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Elaborato: Maria modello dell’umanità salvata · comprendere una breve biografia di una donna...

Date post: 03-May-2020
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1 FACOLTA’ TEOLOGICA DEL TRIVENETO Istituto Superiore di Scienze Religiose di Portogruaro “Rufino di Concordia” Diocesi di Concordia Pordenone Elaborato: Maria modello dell’umanità salvata Studente: Elena Blancuzzi Docente: Stefano Vidus Rosin Portogruaro Anno Accademico 2012-2013
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FACOLTA’ TEOLOGICA DEL TRIVENETO

Istituto Superiore di Scienze Religiose di Portogruaro

“Rufino di Concordia”

Diocesi di Concordia Pordenone

Elaborato: Maria modello dell’umanità salvata

Studente: Elena Blancuzzi

Docente: Stefano Vidus Rosin

Portogruaro

Anno Accademico 2012-2013

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INTRODUZIONE Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”.

Lc 1,38

L’elaborato presenta la figura di Maria, ella non è un mito ma un modello concreto, è una donna

vera, con una sua storia personale, presente attivamente ai fatti della vita quotidiana ma ancora di

più partecipe dei momenti decisivi, Natale, Pasqua e Pentecoste, rispettivamente l’inizio, il

compimento e la comunicazione di salvezza.

Gesù, suo Figlio è l’immagine personale di Dio Salvatore ma è dal fiat pronunciato da Maria che

Dio ha la possibilità di attuare il suo disegno nella storia, affinché si possa realizzare il progetto di

salvezza, Maria rappresenta il modello dell’umanità salvata, ella è una di noi ma redenta e affiliata a

Lui in modo del tutto particolare, è nella stessa Maria che la Chiesa trova la sua prima e più assoluta

realizzazione.

Dunque risulta fondamentale soffermarsi e approfondire la figura di Maria per comprendere come

questa donna ascolti con assoluta fede la parola di Dio per accogliere suo Figlio e mettersi a

disposizione della sua opera, Maria è la più perfetta seguace di Gesù e la prima a collaborare

all’opera della salvezza, pertanto in una progettazione scolastica che prevede la trattazione della

figura Gesù e la sua centralità nella storia della salvezza, non si può prescindere da un

approfondimento riguardo colei che coopera con il Salvatore.

Premettendo che l’elaborato è pensato per una classe 3^ della Scuola Secondaria Superiore e più

precisamente dell’ITC O. Mattiussi, si è voluto tracciare un percorso interdisciplinare che

comprenda le discipline Irc, italiano, diritto, inglese e tedesco; gli studenti si avvicineranno alla

figura della Madre di Dio e ad altre figure di donne che per il loro apporto alla società hanno avuto

un ruolo di rilievo e il riconoscimento a livello mondiale.

L’insegnante di Irc partendo dalla lettura di alcuni passaggi significativi della Lettera alle donne di

Papa Giovanni Paolo II sottolineerà l’importanza e il ruolo determinante delle donne poste al

servizio della chiesa, soffermandosi sulla figura di Maria apostrofata dal Pontefice come

“espressione del genio femminile”, a sostegno dell’azione d’aula, l’insegnante farà drammatizzare

due brani evangelici, rispettivamente Lc 1,26-38 ovvero l’annunciazione a Maria e Lc 1,46-55 il

Magnificat, la drammatizzazione sarà preceduta dalla biografia di Maria contenuta nel Protovangelo

di Giacomo e da una breve presentazione dei quattro Vangeli. A seguire verranno proposti altri due

brani biblici, dagli Atti degli Apostoli 1,14 dove Maria viene presentata assieme agli apostoli e ai

discepoli nel momento che sancisce la nascita della Chiesa, e Apocalisse 12,1-2, la donna vestita di

sole secondo molti esegeti rappresenterebbe Maria in riferimento alla Chiesa.

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La progettazione interdisciplinare coinvolgerà l’insegnante di italiano la quale presenterà la figura

della donna, Madonna, e l’amore nel Medioevo proponendo agli studenti alcune liriche scelte tra

quelle di Giacomo da Lentini, Guittone d’Arezzo, Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Dante

Alighieri Cecco Angiolieri, Folgore da San Giminiano. Nel Medioevo l’amore e la donna sono i

protagonisti assoluti della prima poesia lirica in volgare:dall’amore pretestuoso e formale per

“madonna” si passa alla signoria spirituale esercitata dalle donne cantate dai poeti siciliani, fino ad

arrivare alla completa sublimazione dell’oggetto amoroso compiuta dagli stilnovisti, infatti questi

poeti assimilano la donna, lontana nella sua perfezione spirituale, ad un angelo, in tal modo la

donna, pur nella sua elevatezza morale, è raggiungibile sprone alla perfezione, mentre l’amore si

trasforma in una sorta di “scala a Dio”, metafora di una ricerca del contatto con un Assoluto che dia

senso all’esistenza.

L’insegnante di diritto presenterà alcune leggi a tutela delle donne approvate dal dopoguerra per

realizzare concretamente i diritti enunciati dalla Dichiarazione, alcune di esse serviranno

successivamente come spunto di riflessione sull’etica da approfondire con l’insegnante di Irc, in

rapporto alla considerazione della donna nella cultura mediterranea nell’epoca in cui visse Maria, ci

si soffermerà in modo particolare alle leggi n.151/1975 e n. 125/1991.

Il percorso interdisciplinare infine coinvolgerà l’insegnante di lingua inglese che farà tradurre e

comprendere una breve biografia di una donna icona dei diritti umani, Eleanor Roosevelt, forza

motrice della creazione dello statuto delle libertà ovvero la Dichiarazione Universale dei Diritti

umani e dell’insegnante di tedesco che presenterà in lingua la biografia di un’altra donna

combattente per i diritti delle donne e per l’emancipazione femminile, teorizzatrice della liberazione

delle donne dalla sudditanza maschile, Clara Zetkin.

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MARIA VERGINE E MADRE

Le notizie su Maria pervengono attraverso gli apocrifi mariani, i quali si distinguono in due cicli: gli

apocrifi della Natività, gli apocrifi della Dormizione e i Vangeli.

Il più famoso e antico apocrifo è il Protovangelo di Giacomo, più propriamente Natività di Maria

secondo l’incipit. La Natività di Maria conferma gli episodi narrati dai Vangeli di Luca e di Matteo

(Lc 1,32) (Lc 2,36) (Lc 1,26) (Lc 1,38) (Mt 2,2) (Mt 2,13-14) (Mt 12,46) e le prerogative della

Vergine ( madre del Figlio dell’Altissimo, che concepisce per opera dello Spirito Santo). L’opera

tuttavia va oltre i dati evangelici presentando accuratamente la verginità di Maria prima, durante e

dopo il parto. La Natività di Maria colloca la Vergine in ambiente sacro: consacrata a Dio prima

della nascita, la bambina passa dal “santuario della sua camera” al “tempio del Signore” (6,3) dove

dimora come una colomba fino all’età di dodici anni (8,1-2), poi tocca al vecchio Giuseppe

“ricevere in custodia la vergine del Signore” (9,1), la verginità è attestata dalla stessa Maria (13,3) e

confermata dalla levatrice Salomè la cui mano verrà arsa dal fuoco e successivamente guarita (20,1-

4). La Natività inoltre offre indirettamente la soluzione circa i fratelli di Gesù (Mc 6,2-3)

menzionando due figli di Giuseppe che lo seguono a Betlemme (17,1-2; 18,1).

Per quanto riguarda la nascita della stessa Maria l’apocrifo ne tratta secondo la cultura del tempo:

essa è legata alla guarigione della dalla sterilità, i coniugi disprezzati per non avere prole a causa di

un loro peccato ignoto, verranno visitati separatamente da un angelo che annuncerà il perdono e la

nascita di una figlia. La Dormizione invece ricostruisce gli ultimi momenti della vita di Maria, si

tratta in totale di 67 testi. La maggioranza dei simboli menzionati- palma, angelo, lampada, tempio,

nube- sono comuni all’Apocalisse di Giovanni; alcuni documenti depongono per l’antichità del

Transitus che risalirebbe alla fine del II sec.

Dalla lettura dei Vangeli e degli apocrifi, si può ricostruire gli episodi significativi della vita della

Vergine: Maria nacque a Nazareth da Gioacchino della stirpe di Davide ed Anna della stirpe di

Aronne pur essendo piccoli proprietari erano di modeste condizioni economiche tuttavia erano

ricchi in santità e di virtù. Maria bambina fu offerta al tempio per l'educazione e il culto, venne

alloggiata in edifici adiacenti al tempio, dove vivevano donne addette alla cura degli arredi (Es

38,8) e alla preghiera (Lc 2,36). All'età di 14 anni fu data in sposa a Giuseppe, di mestiere

falegname che abitava a Nazareth, tuttavia Maria continuò a dimorare nella sua casa di famiglia per

la durata di un anno, che era il tempo richiesto presso gli Ebrei, tra lo sposalizio e l'entrata nella

casa dello sposo. Ed è proprio in questo luogo che ricevette l'annuncio dell'Angelo.

L'Angelo la saluta " Piena di Grazia " (Lc 1,26) e le comunica che Lei sarà la Madre del Messia, del

Figlio di Dio. Maria stupita chiede come ciò possa realizzarsi, e avuto dall'Angelo l'assicurazione

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che la sua maternità sarà opera dello Spirito Santo, acconsente: " Ecco la serva del Signore, si faccia

di me secondo la tua parola " (Lc 1,38) Maria accetta pur essendo consapevole dovuta dalla

profonda conoscenza delle S. Scritture che dalle illuminazioni particolari della grazia, di quali

sofferenze andrà incontro il Messia (Is 53) il Salvatore. Maria, va dalla cugina Elisabetta che era nei

suoi ultimi tre mesi di gravidanza e rimane fino alla nascita di Giovanni Battista. Elisabetta

risiedeva ad Ain Karim in Giudea che dista ben 150 Km da Nazareth in Galilea. Al suo arrivo

Elisabetta la saluta: " Madre del mio Signore " e la elogia per la sua fede " Beata te che hai creduto

" (Lc 1,43). Maria non riesce a trattenere la sua gioia ed erompe a Dio nel Cantico: " L'anima mia

magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore.. ". Quando Maria ritorna a

Nazareth sperimenta la dolorosissima esperienza della perplessità di Giuseppe messo di fronte a una

maternità di cui non conosce la causa (Mt 1,18), Maria soffre e tace e attende che Dio le venga in

aiuto, infatti un Angelo dissipa in sogno i timori di Giuseppe che affretta la cerimonia della festa di

ingresso nella casa dello sposo. Un editto di Cesare Augusto che ordinava il censimento (Lc 2,1)

obbliga i due sposi a recarsi alla città di origine della dinastia a Betlemme di Giuda. Il viaggio è

faticoso. sia per le condizioni disagiate, sia per lo stato di Maria oramai prossima alla maternità. A

Betlemme non trovano posto per alloggiare, Maria da alla luce il suo figlio in una grotta nella

campagna di Betlemme (Lc 2,7) e alcuni pastori accorrono per fargli visita e aiutarli (Lc

2,16).Venuto poi il tempo della purificazione , secondo la legge di Mosè, si recano al tempio per

offrire il loro primogenito al Signore, nel tempio incontrano Simeone il quale annuncia a Maria che

una spada le trapasserà l'anima. Successivamente giungono dei Magi dall'oriente (Mt 2,2) che

cercano il neonato re dei Giudei, trovato il bambino i Magi offrono i loro doni e portano un sollievo

alla S. Famiglia. Dopo la loro partenza un Angelo del Signore apparve a Giuseppe e lo esorta a

fuggire con la famiglia in Egitto in quanto Erode cerca il bambino per ucciderlo, il viaggio è di 500

Km gran parte di deserto, in Egitto vivono la penosa esperienza di profughi (Mt 2,14). Morto Erode,

la S. Famiglia si stabilisce a Nazareth (Mt 2,13) facendo una vita povera, laboriosa e devota.

