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Extrait de la publication - storage.googleapis.com...come affermava il mistico spagnolo Fray Luis de...

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Nuova Biblioteca di Scienze Religiose 34

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SOPHIA - PAIDEIA SAPIENZA e EDUCAZIONE (Sir 1,27)

Miscellanea di studi offerti in onore del prof. Don Mario Cimosa

a cura di

Gillian BONNEY e Rafael VICENT

LAS - ROMA

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Nota dei curatori Come curatori di questa Miscellanea siamo molto riconoscenti ai numerosi stu-diosi che hanno voluto offrire un prezioso contributo in onore del prof. Mario Cimosa. Da parte nostra, abbiamo limitato il nostro intervento al minimo neces-sario, articolando le sezioni di ogni studio e correggendo le eventuali sviste. Abbiamo voluto rispettare la metodologia di ogni autore, sia nel testo sia nel suo modo di citare. Abbiamo provveduto a fornire un indice degli autori mo-derni citati nelle note. Foreword of the Editors As the editors of this Miscellany we are most grateful to the numerous scholars who have offered their valuable contributions in honour of Professor Mario Cimosa. As regards our work we simply restricted our editing to the necessary bare minimum. First of all we fully accepted the methodology of each author, both as regards the text and the method of quotation. We arranged the articles into three different sections and corrected any eventual errors of transcription. We also provided an index of the modern authors quoted in the footnotes. Gillian BONNEY e Rafael VICENT Roma, Università Pontificia Salesiana 31 gennaio 2012, Festa di S. Giovanni Bosco

© 2012 by LAS - Libreria Ateneo Salesiano Piazza dell’Ateneo Salesiano, 1 - 00139 ROMA Tel. 06 87290626 - Fax 06 87290629 - e-mail: [email protected] - http://las.unisal.it ISBN 978-88-213-0821-5 ––––––––––– Elaborazione elettronica: LAS Stampa: Tip. Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide 11 - Roma

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Presentazione

Prevalentemente sono due le dimensioni che s’intrecciano all’interno

di una prefazione: da un lato, emerge la testimonianza del legame per-sonale con l’autore o il personaggio che è celebrato nel volume; d’altro lato, si prende in considerazione il contenuto, assumendo in tal modo una veste più “oggettiva”. Queste due coordinate reggono anche la mia premessa alla Festschrift dedicata al prof. Don Mario Cimosa, così come esse implicitamente si riflettono nei saggi che si allineano nelle pagine che seguiranno. Effettivamente attorno a questo vero e proprio “mae-stro” di esegesi sembra addensarsi una sorta di νέφος μαρτύρων, “una nube di testimoni” analoga a quella evocata dalla Lettera agli Ebrei (12,1). Si tratta di una platea per certi versi planetaria che ha, certo, il suo cuore in Roma con le sue istituzioni accademiche, ma si allarga all’Italia (Milano, Palermo, Sassari), abbraccia l’Europa (da Copenhagen a Tessa-lonica, da Leida a Malta, da Maynooth a Marsiglia, da Parigi a Friburgo e Mainz) e accoglie voci da continenti più lontani come l’Asia (con pre-senze provenienti da Bangalore e dal Giappone), l’Africa (Dar-es-Salaam) e l’America (Louisville).

È, quindi, un’attestazione corale di stima e di affetto nei confronti di questo docente salesiano che ha dedicato la maggior parte dei suoi set-tant’anni, qui celebrati, allo studio della Parola unendo l’acribia e il rigo-re dell’analisi filologica all’appassionato scavo della dimensione profon-da, teologica e spirituale del testo sacro. Se la Parola è simile a un oriz-zonte nel quale «se descubren nuevos mares cuanto más se navega», come affermava il mistico spagnolo Fray Luis de León, Cimosa è stato uno degli uJphrevtai tou' lovgou (Lc 1,2), un vigoroso “rematore” e naviga-tore, animato da un ardore costante. Alle voci presenti in queste pagine si aggiunge ora anche la mia: è appunto l’aspetto “soggettivo” di questa prefazione, affidato a una testimonianza un po’ anomala.

