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Il processo - Aracne editrice · Introduzione Franz Kafka lavorò al Processo dai primi...

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Franz Kafka Il processo a cura di Enrico De Angelis traduzione di Anna Gerratana
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Franz Kafka

Il processo

a cura diEnrico De Angelis

traduzione di Anna Gerratana

Copyright © MMIXARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–2294–8

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: gennaio 2009

Introduzione

Franz Kafka lavorò al Processo dai primi dell’agosto 1914 al dicem-bre dello stesso anno: il 7 dicembre scrisse la prima pagina del capi-tolo “Viaggio dalla madre”, il 13 una pagina dell’esegesi della leg-genda “Davanti alla legge” nel capitolo “Nel duomo”. Presumibilmentevi lavorò ancora fino al 20 gennaio 1915, in qualche modo vi misemano nei primi mesi dello stesso anno. Morendo il 3 giugno 1924 lolasciò incompiuto, con la raccomandazione all’amico scrittore MaxBrod di distruggerlo, insieme con gli altri inediti. Brod invece lo pubb-licò nel 1925, cercando di evitare che il lettore ne ricevesse un’im-pressione di incompletezza.

Kafka aveva scritto Il processo su vari quaderni o comunque su car-ta proveniente da vari quaderni; poi ne aveva staccato i fogli, li ave-va fascicolati capitolo per capitolo (tranne i primi due capitoli, cheaveva tenuto insieme) e aveva raccolto il tutto in una cartella. Nessunfascicolo era numerato. In alcuni casi si può riconoscere con certezzal’ordine originario: per esempio “Il fustigatore” è stato scritto – o al-meno è stato iniziato a scrivere – a seguito del secondo capitolo, dun-que come terzo capitolo. Prova ne è che la prima metà della sua pri-ma pagina reca il finale del secondo capitolo. Poi però era stato sciol-to da quel legame e fascicolato a parte, mentre il finale del secondocapitolo venne copiato (in parte con stenografia) su un foglio a partee aggiunto a quel fascicolo. Analogamente Kafka procedette:- con il finale di “Avvocato”, per poterne staccare il capitolo “Il pro-

curatore di stato”, scritto a seguito di quello;- con l’inizio di “Nella sala vuota”, già scritto a seguito del capitolo

“Prima udienza”;- con il finale di “Nella sala vuota”, già scritto prima dell’inizio del

capitolo “L’amica della Bürstner”.I primi due capitoli non hanno titolo, o almeno non ce n’è traccia.

Brod manifestamente non percepì la loro separazione, segnalata da unbreve tratto orizzontale, che ricorre anche in altri casi (prima del “Fu-stigatore”, prima di “Il procuratore di stato”, a separare “Prima udienza”da “Nella sala vuota” e questo capitolo da “L’amica della Bürstner”).

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Così pubblicò i due capitoli come fossero uno solo. Lo provvide an-che di un titolo, di cui non sappiamo da dove lo abbia ricavato. In ge-nerale sottopose il manoscritto a una redazione; sciolse le abbrevia-zioni, trascrisse le parti stenografate, corresse quelle che gli parverosviste di Kafka, decise soluzioni grammaticalmente corrette per frasiscorrette, infine rettificò l’ortografia secondo le norme allora valide. Iltesto da lui edito nel 1925 era organizzato nel seguente modo:

1. Arresto. Conversazione con la signora Grubach. Poi signorinaBürstner [= Qualcuno doveva aver calunniato - Quella primavera]

2. Prima udienza3. Nella sala delle udienze vuota / Lo studente / Le cancellerie4. L’amica della signorina Bürstner5. Il fustigatore6. Lo zio / Leni7. Avvocato / Industriale / Pittore8. Il commerciante Block / Revoca dell’avvocato9. Nel duomo10. Fine

Dunque Brod numerò i capitoli e li organizzò nella successione oramostrata. Quest’edizione determinò il successo e le interpretazioni delProcesso. In edizioni successive, a partire dalla seconda, del 1935,Brod pubblicò anche quelli che chiamò capitoli incompiuti, nella se-guente successione e facendoli seguire ai dieci già elencati, dai qualili tenne separati:

Da ElsaViaggio dalla madreIl procuratore di statoLa casaLotta con il vicedirettoreUn frammento [= Quando uscirono dal teatro]

