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Il Complesso Monumentale di San Michele a Fano - a cura di ... · patrimonio, forniscono indizi...

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Rodolfo BattistiniLa chiesa di San Michele Arcangelo: la pittura

A fronteBartolomeo e Pompeo Morganti, Resurrezione di Lazzaro e San Michele che abbatte il Demonio(Pinacoteca Civica del Pa-lazzo Malatestiano di Fano)

Ambito di Giuliano Pre-sciutti, Aff resco raffi gurante San Sebastiano

L’originario arredo pittorico della chiesa, nonché dell’ospizio di San Michele, non è più presente in sito e solo nel caso della grande pala d’altare dei Morganti sono note le modalità e l’anno del suo trasferimento nella Pinacoteca Civica, men-tre, sulla consistenza e sulla sorte del rimanente patrimonio, forniscono indizi solo le ricerche ar-chivistiche che Giuseppina Boiani Tombari sta conducendo per questo volume1.Dalla documentazione raccolta emerge che in-terventi pittorici nella chiesa, in via di costru-zione dal 1494, sono accertati almeno dal 1509, quando Maestro Pasqualino fu autorizzato a dipingere un’immagine rappresentante San Ber-nardino, purtroppo perduta, mentre privo di riferimenti documentari, ma ugualmente data-bile entro il primo decennio del Cinquecento, è l’aff resco, anch’esso votivo2, rappresentante San Sebastiano, rinvenuto durante i lavori di ripri-stino della chiesa ed ottimamente restaurato da Davide Arbia e Cristina Nigra3.L’immagine del santo, legato ad una colonna e trafi tto da quattro frecce, è inquadrata entro un’apertura archivoltata e dimostra palesi de-rivazioni da prototipi perugineschi, risalenti all’ultimo ventennio del Quattrocento.L’impostazione del corpo, la particolare modu-lazione della chioma e la stessa modalità di si-stemazione del drappo intorno ai fi anchi riman-dano al San Sebastiano del Louvre, dipinto da Pietro Perugino tra il 1490 e il 15004; tipologia iconografi ca ripetuta poi nell’aff resco eseguito sempre da Perugino, tra il 1505 e il 15075, a Pa-nicale, nella chiesa dedicata al santo e ancora, in controparte, nel San Sebastiano del Musée des Beaux Arts di Grenoble6. Negli stessi anni la me-desima interpretazione della scena di martirio, con la variante del tronco d’albero al posto della colonna, era riproposta da Giuliano Persciutti, tra il 1506 e il 1510, nel registro inferiore del polittico della chiesa di San Francesco di Monte San Pietrangeli7, dove il santo martire, dipinto nell’ultimo pannello a destra, presenta l’impo-stazione del nudo, la capigliatura articolata in

ciocche ondulate mosse dal vento, di evidente derivazione peruginesca, del tutto corrisponden-ti - insieme alla particolare conformazione squa-

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IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN MICHELE A FANO

Pittore vicino a Raff aellino del Colle, Annunciazione e i Santi Pietro Martire e Barbara