Infatti, nonostante la quasi coincidenza cronologica della nostra esi-stenza e la contemporaneità della nostra formazione esegetica presso il Pontificio Istituto Biblico, raramente le nostre strade biografiche si sono incrociate. Al di là di qualche sporadico incontro “ufficiale”, come nel caso dell’inaugurazione del nuovo curriculum di “Teologia Pastorale Bi-blico-Liturgica” nell’Università Pontificia Salesiana, e di alcuni momenti

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6 Presentazione

comuni di cordialità, i nostri percorsi sono stati distinti. Eppure, non so-no mai stati separati perché altri furono i sentieri lungo i quali ci ritro-vammo in modo così intenso da permettermi ora di essere quasi il por-tavoce di quella folla di amici, ammiratori, discepoli, conoscenti del prof. Cimosa. Il riferimento è a quella fitta serie di incontri che io, come tanti altri, ho avuto con lui attraverso i suoi scritti.

Devo, infatti, riconoscere che la sostanza di maggior rilievo della bi-bliografia di don Mario non solo mi è nota, ma è stata spesso un suppor-to fondamentale per i miei studi e per l’approfondimento di alcune re-gioni della letteratura biblica. Penso in particolare al suo reiterato, varie-gato e molteplice vaglio dei Salmi, col quale egli faceva brillare l’anima di quei canti attraverso la fioritura dell’analisi critica. Penso al suo im-portante commento ai Proverbi del 2007, ove la passione per i Settanta permetteva un significativo e suggestivo contrappunto con l’originale ebraico. Penso ancora a quel prezioso e imponente dossier da lui allestito per disegnare “l’ambiente storico-culturale delle Scritture ebraiche” (2000), divenendo in un certo senso l’erede di altri biblisti e semitisti sa-lesiani come Castellino e Loss. Devo anche aggiungere a questa sequen-za quel delizioso libretto dedicato ai primi undici capitoli della Genesi, ove erano evocate in modo esemplare le complesse questioni che si ag-grovigliavano attorno a quelle pagine dalle infinite iridescenze storico-critiche ed ermeneutiche, un libretto che ebbe almeno otto edizioni.

Ma gli incontri “impliciti” si moltiplicavano sia sulle alture delle sue raffinate analisi attorno alla versione greca dei testi sacri, sia nelle valli ove si distendeva la vasta produzione che Cimosa ha riservato – nello spirito della sua vocazione religiosa di figlio di san Giovanni Bosco – all’attualizzazione pastorale delle Scritture, non esitando a impegnarsi nel dialogo coi giovani lettori, anzi persino con gli alunni della scuola elementare con una “Bibbia raccontata ai ragazzi”. Se, come ormai è convinzione comune, il lettore è un fattore rilevante in connessione con l’autore, io e altre persone diffuse in Italia e all’estero possiamo conside-rarci compagni di viaggio di questo docente lungo i suoi vari e originali itinerari di ricerca. A questo punto è possibile passare al secondo profilo della prefazione al volume che ora abbiamo tra le mani, ossia alla pre-sentazione del suo contenuto.

* * *

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Presentazione 7

In verità questa operazione è più facile di quanto sembri perché l’arcobaleno dei venticinque saggi qui raccolti è già disposto secondo tre tonalità cromatiche dominanti. La prima è più “tecnica” e complessa ed esplora per sondaggi un orizzonte a lungo amato e perlustrato dal prof. Cimosa, quello della versione greca dei Settanta. A questo ambito ci intro-duce anche la premessa specifica elaborata da un comune e ormai famo-so amico, il prof. Adrian Schenker, emerito dell’Università svizzera di Friburgo, ma ancora attivo nel campo della ricerca biblica. È questa la sezione più consistente della miscellanea, dotata com’è di una dozzina di contributi.

