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Il Papa prega per i farmacisti - Vatican News...problema del debito in Italia è risol-vere il...

Date post: 14-Jul-2020
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLX n. 87 (48.411) Città del Vaticano venerdì 17 aprile 2020 . y(7HA3J1*QSSKKM( +z!"!&!=!/! TEMPORE F AMIS LABORATORIO DOPO LA PANDEMIA Conversazione con il sociologo e pedagogista Johnny Dotti Ripartire dal silenzio di MARCO BELLIZI I l silenzio, il vuoto, l’immobili- tà, la stessa sofferenza, piom- bata nelle vite di tutti gli uo- mini veramente come un ladro nel- la notte, sono ormai realtà quoti- diane per ognuno di noi. A diffe- renza però di molti di noi, Johnny Dotti, scrittore, pedagogista, im- prenditore sociale e docente a con- tratto di Analisi e gestione di feno- meni sociali complessi presso l’Università cattolica di Milano, ri- tiene che la vera sfida, per il futu- ro, non sia trovare il sistema per superarle, queste scomode compa- gne, quanto essere capaci a non la- sciarle andare via. Lui, bergamasco, il virus è stato costretto a guardarlo in faccia, in famiglia, mentre nella cittadina lombarda i lutti si som- mavano ai lutti e la morte era, ed è ancora, una sorella piuttosto inva- dente. Indugiando colpevolmente negli stereotipi, si potrebbe dire che, da bravo bergamasco, Dotti sia un uomo animato da una sana idiosincrasia per gli orpelli, un amante della concretezza e con un malcelato gusto nello scardinare gli schemi. Insomma, uno di quegli intellettuali che normalmente ven- gono definiti scomodi. Almeno da chi ritiene che la vita sia, o debba essere, una comoda passeggiata fra le proprie, granitiche, certezze. In questo tempo di grandi dubbi sem- bra che l’unico punto fermo sia il se- guente: non saremo più gli stessi. Qualcuno comincia a pensare che sia già un luogo comune. Che ne dice? Dico che non è un automatismo. Dico che questa situazione inter- pella profondamente la nostra li- bertà e la nostra responsabilità. Non c’è alcun automatismo in virtù del quale siccome c’è stato questo trauma, allora c’è una trasformazio- ne. I traumi per trasformarsi in cambiamento, in cose nuove, han- no bisogno anzitutto di essere no- minati, accolti, accettati. E poi hanno bisogno di essere interpreta- ti. Mi sembra che i segnali che ar- rivano ancora adesso, mentre siamo in questo difficile momento, siano ambivalenti, come quasi tutte le co- se della vita dell’uomo, per altro. Dipenderà da come la nostra liber- tà risponderà a queste sollecitazio- ni, a come sappiamo leggerle. Se si vede solo l’aumento della richiesta di sicurezza o un maggiore inter- vento delle autorità affinché ci ga- rantiscano il futuro, è chiaro che andremo verso una regressione sta- talista da una parte e l’aumento della tecnica statalista dall’altra. È la preoccupazione che comincia a farsi largo in molti... Intellettuali, analisti, politologi, fra questi, di re- cente, l'israeliano Yuval Noah Hara- ri, mettono in guardia contro il peri- colo che politici irresponsabili, che fino a ieri hanno screditato scienza, autorità pubbliche e mezzi di comuni- cazione, possano essere tentati di im- boccare la strada dell’autoritarismo, sostenendo che non si può essere sicuri che i cittadini facciano la cosa giusta di fronte a un’emergenza come quella che stiamo attraversando, perché d’ora in poi vivremo con il pericolo che si ripeta... Naturalmente non me lo auguro, ma è un’ipotesi possibile. È chiaro che se i confini dei continenti si ri- chiuderanno andremo verso situa- zioni in cui bisognerà ripensare a mercati economici locali, nei quali paesi come l’Italia, per esempio, che vive di esportazioni, non so co- sa potranno fare. Se lo chiede a me, io suggerirei, suggerisco a me stesso, a chi voglio bene, agli altri, di ripartire da ciò che ci sta dicen- do la nostra interiorità, la nostra CONTINUA A PAGINA 3 All’omelia di Santa Marta sul tema della gioia rilanciata l’attualità dell’«Evangelii nuntiandi» di Paolo VI Il Papa prega per i farmacisti E nella Domenica della Divina misercordia celebrerà la messa nella chiesa di Santo Spirito in Sassia È stata per i farmacisti che «lavora- no tanto per aiutare gli ammalati a uscire dalla malattia» del covid-19, la preghiera con cui Papa Francesco ha introdotto la messa di giovedì matti- na, 16 aprile, nella cappella di Casa Santa Marta. Continuando le cele- brazioni trasmesse in diretta strea- ming in questo tempo di pandemia, il P0ntefice ha confidato di essere stato «rimproverato» per aver «di- menticato di ringraziare un gruppo di persone che anche lavora. Ho rin- graziato i medici, infermieri, i volon- tari», ha spiegato; «ma lei si è di- menticato dei farmacisti», gli è stato fatto notare. Da qui l’esortazione a pregare anche per questa categoria professionale. Successivamente, all’omelia, una seconda confidenza da parte del Pa- pa: il passo del Vangelo del giorno proclamato durante la liturgia, tratto dal capitolo 24 di Luca (35-48) — ha detto — «è uno dei miei preferiti», perché ha come tema la gioia: «esse- re riempiti di gioia». Che, ha spiegato Francesco, non significa «essere allegro, positivo», ma al contrario «è un’altra cosa; è la pienezza della consolazione, pienez- za della presenza del Signore». E in proposito il Pontefice ha suggerito di riprendere in mano un testo di straordinaria attualità, pur essendo stato scritto l’8 dicembre 1975: l’esor- tazione apostolica di Paolo VI Evan- gelii nuntiandi, che negli ultimi para- grafi (cfr. 79-80) «parla dei cristiani gioiosi, degli evangelizzatori gioiosi, e non di quelli che vivono sempre giù». Intanto è stato reso noto che il prossimo 19 aprile, seconda domeni- ca di Pasqua e festa della Divina mi- sericordia istituita esattamente vent’anni fa da san Giovanni Paolo II durante la canonizzazione della religiosa polacca Faustyna Kowalska — il Papa si recherà nella chiesa ro- mana di Santo Spirito in Sassia, luo- go particolarmente legato a questa devozione. In forma strettamente privata, Francesco vi celebrerà la messa e guiderà la recita del Regina Caeli. PAGINA 8 Nel pieno della pandemia il G20 sospende il pagamento del debito dei paesi più poveri Un piccolo passo nella giusta direzione WASHINGTON, 16. Un piccolo passo, ma nella giusta direzione. Nel pieno dell’emergenza coronavirus, il G20, cioè il gruppi dei paesi più indu- strializzati del mondo, ha deciso di sospendere temporaneamente il pa- gamento del debito dei paesi più poveri: la misura scatterà dal primo maggio e durerà fino alla fine del 2020. La cifra complessivamente sarà pari a venti miliardi di dollari. L’accordo è stato annunciato ieri pomeriggio. «Sosteniamo una so- spensione temporanea dei servizi di pagamento dei debito per i paesi più poveri. Tutti i creditori ufficiali bila- terali parteciperanno all’iniziativa. Chiediamo ai creditori privati di partecipare all’iniziativa in termini simili» si legge in una nota diffusa ieri dai ministri finanziari e dai go- vernatori delle banche centrali del G20, riuniti in via virtuale sotto la presidenza dell’Arabia Saudita. Plaudono alla moratoria il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca mondiale (Bm). «È un’inizia- tiva potente e veloce che farà molto per salvare le vite di milioni di per- sone nei paesi più deboli» affermano Kristalina Georgieva e David Mal- pass. Ha parlato di «atto di solida- rietà internazionale di dimensioni storiche» il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz. Si tratta infatti — dicono gli analisti — di un accor- do molto rilevante perché il G20 in- clude alcuni dei maggiori creditori dei paesi più poveri, in primis la Ci- na con la Belt and Road Initiative. La moratoria consente ai paesi più poveri di liberare risorse per far fronte all’emergenza coronavirus. Tuttavia, non sono mancate le cri- tiche contro l’iniziativa. Secondo nu- merose ong, la moratoria sul debito dei paesi più poveri «è un primo passo positivo che li aiuterà a libera- re miliardi per affrontare la pande- mia. Ma c’è bisogno di fare di più». In effetti, secondo le stime dell’O nu, i paesi in via di sviluppo avrebbero bisogno di almeno 1.000 miliardi di dollari di sospensione o cancellazio- ne del debito. «Anche se è una mos- sa importante da parte del G20 serve molto di più» sottolineano i rappre- sentanti delle ong, mettendo in evi- denza che il G20 «deve cancellare i debiti del 2020 di tutti i paesi colpiti da questo tsunami economico, e tutti i creditori dovrebbero seguire l’azio- ne». Secondo molti, per favorire una riduzione del debito straordinaria, il Fmi «potrebbe ad esempio ricorrere alla monetizzazione di parte delle proprie riserve auree, il cui valore è aumentato di oltre 19 miliardi di dollari dall’inizio dell’anno». Intanto, sempre ieri, un appello alla solidarietà è giunto dall’Fmi, so- prattutto per l’Europa. «L’Europa è particolarmente colpita. Questo è il momento per una solidarietà euro- pea, ed è quello che i cittadini dell’Europa si attendono dai loro governi e dalle loro istituzioni» si legge in una nota. Inoltre, l’Fmi ha sottolineato an- che l’urgenza di risolvere il proble- ma del debito italiano. «Risolvere il problema del debito in Italia è risol- vere il problema della crescita in Ita- lia, che è stata deludente negli ultimi tre decenni» ha sottolineato il Fon- do. Il deficit italiano, a causa della pandemia, balzerà quest’anno all’8,3 per cento. Negli Stati Uniti si toc- cherà il 15 per cento. Per la Francia il Fondo stima un deficit al 9,2 per cento del pil dal +3,0 del 2019. Per la Germania il disavanzo salirà al 5,5. «Prevediamo che il pil dell’Eu- ropa si contrarrà del 6,5 per cento nel 2020, un impatto maggiore di quello della crisi finanziaria» ha det- to il responsabile del Dipartimento europeo del Fmi, Paul Thomsen. Nelle sue ultime stime generali il Fondo afferma che la contrazione dell’economia provocherà quest’anno una riduzione ancora maggiore delle entrate. A questo si aggiungono 3.300 miliardi di dollari di spese sa- nitarie e spese per sostenere famiglie e imprese e i fondi sborsati per le istituzioni finanziarie e non. «L’im- patto sui conti pubblici sarà alto ma al momento difficile da stimare: di- penderà dalla durata della pandemia e dalla forma della ripresa» si legge in una nota. NOSTRE INFORMAZIONI Nomina di Vescovo Ausiliare Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare della Dio- cesi di Siedlce (Polonia) il Reverendo Canonico Grze- gorz Suchodolski, del clero della medesima Diocesi, fino- ra Parroco della Cattedrale e Decano a Siedlce, assegnan- dogli la Sede titolare di Me- sarfelta. È morto lo scrittore cileno Luis Sepúlveda Addio alla voce dei mapuche SILVIA GUIDI A PAGINA 4 I giorni di Pasqua tra i cristiani di Damasco, Aleppo e Idlib Dove la fede è sorgente di forza PAOLO AFFATATO A PAGINA 6 Benedetto XVI compie 93 anni e prega per i malati ALESSANDRO GISOTTI A PAGINA 8 ALLINTERNO racconto LA PAROLA DELLANNO A colloquio con Daniel Mendelsohn Una storia è buona quando è vera ANDREA MONDA A PAGINA 5 Da Georges Bernanos a Béatrix Beck Il sacerdote tra il male e la grazia JEAN DUCHESNE A PAGINA 5 di MAURIZIO GRONCHI C ome sta cambiando il nostro modo di vive- re da cristiani in questo tempo nuovo e sconvolgente? Cosa ci sarà di diverso do- po, quando tutto questo sarà passato? Una delle maggiori difficoltà del momento interminabile che stiamo vivendo è quella di pensare. Siamo dentro gli eventi incontrollabili, che sembrano to- glierci anche il respiro della mente, se non quello dei polmoni. Eppure, da credenti, sappiamo che ci è promesso e donato un altro soffio, quello del- lo Spirito che il Crocifisso e Risorto ha effuso sul mondo, per renderci partecipi di una nuova crea- zione. Questa è l’espressione impiegata da san Paolo: «Quindi se uno è in Cristo, è una creatu- ra/creazione nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove» (2 Corinti 5, 17). L’evento pasquale ha come contenuto — e non solo di fede — il morire e il rinascere, l’abbando- no di una condizione e l’affacciarsi di un nuovo inizio. Cosa significa questo oggi, dal punto vista credente e non? Che ci sono eventi tali da co- stringerci al cambiamento: di mentalità, di com- portamenti, di sentimenti. Non possiamo rattri- starci per il nostalgico confronto con ciò che non c’è più, ma solo cominciare a pensare, lasciando che emergano qualità latenti, persino a noi stessi insospettate. Probabilmente ci troveremo a dover distinguere una per una le persone che incontreremo: il sano e il malato, il povero e il benestante, chi può cir- colare e chi sta chiuso in casa. E neppure sappia- mo se noi stessi saremo da una parte o dall’altra. Non sarà più possibile l’indifferenza — e non tan- to per virtù — perché sarà manifesto chi sta bene e chi sta male, chi è solo e chi può stare in com- pagnia. E questo avverrà a tasso variabile, non più fisso. Forse è davvero giunto il tempo, almeno per i credenti, di riscoprire l’importanza dei rap- porti personali: per non allontanarsi più da chi è vicino, e per farsi prossimo a chi è costretto a sta- re lontano. La Pasqua del Signore potrebbe farci il dono di passare da massa indistinta e globaliz- zata a umanità e Chiesa fatte di persone, capaci di avvicinarsi l’una all’altra con cura e rispetto. Verso un’umanità e una Chiesa fatte di persone
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00

L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLX n. 87 (48.411) Città del Vaticano venerdì 17 aprile 2020

.

y(7HA

3J1*QS

SKKM(

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TEMPORE FAMIS

LABORATORIODOPO LA PA N D E M I A

Conversazione con il sociologo e pedagogista Johnny Dotti

R i p a r t i redal silenzio

di MARCO BELLIZI

I l silenzio, il vuoto, l’immobili-tà, la stessa sofferenza, piom-bata nelle vite di tutti gli uo-

mini veramente come un ladro nel-la notte, sono ormai realtà quoti-diane per ognuno di noi. A diffe-renza però di molti di noi, JohnnyDotti, scrittore, pedagogista, im-prenditore sociale e docente a con-tratto di Analisi e gestione di feno-meni sociali complessi pressol’Università cattolica di Milano, ri-tiene che la vera sfida, per il futu-ro, non sia trovare il sistema persuperarle, queste scomode compa-gne, quanto essere capaci a non la-sciarle andare via. Lui, bergamasco,il virus è stato costretto a guardarloin faccia, in famiglia, mentre nellacittadina lombarda i lutti si som-mavano ai lutti e la morte era, ed èancora, una sorella piuttosto inva-dente. Indugiando colpevolmentenegli stereotipi, si potrebbe direche, da bravo bergamasco, Dottisia un uomo animato da una sanaidiosincrasia per gli orpelli, unamante della concretezza e con unmalcelato gusto nello scardinare glischemi. Insomma, uno di quegliintellettuali che normalmente ven-gono definiti scomodi. Almeno dachi ritiene che la vita sia, o debbaessere, una comoda passeggiata frale proprie, granitiche, certezze.

In questo tempo di grandi dubbi sem-bra che l’unico punto fermo sia il se-guente: non saremo più gli stessi.Qualcuno comincia a pensare che siagià un luogo comune. Che ne dice?

Dico che non è un automatismo.Dico che questa situazione inter-pella profondamente la nostra li-bertà e la nostra responsabilità.Non c’è alcun automatismo in virtùdel quale siccome c’è stato questotrauma, allora c’è una trasformazio-ne. I traumi per trasformarsi incambiamento, in cose nuove, han-no bisogno anzitutto di essere no-minati, accolti, accettati. E poihanno bisogno di essere interpreta-ti. Mi sembra che i segnali che ar-rivano ancora adesso, mentre siamoin questo difficile momento, sianoambivalenti, come quasi tutte le co-se della vita dell’uomo, per altro.Dipenderà da come la nostra liber-tà risponderà a queste sollecitazio-ni, a come sappiamo leggerle. Se sivede solo l’aumento della richiestadi sicurezza o un maggiore inter-vento delle autorità affinché ci ga-rantiscano il futuro, è chiaro cheandremo verso una regressione sta-talista da una parte e l’aumentodella tecnica statalista dall’altra.

È la preoccupazione che comincia afarsi largo in molti... Intellettuali,analisti, politologi, fra questi, di re-cente, l'israeliano Yuval Noah Hara-ri, mettono in guardia contro il peri-colo che politici irresponsabili, che fino

a ieri hanno screditato scienza,autorità pubbliche e mezzi di comuni-cazione, possano essere tentati di im-boccare la strada dell’autoritarismo,sostenendo che non si può essere sicuriche i cittadini facciano la cosa giustadi fronte a un’emergenza come quellache stiamo attraversando, perché d’o rain poi vivremo con il pericolo che siripeta...

Naturalmente non me lo auguro,ma è un’ipotesi possibile. È chiaroche se i confini dei continenti si ri-chiuderanno andremo verso situa-zioni in cui bisognerà ripensare amercati economici locali, nei qualipaesi come l’Italia, per esempio,che vive di esportazioni, non so co-sa potranno fare. Se lo chiede ame, io suggerirei, suggerisco a mestesso, a chi voglio bene, agli altri,di ripartire da ciò che ci sta dicen-do la nostra interiorità, la nostra

CO N T I N UA A PA G I N A 3

All’omelia di Santa Marta sul tema della gioia rilanciata l’attualità dell’«Evangelii nuntiandi» di Paolo VI

Il Papa prega per i farmacistiE nella Domenica della Divina misercordia celebrerà la messa nella chiesa di Santo Spirito in Sassia

È stata per i farmacisti che «lavora-no tanto per aiutare gli ammalati auscire dalla malattia» del covid-19, lapreghiera con cui Papa Francesco haintrodotto la messa di giovedì matti-na, 16 aprile, nella cappella di CasaSanta Marta. Continuando le cele-brazioni trasmesse in diretta strea-ming in questo tempo di pandemia,il P0ntefice ha confidato di esserestato «rimproverato» per aver «di-menticato di ringraziare un gruppodi persone che anche lavora. Ho rin-graziato i medici, infermieri, i volon-tari», ha spiegato; «ma lei si è di-menticato dei farmacisti», gli è statofatto notare. Da qui l’esortazione apregare anche per questa categoriap ro f e s s i o n a l e .

Successivamente, all’omelia, unaseconda confidenza da parte del Pa-pa: il passo del Vangelo del giornoproclamato durante la liturgia, trattodal capitolo 24 di Luca (35-48) — hadetto — «è uno dei miei preferiti»,perché ha come tema la gioia: «esse-re riempiti di gioia».

Che, ha spiegato Francesco, nonsignifica «essere allegro, positivo»,ma al contrario «è un’altra cosa; è lapienezza della consolazione, pienez-za della presenza del Signore». E inproposito il Pontefice ha suggeritodi riprendere in mano un testo di

straordinaria attualità, pur essendostato scritto l’8 dicembre 1975: l’esor-tazione apostolica di Paolo VI Evan-gelii nuntiandi, che negli ultimi para-grafi (cfr. 79-80) «parla dei cristianigioiosi, degli evangelizzatori gioiosi,e non di quelli che vivono sempregiù».

Intanto è stato reso noto che ilprossimo 19 aprile, seconda domeni-ca di Pasqua e festa della Divina mi-sericordia — istituita esattamentevent’anni fa da san Giovanni PaoloII durante la canonizzazione dellareligiosa polacca Faustyna Kowalska— il Papa si recherà nella chiesa ro-

mana di Santo Spirito in Sassia, luo-go particolarmente legato a questadevozione. In forma strettamenteprivata, Francesco vi celebrerà lamessa e guiderà la recita del ReginaCaeli.

