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Documento Politico Unione degli studenti

Date post: 07-Mar-2016
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FORMAZIONE INTERNA- documento politico
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Documento Politico Nazionale - “Ci mangeremo le nuvole” - Unione degli Studenti VIII Congresso Nazionale – 5/6 Marzo 2011 Roma 1 VIII CONGRESSO NAZIONALE UNIONE DEGLI STUDENTI “Ci mangeremo le nuvole”
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Documento Politico Nazionale - “Ci mangeremo le nuvole” - Unione degli Studenti

VIII Congresso Nazionale – 5/6 Marzo 2011 Roma 1

 

 

VIII    CONGRESSO  NAZIONALE  

 

UNIONE  DEGLI  STUDENTI    

 

 

 

 

 

“Ci  mangeremo  le  nuvole”  

 

 

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Documento  Politico  

    INDICE GENERALE INTRO: Dalla parte del torto Pag. 3 TESI 1: Merry Crisis and happy New Fear Pag. 3 TESI 2: L'anomalia italiana Pag. 4 TESI 3: Gelmini – Tremonti, ladri di futuro Pag. 5 TESI 4: La Scuola della Repubblica e AltraRiforma, quale futuro per l'Autonomia? Pag. 6 TESI 5: Il delitto allo studio Pag. 7 TESI 6: Per una didattica partecipata che apra orizzonti di pensiero Pag. 7 TESI 7: Riordinare per sfasciare. Biennio unitario e triennio specializzante Pag. 8 TESI 8: Libertà è Partecipazione Pag. 9 TESI 9: Costruire una scuola migliore...dalle fondamenta. Pag. 10 TESI 10: Alternanza Scuola-Lavoro, Stages e “Scollegato-Lavoro” Pag. 11 TESI 11: Libera Scuola in Libero Stato Pag. 12 TESI 12: Legge 62/00: legge “disparità” Pag.13 TESI 13: Le nuove frontiere del capitalismo: conoscenza e precarietà Pag.14 TESI 14: La Generazione P. Pag. 14 TESI 15: Studenti – cittadini, la nostra idea di Welfare Pag. 15 TESI 16: Il welfare municipale e la contrattazione sociale-territoriale Pag. 16 TESI 17: Un movimento studentesco aperto alle sfide del nostro tempo Pag. 18

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TESI 18: Rete della Conoscenza: analisi e prospettive. Pag. 19 TESI 19: Europa dell'austerity VS Europa dei conflitti Pag. 19 TESI 20: L'UdS e l'Obessu Pag. 20 TESI 21: Unire l'opposizione sociale in Italia Pag. 21 TESI 22: Le nostre memorie sovversive Pag . 23 TESI 23: Interculturalità Pag. 24 TESI 24: Sessualità e uguaglianza di genere Pag. 26 TESI 25: Il benessere comune parte dall'eco-life Pag. 27 TESI 26: Restituire dignità alla Politica Pag. 28 CONCLUSIONI: Ci mangeremo le nuvole Pag. 29 INTRODUZIONE Dalla parte del torto Sin dal 1994 l'Unione degli Studenti è stato lo strumento di emancipazione di migliaia di studentesse e di studenti che hanno condiviso esperienze, passioni, sogni e lotte. Nell'era del berlusconismo in crisi ma con un blocco sociale di riferimento ancora solido, della scomparsa delle grandi famiglie politiche che hanno determinato la storia del secolo scorso, della vittoria dell'economia neoliberista globale sulla giustizia sociale e sui diritti, l'UdS è stato un vero e proprio strumento di resistenza, per costruire dalle scuole un modello di opposizione sociale. Centinaia le battaglie: per la scuola pubblica e un accesso al sapere realmente libero, contro la globalizzazione neoliberista, contro le tante guerre che mietono migliaia di vittime in tutto il mondo. Ci siamo sempre schierati dalla parte dei più deboli, a partire dagli studenti e delle studentesse del nostro paese e di tutto il mondo. Nei Social Forum mondiali ed europei, nelle tante iniziative che abbiamo condiviso con l'Obessu in giro per l'Europa, nei tanti progetti di cooperazione che abbiamo promosso, a partire dal Chiapas, dal Kosovo, fino al Senegal. Alle tante lotte condivise con i lavoratori e le lavoratrici, alle tante edizioni del 17 Novembre come giornata internazionale di mobilitazione studentesca, passando dal G8 di Genova del 2001, alla nostra partecipazione vera e sentita nel movimento dei movimenti, al contrasto netto alla guerra in Kosovo, in Iraq, in Afghanistan nonché la nostra vicinanza al dramma del popolo palestinese. I nostri campeggi estivi, le nostre assemblee sul territorio, i coordinamenti nazionali, sono diventati tutti appuntamenti che hanno riscritto positivamente la socialità, che hanno costruito un'alternativa alla cultura egemone del consumismo e dell'individualismo. Abbiamo saputo tracciare la sfida di una soggettività studentesca che spesso questa cultura egemone la subisce, abbiamo organizzato la forza uguale e contraria che dalle scuole è partita negli ultimi mesi nei confronti di poteri complessi che hanno come obiettivo la ristrutturazione di un mondo fondato ancor di più sulle diseguaglianze,

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più facilmente governato aumentando la forbice della disparità culturale. L'VIII Congresso Nazionale si inserisce in questo processo storico, con la consapevolezza che di esso saremo spine ai fianchi, elementi di disturbo del manovratore. Come sempre con un occhio all'immediato e uno all'infinito. Sempre più fuori dalle liturgie continuiamo a rimaner seduti dalla parte del torto. TESI 1 - Merry Crisis and happy New Fear Il termine “Crisi” negli ultimi 4 anni è entrato a pieno titolo nel lessico giornalistico e nel linguaggio comune andando a implementare significati molteplici, a seconda del contesto in cui esso viene paradigmato: un tempo si utilizzava quasi esclusivamente a descrivere pericolose incrinazioni di rapporti diplomatici tra gli stati-nazione storicamente avversi, mentre oggi si parla di Crisi politica, sociale, istituzionale, strutturale etc. Tutte sfaccettature figlie del nostro tempo, culmine di una post-modernità in cui il sistema capitalistico (“regolatore” dell'economia, dei rapporti sociali e lavorativi) mostra enormi limiti e contraddizioni. Si è partiti nel 2007 con il crollo del mercato abitativo e immobiliare negli Stati Uniti che a catena ha provocato la depressione dei mercati finanziari internazionali, la cosiddetta “economia di carta” per mezzo della quale . La reazione dei governi occidentali alla crisi non è stata ragionata e scientifica, ma al contrario istintiva e quindi poco ordinata e irrazionale, tant'è che le priorità di risposta ancora continuano a mancare in maniera diffusa. Quasi tutti gli stati europei per esempio hanno trasferito ingenti miliardi di euro agli istituti bancari e alle imprese come principio di “stimolo per i consumi e il risparmio”, esautorando i territori da enti produttivi importanti (vedi il trasferimento delle aziende in paesi con minor costi sul lavoro), con licenziamenti e cassintegrazioni di massa. Tutti i paesi con un alto debito pubblico, come l'Italia, hanno la necessità di far fronte maggiormente con un ottica di risparmio per scongiurare la bancarotta (come nel caso della Grecia). Quindi se guardiamo sotto la lente di ingrandimento la strategia di intervento del Governo italiano sulla crisi e sul recupero di risorse per tappare i buchi, si può notare in maniera lampante la inadeguatezza delle politiche espresse in quasi tutta Europa. In questo contesto possiamo affermare che nessun potere economico o politico ha trovato una soluzione che permettesse di guarire le ferite messe allo scoperto dalla recessione economica: i primi perché non lo hanno voluto, i secondi perché ormai non hanno più potere da decenni, da quando l'establishment finanziario mondiale si è impossessato della politica rendendola un contenitore vuoto, adatto alla prosecuzione dello status quo. Il tutto a costo di continuare a spargere il sale del profitto sulle ferite aperte: guerre, povertà diffusa, nazionalismi e fascismi, devastazioni ambientali, deriva culturale, rarefazione dei diritti di tutti i tipi a tutti i livelli. Queste ferite sono sintomi di una grave malattia che non colpisce il sistema in sé, ma i quasi sette miliardi di persone che ci stanno dentro volenti o nolenti. Questo perché le crisi economiche sono un fattore strutturale del sistema capitalista neoliberista, e tale sistema può essere ‘riformato’ solo a livello formale, nella patina dorata che sembra ricoprire tutto il nostro mondo della produzione e dei consumi, ma non a livello sostanziale. Abbiamo assistito così a goffi tentativi di far sembrare la crisi come un evento ormai appartenente al passato, mentre i poteri economici e finanziari globali continuano a muovere i fili delle marionette della politica, di tutto il mondo e a tutti i livelli, verso nuovi obiettivi: in particolare la distruzione del concetto di lavoro come diritto di cittadinanza e soprattutto come prestazione che il lavoratore fornisce al datore di lavoro, e non viceversa che il datore di lavoro concede o sottrae in completa libertà. In Italia abbiamo assistito in particolare al varo di un Collegato Lavoro anticostituzionale applaudito dai sindacati ‘concertativi’ e ad accordi separati negli stabilimenti FIAT di Pomigliano e Mirafiori, ratificati da ricatti burocratizzati: in questo infatti si sono trasformati i referendum di fabbrica. Tali accordi, inaccettabili dal punto di vista tecnico e dei diritti sindacali, rischiano di fare storia, venendo applicati anche in altri stabilimenti in Italia. Oltre alla crisi strutturale del mondo del lavoro, un adeguato contributo di analisi deve avere l'intenzione di centrare la descrizione di tutte le sfaccettatture della “Crisi”, da quella di sistema ai suoi influssi di paura e di barbarie nella società e nel mondo, partendo da quello

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che è attualmente il campo fondamentale nella logica del risparmio, ovvero dei tagli indiscriminati: la conoscenza e i saperi collettivi. La crisi diventa una scusante per dismettere definitivamente i comparti della formazione poiché essi sono comunque luoghi in cui la maturazione di una coscienza critica è la base per una piena consapevolezza dei propri diritti, al fine di salvaguardarli e possibilmente ampliarli. La conoscenza e i saperi collettivi permettono all'individuo, sia esso studente o lavoratore, sia esso comunitario o immigrato, di avere tutti i requisiti per decodificare la realtà per come essa si genera e si esprime. Attaccare dunque con una strategia sul medio e lungo periodo sottende una volontà traversale del potere che mira a connotare la società del terzo millennio per mezzo di stratificazioni di censo in lotta tra loro per la sopravvivenza, un abbassamento culturale programmato scientificamente al fine di affrancare politiche autoritarie ed emergenziali presso una società sempre più timorosa, sempre più dedita al qualunquismo e al populismo. Merry Crisis and Happy New Fear. TESI 2: L'anomalia italiana Questione morale? Fiducia? Illegittimità? Non si tratta più di porsi solo queste domande. La nostra società vive una crisi sistemica non molto differente da quella di altri paesi della fascia euro-mediterranea, eppure, malgrado ciò, può essere chiaramente considerata un'anomalia Anomalia eti-mologicamente significa fuori dalle leggi ordinarie della natura, senza regole. Possiamo rilevare come il nostro paese non sussiste più su regole, bensì su interessi particolari e illusorietà che non sono in grado di rendere governabile una situazione creata ad hoc da Silvio Berlusconi, da quasi vent’anni, tramite una politica aziendalistica e repressiva. Pertanto se ci ponessimo spettatori del nostro paese per un momento, potremo osservare come lo spazio democratico si sia ridotto all’estremo, e il restante vive senza governanti e governati ricreando una sorta di anarchia sociale. I punti di riferimento ufficiali sono saltati e i media, vetrine anche all’esterno della situazione, lo ren-dono palese al mondo. Prima Pomigliano, poi Mirafiori, hanno dimostrato all’opinione pubblica non solo la politica industriale inconsistente e incapace del nostro paese, ma si è allargato anche l’obiettivo su una generazione che vive la precarietà come condizione sociale generale. Quella pre-carietà capace di porre tutti noi, quotidianamente, di fronte al ricatto di Mirafiori che dice: obbedire in silenzio, oppure rischiare il proprio posto di lavoro. Marchionne, in realtà è solo una delle facce della globalizzazione che si smaschera davanti a noi platealmente, superando ogni sistema naziona-le di regole e determinando un inarrestabile effetto di dumping sociale. Il livellamento verso il basso delle condizioni di vita porta settori sempre più ampi della popolazione a subire ciò che è stato spe-rimentato sui lavoratori del sud del mondo, sui migranti, sui giovani precari, su chi rientra in quella ‘apologia della marginalità’, e che ora rifiuta di esserlo. Noi studentesse e studenti siamo parte di questo processo e abbiamo capito che c’è un legame forte tra quello che porta avanti Marchionne, quello che fa la ministra Gelmini nelle nostre scuole, ma non solo, basti pensare i migranti sfruttati e invisibili. Un modello di sviluppo in totale contrapposizione con il concetto di stato democratico, che pertanto è declassato anche da un primo ministro colluso, esempio immorale di questo paese, il quale con gli ulti Quella precarietà capace di porre tutti noi, quotidianamente, di fronte al ricatto di Mirafiori che dice: obbedire in silenzio, oppure rischiare il proprio posto di lavoro. Marchionne, in realtà è solo una delle facce della globalizzazione che si smaschera davanti a noi platealmente, su-perando ogni sistema nazionale di regole e determinando un inarrestabile effetto di dumping sociale. Il livellamento verso il basso delle condizioni di vita porta settori sempre più ampi della popolazio-ne a subire ciò che è stato sperimentato sui lavoratori del sud del mondo, sui migranti, sui giovani precari, su chi rientra in quella ‘apologia della marginalità’, e che ora rifiuta di esserlo. Noi studen-tesse e studenti siamo parte di questo processo e abbiamo capito che c’è un legame forte tra quello che porta avanti Marchionne, quello che fa la ministra Gelmini nelle nostre scuole, ma non solo, ba-sti pensare i migranti quali mano invisibile e sfruttata. Un modello di sviluppo in totale contrappo-sizione con il concetto di stato democratico, che pertanto è declassato anche da un primo ministro

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colluso, esempio immorale di questo paese, il quale con gli ultimi scandali è riportato solamente al-la prima pagina della cronaca nera della democrazia. mi scandali è riportato solamente alla prima pagina della cronaca nera della democrazia. In questo contesto la nostra Organizzazione è riuscita ad essere argine democratico e riferimento nel luogo collettivo per eccellenza, la scuola. Ci siamo presi la responsabilità di costruire un’alternativa per il nostro futuro, basata sulla democrazia e sui diritti, insieme ai lavoratori e alle lavoratrici, insieme al fronte sociale intorno ai temi del lavoro, per costruire quel tanto prospettato altro mondo possibile. Onere che ci siamo assunti con consapevo-lezza a dispetto del totalmente assente impegno della sedicente opposizione. Arrivati a questo punto rivendichiamo un ripensamento complessivo delle pratiche di democrazia nei luoghi di lavoro così come in quelli della formazione, un welfare garante di autonomia sociale a studenti e studentesse precari, e la ripubblicizzazione dei saperi e dei beni comuni.

