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Il DANNO NON PATRIMONIALE DA ILLECITO … · n. 22020, in motivazione) consegue alla ingiusta...

Date post: 15-Feb-2019
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Il DANNO NON PATRIMONIALE DA ILLECITO EXTRACONTRATTUALE 1. Il danno non patrimoniale. Evoluzione della giurisprudenza; 2. L’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione del novembre 2008. Il nuovo danno morale; 3. Il danno morale da morte “jure hereditario”; 4. Il danno morale “jure proprio” da morte o lesione del rapporto parentale; 5. I criteri di liquidazione del danno morale ; 6. I criteri di liquidazione del danno morale “jure proprio” da morte o lesione del rapporto parentale; 7. Il nuovo danno esistenziale; 8. Il danno biologico; 9. Il danno biologico da morte. Il danno tanatologico; 10. Criteri di liquidazione del danno biologico. In particolare nell’infortunistica stradale; 11. Il danno estetico, il danno alla vita di relazione, il danno alla capacità lavorativa generica, il danno alla sfera sessuale ed il danno da cenestesi lavorativa; 12. Liquidazione del danno non patrimoniale da illecito extracontrattuale e stranieri. Criteri di quantificazione del danno e condizione di reciprocità. 1. Il danno non patrimoniale. Evoluzione della giurisprudenza. La dottrina ha sempre definito il danno non patrimoniale come la lesione di interessi non economici, vale a dire di quegli interessi che, alla stregua della coscienza sociale, non sono suscettibili di valutazione economica. Il codice civile, in linea generale, sancisce la regola della risarcibilità del danno non patrimoniale nei soli ed esclusivi casi determinati dalla legge (art. 2059 c.c.), vale a dire, in particolare, in ipotesi di danni derivanti da reato. Dunque vige nel nostro ordinamento il principio della non risarcibilità del danno non patrimoniale, ispirato alla tradizionale concezione del diritto privato come ordinamento costituito a tutela di interessi esclusivamente economici, con sostanziale irrilevanza di interessi di altra natura. L’eccezione dell’art. 2059 c.c. del danno non patrimoniale da reato è giustificata, secondo la dottrina più avveduta, dal fatto che la norma penale tutela valori di rilevanza pubblica, la cui violazione esige dalla vittima una completa riparazione del danno prodotto, economico e non economico. Per quanto concerne, poi, la configurazione del danno non patrimoniale risarcibile nei limiti dell’art. 2059 c.c., giurisprudenza e dottrina lo individuavano nel solo danno morale, il cd. “pretium doloris”, inteso come sofferenza psichica transitoria conseguente al pregiudizio subito, con esclusione delle lesioni all’integrità ed alla salute della persona, considerati danni materiali.
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Il DANNO NON PATRIMONIALE DA ILLECITO EXTRACONTRATTUALE

1. Il danno non patrimoniale. Evoluzione della giurisprudenza; 2. L’intervento delle Sezioni

Unite della Cassazione del novembre 2008. Il nuovo danno morale; 3. Il danno morale da

morte “jure hereditario”; 4. Il danno morale “jure proprio” da morte o lesione del rapporto

parentale; 5. I criteri di liquidazione del danno morale ; 6. I criteri di liquidazione del danno

morale “jure proprio” da morte o lesione del rapporto parentale; 7. Il nuovo danno

esistenziale; 8. Il danno biologico; 9. Il danno biologico da morte. Il danno tanatologico; 10.

Criteri di liquidazione del danno biologico. In particolare nell’infortunistica stradale; 11. Il

danno estetico, il danno alla vita di relazione, il danno alla capacità lavorativa generica, il

danno alla sfera sessuale ed il danno da cenestesi lavorativa; 12. Liquidazione del danno non

patrimoniale da illecito extracontrattuale e stranieri. Criteri di quantificazione del danno e

condizione di reciprocità.

1. Il danno non patrimoniale. Evoluzione della giurisprudenza.

La dottrina ha sempre definito il danno non patrimoniale come la lesione di interessi non

economici, vale a dire di quegli interessi che, alla stregua della coscienza sociale, non sono

suscettibili di valutazione economica.

Il codice civile, in linea generale, sancisce la regola della risarcibilità del danno non

patrimoniale nei soli ed esclusivi casi determinati dalla legge (art. 2059 c.c.), vale a dire, in

particolare, in ipotesi di danni derivanti da reato.

Dunque vige nel nostro ordinamento il principio della non risarcibilità del danno non

patrimoniale, ispirato alla tradizionale concezione del diritto privato come ordinamento

costituito a tutela di interessi esclusivamente economici, con sostanziale irrilevanza di

interessi di altra natura.

L’eccezione dell’art. 2059 c.c. del danno non patrimoniale da reato è giustificata, secondo la

dottrina più avveduta, dal fatto che la norma penale tutela valori di rilevanza pubblica, la cui

violazione esige dalla vittima una completa riparazione del danno prodotto, economico e non

economico.

Per quanto concerne, poi, la configurazione del danno non patrimoniale risarcibile nei limiti

dell’art. 2059 c.c., giurisprudenza e dottrina lo individuavano nel solo danno morale, il cd.

“pretium doloris”, inteso come sofferenza psichica transitoria conseguente al pregiudizio

subito, con esclusione delle lesioni all’integrità ed alla salute della persona, considerati danni

materiali.

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Inoltre il danno morale soggiace al vincolo di cui all’art. 185 c.p. e deve sussistere una

fattispecie di reato, anche solamente in astratto e sulla base di semplici presunzioni legali.

Tuttavia, sotto un primo profilo, la concezione “paneconomica” del diritto privato è stata

gradualmente abbandonata, essendo andata emergendo, viceversa, la preminenza dei valori

della persona e la inadeguatezza dell’impostazione tradizionale, la quale riteneva non

risarcibili le lesioni dei diritti fondamentali dell’uomo.

Del pari con la storica sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 14.7.1986 è stata

affermata la risarcibilità del danno biologico come tale, a prescindere dagli effetti economici

negativi.

Il giudice delle leggi ha affermato che il collegamento dell’art. 2043 c.c. con l’art. 32 della

Costituzione consente, alla luce dell’interpretazione estensiva affermatasi nella evoluzione

dello stesso diritto vivente, di risarcire, oltre ai danni in senso stretto patrimoniali, anche tutti

quelli che, almeno potenzialmente, ostacolano le attività realizzatrici della persona umana e

quindi anche, autonomamente e senza alcun ipotizzabile limite, il danno biologico.

Dunque, il danno non patrimoniale non è più limitato a quello morale, comprendendo anche il

danno biologico, inteso come lesione dell’integrità psicofisica della persona in sé e per sé

considerata e da accertare sul piano medico- legale, e può definirsi come il pregiudizio

arrecato ad interessi non economici aventi rilevanza sociale, tra i quali, principalmente, i

diritti fondamentali dell’individuo.

Il sistema risarcitorio del danno alla persona si veniva a configurare come tripolare, vale a

dire il danno patrimoniale, il danno morale ex art. 2059 c.c. ed il danno biologico.

Con le sentenze della Cassazione, terza sezione civile, nn. 8827 e 8828 del 2003 è stato

superato il principio che faceva coincidere il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. con il

solo danno morale soggettivo, giungendo, quindi, ad un sistema risarcitorio del danno alla

persona non più tripolare, bensì bipolare, contraddistinto solo dal danno patrimoniale e dal

danno non patrimoniale, in cui comprendere il danno morale soggettivo, il danno biologico e

il danno da lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona, o anche detto

esistenziale.

A questa impostazione ha dato continuità la Corte Costituzionale, la quale con sentenza n.

233 del 12.7.2003 ha anche tributato un formale riconoscimento al danno esistenziale, quale

terza sottocategoria di danno non patrimoniale.

Tutta la disciplina del risarcimento del danno non patrimoniale viene integralmente posta

sotto l’egida dell’art. 2059 c.c. e, dunque, mentre l’art. 2043 c.c. sottopone il risarcimento del

danno patrimoniale al principio della atipicità dell’illecito aquiliano (e ciò vuol dire che la

lesione di qualunque interesse dotato di protezione giuridica può generare l’obbligazione di

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risarcimento del danno patrimoniale), l’art. 2059 c.c. stabilisce invece l’opposta regola

secondo cui il risarcimento del danno non patrimoniale è ammesso nei soli casi, tipici, previsti

dalla legge.

2. L’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione del novembre 2008. Il nuovo danno

morale.

In questo quadro sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione con le quattro sentenze

gemelle nn. 26972, n. 26973, n. 26974 e n. 26975 dell’11 novembre 2008, rivisitando alcuni

dei più importanti tasselli della responsabilità civile e le questioni più dibattute in materia di

danno non patrimoniale.

I primi commentatori hanno evidenziato come le sentenze in questione non abbiano raggiunto

l’obiettivo preso di mira, vale a dire fornire un indirizzo preciso ed univoco sui temi più

controversi in materia di danno non patrimoniale.

Anzi, come è stato giustamente osservato, alcuni obiter dicta hanno dato adito a letture

interpretative diametralmente opposte e, se possibile, ulteriormente infiammato il dibattito

dottrinario.

In particolare le Sezioni Unite, dopo aver ribadito che tutti i danni non patrimoniali sono da

ricondursi nell’ambito della previsione dell’art. 2059 c.c., hanno premesso che nella categoria

generale del danno non patrimoniale, la formula “danno morale” non individua una autonoma

sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di

pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata.