PAGINA 8

Nel pieno della pandemia il G20 sospende il pagamento del debito dei paesi più poveri

Un piccolo passo nella giusta direzioneWASHINGTON, 16. Un piccolo passo,ma nella giusta direzione. Nel pienodell’emergenza coronavirus, il G20,cioè il gruppi dei paesi più indu-strializzati del mondo, ha deciso disospendere temporaneamente il pa-gamento del debito dei paesi piùpoveri: la misura scatterà dal primomaggio e durerà fino alla fine del2020. La cifra complessivamente saràpari a venti miliardi di dollari.

L’accordo è stato annunciato ieripomeriggio. «Sosteniamo una so-spensione temporanea dei servizi dipagamento dei debito per i paesi piùpoveri. Tutti i creditori ufficiali bila-terali parteciperanno all’iniziativa.Chiediamo ai creditori privati dipartecipare all’iniziativa in terminisimili» si legge in una nota diffusaieri dai ministri finanziari e dai go-vernatori delle banche centrali delG20, riuniti in via virtuale sotto lapresidenza dell’Arabia Saudita.Plaudono alla moratoria il Fondomonetario internazionale (Fmi) e laBanca mondiale (Bm). «È un’inizia-tiva potente e veloce che farà moltoper salvare le vite di milioni di per-sone nei paesi più deboli» affermanoKristalina Georgieva e David Mal-pass. Ha parlato di «atto di solida-rietà internazionale di dimensionistoriche» il ministro delle Finanzetedesco, Olaf Scholz. Si tratta infatti— dicono gli analisti — di un accor-do molto rilevante perché il G20 in-clude alcuni dei maggiori creditoridei paesi più poveri, in primis la Ci-na con la Belt and Road Initiative.La moratoria consente ai paesi piùpoveri di liberare risorse per farfronte all’emergenza coronavirus.

Tuttavia, non sono mancate le cri-tiche contro l’iniziativa. Secondo nu-merose ong, la moratoria sul debitodei paesi più poveri «è un primopasso positivo che li aiuterà a libera-re miliardi per affrontare la pande-mia. Ma c’è bisogno di fare di più».In effetti, secondo le stime dell’O nu,i paesi in via di sviluppo avrebberobisogno di almeno 1.000 miliardi didollari di sospensione o cancellazio-ne del debito. «Anche se è una mos-sa importante da parte del G20 servemolto di più» sottolineano i rappre-sentanti delle ong, mettendo in evi-denza che il G20 «deve cancellare idebiti del 2020 di tutti i paesi colpitida questo tsunami economico, e tuttii creditori dovrebbero seguire l’azio-ne». Secondo molti, per favorire una

riduzione del debito straordinaria, ilFmi «potrebbe ad esempio ricorrerealla monetizzazione di parte delleproprie riserve auree, il cui valore èaumentato di oltre 19 miliardi didollari dall’inizio dell’anno».

Intanto, sempre ieri, un appelloalla solidarietà è giunto dall’Fmi, so-prattutto per l’Europa. «L’Europa èparticolarmente colpita. Questo è ilmomento per una solidarietà euro-pea, ed è quello che i cittadinidell’Europa si attendono dai lorogoverni e dalle loro istituzioni» silegge in una nota.

Inoltre, l’Fmi ha sottolineato an-che l’urgenza di risolvere il proble-ma del debito italiano. «Risolvere ilproblema del debito in Italia è risol-vere il problema della crescita in Ita-lia, che è stata deludente negli ultimitre decenni» ha sottolineato il Fon-do. Il deficit italiano, a causa dellapandemia, balzerà quest’anno all’8,3per cento. Negli Stati Uniti si toc-cherà il 15 per cento. Per la Franciail Fondo stima un deficit al 9,2 percento del pil dal +3,0 del 2019. Perla Germania il disavanzo salirà al5,5. «Prevediamo che il pil dell’Eu-ropa si contrarrà del 6,5 per centonel 2020, un impatto maggiore diquello della crisi finanziaria» ha det-to il responsabile del Dipartimentoeuropeo del Fmi, Paul Thomsen.

Nelle sue ultime stime generali ilFondo afferma che la contrazionedell’economia provocherà quest’announa riduzione ancora maggiore delleentrate. A questo si aggiungono3.300 miliardi di dollari di spese sa-nitarie e spese per sostenere famiglie

e imprese e i fondi sborsati per leistituzioni finanziarie e non. «L’im-patto sui conti pubblici sarà alto maal momento difficile da stimare: di-penderà dalla durata della pandemiae dalla forma della ripresa» si leggein una nota.

NOSTREINFORMAZIONI

Nominadi Vescovo Ausiliare

Il Santo Padre ha nominatoVescovo Ausiliare della Dio-cesi di Siedlce (Polonia) ilReverendo Canonico Grze-gorz Suchodolski, del clerodella medesima Diocesi, fino-ra Parroco della Cattedrale eDecano a Siedlce, assegnan-dogli la Sede titolare di Me-sarfelta.

È morto lo scrittore cilenoLuis Sepúlveda

Addio alla vocedei mapuche

SI LV I A GUIDI A PA G I N A 4

I giorni di Pasqua tra i cristianidi Damasco, Aleppo e Idlib

Dove la fedeè sorgente di forza

PAOLO AF FATAT O A PA G I N A 6

Benedetto XVIcompie 93 annie prega per i malati

ALESSANDRO GISOTTI A PA G I N A 8

ALL’INTERNO

ra c c o n t oLA PAROLA DELL’ANNO

A colloquio con Daniel Mendelsohn

Una storia è buonaquando è vera

ANDREA MONDA A PA G I N A 5

Da Georges Bernanos a Béatrix Beck

Il sacerdotetra il male e la grazia

JEAN DUCHESNE A PA G I N A 5

di MAU R I Z I O GRONCHI

Come sta cambiando il nostro modo di vive-re da cristiani in questo tempo nuovo esconvolgente? Cosa ci sarà di diverso do-

po, quando tutto questo sarà passato? Una dellemaggiori difficoltà del momento interminabileche stiamo vivendo è quella di pensare. Siamodentro gli eventi incontrollabili, che sembrano to-glierci anche il respiro della mente, se non quellodei polmoni. Eppure, da credenti, sappiamo checi è promesso e donato un altro soffio, quello del-lo Spirito che il Crocifisso e Risorto ha effuso sulmondo, per renderci partecipi di una nuova crea-zione. Questa è l’espressione impiegata da san

Paolo: «Quindi se uno è in Cristo, è una creatu-ra/creazione nuova; le cose vecchie sono passate,ecco ne sono nate di nuove» (2 Corinti 5, 17).

L’evento pasquale ha come contenuto — e nonsolo di fede — il morire e il rinascere, l’abbando-no di una condizione e l’affacciarsi di un nuovoinizio. Cosa significa questo oggi, dal punto vistacredente e non? Che ci sono eventi tali da co-stringerci al cambiamento: di mentalità, di com-portamenti, di sentimenti. Non possiamo rattri-starci per il nostalgico confronto con ciò che nonc’è più, ma solo cominciare a pensare, lasciandoche emergano qualità latenti, persino a noi stessiinsosp ettate.

Probabilmente ci troveremo a dover distinguereuna per una le persone che incontreremo: il sano

e il malato, il povero e il benestante, chi può cir-colare e chi sta chiuso in casa. E neppure sappia-mo se noi stessi saremo da una parte o dall’altra.Non sarà più possibile l’indifferenza — e non tan-to per virtù — perché sarà manifesto chi sta benee chi sta male, chi è solo e chi può stare in com-pagnia. E questo avverrà a tasso variabile, nonpiù fisso. Forse è davvero giunto il tempo, almenoper i credenti, di riscoprire l’importanza dei rap-porti personali: per non allontanarsi più da chi èvicino, e per farsi prossimo a chi è costretto a sta-re lontano. La Pasqua del Signore potrebbe farciil dono di passare da massa indistinta e globaliz-zata a umanità e Chiesa fatte di persone, capacidi avvicinarsi l’una all’altra con cura e rispetto.

Verso un’umanità e una Chiesa fatte di persone

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 venerdì 17 aprile 2020

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Riadattate tecniche usate contro altre malattie infettive

La strategia africananella lotta al covid-19

WASHINGTON, 16. «La battaglia con-tinua, ma i dati suggeriscono che intutto il paese abbiamo superato ilpicco di nuovi casi», ha dichiaratoieri il presidente degli Stati Unitidurante la sua conferenza stampaquotidiana. Alle dichiarazioni diTrump fanno però da contraltare inumeri della Johns Hopkins Univer-sity relativi alle ultime 24 ore. Nuo-vo record di decessi: 2.569 personesono morte per covid-19, il più altonumero di decessi registrati in ungiorno in un paese nel mondo inte-ro. Il numero totale delle vittimecausate dalla malattia sale così negliStati Uniti a oltre 28.300. Il numerodei casi positivi confermati è di oltre630 mila.

Nonostante ciò «domani sarà ungrande giorno», ha detto dal Gar-den Rose della Casa Bianca, promet-tendo, appunto per oggi, dettaglisulla «riapertura dell’economia». Ilpresidente ha promesso di consegna-re la sua tabella di marcia per il pro-gressivo riavvio dell’economia Usa,messa letteralmente a terra dallapandemia di coronavirus. Nelle ulti-me due settimane di marzo e nellaprima di aprile sono stati registratiquasi 17 milioni di nuovi disoccupatinel paese. Milioni di famiglie statu-nitensi che da un giorno all’altro de-vono far fronte a una situazione diemergenza, non solo sanitaria, maivissuta prima.

Si tratta infatti secondo il Fondomonetario internazionale della crisieconomica più grande da quella del1929, quella della “Grande depressio-ne”, molto più forte di quella del2008. «Riapriremo gli stati, alcunimolto prima di altri. Alcuni stati po-trebbero effettivamente riattivarsiprima della scadenza del 1° maggio»,ha detto ieri Trump, anticipandol’imminente presentazione di “nuovelinee guida” del governo federaleper la riapertura dell’economia statu-nitense.

Il tema della riapertura delle atti-vità produttive nel paese è, ormai dagiorni, oggetto di accese polemichepolitiche. Trump, da una parte, pre-me per riaprire il paese, e iniziare ariassorbire i milioni di lavoratori chehanno presentato domanda per i

sussidi di disoccupazione. I demo-cratici, dall’altra, con il governatoredi New York Andrew Cuomo in te-sta, affermano che revocare troppopresto le misure tese a limitare i con-tagi sia pericoloso. Al contempo, pe-rò, i governatori di orientamento de-mocratico hanno cercato di stabilirein sinergia la riapertura delle attivitànei rispettivi stati, in aperto contra-sto con le indicazioni che giungeran-no dalla Casa Bianca.

Sempre durante la conferenza diieri Trump, ha lasciato intendere chepotrebbero esserci degli allentamentialle restrizioni di viaggio lungo ilconfine con il Canada, paese che, adetta del presidente Usa, sta facendobene nel contrasto al covid-19. Il Ca-nada, infatti, conta poco più di millemorti su circa 28 mila contagiati.Nonostante questo però l’economiacanadese ha subito un duro colpo.

Il prodotto interno lordo canadeseha infatti fatto registrare una contra-zione del 9 per cento nel mese dimarzo. La stima arriva dall’agenzianazionale di statistica nazionale «perfornire ai canadesi informazioni ag-giornate sul potenziale impattodell’attuale crisi sanitaria sull’econo-mia». Intanto ieri la Banca centralecanadese ha varato un pacchetto dinuove misure di politica monetaria,decidendo al contempo di lasciareinvariati i tassi di interesse.Donald Trump alla Casa Bianca (Afp)

IL CA I R O, 16. In Africa, dove si re-gistra un aumento di oltre mille ca-si di covid-19 in un solo giorno,scienziati e autorità sanitarie delcontinente, impegnati nella lottacontro la pandemia, hanno decisodi riadattare tecnologie e strategiedi contrasto utilizzate in passatoper affrontare altre malattie epide-miche come Aids, tubercolosi, po-liomielite, febbre lassa ed ebola.

«Tecnicamente l’Africa non èben preparata», ha ammesso Chri-stian Happi, direttore del Centroafricano di eccellenza per la geno-mica delle malattie infettive all’uni-versità Redeemer di Ede in Nige-ria. Tuttavia, ha aggiunto, «in ter-mini di comprensione delle malat-tie e di lotta con risorse limitate al-le epidemie, l’Africa è molto me-glio preparata perché affronta per-manentemente scoppi epidemici».È quanto riporta il «Financial Ti-mes», segnalando che in Sud Afri-ca ad esempio i test per il covid-19sono stati potenziati usando unarete di oltre 200 laboratori pubblicisviluppata per contrastare epidemiedi Hiv e Tbc. Parallelamente l’uffi-cio regionale per l’Africa dell’O rga-nizzazione mondiale della sanità haannunciato che userà un sistema diraccolta dati, detto Avadar, predi-sposto inizialmente per la polio.

Intanto, come accennato, i con-tagi sono oltre mille in più rispettoalle notizie confermate ieri, facendocosì salire a circa 16.000 i casi ac-certati in 52 Paesi dell’Ua. Sareb-bero invece almeno 874 i decessi,58 in più rispetto a ieri.

Il preoccupante aumento di con-tagi induce diversi Paesi a stringerele contromisure. Nella RepubblicaDemocratica del Congo i funzio-nari sanitari stanno valutando diallargare il blocco a più quartieridi Kinshasa. La capitale ha il 95per cento dei casi confermati dicovid-19.P re c a r i e t à

di personalee strutture sanitariein America Latina

PORT-AU -PRINCE, 16. La situazionedei medici e degli operatori sanitariimpegnati nel combattere la pande-mia di coronavirus in America Lati-na è alquanto precaria e presenta neinumeri un quadro a dir poco deso-lante dovuto alla scarsità atavica del-le risorse nella regione. La maggiorparte dei paesi non raggiunge la so-glia di 2 medici ogni mille abitanti.Haiti detiene il triste primato consolo 0,2 medici per ogni 1.000 abi-tanti. Per l’Organizzazione mondialedella sanità (Oms) gli infermieri sa-rebbero 1,5 per mille persone, decisa-mente inferiore al minimo necessariodi 2,28 stabilito dall’Oms stessa perfornire i servizi essenziali.

Il vicedirettore dell’O rganizzazio-ne panamericana per la salute, Jar-bas Barbosa, ha avvertito quanto siauna priorità per i paesi dell’AmericaLatina ampliare la loro capacità intermini di personale sanitario e farrispettare le misure di distanziamen-to sociale. Per Barbosa infatti nessu-na nazione possiede i requisiti neces-sari per rispondere a pieno alle esi-genze del momento, a maggior ra-gione se si dovesse verificare un’ac-celerazione delle infezioni.

Altra grande problematica è quellalegata alle infrastrutture ospedaliere.Nella maggior parte dei paesi apparechiaro che non siano sufficienti peraffrontare la pandemia e che si corraseriamente il rischio di quantità in-sufficienti nell’accesso a materialemedico di protezione, di respiratorie di unità di terapia intensiva.

La Commissione annuncia un maxi piano per la ripresa

Bruxelles punta sugli investimenti

La presidente della Commissione Ue (Afp)

Economiain Asia

a crescita zerodopo 60 anni

Fondo salva studidell’Università

cattolica

MI L A N O, 16. In questo periodo digrande incertezza e preoccupazioneper il futuro, l’Università cattolicadel Sacro Cuore ha deciso di pro-porre uno strumento concreto a fa-vore degli studenti che, insieme al-le loro famiglie, sono stati colpitidalle ricadute economiche dell’epi-demia causata dal coronavirus.L’ateneo, già direttamente impe-gnato sul fronte dell’emergenza sa-nitaria attraverso il generoso sforzodei medici e degli infermieri dellafacoltà di Medicina e Chirurgia diRoma e del Policlinico Universita-rio, ha infatti istituito il “Fo n d osalva studi Agostino Gemelli” p eril sostegno agli studenti nell’emer-genza sanitaria, che offrirà da subi-to un sostegno a quanti si venganoa trovare in difficoltà provvedendo,sulla base di specifiche valutazioni,ad erogare misure economiche de-stinate a far fronte ai costi di iscri-zione ai corsi di laurea. Il Fondo,al quale l’ateneo conferisce un ap-porto iniziale di un milione di euroe che potrà essere ulteriormente ali-mentato, è aperto ai contributi diquanti (singoli, associazioni, istitu-zioni) condividono l’idea che finda ora, per una vera ripartenza delPaese, è necessario investire sul ta-lento e sulle competenze dei giova-ni.

WASHINGTON, 16. La crescitaeconomica della regione asiaticasubirà — per la prima volta dacirca 60 anni — una brusca fre-nata nel 2020 a causa delle rica-dute «senza precedenti» dellapandemia di covid-19. L’anno incorso sarà a crescita zero. Lo af-ferma il Fondo monetario inter-nazionale, rimarcando che lapandemia è di gran lunga peg-giore della crisi finanziaria glo-bale del 2008-2009 e del crolloasiatico del 1997-1998.

In India un’equipe di sanitari,scortata dalla polizia, è stata ag-gredita ieri dalla folla in una cit-tadina dello stato dell’Uttar Pra-desh. I medici tentavano di tra-sferire in un centro per la qua-rantena i familiari di un personapositiva al covid-19.

In Cina chiude l’ospedale co-struito a Wuhan in tempi recordper affrontare l’e m e rg e n z a .

Israele, stallosul nuovogoverno

BRUXELLES, 16. «È vero che moltierano assenti quando l’Italia haavuto bisogno di aiuto all’inizio diquesta pandemia. Ed è vero, l’Ueora deve presentare una scusa senti-ta all’Italia, e lo fa. Ma le scuse val-gono solo se si cambia comporta-mento. C’è voluto molto tempoperché tutti capissero che dobbia-mo proteggerci a vicenda». Questele parole usate oggi, in un interven-to al Parlamento Ue, dalla presi-dente della Commissione europea,Ursula von der Leyen. «Il bilanciopluriennale europeo sarà la guidadella ripresa. Sarà diverso da quan-to immaginato. Ne useremo la po-tenza per fare leva per investimentimassicci che servono per far riparti-re la nostra economia ed il mercatointerno dopo il coronavirus. Antici-peremo fondi con un front loadingper partire subito con gli investi-menti» ha spiegato.

La pandemia è «simmetrica, mala ripresa non lo sarà, perché loshock economico di alcune regionisarà maggiore di quello di altre,perciò la coesione e la convergenzasaranno ancora più importanti delpassato» ha aggiunto von der Le-yen, sottolineando la necessità disostituire progressivamente ai divie-ti assoluti misure mirate.

Ieri, von der Leyen ha detto chela Commissione e il Consiglio stan-no lavorando, in vista del verticedei capi di Stato e di governo pre-visto per il 23 aprile, ad una «enor-me iniziativa per gli investimenti»,che avverrà «attraverso il bilanciodell’Ue» e che avrà un ordine digrandezza «non di miliardi, ma ditrilioni, cioè migliaia di miliardi».

Intanto, la Germania ha annun-ciato la prossima riapertura di alcu-ne attività. «Se adesso permettia-mo, a piccoli passi, più spazio allavita pubblica, è molto importanteseguire le catene di contagio delCoronavirus ancora meglio» haspiegato ieri il cancelliere AngelaMerkel in conferenza stampa a Ber-lino, dopo l’incontro fra Stato eLaender sul primo graduale allenta-mento delle misure di contenimen-to. A questa affermazione ha fattoeco il ministro presidente della Ba-viera, Markus Soeder, il quale hasottolineato che «in Italia il dram-ma è stato proprio che non si siapiù potuto seguire le catene di con-tagio, e a questo è seguita una dif-fusione del tutto incontrollata».

