comodo nei confrontidel principio di capacità contributiva. Se questa presunzione servisse per colpire l’evasione si dovrebbe dareal contribuente la possibilità di provare il contrario (possibilità dubbia alla luce delle riforme del 2005/2006).Su tale questione alcuni sostengono l’incostituzionalità di questa presunzione; altri ritengono, invece, chequesta presunzione costituirebbe uno strumento per tassare un reddito minimo (avrebbe quindi la medesimafunzione di un ticket); in base a quest’ultima tesi questa presunzione non serve per tassare i redditi evasi maper tassare la società in quanto tale.

CRITERIO OGGETTIVO

Si utilizza quando si tratta di soggetti diversi da quelli che rientrano nel criterio soggettivo.In base ad esso si ha reddito di impresa se concorrono queste condizioni:

1.  vi deve essere un’ATTIVITA’ ABITUALE ossia non occasionale (questo, però, non vuol dire chel’attività debba essere continuativa, ne tantomeno esclusiva. )

2.  in base all’art. 55, 1°comma, del TUIR si deve trattare di un’attività rientrante nell’art. 2195 c.c.:produzione industriale di beni e servizi, attività intermediarie nella circolazione di beni e servizi,attività bancaria e assicurativa, attività di trasporto, attività ausiliarie) .In tutti questi casi non ènecessario verificare che vi sia organizzazione in forma di impresa, per ragioni di praticità

3.  rientrano, poi, in attività di impresa le attività di impresa agricola se eccedono i limiti stabilitidall’art. 32 del TUIR per il reddito agrario.

Tutte queste sono attività che, oggettivamente ed automaticamente, determinano reddito di impresa anchesenza analizzare se vi sia stata o meno organizzazione di mezzi, tipica dell’imprenditore.

Vi è poi una norma di chiusura che stabilisce che sono considerate attività produttive di reddito di impresa leattività fuori dall’art. 2195 c.c., se ORGANIZZATE IN FORMA DI IMPRESA.La nozione fiscale di imprenditore è diversa da quella civilistica (anche se vi è un esplicito richiamo alcodice civile) perché per le attività dell’art. 2195 c.c. si prescinde dalla organizzazione imprenditoriale (possono anche mancare dipendenti, mezzi materiali..).

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Questo determina che a fini fiscali sono imprenditoriali anche attività che non lo sarebbero dal punto di vistacivile.L’art. 55, 1°comma, del TUIR stabilisce che sono produttive di reddito d’impresa, indipendentementedall’organizzazione in forma imprenditoriale, tutte le attività di cui all’art. 2195 c.c.; mentre il 2° comma delmedesimo articolo stabilisce che le altre attività sono produttive di redditi d’impresa solo se organizzate in

forma di impresa.E’ necessario dunque individuare quali sono le attività escluse dall’art. 2195 c.c. per cui è necessarioverificare se vi sia organizzazione in forma di impresa.L’art. 2195 c.c. parla di “produzione INDUSTRIALE di beni e servizi”; per la produzione di beni non sipongono particolari problemi (è infatti difficile configurare una produzione di beni che non avvenga in modoindustriale); il problema è quindi quello di stabilire quando la produzione di servizi avvenga in modoindustriale.La categoria per cui è necessario verificare se vi sia organizzazione in forma imprenditoriale è dunque laproduzione di servizi in forma non industriale.Si ha una produzione industriale di servizi quando prevale l’aspetto materiale.

In altri servizi, invece, l’aspetto intellettuale rimane sempre e comunque prevalente (ad es. notaio oavvocato).Bisogna quindi analizzare qual è l’aspetto prevalente della attività di prestazione del servizio: se quellomateriale o quello intellettuale.A tali fini può anche essere importante sapere il modo in cui si è acquisito il relativo sapere: se il sapere èstato acquisito in modo prevalentemente empirico siamo nel settore materiale (e quindi nel settore impresa);se invece il sapere è stato acquisito studiando siamo nel settore intellettuale.

Rientra anche nelle attività imprenditoriali lo sfruttamento di cave e di miniere, ma solo per chi svolgel’attività di sfruttamento e non per colui che le da in concessione.

Quanto detto sino ad ora è il criterio oggettivo per la determinazione del reddito di impresa delle personefisiche.

Per gli enti, diversi dalle società, non si guarda solo all’attività effettivamente svolta ma si guarda anche alleprevisioni dello statuto o della legge.L’art. 73 lett.b del TUIR stabilisce che gli enti che hanno come oggetto esclusivo o principale attivitàcommerciali, sono titolari di solo reddito di impresa.Se l’ente, invece, non ha come oggetto principale l’attività commerciale produce reddito appartenente allevarie categorie di reddito a seconda delle diverse attività che svolge (art. 73 lett. c).La differenza consiste nel fatto che se un ente, diverso dalle società, ha come oggetto ( almeno principale)l’attività commerciale tutti i redditi sono considerati d’impresa; se un ente ha come oggetto non principalel’attività commerciale si va ad analizzare oggettivamente ogni pezzo di attività.

Un ente ha oggetto COMMERCIALE quando l’attività rientra nell’art. 55 del TUIR .L’oggetto dell’ente è PRINCIPALE quando costituisce l’attività essenziale per raggiungere direttamente gliscopi dell’ente.L’art. 73, 4°comma, stabilisce che l’oggetto dell’attività dell’ente è disciplinato dalla legge (per gli enti daessa disciplinati) o dallo statuto, sempre che lo statuto assuma la forma della scrittura privata autenticata;quando lo statuto manca o non assume le forma della scrittura privata autenticata si deve analizzarel’ATTIVITA’ EFFETTIVA.La Cassazione sin dal 1986 ha stabilito che nel caso in cui vi sia contrasto tra lo statuto e l’attività effettiva,prevale quest’ultima.

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Affinché l’attività produca redditi di impresa, di regola è irrilevante che essa sia finalizzata al lucro (ad es.hanno sempre prodotto redditi di impresa le società calcistiche pur non avendo fini di lucro).Solo in caso di norme speciali può rilevare la mancanza del fine di lucro (ad es. per le ONLUS il d.lgs.460/97 ha previsto tra i requisiti che esse devono avere affinché si escluda l’attività commerciale l’assenzadei fini di lucro).

DETERMINAZIONE DEL REDDITO DI IMPRESA

Il reddito di impresa non è definito a componenti tassative. Vi sono una serie di norme che stabiliscono levoci che concorrono a formare reddito d’impresa, ma queste non sono tassative.In realtà, infatti, ogni provento collegato con lo svolgimento dell’attività imprenditoriale è tassabile; quelliespressamente previsti dal TUIR lo sono perché hanno delle regole particolari.Questa è una differenza molto importante poiché nelle altre categorie di reddito, invece, le indicazioni hannovalore tassativo.

Tutti i beni relativi all’impresa danno vita a vicende che hanno una RILEVANZA FISCALE, ossia tutti ibeni hanno effetto nella determinazione dei tributi:

  i prodotti (cioè i beni e i servizi che l’impresa produce) perché danno vita a ricavi  tutti gli altri beni perché possono dare vita a plusvalenze, perdite, ecc.