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LA PITTURA

drata del volto, alla forma del naso e agli occhi rotondeggianti, propri di Giuliano - alle carat-teristiche dell’aff resco ritrovato. Per quanto ri-guarda il suo autore solo la ricerca archivistica in corso potrà chiarire defi nitivamente se si tratti di un pittore fortemente legato alla prima maniera di Giuliano Persciutti, o dello stesso maestro alle prese con uno dei primi incarichi.Tornando alla documentazione riscoperta da Giuseppina Boiani Tombari, le visite pastorali esaminate dimostrano che nel 1593, oltre all’al-tar maggiore, nella chiesa ne esistevano altri due, ancora privi di pale che dovevano essere appre-state. Nel 1595 il Vescovo concedeva solo due mesi per fornire i due altari laterali di dipinti. Dall’anno 1600, della questione, nelle visite pa-storali, non c’è più traccia e addirittura, in quella del 1648, risulta un solo altare, come conferma-to dalle successive visite: è quindi possibile ipo-tizzare che non essendo mai stati forniti di pale, gli altari laterali siano stati soppressi.Particolare rilievo riveste l’Inventario redatto nel 1763 su iniziativa dell’Abate Felice Carrara, at-traverso il quale, sia pure con grande prudenza, è possibile ipotizzare la provenienza dal com-plesso del San Michele di alcuni dipinti, oggi conservati nella Pinacoteca Civica del Palazzo Malatestiano, dove furono trasferiti, con tutte le opere dell’ex Congregazione di Carità, riunite in precedenza nello stesso complesso insieme all’ar-redo pittorico dell’ospizio. L’Inventario registra, nella Sala della Congregazione, un Ritratto di Papa Clemente XIII, corrispondente forse ad un analogo soggetto presente in Pinacoteca8, men-tre più probabile è la provenienza dall’ospizio, perché risulta appartenere alle raccolte dell’ex Congregazione di Carità, di una Crocifi ssione con la Vergine e San Michele Arcangelo9, menzionato nella cameretta annessa al refettorio. Suggestiva, ma indimostrabile, la possibilità che la Madon-na velata10 di Camilla Guerrieri corrisponda alla Vergine Santissima del dormitorio. Diverso è il caso di “un quadro grande rappresentante un Crocefi sso”11, anch’esso registrato nel dormito-

rio, poiché Maria Rosaria Valazzi12 ha avvicina-to il Crocifi sso cinquecentesco della Pinacoteca, proveniente dalla raccolta dell’ex Congregazione di Carità, alla pittura dei Morganti ed è già noto il rapporto preferenziale di committenza tra la Confraternita di San Michele e la famiglia di pittori fanesi13, circostanza che rende più plau-sibile il collegamento con la croce della Pinaco-teca. Ancora maggiori sono le possibilità che la tela rappresentante San Paterniano14, entrata in Pinacoteca nel 1984, insieme al resto della rac-colta dell’ex Congregazione di Carità, coincida con il quadro dell’infermeria, ritoccato nel 1794 da Carlo Magini. Le indagini che Giuseppina Boiani Tombari sta eff ettuando permetteranno di sapere se altri dipinti mobili decoravano la chiesa, oltre alla pala dei Morganti15. Spetta allo storico Giuseppe Castellani16 il meri-to di aver reso noto il contratto di allogazione e le vicende ad esso correlate della pala per l’altar maggiore, fi rmata da Bartolomeo Morganti in-sieme al fi glio Pompeo e datata 1534, rappresen-tante la Resurrezione di Lazzaro e San Michele che abbatte il Demonio, dal 193217 conservata nella Pinacoteca Civica del Palazzo Malatestiano di Fano.Sappiamo dunque che nel 1532 la Compagnia di San Michele aveva indetto un concorso per il quale il 3 novembre furono presentati due boz-zetti da parte di Bartolomeo Morganti e Giuliano Persciutti; il 15 dicembre gli eletti per valutare le prove riferirono che alcuni pittori consultati a Pesaro avevano giudicato “aptiorem ac melium proportionatum”18 il bozzetto di Bartolomeo: a quest’ultimo fu perciò assegnato il lavoro, eff et-tuato con la collaborazione del fi glio Pompeo e con l’intervento, sia pure con un ruolo del tutto subordinato, di un pittore ancora sconosciuto alla storiografi a artistica fanese “Iohannes Nannis Vincentij de Fano alias el Pastore”, riscoperto da Giuseppina Boiani Tombari19. Il documento di allogazione stabiliva anche l’aspetto che avrebbe dovuto avere l’ancona, a forma di edicola, con l’ordine architettonico composto da quattro co-

