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Gli altari a terrazza di Monte d’Accoddi - Sardegna Cultura · di un più ampio programma di...

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6 D A RW I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A cuni importanti cantieri archeologici: due erano previsti nel meridione dell’iso- la e almeno uno nel nord. Per i primi la scelta era caduta sul complesso nuragico di Barumini, ora patrimonio dell’umani- tà nella lista dell’Unesco, e quindi sulla città punico-romana di Nora, mentre per il terzo sito archeologico l’intervento fu voluto dal “palazzo” e in particolare dal- l’allora ministro della Pubblica Istruzio- ne, un sardo che sarebbe divenuto poi presidente della Repubblica. Infatti, il professor Antonio Segni, insigne studioso di diritto ma anche appassionato di ar- cheologia, si era persuaso che una miste- riosa collinetta che sorgeva in un terreno adiacente a una sua proprietà, a una de- cina di chilometri da Sassari, altro non fosse che un tumulo etrusco o qualcosa di simile, e per questo ne aveva caldeggiato lo scavo e facilitato il finanziamento. Per realizzare questa impresa occor- reva tuttavia un archeologo, cosa non semplice in quegli anni in quanto per la tutela di un territorio vastissimo la Sarde- gna poteva contare su un’unica Soprin- tendenza alle Antichità, con sede a Ca- gliari, e su due funzionari archeologi. Fu pertanto necessario richiamare dalla So- printendenza di Bologna, ove prestava L A SCOPERTA DI MONTE D’ACCODDI risa- le ai primi anni Cinquanta del se- colo scorso e avvenne nell’ambito di un più ampio programma di interven- ti promossi dalla ancor giovane Regione Autonoma della Sardegna, mirati sia alla ripresa delle attività di ricerca interrotte a causa delle vicende belliche sia per favo- rire l’occupazione in quei giorni difficili del dopoguerra che nell’isola tardava a concludersi. Il progetto prevedeva l’apertura di al- T E C N O L O G I E N E O L I T I C H E Gli altari a terrazza di Monte d’Accoddi Il complesso di età prenuragica ospitava un santuario e un villaggio che non trova riscontri in Europa e nell’intera area del Mediterraneo ALBERTO MORAVETTI L'altare-terrazza di Monte d'Accoddi nel suo primo impianto: ricostruzione ideale da Santo Tinè (dis. Francesco Carta). TUTTE LE IMMAGINI: CORTESIA AUTORE
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cuni importanti cantieri archeologici:due erano previsti nel meridione dell’iso-la e almeno uno nel nord. Per i primi lascelta era caduta sul complesso nuragicodi Barumini, ora patrimonio dell’umani-tà nella lista dell’Unesco, e quindi sullacittà punico-romana di Nora, mentre peril terzo sito archeologico l’intervento fuvoluto dal “palazzo” e in particolare dal-l’allora ministro della Pubblica Istruzio-ne, un sardo che sarebbe divenuto poipresidente della Repubblica. Infatti, ilprofessor Antonio Segni, insigne studiosodi diritto ma anche appassionato di ar-cheologia, si era persuaso che una miste-riosa collinetta che sorgeva in un terrenoadiacente a una sua proprietà, a una de-cina di chilometri da Sassari, altro nonfosse che un tumulo etrusco o qualcosa disimile, e per questo ne aveva caldeggiatolo scavo e facilitato il finanziamento.

Per realizzare questa impresa occor-reva tuttavia un archeologo, cosa nonsemplice in quegli anni in quanto per latutela di un territorio vastissimo la Sarde-gna poteva contare su un’unica Soprin-tendenza alle Antichità, con sede a Ca-gliari, e su due funzionari archeologi. Fupertanto necessario richiamare dalla So-printendenza di Bologna, ove prestava

L A SCOPERTA DI MONTE D’ACCODDI risa-le ai primi anni Cinquanta del se-colo scorso e avvenne nell’ambito

di un più ampio programma di interven-ti promossi dalla ancor giovane RegioneAutonoma della Sardegna, mirati sia allaripresa delle attività di ricerca interrotte acausa delle vicende belliche sia per favo-rire l’occupazione in quei giorni difficilidel dopoguerra che nell’isola tardava aconcludersi.