Senza voler entrare nel merito di questo ricco dossier di analisi, è possibile però intravedere alcune nervature che reggono la sequenza. Domina, certo, la filologia con la sua più rigorosa strumentazione; essa, tuttavia, non può ignorare la questione testuale che è ripresa sia con sguardi più ampi – come nel caso del cosiddetto “quarto carme del Ser-vo” esaminato da Victor T. Itikwire o nell’affascinante racconto dell’a-dulterio di Davide (2 Sam 12) studiato da Takamitsu Muraoka o anche col Salmo 151, dalla molteplice attestazione in versioni di diverse lingue antiche, oggetto dell’esame di Gilles Dorival – sia con verifiche più mi-nuziose, come quella che Schenker riserva alla ricerca di un testo arche-tipico per 2Re 21,9 e 2Cr 33,9 o quella che John D. Meade e Peter J. Gen-try offrono per Qo 1,17. Ma organizzando in maniera piuttosto libera il materiale di questa sezione, incontriamo anche saggi che dallo studio critico-testuale o filologico fanno sbocciare esiti ulteriori.

In questa linea ci sembrano significativi i risultati di Mogens Müller e di Dirk K. Kranz che marcano le risonanze teologiche ulteriori derivanti dalla versione dei Settanta, compresa la vexata quaestio della sua qualità “ispirata”. Temi teologici come quello capitale della risurrezione, messo in luce da T. Xavier Terrence, oppure quello della colpa umana e dell’ira divina, approfondito da Anna Passoni dell’Acqua nel suo confronto col lessico giuridico dei Settanta, attestano l’apporto che simili ricerche pos-sono offrire anche ad altre discipline. A questo proposito è interessante vedere come alcuni saggi permettano incursioni nel fenomeno dell’inter-culturalità: è il caso della comparazione tematica con l’Eutifrone di Plato-ne proposta da Evangelia G. Dafni, dell’inno al Lógos di Sir 37,16-18 messo a contatto con un parallelo di Isocrate da Jeremy Corley e, in un certo senso, anche il caso delle Odi aggiunte al Salterio greco nel Codice Alessandrino (Cécile Dogniez).

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8 Presentazione

* * * Il trittico in cui si articola l’omaggio dedicato a Cimosa ha una secon-

da tavola segnata dai colori omogenei del genere sapienziale, ma con la prevalenza di uno dei libri biblici cari al festeggiato, ossia il Salterio. An-che in questa sezione è possibile individuare iridescenze diverse. Così, accanto a una puntualizzazione molto circoscritta come quella che pro-pongono Gianni Barbiero e Joshy Mayyattil sulla formula «Là rimango-no troni di giustizia» del Sal 122,5, considerata come una rivendicazione del primato di Sion in quanto sede suprema giuridica e dinastica anche in epoca post-esilica, si sviluppano riflessioni a più vasto raggio. È ciò che fa in modo suggestivo Thomas Hieke applicando ai Sal 103; 13; 30 lo schema originale dell’esegesi salmica proposto da Walter Brueggemann, ossia la tripartizione in Salmi di “orientamento, dis-orientamento, ri-orientamento”. Curioso è il nesso che Angelo Passaro instaura tra due Salmi, il 7 e l’8, – contigui ma apparentemente distinti a livello tematico – sulla base del parallelo tra giustizia e creazione, tra ordine violato e ri-composto.

L’orizzonte s’allarga ulteriormente quando Michelangelo Tábet in-troduce la simbolica delle “due vie” inseguendola dai Sapienziali fino al-la letteratura cristiana dei primi secoli, oppure quando Salvatore A. Pa-nimolle assume la locuzione ebraica חסד ואמת che designa le virtù caratte-ristiche dell’alleanza con Jhwh, studiandola nella sua filigrana neote-stamentaria hJ cavri" kai; hJ ajlhvqeia (Gv 1,17), ove l’endiadi si rivela cri-stologicamente dialettica nei confronti dell’applicazione mosaica antico-testamentaria. Ormai siamo fuori del perimetro salmico e qui entrano in scena Tiziano Lorenzin, con un’interessante ipotesi riguardante il blocco – da sempre considerato eterogeneo rispetto al poema centrale di Giobbe – dei discorsi di Elihu (cc. 32-37), e Luca Mazzinghi che fa emergere da Sap 10,5 la figura di Abramo ormai alonata da una nuova luce ad opera della tradizione giudaica alessandrina che, anche in questo caso, non esi-ta ad attingere all’eredità filosofico-culturale ellenistica.