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lonne sorreggenti la trabeazione coronata da un timpano arcuato, il tutto decorato con fogliami e animali ad intaglio, dorati su fondo azzurro. Purtroppo non abbiamo più né i bozzetti per il concorso, né l’apparato. Nel maggio 1534 “M.o Camillo depentor mantovano” rilasciò il giudi-zio peritale. Si trattava evidentemente di Camillo Mantovano, impegnato in quegl’anni a decorare l’appartamento ducale nell’ala preesistente della Villa Imperiale di Pesaro, insieme all’équipe di pittori coordinata da Girolamo Genga. La coin-cidenza ha indotto Patrizia Mencarelli20 a col-locare nello stesso ambito dell’Imperiale i periti pittori che due anni prima avevano determina-to le sorti del concorso in favore di Bartolomeo Morganti, considerando evidentemente più ag-giornato il suo linguaggio rispetto a quello di Persciutti. All’ala nuova dell’Imperiale di Pesaro rimanderebbe l’architettura sullo sfondo, con la loggia a cinque arcate e i due corpi laterali avan-zati, secondo Livia Carloni che aveva proposto un primo inquadramento critico dell’opera21. La studiosa riteneva cospicuo il ruolo svolto da Pompeo in una tela che rivela una cultura di base vicina a quella di Timoteo Viti, con notevo-li derivazioni da Raff aello e da Leonardo, per lo studio espressivo di volti e forti echi della pittura tedesca. Questa complessa cultura fi gurativa sa-rebbe dovuta, secondo l’autrice, alla conoscenza dell’arte di Amico Aspertini, dal quale derivereb-bero l’impianto spaziale, le scelte cromatiche, la componente irrealistica e allucinata, la tipologia del paesaggio, la direzione della luce. Inoltre le fi gure di Marta e Maddalena deriverebbero diret-tamente dalla tavola rappresentante la Madonna col Bambino e i Santi Lucia, Nicola di Bari e Agostino, dipinta da Amico Aspertini, tra il 1514 e il 1516 per la chiesa bolognese di San Martino Maggiore22. Probabilmente la studiosa si riferiva alle tre fanciulle povere alle quali San Nicola sta donando altrettante palle d’oro per la loro dote, vicine alle sante della tavola fanese nell’atteggia-mento di devota umiltà; ma la splendida pala bolognese presenta una carica di novità, sia sotto

l’aspetto cromatico che strutturale, ignorata dai Morganti. In anticipo rispetto a simili soluzioni nel nord Italia, Amico Aspertini ha eliminato il paesaggio e incastrato le fi gure, di proporzioni dilatate, in una composizione piramidale, stretta in uno spazio articolato in direttrici oblique, sul-le quali sono stati collocati i santi, senza alcuno sviluppo in profondità. Al contrario Bartolomeo e Pompeo Morganti hanno ambientato l’origi-nale iconografi a con la resurrezione di Lazzaro e la vittoria dell’Arcangelo Michele sul demonio, temi legati all’eterna lotta della morte contro la vita, intese nell’accezione spirituale, quindi confronto tra male e bene, in una complessa macchina scenografi ca, sviluppata su più piani, sia in verticale che in profondità, ulteriormente complicata da numerose comparse, sfondi paesi-stici, quinte architettoniche. L’articolata cultura fi gurativa, riscontrata nella pala di San Michele, non trova conferma nell’unico dipinto attribu-ibile, in base ai documenti, al solo Bartolomeo Morganti. Si tratta di una tela ritrovata da Maria Rosaria Valazzi, piegata e arrotolata, in un loca-le adiacente alla sacrestia della chiesa di Santa Maria della Misericordia di Cartoceto, ricono-sciuta, da Benedetta Montevecchi23, come l’opera che in base al documento del 22 ottobre 152624 Bartolomeo Morganti si impegnava a dipingere, per l’altare di San Bernardino nella chiesa, edifi -cio destinato ad essere demolito nel 1834, per es-sere poi ricostruito nelle forme attuali. A queste vicende si deve la rimozione della pala, ascritta al catalogo di Bartolomeo per la corrispondenza dell’iconografi a indicata dal contratto, costituita dalla Madonna con Bambino e i Santi Bernardino, Giuseppe, Giovanni Battista, Martino. All’atto di allogazione risponde anche il quadro nel quadro retto dall’angelo di fronte al plinto che sostiene il trono della Vergine, raffi gurante la Concezione di Maria, resa attraverso l’incontro tra Gioacchino ed Anna nei pressi della Porta Aurea di Gerusalemme, secondo il precedente di Giotto a Padova. Benedetta Montevecchi ha delineato la cultura fi gurativa del dipinto25, fon-