Tale danno, poi, in conformità alle precedenti pronunce, (per tutte Cass. Civ., 19 ottobre 2007

n. 22020, in motivazione) consegue alla ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona,

costituzionalmente garantito e, per essere risarcito, non è soggetto al limite derivante dalla

riserva di legge correlata all'art. 185 c.p., e non presuppone necessariamente, pertanto, la

configurazione del fatto illecito come reato, giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la

riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della

Costituzione, anche alle previsioni della stessa, ove si consideri che il riconoscimento, ivi

contenuto, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica

implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso

determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale.

In conclusione è un danno che sussiste nei casi di reato o previsti dalla legge, ovvero in

ipotesi di lesione di diritti inviolabili della persona costituzionalmente qualificati, nonchè in

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presenza di una offesa grave e di una lesione seria e, per quanto concerne l’onere probatorio,

le Sezioni Unite operano riferimento alla prova testimoniale, documentale e presuntiva.

Precisato tutto ciò, la Cassazione a Sezioni Unite ha stabilito che (punto 4.9 della sentenza n.

26972/08) va “Definitivamente accantonata la figura del cd. danno morale soggettivo, la

sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non

patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come

componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia

allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona

diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della

sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell’area del danno biologico,

del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente.

Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico

e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo

alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si

avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del

danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche

patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”.

Dunque, sembra configurarsi una duplice categoria di danno morale.

In primo luogo si avrà un danno morale “puro” o in senso stretto, inteso come “sofferenza

soggettiva in sé considerata” e non come componente di più complesso pregiudizio non

patrimoniale, ricorrente ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad

es., dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni

patologiche della sofferenza.

Al danno morale puro si accompagna un danno morale con degenerazioni patologiche, il

quale sussiste quando il turbamento dell’animo o il dolore intimo sofferti siano accompagnati

da degenerazioni patologiche della sofferenza.

Questa seconda tipologia di danno morale, in realtà, continua la Cassazione, rientrerebbe

nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura

intrinseca costituisce componente, e, dunque, determina duplicazione di risarcimento la

congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale, nei suindicati termini inteso,

normalmente liquidato in percentuale del primo.

Le pronunce delle Sezioni Unite, dunque, inquadrano il danno morale come aspetto del danno

non patrimoniale e negano ogni sua autonomia ontologica, affermando che la sua liquidazione

deve essere sganciata da quanto riconosciuto a titolo di danno biologico.

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Questa impostazione della Corte di Cassazione è stata ogge tto di critiche, in particolare per

quanto concerne la negazione del danno morale come categoria autonoma, lamentando la sua

sostanziale scomparsa ed il pericolo che il danneggiato possa percepire un risarcimento

inferiore rispetto al pregiudizio effettivamente subito.

In particolare è stato osservato come l’affermazione secondo la quale il danno biologico non

si cumula a quello morale, come è invece prassi della generalità dei Tribunali italiani, in caso

di macrolesioni, cioè di lesioni della persona comprese tra il 10% ed il 99% di invalidità, può

voler dire tra i centomila ed i duecentomila euro in meno al danneggiato.

Più precisamente, si osserva, che la liquidazione del danno non patrimoniale è di norma fatta

sulla base delle tabelle del danno biologico, sia pure con l’ausilio della sempre necessaria

personalizzazione, ed occorre considerare che le stesse non tengono conto del danno morale

soggettivo e che, in caso di sinistri stradali, anche se solo per le micropermanenti, o lesioni di

lievi entità, la personalizzazione incontra il limite del 20% in aumento ex art. 139 del decreto

legislativo n. 209/2005.

Altri autori, però, hanno evidenziato come, a fronte di una apparente rivoluzione in materia di

danno non patrimoniale, in realtà, da un punto di vista pratico, nulla è cambiato per il danno

morale e che una lettura attenta degli enunciati motivazionali conduce, invero, a ritenere che

la SS.UU. abbiano cambiato il linguaggio della responsabilità civile, ma non la sostanza e che

non può ritenersi che il danno morale inteso come sofferenza psichica transitoria conseguente

al sinistro sia scomparso dal nostro ordinamento e non sia più risarcibile.

Lo stesso, in realtà, gode solo di un diverso inquadramento sistematico, non più categoria

autonoma, bensì aspetto meramente descrittivo del danno non patrimoniale unitariamente

inteso.

Del pari il danno morale con degenerazioni patologiche altro non è che il danno biologico da

invalidità permanente, già riconosciuto e liquidato da tempo per costante giurisprudenza.

Dunque il danno morale è sempre da riconoscere e da liquidare e, del resto, le successive

pronunce della Cassazione hanno ribadito la piena risarcibilità del danno morale.

La Cassazione civile, sez. III, 28 novembre 2008, n. 28407 ha chiarito infatti che

“L’autonomia ontologia del danno morale rispetto al danno biologico, in relazione alla

diversità del bene protetto, appartiene ad una consolidata, giurisprudenza di questa Corte,

che esclude il ricorso semplificativo a quote del danno biologico, esigendo la considerazione

delle condizioni soggettive della vittima e della gravità del fatto e pervenendo ad una

valutazione equitativa autonoma e personalizzata”.

Il collegio qui si pronuncia, espressamente, proprio a favore della netta distinzione tra

biologico e morale, da un punto di vista ontologico in relazione alla diversità del bene

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protetto, e tale decisione trova conferma in Cassazione civile, sez. III, 12 dicembre 2008, n.

29191, la quale, pur ribadendo come sia un “error in iudicando” valutare il danno morale

quale in termini di quota del danno biologico, sostiene che “nella valutazione del danno

morale contestuale alla lesione del diritto della salute, la valutazione di tale voce, dotata di

logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto

inviolabile della persona (la sua integrità morale: art. 2 della Costituzione in relazione allo

art. 1 della Carta di Nizza, che il Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia con L. 2 agosto

2008, n. 130, collocando la dignità umana come la massima espressione della sua integrità

morale e biologica) deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della

gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota

minore del danno alla salute”.

Per Cassazione civile, sez. Lavoro, 19 dicembre 2008, n. 29832, invece, il danno morale e

quello biologico non sono categorie di danno, ma il giudice ne deve tenere comunque conto ai

fini della liquidazione del risarcimento, in quanto descrivono la lesione subita.

Questa sentenza, dunque, fa proprie le conclusioni delle SS.UU. del novembre 2008,

attenuando, però, i principi di diritto enunciati dal Supremo Collegio.

Infatti, se è vero che danno biologico e morale non sono categorie di danno, bensì semplici

nozioni descrittive, è anche vero che, in sostanza, il giudice, esattamente come prima, li

utilizza e li considera ai fini del risarcimento del danno e, dunque, pur cambiando le

terminologie e le collocazioni sistematiche, non muta la sostanza.

Di recente, poi, Cassazione civile, sez. III, 13 gennaio 2009, n. 479 si è sganciata dalle

pronunce gemelle del 2008, nelle quali, come già detto, il Collegio aveva chiaramente

affermato che se la sofferenza è accompagnata da degenerazioni patologiche il danno morale

non va liquidato assieme al biologico, e, dunque, se c’è danno alla salute, va risarcito il solo

danno biologico dinamico, il quale è comprensivo del morale così inteso.

Per Cassazione n. 479/09, invece, costituisce violazione dell’art. 2059 c.c. negare il

risarcimento del danno morale in caso di lesioni gravi riportate dalla vittima.

Nella fattispecie oggetto di giudizio le corti di merito avevano già liquidato il biologico, ma

non il morale e, se il Collegio avesse confermato la lettera delle SS.UU. 2008, dinanzi alle

censure concernenti la mancata liquidazione del morale, questi avrebbe, comunque, affermato

che andava liquidato il solo biologico seppur con adeguamento ai risvolti “dinamici”.

Invece Cass. 479/09 afferma il seguente principio di diritto: “la parte che ha subito lesioni

gravi alla salute nel corso di un incidente stradale, ha diritto al risarcimento integrale del

danno ingiusto non patrimoniale (nella specie dedotto come danno morale), che deve essere

equitativamente valutato tenendo conto delle condizioni soggettive della vittima, della entità

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delle lesioni e delle altre circostanze che attengono alla valutazione della condotta

dell’autore del danno”.

Da ultimo Cassazione civile, sez. III, ordinanza 17.09.2010 n. 19816, nel chiarire che le

sofferenze morali devono essere sempre risarcite, ha stabilito che “Le sentenze della Corte di

cassazione a S.U. n. 26972 e 26973/2008 - citate dalla resistente - confermano tale principio,

disponendo che non è ammessa la creazione di diverse tipologie autonome e a sè stanti di

danno non patrimoniale (ed in particolare di quella del danno c.d. esistenziale), per attribuire

una specifica somma in risarcimento di ognuna; ma che il giudice deve comunque tenere

conto - nel liquidare l’unica somma spettante in riparazione - di tutti gli aspetti che il danno

non patrimoniale assume nel caso concreto (danno alla vita, alla salute, ai rapporti affettivi e

familiari, sofferenze psichiche, ecc.)”

In definitiva oggi la giurisprudenza di legittimità, pur sottolineando la necessità di evitare

duplicazioni risarcitorie del danno non patrimoniale, ha ribadito l’esistenza del danno morale,

ne ha confermato il ristoro pur in presenza di semplici presunzioni e ha sganciato la sua

risarcibilità dall’accertamento incidentale della presenza di un reato (per quest’ultimo aspetto

chiaramente la già citata Cass. civ., n. 29832/08),

Sul punto, inoltre, è da registrare un importante intervento del legislatore, il quale, seppur in

una materia del tutto peculiare e disciplinando un settore speciale, rivela un ragionamento in

evidente contrasto con quello fatto dalle SS.UU.

