+ All Categories
Home > Documents > E IO NON DOVREI AVERE PIETÀ? - Barnabiti - Ordine dei Chierici Regolari di … · 2016-10-05 ·...

E IO NON DOVREI AVERE PIETÀ? - Barnabiti - Ordine dei Chierici Regolari di … · 2016-10-05 ·...

Date post: 11-Jan-2020
Category:
Upload: others
View: 0 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
6
BIBBIA Eco dei Barnabiti 3/2016 2 P rima dell’estate, ci siamo lasciati con Mosè che, di- scendendo dal Sinai, riflet- teva sul suo volto lo splendore stesso di Dio. La “trasfigurazione” del viso di Mosè è in un certo senso icona dell’effetto che la straordinaria rivela- zione del nome del Signore dovrebbe avere anche per noi: contemplare la sua bontà e la sua misericordia do- vrebbe condurci ad essere noi stessi trasformati a sua immagine! Tuttavia, come canta il salmista, «Meravigliosa per me la tua conoscenza, troppo al- ta, per me inaccessibile» (Sal 139,6). La tenerezza e la misericordia di Dio sono sconfinate e inarrivabili al punto tale che, scontrandosi con la nostra incapacità di amore e comprensione, possono sortire un esito contrario, spingere addirittura alla fuga: «Dove andare lontano dal tuo spirito? Dove fuggire dalla tua presenza?» (v. 7). È quanto ci insegna la”parabola” di Giona, il profeta inviato da Dio a Ni- nive per annunciarne la distruzione ma che, proprio perché conosce be- ne Dio, nel timore che la sua miseri- cordia farà sì che la promessa non sia mantenuta, fugge lontano. la colomba in fuga Il piccolo libro di Giona (48 versetti, distribuiti in quattro brevi capitoli) si apre all’improvviso, senza nessun pre- ambolo, con quello che ha tutta l’aria di essere un racconto di vocazione co- me tanti altri. Viene subito presentato il protagonista: «Fu rivolta a Giona, figlio di Amittài, questa parola del Signore...». Il perso- naggio sembra apparente- mente un israelita tra i tanti; eppure il suo nome è già significativo: Yonah, in ebraico, significa «co- lomba», e suo padre por- ta il nome di Amittai (so- stantivo plurale di ‘emet, con valore di eccellenza) che si potrebbe rendere così: «Giona, figlio delle mie fedeltà» facendo rife- rimento a Dio, “il Fede- le”; oppure «Giona – cioè Colomba –, figlio di me- che sono ‘il’ Fedele» (R. Vignolo). La colomba è l’animale simbolo di Israele (in Osea 7,11, Efraim / Israele viene defi- nito come «un’ingenua colomba, priva d’intelli- genza») ma è anche l’ani- male sacro della dea Istar, che aveva proprio a Nini- ve il suo principale san- tuario. Giona si trova davanti a una chiamata sconvolgente: «Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e in essa pro- clama che la loro malvagità è salita fino a me». Ninive, la capitale dell’Impero Assiro, era famosa per la sua grandez- za, ma soprattutto per la sua potenza militare e per la brutalità del suo com- portamento nei confronti dei popoli sottomessi. Essa rappresenta il grande incubo di Israele, perché nel 722 gli Assiri hanno invaso il regno di Israele e hanno distrutto e asservito completa- mente il regno del Nord. Gli Assiri so- no dunque i nemici per antonomasia di Israele. Proprio lì Dio invia il suo profeta; e che cosa dovrà fare? Il lettore si aspetta che la predicazione di Giona sia una minaccia di distruzione nei confronti della città malvagia. Il narra- tore, invece scrive (alla lettera): «grida contro di essa, perché la loro malvagi- tà è salita fino alla mia presenza». In tal modo, l’autore fa dire due cose al Signore: che la malvagità di Ninive è troppo grande, tanto da salire fino a Dio (cf. Gn 4,10); e che Giona deve gridare contro la città. Ma noi non sap- piamo ancora che cosa dovrà gridare; così che quando ritroveremo il profeta giunto a Ninive contro voglia, scopri- remo che il suo messaggio non coinci- de del tutto con quello di Dio (cf. 3,4). Ma, sorprendentemente, invece di obbedire alla parola del Signore, Gio- na fugge, in direzione totalmente op- posta: Dio gli ha detto di alzarsi e an- dare a Ninive, e Giona si alza e inve- ce di andare a Ninive “scende” a Tarsis (non lontana dall’attuale Gibil- terra). Non è esplicitata la ragione di questa fuga; un lettore può legittima- mente pensare al timore di affrontare quel mostro che Ninive rappresenta... Il narratore lo svelerà solo in 4,2, ma già il lessico con cui viene descritta la fuga del profeta rivela che si tratta di ben altro! È una discesa: verso il porto di Giaffa prima, nella nave poi, ed in- fine nella stiva della nave e nell’asso- luta incoscienza del sonno durante la tempesta. «In realtà, non si tratta di un semplice dormire, bensì di un prelu- E IO NON DOVREI AVERE PIETÀ...? Dal breve racconto di Giona emerge il volto di un Dio assolutamente sorprendente, capace di «pentirsi» e soprattutto pieno di compassione per le sue creature, animali e uomini, persino per coloro che, come i cattivi abitanti di Ninive, non appartengono al suo popolo. Incipit del libro di Giona - ms. Harley 2803, f. 273r
Transcript
Page 1: E IO NON DOVREI AVERE PIETÀ? - Barnabiti - Ordine dei Chierici Regolari di … · 2016-10-05 · incubo di Israele, perché nel 722 gli Assiri hanno invaso il regno di Israele e

