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Esegesi laica

Date post: 02-Mar-2016
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Testi su Tranfo, Mazzero, Pesce, Destro, Barbaglia, Magli, Ajtmatov

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  • homolaicus.com

    san Tommaso d'Aquino

  • Prima edizione 2013

    Il contenuto della presente opera e la sua veste graficasono rilasciati con una licenza Common ReaderAttribuzione non commerciale - non opere derivate 2.5 Italia.Il fruitore libero di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico,rappresentare, eseguire e recitare la presente operaalle seguenti condizioni:- dovr attribuire sempre la paternit dell'opera all'autore- non potr in alcun modo usare la riproduzione di quest'opera per fini commerciali- non pu alterare o trasformare l'opera, n usarla per crearne un'altraPer maggiori informazioni:creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/

    stores.lulu.com/galarico

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  • ENRICO GALAVOTTI

    ESEGESI LAICA

    cartacea e digitale

    Vince chi crede di poterlo fare.

    Virgilio

  • Nato a Milano nel 1954, laureatosi a Bologna in Filosofia nel 1977,docente di storia e filosofia, Enrico Galavotti webmaster del sito www.homolaicus.com il cui motto Umanesimo Laico e SocialismoDemocratico. Per contattarlo [email protected] pubblicazioni: lulu.com/spotlight/galarico

  • Premessa

    L'esegesi confessionale considera i testi evangelici e tuttiquelli del Nuovo Testamento come se fossero "veri" per definizione,le cui singole falsit non pregiudicano la verit complessiva, che siritiene "ispirata". Le falsit particolari vengono annoverate tra lesemplici sviste o banali imprecisioni, errori involontari da parte deicopisti.

    Per tale esegesi molto facile creare dei sillogismi apoditti-ci. Tuttavia, proprio a motivo di questa sua categoricit, per essa ri-sulta impossibile dialogare con un'esegesi laica, che per forza di cosenon pu vantare delle dimostrazioni ex cathedra. I ragionamenti diun'esegesi non confessionale possono essere soltanto basati sull'in-duzione e quindi sulla probabilit (Aristotele docet). Essi per hannoil vantaggio di essere aperti al confronto dialettico e si guardanobene dal pretendere un'adesione fideistica a un dogma indiscutibile.

    Questo per dire che mettere a confronto un'esegesi confes-sionale con una laicista, non ha alcun senso. Quando non ci si trovad'accordo neppure sulle premesse di un qualunque discorso, si fini-sce solo col perdere del tempo. Oggi un vero confronto possibilesolo tra differenti esegesi di tipo non confessionale, anche perch iragionamenti deduttivi (quelli da premesse generali indiscutibili) chefanno i credenti diventano, in ultima istanza, ripetitivi e molto poveridi contenuto. Qualunque conclusione, infatti, deve servire per lorosoltanto a dimostrare la validit delle premesse del sillogismo: nondeve aprire la mente a elaborare nuove riflessioni.

    Con questo naturalmente non si vuol sostenere che un'esege-si confessionale, siccome non in grado di dimostrare la validitdelle premesse dei propri sillogismi, non valga nulla. Ogni esegetadeve partire da premesse che ritiene vere: che poi qualcuno le riten-ga vere in senso dogmatico, mentre un altro ritenga che le propriesiano vere solo in senso probabilistico, la sostanza non cambia. I ra-gionamenti si fanno sempre sulla base di premesse che si voglionodimostrare. La differenza, semmai, sta nel modo in cui si permetteall'interlocutore di reagire di fronte a determinate conclusioni. Ed noto che nessuna confessione religiosa permette al credente di avere

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  • opinioni difformi da quelle canonizzate ufficialmente.Qui sta la vera differenza tra il dogmatismo della fede reli-

    giosa e la libert di critica della ragione laica. Se poi uno vuole so-stenere che i dogmi sono inevitabili quando si costruiscono strutturecomunitarie e che la libert di critica pu permettersela soltantoun'individualit isolata, allora bisogna rispondere che una comunitreligiosa basata sui dogmi, la prima a violare la libert di coscien-za.

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  • Per una storiografia laica dell'evento-Ges

    Chiunque compia una ricerca su Ges Cristo, ovvero su tuttala documentazione del cristianesimo primitivo, e viene inevitabil-mente a scontrarsi col fatto che chi ha prodotto quella documentazio-ne aveva, come si suol dire, "fede in Ges Cristo", non dovrebbe sol-tanto chiedersi fino a che punto tale documentazione possa essereconsiderata "storicamente obiettiva", ma anche se la suddetta "fede"debba per forza essere intesa nel medesimo senso "religioso" degliautori di quei documenti.

    Di questi due aspetti cerchiamo ora di spiegare il primo, po-nendoci la seguente domanda: se Cristo fosse stato un uomo "reli-gioso", potremmo considerare "storicamente obiettiva" un'esegesi ditipo religioso, cio confessionale? Noi tendiamo a negare sia che ilCristo fosse un credente, sia che una qualsivoglia storiografia reli-giosa possa essere storicamente obiettiva.

    Se il Cristo stato un "credente", solo una storiografia laicapu interpretarlo adeguatamente, proprio perch qualunque fede reli-giosa di per s, a prescindere dal modo come viene vissuta e anchedalla consapevolezza che se ne possa avere, una forma di alienazio-ne.

    Posto questo, veniamo alla seconda parte del problema. possibile che alla espressione "fede in Cristo" si possa dare una con-notazione laica? S, possibile, anzi bisogna farlo, soprattutto nelcaso in cui si ritenga che il Cristo non sia stato una persona credente.

    compito dello storico dimostrare che al tempo di Ges Cri-sto vivente la "fede" o la "fiducia" nei suoi confronti poteva manife-starsi in forme non espressamente religiose e, in particolare, chequeste forme potevano anche assumere connotazioni politiche e per-sino politico-rivoluzionarie, cio eversive.

    Perci anche la semplice espressione "fede in Ges Cristo",che di regola viene data per scontata nella sua accezione religiosa, varimessa in discussione, togliendo alla chiesa, o comunque all'esegesiconfessionale, il privilegio d'avere una sorta di monopolio interpreta-tivo.

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  • In sintesi: il fatto che la documentazione storica del cristia-nesimo primitivo ci presenti un Cristo religioso non motivo suffi-ciente per credere ch'egli lo fosse veramente, e questo per almenoquattro ragioni:

    1. Ges non ha scritto una sola parola; 2. l'unico documento ch'egli ci ha lasciato la Sindone, cheattesta l'esecuzione di un sovversivo politico, ritenuto, a cau-sa delle incredibili sevizie, particolarmente pericoloso: di re-gola infatti i sovversivi venivano o fustigati o crocifissi, aseconda della pericolosit, mentre i sovversivi religiosi, segiudei, venivano lapidati; se invece cittadini romani, veniva-no decapitati, ma in tal caso dovevano esserci motivazionipolitiche; 3. i documenti pi antichi intorno alla sua vicenda sono statiscritti almeno mezzo secolo dopo, quando Gerusalemme eragi stata distrutta e tutta la Palestina occupata dai romani, equindi sotto il peso di un condizionamento storico che in-dubbiamente favoriva un'interpretazione di tipo revisionista(nella fattispecie in senso mistico) dell'operato politico delCristo; 4. se vogliamo considerare le lettere di Paolo come fonteispirativa dei vangeli, allora bisogna precisare ch'esse propa-gandano un Cristo del tutto spoliticizzato, avulso dalle pro-blematiche della Palestina del suo tempo. Il Cristo di Paolo per cos dire decontestualizzato, privo di riferimenti spazio-temporali. Il Paolo che si convert sulla strada di Damasco, si conside-

    rava, inizialmente, un seguace di Pietro (cio credente nell'idea di re-surrezione del Cristo e di una imminente parusia trionfale), e lo restfino a quando, constatata l'assenza di tale parusia (a favore delnazionalismo ebraico), se ne distacc dopo l'incidente di Antiochia,rinviando alla fine dei tempi la resa dei conti, cio il cosiddetto"giudizio universale". Questa idea di Paolo fu condivisa per dal-l'ultimo Pietro.

    Detto questo, torniamo alla prima delle quattro ragioni echiediamoci: perch Cristo, che sicuramente aveva tutti i mezzi perpoterlo fare (e un'importante tradizione ebraica alle spalle), scelse di

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  • non scrivere una sola parola? difficile pensare che questo compor-tamento non sia stato dettato da una scelta consapevole.

    Per rispondere a tale domanda dovremmo porcene un'altra,dando per scontato che avesse lasciato scritto qualcosa di suo pugno:se l'avesse fatto, gli storici avrebbero davvero potuto avere notiziepi obiettive su di lui? Oppure dovremmo arrivare ad ammettere chel'unica condizione per poter avere notizie pi obiettive su di lui sa-rebbe stata quella che il suo tentativo rivoluzionario fosse riuscito?In tal caso infatti i suoi discepoli avrebbero sicuramente avuto menomotivi per mistificarlo.

    Va detto tuttavia che anche nel caso in cui il Cristo avessescritto qualcosa di suo pugno o che la rivoluzione avesse avuto buonesito, nulla avrebbe potuto impedire agli storici di dare opposte in-terpretazioni a medesime fonti.

    Non neppure da escludere che, se anche la rivoluzione fos-se riuscita e Cristo fosse morto serenamente di vecchiaia dopo averscritto le proprie memorie, i suoi successori, volendo, avrebbero po-tuto ribaltare tutte le sue conquiste e tutte le interpretazioni ortodosseche se n'erano date. Cose di questo genere sono comunissime lungola storia. Lo stalinismo, p.es., s'impose come l'erede pi coerente delleninismo. Il fascismo di Mussolini s'afferm come tentativo di rea-lizzare, dal punto di vista della piccola borghesia, gli obiettivi rivolu-zionari del socialismo.

    La scelta di non scrivere nulla dipesa probabilmente dallaconvinzione che la scrittura, ai fini della verit storica, non serve anulla. La sua stata una scelta nettamente anti-ebraica. Peraltro, im-maginiamoci che possibilit avrebbe avuto il Cristo, nel caso in cuiavesse lasciato dei testi scritti, di non vederseli manipolati una voltache il suo tentativo eversivo fosse fallito. Praticamente nessuna, tan-to pi che ai suoi tempi i testi erano scritti a mano e circolavano inpoche versioni, per lo pi a disposizione della classe dirigente, che lileggeva a un pubblico che si limitava ad ascoltare.

    Sono possibili manipolazioni persino oggi, con testi stampatie prodotti in migliaia di copie: figuriamoci cosa si sarebbe potutofare allora. Oggi la manipolazione avviene in tanti modi, del tutto di-versi da quelli di duemila anni fa: basti pensare a tutti gli ostacoli, senon impedimenti veri e propri, che esistono nel far circolare unapubblicazione, alla sua mancata segnalazione nei premi prestigiosi,

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  • al privilegio di recensirla che hanno i pochi addetti all'informazionepubblica, ai costi eccessivi di stampa e diffusione e pubblicit, al fat-to che una societ basata prevalentemente sull'informazione audiovi-siva non favorisce la diffusione della lettura, al fatto che i media, divolta in volta, impongono all'attenzione dell'opinione pubblica deter-minati argomenti e non altri.

