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I tre gIornI (una mafiàba)static.repubblica.it/d/pdf/Pagano.pdfocchi penetranti e la dentatura...

Date post: 16-Feb-2019
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I tre gIornI della FamIglIa

CardIllo

(una mafiàba)

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FlaVIo Pagano

I tre gIornIdella FamIglIa

CardIllo

(una mafi àba)

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Questo romanzo è un’opera di fantasia. Personaggi e situazioni sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi ana-logia con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è puramente casuale.

realizzazione editoriale: Elàstico, Milano

ISBn 978-88-566-3439-6

I edizione 2014

© 2014 - edIZIonI PIemme Spa, milano www.edizpiemme.it

anno 2014-2015-2016 - edizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

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A Petina e ai suoi splendidi monti,custodi silenziosi del ricordo lontano di giorni felici.

E a Giorgia, piccola e immensa.

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’A vita nun è speranza: è azione.Don Pinuccio ’o cavaliere

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PrImo gIorno

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Un sogno premonitore

C’era una volta la famiglia Cardillo, che viveva in una graziosa villetta fortificata in stile vagamente vittoriano, con garage blindato, giardino recintato e backyard minato, a Woodbridge, un quartiere residenziale nel cuore di detroit.

Quel pomeriggio i Cardillo erano in partenza per l’Italia, dove avrebbero preso parte all’evento mafioso più glamour dell’anno: lo sposalizio della figlia di don Pinuccio ’o Cavaliere. ma, benché fossero in ritardo, mary Cardillo nata Imperatore – prima figlia di un noto impresario di pompe funebri – stava ancora davanti allo specchio della camera da letto, a provarsi il vestito che avrebbe dovuto indossare alla cerimonia.

mary era una bella bruna di trentanove anni, con gli occhi penetranti e la dentatura candida e sana come quella di un giovane lupo. ma, essendo anche una donna prosperosa, con i fianchi a orcio più che ad an-fora e una maestosa quarta di seno naturale, siccome non riusciva a entrare tutta quanta nello specchio co-minciava a innervosirsi.

Come se non bastasse quella notte aveva fatto un brutto sogno e, fin dal risveglio, s’era sentita tutta agi-

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tata. Così, quando si mise di spalle per vedere come stava da dietro, e si accorse che nello specchio o entrava la pacca destra oppure la sinistra, ma tutte e due no, perse il controllo e s’incazzò di brutto.

«È troppo piccirillo ’sto caspito ’e specchio!» strillò stizzita e la sua voce toccò quei toni sovracuti da so-prano che già in passato l’avevano resa celebre in tutto il vicinato.

l’imbarazzante episodio accadde in una tranquilla, calda sera d’estate, e le cose andarono più o meno così: lei e tony, suo marito, stavano facendo l’amore, ma, sul più bello, invece di un orgasmo mary ebbe una clamo-rosa crisi di panico.

tony non lo capì. lui non sapeva neanche che cosa fosse una crisi di panico e, vedendo che sua moglie ge-meva e balbettava, rovesciava gli occhi e si dibatteva come un capitone gettato vivo nell’olio bollente, pensò che stesse godendo come una pazza.

gli piacque molto sentirsi uno stallone, e continuò a darci dentro con tutte le proprie forze: fu allora che le urla di mary salirono al cielo. Sembrava che stessero scannando un bambino, e tony credette che a mary gli era venuto l’orgasmo multiplo (che lui, confondendosi con l’omicidio, chiamava orgasmo plurimo).

Una a una le finestre delle altre villette s’illuminarono e una coppia di anziani e premurosi vicini, che abitava dall’altra parte del viale, decise di andare a vedere cosa diavolo stesse succedendo.

«mister Cardillo!» chiamò dal giardino il vecchio professor Chandler. «Va tutto bene?»

Quel richiamo distrasse tony, e mary ne approfittò per assestargli una capata bestiale in pieno volto e to-glierselo finalmente di dosso.