I beni relativi all’impresa per le società commerciali, cioè quelle che automaticamente producono reddito diimpresa, sono tutti quelli posseduti.Per quanto riguarda, invece, gli imprenditori individuali sorge il problema di distinguere il patrimonio

personale dell’imprenditore dalla sfera dei beni usati per lo svolgimento dell’attività.In questo caso i beni relativi all’impresa degli imprenditori individuali sono: le materie prime, le merci e ibeni strumentali diversi dagli immobili, poiché quest’ultimi sono relativi all’impresa solo se inseritinell’inventario.Ogni bene relativo all’impresa ha un VALORE FISCALMENTE RICONOSCIUTO (ossia il valore di quelbene, rilevante a fini tributari).Il valore fiscalmente riconosciuto è dato dal costo di acquisto o di produzione, maggiorato dell’eventualerivalutazione, delle eventuali altre spese (di trasporto, di montaggio,ecc..) e degli oneri.

Un principio fondamentale della tassazione del reddito di impresa è costituito dalla CONTINUITA’ DEIVALORI FISCALMENTE RICONOSCIUTI il quale stabilisce che il valore che un bene relativo all’impresapossiede alla fine dell’anno deve essere uguale a quello che lo stesso bene possiede all’inizio dell’annosuccessivo.Se non vi fosse questa continuità tra valori si avrebbe una situazione fiscalmente irregolare.Il fatto che si debba tenere fermo il valore del bene può comportare effetti sfavorevoli in caso di svalutazionemonetaria.

AVVIAMENTO

Un altro concetto molto importante è quello di avviamento.Quest’ultimo serve a dare rilievo, contabile e tributario, al fatto che molto spesso un’attività imprenditorialeha un valore superiore a quello costituito dalla mera somma dei suoi beni.

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Molto spesso nel determinare il prezzo di vendita di un’attività commerciale, un soggetto non si limita adavere il corrispettivo dei beni esistenti all’interno dell’attività, ma tiene conto anche del c.d. avviamento, cioèdella capacità di produrre reddito.L’avviamento è, quindi, la valutazione della capacità di produrre reddito.

L’INERENZA

Il concetto di inerenza rileva a fini tributari in quanto il TUIR consente di detrarre dai proventi i soli COSTIINERENTI.E’ logico dedurre i costi in quanto il reddito deve essere ricchezza novella (non lo sarebbe se i costieguagliassero i proventi); il reddito è dato dai proventi meno i costi.Si può quindi dedurre solo il costo sostenuto per produrre il provento.Il contribuente può essere tentato a dedurre costi che nulla hanno a che fare con quel guadagno, al fine di

ridurne l’importo tassabile.L’inerenza è un concetto un po’ sfuggente: riguarda quei costi sostenuti per produrre il reddito.Non è facile valutare l’inerenza; essa non coincide con il concetto di UTILITA’.Una spesa finalizzata alla produzione di quel provento non potrà essere considerata non inerente per il solofatto di essere risultata inutile.Non deve essere utile e non deve essere neanche RAGIONEVOLE per essere inerente.Non sono deducibili solo le spese NON sostenute nell’esercizio dell’attività imprenditoriale, ossiamanifestamente estranee.Occorre andare ad esaminare la singola situazione (es. il televisore al plasma non può essere consideratoinerente all’attività di colui che ripara scarpe, mentre lo può essere per il proprietario di un bar).

Ci sono dei casi limite (es. la rubinetteria d’oro può essere considerata non inerente all’attività diparrucchiera; potrebbe però esserlo ove essa avesse solo una clientela di alta classe).Ci sono spesso delle contestazioni con riguardo alla inerenza proprio a causa della genericità del concetto.A volte vi sono delle norme speciali che prevedono dei limiti all’ ammontare dei costi deducibili (per es.visono dei decreti del ministero dell’economia che prevedono limiti di deduzione con riferimento alle spese dirappresentanza).

Affinché sia tassato solo il reddito è necessario che sia prevista la possibilità di dedurre i costi, altrimenti sitassa non il reddito ma un’altra cosa.Vi è però una norma eccezionale (art. 14, comma 4bis, della legge 537/1993) che vieta di dedurre le spesasostenute per i reati, anche se inerenti. Dal punto di vista tributario questa norma è scorretta perché se vi è unreddito si deve dare la possibilità di dedurre tutti i costi ad esso inerenti (a prescindere da valutazionimoralistiche sul tipo di costo, es. costo per ingaggiare un killer).In questo caso il legislatore ha confuso il profilo penale da quello tributario.

IL BILANCIO

La contabilità è un istituto utile per le grandi imprese (es. la FIAT) perché essa consente agli azionisti dicontrollare l’operato degli amministratori, mentre è superflua per i piccoli esercizi commerciali.Il legislatore ha esteso la contabilità a tutte le categorie di attività commerciale.La contabilità comprende:

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  il CONTO PROFITTI E PERDITE (che è la rappresentazione delle attività compiute nel corsodell’anno)

  il BILANCIO (che rappresenta i beni posseduti al termine dell’anno)

Il conto profitti e perdite e il bilancio sono la base per la determinazione del reddito di impresa.

Per determinare i redditi di impresa si parte dal bilancio civilistico ma in parte lo si rettifica; infatti ladefinizione del reddito di impresa è questa: “utile ,come risultante dal conto profitti e perdite e dal bilancio,come rettificato sulla base delle norme del TUIR”.Si parte dal bilancio civilistico e lo si rettifica ove le norme civilistiche non concidano con quelle tributarie.Legge civile e legge tributaria si preoccupano di tutelare la trasparenza dell’impresa nei confronti deicreditori e del mercato: la prima per evitare che l’imprenditore dichiari più di quanto effettivamente abbia(per ottenere credito), la seconda per evitare che l’imprenditore dichiari meno per poter pagare minori tributi.Una ulteriore differenza è data dal fatto che nella legge civilistica conta la certezza (ossia non bisognainserire in bilancio cespiti non posseduti); in quella tributaria si pone, invece, l’attenzione sul fatto chel’imprenditore non dichiari di meno di quanto effettivamente ha.

Da queste divergenze può sortire come effetto che vi siano dei costi fiscalmente deducibili ma che non losono civilisticamente, o viceversa (così come per le voci attive alcune potranno essere valorizzate dal puntodi vista tributario ma non da quello civilistico o viceversa).In passato si prevedeva che determinati costi potessero essere dedotti fiscalmente solo ove fossero statiinseriti nel conto profitti e perdite civilistico. Oggi questo non è più possibile in quanto il nuovo art. 109, 4°comma, del TUIR consente di dedurre fiscalmente anche costi non contemplati nel bilancio civilistico.Queste sono situazioni eccezionali in cui si configura una discrepanza tra la legge civile e quella tributaria; laregola è però quella della loro coincidenza (infatti normalmente i costi deducibili per il diritto tributariocorrispondono a somme, pagamenti che risultano anche come voci del bilancio civile).