    Duemila anni fa fu sufficiente lasciar credere che la tombavuota andava interpretata come "resurrezione di un morto" per otte-nere un'intera documentazione storica falsificata sull'evento-Ges.Non esiste neppure un testo del Nuovo Testamento o del cristianesi-mo primitivo che metta in discussione questa fondamentale tesi mi-stica, e tale unanimismo ha indotto molti storici a credere che l'avve-nimento in questione sia davvero accaduto.

    Se si fosse partiti subito dal presupposto che, nella predica-zione del Cristo, qualunque aspetto favorevole allo sviluppo dellafede religiosa va considerato spurio, cio in sostanza aggiunto suc-cessivamente alla sua predicazione, prima in forma orale poi scritta,noi ci saremmo risparmiati la fatica di cercare dei criteri con cui sta-bilire, con buona approssimazione, la storicit di ci che Cristo puaver detto o fatto.

    Infatti, qualunque criterio che non parta da questo presuppo-sto ha un'efficacia euristica ed ermeneutica prossima allo zero. Fac-ciamo solo due esempi. Sulla base del criterio della molteplice atte-stazione si sostiene che il Cristo abbia predicato il regno di "dio" odei "cieli". In realt tutto da dimostrare che il regno predicato dalCristo fosse davvero di "dio" e non dell'"uomo", fosse dei "cieli" enon della "terra".

    Questo per dire che se, in via preliminare, non ci s'intendesul significato delle parole, impossibile cercare di stabilire dei cri-teri scientifici. E, stante l'attuale documentazione religiosa su Cristo,quel che al massimo possiamo cercare di fare comprendere in chesenso i suoi seguaci intendevano la parola "regno" dopo la distruzio-ne di Gerusalemme, dopo la sconfitta della guerra giudaica controRoma. La storia del cristianesimo primitivo soltanto la storia delleorigini dell'interpretazione mistificata che si diede (anzitutto tra isuoi stessi seguaci) dell'operato del Cristo e che ad un certo puntodivent dominante.

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  • Ora prendiamo un esempio che, secondo molti esegeti, sod-disfa il criterio dell'imbarazzo: il battesimo di Ges. Stando a coloroche ne sostengono la storicit, tale evento sarebbe attendibile, inquanto col passare del tempo si cercato di ridurne l'importanza oaddirittura di tacerlo, come risulta in quella linea canonica che va dalprotovangelo di Marco a Giovanni. In realt quell'evento non maiaccaduto, e non perch un "figlio di dio" (consapevole di esserlo)non poteva essere battezzato da un uomo, quanto perch il Cristopolitico non poteva ritenere possibile che con un battesimo dipenitenza si sarebbe potuto risolvere il problema della corruzionedella classe sacerdotale che gestiva il Tempio.

    Nei Sinottici il battesimo di Ges viene messo bene in evi-denza semplicemente perch nell'ambito dell'operazione falsificato-ria (in senso mistico) operata nei confronti del Cristo (il quale avevarotto i ponti col Battista sin dal momento dell'epurazione delTempio), i cristiani poterono riprendere i rapporti con la correnteessenico-battista, dando ad essi una valenza esclusivamentereligiosa, sulla base di un compromesso molto preciso: i battistiavrebbero considerato Ges l'ultimo messia e l'unigenito figlio didio, mentre i cristiani avrebbero considerato Giovanni Battista ilprimo che ebbe consapevolezza di questa particolare identit delCristo. La conclusione del patto fu che i cristiani avrebbero adottatoil battesimo essenico come rito di iniziazione cristiana, in cui ilconvertito non si limita a pentirsi dei propri peccati, ma crede ancheche l'unica salvezza possibile proviene dalla divinoumanit delCristo.

    Nel quarto vangelo questa falsificazione ha dovuto fare iconti con una versione dei fatti che squalificava il battesimo sul pia-no politico, ritenendolo del tutto insufficiente per la realizzazione delregno. Di qui la defezione dei discepoli di spicco dalla comunit diGiovanni.

    Di questi esempi se ne possono fare a centinaia, ma non nevale la pena. Cercare di stabilire dei criteri di verificazione all'inter-no di testi mistificati non ha alcun senso. L'unica cosa che si pufare soltanto quella di cercare di capire i motivi per cui sono natecerte falsificazioni, ovvero che cosa di vero esse possono aver ri-mosso o manipolato.

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  • Sulla metodologia esegetica di Silvio Barbaglia

    I

    Barbaglia contro Cascioli

    Una questione di stile

    triste vedere un docente di Scienze bibliche presso il semi-nario diocesano di Novara, titolato a formare giovani seminaristi einsegnanti di religione, che a loro volta avranno a che fare col mon-do dei giovani, sbeffeggiare uno studioso come Luigi Cascioli di es-sere un "agronomo" di Bagnoregio, di avere un diploma in "agraria",di essere conterraneo di classi "rurali" Come se la provenienzageografica, socioeconomica o scolastica di uno studioso dovesse es-sere un discrimen per qualificare il valore delle argomentazioni chesostiene.

    triste questo razzismo culturale da parte di un docente chedovrebbe insegnare ai propri allievi il rispetto e la tolleranza, e faspecie in un prelato che, proprio per il ruolo che ricopre, dovrebbefavorire pace e concordia, anche quando gli avversari appaiono durie intransigenti.

    Atteggiamenti come quelli di don Silvio Barbaglia, nel suolibro La favola di Cascioli www.lanuovaregaldi.it/doc/evento/Ca-scioli.pdf tradiscono una pretesa che oggi ha sempre meno ragionedi esistere: quella del monopolio interpretativo da parte della chiesaromana in relazione alle verit cristiane e al fenomeno religioso ingenerale.

    Una questione di metodo

    Considerando che le fonti neotestamentarie da tempo gli ese-geti pi scrupolosi stentano a reputarle come assolutamente autenti-che o attendibili (in fondo stato proprio dal dubbio che nata lacritica testuale), non c' alcun bisogno di inveire contro chi proponeipotesi o anche tesi interpretative divergenti da quelle ufficiali o tra-

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  • dizionali (che in Italia, come noto, coincidono con quelle ecclesiasti-che).

    Alla fin fine si tratta di un punto di vista contro un altro, percui, se non vogliamo tornare ai tempi bui delle scomuniche, dovrem-mo lasciare ai lettori o addirittura alla storia il compito di stabilirequale versione dei fatti sia la pi vera o verosimile. Rispondere adelle pretese esegetiche, che in effetti possono anche apparire dog-matiche, con altre non meno perentorie, non aiuta certo lo sviluppodella ricerca e dello spirito critico.

    La mancanza di serenit interiore, quando si affrontano ar-gomenti cos cruciali per le sorti di convinzioni religiose radicate neisecoli, tradisce stati ansiogeni, di risentimento o di paura, che non siaddicono a chi fa dell'indagine critica una delle ragioni della propriavita.

    Una questione di merito

    Forse il Cascioli pu aver esagerato negando l'esistenza sto-rica al Cristo (cosa che prima di lui molti altri hanno fatto), ma per-ch non ammettere che persino negli ambienti cattolici pi avanzatisi d per acquisita la differenza tra "Ges storico" e "Cristo dellafede"?

    Al giorno d'oggi diventa quanto meno discutibile usare argo-mentazioni a favore del "Cristo della fede" per sostenere delle tesi afavore del "Ges storico".

    Sono piani diversi, che non dovrebbero legittimarsi a vicen-da, non foss'altro perch tale distinzione frutto di studi condotticon rigore scientifico in ambienti protestantici stimati in tutto ilmondo, che per molti aspetti hanno portato a considerare le fontineotestamentarie quanto meno imprecise, ambigue, reticenti, se nonaddirittura fuorvianti: il che ha finito con l'aprire la strada a una vi-sione del tutto laica e razionale della vicenda legata al nome di Cri-sto.

    Prima della Scuola di Tubinga non si sospettava neppure chepotesse esistere una differenza tra "Ges storico" e "Cristo dellafede" (ancora oggi gli ortodossi la rifiutano, e a non torto, poichsanno benissimo che se si approfondisce quella differenza si rischiadi far cadere tutto il castello di carte false costruito intorno alla figu-

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  • ra di Ges, la prima delle quali quella relativa all'identificazione di"tomba vuota" e "resurrezione").

    Dunque il Cristo potr anche essere esistito, ma certamentenon assomiglia a quello rappresentato nel Nuovo Testamento, doveil suo messaggio di liberazione nazionale stato sostituito, a partiresoprattutto da Paolo, da uno di redenzione universale.

    Una questione politica

    Qui per se si entrasse nel merito di tutte le questioni affron-tate nel testo di Barbaglia, il discorso diventerebbe molto lungo.

    Si pu semplicemente osservare che ogniqualvolta si negaun qualunque valore alla tesi secondo cui il Cristo (o chi per lui) sa-rebbe stato un politico rivoluzionario, e che furono i suoi discepoli(o forse solo alcuni di essi, quelli che alla fine prevalsero) a trasfor-marlo in un redentore morale, di fatto si finisce con lo schierarsiapertamente dalla parte di chi non ama che vengano messi in discus-sione i poteri politici acquisiti della chiesa romana.

    Una posizione del genere, per quanto documentata e forbitapossa presentarsi al lettore, non ha alcun valore esegetico. Infatti seun intellettuale cattolico deve limitarsi a usare le migliori acquisizio-ni della critica redazionale protestante solo allo scopo di difendereuno status quo clericale, allora sarebbe quasi meglio che affidasseunicamente alla forza della fede e della tradizione - come fanno ap-punto gli ortodossi - il valore della propria confessione.

    Gli intellettuali cattolici, sotto questo aspetto, appaionocome lacerati da un conflitto di coscienza: non hanno il coraggioprotestante di un affronto disincantato delle fonti neotestamentarie enon hanno neppure il coraggio ortodosso di sostenere che la forzadella fede non pu poggiare su principi politici.

    Una questione ermeneutica

    Purtroppo il Barbaglia, preso com' a difendere privilegi ac-quisiti, non s' accorto che quando si vuole sostenere con caparbietla tesi secondo cui le fonti cristiane a nostra disposizione sono anti-chissime, risalenti addirittura al I secolo, quindi vicinissime ai fattinarrati; quando si vuole sostenere questo proprio allo scopo di dimo-

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  • strare che i cristiani credettero subito nella resurrezione del Cristo enella sua figliolanza divina, e che quindi non ci fu affatto una falsifi-cazione tardiva, operata quando tutti i protagonisti della prima gene-razione erano gi morti, non ci si accorge che se davvero le fonti sto-riche risalgono al I secolo, noi dobbiamo inevitabilmente concludereche la falsificazione del messaggio di Cristo inizi subito dopo lasua morte, tra i suoi stessi seguaci, all'interno di quella inspiegabiletomba vuota.

    La tesi di questi intellettuali cattolici si ritorce come un peri-coloso boomerang contro la stessa credibilit della chiesa cristiana,la quale verrebbe a poggiare le propria fondamenta su una falsifica-zione ancora pi antica di quello che si credeva.

    Il Nuovo Testamento nato per rassicurare i romani che icristiani non erano "nazionalisti" come gli ebrei, ma "cosmopoliti";non erano interessati alla "politica" ma alla "religione"; non si rivol-gevano "alla carne e al sangue" ma alle "potenze dell'aria".

    Oltre Cascioli?