TESI 3: Gelmini – Tremonti, ladri di futuro

Continuare a gridare nelle piazze a due anni dall'inizio della crisi economico-finanziaria "Noi la crisi non la paghiamo" può sembrare ad un certo un punto uno slogan, più che anacronistico, vuoto di senso: in primo luogo con la legge 133 quegli 8 miliardi di euro ce li stanno facendo pagare tutti, in secondo luogo la politica di Tremonti, reale esecutore di queste scelte in materia di istruzione, non è semplicemente inquadrabile in uno spostamento di risorse per il salvataggio delle banche. Il progetto è purtroppo molto più ampio ed articolato. Questo infatti va inserito in una dinamica di più ampio respiro in cui la crisi è solo una scusa con la quale si giustificano tali provvedimenti. I de-finanziamenti sono infatti la prosecuzione di un percorso che affonda le radici in una più generale riorganizzazione dell'economia globale che dura da vent'anni a questa parte, il quale ha visto le sue prime avvisaglie nella svendita delle grandi aziende di servizio pubblico, e nello smatellamento dei sistemi di welfare, ed ora si avvia verso una privatizzazione graduale anche di tutte quei patrimoni della società che durante questo autunno abbiamo chiamato beni comuni, come la conoscenza, l'acqua e così via. L'attacco è spietato e scientifico: mentre il sistema d''istruzione pubblica è stato lasciato allo sbando per troppo tempo, senza i cambiamenti strutturali e particolari che abbiamo sempre rivendicato, in questi anni arriva un attacco mediatico senza precedenti. Troppe volte abbiamo sentito il Ministro Gelmini parlare della "scuola dei fannulloni" oppure de "l'assenza di merito" contrapposta alla "scuola del libro Cuore" e alla scuola del "privato" collegata al concetto di "qualità". Questi sono solo esempi di come si voglia affondare il coltello in alcuni dei problemi della scuola, dimenticandone totalmente altri, ma soprattutto senza dare delle soluzioni, proprio perchè questo governo non ha alcuna pulsione a migliorare il sistema pubblico d'istruzione, anzi è chiaro che lo vuole portare al collasso per aprire le porte a quello privato. I progetti che l'On. Aprea ha in testa sono il chiaro tassello successivo: una scuola che è ridotta all'osso, In cui viene abbattuta l’offerta formativa, abbattute le ore laboratoriali, erose le risorse, e indebolite le rappresentanze studentesche. Questo anche attuando una campagna comunicativa che distrugga l’immagine delle scuole pubbliche in favore delle private. Tuttavia la questione non si può semplicemente risolvere in una contrapposizione dicotomica tra pubblico e privato: è necessario riaffermare il valore del sapere e della conoscenza come bene comune, un bene non smerciabile, non misurabile e soprattutto cui bisogna garantire l'accesso a tutti e tutte. Oltre a ampliare l'opposizione a questi progetti e processi, dobbiamo essere in grado di condividere ed ampliare un'idea alternativa di formazione, quel progetto che abbiamo chiamato AltraRiforma durante questo autunno, il quale dev'essere il nostro cavallo di battaglia attorno a cui raccogliere il consenso degli studenti e dell' intero paese. TESI 4: La Scuola della Repubblica e AltraRiforma, quale futuro per

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l'Autonomia? A 14 anni dall’introduzione dell’autonomia scolastica (Legge 440/97) ci troviamo di fronte a un enorme spaccato fra le speranze e la grandi potenzialità che la stessa poteva avere e come si sia evoluta nel corso degli anni. Nata per alleggerire le burocrazie e trasformare le scuole in veri e propri laboratori dei saperi, si è evoluta in una sorta di autonomismo che moltiplica le iniquità formative anche tra Istituti dello stesso indirizzo, fino ad arrivare all’autogoverno previsto nel pdl Aprea che prospetta la creazione di scuole-aziende amministrate dal dirigente scolastico affiancato da un consiglio di amministrazione .Salvo casi sporadici dovuti alla sinergia fra studenti e lavoratori della conoscenza, si è arrivati a una concentrazione eccessiva di poteri nella figura del Padre-Preside che, come fosse un capo famiglia, amministra sempre più autonomamente l’istituto scavalcando gli organi collegiali che dovrebbero essere invece un luogo di confronto e di miglioramento per la vita all’interno degli istituti. Il P.O.F. rappresenta uno degli esempi più eclatanti di come un istituto possa pianificare la propria offerta formativa attraverso il confronto tra tutti i membri della scuola, guardando anche oltre le proprie mura o di come, invece, possa diventate un contenitore per progetti fatiscenti che oltre a non coinvolgere gli studenti, rischiano di non essere nemmeno realizzati. E’ inoltre indispensabile rivedere il DPR 275/99, attuativo dell’autonomia, che prevede l’istituzioni di reti di scuole limitandole però a semplici accordi fra le stesse. Crediamo che queste reti debbano essere aperte non solo ai dirigenti scolastici o ai rappresentanti degli studenti, ma a tutte le forme di aggregazione studentesca e sociale del territorio per far si che l’istituto diventi non solo un parcheggio ma un polo culturale per il quartiere. Durante la degenerazione dell’autonomia scolastica gli studenti hanno cercato di immaginare una scuola diversa la cui pietra miliare fosse la partecipazione arrivando così a delineare una riforma che non si basasse su dei tagli ma su un effettivo miglioramento della qualità della didattica. Le sperimentazione di Altra Riforma avvenute durante tutto il 2010 hanno dimostrato di come si possa rivoluzionare il concetto di autonomia sperimentando la didattica partecipata e coinvolgendo effettivamente gli studenti all’interno della scuola, rendendoli protagonisti del loro percorso formativo. E’ solo grazie a una riforma dal basso che si potrà arrivare a un nuovo modello di scuola a misura di studente che la trasformi radicalmente da una prigione a un luogo in cui crescere e formare un pensiero critico, un luogo aperto alla città e alla cittadinanza, in cui crescere e formarsi, dove gli studenti possano recarsi con serenità anche in orario extra-scolastico. TESI 5: Il delitto allo studio Oggi, in una società governata dalle leggi del capitalismo complesso, che eleva il sapere a strumento indispensabile per svolgere qualunque prestazione lavorativa – e quindi per inserirsi nella società – e allo stesso tempo lo privatizza e ‘recinta’ rendendolo cifra di discrimine tra la cittadinanza e la sudditanza, il diritto allo studio acquisisce una importanza capitale. Sebbene la Costituzione reciti “la scuola è aperta a tutti” (art. 34) e le riforme della scuola media del 1962 e dell’accesso all’università del 1969 abbiano formalizzato tale diritto, esso non è mai stato pienamente riconosciuto nel nostro Paese. Oggi viceversa assistiamo alla ‘rarefazione’ del diritto allo studio così come di molti altri diritti che dovrebbero essere ormai acquisiti. Se la classe politica italiana si affanna a parlare di merito – che senza una reale parità di accesso agli studi si tramuta semplicemente in un metodo per trasferire i finanziamenti delle borse di studio da chi ne ha realmente bisogno a chi già si può permettere gli studi – mancano invece da anni reali soluzioni ai reali problemi del sistema scolastico italiano. Intanto con il sotterfugio della libertà di scelta si finanziano le scuole private, per opera di Giunte di destra e di centro-sinistra. L’accesso realmente universale ai percorsi formativi, la lotta alla dispersione scolastica, il riconoscimento del ruolo degli studenti – e più in generale dei soggetti in formazione – all’interno della società italiana,

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in un’ottica di welfare non più familistica e assistenzialista, che preveda forme di reddito diretto ed indiretto per i soggetti in formazione. Il diritto allo studio è di competenza esclusivamente regionale dal 2001; tuttavia molte Regioni mantengono una legislazione datata e assolutamente inadatta a soddisfare le esigenze degli studenti, sempre che ne abbiano una. Inoltre anche le Regioni che di recente hanno rivisto le loro norme sul diritto allo studio continuano a negare i finanziamenti necessari a rendere realmente operative le misure prese formalmente. In questo caso le rivendicazioni messe in campo rispetto al diritto allo studio si devono unire ad un lavoro di analisi e proposta rispetto alle Finanziarie regionali, che peraltro in futuro acquisiranno sempre più importanza a causa del decentramento di competenze e risorse. A livello nazionale deve essere ribadita la necessità di una Legge quadro sul Diritto allo studio, che non permetta disparità di trattamento tra una Regione e l’altra: la scuola deve essere un diritto e un bene comune come la sanità, i trasporti, in generale i servizi pubblici e la protezione sociale! In tal senso è necessario legare le nostre lotte con quelle di altri settori della società che esprimono critiche e proposte rispetto alle scelte prese a livello nazionale e regionale, per dire un ‘no’ chiaro al saccheggio generalizzato di diritti e beni comuni, e per costruire a partire dal basso e dal ‘locale’ luoghi di partecipazione democratica e proposta alternativa. TESI 6: Per una didattica partecipata che apra orizzonti di pensiero Il ministro Gelmini ha voluto mettere “ordine” nella scuola italiana, cercando di sottrarla a quella enorme casualità che effettivamente molto spesso ne governa le forme. Ma ha scelto di accentuare quei caratteri propri della scuola gentiliana e che rispecchia una società prossima al fascismo. La scuola targata Gelmini è autoritaria nella struttura e dogmatica nei contenuti. Il nozionismo è il suo metodo didattico. Basa il rapporto fra studente e docente sulla gerarchia. E il professore stesso, più che insegnante, viene fatto autoritario burocrate. Ha a disposizione un'infinità di provvedimenti di-sciplinari cui fare appello, ma un solo metodo didattico: la lezione frontale. Il voto è una punizione inesorabile per chi non fatica, o il premio per chi meglio ripete mnemonicamente pacchetti prefissa-ti di nozioni: uno strumento di selezione che porta al “paradiso” della falsa meritocrazia che pone le sue basi sugli squilibri sociali di partenza e al quale gli studenti devono puntare applicando principi di concorrenza. Questa scuola non è ancora stata realizzata completamente, sebbene gli ultimi go-verni volessero dirigerla in questa direzione. Noi vogliamo invece una scuola diametralmente opposta perché opposto è il modello di società che puntiamo a costruire. Per questo lavoriamo all'AltraRiforma e proponiamo la nostra alternativa educativa. L'AltraScuola si fonda su collaborazione e legami di reciprocità; non punta a cancellare complessità e differenze, ma farne di queste motivo di arricchimento di percorsi al centro dei quali vi è uno studente-persona con le sue caratteristiche e peculiarità e alla fine dei quali, a prescindere dall’indirizzo, abbia fatto palestra di cittadinanza e sia effettivamente pronto per entrare all'università o nel mondo del lavoro dotato coscienza critica. Nell'AltraScuola il docente viene preparato non solo con competenze nella sua materia, ma anche e soprattutto nella capacità didattico-educativa e psico-pedagogica; non ricorre al principio di autorità, ma spiega il perché delle sue scelte e motiva lo studente; non lavora come singolo, ma forma coi colleghi un'equipe-insegnanti. La trasmissione diretta unidirezionale della lezione frontale viene affiancata da altri metodi che possono essere decisi insieme agli studenti: educazione tra pari, lezione circolare, discussione e analisi collettiva, ricerca individuale e per gruppi, produzione di lavori e materiali didattici scritti o audiovisivi. Le nozioni apportano spessore a una cultura che si sviluppa organicamente, anziché tramite saperi isolati nelle loro materie. La multidisciplinarietà viene incontrata costantemente dallo studente che, abituato a intrecciare con un'allenata elasticità mentale differenti materie, acquista così un’autonoma capacità di interpretazione critica. La valutazione è narrativa, perché evita le etichette puntando invece sul far imparare ad auto-correggersi. Gli errori, così come le domande e i dubbi non sono considerati una patologia da eliminare, ma parte naturale dei processi di apprendimento. Modalità, queste, in cui lo studente è