FONDI TASSATI E RISERVE IN SOSPENSIONE DI IMPOSTA

  Può capitare che vi siano delle passività deducibili civilisticamente ma non fiscalmente.Es.: un imprenditore possiede un bene che nell’ultimo anno si è molto deprezzato; potrà farvalere questa situazione civilisticamente, ossia nei confronti dei creditori, ma non nei confronti delfisco perché, per il diritto tributario, questo soggetto non sosterrà una perdita finchè non rivenderàtale bene.In questo caso si deve inserire in bilancio una voce negativa, che va a costituire un fondo, dettoFONDO TASSATO; si chiama così perché questa deduzione è fiscalmente irrilevante e quindi lapassività è stata già soggetta ad imposizione; nel momento in cui verrà distribuita non dovrà, quindi,scontare nuovamente l’imposta.

  Può, però, anche capitare il contrario: che l’imprenditore inserisca nel bilancio una voce attiva mache essa sia ancora fiscalmente irrilevante (perché, per esempio, non è ancora di “competenza”);questa voce attiva viene inserita nel bilancio come RISERVA IN SOSPENSIONE DI IMPOSTA; inquesto caso questa voce non ha ancora scontato l’imposta e dunque nel momento in cui questaricchezza verrà distribuita dovrà scontare l’imposta.

IMPUTAZIONE TEMPORALE DEL REDDITO DI IMPRESA

Per quanto riguarda i criteri di imputazione del reddito al periodo di imposta, al reddito di impresa si applicail CRITERIO DI COMPETENZA, a differenza di tutti gli altri redditi a cui si applica quello di CASSA.

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Il criterio di competenza significa che le voci che concorrono a formare il reddito di impresa rilevano nonquando sono incassate ma quando COMPETONO, ossia quando è maturato il relativo diritto.L’art. 109 del TUIR prevede una serie di regole specifiche che stabiliscono quando il diritto si consideramaturato nei singoli casi:

1.  Per la cessione dei beni:

  nella cessione di BENI MOBILI il momento della competenza è quello della consegna (nonrileva, invece, il momento del passaggio di proprietà ne quello in cui avviene il pagamento);se però vi sono delle clausole che posticipano il momento del passaggio della proprietà adopo la consegna, in questo caso il momento della competenza non sarà più quello dellaconsegna ma quello in cui si perfeziona il passaggio di proprietà

  per i BENI IMMOBILI il momento della competenza è quello della stipulazione dell’atto

notarile; anche in questo caso però se il momento del passaggio di proprietà è posticipatorispetto a quello in cui viene redatto l’atto (es. contratto sottoposto a condizione) il momentodella competenza non sarà più quello in cui è stato stipulato l’atto ma quello in cui si verificail passaggio di proprietà.

2.  Per le prestazioni di servizi:

  il momento della competenza è quello della fine della prestazione del servizio(indipendentemente dal momento in cui è avvenuto il pagamento)

  se invece il corrispettivo è periodico, è di competenza quanto maturato nel periodo

(indipendentemente dal momento in cui è avvenuto il pagamento)

L’art. 109 contempla anche altre situazioni ma non il caso dei contributi pubblici (per es. quelli erogati versoimprese che erogano servizi di trasporto pubblico).

Se vengono dedotti dei costi che non si riferivano a quel periodo di imposta( in quanto vi è stato un errore inordine al criterio di imputazione al periodo) il contribuente potrà presentare una dichiarazione correttiva.Non è possibile dedurre in un certo periodo di imposta un costo che non si era dedotto nel periodo di impostaprecedente (a differenza di come ritengono spesso i commercialisti).Un problema particolare si ha quando non è il contribuente a rettificare la competenza ma è l’ufficio a farlo,per esempio, perché trova che un costo è stato dedotto nel periodo sbagliato.Il fisco recupera l’imposta evasa nel periodo in cui il costo è stato erroneamente dedotto perché si è pagatal’imposta su di un reddito inferiore al reale ma dovrà riliquidare l’imposta (diminuendola) per il periodosuccessivo, ossia quello in cui il costo poteva effettivamente essere dedotto.Sarebbe stato meglio, in caso di errore sulla competenza, lasciare inalterata la situazione facendosemplicemente pagare al contribuente la differenza.

RICAVI E PLUSVALENZE

Tra gli elementi positivi che concorrono a determinare il reddito di impresa vi sono i ricavi e le plusvalenze.Questa distinzione corrisponde alla differenza tra due diverse categorie di beni: i BENI MERCE e iSERVIZI RESI i quali danno luogo a ricavi; tutti gli altri danno invece luogo a plusvalenze.Tra queste due categorie di beni vi sono differenze a livello tributario:

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1.  perché sono inseriti in contabilità diversamente (i beni merce sono inseriti per MASSE; gli altriINDIVIDUALMENTE)

2.  i beni merce danno vita a proventi tassati secondo il meccanismo dei ricavi / rimanenze; gli altridanno luogo proventi tassati secondo il meccanismo delle plusvalenze

3.  vi sono delle norme che fanno dipendere determinati effetti, a seconda del volume dei ricavi (per es.gli studi di settore si applicano solo entro un certo limite di ricavo/fatturato)

I beni merce sono indicati in contabilità per masse e danno vita ad una tassazione in base a: ricavi, costi erimanenze.Es.: il calzaturificio indicherà i ricavi ottenuti dalla vendita delle scarpe, quante unità di queste ne haavanzate alla fine del periodo (rimanenze) e i costi di produzione.I beni merce danno vita ad una tassazione che è data dalla somma di ricavi + rimanenze – costi.

Gli altri beni sono inseriti a bilancio individualmente; il costo per acquistarli è distribuito in contabilità nei

vari anni (visto che il bene servirà per più anni è possibile “spalmarne” il costo su più anni); questo è il c.d.AMMORTAMENTO.Dalla vendita di questi beni si ottengono plusvalenze che sono date dalla differenza tra il prezzo (ottenutodalla vendita del bene) e il valore che questo bene aveva nella contabilità.Se questa differenza da luogo ad un valore positivo si avrà una plusvalenza, se è negativo si avrà unaminusvalenza.Analizziamo quali sono i beni che danno vita ai ricavi e quali invece danno vita a plusvalenze.

Danno luogo a RICAVI i beni alla cui cessione è finalizzata l’attività ( es. le auto per la fiat).Vi rientrano inoltre le materie prime e quelle sussidiare ( es. la farina per il fornaio).

Vi sono dei beni che danno luogo a ricavi o a plusvalenze a seconda dell’attività svolta;es. la vendita di una ruspa costituisce un ricavo per il rivenditore di ruspe( perché si tratta di un bene alla cuicessione è finalizzata l’attività) ma non lo è per l’imprenditore edile( in questo caso si tratterà di unaplusvalenza).

Solo i beni possono dare luogo a plusvalenze.I servizi non possono; possono solo dare luogo a ricavi.Se i servizi non sono oggetto dell’attività di impresa possono dare luogo a proventi diversi, che concorrono aformare reddito d’impresa.( deve infatti ricordarsi che l’elenco di proventi che concorrono a formare redditod’impresa non è tassativo).Es. se l’imprenditore possiede una ruspa che non utilizza e la da in locazione, questo costituisce un proventoatipico.