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 3/20162

Prima dell’estate, ci siamolasciati con Mosè che, di-scendendo dal Sinai, riflet-

teva sul suo volto lo splendore stessodi Dio. La “trasfigurazione” del visodi Mosè è in un certo senso iconadell’effetto che la straordinaria rivela-zione del nome del Signore dovrebbeavere anche per noi: contemplare lasua bontà e la sua misericordia do-vrebbe condurci ad essere noi stessitrasformati a sua immagine! Tuttavia,come canta il salmista, «Meravigliosaper me la tua conoscenza, troppo al-ta, per me inaccessibile» (Sal 139,6).La tenerezza e la misericordia di Diosono sconfinate e inarrivabili al puntotale che, scontrandosi con la nostraincapacità di amore e comprensione,possono sortire un esito contrario,

spingere addirittura alla fuga: «Doveandare lontano dal tuo spirito? Dovefuggire dalla tua presenza?» (v. 7). Èquanto ci insegna la”parabola” diGiona, il profeta inviato da Dio a Ni-nive per annunciarne la distruzionema che, proprio perché conosce be-ne Dio, nel timore che la sua miseri-cordia farà sì che la promessa non siamantenuta, fugge lontano.

la colomba in fuga

Il piccolo libro di Giona (48 versetti,distribuiti in quattro brevi capitoli) siapre all’improvviso, senza nessun pre-ambolo, con quello che ha tutta l’ariadi essere un racconto di vocazione co-me tanti altri. Viene subito presentato ilprotagonista: «Fu rivolta a Giona, figlio

di Amittài, questa paroladel Signore...». Il perso-naggio sembra apparente-mente un israelita tra itanti; eppure il suo nomeè già significativo: Yonah,in ebraico, significa «co-lomba», e suo padre por-ta il nome di Amittai (so-stantivo plurale di ‘emet,con valore di eccellenza)che si potrebbe renderecosì: «Giona, figlio dellemie fedeltà» facendo rife-rimento a Dio, “il Fede-le”; oppure «Giona – cioèColomba –, figlio di me-che sono ‘il’ Fedele» (R.Vignolo). La colomba è l’animale simbolo diIsraele (in Osea 7,11,Efraim / Israele viene defi-nito come «un’ingenuacolomba, priva d’intelli-genza») ma è anche l’ani-male sacro della dea Istar,che aveva proprio a Nini-ve il suo principale san-tuario. Giona si trovadavanti a una chiamatasconvolgente: «Àlzati, va’

a Ninive, la grande città, e in essa pro-clama che la loro malvagità è salita finoa me». Ninive, la capitale dell’ImperoAssiro, era famosa per la sua grandez-za, ma soprattutto per la sua potenzamilitare e per la brutalità del suo com-portamento nei confronti dei popolisottomessi. Essa rappresenta il grandeincubo di Israele, perché nel 722 gliAssiri hanno invaso il regno di Israele ehanno distrutto e asservito completa-mente il regno del Nord. Gli Assiri so-no dunque i nemici per antonomasiadi Israele. Proprio lì Dio invia il suoprofeta; e che cosa dovrà fare? Il lettoresi aspetta che la predicazione di Gionasia una minaccia di distruzione neiconfronti della città malvagia. Il narra-tore, invece scrive (alla lettera): «gridacontro di essa, perché la loro malvagi-tà è salita fino alla mia presenza». Intal modo, l’autore fa dire due cose alSignore: che la malvagità di Ninive ètroppo grande, tanto da salire fino aDio (cf. Gn 4,10); e che Giona devegridare contro la città. Ma noi non sap-piamo ancora che cosa dovrà gridare;così che quando ritroveremo il profetagiunto a Ninive contro voglia, scopri-remo che il suo messaggio non coinci-de del tutto con quello di Dio (cf. 3,4).Ma, sorprendentemente, invece di

obbedire alla parola del Signore, Gio-na fugge, in direzione totalmente op-posta: Dio gli ha detto di alzarsi e an-dare a Ninive, e Giona si alza e inve-ce di andare a Ninive “scende” aTarsis (non lontana dall’attuale Gibil-terra). Non è esplicitata la ragione diquesta fuga; un lettore può legittima-mente pensare al timore di affrontarequel mostro che Ninive rappresenta...Il narratore lo svelerà solo in 4,2, magià il lessico con cui viene descritta lafuga del profeta rivela che si tratta diben altro! È una discesa: verso il portodi Giaffa prima, nella nave poi, ed in-fine nella stiva della nave e nell’asso-luta incoscienza del sonno durante latempesta. «In realtà, non si tratta di unsemplice dormire, bensì di un prelu-