Intanto, il numero dei decessi inFrancia per coronavirus ha superatoquota 17.000 con il conteggio dellecase di cura, i cui dati affluisconogiorno dopo giorno. I morti negliospedali sono stati ieri 514 e il tota-le (aggiungendo i 6.624 delle case

di cura) è 17.167. Per la prima voltadall’inizio dell’epidemia, sono dimi-nuiti i ricoverati in ospedale, che ie-ri sera erano 31.779 (513 in meno delgiorno prima) e per il settimo gior-no consecutivo ci sono meno rico-verati in rianimazione (6.457).

Il presidente Moonvince le elezioni in Corea del Sud

TEL AV I V, 16. Il presidente israe-liano Reuven Rivlin ha affidatoquesta mattina alla Knesset ilcompito di trovare un deputatoche abbia una maggioranza di61 seggi su 120 per formare ilnuovo governo. La notte scorsaè infatti scaduto l’incarico delleader di Blu-Bianco BennyGantz le cui trattative, ancora incorso, con Benjamin Netanyahu,il leader del Likud, per un go-verno di emergenza nazionalenon hanno avuto uno sboccop ositivo.

Se neanche dalla Knesset —che ha tempo 21 giorni — doves-se arrivare la soluzione si andràa quarte elezioni. Un’ip otesi,questa, che molti analisti consi-derano tutt’altro che remota.L’ultimo incontro tra Netanyahue Gantz è avvenuto ieri.

SEOUL, 16. Il Partito democratico,del presidente sudcoreano, MoonJae-in, ha nettamente vinto — as-sieme agli alleati del Platform Par-ty — le elezioni legislative di ieri.La coalizione ha infatti ottenuto180 dei 300 seggi dell’Assembleanazionale di Seoul, la più ampiamaggioranza nel paese asiatico dal1992.

Ai conservatori dello UnitedFuture Party, prima forza d’opp o-sizione, e agli alleati del FutureKorea Party, sono invece andati103 seggi. Le elezioni parlamentarierano considerate dagli analisti unimportante test politico per il pre-sidente Moon. E la risposta mas-siccia alle elezioni, con l’affluenzadel 66,2 per cento degli aventi di-ritto, la più alta degli ultimi 28anni malgrado il covid-19, ha dun-que premiato l’efficace rispostadel governo nel contenimento del-la pandemia. Un voto importante,trattandosi del primo paese di pe-

so (oltre 50 milioni di abitanti,dodicesima economia mondiale)ad andare alle urne ai tempi delcoronavirus. Un possibile model-lo, dunque, per gli altri.

«Ma ora non dobbiamo abbas-sare la guardia», ha detto stamaneil vice ministro della Sanità, KimGanglip. In dichiarazioni riportatedall’agenzia Yonhap, il funziona-rio ha aggiunto che «ci vorrannocirca due settimane per vedere sele misure di prevenzione adottateper il voto hanno realmente fun-zionato». Kim ha considerato ap-parentemente «positivi» gli ultimidati delle autorità sanitarie sulladiffusione del coronavirus nel pae-se. In Corea del Sud sono 229 imorti e 10.613 i casi, 22 dei qualiregistrati nelle ultime 24 ore.Preoccupano i casi “imp ortati”,967, e i 141 pazienti che — ha ag-giunto la Yonhap — erano stati di-chiarati guariti, ma sono di nuovorisultati positivi al covid-19.

Page 3: Il Papa prega per i farmacisti - Vatican News...problema del debito in Italia è risol-vere il problema della crescita in Ita-lia, che è stata deludente negli ultimi tre decenni»

L’OSSERVATORE ROMANOvenerdì 17 aprile 2020 pagina 3

LABORATORIOD OPO LA PA N D E M I A

«Per chi è responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in quest’a f f a re ,

ma: quale potrà essere la vita della generazione che viene» (D. Bonhoeffer)

Conversazione con il sociologo e pedagogista Johnny Dotti

Ripartire dal silenziospiritualità. Io credo che la compo-nente intellettuale, la componentesensibile, che ci aiutano a “dare leforme”, debbano farsi ispirare un po’di più da quello che lo spirito ci di-ce di fronte a questi fatti, altrimentitemo che ciò che abbiamo appresonegli ultimi 300 anni continueremo aripeterlo, per cui ci sarà una derivatecnocratica, ci saranno forme di ra-zionalismo esasperato, forme econo-miche sempre più fredde. Io non la-voro per questo. Perciò dico che og-gi lavorare per il futuro significamettersi nella condizione di generar-lo, altrimenti le dichiarazioni ottimi-stiche sono un po’ da mago Otelma,con tutto il rispetto.

Il mondo si trova a sperimentare ungigantesco mea culpa, certamente ispi-rato dalla sofferenza e dalla paura manon si sa ancora quanto onesto e fecon-do. Definire ciò che dovremmo esseresembra francamente abbastanza facile.Ma sappiamo come diventarlo?

Intanto è emerso in maniera lam-pante che siamo fragili. Continuia-mo ancora con gli stessi comporta-menti, ancora nel XXI secolo, quan-do malgrado tutta la nostra potenza,i nostri grandi strumenti di comuni-cazione, l’uomo è fragile, io sonofragile, lei è fragile, la mia famiglia èfragile, l’Italia è fragile. Fino a ieriquello che abbiamo fatto è provare ariparare questa fragilità. Viviamo cir-condati da terapie: appena emergeun problema dobbiamo risolverlo.Questa non è più la strada. E rico-noscere la fragilità, nelle mie paroleda cattolico, significa “mutualizzar-la”, incontrare l’altro, incontrare lafragilità dell’altro. La “soluzione” stanella condivisione. Del resto, questonella storia ha portato alla scopertadelle grandissime forme dell’econo-mia: banalmente le cooperative, ilmisericordie, le banche popolari, lebanche di credito cooperativo. Sonotutte forme di mutualizzazione delbisogno. La novità oggi sta nel fattoche dobbiamo mutualizzare bisognidiversi tra persone diverse. Però ladomanda di fondo è questa: è la fra-gilità un principio per cui operare?Voglio dire: non perché sia evitata osuperata, ma perché diventi generati-va (perché è da lì che viene fuori lavita)? Io penso di sì, lavoro perchésia così. La tentazione diabolica disuperare di nuovo la fragilità con lapotenza è dietro l’angolo. La si vedegià: troveremo un altro vaccino e sa-remo a posto; risistemeremo i contipubblici e saremo a posto. Per cari-tà, sono cose importanti, i vaccini e iconti pubblici. Ma non sono quelliche ci portano in una civiltà umanapiù piena, più bella, più giusta.Quella è la strada di prima. E lastrada di prima porta a dove siamoadesso.

Siamo stati tutti proiettati in una di-mensione ristretta, nella quale l’orizzon-te che si presenta davanti ai nostri oc-chi non va al di là spesso di una fine-stra, di un cortile. Per contrappassosiamo esortati, quasi condannati, a ri-disegnare l’avvenire. Con quali stru-menti?

Faccio un esempio: un’altra gran-de evidenza di oggi è la solitudine.La solitudine è un valore: non è unacosa da evitare. Il problema semmaiè che non diventi isolamento. Affin-ché sia un valore però serve la capa-cità di vivere un viaggio e un mondointeriore. Lo dico con parole mie, vi-sto che mi sono interessato molto asan Giuseppe: serve vivere il mondoinvisibile, che è tanto reale quantoquello visibile. L’invisibile è una di-mensione fondamentale della realtà.La solitudine del resto è un ricono-scimento dell’altro. Se non sapessiche c’è un prossimo, non ti potrestidefinire “solo”. Ora, fino a ieri que-sta benedetta solitudine è stata com-pletamente allontanata. Tutti siamoscappati dalla solitudine. Abbiamocercato un mondo di emozioni, diconsumi, facendo finta che non esi-sta. Questo è il principio di base perrimodellare forme comunitarie, di re-lazione con gli altri. Se non si faquesto torneremo tutti a correre co-me dei criceti dentro lo gabbia, cheè quello che abbiamo fatto finora.

Una gabbia molto tecnologica...

Noi abbiamo vissuto, in particola-re ultimamente, in un tempo bina-rio. Il mondo digitale è molto bello,molto interessante. Ma ha un grandelimite: è 0 e 1. E ha un bisogno co-

stante di essere riempito. Aborre ilsilenzio. Il vuoto invece è un vuotocostitutivo, insieme al silenzio, perdare forma alla vita. Perché le parolevengono dal silenzio e tornano al si-lenzio. Non c’è parola feconda chenon viene dal silenzio. Se lei sta difronte alla mamma o a un amico chesta morendo, il suo silenzio rendeprofonde le sue parole, anzi invitaanche al suo silenzio. La stessa cosanegli amanti, che generalmente sus-surrano. La parola ha una dimensio-ne profondissima col silenzio. È veroche nel Vangelo c’è scritto che inprincipio era il logos. Ma “il” princi-pio non era il logos, era il silenzio.Questo ci dà delle indicazioni socia-li? Delle indicazioni politiche? Delleindicazioni economiche? Assoluta-mente sì. Banalmente, bisogna darepeso alle parole. Le parole non sonotermini che indicano qualcosa, le pa-role hanno il potere di far nascere euccidere le cose. Pensi cosa vuole di-re questo nella politica, pensi nellarelazione con i figli, con le personecui si vuol bene. Recuperare il silen-zio nelle relazioni umane vuol direrecuperare la parola. Questo è un in-vito enorme che ci viene oggi dallarealtà, da tutta questa morte che cic i rc o n d a .

Le immagini delle strade vuote, dellepiazze deserte, sono bellissime per unverso ma dall'altro comunicano più diogni altra cosa il senso del nostro falli-mento. Eppure, nonostante i divieti, co-minciano di nuovo a girare immaginidi persone che si assembrano nei vialiconsueti dello shopping, nei mercatiall’aperto. È un insopprimibile bisognodi socialità o un incontrollabile terroredel vuoto?

Noi abbiamo giocato a riempiretutto. Il consumo compulsivo cuisiamo stati allenati negli ultimi cin-quanta anni, non è stato altro cheuna grande fuga dal vuoto. Noi nonlo reggiamo, il vuoto. Abbiamo biso-gno di riempirlo costantemente.Questo tempo ci chiede invece di at-traversarlo, di farcene attraversare.L’immagine del Papa nella piazzaSan Pietro deserta è un’immagineforte perché trasmette il coraggio diattraversare il vuoto della vita. Leforme sociali, le forme umane, leforme affettive, nascono tutte dalvuoto. Il desiderio non si accende senon c’è il vuoto. Le stelle non riescoa vederle, se c’è di mezzo il fumo,devo avere un cielo sgombro, devoessere al buio. Questo dice tante co-se, sui tempi del lavoro, sui tempi

del riposo, sui tempi della medita-zione, sui tempi che non sempre de-vono essere vissuti di corsa, accelera-ti, quando ogni tanto bisogna anda-re più lenti. Vede... vuoto, silenzio esolitudine sono forme dell’“a b i t a re ”.Se lei vive in un “alloggio” è eviden-te che non può vivere nel vuoto, nelsilenzio, nella solitudine: impazzisce.“Alloggio” è una parola che abbia-mo preso e applicato artificialmentealle case per gli uomini. Fino al se-colo scorso si usava per i soldati eper gli animali. Non ci può essereun “alloggio” per una famiglia. Cideve essere una “casa”, che contem-pli degli spazi, delle relazioni, checontempli un dentro e un fuori. Lostesso vale per il termine “apparta-mento”, che viene dalla tradizioneimperiale portoghese e francese. Magli appartamenti in quel caso stava-no dentro alle regge. La casa invecenon è un appartamento e non è unalloggio: è il luogo e il tempo in cuile nostre relazioni fioriscono perchésono custodite come in un nido macrescono perché vengono messe den-tro una rete. Perché la casa, come lafamiglia, è contemporaneamente unnido e una rete. I nostri paesi, untempo, erano costruiti rispondendoa questo concetto: la piazza, i vicini,le case da ringhiera, le cascine.Guardi, le cose che sto dicendo sonoassolutamente “tradizionali”. Manon hanno a che fare con l’antiqua-riato, hanno a che fare con il passag-gio di un principio. Ora noi dobbia-mo consegnare questi principi, tra-sformati, alle nuove generazioni. Masenza interiorità non riusciremo afarlo. Dico una cosa in più: negli ul-timi anni si è fatta confusione trabeni pubblici e beni comuni. I benicomuni non sono beni pubblici. Perquesto io temo una statalizzazione.Dire che la nostra vita è legata aquella degli altri non vuol dire tor-nare a immaginare uno stato allaHobbes, che impone le proprie leggia tutti con la forza e la violenza. Si-gnifica fare un passo avanti in sensodemocratico. I beni comuni, il wel-fare, la sanità, la scuola, sono benidi tutti. Le forme per dargli vita,perché tutti ne partecipino, non so-no per forza la fiscalità generale, laburocrazia, le leggi. Sono anche for-me di autorganizzazione, di autoli-mitazione del profitto, di generazio-ne e distribuzione del valore dentrola libertà. Bisognerebbe riprenderedon Sturzo, quello che diceva a ca-vallo della Grande guerra e dell’epi-demia di spagnola (guarda caso), co-

sì come noi siamo fra la grande crisieconomica del 2007 e ora la pande-mia. Per questo le parole contano.Invece a volte siamo un po’ banali,superficiali. Vale anche per me, na-turalmente...

Riflessioni che dovrebbero fare parte dasempre del patrimonio intellettuale diun cattolico...

I cattolici sono indietro: da moltianni sembra non siano in grado digenerare più nulla; sono completa-mente appiattiti sulla legislazione,quando va bene, e dall’altra partesulla conquista del potere. Quellanon è la storia cattolica. Dicevano ipadri della Chiesa: fermati e arrive-rai prima. Questo non vuol dire nonimpegnarsi. Ma c’è una bella diffe-renza tra il produttivismo e il gene-rare. Generare è una postura che ri-chiede il desiderio di mettere almondo, richiede il prendersi cura. Eil lasciare andare ciò di cui ti sei pre-so cura. Il produttivismo, che èquello che determina la nostra inca-pacità a stare fermi, spinge a molti-plicare indefinitamente le cose, ha ache fare con il nichilismo. Certo noncon la salvezza, che invece ha a chefare con la pienezza della vita.

Ricorda da vicino la dicotomia produr-re - c o n s u m a re . . .

Un’altra dicotomia binaria. Per untrinitario come me, gli ultimi 30 annisono stati un disastro. Non possia-mo continuare a produrre per consu-mare. Io credo al generare: cosavuole dire questo nelle forme econo-miche, nelle forme sociali, nell’edu-cazione? Io spero che andremo oltreil tempo dello studio e del lavoro.C’è un tempo in cui si studia, si stu-dia, si studia... E poi c’è un tempoin cui si lavora. Questa non è la no-stra tradizione. Prima che scoppiassel’epidemia, ho avuto la fortuna divedere una mostra su Raffaello. Raf-faello muore a 32 anni e non è cheprima si è messo a studiare e poi hafatto quello che ha fatto. Caravag-gio, che è nato dalle mie parti: nonè che prima ha studiato e poi si èmesso a fare il Caravaggio. Miche-langelo. Leonardo. Vado avanti? Lu-cio Dalla. L’idea che prima studi co-sì poi troverai lavoro la trovoun’idea idiota. Vale fino all’universi-tà, mondo di cui tra l’altro anche iofaccio parte. Questo tempo non cidice di riconnettere le cose, non cirichiama al simbolo. Certo, bisognasempre studiare, durante tutta la vi-

ta. Ed è importantissimo avere untempo particolarmente dedicato allostudio. Ma non si può far andareavanti i ragazzi fino a 25 anni. Èuna follia. A proposito di perversio-ni sociali: in Italia si esce di casa a34 anni, le sembra normale? E per-ché non si esce? Perché la casa è sta-ta un “appartamento”, perché siamoossessionati dalla certezza e dalla si-curezza. Però vede, questo tempo èambivalente: ci può spingere ad usa-re forme più profonde, più umane, oci spingerà a rinchiuderci di più,perché la paura fa l’effetto contrario.

Personalmente, cosa le sta insegnandoquesta emergenza?

La dico così: mi è apparso piùevidente che se non includo la mortenella mia vita non vivrò. Che nonposso rimuoverla. E che se vogliochiamarla sorella, la morte, devo tro-varci un senso profondo. La mortesfida la mia vita. Ma non nel sensodi vittoria o sconfitta: o diventi dipiù quello che sei o lo diventi meno.Poi un’altra cosa. Io vivo in una pic-cola comunità di famiglie: ringrazioDio di aver visto i figli reagire conintelligenza. Ho imparato che i ra-gazzi hanno molto, dentro il cuore,se sono sfidati da cose grandi. I mieitre figli, il quarto non vive con noi,hanno reagito molto bene. Questomi ha dato molta fiducia. Non sono

degli “sdraiati”, ecco. Li ho visti farda mangiare, darsi da fare per la ma-dre che stava male, darsi da fare pergli altri, pulire, andare a fare la le-gna, usare l’ironia. Cerco di voleremolto bene alle nuove generazioni...forse anche perché c’è molta genteche ha voluto bene a me quando eropiccolo. Bisogna avere il coraggio disfidarli i giovani, perché la vita è undramma che ti sfida. Per questo miarrabbio quando vedo sistemi educa-tivi binari che separano il tempo del-la responsabilità dal tempo dell’ap-prendimento. È un errore enorme.

E il più grande errore del “vecchiomondo”, ammesso che ce ne sarà unonuovo?

L’aver separato il visibile dall’invi-sibile e l’aver separato il tempo dal-l’eternità. L’uomo è un essere tempi-terno e la realtà è fatta di visibile einvisibile. Io sono stupito dai mieifratelli credenti. Noi questo nel“C re d o ” lo diciamo ma non sappia-mo quello che diciamo. Non dicia-mo “creatore di tutte le cose visibilie invisibili”? Ma noi non ci credia-mo più. Crediamo che le cose invisi-bili siano quelle che prima o poi almicroscopio diventeranno visibili.Ma non è così. Il grande peccato dacui proveniamo è la separazione.Diavolo, “diaballo”, vuol dire sepa-ratore. Symballo vuol dire ciò cheunisce. Noi abbiamo bisogno diazioni simboliche, di pensieri simbo-lici, di parole simboliche. La parola“simb olo” oggi è rubricata come “si-gnificato”, “segno”. Invece il simbo-lo è vivente. La parola è simbolica,l’azione è simbolica. Abbiamo biso-gno di azioni politiche simboliche,di azioni economiche simboliche, diazioni spirituali simboliche, di azioniculturali, simboliche. Qui siamomolto miseri, molto scoperti. Corria-mo dietro alle procedure, ai processi,all’analisi. Questo è il grande pecca-to. Non perché le procedure, i pro-cessi e le analisi non siano importan-ti, ma non possono essere l’unicosguardo sulla realtà.

Abbiamo sentito tanti discorsi, tante di-chiarazioni, tante storie, in queste ulti-me settimane. C’è una frase che l’hacolpita di più, negativamente e positi-vamente?

“La scienza ci salverà”: la trovouna frase idolatrica, stupida, controla stessa scienza. La scienza è unmetodo di osservazione della realtà.Invece la stiamo facendo diventare“la” verità. Lo trovo un grande erro-re. Tra l’altro con interessi enormidietro, perché è chiaro ormai che siparla di tecnoscienza e di tecno-scienza-business. Il grande drammain Lombardia è stato questo. La po-litica sanitaria che è stata fatta neiultimi 35 anni in maniera assurda, la-sciando tutti i territori scoperti, haportato dalle mie parti, a Bergamo,a migliaia di morti, dico migliaia, al-meno il triplo di quelli dichiarati.Quanto accaduto è conseguenza del-la centralizzazione delle operazionitecniche, che consente grandi affari.La frase invece che mi ha colpito dipiù in positivo è quella legata a unafotografia che veniva da un vicolo diNapoli, nella quale c’era un cestinoappeso con un foglio, dove c’erascritto: “Chi può metta, chi non puòp re n d a ”. In questa semplice afferma-zione popolare c’è quasi tutto. C’è ilmistero della bellezza di chi siamo edi quello che possiamo essere.

CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 1

Caritas internationalis nella Commissione per il covid-19 voluta da Papa Francesco

Un fondo per l’assistenza sanitaria e la prevenzione«In Africa, Medio oriente, SudAmerica, Oceania e in Europa» laCaritas internationalis «è in primalinea nella risposta» alla pandemiada coronavirus «anche nelle aree incui nessun’altra organizzazioneopera», grazie a un lavoro che «èviva testimonianza della missionedella Chiesa a servizio dei più vul-nerabili e dell’intera famiglia uma-na». Lo sottolinea Aloysius John,segretario generale della Confede-razione degli organismi caritativicattolici, commentando — attraver-so un comunicato diffuso il 16 apri-le — l’inclusione della stessa nellaCommissione per il covid-19 volutada Papa Francesco. La Caritascoordinerà assieme al Dicastero peril servizio dello sviluppo umano in-tegrale (Dssui) il primo dei cinquegruppi di lavoro della Commissio-ne, che è dedicato all’ascolto e alsostegno delle Chiese locali, e inproposito ha attivato un fondo perla risposta all’emergenza sanitaria.

Del resto, queste due realtà han-no già avviato insieme iniziative intal senso. «Oltre 140 Conferenzeepiscopali hanno risposto a unquestionario indicando quali sono ibisogni più urgenti nei rispettiviPaesi e quali i programmi messi inatto per far fronte al dilagare dellapandemia. Questo ci permetterà, insinergia con il Dicastero, di fornirerisposte adeguate», spiega John.

La presenza capillare, frutto diun profondo radicamento nellerealtà sociali, sta consentendo aCaritas di reagire prontamente intutto il mondo alla crisi e di conti-nuare a portare avanti i programmidi aiuto. «Cerchiamo di essere ra-

pidi e agili — chiarisce il segretariogenerale — per continuare a servirei più vulnerabili. È quanto ci hachiesto anche il Santo Padre qual-che giorno fa, quando gli abbiamopresentato il nostro impegno con-tro il covid-19: “Siate agili e rapidie continuate a portare avanti il vo-stro lavoro. Se non lo farete voi chilo farà?”».

Al fine di riuscire a fornire ri-sposte immediate ed efficaci, il Ds-sui e Caritas internationalis hannoperciò creato un fondo globalepensato per essere un segno visibi-le della solidarietà della Chiesauniversale: esso permetterà alleCaritas e alle altre organizzazionicattoliche di continuare la loroopera di assistenza e al tempostesso di introdurre misure preven-tive atte a limitare il contagio delvirus, con particolare attenzione aquei Paesi in cui il diffondersidell’epidemia avrebbe conseguenzeben più devastanti di quelle regi-strate in Europa.

Il fondo darà priorità alla forni-tura di servizi relativi all’assistenzasanitaria in ambiti come la preven-zione e controllo delle infezioni,l’accesso all’acqua pulita e ai servi-zi igienico-sanitari, la fornitura didispositivi di protezione individua-le (mascherine, guanti ecc.). Saran-no altresì prese in considerazioneproposte miranti a mitigare la pro-pagazione del virus, che includanola sensibilizzazione e la diffusionedi informazioni per prevenire ilcontagio, e il rafforzamento di ser-vizi a sostegno delle comunità, co-me quelli atti a garantire la sicurez-za alimentare.

«Purtroppo — commenta John —vi sono zone in cui la pandemia èconsiderata il male minore dallepopolazioni vulnerabili. In Rwan-da, ad esempio, in alcune aree lagente non rispetta le misure di si-curezza a causa della grave carenzadi cibo. Ci dicono: “p re f e r i a m omorire di covid piuttosto che di fa-me”».

Per questo è oggi più che maiimportante continuare a garantireservizi salvavita come quelli fornitidalle Caritas, nonostante la pande-mia «stia avendo un impatto note-vole» sul «lavoro verso i più vulne-rabili», chiarisce il segretario gene-rale citando l’esperienza della Cari-tas Gerusalemme, il cui «personalesta attualmente esaurendo i fondi erischia di dover interrompere ilproprio servizio che include la di-stribuzione di generi alimentari ekit per l’igiene personale a 500 fa-miglie bisognose» nei territori pale-stinesi.

E visto che le prime richieste diaiuto sono già giunte, ma la possi-bilità di rispondere dipenderà daifondi che si riusciranno a raccoglie-re, per permettere alle Caritas e al-le altre organizzazioni caritatevolidelle Chiese locali di portare avantii loro programmi di aiuto e al tem-po stesso di far fronte all’epidemia,Caritas internationalis esorta quin-di a contribuire urgentemente alFondo per la Risposta al covid-19.È possibile effettuare donazionitramite il sito internet https://w w w. c a r i t a s . o rg / d o n a t i o n / c o v i d - 1 9 -response-fund/ oppure tramite ilconto corrente dedicato pressol’Istituto per le opere di religione(Iban: VA29001000000020179007).«Oggi siamo tutti uniti nella paura— conclude John — ma dovremmoanche essere uniti nella solidarietàattraverso la fraternità universale.L’unico modo per superare questapandemia è quello di essere unitinel fronteggiare questa enorme sfi-da per l’umanità».

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 venerdì 17 aprile 2020

L’attualità de «L’uomo che piantava gli alberi» di Jean Giono

Povertà del suoloe ricchezza di un sogno

Illustrazione di Simona Mulazzani tratta dall’edizione Salani (1996)

Detective di se stessa grazie a una Olivetti rossaIn «La ragazza con la macchina da scrivere» di Desy Icardi

Particolare dalla copertina del romanzo edito da Fazi

È un romanzo sulla memoriama è soprattutto un romanzosulla capacità del lavorodi non essere solouna via per sopravviverema anche per vivere

Addio alla vocedei mapuche

È morto lo scrittore cileno Luis Sepúlveda

di SI LV I A GUSMANO

«N on era ciò chescrivevi, quantopiuttosto il con-tatto dei polpa-strelli sui tasti

freddi dell’Olivetti MP1 (...) a farti at-traversare, con relativa calma, quei mo-menti oscuri non soltanto per l’assenzadi lume». È con una macchina da scri-vere rossa fiammante — gioiellino dellameccanica del peso di appena 5 chili e 2etti — che Dalia attraversa il Novecento.Inizia a lavorare nel 1936: ha tredici an-ni, un attestato di dattilografa e unalunga treccia castana che la sua amicaEster le taglierà prima dell’incontro coni datori di lavoro. E così, capelli ondu-lati all’altezza delle spalle, fissati i bec-chi d’oca, la ragazzina protagonistadell’ultimo romanzo di Desy Icardi, Laragazza con la macchina da scrivere (Ro-ma, Fazi Editore, 2020, pagine 366, eu-ro 15) inizia il suo cammino nel mondodei grandi.

Un mondo piuttosto tetro, viene dadire: un padre freddo, distante e osses-sionato da regole e apparenze, una ma-dre in fuga, un fascismo che si espandea macchia d’olio, sporcando molto diciò che incontra, adulti presi dai loro

piccoli ricatti ed egoismi quotidiani.Dalia che nei momenti critici esegue gliesercizi di dattilografia per rasserenarsi.Che vive in un mondo capace di offrirealle ragazze solo due alternative (rima-nere agli ordini del padre o passare aquelli del marito) ma che cresce nutren-dosi di quelle che la società degli anni

da un ictus, a ricostruire la sua stessastoria, in parte smarrita a causa di quel-lo che lei chiama «piccolo incidente»,perifrasi molto più garbata e rassicuran-te del freddo termine medico. Sorta didetective di se stessa, per ritrovare ilbandolo le sono indispensabili gli og-getti, e la sua Olivetti su tutti, perchénel caso di Dalia sono le dita, o piùprecisamente i polpastrelli a chiarire ciòche si è offuscato. I ricordi, infatti, nonsi sono dissolti: sopravvivono nella suamemoria tattile e possono essere liberatiesclusivamente dal contatto con i tastidella sua Olivetti rossa. E così, affidan-dosi alla macchina da scrivere, Dalia ri-percorre la propria esistenza. Gli amori,i dispiaceri e i mille espedienti per so-pravvivere soprattutto durante gli annidella guerra, riemergono dal passato re-stituendole un’immagine di sé viva esorprendente: la storia di una donna ca-pace di superare decenni difficili proce-dendo sempre a testa alta, con dignità eb u o n u m o re .

Dalia non ha mai vestito i panni del-la Piccola italiana grazie al padre riusci-to sempre a tenerla fuori da quella checonsiderava solo un’attività disdicevole.E così, se le nuove generazioni si do-mandano come sia stato possibile esal-tarsi tanto alle parole di Mussolini, Da-

lia invece si ritrova spesso a chiedersicome abbia fatto a rimanere immunedal contagio.

Tra i personaggi che circondano laprotagonista — molti dei quali la accom-pagneranno nei decenni — spicca l’avvo-cato appassionato di letteratura, figurarara perché capace di trasformare il suoamore per i libri in amore per il prossi-mo. Perché quel buffo signore che mi-sura il tempo in pagine lette, o non let-te (l’invito a prendere un caffè? Due otre capitoli di buona lettura) non siestrania dal reale a causa dei libri.Tu t t ’altro: sono proprio i libri e le lettu-re, infatti, a immergercelo ben bene. Sa-rà cruciale per Dalia l’avvocato, que-st’uomo convinto che se Emma Bovaryfosse stata una donna reale e se luiavesse avuto l’onore di incontrarla (e diconsigliarle buone letture, invece dei«romanzetti d’amore letti in gioventù»),la poveretta non si sarebbe mai suici-data.

È un romanzo sulla memoria La ra-gazza con la macchina da scrivere. Ma èsoprattutto un romanzo sulla capacitàdel lavoro di non essere solo una viaper sopravvivere, ma anche per vivere.Per trovare se stessi da giovani, e per ri-trovarsi da anziani.

Trenta considera letture da maschietto(Salgari, Stevenson, Swift, Dickens eWilde: non ci sono più i soldi, quindila ragazzina può leggere solo quelli del padre da bambino); Dalia che fugge dagiovane e fugge da anziana, camminan-do sempre con lo stesso passo deciso. Èuna Dalia ben avanti negli anni, colpita

di SERGIO SUCHOD OLAK

Q uando Jean Giono ha deciso diraccontare la storia di un insolitopastore che, in una desolata lan-da delle Basse Alpi francesi, siera messo in testa di piantarvi co-

sì tanti semi di albero da ridare vita al paesag-gio locale cambiandolo radicalmente, forsenon aveva mai immaginato che questa vicendasemplice, docile e persino ingenua nello stilenarrativo, potesse diventare un notevole suc-cesso letterario, colpendo in modo così platea-le e incisivo l’immaginario collettivo, da risul-tare più che mai attuale anche ai nostri giorni— quasi settanta anni dopo la sua stesura —nel frattempo profondamente cambiati dalpunto di vista climatico e non solo, da farcicredere di essere veramente a un punto di nonritorno.

La povertà del suolo di buona parte del di-partimento in questione e la sua altitudinerappresentavano le condizioni più sfavorevoliper la crescita dei villaggi locali e persino peril normale sviluppo della vita umana, motiviper cui risultava essere tra le regioni meno po-polate e meno ricche di tutto il Paese transal-pino, dove specialmente d’inverno il paesag-gio poteva apparire quasi spettrale. In talescenario si svolge uno dei più significativi,semplici e al tempo stesso profondi dialoghitra l’uomo e la natura — uscito dalla penna diuno scrittore e saggista prolifico, vario e moltevolte caustico, sensibile, autodidatta, dotato diuna cultura immensa e di una curiosità prati-camente universale, che lo porterà a leggere

da solo la Bibbia e Omero — che risuona co-me un accorato appello a contrastare con ilbuon senso e la poesia un mondo sempre piùindifferente alla tutela del territorio e dell’am-biente circostante. Nel suo lavoro Giono arri-va a sfoggiare a volte una specie di mistica co-smica, ma senza trascendenza, forse seguendoil solco del pensiero filosofico spinoziano allabase del Deus sive natura che esalta una certaidentità tra Dio e la natura.

In quelle contrade disabitate, sassose ebrulle, in cui l’unica vegetazione che vi cresce-va era la lavanda selvatica e dove «il ventosoffiava con brutalità insopportabile», pratica-mente dimenticato dall’uomo e da Dio, ritira-tosi dal mondo e dalla compagnia dei suoi si-mili, un umile pastore viveva lentamente e incompleta solitudine — intesa però più comecondizione accidentale che come sentimentoumano, visto che a dir suo non si sentiva solo— e lì passava le lunghe giornate con il suocane, prima sorvegliando il proprio gregge eanni più tardi curando i suoi alveari, incuran-te della vita al di fuori del suo universo edell’orizzonte che necessariamente lo delimita-va. La narrazione è ambientata tra i due terri-bili conflitti mondiali.

Il protagonista del racconto, tale ElzéardBouffier, appunto L’uomo che piantava gli albe-ri (pubblicato nel 1953), senza alcun tornacon-to personale e nel più assoluto anonimato, di-venta gradualmente per il lettore la personifi-cazione di un impareggiabile messaggiod’amore per la natura, il quale nasce dal pro-fondo rispetto che l’essere umano è chiamatoa nutrire nei confronti della madre terra e del-

sentore di felicità. Eh, già, la felicità, perchénell’intimo la ricerca di questo particolare sta-to d’animo non può essere preclusa proprio anessuno.

Partendo così da una semplice ghianda diquercia, da un seme di faggio o betulla, neldesiderio di rinverdire il suo mondo, nel pa-store ha preso il sopravvento una sorta diproiezione ideale di rimboscamento, dapprimasi direbbe in modo un po’ fantasioso ma suc-cessivamente sempre più realistico, a tal puntoda spingerlo a vedere in tali piante l’unica ve-ra risorsa capace di riscattare l’intera area daun intollerabile deterioramento che non lasmetteva di prosciugare.

Presso le più diverse culture, l’albero è dasempre simbolo di vita e saggezza, e quindinon è eccezione in questo racconto, descrittocon grande acume dei sensi da uno scrittoreche già nella vibrante Lettera ai contadini sullapovertà e la pace (edita nel 1938, alla vigiliadella seconda guerra mondiale, per cercare dievitare l’annullamento della cultura e dellasaggezza tipiche del mondo rurale), lasciavaintravedere in modo limpido e poetico unprorompente pensiero morale, secondo il qua-le la natura è sempre superiore alla tecnologiae pertanto l’uomo non può essere salvato chetramite un lavoro compiuto in stretto contattocon la terra.

Questa toccante ed esemplare parabola pa-storale, che esalta con estrema semplicità lanecessità e la bellezza del rapporto uomo-na-tura, senza tuttavia decadere in falsi miti ro-mantici o idealismi irrazionali, ha portatomolti a riconoscere nella voce narrante un fre-mente appello, come profondo solco nel terre-no, a vedere nell’immane opera scaturita dallemani e dall’anima di quell’uomo senza l’usodi mezzi tecnici, che «gli uomini potrebberoessere altrettanto efficaci di Dio in altri campioltre la distruzione». Ed è così che nell’a rc odegli anni dove c’era un deserto germogliò unrigoglioso giardino e in tutte quelle contradecominciarono a fiorire di nuovo i villaggi e lavita stessa.

Se è vero che nella mente e nelle mani l’uo-mo ha non solo il potere di distruggere, maprima di tutto quello di cercare di costruire lafelicità, propria e altrui, questo scritto di Gio-no si presenta più che mai attuale e provvi-denziale, mentre ci richiama al sogno di potervivere oggi e domani in un pianeta più rispet-tato, più curato e più amato, e di conseguenzaalla trasformazione del sogno in speranza, edella speranza in realtà. Parafrasando la de-scrizione con la quale spesso si suole pre-sentare il patriarca Noè, protagonista esempla-re del racconto biblico del diluvio universale,a volte «basta un uomo buono perché ci siasp eranza».

E non è un caso che, dopo aver letto la pic-cola e commovente storia di questo “uomobuono” dei nostri tempi, lo scrittore José Sa-ramago non abbia esitato a introdurla conqueste parole: «Solo chi ha scavato la terraper porne una radice o la sua speranza puòaver scritto questo libro. Siamo davvero in at-tesa che arrivino un bel po’ di Elzéard Bouf-fier reali. Prima che per il mondo sia troppot a rd i » .

le bellezze che laadornano. Ci si accor-ge presto inoltre comeil pastore, nonostantela povertà dei mezzidi cui dispone e lamassima sobrietà incui trascorre i suoigiorni apparentementecosì monotoni, abbiauna personalità davve-ro eccezionale, unavolta che tutto il suoispirato operato nasco-sto risulta essere total-mente privo di qual-siasi forma di egoi-smo, in un clima digrande rudezza cheinvece tende a esaspe-rare l’individualismo.

Da dove sarebbepotuto sfociare questospeciale connubio, trala semplicità dei suoimodi e la grandezzadel suo spirito, se nonappunto dalla suaacuta percezione inte-riore della natura co-me un’i m p re s c i n d i b i l eparte di sé, senza laquale lui stesso aveval’impressione di nonessere capace di pro-vare nella propria vitaneanche un piccolo

«Ho sempre desiderato raccontarestorie ai bambinial tramonto sulla riva del fiumemangiando i frutti dell’a ra u c a r i aStorie che parlavano di volpipuma, condor, pappagalli»

di SI LV I A GUIDI

Luis («Lucho» per gli amici)Sepúlveda è morto il 16 apri-le nell’ospedale universitariodi Oviedo, in Spagna, doveera ricoverato da settimane

per le conseguenze dell’infezione da co-ronavirus. Lo scrittore cileno, che vivevada diversi anni nella città di Gijón, erastato invitato a fine febbraio a un festi-val letterario, il Póvoa do Varzim al fe-stival Correntes d’Éscritas, in Portogal-lo, insieme alla moglie, la poetessa Car-men Yáñez. Dopo aver partecipato alfestival entrambi erano tornati in Spa-gna, dove sono stati diagnosticati i pri-mi sintomi della malattia. Anche la mo-glie è stata tenuta sotto controllo; è sta-to il primo caso di coronavirus delleAsturie.

Sepúlveda era nato a Ovalle, in Cile,nel 1949; la madre Irma, amava ricorda-re, era di origine mapuche. Ed era nato“fuorilegge”, come ricorda Ranieri Pole-se nel suo commosso obituary uscito su«la Repubblica», con un mandato dicattura che pendeva sulla testa di suopadre, José, denunciato dalla famigliadi Irma per rapimento di minorenne esequestro di persona.

A 17 anni iniziò a scrivere per il gior-nale argentino «Clarín»; nel 1969 pub-blicò un libro di racconti, Crónica de Pe-dro Nadie, e vinse una borsa di studioper l’università di Mosca, che presto la-sciò per tornare nel suo Paese. Arrestatoe torturato durante il regime diPinochet, dopo sette mesi di detenzionelasciò il Cile nel 1977 e visse per diversimesi in Brasile, Paraguay e Nicaragua.

«Questo libro colma un debito chedurava da tanti anni — scrive Sepúlvedanell’introduzione al libro Storia di uncane che insegnò a un bambino la fedeltà,una parabola sul rispetto per la naturapubblicata in Italia da Guanda cinqueanni fa, dopo il grande successo di Sto-ria di una gabbianella e del gatto che leinsegnò a volare (Salani, 1996) —. Hosempre sostenuto che gran parte dellamia vocazione di scrittore nasce dal fat-to di aver avuto nonni che raccontavanostorie, e nel lontano Sud del Cile, in

una regione chiamata Araucanía oWallmapu, ho avuto un prozio, IgnacioKallfukurá, mapuche (termine formatodall’unione di due parole — mapu, terra,e che, gente — la cui traduzione correttaè Gente della Terra), che al tramontoraccontava ai bambini mapuche storienella sua lingua, il mapudungun».