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chiamato ad agire la lezione come soggetto, mentre l’insegnante accompagna, agevola, stimola, corregge e aiuta. Infatti esso viene responsabilizzato progressivamente mano a mano che assume il metodo, in modo da poter consapevolmente sviluppare le sue attitudini e prendere egli stesso l'iniziativa educativa. Siamo coscienti che portare un simile cambiamento nella didattica scolastica sia un traguardo difficile, ma siamo anche consapevoli che raggiungere questo obiettivo è indispensabile per proseguire qualsivoglia cambiamento strutturale del sistema scolastico italiano. TESI 7: Riordinare per sfasciare. Uscire dal guado: biennio unitario e triennio specializzante Osservando la scuola italiana com’è oggi, saltano immediatamente all’occhio le contraddizioni di cui è permeata e quelle ancora maggiori che si vogliono introdurre con i disegni di legge proposti negli ultimi anni. I problemi che risultano evidenti sono innanzitutto il ritardo di un anno nel conseguimento del diploma rispetto agli altri studenti europei; la canalizzazione precoce, ovvero la scelta prematura, a 13 anni, del proprio percorso formativo; e, non ultimo, il ruolo marginale e deleterio delle scuole medie, ciclo che tuttavia riguarda un'età cruciale per la formazione e lo sviluppo degli studenti. Altrettanto palesi sono la forte differenziazione e gerarchia che c’è tra i vari percorsi formativi e la divisione dei saperi, che non sono messi a sistema per creare una formazione completa, ma sono concepiti come distinti e inconciliabili. Inoltre, la tendenza degli ultimi Ministri dell’Istruzione non è certo quella di risolvere questi problemi, ma di continuare su questa strada, non facendo altro che peggiorare una già difficile situazione. Appare perciò chiara la necessità di rivedere questa divisione con una riforma dei cicli, che deve partire dalle scuole elementari e coinvolgere l’intero sistema scolastico. È necessario infatti rendere le attuali elementari e medie un unico ciclo, con una durata totale di 7 anni, in cui concentrare l'insegnamento sulle competenze base e le conoscenze minime e formare gradualmente le conoscenze richieste per affrontare un percorso di istruzione secondaria. In questo modo si costruisce un più solido metodo per apprendere e si riduce complessivamente di un anno il percorso scolastico. Al contempo bisogna riformare il sistema di istruzione superiore, prevedendo un biennio unitario, non unico e uguale per tutti, ma con una caratterizzazione per macroaree, e un triennio specializzante, più vicino anche nei metodi d’insegnamento e nei testi scolastici all’università. Così è possibile evitare il problema della precanalizzazione precoce, ritardando di un anno la scelta e rendendola più graduale grazie a una prima preferenza di macroarea e a una solo successiva opzione specifica. All’ordine del giorno di tutte le discussioni su come riformare la scuola c’è proprio la questione dei tempi: è questo infatti un tema centrale nell’ottica di qualsiasi cambiamento radicale del sistema scolastico. Integrare i saperi, insegnare a imparare oltre che trasmettere nozioni, dare a tutti la possibilità di operare una scelta consapevole del proprio percorso di studi e creare continuità tra i vari cicli, quindi, sono le nostre esigenze, richieste e proposte per rinnovare il percorso scolastico. TESI 8: Libertà è Partecipazione La crisi della rappresentanza e della partecipazione, come è sotto gli occhi di tutti, non coinvolge solo l’ambito studentesco ma è parte integrante di un processo sociale e politico più ampio che interessa la collettività a ogni livello. L’abisso venutosi a creare tra rappresentanti e rappresentati è causa e, allo stesso tempo, effetto di una crollo della partecipazione e della attenzione verso i problemi collettivi a cui noi dobbiamo saper dare una risposta. Le nostre scuole subiscono questo processo ma, è proprio dalle scuole, che esso può essere invertito, ridando senso e ruolo alla rappresentanza e creando luoghi e momenti di partecipazione alla vita dell’istituto. Attraverso questi due elementi è possibile dare origine a un circolo, questa volta virtuoso, capace di produrre effetti positivi a catena e porsi, a livello sociale, come modello alternativo di gestione dei luoghi, dei momenti e dei “beni” collettivi. In una società completamente

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frammentata in un insieme di singoli, ricostruire un senso di collettività a partire dalle nostre scuole è lo strumento principe che abbiamo per alimentare un processo di cambiamento dal basso e per modificare la prospettiva, l’approccio degli studenti ai problemi e ai punti di criticità delle nostre scuole ( e della nostra società ) da indifferente, o peggio rassegnato, a attivo e consapevole. E’ chiaro, quindi, di come rappresentanza e partecipazione siano due processi che si alimentano a vicenda per cui, base per ridare senso alla rappresentanza, è l’essere in grado di esprimere rappre-sentanti capaci, in grado di interpretare e manifestare le esigenze degli studenti. Una rappresentan-za in grado di incanalare le esigenze e le rivendicazioni all’interno dei luoghi e dei momenti colle-giali dell’istituto, produrre risultati e raggiungere gli obiettivi fissati dev’essere stimolata da una for-te partecipazione studentesca. Qui si apre un altro forte punto di criticità : il circolo rappresentanza / partecipazione non è bloccato solo alla base, perché manca, a livello studentesco, una partecipazio-ne in grado di alimentare la costruzione di un cambiamento dal basso; ma anche al “vertice” perché la struttura attuale degli organi collegiali azzera di fatto la possibilità dei rappresentanti di incidere sui processi decisionali dell’istituto. La gestione personalistica dei nostri presidi ( alimentata dall’ interpretazione dirigista data alla legge sull’autonomia scolastica ), insieme all’inferiorità numerica degli studenti all’interno degli organi decisionali ci impedisce di avere peso nelle scelte che, invece, ci riguardano e dovrebbero avere noi, e le nostre esigenze, come fulcro e riferimento. Per questo ci facciamo portatori di una riorganizzazione degli organi collegiali secondo un criterio di pariteticità tra la componente studentesca e quella dei docenti, facendo in modo che la nostra voce pesi e conti anche rispetto alle questioni didattiche e di programmazione dell’offerta formativa. Contemporaneamente il nostro lavoro deve essere incentrato intorno alla capacità di formare rappresentanti preparati, attraverso corsi di formazione basati sulla condivisione di esperienze e diffusione di informazioni e materiale, e parallelamente stimolare la partecipazione attiva, rendendo consapevoli gli studenti che il cambiamento è possibile e determinabile solo se si innescano dei processi collettivi in grado di produrre una trasformazione prima in noi stessi, poi nelle nostre classi, nei nostri istituti, nelle nostre città …. come insegnava Gaber “Libertà è Partecipazione…” TESI 9: Costruire una scuola migliore...dalle fondamenta. Avere degli edifici scolastici a norma è una delle rivendicazioni storiche della nostra organizzazione. In questi anni siamo stati capaci di aprire spazi conflittuali per far passare l'idea che “di scuola non si può morire”. Più volte abbiamo ribadito come le nostre scuole siano insicure e generino in noi un senso di paura e di precarietà, che ci impedisce di apprendere in un clima favorevole. Le condizioni in cui siamo costretti ad imparare e a passare buona parte della nostra giornata, in aule affollate, strette, mal riscaldate, in scuole prive degli ambienti necessari all’apprendimento (come palestre e laboratori) e all’aggregazione (ad esempio le aule autogestite), creano un senso di disagio, di malessere che pregiudica la qualità della nostra vita scolastica. Se oggi molti studenti vivono le loro scuole come grigie e opprimenti prigioni, desiderando costantemente di essere altrove, questo è dovuto anche allo stato in cui versano tantissimi edifici scolastici della penisola. Crediamo che si tratti innanzitutto di una questione di civiltà: quando si parla di edilizia scolastica, si parla della qualità della vita (e a volte della possibilità stessa di conservarla) di 9 milioni di persone tra studenti e personale; si parla di come, in quali luoghi, in che condizioni una nazione ha intenzione di educare i propri cittadini. In tante zone del Sud ma anche del Nord un intonaco che si sgretola, una porta anti-panico chiusa con il lucchetto, uno sgabuzzino trasformato in aula, parlano agli studenti di quanto lo Stato si disinteressi di loro, di garantire loro sicurezza e benessere a scuola, di fare in modo che la loro formazione si svolga nelle migliori condizioni. Discorso che vale a maggior ragione per i nostri compagni disabili e diversamente abili, spesso costretti a rinunciare ad alcune attività didattiche perché i luoghi in cui si svolgono non sono raggiungibili, condannati a effettuare lunghi giri per raggiungere ingressi secondari privi di barriere architettoniche, addirittura in diversi casi privati della libertà di scegliere il proprio percorso formativo, perché magari la scuola che vorrebbero frequentare ha barriere architettoniche e non è attrezzata ad accoglierli. E' nostro

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compito rendere al più presto disponibili agli studenti, alla cittadinanza e alla politica i dati da noi raccolti con la campagna “sicuri da morire”. E' sulla base di quei dati, vista la poca chirezza sul lavoro ministeriale nel monitoraggio della situazione, che bisognerà costruire azioni di lotta nei territori e a livello nazionale. Collaborare sia con i comitati spontanei di genitori sia con le forze sindacali deve essere una priorità nei territori affinché si possa portare con maggiore forza le nostre rivendicazioni nelle sedi istituzionali preposte. Nelle realtà municipali, provinciali e regionali non possiamo fare altro che rivendicare un piano straordinario di 15 mld di euro che entro 5 anni permetta la messa a norma e la costruzione ex novo degli istituti in base ai parametri del dgls 81/08 (ex 626/96). Per fare tutto questo non possiamo non investire su importanti momenti interni di orientamento che riescano a formare su provvedimenti normativi e piani di azione concreta. TESI 10: Alternanza Scuola-Lavoro, Stages e “Scollegato-Lavoro” La segmentazione crescente della società ha portato negli ultimi dieci anni ad un aumento della complessità dei canali formativi. Assistiamo a immutati percorsi liceali che rimangono prettamente scolastici e propedeutici ad un inserimento in canali formativi universitari, i cui soggetti in formazione entreranno nella categoria degli skilled (lavoratori ad alta qualifica). La filiera della formazione comprendente i tecnici si sta collocando ad un livello medio nella qualità di formazione come dimostrano i dati Ocse-Pisa usciti nel mese di dicembre. Da questi percorsi usciranno potenziali lavoratori divisi tra skilled ed unskilled a seconda della peculiarità dei vari indirizzi degli istituti tecnici. A collocarsi nel gruppo degli unskilled sono invece gli studenti degli isituti professionali e coloro che accedono ai canali di formazione professionale e apprendistato. E’evidente che la ristrutturazione economica sta ponendo l’Italia a livellarsi verso il basso in una competizione sul livello globale con i paesi emergenti e non con quelli a capitalismo avanzato. In questa prospettiva la formazione sta subendo un’opera di dequalificazione tramite politiche classiste attuate su più livelli. Uno di queste è circoscrivibile a quelle scuole professionalizzanti tramite l’allargamento delle esperienze di alternanza tra scuola e lavoro. La presenza di stages nelle scuole superiori è caratterizzata, come più volte ripetuto nei nostri incontri nazionali, da una forte settorializzazione e parcellizzazione delle esperienze, uno scarsissimo coinvolgimento dello studente nel processo di scelta delle esperienze da portare avanti e nel processo che giudica l’avvenuta esperienza, oltre che uno scarso controllo sul reale collegamento tra tirocinio ed programma svolto in classe, lasciando in balia di aziende il percorso formativo dello studente. Durante gli stage, oltre alla messa in pratica delle conoscenze acquisite in classe, ci dovrebbero essere dei periodi di formazione in cui si spiegano i diritti dei lavoratori e dell’ impresa, connotando una scuola intesa come fucina di futuri cittadini consapevoli del mondo in cui operano ed agiscono e non di futuri lavoratori sottomessi dall’ ignoranza dei propri diritti. Per questo dobbiamo proseguire con le vertenze avviate a livello di scuola, locale e nazionale per ampliare i diritti e la qualità nei e dei tirocini tramite l’approvazione dello Statuto degli Studenti e delle Studentesse in stages e con un’opera capillare di informazione sui diritti degli stagisti e i doveri di scuole e aziende costituendo osservatori sugli stage in tutte le città in cui siamo presenti per poter avere un quadro sempre più definito su come questi ultimi vengo declinati nelle varie parti del nostro paese. La battaglia per una riqualificazione della formazione professionale non può essere scollegato da quella contro la precarietà e per una politica industriale che metta a sistema il sapere con il saper fare, la ricerca con la produzione materiale e per una maggiore equità sociale nella formazione come nel lavoro. Credere in una scuola che insegna ad imparare, uscendo dalla parcellizzazione e dal nozionismo, è il nostro obiettivo per mettere in atto la sfida del nostro secolo che è l’avvio di processi personali e collettivi di lifelong learning, per uscire dalla ricattabilità permanente e, quindi per emancipare l’uomo in tutte le sue forme. In questo senso non possiamo non continuare la battaglia contro la sostituzione della scuola da parte di istituti come quello dell’apprendistato che consegnano i futuri lavoratori in uno stato di perenne ricattabilità su due fronti: il primo perché non avranno acquisito conoscenze sui diritti, il secondo perché non avranno