Si tratta del d.p.r. 3.3.2009, n. 37 (Regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità

di riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle

missioni militari all'estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali, a norma dell'articolo 2,

commi 78 e 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 244), il cui art. 5 introduce criteri legali per

la determinazione dell’invalidità permanente.

Orbene, con questa normativa il legislatore collega il danno biologico del decreto in oggetto a

quello del Codice delle Assicurazioni Private di cui al d.lgs. 209/05 e stabilisce, art. 5, comma

1°, lett. c), che nella determinazione del danno morale si deve tenere conto della “lesione alla

dignità della persona”, riconoscendo, così, l’autonomia ontologica del danno morale e

facendone presidio della dignità umana.

Peraltro anche quei Tribunali che non individuano espressamente come danno autonomo il

pregiudizio morale, ma lo considerano come aspetto descrittivo di un unico danno, quello non

patrimoniale (tra le altre Trib. Nocera Inferiore, Sez. II, 26/01/2010; Trib. Roma, Sez. XII,

12/01/2010, Trib. Roma, Sez. XII, 04/01/2010; Trib. Milano, Sez. X, 17/11/2009; Trib.

Roma, Sez. XIII, 29/10/2009; Trib. Milano, Sez. XI, 21/10/2009; Trib. Roma, Sez. XIII,

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23/07/2009; Trib. Milano, Sez. X, 12/03/2009), giungono, in sostanza, alle medesime

conclusioni pratiche, nel senso che trattasi di danno comunque risarcito e riconosciuto.

Appare opportuno, infine, rammentare che in materia di circolazione stradale, in virtù della

sentenza della Corte Costituzionale n. 233 dell’11.07.2003, il risarcimento del danno morale,

ma ciò è dirsi per l’intera area del danno non patrimoniale, non richiede la responsabilità

penale dell’autore del fatto illecito, ovvero la necessaria sussistenza di un fatto-reato accertato

in concreto, ed è, dunque, risarcibile anche nel caso in cui la responsabilità sia fondata sulla

presunzione di colpa ex art. 2054, 2° comma, c.c. (Cass. n. 479/2009, cit.; Trib. Roma, Sez.

XIII, 04/09/2009; App. Bologna, Sez. II, 13/01/2009; Trib. Modena, 23/05/2008; Cass. civ.,

sez. I, 15/01/2005, n. 729; Cass. civ., Sez. III, 24/11/2005, n. 24808; Cass. civ., Sez. III,

20/07/2004, n. 13445; Cass. civ., Sez. III, 01/06/2004, n. 10482; Cass. civ., Sez. III,

20/07/2004, n. 13445; Cass. civ., Sez. III, 14/07/2003, n. 10987; Trib. Roma, 17/10/2003).

3. Il danno morale da morte “jure hereditario”.

Per costante orientamento della giurisprudenza la morte non costituisce la massima lesione

possibile del diritto alla salute (tra le tante Cass. civ., Sez. lavoro, 27/05/2009, n. 12326; Cass.

civ., Sez. lavoro, 22/07/2008, n. 20188; Cass. civ., Sez. III, 17/01/2008, n. 870; Cass. civ.,

Sez. lavoro, 13/01/2006, n. 517; Cass. civ., Sez. III, 19/10/2007, n. 21976; Corte

Costituzionale, 27.10.1994, n. 372; Cass. civ., Sez. III, 16/05/2003, n. 7632; Cass. civ., Sez.

III, 23/02/2004, n. 3549; Cass. civ., Sez. III, 30/06/1998, n. 6404), e, dunque, in caso di morte

senza che sia passato un apprezzabile lasso di tempo dal momento dell’illecito, non sorge

alcun danno biologico o morale da trasmettere agli eredi.

Le sentenze gemelle del 2008 sono state innovative sul punto, in quanto è stato colmato il

vuoto di tutela rappresentato dalla tesi giurisprudenziale che nega, appunto, in caso di morte

immediata o intervenuta a breve distanza dall’evento lesivo, il risarcimento del danno

biologico per perdita della vita, come vedremo poi sub. 9 detto anche tanatologico,

ammettendolo solo se il soggetto rimanga in vita per un tempo apprezzabile.

Infatti è riconosciuto dalle sezioni unite del 2008 che, in ogni caso, “il giudice potrà invece

correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza

psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la

morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine” e che “Una

sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo

suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in

patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova

più ampia accezione”.

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Dunque, in caso di morte immediata o di sopravvivenza limitata nel tempo, se non può

nascere alcun danno biologico, può essere riconosciuto un danno morale trasmissibile agli

eredi.

Si vedano oggi sulla questione in esame Cass. civ., Sez. III, 08/04/2010, n. 8360 per la quale

“Deve essere risarcito iure hereditario ai familiari della persona deceduta dopo mezz’ora il

danno morale patito dal de cuius che in tale lasso di tempo sia rimasto lucido durante

l'agonia, in consapevole attesa della fine”, Cass. civ., Sez. III, 12/02/2010, n. 3357 secondo

cui “In caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo, la sofferenza psichica patita

dalla vittima delle lesioni fisiche integra un danno che deve essere qualificato, e risarcito

“iure haereditatis” (con liquidazione ancorata alla gravità dell'offesa ed alla serietà del

pregiudizio), come danno morale e non come danno biologico, giacché una tale sofferenza, di

massima intensità anche se di durata contenuta, non è suscettibile, in ragione del limitato

intervallo temporale di tempo tra lesione e morte, di degenerare in patologia” e Cass. civ.,

Sez. III, 13/01/2009, n. 458, in base alla quale “Nel caso in cui il “de cuius” sia sopravvissuto

per un apprezzabile lasso di tempo all'evento lesivo è ammissibile il risarcimento del danno

morale terminale”.

4. Il danno morale “jure proprio” da morte o lesione del rapporto parentale.

E’ormai consolidato in giurisprudenza il riconoscimento del danno morale “jure proprio” da

lesione del rapporto di parentela, vale a dire il riconoscimento di tale danno in favore dei

congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito, lesioni personali (per tutte

Cass. Civ. Sez. Unite, 1.7.2002, n. 9556), ovvero sia deceduto (per tutte Cass. civ., Sez. III,

15/07/2005, n. 15019 e Cass. civ., Sez. III, 12/07/2006, n. 15760), e che tale danno, il quale

trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso (Cass. civ., sez. III, 11/03/2004, n. 4993),

può essere dimostrato in via presuntiva (Cass. civ., sez. III, 14/12/2004, n. 23291; Cass. civ.,

sez. III, 14/07/2003, n. 11001; Cass. civ., sez. III, 14/07/2003, n. 10996).

Parte della giurisprudenza qualifica questo pregiudizio non come morale, bens ì, più

genericamente, come lesione “alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca

solidarietà nell’ambito della famiglia e alla inviolabilità della libera e piena esplicazione

delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione

sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost.”,

trattandosi di “interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la

cui lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell’art. 2043 c.c., nel cui ambito

rientrano i danni patrimoniali, ma ad una riparazione ai sensi dell’art. 2059 c.c. - senza il

limite ivi previsto in correlazione all'art. 185 c.p. in ragione della natura del valore inciso -

10

vertendosi in materia di danno che non si presta ad una valutazione monetaria di mercato”

(Cass. civ., Sez. III, 16/09/2008, n. 23725).

Le Sezioni Unite del novembre 2008, poi, hanno precisato che il danno morale assorbe il

danno parentale, vale a dire il danno da lesione o uccisione del congiunto, e statuito che

determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua

rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza

patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del

soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va

integralmente ed unitariamente ristorato (così anche Cass. civ., Sez. III, 28/11/2008, n.

28423).

Anche, in questo caso, però, la precisazione e solo terminologica o sistematica, in quanto,

comunque lo si voglia inquadrare o chiamare e fermo il divieto di duplicare le voci

risarcitorie, il danno da lesione o uccisione del congiunto è oggi un danno che deve sempre

essere integralmente risarcito.

5. I criteri di liquidazione del danno morale.

Dopo le sentenze delle Sezioni Unite del novembre 2008 si è aperto un ampio dibattito in

seno ai Tribunali italiani in ordine ai criteri di determinazione del punto tabellare, vale a dire

del punto delle tabelle normalmente utilizzate per la liquidazione del danno biologico.

Una prima impostazione, oggi seguita dal Tribunale di Milano, le cui tabelle sono largamente

le più diffuse sul territorio nazionale, ha adottato il criterio del c.d. “punto pesante”, nel senso

di comprendere nel punto in una liquidazione congiunta i valori riferibili al danno biologico

ed a quello morale.

In particolare l'Osservatorio per la giustizia civile di Milano ha elaborato nel maggio 2009

nuove tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale complessivamente inteso, con le

quali viene proposta la liquidazione congiunta del danno non patrimoniale quale lesione

dell’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale, sia nel suo

aspetto “statico”, vale a dire la lesione in sé e per sé considerata, sia nel suo aspetto

“dinamico”, vale a dire dei risvolti anatomo-funzionali e relazionali, e del danno non

patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di “sofferenza soggettiva”.