Col successo di Kafka si fecero sentire anche i dubbi sull’edizione.Poiché il manoscritto rimase a lungo inaccessibile, quei dubbi venne-ro alimentati dalla logica interna del complesso di capitoli organizza-

6 F. Kafka Il processo

ti in romanzo. Soprattutto ci fu chi si convinse che la separazione deicapitoli in compiuti e incompiuti non era giustificata. E così venneavanzata nel 1953 da Hermann Uyttersprot una proposta di orga-nizzazione globale, basata sulla cronologia interna. Ci furono polemi-che, seguirono altre proposte, che però ormai cercavano di organizza-re tutti i capitoli in un disegno globale, senza più la dicotomia asseri-ta da Brod. Le proposte si orientavano sulla cronologia oppure sullaconseguenzialità della vicenda. Nessuna poteva riferirsi ai manoscrit-ti, perché questi restavano inaccessibili. Fino al 1990 l’edizione di Brodfu l’unica che si poté leggere; i dibattiti che ci furono restarono con-finati a sedi specialistiche, il grande pubblico non ne ebbe alcun frutto.

Ai manoscritti poté finalmente accedere Malcom Pasley per la suaedizione critica (1990). Eppure le cose non cambiarono sostanzialmenterispetto all’edizione Brod. Pasley capì, è vero, che quello che per Brodera un unico primo capitolo, in realtà erano due. Inoltre espunse daicapitoli del testo principale “L’amica della Bürstner”. Ma il fatto de-cisivo era che appunto divideva una parte (chiamiamola così) canoni-ca da una parte di capitoli sostanzialmente espunti. Così il suo ordi-namento finiva con il coincidere con quello di Brod, salvo l’eccezio-ne detta. Lo riporto in appendice come Pasley I. Tuttavia Pasley deveaver capito che qualcosa non andava; di fatto ha proposto anche un or-dine che tenga conto dei capitoli da lui considerati non facenti partedi quelli canonici; lo riporto in appendice come Pasley II e vale la pe-na leggerlo.

Nessuna delle organizzazioni proposte è pienamente soddisfacente, nes-suna risolve tutti i problemi. Ciò – sia detto subito – vale anche perquella proposta nella presente sede. In compenso ciascuna dà del ro-manzo un’idea diversa. Ecco intanto la mia proposta di lettura:

Qualcuno doveva aver calunniatoQuella primaveraPrima udienzaIl fustigatoreDa ElsaNella sala delle udienze vuota

7Introduzione

L’amica della BürstnerLo zio / Leni

Quando uscirono dal teatroAvvocato / Industriale / Pittore

Il procuratore di statoViaggio dalla madreLa casaLotta con il vicedirettoreIl commerciante Beck / Revoca dell’avvocato

Nel duomoFine

I problemi da affrontare sono dunque tre: 1) chiarire perché nessun or-dinamento è inattaccabile; 2) stabilire quale è il massimo di attendibi-lità filologica raggiungibile; 3) quale immagine risulta dalla disposi-zione qui adottata.

1a. Un chiarimento va dato in via preliminare: la separazione dei ca-pitoli chiamati incompiuti da Brod, frammentari da Pasley (solo lorodue adottano quella separazione) dai restanti capitoli non è accettabi-le perché non poggia su argomenti filologicamente solidi. Max Brode Malcom Pasley hanno entrambi grandi meriti, ma non possono es-sere seguiti su questo punto. Brod non argomentò molto quella sepa-razione, rimandando allo stato di incompiutezza per lui evidente diquei capitoli. Questa evidenza però non c’è: niente assicura che “DaElsa” o “La casa” siano incompiuti, mentre certamente incompiuti so-no capitoli da lui accolti fra i dieci canonici, quali “Lo zio” e “Com-merciante”; quest’ultimo apparve incompiuto allo stesso Brod, che in-serì una nota in tal senso in fondo al manoscritto del capitolo, ma nel-la postilla a stampa lo definì «quasi compiuto», alterandone peraltrole ultime righe in modo da poterlo far apparire come compiuto a tuttigli effetti.