Il progetto prevedeva l’apertura di al-

T E C N O L O G I E N E O L I T I C H E

Gli altari a terrazzadi Monte d’AccoddiIl complesso di età prenuragica ospitava un santuario e un villaggioche non trova riscontri in Europa e nell’intera area del Mediterraneo

ALBERTO MORAVETTI

L'altare-terrazza di Monte d'Accoddi nel suoprimo impianto: ricostruzioneideale da Santo Tinè (dis. Francesco Carta).

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servizio, un giovane archeologo sardo –Ercole Contu – destinato a diventare so-printendente alle Antichità per le provin-ce di Sassari e Nuoro e ora professoreemerito di Antichità Sarde all’Universitàdi Sassari. Contu racconta di essere rien-trato nell’isola malvolentieri: infatti eraconvinto che il cosiddetto “tumulo” altronon fosse che la rovina di uno dei tantinuraghi, circa settemila, che caratteriz-zano il paesaggio isolano e che sono nu-merosi nella Nurra, la regione storica ovesorgeva la collina di Monte d’Accoddi.

Posizione dominanteMa gli scavi rivelarono che tutti, archeo-logi e no, si erano sbagliati. Infatti le in-dagini dimostrarono che la collina nonsolo non nascondeva alcun nuraghe maera stata prodotta dalle rovine di un ecce-zionale e finora unico monumento prei-storico, molto più antico dei primi nura-ghi. Purtroppo, per la sua posizione do-

minante in un territorio per lo più pia-neggiante, l’altura venne prescelta du-rante l’ultima guerra per impiantare agliangoli delle batterie contraeree, raccor-date da una trincea circolare: interventiche hanno gravemente danneggiato glistrati superiori del monumento.

L’esplorazione di Monte d’Accoddi èavvenuta in due periodi distinti, con unintervallo di circa vent’anni; tuttavia l’in-dagine è ben lontana dal considerarsi

L'altare-terrazza di Monte d'Accoddi nel suo primo impianto (dis. Francesco Carta).Sotto, Santuario preistorico di Monte d'Accoddi: la rampaper la sommità del tempio,l'omphalòs, e la lastra con fori. (foto Moravetti)

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tuario. In questi stessi anni vennero poiindividuate le numerose e importanti ne-cropoli a grotticelle artificiali – ipogei chenella tradizione popolare sono noti comedomus de janas (casa delle fate) – chequasi a ventaglio si dispongono con i re-lativi villaggi intorno al santuario preisto-rico a indicare un territorio fittamenteabitato. Dopo circa vent’anni, dal 1979 al1989, i lavori furono ripresi ed estesi daSanto Tinè, dell’Università di Genova, alquale si devono nuove significative sco-perte che hanno meglio chiarito la fun-zione della struttura riportata alla lucedagli scavi precedenti, ribadendo con

conclusa. Agli inizi, come si è detto, l’in-dagine era volta a definire la natura e il si-gnificato di una modesta collinetta, chia-ramente artificiale, denominata Monted’Accoddi che, unica e isolata, si elevavaancora per circa 6-7 metri rispetto al pia-no di campagna su un’ampia piana calca-rea. I primi scavi, diretti dal Ercole Contu,ebbero inizio nel 1952 e proseguirono si-no al 1958. In questi anni vennero alla lu-ce una costruzione tronco-piramidalepreceduta da una lunga rampa, un men-hir, due tavole d’offerta, un settore del vil-laggio e altri importanti elementi cultura-li dispersi per largo tratto intorno al san-

colta» (accoddi) o da corno (la corra). Solo di recente si è potuto

accertare che il nome più antico documentato nelle carte catastali

è «Monte de Code», che significava «Monte, collina delle pietre».

Il riferimento alla pietra si ritrova anche nella traduzione spagno-

la, risalente al ‘600, del condaghe medievale di San Michele di Sal-

vennor, nel quale la collina viene chiamata «Monton de la Piedra».