Ritroviamo Gesù nel tempio all'età di 12 anni, nell'episodio del suo smarrimento e ritrovamento,

che gia pensa a servire " il Padre suo " (Lc 2,41). Non vengono descritti altri episodi è da presumere

che passano altri 20 anni di lavoro, dopo di che, Gesù lascia la Mamma, oramai vedova e inizia la

sua missione di predicatore. Ritroviamo Maria alle nozze di Cana, dove ottiene da Gesù, il Suo

primo miracolo, in favore degli sposi (Gv 2,1). Maria rivedeva saltuariamente Gesù (Mt 12,46),

talora lo seguiva nelle sue peregrinazioni apostoliche (Gv 2,12; Lc 8,3). Maria durante la Passione

di Gesù sicuramente ha seguito la cospirazione del Sinedrio, gli eventi del Giovedì Santo, della

notte e la condanna a Morte di Gesù, la flagellazione e la crocifissione. Maria è sotto la croce del

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Figlio morente, che le rivolge le ultime parole per affidarla al discepolo prediletto, e a Lui come

Madre (Gv 19,25) cosi ebbe inizio la sua maternità spirituale. Dopo l'Ascensione, gli Atti (1,14)

ricordano Maria assieme ai discepoli radunati in preghiera comune in attesa dello Spirito Santo.

Cosi Maria è al centro della vita della Chiesa nascente.

La tradizione ci dice che Maria segui l'apostolo Giovanni e infine si addormentò nel Signore ove

poco dopo risuscitò e fu assunta in cielo.

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MARIA DONNA MEDITERRANEA

Questo appellativo è applicato a Maria solo recentemente, la sensibilità verso questo aspetto

fondamentale della persona di Maria proviene dagli studi sulla cultura del vicino oriente, quella

appunto mediterranea. Tale prospettiva culturale permette di evidenziare aspetti veri e verosimili

della sua figura, infatti la cultura mediterranea influisce sulla concezione della Vergine, che vive in

quell’ambito ed è percepita da uomini di quell’ambiente. Luca la descrive come una nazarena,

fedele alle prescrizioni della legge mosaica e resa grazia un’autentica Figlia di Sion, gli Atti di

Paolo la chiamano donna di Galilea, Epifanio il monaco giunge addirittura a tracciarne il ritratto

secondo il tipo palestinese: di carnagione color del grano, i capelli biondi, gli occhi nocciola, le

sopracciglia nere, un naso profilato, mani, dita e faccia allungate, semplice, laboriosa ed umile.

In particolare due dati della cultura mediterranea interessanti per la comprensione della figura di

Maria: la concezione della donna all’interno del clan familiare e la presenza di divinità femminili

all’interno del pantheon religioso. In Lei non è difficile intravedere la realizzazione del sistema

parentale imperante al suo tempo con tutta la rete di protezione della donna e con il senso dell’onore

che la caratterizza. Anche Maria partecipa alla subordinazione dell’uomo e viene definita in

relazione al marito (Mt 1,18.20.24) o al Figlio (Mt 12,46; Mc 3,31; Lc 8,20; Gv 2,1.3.5.12; 6,42;

19,25), come tale è confinata nella casa dove deve occuparsi del cibo, degli abiti e dell’educazione.

Nel mondo mediterraneo la famiglia è il riferimento che accompagna ogni individuo lungo la sua

vita e l’istituzione che gli permette di integrarsi nel complesso sociale; molto importante è il potere

economico che permette la sopravvivenza del clan. La donna deve dimostrare discrezione e misura

per proteggere la sua sessualità, un bene che onora rispettivamente il padre e il marito, si comprende

in questa prospettiva il dramma vissuto da Giuseppe nel racconto di Matteo (MT 1,20), egli non

vuole esporla alla vergogna dell’accusa di adulterio.

Nonostante questa concezione di inferiorità della donna, la cultura mediterranea legata

all’agricoltura ha avvertito il bisogno di rivolgersi a divinità femminili per ottenere la fertilità della

terra e discendenza nella famiglia. Il pantheon contemplava numerose dee: Astarte, Iside, Minerva,

Cibele, Giunone, Celeste. L’impatto del cristianesimo, seppur non si possa considerarlo un transfert

ma piuttosto un progresso, giunse, nella figura della Vergine, ad una più chiara comprensione

dell’aspetto femminile in Dio e della funzione della donna nella storia della salvezza.

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BREVE INTRODUZIONE AI QUATTRO VANGELI

Il Vangelo di Marco

1) Autore.

Le prime notizie sul vangelo secondo Marco e sul suo autore si hanno già all'inizio del II secolo in

una testimonianza del vescovo Papia di Gerapoli (discepolo immediato degli Apostoli e "uomo

antico", come lo definisce Ireneo), il quale insiste fortemente nell'affermare la dipendenza tanto di

Marco quanto del suo scritto dall'apostolo Pietro e dalla sua predicazione orale.

« Diceva quel presbitero (Giovanni) che Marco, divenuto interprete di Pietro, scrisse diligentemente

ciò che ricordava, non riportando però con ordine ciò che il Signore aveva detto e fatto. Egli non

aveva ascoltato, infatti, il Signore e non era stato suo discepolo, ma, come ho già detto, seguì Pietro,

il quale faceva la sua catechesi secondo la necessità e non per comporre un resoconto delle

parole (in greco ton loghion) del Signore »

Similmente alla fine del medesimo secolo faceva Ireneo, che riferisce pure l'inizio e la fine

dell'opera marciana e ne dà un giudizio complessivo molto lusinghiero.

Nel III secolo la prima testimonianza è quella di Clemente Alessandrino, il quale, almeno in un

testo frammentario, precisa che l'opera fu scritta a Roma su richiesta dei fedeli convertiti da Pietro.

Successivamente ne parlaronoOrigene, Epifanio, Girolamo e tanti altri. La tradizione è dunque

unanime nell'accreditare a Marco la paternità del secondo vangelo.

Marco, il cui vero nome era in realtà Giovanni Marco, non fu un Apostolo, ma un loro immediato

discepolo. Un cristiano, dunque, della seconda generazione. Di distinta e abbiente famiglia di

Gerusalemme, figlio di una certa Maria, fu in strettissimo rapporto con la Chiesa di questa città che

per un certo tempo si riunì per le celebrazioni proprio nella sua casa (At 12,12-17), dove

probabilmente fu battezzato da Pietro.

Benché la tradizione affermi che non abbia conosciuto Gesù, alcuni studiosi lo vogliono identificare

con quel giovane che, nell'orto degli ulivi, la sera del tradimento, fuggi via nudo (Mc 14,51-52).

Cugino di Barnaba (Col 4,10), entrò nell'orbita di Paolo dal quale ricevette tutti gli insegnamenti

teologici necessari ad un buon missionario; stette al suo fianco anche durante la prigionia romana.

Secondo Eusebio eGirolamo avrebbe fondato la chiesa di Alessandria d'Egitto, anche se oggi molti

mettono in discussione questa notizia, anche perché Clemente alessandrino ed Origene, che pure

erano di quella chiesa, non ne parlarono affatto; così come piuttosto recente è la notizia circa il suo

martirio (IV secolo).

2) Composizione.

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Il vangelo di Marco è stato scritto certamente prima del 70 d.C., perché non dà molto peso alle

profezie sulla caduta di Gerusalemme, cosa che avrebbe certamente fatto se avesse scritto a

distruzione avvenuta. Recentemente alcuni studiosi propongono la data del 45 d.C. dando credito,

probabilmente a ragione, al 7Q5.

L'opera ha, comunque, visto la luce verosimilmente a Roma; i destinatari potrebbero realmente

essere i cristiani d'Italia, in particolare i romani. Anche in mancanza di testimonianze esterne, noi

saremmo, comunque in grado di dire che questo Vangelo fu scritto per dei latini o più

genericamente per dei pagani, per i seguenti motivi:

• La presenza di parole o locuzioni prettamente

latine: "legione" (5,9.15), "denarius" (6,37;12,15;14,5), "census" (12,14), il

verbo "flagellare" (15,15), l'espressione"genua ponere" (15,19), "due spiccioli che sono

l'equivalente di un quadrante" (12,42), "nel cortile, cioè nel pretorio" (15,16).

• Tralascia fatti e detti riportati da Matteo di sapore troppo giudaico, e quindi incomprensibile

per i suoi lettori, così come sono rare le citazioni dall'A.T., incomprensibili ed inutili per dei

cristiani di origine pagana, mentre invece è dato largo spazio ai miracoli.

Come ha mostrato l'esegeta francese Jean Carmignac (1914-1991), molto probabilmente esso fu

scritto originariamente in aramaico e poi tradotto in greco, come dimostrano alcuni passi

controversi del suo testo. Per esempio, perchè in Mc 5,13 il gregge di porci invasati dal demonio è

valutato in duemila unità? Troppe, non c'è alcun dubbio. Ma la parola KLPYM (al tempo di Gesù in

ebraico e in aramaico le vocali non erano scritte) significa "duemila" se vocalizzata in k'alpayim, "a

branchi" se la si legge invece kàalapim. I porci si sono dunque precipitati nel lago "a branchi", e

l'errore di lettura da parte dell'ignoto traduttore ha fatto il resto.

Inoltre quello di Marco è il più corto fra i vangeli, contando solo 16 capitoli. È piuttosto difficile

trovare un filo conduttore nell'opera di Marco, a mano a mano che ci si addentra nella sua lettura,

però, si comprende come questo sia costituito dalla presentazione progressiva della figura di Gesù.