    Posta tale questione ermeneutica, ci si pu chiedere, rivol-gendosi a Cascioli e ai suoi epigoni: per quale motivo, se si accettal'idea di un messia ebraico eversivo di duemila anni fa, non c' mododi riferirla a una figura come Cristo e si pu al massimo riferirla a unpersonaggio extracanonico come Giovanni di Giscala? Perch teme-re che, nell'utilizzare le medesime fonti neotestamentarie, non si sa-rebbe potuto ugualmente dimostrare la presenza di tale aspetto nellapredicazione del Cristo? L'esegesi laica odierna, alla luce della mo-derna critica testuale, non forse in grado di stabilire con relativa si-curezza che i vangeli, pur avendoci tramandato un Cristo del tuttospoliticizzato, contengono aspetti che si possono interpretare moltodiversamente?

    Gli intellettuali laici hanno forse timore di farsi mettere incrisi dalle osservazioni di Barbaglia, che si diverte a ridicoleggiare letesi dell'agronomo Cascioli, ipotizzando soluzioni interpretative op-poste? Cos infatti scrive nella nota 103: "Per quanto i cristiani deiprimi secoli avessero la preoccupazione di mostrare un'immagineforte di un cristianesimo battagliero contro l'eresia, attribuendo azio-ni di coraggio agli apostoli e mettendo in bocca parole violente allo

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  • stesso Ges al fine di legittimare una propria guerra di religione, nonsono riusciti ad occultare la vera essenza del messaggio e della pras-si di Ges e del suo gruppo, di natura pacifica e non violenta, in op-posizione all'uso della forza e secondo una separazione radicale traCesare e Dio!".

    Peccato che il Barbaglia non ci dica dove i cristiani avrebbe-ro fatto questo, quando si sarebbero comportati cos. Questo giocodelle possibilit teoriche astratte poteva andare bene tra i sofisti altempo di Socrate: di fatto tutto il Nuovo Testamento presenta il Cri-sto e i cristiani in maniera tale che i poteri dominanti (quelli romani)potevano dormire sogni tranquilli.

    Oltre Barbaglia?

    Contestare Cascioli per aver detto che il Cristo dei vangelinon mai esistito, e ribadire la tesi del Cristo redentore, rispecchiauna posizione superata, che non fa progredire di un millimetro la ri-cerca storica.

    assurdo pensare che non ci possono essere falsificazioniintorno alla vicenda di Cristo proprio perch il soggetto in questione "figlio di dio"! O che una tesi non ha alcun valore argomentativofinch non dimostrata da fonti storiche inoppugnabili.

    Noi viviamo a duemila anni di distanza dai fatti che voglia-mo cercare di capire. Persino di fronte a un incidente stradale di cuisiamo testimoni oculari, spesso dobbiamo costatare versioni opposte.

    Dunque, se pu anche essere giusto contestare a Cascioli ilfatto che quando si considera irreale l'esistenza storica del Cristoevangelico, ci di per s non pu implicare che non sia esistito unCristo politicamente impegnato, si sarebbe comunque fatta pi bellafigura formulando nuove domande interpretative: p.es. perch la ri-voluzione del Cristo fall? Perch dopo la sua morte non fu prosegui-ta? Perch si fece di un evento politicamente insignificante (la tombavuota) il fulcro di tutta la sua predicazione? Se la rivoluzione di Cri-sto fu politica e non religiosa, come si configura il ruolo di Giuda?

    Ma se da Nazareth non pu venire nulla di buono, potr ve-nire qualcosa di buono da un seminario di Novara?

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  • II

    La difesa di don Silvio Barbaglia1

    Una questione di "stile", appunto!

    1) Parto dalla prima questione di Galavotti, quella dello "sti-le". Egli pensa allo stile del mio scritto in termini moralistici, siscandalizza che un educatore possa dare cos il cattivo esempio aisuoi educandi. Lunica cosa giusta del punto di Galavotti il titolo:"questione di stile"! in effetti una questione di "stile", ma di stileletterario, di genere letterario usato! Il genere letterario usato abba-stanza palese a chiunque si accosti a leggere il mio La favola di Ca-scioli. Inconfutabile dimostrazione dellinfondatezza delle tesi del-lagronomo Luigi da Bagnoregio (scaricabile in www.lanuovaregal-di.it). Chiunque vedrebbe che la struttura retorica retrostante fun-zionale al "rispedire al mittente" ogni accusa che il Cascioli rivolgealla chiesa cattolica. Il titolo, il sottotitolo, lutilizzo della professio-ne di "agronomo" per inquadrare la persona che dibatte in tema distoricit del cristianesimo, luso dellaggettivo "inconfutabile" pivolte ribadito, il richiamo ai "falsari" e le denunce a don Enrico Ri-ghi, che si adattano meglio al Cascioli che al Righi il tutto perconfigurare un "teorema", appunto il "teorema di Cascioli". Riman-dare al mittente tutte le accuse rivolte nei confronti della chiesa cat-tolica era listanza retorica retrostante allintero testo "semiserio" eneppure di difficile decifrazione. Anche usando toni potenzialmenteoffensivi con chi, senza mezzi termini, li ha usati per anni, attraversopubblicazioni, sito Internet e media nazionali e stranieri. Sia chiaroche non stato certo un sentimento di livore o di rabbia che ha pro-dotto quello scritto. No, per il semplice fatto che: primo, neppure co-nosco personalmente Cascioli; secondo, mi sono attenuto il pi pos-sibile al genere letterario volutamente polemico, ben cosciente di su-scitare provocatoriamente la questione per un giusto dibattito (sebbe-ne questo abbia superato anche le mie attese). Ogni contesto comu-nicativo prevede dei codici. Pensando di lanciare la cosa in Internet econoscendo i dibattiti in atto, ho valutato che questa forma comuni-cativa potesse essere efficace per la finalit che mi ero preposto: mo-1 Presa dal sito www.lanuovaregaldi.it - Novara, 16 maggio 2007.

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  • strare linfondatezza delle tesi sostenute da Luigi Cascioli seguite adocchi chiusi da tantissime persone... Certamente, se avessi pensatoad una pubblicazione scritta - in luogo di quella elettronica per frui-zione via Internet - avrei dato forma e contenuto assolutamente di-versi, soprattutto mi sarei dovuto rivestire direttamente della modali-t tipica della pubblicazione scientifica come regolarmente faccioquando pubblico in tema di scienze bibliche.

    2) Solo la distinzione chiara tra "autore reale" e "autore im-plicito" (guadagno delle scienze del linguaggio e dellermeneuticaletteraria del sec. XX) riesce a far giustizia di un giudizio fondato sulsecondo procedimento messo in atto. Senza conoscere lautore realee senza documentarsi (bastava anche solo scrivere il mio nome ecognome in un motore di ricerca e sarebbe stata abbondante la moledi possibilit di giudizio su altri aspetti del sottoscritto) facile la-sciarsi andare a giudizi complessivi sullautore reale che procedonoproprio soltanto dallunico testo letto (dove parla lautore implicito),con il rischio di non cogliere la logica sottesa, di carattere retorico,rispondente ad un genere letterario preciso.

    Il caso di Luigi Cascioli invece diverso, perch egli nonsolo ha scritto un libro e lo ha fatto stampare per diffonderlo (quindicon "pretesa" ben diversa da quella del sottoscritto), ma a capo diun intero sito (www.luigicascioli.it), rimanda a link ad altri siti ana-loghi per acredine contro la chiesa cattolica, ripreso dai motori diricerca su circa 60.000 link in tutto il mondo, sempre e solo per que-stunica battaglia contro la chiesa cattolica. In quel caso, posso dire,senza grossi timori di essere smentito, che il Cascioli ha fatto dellabattaglia contro il fondamento del cristianesimo (Ges Cristo maiesistito!) e contro la Chiesa cattolica la sua ragione di esistenza inquesti anni. La continuit tra le caratterizzazioni dellautore implici-to e dellautore reale qui maggiormente verificabile. Possiamoquindi affermare che anche listanza del "lettore implicito" del miotesto - ovvero il progetto di lettore di cui il testo si fa portatore -, cor-risponde chiaramente a questo Luigi Cascioli, qui appena tratteggia-to, in compagnia di tutti coloro che ne condividono lo stile e i conte-nuti e, tra questi, evidentemente anche Enrico Galavotti. La differen-za quindi che il sottoscritto si rivestito di quella vis polemica alfine di usare uno stile simile ma con contenuti diversi di chi vuolecondurre solo una "battaglia contro".

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  • In sintesi, la scelta del genere utilizzato e dello stile sono sta-ti voluti per raggiungere finalit che, come si sa, non solo non con-vincono facilmente soprattutto chi si oppone alle tesi sostenute, maaddirittura, creano fastidio e repulsione in personalit con caratterepacato che non amano la polemica "contro" o in chi si oppone risolu-tamente alle tesi esposte; fastidio e repulsione che si manifestano invari modi, da considerazioni etiche professionali (come Enrico Gala-votti), legate al "buon esempio" delleducatore alla svalutazione delcontenuto del testo, per acredine e polemica gratuita (come tra icommenti letti nei blog e nei forum).

    Una questione di metodo, appunto!

    La critica a Luigi Cascioli non certo stata elaborata dal sot-toscritto perch sosterrebbe tesi discordanti dalle mie, bens per ilmetodo usato funzionale al dogmatismo storiografico tra i pi radi-cali che abbia mai riscontrato. Le sue sono asserzioni prive di docu-mentazione, senza una sola citazione bibliografica ma sempre dog-matiche. Le verifiche svolte con acribia su porzioni del suo testo mo-strano imprecisioni, pressappochismi impressionanti

    Il mio scritto dovrebbe essere sufficiente a mostrare tuttoquesto: smentirlo possibile, certo, ma portando prove e non soloaffermazioni generiche e apodittiche "alla Cascioli". Ci sono dei ri-ferimenti che vanno oltre lopinione, la documentazione offre unasua base di oggettivit. Anche i pi radicali decostruzionisti ricono-scono anchessi una resistenza oggettiva del testo in opposizione aduna teoria radicale di interpretazione infinita. Quindi nella ricercastorica si procede vagliando, documentando, ragionando Quandosi mettono in campo questi aspetti metodologici possibile uninte-sa, diversamente dogma allo stato puro. Il libro di Cascioli unaforma di scrittura ex-cathedra. Il mio, in molte sue parti, ne imita lostile con la finalit di relativizzare la pretesa dogmatica. E poi sareb-be la Chiesa ad essere dogmatica!

    Gli stati ansiogeni o di serenit interiore evocati dal Galavot-ti, infine, sono certamente da riferirsi al Cascioli, a meno che eglinon abbia capito la forma letteraria del mio scritto che, nella suacomposizione, ha provocato in me tuttaltro stato danimo: oltre adavermi impegnato mi ha anche divertito. Ma senza minimamente du-

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  • bitare che quel titolo di "agronomo" dato al Cascioli avrebbe potutosuscitare sentimenti di discriminazione culturale poich lagronomia appartenuta alla sua formazione e alla sua professione. Io dovreioffendermi se mi danno del "prete"? Penso proprio di no. Nessunovieta ad un agronomo di essere esperto di storia antica, di origini delcristianesimo e di scritture, ma lo deve dimostrare. E viceversa: nes-suno vieta ad un esperto di filologia biblica di minare alla base i car-dini fondamentali della scienza agronomica, ma lo deve mostrarenon basta "sparare". Per chi del mestiere pi facile collocarsi neidibattiti alti, per chi non lo deve conquistarsi il posto mostrando lecompetenze. Questa non discriminazione ma metodo scientificonormale in tutti i campi della conoscenza. Cascioli invece ha dimo-strato il contrario! Mi si dica, con cognizione di causa, dove e in checosa nel suo libro e nel suo sito il Cascioli si mostra uno "studioso"nellaccezione tecnica del termine!