E infatti, prima degli scavi, le poche pietre ancora affioranti dava-

no proprio questo aspetto alla “misteriosa” collinetta.

Il nome Monte d’Accoddi risultava, al pari della collinetta, piutto-

sto misterioso. E di esso si avevano anche altre versioni, come

Monti d’Agodi o Monti d’Agoddi o Monte d’Acode o Monte La

Corra (sulle carte dell’I.G.M.). Intanto, non stupiva la denomina-

zione di “monte” a un modesto rilievo dal momento che in Sar-

degna viene data anche alle colline. Meno agevole, invece, appa-

riva l’interpretazione della seconda parte del nome, che venne fat-

ta derivare da un’erba (kòdoro, cioè terebinto) o da «luogo di rac-

Il mistero del nome

La "collina" di Monte d'Accoddi in fase di scavo, 1952 (Archivio Ercole Contu).

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nuovi dati l’interpretazione di luogo diculto già proposta da Contu. Inoltre, nelcorso di questi ultimi interventi sono sta-te individuate fasi edilizie distinte e si èrealizzato il restauro e una parziale e con-troversa restituzione del monumento.

Prime ipotesiNell’affrontare lo scavo del “tumulo”, laconvinzione che si trattasse di un nura-ghe o qualcosa di simile aveva spintoContu a ricercare l’ingresso alla torre op-pure la camera a tholos che caratterizzal’interno delle torri nuragiche. Solo dopoavere definito l’intero profilo perimetraledel monumento, poté constatare chenon vi erano ingressi o vani, ma che il tu-mulo altro non era che una singolare edel tutto sconosciuta struttura delimitatada un semplice muro a secco. Questomuro, piuttosto rozzo nella fattura, avevala funzione di foderare una sorta di piat-

taforma tronco-piramidale a base trape-zia, preceduta, nel lato sud, da una lungarampa d’accesso ascendente: cioè eraqualcosa di simile a quello che in ambitomesopotamico viene definito “altare aterrazza” o ziggurat.

Alla ripresa degli scavi Santo Tinèipotizzò a sua volta che il tumulo potessenascondere una tomba megalitica o ipo-

Non si trovano né l’ingresso né i vani e tramontal’ipotesi che il tumulo nascondesse una struttura nuragica

Sopra, l'altare di Monted'Accoddi durante gli scaviContu, 1952-58 (Archivio Ercole Contu).Sotto, veduta aereadell’altare-terrazza di Monte d'Accoddi primadegli interventi di Santo Tinè.

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tura ad alveare aveva ammorsato in qual-che modo il riempimento e impedito chevi fosse una spinta verso l’esterno, evi-tando in tal modo lesioni irreparabili allepareti di contenimento del monumento.Ma soprattutto si scoprì che l’altare mes-so in luce da Ercole Contu era stato pre-ceduto da un altro edificio – del tutto si-mile nella forma ma di minori dimensio-ni – e successivamente inglobato in quel-lo che ora possiamo ammirare. Inoltre,sul piano di svettamento di questo edifi-cio più antico – Tempio A – vennero allaluce i resti di una struttura rettangolare,punto di arrivo della rampa e sacello deltempio. Pertanto, il monumento attual-mente visibile (Tempio B) include unaziggurat di minori dimensioni (TempioA) o meglio ancora si può dire che l’alta-re a terrazza più antico è stato rifasciato eingrandito nelle forme attuali.

L’altare a terrazza più recente pre-senta una base di 37,50 x 30,50 metri, ri-

geica destinata a ospitare la sepoltura diun personaggio distinto, e per questo de-cise di affrontare lo scavo del riempimen-to della terrazza fino a raggiungere la ba-se della costruzione, a una profondità dicirca 8 metri. Va detto che anche Contuaveva tentato l’esplorazione del cuore delmonumento, ma si era dovuto arrestare acirca tre metri di profondità per mancan-za di mezzi tecnici adeguati e sicuri. L’in-dagine, condotta stavolta con larghezzadi risorse, non sortì i risultati sperati: l’al-tare non custodiva alcuna tomba, mal’intervento rivelò nuovi e interessantielementi architettonici e culturali.