Pasley ha voluto aggiungere un argomento attinto dal modo dellaconservazione dei manoscritti. Quelli che definisce frammenti sono

8 F. Kafka Il processo

raccolti ciascuno da una fascetta (ricavata da un dattiloscritto delFuochista, pubblicato da Kafka nel 1913), mentre quelli che consideracapitoli con cui costituire il testo canonico sono distinti da un fogliosovrapposto (ricavato dallo stesso dattiloscritto). In realtà il foglio so-vrapposto è sempre un mezzo foglio usato per traverso, dunque nondiversamente dalla fascetta. Inoltre una prassi distintiva come quelladescritta da Pasley non è generalizzata né per i manoscritti di Kafkain genere, né nella stessa cartella del Processo; infatti il complesso deiprimi due capitoli non ha né fascetta né foglio sovrapposto. È bensìpossibile che l’una o l’altro ci sia stato e sia andato perduto; ma è al-trettanto possibile che Kafka non sia stato così preciso e sistematico.Insomma non c’è appiglio per conclusioni sistematiche. Per di più néil capitolo “L’amica della Bürstner” può considerarsi incompiuto né idue già detti e compresi tra i canonici possono considerarsi compiuti.Si aggiunga che due capitoli, “Lotta con il vicedirettore” e “Viaggiodalla madre”, sono incompleti nel senso materiale che manca una opiù pagine finali, pur essendoci la fascetta; si possono fare le ipotesiche si vogliono, una delle quali è pur sempre che Kafka non sia statotanto preciso nel raccogliere il materiale del romanzo. Ribadisco: lostato di conservazione non consente le conclusioni sistematiche diPasley.

Conclusione: le proposte di organizzazione devono riguardare tut-to il materiale conservato. Ciò premesso, passiamo alle proposte, di-videndole secondo due ipotesi.

1b. Supponiamo in primo luogo di voler ordinare i capitoli secondo lacronologia degli avvenimenti. In tal caso non è semplice collocare ilcapitolo “Il procuratore di stato”. Il procuratore di stato Hasterer vie-ne nominato nel capitolo Qualcuno doveva aver calunniato come ami-co di Josef K. Il capitolo “Il procuratore di stato” sembra una retro-spettiva. Al termine si dice che Josef K. non vedeva sua madre «dacirca due anni». Nel capitolo “Viaggio dalla madre”, che si svolge ver-so la fine della primavera, non vede sua madre «da ormai tre anni».Sappiamo che il processo dura un anno, dal trentesimo al trentunesi-mo compleanno del protagonista. Questo vuol forse dire che tra i duecapitoli citati trascorre appunto tale anno? Dunque l’arresto è avvenu-to alla fine della primavera? Non lo si dice mai esplicitamente. E so-

9Introduzione

prattutto, come vanno collocati questi capitoli? Occorre distanziarli fraloro? Ma in tal caso va perduto il chiaro aggancio reciproco; infattiverso il termine di “Il procuratore di stato” si legge che la madre vi-ve «nell’immutabile cittadina», e poco dopo l’inizio di “Viaggio” silegge che appunto «in quella cittadina» il cugino di Josef K. possiedeun negozio; il deittico “quella” non sarebbe possibile con un distaccodi chissà quanti capitoli. Inoltre poiché il capitolo “Viaggio” si svol-ge «quattordici giorni» prima del compleanno del protagonista (cheverrà giustiziato la vigilia del compleanno), pare che esso debba col-locarsi verso la fine del romanzo, magari come penultimo. Ma sicco-me ne è andata perduta l’ultima pagina (o le ultime pagine) non pos-siamo dire niente di preciso.

Ancora un punto. Se la vicenda va da una primavera all’altra, oc-correrà passare per le altre tre stagioni. L’autunno e l’inverno vengo-no menzionati, mentre invece non succede nulla nell’estate, ricordatauna sola volta, nel capitolo “Fine”, senza attinenza con l’azione.

1c. Supponiamo ora di voler ordinare i capitoli secondo la progres-sione della vicenda. In tal caso il capitolo “Commerciante” deve pre-cedere il capitolo “Nel duomo”. Infatti nel primo di questi due capi-toli si legge che, poiché l’avvocato ancora non ha scritto il memoria-le a difesa, Josef K. se lo scriverà da sé. Nel secondo si legge che ilmemoriale, per la verità, non è ancora pronto, ma che Josef K. ci stalavorando. Dunque lo sta scrivendo da solo, come appunto si era pro-posto. Il fatto che in questo capitolo ci sia una telefonata di Leni, latuttofare dell’avvocato, non costituisce problema; infatti nell’altro ca-pitolo si legge che, pur se revocherà il mandato all’avvocato (cosa chenon viene nemmeno data per certa), tuttavia Josef K. manterrà i con-tatti con Leni. Inoltre in “Commerciante” la previsione di una senten-za sfavorevole viene annunciata nel quadro di una credenza supersti-ziosa che circola fra gli accusati mentre nell’altro capitolo essa assu-me un tono quasi ufficiale, venendo annunciata dal cappellano dellaprigione. Dunque il capitolo “Nel duomo” pare collocarsi dopo “Com-merciante”. Ma ci sono problemi con le annotazioni temporali: infattirisulta da un’espressione ripetuta due volte che il capitolo “Avvocato /Industriale / Pittore”, in cui si parla per la prima volta del memorialea difesa e dell’idea di revocare l’avvocato, si svolge in un «mattino