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Con la canottiera zuppa di sudore, e macchiata di sangue, un batuffolo di ovatta infilato in una narice per fermare l’epistassi, tony si affacciò alla finestra sforzan-dosi di sorridere come se niente fosse: «Sì, sì, va tutto bene! grazie professore, grazie del pensiero... Io nun m’ ’o scordo... grazie!».

e tornò dentro. nella fretta, prima di affacciarsi, s’era pure scordato

di togliersi la fondina ascellare di autentico pitone che sua madre gli aveva regalato a natale.

«ma perché mister Cardillo porta la pistola?» do-mandò stupita a suo marito la signora Chandler, alla quale quel dettaglio non era certo sfuggito, mentre sot-tobraccio se ne ritornavano a casa dall’altro lato del viale.

«non saprei, mia cara» rispose lui, con la consueta, signorile affabilità. Poi si fermò un attimo a pensare sul ciglio della strada e drizzando il dito indice formulò un’ipotesi che fece venire la pelle d’oca alla signora Chandler: «Che lavori per la cia?».

da quella sera tony e mary non avevano più fatto l’amore: lei era rimasta traumatizzata. Provò a spiegarlo a suo marito in tutti i modi, ma tony non riusciva pro-prio a capire che cosa fosse un trauma, e, quando lei lo trascinò dal “pissicologo sessuale” fece scena muta, come ai tempi della scuola quando veniva interrogato.

l’idea di avere un inconscio, che lui s’immaginava come una specie di lurida spia nascosta (nella migliore delle ipotesi) dentro il suo cervello, non gli piaceva per niente.

«mannaggia a ’sto specchio!» gridò mary, conti-nuando a dare in escandescenze. «Io non lo volevo ’o specchio high-tech, è buono solo per quelle mazze ’e

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scopa delle signore di Boston e nuova York! Io volevo ’nu specchio pe’ ’na femmina vera, con le curve ai punti giusti e ’nu poco ’e cellulite, che agli uomini ’a cellulite gli fa simpatia! ’o specchio country volevo io, co’ ’a cornice di legno!»

«ma che dici, mommy?» grufolò una voce divertita da sotto il letto. «non è ’o specchio che è piccirillo... è ’o culo tuo che è esagerato!»

a parlare era stato Charlie, secondogenito di mary, un ragazzino di nove anni vispo e obeso.

«Ué, come ti permetti? Vattene via, va’, che sto ner-vosa, dobbiamo partire e non tengo ’o vestito!» rispose mary.

Charlie rise e scappò via trotterellando come un maialino. aveva in mano una scarpa e un piccolo cac-ciavite da elettricista, di quelli col cercafase, chissà che diavolo stava combinando...

ma mary non ci fece caso. Il vestito che s’era fatta fare per il matrimonio della

figlia di don Pinuccio non le stava bene, ma ormai non c’era tempo né per fare cambi né per fare aggiusti. do-veva per forza usarne un altro, e si mise a cercare nel suo guardaroba quello più adatto al suo nuovo colore di capelli che secondo la parrucchiera era un «bel biondo spiga di grano», mentre secondo lei era un «arancione scorza di loto» che faceva semplicemente cacare.

«Qualcuno ci ha messo addosso ’o malocchio!» mormorò frugando forsennatamente nell’armadio.

e di nuovo le tornò in mente il brutto sogno che aveva fatto la notte prima. Un sogno terribile, pieno di sangue e di mostri: un sogno di malaugurio.

avrebbe avuto tanta voglia di chiamare sua nonna, che in quanto a interpretazione dei sogni, dei numeri

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e dei fondi di caffè, era imbattibile: ma neanche per quello c’era tempo.