Non era facile, continua lo scrittore,capire cosa dicevano tutti gli altri

mapuche nella loro lingua nativa «peròcapivo le storie che narrava il mio pro-zio. Erano storie che parlavano di volpi,puma, condor, pappagalli, ma le miepreferite erano quelle che raccontavanole avventure di wigña, il gatto selvatico.Capivo cosa raccontava il mio prozioperché, pur non essendo nato in Arau-canía, nella Wallmapu, sono anche iomapuche. Sono anche io Gente dellaTerra. Ho sempre desiderato raccontareuna storia ai bambini mapuche, al tra-monto, sulla riva del fiume, mangiandoi frutti dell’araucaria e bevendo il succodelle mele appena raccolte negli orti.Ora che mi avvicino all’età del mio pro-zio Ignacio Kallfukurá, vi racconto lastoria di un cane cresciuto insieme aimapuche. Di un cane che insegnò a unbambino la fedeltà. Vi invito quindi inAraucanía, nella Wallmapu, il paese del-la Gente della Terra».

Dalla cultura degli indios Shuar, chevivono al confine tra Perú ed Ecuador,era nata l’ispirazione del suo primo ro-manzo, Il vecchio che leggeva romanzid’a m o re , uscito in spagnolo nel 1989, di-ventato presto un best seller mondiale.

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L’OSSERVATORE ROMANOvenerdì 17 aprile 2020 pagina 5

di ANDREA MONDA

La parola è un ponte. Ognistoria che viene raccontatacrea connessione, comu-nione. È questo l’asp ettodel Messaggio del Papa

per la Giornata Mondiale delle Co-municazioni Sociali che ha colpitomaggiormente lo scrittore DanielMendelsohn che abbiamo raggiuntonella sua casa in campagna: «Pro-prio come i personaggi del Decame-ro n e che parla di persone che cerca-no di vivere in campagna e così disopravvivere a una grande catastrofecondividendo storie. Ora, come sap-piamo, si tratta di storie non proprio“re l i g i o s e ”, anzi molto profane, maquello che Boccaccio capisce è cheattraverso il racconto possiamo ri-durre la distanza che ci separa epenso che questo sia oggi più neces-sario che mai. Boccaccio intuiscequesta verità, proprio come il Papa».

Dal Messaggio del Papa il roman-ziere e saggista di Long Island sisente chiamato in causa come scrit-tore. «Il mio pensiero è che il mes-saggio del Papa, che sottolinea l’im-portanza della condivisione di storiecome mezzo di connessione umana,mi sembra più che mai necessariosoprattutto oggi nella crisi in cui sitrova il mondo intero. Ed è un mes-saggio molto interessante e direicommovente per me, come scrittore,perché questo è ovviamente quelloche cerchiamo di fare sempre noiscrittori. A questo infatti serve la let-teratura: a collegare tutti i diversi ti-pi di persone, di fedi, di backgroundattraverso le narrazioni umane. Cisto riflettendo molto in questo mo-mento di terribile pandemia. Questovale per la classicità, ma così è anchenel Vangelo, i cui testi originali sonoscritti in greco: gli evangelisti hannocapito che la narrazione, le buonestorie, sono il mezzo migliore percomunicare un messaggio importan-te, si pensi all’uso delle parabole.Sia nel mondo profano che in quellosacro, i più grandi pensatori hannocapito che la narrazione umana è laparte più essenziale di ciò che sia-mo. Noi siamo “creature di narrati-va” ed è questo che ci rende umanipiù di ogni altra cosa, il fatto cheraccontiamo la nostra esperienza, siache si tratti di un’esperienza teologi-ca, che di un’esperienza profana odel mondo, comunque noi la dob-biamo raccontare. C’è qualcosa diironico, secondo me, sul fatto che

questo messaggio arrivi in un mo-mento in cui le persone devono perforza essere separate, visto che ilmessaggio rivela la natura della nar-razione di essere ponte, capace cioèdi collegare le persone. Questa pos-sibilità di un ponte narrativo è tuttociò che oggi ci rimane. Non possia-mo stare insieme fisicamente, nonpossiamo toccarci, abbracciarci, nonpossiamo vedere i nostri amici: quel-lo che abbiamo sono le storie. Sì,penso che il messaggio di PapaFrancesco sia arrivato proprio al mo-mento giusto».

Il Papa insiste sul fatto che le storieda raccontare siano storie buone, cioèbelle e vere, che ne pensa?

Questo è un punto molto impor-tante. Tutto dipende però da quelloche noi intendiamo quando diciamo:“una buona storia”. Sono possibilidue risposte. Prima di tutto c’è unastoria che ci fa sentire bene, felici,connessi con il mondo e la vita inmodo umano. Ma esiste un altro ti-po di buona storia, quella che cogliee condivide la verità con le persone,anche se è una verità difficile. Se-condo me esiste sempre una respon-sabilità più alta nei confronti dellaverità. In questo nostro tempo ci so-no tante storie che girano, quindiancora di più è fondamentale la re-sponsabilità dello scrittore (o delgiornalista, o del prete...) di raccon-tare ciò che è vero. Soprattutto in

un momento di panico, di ansia, èpiù importante dare alla gente la ve-rità anche se la verità è difficile. Unastoria vera è anche una bella storia.Quindi penso che il Papa abbia ra-gione: è importante condividere unabuona storia, così si può aiutare lagente; non solo con una storia felicema soprattutto con una storia vera, esu questo si fonda la responsabilitàdi essere veri.

È questo senso della responsabilità chel’ha spinta a scrivere il suo librosull’Olocausto, «Gli scomparsi»?

Sì, uno scrittore non deve mai fal-sificare la realtà ma guardarla in fac-cia, così come è. Una cosa che hoimparato proprio scrivendo il rac-conto della mia storia familiaresull’Olocausto: anche nelle storie piùterribili esistono momenti di grazia equesti vanno cercati e raccontati per-ché è ciò di cui la gente ha bisogno.Momenti di grazia: intendo, adesempio, quando qualcuno decide disalvare qualcun altro, quando qual-cuno si aggrappa alla propriaumanità in un tempo disumano...Penso che sia dovere dello scrittoremostrare l’intero quadro e l’i n t e roquadro può includere un momentodi grazia.

Lei è quindi d’accordo sul fatto che, co-me dice il Papa, il racconto di storiebuone, cioè belle e vere, salva gli uomi-ni dal dominio della chiacchiera e dellefake news?

Certo, è quello che stavo dicendo:nel XXI secolo siamo circondati, sof-focati dalle chiacchiere e oggi piùche mai, nel momento della crisi, ènecessario combattere contro il ru-more, il pettegolezzo, le notizie fal-se. È la Fama, il mostro di cui narrail mio poeta preferito, Virgilio, nelquarto canto dell’Eneide, cioè la di-ceria, il terribile potere del pettego-lezzo, delle notizie false. Come si faa combattere contro questo mostro?Con le storie vere, con la verità: laverità scientifica, la verità giornalisti-ca, la verità medica, ma anche la ve-

rità spirituale, la verità emotiva... ec-co di cosa abbiamo bisogno. È comese l’atmosfera fosse piena di veleno ela verità fosse l’antidoto. E la diffu-sione della verità passa attraversouna storia.

Secondo il Papa il raccontare storiepermette di conoscere meglio anche lapropria identità...

Questo è verissimo. Ogni scrittorecapisca che attraverso il processo dicreazione e di narrazione della storiasi sviluppa un senso più alto dellaverità. La scrittura della storia è ilveicolo per una maggiore compren-sione da parte sia dello scrittore siadel lettore. Il racconto è quindi unostrumento conoscitivo, che permettela comprensione.

Eppure la parola della poesia appareambigua, incerta, in confronto con laparola della scienza così netta e uni-voca.

Sono figlio di uno scienziato e houn grande rispetto per la scienza,ma credo che si possa dire che lascienza può dire una verità sul mon-do, sul cosmo, mentre la letteraturapuò dire una verità sull’animo uma-no che la scienza non potrà mai illu-minare definitivamente. Entrambicercano di dire una verità, ma sitratta di verità diverse, quindi servo-no entrambi: la scienza parla di co-me è fatto il mondo, la letteraturainvece dice qualcosa di ineffabile.Questo è il punto della letteratura:cercare di spiegare ciò che nient’a l t ropuò spiegare. Tutti quelli che rac-contano, che scrivono, cercano discrivere la verità: scienziati, poeti,romanzieri, giornalisti... quando cer-cano di dire la verità fanno partedello stesso progetto ma si tratta diun progetto enorme che ha bisognodi tanti tipi di storie diverse per rac-contarlo. Abbiamo bisogno sia dellaletteratura che della scienza.

Renzo Piano su queste pagine ha osser-vato come tutti gli uomini, anche gliscienziati, si devono fermare nel loro

cammino di ricerca, di fronte a una so-glia, a un mistero.

Sono d’accordo: alla fine c’è unpunto oltre il quale esiste una sortadi mistero. Si può chiamare l’ineffa-bile, il misterioso, il divino, ma cre-do che tutti coloro che sono onestisi rendano conto che infine c’è que-sto “qualcosa” di misterioso che tuttinoi umani abbiamo in comune mache è molto difficile da descrivere.Possiamo definirlo anche “trascen-dente”, qualcosa che si riconosce maè molto difficile descrivere. Questo“trascendente” è inoltre il punto ver-so il quale stiamo andando, èl’obiettivo del cammino dell’uomo,un orizzonte che conosciamo manon possiamo dire bene cosa sia, edè per questo che continuiamo inces-santemente ad andare avanti.

La poesia occidentale inizia con le pa-role di Omero che chiede alla musa diessere ispirato. L’arte è “techne”,un’abilità sotto il controllo dell’artista,o è un dono ricevuto?

Il fatto che tutto cominci con l’in-vocazione alla musa è un riconosci-mento che con l’arte si procede oltrela conoscenza umana, oltre la meracapacità umana di fare poesia. Equindi si ha bisogno dell’aiuto deldivino. È un chiaro riconoscimentodel limite del potere umano: in fon-do ciò che Omero dice è che nonpuò fare poesia senza l’aiuto del di-vino. Tutti i grandi artisti riconosco-no che c’è un certo punto in cui su-bentra il trascendente, in cui si habisogno di una sorta di talento so-vrumano per fare grande arte. È ilcomune incipit dell’Iliade edell’Odissea: hai bisogno degli deiper raccontare la tua storia. Ai nostrigiorni, in questi tempi di secolariz-zazione, si potrebbe parlare, in mo-do più laico, di “ispirazione”, “talen-to”... ma penso che tutte queste pa-role siano solo un riconoscimentodel fatto che c’è una qualche qualitàsovrumana che è richiesta. I grecierano più onesti: dicevano “gli dei”.

Una storia è buonaquando è vera

A colloquio con lo scrittore Daniel Mendelsohn

nata e l’esilio in un paesino, è consideratoun santo dalla popolazione rozza e miserabi-le. Ma non tiene per sé, quaggiù, nessunadelle grazie salvifiche che trasmette, e muorenel suo confessionale.

Il romanzo mette in scena altre figure sa-cerdotali: il saggio abate Menou-Segrais, cheè l’unico a capire Donissan, e l’abate Sabi-roux, che d’istinto non crede nel sopranna-turale... L’opera di Bernanos include moltialtri preti, tra i quali (nell’I m p o s t u ra , 1927)gli opposti simmetrici costituiti dall’umile eingenuo Chevance e dall’ipocrita e manipo-latore Cénabre, il quale — meglio di qualsia-si indagine giornalistica o giudiziaria — puòoffrire un quadro della perversione, e anchedella tragedia, dei sacerdoti oggi accusati dimolteplici abusi.

Da Georges Bernanos a Béatrix Beck un filone narrativo che si fa riflessione sull’animo umano

Il sacerdote tra il male e la grazia

Diego Rivera«La casa sul ponte» (1909)

Una scena del film «Diario di un curato di campagna» tratto dall’omonimo romanzo di Georges Bernanos

Nato il 16 aprile 1960, Daniel Mendelsohn è uno scrittore,critico, traduttore e studioso di lettere classiche. Ha compiutostudi classici alla University of Virginia e poi a Princeton. Scrivedi letteratura, cinema e teatro su «New York Times BookReview», «New Yorker» e «New York Review of Books», einsegna Letteratura al Bard College. È autore di The ElusiveEmbrace: Desire and the Riddle of Identity (1999) e di uno studioaccademico sulla tragedia greca, Gender and the City in Euripides’Political Plays (2002). Nel 2006 ha pubblicato Gli scomparsidiventato un best seller. Tra le sue pubblicazioni figurano inoltresaggi, riflessioni filosofiche e religiose, diari e un’edizione criticadelle opere di Kavafis. Nel 2018 Einaudi ha pubblicatol’avvincente e poetico Un’odissea. Un padre, un figlio e un’epopea.

Avvincente e poetico

di JEAN DUCHESNE

L’ultimo Messaggio di PapaFrancesco per la GiornataMondiale delle Comunicazio-ni Sociali ha risvegliato in meun’intuizione dell’adolescenza

che non sono stato certamente l’unico a di-menticare nella routine del quotidiano e neltumulto mediatico: ossia che non si tratta dibelle idee né di grandi teorie, ma di storieparticolari che aiutano a decifrare il mondoe permettono di viverci e di agirvi inscriven-dosi in esso.

Per fare un solo esempio, si è parlato mol-to in questi ultimi tempi del celibato eccle-siastico. Ovviamente la questione è inscindi-bile dall’idea che ci si può fare del sacerdote,da ciò che ci si aspetta da lui, e dunque dalcuore della fede: se l’uomo si volge versoDio è perché Dio viene a lui per primo at-traverso coloro che invia.

Esiste a tale proposito un’abbondante let-teratura teologica che compete e interferiscecon considerazioni storiche, sociologiche,antropologiche e altre ancora.

Ebbene, ciò che permette di capire a fon-do che cos’è un sacerdote non è solo la Tra-dizione della Chiesa. Non è neppure solol’esperienza che si può avere frequentando, osemplicemente guardando da lontano, il pro-prio parroco o il proprio cappellano. E an-cor meno il clericalismo o l’anticlericalismo.Sono piuttosto i racconti i cui eroi non han-no neanche bisogno di essere esistiti. O me-glio, anche se gli autori si sono ispirati apersone identificabili, quei personaggi con-servano una consistenza e una verità imme-diata che sono indubbiamente più fecondedei ricordi che restano dei loro modelli.

Sono tre i romanzi francesi del XX secoloche vanno ricordati quando si parla di sacer-dozio cattolico, se non ci si vuole acconten-tare di cliché superficiali.

I primi due appartengono allo stesso au-tore: Georges Bernanos (1888-1948). Sotto ilsole di Satana (1926) rivela quale nemico af-

fronta l’abate Donissan: non la miscredenza,la codardia o la mediocrità dei suoi parroc-chiani, e neppure le tentazioni che potrebbesuscitare la povera Mouchette, ma il Male inpersona, che lo spinge alla disperazione.Con i suoi fallimenti, il prete accompagnaCristo nella sua agonia e nella sua discesaagli inferi. Malgrado la sua reputazione rovi-

Ma un personaggio meno eccessivo, seb-bene non meno intenso e sicuramente piùeloquente di ciò che si può chiamare misterodella condizione sacerdotale è l’anonimo re-dattore fittizio del Diario di un curato dicampagna (1936). Giovane sacerdote in catti-va salute, soffre per l’indifferenza dei suoiparrocchiani e per la lucidità rassegnata deisuoi confratelli che hanno perso le loro am-bizioni spirituali.

Si sente debole, impacciato, quasi impo-tente, e tuttavia serba la consapevolezza e lafiducia che Cristo agisce, ama e salva attra-verso lo spogliamento che lui stesso subisce.

Come Sotto il sole di Satana, il Diario diun curato di campagna è stato portato sulgrande schermo: la prima volta nel 1951 daRobert Bresson, la seconda nel 1987 daMaurice Pialat con Gérard Depardieu nel

ruolo dell’abate Donissan. Film che sonoesempi della ricchezza di queste storie di vi-te di sacerdoti, più intense e penetranti deiricordi e dei racconti dei testimoni.

Queste narrazioni scritte non cadono inun sensazionalismo facile o in un moralismoedificante, e neppure in un didascalismo fa-talmente pesante a furia di essere generale eastratto. La trasposizione cinematografica dàloro la consistenza visibile e la forza dinami-ca della carne ispirata dal verbo dello scrit-t o re .

Ciò vale anche per un terzo romanzo, LéonMorin, prete (1952), di una scrittrice meno ce-lebre, Béatriz Beck (1914-2008). Quest’op erain parte autobiografica, che ha ottenuto ilPrix Goncourt, vanta non meno di tre adatta-menti cinematografici. Il primo nel 1961¸ conla regia di Jean-Pierre Melville e con Jean-

Paul Belmondo ed Emmanuelle Riva. Poi,nel 1991, un telefilm con Robin Renucci e Ni-cole Garcia come coprotagonista. Infine nel2016 con la regia di Nicolas Boukhrief e il ti-tolo di La Confession, con Romain Duris nelruolo di Léon Morin. Tutte queste versionifanno intravedere ciò che tocca di essenzialee d’inesauribile questa storia di una giovanedonna che si converte perché involontaria-mente sedotta da un giovane sacerdote dallostile poco clericale, che resterà serenamentefedele ai suoi voti. Ecco dunque otto storie —tre romanzi e tre film — che si possono legge-re o rileggere e vedere o rivedere. Fanno ca-pire che cosa è in gioco nelle “questioni” epolemiche attuali, e sopravvivranno loro. Ilmotivo è che, come ha scritto Papa Francesconel suo Messaggio, simili storie — anche senon tutti i loro protagonisti, autori e attorihanno la fede — «profumano di Vangelo», ilche sarà da stimolo sia per i miscredenti siaper i battezzati.