Vi sono delle norme specifiche per stabilire se determinati beni danno luogo a ricavi o a plusvalenze: adesempio in materia di azioni e titoli.In questo caso bisogna andare a vedere come questi beni sono iscritti a bilancio.Se sono state iscritte a bilancio alla stregua di IMMOBILIZZAZIONI FINANZIARIE ( investimenti che siha intenzione di conservare) daranno luogo a plusvalenze;altrimenti danno luogo a ricavi.Nel 2006 , al fine di tenere in considerazione le regole della contabilità europea( ove non vi è la categoriedelle immobilizzazioni finanziarie), è stato previsto che le azioni e obbligazioni danno luogo a plusvalenzese non sono iscritte a bilancio come detenute per negoziazioni.

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Costituiscono ricavi anche tutti i contributi privati e anche tutti i CONTRIBUTI PUBBLICI VERSATI INCONTO ESERCIZIO ( es. i contributi che i comuni erogano alle aziende municipalizzate per ripianare ildeficit di gestione).Questi contributi che il comune eroga hanno infatti la funzione di sostituti di ricavi che non vi sono stati e

quindi è giusto che siano considerati come ricavi.Se questi contributi pubblici non sono stati erogati per l’esercizio ma per investimento ( es per il rinnovo delparco macchine) esse si considerano SOPRAVVENIENZE.

Tutti gli altri beni ( diversi da quelli che danno luogo a ricavi) danno luogo a plusvalenze.

Vediamo ora come si determinano queste voci.Per determinare il ricavo non vi sono particolari problemi perché esso è dato dal corrispettivo contrattualestabilito.La plusvalenza è costituita dal prezzo di realizzo meno il valore fiscalmente riconosciuto( valore che era

iscritto a bilancio).Il VALORE FISCALMENTE RICONOSCIUTO si ottiene considerando il costo, aumentato delle eventualirivalutazioni, diminuendolo degli ammortamenti.Es. se compro un macchinario per 1000, vi deduco un ammortamento di 500, se lo rivendo per 1200 avrò unaplusvalenza di 700.Se il bene che ha dato luogo ad una plusvalenza lo si possedeva da almeno 3 anni, si potrà scegliere setassare la plusvalenza subito per intero oppure se “spalmare” l’imposta su più anni (massimo 5), ossiadividere la plusvalenza in fette e pagare l’imposta per ciascuna fetta ogni anno.Nei confronti delle società sportive è sufficiente che il bene sia stato posseduto un solo anno.Per concludere sulla tassazione delle plusvalenze, bisogna ricordare che contano solo le plusvalenze

effettivamente realizzate ( ovvero quando il bene è stato effettivamente alienato).

INTERESSI E DIVIDENDIEssi, oggettivamente, sono redditi di capitale.Interesse è il corrispettivo per aver prestato lo somma; il dividendo è la remunerazione del capitale investitoin un’attività produttiva.Interessi e dividendi possono costituire un caso in cui si applica il principio di attrazione nel redditod’impresa:essi oggettivamente sarebbero reddito di capitale, ma se vengono percepiti nell’esercizio di attivitàd’ impresa divengono redditi d’impresa.Questa differenza rileva in quanto solo i redditi d’impresa si tassano al netto, quelli di capitale invece allordo.

Per capire come si determina il reddito d’impresa, bisogna dire innanzitutto che esso è determinato dasingole voci:

  interessi & dividendi, disciplinati dagli artt. 59 e 89 del T.U. sull’imposta sui redditi. Gli interessi, chepossono essere definiti come la remunerazione del capitale prestato, e i dividendi cioè il capitale investitonell’attività produttiva altrui, oggettivamente dovrebbero essere considerati redditi di capitale. Bisogna peròricordare che esiste il principio di attrazione del reddito d’impresa, per cui tutti i redditi che oggettivamente

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apparterrebbero ad altre categorie, se attribuibili ad imprenditori, sono considerati redditi d’impresa. Sequindi un imprenditore investe in altre imprese, i dividendi che gli vengono attribuiti da questo investimentosono considerati redditi d’impresa; se un imprenditore ha molta liquidità e presta denaro, gli vengonocorrisposti degli interessi che oggettivamente sarebbero redditi di capitale ma che, poiché attribuibiliall’imprenditore, diventano reddito d’impresa. Bisogna ricordare anche che nel caso particolare di

distribuzione di dividendi, il sistema attualmente vigente è quello che si chiama PARTECIPATIONEXEMPTION , in virtù dei quali i dividendi, ossia l’utile che viene retribuito ai soci, in realtà sono tassatilimitatamente. Il dividendo è tassato al 5% se a percepirlo è una società , è tassato al 40% se a percepirlo èun socio persona fisica. Un po’ più complesso è invece il discorso per quel che riguarda le plusvalenze sullepartecipazioni. Le plusvalenze sono il guadagno, sono le differenze guadagnate dalla vendita di un beneacquistato precedentemente. Io ho una plusvalenza se il prezzo di realizzo è maggiore del costo fiscalmentericonosciuto. Bisogna analizzare il regime tributario delle plusvalenze sulle partecipazioni, cioè leplusvalenze che derivano dalla vendita di beni particolari quali sono le azioni. Un esempio tipico è quello diun imprenditore che ha acquistate a 10 e rivendute a 20: bisogna stabilire il regime imponibile di questeplusvalenze. Per capirlo bisogna ricordare che quando una società produce del reddito, produce dell’utile,

può decidere o di trattenere questo guadagno o di conferirlo ai soci; se opta per questa seconda ipotesi, avràdue possibilità:

1.  distribuire l’utile percepito ai soci. Poiché il regime di tassazione dei redditi della societàattualmente è incentrato sulla società, quando si distribuiscono i dividendi, questi non sonoimponibili (in realtà questo non è vero in assoluto: abbiamo appena visto come i dividendi sianotassati al 5% se distribuiti a società e al 40% se distribuiti a soci persone fisiche);

2.  al posto di distribuire i dividendi, si possono cedere le azioni, ottenendo un guadagno. Infatti, seun imprenditore ha comprato una società prima che producesse utili e la rivende quando neproduce , le azioni della società valgono di più perché comprendono anche il diritto a percepirei dividendi, il che implica che l’imprenditore avrà un guadagno maggiore dalla vendita.

Dal punto di vista economico, non c’è differenza tra del due scelte. Se questo è il sistema, la risposta alladomanda che abbiamo posto prima è logica: se non si tassano i dividendi, non si devono tassare neanche leplusvalenze, perché sono due modi di realizzare la stessa ricchezza. Questa situazione può apparire moltostrana, perché comporta che imprenditori che vendono grossi pacchetti azionari, realizzino grandi guadagnisostanzialmente non tassati: proprio questo sistema ha causato lo scandalo, sia a livello giornalistico, sia alivello politico delle scalate bancarie di qualche anno fa. La stampa sosteneva che i guadagni derivanti daquesto tipo di operazioni fossero addirittura “scandalosi”, affermazione in realtà del tutto errata: taliguadagni non erano altro che la logica conseguenza derivante dalla scelta legislativa di tassare la ricchezzaprodotta dalla società solo in capo alla società, per cui ciò che succede ad altro livello non è per nullarilevante. Bisogna inoltre ricordare che il sistema tributario è caratterizzato da una sorta di “proporzionalità”per cui ciò che si risparmia da un lato, si perde dall’altro abbiamo dunque da un lato un soggetto che realizzauna plusvalenza non imponibile, ottenendo vantaggio, ma dall’altro abbiamo un soggetto che non puòdedurre il costo conseguente all’acquisto, non essendo imponibile la plusvalenza ottenuta dalla vendita: lascelta di non tassare le plusvalenze dunque non comporta nessuna diseconomia. Naturalmente, se sonoirrilevanti le plusvalenze, devono esserlo anche le minusvalenze: se non è tassabile la plusvalenza, non saràneanche deducibile la minusvalenza, cioè la perdita. Le plusvalenze sulle partecipazioni non dono imponibiliper logica scelta, coerente col fatto che si è scelto di tassare il reddito prodotto dalle società solo in capo allesocietà. Il sistema presenta poi nel dettaglio alcune asimmetrie.