Intanto si mise in luce un particolaretecnico-costruttivo assai sofisticato cheaveva consentito di contenere quellamassa enorme di terra e di pietrame, de-limitato in apparenza da un esile para-mento murario. Infatti era stato creatouna sorta di reticolato a “cassoni” forma-to da un solo filare di pietre: questa strut-

Gli scavi mettono in luce un sofisticato sistemadi contenimento che sostiene l’enorme massa di pietre

In primo piano la tavola per offerte con fori (a destra,un particolare) e sullo sfondol'altare a terrazza dopo il restauro. Nella paginaseguente, pianta e sezionidella stessa tavola.

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spettivamente nel lato nord e in quelloest, mentre la rampa ha una lunghezza di41,50 metri ed è larga da un minimo di 7metri nella parte iniziale sino a un massi-mo di 13,50 nel punto di raccordo con illato meridionale della terrazza: la lun-ghezza dell’insieme misura 75 metri. Lemurature del monumento, che si conser-vano ancora a sud-est per un’altezza di5,4 metri, sono costituite da grossi bloc-chi poliedrici di calcare, appena sbozzatie disposti con scarsa cura in filari irrego-lari. Queste murature, fortemente incli-nate per ragioni di statica, erano costitui-te dalle sole pietre a vista e avevano, co-me si è detto, la funzione principale di so-stenere un ammasso stratificato di terra epietrame. La rampa, costruita con la stes-sa tecnica, fu aggiunta alla struttura tron-co-piramidale poco dopo il primo filare eper questo motivo aveva anche esercita-to funzione di piano inclinato per edifi-care il resto dell’edificio principale. Lacostruzione occupa una superficie di2.513 metri quadri, mentre il suo volumerisulta di 7.590 metri cubi.

Pareti intonacateLa ziggurat più antica (A), scoperta daSanto Tinè all’interno della costruzioneportata alla luce da Ercole Contu, era asua volta costituita da una piattaformaquadrangolare sulla quale era stata co-struita una struttura rettangolare, rag-giungibile grazie a una rampa ascenden-te. Il paramento murario di questa terraz-za si distingueva per una particolare curae raffinatezza: infatti, le pareti erano sta-te intonacate e dipinte di rosso. Le paretidel sacello, ove si ipotizza venisse officia-to il culto, erano anch’esse intonacate eaffrescate con colore rosso ocra, da qui ladenominazione di tempio rosso, così co-me il pavimento. Della struttura rimane ilmuro perimetrale, alto ora circa 70 cm.

L’ingresso al vano era segnato ai lati dadue buche di palo riferibili a un piccoloportico: altre buche per contenere i por-tanti del tetto a doppio spiovente eranoforse presenti nel piano pavimentale del-lo stesso sacello. A differenza del resto de-gli scavi, totalmente a cielo aperto, que-sta cella è ora protetta da una strutturametallica.

La superficie occupata da questo pri-mo monumento è di 1.491 metri quadri,mentre il volume complessivo è stato sti-mato in 4.133 metri cubi. La differenzafra i volumi dei due edifici, di 3.457 metricubi, costituisce la dimensione di cuba-tura necessaria per rifasciare il primo al-tare andato distrutto.

Restano delle perplessità sulla formaoriginaria dell’altare a terrazza più recen-te. Infatti, il restauro di Tinè è stato realiz-zato ritenendo che ci fossero elementisufficienti per credere che la costruzionefosse a gradoni, mentre Contu ritiene, in-vece, che le pareti esterne avessero solo

Qui in basso la facciaanteriore e nella paginaprecedente quella posterioredi una stele trovata nei pressi della parete norddella terrazza.

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stra, disseminata di coppelle e interpre-tata come tavola per offerte, è ritenutacontemporanea all’altare a terrazza piùrecente. Una seconda tavola per offertein trachite (ignimbrite presente in affio-ramenti distanti almeno 6 km dal santua-rio), di minori dimensioni e più semplicenella sua forma irregolare fu trovata sullostesso lato, quasi a ridosso della rampa.