Rifuggendo dal moralismo edificantegli autori creano eroiche con le loro debolezze e tormentiinducono a un esame di coscienzasia i miscredenti che i battezzati

Fo n d a t o redi «Communio»

Jean Duchesne dirige l’Accademiacattolica di Francia ed è uno deifondatori dell’edizione francese dellarivista «Communio». Fa parte delcomitato scientifico di Oasis edell’Osservatorio Fede e Cultura dellaConferenza Episcopale francese. Tra lesue numerose pubblicazioni, ricordiamoRetrouver le mystère. Plaidoyer pour lesrites et la liturgie (2004); Petite histoired’Anglo-Saxonnie (2007); Histoire sainteracontée à mes petits-enfants (2008);Histoire de Jésus et de ses apôtres racontéeà mes petits-enfants (2010); La pensée deLouis Bouyer, Artège (2011); I n c u ra b l eromantisme? Parole et Silence (2013).

ra c c o n t oLA PAROLA DELL’ANNO

«Desidero dedicare il Messaggio di quest’anno al tema della narrazioneperché credo che per non smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone:storie che edifichino, non che distruggano;storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme»

(Papa Francesco per la giornata delle comunicazioni sociali 2020)

Page 6: Il Papa prega per i farmacisti - Vatican News...problema del debito in Italia è risol-vere il problema della crescita in Ita-lia, che è stata deludente negli ultimi tre decenni»

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 venerdì 17 aprile 2020

I giorni di Pasqua tra i cristiani di Damasco, Aleppo e Idlib

Dove la fede è sorgentedi forza e coraggio

L’instancabile opera dei volontari del Franciscan Care Center

Una speranzanel dramma di tante famiglie

Dossier della Caritas sulla condizione delle donne

Vittime di guerreche non hanno sceltodi PAOLO AF FATAT O

A Damasco come ad Aleppo,nella Siria ferita dalla guerra eoggi dalla pandemia di coro-

navirus, la Pasqua di Risurrezioneha portato nuova speranza. L’emer-genza covid-19 è giunta ad acuire edaggravare le ferite lasciate da oltrenove anni di conflitto: ma il popolosiriano dà prova di resilienza e, nellacomunità cristiana, la fede è sorgen-te di forza e coraggio. Il paradosso èche «nemmeno in tempo di guerrale chiese sono rimaste chiuse, maavevano sempre continuato a cele-brare le messe e le liturgie», riferisceall’«Osservatore Romano» l’a rc i v e -scovo di Damasco dei Maroniti, Sa-mir Nassar. Ci è riuscito il coronavi-rus, ma la sua, si può ben dire, èstata una “vittoria di Pirro”. Infatti,racconta l’arcivescovo, «ogni casa èdivenuta una chiesa domestica. Ab-biamo sperimentato e vissuto unnuovo modo di essere Chiesa, sen-tendoci uniti con la comunione spi-rituale che abbatte ogni distanza e cifa comunità, stretti intorno a Cristorisorto». Nonostante le chiese vuote,infatti, i fedeli siriani hanno potutoseguire e prendere parte alle liturgiepasquali tramite mezzi come YouTu-be o i social network. E così, prose-gue il pastore maronita, «nell’oscuri-tà della morte e della violenza, è ap-parsa la luce del Risorto, venuta asquarciare il buio delle sofferenzecausate dai quasi dieci anni di guer-ra». Quella luce, simboleggiata dalcero pasquale acceso in ogni chiesa,«brilla per illuminare la nostra soli-tudine, in questa notte infinita diodio e violenza», dice l’a rc i v e s c o v ocon parole accorate. L’arrivo improv-viso dell’emergenza coronavirus haavuto conseguenze sul piano mate-riale e spirituale: «In primis si puònotare che i combattimenti e la vio-lenza sono cessati», e questo è sicu-ramente un dato positivo soprattuttoper la popolazione civile; poi, d’al-tro canto «si è generata una nuovacomprensione della nostra fede: peri fedeli, lontani dalle chiese, irrime-diabilmente chiuse, ma anche per isacerdoti che celebrano la liturgia difronte a banchi vuoti. Ognuno deveesaminare la propria fede personalee riscoprire il seme dello SpiritoSanto nel profondo del suo cuore,senza l’aiuto degli altri. È emerso unnuovo modo di testimoniare la pro-pria fede», rileva Nassar. E aggiun-ge: «Nel piano insondabile di Dioche trae il bene anche dal male, ilcoronavirus ha permesso di ritrovarsiuniti in famiglia, con il Vangelo alcentro delle piccole comunità dome-stiche, riattingendo alle sorgenti e

per favorire la partecipazione a di-stanza. Tramite la comunione spiri-tuale ci siamo sentiti uniti con tutticoloro che fisicamente non eranopresenti. La distanza ha aiutato arafforzare l’unione, e il popolo siria-no oggi esprime la sua fiducia pienain Dio che è la risurrezione e la vi-ta», ribadisce fra Lutfi. La vita dellapopolazione civile, nella nazione cheesce dal lungo e catastrofico conflit-to, non è facile «e lo scoppio dellapandemia aggrava la situazione: lademolizione non è solo quella dellecase, ma è anche nelle anime, nellementi e nei cuori feriti a livello psi-cologico e dilaniati nella loro inte-riorità», nota il provinciale, raccon-tando come la presenza dei fratifrancescani, in tutta la nazione, èstata negli anni bui della guerra econtinua a essere oggi «un segno disperanza, che alimenta la fede e lafiducia nel futuro, offrendo strade epossibilità per la ripresa, per unnuovo inizio». Padre Firas ricorda inparticolare due suoi confratelli, fraHanna Jallouf e fra Louai Bsharat,che si trovano nella provincia nord-occidentale di Idlib, dove prosegueuna situazione di conflitto armatoche coinvolge esercito governativo,truppe russe, milizie jihadiste e re-parti militari turchi. «Lì, dove laguerra non è finita e i gruppi jihadi-sti controllano il territorio, sono loroad avere la cura pastorale di 210 fa-miglie cristiane di diverse confessio-

agli elementi essenziali della fede».Nella situazione di emergenza e dichiusura, poi «si è fatto strada il po-sitivo apporto delle tecnologie, deisocial network e dei diversi canaliche hanno permesso di restare incontatto e di unirci: sono mezzi perdiffondere la buona novella intornoa noi. Non è il buio, non è la dispe-razione il futuro della popolazionesiriana, perché esso è saldamente an-corato alla speranza certa della risur-rezione di Cristo», conclude l’a rc i v e -scovo.

Lo stesso spirito si vive ad Alep-po, la seconda città per importanzae la capitale economica della Siria,una delle più colpite dalla guerra.Racconta al nostro giornale fra FirasLutfi, francescano siriano della Cu-stodia di Terra Santa e provincialedella regione francescana di SanPaolo, che abbraccia Giordania, Li-bano e Siria: «Quest’anno la Pasquaè stata speciale, diversa dalle altre,vissuta con le chiese chiuse. Ma for-se, proprio per questa difficoltà, vis-suta in Quaresima e offerta a Dio, èstata una Pasqua vissuta con ancoramaggiore intensità spirituale e desi-derio di comunione con Dio e con ilprossimo». La gente di Aleppo nonha rinunciato alle celebrazioni pa-squali: «Tutti i frati e i parroci chehanno responsabilità pastorali hannoaperto pagine su Facebook, trasmet-tendo i riti, le messe, le preghierecome se il popolo fosse in chiesa,

ni, appartenenti alla Chiesa cattolica,alla comunità armena ortodossa e aquella greco-ortodossa. La loro pre-senza in quel luogo dove si soffreancora è ammirevole, esprime la vici-nanza di Cristo al suo popolo, ed èsegno del Signore che dice: Io sonocon voi sempre». Oggi, fra Lutfi rin-nova l’appello «per la fine dell’em-bargo che pesa soprattutto sui civilie sui più poveri», tanto più perchéla diffusione del coronavirus compli-ca un quadro già difficile e sofferen-te: «Il mio pensiero va ai bambiniche ancora non vanno a scuola, per-ché non si può attivare la didattica adistanza, dati i mezzi ridotti delle fa-miglie e la debolezza del segnale diinternet», afferma. E non manca dicitare il fatto che «il 75 per cento deicittadini siriani non è dipendentedallo stato né ha grandi mezzi o im-prese, dunque vive procurandosiogni giorno il pane quotidiano».

Allora la pandemia può diventare«la goccia che fa traboccare il vasodel dolore e della povertà». In talecornice, «la Chiesa cerca di aiutare ifedeli in umiltà e concretezza: comefrati francescani lo abbiamo fattodurante la fase critica della guerra,oggi lo facciamo di fronte al rischiodi un flagello psicologico, sociale edeconomico, dovuto al blocco di ogniattività. La fame, il pianto, la morte— conclude — non avranno l’ultimaparola ad Aleppo e nell’interaSiria».

di FRANCESCO RICUPERO

Schiavizzate, abusate da unaguerra che non hanno scelto.Da vittime di violenze perpe-

trate dagli uomini a pilastro cheregge la famiglia e guida la societàal di là della guerra. Sono trascorsioltre 9 anni dall’inizio del conflittoin Siria, che dal 15 marzo 2011 oltrea provocare un doloroso esodo ver-so i Paesi vicini vede soffrire inmodo particolare le donne. A loroe alla drammatica situazione nellaquale sono costrette a vivere, nonsolo in Medio oriente ma anche inaltri Paesi del pianeta, la Caritasitaliana ha dedicato il suo 55° dos-sier dal titolo: Donne che resistono.Non solo vittime della guerra, maparti attive del Paese che verrà.

in spalla, fra la polvere delle trin-cee o attiviste «armate di parole»per difendere gli ideali e i dirittidel loro popolo. Donne alla guidadi famiglie che al tempo stesso oc-cupano quei vuoti sociali e lavora-tivi lasciati dagli uomini. Andati ac o m b a t t e re .

Le donne sono anche l’obiettivoscelto delle più disparate forme diviolenza sessuale, che costituisceuna vera e propria tattica di guerra.Gli stupri commessi nel corso deiconflitti hanno lo scopo di terroriz-zare la popolazione, distruggere ilegami tra famiglie e comunità,cambiare la composizione etnicadelle future generazioni: lasciandoche le donne portino dentro di sél’indelebile marchio del nemico. Lostupro è uno strumento di intimi-dazione politica, usato contro atti-

viste che lottano per un mondo piùgiusto, in difesa dei diritti umani;ma è diretto anche contro le madri,mogli, sorelle di oppositori a regi-mi politici, impiegato dal sistemaper annientare ogni forma di dis-senso. I numeri che raccontanol’orrore degli stupri delle guerrescoppiate negli ultimi trent’anni so-no raccapriccianti. In Rwanda, trale 100.000 e le 250.000 donne sonostate stuprate durante i primi tremesi del genocidio del 1994. Leagenzie delle Nazioni Unite stima-no che oltre 60.000 donne hannosubito violenza durante la guerracivile in Sierra Leone (1991-2002),oltre 40.000 in Liberia (1989-2003)e almeno 200.000 nella RepubblicaDemocratica del Congo dal 1998.

Cosa occorre fare, dunque, perproteggerle specialmente nelle si-tuazioni di guerra e al tempo stes-so renderle parte attiva della socie-tà, grazie al loro prezioso contribu-to ai processi di pace? Secondo ildossier Caritas bisogna garantireche la voce delle donne e la loroeffettiva partecipazione ai processidi ricostruzione della pace siano as-sicurate; occorre prevenire qualsiasiforma di violenza contro le donnenelle zone di conflitto; promuoverel’educazione, lo sviluppo economi-co e sociale; infine garantire la per-manenza di un sistema in grado dipunire i colpevoli di violenze e di-scriminazioni.

Nella gran parte degli interventiumanitari promossi da Caritas ita-liana, l’attenzione di genere è pre-sente in modo trasversale soprat-tutto per le donne capofamiglia,considerate tra i destinatari priori-tari degli aiuti. In Libano, peresempio, da anni è in corso unprogetto di case protette per donnerifugiate, prevalentemente siriane,nonché per le vittime della tratta.La Chiesa in Siria e negli altri Pae-si del Medio oriente è impegnatanon solo nell’assistenza umanitariama anche nel mantenere vive le at-tività pastorali e spirituali, di cui ilbisogno è sempre maggiore, pro-prio a causa delle difficoltà enormiche vivono le comunità, in partico-lare quella cristiana.

Lo studio è stato pubblicato pro-prio mentre in Italia e nel resto delmondo l’emergenza legata alla dif-fusione del covid-19 assorbe ogninostra attenzione, per questa ragio-ne l’ente caritativo esorta tutti anon abbassare lo sguardo verso al-tre tragedie non meno importanti eche durano da ancor più tempo.«Solo nel 1992 — si legge nel dos-sier — in seguito agli stupri di mas-sa delle donne nell’ex Jugoslavia,la questione della violenza sessualenei teatri di guerra è arrivata all’at-tenzione del Consiglio di sicurezzadelle Nazioni Unite. Il 18 dicembre1992, infatti, l’organismo dell’O nuha dichiarato che la «detenzione egli stupri organizzati e sistematicidi donne, in particolare musulma-ne, in Bosnia ed Erzegovina, è uncrimine internazionale che deve es-sere affrontato».

Le donne in Siria sono semprepiù spesso mater familias, occupanoposizioni e ruoli che prima eranoprerogativa unicamente maschile;lavorano, combattono per la liber-tà, si impegnano nella difesa deidiritti. È dall’inizio del suo pontifi-cato che Papa Francesco non smet-te di gridare, di levare la sua voceper la Siria. E sono molte le imma-gini che il Santo Padre ha dipintoagli occhi del mondo perché nondistogliesse la testa e il cuore dalsanguinoso conflitto. Nel suo pri-mo messaggio del 2020, ha ribadi-to la necessità di «ripartire dalladonna», perché senza di lei «nonc’è salvezza». È l’obiettivo anche diquesto dossier, animato dalla vo-lontà di ripartire dal femminile,analizzando i tanti ruoli svolti dalledonne nel conflitto siriano: come,ad esempio, quello di pilastro fami-liare e di guida della società al dilà della guerra.

D all’inizio della crisi siriana Ca-ritas italiana è attiva, in coordina-mento con la rete Caritas interna-zionale, in interventi a sostegnodella popolazione locale e dei pro-fughi in tutti i Paesi che li ospitanodel Medio oriente e lungo la rottabalcanica, in particolare: Siria, Li-bano, Giordania, Turchia, Grecia,Cipro, Repubblica di Macedoniadel Nord, Serbia, Bosnia ed Erze-govina. Dal 2011 a oggi, l’ente cari-tativo ha avviato 68 progetti conun investimento complessivo di ol-tre 7,2 milioni di euro, provenientida donazioni e dall’8xmille allaChiesa cattolica.

Dallo scorso dicembre, si è aper-ta la fase drammatica nella regionedi Idlib, nord-ovest della Siria.Due dati su tutti dimostrano l’ulte-riore tragedia che si sta consuman-do proprio in questi giorni:960.000 nuovi sfollati, di cui l’80per cento donne e bambini, e al-meno 4000 morti accertati a causadel conflitto.

Come evidenzia il dossier, ledonne molto spesso sono vittime diuna guerra che non hanno scelto,poiché sono sempre gli uomini adesiderarla, alimentarla, pianificar-la. Combattenti con il kalashnikov

I volontari si danno da fare instancabili, per le stra-de e le case diroccate di Aleppo. Nei giorni scorsi,hanno consegnato oltre 300 pacchi alimentari ad

altrettante famiglie bisognose. La lunga guerra avevagià prostrato migliaia di nuclei familiari, privandoli dilavoro e dei mezzi di sostentamento e riducendoli instato di indigenza. Ora, mentre ci si avviava su un len-to cammino di ripresa, la pandemia di Covid-19 è uncolpo inatteso: è venuto a frustrare le residue speranzedi ricominciare una vita dignitosa, in cui i genitori pos-sono provvedere alle necessità della vita quotidiana e,d’altro canto, possono prendersi cura dei bambini,mentre questi frequentano la scuola, riguadagnando la“normalità” di una vita fatta di sorrisi, di amicizie, digiochi. I 140 volontari del “Franciscan care center” so-no coinvolti in un’opera che, con l’aiuto materiale —che si spera temporaneo — offre anche una speranzanel dramma che da anni assedia la vita di queste fami-glie. L’assistenza raggiunge bambini, giovani, adulti,anziani che vivono nel disagio, portando loro pacchialimentari, ma anche libri scolastici, materiale sanitarioe kit informativi con le misure necessarie ad affrontareil tempo della pandemia di coronavirus.

Lo slancio di solidarietà dei frati francescani di Alep-po intendeva cercare di ricucire una città spaccata indue dal conflitto: il “Franciscan care center” è sorto treanni fa come iniziativa per aiutare i bambini di Aleppoovest e quelli di Aleppo est. Quest’ultima era la zonapiù povera, che aveva subìto la distruzione più eviden-te, con la conseguente immane sofferenza della popola-zione residente. Un dramma nel dramma tocca, in

quell’area, la vita di tante donne e di tanti bambini:centinaia ne nascono durante la guerra, frutto delleviolenze e degli stupri perpetrati dai miliziani, ma sonoabbandonati a se stessi perché considerati “figli dei ter-ro r i s t i ”. Quei bambini esistono fisicamente, ma non so-no riconosciuti all’anagrafe. Molti sono mutilati, sfigu-rati o orfani: partendo da questa realtà di infanzia vio-lata o negata, i francescani danno vita a uno specificoCentro per riunire e provvedere a questi piccoli.

Con l’ausilio di Binan Kayyali, una psicologa tra lepoche rimaste ad Aleppo, prende vita il primo proget-to promosso dal Centro, chiamato “Arte terapeutica”,con l’intento di curare i traumi e le ferite più nascostemediante l’arte, la musica, lo sport, il teatro e le attivitàintellettuali. L’obiettivo è far fronte all’emergenza psi-cologica dei bambini affetti da gravi disagi e stress, na-ti dentro un contesto segnato da violenza ed emargina-zione. «È una cura mediante la bellezza. Grazie a unastruttura utile per diverse attività, con tre campi dagioco, una piscina e un teatro si aiutano i ragazzi apromuovere i loro talenti. Fin dall’inizio i bambini ac-corsi erano 500. Dopo un anno ne sono diventati oltre2000», racconta Binan Kayyali.

Il secondo progetto promosso dal Centro, guidatoda fra Firas Lutfi, si chiama “Un nome, un futuro” e sirivolge in particolare all’accoglienza di bambini di stra-da, quelli senza volto, senza nome, senza famiglia, re-stituendo loro dignità, calore umano e un nido in cuici si prende cura di loro, in tempo di guerra, come intempo di pandemia. (paolo affatato)

Lutti nell’episcopato

Il sacramentino Aldo di Cillo Pagot-to, arcivescovo emerito di Paraíba, èmorto in Brasile nel pomeriggio dimartedì 14 aprile, all’età di 70 anni. Imedici stanno eseguendo accerta-menti per stabilire se il decesso è le-gato al covid-19. Il compianto presu-le era nato infatti il 16 settembre1979 in São Paulo ed era stato ordi-nato sacerdote della congregazionedel Santissimo sacramento il 7 di-cembre 1977. Eletto coadiutore di So-bal il 10 settembre 1997, aveva rice-vuto l’ordinazione episcopale il 31ottobre dello stesso anno ed era suc-ceduto per coadiuzione il 18 marzo1998. Il 5 maggio 2004 era stato pro-mosso alla sede metropolitana di Pa-raíba e il 6 luglio 2016 aveva rinun-ciato al governo pastorale dell’a rc i -dio cesi.

Monsignor Gérard Mulumba Ka-lemba, vescovo emerito di Mweka,nella Repubblica Democratica delCongo, è morto, mercoledì 15 aprile,a causa del covid-19. Il compiantopresule era nato l’8 luglio 1937 a Ka-nanga ed era stato ordinato sacerdo-te il 20 agosto 1967. Eletto alla Chie-sa residenziale di Mweka il 19 gen-naio 1989, aveva ricevuto l’o rd i n a z i o -ne episcopale il 9 luglio successivo.Il 18 febbraio 2017 aveva rinunciatoal governo pastorale della diocesi.

Monsignor Dorick McGowanWright, vescovo emerito di BelizeCity - Belmopan è morto in ospeda-le giovedì mattina, 15 aprile. Il com-pianto presule era nato a Belize Cityil 15 novembre 1945 ed era stato or-dinato sacerdote il 27 giugno 1975.Eletto alla Chiesa titolare di Timidaregia e al contempo ausiliare di Beli-ze City - Belmopan il 1° dicembre2001, aveva ricevuto l’o rd i n a z i o n eepiscopale il 4 aprile 2002. Il 18 no-vembre 2006 era stato trasferito co-me ordinario a quest’ultima sede. Eil 26 gennaio 2017 aveva rinunciatoal governo pastorale della diocesi.

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L’OSSERVATORE ROMANOvenerdì 17 aprile 2020 pagina 7

Tre vescovi esaminano la crisi della Chiesa in Francia

C a m b i a reper non scompariredi LORENZO FAZZINI

C’è il presule che vive in am-biente rurale e alpino, èabituato a farsi la spesa, a

cucinarsi e a sbrigarsi da solo le fac-cende domestiche. C’è il vescovopiù giovane di tutta la Francia ilquale, dopo studi di economia e du-rante la stagione delle Giornatemondiali della gioventù, ha rispostoalla vocazione sacerdotale. E infinec’è il presule di una città come Poi-tiers, erede di un grande teologo co-me Ilario, vescovo della stessa città.Che hanno in comune Jean-PhilippeNault, Bruno Valentin e Pascal Win-tzer? Tutti e tre questi vescovi fran-cesi hanno dato alle stampe negliultimi mesi altrettanti interessanti li-bri in cui analizzano la situazione, ledifficoltà e le sfide della Chiesa nel-la Francia (verrebbe da dire nell’Eu-ropa) contemporanea.

Tre libri, tre pastori, tre diagnosiconvergenti e un’unica preoccupa-zione: portare il Vangelo agli uomi-ni e alle donne di oggi. Jean-Philip-pe Nault, dal 2015 vescovo di Di-gne, nel dipartimento montano delsud della Francia Alpes-des-Haute-Provence, scrive L’audace de l’Évan-gile. Un évêque au coeur de la Francer u ra l e (Artège). Bruno Valentin, ve-scovo ausiliare di Versailles, alle por-te di Parigi, attualmente il presulepiù giovane dell’Esagono (è nato nel1972), pubblica Rebâtir ou laissertomber. L'Église au cœur (Éditions del’Emmanuel). Pascal Wintzer, giàausiliare di Poitiers, ora arcivescovotitolare, invece dà alle stampe Essa-yer d’autres chemins. L'Église, la mis-sion et les prêtres en France (Salva-tor).