«Chissà come va a finire ’sto viaggio...» sospirò mary. «Speriamo bene, va’!» e si fece il segno della croce.

ma per quanto le sue premonizioni notturne l’aves-sero sconvolta, mary non poteva neanche lontanamente immaginare a quale spaventosa avventura lei e la sua famiglia stessero per andare incontro.

nella stanza accanto, la camera di ginetta, l’atmo-sfera era completamente diversa.

di ragazze col suo fisico, in uno specchio come quello di sua madre, ce n’entravano anche due. ginny era una quattordicenne snella e leggiadra, ma siccome il suo seno era già di dimensioni ragguardevoli (secondo la tradizione di famiglia) nell’insieme il suo aspetto ri-maneva come sospeso tra la donna e la bambina. anche il suo visetto delizioso, incorniciato da un caschetto nero che evidenziava i begli occhi verde bosco, grandi e luminosi come quelli di suo padre, era sostanzialmente acerbo, ma in certe occhiate già rivelava di possedere quel tocco sfuggente, di mistero, che è proprio della natura femminile.

la sua valigia era pronta da un pezzo e, seduta all’in-diana in mezzo al letto, ginny chiacchierava sottovoce al telefono con un’amica, con l’aria furtiva tipica degli adolescenti.

Benché fosse un po’ difficile da immaginare, anche mary da giovane aveva avuto un fisico simile a quello di sua figlia. dopo il matrimonio però aveva preso, con incredibile regolarità, circa una libbra all’anno e dopo quindici anni aveva accumulato sui fianchi, come in un salvadanaio, un bel gruzzoletto di ciccia.

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Questo però non aveva tolto nulla al suo prorom-pente sex appeal. anzi, mary era più che mai una donna piacente e non era affatto raro che facesse colpo su qualcuno.

a volte tony sbuffava, e la rimproverava di vestirsi in maniera troppo appariscente, ma lei gli rispondeva: «non è colpa di come mi vesto, tony! Un giorno esco di casa nuda, e così lo capirai se a essere appariscenti so’ i vestiti o sono io!».

di tanto in tanto capitava che qualche ammiratore di mary si facesse troppo audace, e in quel caso, pur-troppo, bisognava mandarlo un po’ a riflettere in ospe-dale.

Uscito dalla camera di sua madre, Charlie era sceso al pianterreno, nell’ampio e luminoso living con cucina a vista.

«ma le donne sono pronte, o no?» gli domandò sec-cato suo padre.

«no» rispose Charlie.tony sbuffò e si passò la mano sui capelli tagliati alla

jarhead, stile marines. erano folti e ispidi come i peli di una spazzola per cavalli.

lui aveva la testa un po’ grossa rispetto al corpo, come i molossi, e la faccia squadrata. anche il collo era piuttosto corto e tarchiato, ma non si poteva dire che fosse brutto. Il suo sorriso era luminoso, non privo persino di una certa dolcezza.

aveva passato i quaranta ma, benché avesse messo su un po’ di pancia, possedeva ancora un aspetto aitante e virile.

«non sei bello, tony,» gli diceva mary quando vo-leva fare la sentimentale «però... tieni il tuo perché!»

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«e che significa?» rispondeva lui.ma lei non glielo spiegava mai. Un po’ perché una

donna non deve spiegare mai fino in fondo quello che pensa al proprio uomo, e un po’ perché, tutto sommato, non lo sapeva neanche lei.

«Daddy, what’re you doing?» domandò Charlie.«e non lo vedi?» disse suo padre, spaparanzato sul

divano. Stava pulendo la pistola. «ma quante volte te lo devo ripetere che in questa casa si deve parlare ita-liano?» aggiunse in tono di rimprovero. «Che li pago a fare io quattrocento dollari al mese per il doposchool, se poi voi parlate sempre americano, eh?»

«Pa’,» rispose Charlie mortificato «ma quelli, i pro-fessori del doposchool, l’italiano non lo sanno... Sanno ’o napulitano, ’o calabrese...»

«e allora parla napulitano e calabrese! tanto è ’a stessa cosa, Charlie, lo vuoi capire o no?»

«okay pa’, scusa,» rispose Charlie «non ti arrabbiare. ma quella te la porti in viaggio?» domandò indicando la pistola.

Un sinistro scricchiolio delle travi di legno della casa annunciò che mary stava scendendo di corsa le scale. «no che non se la porta, ’a pistola!» esclamò. «a meno che non si vuole fare arrestare all’aeroporto! Sarebbe proprio ’na bella idea, eh? Così facciamo incazzare a zio Pinuccio, che ha pagato ’o biglietto agli amici e ai parenti sparsi per il mondo, pur di averli tutti al matri-monio della figlia!»