Il vangelo si presenta articolato in due parti: ministero di Gesù (1,1-8,20) , rivelazione dell'identità

di Gesù (8,21-16,18).

Marco offre così un messaggio di fede traumatico per il senso religioso e di fede comune per quei

tempi: Gesù, cioè un Dio, è tale in forza della Sua morte, ma anche della Sua resurrezione.

3) Struttura.

Segue strettamente la linea dello schema del vangelo orale, trattando solo della vita pubblica di

Gesù, quale si sviluppò prima in Galilea e quindi in Giudea. Si tratta di uno schema che segue di

pari passo la predicazione di Pietro riportata negli Atti degli Apostoli.

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Introduzione: attività del Battista, battesimo e tentazioni di Gesù (1,1-13), parte prima: ministero

galilaico di Gesù (1,14-8,26), intermezzo: viaggio verso la città santa (8,27-10,52), parte seconda:

ministero a Gerusalemme (11,1-16,20).

In Marco mancano i discorsi propri di Matteo, ad esempio non riferisce nulla sull'infanzia di Gesù;

notevoli sono i sommari che esprimono il ripetersi dei fatti; tutto è incentrato sullo "scandalo della

croce", vale a dire sull'apparente assurda conclusione che il Dio dei cristiani è tale anche se morto in

croce (non si tiene conto della resurrezione).

4) La dottrina.

Per Marco l'avvento del Regno non è qualcosa di pacifico. Si tratta di una lotta contro il potere

opposto, quello del male, ed è dimostrato via via dalle tentazioni nel deserto, dagli esorcismi che

compie, dall'opposizione dei suoi avversari.

In varie parabole, Marco ci presenta il regno di Dio come una realtà proiettata verso il futuro, verso

le realtà ultime, ma già con un fondamento qui in terra quale periodo di preparazione.

Questo Regno è già presente, ma non ancora nella sua definitività. È incentrato su Gesù, vero uomo

nella morte, vero Dio nella resurrezione. Il Gesù di Marco è vicino all'uomo. Se con la resurrezione

ha dimostrato di essere vero Dio, non significa che Marco lo abbia voluto presentare come persona

lontana dall'uomo, che non condivide il retaggio dell'uomo. Gesù ha compassione, si stupisce, è

ironico, è abbattuto, indignato, ecc. Questa presentazione della sua persona è il frutto dell'esperienza

diretta degli apostoli dei quali Marco si è fatto portavoce.

Un ambito del tutto particolare è quello che gli studiosi chiamano: "segreto messianico", cioè la

constatazione che durante tutto il Vangelo Gesù vieta di parlare, inspiegabilmente, della sua

messianicità (1,25; 1,44; 3,12...). Probabilmente il motivo va ricercato nell'intenzione di Gesù di

non voler essere frainteso, di non voler essere indicato come Messia secondo l'accezione che gli

ebrei davano a questa parola: liberatore politico-militare della nazione israelitica.

Il Vangelo di Luca

1) Autore.

Secondo la testimonianza del "Canone Muratoriano", gli "Acta omnium apostolorum", dedicati a

Teofilo, sono opera di un certo Luca, testimone oculare di quanto narra. Così pure il "Prologo

antimarcionita" che risale, come il documento precedente, alla seconda metà del II secolo d.C.,

afferma che Luca, dopo aver scritto il Vangelo, ha composto anche gli Atti. Ireneo, morto nel 200

circa, cita assai spesso gli Atti nei suoi scritti e ripetutamente scrive che loro autore è il "discepolo e

seguace degli Apostoli, Luca". Egli tra l'altro scrive: « Omnibus iis cum adesset Lucas, diligenter

conscripsit ea, uti neque mendax, neque elatus deprehendi possit, eo quod omnia haec

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constaret...Quoniam non solum prosecutor, sed et cooperarius fuerit apostolorum, maxime autem

Pauli » (Adv. Haer., IIE,14,1. PG 7,914)

Clemente Alessandrino, morto intorno al 215, ed Origene, morto nel 250, affermano più volte che

gli Atti sono opera di Luca. Tertulliano li qualifica come un "commentario di Luca". Avendo gli

Atti uno stile e un vocabolario identico a quello del Vangelo, un'introduzione comune, con identico

destinatario, essendo gli Atti un'opera di Luca, per conseguenza viene così accreditata la paternità

del Vangelo.

Questo personaggio non fu un apostolo, né conobbe di persona Gesù. Alcuni hanno ipotizzato si

tratti di uno dei discepoli di Emmaus (24,13-35), dal momento che questo episodio viene ricordato

solo dal Vangelo di Luca, ma tale tesi non ha trovato molto credito fra gli studiosi. Si trattava di un

pagano convertito, probabilmente originario di Antiochia di Siria (At 11,28), ma anche questa

informazione è dubbia: risale, infatti, solo al testo occidentale, tuttavia sembra confermata dalla

precisa conoscenza della situazione di quella comunità, verificabile in At 11,19-27; 13,1; 14,19;

15,1 ecc. È quindi l'unico evangelista a non essere un ebreo. Esercitò la professione di medico,

come ci ricorda Paolo in Col 4,14, il che è confermato dall'unanime tradizione e dalle precisazioni

mediche che troviamo nel suo Vangelo ove cerca sempre di stabilire la diagnosi esatta delle malattie

(Lc 4,38; 5,12; 6,6; 22,50).

Per la stesura del suo Vangelo fece "ricerche accurate" e interrogò i testimoni oculari dei fatti,

mentre per gli Atti, essendo egli stesso un testimone oculare, parla spesso in prima persona. Sono

queste le famose "sezioni noi" (At 16,10-17; 20,5-15; 21,1-28; 27,2-28,16).

Amico carissimo di Paolo, lo seguì nel suo peregrinare da una comunità all'altra, nei suoi viaggi

missionari. Gli fu vicino fino alla morte, come ci riferisce Paolo stesso in 1 Tim. 4,9-11: « Fai il

possibile per venire presto da me, perché Dema mi ha abbandonato: ha preferito le cose di questo

mondo ed è andato a Tessalonica. Anche Crescente e Tito sono andati via, uno verso la Galazia e

l'altro in Dalmazia. Soltanto Luca è con me. »

Per apprezzare il valore della tradizione sull'origine lucana di questo vangelo, basta ricordare che

attraverso Luca parla sicuramente l'apostolo Paolo, che d'altra parte quando in Rom 2,16; 16,25; 2

Tim 2,8 parla di "mio vangelo", probabilmente allude a quello di Luca.

Con la morte di Paolo si perdono le tracce di questo fedele discepolo e compagno, lasciando campo

libero alle suggestioni della tradizione, la quale si è sbizzarrita nell'attribuirgli i più svariati luoghi

di apostolato (Dalmazia, Gallia, Italia, Egitto).

2) Composizione.

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Il terzo vangelo si presenta ricco di elementi non riscontrabili negli altri scrittori sacri; tra l'altro è

possibile sottolineare:

• la storia della nascita di Gesù è presentata parallelamente a quella del Battista;

• la presenza di parabole dal significato dottrinale particolarmente profondo (il buon

samaritano), che sottolineano l'esigenza della solidarietà;

• l'apparizione ai discepoli di Emmaus, in cui viene dato un significato del tutto particolare

alla Passione del Cristo;

• la descrizione degli avvenimenti palestinesi con una mentalità occidentale (i dati geografici

sono molto vaghi, a tal punto da non poter in molti casi individuare con esattezza località e

regioni, come nel caso dello stesso villaggio di Emmaus);

• la composizione di un'opera dedicata ad un cittadino. Viene urbanizzata la tradizione

evangelica che descrive la realtà rurale, ad esempio sostituita la tipica casa palestinese con il

tetto in argilla (Mc 2,4), con quella con il tetto in tegole (Lc 5,19).

In conclusione possiamo dire che, tenendo conto del rapporto fra il terzo Vangelo e quello di

Marco, dal quale in parte dipende, si può collocare la sua composizione fra il 50 e il 70 d.C.

La tradizione primitiva tentò di identificare l'ambiente geografico e culturale di stesura del Vangelo

di Luca: Antiochia o Corinto. L'inventario delle preoccupazioni e dei centri di interesse lucani può

confermare l'ambiente socio-culturale dei destinatari, provenienti in massima parte dal mondo

greco–ellenistico.

3) Struttura.

Il Vangelo di Luca è articolato in quattro parti. Una prima unità comprende i due capitoli

sull'infanzia di Gesù: annunciazione, nascita e presentazione al Tempio. Questa parte è chiamata

anche "vangelo dell'infanzia".

Questa terminologia, però, anche se usata, non è esatta, perché dell'infanzia di Gesù si dice ben

poco o nulla. L'unico episodio che potrebbe riguardare l'infanzia è quello di Gesù dodicenne che si

ferma nel tempio di Gerusalemme durante una festa di Pasqua per discutere con i maestri ebrei.

In realtà, questo fatto può essere considerato più attinente alla giovinezza di Gesù, perché a 12-13

anni in Palestina i ragazzi entrano a far parte dell'età adulta con una specie di esame per fare la

lettura pubblica nella sinagoga e sottostare agli obblighi della legge giudaica.

Il Vangelo pubblico nell'edizione di Luca può invece essere suddiviso in tre grandi parti. Luca

segue lo schema di Marco, quello schema che egli stesso riproduce negli Atti, nella predica di Pietro

in casa di Cornelio: attività di Gesù in Galilea, viaggio a Gerusalemme, morte e resurrezione.

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Una prima sezione del vangelo di Luca abbraccia l'attività in Galilea (3,1-9,50). Dopo questa parte

Luca introduce "il grande viaggio" che porta Gesù dalla Galilea a Gerusalemme, 9,51–19,28.

Per dieci capitoli l'autore del terzo vangelo sviluppa questa cornice di viaggio collocandovi quel

materiale che ha trovato nelle sue indagini e ricerche particolari: per esempio la parabola del figliol

prodigo, quella del buon samaritano e l'incontro con le due sorelle di Lazzaro. Questi sono brani

caratteristici lucani. Il cammino che porta Gesù a Gerusalemme è anche il cammino che porta ogni

credente a seguire il proprio Maestro.

Nella terza parte del Vangelo (19,29-24,53), infine, si racconta il dramma della morte. Per questa

parte Luca, pur seguendo in linea di massima la traccia di Marco, la arricchisce con il materiale

delle sue indagini: si rivelano più frequenti anche i contatti o somiglianze di Luca con la tradizione

di Giovanni.

4) La dottrina.

Luca manifesta una prima, ricorrente preoccupazione, quella della fedeltà alle origini, all'evangelo

letto "sine glossa", alla memoria, sia pure sconvolgente e scandalosa, del mistero pasquale di Gesù

morto e risorto.