E IO NON DOVREI AVERE PIETÀ...?Dal breve racconto di Giona emerge il volto di un Dio assolutamente sorprendente, capace di«pentirsi» e soprattutto pieno di compassione per le sue creature, animali e uomini, persino percoloro che, come i cattivi abitanti di Ninive, non appartengono al suo popolo.

Incipit del libro di Giona - ms. Harley 2803,f. 273r

Page 2: E IO NON DOVREI AVERE PIETÀ? - Barnabiti - Ordine dei Chierici Regolari di … · 2016-10-05 · incubo di Israele, perché nel 722 gli Assiri hanno invaso il regno di Israele e

dio alla morte da parte di uno che ri-fiuta la responsabilità della propriavocazione» (M. Priotto). Una fuga ra-dicale, che conduce Giona a nascon-dersi e ad estraniarsi dalla realtà. Ilprofeta non si allontana solo fisica-mente dalla sua missione, ma fugge«lontano dal Signore» (1,3). La colom-ba fedele vola il più lontano possibiledalla parola a cui avrebbe dovuto ri-spondere. E il paradosso continua,perché a “risvegliare” il profeta, a ri-chiamarlo alla sua missione, sono imarinai pagani che interpretano (giu-stamente!) la tempesta come un segnodivino. «Àlzati – gli dice il capitanodella nave (lo stesso imperativo cheaveva rivolto Dio a Giona) –, invoca iltuo Dio! Forse Dio si darà pensiero dinoi e non periremo». Il capitano hacompreso proprio quel che Gionavuole fuggire: il pensiero di un Dioche si occupa proprio di loro. È solodi fronte all’insistenza e alle domande(ben cinque) dei marinai che Gionatrova finalmente il coraggio di rispon-dere. Essendo le prime parole che ilprotagonista pronuncia, esse sonoparticolarmente importanti per com-prendere il personaggio.Giona fa la sua professione di fede

«Sono Ebreo e venero il Signore, Diodel cielo, che ha fatto il mare e la ter-ra» (1,9). Tuttavia usa un verbo chesignifica propriamente «temo», nel-l’ambivalente valore sia di «aver pau-ra», che di «avere fede». Giona temeDio perché lo rispetta e gli ubbidi-sce, o lo teme perché ha paura? Leparole di Giona esprimono la sua fe-de o la paura che prova davanti aquesto Dio dal quale infatti sta fug-gendo? Se Dio è il creatore, sarà an-che il salvatore? Di fronte ai marinaidisperati (1,11) Giona afferma di sa-pere il motivo della tempesta: è luistesso. «Prendetemi e gettatemi inmare e si calmerà il mare che ora ècontro di voi, perché io so che que-sta grande tempesta vi ha colto percausa mia» (1,12). Giona non pre-ga... non si rivolge a Dio in alcunmodo; lo fanno invece i marinai, chenon pregano più «ciascuno il propriodio» (1,5), ma «implorano il Signore»(1,14; cf. 1,9)! Se, alla luce della vi-cenda sin qui narrata, ripensiamo alsuo nome, cominciamo ad intuireche Giona incarna sì Israele, ma nel-le sue caratteristiche di popolo dalladura cervice, un popolo che ha timo-re e fa resistenza di fronte alla possi-

bilità che la salvezza possa raggiun-gere anche i pagani, che non vorreb-be dividere con nessuno la predile-zione che il Signore gli ha accordato.

una conversione a metà

La tempesta scatenata da Dio sulmare ha condotto quanto meno Gio-na ad un primo “passo indietro”, manon ancora sufficiente. Ed ecco, allo-ra, che Dio interviene una secondavolta per richiamare il suo profeta,disponendo che sia inghiottito da ungrosso pesce. Ed è lì, di fronte allamorte, che Giona per la prima voltaprega. Non fugge più, ma «per tregiorni e tre notti» grida al «Signoresuo Dio». Dopo la prima chiamataaveva cercato di scappare il più lon-

tano possibile; durante la fuga si erarifugiato nell’angolo più nascostodella nave; durante la tempesta maiaveva invocato Dio, a differenza deimarinai. Forse anche la richiesta diessere gettato in mare era stata detta-ta più da cocciutaggine che da spiri-to di sacrificio; se viene riportata lapreghiera dei marinai, il loro timoredi macchiarsi di una colpa, non c’èalcun accenno al pentimento di Gio-na per la propria colpa davanti aDio. Semmai solo la constatazione diessere la causa della tempesta. Orache si trova nel ventre del pesce,Giona si converte. L’iconografia delprofeta (quasi esclusivamente dedi-cata a questo episodio del racconto)allude a questo “cambio di rotta”quando raffigura Giona inghiottito