  Tassazione dei gruppi: insieme di società di cui l’una controlla l’altra oppure una società a montecontrolla tante società a valle: tutte sono comunque controllate quindi le azioni sono tutte possedute dallastessa società. La tassazione dei gruppi è un problema, è un problema perché può capitare che la societàpadrona realizzi dei redditi e la società posseduta delle perdite; è possibile che la somma complessiva dei

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risultati di tutte le società che appartenenti al gruppo sia nulla. Il sistema di tassazione italiano prevede ditassare i risultati di ciascuna società separatamente, con alcune conseguenze dal punto di vista economico: èinfatti possibile che il gruppo nel suo complesso non si sia arricchito di nulla, ma applicando il sistema dellatassazione separata, la società in perdita riporterà le perdite negli anni successivi, recuperando poi più avanti, la società in utile pagherà le tasse immediatamente, il che evidentemente può essere una cosa ampiamente

sbilanciata; dal punto di vista della fiscalità del gruppo potrebbe essere più conveniente essere consideratiunitariamente. Fino a qualche anno fa non esisteva un correttivo di questo tipo; da qualche anno è invecepossibile fare il cosiddetto bilancio consolidato, cioè, dal punto di vista tributario, le società appartenenti algruppo sono considerate una cosa unica. Ciò non vuol dire che non esistono più le singole società, alcontrario ciascuna di esse continuerà ad avere i suoi redditi, ma, dal punto di vista tributario, è possibilefare una dichiarazione unica, in cui si concentrano tutti i redditi delle une come le eventuali perdite dellealtre. Il consolidato serve dunque ad avere un regime tributario unico per tutto un gruppo di società; che neesistono due forme: consolidato nazionale e il consolidato internazionale. È un opzione non fissa: un gruppopuò decidere di fare singole dichiarazioni, per quante sono le società del gruppo, oppure, e questo convienequando ci sono andamenti economici molto differenziati, può decidere di fare il consolidato; fare il

consolidato significa che le perdite di una società vengono in qualche modo compensate dai guadagnidell’altra, il che, dal punto di vista di un esercizio, può essere molto utile e può portare ad un risparmio. Ilgruppo sceglie tra queste due possibilità: fare un’unica dichiarazione, andando magari a zero e non pagandonulla o fare più dichiarazioni cosicché la società che ha avuto utili paga subito, quella che ha avuto perditenon paga ma lo riporterà negli anni successivi.Lo stesso risultato, cioè quello di compensare utili con perdite, lo si ottiene con un altro strumento che sichiama imputazione per trasparenza, disciplinata dall’art. 115 del testo unico sui redditi. Consolidato edimputazione per trasparenza sono due cose molto diverse: col consolidato ciascuna società produce i suoiredditi, e poi eventualmente li comunica in una dichiarazione comune; con l’imputazione per trasparenzatutti i redditi di una società si imputano direttamente all’altra: concettualmente è una cosa diversa.

L’imputazione per trasparenza è possibile per esempio per le società di capitali a ristretta base azionaria,cioè quelle con pochi soci persone fisiche , ai sensi dell’art. 116 del testo unico .Anche questo è un regimeopzionale e si può scegliere di imputare direttamente il reddito prodotto da una società ai soci; per le societàdi persone , società in nome collettivo, società in accomandita semplice, l’imputazione di redditi della societàdirettamente al socio non è opzionale, è la regola: in questi casi i redditi della società devono essere sempre enecessariamente essere imputati ai soci; non c’è mai un reddito della società. Si può ottenere una riunione trafiscalità del gruppo con un consolidato o in alternativa con un’imputazione per trasparenza, quest’ultimainderogabile per le società di persone.

  Tassazione dei redditi immobiliari della società: i beni immobiliari sono i redditi fondiari; le regole desistema catastale valgono, a meno che gli immobili non siano posseduti da un imprenditore. Se gli immobilisono strumentali all’attività d’impresa, come ad esempio il capannone, questi sono considerati fiscalmentefattori di produzione del reddito d’impresa (si guarda quali sono i ricavi dell’impresa e si considera che adeterminare quei ricavi abbia concorso anche il fatto di avere a disposizione un capannone). In generale iredditi immobiliari, cioè i redditi che derivano dal possesso di beni immobili, sono tassati sulla base delsistema catastale, dunque se un soggetto ha un immobile deve dichiarare come reddito imponibile quello cherisulta dal catasto. Questo non vale quando un immobile è posseduto da un’impresa, con la precisazione che ,se l’immobile è strumentale all’attività d’impresa, cioè se è usato per fare proprio l’attività dell’impresa, nonproduce una voce di reddito a se stante, ma è uno dei fattori che concorre a produrre ricchezza, quindi ioguardo quando ho prodotto in quell’anno, alla produzione di quell’anno ha concorso anche l’immobile,dunque non c’è una voce separata per l’immobile. Quindi gli immobili strumentali al reddito d’impresa,producono reddito d’impresa e nessuna voce di reddito autonomo. Gli immobili posseduti dalle imprese manon strumentali all’attività d’impresa, cioè non direttamente utilizzati per svolgere attività d’impresa, ma

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sono comunque posseduti dall’imprenditore, non producono neanche questi redditi fondiari, però sottostannoad un regime diverso: la tassazione è determinata come stabilito dalle regole del reddito fondiario, macostituisce ma una voce del reddito d’impresa ( quindi da questo saranno deducibili tutti i costi sostenutidall’impresa).

  sopravvenienze: sono delle “sorprese” che servono a raccordare il criterio di competenza con il criteriodi cassa. Le voci del reddito d’impresa si calcolano in base al principio di competenza, cioè si calcolanoquando sorge il diritto; il fatto che un provento diventi imponibile quando non è stato ancora realizzato, cioèanche se è sorto solo il diritto a percepirlo, pone dei problemi: per esempio rispetto alla prestazione di unservizio, il momento di competenza è il momento in cui il servizio è stato prestato, ma è possibile che il miocliente ancora non mi abbia pagato: poco importa, perché io per il diritto tributario quel ricavo l’hoconseguito in quanto è un ricavo di competenza. Naturalmente è possibile che l’anno dopo, quando iopretendo di essere pagato , e quando le tasse le ho già pagate perché la competenza le faceva ricaderenell’esercizio precedente, può capitare, mettiamo il caso, che il mio cliente fallisca e non mi paghi più. Ecco,

la sopravvenienza è la voce, la tecnica tributaria che serve a correggere questo tipo di stortura: lasopravvenienza è una variazione rispetto a quanto avrei dovuto registrare in base al principio di competenza.Ci sono ovviamente sopravvenienze attive e passive: le sopravvenienze attive, disciplinate dall’art. 88 deltesto unico, sono delle “sorprese belle”, cioè si tratta di una componente positiva che compensa unadeduzione fatta precedente (deduzione fatta magari sulla base di aver perso definitivamente un credito chepoi in realtà viene recuperato). Sono considerate sopravvenienze attive anche i contributi in costo capitale:contributi straordinari, tipici ad esempio delle imprese municipalizzate, con una finalità particolari, cheassomigliano perlopiù a “sorpresa positiva” e che sono dunque considerati sopravvenienze attive.