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d’inverno»; di conseguenza si è portati a pensare che “Commercian-te”, in cui quell’idea si avvia (forse) a concretizzarsi, avvenga an-ch’esso d’inverno; “Nel duomo” invece si svolge d’autunno. Ma for-se non dobbiamo preoccuparcene troppo; infatti quel «mattino d’in-verno» ha fatto in tempo a ridiventare, solo qualche pagina più in lànello stesso capitolo, un «gran brutto autunno», almeno altrettanto brut-to quanto quello del capitolo “Nel duomo”.

Conclusione: il problema dell’ordinamento non consente soluzioniinattaccabili. Certo è solo che il capitolo “Fine” va alla fine, come di-ce il titolo e come conferma una lettera di Kafka a Max Brod del 20novembre (ca.) 1917. Certa è anche la successione dei primi due ca-pitoli. E certa, infine, è l’ineludibile necessità di collocare tutto il ma-teriale, niente escluso.

2. Kafka ha lavorato contemporaneamente a più capitoli; ce lo diconole sue annotazioni di diario (29 agosto 1914, forse anche 18 ottobredello stesso anno, ma il luogo è guasto). Del resto ha lavorato a piùopere contemporaneamente: mentre scriveva Il processo ha scritto an-che Nella colonia penale, un capitolo dello Sperduto e vari raccontiminori. Oltre che dal diario, quella contemporaneità la ricaviamodall’evidenza paleografica: Kafka cominciò “Il fustigatore” come ter-zo capitolo, o almeno cominciò a scriverlo a seguito del secondo. Peròvi si riferisce a cose del capitolo “Prima udienza”; dunque o questo èstato scritto prima, oppure i due si sono influenzati a vicenda. Insom-ma una completa e certa cronologia di stesura è assai difficoltosa dastabilire. Tuttavia qualche tentativo è stato fatto. Malcom Pasley hausato come criterio la frequenza di parole per pagina, confrontandolacon quella in manoscritti databili con certezza. Ne ha ricavato una cro-nologia che riporto in appendice. Essa è interessante e il tentativo èapprezzabile ma non dà certezza, basandosi su valutazioni in ultimaanalisi psicologiche e di conseguenza variabili.

Un tentativo di tutt’altro genere ha fatto Roland Reuß (1997), il qua-le ha stabilito delle sequenze narrative sulla base della provenienzadella carta utilizzata da Kafka. Ecco il risultato:

Qualcuno doveva aver calunniatoQuella primavera

11Introduzione

Il fustigatoreDa Elsa

FinePrima udienzaNella sala delle udienze vuotaL’amica della signorina Bürstner

Avvocato / Industriale / PittoreIl procuratore di statoViaggio dalla madre

Il commerciante Beck. Revoca dell’avvocato

La casa

Lotta con il vicedirettoreLo zio / LeniQuando uscirono dal teatro

Nel duomo

In base a ciò si può stabilire che, all’interno di un complesso, un ca-pitolo è stato scritto dopo l’altro e non prima; per esempio “Da Elsa”è stato scritto dopo “Il fustigatore”, “L’amica della signorina Bürstner”dopo “Nella sala vuota”. Ma non si può dire niente sulla cronologiarelativa di un capitolo interno a una sequenza rispetto a quello inter-no a un’altra sequenza, né delle interferenze reciproche. Non si puònemmeno dire se una sequenza sia o no globalmente precedente all’al-tra. Del resto, come detto all’inizio, solo per due capitoli (“Viaggio”e “Nel duomo”) si hanno date certe.