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data sulla maniera raff aellesca, con esiti simili a quelli riscontrabili in esempi romagnoli, come nel caso di Girolamo Marchesi. Le idee desun-te dal maestro urbinate rimandano all’Isaia di Sant’Agostino a Roma, alla Madonna di Foligno, fi no alla fi orentina Madonna del baldacchino. Gli spunti ripresi sono comunque quelli più vivaci, come i putti che animano le classiche strutture prese a modello per questa impaginazione spa-ziale. Ciò farebbe pensare alla disponibilità, da parte del pittore, a cogliere le anticipazioni, già presenti nell’ultima fase raff aellesca, della varie-gata stagione manierista, superando gli schemi classicisti, confortato in questa operazione anche dalla conoscenza della pittura d’oltralpe, con i suoi esiti di acceso espressionismo. Il progressivo stratifi carsi degli apporti culturali avrebbe poi conosciuto una decisa intensifi cazione proprio nel corso degli anni Trenta, grazie ai documen-tati rapporti con il cantiere dell’Imperiale.A complicare ulteriormente un’indagine non priva di interrogativi irrisolti è il ruolo avuto dal fi glio Pompeo nell’esecuzione della pala, perché se il bozzetto vincitore del concorso ri-sulta presentato dal solo Bartolomeo, al quale andrebbe dunque attribuito il ruolo principale, almeno a livello ideativo, otto anni dopo, nel 1543, Pompeo fi rmava e datava per la chiesa di San Francesco a Filottrano una tavola con la Resurrezione di Lazzaro, molto vicina all’analo-go soggetto fanese, priva però del San Michele Arcangelo, sostituito da un articolato sfondo pa-esistico digradante in un paesaggio marino sol-cato da imbarcazioni. La mancanza del combat-timento tra San Michele Arcangelo e il demonio credo abbia confortato Pompeo nel tralasciare il drammatico espressionismo di ascendenza nor-dica e la vena grottesca di Bartolomeo, compo-nenti peraltro estranee al fi glio, a giudicare dalle opere a lui riferite26, in favore di un tono narra-tivo più disteso, con brani di ricercata eleganza. Anche l’architettura sullo sfondo è diversa; sono scomparsi i veri o presunti richiami all’Imperiale di Pesaro per far posto ai resti di un arco trionfa-