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competenze di cittadinanza capaci di inserirli in percorsi atti a reinventare la propria vita ogni volta che se ne presenterà l’occasione o il bisogno. TESI 11: Libera Scuola in Libero Stato La laicità viene erroneamente contrapposta alla libertà religiosa dei singoli individui, viene interpretata come una ingerenza dello Stato nella libertà di una persona di vivere secondo i valori e i dettami del proprio credo. Non ci si rende conto che è esattamente il contrario: lasciare che una religione influisca sulle scelte politiche di un paese non garantisce la libertà di persone di altre fedi, degli atei e degli agnostici. Uno stato veramente laico è il primo passo verso una possibile integrazione di più popoli e di più culture, il primo passo verso l’insegnamento del rispetto e della valorizzazione delle diversità e quindi dei diritti della persona in quanto tale. In uno Stato laico in cui l’interruzione di gravidanza è legalmente praticata negli ospedali pubblici, o il congelamento delle cellule staminali è consentito, nessuno viene obbligato ad abortire o a sottoporsi a cure ottenute con lo studio di embrioni quando questo è contrario alla sua religione o alla sua coscienza; un ragionamento analogo si può fare per la scuola pubblica, luogo veramente aperto a tutti solo se laico e disposto ad accogliere le diversità e considerarle fonte di ricchezza. In una scuola pubblica laica e aperta a tutti, studenti di diversa religione, orientamento sessuale, razza, condizioni personali e sociali, possono convivere insieme senza discriminazioni, anzi, arricchendosi uno delle differenze dell’altro. La Chiesa cattolica influisce direttamente sulle decisioni che riguardano la vita scolastica. Un esempio tra tutti: i docenti di religione vengono scelti direttamente dalle diocesi locali, inoltre nelle classi si insegna la religione cattolica, e gli studenti devono frequentarla, a meno che non chiedano espressamente di non avvalersene. Questo è il modo migliore per creare un muro tra chi è cattolico, che seguirà normalmente la lezione nella propria classe, e chi non lo è, che nel migliore dei casi utilizzerà quell’ora con un insegnante di sostegno a ripetere le materie in cui ha risultati peggiori, altrimenti in corridoio a giocare a carte o in altre attività didatticamente discutibili. Per questo motivo riteniamo necessario sostituire l’insegnamento della religione cattolica con un percorso didattico di “storia delle religioni”, trattata in modo interdisciplinare dai docenti di storia, filosofia, lettere e lingue, che dia una panoramica storico-filosofica sulle varie religioni e culture, sugli eventi storici che le hanno fatte nascere e modificare nel tempo, sui risvolti che hanno avuto ed hanno ancora oggi nella scelte politiche, scientifiche e culturali dei vari popoli e paesi. È inoltre inaccettabile la presenza dal crocefisso in tutte le aule, condannata per giunta dalla corte europea. Il ruolo dello Stato deve essere chiaro in una società sempre più multiculturale: bisogna costruire un sistema pubblico di istruzione in grado di essere rispettoso delle diversità culturali e religiose. Il dato di un costante aumento delle iscrizioni di figli di immigrati nelle scuole italiane deve essere accolto come un valore aggiunto di crescita per tutto il paese, quindi, il dovere del governo deve essere quello di costruire un sistema scolastico totalmente laico, con una didattica specifica che incentivi l’integrazione ed il confronto e che soprattutto abbatta ogni ostacolo di ordine linguistico e culturale. TESI 12: Legge 62/00, la legge “disparità” Con la scusa di garantire alle famiglie e agli studenti la possibilità di scelta tra scuola cattolica e non cattolica, tra scuola pubblica e scuola privata, il governo Berlusconi ha fortemente finanziato l’istruzione privata (sia cattolica che non), grazie anche la legge di parità (l.n. 62/00), provvedimento approvato dal centrosinistra, che già all’epoca criticammo duramente. Oltre ai finanziamenti del Ministero diretti alle scuole, che dal 2003 ogni anno hanno ammontato a circa di 532 milioni di Euro, il governo Berlusconi ha finanziato e istituzionalizzato una forma di Buono Scuola nazionale. Il tentativo è stato quello di approvare una legge mascherata con una formula generica chiamata “l’armonizzazione delle norme in materia di diritto allo studio”; che mira dichiaratamente ad istituire un sistema di buono scuola nazionale a favore di chi sceglie le scuole private, mentre nessuna proposta è stata avanzata per tutti gli studenti meno abbienti. Oltre a

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ribadire il nostro disappunto nei confronti della legge 62/00 sulla parità scolastica; siamo convinti che è doveroso regolamentare con vincoli più forti le scuole private e scindere gli interventi pubblici da queste. E’ necessario anche un sistema di controllo sulla didattica, sulla gestione amministrativa e il rispetto della legislazione nazionale in merito alla democrazia interna; gli istituti privati dovrebbero assumere docenti sulla base delle graduatorie nazionali, le commissioni di esame devono essere assolutamente esterne e l’ammissione ai soli esami di Stato finali deve essere prerogativa unica degli istituti pubblici. Siamo conviti che la scuola pubblica meriti centralità assoluta nella ripartizione dei fondi statali, non si può parlare del diritto delle famiglie di scegliere tra scuola pubblica e scuola privata, quando troppo spesso le scuole sono in condizioni disastrose e il diritto allo studio non è, di fatto, garantito per tutti, il costo dei libri di testo e del materiale scolastico rimane onere per le famiglie così come il trasporto per gli studenti “pendolari”. Inoltre le scuole private sono nella maggior parte dei casi, dei diplomifici, dove il titolo di studio e le conoscenze sono mercificate e svendute al miglior offerente, dove si insegna agli studenti che pagando si ottiene tutto, anche un titolo di studio immeritato. Siamo conviti che la libertà sia per l’individuo la possibilità, all’interno del sistema nazionale d’istruzione, di autogestirsi il percorso formativo a prescindere dalla condizione sociale di partenza e che il ruolo dello Stato sia di garanzia rispetto all’autonomia che lo studente deve avere nella scelta del proprio percorso formativo, in totale autonomia e consapevolezza di sé. Per questo sentiamo la necessità di mettere in discussione non solo i provvedimenti degli ultimi cinque anni, che devono essere cancellati al più presto a partire dagli ingenti finanziamenti alle private, ma anche la legge di parità approvata nel 2000, che rappresenta il punto di partenza ideologico e legislativo dello sfascio e della dequalificazione del sistema scolastico pubblico. Serve quindi un ripensamento generale delle politiche in materia di diritto allo studio, a partire dalla salvaguardia del carattere pubblico dell’istruzione e dal riaffermare con forza che le scuole private non possono costituire un onere per lo Stato. Di ciò ne siamo fermamente convinti, per questo proponiamo la cancellazione della legge 62/00 e il reinvestimento dei fondi ad essa destinati in una legge quadro per il diritto allo studio, che parta dal principio della necessità e dalla condizione reddituale sfavorevole. L’esigenza deve essere quella garantire l’accesso ai canali formativi prima di tutto a chi vive difficoltà economiche e sociali. TESI 13: Le nuove frontiere del capitalismo: conoscenza e precarietà “Diritto allo studio e diritto a una promozione sociale non possono procedere insieme: se, al limite, tutti possono effettivamente studiare, non tutti possono essere effettivamente promossi a posti di privilegio. Il meccanismo di selezione scolastica essendo dunque battuto, la società cercherà o di sostituirlo con meccanismi complementari, oppure di restringere i diritto allo studio ricorrendo a limitazioni di natura amministrativa.” A. Gorz Nel corso della storia il capitalismo ha attraversato numerose crisi, dalle quali è uscito rigenerandosi nella forma senza cambiare la sostanza. Le trasformazioni del capitalismo hanno dato centralità ai saperi all'interno del processo produttivo. La produzione materiale viene posta ai margini del pro-cesso produttivo e quindi attaccata su salari e diritti, mentre la produzione immateriale viene recin-tata e precarizzata attraverso forme di lavoro atipico. Il mercato del lavoro ha acquisito una velocità di cambiamento senza pari nella storia e all’interno di questo processo la formazione del lavoratore ha assunto un carattere via via più importante fino ad arrivare ad essere l’elemento di maggiore di-scriminazione nei criteri di assunzione e di retribuzione. Le merci immateriali, come i saperi, sono stati collocati dal mondo globalizzato al centro delle logiche speculative del capitalismo ( che as-sume oggigiorno il nome di cognitivo) determinando un nuovo fenomeno di “enclosures” dove si applica una recinzione dell’immateriale attraverso brevetti e ostacoli alla libera distribuzione della

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conoscenza. La formazione, fondamentale elemento di ascesa sociale, ha subito in questo quadro notevoli attacchi con la proliferazione e il finanziamento di scuole ed università pri-vate. E’ possibile osservare anche una sistematica distruzione dell’istruzione pubblica determinando di fatto l’impossibilità a tutti di ricevere un istruzione di qualità, che accresce enor-memente le differenze economico-sociali di partenza anche attraverso il ribaltamento del concetto di merito. Inoltre attraverso il perverso meccanismo dei brevetti la produzione cognitiva diventa proprietà privata e quindi di fatto bloccata nella sua naturale indole alla diffusione, creando l’ im-possibilità che i saperi entrando in circolo possano produrre altra conoscenza, altri saperi e quindi sviluppo. Infine il tempo del lavoro si è espanso in maniera esponenziale ma i lavoratori ne vedono riconosciuta una parte sempre più piccola poiché la formazione, ormai fondamentale per l’ adattabi-lità ai cambiamenti del mondo del lavoro e allo sviluppo dell’apparato produttivo, non viene consi-derata tempo lavorativo e quindi non retribuita diventando in questo modo retaggio dei pochi che possono permettersela determinando un’ ulteriore sistema di esclusione sociale. In quest’ottica la nostra associazione deve ripartire da rivendicazioni forti come il diritto ad una formazione perma-nente e il reddito per i soggetti in formazione , lottando per la loro emancipazione ,per un rafforza-mento ed un riconoscimento del loro ruolo e per la costruzione di una società più equa basata sulla libera circolazione della conoscenza. TESI 14: La Generazione P. La precarietà non è più solo un termine intangibile e lontano, al contrario è diventato il fattore costante delle nostre vite. La precarietà è la nuova forma di schiavitù moderna che attanaglia le esistenze, che ci impedisce anche solo di progettare un futuro, una vita. Un lavoro precario, un reddito precario, generano una vita precaria; una vita nella quale i giovani non hanno potere decisionale, sono ridotti a semplici unità di produzione che possono essere sostituite continuamente a seconda delle esigenze del mercato. Noi in quanto soggetti in formazione, viviamo questa situazione ogni giorno nelle scuole e nelle città, convivendo con un disagio causato dalla precarizzazione dello studio, del lavoro e della stessa vita. La pericolosa integrazione della conoscenza nei processi produttivi ha portato il sapere a trasformarsi in una risorsa da commercializzare e da sfruttare, i luoghi della conoscenza sono mira del mercato e della parcellizzazione. Da “bene comune” a “merce”: è questa l’inquietante trasformazione alla quale stiamo assistendo da anni e che vede come promotore il modello capitalista dell’economia mondiale. E’ chiaro ormai che non è la crisi la causa della precarietà ma sono determinate politiche che l’hanno creata. Ciò che fa il governo (governi) è nascondersi dietro la crisi per giustificare azioni come le leggi vergogna sulla precarietà, la distruzione del contratto nazionale di lavoro, la privatizzazione dei beni comuni e degli spazi sociali, in primis scuola e università. La precarietà è diventato l’orologio che scandisce i nostri spazi e le nostre vite, che ci priva della dignità di studenti e di futuri lavoratori. E’ ciò che ci impedisce di sognare una casa, un giusto reddito ed un’autonomia sociale. E’ vergognoso continuare a discutere di “bamboccioni” quando è evidente che l’unica forma sociale di welfare rimasta ai giovani è la famiglia; non si tratta di questione generazionale ma di crisi del sistema sociale. Ci troviamo di fronte ad una situazione disastrosa: un futuro di precarietà o la “fuga” all’estero, l’esodo dei “cervelli”, il fenomeno che sta privando il nostro paese delle migliori risorse intellettuali e lavorative. La realtà è questa: chi, come noi, vive e studia in Italia non ha prospettive, non è padrone del proprio futuro. Ciò che è accaduto questo autunno che ha visto la Generazione P riversarsi nella piazze, non è che l’inizio di una battaglia sociale che ci vede protagonisti, una battaglia che ci porterà alla conquista del presente e del futuro, futuro che da troppo tempo ci è stato impedito di immaginare, sognare e progettare. TESI 15: Studenti – cittadini, la nostra idea di Welfare

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Viviamo un momento di crisi senza precedenti, che vede le fasce più esposte ai dissesti economici fare i conti con la mala gestione delle finanze. In questo particolare contesto lo Stato, invece di in-centivare e modificare il sistema del Welfare, ha scelto di ridurlo drammaticamente e spesso addirit-tura di eliminarlo. Inoltre, nei pochi casi in cui gli enti locali hanno tentato di mantenerlo, si sono raggiunti risultati parziali che hanno denotato un’ incompleta e spesso errata comprensione di ciò che è realmente il Welfare, che ha conseguentemente perso il suo significato. Noi riteniamo che il Welfare oggi attuato non abbia senso e che debba essere stimolata una riapertura del dibattito pub-blico sul tema, per ampliare la riflessione riguardo a questo strumento sociale. Crediamo infatti, che sia necessario slegarsi dalla concezione familistica che caratterizza il Welfare italiano, riconoscendo le soggettività. Il Welfare State in Italia non riconosce minimamente la figura dello studente e quin-di esso vive una condizione di precarietà esistenziale e scarse tutele. Noi aspiriamo dunque al rico-noscimento dello studente come soggetto in formazione e quindi alla sua completa tutela. Secondo noi è necessario creare un Welfare a misura di studente, attraverso Il reddito di formazione ha come finalità quella di riconoscere lo studente come soggetto allo stesso tempo fruitore e produttore di saperi. Lo studente deve accedere ai saperi senza essere ostacolato da limitazioni economiche e at-traverso gli strumenti che gli sono più affini, variabili da studente a studente, senza essere vincolato ai canali atipici del sapere, che vanno comunque supportati. Lo Stato e le Regioni devono , confor-memente all'articolo 34 della Costituzione Italiana, salvaguardare l’erogazione di borse di studio in base al reddito familiare, affinchè siano realmente ridotti gli ostacoli che impediscono a tutti l’accesso alla conoscenza. Solo in questo modo uno studente può essere riconosciuto appieno come cittadino. L’Unione degli Studenti si impegna a lavorare sia attraverso le micro-vertenze locali, sia tramite quelle regionali attuate all’interno della campagna “Liberi Tutti” presentata dalla Rete della Conoscenza, comprendente le battaglie e le campagne regionali già presenti sui territori in materia di Diritto allo Studio. A tre anni dalla nascita della Carta Io Studio la nostra organizzazione deve avere la maturità di riconoscerla come una vittoria di Pirro e, proprio per questo, avanzare un'ampia battaglia vertenziale che viva sui livelli dell'Unione e che coinvolga studenti, scuole e consulte per un ampliamento dell'accessibilità dei canali di fruizione culturale. Troppo spesso abbiamo criticato questa Carta svuotata di senso dall'inattività del Governo. Ridare vita a questa nostra battaglia storica diventa un valore aggiunto all'interno della campagna Liberi Tutti. Valore centrale avranno le battaglie per vedere garantita la libera mobilità. Lo studente è sempre più costretto a spostarsi per raggiungere i luoghi di fruizione della conoscenza, la mobilità diventa quindi centrale per il pieno accesso al sapere creando un legame indissolubile tra diritto allo studio e diritto alla mobilità.