In definitiva sono liquidati unitariamente, con riferimento all’andamento dei precedenti degli

uffici giudiziari di Milano, i pregiudizi in passato liquidati a titolo di danno biologico

standard, in tutte le sue componenti (estetico, alla vita di relazione, alla capacità lavorativa

generica, etc), di danno esistenziale e di danno morale.

11

Questa posizione, però, è stato osservato, se ha l’indubbio vantaggio, in un’ottica di

conciliazione e transazione delle cause, di fornire una maggiore prevedibilità della futura

entità del risarcimento, comporta un eccessivo automatismo nella liquidazione del danno e

comprime notevolmente il potere equitativo del giudice in un valore già elaborato a priori nei

suoi standard medi, lasciando alla personalizzazione solo una funzione marginale di

intervento in ipotesi rare ed eccezionali.

Altri Tribunali, invece, tra cui quello di Roma, ha adottato un principio opposto, lasciando

sostanzialmente invariato il punto di invalidità, limitato al solo danno biologico, e

rimandando al potere equitativo del giudice la personalizzazione e, soprattutto, la liquidazione

del danno morale.

Inoltre comprendere il danno morale nel punto tabellare tramite un “appesantimento” dello

stesso incontra altri due ostacoli, uno di carattere sistematico e l’altro pratico.

Sotto il primo profilo, quello sistematico, il danno biologico è un danno permanente, mentre

quello morale è, per sua definizione, un danno transitorio.

Da qui la difficoltà concettuale di comprendere nello stesso punto un danno non patrimoniale

permanente, quello biologico, ed un danno patrimoniale transitorio per sua natura, quale è

quello morale.

Inoltre, da un punto di vista pratico, appunto, anche comprendendo il danno morale nel punto

tabellare, non potrebbe non esservi comunque sempre spazio per la c.d. personalizzazione del

danno, personalizzazione che, per costante giurisprudenza di legittimità, costituisce uno

specifico dovere del giudice, il quale non può limitarsi alla semplice applicazione automatica

dei criteri tabellari.

In concreto, dunque, dovendosi comunque sempre personalizzare il danno non patrimoniale,

appare sostanzialmente inutile includere nel punto tabellare il danno morale, oltre che

parzialmente, ed inutilmente, vincolante per il giudice.

Peraltro, inserire il danno morale nel punto tabellare è più complicato rispetto al danno

biologico, attesa la natura strettamente soggettiva della sofferenza psichica transitoria, la

quale non può non tener conto di circostanze, quali, ad esempio, il tipo e la gravità della

condotta illecita altrui, le quali ben possono cagionare un danno morale elevato a fronte di un

biologico lieve o insussistente (sul punto basti pensare alla violenza sessuale, la quale, se può

comportare un lieve danno sotto il profilo strettamente biologico, integra un rilevante danno

morale per la vittima).

Infine, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente censurato la prassi delle corti di

merito in ordine all’appiattimento del risarcimento sui criteri tabellari e, dunque, la

12

superficiale valutazione soggettiva del danno in relazione al singolo caso concreto e,

inevitabilmente, il punto tabellare “pesante” aumenta la possibilità di questo appiattimento.

Altra questione e se il danno morale possa essere liquidato in percentuale su quanto

riconosciuto a titolo di danno biologico, opzione che, in base a quanto sopra esposto,

sembrerebbe preclusa dalle pronunce delle Sezioni Unite.

In realtà alcuni Tribunali di merito continuano a liquidare il danno morale con riferimento ad

una frazione del “quantum” liquidato a titolo di danno biologico (da ultimo Trib. L'Aquila,

05/03/2010) e la successiva giurisprudenza di legittimità avalla tale impostazione,

sottolineando però il dovere del giudice di procedere poi alla necessaria personalizzazione

(Cass. civ., Sez. III, 15/07/2009, n. 16448; Cass. civ., Sez. III, 19/01/2010, n. 702).

Anche in questo caso, peraltro, la questione appare più formale che sostanziale, atteso che,

una volta riconosciuta la risarcibilità del danno morale, il relativo criterio di liquidazione,

necessariamente equitativo, è rimesso al prudente apprezzamento del giudice, il quale ben

potrà utilizzare come punto di riferimento quanto liquidato a titolo di danno biologico, salvo

tener conto delle circostanze del caso concreto e riconoscere un complessivo danno non

patrimoniale il più possibile personalizzato.

6. I criteri di liquidazione del danno morale “jure proprio” da morte o lesione del rapporto

parentale.

Per questa liquidazione i Tribunali hanno normalmente adottato un criterio elastico, lasciando

ampio margine di personalizzazione e quindi di parametrazione del risarcimento alla

specificità del caso concreto e all’incidenza dell’azione illecita del terzo.

In pratica è normalmente prevista una forbice tra i massimi ed i minimi tabellari ed è rimesso

al potere sostanzialmente discrezionale del giudice la liquidazione del danno.

Il Tribunale di Roma, invece, prevede oggi per tale tipo di danno, nell’ottica di una maggiore

personalizzazione, un sistema a punti basato sull’attribuzione al danno di un punteggio

numerico a seconda della sua presumibile entità e nella moltiplicazione di tale punteggio per

una somma di denaro che costituisce il valore di ideale di ogni punto.

Più precisamente sono individuati cinque fattori di influenza del risarcimento, vale a dire il

rapporto parentale, l’età della vittima, l’età del danneggiato, la convivenza e la composizione

del nucleo familiare, nei quali sono previste delle variabili a ciascuna delle quali è attribuito

un punteggio da moltiplicarsi per il valore monetario, aggiornato annualmente, sul cui

importo finale possono essere, poi, applicati dei correttivi per adeguare ulteriormente il

risarcimento alla fattispecie concreta in esame.

13

Questa presenza di variabili soggettive di valutazione porta la tabella romana ad avere un

approccio meno rigido e, dunque, meno discrezionale e più orientato alla personalizzazione

del danno.

7. Il nuovo danno esistenziale.

A seguito dell’intervento delle Sezioni Unite del novembre 2008 anche il danno esistenziale

non può essere inteso come categoria autonoma, ma come figura individuata ai fini

meramente descrittivi di un particolare aspetto del danno non patrimoniale.

Tale danno consiste in un pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma

permanente, oggettivamente accertabile e provocato sul fare areddittuale del soggetto, il quale

altera le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, inducendolo a scelte

di vita diverse quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno

(Cass. Civ. Sez. Unite, n. 26972 del 24.6/11.11.2008; Cass. civ., Sez. Unite, 24/03/2006, n.

6572; Cass. civ., Sez. lavoro, 07/03/2007, n. 5221; Cass. civ., Sez. lavoro, 16/05/2007, n.

11278) e sussiste solo nei casi di reato o previsti dalla legge, ovvero in ipotesi di lesione di

diritti inviolabili della persona costituzionalmente qualificati, ed in presenza di una lesione

grave e di un danno serio (da ultimo sempre Cass. Civ. Sezioni Unite, n. 26972/2008).

Dunque, così come per il danno morale, non può ritenersi che il danno esistenziale sia stato

cancellato dalle Sezioni Unite, ma, al pari di quello, è stato semplicemente collocato

sistematicamente nella più ampia categoria unitaria del danno non patrimoniale e ne è stata

delimitata in termini ristretti l’area di applicazione.

In particolare la Corte ha osservato che (punto 3.11 sent. 26972/08) “La gravità dell’offesa

costituisce requisito ulteriore per l’ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali

alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere

inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve

eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere

meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza. Il filtro della

gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di

solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del

danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed

il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel

complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la

convivenza impone (art. 2 Cost.). Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice

secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico

14

(criterio sovente utilizzato in materia di lavoro, sent. n. 17208/2002; n. 9266/2005, o

disciplinare, S.U. n. 16265/2002)”.

Basta, per tali motivi, al risarcimento di danni “bagatellari”, quali, così come riconosciuti

dalla giurisprudenza di merito, in particolare dai Giudici di Pace, la rottura del tacco di una

scarpa da sposa, l’errato taglio di capelli, l’attesa in aeroporto, il disservizio dell’ufficio

pubblico, l’invio di contravvenzioni illegittime, la morte dell’animale da affezione o il

mancato godimento della partita di calcio in tv determinato da “black out” elettrico.

Insomma, non sono meritevoli di tutela risarcitoria non patrimoniale i pregiudizi consistenti

in «disagi, fastidi, disappunti, ansie» o varie insoddisfazioni relative ai più disparati aspetti

della vita quotidiana e non esiste un diritto ad essere felici ed alla qualità della vita.

In sostanza il pregiudizio di tipo esistenziale è riconosciuto solo entro il limite segnato dalla

ingiustizia costituzionalmente qualificata dell’evento di danno e senza lesione di diritti

fondamentali non c’è tutela, con l’ulteriore filtro della serietà e gravità della lesione e, per

quanto concerne l’onere probatorio, si rinvia ancora alla prova documentale, testimoniale o

per presunzioni (Cass. civ., Sez. Unite, 6572/2006, cit., e. Cass. civ., Sez. lavoro, 11278/2007,

cit.)

In definitiva, le Sezioni Unite non negano affatto la configurabilità di pregiudizi esistenziali,

ma si limitano ad affermare che tali pregiudizi in tanto sono risarcibili in quanto siano

conseguenza (danni-conseguenza) della lesione di diritti fondamentali costituzionalmente

tutelati (danni-evento): pregiudizi di tipo esistenziale, dicono le Sezioni Unite, sono risarcibili

purché conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona.