le romano e soprattutto ad un interessante edifi -cio, con ragione avvicinato da Pietro Zampetti27 a prototipi veneti come la Basilica palladiana di Vicenza o la Libreria del Sansovino di Venezia, introducendo la possibilità di rapporti con la pit-tura veneta, mediati attraverso il Pozzoferrato.Lo studioso, come in precedenza Livia Carloni28, non è convinto della necessità di assegna-re a Bartolomeo, rispetto al fi glio, la priorità nell’esecuzione della pala di San Michele, riba-dita invece da Patrizia Mencarelli29 e Benedetta Montevecchi30. Certo la cultura della tavola fa-nese appare più complessa di quella che informa il quadro di Pompeo e più orientata verso esempi emiliani31, verso quell’ideale intellettuale e arti-fi cioso di un’eleganza sinuosa ed astratta di im-pronta manieristica e parmigianinesca, alternata a lirici squarci paesistici, in una composizione sorretta da una prospettiva naturalisticamente empirica, non considerata, così come avveniva nei paesi nordici, un modello universale, con esiti non lontani, tenendo conto delle ovvie dif-ferenze qualitative, da alcune soluzioni stilistiche di Gerolamo Bedoli, o di Jacopo Zanguidi det-to il Bertoia, di Nicolò dell’Abate, tutti artisti accomunati, in varia misura, nella loro forma-zione, dalla lezione del Parmigianino. Non può essere dimenticata, per spiegare la complessità della cultura fi gurativa dei Morganti, la maiolica dipinta, particolarmente fi orente nel Ducato di Urbino, con soggetti tratti da stampe provenienti anche da oltralpe e proprio da questo genere ar-tistico; in particolare dai piatti con i ritratti delle “belle” potrebbero discendere, secondo Luciano Arcangeli32, i profi li arguti, le acconciature e le particolari pieghettature di scolli e maniche, pre-senti nella tavola di Fano.La Fondazione Cassa di Risparmio di Fano ha re-centemente acquistato e collocato sull’altar mag-giore, al posto della pala dei Morganti, un’inte-ressante tela rappresentante l’Annunciazione e i Santi Pietro Martire e Barbara33, proveniente dal mercato antiquario.Il dipinto presenta la stessa impaginazione

LA PITTURA

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strutturale della Madonna col Bambino, San Giovannino e i Santi Antonio Abate, Pietro, Paolo, Giuseppe e il donatore, della chiesa di Santa Maria dei Servi a Sant’Angelo in Vado, fi rmata e da-tata 1543 da Raff aellino del Colle34. San Pietro Martire e Santa Barbara osservano l’evento come fossero sotto un proscenio costruito con una prospettiva fortemente scorciata da sotto in su, esattamente come nella tavola vadese. L’Eterno con le braccia sollevate ricorre in molte ope-re di Raff aellino, mentre gli angeli, soprattutto quello al centro, possono rimandare ad analo-ghi soggetti di Giorgio Picchi del Martirio di

Santa Caterina della chiesa di San Francesco a Mercatello, tela nella quale si ritrova, come pure nell’analogo soggetto di Raff aello Schiaminossi per la chiesa vadese dedicata alla santa, la parti-colare stilizzazione delle nubi in masse globulari, parzialmente derivata da Raff aellino. Al pittore di Sansepolcro riconducono ancora l’oratoria gestualità e l’elaborato panneggio dell’Angelo, come si vedono nell’Annunciazione della chiesa di San Filippo a Sant’Angelo in Vado35. L’opera di Raff aellino del Colle più vicina alla tela fanese risulta comunque l’Annunciazione della Vergine della Pinacoteca Comunale di Città di Castello, proveniente dalla locale chiesa di San Domenico, collocata intorno al 1559 da Marco Droghini36, dalla quale deriva direttamente la fi gura della Vergine. Come suggerisce lo stesso studioso, che ringrazio per le preziose osservazioni, l’au-tore dell’Annunciazione, ora nella chiesa di San Michele, è un pittore operoso durante il terzo quarto del Cinquecento nelle aree alto tiberina e metaurense, molto vicino a Raff aellino del Colle non solo per gli echi segnalati, ma in particolare nella condivisione di una formazione culturale fondata sulla corrente della Maniera che faceva capo a Giulio Romano, da cui deriva l’attitudine a trasporre l’evento sacro in una eclettica sceno-grafi a, osservata con naturalismo nordico, dove il plinto, la colonna, la modanatura, tratti dal repertorio dell’antico, convivono con la sedia, l’inginocchiatoio, il letto a baldacchino borda-to di lambrecchini già di gusto protobarocco, in una composizione dall’inevitabile intonazione profana, raff orzata, nelle parti di nudo, da un michelangiolismo di matrice vasariana.