TESI 16: Il welfare municipale e la contrattazione sociale-territoriale a capacità più importante che ha contraddistinto la nostra organizzazione è stata quella di mettersi in discussione e di rinnovarsi continuamente nella sua elaborazione politica. Uno degli esempi che molto dice su questo è l’elaborazione che la nostra associazione negli ultimi due anni è riuscita a fare, anche nell’ambito di quello che è stato il percorso costituente della rete della conoscenza con la campagna liberi tutti, riguardo il tema del welfare e del reddito, mettendo al centro l’ambito di intervento locale, e più nello specifico, l’ambito municipale. Da qui è nata l’esigenza di riuscire a costruire un’elaborazione che fosse realmente innovativa su quello che è il tema del Welfare Municipale. Nell’analisi ed elaborazione politica della nostra organizzazione fino a due anni fa per Welfare municipale si intendeva semplicemente quello che era il sistema di carte studenti comunali e quindi di accesso ai saperi e ai beni culturali quindi di vertenzialità locale, mentre questo tema risulta essere molto più articolato e molto più vasto anche per quello che è tutto il campo d’azione sui temi sociali di cui riempiamo il nostro fare politica nella città e nelle scuole. Welfare municipale quindi è tutto un insieme di pratiche virtuose che partono dal basso, dalle istanze, dalle lotte sociali e quindi dalla partecipazione politica attiva. Proprio la partecipazione politica attiva è il nodo centrale del Welfare municipale: dall’esperienza che ci

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perviene da Porto Alegre (Città che ha ospitato il World Social Forum del 2001- 2002-2003 e 2005 ), dai distretti francesi e dall’esperienza italiana della “Rete del Nuovo Municipio” infatti assume una nuova centralità il ruolo della partecipazione politica attiva a quelle che sono le decisioni e i processi politici di rilancio e rivalutazione del territorio piuttosto che di redistribuzione delle ricchezze e quindi di emancipazione sociale dei soggetti più deboli. Le pratiche di democrazia partecipata e di bilancio partecipato incarnano proprio lo spirito del coinvolgimento dei soggetti sociali in maniera orizzontale e dal basso a quelli che sono i processi decisionali riguardanti l’ambito municipale e ciò consentirebbe di poter intervenire in maniera diretta su quella che è la gestione e amministrazione del territorio, delle sue ricchezze e delle sue politiche economiche, sociali, culturali. Attraverso le pratiche di bilancio partecipato e di democrazia partecipata infatti i cittadini, quindi anche gli studenti, potranno finalmente incidere su quelle che sono: le scelte produttive del territorio, gli investimenti di bilancio, incidere sugli sprechi, attuare politiche di contaminazione fra le varie culture presenti sul territorio, ottenere sconti sui trasporti piuttosto che sull’accesso ai beni culturali incidere sulle scelte energetiche, sulla gestione del servizio e sulle politiche ambientali quindi anche rispetto alla questione dei rifiuti e del loro ciclo e riciclo; il tutto in maniera completamente orizzontale e partecipata che rieduca il cittadino ad una partecipazione politica positiva e propositiva dal basso a cui siamo stati diseducati dopo anni di passività e assopimento dovuti al non sentirsi più partecipi di quelle che sono le scelte che ci riguardano sia individualmente che soprattutto collettivamente. Ma welfare municipale non è solo bilancio partecipato e democrazia partecipata e tutto ciò che da questi consegue; Welfare municipale significa anche spazi di aggregazione e socialità, spazi di confronto e di contaminazione fra culture e generazioni diverse, significa processi di globalizzazione dal basso, significa ridare centralità alla persona e ai suoi bisogni, alle sue necessità. Ed è proprio da queste che bisogna partire se si vuole parlare di welfare municipale in maniera completa e complessiva. Viviamo in un paese che non garantisce o quasi quelli che sono i diritti fondamentali formalmente riconosciuti ma a distanza di 60 anni dalla Costituzione ancora sostanzialmente negati. Per questo abbiamo pensato di aprire una riflessione e soprattutto un momento rivendicativo che seguendo la scia delle rivoluzioni settecentesche e post settecentesche si riappropri del nome della “dichiarazione dei diritti del cittadino/a in formazione” dichiarazione in cui ri-assumono centralità la questione dell’autonomia economica e sociale dei soggetti in formazione, del diritto all’abitare, del diritto alla mobilità, del diritto alla partecipazione alle scelte politiche ed economiche, del diritto ai saperi, del diritto alla libertà di espressione, del diritto alla sicurezza, del diritto al lavoro e alla sua scelta. Il nostro lavoro e impegno verso un sistema di welfare che abbia al centro il territorio e l’ambito locale viene anche dalla fase politica che stiamo attualmente attraversando una fase che ci porterà verso il federalismo fiscale per cui ritornare a ragionare sulle questioni territoriali e come incidere su queste in modo da garantire un sistema di servizi e di reddito che siano un passo verso l’autonomia sociale di tutte le categorie sociali in maniera uniforme sul territorio nazionale. Ma qual è quindi il nostro ruolo in ottica di welfare e di welfare municipale? Con la campagna liberi tutti abbiamo delineato un importante momento di elaborazione e di rivendicazione che deve permeare nella società del nostro paese, che risulta essere ancora uno dei pochi in Europa ad essere del tutto carente di forme reddituali, siano esse dirette o indirette, e la nostra battaglia sul welfare quindi la campagna liberi tutti deve vivere principalmente sui territori ed essere capace di farsi carico delle questioni territoriali per farne diventare il fulcro su cui costruire un progetto politico al momento assente in Italia. Ma non dimentichiamo però il ruolo sociale che gli spazi e soprattutto la scuola hanno sul territorio. Questi infatti spesso rappresentano l’unico avamposto sociale di contrasto alle logiche mafiose, l’unico avamposto a quella che è l’avanzata populista dei neo fascismi nei quartieri periferici delle grandi città e gli unici luoghi in cui è ancora possibile riuscire a creare trasmettere e condividere quella cultura di pace e giustizia sociale. TESI 17: Un movimento studentesco aperto alle sfide del nostro tempo

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Analizzare il movimento studentesco oggi significa comprendere qual'è il disagio che gli studenti vivono nella fase politico-economica attuale. A partire dal 2008, ed è da quell'anno in avanti da inquadrare l'attuale fase di mobilitazione, il movimento è riuscito a cogliere il tema della crisi, rilanciando la questione della conoscenza all'interno del paese. Dall'Onda in avanti si è riaperta innanzitutto una speranza nelle opposizioni sociali del paese in grado di contrastare dal basso l'appiattimento politico della società. L'Onda è stata in grado di portare dalle assemblee e alle piazze, centinaia di migliaia di studenti assediati e spaventati dalla condizione della precarietà, minacciati dalla ricaduta della crisi economico/finanziaria sulla loro esistenza materiale. Le mobilitazioni dell'autunno 2010 sono state invece connotate da un dato ancora più pesante: il fatto che la crisi, intesa come elemento di crollo delle certezze, si sia concretizzata oltre che nei luoghi della formazione anche nel paese, costruendo un elemento di disagio per tutta la società, espresso dall'impoverimento dei cittadini e dalla blindatura del futuro, metafora della precarietà esistenziale. Di fronte ad un governo incapace di affrontare i problemi reali, in un paese dove regnava la frantumazione dei soggetti sociali, in cui si parlava solo di scandali sessuali e dei pruriti della politica, siamo riusciti a generalizzare le mobilitazioni, costruendo piazze capaci accogliere le tante soggettività sociali. Nonostante la nostra forza, il 14 dicembre, nel pieno delle mobilitazioni, è stato commesso un grave danno a spese della democrazia: lo svuotamento di senso delle camere parlamentari attraverso il salvataggio del Governo causato della compravendita dei parlamentari, ha segnato sempre più nettamente la lontananza dei luoghi del potere dal mondo reale e dalla gente comune. Nostro compito è riscrivere il vocabolario della democrazia, immaginando un senso ed una prassi rinnovata del potere, "verbo e non sostantivo", partendo dalle nostre scuole e dai nostri quartieri, praticando nuovi modelli di democrazie e partecipazioni dal basso: sfruttare l'immaginario che abbiamo costruito per cambiare gli equilibri sociali e politici a lungo termine. Il senso di questo movimento si riassume nelle basi di un'opposizione sociale che si riorganizza e cerca di vedere lontano, di scrutare un nuovo orizzonte. La coalizione sociale ha bisogno di fondamenta solide, ha bisogno di parlarsi in primo luogo e parlare alla società. Costruire un confronto tra le varie soggettività significa immagine una lettura condivisa di dove siamo e dove vogliamo arrivare. Parlare alla società significa invece essere capaci di condividere questa lettura con tutti i cittadini, inquadrando le loro problematiche nelle risposte che vogliamo dare. Immaginare una coalizione sociale non significa dire basta al movimento per chiudersi nelle stanze a parlare, ma dotarlo di strumenti sempre più efficaci. La coalizione sociale non è da identificare nè come un elemento che possa mettere un cappello alle mobilitazioni, nè come una grande scatola della lotta, al contrario la coalizione è un complesso di alleanze e relazioni chiarisce e cresce qualitativamente, anche grazie al contributo della nostra Organizzazione, per la sua capacità di rapportarsi con tutto il panorama della politica e del sociale, dei sindacati dei lavoratori e dalle associazioni del terzo settore, sino alla totalità dei movimenti, attraversando i forum e contrattando con le istituzioni. C'è adesso da aprire una grande fase di discussione su "quale futuro" vogliamo costruire, quello che un tempo veniva chiamato orizzonte, oggi ha la più forte che mai necessità di essere scrutato e raggiunto. TESI 18: Rete della Conoscenza: analisi e prospettive. L’UdS da 10 anni riscontrava una sua incompiutezza nell’analizzare i fenomeni esterni alle mura scolastiche, per questo la nostra organizzazione si è messa a capofila per un processo che portasse alla nascita di un soggetto ampio e plurale includente tutte le sfaccettature della condizione sociale studentesca. Quest’intuizione e la nostra forza nel portarla avanti si sono dimostrate giuste. Alla nascita della Rete ha corrisposto la formazione del movimento studentesco più duraturo e formato politicamente degli ultimi anni. Ciò che le nostre organizzazioni sono riuscite a mettere in campo a Riot Village tramite i momenti di analisi e coordinamento politico si è rivelato essere la base per la costruzione delle mobilitazioni nelle scuole e nelle università. Il ruolo della Rete durante l’autunno ha avuto un aspetto fondamentale contribuendo alla formazione di una coscienza sulla condizione dei soggetti in formazione. Studenti medi e universitari hanno condiviso, in momenti assembleari o