  Rimanenze: concetto un po’ più complicato perché ha qualche addentellato nella contabilità e nella

ragioneria, disciplinato dall’art. 92 del testo unico sull’imposta dei redditi. Il problema delle rimanenze è unproblema ,come sempre, banale: le merci, i beni merci, sono contabilizzati, sono tenuti nella contabilitàdell’impresa non uno per uno, ma per masse : se un soggetto produce trapani non farà, nella sua contabilità,un’annotazione per ogni trapano, ma segnerà ogni tot. La quantità di beni che sta producendo. I beni mercesono inseriti nella contabilità come movimenti di cassa , cioè con l’indicazione della spesa fatta per produrlie del guadagno ottenuto dalla vendita. Il problema da cui nasce l’art. 92,e quindi la tassazione del rimanente,è che quando un’impresa produce dei beni, non è detto che li venda tutti; è possibile che alla finedell’esercizio gliene rimangano, ecco perché il nome di rimanenza . La ricchezza che l’impresa ha prodottonel corso dell’esercizio, non è solo quello che essa ha ricavato vendendo ciò che ha prodotto, ma è anche ilnumero di beni prodotti ed invenduti. Il problema del reddito d’impresa è misurare la ricchezza prodottadell’anno, tenendo conto non solo di quanto ha ricavato ma anche di quanto ha prodotto, senza che sia statovenduto. Facendo un esempio, possiamo immaginare un calzaturificio che nell’esercizio 1, cioè nel primoanno di sua attività sostiene costi per 100, vende scarpe ricavando 200 ed ha rimanenze per un valore di 10:il valore prodotto dall’impresa in quell’anno è 200 + 10 – 100, cioè 110 (ricavo maggiorato del valore delrimanente, meno i costi = il reddito dell’impresa). L’anno successivo l’attività prosegue: supponiamo chespenda sempre 100 per la sua attività produttiva , che ricavi sempre 200 (domanda mia: in questo 200 deveessere calcolato anche il valore dei 5 paia di scarpe della rimanenza che sono state vendute?) dalla venditadelle sue belle scarpe ed alla fine ha rimanenze per un valore di 5: quest’impresa ha prodotto 200, che sono isuoi ricavi, a cui devo togliere 100, che sono i suoi costi, e poi ho fatto una variazione di rimanenza a –5(l’anno prima le rimanenze erano 10, ora sono 5): complessivamente il reddito di quell’impresa in quell’annoè pari a 95. Se invece in quell’anno, spende sempre 100 per produrre, ricava 200 dalle vendite, ma harimanenze per un valore di 15, il reddito prodotto è 200 (domanda mia: in questi 200 è incluso il valore dellerimanenze dell’anno passato?), più le rimanenze, pari a 5, meno i costi: quell’anno il valore della produzione

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è 105. Poiché i beni vengono prodotti in diversi esercizi, bisogna capire come se ne determina il valore: sisommano i beni omogenei e li si dividono per il costo complessivo (costo unitario = numero dei beniprodotti diviso il costo per produrli). Fino a che le rimanenze di anno in anno aumentano, non c’è problema:si guarda di anno in anno il costo di produzione e lo si divide per il numero di unità prodotte: quelle unità inpiù che di anno in anno mi avanzano vengono valorizzate al valore dell’ultimo anno; dunque le rimanenze

prodotte nel 2000 saranno contabilizzate al costo di produzione dell’anno 2000, quelle prodotte nel 2001saranno contabilizzate al valore di produzione del 2001 e così via. Il problema nasce quando il numero dellerimanenze diminuisce. Anche le rimanenza infatti non vengono contabilizzate una per una, ma nelle masse;quindi quando vendo un bene , io non so in realtà quale ho venduto (non so se sono quelle valorizzatenell’anno 1, 2 o 3). Per fare un esempio, i trapani che sono stati costruiti nel 2000, possono essere costati dimeno dei trapani costruiti nell’anno 2001,e quelli costruiti nel 2002 meno di quelli del 2003. Quando lerimanenze diminuiscono, bisogna capire quali ho vendute, perché ciò è utile per la determinazione deicosti. Si potrebbe fare la media fra i vari esercizi, ma sarebbe molto difficile perché possono esserciconsistenze molto differenti. Per risolvere il problema è stato creato un artificio, indicato da due acronimimisteriosi: LIFO e

FIFO. LIFO sta per “left in first out” , FIFO per “first in, first out”; è una sistema semplicissimo. Usando ilsistema LIFO, si sceglie la regola del “left in, first out”, che vuol dire “ultimo dentro primo fuori”: quindi sifinge di aver venduto per primi i beni che ho comprato per ultimi, solo per la contabilità. Quando lerimanenze diminuiscono si considero di aver “left in, first out”, cioè di aver cominciato ad erodere gli ultimibeni prodotti. Il legislatore lascia scegliere uno tra i vari criteri possibili, tra cui i principali sono Lifo &Fifo, purché la scelta sia chiara. Il problema sottostante è che a ciascuna merce, tra cui le rimanenze,corrisponde un valore diversi: per sapere quanto ho incassato in relazione al costo di produzione,bisognerebbe sapere esattamente quali sono i beni venduti, cosa non facile quando magari certe rimanenzesono molto risalenti, con differenze di costi notevoli tra ciò che è stato prodotto prima e ciò che è statoprodotto dopo. Nel caso di aumento dei prezzi, conviene usare il metodo Lifo, perché si daranno per

vendute le cose pagato di più.