    Una questione di merito, appunto!

    Sul "Ges della storia" e il "Cristo della fede" siamo di fron-te a tre secoli di discussioni che non possono essere qui ripresi. Ilmio scritto non prendeva in considerazione tale tematica ma solo ladimostrazione che le due prove avanzate dal Cascioli (che avevanola pretesa di mostrare in modo inconfutabile la non esistenza storicadi Ges) erano cos deboli da mostrarsi esse stesse capi daccusacontro lui medesimo al posto di don Enrico Righi: ovvero laccusa diabuso di credulit popolare e di sostituzione di persona. Un autogolche pochi sarebbero stati capaci di congegnare.

    In ogni caso se il sig. Galavotti desidera leggere che cosapenso sinteticamente in merito alla questione complessa del "Gesdella storia" e del "Cristo della fede" pu scaricarsi il testo di recen-sione al libro di C. Augias e M. Pesce, Inchiesta su Ges in: www.-lanuovaregaldi.it/doc/evento/Recensione%20Pesce%20e%20Terza%20ricerca.pdf dal titolo: In margine alla discussione del libro-in-tervista di Corrado Augias - Mauro Pesce.

    Una questione politica, meglio "fantapolitica"!

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  • Volere etichettare - nel caso: intellettuale cattolico - senzaentrare nel merito della discussione, delle prove, delloggetto stesso volere sfuggire dal tema trattato. Il sig. Galavotti che procede con iclassici clich ed etichette attribuisce al sottoscritto interessi di poli-tica ecclesiale garantista di poteri acquisiti a partire gi dalla formadella cristologia del redentore morale contro il rivoluzionario politi-co.

    Da parte mia nessuna di queste preoccupazioni, ma soloquella della ricerca attraverso studi di settore approfonditi, le fonti,andando ai testi originali, consultando i manoscritti antichi, fino aleggere i facsimili di tutti gli antichi manoscritti dei primi secoli. Gliintellettuali cattolici sono molto pi vari, seri e liberi di quanto pensiEnrico Galavotti che trovo, lui s, molto pi "fatto con lo stampino"dellhomolaicus segnatamente anticlericale. Sento pi variet di gu-sto e di prospettive nel cattolicesimo e molta pi libert dipensiero

    Una questione ermeneutica, ma quale ermeneutica?

    Si parla di falsificazione del cristianesimo. Non so a qualiintellettuali cattolici si riferisca il Galavotti. Io so solo che se il rife-rimento allambito scientifico della Terza ricerca (Third Quest),allora possibile intenderci su un piano almeno comune di ermeneu-tica storica; se invece si vogliono fare degli scoop, allora un altropaio di maniche, ma lermeneutica unaltra cosa. I criteri storiogra-fici del Cascioli sintetizzati al termine del mio scritto ben si attaglia-no anche al Galavotti se non documenta ma asserisce soltanto.

    Oltre Cascioli? Speriamo!

    Quando la storia si scrive sapendo gi come deve andare afinire ancor prima davere ricercato una storia smaccatamenteideologica. Che Ges fosse un rivoluzionario politico unipotesi dilavoro vecchia come la storia della ricerca sulla vita di Ges. Pinessuno resta stupito da questa posizione. Si resta stupiti quando lasi afferma ritenendola "oro colato", verit assoluta. Tale posizione stata teorizzata, smontata, contestata e oggi, in ambiente scientificodella "Terza ricerca" quasi pi nessuno ritiene possa essere un ambi-

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  • to significativo per interpretare la figura del rabbi Ges. Ecco il sen-so dell"ipotesi al contrario" della nota 103. Basta essere convinti diunidea, poi i documenti e i testi che in qualche modo danno ragioneallideologo si trovano, anche attraverso contraffazioni, citazioni in-ventate, personaggi creati ad hoc Luigi Cascioli, abbiam visto, inquesto maestro non solo in Israele

    Oltre Barbaglia? Verso lhomolaicus Galavotti? Auguri!

    Loggetto del mio studio, che evidentemente Galavotti nonha considerato nelle sue articolazioni logiche e contenutistiche, nonera la tesi del Cristo redentore, ma, lo ripeto, dimostrare linfonda-tezza delle due tesi di Cascioli. Stop, solo questo! Se avessi dovutoconsiderare il problema del Ges storico tout court o del Ges comefiglio di Dio, redentore, Signore, ecc. avrei avuto bisogno di ben al-tro spazio letterario. Capisco che sono queste le cose che interessanoal Galavotti, perch in questo vorrebbe ribadire per lennesima voltache il Ges della storia ha niente a che fare con il Cristo della fede.Tutte le domande che mi pone hanno gi una risposta nella sua testae nel suo cuore, perch appartengono non tanto alleuristica ma alprodotto gi preconfezionato. Non voglio dunque rovinarglielo. Ga-lavotti, infine, si domanda: "Ma se da Nazareth non pu venire nulladi buono, potr venire qualcosa di buono da un seminario diNovara?". Beh, bisogna ammettere, che lunica parte del discorsodi Galavotti divertente e simpatica. Auguri!

    Piccola controreplica

    Don Silvio Barbaglia non si rende conto che chiunque puinterpretare le "sacre scritture", non solo i sacerdoti, i teologi, i bibli -sti, gli esperti in materia. Non vuole ammettere una cosa su cui si di-scute sin dai tempi dei primi vangeli apocrifi. E che, in questa inter-pretazione, uno studioso debba necessariamente partire dal presup-posto che le fonti neotestamentarie sono manipolate, mistificate, in-terpolate, sono secoli che lo si d per scontato. Interpretare alla lette-ra tali fonti la cosa pi sciocca di questo mondo, che non fa progre-dire di un millimetro lesegesi critica. Non a caso Barbaglia predilig-e la "Terza ricerca", cio quella che pi savvicina a uninterpreta-

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  • zione "confessionale" di quelle fonti. E poi ha il coraggio di scrivere,pensando che questo rischio lo possano correre solo gli altri, gli "an-ticlericali": "Quando la storia si scrive sapendo gi come deve anda-re a finire ancor prima davere ricercato una storia smaccatamenteideologica".

    III

    Un intellettuale di stile non s'imbarbaglia

    incredibile che un insegnante dia del "moralista" a un altroinsegnante (il sottoscritto) perch quest'ultimo s' permesso di direche non si pu criticare una persona mettendo continuamente in lucele sue origini sociali, geografiche o gli studi scolastici che ha fatto ingiovent.

    come se io in classe dessi per scontato che uno studente diorigine bulgara o marocchina o di provenienza rurale o montana nonpotesse fare altro che prendere un voto scadente. E siccome Barba-glia sostiene che sulla base di un certo stile letterario anche possi-bile concedersi licenze di bassa lega, io in classe potrei tranquilla-mente prendere in giro gli stranieri, i contadini o i montanari, facen-do leva sulle differenze nei livelli di apprendimento, rispetto aglistudenti urbanizzati, figli di genitori laureati, posizionati e quant'al-tro.

    Chiss perch non m' mai venuto in mente di poter usareuna "struttura retorica retrostante" con cui dileggiare chi, provenen-do dalla montagna, si fa beffe della nostra civilt inquinata o chi,provenendo dalla Bulgaria, mi dice che la religione ortodossa non ri-conosce l'autorit del papa.

    Interessante inoltre la teoria pedagogica secondo cui sem-pre bene mettersi allo stesso livello di chi ci sta di fronte, anche neicasi in cui forse un maggiore distacco avrebbe aiutato meglio il let-tore a capire da solo la fondatezza delle tesi dei rispettivi contenden-ti.

    Personalmente non riesco neppure a capire chi abbia stabili-to che il digitale meriti meno riguardi del cartaceo, poich, propriosulla base di questa erronea percezione di valore, un intellettualecome Barbaglia si sentito autorizzato ad usare uno stile volutamen-

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  • te polemico. Davvero gli avversari semplicemente "telematici" nonhanno credenziali sufficienti per essere trattati con maggiore rispet-to?

    Peraltro lo stesso Barbaglia costretto ad ammettere che letesi di Cascioli vengono "seguite ad occhi chiusi da tantissime perso-ne". Dunque perch usare uno stile cos basso nei confronti di decinedi persone, che hanno deciso di proseguire autonomamente nei lorositi e blog le tesi di questo famoso "agronomo"? Solo perch appar-tengono al web? Eppure lo stesso Barbaglia si chiede perch io nonabbia usato, guarda caso, proprio un motore di ricerca per verificarese lui stesso in altri testi non avesse usato uno stile pi scientifico. E,di grazia, mi si vuole spiegare il motivo per cui un intellettuale chenormalmente scrive in maniera scientifica, improvvisamente scadein un linguaggio da bar quando ha a che fare con un polemista ag-guerrito ben presente nel web nazionale e internazionale?

    O forse la risposta a questa domanda sta nel fatto che Ca-scioli, secondo Barbaglia, non merita uno stile scientifico in quantolo stile da lui usato soltanto provocatorio e denigratorio nei con-fronti della chiesa? Ma allora perch uno scienziato deve darsi tantoda fare per un testo e un sito che in fondo potrebbero anche giudicar-si da soli? Quanto tempo durano le cose non sufficientemente moti-vate e fondate? Non sarebbe forse stato meglio ignorarle?

    Evidentemente non si poteva e forse proprio perch qui si haa che fare con "un sito ripreso dai motori di ricerca su circa 60.000link in tutto il mondo". Cascioli cos famoso che secondo Barba-glia lo stesso autore del sito homolaicus.com "ne condivide lo stile ei contenuti". Accidenti che svista prof. Barbaglia! Rimproverare ame di non saper distinguere tra "autore reale" e "autore implicito",solo per il fatto di non aver digitato il suo nome in un motore di ri-cerca, e cadere nella stessa svista subito dopo, non mi sembra un at-teggiamento molto "scientifico": io di Cascioli non condivido n lostile n i contenuti, e se lei avesse usato un qualunque motore di ri-cerca si sarebbe accorto che da un decennio in rete ho assunto, inmerito all'analisi delle fonti neotestamentarie, una posizione pi"storicistica" che "mitologistica".

    E comunque rinfacciare al Cascioli di usare "una forma discrittura ex cathedra" quando fino alle ricerche protestanti in materiadi esegesi la chiesa romana era proprietaria di una forma analoga, mi

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  • pare quanto meno ingeneroso. Sono innumerevoli i libri che dettachiesa ha vietato di leggere dal 1558 fino al 1966 (ci sono anche al-cune opere di Dante Alighieri, Rosmini e Gioberti!).2 Sarebbe statosufficiente sostenere che a dogma non si risponde con dogma e nonche le interpretazioni cattoliche del dogma cristiano sono pi vere diquelle laiciste.

    Vorrei qui chiudere la questione dello stile riportando questoinfelice interrogativo di Barbaglia: "Io dovrei offendermi se mi dan-no del 'prete'?". Personalmente mi chiedo se una domanda del generesia sufficiente per considerare lecito il fatto che lei abbia dato del"rurale", dell'"agronomo", dell'"agrario" a uno studioso del cristiane-simo? Temo che questa finta ingenuit non faccia che peggiorare ifastidi di "moralisti" come me.