«la volete finire o no?» rispose tony, e si alzò dal divano di pelle lasciando sul cuscino un avvallamento profondo come l’orma di un tirannosauro. «’o so io che devo fare, va bene? e tu, Charlie, che ci fai co’ ’sto cacciavite in mano, eh? Si può sapere che ci devi fare

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con in mano una scarpa e un cacciavite?» e senza volere gli puntò contro la pistola.

Passandogli accanto mentre si dirigeva verso la cu-cina, sua moglie spostò la canna con la mano: «abbassa un poco ’sto cannone, va’...».

«È scarica...» rispose tony allargando le braccia, in-credulo che qualcuno potesse anche solo immaginare che lui maneggiasse un’arma carica in casa, davanti a moglie e figli.

«È scarica, che ti credi, eh?» ripeté sdegnato. e con aria sprezzante, arricciando una narice fino a scoprire il canino sinistro, tirò il grilletto.

Siccome c’era il silenziatore montato, lo sparo fece il rumore di un rutto sfiatato, ma un pezzo di controsoffit-tatura cadde, seguito da una pioggerellina di polvere di gesso. non c’erano dubbi: dalla Beretta calibro 7,65 di tony era appena partito un colpo.

«Papà...» mormorò Charlie a bocca aperta, pallido come un cadavere e con gli occhi sbarrati, assumendo un’espressione inebetita che accentuò il suo leggero strabismo.

«e mo che c’è?» rispose sgarbatamente suo padre.«Papà, ’a pistola era carica...»tony smanacciò come per scacciare una mosca, e non

disse niente. Sua moglie, braccia conserte dietro la peni-sola della cucina, lo fissava scuotendo la testa.

Quello sguardo pesava su tony come un macigno. era lo stesso sguardo con cui anche sua madre l’aveva guardato fin da quando era nato. Pure il suo capo ogni tanto lo guardava così. e persino quel tipo che aveva riempito di botte la settimana scorsa a un certo punto l’aveva guardato in quel modo, quando aveva capito che lui esitava a sparargli perché sotto sotto gli faceva pena.

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tony l’aveva sempre avuto, quel limite: non riusciva ad ammazzare la gente. Quando arrivava il momento decisivo, il grilletto lo doveva tirare qualcun altro.

«dov’è il burro di arachidi?» chiese mary tutta ner-vosa, leccandosi le labbra in una maniera che a tony gli faceva sempre venire certe strane voglie. e prima che tony o Charlie avessero il tempo di rispondere, aggiunse: «telefona subito a Paddy, tony, e digli che quando torno voglio trovare il soffitto a posto!».

«Paddy sta per arrivare...» rispose tony. «ma tu sei pronta o no? guarda che perdiamo l’aereo, eh?»

«So’ pronta, so’ pronta... aggiungilo sotto a ’o pro-memoria che gli ho preparato, altrimenti quello Paddy si scorda, lo sai com’è fatto l’amichetto tuo...» replicò mary, spalmando uno strato di burro di arachidi alto due dita su una fetta di pane al latte.

«Va bene» rispose tony. Si avvicinò alla lavagnetta lasciamessaggi accanto alla penisola della cucina, e oscillò un po’ col busto avanti e indietro per trovare la distanza giusta per mettere a fuoco i caratteri. gli occhialini da presbite non li voleva portare, perché una volta che l’aveva fatto mary gli aveva detto che sem-brava un vecchio, e lui s’era mortificato.

«Innaffiare le piante del giardino, controllare la cas-setta della posta, mettere le pattine entrando in casa, dare da mangiare al cane, controllare l’olio nei lumini dei san-tini, togliere le pattine uscendo di casa... riparare ’o buco dentro ’o soffitto... Va bene così, mary?» disse tony.