Raff aellino del Colle, An-nunciazione della Vergine(Palazzo Vitelli alla Cannoniera, Pinacoteca Comunale di Città di Castello)

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LA PITTURA

Note

1. Sono grato alla studiosa per avermi anticipato alcuni risultati della sua ricerca, sui quali si basano le ipotesi di seguito formulate, che saranno ulteriormente precisate dalla prosecuzione dello spo-glio dei documenti. Per tutti i riferimenti d’archivio si rimanda al capitolo in questo volume curato da Giuseppina Boiani Tombari. 2. Secondo quello che si evince dall’iscrizione frammentaria sot-tostante.3. I restauratori hanno provveduto a consolidare l’adesione dell’in-tonaco alla muratura e poi dell’intonaco all’arriccio, riempiendo i distacchi. In seguito è stato rimosso lo strato di polvere grassa che off uscava la cromia ed è stata raff orzata la coesione e la compat-tezza della pellicola pittorica. Infi ne gli elementi di disturbo sono stati coperti con velature ad acquarello e tutta la superfi cie è stata sottoposta ad un trattamento di protezione.4. Per le informazioni riguardanti questa ed altre opere del Vannucci citate si rimanda a P. Scarpellini, Perugino, Milano 1984, pp. 86-87.5. Ibidem, pp. 110-111.6. Ibidem, p. 121.7. Sulla datazione del polittico, già attribuito a Giuliano Persciutti da Pietro Zampetti nel 1953, si rimanda alla scheda, completa di tutta la storia critica, pubblicata da Giuseppe Cucco in Lorenzo Lotto nelle Marche. Il suo tempo, il suo infl usso, Catalogo della mo-stra a cura di P. Dal Poggetto, Firenze 1981, pp. 120-122.8. Il ritratto è stato pubblicato da Elisabetta Tombari in La Pinacoteca Civica di Fano. Catalogo generale. Collezione Cassa di Risparmio di Fano, a cura di A. M. Ambrosini Massari, R. Battistini, R. Morselli, Cinisello Balsamo 1993, p. 159.9. E. Tombari, op. cit., p. 207.10. R. Morselli, op. cit., p. 62.11. Come per tutti gli altri riferimenti documentari, si rimanda al capitolo di Giuseppina Boiani Tombari, sempre in questo vo-lume.12. M. R. Valazzi, in La Pinacoteca Civica di Fano, cit., p. 44.13. I ripetuti e svariati incarichi rivolti dalla Congregazione di San Michele a Pompeo Morganti, a suo fratello Giovan Francesco, ai fi gli di Pompeo, Michelangelo e Ottavio, quest’ultimo peral-tro nel 1598 iscritto alla Confraternita di San Michele, per opere purtroppo perdute, sono stati pubblicati da G. Boiani Tombari, Committenza pubblica e privata nella Fano del Cinquecento, in B. Cleri, Offi cina Fanese. Aspetti della pittura marchigiana del Cin-quecento, Cinisello Balsamo 1994, pp. 169 - 192.14. E. Tombari, op. cit., p. 210.15. Nell’Inventario del 1763 la pala dei Morganti è considerata opera del Persciutti, a dimostrazione che già nel XVIII secolo si faceva confusione fra le due famiglie di pittori fanesi. La stessa fonte registra nella chiesa di San Michele, oltre alla Via Crucis, anche quattro piccoli quadri, senza precisare i soggetti, ed un’An-nunciazione.16. G. Castellani, La chiesa di san Michele in Fano e gli artisti che vi lavorarono, in “Studia Picena”, III (1927), pp. 157-176.17. Si veda la scheda di Benedetta Montevecchi in La Pinacoteca Civica di Fano, cit., pp. 39-40. 18. ASP-SASF, San Michele, Congregazioni, 1523 - 1543, reg. 3, c. 33v.19. La studiosa in due occasioni ha pubblicato una serie di docu-menti su Bartolomeo Morganti, imprescindibili per tutti gli studi