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nelle piazze, una battaglia sul futuro di un’intera generazione. Contemporaneamente si contrastava con forza il DDL Gelmini sull’università. A quasi sei mesi dall’Assemblea di Terni la Rete ha svolto, oltre al ruolo di analisi politica, il ruolo di sostegno e coordinamento tra Uds e Link aumentandone la forza propulsiva e la capacità di azione. Sul livello territoriale i territori dell’UdS hanno dato prova di una scarsa capacità di declinare il pensiero di Rete in azioni concrete e ragionamento politico. Alberga ancora nei livelli cittadini un’ottica distorta che non vede l’organicità dell’intera struttura dell’UdS a quella di Rete. Le competenze e le elaborazioni frutto dei nostri 17 anni di storia non hanno ancora espresso la piena potenzialità all’interno del quadro confederale, creando la base di quello che sarà il lavoro dei medi per l’organizzazione tutta. La prosecuzione della campagna Liberi tutti dovrà vedere l’impegno delle nostre basi affinché l’elaborazione sulle tematiche del welfare e della condizione studentesca diventino quadro culturale di riferimento per gli studenti delle scuole superiori della penisola. La Rete siamo noi, ogni nostra azione sui temi sociali e relativa al territorio è un’azione che la rete compie per i suoi obiettivi. Questa è la consapevolezza che dobbiamo assumere. Con la nascita di Link-Coordinamento Universitario dopo anni di allontanamento siamo riusciti a creare collegamenti con il mondo accademico, rendendoci consapevoli delle dinamiche e delle politiche riguardanti l’università e sintetizzando il quadro generale inerente i luoghi della formazione come ha dimostrato la corrispondenza dei due progetti di Altra Riforma. Nostro compito sui territori sarà aumentare, grazie e per la Rete i legami con chi agisce sul territorio e nei luoghi della formazione sui temi che ci contraddistinguono come sindacato studentesco oltre ad allargare la coalizione sociale con cui collaboriamo anche tramite la campagna Liberi Tutti e le altre iniziative di Rete. TESI 19: Europa dell'austerity VS Europa dei conflitti Duemilanove e duemiladieci sono stati anni critici per le nazioni europee, che per la maggior parte hanno risentito fortemente della crisi economica. In questi ultimi due anni l'obiettivo e' stato quello di usare la crisi come scusa per tagliare diritti e beni comuni. Soprattutto nelle economie nazionali piu' deboli del vecchio continente (Irlanda, Portogallo, Grecia, Spagna e Italia) i piani di austerita' hanno portato forti squilibri allargando drammaticamente la spaccatura fra governi nazionali e so-cieta' civile. Le manovre finanziarie fatte passare per misure anticrisi hanno, in linea generale pre-sentato le stesse caratteristiche: l'inasprimento delle tassazioni ai danni delle fasce piu' deboli (in Inghilterra le tasse universitarie sono state triplicate con l'ultima riforma); il taglio dei servizi pub-blici e di settori come la cultura, l'istruzione e la sanita'; lo smantellamento dei diritti sindacali, l'in-nalzamento dell'eta' pensionabile (riforma del governo Sarkozy in Francia) con la speranza di au-mentare la competitivita' delle imprese nazionali sui mercati esteri emergenti. Ma ancora: l'attacco generale ai beni comuni come la cultura, i saperi e la natura. Alla luce di tutto questo e' stato possi-bile all'interno della nostra Organizzazione innalzare il livello del dibattito, arrivando alla conclu-sione che non e' possibile limitare la propria protesta né contro il singolo provvedimento legislativo, né tanto meno è possibile attribuire tutte le responsabilita' al governo Berlusconi, ma bisogna pren-dere atto della evidente fine della dimensione nazionale e che se esiste una dimensione europea neo-liberista, la risposta deve essere europea nei contenuti e nelle forme. Il berlusconismo che abbiamo giustamente contestato nelle piazze non e' altro che la versione Made in Italy di un sistema arruggi-nito, che induce l’individuo a rimanere aggrappato ai posti del potere e che cerca disperatamente di tirarsi in salvo dalla crisiche il sistema stesso ha generato. Pertanto quando parliamo in Italia, di pdl Aprea, di ddl Gelmini, di scuole e università sempre più in mano ai privati stiamo parlando quindi di una dimensione non solo nazionale, ma europea. Questi provvedimenti, infatti, rappresentano la forma, in salsa italiana, dei processi di privatizzazione dei luoghi della formazione e di mercifica-zione dei saperi, in atto da oltre 15 anni in Europa e che passano tramite la Direttiva Bolkenstein e a livello internazionale tramite gli accordi G.A.T.S. (general agreement trade and service) promossi dal WTO (l’organizzazione mondiale del commercio). A seguito del rilancio della, già fallita in par-

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tenza, strategia di Lisbona, “Europa 202020” rappresenta una riproposizione dello stesso modello neoliberista di investire nella produzione di conoscenza. Il fallimento della strategia di Lisbona, di cui non abbiamo mai condiviso l’impostazione neoliberista di intendere il ruolo della conoscenza, è dovuta al fatto che i Governi nell’ultimo decennio non hanno voluto investire nella cosiddetta eco-nomia della conoscenza. I Governi Italiani si fanno capofila del tradimento di questa strategia neo liberista. Si è mantenuto l’investimento del proprio Pil nettamente al di sotto della media europea, determinando che, per esempio, tra i cinque punti preponderanti da raggiungere entro il 2010, la suddetta strategia si dava come obiettivo quello di contenere il tasso di dispersione scolastica a me-no del 10%. In Italia tuttavia tale tasso rimane fisso al doppio come media nazionale, mentre al sud e negli istituti tecnici e professionali arriva a toccare punte del 30-40%. Infine le uniche applicazio-ni della strategia sono state nella direzione dell’implemento della precarietà, delle forme mercificate del sapere, della recinzione della conoscenza e sono andate nella direzione di costruire un sistema di selezione sociale basato sull’accesso ai canali del sapere. “Europa 202020” tratta quindi, come per i Gats e per la Direttiva Bolkenstein, di temi più generali su cui istaurare un sistema di precarizzazio-ne delle esistenza, dal lavoro, ai beni comuni, al welfare, alla conoscenza. Dobbiamo costruire un’Europa, diversa, un’Europa dei popoli, fatta di meccanismi di solidarietà reale, di tutele univer-sali, di forme di welfare per tutte e tutti, di accesso libero alla conoscenza, di diritti e di democrazia reale. TESI 20: L'UdS e l'Obessu A livello europeo, l’OBESSU (Organising Bureau of European School Student Unions) è il maggiore interlocutore europeo per gli studenti medi. Organizzazione ombrello fondata nel 1975 che riunisce ventidue associazioni studentesche di tutta Europa, tra cui l’Unione degli Studenti, unico membro per l’Italia. Un’Organizzazione che si riconosce nei principi di laicità, uguaglianza e solidarietà. I suoi obiettivi statutari sono principalmente: la promozione della cooperazione tra studenti e studentesse in tutta Europa attraverso l’azione delle loro associazioni di appartenenza, la lotta contro ogni tipo di discriminazione e di ostacolo evidente alla formazione dello studente, il rilancio della democrazia all’interno dei luoghi decisionali dei sistemi educativi, la sostenibilità e l’educazione globale, la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. Le associazioni aderenti all’Obessu rappresentano in diversi modi gli studenti delle scuole secondarie superiori. Solo alcune associazioni hanno una formula simile alla nostra (UNL Francia, AKS Austria), per il resto sono d’impostazione molto differente. Ricordiamo che alcune associazioni come la DGS – Danimarca e FSS Finla ndiasono sindacati studenteschi storici nei loro rispettivi paesi, con oltre 50anni di storia. Da anni, ormai, il nostro contributo al lavoro di questa rete internazionale è rilevante, l'Italia ha ospitato due convention studentesche europee, e molti studenti dell'UdS hanno partecipato negli anni alle attività promosse in ambito internazionale ricomprendo anche ruoli di responsabilità nell'OBESSU. Tale “associazione delle associazioni” svolge sicuramente un ruolo importante, anche se deve confrontarsi con metodi e pratiche delle singole associazioni-membro molto eterogenee tra loro. Ciò spesso comporta una limitazione delle potenzialità dell'OBESSU che non sempre svolge un ruolo politico attivo ma più semplicemente di promozione di attività di dibattito e confronto tra le varie esperienze nazionali. Noi crediamo che sia sempre più necessario un ruolo incisivo di rappresentanza degli studenti a livello europeo. Sempre più, infatti, le decisioni sono prese in ambiti sovra-nazionali, anche nel settore dell'istruzione, della cultura e delle politiche giovanili, e non possiamo permetterci di non far sentire la nostra voce anche in tali contesti. Il nostro impegno in questo percorso deve continuare con un investimento particolare nell'elaborazione e nella costruzione delle politiche di questa rete che deve diventare un punto di riferimento sempre più centrale per gli studenti europei e per le istituzioni europee. Parteciperemo con costanza alle attività di carattere internazionale e dovremo stringere rapporti sempre più stretti con quelle associazioni studentesche di altri paesi a noi più affini nelle pratiche e nei metodi di lavoro anche incentivando progetti comuni e collaborazioni.

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TESI 21: Unire l'opposizione sociale in Italia Viviamo una fase cruciale nel Paese. L’acuirsi della crisi sociale ed economica ha fatto nascere la necessità di una risposta coordinata delle diverse soggettività sociali che pagano la crisi causata da un sistema fondato sulla disuguaglianza, l’arricchimento personale e lo sfruttamento del lavoro e delle risorse, che ha insito nel suo essere la necessità ciclica di scaricare i costi della crisi sulle fasce più deboli. La capacità del movimento studentesco di crescere rispetto all’Onda in continuità, con-sapevolezza e capacità di risposta, ha dettato la novità delle mobilitazioni di questo autunno. L’attacco di Pomigliano, le discariche abusive nel Parco del Vesuvio, l’incapacità di gestione politi-ca del terremoto all’Aquila e le sue conseguenti speculazioni sembravano poter passare sottovoce per colpa di giornali concentrati su scandali sessuali, valine e gossip sulla crisi della maggioranza di Governo. La reazione che gli operai di Pomigliano hanno saputo dare col referendum è stata sola-mente un primo passo di dignità che ha dato nuova linfa alle lotte sociali e che ha saputo dettare l’agenda politica degli ultimi mesi e ha fatto emergere la questione dei diritti e del lavoro. Il 16 Ot-tobre lo sciopero della Fiom ha poi saputo unire le studentesse e gli studenti che in quei giorni co-minciavano a mobilitarsi, i cittadini delle comunità territoriali sotto attacco, gli operai, i precari, le lotte per l’acqua e in difesa dell’ambiente. La nostra Organizzazione ha avuto senza dubbio un ruolo da protagonista nella costruzione delle interlocuzioni con il mondo del lavoro e con le lotte sociali. Già in Estate infatti, al nostro campeggio nazionale, avevamo indicato come strategia necessaria quella di costruire un fronte ampio in difesa dei beni comuni. Abbiamo firmato l’appello che poi il 17 Ottobre ha visto riunirsi le diverse lotte sociali del Paese e creare uno spazio di discussione am-pio ed eterogeneo come quello di “Uniti Contro la Crisi”, uno spazio di confronto su istanze comuni nel rispetto dell'autonomia delle varie realtà. La capacità di essere una dimensione nazionale ampia, eterogenea delle lotte e delle vertenze diventa una necessità, soprattutto dopo il rilancio del Meeting di Marghera che ha posto come centrali la questione della conoscenza, del reddito, del lavoro e del clima. A livello territoriale diverse sono le esperienze, non tutte incisive, su cui bisognerà riflettere sui singoli territori. Abbiamo dimostrato di sapere costruire un movimento ampio e plurale, ma so-prattutto capace di essere trasversale e generale nei temi che ha portato in piazza. Partire dall’analisi di questo autunno significa rilanciare le interlocuzioni della nostra organizzazione costruite in questi mesi e riprendere quelle edificate in questi anni. Centrale in una fase politica così complessa è l’interlocuzione con il mondo del lavoro e con i movimenti sociali, anche a causa dell’incapacità dei partiti di rapportarsi con le istanze reali del Paese.. Un soggetto organizzato e sindacale, come il no-stro, ha la necessità di trovare e stabilire la tipologia e la modalità di costruzione del rapporto politi-co con il mondo della rappresentanza del lavoro. Riteniamo fondamentale costruire tale rapporto, convinti che in questa fase occorra generalizzare il conflitto per determinare cambiamento. Solo u-nendo le forza con i lavoratori possiamo davvero generalizzare le lotte e bloccare il Paese e invertire i rapporti di forza tra sfruttati e sfruttatori, tra oppressi e oppressori e quindi tra capitale e lavoro. Lo sciopero generale deve essere solamente il primo passo di una presa di coscienza collettiva che permetta la costruzione di un nuovo modello di società e di sviluppo. Purtroppo le istanze del mo-vimento e le numerose richieste di sciopero generale avanzate da UnitiControLaCrisi, dalla FIOM e ultimamente dall’FLC, sono state recepite in ritardo dalla CGIL e nonostante i sindacati di base ab-biano provato a sopperire a questa mancanza non hanno conseguito i risultati sperati poiché rappresentano solamente una piccola parte dei lavoratori. Riteniamo che la CGIL, il più grande sin-dacato dei lavoratori, sia ad oggi l’unica organizzazione sindacale italiana in grado di proclamare uno sciopero generale vero, partecipato e che blocchi il paese. Nostro compito nei mesi a venire de-ve essere quello di fare continue pressioni sulla CGIL, sulle sue categorie e sui suoi iscritti per rag-giungere questo obiettivo, che riteniamo fondamentale a breve termine. Il movimento quest'anno, nella sua complessità, ha avuto la grande capacità di unire sulle stesse lotte realtà diversissime tra loro, mettendo da parte differenze politiche o di organizzazione per creare un blocco sociale alterna-tivo che si potesse contrapporre con forza alle logiche di chi vuol scaricare i costi della crisi sulle