Un menhir in calcare micritico, diffe-rente dai litotipi affioranti sul posto, gia-ceva rovesciato sul lato opposto dellarampa: si tratta di lunga pietra calcareasquadrata. Sia la lastra di trachite che ilmenhir sembrano appartenere a un mo-mento antecedente rispetto al lastronecalcareo, e sono la conferma che il luogoera considerato sacro forse ancor primadella costruzione del primo altare. Vicinoal grande lastrone, ma del tutto fuori po-sto perché proveniente da oltre il muroorientale di recinzione della zona ar-cheologica, si trova una pietra sferoidale,in arenaria grigiastra, rifinita accurata-mente e con la superficie punteggiata dipiccole coppelle. È verosimile che abbiaavuto valenza sacra, forse con lo stessosignificato dell’omphalòs di Delfi ritenu-to l’ombelico del mondo; non è tuttaviada escludere, come qualcuno ha prospet-tato, l’ipotesi di una simbologia astrale.Un’altra pietra sferoide in quarzite, di mi-nori dimensioni, rinvenuta nella stessazona da cui proviene il cosiddetto om-phalòs, è stata sistemata accanto allostesso.

Fra gli elementi di sicura valenza cul-tuale, a parte numerosi idoletti femmini-li, frammentari, di tipo cicladico, forse in-dicativi di un culto della Dea-Madre, so-

due inclinazioni diverse e due diversemurature: pietre più grosse e meno incli-nate nella parte inferiore, pietrame mol-to più piccolo e profilo più inclinato neifilari superiori.

L’interesse del sito di Monte d’Ac-coddi, già eccezionale per la singolaritàdel monumento sopra descritto, non siesaurisce con l’edificio a ziggurat, ma è

accresciuto dal villaggio-santuario e daicopiosi ritrovamenti di cultura materiale.In prossimità della rampa, a est e a circa5 m di distanza dalla stessa, è visibile unlastrone trapezoidale in calcare che pog-gia su tre supporti piuttosto irregolari. Ibordi presentano sette fori passanti, si-mili a buche di biliardo, forse creati perlegarvi degli animali per sacrifici. Al disotto della lastra vi è un inghiottitoio na-turale d’incerto significato, forse legato aculti del mondo sotterraneo. Questa la-

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Il luogo era forse considerato sacro ancor prima della costruzione del primo altare

Veduta dell’omphalòs,della rampa e della terrazza dopo i lavori di restauro e restituzione.

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no da segnalare almeno due stele: la pri-ma, in pietra calcarea e frammentaria,presenta un disegno con losanga e spira-li e fu recuperata entro la grande rampa;la seconda, in granito e di forma rettan-golare, è decorata in entrambe le facce epresenta una figura femminile filiformestilizzata in rilievo: fu trovata nei pressidella parete settentrionale della terrazzapiù antica. Da ricordare, infine, una pie-tra di forma piatta ellittica, segnata datredici scanalature parallele di incerto si-gnificato e attraversate da almeno altredue perpendicolari: proviene dall’angolosud-est della seconda terrazza e forse, aparere del Contu, era in relazione conuna sepoltura di cui si dirà più avanti.

Sia negli scavi Contu che in quellisuccessivi si rinvennero fondi di capannae materiali riferibili a un momento, dettofacies di S. Ciriaco – Neolitico Recente

iniziale, 3500-3300 a.C. – che ha precedu-to la costruzione del monumento e forseanche quella dell’area sacra con il men-hir. Si è stimato che l’area abitativa siestendesse per circa 22.000 metri quadri,ma in realtà la parte indagata è ancoramolto modesta per poter trarre conclu-sioni sulla densità dei nuclei abitativi che

L'omphalòs e la pietrasferoide in quarzite.Sotto, la superficiedell’omphalòs disseminata di piccole coppelle.