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 3/2016 3

Marc Chagall, La pesca miracolosa. Giona (1972)

Giona inghiottito (a destra) e ributtato (a sinistra) dal pesce - Ambone delDuomo di Ravello, sec. XII

Page 3: E IO NON DOVREI AVERE PIETÀ? - Barnabiti - Ordine dei Chierici Regolari di … · 2016-10-05 · incubo di Israele, perché nel 722 gli Assiri hanno invaso il regno di Israele e

dalla balena dalla testa e risputatosempre dalla testa. Come se all’inter-no del pesce si fosse “capovolto”.«Il pesce svolge dunque un ruolo

quasi materno nei confronti del pro-feta (A. Wénin sviluppa l’idea del pe-sce-utero), impedendo che egli muoiae fornendogli un contesto che favori-sce il suo cambiamento. Il ventre delpesce diventa infatti il luogo nel qua-le matura il suo incontro con Dio,permettendo dunque la «rinascita»del profeta» (D. Scaiola).E la missione del profeta ricomin-

cia: «Fu rivolta a Giona una secondavolta questa parola del Signore: “Àl-zati, va’ a Ninive, la grande città, e an-nuncia loro quanto ti dico» (3,1-2).Una seconda volta! «In questa ripeti-zione della parola che Dio aveva giàrivolto al profeta traspare la misericor-dia del Signore perché in altri testi siracconta la storia di profeti che hannodisobbedito a Dio e sono andati in-contro a delle sciagure, mentre Dioconcede invece una seconda occasio-ne a Giona» (D. Scaiola). Una miseri-cordia, si badi bene, che raggiungesia Giona sia Ninive. Prima di narrarcidella predicazione di Giona, il narra-tore inserisce un dettaglio curioso:«Ninive era una città molto grande, ditre giornate di cammino» (3,3b). Il te-sto è volutamente iperbolico, ma ilpunto è un altro: Ninive è una «cittàgrande per Dio»: se è troppo grandepersino per Dio, che cosa potrà maifare il povero Giona? Ma «una città

grande per Dio» significa anche che èstimata da lui, che Dio se ne interessa(L. Mazzinghi). L’annuncio, che ora ilprofeta porta alla città malvagia, è in-fatti questo: «Ancora quaranta giorni eNinive sarà distrutta» (3,4). Il messag-gio, che in ebraico, consta solo di cin-que parole, contiene un verbo signifi-cativo, il verbo hafak, «rovesciare».Di per sé è ambiguo: può significarecerto «sarà distrutta» (CEI: è il verbousato per la distruzione di Sodoma eGomorra), ma può rimandare a un«rovesciamento» di altra natura e cioèalla conversione della città di Ninive(per i «prodigiosi rovesciamenti» diDio nella vita dell’uomo, si vedanotra gli altri: Dt 23,6; Sal 30,12). Unaminaccia, certamente; ma insieme an-che un tempo accordato per la con-versione. Che puntualmente avviene:«I cittadini di Ninive credettero a Dio»(3,5). Il re si veste di sacco e scendedal trono; tutti, animali compresi, ce-lebrano il digiuno e compiono gesti dipenitenza nella speranza che il Signo-re cambi idea, si converta a sua voltadesistendo dalla punizione. Ninivespera, analogamente al capitano dellanave (cf. 1,6): «Chi sa che Dio noncambi, si ravveda, deponga il suo ar-dente sdegno e noi non abbiamo aperire!», e non spera invano. Sia perDio che per i niniviti si utilizza lostesso verbo, shûb, che significa “tor-nare indietro”; entrambi cambiano at-teggiamento; la modifica dello stile divita da parte dei niniviti determina la