Luca ricerca e raccomanda l'ortodossia, la retta fede, garantita dalla sicura memoria storica della

vicenda terrena di Gesù e sulla storia dalla primitiva comunità cristiana.

La comunità per la quale Luca scrive dimostra di avere un altro grosso problema che la angustia: il

problema del ritorno del Signore che sembra tardare, e pertanto questa comunità si vede costretta a

riflettere sul tempo che si protrae oltre le primitive prospettive.

Come dev'essere considerato e soprattutto vissuto un tempo come questo? si tratta solo di un tempo

intermedio, nel senso più vuoto e innocuo del termine?

Ecco perché Luca privilegia il tema escatologico, sia nei capitoli 17 e 21 del suo Vangelo, sia nei

discorsi kerygmatici dei primi capitoli del libro degli Atti.

Per Luca questo è un tempo prezioso, cioè decisivo in ordine alla salvezza, perché in esso devono

essere assunte le proprie responsabilità; in esso bisogna fare delle opzioni fondamentali pro o contro

Cristo, pro o contro il Vangelo, pro o contro la Chiesa. Questo è il tempo nel quale lo Spirito del

Risorto opera mediante la presenza testimoniale degli apostoli, mediante la fede che si diffonde.

La comunità di Luca sente, inoltre, il peso di un vangelo che vuole essere vissuto in tutta la sua

radicalità senza mezze misure, senza compromessi d'alcun genere. Di fronte a questa radicalità

molti sarebbero tentati di abbandonare la via, cioè il cristianesimo; emerge, allora, forte e

prepotente il problema della "sequela" di Cristo: non solo del dovere di seguirlo, ma soprattutto

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della misura da adottare nella sequela, si possono ricordare, a questo proposito, certe vocazioni

sollecitate da Gesù, o certe sue radicali affermazioni: 9,23-26.57-62;14,25-33.

Il Vangelo di Matteo

l) Autore.

La più antica voce che ha accreditato la paternità del primo vangelo a Matteo è quella di Papia, che

scrive intorno al 120-130. Eusebio di Cesarea nella "Storia Ecclesiastica", III, 39,15-16, riporta un

testo di un'opera di questo Papia dal titolo "Esegesi dei detti del Signore", opera che è andata persa,

nella quale l'autore scrisse: « Matteo, poi, ordinò (una lezione variante dice "mise in iscritto") i

detti (in greco tà lòghia) in lingua ebraica: e ciascuno li interpretò come ne era capace. »

La testimonianza di Papia, veramente interessante, non eccelle purtroppo in chiarezza per il fatto

che ogni sua parola è suscettibile di svariate interpretazioni. A parte, infatti, l'espressione "in lingua

ebraica" in cui è da ravvisare con ogni probabilità, come in At 21,40, la lingua aramaica, del tutto

ambiguo rimane il termine "tà lòghia" (che è la parola chiave). Si tratta di soli detti, oppure di detti

e fatti insieme, vale a dire di dottrina e di gesta quali sono appunto i nostri Vangeli?

Oltre a questa testimonianza va ricordata anche quella di Origene:« Così ho ricevuto dalla

tradizione circa i quattro Vangeli che soli, senza discussione alcuna, sono ammessi in tutta la Chiesa

che è sotto il cielo. Per primo fu scritto il Vangelo secondo Matteo, il quale era stato pubblicano e

poi apostolo di Gesù Cristo; pubblicò il suo scritto in lingua ebraica per i credenti venuti dal

giudaismo».

Dai Vangeli sappiamo che il suo vero nome era Levi, e che prima di convertirsi esercitava l'attività

di pubblicano, cioè esattore delle imposte, mestiere che presso i giudei assumeva il significato di

tradimento, tanto che era sinonimo di "pubblico peccatore". Svolgendo questa professione, la

conversione dovette essere difficile e radicale, sia per la dottrina che abbracciava, sia per la povertà

cui andava incontro.

Dopo la chiamata di Gesù, il suo nome appare ancora qualche volta nei Vangeli, ma mai in

posizione preminente, né mai accompagnato a fatti sensazionali.

Quanto ci è tramandato circa il suo apostolato dopo la morte e la resurrezione di Gesù proviene da

tradizioni non sempre attendibili. È detto pure martire, ma anche ciò è incerto.

2) Composizione.

Considerando le caratteristiche interne di questo Vangelo è probabile una duplice edizione di questo

Vangelo. Ci fu, in altre parole, un'edizione aramaica seguita da una seconda greca, frutto di un

unico autore, e Matteo greco dipende completamente da un Matteo aramaico andato perso. La

lingua greca del nostro vangelo presenta i sintomi di una lingua di traduzione da originale semitico,

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e di fatto, il greco di Matteo abbonda di aramaismi, che permettono di spiegare le differenze con gli

altri sinottici. Così, in Mc 8,27 Gesù percorre "i villaggi" (qiryot) e in Mt 16,13 "le

regioni" (qesawwot) di Cesarea di Filippo: la differenza è evidentemente dovuta a un errore di

lettura, poiché Y e W in ebraico si scrivono quasi identiche. Tuttavia alcuni studiosi rifiutano

quest'ipotesi, sostenendo che Matteo non contenga più aramaismi degli altri vangeli, compreso

quello dell'ellenista Luca. Inoltre la maturità sia letteraria sia teologica riconosciuta a Matteo, che lo

pone non agli inizi, ma quasi al vertice del processo evolutivo subito dalle tradizioni storiche-

letterarie del cristianesimo primitivo, secondo questi autori non consentirebbe di scorgere nel primo

Vangelo la riproduzione sic et simpliciter, in terreno greco, di un Vangelo aramaico sorto per primo,

in terra di Palestina, subito dopo la resurrezione.

Alla luce degli studi attuali si può concludere che il Vangelo di Matteo di cui ci parla Papia, scritto

in aramaico, è stato redatto intorno al 40-45, mentre quello greco che possediamo noi va datato tra il

50 e il 70 d.C. Gli altri autori citati sopra sono di diverso avviso, e ritengono che Matteo, scritto

direttamente in greco, sarebbe frutto di una comunità almeno dell'80 d.C., riflettendo il mondo

culturale del giudaismo rabbinico posteriore di qualche anno alla caduta di Gerusalemme. Una data,

questa, probabilmente troppo tarda.

Il luogo della prima edizione deve essere individuato in ambiente palestinese, mentre la traduzione

greca con ogni probabilità fu effettuata in Siria, forse adAntiochia. Il motivo di tale preferenza sta

nel fatto che Antiochia rappresentò fin dai primi anni della Chiesa il punto d'incontro fra il giudeo-

cristianesimo di origine palestinese con il paganesimo ellenista assetato di salvezza, come anche il

punto di partenza dell'evangelizzazione del mondo affidata da Cristo alla Chiesa (At 13,1-3).

3) Struttura.

Nei 28 capitoli del suo Vangelo, Matteo non segue tanto l'ordine cronologico, quanto quello logico-

didattico, basato soprattutto su cinque discorsi, raggruppanti gli insegnamenti di Gesù, i quali a loro

volta sono inquadrati da una narrazione sull'infanzia, che fa da prologo, e dal racconto della

passione-resurrezione, che fa da conclusione.

Tutti e cinque i discorsi intorno ai quali si sviluppa il ministero di Gesù sono chiusi da una stessa

formula:

« Ed avvenne che quando Gesù ebbe finito questi discorsi... » (Mt. 7,28; 11,1; 13,53; 19,1; 26,1).

Il tema dei discorsi è unico, ma trattato da punti di vista differenti: promulgazione del Regno (5-7),

predicazione del Regno (10), mistero del Regno (15), realizzazione del Regno (18), avvento finale

del Regno (22-24)

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Questi cinque discorsi sono tra loro separati da sezioni narrative che fanno da preparazione al tema

del discorso successivo.

4) La dottrina.

Punto centrale della dottrina di Matteo è il Regno. È questo il tema fondamentale, quello che

inaugura e sintetizza la predicazione di Gesù: « Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino »

(4,17)

Il termine "Regno" è quello che ricorre più frequentemente nei sinottici, particolarmente in Matteo,

e che sembra meglio definire l'oggetto proprio e specifico del messaggio di Gesù.

Questo termine ricorre nei Vangeli, in bocca a Gesù, 18 volte in Marco, 56 volte in Matteo, 12 volte

in Luca, 3 volte in Giovanni. Si noterà che Matteo ha il numero maggiore di ricorrenze. Ma che

cosa intendeva Matteo con questo concetto?

Il Regno di Dio è qualcosa di celeste che viene fra gli uomini (6,10; 12,28), discende sulla terra, vi è

come piantato (13,24), non per rimanervi, ma per ritornare alla fine (13,40), con abbondanza di

frutti, nella sfera celeste. Questa realtà dai molteplici volti è vista concretarsi da Matteo nella

società visibile che si raccoglie intorno a Cristo e nel nome di Cristo (18,20), come già la "comunità

di Yahwè" nel deserto (Dt 23). A lei il primo evangelista, e l'unico, dà, in 16,18 e 18,17, il nome

di Chiesa, termine con cui la LXX traduce l'ebraico "qahal" cioè "comunità di Yahwè".

Agli Apostoli, i dodici capostipiti del nuovo Israele (19,28), sono affidati i misteri del "regno dei

cieli" (13,11); ed essi con a capo Pietro, la roccia-fondamento (16,18), sono, con l'incarico di

"maggiordomi del Regno", i distributori sulla terra delle ricchezze misteriose del cielo (18,18).

Per tutto questo non ha senso credere in Cristo e non credere nella chiesa cristiana, in quanto essa

non è altro che il risultato visibile dell'opera di Cristo stesso. Chi non crede nella chiesa, non può

credere neanche in Cristo.

Per entrare in questo Regno Gesù proclama, poi, la necessità di una perfetta giustizia, una giustizia

superiore a quella degli scribi e dei farisei (5,20); per questo "perfeziona" la Legge (come ben

evidenziato nelle unità "ma io vi dico", 5,22.28.32.34.39.44), dandone un'interpretazione vera, si

mostra rigido di fronte al formalismo ebraico ed insiste sul rinnovamento del cuore e dello spirito.

Gesù, per Matteo, è colui che adempie le profezie dell'A.T. Infatti Matteo lo presenta come il

Messia promesso dall'A.T., in quanto figlio di Abramo e di Davide che realizza le profezie (nasce a

Betlemme, da una vergine, è richiamato in Egitto, predica in Galilea, parla in parabole, entra

trionfalmente e umilmente in Gerusalemme, patisce, muore e risorge).

Matteo lo presenta anche come il Figlio di Dio: le manifestazioni della sensibilità umana di Gesù

che in Marco sono intense e vive, in Matteo diventano più quiete e luminose, anzi più tenui. Cristo è

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dichiarato Figlio di Dio dal Padre, dai demoni e da Pietro, è affermato da lui stesso attraverso i

miracoli e l'atteggiamento da padrone nei confronti della Legge mosaica.