Peraltro appare evidente, anche per evitare la duplicazione del danno risarcibile, la distinzione

del danno esistenziale da quello morale.

In particolare è stato osservato che “Poiché il danno esistenziale si sostanzia in un non poter

più fare, un dover agire altrimenti, la prova della sola lesione di un diritto fondamentale

dell'individuo (nella specie la lesione del diritto alla salute ed alla solidarietà familiare) non

è sufficiente a giustificarne il risarcimento, costituendo invero la stessa un semplice indizio di

danno; la sua esistenza deve, perciò, essere dimostrata mediante elementi che confermino il

carattere permanente del pregiudizio, risolvendosi altrimenti lo stesso in un "pati" transitorio

risarcibile solo sotto il diverso profilo del danno morale” (Trib. Roma, Sez. XII, 01/12/2009).

Dunque, il danno morale è essenzialmente un sentire, mentre il danno esistenziale è piuttosto

un non poter più fare, un dover agire altrimenti, l’uno attiene per sua natura alla sfera

dell’emotività e l’altro concerne il modo di estrinsecarsi e nessuna incidenza sullo stesso è

stata compiutamente provata.

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Interessante, per quanto concerne i rapporti tra il danno esistenziale e quello morale, è Cass.

civ., Sez. Unite, 16/02/2009, n. 3677, la quale, sempre per sottolineare la necessità di evitare

duplicazioni risarcitorie, ha evidenziato come “Il danno c.d. esistenziale, non costituendo una

categoria autonoma di pregiudizio, ma rientrando nel danno morale, non può essere

liquidato separatamente solo perchè diversamente denominato”.

Da ultimo, a conferma di quanto sopra esposto, è stato affermato che “Il danno non

patrimoniale di cui all’art. 2059 cod. civ. costituisce una categoria ampia, comprensiva non

solo del c.d. danno morale soggettivo (e cioè della sofferenza contingente e del turbamento

d’animo transeunte, determinati da fatto illecito integrante reato), ma anche di ogni ipotesi in

cui si verifichi un’ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente

garantito, dalla quale consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica,

senza soggezione al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 cod. pen.”

(Cass. civ., Sez. III, 19/02/2009, n. 4053).

La conclusione, così come per il danno morale, anche per il danno esistenziale appare la

stessa, nel senso che, come lo si voglia nominare ed inquadrare, è un pregiudizio che deve

essere liquidato, sempre nell’ottica della personalizzazione e nel rispetto dell’esigenza di

evitare duplicazioni risarcitorie.

8. Il danno biologico

Nei primi anni settanta la dottrina e la giurisprudenza cominciano ad incentrare l’attenzione

sulla tutela della persona in quanto tale, prescindendo dalla sua capacità di produrre reddito.

Il primo a pronunciarsi in tal senso è il Tribunale di Genova, il quale, con sentenza del

25.5.1974, stabilisce che il danno alla persona riguarda sia l’ambito professionale, sia le

attività extralavorative e ricreative, giacché è attraverso queste ultime che l’individuo realizza

la propria personalità.

Cinque anni più tardi, con sentenza n. 88 del 26.7.1979, la Corte Costituzionale contribuisce

ulteriormente all’affermarsi di questo rinnovato concetto di danno alla persona, sancendo

testualmente che la salute è un diritto fondamentale, primario ed assoluto dell’individuo, il

quale, in virtù del suo carattere privatistico, è direttamente tutelato dalla Costituzione (art. 32)

e, nel caso di sua violazione, il soggetto può chiedere ed ottenere il giusto risarcimento, in

forza del combinato tra il medesimo articolo costituzionale e l’art. 2059 del codice civile.

Nella stessa pronuncia, il giudice delle leggi precisa che la tutela del bene salute va estesa

anche alle situazioni ove intervenga la lesione di interessi non economici.

16

In questa nuova ottica, il risarcimento del danno alla persona perde il suo legame esclusivo

con l’aspetto reddituale per riferirsi a chiunque subisca una lesione da parte di terzi,

includendo, pertanto, anche quelle categorie sociali, fino ad allora, escluse.

La sentenza n. 88/79, inoltre, ha il merito di aver valorizzato il dettame dell’art. 32 della

Costituzione, segnando il passo alla successiva e già evidenziata pronuncia della Corte

Costituzionale n. 184/86, la quale, nel combinato disposto dell’art. 32 Cost. e dell’art. 2043

c.c., pone in essere l’effettiva tutela giuridica del bene salute e conferisce al danno biologico

lo status di “tertium genus” rispetto al danno patrimoniale e morale derivante da reato.

Il danno biologico diventa evento costitutivo della lesione, quindi insito nella medesima e, in

altre parole, la prova della lesione è in re ipsa.

Si apre, inoltre, la strada ad una diversa definizione del bene salute, nella cui accezione, d’ora

in avanti, saranno comprese tutte le funzioni naturali afferenti al soggetto nel suo ambiente e

aventi rilevanza biologica, sociale, culturale ed estetica, oltre che economica (Cass. civ., Sez.

lavoro, 06/07/1990, n. 7101).

Il legislatore è poi intervenuto dando le definizioni normative del danno biologico, così come

contenute nel decreto legislativo 23 febbraio 2000 n. 38 e nella Legge 5 marzo 2001 n. 57.

L’art. 13 del d.l.vo n. 38/2000 definisce il danno biologico come la lesione dell’integrità

psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico- legale, specificando che le

prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla

capacità di produzione di reddito del danneggiato.

L’art. 5 della legge n. 57/2001 riprende testualmente quanto già espresso dal d.l.vo n.

38/2000, aggiungendo che il danno biologico viene ulteriormente risarcito tenuto conto delle

condizioni soggettive del danneggiato.

Da ultimo è intervenuto l’art. 139, secondo comma, del decreto legislativo n. 209 del

7.9.2005, il quale ha definito il danno biologico come “la lesione temporanea o permanente

all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico- legale che esplica

un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita

del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre

reddito”.

Nel danno biologico, poi, come vedremo sub 10, sono state comprese dalla giurisprudenza le

figure del danno estetico, del danno alla vita di relazione, del danno alla capacità lavorativa

generica, del danno alla sfera sessuale e del danno da cenestesi lavorativa.

9. Il danno biologico da morte. Il danno tanatologico.

Il danno tanatologico è il danno derivante dalla morte di un congiunto per fatto illecito altrui.

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La dottrina ha individuato due categorie di danno tanatologico: diretto e riflesso.

Si parla di danno tanatologico diretto quando il soggetto perde la vita per un fatto ingiusto

causato da terzi.

In questo caso, il risarcimento del danno tanatologico, traducendosi in un vero è proprio

danno biologico, è trasmissibile “iure hereditatis”, salvo che, come già visto parlando sub. 3

del danno morale da morte e come vedremo poi, nei casi di decesso istantaneo.

Il danno tanatologico, riflesso, invece, si ha quando un soggetto subisce una menomazione

psicofisica, a causa dell’evento morte di un congiunto.

In questo caso, l’evento-morte produce un ulteriore evento- lesione che danneggia la salute

psichica o fisica del congiunto rimasto in vita, e, in definitiva, causa un danno biologico.

La c.d. tesi minoritaria positiva, seguita dalla dottrina, sostiene la risarcibilità “jure

hereditario” sempre e comunque del danno tanatologico diretto, anche quando l’evento morte

cagionato dall’evento lesivo è pressoché immediato, ovvero interviene dopo un breve lasso di

tempo.

Questa impostazione trova fondamento nell’art. 2 della Costituzione, nella Dichiarazione

universale dei diritti dell’uomo (10.12.1948), nella Convenzione europea sui diritti dell’uomo

(4.11.1950) e nel Patto internazionale sui diritti civili e politici (16/19.12.1966), tutti ratificati

dall’Italia con apposite leggi.

L’altra corrente, che prende il nome di c.d. tesi maggioritaria negativa ed è seguita dalla

prevalente giurisprudenza, sostiene che il danno tanatologico diretto da morte immediata non

costituisce danno biologico, poiché la perdita della vita non è la massima lesione possibile del

diritto alla salute (vedi giurisprudenza sopra sub 3) e richiede ai fini della risarcibilità il

decorrere di un certo lasso di tempo tra l’illecito e la morte.

Di conseguenza, trasmettere per via ereditaria il risarcimento della perdita della vita,

equivarrebbe a dare al bene giuridico vita lo status giuridico di un bene patrimoniale, senza

contare che il danno da morte nega la sopravvivenza, mentre il danno alla salute la

presuppone.

A chiarire la posizione della giurisprudenza in tema di danno tanatologico è intervenuta di

recente Cass. civ., Sez. III, 17.1.2008, n. 870.

La Corte distingue il caso in cui la morte è istantanea dal caso in cui il decesso intercorre

dopo un certo lasso di tempo dall’evento lesivo.

Nel caso di morte istantanea, non vi è danno alla salute, poiché ciò che viene leso è il bene

giuridico vita e non la salute, la quale, perché sia considerata un bene giuridico, presuppone

l’essere in vita del danneggiato.

18

Quando, invece, il decesso avviene dopo un considerevole lasso di tempo dall’evento lesivo,

il bene giuridico salute deve considerarsi compromesso, poiché il danneggiato è stato

costretto a vivere, fino al momento della propria morte, accusando la compromissione della

propria integrità psico-fisica.