* * *

Giungiamo, così, all’ultimo settore della trilogia presente in questo

volume. È anche il terzo lineamento della bio-bibliografia esegetica di don Mario. Egli, pur consacrandosi alla ricerca strettamente scientifica sui Settanta e sulla letteratura sapienziale, non ha mai dismesso le vesti

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del sacerdote, del teologo e del salesiano. La sua stessa vicenda umana e la sua attività ecclesiale, come abbiamo già indicato, lo ribadiscono con forza. È così che la terza tavola del trittico a lui dedicato è contrassegnata dalla presenza di saggi di teologia biblica pastorale, naturalmente risa-lendo ai Padri della Chiesa con un modello presentato da Gillian Bonney e desunto dai Moralia in Iob di Gregorio Magno (il passo in questione è Gb 36, 29-33 appartenente ai citati discorsi di Elihu). Dai Padri della Chiesa Enrico dal Covolo discende fino alla Divina Commedia di Dante, passando anche attraverso i Gioachimiti; si svelano, così, i tesori dell’in-terpretazione spirituale, sia orante (lectio divina) sia profetico-apocalitti-ca, delle Scritture.

È, però, strettamente collegata al presente la serie degli altri contributi che puntano all’approfondimento di esperienze pastorali in qualche modo ormai codificate. Il referente principale rimane il saggio di Giu-seppe De Virgilio, che sottopone a una lettura accurata il capitolo piutto-sto ampio (nn. 72-89) che l’esortazione post-sinodale Verbum Domini (2010) di Benedetto XVI riserva all’animazione biblica della pastorale in tutte le sue sfaccettature. L’incontro vitale tra la Parola di Dio e la società contemporanea è documentato dallo sguardo panoramico che Carl-Mario Sultana rivolge all’Europa secondo la prospettiva della catechesi biblica, selezionando tre esempi nazionali, Germania, Francia e la sua patria, Malta. Alla Germania e alle sue “Kinder-Schulbibel” punta, inve-ce, Cesare Bissoli mettendo in scena il pubblico particolare dei ragazzi, dotati di un linguaggio e di una sensibilità inedita rispetto alle preceden-ti generazioni e sottoposti a nuovi influssi e condizionamenti. In questa linea l’ultimo testo della raccolta acquista un valore emblematico e te-stimoniale.

Carlo Buzzetti, collega del prof. Cimosa e suo e mio caro amico, grande esperto del fenomeno delle traduzioni bibliche, prematuramente scomparso nel 2011, disegna, in una sorta di testamento personale e spi-rituale, un’icona di Gesù Maestro. Essa illumina ma non esaurisce l’im-pegno della ricerca che dev’essere condotta per una pedagogia dell’an-nuncio cristiano. Così, partiti dall’aspetto testimoniale, concludiamo questo nostro profilo introduttorio alla Festschrift in onore di Mario Ci-mosa con un’ultima attestazione personale. Egli, infatti, ha costantemen-te messo in pratica in maniera esemplare il duplice volto proprio dell’esegesi cattolica così come è stata definita da Benedetto XVI nella Verbum Domini (nn. 34-35). In analogia con l’Incarnazione, la Bibbia si presenta come Lógos e sárx, ossia come Parola trascendente in parole

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umane. Una corretta esegesi deve, perciò, tener conto di questa duplicità compatta, perché la qualità trascendente del messaggio s’intreccia ine-stricabilmente con la sua dimensione storico-letteraria.