«Va bene, va bene... Ué, ma dove sta ’a porchetta?»«’a porchetta?» ripeté tony.lei lo fissò con aria di sfida: «Sissignore, ’a por-

chetta!».

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«nel frigo...»«dentro ’o frigo non ci sta!» rispose mary, a braccia

conserte. «altrimenti mica te lo domandavo, giusto?»Charlie diventò tutto rosso e cercò di svignarsela in

punta di piedi. ma non aveva fatto il terzo passo, che sua madre lo fulminò: «e tu dove stai andando, eh?».

«a ’o cesso...» mormorò il bambino, e la guardò con l’aria spaesata di un cucciolo di bufalo: «devo fare ’a piscia...».

«non si dice cesso, si dice gabbinetto» lo rimproverò suo padre, in posa mussoliniana, mani sui fianchi e ma-scellone alto. «e rispondigli educatamente a tua madre, hai capito?»

«devo andare a ’o gabbinetto a fare ’a piscia» si cor-resse Charlie.

«lasciamo stare le etichette» tagliò corto mary. «Hai mangiato tu la porchetta, Charlie?» domandò con una finta calma che non prometteva niente di buono.

Charlie sapeva bene quanto cattiva potesse diventare sua madre, quando era affamata. abbassò gli occhi e tentò ancora di negare.

«ma ieri sera era qui...» insistette lei, indicando il frigorifero (anche se la parola frigorifero non rendeva onore a quell’elettrodomestico monumentale, a metà tra un dolmen e un frigo navale, capace di contenere un intero quarto di bue).

«e va bene, sì, so’ stato io! me la so’ magnata io sta-notte!» esclamò d’un fiato Charlie, col labbro tremulo. e scoppiò a piangere, emettendo un sibilo come quello dei vecchi televisori quando finivano le trasmissioni.

Sul suo viso paffuto si disegnò un’espressione or-ribile, come se la sua faccia fosse di cera, e si stesse sciogliendo.

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«Cristo...» mormorò tony, andando a sedersi su uno sgabello della penisola della cucina, di fronte a mary. «Charlie, fa male mangiare di notte... okay? ma non è morto nessuno, non facciamo una tragedia per un poco di porchetta! Vieni qua, Charlie...» e appena il bambino gli si avvicinò, lo abbracciò e gli baciò la fronte.

«non piangere Charlie!» sorrise sua madre, riemer-gendo dal frigo nel quale si era sporta fino alla vita. «guarda che ho trovato!» e mostrò un bel fettone di pancetta.

Solo a quel punto, asciugandosi le lacrime, Charlie sorrise di nuovo.

anche suo padre sorrise. Un sorriso così dolce, che gli fece una fossetta nella guancia sinistra.

Poi posò il braccio sul piano della penisola e, sop-pesandosi pensosamente il pacco con l’altra mano, so-spirò: tutt’a un tratto, chissà perché, non gli sembrava più di essere seduto nella cucina di casa sua, ma al ban-cone di un bar.

Poco mancò che chiedesse alla moglie di servirgli un martini.

leggera come un alito di vento, ginetta scese le scale e si unì al resto della famiglia.

«Come sto papà?» domandò facendo una piroetta.tony s’illuminò: «Sei bella, ginny! Sei bellissima!». lei gli volò accanto e gli buttò le braccia al collo.«ti voglio bene, papà!» sorrise, e gli saltò sulle gi-

nocchia.tony la baciò, e le sue labbrone si appiccicarono alla

pelle di ginny come la ventosa di uno sturalavandini. «mangia cara, ti ho preparato la colazione, come mi

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hai detto tu...» e le indicò un piattino con dentro una foglia di insalata, una manciata di cornflakes e un paio di chicchi d’uva belli grossi e turgidi.

«mamma, ma non avevi deciso di cominciare la dieta della miss?» disse ginny masticando l’insalata avida-mente e guardando sua madre intenta a prepararsi un panino.

«l’ho detto e lo confermo,» rispose orgogliosamente mary «ma una dieta sola non mi basta: me ne servono almeno due o tre!»