Per quanto concerne i criteri di liquidazione, l’ammontare del danno biologico che gli eredi

del defunto richiedono “iure successionis” va calcolato non con riferimento alla durata

probabile della vita del defunto, ma alla sua durata effettiva (Cass. civ., Sez. III, 30/10/2009,

n. 23053; Cass. civ., Sez. III, 30/01/2008, n. 2106), tenendo conto del fatto che nei primi

tempi il patema d'animo è più intenso rispetto ai periodi successivi, ed è un danno nel quale i

fattori della personalizzazione debbono valere in un grado assai elevato.

Lo stesso, dunque, non può essere liquidato attraverso l’applicazione automatica dei criteri

contenuti nelle tabelle utilizzate dai Tribunali, le quali, per quanto dettagliate, nella generalità

dei casi sono predisposte per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità,

temporanee o permanenti, di soggetti che sopravvivono all’evento dannoso, ma deve essere

ulteriormente e compiutamente adeguato al caso concreto (Cass. civ., Sez. III, 27/11/2006, n.

25124; Cass. civ., Sez. III, 30/01/2006, n. 1877 ; Cass. civ., Sez. III, 16/05/2003, n. 7632;

Cass. civ., Sez. III, 23/02/2004, n. 3549; Cass. civ., Sez. III, 14/07/2003, n. 11003).

Da notare, inoltre, che la giurisprudenza rinvia normalmente alle sole tabelle per l'invalidità

temporanea assoluta e totale e non a quelle per l’invalidità permanente (per tutte Cass. civ.,

Sez. III, 09/10/2009, n. 21497).

Inoltre il giudice, nell'adeguare l’ammontare tale danno alle circostanze del caso concreto,

deve tener conto del fatto del fatto che lo stesso, se pure temporaneo, è massimo nella sua

entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di

recupero ed esitare nella morte (Cass. civ., Sez. III, 28/08/2007, n. 18163; Cass. civ., Sez. III,

14/02/2007, n. 3260)

Infine è da ricordare che, come già ampiamente evidenziato sub 3, in caso di morte immediata

è oggi comunque riconosciuto il danno morale “jure hereditario”.

10. Criteri di liquidazione del danno biologico. In particolare nell’infortunistica stradale.

Per quantificare tale danno si procede, come è noto, ad una liquidazione in via equitativa ai

sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c.

Utilizzando questo criterio e per il riconoscimento di un danno il più possibile personalizzato,

il giudice di norma, deve avere riguardo, in modo particolare, all’età del danneggiato ed alla

gravità della lesione, applicando a tal fine, come è prassi giurisprudenziale, le tabelle

appositamente fissate in materia dai singoli Tribunali.

19

Il fondamento della tabella è la media dei precedenti giudiziari in un dato ambito territoriale e

la finalità è quella di uniformare i criteri di liquidazione del danno, ma non deve essere

applicata automaticamente, bensì con apprezzamento anche delle c.d. condizioni

personalizzanti, tenendo conto della particolarità del caso concreto e della reale entità del

danno, anche per evitare l’eventualità che possa giungersi a liquidazioni puramente

simboliche o irrisorie (Cass. civ., Sez. III, 25/05/2007, n. 12247; Cass. civ., Sez. III,

11/01/2007, n. 392; Cass. civ., Sez. III, 25/08/2006, n. 18489; Cass. civ., Sez. III, 20/03/2006,

n. 6088; Cass. civ., Sez. III, 30/01/2006, n. 1877).

Le tabelle non rientrano nelle nozioni di fatto di comune esperienza, né sono recepite in

norme di diritto appartenenti necessariamente alla conoscenza del magistrato (Cass. civ., Sez.

III, 11/01/2007, n. 394; Cass. civ., Sez. III, 01/06/2006, n. 13130; Cass. civ., Sez. III,

16/12/2005, n. 27723. Di “notorio locale”, vale a dire limitato ad una stretta cerchia di

soggetti, parla Cass. civ., Sez. III, 12/03/2008, n. 6684) e, pertanto, il giudice che intenda

utilizzarle deve, per non incorrere nell’errore di omessa motivazione, dare conto dei criteri

indicati nelle tabelle e poi descriverne l’applicazione alla fattispecie concreta (Cass. civ., Sez.

III, 23/05/2003, n. 8169; Cass. civ., Sez. III, 09/08/2001, n. 10980; Cass. civ., Sez. lavoro,

06/11/2000, n. 14440).

Sotto altro profilo, se si ritiene non sussistente alcun diritto del danneggiato ad ottenere la

liquidazione del danno in base a tabelle in uso presso un determinato Ufficio Giudiziario

piuttosto che in un altro (Cass. civ., Sez. III, 26/01/2010, n. 1524), il giudice, pur non essendo

vincolato alle tabelle di sezione adottate dal suo Tribunale, qualora le utilizzi la motivazione

della scelta è già in “re ipsa” (Cass. civ., Sez. III, 03/08/2005, n. 16237), mentre, qualora se ne

discosti e adotti le tabelle in uso presso altro ufficio giudiziario, è tenuto in ogni caso a dare

ragione della diversa scelta (Cass. civ., Sez. III, 01/06/2006, n. 13130; Cass. civ., Sez. III,

02/03/2004, n. 4186; Cass. Civ., 16237/05, cit.).

Nel campo del risarcimento del danno da circolazione stradale, dove, inevitabilmente, il

pregiudizio non patrimoniale si afferma in tutti i suoi aspetti, il legislatore ha adottato una

tabella unica nazionale per le lesioni micropermanenti, vale a dire per le lesioni di lieve entità

dall’1% al 9%.

Trattasi dell’art. 139 del Decreto Legislativo n. 209 del 7.9.2005, c.d. “Codice delle

Assicurazioni Private” in vigore dall’1.1.2006, il quale riprende i criteri già fissati dall’art. 5),

lett. a), e 5° comma, della legge 5.3.2001 n. 57, a sua volta in vigore dal 4.4.2001.

Tale normativa utilizza come criteri di riferimento la percentuale di invalidità e l’età del

danneggiato, adottando come base di calcolo il c.d. valore punto, ed un coefficiente indicato

20

nell’allegato A), con successiva riduzione dell’importo dello 0,5% per ogni anno di età a

partire dall’undicesimo anno di età.

Per quanto concerne il danno biologico da invalidità temporanea assoluta sempre l’art. 139

prevede un determinato importo per ogni giorno di inabilità assoluta e che in caso di inabilità

temporanea inferiore al cento per cento la liquidazione avviene in misura corrispondente alla

percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno.

L’importo del valore punto e quello per determinare l’invalidità temporanea sono aggiornati

annualmente con decreto del Ministro delle Attività produttive, in misura corrispondente alla

variazione dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati

accertata dall’Istat, e sono oggi fissati dal D.M. 27.5.2010.

L’art. 139, terzo comma, poi, prevede la possibilità per il giudice di aumentare l’ammontare

del danno biologico liquidato in misura non superiore ad un quinto “con equo e motivato

apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”, dando, così, spazio alla c.d.

personalizzazione.

Peraltro è da ritenersi, per quanto sopra esposto, che questa personalizzazione per le lesioni di

lieve entità, proprio perché limitata al 20%, concerni esclusivamente il danno biologico in

senso stretto, dovendo il giudice poi ulteriormente personalizzare il complessivo danno non

patrimoniale in tutti suoi ulteriori aspetti: “Le soglie massime per il risarcimento del danno

biologico previste dagli artt. 138 e 139 del D.Lgs. n. 209/2005 operano unicamente con

riguardo al danno alla validità biologica medicalmente accertato e non invece con riguardo

al pregiudizio alla integrità morale della persona” (App. Torino, 05/10/2009).

Questa conclusione sembra inevitabile alla luce della costante giurisprudenza di legittimità, la

quale ritiene necessaria sempre e comunque la personalizzazione del danno non patrimoniale

complessivamente inteso (per tutte Cass. civ., Sez. III, 29/03/2007, n. 7740).

Precisato che, in quanto oggetto di specifica previsione legislativa, per le lesioni di lieve entità

in materia di circolazione stradale il giudice non può più operare riferimento alle note tabelle

vigenti in Tribunale, ulteriore questione è quella se per i sinistri anteriori al 4.4.2001, data di

vigenza della legge n. 57/01 poi ripresa dall’art. 139 del d.l.vo n. 209/05, il giudice debba

applicare comunque il sopravvenuto dato normativo, ovvero le tabelle di liquidazione del

danno biologico adottate dal Tribunale di appartenenza, peraltro normalmente di importo

superiore.

Secondo una prima impostazione la liquidazione del danno biologico da c.d. micropermanente

può essere effettuata applicando i criteri previsti dalla legge n. 57/ 2001 anche nel caso di

sinistro stradale verificatosi in data antecedente all'entrata in vigore della legge stessa, sulla

base della considerazione che “i criteri di cui alla detta legge, pur se contenuti in un

21

provvedimento normativo entrato in vigore dopo il sinistro, possono costituire una base

equitativa per la liquidazione uniforme dei danni da c.d. micropermanente” (Trib. Modena,

23/05/2008), ovvero che “sarebbe iniquo ed irragionevole, in presenza di un criterio di

liquidazione del danno alla persona finalmente stabilito dal legislatore, procedere alla

quantificazione del danno risarcibile adottando, in ipotesi in cui emergano lesioni della

medesima entità, criteri di liquidazione diversi, e, di conseguenza, determinare in sede

giudiziale il ristoro in misura differente a seconda che il fatto generatore del pregiudizio

all’integrità psico - fisica si sia verificato prima o dopo l’entrata in vigore della legge n. 57

del 2001” (Trib. Reggio Emilia, 19/04/2001).