3a. Ribadisco che neanche la mia proposta risolve tutti i problemi. Delresto la forma stessa della pubblicazione a fascicoli (già realizzata daRoland Reuß; la presente edizione è una conseguenza della sua) lo evi-denzia e offre al lettore la possibilità di un’organizzazione sua perso-nale. Tuttavia avanzo anche una proposta mia, pur senza irrigidirmi su

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di essa, e qui tento di giustificarla. Essa è soprattutto un suggerimen-to di lettura. Fermo restando che solo tre capitoli (i primi due e l’ul-timo) hanno un posto certo, c’è da collocare gli altri. Nel fare ciò cer-co di contemperare la logica della vicenda con la cronologia internaalle sequenze, come stabilita da Roland Reuß; anzi un confronto dell’or-dine di lettura da me proposto con le sequenze narrative stabilite daReuß convincerà facilmente che gli spostamenti da me fatti sono po-chissimi. Pongo “Prima udienza” prima del “Fustigatore” poiché que-sto capitolo si riferisce a una dichiarazione di Josef K. proferita in quel-lo; poiché Kafka non lavora con flashbacks, mi pare giusto fare così.Per il resto, rispettando l’ordine delle sequenze elencate da Reuß, ilcapitolo “L’amica della signorina Bürstner” viene a collocarsi comesettimo, ma non senza problemi. C’è qui un’altra incongruenza cro-nologica: Nel capitolo “Prima udienza”, che si svolge di domenica,Josef K. dichiara di essere stato arrestato «una decina di giorni fa»;dieci giorni prima, ciò significa che l’arresto è avvenuto di venerdì o,se vogliamo dar credito alla vaghezza dell’espressione, dal giovedì alsabato. Di certo si tratta di un giorno feriale di primavera. Che sia ungiorno feriale lo si capisce (oltre che dal conteggio, come è ovvio) dalfatto che va al lavoro. Che sia di primavera lo si capisce dall’incipitdel secondo capitolo, “Questa primavera”. Nel capitolo “L’amica del-la Bürstner” si parla sia di una «domenica prossima», sia del fatto cheJosef K. non parla alla signora Grubach «da cinque giorni». Poichéquesta riflessione è fatta di domenica e poiché il teso colloquio con lasignora Grubach è avvenuto la sera del giorno in cui il protagonista èstato arrestato, se ne dovrebbe concludere che l’arresto è avvenuto ilmartedì precedente, non il venerdì. La domenica del capitolo “L’ami-ca della Bürstner” è dunque la prima dall’arresto; di conseguenza ladomenica dell’udienza è la seconda. Ma allora che senso hanno le nonsmentite parole sull’opportunità di concludere rapidamente il proces-so? A parte questo, avrei tutta la comprensione per il lettore che vo-lesse leggere “L’amica della Bürstner” come terzo capitolo (rendendocosì compatti i riferimenti alla signorina Bürstner), anche se certamenteè stato scritto più tardi.

Il complesso “Lo zio / Leni” e Quando uscirono dal teatro prece-dono, nella mia proposta, la sequenza elencata da Reuß come terza,poiché è in quel complesso che viene introdotto l’avvocato che poi

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compare nella terza sequenza, la quale da me viene mantenuta com-patta. “La casa” non può precedere tale sequenza perché è in essa cheviene introdotto il pittore Titorelli, cui si torna ad accennare in questocapitolo. Invece “Lotta con il vicedirettore” è collocato verso la fineper esclusione di altre collocazioni: non lo si può collocare prima delcapitolo “Lo zio” né prima di “Avvocato”, poiché in questi due si in-troduce una lotta nella quale Josef K. è soccombente, mentre in quel-lo pare che le sorti possano essere finalmente rovesciate; d’altra partel’ultima (o le ultime) pagine sono andate perdute, dunque non si puòdire niente di certo. “Il commerciante” precede “Nel duomo” per le ra-gioni già dette ma anche con i problemi già detti.