«eh mommy,» ridacchiò Charlie «e poi ti lamenti che non riesci a vedere tutto ’o culo nello specchio...» e a sua volta, non proprio con l’agilità di uno scoiattolo, si arrampicò su uno sgabello.

anche tony rise, nascondendosi il viso con la mano paffuta e callosa, grossa quanto un badile.

In piedi accanto al frigo, con in mano il panino grondante burro e orlato di lardo, mary osservò la sua famiglia. Sembrò che stesse per mettersi a ridere anche lei, ma improvvisamente, guardando il marito e i figli seduti dall’altro lato del bancone della penisola, scop-piò in lacrime.

«ehi, amore! Che hai?» esclamò tony. e si precipitò ad abbracciarla: «Come on ragazzi, venite anche voi, la mamma è triste! amore, perché sei triste, eh? avanti, ragazzi, qua ci vuole ’a pet terapy!».

tony strinse mary, mary abbracciò i figli, e loro le si aggrapparono come cozze a uno scoglio. alla fine si fusero tutti in un’unica creatura con quattro teste e un numero di braccia imprecisato.

«mi sembrava che stavamo al bar, e che io ero la barista e voi i clienti!» singhiozzò mary. «e tutti mi sfottevano perché tengo ’o culo grosso!»

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tony assunse un’espressione interrogativa: «Che strano, amore,» disse «l’ho pensato pure io!».

«Che tengo ’o culo grosso?» domandò mary con gli occhi fuori dalle orbite.

«no!» rispose tony: «Ho pensato che stavamo al bar! non lo so perché, mary, ma certe volte pure a me ’a penisola di ’sta cucina mi pare il bancone di un bar!».

«ecco! lo vedi?» disse mary, e cominciò a ragliare come un’asina in calore. «È colpa di questa casa! Questa casa è... è...» balbettò, senza riuscire a conclu-dere la frase.

«Com’è questa casa, mary, dimmelo! non ti piace più?» le chiese premurosamente tony. «l’abbiamo rin-novata solamente pochi mesi fa!»

«no...» mormorò lei, leccandosi una lacrima all’an-golo della bocca. «’Sta casa è... è...»

«È...?»«È maledettamente impersonale, tony!» esplose lei.«Impressionale?» ripeté tony arricciando un poco la

narice, e guardò i figli con la coda dell’occhio. non aveva mai sentito quella parola. mary doveva

averla letta su qualche rivista, su uno di quei maledetti magazine che le riempivano la testa di fesserie come ’o panico, ’o trauma, l’inconscio e adesso pure ’e cucine impressionali!

«lo stile techno non va bene per mommy... io te l’avevo detto, pa’!» disse ginny sottovoce.

«tony» supplicò mary, guardando suo marito dritto negli occhi. «Se mi vuoi bene, rifammi l’arredamento tutto quanto, da capo a piedi!»

«e certo!» rispose lui, senza un attimo di esitazione. Quando la moglie lo guardava così, non capiva più

niente. «tutto quello che vuoi, amore mio: tu sei la

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mia regina, lo sai! Come te lo vuoi fare l’arredamento, mary? dimmelo!»

«Country!» rispose mary, sicura. «tutto di legno, tony: non ne posso più di tutte ’ste cose lucide, di tutto ’sto metallo, e di ’sti specchi piccerilli che uno non si riesce manco a vedere! mi fanno venire ’a depressione, tony. e poi la depressione...»

«...ti fa venire ’a fame!» concluse Charlie.

dalla strada si sentì un doppio colpo di clacson, e subito Colt – il cane di casa – cominciò ad abbaiare in giardino.

«È arrivato Paddy!» esclamò Charlie, e si precipitò alla finestra cercando inutilmente di aprirla. non si sa-rebbe abituato mai a vivere in una casa con le finestre bloccate come quelle dei treni o degli aerei, dove anche il ricambio dell’aria era controllato dal pannello elettro-nico che gestiva le funzioni domestiche.

«non siete ancora pronti?» disse esterrefatto Paddy, entrando. era un omone grande e grosso, così squadrato che sembrava SpongeBob in formato gigante.