Lo studio delle Sacre Scritture non può, allora, essere esaurito dalle pur necessarie metodologie di taglio storico-critico alle quali si giustap-pone in modo estrinseco l’analisi teologica, quasi si trattasse di due livel-li indipendenti e autonomi. Essi sono distinti ma non separati. Il Papa, infatti, afferma che «distinguere i due livelli dell’approccio biblico non significa affatto separarli, né contrapporli, né meramente giustapporli. Essi si danno solo in reciprocità. Un’improduttiva separazione tra essi non di rado ingenera un’estraneità tra esegesi e teologia» (n. 35). Questo rischio è chiaramente evitato nell’articolazione dei saggi che ora stanno davanti al lettore. Possiamo dire che l’esegesi storico-critica qui applicata si coniuga con l’analisi teologica e l’attualizzazione; anzi, la loro simbio-si, pur nella distinzione, fa sì che la genuina teologia biblica comporti proprio la loro unione, il loro procedere insieme, sia pure con marce e ritmi differenti. E in questo percorso il prof. Don Mario Cimosa è stato una delle guide più sapienti e uno degli attori più appassionati.

Card. Gianfranco RAVASI

Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura

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Prefazione

LA SOSTA DELLA PAROLA PROFETICA IN CASA GRECA Il cammino della Bibbia La Sacra Scrittura tradotta nelle nostre lingue moderne è come

l’ultimo tratto della traiettoria della parola profetica. Essa parte dalla bocca del Signore, come proclamato in Is 55,11: sale dal cuore di Dio ed esce dalle sue labbra per scendere sulla terra. Là entrerà nella bocca dei profeti che diranno: Così parla il Signore, e, in tal modo, giungerà alle orecchie degli Israeliti e dei Giudei, nel corso della storia di questi due popoli.

Ma siccome la parola del Signore, proclamata dai profeti, sarà rigetta-ta, anzi annientata dai suoi avversari, certi profeti dovranno, invece che proclamarla ad alta voce, salvarla in segreto dalla tentata soppressione. Tale fu l’esperienza del profeta Geremia nei confronti del re Ioiakim a Gerusalemme nell’anno 605 prima di Cristo. In altre occasioni, il profeta dovette indirizzare la parola del Signore a dei destinatari lontani, depor-tati in Babilonia. Perciò egli ebbe ricorso alla parola profetica trasmessa sotto forma di lettera inviata agli esiliati (Ger 29). La Sacra Scrittura, pa-rola del Signore scritta, era così nata.

La parola profetica trasmessa Gli scritti che contenevano la parola profetica erano « sacra scrittura »

perché i profeti vi avevano scritto le parole ch’essi avevano udito dal Si-gnore per proclamarle al popolo. Tali parole erano parole del Signore, e inseparabilmente parole loro. Le parole pronunciate dal Signore e rive-stite dell’espressione umana dai profeti ebrei erano sante e venivano conservate preziosamente come un tesoro sacro.

In tal modo comincia la storia della trasmissione della Sacra Scrittura. La parola profetica tradotta fedelmente eppure modificata Nel III secolo prima di Cristo, ad Alessandria d’Egitto, nel periodo in

cui questo paese era sotto la dominazione dei Greci a seguito della con-quista di Alessandro Magno, il Pentateuco fu tradotto in greco. Forse gli Ebrei avevano desiderato rivelare ai Greci e agli Egiziani i tesori di sag-gezza contenuti nella legislazione mosaica. Poco dopo, vennero tradotti

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12 Prefazione

altri scritti biblici. La Bibbia aveva ormai varcato i limiti della sua prima patria.

I traduttori si erano procurati ottimi manoscritti ebraici ed aramaici per garantire la fedeltà della versione greca, la quale doveva aderire da vicino al testo originale. La Lettera di Aristea a Filocrate, della fine del II secolo prima di Cristo, insiste sulla qualità dei manoscritti ebraici del Pentateuco, che furono inviati da Gerusalemme ad Alessandria ed usati dai traduttori.

Tuttavia la Bibbia ebraica si distingue in molti passi dalla Bibbia gre-ca. Tutti i lettori attenti l’hanno osservato e se ne sono meravigliati. Co-me mai tante varianti hanno potuto infiltrarsi in un libro sacro, venerato e trasmesso da ottimi manoscritti? I più dotti conoscitori della Bibbia, come Origene nel III secolo dopo Cristo e Girolamo nel secolo seguente, hanno cercato di dare una spiegazione a questo fatto inaspettato e incon-testabile.