    Per quale ragione infatti lei dovrebbe considerare la parola"prete" un epiteto? Non forse il suo mestiere? Tra l'essere sacerdo-te e studioso del cristianesimo vede forse molta differenza? Non haforse considerato il lavoro intellettuale come una naturale conse-guenza di una vocazione interiore?

    strano che un intellettuale come lei, che pur si accortoche la maggior parte delle tesi di Cascioli non sono farina del suosacco ma derivate da autori stranieri, non sia arrivato a immaginareche questi stessi autori possono aver documentato ampiamente leloro tesi. E allora che dire di costoro? Che, pur non essendo "agrono-mi", restano degli incompetenti?

    Vorrei qui aggiungere che indubbiamente vero che Cascio-li un novizio rispetto ai grandi esegeti critici del cristianesimo pri-mitivo e che si serve di fonti per lo pi francesi, che oggi, nel loroaccanito positivismo, consideriamo superate, in quanto preferiamoassumere atteggiamenti pi possibilisti circa l'autenticit di una figu-ra storica come il messia Ges, per quanto enormemente mistificatadai redattori cristiani; ma anche vero che nel generale torpore incui versa l'atteggiamento laico verso le fonti neotestamentarie, pipredisposto verso l'indifferenza agnostica che alla critica puntuale, ilavori editoriali di Cascioli, nonch di Donnini, hanno determinatoun piccolo terremoto nel web nazionale. Al punto che oggi pratica-mente impossibile sostenere che la critica del cristianesimo primitivonon abbia assunto proporzioni preoccupanti per una chiesa abituata2 Cfr www.aloha.net/~mikesch/ILP-1559.htm

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  • da sempre a gestire le verit di fede in termini prevalentemente poli-tici o comunque monopolistici.

    Quanto al resto, Barbaglia sa sicuramente meglio di me chegli eventi storici influiscono sulle motivazioni dei ricercatori: quan-do spopolavano le idee del socialismo, l'interpretazione che si davadel Cristo era quella di un rivoluzionario; oggi che domina il neoli-berismo si tornati a parlare di Cristo redentore e profeta. Ed en-trambe le versioni sono state sempre ampiamente documentate. Dun-que non affatto vero che il tempo, di per s, rende superate deter-minate tesi; semmai quelle che paiono pi convincenti vengono ri-prese e riformulate (come fece la Scolastica con l'aristotelismo o l'U-manesimo col platonismo).

    Lo sa bene anche la chiesa, che quando ha a che fare conteologi del calibro di Hans Kng, Jacques Pohier, Edward Schille-beeckx, Leonardo Boff, Charles Curran, Tissa Balasuriya, Anthonyde Mello, Reinhard Messner, Jacques Dupuis, Marciano Vidal, Ro-ger Haight, Jon Sobrino, Uta Ranke-Heinemann fa presto a scomuni-carli o a sospenderli dall'insegnamento.

    *

    Cascioli rappresenta la vecchia esegesi positivistica france-se, che in Russia si chiamava mitologista, e che partiva dal presup-posto dell'inesistenza di Cristo. Questa esegesi si oppone non solo aquella confessionale ma anche a quella storicista di derivazione lai-ca, che parte infatti dal presupposto di questa esistenza, pur metten-do in discussione l'interpretazione datane da tutto il cristianesimo(cio dal Nuovo Testamento a oggi, con parziale esclusione di quelladei teologi della liberazione).

    Indubbiamente i mitologisti fan bene ad affermare che non sipu sostenere l'esistenza del Cristo sulla base dei soli vangeli cano-nici, ma se ci si ferma a questo non si riesce a fare il passo successi -vo, che quello di cercare di capire non tanto la falsificazione quan-to piuttosto la mistificazione. C' differenza tra le due cose: per i mi-tologisti si tratta solo di falsificazione, per gli storicisti invece c' dimezzo la mistificazione, che una falsificazione compiuta su coserealmente accadute.

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  • Portando alle estreme conseguenze le tesi dei mitologisti siarriva a dover concludere che la falsificazione altro non stata cheuna pura invenzione di fatti mai accaduti. I vangeli cio vengono pa-ragonati a una sorta di Donazione di Costantino, con cui comunquela chiesa s'assicur per ben 700 anni il dominio temporale del papa-to.

    IV

    Videmus nunc per speculum in enigmate

    Queste riflessioni vogliono essere un commento alle osser-vazioni critiche che don Silvio Barbaglia ha fatto al testo di C. Au-gias - M. Pesce, Inchiesta su Ges. Chi era l'uomo che ha cambiatoil mondo, ed. Mondadori, Milano 2006.

    Il valore della fede

    Testi come quello di Augias-Pesce, oggi sempre pi nume-rosi, rendono esplicito un fatto che alla chiesa romana piace sempremeno, e cio che un'analisi storica delle fonti neotestamentarie pusalvaguardare una certa "fiducia" nei confronti dell'uomo-Ges, ri-nunciando per del tutto alla "fede" nel Cristo figlio di dio. Di fattola "fede personale" non solo si presenta come ingrediente del tuttoinutile nell'indagine storica di quelle fonti, ma addirittura diventafuorviante, in quanto impedirebbe una qualunque reinterpretazionecritica di quelle stesse fonti.

    In effetti, dando per scontato che gli aspetti religioso-confes-sionali siano all'origine della predicazione del Cristo, appunto perchcos essi appaiono nelle fonti cristiane pi antiche, gli esegeti cre-denti non riescono ad accettare che uno storico possa mettere in di-scussione tale postulato. E per loro, non rassegnati all'idea della finedi un loro monopolio interpretativo delle verit cristiane, dunquedifficile pensare che sulla base di questo postulato si possa impostareun confronto che porti a risultati convergenti.

    Don Silvio Barbaglia p.es., per il quale la prova della veritdelle fonti neotestamentarie sta proprio nel fatto che esiste ancoraoggi una chiesa che crede in quelle fonti, considera i racconti relativi

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  • all'ultima cena, quelli in cui - secondo la chiesa - il Cristo d per cer-to che verr tradito e ucciso, come la quintessenza della nascita delcristianesimo, quando proprio in quei racconti la falsificazione reda-zionale raggiunge uno dei suoi massimi livelli. E dice questo senzarendersi conto che su molte parti di quelle stesse fonti vi sono inter-pretazioni discordanti persino all'interno delle stesse confessioni cri-stiane (si pensi p.es. al passo matteano sul cosiddetto "primato diPietro").

    Ebbene, noi sappiamo che anche il mondo contadino ha cre-duto per millenni in tante verit agricole, trasmesse oralmente, maquesto non ha impedito alla borghesia di distruggerle con la forza.La differenza tra coscienza laica borghese e coscienza laica demo-cratica sta proprio in questo, che oggi non si vuole distruggere conla forza alcuna verit, ma si vuole lasciare al libero dibattito la for-mazione di una consapevolezza critica del fenomeno religioso. di-sposta la storiografia confessionale a un confronto del genere?

    Ora, se disponibile a un dibattito franco e aperto, perch,pur non chiedendo allo storico di aderire spontaneamente alla fede,pretende ch'egli non metta mai in forse la religiosit dell'eventoGes? Per quale ragione uno storico laico deve accettare la tesi con-fessionale secondo cui non esiste un Ges diverso da quello dei van-geli?

    stata la coscienza laica, non certo quella religiosa, ad apri-re la ricerca sulle fonti neotestamentarie. Il fatto che siano state sco-perte palesi incoerenze, inspiegabili lacune, stridenti contraddizionidovrebbe indurre i credenti a guardare quelle fonti con pi spiritocritico e meno ingenuit.

    L'approccio laico delle fonti cristiane non si pone comeobiettivo politico quello di distruggere la fede (da tempo s' capitoche l'anticlericalismo sortisce sempre effetti opposti a quelli voluti),quanto quello di stabilire dei percorsi culturali in cui sia possibilemuoversi liberamente, alla ricerca di una verit che non pu pi es-sere data per acquisita n pu essere considerata appannaggio dellasola fede. Star poi alla coscienza di ognuno trarre le debite conse-guenze.

    Il valore delle fonti

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  • Il fatto che esistano fonti prodotte dalla "fede" non deve por-tarci a considerarle del tutto inutili ai fini della ricerca storica dellaverit. Lo storico pu sempre cimentarsi in una loro reinterpretazio-ne, cercando di scoprire o almeno di ipotizzare dove e come stataoperata una falsificazione o manipolazione dei fatti.

    Certo, si lavora sulla base di ipotesi, in quanto non avendofonti alternative (di carattere laico) che ci diano un'altra versione deifatti, non si pu aver la pretesa di dire l'ultima parola sulla vicendache ha visto coinvolto l'ebreo-Ges. Forse l'unica fonte che mette incrisi l'intero impianto filoromano presente nei vangeli, i quali attri-buiscono le maggiori responsabilit della morte del Cristo agli ebrei, costituita dalla Sindone, che non ha subito immediatamente le cen-sure delle altri fonti proprio perch solo con la moderna tecnologiase ne scoperto il vero contenuto politico (l'esecuzione di un rivolu-zionario). In ogni caso per uno storico laico meglio lavorare sulmateriale che c' dando per scontate le falsificazioni, piuttosto chenon lavorarci affatto dando per scontato che sia tutto vero.

    Alla storiografia laica interessa assai poco scoprire i veri au-tori di tutte le fonti protocristiane. Il Nuovo Testamento stato scrit-to da Autori Vari per lo pi anonimi, che rappresentavano interessicomunitari diversificati. Non questo che rende poco credibili que-gli scritti. In genere non si considera propriamente "falsificato" untesto quando nel momento della riscrittura viene manipolato in qual-che singolo aspetto. Questa operazione sarebbe meglio definirla coltermine di "interpolazione". La falsificazione vera e propria unasorta di "mistificazione ideologica" e riguarda aspetti di fondo, so-stanziali, dell'intero testo.

    Nei confronti di questa falsificazione, su cui poggia l'interastruttura ecclesiastica, una posizione storiografia di tipo "confessio-nale" non in grado di operare una ricerca scrupolosa, obiettivaLa storiografia clericale, se vuole restare tale, deve per forza accetta-re una preliminare falsificazione, quella appunto che le permette direstare clericale. Per la chiesa studiare l'evento Ges non come stu-diare Giulio Cesare. Cristo non solo un personaggio storico, maanche un avvenimento che ha prodotto un movimento di credentiche, seppur non omogeneo, attivo ancora oggi.

    Gli storici laici non possono non rendersi conto che quandosi esaminano le fonti neotestamentarie si in presenza di testi il cui

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  • obiettivo era di creare una sorta di partecipazione popolare al poterecostituito, in cui per gli aspetti politici dovevano apparire come me-diati da un'istanza di tipo culturale, in quanto lo Stato romano veni-va s contestato a motivo del proprio integralismo politico-religiosoa favore del politeismo pagano, ma non come ente preposto alla tute-la del sistema schiavistico.

    Questa forma di partecipazione popolare la chiesa la defini-va e ancora oggi la definisce di tipo "religioso". Tant' che studiosicome Barbaglia, anche se sono disposti ad ammettere che nell'eventoGes vi fosse l'intenzione di trasformare radicalmente la realt, nonarrivano mai a chiedersi se tale intenzione abbia potuto essere, sindall'inizio, di natura "non religiosa": dunque - secondo lui - solo uno"storico di chiesa" pu adeguatamente interpretare il cristianesimo.