C’è da chiedersi in quale presupposto di fondo la proposta da me avan-zata differisca dalle precedenti e dunque perché ce ne sia bisogno. Tut-te le proposte fatte, e da cui dissento, puntano all’armonizzazione, inprimo luogo della successione cronologica, in secondo luogo del di-venire della vicenda. In tal modo esse cercano di appianare l’inap-pianabile, cioè di non far percepire – o di far percepire il meno pos-sibile – le incoerenze del romanzo. Si noti in particolare che una ri-costruzione come quella di Brod (sostanzialmente accolta da Pasley)respinge tra gli incompiuti dei capitoli che hanno un fondamentale trat-to comune: la fiducia di Josef K. di potersi sottrarre al processo (“DaElsa”, “Lotta con il vicedirettore”, “Viaggio dalla madre”) o addirit-tura di entrare a far parte del tribunale (“La casa”) o almeno lo mo-strano in posizione forte (“Il procuratore di stato”). La mia propostafa sì qualche concessione al divenire della vicenda, ma fondamental-mente punta all’opposto: a far percepire nella maniera più viva pro-prio quelle incoerenze, nella convinzione della loro fondatezza filolo-gica e nella altrettale convinzione che esse, adeguatamente interpreta-te, siano un deciso arricchimento del romanzo. Per valutare tutto ciòè tanto importante che il lettore sia convinto della plausibilità di un or-dine quanto che ne sia insoddisfatto. È facile rafforzarlo in questo se-condo atteggiamento, insistendo sulle incongruenze del materiale rac-colto sotto il titolo Il processo. Preventivamente occorre togliere al let-tore un’arma di difesa: il presumere che le incongruenze siano da at-tribuire esclusivamente alla mancata revisione a opera dell’autore.Infatti è bensì possibile che qualche incongruenza sarebbe stata in quel

14 F. Kafka Il processo

modo eliminata (anche se personalmente non ci credo); ma molto piùimportante è constatare che Kafka lasciò sopravvivere incoerenze inopere da lui pubblicate, senza che queste abbiano disturbato nessuno,anzi nemmeno siano state notate. In questa sede non chiuderemo gliocchi: le esamineremo per bene e non commetteremo quell’atto di su-perbia che è il perdono; al contrario, le tematizzeremo.

Dapprima il lettore va rassicurato che in Kafka l’incongruenza è co-stitutiva. A ciò basteranno due esempi da opere edite. Il primo è rica-vato dalla Metamorfosi (1915) e riguarda lo strano comparire e scom-parire di una domestica. Eccola segnalata in connessione coi pasti diGregor Samsa, trasformato in insetto:

Così un giorno Gregor ricevette il suo pasto: la prima volta al mattino, quan-do i genitori e la domestica dormivano ancora, la seconda volta dopo il pran-zo di mezzogiorno, mentre i genitori facevano un altro sonnellino e la sorel-la spediva la domestica per qualche commissione.

Ma questa domestica, davanti alla quale si prende tanta cura di na-scondersi, non dovrebbe esserci affatto, perché due capoversi più in làsi legge:

Fra l’altro, fin dal primo giorno, la domestica (che cosa e quando costei aves-se inteso dell’accaduto non era affatto chiaro) si era gettata alle ginocchia del-la mamma implorando il licenziamento immediato; e accomiatandosi un quar-to d’ora dopo, aveva ringraziato piangendo di averlo ottenuto come se non lesi fosse potuta concedere grazia maggiore, e, sebbene nessuno glielo avessechiesto, aveva giurato con le formule più terribili di non farne cenno.

Qualche pagina più in là, l’incongruenza si aggrava. La domestica dicui abbiamo appena letto diventa una cuoca che si licenzia, mentre in-vece resta in casa una domestica sedicenne, più coraggiosa della cuo-ca, ma inventata lì per lì. Si legge infatti:

la domestica non avrebbe certamente aiutato [la sorella nel togliere i mobilidalla camera di Gregor] poiché questa ragazza, di all’incirca sedici anni, re-sisteva bensì coraggiosamente dal licenziamento della cuoca che c’era prima,ma aveva pregato di poter tenere la cucina sempre chiusa a chiave e di apri-re solo dietro espresso richiamo.

15Introduzione

Ma una cuoca non c’è mai stata. Infatti immediatamente dopo che illettore ha saputo del licenziamento della domestica, si può leggere:

Di conseguenza la sorella doveva ormai aiutare la mamma in cucina

Dunque cucina la mamma, non la cuoca. Invece la misteriosa, nuovadomestica se ne sta tutto il tempo in cucina. Questo è per quanto ri-guarda l’apparire e scomparire di personaggi.

Il secondo esempio è tratto dal racconto Nella colonia penale (scrit-to, come già accennato, nell’ottobre 1914 contemporaneamente a par-ti del Processo, ma pubblicato solo nel 1919). Qui abbiamo a che fa-re con incongruenze temporali. Appena qualche riga dopo l’inizio silegge:

Il viaggiatore sembrava aver ubbidito solo per cortesia all’invito, rivoltoglidal comandante, di assistere all’esecuzione capitale di un soldato condanna-to per indisciplina e oltraggio ai superiori.