modifica della decisione presa da Diodi distruggere la città. L’unico a nontornare indietro resta Giona! Di frontealla dimostrazione della misericordiadi Dio il profeta, infatti, «ne provògrande dispiacere e ne fu sdegnato»(4,1). Più letteralmente si dovrebbetradurre: «Ma fu male per Giona di unmale grande ed egli ne fu adirato». Iltermine male assume un significatoparticolarmente importante in questafase del racconto. Il male commessodai niniviti ha dato avvio all’interven-to di Dio (1,2); l’invito del re di Nini-ve ad allontanarsi dal male (3,8) e laconversione della città ha spinto Dioa non dare corso al male che avevaminacciato di fare (3,10); ma tuttoquesto fa grande male a Giona, tantoche si adira. Solo adesso viene svelatoil motivo tanto della sua ira, quanto– e soprattutto – della sua precedentefuga: non per paura dei niniviti, néper timore di non riuscire a portare atermine la propria missione. Era fuggi-to perché, sapendo bene che Dio èbuono, era sicuro che Dio avrebbeperdonato gli abitanti di Ninive: «perquesto motivo mi affrettai a fuggire aTarsis; perché so che tu sei un Dio mi-sericordioso e pietoso, lento all’ira, digrande amore e che ti ravvedi riguar-do al male minacciato» (L. Mazzin-ghi). Dio non ha dato corso ma ètornato indietro dalla sua ira. Ecco laragione del dispiacere di Giona; ilmodo stesso di essere di Dio, che egliben conosce! Nella sua preghiera ri-suonano, infatti, le parole con cui inEs 34,6 Dio rivela a Mosè il suo no-me. Quanta drammatica ironia! I ma-rinai e il re di Ninive si erano auguratiche Dio fosse misericordioso, mentreGiona si arrabbia proprio perché sache Dio lo è! Non la paura del Diovendicativo e giustiziere ha mossoGiona, ma il rifiuto del Dio buono, delDio misericordioso, del Dio che per-dona; ecco il vero problema di Giona:“Me ne sono andato perché io lo soche tu sei buono e perdoni” (cf. 4,2).

sotto il ricino

Giona, dunque, era andato sì a Ni-nive, ma con le gambe, non con ilcuore; in altre parole: “Dio perdona,Giona no!”. Egli ha inteso a suo mo-do la minaccia rivolta a Ninive e ilsuo desiderio era che la città fossedavvero distrutta! Invece di rallegrar-si perché la sua predicazione ha rag-

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 3/20164

Giona gettato sulla spiaggia davanti a Ninive - Menologio di Basilio II, f. 49r

Page 4: E IO NON DOVREI AVERE PIETÀ? - Barnabiti - Ordine dei Chierici Regolari di … · 2016-10-05 · incubo di Israele, perché nel 722 gli Assiri hanno invaso il regno di Israele e

giunto lo scopo, si arrabbia.La sua non era l’obbedienzadel profeta, ma un’obbedien-za puramente materiale. Alcentro c’è la sua persona, nonDio e la sua parola. Nel testooriginale, in due versetti l’«io»di Giona compare per ben no-ve volte: «non era forse questoche io dicevo quand’ero nelmio paese? Per questo motivomi affrettai a fuggire a Tarsis...Signore, prendi da me la miaanima; perché il mio morire èmeglio del mio vivere» (4,2-3).Non si indigna del male diNinive, quanto piuttosto chequel male è finito e che quin-di Dio non ha distrutto Nini-ve; questo è talmente doloro-so per Giona da desiderareaddirittura di morire.Ma Dio ha misericordia an-

che di Giona e in 4,4 inizia adispiegare tutta la sua pedago-gia nei confronti del profetarecalcitrante; non accusa di-rettamente Giona, ma lo ponedi fronte alla propria respon-sabilità. Dio dunque non ac-cusa, ma si serve di fatti pereducare Giona. Per tre volterisuona il verbo «provvedere»(4,6.7.8; cf. 2,1) a propositodell’agire divino, che educa Gionacon mezzi molto semplici: il ricino(qiqayon: v. 6), un verme (v. 7), ilvento che si aggiunge al sole (v. 8).Se la crescita della pianta di ricino

procura «grande gioia» al profeta, ilsuo seccarsi lo getta nuovamentenello sconforto. Quel rifugio al disotto del quale si sentiva sicuro vienemeno. Ed allora ecco la domandafondamentale che Dio rivolge al suoprofeta: «Ti sembra giusto essere cosìsdegnato per questa pianta di ri -cino?» (4,9). E ancora, e più profon-damente: «Tu hai pietà per quellapianta di ricino per cui non hai fattonessuna fatica e che tu non hai fattospuntare, che in una notte è cresciu-ta e in una notte è perita! E io nondovrei avere pietà di Ninive, quellagrande città, nella quale vi sono piùdi centoventimila persone, che nonsanno distinguere fra la mano destrae la sinistra, e una grande quantità dianimali?» (4,10-11). Il ricino che cre-sce e che secca dovrebbe insegnarea Giona che tutto proviene come do-no di Dio. Tutto. Anche il perdono e

la misericordia. Giona viene invitatoa riflettere su quanto la misericordiadi Dio travalica ogni mera giustiziaretributiva. Il suo sdegno potrebbesembrare legittimo. Come può Diodonare grazia, pazienza e misericor-dia non solo a Israele, ma a tutti gliuomini, persino a quelli malvagi? Maogni uomo è creatura di Dio. E Dionon ha «piacere della morte del mal-vagio» ma «piuttosto che desista dal-la sua condotta e viva»! (Ez 18,23).Due volte compare in questi ver-