Il Vangelo di Giovanni

l) Autore.

La più antica ed esplicita testimonianza concernente l'autore del quarto vangelo è quella

di Ireneo nell'opera "Adversus haereses" (circa 180 d.C.), nella quale è affermato: « In seguito

Giovanni, il discepolo del Signore, quello che riposò sul petto di Lui, ha pubblicato anch'egli un

vangelo, quando dimorava ad Efeso in Asia. »

Nella lettera a Fiorino, poi, parla anche del suo incontro con il vescovo Policarpo di Smirne,

avvenuto quando egli era giovinetto e ricorda ciò che Policarpo diceva riguardo alla sua amicizia

con Giovanni e alla familiarità che aveva con gli altri discepoli, i quali avevano visto i miracoli del

Signore e ne avevano ascoltato gli insegnamenti. Ireneo, inoltre, rievocando la persona e l'opera

di Papia, vescovo di Gerapoli, afferma che questi ha ascoltato ed è stato compagno di Giovanni.

Che Giovanni sia vissuto ad Efeso lo conferma anche Policrate, quando scrive: « Giovanni, che ha

posato il capo sul petto del Signore, [...] è morto ad Efeso. »

Cosa, per altro, confermata dall'archeologia con la scoperta del mausoleo del III secolo dedicato a

Giovanni nell'omonima basilica di Selkuk, una collina vicino ad Efeso.

Un'altra importante testimonianza è offerta dal "Frammento o Canone Muratoriano" questa

testimonianza pur antica, rimane manifestamente leggendaria, suppone, infatti, che tutti gli apostoli

siano vivi nel momento in cui Giovanni scrive il suo Vangelo e lo approvino.

Ultima testimonianza è quella di Clemente Alessandrino che, parlando dell'ordine dei Vangeli,

afferma che secondo una tradizione degli antichi presbiteri l'ordine sarebbe il seguente: prima

Matteo, poi Luca, quindi Marco e infine: « Quanto a Giovanni, l'ultimo, vedendo che le cose

corporali erano state esposte nei vangeli sinottici, spinto dai suoi discepoli e divinamente ispirato,

fece un Vangelo spirituale. »

L'autore di questo Vangelo, secondo la tradizione più antica, sarebbe, dunque l'Apostolo Giovanni;

ma l'indagine interna al Vangelo ha fatto sorgere vari problemi. In questo Vangelo il suo autore è

definito in maniera anonima e misteriosa con il titolo di "discepolo che Gesù amava" (13,23;

19,26.27; 20.2; 21,7.20). In altre scene è definito in maniera ancora più vaga come "l'altro

discepolo" (20,4.8; 21,23). In altre due occasioni un. discepolo rimane ancor più difficile da

identificare. Tra i discepoli del Battista, ad un certo momento due seguono Gesù (l,37): uno è

presentato poco dopo come Andrea, dell'altro non si dice nulla. Quando Gesù è catturato e portato

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dal Sommo Sacerdote Anna, l'evangelista nota che «Simon Pietro seguiva Gesù insieme con un

altro discepolo.»

Ma andiamo con ordine. L'esame interno del Vangelo conferma molti punti della tradizione, infatti,

l'autore è:

• testimone oculare dei fatti: per le minute descrizioni circa le circostanze di tempo (1,39b) e

di luogo (1,28) della propria vocazione e degli episodi miracolosi (5,2b).

• membro del collegio apostolico: conosce molto bene l'indole degli altri apostoli (20,25b), ha

familiarità con Pietro (21,7a), è a perfetta conoscenza di fatti cui erano presenti solo gli

apostoli (13,21-30).

• giudeo: manifesta un'evidente mentalità giudaica con la conoscenza di usi e costumi dei

giudei (7,2) ed un linguaggio pieno d'aramaismi (Rabbì, Rabbunì, Messias, Kefas, Siloam,

Thomas ecc.).

• giudeo di Palestina: ha, infatti, una conoscenza perfetta della regione, come può apparire

dalla precisazione della piscina probatica a cinque portici (5,1).

• persona conosciuta nell'ambiente politico–religioso di Gerusalemme (18,15).

Dai sinottici sappiamo che tre erano i discepoli che Gesù

prediligeva: Pietro, Giacomo e Giovanni (Mc 5,37; 9,2; 13,3; 14, 33). È tra questi tre che va

ricercato l'autore del quarto vangelo. Procedendo per via di esclusione, possiamo affermare che

questi non può essere Pietro, ricordato spesso e nominato distintamente dal discepolo prediletto

(13,24-26; 18,16...) e neppure Giacomo che fu ucciso da Agrippa I, pronipote del re Erode, nel 44

d.C. (cfr. At 12,1). Non rimane altro che l'identificazione con Giovanni, ricordato spesso dai

sinottici ma mai nominato nel IV Vangelo. Dal N.T. sappiamo che Giovanni nacque probabilmente

a Betsaida, e che svolgeva la professione di pescatore nell'azienda di proprietà del padre. Discepolo

del Battista, solo in seguito fu con Gesù, prendendo parte ai primi avvenimenti della vita pubblica,

tra cui le nozze di Cana. Dal temperamento ardente ed orgoglioso, con il fratello Giacomo si meritò

da Cristo il soprannome di "figlio del tuono". Unitamente a Pietro e Giacomo fu testimone degli

avvenimenti principali della vita di Gesù. Sul Calvario ebbe da Cristo stesso come madre Maria.

Dopo l'Ascensione fu testimone della guarigione dello storpio ad opera di Pietro; con il capo degli

apostoli fu imprigionato dal Sinedrio e con lui fece il viaggio in Samaria e partecipò al Concilio di

Gerusalemme. Di tutto questo ci parlano gli Atti degli apostoli.

La tradizione, come visto, ci assicura che soggiornò ad Efeso, il che dovette avvenire con tutta

probabilità dopo il 70 (intatti la 2 Tim, indirizzata a Timoteo vescovo di Efeso, è anteriore al 70 e

non lo ricorda, cosa improbabile se fosse stato presente).

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Fu pure affermato che, sotto Domiziano, subì il martirio mediante immersione in olio bollente,

uscendone indenne; in seguito fu relegato a Patmos (Ap 1,9) esilio da cui fu liberato

sotto Nerva (96-98) che gli permise di tornare ad Efeso ove sarebbe morto sotto Traiano ormai

novantenne, verso il 104.

2) Composizione.

La formazione della tradizione che sta alla base di questo Vangelo si deve essere completata prima

del 66 d.C., essendo Gerusalemme ancora in piedi. Ad esempio in5,2 si legge: « A Gerusalemme,

presso la Porta delle Pecore, c'è una vasca, chiamata in ebraico Betesda, che ha cinque portici. »

Se Tito avesse già devastato la città, il verbo "c'è" sarebbe al passato. Invece secondo la maggior

parte degli studiosi la redazione definitiva è posta dopo il 70 d.C., cioè dopo la caduta di

Gerusalemme, dal momento che ne parla come di un fatto passato; alcuni ritengono addirittura che

essa risalirebbe alla vecchiaia dell'apostolo, fra il 95 e il 100, ma probabilmente anche questa data è

troppo tarda perché Ignazio di Antiochia lo cita già nel 107, e forse anche Clemente di Roma ancora

prima. Tutti sono concordi, sulla base delle più antiche voci, a situarla nella città di Efeso.

Sicuramente l'ultimo capitolo fu redatto dopo la morte di Pietro dai discepoli di Giovanni, dal

momento che in 21,18-19 si legge: « In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la

veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio stenderai le tue mani, e un altro ti

cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. Questo gli disse per indicare con quale morte egli

avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: seguimi. »

Il testo si diffuse molto rapidamente e fu letto in tutte le comunità fin dai primissimi anni di

pubblicazione come dimostrano le copie rinvenute presso le comunità egiziane (papiro Ryland 457 -

P52; papiro Egerton 2; Bodmer 2 – P66, tutte dell'inizio del II secolo).

3) Struttura.

Durante la lettura del Vangelo, il lettore inesperto può disorientarsi facilmente, può perdere il senso

dell'unità e della coerenza del testo, perché si tratta di un'opera apparentemente semplice, ma in

realtà complessa e profonda. È difficile già solo rilevare il piano direttivo su cui Giovanni ha

intessuto il suo racconto. Per alcuni non c'è una trama unitaria, ma solo una collezione varia di

episodi senza coordinazione. Però l'unità di pensiero ed il ricorrere di temi specifici fanno pensare

al contrario. Qual è, dunque, il filo conduttore dell'opera?

Ricordiamo alcune tra le soluzioni più note e maggiormente attendibili.

a) Trama tipologica: il filo unitario del IV vangelo è dato dall'imitazione e schematizzazione dei

grandi temi dell'esodo; è il Vangelo della salvezza che nell'A.T. aveva il suo tipo nella liberazione

dall'Egitto. Comunemente si ammette che questa soluzione sia un po' forzata.

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b) Trama cronologica: Giovanni divide la vita di Gesù in sette periodi di sette giorni ciascuno, e ad

ogni periodo corrisponde uno dei sette giorni della creazione della Genesi; per questo si cerca di

stabilire anche una certa qual relazione dottrinale fra il Vangelo e la Genesi.

c) Trama dottrinale: basata sull'opposizione luce-tenebre. Per tutto il Vangelo si sviluppa la lotta fra

la luce e le tenebre in un continuo crescendo, che si concluderà nel giorno della resurrezione.

L'idea guida di tutto il Vangelo è la rivelazione storica del Verbo Incarnato, Messia e Figlio di Dio,

che dona la vita mediante la fede. L'opera appare suddivisa nelle seguenti sezioni: prologo, 1,1-18,

il libro dei segni, 1,19-12,50, il libro degli addii, 13,1-17,26, il libro della Passione, 18,1-19,42, il

libro della resurrezione, 20,1-29, conclusione generale, 20,30-31

4) La dottrina.

Il tema ricorrente nei primi quattro capitoli è l'incontro con il Messia.

Quando si tratta dei primi discepoli, Giovanni sembra darci uno schema concreto della vocazione

cristiana: spesso c'è la testimonianza di qualcuno (Battista per i primi due discepoli, Andrea per

Pietro, Filippo per Natanaele). Segue l'iniziativa di Gesù: "Che cercate?" (1,38). Poi la conoscenza

mediante un colloquio, come per Natanaele, o più semplicemente mediante lo stare insieme; poi la

confessione o proclamazione della fede più o meno matura: "Abbiamo trovato il Messia" (1,41)

infine il cambiamento di vita: "Ti chiamerai Cefa" (1,42).