Il testo non dà luogo a equivoci: è stata emessa una motivata senten-za (un soldato è stato «condannato per indisciplina e oltraggio ai su-periori») cui seguirà l’«esecuzione». Resta da chiedersi: quando è avve-nuto l’invito? Veniamo a saperlo dall’ufficiale che sovrintendeall’esecuzione; rivolgendosi al viaggiatore, dice:

Ieri le stavo accanto, quando il comandante l’invitò. Udii l’invito che le rivolse.

Dunque: ieri. A conferma, c’è un’esclamazione di rabbia da partedell’ufficiale quando il condannato vomita sulla macchina delle ese-cuzioni:

«Tutta colpa del comandante! […] Non avessi per ore tentato di fargli capi-re che, il giorno prima dell’esecuzione, il condannato non deve più ingerirealcun cibo! […] Le signore del comandante, prima che quest’uomo fosse por-tato all’esecuzione, l’hanno imbottito di dolciumi.»

Che le signore c’entrino per qualcosa è confermato dai fazzoletti chehanno regalato al condannato e che l’ufficiale ha usato per asciugarsiil sudore sul collo. Dunque: l’invito è stato fatto il giorno prima, il

16 F. Kafka Il processo

condannato non è stato tenuto digiuno fin dal giorno prima.Ma tutto ciò è impossibile. Ecco come l’ufficiale stesso espone il caso:

Un capitano stamane ha presentato denuncia contro quest’uomo perché, es-sendogli destinato come attendente e dormendo davanti al suo uscio, si è ad-dormentato durante il servizio. Costui infatti ha la consegna di alzarsi a ogniscoccare dell’ora e di fare il saluto davanti all’uscio del suo ufficiale […]. Lanotte scorsa il capitano ha voluto verificare se l’attendente faceva il suo do-vere; alle due in punto ha aperto la porta e l’ha trovato che dormiva, tuttoraggomitolato. […] Un’ora fa il capitano è venuto da me, io ne ho trascrittola deposizione aggiungendo immediatamente la sentenza; quindi ho fatto in-catenare quest’uomo.

Dunque: il reato si è verificato alle due del mattino ed è noto solo daun’ora. Anche la sentenza data da un’ora. Non da ieri. Quindi “ieri”non c’era né reato né sentenza. Quell’invito non era possibile.

Le incongruenze di Kafka non sono mai state tematizzate. Perso-nalmente le ho fatte notare in più sedi ma al lettore come al criticopaiono non fare né caldo né freddo. C’è da presumere che neanche sene accorgano, nemmeno dopo essere stati messi sull’avviso. In un cer-to senso è giusto così.

Da notare che Kafka scrisse questi racconti a mano (della Meta-morfosi si è conservato il manoscritto), poi ne fece fare una trascri-zione a macchina, la corresse e corresse le bozze di stampa. Dei rac-conti fece letture agli amici, della Colonia penale fece anche una let-tura pubblica; a questa fu presente Rilke, che con le sue osservazioniindusse Kafka a cambiare il finale ma non risulta che i due abbianoparlato dell’incongruenza qui discussa. Anzi delle incongruenze in ge-nere pare non essersi accorto nessuno. Per il momento sorvoliamo sulproblema che qui si apre. Ribadiamo che incongruenze si trovano an-che in lavori a stampa, più volte revisionati durante il loro percorso.Pertanto non possiamo attribuire le incongruenze del Processo (alme-no non tutte) a fattori esterni quali l’incompiutezza o la mancata revi-sione. Al contrario, dobbiamo tematizzarle così come occorrerebbe far-lo con quelle ora documentate. Esse non sono incidenti di percorso.

Ma prima di dire cosa siano, occorre aumentare la documentazio-ne, pur senza pretesa di completezza. Cominciamo dalle cose inspie-gate:

17Introduzione

- Nel capitolo “La casa” compare all’improvviso un signor Wolfahrt.Chi è costui? Se ne parla come se per il lettore fosse una cono-scenza acquisita, mentre invece viene nominato solo qui.

- Nel capitolo “Fine” si dice che Josef K. sta aspettando una visitadiversa da quella che gli arriva, cioè dei due boia incaricatidell’esecuzione. Chi si aspetta invece dei due? Non c’è alcun ap-piglio per rispondere, si può al massimo fantasticare.