setti il verbo chûs, «avere pietà»,«sentire compassione», e da questaripetizione emerge con chiarezza ladifferenza tra Dio e Giona, il tipo dipreoccupazione che ciascuno deidue coltiva.Il problema di Giona è che egli co-

nosce Dio, ma non lo comprende;soprattutto non condivide il suo mo-do di agire. Lo conosce in astratto.Giona sa tutto su Dio, conosce i suoiattributi, ma poi non lo comprendequando agisce di conseguenza. E co-sì non è soltanto Ninive ad avere bi-sogno di conversione; ne ha (soprat-

tutto), Giona!. «Non si trattaqui di universalismo religioso,né di coscienza missionaria,né di apertura ai pagani. Ilmessaggio del libro è moltopiù duro e difficile da accetta-re: Dio ama anche gli oppres-sori, “fa sorgere il sole sui cat-tivi e sui buoni e manda lapioggia sui giusti e sugli ingiu-sti” (Mt 5, 45)... Nel messag-gio del libro ci sono dueaspetti diversi. Il primo si rife-risce agli oppressori, ed èquello della conversione. L’al-tro riguarda Israele ed è l’ac-cettare che Dio perdoni loro.Il primo è ovvio, il secondoinaudito... L’atteggiamento diGiona, “seduto all’ombra, inattesa di vedere il destino del-la città” (4, 5) ricorda quellodi tanti contemporanei cheaspettano e anelano la distru-zione delle potenze oppressi-ve. Questo libro ci rivela chela loro posizione è ingiusta,perché non rende giustiziaall’amore di Dio per tutte lesue creature; essi dimenticanoche Dio “essendo di tutti pa-drone, a tutti perdona” (Sap12,16)» (Luis Alonso Schökel).

senza risposta

Il libro, che si era aperto con unaparola di Dio rivolta a Giona, sichiude ancora su una parola di Dioindirizzata al profeta; e questa voltasi tratta di una domanda. È una do-manda rivolta prima di tutto a coloroche si credono buoni, come Giona.Ma la domanda, caso unico nellaScrittura, resta nel testo senza rispo-sta. Con una tecnica narrativa effica-ce, il narratore invita ogni ascoltatoredella storia a dare la propria risposta:Giona avrà fiducia nella bontà di Dio,oppure la rifiuterà? (L. Mazzinghi).Non lo sappiamo, né lo sapremomai; così come non sapremo mai seil figlio maggiore della parabola haaccolto l’invito del padre a far festaper il ritorno del fratello minore (cf.Lc 15,32). Sappiamo soltanto quellache potrà essere la nostra personalerisposta. È facile credere al Dio buo-no e proclamare il Dio di misericor-dia quando siamo noi ad essere og-getto di quell’amore e di quella mi-sericordia. Ma quando sono gli altri,

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 3/2016 5

Giona sotto il ricino – Ambone della Chiesa diS. Maria del Lago, Moscufo

Page 5: E IO NON DOVREI AVERE PIETÀ? - Barnabiti - Ordine dei Chierici Regolari di … · 2016-10-05 · incubo di Israele, perché nel 722 gli Assiri hanno invaso il regno di Israele e

magari nemici crudeli come i ninivi-ti, a diventarne destinatari sappiamougualmente lodare e rallegrarci ditanta misericordia? «Ti sembra giustoessere così sdegnato...? E io non do-vrei avere pietà...?». A noi, a ciascu-no di noi che leggiamo, spetta dareuna risposta.Tuttavia, il narratore ci suggerisce

la grande verità. La città è stata ri-sparmiata non perché i niniviti se lomeritano – perché cioè si sono con-vertiti! – ma perché Dio è misericor-dioso! Ed è proprio la scoperta diuna così grande misericordia di Dioche scatena l’ira di Giona.Non v’è dubbio che il Dio che

emerge dal breve racconto di Gionasia un Dio assolutamente sorprenden-te: il «Dio del cielo che ha fatto il ma-re e la terra» (1,9) è un Dio capace di«pentirsi» (3,9-10; 4,2), ma, soprattut-to, è un Dio pieno di compassioneper le sue creature, animali e uomini,persino per coloro che, come i cattiviabitanti di Ninive, non appartengonoal suo popolo (4,10-11). Il Dio del-

l’esodo, che svela adesso i suoi attri-buti di misericordia (4,2). La doman-da conclusiva del libro interpellaGiona e noi con lui: «Crediamo vera-mente? Non soltanto in teoria, ma inmodo tale che la fede diventi fonda-mento della nostra vita, in modo taleche lasciamo la nostra vita nelle manidi Dio? E rimanere in Dio significa ri-manere nella sua bontà: questo è ilnocciolo del credere. Non temere lasua bontà – non temere che egli po-trebbe essere troppo buono con glialtri cosicché la mia fede non avreb-be valore; rimanere nella sua bontà,averne parte: questo è il segno dellafede. Noi cadiamo sempre nella ten-tazione del fratello maggiore o del-l’operaio della prima ora: crediamoche la fede abbia valore solo se gli al-tri hanno di meno. Ma pensiamo chesia più bello vivere nell’infedeltà enella sua apparenza di verità piutto-sto che stare nella casa del Padre?»(Joseph Ratzinger).