Costi:Il reddito è sempre ricchezza novella, ricchezza netta, quindi prodotto meno i costi di produzione.Naturalmente possono essere dedotti solo i costi che sono stati quantomeno destinati a produrre. Quindi icosti non inerenti, i consumi personali, non sono deducibili. C’è però problema che si verifica ogni volta che, oltre a ricchezza tassabile, si produce per qualche ragione ricchezza esente: allora qui non c’è solo ilproblema di dedurre i costi inerenti alla produzione della ricchezza, ma anche quello di separare i costiinerenti alla produzione di ricchezza tassabile da quelli inerenti alla ricchezza non tassabile, perché sipossono dedurre solo i costi inerenti alla produzione di ricchezza tassabile. Se non sono tassabili i redditi,non sono neanche deducibili i costi. Esempio: se si spende 40, si hanno costi pari a 40 per produrre un aricchezza di 70 in un paese in cui non c’è da tassazione (ad esempio le Antille olandesi) e poi si spende 40per produrre una ricchezza di 80 in un paese in cui c’è tassazione (Italia), saranno deducibili solo i costispesi per produrre ricchezza in Italia. La deduzione corrisponde alla tassabilità, dunque se un reddito non èimponibile non è deducibile neanche il relativo costo. Finché i costi sono direttamente attribuibili ad unsingolo non c’è problema; il problema nasce perché molto spesso ci sono dei costi che non sonodirettamente attribuibili ad un’attività o ad un’altra (come può essere per il lavoro di una segretaria). Inquesti casi, quando cioè ci sono dei costi in parte attribuibili alle attività esenti, in parte no, la regola èsemplicissima: si deduce soltanto la quota dei costi proporzionale al reddito tassato. Quindi se si ha adesempio un costo generale di 100, con metà è reddito tassabile mentre metà è esente , si potrà dedurre solometà dei costi generali. Nelle ipotesi in cui manchi il criterio di attribuzione, si ricorre al criterio dellaproporzione: quando cioè non si può stabilire a quale delle attività inerisca il costo, lo si dedurràproporzionalmente ( se metà dei redditi sono esenti potrò dedurre la metà dei costi).

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Fra i vari tipi di costi possibili, ci sono poi anche gli interessi passivi, cioè gli interessi che l’imprenditorepaga quando ha ottenuto un prestito( se un imprenditore vuole comprare un capannone per allargare la suaattività e prende a mutuo dei soldi, gli interessi che paga alla banca sono dei costi). Dal punto di vistafinanziario ed economico, è un concetto semplicissimo: cioè tutti gli interessi passivi, naturalmente se pagati

per prestiti e finanziamenti richiesti ed ottenuti per gestire l’attività d’impresa, sono pacificamenteconsiderati dei costi d’impresa. Quindi dal punto di vista finanziario dovrebbero, sottolineo dovrebbero,essere deducibili fiscalmente: ciò deriva dal fatto che il reddito è proventi meno costi inerenti. Rispetto aquesta che dovrebbe essere la regola, cioè la deducibilità degli interessi passivi in quanto costi, nascono peròdue problemi: un primo problema, macroeonomico, non ha attinenza col diritto tributario e riguarda lapreoccupazione del legislatore sul fatto che le imprese italiane, soprattutto quelle societarie, abbiano uncapitale adeguato, cioè non siano, come si dice, sottocapitalizzate. Il legislatore pone tra i suoi obbiettivispingere gli imprenditori affinché investano nelle imprese per una ragione di solidità, con la possibilità diriprendersi in momenti di crisi. Un secondo problema è invece direttamente collegato al diritto tributario,essendo talvolta per l’imprenditore società più conveniente, dal punto di vista fiscale, indebitarsi piuttosto

che non ricevere dei conferimenti, cioè piuttosto che farsi fare dei versamenti direttamente dai suoi soci. Dalpunto di vista economico è la stessa cosa, si può decidere di prendere a prestito del denaro dalle banche, oprenderlo dai soci, attraverso dei conferimenti; rispetto all’obbiettivo avere più liquidità per fare degliinvestimenti, queste due opzioni sono neutre. Non è la stessa cosa dal punto di vista tributario: per il fatto chese si prende del denaro a mutuo, gli interessi pagati sono deducibili per la società; i prestiti presi sulmercato sono dunque deducibili, i prestiti presi dai soci, sotto forma di conferimenti, e che vengono restituitisotto forma di dividendi, non possono essere dedotti dalla società . Non solo; gli interessi, (abbiamo visto dalpunto di vista della società, ora vediamo dal punto di vista del soggetto che paga, cioè del soggetto chefinanzia), per chi li riceve, sono sottoposti ad un regime fiscale più favorevole, perché ci sono i regimisostitutivi, le aliquote sul reddito di capitale con interessi molto più bassi; cioè tutto, dal punto di vista

tributario, spingeva nella direzione di far scegliere alle imprese l’indebitamento. Questo sistema non piacevaal legislatore, che dunque ha cominciato a tentare di cambiare tale regime, con riforme che si sono succedutea breve distanza nel tempo. In particolare, gli strumenti per lottare contro la cosiddetta sottocapitalizzazionedelle imprese, o mean capitalization (capitalizzazione sottile); il legislatore ha lottato contro la meancapitalization, sono stati due: il primo in vigore fino al 2007, l’altro dal 2008. Si tratta degli art. 98 & 44 deltesto unico. Fino al 2007 il sistema legislativo preferiva che, superata una certa soglia, il socio, nella scelta,importantissima per la società, fra prestare & conferire, cioè fra prestare oppure sottoscrivere delle azioni,optasse per il conferimento, considerato come un investimento nella società. Quindi ciò che si voleva evitare,non era tanto il ricorso generale al credito, ma il ricorso al credito dei soci. Le regole sulla meancapitalization prevedevano che , a certe condizioni, gli interessi pagati ai soci, se superavano un certoammontare, fiscalmente non si consideravano più interessi, bensì dividendi. Ovvero, quando le operazioni diprestito effettuate dai soci superavano un certo limite, anche se effettivamente erano operazioni di prestito,erano invece considerate conferimenti, indipendentemente da come l’operazione stessa fosse stataconfigurata dai soci, con conseguente impossibilità di dedurre tali costi. Se si prestava più di quattro volte laquota di capitale sociale, il prestito veniva considerato conferimento. C’erano stati dei problemi per ciò cheriguardava la fissazione delle soglie limite; ma il concetto importante è che il socio potesse prestare fino aun tot prestabilito superato il quale, fiscalmente questa operazione veniva considerata un investimento nellaquota del conferimento e quindi, ciò che il socio riceveva non era più un interesse, ma un dividendo. Vi eraperò un correttivo: se il socio dimostrava che anche un soggetto terzo avrebbe concesso il prestito a quellecondizioni, l’operazione continuava ad essere considerata prestito e non conferimento, anche superata lasoglia fissata per legge. Dunque, solo quando i soci si comportano da soci, concedendo prestiti a condizionivantaggiose, fuori dal mercato, a condizioni che un terzo non avrebbe fatto, l’operazione era considerataconferimento; ciò non accadeva quando ricorrevano altre condizioni, cioè quando il prestito era stato