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classi sociali più deboli. Per questo pensiamo di dover continuare nell’idea di costruire una grande coalizione sociale. In un contesto come questo la relazione con le diverse forme di organizzazione del lavoro, con i lavoratori non sindacalizzati e dei movimenti delle lotte sociali è una necessità. Una grande Organizzazione come la nostra non può chiudersi a riccio nelle relazioni, ma porsi il tema dell’allargamento ai soggetti sociali e reali del Paese. Costruire quindi con questo spirito le in-terlocuzioni sulle iniziative e le mobilitazioni stabilendo e valutando le fasi e le piattaforme politi-che deve essere la nostra aperta modalità di costruire le interlocuzioni. Costruire una relazione con il mondo del lavoro, va però al di là di questa fase politica. Ad oggi l’interlocuzione politica che ab-biamo con la Cgil a livello nazionale, su temi e condivisione della politica, non deve creare nel futu-ro forme di legami e che si deve fondare sull’autonomia politica reciproca, rispettando le singole i-dentità e specificità territoriali, sulla criticità, soprattutto facendola emergere anche con dissociazio-ne o addirittura l’interruzione dell’interlocuzione qualora non si condividessero temi, modi e tempi di gestire la fase politica. La capacità di essere soggetto di movimento, ma anche soggetto sindacale e organizzazione vuol dire sapere costruire interlocuzioni politiche al di là del movimento e soprattutto al di là della fase di movimento. La lotta alle Mafie resta infatti un punto cardine per la nostra Organizzazione. Cambiare il Paese, non significa solo sanare il dramma sociale della precarietà, ma distruggere le Mafie, vero cancro e motore della situazione di crisi, come crisi strutturata ed atavica del Paese. La battaglia per la costruzione della Giustizia sociale, superando la retorica della Legalità, per noi diventa un caposaldo del rapporto con Libera, con la quale saremo in piazza il 19 Marzo a Potenza e con la quale vogliamo intensificare il rapporto politico, partendo dal lavoro nelle scuole, passando per le battaglie contro le Mafie e la corruzione sui territori. La produzione culturale e gli spazi di aggregazione rappresentano un valore che molte basi territoriali dell'UdS mettono a frutto con pratiche territoriali di socialità, attività ricreative e mutualismo partecipato. Questi percorsi avvengono all'interno del circuito Arci, con cui abbiamo un consolidato e storico rapporto politico. Tale rapporto dovrà essere intensificato a partire dal mettere in relazione gli spazi di “Rete” nel campo della progettazione, produzione culturale e contrattazione sociale. La lotta contro il nucleare, le vertenze di tutela del territorio, la difesa dell’ambiente ci hanno visto da sempre al fianco di Legambiente e dei comitati di lotta territoriali quali soggetti capaci di aprire nelle scuole un ampio spazio di discussione sui temi del clima e della lotta contro le speculazioni ambientali che viviamo nel Paese. Centrale per noi sono anche le altre tematiche sociali e culturali da difendere e ampliare nel Paese. Il rapporto con l’Anpi, nella costruzione della Carovana delle Memorie, è il segno di un impegno che va oltre il 25 Aprile e riconosce nell’antifascismo una pratica quotidiana e un valore fondante imprescindibile. L’avanzata nelle nostre città e nelle scuole di comportamenti e attacchi omofobi è il segnale di come dobbiamo sapere costruire con assoluta urgenza nelle scuole una grande campagna nazionale sulla sessualità con l’Arcigay Parlare dei temi della sessualità, lottare contro l’omofobia deve diventare un tassello fondamentale per la nostra Organizzazione. L'opposizione sociale di questi mesi è rimasta completamente inascoltata dalle forme della rappresentanza politica. L'opposizione parlamentare e in generale i partiti che la compongono si sono dimostrati incapaci di recepire le istanze che i movimenti hanno posto. Come sindacato studentesco, abbiamo la necessità di costruire in maniera autonoma spazi contrattazione locale e nazionale con la rappresentanza politica. TESI 22: Le nostre memorie sovversive L’Unione degli Studenti si è posta da sempre, nei suoi oltre 17 anni di vita, l’obiettivo non solo di cambiare le condizioni materiali di chi ogni giorno vive i luoghi della formazione, ma costruire un tessuto culturale radicalmente alternativo al modello culturale tanto delle Mafie, come fenomeno sotto culturale capace di violentare il territorio, tanto delle forme di neo fascismo nate in Italia dal dopoguerra, una cultura individualista, xenofoba, omofoba, razzista e autoritarista. Ci siamo dotati da sempre su questo dello strumento delle Memorie. La Memoria delle Vittime di Mafie, non come ricordo o commemorazione, ma come presa d’impegno individuale e collettiva per distruggere le

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Mafie nel nostro Paese. Praticare l’antimafia sociale, come pratica quotidiana all’interno delle nostre realtà associative e nelle nostre scuole ha dimostrato una continua crescita di consapevolezza negli ultimi anni. Se a fondare l’UdS, infatti furono anche reti di realtà locali del Sud che si contraddistinguevano per la lotta alle Mafie, ora siamo arrivati a diffondere anche nelle realtà locali del Nord la consapevolezza del fatto che le Mafie non sono solo un problema del Mezzogiorno, ma bensì dell’interno Paese e anche oltre.Abbiamo dismesso da tempo la retorica sulla legalità, parola fin troppa abusata nei dibattiti politici italiani, e abbiamo preferito da anni di praticare la costruzione dal basso di un modello vero di Giustizia Sociale, fatta di centinaia di tasselli reali nelle scuole e nei territori di denuncia e punti di informazione e formazione di vera cultura. Sappiamo che per contrastare le Mafie questo non basta. Pensiamo innanzitutto che Libera, intesa nel suo senso primo di rete di associazioni, nomi e numeri sia il principale interlocutore per costruire sui livelli territoriali ampi fronti di lotta all’avanzata delle Mafie. Prendere atto che le Mafie sono un fenomeno sociale, culturale ed economico vuol dire sapere articolare una risposta politica che sia altrettanto sociale, culturale ed economica. Per questo parlare di welfare, di risanamento delle periferie, di investimenti nelle scuole aperte il pomeriggio, di lavoro, di un sistema economico che abbia una controllabilità negli appalti e che si riappropri di tutto il sommerso economico e la ricchezza che le Mafie sottraggono speculando e delinquendo. La Memoria delle Vittime del fascismo, ha una funzione principalmente pedagogica. Ricordare ciò che i partigiani nella seconda guerra mondiale hanno fatto per liberare il Paese, quello che decine e decine di militanti hanno costruito nell’Italia del dopoguerra in difesa dell’identità antifascista dell’Italia, è un patrimonio indispensabile individuale e collettivo. Fare memoria di questo significa riconoscere nell’antifascismo un valore fondante e strutturale della nostra Organizzazione e fare si che diventi una pratica reale e quotidiana all’interno delle scuole. Il contrasto che le nostre associazioni territoriali, assieme agli universitari e al mondo delle lotte sui territori è riuscita in gran parte a respingere quella che anni fa definivamo come l’avanzata di forze neo fasciste nelle scuole. Da una parte la collusione di CasaPound ai partiti di centro destra, la palese perdita della sua autonomia che non aveva mai in realtà avuto e la controffensiva delle compagne e dei compagni nelle scuole ha dato la possibilità di ridurre in gran parte le formazioni studentesche che sembravano prendere piede nelle città italiane. La cacciata dalla Consulta di Roma, la lotta contro CasaPound a Napoli, sono pochi dei tanti esempi che le forze democratiche ed antifasciste hanno messo in campo. Tuttavia non bisogna abbassare la guardia. I gruppi neo fascisti, non sono solo CasaPound e soprattutto non sono ancora morti. Il lavoro di contrasto a tali organizzazioni nelle scuole e nei territori deve essere centrale. Partire dalla Memoria e costruire pratiche di antifascismo vero che nelle scuole abbiano presa e non abbiano il sapere di qualcosa di vecchio ed ideologico, ma rappresentino sempre una novità culturale.In questo senso non possiamo non pensare all’antifascismo come ad un concetto ampio, capace di contenere tutta una serie di valori da praticare, dalla cooperazione, all’integrazione, alla solidarietà. Combattere il fascismo non vuol dire quindi combattere soltanto i gruppi neo fascisti, ma il cancro culturale che porta con sé: individualismo, pensiero semplice, violenza, razzismo e omofobia. A questo va connesso la Memoria di tutto il secondo dopoguerra, degli anni della “strategia della tensione”, delle “stragi di Stato” e degli omicidi politici. Ciò ci serve a ricordare che quel periodo terribile per il Paese non solo non è alle spalle, ma nemmeno così distante e la nostra sete di verità e di Giustizia non si è ancora placata. Fondamentale quindi diventa la connessione a doppio filo delle Memorie delle vittime di Mafia e quelle del Fascismo, non come punto finale di arrivo, ma proprio punto di partenza e diramazione di quell’antimafia sociale e di quell’antifascismo da praticare ogni giorno nelle scuole e nei territori. Per questo abbiamo messo in campo, come Rete della Conoscenza, con l’Anpi, in particolare con l’Istituto Fratelli Cervi, e Libera la Carovana delle Memorie. Un percorso che è partito da Portella della Ginestra questo Novembre e che si concluderà il 25 Aprile a Reggio Emilia, un percorso itinerante per l’Italia fatto di iniziative pubbliche e nelle scuole che portino i temi dell’antimafia e dell’antifascismo al centro del dibattito culturale del Paese e delle scuole stesse. Centrale in conclusione per noi sarà la partecipazione alla giornata del 19 Marzo a Potenza, giornata nella quale un intero popolo urlerà il suo no alle Mafie, e del 25 Aprile come giornata

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fulcro e sintesi di ciò che dovremmo praticare ogni giorno nelle scuole e nelle città di riappropriazione e liberazione del Paese. TESI 23: Interculturalità Dagli anni ’90 l’aumento dei flussi migratori in Italia e l’incapacità politica di gestire tali flussi ha visto la società italiana impreparata creando atteggiamenti di diffidenza e di paura, che sfociano troppo spesso in derive xenofobe e razziste alimentate da una politica populista che fa del terrore, dell’emergenza, della chiusura in sempre più piccole comunità uno dei suoi strumenti di orientamento del consenso. Tutta la classe politica degli ultimi venti anni non è stata in grado di costruire una politica sul tema. La normativa vigente in materia di immigrazione nel nostro paese è la c.d. legge Bossi – Fini (L. 30 Luglio 2002 n.189), che ha modificato in maniera fortemente restrittiva il decreto legislativo del 40/98, la cosiddetta legge Turco-Napolitano, poi inserito nel T.U. di cui al D.lgs 286/98 che già prevedeva norme repressive e autoritarie per la risoluzione del fenomeno migratorio. La Bossi-Fini ha aumentato il tempo di permanenza all'interno dei Cie fino a 60 giorni rendendoli dei veri e propri lager. Numerosi dossier di associazioni hanno testimoniato le nefaste condizioni di questi luoghi, in cui spesso vengono violati i più basilari diritti umani (aggressioni fisiche, abusi di sedativi, condizioni igieniche penose ecc.). Stesse situazioni sono state documentate anche all’interno di CARA (Centri Accoglienza per Richiedenti Asilo) e CDA (Centri Di Accoglienza). Inoltre uno dei punti più discussi del nuovo Pacchetto Sicurezza è il “permesso di soggiorno a punti”: ogni immigrato per il rinnovo del permesso di soggiorno dovrà aver raggiunto degli obiettivi prestabiliti. L’idea di schedare i migranti è solo l’inizio di una politica del controllo dei cittadini che il Ministero dell’Interno sta realizzando negli ultimi anni. Viviamo quindi una strategia di criminalizzazione del diverso. L’attribuzione, da parte dei media, di delitti, violenze, furti, omicidi, delle colpe ai migranti è una chiara strategia politica, volta a utilizzare la questione immigrazione come uno scudo per nascondere speculazioni, collateralismo con le imprese e illegalità diffuse. E’ necessario quindi in prima istanza, batterci per realizzare un norma quadro sul diritto di Asilo garantito dalla nostra costituzione che non vede alcuna legge organica in materia, rimanendo un principio poco più che formale e calpestato dalle politiche governative. Abbiamo l’assoluta necessità di costruire nei prossimi mesi una campagna nazionale sull’immigrazione, capace di analizzare il fenomeno dei flussi migratori nei diversi punti del Paese. Se a Foggia si tratta di costruire una grande battaglia culturale contro il caporalato, per la scolarizzazione dei giovani migranti che anziché studiare, vengono mandati tra le strade a fare lavori a nero ed illegali dalla criminalità organizzata, nel Nord Italia c’è bisogno di costruire una campagna di integrazione culturale degli studenti migranti all’interno delle scuole sempre più in aumento nelle scuole secondarie. Unire la questione degli stages e di una campagna sul radicamento negli istituti tecnici e professionali alla campagna sull’immigrazione potrebbe essere un grande esperimento per la nostra associazione. La maggior parte degli studenti migranti, infatti ,si iscrive a percorsi di istruzione tecnica o professionale, vivendo una selezione sociale, poiché non solo si immettono in un canale che il sistema scolastico sta determinando come di serie B, ma all’interno di esso vivono ulteriori discriminazioni culturali. Dobbiamo costruire quindi nelle scuole una campagna di sensibilizzazione e di valorizzazione delle diverse culture. Sui territori poi dovremo mettere a sistema la connessione con le comunità straniere, attraverso sia pratiche di mutualismo diretto e indiretto, sia investendo nella partecipazione degli studenti immigrati nelle nostre sedi associative (ancora troppo poco presenti) che devono diventare dei luoghi capaci di accogliere e far partecipare attivamente chi vive su di sé un sentimento quotidiano di discriminazione. Inoltre un’azione coordinata con associazioni antimafia e con tutto il mondo dei lavoratori risulta necessaria per costruire un'alleanza solidale per aprire una vasta campagna politica su questo tema. Dobbiamo essere promotori e propulsori di cambiamento reale delle nostre scuole e dei nostri territori in cui viviamo, tramite le pratiche che costruiamo collettivamente giorno dopo