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Monte d’Accoddi era fatto con brecciamefino di calcare. Nella Capanna dd, postatra le due tavole di offerta, era ancoraconservato il focolare rettangolare in ar-gilla con bordo in rilievo. Situata vicinoall’angolo nord-est dell’altare si trova laCapanna p-s, indubbiamente quella piùinteressante e più ricca di reperti: è dettaanche Capanna dello Stregone per il fat-to che entro una brocca capovolta sonostate rinvenute una punta di corno bovi-no e alcune conchiglie marine bivalve. Sitratta di un struttura pluricellulare, di for-ma trapezoidale e con l’interno suddivi-so in cinque ambienti di varia forma: iltetto doveva avere un unico spiovente,dato che un muro perimetrale risulta piùrobusto degli altri. Questa capanna, ab-bandonata in seguito a un incendio, con-servava ancora in situ tutto il suo anticodeposito, costituito soprattutto da reper-ti fittili: un centinaio circa fra vasi grandie piccoli – persino un tripode ancora inpiedi sul focolare – un idoletto femmini-

si sono succeduti nel tempo. Per la faserelativa alla cultura di Ozieri, ad esempio,Tinè ha ipotizzato un villaggio di 150 ca-panne, abitate ciascuna da 5 unità, se-condo una stima convenzionalmente ap-plicata agli ambiti neolitici. In realtà sonoancora estremamente scarsi i resti dellestrutture che hanno preceduto la costru-zione dell’altare più antico, mentre siconservano con sufficiente nitidezza iprofili murari di alcune capanne costrui-te intorno all’altare e alla rampa, ricon-ducibili a una fase tarda dell’abitato.Questi resti murari sono ridotti a un solofilare di pietre, rozze e di media grandez-za, che doveva costituire la base della ca-panna. Si è ipotizzato l’utilizzo di matto-ni crudi o di canne o frasche con intona-co di fango, e si sono trovate varie im-pronte su argilla bruciata. Anche i tetti, auno o due spioventi, dovevano avere untelaio realizzato con legni e coperturastraminea.

Il pavimento di queste capanne di

Una capanna rimasta abbandonata dopo un’incendioaveva un tripode ancora in piedi sul focolare

Due immagini del menhirriferibile a una faseprecedente la costruzionedell'altare a terrazza.

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le, un peso da telaio decorato da dischipendenti, numerose macine litiche e al-tre cose ancora. In tutta l’area intorno algrande altare, a indicare l’intensa fre-quentazione del santuario, sono stati rin-venuti mucchi di conchiglie, forse resti dipasti sacri, accanto a ceneri e carboni;ma erano abbondanti anche i resti di pa-sto di altro tipo, comprendenti più o me-no gli stessi mammiferi attuali, domesti-ci e selvatici, lumache, ricci di mare, coz-ze, orate e persino grandi bocconi conicidi mare o Charonia, usati anche comestrumento per suono a fiato, cioè comebùccina.

Si è recuperato, inoltre, un numeroinsolito di punte di freccia e lame in selcee ossidiana, e di accette in pietra levigata.All’interno di un vaso si trovarono ottopesi reniformi riferibili a un primitivo te-laio verticale. Strettamente legati alla sfe-ra del sacro sono altri materiali rinvenuti

vicino all’altare, come statuette in pietrafemminili, di tipo cicladico, e forse ancheil frammento di un ciotolone emisfericocon incisa una scena di danza. Intornoall’altare, per largo tratto, ad accrescere lastraordinaria importanza del complessocultuale, sono presenti tracce copiose divita che documentano i numerosi nucleiabitativi che gravitavano sul santuario. Aun centinaio di metri dal lato orientaledell’altare a terrazza, oltre un muro re-cente che segna il confine della zona de-gli scavi, non lontano dal luogo di prove-nienza dell’omphalos, sono stati rinve-nuti due menhir rovesciati sul terreno.Uno è di arenaria, mentre l’altro è di cal-care: di colore bruno-rossastro il primo ebianco il secondo, forse a voler distingue-re rispettivamente l’uomo e la donna,corrispondenti forse a principi divini oantenati «eroizzati» oppure ancora allaforza generativa della natura espressa dal

L’altare visto dallla rampa.