Nello stesso senso anche Trib. Castiglione S., 02/11/2005, Trib. La Spezia, 27/10/2005, Trib.

Mantova, Sez. II, 17/02/2004 e Trib. Milano, 20/09/2001.

Per altro orientamento, invece, “In tema di liquidazione del danno biologico da sinistro

stradale avvenuto prima dell’entrata in vigore della legge 5 marzo 2001, n. 57, non va

operata l’applicazione di tale legge in via analogica, in quanto contraddice con il dato

testuale della stessa, che dispone l’applicabilità ai sinistri avvenuti successivamente alla data

di entrata in vigore della legge, oltre a contrastare con il principio di equità, per finire con il

trattare con lo stesso criterio fatti avvenuti in tempi diversi” (App. Genova, Sez. I,

18/07/2005. Nello stesso senso Trib. Massa, 23/03/2002).

La questione sembra oggi risolta da Cass. civ., Sez. III, 13/05/2009, n. 11048, per la quale le

tabelle mediche per la micropermanente di cui all’art. 5, comma 5°, della legge n. 57/01,

approvate con D.M. 3 luglio 2003 ed in vigore dal giorno 11 settembre 2003, data della sua

pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, non hanno effetto retroattivo, stabilendo, così, in

pratica l’inapplicabilità della legge n. 57/01 quanto meno ai sinistri anteriori all’11.9.2003.

Isolate restano quelle pronunce le quali, in considerazione del fatto che la liquidazione del

danno biologico nei sinistri stradali deve avvenire con criteri equitativi, ritengono che i

parametri previsti dalla legge 5 marzo 2001, n. 57 possono essere utilizzati anche per lesioni

che superano il 9% di invalidità permanente (Trib. Venezia, 11/07/2002; Trib. Dolo,

11/07/2002).

Appare, infine, interessante osservare come alcuni Tribunali ritengano applicabili in via

analogica i criteri di cui alla legge n. 57/01 anche in ipotesi di lesioni micropermanenti non

derivanti da circolazione stradale (Trib. Catania, Sez. V, 16/01/2006; Trib. Bari, Sez. III,

31/03/2006; Trib. Milano, 02/07/2001; Trib. Venezia, 11/05/2001).

Per le lesioni macropermanenti da sinistro stradale, o lesioni di non lieve entità, vale a dire dal

10% in poi, l’art. 138 del d.l.vo n. 209/05 stabilisce la predisposizione di una specifica tabella

unica su tutto il territorio nazionale, in realtà già prevista fin dall’art. 23 della legge n. 273 del

22

12.12.2002, ma ad oggi non ancora elaborata, con la conseguenza che per tali lesioni il

giudice dovrà continuare a fare ricorso alle tabelle in uso presso il suo Tribunale.

Da notare che il 3° comma dell’art. 138 dispone che “Qualora la menomazione accertata

incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali, l’ammontare

del danno determinato ai sensi della tabella unica nazionale può essere aumentato dal

giudice sino al trenta per cento, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni

soggettive del danneggiato”.

Dunque, anche in ipotesi di lesioni gravi è prevista una personalizzazione ed anche in questo

caso la stessa deve ritenersi limitata al danno biologico in senso stretto, sempre per consentire

una adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale complessivamente inteso in tutti i

suoi aspetti.

11. Il danno estetico, il danno alla vita di relazione, il danno alla capacità lavorativa generica,

il danno alla sfera sessuale ed il danno da cenestesi lavorativa.

Il danno estetico consiste nella compromissione dell’integrità fisionomica della persona (per

tutte Cass. civ., Sez. III, 23/01/1995, n. 755) ed è manifestazione del danno biologico nel

momento in cui incide sulla capacità dell’individuo di relazionarsi col mondo esterno e sulla

sua personalità (tra le tante Trib. Napoli, 24/12/1999, Cass. civ., Sez. III, 29/09/1999, n.

10762, Cass. civ., Sez. III, 12/01/1999, n. 256, Trib. Roma, 17/07/1998).

Nell’attuale accezione, il danno estetico trova tutela giuridica nell’art. 2 della Costituzione,

laddove la lesione comporti serie e rilevanti limitazioni nella realizzazione della personalità

dell’individuo.

Dal danno estetico possono derivare danni morali (ex art. 2059 c.c.) e danni patrimoniali,

intesi come diminuzione della capacità reddituale in concreto (è il caso, ad esempio, di

modelle, per cui la bellezza è essenziale allo svolgimento della loro professione) e,

comunque, è un danno che, se limitato alla sfera non patrimoniale, deve essere liquidato

nell'ambito della personalizzazione del danno biologico (Cass. civ., Sez. III, 22/04/2009, n.

9549).

Il danno alla vita di relazione consiste, invece, nel danno alla capacità del singolo di

relazionarsi con gli altri e di poter svolgere tutte quelle attività extralavorative che lo

realizzano come persona.

Negli anni sessanta, il danno alla vita di relazione era correlato al danno patrimoniale,

ritenendosi che la menomazione fisica di un soggetto influisse sulla sua capacità di

concorrenza, ne l senso di rendere difficile il suo reinserimento nelle dinamiche sociali ed

economiche.

23

In questo, il concetto di danno alla vita di relazione appare molto vicino a quello di danno

estetico, mentre è evidente come nella valutazione del danno ricorrano ancora i criteri

economico-patrimoniale e lavorativo.

Bisognerà attendere gli anni novanta perché i giudici di legittimità sentenzino che la

menomazione dell’integrità psicofisica dell’individuo incide negativamente sulla

realizzazione della sua personalità nelle attività sociali e ricreative che lo pongono in

relazione con terzi (Cass. civ., Sez. III, 16/09/1996, n. 8287 e Cass. civ., Sez. III, 16/04/1996,

n. 3564), legando il concetto di danno alla vita di relazione ad una visione dell’uomo inteso

come essere “sociale”, piuttosto che “economico”.

Oggi questo danno è pacificamente considerato componente del danno biologico (per tutte

Cass. civ., sez. III, 26/02/2004, n. 3868 e Cass. civ., Sez. lavoro, 30/11/2009, n. 25236) e

deve essere provato, non essendo automatico, infatti, che la lesione psicofisica arrechi

automaticamente un danno alla sfera relazionale e ricreativa del soggetto.

Il danno alla capacità lavorativa generica è la “lesione alla potenziale attitudine del soggetto

all’attività lavorativa, ind ipendentemente dalla produzione di un reddito” (Cass. civ., Sez. III,

16/02/1996, n. 1198).

Il danno alla capacità lavorativa generica differisce dal danno patrimoniale in quanto, al

contrario di questo, prescinde dalla titolarità di un reddito.

Sotto questo profilo si distingue dal danno alla capacità lavorativa specifica, inteso come

danno all’attività in concreto svolta e, come tale, costituente danno patrimoniale in quanto

idoneo ad incidere sulla capacità di produrre reddito.

Il risarcimento del danno alla capacità lavorativa generica spetta anche ai soggetti non

occupati e dediti agli studi per l’acquisizione di un titolo professionale, dovendosi considerare

quali effetti pregiudizievoli ricollegabili all’evento, l’invalidità, gli esborsi necessari al

recupero degli studi e le perdite patrimoniali correlate al ritardato ingresso nel mondo del

lavoro.

Si annoverano anche nel danno in oggetto, la perdita di chances lavorative, la riduzione della

capacità di concorrenza (Cass. civ., Sez. III, 23/01/1995, n. 755) e l’infermità derivante da

un’attività lavorativa usurante (Cass. civ., Sez. lavoro, 04/03/2000, n. 2455).

Il danno alla sfera sessuale consiste nella lesione del diritto di un coniuge ad avere rapporti

con l’altro coniuge secondo Cass. civ., Sez. III, 21/05/1996, n. 4671.

Questa pronuncia si riallaccia a Cass. civ., Sez. III, 11/11/1986, n. 6607 che considera il

diritto-dovere ai rapporti sessuali una componente essenziale del rapporto di coniugio.

Partendo da questa valutazione, e tenendo presente che la norma di cui all’art. 2043 c.c. pone

il principio di risarcibilità del danno ingiusto, senza alcun riferimento alla natura patrimoniale

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dello stesso, stabilendo in via immediata la risarcibilità del complessivo valore della persona

nella sua proiezione non solo economica ed oggettiva, ma anche soggettiva, la Corte ritiene

giusto risarcire il coniuge il cui diritto alla vita sessuale con l’altro coniuge sia stato leso da

fatto illecito altrui.

Va da sé, quindi, che il danno alla sfera sessuale rientra nel danno biologico, in quanto la

lesione riguarda un diritto primario dell’individuo, mentre per Cass. civ., Sez. III, 02/02/2007,

n. 2311 la perdita o la compromissione anche soltanto psichica della sessualità (come avviene

nei casi di stupro e di pedofilia) costituisce un vero e proprio danno esistenziale.

Infine nel biologico da invalidità permanente è compreso anche il danno da cenestesi

lavorativa, inteso come maggiore sforzo nello svolgimento dell’attività lavorativa (per tutte

Cass. civ., Sez. III, 08/11/2007, n. 23293).

12. Liquidazione del danno non patrimoniale da illecito extracontrattuale e stranieri. Criteri di

quantificazione del danno e condizione di reciprocità.