    In tal senso Barbaglia vorrebbe semplicemente limitare la ri-cerca storica all'individuazione di quegli aspetti formali che hannodifferenziato le varie interpretazioni dell'evento Ges, salvaguardan-do quella che pu essere considerata ancora oggi la versione decisivadel fatto pi fondamentale, quella appunto che il Cristo risorto inquanto "figlio di dio". Cio vorrebbe semplicemente riconfermareoperazioni esegetiche gi note, eventualmente con l'apporto dell'er-meneutica, senza mettere in discussione n la fede n la teologia.

    Sotto questo aspetto ci rendiamo conto che una qualunquediscussione critica, con un uomo di fede, sulle fonti cristiane, rischiadi diventare una fatica sprecata. Infatti, per quanto illuminata possaessere la sua posizione, sar sempre minata da un vizio culturale difondo, quello appunto della fede, che se necessaria per accettare ilmisticismo delle fonti cristiane, diventa del tutto inutile, e anzi fuor-viante, quando si tratta di interpretarle. Meglio dunque sarebbe af-frontare coi credenti temi extradottrinali, argomenti di carattere ge-nerale, utili alla societ civile.

    Un punto di vista strumentale

    L'uso delle fonti storiche sempre strumentale a un propriopunto di vista. Chi nega questa necessit, la riconferma tacitamente,quando difende il punto di vista della propria comunit d'appartenen-za o di un'ideologia di riferimento cui si sente legato. Si tratta piutto-

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  • sto di far s che tale visione diventi un sentire comune, usando i me-todi del libero confronto, senza alcuna eccezione.

    assurdo pensare che le fonti cristiane possano far valere laloro autenticit basandosi semplicemente sul fatto che la chiesa haduemila anni di storia (l'ebraismo, p. es., ne ha quattromila), ancheperch all'interno della chiesa stessa l'interpretazione delle medesimefonti non mai stata univoca. A tutt'oggi le confessioni mondiali chesi fronteggiano nell'esegesi delle fonti cristiane sono tre: ortodossa,cattolica e protestante (quest'ultima suddivisa in una miriade di co-munit tra loro indipendenti).

    Tutto quello che Barbaglia dice contro le intenzioni dellastoriografia laica (relativamente p.es. alla strumentalizzazione dellefonti) pu essere tranquillamente ritorto contro la chiesa stessa: l'at-teggiamento strumentale non pu essere il "peccato" di qualcuno inparticolare. Gi il semplice fatto che "esistano" delle fonti scritte do-vrebbe indurre lo storico a porsi di fronte ad esse in maniera guar-dinga. Infatti da quando esistono le "civilt" la storia non mai statascritta dai poteri "deboli" (che spesso non hanno neppure gli stru-menti per scriverla). Se fra mille anni restassero in mano agli storicisolo i film americani sugli indiani, che possibilit avrebbero di recu-perare la verit originaria su quelle trib? E se oggi esistesse unapersona analoga a Ges Cristo, con l'unica differenza che fosse pre-occupata di mettere tutto per iscritto, al fine di non essere male inter-pretata, avrebbe forse pi speranze di poter raggiungere i propriobiettivi?

    Non forse vero che qualunque cosa pu sempre essere ma-nipolata da chi sta al potere? E se questo potere trova dei seguaciconvinti, degli eredi spirituali, non forse vero che le manipolazionipossono andare avanti anche per decine di anni, addirittura per seco-li? Ci sono voluti 700 anni prima di scoprire che la Donazione diCostantino era un falso patentato.

    Un ricercatore non pu non sapere che nell'ambito delle ci-vilt basate su interessi antagonistici, le idee dei fondatori di movi-menti politici o religiosi facilmente vengono travisate, strumentaliz-zate o censurate dai loro epigoni. Se si accetta questo dato di fattoper un grande personaggio della cristianit come Francesco d'Assisi,tanto per fare un esempio, non si capisce perch lo si dovrebbeescludere nei confronti di Ges Cristo.

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  • Insomma, a uno storico laico poco importa se, non tenendoconto del carattere confessionale delle fonti neotestamentarie, egli ri-schia di ritrovare solo "se stesso" nell'analisi dell'evento Ges. L'im-portante dimostrare che ai fatti possono essere date interpretazionidiverse, la cui fondatezza sta unicamente nella coerenza argomenta-tiva. Chi pu dire a priori che qualunque interpretazione dell'eventoGes che non voglia tener conto di aspetti religiosi precostituiti, pre-liminari a qualunque ricerca, sia destinata al fallimento? Stando allastoria fallito piuttosto il progetto clericale di voler trasformare qua-litativamente la realt sociale sulla base della fede religiosa.

    incredibile che uno storico del cristianesimo affermi chesiccome l'interpretazione ufficiale dell'evento Ges, tramandatacidalla storia, stata di tipo confessionale, impossibile sperare di po-ter ottenere, sulla base di quelle stesse fonti, un'interpretazione non-confessionale di quel medesimo evento.

    Barbaglia in sostanza muove le sue argomentazioni all'inter-no di due paletti epistemologici ben strani, anche se comprensibiliall'interno di una storiografia cattolica:

    - le fonti cristiane rappresentano non solo l'interpretazionepi vera dell'evento Ges, ma anche l'unica possibile, al punto che sefosse del tutto falsa, non vi sarebbe alcuna possibilit di dimostrarlo;

    - uno storico laico non pu dir nulla di significativo sull'e-vento Ges proprio perch "laico" e, come tale, non in grado diaffrontare storicamente un evento di tipo religioso.

    Questa epistemologia fa inevitabilmente venire in mente lepagine illuminanti di Orwell relative al "Bispensiero". Per accettarele fonti cristiane occorre un atteggiamento di fede che deve restare difede anche in presenza di dimostrazioni razionali che contraddiconoi suoi postulati. "Se il tuo superiore ritiene che il nero sia bianco...".

    Non lo sa Barbaglia che possibile risalire alla verit anchepassando attraverso la falsit? E che, per chi davvero cerca la verit,duemila anni di falsificazioni son come un giorno?

    Fonte interna e fonte esterna

    Se vogliamo affermare - sulla scia di Barbaglia - che unafonte esterna ai fatti narrati meno attendibile di una interna, ci sonomille ragioni per sostenere anche il contrario. La verit di una fonte

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  • non cosa che possa essere dimostrata a priori o una volta per tutte,non data neppure dalla presunta coerenza ch'essa ha coi fatti cheintende rappresentare. Generalmente anzi una coerenza troppo strettao stringente viene vista con sospetto dagli storici.

    In astratto si pu sostenere che una fonte pu essere ritenutaautentica quando si pu dimostrare che non falsa, ma questa dimo-strazione, dal sapore tautologico, puramente tecnica e quasi privadi valore. L'autenticit che ci interessa non tanto quella di attribuirecon certezza la paternit o la data di un'opera, quanto piuttosto quellache offre un'interpretazione sufficientemente verosimile della realt.Il quarto vangelo, p. es., viene attribuito falsamente a Giovanni, ep-pure ha alcune versioni dei fatti (la cacciata dei mercanti dal Tem-pio, la scoperta della tomba vuota ecc.) pi convincenti di quelle diMarco, che fonte primaria di Matteo e Luca.

    Non solo, ma la verit dei fatti raramente viene scoperta sol-tanto attraverso le fonti, autentiche o meno che siano: occorre ancheuna loro continua reinterpretazione. Se Lenin non avesse scritto unariga e noi avessimo come fonte storica le sole opere di Stalin, noinon avremmo capito la fondamentale differenza tra leninismo e stali-nismo. Questo tuttavia non ci avrebbe impedito, in maniera assoluta,di risalire alla verit dei fatti; certo sarebbe stato un lavoro pi fati-coso, ma alla fine qualcuno ce l'avrebbe fatta.

    In ogni caso resta molto significativo che, pur in presenza ditante opere scritte da Lenin, non si sia potuto impedire allo stalini-smo di travisarne il contenuto e di far prevalere un'ideologia antide-mocratica: questo dovrebbe portarci a credere che una fonte scrittanon offre maggiori garanzie di autenticit o minori rischi di falsifica-zione di una fonte orale.

    Una fonte sempre un'interpretazione dei fatti, anche quan-do presume d'essere una loro oggettiva descrizione. Dunque quellainterpretazione, per essere meglio compresa, va sempre reinterpreta-ta e non semplicemente, come fanno gli esegeti confessionali, chio-sata, commentata, motivata. Gli avvocati, nel corso delle loro cause,conoscono benissimo questo principio ermeneutico.

    Non ha pi senso sostenere che quanto ha detto e fatto GesCristo pu essere stabilito solo prendendo le fonti canoniche coscome sono (as is): quelle fonti infatti vanno continuamente reinter-pretate, a prescindere da altri possibili ritrovamenti archeologici;

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  • anzi, nella misura in cui gli storici smetteranno di essere credenti, visaranno sempre pi nuove ipotesi esegetiche, che non avranno certoil timore, discostandosi dalle fondamentali tesi dogmatiche, di appa-rire "eretiche".

    D'altra parte uno storico non pu essere cos ingenuo da cre-dere che un'interpretazione degli eventi cristologici, rifiutata dallachiesa sin dalle origini e quindi considerata "eretica", sia di per spi attendibile di quella canonica. Il trotskismo non costituiva certouna convincente alternativa allo stalinismo, ma questo non significache non vi possano essere barlumi di verit o elementi che avvicina-no alla verosimiglianza negli scritti che la storia ha considerato "mi-noritari" o "eterodossi".

    Oggi importante sostenere che una qualunque indagine"critica" della vicenda del Cristo deve necessariamente partire da unaffronto laico delle fonti, cio da un affronto che non considera l'ap-proccio di fede come il pi idoneo a interpretare quella vicenda. Unapproccio laico, p.es., esclude a priori tutti i racconti di resurrezioneo di riapparizione di Ges come fonti attendibili dei fatti, anche se siguarda bene dal cestinarli come non-fonti in quanto tali. Anche queiracconti vanno reinterpretati: la loro importanza non sta tanto in ciche volevano dimostrare (nella fattispecie la rivivificazione di uncorpo), quanto piuttosto nel modo in cui volevano dimostrare questatesi.

    Il fatto stesso che allora si avvert l'esigenza di produrre rac-conti del genere sta necessariamente ad indicare che sulla questionedella tomba vuota circolavano tesi diversificate, se non contrapposte,gi nell'ambito dei primi discepoli del Cristo, e che al momento incui quei racconti furono scritti, come tutti quelli inerenti alle cosefantastiche e sovrumane a lui attribuite, non poteva esistere pi nes-suno in grado di smentirli.

    La stesura delle fonti

    Indubbiamente sono state pi comunit a redigere le fontineotestamentarie: non sono opera di singoli redattori autonomi. Amonte di quei testi vi sono comunit la cui ideologia, ad un certopunto, divenuta maggioritaria tra i discepoli del Cristo. Lo svilup-po di questa canonizzazione non ha solo comportato profonde frattu-

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  • re tra le versioni laiche e religiose dell'evento Ges, ma anche tra lestesse versioni religiose (il petrinismo p.es. non certo uguale alpaolinismo).