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concesso alle normali condizioni del mercato. Poteva però succedere, che la soglia limite fosse valutata sulcapitale sociale, sul bilancio; ora, era possibile che una società avesse un valore di bilancio basso, ma avessedei beni che erano rivalutati moltissimo, quindi fosse un società, al di là del bilancio, molto redditizia, moltodanarosa, a cui le banche avrebbero fatto credito. Se so che molte banche avrebbero fatto credito, allora vuoldire che questo è un credito funzionale. Il sistema è cambiato, dando origine al nuovo testo dell’art. 96 del

testo unico. Prima del 2008 si diceva che il socio poteva prestare fino a un certo massimo, oltre il quale ilprestito era considerato conferimento; ora invece si è assunto come punto di vista quello della società.L’art. 96, dice che “ si possono dedurre interessi passivi solo, nei limiti degli interessi attivi percepitidall’impresa” : quindi se l’impresa percepisce anche degli interessi attivi, il che vuol dire che a sua volta hadato degli interessi a mutuo, fino all’ammontare di quanto riceve come interesse attivo si può comunquededurre; oltre, cioè oltre il limite degli interessi attivi, si possono dedurre interessi passivi solo, anche qui, inuna quota forfait, cioè nel limite del 30%, in un sistema che il legislatore chiama “il risultato operativolordo”. Si possono dedurre interessi passivi da parte dell’impresa solo nel limite del 30%, diciamo deiguadagni, cioè la differenza tra il valore della produzione e dei costi. Questo è un sistema abbastanzamostruoso, perché il legislatore tributario ha previsto che l’imprenditore non possa indebitarsi fino ad una

certa soglia .Il sistema è mostruoso per due ragioni: la prima, perché il reddito è sempre ricchezza netta,quindi se si sono pagati gli interessi non c’è arricchimento; quindi questo limite porta a tassare dei redditiche non ci sono: se ad esempio io ho pagato interessi per il 40% e posso dedurre solo il 10%, è evidente cheho una perdita, a prescindere dalle capacità imprenditoriali sottostanti. La seconda ragione è che non è chiaroperché il legislatore tributario debba prevedere quanti interessi può dedurre un imprenditore; ciò inoltracomporta dei veri e propri danni: si pensi ad un imprenditore all’inizio dell’attività, che molto facilmente siindebita in una percentuale anche molto alta rispetto ai propri guadagni. In ogni caso bisogna sottolineare cheil legislatore non è che abbia vietato il ricorso al credito, almeno non esplicitamente; dal punto di vistafiscale però impone un sistema che equivale al divieto.

Bisogna poi sottolineare un problema importante: se dall’imponibile del reddito d’impresa si possonodedurre le imposte sul reddito. La risposta è logicamente no, perché l’imposta è qualcosa che viene a valledel reddito, non ha senso dunque dedurla dall’imponibile.

Minusvalenze: sono il simmetrico delle plusvalenze: io realizzo un bene e lo cedo ad un prezzo che èinferiore al costo fiscalmente riconosciuto. Se la plusvalenze era una voce che concorreva a formare ilreddito con segno positivo, la minusvalenza, lo dice la parola stessa, concorre con un segno negativo.Simmetricamente, bisogna ricordare le sopravvenienze passive, a volte chiamate anche perdite. Lesopravvenienze passive sono , in negativo, il simmetrico delle sopravvenienze attive: come distinguere,concettualmente, una sopravvenienza passiva da una minusvalenza? Tutte e due sono negative; la differenzasta in questo, che la minusvalenza è, in senso economico , una perdita che io realizzo cedendo un bene:quindi, ad esempio, avevo un capannone che valeva 100, lo vendo a 90, quindi ci ho rimesso 10; riguarda lavendita di un bene: non è però una plus, ma una minusvalenza. Se arriva un fulmine sul capannone e lodistrugge, anche qui, dal punto di vista economico ho una perdita, non collegata al fatto che ho venduto unbene e ci ho rimesso, quindi si ha una sopravvenienza passiva.

Parliamo velocemente del termine sui crediti e degli ammortamenti.Termine dei crediti vuol dire che si ha un credito, quindi si ha diritto a riscuotere una certa prestazione; ilprincipio di competenza nel reddito d’impresa implica che maturato un diritto, il corrispettivo credito, a cuipuò/non può corrispondere un ricavo, è imponibile. È possibile però che a bilancio ci siano una serie dicrediti che ad un certo punto non possono più essere riscossi; in poche parola è come se il diritto siesaurisse. Si potrà dedurre , cioè considerare fiscalmente perduto il credito quando l’impossibilità diriscuotere il credito risulta da elementi certi e precisi. Esempi possono essere il pignoramento del debitore, o

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il fallimento. Si può perdere un credito perché non lo si riesce a riscuotere, come nell’esempio di prima,oppure perché si è perso il diritto a riscuoterlo, che è una cosa diversa: una cosa è se il creditore è fallito,un’altra è se si perde il diritto, per esempio se si rinuncia al credito. C’è una piccola differenza tra la perditadi un credito per estinzione del diritto e la perdita per impossibilità di riscuoterlo: quando si tratta diimpossibilità di riscuotere, si può incominciare a dedurre nel momento in cui l’impossibilità derivi da

elementi certi e precisi; anche se però non si deduce la perdita in quel momento, è possibile dedurla anchedopo. Quando invece si tratta di perdita del diritto, per esempio rinuncia al credito, o si deduce nel momentoin cui il diritto si estingue o altrimenti si perde il diritto alla deduzione.

Ammortamenti: il concetto sottostante all’ammortamento è semplice. Quando il bene viene utilizzato per unlasso di tempo ampio, è giusto che la deduzione del costo sia distribuita durante tutto l’arco di tempo in cui ilbene viene usato. Se ad esempio, un bene mi serve per due anni , è giusto che il costo di quel bene io lodeduca per due anni. Teoricamente bisognerebbe dedurre il costo in relazione all’uso : più uso il bene, piùdeduco. È però un sistema troppo complicato, allora il legislatore ricorre ad una semplificazione: cioè ognianno, ci sono delle tabelle che prevedono ogni diversa categoria di bene e prevedono che di questo tipo di

bene ogni anno si possa dedurre un x per cento. Definisce per esempio che ogni anno il costo di uncapannone industriale per un industria manifatturiera è tot: posso dedurre solo il 10% vuol dire che miconsente di dedurre solo il 10% lungo i 10 anni. Queste quote, cioè le quote previste da questi decreti, sonorigide, cioè io posso, devo dedurre solo queste quote? In passato non erano rigide nel senso che esistevanodue regole che si chiamavano ammortamento accelerato e ammortamento anticipato ( sono stati abrogati).Bisogna invece capire se la percentuale prevista del decreto deve essere per forza dedotta in toto: la rispostaè negativa; il sistema prevede la percentuale massima, sopra la quale non si può dedurre. È la percentualemassima ma non la minima: si può dedurre di meno, laddove ciò sia conveniente; in quest’ultimo caso sipotrà recuperare tutto alla fine, cioè nell’ultimo periodo si potranno recuperare tutte le quote diammortamento precedentemente non dedotte. Stabilire se conviene dedurre subito la percentuale massima

dell’ammortamento, o aspettare la fine del periodo, dipende dai ricavi: se sono alti, conviene rimanere altianche coi costi, se sono bassi e si pensa che si alzeranno negli anni successivi, conviene essere prudente ededurre di meno. Si può decidere di non dedurre il costo? Apparentemente, tale scelta non appare moltoconveniente; tuttavia bisogna ricordare un’asimmetria che sfugge sempre: la scelta di non dedursi i costi,determina nell’immediato un costo maggiore, equivalente alla totale di imposte non dedotte chel’imprenditore deve pagare, ma tale maggiore spesa ha un’asimmetria: se il costo non viene dedotto, i beniin bilancio continuano a valere quanto valevano prima ; rivenduti avranno dunque un valore fiscalmentericonosciuto più alto, perché privi della deduzione. Si realizza così una plusvalenza minore.


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