Piegò di scatto il braccio per guardare l’ora, e quasi si strappò la manica della giacca. Il vestito gli andava così stretto che si muoveva come un robot.

«Paddy, ma perché ti sei messo ’sto vestito così stretto?» gli domandò tony.

«Sto facendo ’a dieta che mi ha dato mia moglie, e dopo un mese avrei dovuto perdere una taglia. Invece non so’ dimagrito manco mezza libbra, tony, e mia mo-glie per punizione m’ha fatto mettere lo stesso ’o vestito piccerillo... non mi riesco a muovere, tony, per pigliare la pistola mi devo prima togliere la giacca!»

«Ho capito» disse tony scuotendo la testa. «mi di-

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piace... Senti, dacci solo due minuti, Paddy, che siamo quasi pronti!»

Corse di sopra, e tornò giù subito. Prese Paddy per un braccio e lo portò in cucina, mostrandogli il lasciames-saggi. «ascoltami bene, Paddy, non ti distrarre. guarda qua, qua ci stanno le istruzioni, le cose che devi fare qua a casa mentre noi stiamo fuori. tu devi fare quello che c’è scritto qua, Paddy, hai capito? non pigliare ini-ziative. Se hai un minimo dubbio, non ti preoccupare. non fare niente. Hai capito, Paddy? Fammelo come favore personale: non pensare. Qualsiasi cosa succede, tu mi telefoni, mi prospetti la situazione, e io ti spiego che cosa devi fare. Va bene? Si tratta solo di pochi giorni... noi subito torniamo, Paddy. non ti dispiace di accudirci un po’ la casa, è vero?»

«Figurati tony, per te questo e altro, un piacere e un onore mi dai!» esclamò Paddy, che se non fosse stato per tony, un posto nell’organizzazione non l’avrebbe avuto mai.

«Belli ’sti tre divani di pelle che hai comprato, tony» disse Paddy mettendosi a sedere, mentre aspettavano che mary e i ragazzi scendessero. «mi piacciono i co-lori: uno bianco, uno rosso e uno verde. C’ha un signi-ficato per caso?»

«È ’a bandiera italiana, Paddy! non l’avevi capito? Per questo li abbiamo comprati così!» rispose tony, sedendosi su quello di fronte a lui.

Poi si sporse in avanti e a bassa voce, quasi sussur-rando, si grattò lo scroto e aggiunse: «È stata un’idea mia, Paddy. Sai,» continuò «io li volevo pigliare bianchi e neri, come ’a maglietta de ’a Juventùs... ma poi mia moglie se n’è uscita che un’amica sua lo teneva già ’o

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salotto zebrato, e che lei non voleva copiare a nessuno. Così ho detto: e va bene mary, pigliamoli bianchi rossi e verdi, va’... tanto è ’a stessa cosa, Paddy, è vero?».

«È vero, tony» rispose Paddy. «Pigliati ’nu cioccolattino, Paddy, non fare compli-

menti» disse tony, indicando una scatola a forma di bara sul tavolino di cristallo che stava tra i divani.

Paddy non se lo fece ripetere due volte, e allungando il braccio con cautela per non rompere il vestito, sol-levò il coperchio della scatola.

«Bello ’st’anello d’oro che tieni, Paddy!» disse tony, indicando la mano sinistra dell’amico. «ma che rappre-senta ’a scultura?»

«me l’ha regalato mia moglie,» rispose Paddy «rap-presenta ’a Nativity...»

«ah, ho capito, in Italia ’o chiamano ’o Presepe!» ri-spose tony. «È proprio bello, è imponente... Comunque prova ’sti cioccolattini Paddy, non fare complimenti, sono un’idea di mio suocero, li ha chiamati L’ultimo bacio. li regala ai clienti della sua funeral home e sta pensando pure di metterli in commercio. avanti Paddy, aprine uno, che dentro ci trovi pure ’o bigliettino co’ ’a frase romantica...»