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possibili portano verso il Vicino Oriente.Si tratta, è bene precisarlo, di raffronti deltutto generici che non sono indicativi dicontatti diretti di cui, almeno finora,mancano le prove. Le piramidi a gradoni– tipo quella notissima di Sakkara – por-terebbero all’Egitto, anche se l’edificiosardo sembra ricordare le mastabe, an-ch’esse delle piramidi tronche. Ma le ma-stabe sono tombe e non presentano alcu-na rampa esterna a piano inclinato perraggiungere la spianata superiore, e la sa-lita doveva rivestire un forte significatosimbolico quale ascesa verso la divinità.Più suggestivo, invece, il richiamo con iltipo più elementare di torri sacre, provvi-ste di rampe e gradoni della Mesopota-mia: le ziqqurat. La più famosa, oltrequella di Ur, è meglio nota dalla Bibbia co-me torre di Babele, cioè torre di Babilonia.Sono ziqqurat piuttosto complesse, comeanche quelle analoghe di Assur e Korsa-bad, appartenenti al III millennio, mentre

fallo. Nella stessa zona da cui provienel’omphalòs fu trovato anche un bacile-frantoio, sporco di ocra rossa, in trachite.

I due altari a terrazza sco-perti a Monte d’Accoddi, siaquello più antico sia quellopiù tardo che lo ha ingloba-to, presentano entrambi unastruttura del tutto scono-sciuta nel panorama del me-galitismo occidentale. Citroviamo di fronte a un im-ponente edificio cultuale in-torno al quale si estendeva

un vasto villaggio: un santuario al quale ifedeli dovevano accorrere, data la sua ri-levanza, da un territorio molto vasto e dalontano, forse da tutta la Sardegna comeipotizzato da qualcuno. Si è già detto del-l’unicità architettonica di questo monu-mento che non trova finora riscontri siain Europa sia nell’intero bacino del Medi-terraneo, e per questo i soli confronti

Qui sotto, pesi da telaioreniformi rinvenuti nel corso degli scavi Contu.In basso, frammento di steledecorata a losanghe e motivispiraliformi rinvenuta durante gli scavi Tinè.

Ricostruzione ideale del villaggio di cultura Ozieri con area sacraprovvista di menhir,nell’area ove sorgerà la terrazza-altare(dis. Francesco Corni).

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quella di Aqar Quf è addirittura del secon-do. Ma il raffronto che pare più significa-tivo, almeno per la maggiore semplicità, èquello con la ziqqurat di Anu, a Uruk, co-struita in tempi non troppo lontani dal-l’altare di Monte d’Accoddi.

Architettura ineditaLa ziggurat di Monte d’Accoddi ricordainoltre – ma soltanto come puro richia-mo letterario – l’altare che Javeh imponedi costruire a Mosé: doveva essere di pie-tre rozze o terra e accessibile a mezzo diuna rampa senza gradini, e questo affin-ché, per la corta tunica, non si generassescandalo. E siamo intorno al 2200 a.C.Forse, come avveniva nelle ziggurat me-sopotamiche, anche la piramide troncadi Monte d’Accoddi era destinata alle fe-ste sacre legate al ciclo agrario, alla fera-cità dei campi, ai riti propiziatori della

fertilità per uomini e ani-mali e altro ancora.

Fin dai primi inter-venti era apparso chiaroche Monte d’Accoddi eraun monumento anterioreall’età dei nuraghi, nonsolo per la sua inedita ar-chitettura ma per i mate-riali che si andavano ritro-vando, riferibili ai tempi delle culture diOzieri, di Filigosa, di Abealzu, Monte Cla-ro e Campaniforme, fra il Neolitico Re-cente e l’Età del Rame. A ribadire l’altaantichità del complesso archeologico sidispone di numerose datazioni radiome-triche, fra le quali risultano di particolareinteresse cinque datazioni non calibratedal Laboratorio di Utrech. In conclusio-ne, sulla base dei dati finora disponibili sipossono determinare in qualche misura

Il santuario di Monte D’Accoddi era dedicatoalle feste sacre legate al ciclo agrario e alla fertilità

Strumenti litici in ossidiana.