Prescindendo dagli errori dei copisti che non mancano mai totalmen-te in una lunga storia di trasmissione manoscritta, altre varianti sono en-trate negli scritti sacri. Paradossalmente, ciò è dovuto proprio all’estre-ma cura prodigata nella trasmissione delle parole divine proclamate dai profeti e poi conservate per iscritto. Tali parole non contengono errori poiché sono di origine divina, e quindi non possono dare occasione ad equivoci. Perciò il delicato impegno e il grave obbligo dei circoli incari-cati della conservazione e della trasmissione della Sacra Scrittura saran-no quelli di pubblicarla in una forma ineccepibile, in due sensi. Anzitut-to, operando una fedelissima trascrizione degli esemplari autentici; quin-di, preservando la perfetta correttezza teologica di cui deve godere una parola profetica vera. Conservare e correggere: ecco dunque ciò che im-plica la fedeltà indispensabile di tutti gli editori autorevoli delle autenti-che sacre scritture.

Il luogo della veritas graeca sul cammino della Sacra Scrittura Nei due o tre secoli contemporanei o successivi alla traduzione greca,

la Bibbia venne affidata, a Gerusalemme ma anche in Samaria, alla cura di uomini dotti che, fedeli al testo trasmesso e ansiosi di dargli la forma più degna nei riguardi del Signore e dei profeti, preparavano edizioni autorevoli. Certe differenze editoriali rivelano questo sforzo degli editori della Bibbia d’allora, ad esempio le due forme, breve e lunga, del libro di Geremia, le tre forme della seconda tavola del Decalogo (Es 20 e Deut 5 nel testo ebraico e greco), il monte Ebal o Garizim in Deut 27,4 secondo

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Prefazione 13

la Bibbia ebraica e greca da una parte e quella dei Samaritani e della Ve-tus Latina dall’altra, e numerosissime altre varianti.

Succede in tali casi che la Bibbia greca attesti la forma più antica, mentre il testo ebraico è il prodotto di un intervento editoriale posterio-re. Così la Bibbia greca è talvolta testimone di una tappa percorsa dal te-sto biblico sul suo cammino, distanziata poi dalla Bibbia ebraica masore-tica, che rappresenterà l’ultima forma testuale, quella chiamata da San Girolamo veritas hebraica, cioè edizione autentica della Bibbia ebraica, ovvero dell’Antico Testamento. Però la «verità greca» può precedere nel tempo la verità ebraica e così essere più originale! Quanto succede nel caso della Bibbia greca, succede anche, in occasioni più rare, per la Bib-bia dei Samaritani e per certi manoscritti scoperti sulle sponde del Mar Morto che sono allora più originali dell’ultimo testo biblico.

La Bibbia delle chiese di lingua greca e latina Il più grande esegeta dell’età dei Padri della Chiesa, Origene, riflet-

tendo sulle varianti esistenti tra la Bibbia greca e la Bibbia ebraica, che conosceva da vicino come nessun altro, venne alla conclusione che la qualità di Scrittura vera appartiene anche alla Bibbia greca, senza però negare la stessa qualità alla Bibbia ebraica. Questo perché il Signore non poteva lasciare una chiesa priva dell’autentica parola divina. Altrimenti, non si sarebbe trattato di una chiesa di Dio. Nella sua lettera allo storico Giulio Africano, Origene gli spiega che le chiese di lingua greca, avendo accesso alla parola divina esclusivamente attraverso la Bibbia greca, avevano ragione di riconoscere la Bibbia greca come una forma autenti-ca della Sacra Scrittura, poiché il Signore, nella sua provvidenza, aveva destinato loro proprio questa versione. La ragione è ecclesiologica: senza vera Scrittura non si dà vera chiesa.