Il racconto di Giovanni non è molto realistico, almeno nel senso moderno del termine: è poco

probabile che così presto i discepoli siano arrivati a questi livelli di conoscenza e di fede (poco più

avanti li troviamo più incerti e titubanti, 14,9). Giovanni però traccia in questo caso una sintesi

esemplare, fa una meditazione.

Le due scene, di Cana (le nozze) e di Gerusalemme (la cacciata dei venditori dal Tempio), hanno un

chiaro carattere simbolico. Quel vino di Cana significa qualcosa di più di un rimedio miracoloso ad

una situazione di umana necessità: "Gesù manifestò la sua gloria [...] il terzo giorno". Tutti elementi

che riportano alla resurrezione, a ciò che si sarebbe verificato tre anni dopo. La quantità di acqua

trasformata in vino da Gesù è esagerata, 600 litri: il vino è il simbolo dell'Eucarestia, del suo sangue

versato.

A Gerusalemme lo sdegno di Gesù non nasce soltanto dallo sdegno istintivo alla vista degli abusi

commerciali che profanano la santità del Tempio. Egli non butta all'aria soltanto le bancarelle, ma

l'intero regime religioso dell'A.T., sia perché è corrotto da complicazioni giuridiche che soffocano

la fede genuina, sia perché la venuta del Messia lo fa diventare di colpo superato. È arrivata l'epoca

del nuovo Tempio, quello che realizzerà in modo pieno ciò che tutti i templi precedenti

rappresentavano in modo imperfetto: la presenza di Dio fra gli uomini.

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Per indicare i miracoli, Giovanni usa due termini: "opere" (erga) quando parla

Gesù, "segni" (semeia) quando parla l'evangelista o altri. L'aspetto del prodigio è posto in secondo

piano, l‘importante è capire che per Gesù i miracoli sono il suo compito, il suo incarico, la sua

competenza. Per l'infermo della piscina Gesù è in un primo momento un guaritore generoso e

potente; ma poiché si dimostra uno che supera con disinvoltura i limiti religiosi-giuridici del sabato,

si fa più seria la domanda:"Chi è costui?". Per i giudei è soltanto un uomo ribelle ed irreligioso; per

il guarito diventa uno che gli può dire autorevolmente di vivere lontano dal peccato. Nessuno può

comprendere il senso delle sue azioni se non conosce chi Egli sia; e chi Egli realmente sia non deve

essere deciso a partire da preconcetti che ognuno ha. Ad esempio, a prima vista egli sembra uno che

non ha rispetto del sabato, il giorno sacro; In realtà egli provoca la sensibilità religiosa dei Giudei

per portarli ad una comprensione di Dio che sia più fedele alla tradizione precedente e sia aperta

alla nuova rivelazione.

Giovanni non riporta le famose parabole dei sinottici; in un certo senso non riferisce nessuna

parabola, ma ci fa conoscere alcune immagini che gli altri evangelisti trascurano. Non sono vere e

proprie parabole, ma sono parole e immagini da collegare ad altre, dove ricorre l'espressione: "Io

sono", che è tipica di questo Vangelo.

Sullo sfondo delle consuetudini sociali palestinesi, in particolare la pastorizia, e l'uso che già l'A.T.

fa di immagini tratte da questo mondo, Gesù parla di sé. Dichiara di essere la porta, l'unico ingresso

autentico; bisogna passare attraverso di lui. Soprattutto dichiara di essere il buon pastore, quello che

offre "la vita per le sue pecore".

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BREVE PRESENTAZIONE DEGLI ATTI DEGLI APOSTOLI.

Gli Atti degli Apostoli sono un testo contenuto nel Nuovo Testamento, scritto in greco e, secondo

l'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi, la sua redazione definitiva risale attorno al 80-90,

forse in Grecia, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte.

1)Autore.

Nel prologo di Atti non solo si fa riferimento ad un certo Teofilo, dedicatario anche del Vangelo

secondo Luca , ma lo stesso vangelo è indicato espressamente come "primo libro".

La tradizione della chiesa antica fu concorde nell'attribuire a Luca sia il Vangelo secondo Luca che

Atti, gli esegeti moderni concordano, in generale, con l'attribuzione di entrambe le opere ad uno

stesso autore. Riguardo all'identificazione dell'autore con Luca, quello che si può dire è che il Luca

discepolo di Paolo era un medico, mentre l'autore di Atti non usa un vocabolario specifico dei

medici, come si era affermato.

La maggior parte degli studiosi è sempre stata incline a ravvisare in Luca quel misterioso

personaggio che in alcune pagine degli Atti appare come testimone oculare degli avvenimenti che

narra in prima persona (sono le cosiddette «sezioni noi»: At 16,10-17; 20,5-21; 27,1 - 28,16).

2) Composizione.

Già nell'antichità esistevano due diverse ipotesi di datazione, una che indicava una data vicina alla

morte di Paolo (verso il 67) ed una, di poco anteriore, che colloca la stesura degli Atti poco dopo

l'arrivo di Paolo a Roma e la sua prima prigionia. Questa seconda ipotesi viene dedotta dal fatto che

gli Atti finiscono proprio con il racconto della prigionia romana di Paolo, da collocarsi verso il 63.

La critica moderna ritiene invece che la data più probabile sia più tarda, basandosi sulla datazione

del vangelo lucano che si sostiene essere stato scritto dallo stesso autore degli Atti. In questo caso la

composizione degli Attisarebbe da ricondurre ad una data vicina all'80, di poco posteriore al

Vangelo secondo Luca.

Gli Atti degli Apostoli raccontano la storia della Chiesa delle origini, dall’Ascensione del Signore

all’arrivo di Paolo a Roma. Il nucleo del racconto consiste nella lenta ma graduale diffusione del

messaggio cristiano da Gerusalemme, a tutta la Palestina, fino agli estremi confini della terra.

L’annuncio, quindi, è rivolto prima agli ebrei, poi ai pagani.

Nella prima parte degli Atti (nei primi 12 capitoli), il compito di estendere la fede al mondo ebraico

è affidato a Pietro, che inizia da Gerusalemme, e continua poi in tutta la Palestina. Mentre la

diffusione del Vangelo nel mondo greco-romano e l’annuncio ai pagani, seconda parte, (dal

capitolo 13 fino alla fine) è affidato a Paolo.

Il racconto copre un trentennio delle origini cristiane, dal 30 d.C. anno in cui si colloca

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verosimilmente l’Ascensione, fin verso il 60 d.C. data probabile dell’arrivo di Paolo a Roma.

“Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome

saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da

Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni” (Lc 24, 45-49).

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BREVE PRESENTAZIONE DELL’APOCALISSE

PREMESSA

Il libro dell’Apocalisse è senz’altro uno dei testi più complessi del NT, sia dal punto di vista

letterario che teologico, e anche uno dei più commentati nella tradizione cristiana. Ciò è dovuto al

fascino che il suo linguaggio suscita negli studiosi e al denso significato delle sue immagini, ma la

difficoltà a saper cogliere nel modo giusto detti aspetti ha rimandato sovente il messaggio del libro a

un futuro più o meno lontano e c’è chi ancora continua a presentarlo sotto la tetra luce di catastrofi

finali con le quali Dio porrà termine alla storia e al mondo. Anche il capitolo 12 dell’Apocalisse,

preso in considerazione nella progettazione, si mostra particolarmente affascinante, ha come

protagonista una «donna vestita di sole», nonostante i tentativi di spiegarlo siano stati innumerevoli

risulta implicito alla prima lettura il riferimento alla figura della Madre di Dio.

Il linguaggio che l’autore adopera, sembra fuori del comune per noi lettori, abituati a brani

evangelici di facile comprensione, almeno apparentemente. Questa forma narrativa, che l’autore

adopera nasce da una sua deliberata scelta che va sotto il titolo di “genere letterario apocalittico”,

che è un modo particolare di esprimersi, fatto di immagini grandiose e talvolta irreali, di

simbolismi, di messaggi cifrati.

Il significato etimologico del termine “apocalisse” è “rivelazione”, (dal verbo greco “apokaljpto”=

“svelare”, deriva il sostantivo “apokàljpsis”= “rivelazione, manifestazione”). Questa espressione

però, è diventata oggi abusivamente sinonimo di disastro, di catastrofe, di fine del mondo.

L’Apocalisse della letteratura ebraica (Daniele nell’A.T.) e quella del N.T. contengono, certamente,

descrizioni di fenomeni terrificanti, ma la loro intenzione è tutt’altro che intimidatoria o

spettacolare. In una parola, esse “rivelano” una sola verità: la disgrazia, il dolore, la disperazione

non avranno il sopravvento che per un tempo limitato, perché all’interno stesso delle presenti

rovine, Dio sta preparando certamente “cieli nuovi e terra nuova”. Non si dimentichi che la

letteratura apocalittica, che sarebbe nata nel tardo giudaismo (cioè alla fine dell’A.T.) ha avuto

grande sviluppo in periodi di crisi religiosa e politica della storia d’Israele. Quando tutto sembrava

perduto, gli apocalittici incoraggiavano il popolo oppresso ed alimentavano la speranza di una

futura rivincita. In tal modo essi volevano aiutare i loro contemporanei a saper leggere, anche nelle

situazioni storiche più disastrose, l’intervento di Dio, che non abbandona mai quelli che credono nel

suo nome. In questo senso è tipico il libro di Daniele, spesso richiamato nell’Apocalisse, che con

riferimenti alla storia passata (ad esempio l’imperatore Nabucodonosor, nel 600 a.C.), descrive la

situazione a lui contemporanea, alludendo alla persecuzione di Domiziano (80-100 d.C.). Quando

Giovanni scrive, la chiesa, il nuovo popolo eletto, è appena stata decimata da una persecuzione

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sanguinosa, scatenata da Roma e dall’impero romano (la bestia) ma per istigazione di satana,

l’avversario per eccellenza di Cristo e del suo popolo.L’Apocalisse, quindi, è un libro scritto per un

tempo di crisi e destinato a una comunità terribilmente messa alla prova, che ha bisogno quindi di

conforto. E’ un messaggio di speranza che riassume tutti gli obblighi del cristiano, in tempo di

persecuzione, nel dovere di una fedeltà incrollabile alla causa di Cristo e della Chiesa.

Per completare la breve presentazione sul “genere apocalittico” c’è da fare un’altra osservazione:

spesso questo stile letterario accentua il tema della “fine dei tempi” (non della “fine del mondo”).

Per i profeti si tratta ebrei è il momento in cui verrà sulla terra il Messia atteso e darà inizio al regno

messianico, con la differenza che per Giovanni questo regno è già venuto; egli è un discepolo di

Cristo e quindi può affermare con certezza che il regno messianico si è inaugurato con Gesù, e

quindi, la sua Apocalisse è la risposta all’apocalisse di Daniele: ciò che Daniele ha annunciato, si è

realizzato nella persona e soprattutto nella morte e resurrezione di Gesù.