Si diceva della situazione france-se, un paese ormai post-cristiano seè vero — come afferma una ricercapubblicata su «Le Points» nel mar-zo 2019 — che solo il 32 per centodei francesi si dice cristiano e appe-na il 19 si professa praticante. So-prattutto impressiona la quota difrancesi che si dichiarano none, cioèsenza religione: a Parigi e dintorni siarriva al 58 per cento (era il 27 nel1981). Da dove partire, dunque, peruna rinnovata presenza ecclesiale?La disamina di Nault — erede di unpresule famoso, quel François deMiollis a cui Victor Hugo si ispiròper la figura di monsignor Myrielne I miserabili — è cruda ma veritie-ra: «La fede perde velocità, i nostriabitanti delle campagne sono pressa-ti da tutte le parti, la Chiesa stessaattraversa una crisi esistenziale, icorpi intermedi si afflosciano, il nu-

mero di preti non è più sufficienteper assicurare la cura di tutto il ter-ritorio, le ideologie mettono sottoscacco la vita, la famiglia, l’umanitàin nome di una libertà diventata fol-le, il pianeta non riesce più a respi-r a re » .

Valentin, da parte sua, snocciolaulteriori motivi di disagio: «La col-lera e la vergogna davanti a cosìtante vittime di abusi; l’i n c o m p re n -sione e lo scoraggiamento davantiallo choc dei responsabili, vescovi osuperiori religiosi». Monsignor Va-lentin decide di scrivere il suo librodavanti allo sgomento di Notre-Da-me de Paris in fiamme. E parte dallamail di una donna, Florence, per la-sciarsi provocare: «Amo ascoltare ilVangelo di Gesù, pregare, leggere laBibbia, meditare, riflettere sul sensodella vita. Cerco di amare gli altri eil mio prossimo, soprattutto i piùpoveri. La mia vita è il mio cammi-no spirituale. Ma la Chiesa non hapiù il suo posto, qui. Che ne pen-sa?». Del resto la crisi della Chiesala accomuna ad altri soggetti sociali,sottolinea l’ausiliare di Versailles:«La situazione della Chiesa non èdifferente da quella dei sindacati odei partiti, che vedono anch’essi as-sottigliarsi le fila dei militanti. Ap-partenere a un’istituzione sembracome rinunciare a se stessi».

Wintzer mette in fila una serie diatteggiamenti da evitare nella dina-mica ecclesiale: «Ricevere senza tra-smettere è accettare di essere unghetto; inventare senza ricevere è ac-contentarsi di seguire le mode; tra-smettere senza inventare è adottarela logica del “copia e incolla”». Deitre presuli, monsignor Wintzer èquello che mantiene una prospettivapiù alla A Diogneto, testo che egli ci-ta parecchie volte: «Dei cristianipossono vivere in paesi le cui istitu-zioni non sono cristiane; non per ra-gioni pratiche o per rassegnazione,ma perché questo si inscrivenell’identità del cristianesimo, per-ché i fedeli di Cristo sono in realtà“cittadini del cielo”».

L’urgenza dell’evangelizzazione èfortissima nella coscienza di questipastori d’anime. Ma come fare? Acapo di una diocesi di 165.000 abi-tanti, fatta di sette valli montane,ognuna delle quali con la sua pro-pria cattedrale — erano diocesi sin-gole un tempo, oggi una di quelle èun paese (Senez) con ottanta abitan-ti — monsignor Nault rifugge dallasoluzione “donatista” di un cristia-nesimo che si rifugia tra le propriemura: «La piccola minoranza cristia-na che noi siamo deve lasciarsi rin-

novare dalla gioia della fede, che ètutto eccetto un’identità o un appar-tenenza a un gruppo. Le nostre co-munità non devono diventare delleisole chiuse su se stesse, staccate dalmondo e pronte a tutto pur di di-fendersi. Dobbiamo passare da unapastorale della conservazione a unapastorale dell’evangelizzazione».

Valentin formula così ciò che do-vrebbe essere il futuro d’azione dellaChiesa: «La sua credibilità dipendepiù che mai dalla capacità di darprova del fatto che essa può rispon-dere alle aspirazioni del cuoredell’uomo». L’essere minoranza, eora anche minoranza indicata comeorigine di alcuni mali come gli attidi abusi sessuali su minori di alcunisuoi membri, può essere una grazia,sostiene Wintzer: «L’umiliazionedella Chiesa, dei preti, dei vescovi —che è comunque poca cosa rispettoalla sofferenza delle vittime — puòforse essere un male necessario checi porta a diventare più cristiani».

Certo, la priorità dell’evangelizza-zione è qualcosa facile a dirsi. Ma afarsi? Nault suggerisce uno stile,«l’accoglienza ampia e benevolenteverso tutte le persone che si approc-ciano alla chiesa. Per esempio, ilmomento più importante nel cultonon è il culto in quanto tale, ma ilprima e il dopo. Prima, per acco-gliere ogni persona che entra inchiesa, per ascoltarla e affidarla aqualcuno. E dopo per assicurarsiche i nuovi venuti siano entrati nelladinamica della comunità». Per mon-signor Valentin il cuore della credi-bilità ecclesiale sono le opere di ca-rità, esemplificate in esperienze co-me la comunità Nuovi orizzonti, ilSecours catholique (le nostre Cari-tas), le case dell’Arche, e altre. L’ar-civescovo di Poitiers offre invececonsigli molto pratici su come essere“Chiesa in uscita”: «Ormai per lamaggior parte della popolazionefrancese il cristianesimo appare stra-

no, lontano, finanche ostile. Noi cat-tolici dobbiamo reimparare a bussa-re alle porte, ovvero a sollecitare ilfatto di essere accolti non dico inpaesi lontani ma nelle nostre propriecittà. Dobbiamo proporre Cristo e ilVangelo ai membri stessi delle no-stre famiglie, per i quali il cristiane-simo è diventato estraneo», diceW i n t z e r.

Monsignor Nault indica più voltei cinque pilastri su cui continua ainsistere nella costruzione dellaChiesa di domani: «Vita di preghie-ra, vita fraterna, formazione, preoc-cupazione per i più poveri e perl’evangelizzazione». I più poveripossono essere proprio gli abitantidelle zone rurali francesi, se è veroche secondo gli ultimi dati c’è unsuicidio al giorno tra i contadini diFrancia. Il vescovo di Digne annotacome oggi la Chiesa sembra piùpreoccupata dell’unica pecorella ri-masta dentro che delle novantanoveche si sono perse: «È forse difficilecapirlo per il piccolo gruppo di fe-deli, ma il prete è sollecitato sempredi più da quelli fuori. Le nostre par-rocchie devono diventare dei polimissionari».

Secondo Valentin il superamentodell’impasse si sostanzia in una scel-ta di campo della Chiesa, quellaecologica: «La sua credibilità oggipassa per la capacità di mostrarsi at-trice di quella salvezza che Dio do-na, soprattutto attraverso l’imp egnodei suoi membri per un’ecologia in-tegrale». Il vescovo ausiliare di Ver-sailles si pone anche la domanda dicome essere rispetto alla cultura mo-derna: «La storia ce lo insegna: secostruiamo la Chiesa come una lineaMaginot di fronte alle avanzate del-la modernità, il mondo ben prestosurclasserà questa opera di difesainutile e proseguirà la sua marciasenza di noi. Per contro, non si trat-ta di entrare nella tentazione oppo-sta di limitarci a un semplice ma-quillage di facciata». Gli fa ecomonsignor Wintzer: «Essere cristianisuppone di essere capaci non di vi-vere in una “re s i s t e n z a ” p ermanenteall’opinione comune, al potere poli-tico, ai media, ma di poter dire “no”ai comportamenti da pecoroni e aglislogan del momento». Al contempo,«sarà sempre possibile negare larealtà, rifiutare la società globalizza-ta, multiculturale e multireligiosadel XXI secolo, ma il rifiuto dellarealtà, piuttosto che essere un aiutoall’azione, ne sopprime ogni possibi-lità».

Nault ha chiaro che il problemanon sono le strutture, ma l’animadei cristiani: «La nostra vocazionebattesimale non ci fa custodi di unmuseo, ma poveri e peccatori che,avendo fatto l’esperienza di un Dioche ci ama e ci ha salvato, voglionovivere e testimoniare questo fatto.La Chiesa deve rendersi semplice erendere leggera la sua struttura, percessare di appoggiarsi su se stessa, escoprire che essa deve appoggiarsisu nient’altro che Dio». Il suggeri-mento ecclesiale di Valentin è espli-cito: «Una parrocchia deve restareun gruppo di persone che non han-no niente in comune salvo Cristo.Diffidiamo di quando le nostre co-munità cristiane si costituiscono deicriteri di affinità troppo umani per-ché non esiste nessun criterio umanodi unità che non sia simultaneamen-te un criterio di esclusione: un grup-po di giovani è un gruppo senza ivecchi, e viceversa». Il presule indi-ca come necessaria la riforma dellestrutture ecclesiali, a esempio unamaggiore partecipazione femminilenei luoghi di responsabilità ecclesia-li: «Nella nostra diocesi di Versaillesdue donne siedono nel consiglioepiscopale». Il male da combattere è«il clericalismo», afferma facendoeco a Papa Francesco, «questa ma-lattia ecclesiale che ha la sua sorgen-te nell’ignoranza del lavoro delloSpirito santo in noi. Il clericalismo èil disprezzo del battesimo».

Parigi, i rintocchi di una campanaper ricordare l’incendio di un anno fa a Notre-Dame

Messaggio dell’episcopato italiano per il 1° maggio

Dignità del lavoroin un’economia sostenibileROMA, 16. «Costruire un’economiadiversa non solo è possibile, ma èl’unica via che abbiamo per salvarcie per essere all’altezza del nostrocompito nel mondo. È in gioco lafedeltà al progetto di Dio sull’uma-nità». È questo il grande auspiciocontenuto nel messaggio dellaCommissione episcopale per i pro-blemi sociali e il lavoro, la giustiziae la pace della Conferenza episco-pale italiana (Cei), per la festa del1° maggio e intitolato «Il lavoro inun’economia sostenibile».

L’emergenza seguita alla diffusio-ne del covid-19 sta insegnando, sot-tolineano i vescovi, che «le vicendedell’esistenza rimescolano le carte avolte in maniera improvvisa, rive-lando la nostra realtà più fragile. Ciha fatto comprendere quanto è im-portante la solidarietà, l’interdip en-denza e la capacità di fare squadraper essere più forti di fronte a rischied avversità». Una riflessione pienadi speranza per una ricostruzionesociale da compiersi con il contri-buto di ognuno, «in un pianeta cheè sempre di più comunità globale».

La principale preoccupazione èper le sorti del mondo del lavoro,che ha prima rallentato e poi ha vi-sto fermarsi la propria attività, sotto-lineano i vescovi, con danni impor-tanti, soprattutto per gli imprendito-ri «che in questi anni hanno investi-to per creare lavoro e si trovano orasulle spalle ingenti debiti e grandipunti interrogativi circa il futurodella loro azienda». Il rischio mag-giore riguarda le piccole e medie im-prese, le quali «devono competere alivello globale e si vedono costrettea chiusure forzate, senza poter ri-spondere alla domanda di beni eservizi. Giorno dopo giorno, ora do-po ora, comprendiamo il serio ri-schio che grava su molti lavoratori emolte lavoratrici».

L’emergenza sanitaria, si osservanel documento, ha portato con sé«una nuova emergenza economica»generando una quantità rilevante dipersone “scartate”. Un problema,rilevano i presuli, non più percepi-bile semplicemente con le tradizio-nali statistiche di occupazione e di-soccupazione — «perché il lavoroanche quando non manca, spesso èprecario, povero, temporaneo, lon-tano da quei quattro attributi defi-niti da Papa Francesco: libero, crea-tivo, partecipativo, solidale» (Evan-gelii gaudium, 192) — ma anchestrettamente connesso alla questio-ne dei cambiamenti climatici.

Quali sono allora le strade dapercorrere «senza ulteriori ritardi oesitazioni», per fare fronte a una si-tuazione divenuta sempre più inso-stenibile? Ad esempio, favorire unatransizione «verso un modello capa-ce di coniugare la creazione di valo-re economico con la dignità del la-voro e la soluzione dei problemi am-bientali» come riscaldamento globa-le, smaltimento dei rifiuti, inquina-mento. L’orizzonte è quello dell’eco -logia integrale della Laudato si’ cheriprende e attualizza il messaggiodella dottrina sociale della Chiesadavanti alle nuove sfide. «Abbiamobisogno di un’economia che mettaal centro la persona, la dignità dellavoratore e sappia mettersi in sinto-nia con l’ambiente naturale senzaviolentarlo, nell’ottica di uno svilup-po sostenibile», precisano i vescovi.

«Nessuno deve perdere lavoro peril coronavirus» è stato lo slogan piùvolte ripetuto all’indomani della cri-si. Perché questo appello abbia suc-cesso, rimarca la Cei, evitando leconseguenze negative di breve e me-dio termine, è fondamentale adotta-re misure di aiuto a famiglie e im-prese che garantiscano la tuteladell’impiego, soprattutto di quellosvolto dalle categorie solitamentepiù fragili e meno protette come ilavoratori autonomi, gli irregolari oquelli con contratti a tempo deter-minato. Il tutto rispettando le con-dizioni del luogo di lavoro, conside-rando che in questi giorni di crisi,precisa il messaggio, coloro che svol-gono attività in special modo neisettori manifatturiero, alimentare elogistico hanno assicurato beni eservizi necessari lavorando in condi-zioni difficili e non sempre in sicu-re z z a .

È necessario quindi trasformarel’economia attuale, viene ribadito,in un’economia a misura d’uomo. Èl’obiettivo imprescindibile per unasocietà più equa e solidale, «all’al-tezza del nostro compito nel mon-do». Essere all’altezza significa an-che colmare quei «profondi divariterritoriali», consistenti in regioni ezone vicine alla piena occupazionee altre dove il lavoro manca costrin-gendo molti a migrare, con unosfruttamento spesso indiscriminato

della manovalanza extracomunita-ria. Anche così è possibile ridareforza e dignità al lavoro avvalendo-si magari del progresso tecnologico,che non va demonizzato ma anziconsiderato un «preziosissimo allea-to per sconfiggere più rapidamenteun’epidemia o aiutarci a coltivarerelazioni affettive e di lavoro a di-stanza, in un momento di necessa-ria limitazione delle nostre libertàdi movimento». Non è il progressoscientifico e tecnologico che “ru b a ”il lavoro, puntualizzano i vescovi,ma l’inadeguatezza di alcune politi-che sociali ed economiche.

Di comportamenti adeguati e re-sponsabili al fine del contenimentodell’epidemia devono rendersi pro-tagonisti anche i cittadini, esorta ildocumento, premiando ad esempiocon scelte mirate prodotti e impreseche danno più dignità al lavoro:scelte che costituiscono «una levadi trasformazione che rende anchela politica consapevole di avereconsenso alle spalle quando si im-pegna con decisione a promuoverela stessa dignità del lavoro».

Una missione comune da svolge-re nelle diverse dimensioni del no-stro vivere, è il pensiero espresso aconclusione del messaggio, come ri-sparmiatori e consumatori consape-voli nonché utilizzatori dei nuovimezzi di comunicazione digitali, aiquali è richiesto «un contributo allacostruzione di un modello socialeed economico dove la persona siaal centro e il lavoro più degno. Co-sì, senza rimuovere impegno e fati-ca, si può rendere la persona con-creatrice dell’opera del Signore egenerativa».

Per gli 80 annidel cardinale

Agostino ValliniROMA, 16. Gli auguri di un «se-reno e felice compleanno» a no-me della comunità diocesana so-no stati rivolti dal cardinale vica-rio di Roma, Angelo De Dona-tis, al suo predecessore, cardinaleAgostino Vallini, che il 17 aprilecompie 80 anni. Al porporato,vicario di Roma dal 2008 al2017, viene ribadito il ringrazia-mento «per la sua esistenza do-nata a Cristo e al servizio dellaSua Chiesa», benedicendo il Si-gnore «per il dono della Sua vi-ta, per il Suo sacerdozio e pergli anni del Suo ministero svoltonella Chiesa di Roma». E, allaluce del Risorto, «che illumina einfonde speranza» viene assicu-rata vicinanza spirituale e ricor-do nella preghiera.

PARIGI, 16. Il grande campanone della torre sud diNotre-Dame di Parigi ha risuonato ieri sera in ricordodell’incendio della cattedrale che, giusto un anno fa,aveva commosso il mondo intero. È stato l’unico even-to programmato sul cantiere, i cui lavori sono stati in-terrotti a metà marzo a causa della pandemia da coro-navirus. Il generale Jean-Louis Georgelin, presidentedell’Ente pubblico incaricato del restauro del gioiellogotico della capitale francese, ha preso la decisione disuonare questa campana — con le sue tredici tonnellateè la seconda più grande in Francia dopo quella del Sa-cré-Cœur — «in unione con i francesi che allo stessoorario applaudono ogni sera il personale sanitario im-pegnato contro il coronavirus».

Innanzitutto «casa di preghiera per tutte le perso-ne», la cattedrale di Notre-Dame «parla ai cuori dei

credenti come ai cuori dei non credenti, tutti sulla so-glia dello stesso mistero, tutti affascinati dallo splendo-re della bellezza», ricorda l’arcivescovo di Parigi, mon-signor Michel Aupetit, in occasione del primo anniver-sario del disastro. «Quale sarà la cattedrale per il 21°secolo? Quella che è sempre stata, per cosa è stata co-struita: la lode di Dio e la salvezza degli uomini», pro-segue il presule, auspicando che la chiesa «rimanga fe-dele a ciò che è (...), il misterioso Tempio della Presen-za del Signore che invita tutti al pellegrinaggio».L’edificio è ancora in fase di “assoluta emergenza” e ilrestauro vero e proprio non è ancora iniziato. Tuttavia,il presidente Macron ha ribadito che «tutto» sarà fattoper riaprire l’edificio religioso in cinque anni, come siera impegnato a fare subito dopo il disastro.

Nominaepiscopalein Polonia

Grzegorz Suchodolskiausiliare di Siedlce

Nato il 10 novembre 1963 aŁuków, nella diocesi di Siedlce,dopo gli esami di maturità è sta-to accolto nel seminario maggio-re e, compiuti gli studi filosofi-co-teologici, è stato ordinato sa-cerdote l’11 giugno 1988 per ilclero di Siedlce. È stato vicarioparrocchiale di San Zygmunt aŁosice (1988-1990) e, in seguito,è stato inviato a Roma, primapresso la Pontificia UniversitàGregoriana e dopo presso laPontificia Università San Tom-maso d’Aquino Angelicum, dovenel 1996 ha conseguito la licenzain Dottrina sociale della Chiesa.Dopo il ritorno in diocesi è statodirettore dell’ufficio per la pasto-rale universitaria (1996-2006) edell’ufficio nazionale per leGiornate mondiali della gioventù(1996-2016). Dal 2006 al 2010 èstato parroco della Beata VergineMaria Regina della Polonia aKopcie e dal 1° ottobre 2016 èparroco della cattedrale di Siedl-ce e decano della città. Attual-mente è membro del collegio deiconsultori, del consiglio presbite-rale e canonico del capitolo cat-tedrale.

Page 8: Il Papa prega per i farmacisti - Vatican News...problema del debito in Italia è risol-vere il problema della crescita in Ita-lia, che è stata deludente negli ultimi tre decenni»

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 venerdì 17 aprile 2020

A Santa Marta il Pontefice parla della gioia rilanciando l’attualità dell’«Evangelii nuntiandi» di Paolo VI

Il grazie ai farmacistiche lavorano per aiutare chi soffre

«In questi giorni mi hanno rimpro-verato perché ho dimenticato di rin-graziare un gruppo di persone cheanche lavora. Ho ringraziato i medi-ci, infermieri, i volontari... “ma lei siè dimenticato dei farmacisti”: ancheloro lavorano tanto per aiutare gliammalati a uscire dalla malattia.Preghiamo anche per loro». È ricor-dando il servizio dei farmacisti (soloin Italia ne sono morti otto dall’ini-zio della pandemia) che Papa Fran-cesco ha iniziato, giovedì mattina 16aprile, la celebrazione della messa —trasmessa in diretta streaming — nel-la cappella di Casa Santa Marta.