Giuseppe Dell’Orto

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 3/20166

ANNIVERSARI 2016

ORDINAZIONI

60°

BERTINI Ezio 17 marzo 1956MANDELLI Luciano 17 marzo 1956MOTTA Giuseppe 17 marzo 1956DUTTO Sebastiano Albino 23 dicembre1956

INCAMPO Giovanni 23 dicembre VALENTE Francesco 23 dicembre

50°

PAPA Francesco 21 maggio 1966CIAVAGLIA Jiulio 17 dicembre 1956MOSCETTA Enrico 17 dicembre 1966VAN WINSBERGHE Georges 17 dicembre1966

VILLA Giovanni 17 dicembre 1966

25°

MANZO Orlando 26 maggio 1991BRAMBILLA Eugenio 29 giugno 1991SIMONE Giannicola 29 giugno 1991NFUNDIKO MASUMBUKO Raymond11 agosto 1991

VALDIVIA Vias Guillermo del Carmen15 agosto 1991

GIUDICE Osvaldo del Valle 28 dicembre1991

PROFESSIONI

70°

RANALDI Giuseppe 11 ottobre 1946AGOSTI fr. Paolo 22 dicembre 1946

60°

MAURO Alfonso 21 settembre 1956RICCI Gabriele 7 ottobre 1956RINALDI Giorgio 7 ottobre 1956TRUFI Ferruccio 7 ottobre 1956TRIGLIONE Michele 7 ottobre 1956SCOTTI Angelo 7 ottobre 1956

50°

GRIMALDI fr. Fiorenzo 25 gennaio 1966COLOMBO Giovanni 29 settembre 1966CORATELLA Nicola 9 ottobre 1966FERRARA Michele 9 ottobre 1966

25°

PALMA Orellana Humberto Enrique 19 feb-braio 1991

PINILLA Domingo Alberto 27 dicembre1991

OJEDA Juan Ramon 27 dicembre 1991

Giona e Ninive - Tetravangelo di Rabbula, f. 6r

Page 6: E IO NON DOVREI AVERE PIETÀ? - Barnabiti - Ordine dei Chierici Regolari di … · 2016-10-05 · incubo di Israele, perché nel 722 gli Assiri hanno invaso il regno di Israele e

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 3/2016

Vocabolario ecclesiale

ESOTERISMO - 3 – La distinzione fra piccoli e grandimisteri rimarrà classica nell’esoterismo cristiano, dicia-mo più semplicemente nella prassi cristiana, e a essa fa-ranno riferimento i maestri dei secoli successivi. A titoloesemplificativo citeremo due Padri, uno orientale e unolatino. Entrambi hanno dispiegato il loro magistero im-mediatamente a ridosso dell’èra dei martiri e prima deipiù celebrati Dottori della Chiesa, cui va attribuita l’ulte-riore messa a punto della dottrina e dell’ascesi cristiane.Ciò significa che il loro insegnamento eredita la tradizio-ne spirituale, semplice e essenziale, che sostenne unasconfinata moltitudine di uomini e di donne nella testi-monianza a Cristo fino all’effusione del sangue. Si trattadi Cirillo di Gerusalemme e di Ambrogio di Milano.Cirillo (313/15-387), palestinese e vescovo della Città

santa, ci ha lasciato ventiquattro catechesi. La prima serieè destinata al catecumeno, ossia al catechizzando in or-dine al battesimo. Dopo aver messo a fuoco le «disposi-zioni dell’illuminato» e aver sottolineato l’importanza del-la penitenza-conversione, Cirillo espone i «dieci dogmi»e cioè l’insieme della dottrina rivelata: unità e trinità diDio, incarnazione verginale del Verbo, morte e risurrezio-ne, signoria di Cristo, effusione dello Spirito, funzionedella Chiesa, esistenza e natura dell’anima, realtà del cor-po e sua risurrezione finale e canone delle sante Scritture.A questo punto si apre una seconda serie, che Cirillo

chiama mistagogica. Il passaggio dall’una all’altra ècosì motivato: «La vostra anima, illuminata prima dal-l’insegnamento orale, comprenda in ciascun mistero lagrandezza dei doni che Dio vi elargisce».«Messo a capo della famiglia di Dio come mistagogo,