Restituzione graficadell’altare-terrazza a gradoni di Monte d'Accoddisuccessivo al tempioprecedente inglobato al suo interno (dis. Francesco Corni).

Sotto, frammento di ciotoloneemisferico con figurefemminili in atto di danza.

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soni radiali, e quindi venne eretto unnuovo sacello, rialzato di vari metri, men-tre anche la piramide e la rampa veniva-no ricostruite e ampliate.

La seconda piramide – costruita aitempi di Filigosa ma per altri durante lacultura di Abealzu (2700 a.C.) – rimase inuso nell’Eneolitico, come attestano i ma-teriali delle culture di Filigosa, Abealzu,Monte Claro e Campaniforme rinvenutinelle capanne che sorgono ai piedi dellapiramide, ma già ai tempi della cultura diBonnanaro, nel I Bronzo (1800-1600a.C.), il santuario doveva essere in ab-bandono anche se non mancano traccedi frequentazioni più recenti come quel-

le fasi costruttive della “ziggurat” e i di-versi momenti di frequentazione di Mon-te d’Accoddi. L’area ove ora sorge la “zig-gurat” e il villaggio-santuario è stata perla prima volta occupata ai tempi dellacultura di San Ciriaco (3500-3200 a.C.)agli inizi del Neolitico Recente, come do-cumentano ceramiche e i resti di capan-ne circolari seminterrate. Su questo pri-mo impianto si sovrappose un nuovo nu-cleo abitativo riferibile alla cultura diOzieri (3200-2900 a.C.), provvisto di un’a-

rea di culto segnata da un menhir,dalla lastra con fori passanti.Successivamente, nella fase fi-nale della stessa cultura di Ozie-ri – ma per altri nella successivacultura eneolitica di Filigosa –l’area del menhir venne parzial-mente occupata dalla costru-zione del primo altare a terraz-za, munito di rampa e spianatacon sacello intonacato e dipintodi rosso. I dati di scavo hanno ri-velato che la prima piramidecon il sacello venne distrutta daun incendio, dopo il quale fu ri-coperta da terra e pietrame benassestato con un sistema di cas-

Il santuario preistorico di Monte d’Accoddi è situato a 11 km da Sassari,

all’altezza del km 222,35 della Superstrada 131, Sassari-Portotorres, sul

lato sinistro. Al monumento, a circa 800 metri dalla superstrada, si ac-

cede da una strada lastricata: a metà del percorso, all’interno di una ca-

va abbandonata è stato ricavato un ampio parcheggio. Nell’area ar-

cheologica esiste un piccolo Antiquarium ove sono esposti pannelli di-

dattici che illustrano i risultati degli scavi. Sono invece esposti al Museo

Archeologico Nazionale G. Antonio Sanna di Sassari altri pannelli didattici, un bel plastico di tipo tradizionale, un mo-

derno ologramma e una scelta dei copiosi materiali ritrovati durante gli scavi.

Come arrivare al Santuario

Ricostruzione grafica dei due tempietti riferibili alla due fasi costruttive.

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le molto rare nuragiche, fenicio-puni-che, di età romana e medioevale. A testi-moniare che già durante il Bronzo Anti-co il santuario aveva perduto la sua fun-zione di luogo di culto, va segnalata la se-poltura di un fanciullo di sei anni, rinve-nuta all’interno del riempimento del-l’angolo sud-est della “ziggurat”. Si trattadi un seppellimento di tipo secondario,costituito dal solo cranio – brachicefalo eaffetto da appiattimento congenito della

volta cranica (platicefalia) – coperto,quasi come un elmo, da un vaso a tripo-de di terracotta e con accanto una cioto-la. Le ceramiche di corredo attestano chesi tratta di una tomba della cultura diBonnanaro (1800-1600 a.C.), quando ilgrande altare era già da tempo abbando-nato e in rovina, luogo di frequentazionisporadiche e occasionali.

Alberto Moravetti, Università di Sassari

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La “Capanna dello stregone”dopo lo scavo;nella pagina precedente,la sua planimetria,


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