Per Paddy, che aveva le dita grosse come salsicce, scartocciare il cioccolatino si rivelò un’operazione piut-tosto laboriosa. ma alla fine ci riuscì. lo mise in bocca e, a quel punto, si ritrovò dinanzi a un compito ancora più arduo dello scartocciamento: la lettura del biglietto.

masticando a bocca aperta, cominciò a balbettare qualcosa. tony si spazientì e gli strappò di mano il bi-gliettino di carta velina. Poi, tenendolo a mezzo metro dagli occhi, lo lesse lui ad alta voce: «Non essere tirchio quando organizzi il funerale: si muore una volta sola...».

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«È forte, Paddy, è vero?» esclamò tony ridendo di gusto. «È proprio ’na bella trovata! eh, mio suocero è un genio...»

«È forte, tony» ripeté Paddy con voce rauca. Poi di colpo si fece pallido e cominciò a percuotersi il petto con i pugni come un gorilla. a occhio e croce, sem-brava che si stesse soffocando.

«Va tutto bene, Paddy?» gli chiese tony, guardandolo un poco insospettito. «mi pare che non respiri bene...»

Paddy, che adesso era diventato viola, non riuscì a rispondere. allora tony andò a prendergli un bicchiere d’acqua.

«ehi, tony e Paddy, che state combinando voi due, che vi sento ridere e scherzare come a due ragazzini!» gridò mary dal piano di sopra.

«niente, niente,» rispose tony «a Paddy gli è piaciuta assai l’idea di tuo padre, ma ’o cioccolattino gli è andato di traverso...»

Finalmente Paddy si riprese, e sospirò: «Beati voi che ve ne andate in Italia...».

aveva gli occhi lucidi, ma tony non riuscì a capire se ce li aveva così per l’asfissia di poco prima, o perché pensando all’Italia s’era commosso.

nuovamente mary gorgheggiò dal piano di sopra: «Beati ’sta minchia, Paddy! È il quarto matrimonio in quattro weeks: me lo spiegate come faccio io a fare ’a dieta della miss?».

Paddy controllò di nuovo l’orologio, e cominciò a di-ventare nervoso: «tony, guarda che dobbiamo andare, se no qua finisce che perdete l’aeroplano...».

«Si parte da ’o Coleman airport, o dal Wayne?» domandò ginny, affacciandosi dal ballatoio del primo piano.

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«Wayne» rispose Paddy, alzando la testa. «Beati voi che stasera sarete a roma...»

«a roma sarà giorno» rispose Charlie, scendendo le scale con in spalla uno zainetto. «dipende dal fuso orario...» aggiunse, sedendosi accanto a suo padre.

«’o fuso che?» ripeté Paddy, e lo guardò con un’espressione assorta, da bonzo in meditazione. Poi si voltò verso tony: «tony, ma come fanno tua moglie e i ragazzi a sentire quello che ci diciamo qua, mentre stanno a ’o piano di sopra?».

«So’ giovani...» rispose tony, e si diede una toccatina al solito posto. Paddy lo imitò e subito dopo insieme si alzarono dal divano. «Vieni un momento qua, Paddy,» disse tony «vieni a vedere, se no poi, tra una cosa e l’altra, finiamo per dimenticarcene...»

lo portò davanti al pannello di controllo della casa, e gli spiegò come si attivava la funzione “Bunker”, quella che chiudeva le inferriate e le saracinesche d’acciaio, e metteva in funzione le telecamere esterne e il campo minato.

«È facilissimo: devi solo premere questo pulsante qua, Paddy. Vedi? Questo... Per il resto, mi raccomando, tieni bene d’occhio le armi nel garage, soprattutto i fu-cili a pompa, le bombe a mano e la mitragliatrice.»

ogni tanto Paddy faceva un cenno con la testa, come se avesse capito. ma tony non è che si fidava tanto, e stava un poco in ansia.

«eccomi qua!» esclamò mary, materializzandosi improvvisamente in mezzo a loro. «Sono pronta!» e si mise in posa.

S’era fatta un po’ aspettare, ma bisognava ammet-terlo: era bellissima.

era proprio un femminone.

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