Il genere apocalittico si rivela, inoltre, come l’erede del profetismo in quanto esso mira a sviluppare,

con maggiore precisione, l’uso dei simboli. La maggior parte dei simboli dell’Ap. sono presi dalla

tradizione profetica continuata dall’apocalittica, per es.: una donna simboleggia un popolo (12,1ss.)

o una città (17, 1ss.), le corna sono simbolo di potere (5,6; 12,3), in particolare di potere dinastico

(13,1; 17,3 ss.), gli occhi, di conoscenza (1,14; 2,18; 4,6; 5,6) e le ali, di mobilità (4,8; 12,14).

Nelle trombe si ode una voce sovrumana, divina (1,10; 8,2 ss.); un’acuta spada designa la parola di

Dio, che giudica e punisce (1,16; 2,12.16; 19,15.21). Le bianche vesti significano il mondo della

gloria (6,11; 7,9.13 ss.; 22,14); le palme sono segno di trionfo (7,9); le corone di dominio e regalità

(2,10; 3,11; 4,10; 6,2; 12,1; 14,14); il mare è un elemento maligno, fonte d’insicurezza e di morte

(13,1;21,1). Il colore bianco indica la gioia della vittoria (1,14; 2,17; 3,4; 4,4; 6,11; 7,9.13;

19,11.14); lo scarlatto, la lussuria e la regalità (17,4; 18,12.16); il nero, la morte (6,5.12).

Anche i numeri acquistano una notevole importanza: sette (54 volte) significa pienezza,

perfezione; dodici (23 volte) si richiama alle dodici tribù d’Israele e indica che il popolo di Dio ha

raggiunto la sua perfezione escatologica; quattro (16 volte) simboleggia l’universalità del mondo

visibile (4 infatti sono i punti cardinali); degni di nota sono anche altri numeri: tre (11 volte),

riguarda il regno dello spirito e può essere la Trinità; dieci (10 volte) mille (6 volte nel capitolo 20)

e i suoi multipli sono numeri indeterminati. Tre casi suscitano un particolare interesse: la durata

della persecuzione è fissata in 1260 giorni (11,3;12,6) o in 42 mesi (11,2;13,5), oppure in tre anni e

mezzo (12,14); i 144.000 “seguono l’Agnello dovunque va” (7,4-8; 14,1-5); infine, si fa riferimento

alla Bestia mediante il numero 666. Le apocalissi ebbero un grande successo in certi ambienti

giudaici, compresi gli Esseni di Qumran, nei due secoli precedenti la venuta di Cristo. Preparato già

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dalle visioni di profeti come Ezechiele o Zaccaria, il genere apocalittico si sviluppò nell’opera di

Daniele e in molte opere apocrife scritte intorno all’era cristiana.

2) L’autore

L’Autore si firma col nome di Giovanni all’inizio e alla fine del libro. Nell’antichità, a cominciare

da S. Giustino verso il 150, si è identificato l’Autore dell’Apocalisse con l’Apostolo Giovanni

(autore del IV Vangelo). Ben presto però nacquero dei dubbi sulla paternità giovannea

dell’Apocalisse. La difficoltà dell’identificazione veniva dalla lingua, molto diversa tra il Vangelo e

l’Apocalisse. Addirittura alcuni Padri (Giovanni Crisostomo, Gregorio Nazianzeno) consideravano

l’Apocalisse non canonica, cioè apocrifa. Anche all’inizio della Riforma (1537) si è dubitato della

sua canonicità: dal XVII secolo, però, nelle edizioni protestanti è stata reintrodotta fra i libri del

N.T. Per i cattolici la questione della canonicità è stata risolta definitivamente dal Concilio di

Trento (8 Aprile 1545). Se a proposito della “canonicità”, oggi non ci sono più dubbi, sulla sua

“autenticità” i dubbi sono aumentati. Pur non negando notevoli rassomiglianze sia linguistiche che

dottrinali con il quarto Vangelo (si pensi, ad esempio, all’immagine di Cristo come Agnello, come

Verbo di Dio), è altrettanto vero che il genere letterario apocalittico è qualcosa di completamente

diverso dal genere letterario evangelico, anche la lingua è piuttosto rozza e approssimativa,

insofferente delle regole grammaticali e sintattiche; lo stile non è fluido, ma contorto e ripetitivo.

Oggi l’opinione prevalente fra gli studiosi, è che l’autore del nostro libro, sia da ricercare fra i

discepoli di Giovanni l’Apostolo (si parla di una scuola catechistica “giovannea” sorta ad Efeso).

Costoro avevano assimilato il suo pensiero e avrebbero portato a termine la redazione finale di tutti

gli scritti giovannei.

3) Composizione.

Giovanni - come gli altri scrittori apocalittici - si presenta come appartenente ad un gruppo

perseguitato per la propria fede (1,9). Nel nostro caso si tratterebbe, forse, di un esilio forzato

imposto all’Autore dell’Apocalisse da parte delle autorità politiche del tempo. Da quest’isola egli si

assume il compito di fortificare i suoi fratelli svelando loro il significato dell’oppressione di cui

sono vittime e il traguardo glorioso della loro sofferenza. Apparentemente lo scontro è tra l’impero

romano e la Chiesa cristiana, ma in realtà satana e Dio sono alla guida di questi due schieramenti;

pertanto non ci possono essere dubbi sull’esito della battaglia. Con la vittoria finale che Cristo avrà

su satana e i suoi seguaci, sarà inaugurato un mondo completamente nuovo creato da Dio, che va

sotto il nome di “Gerusalemme celeste”. Tutti i cristiani fedeli saranno cittadini di questa nuova

Gerusalemme. Tale modo di concepire l’evolversi della storia, visto come scontro tra due potenze

opposte, è tipico della teologia apocalittica. L’Apocalisse è stata scritta certamente in Asia Minore

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(le città ricordate sono tutte dell’Asia Minore), probabilmente ad Efeso (secondo la tradizione).

L’autore, quando ha la visione che dà origine al libro, dice di trovarsi nell’isola di Patmos, di fronte

ad Efeso, a causa della Parola di Dio. Per quanto riguarda la stesura del Libro nell’antichità furono

proposte due date: la prima sotto Domiziano (81-96 d.C.), la seconda sotto Nerone (37-68 d.C.).

L’antichità ha scelto questi due imperatori, perché sono gli unici che nel I sec. hanno perseguitato i

cristiani. In realtà, accenni palesi ad uno stato di persecuzione si hanno in tutta l’Apocalisse: nella

lettera alla Chiesa di Pergamo si ricorda un certo Antipa, “fedele testimone”, messo a morte in

quella città (2,13). Dopo l’apertura del quinto sigillo, l’autore vede “sotto l’altare, le anime di

coloro che furono immolati a causa della parola di Dio” e reclamano giustizia da parte di lui (6, 9-

11; 7, 13-17). Poi, attraverso il simbolo della “bestia” che viene dal mare con “dieci corna e sette

teste” (13,1), e di Babilonia, la grande prostituta, “ebbra del sangue dei santi e del sangue dei

martiri di Gesù” (17,6), si allude quasi certamente a Roma e ai suoi imperatori che pretendevano

onori divini, obbligando i cristiani a “prostituirsi” alle false divinità. Oltre a queste situazioni di

persecuzione che la minacciava dall’esterno, le Chiese dell’Asia Minore erano minacciate anche

dall’interno: le comunità, infatti, avevano perduto il primitivo entusiasmo, si erano rassegnate ad

una mediocrità e ad un lassismo morale davvero preoccupanti. In conclusione, partendo dal

presupposto che l’Apocalisse sia stata scritta nel I secolo d.C., in tempo di persecuzione, c’è solo

l’imbarazzo della scelta tra i due imperatori sopra citati. Il Libro già conosciuto e citato nella metà

del II sec. d.C. da Giustino, pare abbia avuto la sua redazione finale verso la fine del regno di

Domiziano (90-96 d.C.).

5) Schema del libro.

Introduzione (1, 1-8)

PROLOGO: il Figlio dell’uomo (1, 19-20)

SETTENARIO DELLE LETTERE (cap. 2-3)

1) Efeso (2, 1-7)

2) Smirne (2, 8-11)

3) Pergamo (2, 12-17)

4) Tiatira (2, 18-29)

5) Sardi (3, 1-6)

6) Filadelfia (3, 7-13)

7) Laodicea (3, 14-22)

SETTENARIO DEI SIGILLI (4,1 - 8,1)

- Prologo - il trono (4, 1-11)

- l’agnello e il libro sigillato (5, 1-14)

1° Sigillo (6, 1-2) - cavallo bianco (spada – corona)

2° Sigillo (6, 3-4) - cavallo rosso (la guerra)

3° Sigillo (6, 5-6) - cavallo nero (bilancia – fame)

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4° Sigillo (6, 7-8) - cavallo verde (morte)

5° Sigillo (6,9-11) - gli immolati sotto l’altare

6° Sigillo (6, 12-17) - terremoto

- segnatura dei 144.000 (7, 1-6)

- la folla immensa (7, 7-17)

7° Sigillo (8,1) - silenzio nel cielo per mezzora

SETTENARIO DELLE TROMBE (8, 2-11,19)

- Prologo - angelo con incensiere (8, 2-6)

I Tromba (8,7) - fuoco e grandine

II Tromba (8, 8-9) - montagna di fuoco

III Tromba (8, 10-11) - la stella “assenzio”

IV Tromba (8, 12-13) - oscurità degli astri

V Tromba (9, 1-12) - le cavallette

VI Tromba (9, 13-21) - i flagelli

VII Tromba (11,15-19) - prostrazione degli anziani (11, 15-18)

- apertura del santuario (11,19)

SETTENARIO DELLE COPPE (12, 1-22)

a) Prologo

- 1° segno nel cielo: la donna (12, 1-2)

- 2° segno nel cielo: il dragone (12, 3-4)

- parto della donna e fuga nel deserto (12, 5-6)

- caduta degli angeli (12, 7-12)

- lotta dragone-donna – rifugio nel deserto (12, 13-17)

- dragone sulla spiaggia del mare (12,18)

- bestia dal mare (13, 1-10)

- bestia dalla terra (13, 11-18)

- l’agnello e i 144.000 sul Sion (14, 1-5)

- 7 angeli (14, 6-20)

1) annuncia il giudizio di Dio (14, 6-7)

2) annuncia la caduta di Babilonia (14,8)

3) annuncia la condanna degli adoratori della bestia (14, 9-13)

4) il figlio dell’Uomo su una nube bianca (14,14)

5) la falce e la mietitura (14, 15-16)

6) la falce dell’angelo nel tempio (14,17)