Nel primo millennio dopo Cristo, l’Occidente latino si trova nella medesima situazione. Infatti, la traduzione di San Girolamo diventa la Bibbia ufficiale ed universalmente accolta soltanto dopo Carlo Magno. Prima, si leggeva la Vetus Latina, versione molto letterale della Bibbia greca. L’Europa occidentale leggeva allora la Sacra Scrittura nella sua versione greca.

Lo studio della Bibbia greca – L’opera di pioniere di Mario Cimosa La conoscenza approfondita della Bibbia greca è dunque doppiamen-

te indispensabile per chiunque voglia studiare la Sacra Scrittura nella sua pienezza. Anzitutto, in molti passi, essa presenta una forma testuale

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14 Prefazione

più antica di quella ebraica. Essa rappresenta una testimonianza della genesi del testo biblico che talvolta precede il nostro attuale testo ebrai-co, il quale si ritrova in tutte le traduzioni moderne della Bibbia. È perciò di grande aiuto capire l’intenzione del testo precedente, più originale, e del testo successivo, più sviluppato, che ha sostituito il primo. In secon-do luogo, la Bibbia greca corrisponde alla parola divina uscita dalle lab-bra dei profeti, da cui nasce la Sacra Scrittura, nella forma in cui essa era proclamata e creduta dai fedeli ebrei e cristiani nei secoli prima e dopo Cristo, nel mondo mediterraneo ellenistico e romano. Non si deve mai dimenticare difatti che la Bibbia greca antica è opera di Ebrei destinata agli Ebrei. La Bibbia greca (come del resto la Bibbia siriaca per un altro vasto segmento del mondo antico) non ha mai perso questa dignità! La conserva ancora oggi.

Quanto detto mostra, se ancora ce ne fosse bisogno, come il lavoro esegetico svolto da Mario Cimosa con grande erudizione e passione con-tagiosa, e volto a far prendere coscienza dell’importanza della Bibbia greca, e di conseguenza dell’importanza della ricerca in tale ambito, sia vera ed utilissima opera di pioniere.

Friburgo (Svizzera), 10 gennaio 2012

Adrian SCHENKER O.P.

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PARTE PRIMA

STUDI SULLA BIBBIA GRECA (SEPTUAGINTA)

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Biblia semper interpretanda est. The Role of the Septuagint

as a Hellenistic Version of the Old Testament

Mogens MÜLLER

1. Introduction Today more than ever the old Greek translation of the Holy Scrip-

tures of Judaism, the so-called Septuagint, is on the agenda. And it is an honour to be invited to participate in this homage to Professor Mario Cimosa who has contributed substantially to the rediscovery of the Hel-lenistic version of the Old Testament as a highly important station on the way to the Christian reception of the Hebrew Bible.1 In the last two or three decennia of biblical research there has been a growing interest in the reception history of the biblical text as being not primarily moving away from something like an original text (German: Grundtext), but in the various manifestations of the text as expressions of the necessary in-terpretation in the assumption of the tradition. This also pertains to the Septuagint.2 The Bible survived and survives simply by being interpret-

1 See Mario Cimosa, Guida allo studio della Bibbia greca (LXX). Storia, lingua, testi (Rome

1995). Cf. also the article, ‘La traduzione greca dei LXX. Dibattito sull’ispirazione’. Salesi-anum 46 (1984), pp. 3-14.

2 Since my The First Bible of the Church. A Plea for the Septuagint (JSOTSup 206 = CIS 1; Sheffield: Sheffield Academic Press, 1996; Danish original, 1994), a stream of introduc-tions, monographs and essay collections have appeared. From the first category one could mention Natalio Fernández Marcos, The Septuagint in Context. Introduction to the Greek Versions of the Bible. Translated by Wilfred G.E. Watson (Brill: Leiden 2000; Spanish original 1979, 21998); Karen H. Jobes & Moisés Silva, Invitation to the Septuagint (Grand Rapids, Michigan: Baker Academic, 2000); Martin Hengel (with the assistance of Roland Deines), The Septuagint as Christian Scripture. Introduction by Robert Hanhart. Translated by Mark E. Biddle (Edinburgh & New York: T. & T. Clark, 2002; a translation of older ar-ticles); R. Timothy McLay, The Use of the Septuagint in New Testament Research (Grand Rapids, Michigan: Eerdmans, 2003); Folker Siegert, Zwischen Hebräischer Bibel und Altem Testament. Eine Einführung in die Septuaginta 1-2 (Münsteraner Judaistische Studien 9 + 13. Münster: LIT Verlag, 2003); Jennifer M. Dines, The Septuagint (London: T. & T. Clark, 2004); Abraham Wasserstein & David Wasserstein, The Legend of the Septuagint. From Classical Antiquity to Today (Cambridge: University Press, 2006); Tessa Rajak, Translation