Questione di particolare interesse, di sovente presente nelle controversie in materia di

circolazione stradale che vede danneggiati cittadini stranieri, in particolare extracomunitari, è

quella se, nel quantificare il danno, debba o meno tenersi conto della realtà socio-economica

del danneggiato, normalmente per limitarne il risarcimento.

Secondo il Tribunale di Monza (sent n. 3302 del 2.11.2007) il risarcimento deve essere

commisurato alla realtà socio-economica del danneggiato “Ciò, in quanto il denaro non ha un

valore intrinseco ed assoluto, ma è espressione di quanto è in grado di procurare: l’utilità

ricavata attraverso il risarcimento in denaro non ha una consistenza oggettiva, ma varia in

relazione a quanto il denaro permette di conseguire in termini di beni e di servizi. L’esigenza

di riconoscere a tutti i danneggiati un uguale risarcimento non può essere soddisfatta

attraverso la mera attribuzione a ciascun danneggiato di un uguale risarcimento,

indipendentemente dal contesto economico in cui tale danneggiato si trovi a vivere, perché

così facendo la medesima espressione monetaria verrebbe a rivelarsi insufficiente per chi

viva in contesti economici con prezzi medi superiori, eccessiva per chi viva in contesti

economici con prezzi inferiori”.

Questa impostazione trova supporto in Cass. civ., Sez. III, 14/02/2000, n. 1637, la quale,

relativamente a cittadini italiani all’interno di Regioni dal maggiore o minore costo della vita,

valorizza il fatto che l’entità compensativa dei risarcimenti in denaro possa essere diversa a

seconda dell’area nella quale il denaro è speso, ritenendo corretto che i Tribunali

rapportassero l’importo risarcibile alla realtà socio-economica della provincia del Centro-Sud

teatro della causa.

25

Di contrario avviso è il Tribunale di Milano (X sezione civile, sent. n. 12099 del 18.12.2008),

il quale nel rifiutare il criterio delle «gabbie risarcitorie del dolore» sul modello delle «gabbie

salariali» in funzione del costo della vita localmente differente, ne sottolinea la possibile

sostanziale ingiustizia e la pericolosa incertezza sul complessivo piano giurisprudenziale.

Il Tribunale meneghino ha precisato che “la prospettiva di un risarcimento differenziato in

ragione del diverso costo dei beni in altri paesi, per non smentire la sua stessa interna logica

di rilevanza del contesto socio-economico dell’area territoriale in cui vive il danneggiato (e

non esporsi a critiche consimili a quelle da alcuni rivolte alle gabbie salariali...)

richiederebbe di quel contesto una valutazione assai più complessa e approfondita, che non

quella riferita al solo elevato potere d’acquisto della moneta. Desta poi insuperabili

perplessità ancorare la quantificazione del risarcimento al luogo di residenza del

danneggiato anche sotto il profilo della prova dell’abitualità di quella residenza e del suo

futuro mantenimento (e se in previsione di un più congruo risarcimento il danneggiato

modificasse temporaneamente la propria residenza...?). Comprende il Tribunale che simile

problematica potrebbe porsi più facilmente per i cittadini italiani (quali erano i danneggiati

nel procedimento deciso dalla Cassazione con la richiamata sentenza) che per quelli

stranieri, ma è evidente che il criterio di cui alla sentenza 1637/00 non potrebbe essere

affermato ed applicato per i soli stranieri senza divenire discriminatorio.

L’aspetto più preoccupante di una giurisprudenza interessata a ‘‘dove’’ verrà utilizzato

l’importo versato in risarcimento è che al ‘‘dove’’ potrebbero affiancarsi il ‘‘quando’’ e il

‘‘come’’, pure rilevanti rispetto al potere d’acquisto, con pericolose aperture ad ogni sorta di

arbitrarie previsioni e valutazioni delle possibili scelte del danneggiato.

Quanto all’asserito egualitarismo del proposto criterio di riferimento alla realtà socio-

economica territoriale in cui il danneggiato vive - nel senso che i parametri comunemente

adottati dai tribunali potrebbero rivelarsi incongrui non solo per eccesso, come si assume in

questo caso, ma anche per difetto - si tratta di una caratteristica che, oltre a risultare

praticamente priva di effetti in una direzione (stante la prevalente provenienza degli

extracomunitari presenti nel nostro paese, si profilerebbero di certo più numerosi i casi di

incongruità per eccesso, che quelli di incongruità per difetto, ove si dovesse, ad esempio,

risarcire un cittadino giapponese), non vale evidentemente a superare le considerazioni

svolte.

In definitiva, ritiene questo giudice che il luogo in cui il danneggiato vive, e in cui utilizzerà

(forse) il denaro ricevuto a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione del

congiunto, sia circostanza successiva, esterna e del tutto estranea alla quantificazione del

predetto danno, quantificazione che va operata dal giudice secondo i parametri economici

26

comunemente usati – e quindi sulla base del potere d’acquisto medio, nel tempo e nel luogo

in cui lo stesso giudice si pronuncia - per esprimere, seppure con l’inadeguatezza propria di

ogni traduzione monetaria destinata a dare misura a dolori che misura non hanno, il valore

della perdita subita.

Il luogo in cui vive il danneggiato resta circostanza irrilevante anche sul piano della

personalizzazione del danno non patrimoniale, la cui entità deve tener conto dei profili,

attinenti alla situazione personale e familiare del singolo danneggiato, che contribuiscono a

delineare il quadro delle sofferenze dovute alla perdita”.

In realtà ritengo possa ragionevolmente sostenersi che i risarcimenti liquidati non possono

essere ridotti per il semplice fatto che alcuni dei danneggiati risiedano in un luogo dove la

realtà socio-economica è diversa.

Infatti, venendo in rilievo diritti fondamentali dell’individuo, quali la salute e la solidarietà

familiare, il risarcimento costituisce una sorta di riparazione, peraltro necessariamente

equitativa e mai realmente integrale trattandosi di ridurre ad una mera valutazione economica

beni primari ed intangibili, la quale, in via di principio, prescinde da come e dove il

danneggiato utilizzerà il ristoro percepito.

Inoltre differenziare il risarcimento in base alla residenza ed alle condizioni sociali costituisce

un criterio non convincente, atteso che non è dato sapere, in concreto, il luogo in cui il

danneggiato andrà a vivere una volta ottenuto il risarcimento, il quale ben potrà essere diverso

dal precedente.

Del resto le stesse tabelle per il danno biologico in uso presso i vari Tribunali nazionali non

operano alcuna distinzione ai fini del “quantum” del risarcimento basata sulla condizione

socio-economica del danneggiato, ovvero sulla realtà sociale del territorio, regione o città di

provenienza, e tale impostazione è stata seguita anche dal legislatore nelle tabelle delle

micropermanenti di cui all’art. 139 del decreto legislativo n. 209 del 7.9.2005, vale a dire il

nuovo Codice delle Assicurazioni Private, dove non è stata adottata alcuna distinzione in base

al luogo di apprensione e di godimento delle somme oggetto del risarcimento, il quale,

dunque, non è stato considerato un valido criterio cui attribuire rilevanza.

Altra questione è quella concernente la c.d. condizione di reciprocità.

L’art. 16 delle Disposizioni sulla legge in generale per cui “Lo straniero è ammesso a godere

dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni

contenute in leggi speciali”, il quale oggi non si applica gli stranieri regolarmente

soggiornanti in Italia, atteso che l’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 286 del 25.7.1998

attribuisce agli stessi il godimento dei diritti civili spettanti ai cittadini italiani, si ritiene che

debba comunque tener conto del valore preminente che nel nostro ordinamento assume la

27

Costituzione, la quale all’art. 2 garantisce i diritti inviolabili della persona ed all’art. 32

riconosce il diritto alla salute.

Ne consegue che il danno non patrimoniale subito in proprio, ma anche da morte o lesione del

congiunto visto che gli artt. 29 e 30 della Carta garantiscono i diritti della famiglia, e, dunque,

tutelano dalla lesione del rapporto parentale, attiene ad un diritto la cui protezione è sganciata

dal possesso o meno della cittadinanza e, dunque, dalla condizione di reciprocità, la quale è

applicabile, in definitiva, solo ai diritti civili diversi da quelli riconosciuti dalla Costituzione

(Cass. civ., Sez. III, 07/05/2009, n. 10504; Trib. Trieste, 28/05/2009; Trib. Asti, 03/02/2009;

Trib. Milano, Sezione X, n. 12099 del 18.12.2008; Trib. Nola, Sez. II, 18/10/2007; Trib.

Desio, 01/07/2003; Trib. Roma, 24/10/2001; Trib. Monza, 08/05/1998; Trib. Roma,

23/03/1996; Trib. Siena, 09/02/1993; Trib. Roma, 29/01/1993).

Di recente Cass. civ., Sez. III, 24/02/2010, n. 4484 ha ribadito che “In caso di lesioni

conseguenti a infortunio stradale, il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale,

rientrando tra i diritti fondamentali della persona, in quanto riguardante il diritto alla salute,

spetta a tutte le persone, indipendente dalla cittadinanza (italiana, comunitaria ed

extracomunitaria)”.

Lo straniero ha quindi diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, a prescindere dalla

reciprocità e dalla sussistenza di un valido permesso di soggiorno, mentre per il danno

patrimoniale, trattandosi di pregiudizio di diritto non di rango costituzionale, il criterio di

reciprocità opera.

Dr. Corrado Cartoni

Giudice del Tribunale di Roma


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