7) pigiatura del tino

- 3° segno nel cielo: 7 angeli con 7 coppe e con 7 flagelli (15, 1-16)

1) flagello (sulla terra) - seguaci della bestia (16,2)

2) flagello (sul mare) - morte dei suoi abitanti (16,3)

3) flagello (sulle acque) - bevanda di sangue (16, 4-7)

4) flagello (sul sole) - uomini arsi dal fuoco (16, 8-9)

5) flagello (sul trono della bestia) - oscuramento del trono (16, 10-11)

6) flagello (sull’Eufrate) - l’Armaghedòn (16, 12-16)

7) flagello (sull’aria) - terremoto (16, 17,21)

b) Epilogo: i 7 angeli e i 7 castighi

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1) la grande prostituta e la bestia (17, 1-18)

2) la caduta di Babilonia (18, 1-20)

3) la moltitudine adorante (18, 21-19,10)

4) il cavaliere sul cavallo bianco (19, 11-16)

5) la condanna della bestia e del falso profeta (19, 17-21)

6) - la condanna del dragone (20, 1-10)

- il trono bianco e il giudizio (20, 11-15)

- la Gerusalemme celeste (21, 1-22,5)

7) la sposa dell’Agnello (21, 9-22,5)

CONCLUSIONE DEL LIBRO (22, 16-21)

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BREVE PRESENTAZIONE DEL PROTOVANGELO DI GIACOMO. Il Protovangelo di Giacomo, in origine chiamato Natività di Maria, espande i racconti dell'infanzia

di Gesù contenuti nel Vangelo secondo Matteo e nel Vangelo secondo Luca, fino a presentare

un'esposizione della nascita e dell'educazione di Maria, per poi rielaborare le narrazioni canoniche

sulla natività di Gesù. Si tratta del più antico testo cristiano che sostenga la verginità di Maria non

solo prima, ma durante e dopo la nascita di Gesù, è uno dei vangeli apocrifi (non è cioè incluso in

alcun canone biblico). Tuttavia la tradizione cristiana ha accettato alcune delle informazioni in esso

contenute, in particolare relativamente alla vita di Maria e dei suoi genitori Anna e Gioacchino.

1)Autore.

L’attribuzione a Giacomo viene dallo stesso testo , tale Giacomo sarebbe l’apostolo, identificato

come Giacomo il minore per distinguerlo dal suo omonimo nel collegio apostolico, L’attribuzione

non è accettata unanimemente dagli studiosi e non pochi di loro vi leggono solo un caso di pseudo

epigrafia.

2)Data.

Non c’è unanimità fra gli studiosi nell’individuare la data di composizione, alcuni ritengono il testo

molto antico e lo fa risalire alla seconda metà del secondo secolo, mettendolo in stretta connessione

con i racconti dei vangeli canonici, altri lo collocano nel quarto secolo: il testo manifesta una chiara

devozione dopo il Concilio di Efeso, la patristica non lo cita prima del quarto secolo, non è riportato

in nessun testo latino, altri ancora lo collocano intorno al sesto secolo. Tuttavia affermare la sua

antichità come dimostrano le più recenti scoperte, ovvero il papiro Bodmer V.

3) Composizione.

L’esame interno del testo rivela la presenza di diversi documenti che dimostrerebbero il carattere

composito dell’attuale Protovangelo di Giacomo. Secondo alcuni autori sarebbe diviso in tre parti:

la nascita di Maria: racconto della nascita di Maria fino alla nascita di Gesù. Apocrifo di Giuseppe:

Giuseppe racconta in prima persona la sua commozione ed ansia quando va alla ricerca della

levatrice; colei constaterà la verginità di Maria. Apocrifo di Zaccaria: alcuni manoscritti riportano la

strage degli innocenti e l’uccisione del sacerdote Zaccaria.

Le prime due parti hanno in comune l’intento apologetico di mettere in risalto il valore di Maria. Il

Protovangelo di Giacomo copre il tempo che va dal concepimento fino alla fuga in Egitto, esso lo si

trova spesso in combinazione con i Racconti dell’infanzia di Gesù per formare una storia continua.

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DAI VANGELI: LA FEDE DI MARIA.

Maria è la diretta collaboratrice del Mistero dell’Incarnazione. Ecco in che modo Dio, rispettando

l’intelligenza e la libertà umana, mette Maria a conoscenza del suo piano di salvezza e ne richiede

l’assenso di fede e l’accettazione del compito di madre del Messia:

Lc 1,26-38 : l’annunciazione a Maria, l’Incarnazione

Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine,

promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando

da lei, disse: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te". A queste parole ella rimase turbata e si

domandava che senso avesse un tale saluto.

L'angelo le disse:"Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai

alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di

Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine". Allora Maria disse

all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo". Le rispose l'angelo: Lo Spirito Santo scenderà su di te, su

te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di

Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per

lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio ". Allora Maria disse: Eccomi, sono la serva del

Signore, avvenga di me quello che hai detto". E l'angelo partì da lei.

A Maria vengono proposti dall’angelo due aspetti dell’Incarnazione: la natura divina del Messia e la

sua concezione verginale, Dio si presenta nell’atto di informarla di quanto sta per compiere in lei.

Maria ebbe dunque una luce che la fece penetrare in profondo nell’intelligenza delle parole

profetiche ripetute dall’angelo, ciò appare in armonia con un altro aspetto del disegno divino,

ovvero volendo Dio unire a sé la natura umana nella Persona del proprio Figlio, era necessario che

l’umanità esprimesse il proprio consenso al disegno divino, Maria fu la prima ad esprimere

l’adesione dell’umanità al piano divino, e in quel momento rappresentò ciascuno di noi.

La fede di Maria verrà lodata poche righe più avanti dalle parole profetiche di Elisabetta, alle quali

Maria risponderà con il cantico di fede pervasa di gioia e di semplicità:

Lc 1,46-55 : Il Magnificat

L’anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore; poiché Egli ha rivolto lo

sguardo alla piccolezza della sua serva. Ecco, d’ora innanzi tutte le generazioni mi chiameranno beata; perché

grandi cose ha fatto in me Colui che è potente e Santo è il Suo nome. La Sua misericordia si estende di

generazione in generazione su quelli che Lo temono. Egli ha steso la forza del suo braccio, ha disperso gli

uomini dal cuore superbo, ha rovesciati i potenti dai loro troni ed innalzato gli umili, ha saziato di beni gli

affamati e rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele Suo servo, in memoria della Sua misericordia,

come aveva promesso ai nostri padri, per Abramo e la discendenza, per sempre!

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DAGLI ATTI DEGLI APOSTOLI: LA NASCITA DELLA CHIESA.

Atti 1,14

Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di

Gesù e con i fratelli di lui.

Negli Atti degli Apostoli è presentata in preghiera insieme con gli apostoli e i discepoli in attesa

della venuta dello Spirito Santo secondo la visione cattolica Maria fu quindi il centro attorno a cui

gli stessi apostoli e discepoli si riunirono per la discesa dello Spirito, momento che sancisce la

nascita della Chiesa.

DALL’APOCALISSE: UNA DONNA VESTITA DI SOLE.

Apocalisse 12,1-2

Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul

suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto.

Subito dopo aver presentato la donna, Giovanni introduce un enorme Drago rosso che cerca di

divorare il figlio della donna appena nato, colui che sarà il Messia. Il figlio viene portato in cielo ed

alla donna viene preparato un rifugio nel deserto contro il drago, infine l'arcangelo

Michele combatte contro il drago e lo vince.

La descrizione di questo personaggio allude al cielo (o secondo molte interpretazioni alla

Madonna), infatti la donna è illuminata dal sole, è ornata da dodici stelle e poggia sulla luna: è

quindi una figura celeste. I simboli celesti sono esattamente quelli di Genesi 37, 9-10, in cui

indicano Giacobbe, la moglie e i loro dodici figli, che daranno origine alle dodici tribù di Israele. Al

contrario il drago è figura terrestre, avversa alla donna celeste e perseguita lei e la sua discendenza.

Infatti in Apocalisse 12, 9 il drago è chiamato il "serpente antico", una allusione a Genesi 3 e in

particolare a Genesi 3, 15, in cui compare per la prima volta il conflitto fra il serpente e la donna, il

drago, quindi è da identificarsi con Satana.

La maggior parte degli esegeti interpreta la donna come una figura rappresentativa del "popolo di

Dio", in accordo con la sua immagine biblica come sposa e madre (cfr. ad esempio Isaia 66, 7-9).

Mentre è chiaro che il figlio è il Messia, il simbolismo della madre si presta, forse deliberatamente,

a numerosi significati: prima Israele, che genera il Messia, e poi la Chiesa, dopo che Cristo è asceso

al Padre (versetto 12, 5). Più in generale può rappresentare tutta l'umanità, la stirpe di Eva (Genesi

3,15-16).

La tradizione cattolica sottolinea che la donna deve essere interpretata anche come Maria, la madre

di Gesù, per cui il brano è proposto nelle liturgia dell'Assunzione. Del resto secondo molti esegeti

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Maria è figura della Chiesa e anche i brani del vangelo di Giovanni in cui compare

esplicitamente Maria devono essere interpretati come riferiti anche alla Chiesa.

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PERCORSO INTERDISCIPLINARE

IRC : La figura di Maria, madre di Gesù e il suo ruolo nella storia della Salvezza. Lettura della

Lettera alle donne di Papa Giovanni Paolo II. Breve presentazione dei Vangeli e biografia di Maria

tratta dal Protovangelo di Giacomo. Presentazione e drammatizzazione di alcuni passi biblici, Lc

1,26-38, Lc 1,46-55, presentazione di Atti 1,14 e Apocalisse 12,1-2. Riflessione etica sulle leggi n.

151/1975 sul Diritto di famiglia e n.125/1991 Legge sulle pari opportunità in rapporto alla

concezione della donna nella cultura mediterranea all’epoca di Maria.

Italiano : La figura della donna (Madonna) e l’amore nel Medioevo: liriche scelte tra i seguenti

autori: Giacomo da Lentini, Guittone d’Arezzo, Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Dante

Alighieri Cecco Angiolieri, Folgore da San Giminiano.

Diritto : I diritti delle donne enunciati dalle leggi della Costituzione, riferimento alla legge n.

151/1975 sul Diritto di famiglia e n.125/1991 Legge sulle pari opportunità.

Tedesco: Traduzione di una breve biografia di Clara Zetkin, attivista per i diritti delle donne

durante la prima guerra mondiale.

Inglese: Presentazione in lingua della biografia di Eleanor Roosevelt.

Page 35: Elaborato: Maria modello dell’umanità salvata · comprendere una breve biografia di una donna icona dei diritti umani, Eleanor Roosevelt, forza motrice della creazione dello statuto

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BIBLIOGRAFIA

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