«In questi giorni, a Gerusalemme,la gente aveva tanti sentimenti: lapaura, lo stupore, il dubbio» ha det-to il vescovo di Roma nell’omelia,prendendo spunto dal passo degliAtti degli apostoli (3, 11-26) propo-sto dalla liturgia. «In quei giorni,mentre lo storpio guarito trattenevaPietro e Giovanni, tutto il popolo»,era «fuori di sé per lo stupore» silegge nel brano. A Gerusalemmedunque — ha spiegato il Papa rife-rendosi anche al passo del Vangelodi Luca (24, 35-48) — «c’è un am-biente non tranquillo perché accade-vano cose che non si capivano. Il Si-gnore è andato dai suoi discepoli.Anche loro sapevano che era già ri-sorto, anche Pietro lo sapeva perchéaveva parlato con lui quella mattina.Questi due che erano tornati da Em-maus lo sapevano, ma quando il Si-gnore è apparso si spaventarono».

Tanto che Luca scrive nel Vangeloche i discepoli erano «sconvolti epieni di paura, credevano di vedereun fantasma». Ma, ha fatto presenteFrancesco, «la stessa esperienzal’avevano avuta sul lago, quandoGesù è venuto camminando sulle ac-que». E in quella occasione «Pietro,facendosi coraggioso, ha scommessosul Signore, ha detto: “Ma se sei tu,fammi andare sulle acque”» (cfr.Ma t t e o 14, 28). Invece quando il Si-gnore risorto appare ai discepoli, haaffermato il Pontefice, «Pietro erazitto, aveva parlato con il Signore,quella mattina, e di quel dialogonessuno sa cosa si erano detti e perquesto era zitto». Insomma, i disce-poli «erano così pieni di paura,sconvolti, credevano di vedere unfantasma». Allora il Signore dice lo-ro: ma no, «perché siete turbati, eperché sorgono dubbi nel vostrocuore? Guardate le mie mani e imiei piedi» (cfr. Luca 24, 38-39). Emostra loro «le piaghe, quel tesoroche Gesù ha portato in Cielo perfarlo vedere al Padre e intercedereper noi: “Toccatemi e guardate; unfantasma non ha carne e ossa”».

A questo punto del racconto, haconfidato Francesco, «viene una fra-se che a me dà tanta consolazione e,per questo, questo passo del Vange-lo è uno dei miei preferiti: “Ma poi-ché per la gioia non credevano anco-ra ed erano pieni di stupore”» (cfr.Luca 24, 41). Ecco che «la gioia im-pediva loro di credere». Insomma,ha fatto notare il Papa, «era tantaquella gioia che» era come se dices-sero a se stessi: «No, questo nonpuò essere vero; questa gioia non èreale, è troppa gioia». E proprioquesto stato d’animo di gioia «impe-diva loro di credere».

«La gioia», dunque, «i momentidi grande gioia». E così i discepoli«erano strapieni di gioia ma paraliz-zati per la gioia». E proprio «lagioia — ha spiegato il Pontefice — èuno dei desideri che Paolo ha per isuoi di Roma: “Che il Dio della spe-ranza vi riempia di gioia”» (cfr. Let-tera ai Romani 15, 13).

Sì, «riempire di gioia, essere pienodi gioia» ha rilanciato il Papa. «Èl’esperienza della consolazione più

alta, quando il Signore ci fa capireche questa è un’altra cosa dall’e s s e reallegro, positivo, luminoso. No, èun’altra cosa essere gioioso ma pienodi gioia, una gioia traboccante che ciprende davvero». E «per questoPaolo augura ai romani che “il Diodella speranza vi riempia di gioia”».

La parola, l’espressione «riempiredi gioia», ha rimarcato Francesco,«viene ripetuta, tante, tante volte».Per esempio «quando nel carcere

Paolo salva la vita al carceriere chestava per suicidarsi perché si eranoaperte le porte con il terremoto epoi gli annuncia il Vangelo, lo bat-tezza; e il carceriere, dice la Bibbia,era “pieno di gioia” per aver credu-to» (cfr. Atti degli apostoli 16, 29-34).E «lo stesso accade con il ministrodell’economia di Candàce, quandoFilippo lo battezzò, sparì, lui seguìil suo cammino “pieno di gioia”»(cfr. Atti degli apostoli 8, 39). E, an-cora, ha aggiunto il Papa, «lo stessosuccesse nel giorno dell’Ascensione:i discepoli tornarono a Gerusalem-me, dice la Bibbia, “pieni di gioia”»(cfr. Luca 24, 52).

«È la pienezza della consolazione,la pienezza della presenza del Signo-re» ha spiegato il Pontefice. «Per-ché, come Paolo dice ai Galati (cfr.5, 22), “la gioia è il frutto dello Spi-rito Santo”, non è la conseguenza diemozioni che scoppiano per una co-sa meravigliosa. No, è di più». Pro-prio perché «questa gioia che ciriempie è il frutto dello Spirito San-to» e «senza lo Spirito non si puòavere questa gioia: ricevere la gioiadello Spirito è una grazia».

«Mi vengono in mente — ha sug-gerito Francesco — gli ultimi numeri,gli ultimi paragrafi dell’EsortazioneEvangelii nuntiandi di Paolo VI (cfr.79-80), quando parla dei cristiani

gioiosi, degli evangelizzatori gioiosi,e non di quelli che vivono sempregiù». E «oggi è un giorno bello» —ha raccomandato — per rileggere lepagine di quel documento, «pieni digioia». Ed è «questo che ci dice laBibbia: “Ma poiché per la gioia nonc re d e v a n o ”». Sì, la gioia era così«tanta che non credevano».

«C’è un passo del libro di Neemia(cfr. 8, 1-12) che ci aiuterà oggi inquesta riflessione sulla gioia» ha

chiarito il Papa. «Il popolo tornatoa Gerusalemme ha ritrovato il librodella legge: è stato scoperto di nuo-vo, perché loro sapevano la legge amemoria» ma «il libro della leggenon lo trovavano». E così fecero una«grande festa e tutto il popolo siriunì per ascoltare il sacerdote Esdrache leggeva il libro della legge». E«il popolo commosso piangeva,piangeva di gioia perché aveva tro-vato proprio il libro della legge e

piangeva, era gioioso: il pianto». Edecco che, «alla fine quando il sacer-dote Esdra finì, Neemia disse al po-polo: “State tranquilli, adesso nonpiangete più, conservate la gioia,perché la gioia nel Signore è la vo-stra forza”».

Proprio «questa parola del librodi Neemia ci aiuterà oggi» ha con-cluso il Pontefice. «La grande forzache noi abbiamo per trasformare,per predicare il Vangelo, per andareavanti come testimoni di vita è lagioia del Signore che è frutto delloSpirito Santo, e oggi chiediamo aLui di concederci questo frutto».

Infine con la preghiera di sant’Al-fonso Maria de’ Liguori il Papa hainvitato «le persone che non posso-no comunicarsi» a fare la comunionespirituale. Concludendo la celebra-zione con l’adorazione e la benedi-zione eucaristica. Per poi affidare —accompagnato dal canto dell’antifo-na Regina caeli — le sue preghiere al-la Madre di Dio davanti all’immagi-ne mariana nella cappella di CasaSanta Marta.

Successivamente, a mezzogiorno,nella basilica Vaticana il cardinalearciprete Angelo Comastri ha rilan-ciato la preghiera del vescovo di Ro-ma guidando la recita del Reginacaeli e del rosario.

«L’opzione per il “Logos”nel pontificato di Francesco»

Su «La Civiltà Cattolica»

L’evangelizzazione secondo Montini

«Conserviamo dunque il fervore dello spirito. Conserviamo la dolce econfortante gioia d’evangelizzare, anche quando occorre seminare nellelacrime. Sia questo per noi — come lo fu per Giovanni Battista, perPietro e Paolo, per gli altri Apostoli, per una moltitudine distraordinari evangelizzatori lungo il corso della storia della Chiesa —uno slancio interiore che nessuno, né alcuna cosa potrà spegnere. Siaquesta la grande gioia delle nostre vite impegnate. Possa il mondo delnostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, riceverela Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazientie ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradii fervore, cheabbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino dimettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e laChiesa sia impiantata nel cuore del mondo». (Paolo VI, Evangeliinuntiandi, 80)

centro del cristianesimo romano abbia promossola memoria di pagani quali Platone, Aristotele,o anche Averroè. Nelle comunità cristiane degliinizi non era evidente che la fede potesse inte-grare elementi di tradizioni pagane e potesse la-sciarsi istruire da esse. In effetti, se Cristo portaa compimento la rivelazione iniziata dall’anticaAlleanza, perché si dovrebbero ascoltare paganicome Aristotele o musulmani come Averroè?Non è sufficiente seguire Mosè, i profeti e gliapostoli che il Si-gnore ha scelto? Rispondendoa queste domande, Joseph Ratzinger sostieneche il cristianesimo ha adottato una «opzionefondamentale» per il logos. Questa scelta essen-ziale rende possibile una certa comunione tra ilcristianesimo e le altre tradizioni filosofiche ereligiose (pagane). Secondo il teologo tedesco,poi diventato Papa, nella misura in cui la“Chiesa primitiva” credette che il suo Dio e lasua fede fossero legati alla verità, i cristiani sisono schierati dalla parte dei filosofi che conte-stavano le religioni i cui miti non sarebbero cheillusioni. La scelta per il logos, in opposizione almythos, si traduce nella scelta «per il Dio deifilosofi e contro gli dèi delle religioni [quellidella mitologia greca dell’epoca]» (J. Ratzinger,La foi chrétienne hier et aujourd’hui, Paris, Cerf,2005, 80).

Benedetto XVI compie 93 annie prega per i malati di covid-19

Anticipiamo stralci dall’articolo «L’opzione per il“Logos” nel Pontificato di Francesco» in uscita sulprossimo numero di «La Civiltà Cattolica» (18aprile/2 maggio 2020).

di ANDREAS LIND

Rivolgendosi ai membri del Parlamentoeuropeo, il 25 novembre 2014, Papa Fran-cesco è ricorso all’immagine suggerita

dagli affreschi dipinti da Raffaello in una Stan-za del Vaticano: la celebre Scuola di Atene, costi-tuita da un incontro tra diversi filosofi pagani,dall’antichità greca fino all’epoca dell’ap ogeomusulmano, la cui presenza è indicata dal postoche vi occupa Averroè. Il Papa ha affermato chePlatone, con il dito che punta verso il cielo, eAristotele, che tende la mano verso la terra, «so-no un’immagine che ben descrive l’Europa e lasua storia, fatta dal continuo incontro tra cielo eterra». (Strasburgo, 25 novembre 2014. Su Raf-faello e le Stanze del Vaticano, cfr. G. Pani,«Raffaello: luci e ombre nella vita di un genio»,in «La Civiltà Cattolica» 2020 I 582-595).

Per la maggior parte dei pellegrini che con-templano questi affreschi situati nel cuore dellaRoma cattolica sembra ormai normale che il

Per quanto paradossale possa apparire, questaopzione, che a prima vista sembra condurreall’intransigenza, può portare anche al dialogocon culture che si sono sviluppate al di fuoridella cornice della rivelazione cristiana. Infatti,essa reca una tensione che segna il cristianesimonella pluralità delle sue concretizzazioni. Dauna parte, questa opzione ha implicato il marti-rio di molti cristiani che rifiutavano categorica-mente di rendere un culto — religioso e idolatra— all’imperatore, evitando così di considerarlocome un semidio. Dall’altra parte, è a partire daessa che alcuni pagani furono integrati nella tra-dizione cristiana: san Giustino, per esempio, de-finì «cristiano» persino Socrate, nella misura incui questo filosofo greco fu fedele al logos nonsoltanto nella ricerca intellettuale della verità,ma anche per la sua condotta di vita e per lasua aspirazione al Bene supremo.

Alla base dell’opzione fondamentale per il lo-gos c’è la dottrina degli spérmata tou Logou (“se-mi del Verbo”), che i Padri della Chiesa hannoteorizzato durante e dopo le persecuzioni inizia-li inflitte dall’Impero romano ai cristiani. Taledottrina sembra poter fondare una teologia del-le religioni secondo la quale tutto il genereumano, e perfino l’intera creazione, contiene se-mi del Verbo: gli esseri umani sono partecipidella Verità di Dio, perché tutto è impregnatodei semi divini. Che «l’intero genere umano» ri-ceva questi semi, che partecipi al Logos che èCristo (cfr. D. Minns - P. Parvis [eds], Justin,Philosopher and Martyr: Apologies, Oxford,Oxford University Press, 2009, 198-201 [su I

Ap o l o g i a , 46,1-6]), Papa Francesco lo affermaesplicitamente in un’intervista rilasciata a p. An-tonio Spadaro: «Io ho una certezza dogmatica:Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vi-ta di ciascuno» (in «La Civiltà Cattolica» 2013III 470)

[...] L’era di Jorge Mario Bergoglio sulla cat-tedra di Pietro non è esente da polemiche.Infatti, a volte si assiste, all’interno della Chiesa,a uno scontro in merito alla posizione di questoPapa, in particolare riguardo alla pena di morte,alla tollerante vicinanza ai musulmani, per nonparlare dei dubbi che sono stati sollevati aproposito dell’esortazione apostolica Amoris lae-titia (cfr. P. Stagi, Francesco: pensieri e parole.Etica, società e politica, Roma, Castelvecchi,2019, 15-17).

Il paradigma secondo cui Papa Francescosembra pensare e agire può essere interpretato,a nostro avviso, come un modo di comprenderee di vivere la fede nel Dio legato al logos. Sitratta di un cammino che cerca la comunionesenza annullare le differenze di vita, prospettivee tradizioni.

L’opzione per il logos in Francesco non rap-presenta soltanto l’opzione della Chiesa primiti-va per la filosofia, per la ragione univer-sale, maanche il tentativo, da parte della stessa comuni-tà ecclesiale, di suscitare una maggiore integra-zione: «La strada della Chiesa, dal Concilio diGerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù:della misericordia e dell’integrazione» (Omelianella Messa con i nuovi cardinali e il collegio car-dinalizio, basilica Vaticana, 15 febbraio 2015).

È quindi una lettura della missione dellaChiesa come promotrice della «cultura dell’in-contro», a immagine di Gesù misericordioso.

Basandosi sulla prospettiva di Benedetto XVI, ri-guardo alla fede in Dio da cui procede il Logos,Papa Francesco afferma: «Un [...] criterio ispi-ratore [...] è quello del dialogo a tutto campo:non come mero atteggiamento tattico, ma comeesigenza intrinseca per fare esperienza comuni-taria della gioia della Verità e per approfondirneil significato e le implicazioni pratiche. [...] Co-me ha sottolineato Papa Benedetto XVI, “la veri-tà è ‘logos’ che crea ‘dia-logos’ e quindi comu-nicazione e comunione”. In questa luce, la Sa-pientia christiana, richiamandosi alla Gaudium etspes, invita a favorire il dialogo con i cristianiappartenenti alle altre Chiese e comunità eccle-siali e con coloro che aderiscono ad altre con-vinzioni religiose o umanistiche» (Id., Costitu-zione apostolica Veritatis gaudium, n. 4).

Citando la Caritas in veritate (Cv), n. 4, Fran-cesco ricorre alla dottrina della presenza dei se-mi divini in tutta la creazione per indicare lapossibilità di un dialogo tra la Chiesa e le altretradizioni, anche non cristiane. Sembra quindiche egli, per quanto riguarda l’«opzione fonda-mentale», ne tragga soprattutto la conseguenzadi un dialogo come luogo di incontro tra perso-ne diverse, prospettive diverse e percorsi diversi.

Nel corso dei precedenti pontificati — in par-ticolare, quelli di san Giovanni Paolo II e di Be-nedetto XVI — l’opzione del cristianesimo per illogos si concentrava soprattutto sull’armonia trafede e ragione. Papa Francesco sviluppa l’armo-nia fra i vari esseri umani, nella pluralità delleloro culture. Pertanto, più che dichiarare l’uni-versalità della verità cristiana assoluta, applica-bile a tutte le epoche e culture umane, egli cer-ca di rendere possibile la comunione tra cultureo tradizioni diverse.

di ALESSANDRO GISOTTI

Nel segno della sobrietà e della gra-titudine al Signore. Così Benedet-to XVI sta trascorrendo il suo 93o

compleanno al monastero Mater Eccle-siae in Vaticano. Nel rispetto delle misureanti contagio, racconta ai media vaticani l’arcivescovo Georg Gänswein, il Papaemerito non ha ricevuto visite. Tuttavia,prosegue il segretario particolare di Rat-zinger, sta ricevendo numerose telefonatedi auguri in queste ore, in particolare dalfratello Georg. Tanti anche i messaggi au-gurali che stanno arrivando via posta e viaemail. Il Papa emerito, afferma il prefettodella Casa pontificia, è costantemente in-formato dell’evolversi della pandemia eprega quotidianamente per i malati equanti soffrono a causa del virus. «È statoanche particolarmente colpito — confida ilsuo segretario — dai tanti sacerdoti, medicie infermieri morti, in particolare nel NordItalia, nello svolgimento del proprio servi-

zio per i malati di coronavirus». Benedet-to XVI, conclude, «partecipa di questo do-lore», segue «con preoccupazione» ma«non si lascia rubare la speranza».

Iniziata con la messa nella cappella delmonastero, una celebrazione più solennedel solito, la giornata al Mater Ecclesiae prosegue scandita da momenti di preghie-ra e letture, ma anche da altri dedicati aicanti tipici della Baviera, patria di Bene-detto XVI. Particolarmente gradito il donoche il Papa emerito ha ricevuto stamani:una voluminosa biografia scritta dal gior-nalista tedesco Peter Seewald, in uscita ilprossimo 4 maggio. «All’inizio — confidamonsignor Gänswein — Seewald intendevapresentarlo di persona in questi giorni alPapa emerito. Purtroppo la pandemia loha reso impossibile». La biografia di See-wald Benedetto XVI - una vita sarà pubbli-cata dalla casa editrice Droemer Knaur.L’autore ha pubblicato diversi libri-intervi-sta con il Papa emerito, tra cui i best sellerLuce del mondo e Ultime conversazioni.

A Santo Spirito in Sassia

Messa del Papanella Domenica

della DivinaM i s e r i c o rd i a

Nel giorno della festa della DivinaMisericordia, il 19 aprile, Papa Fran-cesco presiederà alle 11 la celebrazio-ne eucaristica nella chiesa di SantoSpirito in Sassia — a pochi passi dal-la Città del Vaticano — punto di ri-ferimento per la spiritualità legataalla testimonianza di santità di suorFaustyna Kowalska. Al termine dellamessa, che sarà celebrata in formaprivata, il vescovo di Roma guiderà,a mezzogiorno, la recita della pre-ghiera del Regina Caeli.

Questa celebrazione, nella primadomenica dopo Pasqua, assume unparticolare significato, in questotempo di pandemia, per il ventesimoanniversario della canonizzazione disanta Faustyna Kowalska e dell’isti-tuzione stessa della Domenica dellaDivina Misericordia da parte di sanGiovanni Paolo II durante il Grandegiubileo del 2000.

Per dare l’opportunità a tutti, nelmondo, di unirsi spiritualmente alPontefice, la messa e la recita delRegina Caeli saranno trasmesse in di-retta televisiva da Vatican Media ein streaming sul sito Vatican Newscon i commenti in lingua italiana,francese, inglese, tedesca, spagnola,portoghese e araba. Le immaginidell’evento saranno distribuite daVatican Media agli operatori dellacomunicazione che ne faranno ri-chiesta.


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