    Se non fosse stato cos, sarebbe impossibile spiegare il moti-vo per cui di tutti i discepoli evangelici alla sequela di Ges, ne re-stano pochissimi negli Atti. In particolare risulta ancora oggi del tut-to inspiegabile il motivo per cui l'apostolo Giovanni, che nel quartovangelo viene definito con l'appellativo di "discepolo prediletto",non abbia alcun ruolo negli Atti degli apostoli, pur essendo vicinissi-mo a Pietro subito dopo la scoperta della tomba vuota.

    Ma di esempi come questi se ne potrebbero fare a iosa. Sicu-ramente una posizione come quella dell'apostolo Tommaso indicavauna corrente realistica o materialistica all'interno della comunit po-st-pasquale. Molto misterioso il ruolo politico e umano giocato daun personaggio come Lazzaro, citato solo nel vangelo di Giovanni.

    difficile pensare che la chiesa, gi per mezzo di Pietro,non abbia voluto ridimensionare le pretese politico-rivoluzionariedei discepoli di Ges. Pare anzi che l'esaltazione degli aspetti reli-giosi, in tutte le fonti neotestamentarie, sia direttamente proporziona-le alla volont di censurare gli aspetti politici della predicazione diCristo. Anzi quella di servirsi di aspetti mistici o sovrannaturali (inprimis i miracoli) per censurare o mistificare quelli politici, specie seeversivi, una peculiarit di tutte le religioni. L'umanesimo religio-so, quello con valenza etica, stato usato dal cristianesimo proprioin contrapposizione al socialismo laico. L'ideologia religiosa, in talsenso, andrebbe considerata come un'interpretazione mistificata del-la realt. Essa lo oggettivamente, a prescindere dalle intenzioni dichi la usa.

    Questo ovviamente non significa che un'interpretazione laicanon possa essere mistificante (nella sua Storia delle dottrine econo-miche Marx smont o decodific una per una le teorie laico-borghesidell'economia), ma sicuramente non lo per i classici motivi religio-si (che sponsorizzano fenomeni mistici, soprannaturali o irrazionali),anche se dietro un'interpretazione laica mistificata spesso si celanocondizionamenti di tipo religioso (quante volte si detto che l'ideali-smo filosofico tedesco altro non era che una sorta di laicizzazionedel protestantesimo?).

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  • In ogni caso la "scientificit" di una ricerca storica non puessere data dall'aderenza alla volont interpretativa dei fatti che ave-vano i primi cristiani, proprio perch il significato di quella volontoggi viene sempre pi messo in discussione (lo stesso Barbaglia farisalire a Reimarus le prime operazioni di smontaggio laico del cri-stianesimo primitivo). Qualunque storico sa bene che non si pi"obiettivi" interpretando il redattore di una fonte cos come lui vuoleessere interpretato, anche se questa sua volont, pi o meno dichiara-ta, non pu certo essere trascurata.

    L'ebraicit di Ges

    L'ebraicit di Ges sta nel carattere politico-rivoluzionariodel suo messaggio, non certamente nel nesso di politica e religione.L'integralismo politico-religioso, a sfondo nazionalistico, gli era deltutto estraneo. E, se per questo, gli era ancora pi estraneo lo spiri-tualismo mistico-cosmopolitico elaborato da Paolo di Tarso. In uncaso non vi sarebbe stato nei vangeli il duro scontro del movimentonazareno con le istituzioni ebraiche (del Tempio: sadducei, sommisacerdoti, anziani; e delle sinagoghe: scribi e farisei); nell'altro casonon vi sarebbe stato il faticoso e contrastato sviluppo del paolinismo,ben individuabile nelle Lettere e nella seconda parte degli Atti.

    Sostenere, come fa Barbaglia, che gli storici laici "sottraggo-no arbitrariamente la figura di Ges dal suo contesto giudaico origi-nario", quando un'operazione del genere stata compiuta dalla chie-sa cristiana sin dai tempi di Paolo, fa specie in uno studioso qualifi-cato delle fonti cristiane.

    Conclusione

    La storia non uno specchio in cui ci si possa riflettere ade-guatamente. Gli storici laici che danno interpretazioni non conformiall'obiettivo confessionale delle fonti neotestamentarie, non sono"selvaggi arbitrari disonesti", ma, con le parole di Paolo, affermano:"Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma alloravedremo a faccia a faccia" (1 Cor 13,12). Il che, in parole evangeli-che, voleva dire: "Lasciate che il grano e la zizzania crescano insie-

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  • me fino alla mietitura" (Mt 13,30). Uno che insegna religione do-vrebbe sapere queste cose.

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  • Gli studi di Mauro Pesce e Adriana Destro

    I

    L'enigma Ges

    significativo che lo storico del cristianesimo primitivoMauro Pesce abbia iniziato a revisionare le sue tesi laiciste in dire-zione del misticismo a partire dalla fine degli anni Settanta, cio pro-prio a partire dal momento in cui poteva essere considerata fallita l'i-dea di compiere una rivoluzione sociale in nome di un'idea religiosa,quella cristiana, cos come l'avevano elaborata i Cristiani per il So-cialismo, i Teologi della Liberazione, le Comunit di Base e tanti al-tri movimenti (per certi versi anche Comunione e Liberazione), pi omeno condizionati o suggestionati dalle idee del socialismo scientifi-co.

    Pesce ha compiuto anche la stessa involuzione che subironoi discepoli di Ges nei confronti del loro maestro l'indomani dellasconfitta del movimento nazareno e soprattutto della guerra giudai-ca: ci a testimonianza che ogniqualvolta si rinuncia a trasformarepoliticamente la societ o a porre i presupposti culturali perch se neavverte la necessit, si finisce col diventare revisionisti, persino indirezione del misticismo.

    E quando si diventa revisionisti, inevitabilmente si finiscecol dire delle sciocchezze, come ad es. la seguente: "la distinzionetra religione e politica... troppo contemporanea per essere applicataal mondo antico".3 Come se il mondo antico non conoscesse mini-mamente il valore dell'ateismo! Come se gli inizi della filosofia gre-ca siano stati di tipo religioso! Come se Socrate non fosse stato giu-stiziato proprio per la sua miscredenza! Come se il Buddismo sianato come "religione per l'aldil"!

    Il vero motivo di questa sua affermazione che, secondo Pe-sce, Ges non poteva non essere "credente": il che, detto cos, come se si dicesse che oggi, dopo duemila anni di cristianesimo, non

    3 Cfr L'enigma Ges, ed. Carocci, Roma 2008, p. 97.

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  • possiamo non dirci cristiani. Poi per, siccome il revisionismo an-zitutto negazione di una qualsivoglia politica o cultura anche solo unminimo eversiva, Pesce arriva ad aggiungere, cercando d'essere pirealista del re, che Ges non era neppure, nello stesso tempo, unuomo "politico" e un "credente", come poteva esserlo p.es. un fari-seo o, ancor pi, uno zelote che lottava per la liberazione nazionalein nome della fede giudaica, ma era soltanto "radicalmente sociale eradicalmente religioso", cio in sostanza di "politico" non aveva pro-prio nulla. L'esegesi confessionale dei vangeli naturalmente ringra-zia! Il bello ch'egli spera proprio, in questa singolare maniera, disfuggire all'accusa di "misticismo", quella per cui si vuol fare delCristo un individuo prevalentemente di tipo "religioso".

    Pesce convinto d'aver trovato finalmente il vero volto diCristo, che, secondo lui, di "politico eversivo" non aveva nulla e icui aspetti socio-religiosi in nulla si differenziavano da quelli deigrandi profeti veterotestamentari. A suo dire infatti la spiritualizza-zione della figura di Cristo avvenuta a partire dal III secolo, in se-guito alla rinuncia ecclesiastica della componente giudaica della suavita, per la quale gli aspetti sociali e religiosi non potevano essere di-sgiunti.

    Pur di sostenere l'idea di un Cristo "tutto giudaico" egli arri-va a negare ci che da tempo viene considerata un'evidenza, e cioche una radicale reinterpretazione dell'evento-Ges iniziata conReimarus. In suo luogo preferisce parteggiare per una delle fonti did'Holbach: Isaac Ben Abraham di Troki (o Trakai in lituano), secon-do cui Ges "ammetteva l'eterna durata della legge mosaica" (p.100). In tal modo Pesce non solo mostra di non comprendere la dif-ferenza tra cristianesimo ed ebraismo, ma si preclude anche la possi-bilit di dare del cristianesimo un'interpretazione laicizzata, che l'unica a porre un minimo di basi scientifiche per distinguere Cristodal cristianesimo petro-paolino.

    Alla fine degli anni Ottanta Pesce ha iniziato a condivideregli studi di Adriana Destro, che sul piano antropo-sociologico dava-no corpo all'idea di un Ges tutto giudaico, bench in forma indipen-dente dal potere costituito.

    La novit socio-religiosa del Nazareno sarebbe stata una sor-ta di "protestantizzazione" del giudaismo ortodosso, nel senso ch'egliavrebbe cercato di recuperare un rapporto pi diretto tra uomo e dio,

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  • non mediato dalle corrotte istituzioni "ecclesiastiche" (Tempio e si-nagoghe). E questo recupero sarebbe appunto avvenuto in forma"sociale", costituendo un movimento di discepoli, che avrebbe dovu-to rinnovare "spiritualmente" l'intera societ, poich esso non si po-neva in maniera separata rispetto a questa (come invece l'essenismo),ma in maniera "interstiziale", e - si badi bene - non per costruire unnuovo regno davidico (che avrebbe necessariamente implicato l'usodella forza militare), ma semplicemente per porre le basi etiche concui poi dio, in seguito, avrebbe potuto rinnovare il mondo.

    Se questo non misticismo, che cos'? Ha diritto Mauro Pe-sce ad essere considerato uno "storico laico" solo perch tende a ca-ratterizzare Ges in maniera pi giudaica di quanto abbia mai fattola chiesa cristiana? Non si rende conto Pesce che quando cerca d'im-postare le cose in questi termini, evitando di riconoscere a buonaparte del giudaismo di duemila anni fa il suo carattere fortemente ri-voluzionario, mostra di subire un condizionamento di tipo cristiano?

    L'idea che ha di Ges Cristo quella stessa che lui vorrebbeavere della chiesa cattolica, cio quella di uno studioso che nelleproprie indagini non vuole sentirsi in obbligo nei confronti di alcunaistituzione religiosa. Pesce vorrebbe muoversi come una sorta di cri-stiano protestante, interfacciandosi con una societ di tipo cattolico(non integralistica), e, nel fare questo, convinto di poter esibire unapropria originalit, rivendicando al Cristo un'identit fortemente giu-daica, eventualmente nella speranza di trovare significativi consensipresso le comunit israelitiche, che, a questo punto, vien da dire,duemila anni fa avrebbero ucciso Ges a motivo di un tragico malin-teso (quello stesso che secondo il vangelo marciano determin il giu-stizialismo di Pilato).

    Pesce vuole sottrarre alla chiesa cattolica (che, secondo lui,dovrebbe limitarsi a un'opera di "edificazione spirituale") il monopo-lio dell'interpretazione storiografica dell'evento-Ges, per poi sentir-si libero di trasformarlo in una sorta di esegesi filo-semita. Facendoquesto, per, non conserva del giudaismo classico la parte migliore,quella politicamente pi significativa, ma quella peggiore, quella piconservativa, sicch, alla fine, non fa che difendere un'altra istituzio-ne religiosa, quella appunto dell'ebraismo ufficiale, ortodosso.