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giorno. Sogniamo un Paese multiculturale in cui le diversità sono un valore, una scuola capace di valorizzare le diverse culture, un Paese capace di integrare e di integrarsi perché è anche attraverso ciò che ribalteremo le attuali logiche di subordinazione delle vite, dei migranti prima e di noi subito dopo. TESI 24: Sessualità e uguaglianza di genere La nostra Organizzazione ha compiuto e sta ancora compiendo un percorso di crescita interno, di analisi e di risoluzione della cosidetta questione di genere. Le politiche maciste, incarnate dal Presidente Berlusconi, ma che coinvolgono tutto il mondo della rappresentanza politica, diviso tra uno sterile dibattito sulle quote rosa e la scelta delle veline come candidate al parlamento europeo stanno facendo fare un notevole passo indietro al Paese. Un Paese, l’Italia, che è notevolmente indietro culturalmente e socialmente nel riconoscimento sostanziale delle possibilità di emancipazione dei soggetti sociali, in particolare dei soggetti in formazione, vive un’ulteriore declassazione interna a tali soggetti. Redditi più bassi, alto tasso di disoccupazione, dislivelli salariali, culturale saldamente patriarcale generano una discriminazione che oltre ad essere sociale è anche di genere. I processi quindi di emancipazione femminile, partono purtroppo da un gradino più basso della scala delle possibilità e delle tutele che lo Stato offre alle donne. La nostra Organizzazione, quando rivendica forme di reddito per tutti, sta rivendicando oltre che una misura universalistica che ha una potenza di uguaglianza non solo sociale, ma anche di genere. La battaglia che stiamo costruendo in questi mesi, passando per il 13 Febbraio passa per una messa in discussione dei meccanismi di gestione del potere. La criminalizzazione dell’immigrato, elude le violenze domestiche, la candidatura delle veline dimostra un modello culturale stereotipato che vuole violentare il senso stesso di essere donna. La nostra Organizzazione, la Rete della Conoscenza, hanno l’obiettivo oltre che rivendicativo, anche endogeno di ribaltare le attuali logiche maschiliste di gestione del potere, non facendo una questione di quote, ma rendendo la nostra organizzazione un luogo all’interno del quale le compagne abbiano e sentano piena libertà di esprimersi e di portare le loro istanze. Ciò è possibile modificando i nostri luoghi di discussione interna, evitando una dinamica muscolare della gestione dei dibattiti, costruendo un modello diverso da quello che troppe volte viviamo anche nelle assemblee di movimento, dove chi urla di più, chi dimostra di essere più forte può avere la meglio, ha più peso, decide l’agenda politica delle mobilitazioni. Contemporaneamente continuano a dilagare fenomeni di omofobia, transfobia e violenze nei confronti dei movimenti LGBTQI. Per questo risulta più che mai fondamentale creare una rete tra i movimenti che si occupano di antisessismo e i movimenti LGBTQI. La partecipazione come Rete della Conoscenza ai “Gay Pride” e alla “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne” però non basta. E’ fondamentale ricordare che ancora oggi nelle scuole e nelle famiglie si riscontra la presenza di tabù sui metodi contraccettivi e si assiste al ritorno di movimenti antiabortisti, basti pensare al dibattito nato attorno all’uso della pillola 486 in Piemonte e Veneto. Naturalmente il raggiungimento di questo obiettivo presuppone un’analisi molto più completa e complessa di quello che è il ruolo sociale e economico del sesso femminile emerge l’urgenza e la centralità di una discussione pubblica su questi temi. Dobbiamo costruire una campagna nazionale come Rete della Conoscenza, che viva all’interno dei luoghi della formazione e che combatta gli atteggiamenti omofobi e sensibilizzi le studentesse e gli studenti su come vivere liberamente la propria sessualità. La diffusione di contraccettivi, la controinformazione sul libero sesso, l’essere luoghi aggregativi capaci di liberare le identità e gli orientamenti sessuali sono per noi degli obiettivi imprescindibili e che necessitano di uno sforzo culturale ulteriore in questi mesi, dove chi governa attacca e stupra la stessa sessualità e la moralità delle persone. Il sesso e l’amore non sono prostituzione e chi alimenta questi fenomeni correndo il rischio di far involvere culturalmente la società italiana non è degno di governare questo Paese. L’alternativa culturale delle studentesse e degli studenti passa anche da qui. TESI 25: Il benessere comune parte dall'eco-life Il clima sta cambiando. Questa affermazione è così ripetuta e diffusa che ormai abbiamo smesso di riflettere sul suo reale significato. La domanda fondamentale da porsi è: perché? E soprattutto è il

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clima che sta cambiando o siamo noi che lo stiamo modificando? Il problema è che non ci rendiamo conto, o forse non vogliamo ammettere, che le emissioni di CO2 che portano al surriscaldamento del pianeta non sono altro che il risultato del nostro scellerato stile di vita e del malsano rapporto che abbiamo con l’ambiente che ci circonda. Già la dicitura “effetto serra per emissione di gas dovute ad attività umane” ci terrorizza, perché contiene un’accusa implicita: siamo noi stessi la causa della malattia del pianeta. Deforestazione, impianti industriali, centrali elettriche (in particolare quelle a carbone), eccessivo utilizzo di autoveicoli, allevamenti intensivi (che producono il 33% delle emissioni di gas nocivi) sono alcuni dei principali responsabili del cambiamento climatico e della distruttiva reazione a catena che esso comporta. Anche il "sistema" ambiente ha un suo limite, una sua capacità di carico che se superata non ha la possibilità di recuperare se pur è dotato di molte potenzialità per rigenerarsi Sino ad ora l'impatto che ha avuto l'uomo sulla natura, con tutte le sue attività, è stato in qualche modo assorbito e contrastato dalla potenzialità della natura di rigenerarsi. Ora però siamo arrivati ad un punto in cui l'impatto delle attività umane è arrivato al limite della capacità di carico. La soluzione è una sola: cambiare drasticamente il nostro stile di vita. Partiamo da una semplice realtà: le risorse disponibili e il potenziale naturale di rigenerarle non possono più soddisfare la richiesta dei cosi detti paesi "in via di sviluppo"; se ora è solo il 20% della popolazione mondiale quella definita “sviluppata”(e che è quindi la maggiore responsabile dell'inquinamento e dell'impatto sull'ambiente) cosa succederebbe se il restante 80% della popolazione iniziasse a consumare con gli stessi ritmi che richiede il modello di sviluppo in vigore? Un americano consuma in media cinque volte tanto rispetto ad un messicano, dieci volte tanto rispetto ad un cinese e trenta volte tanto rispetto ad un indiano. E’ ora di abbandonare definitivamente l’idea consumista di “crescita illimitata” (impensabile in un sistema “chiuso” come il pianeta Terra), è chiaro che il modello di globalizzazione ultraliberista ci ha portato alla soglia del disastro ambientale e ha creato un allucinante divario tra un occidente iperconsumista, un 20% di popolazione che fagocita tutte le risorse disponibili, e un terzo mondo che vive nella miseria, nei rifiuti e nell’inquinamento da noi prodotto. Noi in quanto portatori di cambiamento, dobbiamo essere capaci di essere avanguardia anche in questo:dobbiamo avere la volontà di promuovere un nuovo modello di sviluppo. L’obiettivo che dobbiamo porci come Unione degli Studenti è semplice: da un lato rilanciare un movimento globale in difesa dell’ambiente a partire dai luoghi di formazione e dalle pratiche che mettiamo in campo al loro interno. Rendere le scuole delle vere e proprie palestre di sostenibilità a partire dalla formazione sulla questione ambientale, fino ad arrivare alla loro trasformazione in isole eco-sostenibili avviando pratiche quali raccolta differenziata, informatizzazione degli apparati, aprendo vertenze per garantire strutture a risparmio energetico. Fondamentale è portare la tematica all’esterno dei luoghi della formazione, costruendo una rete municipale di difesa e tutela del territorio che veda al suo interno gli studenti e tutte le associazioni ambientaliste (e non) presenti sul territorio. “Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, vi accorgerete che non si può mangiare il denaro”. (antico detto dei nativi d’America). L’alternativa al modello attuale siamo noi. TESI 26: Restituire dignità alla Politica Vivere la dimensione della crisi, non significa soltanto, in questa fase, pagare sulla propria pelle i costi della crisi prodotta dalle banche e che i governi hanno fatto ricadere sulle classi popolari, ma significa attraversare il tempo della dimensione del crollo del ruolo della rappresentanza politica, in particolare di quello della mediazione sociale ed economica tra le parti. Il ricatto di Pomigliano e Mirafiori è la cifra del ritorno dell’avanzata del padronato globale, di governi inesistenti e ultra liberisti che in nome del libero mercato cedono il passo alle logiche dell’impresa e smettono di svolgere lavoro di mediazione e tutela del lavoro lasciando le imprese a fare il bello e il cattivo tempo sulla vita dei lavoratori, annullando ogni forma di diritti e democrazia come proto-attacco ai

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salari e al lavoro. Questa crisi sistemica, che annulla la funzione della rappresentanza politica, quindi ricade sulle nostre teste non solo in termini di peso economico, ma anche sulla possibilità di avere un ruolo decisionale, sulla possibilità di essere parti sociali in grado di aprire spazi nuovi di contrattazione sui nostri diritti e bisogni. L’interlocuzione politica diventa sorda ed inesistente, con un’opposizione parlamentare chiusa anch’essa dall’altra parte del muro di cemento armato in cui la politica si è chiusa. Questo tipo di sistema che va delineandosi ormai da venti anni, causa tralatro dell’uso strumentale dei media, in particolare della televisione come nuovo narcotico delle masse, ha determinato la trasformazione radicale del consenso in share. Chi ha avuto pertanto l’intuizione di investire nel controllo editoriale e televisivo è riuscito a determinare per anni l’orientamento del consenso nel Paese. Oggi nonostante lo smisurato tentativo di controllo del consenso e della popolazione, questo sistema è all’apice della crisi. Stiamo vivendo, infatti, l’inizio di una vera e propria reazione sociale e radicale in tutta Europa, come cifra necessaria e inevitabile di ribellione ai processi di subordinazione. I costi della crisi e il disagio che hanno generato, la percentuale sempre più elevata di disoccupazione, il numero di precari che cresce quasi a sfiorare i 10 milioni, i tagli a scuola, università e ricerca con conseguente dequalificazione di queste, la chiusura della fabbriche, l’oppressione delle piccole comunità dall’Aquila a Terzigno, l’attacco ai diritti e alla dignità delle vite determinano oggi un rifiuto generale a questo tipo di politica incapace di dare risposte e colpevole di aver generato queste condizioni. Un rifiuto che è tutto sociale e che rompe la dicotomia creatasi in questi anni tra sociale e politico. Il sociale riprende spazio, pretende interlocuzione, stanco di una democrazia fallita, di un parlamento che diventa il calciomercato degli onorevoli. Il fallimento dell’esperienza dei governi di centro sinistra, la deriva autoritarista delle destre di questo Paese, le forze padronali sempre più reazionarie e conservatrici producono oggi il rifiuto del nostro tempo, dell’attuale. Questi mesi hanno dato nuovo respiro all’Italia e all’Europa. La capacità delle studentesse e degli studenti di produrre un movimento continuato nel tempo in tutta Europa ha avuto la possibilità di determinare un allargamento delle proprie ragioni, dalle questioni particolari di scuola e università alla battaglia contro la precarietà, per la difesa del proprio futuro. In Italia questa capacità del ha permesso di costruire un fronte ampio al fianco della dignità dei lavoratori di Pomigliano che votano no al referendum di Marchionne, alla dignità dei cittadini dell’Aquila che richiedono il diritto a vivere, la dignità dei cittadini delle piccole comunità della Campania trattate come discariche sociali e territoriali, le battaglie per la ripubblicizzazione dell’acqua, quelle in difesa della cultura e dell’arte dimostrano la forza dei corpi sociali che sono stati frammentati dalla crisi di riprendere spazio nel Paese, di ridare senso alla politica facendola uscire dal dibattito su case di politici, scandali sessuali, processi, veline e ponendo le tematiche sociali, come centrali insieme a quelle del fallimento di questa classe dirigente. Siamo stati in grado di autorappresentare il nostro disagio, quello di una generazione violentata dal fenomeno della precarietà. Se questi mesi lasciano il sapore e la sensazione che non è finita qui, che si continuerà a bussare ancora alle porte del potere, è perché si ha consapevolezza che questo è davvero solo l’inizio. Non si tratta più di una parola d’ordine d’inizio autunno, ma della possibilità di riprendersi tutto questa volta proprio perché si è rifiutato tutto, tutta questa politica e questo sistema al collasso, mentre noi per dirla con le parole dei Litfiba “saremo l' incubo degli annoiati, vogliamo vendetta per questo inferno”. CONCLUSIONI Ci mangeremo le nuvole Tantissimi sono stati i compagni e le compagne che negli ultimi 17 anni si sono impegnati all'interno della nostra Unione. Tutti e tutte hanno contribuito a farne uno delle più grandi organizzazioni studentesche d'Europa e del Mondo. Negli ultimi anni abbiamo dimostrato che gli studenti e le studentesse sono capaci di essere protagonisti nella vita politica del nostro paese, e l'UdS ha dimostrato di poter essere autonoma e di non aver paura delle sfide all'orizzonte. Bisogna proseguire su questa strada, non aver timore di tutte le difficoltà che continueremo ad incontrare,

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essere sempre convinti delle nostre potenzialità, credere sempre nel valore del lavoro dei territori. E' proprio questo senso di comunità che ci ha permesso negli ultimi anni di continuare a lavorare senza essere succubi delle volontà altrui, senza mai perdere la nostra identità, senza mai sfociare nel settarismo. Questo senso di comunità è quel “qualcosa in più” che continua a contraddistinguerci dalle altre organizzazioni, va preservato e messo alla base dei nostri progetti futuri. Abbiamo dimostrato che un'esperienza di rappresentanza degli studenti, organizzata e autonoma è possibile, soprattutto a chiusura della prima decade del nuovo millennio contraddistinto da intensi movimenti sociali che però non hanno saputo sedimentare in termini di vittoria le rivendicazioni portate avanti, lasciando enormi campi vuoti di partecipazione spesso riempiti da ondate populistiche e anti-politiche, le quali è noto terminano in fondo alla scarpata delle banalità. Rafforzare l'UdS e la Rete della Conoscenza permette a tante e tanti studenti di approcciarsi alla Politica come senso di missione e liberazione di sé stessi e degli altri dalla tendenza allo smantellamento dei diritti fondamentali della persona e delle comunità, andare “in direzione ostinata e contraria” alla disparità tra ricchi e poveri, tra i Nord e i Sud del mondo, tra chi può e chi non può. Allontanando il senso di smarrimento che spesso attanaglia la nostra generazione nel cercare di far coniugare autodeterminazione e possibilità materiale. Continuare su questa strada è faticoso ma necessario. Per dirla con le parole di una cara compagna “ci mangeremo le nuvole”.


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