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Page 20: Extrait de la publication - storage.googleapis.com...come affermava il mistico spagnolo Fray Luis de León, Cimosa è stato uno degli uJphrevtai tou' lovgou (Lc 1,2), un vigoroso “rematore”

18 Mogens Müller

ed. And this also happens in translation – even in the translation of the Septuagint to modern languages.3

2. From Hebrew original to Greek translation In the oldest testimony to a Greek translation of the Holy Scriptures

of Judaism which can be dated with relative accuracy, namely the grandson’s prologue to his translation of his grandfather’s book, Ecclesi-asticus, he mentions all three sections of the later Hebrew Bible. Thus it must be the third group, the Writings (Ketubim) which is meant with “the writers who followed in their [i.e. The Law and The Prophets] steps” (καὶ τῶν ἄλλων τῶν κατ’ αὐτοὺς ἠκουλουθηκότων), “the other writings of our ancestors” (ἄλλων πατρίων βιβλίων), and “the rest of the writings” (τὰ λοιπὰ τῶν βιβλίων).4 It is also said of the Greek ver-sion of these biblical writings that “it makes no small difference to read them in the original” (οὐ μίκραν ἔχει τὴν διαφορὰν ἐν ἑαυτοῖς λεγόμενα). Just as the translation itself the prologue to Ecclesiasticus apparently derives from not long after the grandson’s arrival in Egypt “in the thirty-eight year of the reign of King Euergetes”, that is, 132 BC. Of course it is a matter of opinion how many years “ever since” (the

and Survival. The Greek Bible of the Ancient Jewish Diaspora (Oxford: University Press, 2009). Cf. also M. Müller, ’Die Septuaginta als Teil des christlichen Kanons’, in Martin Karrer & Wolfgang Kraus unter Mitarbeit von Martin Meiser (eds.), Die Septuaginta – Texte, Kontexte, Lebenswelten (WUNT, 219; Tübingen: Mohr Siebeck, 2008), pp. 708-727. The present article is also a reaction to the critical assessment of my earlier contributions by Søren Holst, namely in the article ‘’Hebraica veritas! … aber was heißt hier schon ”Wahrheit”?’ in Troels Engberg-Pedersen, Niels Peter Lemche & Henrik Tronier (eds.), Kanon. Bibelens tilblivelse og normative status. FS Mogens Müller (Forum for Bibelsk Eksegese, 15; Copenhagen: Museum Tusculanum, 2006), pp. 196-211.

3 Earlier there was only Sir L.C.L. Brenton, The Septuagint Version of the Old Testament According to the Vatican Text (London 1844); idem, The Septuagint with Apocrypha: Greek and English (London: Samuel Bagster & Sons 1851 with several reprints). In 1986, however, a large scale French translation project was initiated, La Bible d’Alexandrie (17 volumes have appeared so far). In recent years come Albert Pietersma (ed.), A New English Trans-lation of the Septuagint and Other Greek Translations Traditionally Included under That Title (Oxford: University Press 2007), and Wolfgang Kraus & Martin Karrer (eds.), Septuaginta Deutsch. Das griechische Alte Testament in deutscher Übersetzung (Stuttgart: Deutsche Bibel-gesellschaft, 2009; commentary volumes are in press). Cf. also The Orthodox Study Bible (Nashville, TN: Thomas Nelson Publishers 2008).

4 English translation according to The New English Bible. With Apocrypha (Oxford Uni-versity Press/Cambridge University Press, 1970).

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