cioè come interprete dei sacri misteri», il nostro autorecosì esordisce: «Desideravo anche per il passato, o figligenuini e desideratissimi della Chiesa, parlarvi di questispirituali e celesti misteri. Siccome sapevo che si crede dipiù a quello che si vede che a quello che si ode, hoaspettato questo momento. Pigliandovi ora che l’espe-rienza vi ha reso maggiormente atti a comprendere quel-lo che sarà detto, vi potrò guidare verso il prato assaisplendido e profumato di questo paradiso. Ormai sietediventati capaci dei più divini misteri, perché fatti degnianche del divino e vivificante battesimo. Dal momentoche ormai bisogna imbandire a voi il banchetto degli in-segnamenti più perfetti, incominciamo dunque a inse-gnarveli diligentemente, affinché comprendiate quelloche avete veduto compiersi su di voi nella notte del bat-tesimo». E poco dopo aggiunge: «Questi riti sono staticompiuti all’esterno [letteralmente: “nella dimora exote-rica”, con allusione al battistero, che si trovava fuori del-la chiesa]. Se Dio vorrà, quando nelle seguenti mistago-gie entreremo nei Santo dei Santi, lì faremo conoscere ilsignificato simbolico dei riti che vi si compiono».La «mistagogia ai neòfiti», vale a dire a coloro che

sono approdati di recente alla fede e ne hanno cele-

brato i santi segni, entra nel vivo dell’esperienza mi-sterico-sacramentale compiuta, delle sue fasi e del suosimbolismo. Vengono perciò illustrati gli esorcismi, la«Traditio Symboli» o consegna del Credo, i riti dellaspogliazione delle vesti, dell’unzione e dell’immersio-ne, i riti della crismazione e infine quelli eucaristici.Ed è proprio in merito all’eucaristia che emerge in

tutta evidenza il cammino iniziatico e la differenza trapiccoli e grandi misteri. Infatti negli antichi Simboli oProfessioni di fede, da quello apostolico (sec. III) a quel-lo niceno-costantinopolitano (sec. IV) – che sono le dueformule ancora in uso in tutte le comunità cristiane, do-ve semmai «cattolico» è sostituito con «universale» perindicare la Chiesa diffusa in tutta la terra –, non si faassolutamente menzione dell’eucaristia, che è per eccel-lenza il «mistero della fede», la «manna nascosta» (Ap2,17). Basterebbe questo dato per attestare il permaneredella distinzione tra piccoli e grandi misteri anche ainostri giorni e nonostante se ne sia perduta la ragione.Un’illuminante testimonianza in merito ci è offerta da

Teodoro di Antiochia (c. 350-428), condiscepolo di Gio-vanni Crisostomo e vescovo di Mopsuestia in Cilicia,nonché esponente della celebre scuola esegetica antio-chena che interpretava le Scritture in senso storico-lette-rario diversamente da quella di Alessandria (basti ricor-dare Origene) che preferiva l’interpretazione allegorica.Nella quattordicesima delle sue Omelie catecheticheegli scrive: «Certo, quando avrete ricevuto così la nascitamisterica in forza del battesimo, voi vi presenterete per ilCibo immortale, del quale vi nutrirete come quello checonviene alla vostra nascita. Tuttavia quello che è questoCibo, come esso vi è stato offerto, a suo tempo voi loimparerete. Adesso, poiché per l’istruzione [che vi è sta-ta impartita] voi riceverete la nascita battesimale, e visiete presentati ora per partecipare a questa Luce ineffa-bile in forza di questa seconda nascita, noi vi abbiamostrettamente fasciati come in pannolini, affinché in modofermo e senza esitare voi riteniate e custodiate la memo-ria di questa seconda nascita che avverrà. E lì stesso, noivi lasceremo riposare nel silenzio; a suo tempo, quandoDio lo concederà, noi vi faremo accostare al Cibo divinoe alle spiegazioni che lo riguardano. Tuttavia per adesso,con la usuale conclusione, noi terminiamo il nostro par-lare facendo salire a Dio Padre, all’Unico Figlio suo e alloSpirito santo la lode ora e sempre e nei secoli. Amen».Un’ulteriore prova di come l’eucaristia costituisse l’ap-

prodo dell’esperienza iniziatica, era rappresentato nellaChiesa antica dalla consuetudine di congedare, rinviandoa casa, «gli scomunicati, i penitenti e i catecumeni» quan-do stavano per «incominciare i tremendi misteri», ossia altermine della prima parte della messa detta dei catecume-ni e immediatamente precedente a quella detta dei fedeli.

Antonio Gentili

Eco dei Barnabiti 3/2016

VOCABOLARIO ECCLESIALE

7


Recommended