    Pesce sembra non rendersi conto che, nell'ambito del cristia-nesimo, cio internamente a questa sola confessione, l'unica possibi-

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  • le contrapposizione esistente quella tra chiesa cattolica (impostatasulla monarchia pontificia) e chiesa ortodossa (impostata sulla colle-gialit sinodale). Sotto questo aspetto la contrapposizione tra cattoli-cesimo e protestantesimo resta interna al cattolicesimo, soprattuttoquando la si vuole configurare in maniera esclusivamente religiosa.Le idee del protestantesimo erano gi presenti in eresie del mondocattolico almeno mezzo millennio prima ch'esso nascesse.

    Il protestantesimo non avrebbe fatto altro che "socializzare"un abuso di potere che la chiesa romana ha cominciato a manifestaresul terreno politico sin da quando aveva pensato di potersi costituirecome "Stato". Il protestantesimo diventa invece interessante per laconcezione laica dell'esistenza quando le sue ricerche esegeticheconducono, se svolte in maniera conseguente, a formulare tesi di tipoagnostico o addirittura ateistico. Ma sotto questo punto di vista sonointeressanti anche tutte le teologie che, in ambito cattolico, si rifannoalle analisi del socialismo scientifico o anche solo utopistico, pen-sando di poter realizzare meglio la fede religiosa con una prassi co-munitaria di tipo collettivistico.

    In ogni caso non c' alcuna possibilit che un ricercatore sulcristianesimo venga valorizzato dalle istituzioni ecclesiastiche, senzache preventivamente non gli venga chiesto di riconoscerle come au-torit dogmatiche. Pesce vuole muoversi come protestante che esaltadell'evento-Ges la sua componente giudaica, senza rendersi contoche, cos facendo, finisce solo col contrapporre all'istituzione cattoli-ca quella ebraica, la quale, proprio come quella cattolica, non puammettere una fede religiosa senza la corrispondente istituzione (so-ciale, culturale e politica) che la sostiene.

    Pesce vuole rinnovare il cristianesimo con nuove idee reli-giose mutuate dall'ebraismo, vuole ricondurre Ges nell'alveo dellepi "pure" tradizioni semitiche, e cos fa diventare il Cristo uno deitanti profeti biblici, non pi grande certamente del Battista. Egli nonpretende di fare un discorso ateistico, ma dice di non voler neppurefare un discorso "confessionale". All'apparenza, infatti, egli sembranon voler fare un'analisi in senso cattolico tradizionale, per la faugualmente, nei panni di uno che la chiesa romana non avrebbe dif-ficolt a qualificare come un "protestante", anche se certamente noncome un protestante "radicale" (alla Bultmann per intenderci, chepur non ha mai detto di non credere in dio).

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  • Ch'egli sia un autore "religioso", seppur non strettamenteconfessionale, lui stesso che lo spiega l dove afferma che non haalcuna intenzione di compiere delle analisi contro il cristianesimo ola fede cristiana, anzi, al contrario, il suo obiettivo quello di "con-tribuire al rinnovamento del cristianesimo" (p. 111). In tal senso ap-pare curiosa la frase in cui dice d'interessarsi "della figura storica diGes, non della fede" (ib.), anche perch assume chiaramente comevere cose evangeliche per le quali la fede obbligatoria.

    A suo parere infatti le esperienze pi significative di Gessono state quelle di tipo "religioso" o "sovrannaturale", come p.es. icosiddetti "miracoli". Tutte le ritrattazioni che nell'arco della sua vitaPesce ha fatto sono state a favore di un'interpretazione confessionaledell'evento-Ges. Lo dice espressamente a p. 112: Ges "era convin-to che Dio stesse per realizzare il suo regno. Vedeva anzi nella pro-pria capacit taumaturgica gi una presenza della potenza di Dio chestava finalmente per prendere possesso del mondo... Dopo il giudiziouniversale sarebbe iniziato il regno di Dio, e tutte le genti (cio i nonebrei) si sarebbero convertite all'unico Dio... Questo sogno non eraaltro che il sogno dei profeti biblici".

    A che serve dire altro di Pesce? Non abbiamo bisogno diun'altra testimonianza. Si giudica da solo, direbbe Caifa. A chi gliobietta di non capire la diversit tra Cristo e il rabbinismo, lui ri-sponde citando alcuni esempi:

    - Ges non voleva "dichiarare puri" tutti gli alimenti, altri-menti Pietro negli Atti (10,11ss.) avrebbe saputo come comportarsi.

    - L'amore dei nemici "un approfondimento che si muovetotalmente all'interno dei parametri della cultura biblica, cio ebrai-ca".

    - Ges non ha mai negato un valore al precetto del sabato.Cosa obiettare a queste tesi se non ci che da secoli sostiene

    l'esegesi laica e in vari aspetti persino quella confessionale? E cioche:

    - Ges aveva semplicemente dichiarato insussistente la que-stione di poter stabilire una purit interiore (morale) sulla base diuna purit esteriore (fisica). Indirettamente quindi l'atteggiamentonei confronti del cibo era del tutto irrilevante: uno poteva continuarea praticare le regole dietetiche o rinunciarvi del tutto, ma non sareb-be stato in virt di nessuno dei due atteggiamenti ch'egli avrebbe po-

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  • tuto migliorare la propria coscienza e tanto meno la societ attorno alui.

    - Nei vangeli l'amore dei nemici viene posto in senso reazio-nario, per impedire la rivoluzione anti-romana, anche se questo nonvuol dire che, in astratto, il principio non fosse giusto.

    - Il rispetto del sabato considerato irrilevante dal Cristoproprio in antitesi alla pretesa giudaica di voler fare, in generale, delmero rispetto della legge la principale condizione della liberazioneumana e politica. Concepire il sabato come un feticcio significavaessere contrari alla democrazia.

    Pesce insomma convinto di potersi attirare le simpatie deinon credenti dicendo di non volersi porre come "teologo" ma solocome "storico della religione" (e aggiungiamo anche "filosofo dellareligione"), servendosi per le sue ricerche di scienze umane comel'antropologia e la sociologia. Non vuole presupporre la fede alla suaricerca storica, ma, in definitiva, non la mette neppure in discussio-ne; vuol soltanto riservarsi di decidere quando usarla e quando no.

    In teoria ammette che la fede non di alcuna utilit per la ri-cerca storica, di fatto per non ne contesta i presupposti (il primo deiquali quello di credere in cose che la ragione non pu ammettere).Lui difende le proprie posizioni sostenendo la relativit della cono-scenza e non si rende conto che non si pu essere cos relativisti darischiare di dover fare gli interessi della religione: non si possonoammettere delle cose che non aiutano minimamente lo sviluppo diuna comprensione obiettiva della stessa fede, che di per s, a pre-scindere dai comportamenti di chi la pratica, non ha nulla di raziona-le.

    Di fronte all'evento-Ges - cos fortemente strumentalizzatodalle chiese di tutti i tempi in senso mistico - non possibile soste-nere che "la ricerca storica non n per la fede, n per la non fede"(p. 122). Posizioni del genere o sono false o sono terribilmente inge-nue. Ges Cristo non pu essere paragonato a Giulio Cesare o Ales-sandro Magno. Qui non abbiamo a che fare con un personaggio qua-lunque della storia, ma con un individuo in cui credono ancora, sen-za alcuna vera razionalit, miliardi di persone.

    Professare equidistanza nei confronti delle chiese o dellefedi religiose o delle teologie, rinunciando a una propria posizionelaicistica, significa, inevitabilmente, fare il gioco dei clericali. Il fat-

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  • to stesso ch'egli dica d'aver avuto come maestri H. Schlier, J. Duponte R. Schnackenburg, e come fonti ispirative W. G. Kmmel e Ph.Vielhauer, e di tenere costantemente conto di R. Brown, G. Theissene altri, la dice lunga sulle "fonti laiche" di Pesce.

    L'unico, tra quelli citati nella pubblicazione, che avrebbe po-tuto aiutarlo a fare un minimo di chiarezza nella sua confusa storio-grafia del cristianesimo primitivo, era S. Brandon, su cui per eglidice di aver scritto decine di pagine di "aspra critica".

    II

    L'uomo Ges

    A

    L'uomo Ges, del 2008, pubblicato da Mondadori, una del-le ultime fatiche dei coniugi Destro e Pesce, da tempo docenti diStoria del cristianesimo presso l'Universit di Bologna (lui, di recen-te, andato in pensione). Merita d'essere recensito perch i due auto-ri dichiarano espressamente di non voler fare una storiografia di tipo"confessionale". Essi infatti prendono le mosse dai lavori antropo-sociologici di Gerd Theissen, alcuni dei quali apparsi in Italia sin da-gli anni Settanta.

    Una delle tesi pi significative, del corposo volume di 250pagine, quella secondo cui l'attivit del Cristo stata svolta preva-lentemente nelle comunit rurali di villaggio, in antitesi alle cittdella Palestina. Una tesi, questa, che pescherebbe nel vero se ci si li-mitasse a riferirla alla tattica della predicazione del Cristo. Vicever-sa, i due autori preferiscono attribuirle un carattere strategico vero eproprio. E per la semplice ragione che non vedono nell'azione delmovimento nazareno un qualcosa di politicamente eversivo.

    L'attivit del Cristo viene collocata in una prospettiva di re-cupero delle pi autentiche tradizioni giudaiche, che col tempo eranoandate perdute, anche a causa d'interpretazioni strumentali da partedel potere religioso, il quale, non per nulla, aveva fatto del contestourbano il luogo privilegiato della propria affermazione. In realt sesoltanto a questo noi dovessimo ridurre l'attivit politica del Cristo,difficilmente potremmo considerarla pi significativa di quella p.es.

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  • di Giovanni Battista. All'analisi dei due autori mancano due cose tra loro stretta-

    mente collegate: da un lato la convinzione che nell'attivit del Cristovi fosse un obiettivo politico rivoluzionario, dall'altro l'idea che taleobiettivo non potesse realizzarsi se non dopo aver ottenuto il consen-so delle citt, la prima delle quali doveva per forza essere Gerusa-lemme.

    Assumendo tale prospettiva come realistica, facilmente si sa-rebbe arrivati a capire che la scelta dei villaggi come luogo principein cui operare, non era dettata tanto da motivazioni etiche o ideologi-che, quanto piuttosto tattiche, poich il Cristo, sin dalla cacciata deimercanti dal Tempio (avvenuta, secondo la cronologia giovannea,all'inizio della sua attivit politica in Giudea), era considerato dalleautorit costituite (romane e collaborazioniste) un leader pericoloso,che andava quanto prima incarcerato (minacce di morte a suo caricoappaiono subito nei vangeli).

    Sotto questo aspetto evidente che i villaggi, posti in zonenon facilmente raggiungibili, i cui abitanti soffrivano un rapporto disudditanza nei confronti delle citt, potevano offrire maggiori garan-zie di protezione, di assistenza logistica, di complicit anti-istituzio-nale. Questo anche i due autori lo dicono.

    Non dobbiamo dimenticare che dalla Giudea Ges usc neipanni dell'esule ricercato dalla polizia del Tempio, per sfuggire allaquale fu costretto ad attraversare la Samaria, evitando di costeggiareil Giordano. E, una volta in Galilea, cercarono di


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