successivi: G. Boiani Tombari, Documenti inediti su Bartolomeo di Matteo Marescalco capostipite della famiglia dei Morganti pittori fanesi, in “Fano, Supplemento al n. 5, 1974, del Notiziario di in-formazione sui problemi cittadini”, Fano 1974, pp. 103-116; se-guito da Idem, Altri documenti inediti sul pittore fanese Bartolomeo Morganti, in “Fano, Supplemento al n. 4, 1976, del Notiziario di informazione sui problemi cittadini”, pp. 15-25, in particolare sulla fi gura di Giovanni il Pastore si vadano le pagine 24-25, nota 35. 20. P. Mencarelli, Per una storia dell’arte fanese nel cinquecento: il pittore Giuliano Presutti, in “Fano, Supplemento al n. 4, 1976, del Notiziario di informazione sui problemi cittadini”, pp. 43-69, in particolare pp. 45-46.21. L. Carloni, in Restauri nelle Marche. Testimonianze acquisti e recuperi, Catalogo della mostra, Urbino 1973, pp. 365-367, dove è riportata la documentazione fi no allora conosciuta. Secondo Franco Battistelli l’edifi cio sullo sfondo, di ispirazione bramante-sca, sarebbe invece una costruzione immaginaria, nella quale al massimo si possono intravedere citazioni romane a memoria della Basilica di San Pietro, allora in costruzione, o dei cortili del Palazzo Apostolico. Si veda Arte e cultura nella provincia di Pesaro e Urbino dalle origini a oggi, a cura di F. Battistelli, Venezia 1986, p. XX. 22. Daniela Scaglietti Kelescian considera la pala di San Martino di Amico Aspertini un’immediata risposta all’arrivo a Bologna, proprio tra il 1514 e il 1516, della Santa Cecilia di Raff aello nella chiesa di San Giovanni in Monte. Si veda M. Faietti D. Scaglietti Kelescian, Amico Aspertini, Modena 1995, pp. 163-166.23. B. Montevecchi, Bartolomeo Morganti, in Pittura a Fano 1480 - 1550, catalogo della mostra a cura di P. Dal Poggetto e F. Battistelli, Fano 1984, pp. 39-40.24. G. Boiani Tombari, Alcuni documenti inediti, cit., p. 22.25. Si veda B. Montevecchi, Bartolomeo Morganti, cit., p. 40.26. Proprio su quest’aspetto insiste Bonita Cleri nel rilevare le dif-ferenze fra i due pittori, in un volume fondamentale per lo studio della pittura cinquecentesca a Fano: B. Cleri, Offi cina Fanese, cit., p. 106. 27. P. Zampetti, Pittura nelle Marche, II, Dal Rinascimento alla Controriforma, Firenze 1989, p. 355.28. L. Carloni, in Restauri nelle Marche, cit., p. 365. 29. P. Mencarelli, Per una storia, cit., p. 45, nota 4.30. B. Montevecchi, Pompeo Morganti, in Pittura a Fano, cit., p. 50.31. Sui rapporti con la cultura emiliana aveva già richiamato l’at-tenzione Giampiero Donnini, anch’egli convinto della superiorità di Bartolomeo nei confronti del fi glio. Si veda G. Donnini, I pitto-ri fanesi del primo Cinquecento: Morganti e Persuti, in Arte e cultura, cit., pp. 244-245.32. L. Arcangeli, La pittura del Cinquecento nelle Marche, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, a cura di G. Briganti, I, Milano 1988, pp. 387-410, in particolare p. 388.33. Olio su tela, 264 x 176 cm.34. Sul pittore di Colle di Sansepolcro si rimanda alla monogra-fi a di Marco Droghini, Raff aellino del Colle, “La Valle Dorata”, Edizioni Centro Studi “G.Mazzini”, Sant’Angelo in Vado 2001. Riguardo alla tavola vadese si vedano le pagine 106-107. 35. Ibidem, pp. 134-135.36. Ibidem, pp. 137-139.


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