- Nello stesso capitolo si dice che Josef K. non riesce a compiere dasolo il lavoro dei boia e che la colpa «di quest’ultimo errore era dicolui che gli aveva negato il resto della forza a ciò necessaria.» Chiè costui? Anche qui, si può solo fantasticare.

- Nel capitolo “Il commerciante” Josef K. constata che il processo losta incalzando «sempre più da presso». Niente di quel che si puòleggere nel materiale per il romanzo giustifica tale constatazione.

- Nel capitolo “Avvocato / Industriale / Pittore” si legge che il rap-porto di Josef K. con la signorina Bürstner oscilla seguendo le stes-se oscillazioni del processo. Quali oscillazioni? Non se ne sa nien-te. E soprattutto: quale rapporto? La signorina Bürstner compareuna sola volta, nel capitolo “Quella primavera”; è oggetto di di-scorso nel capitolo “L’amica della signorina Bürstner” (in cui fa co-municare a Josef K. che non vuol sapere di lui); nel capitolo “Lozio” si dice che lei non ha niente a che fare col processo; viene peròricordata come mediatrice sia nello stesso capitolo (colloquio conLeni) sia (ma stavolta senza nominarla) nel capitolo “Nel duomo”(colloquio col cappellano); è una visione nel capitolo “La casa”; einfine compare (forse lei in persona, forse solo come valore sim-bolico) nel capitolo “Fine”. Un rapporto non si stabilisce mai.

- Nel capitolo “Viaggio dalla madre” si dice che il piccolo, tardo im-piegato Kullych ha addirittura rapporti col tribunale. In base a quelche ne sappiamo dai primi due capitoli, la cosa è da escludere re-cisamente. Kullych è uno dei tre impiegati che alla fine del primocapitolo accompagnano Josef K. in banca, senza aver capito nientedi quel che è successo.

L’elenco di queste incongruenze provocherà, probabilmente, l’atteg-giamento più diffuso nel lettore in generale, e cioè ne stimolerà la vo-glia armonizzante. Non c’è aspetto del patto col lettore che funzioni

18 F. Kafka Il processo

meglio. Probabilmente, e nonostante tutte le avvertenze, il lettore ocercherà di trovare delle scusanti interne al materiale per il romanzo,oppure rimanderà allo stato di incompiutezza. So per esperienza chenon vale metterlo sull’avviso. Ma la categoria di incongruenze che oraseguirà ci permette di fare un passo avanti. Esse infatti sono delle alternative.

- Il processo è segreto. Ciò viene detto esplicitamente più volte. Nelcapitolo “Avvocato / Industriale / Pittore” l’avvocato chiarisce cheesso è segreto non soltanto nei confronti dell’opinione pubblica maanche dello stesso accusato. Nel medesimo capitolo, tuttavia, l’in-dustriale da una parte esclude che il vicedirettore della banca pos-sa esserne a conoscenza, dall’altra però dichiara di esserne venutoa conoscenza lui attraverso il pittore Titorelli, che funge da media-tore col tribunale. E mentre si dice che in banca nessuno ne sa niente,nel capitolo “Lo zio” si legge che un usciere invece ne ha accen-nato a una diciassettenne cuginetta del protagonista.

- L’amicizia di quest’ultimo col pubblico ministero Hasterer è mani-festamente nota al vicedirettore, che ha organizzato con lui e altriuna gita in barca a vela alla quale invita anche Josef K., facendoleva proprio su quell’amicizia (“Prima udienza”). Invece non ne sadichiaratamente niente il direttore stesso (“Il procuratore di stato”),il che appare altamente improbabile. È anche vero che i capitoli incui si incorre in tali opposti stati di conoscenza presentano proble-mi di collocazione cronologica.

- I modi in cui si presentano sia i rapporti con gli avvocati sia la lo-ro gerarchizzazione non hanno coerenza logica e sono stati eviden-temente introdotti man mano che venivano inventati, senza tentati-vi di armonizzazione. La difesa, si legge nel capitolo “Avvocato /Industriale / Pittore”, non è legalmente consentita ma solo tollerata;allora però non si capisce come il commerciante possa dire, nel ca-pitolo che da lui prende il titolo, che non sia permesso assumerepiù di un avvocato. Se tutto avviene fuori del legalmente ammes-so, non si vede da chi possa venire questa specifica proibizione.Inoltre in questi due capitoli si dice, da una parte, che agli occhidella legge tutti gli avvocati sono azzeccagarbugli; ma poi si intro-duce una gerarchia tra avvocaticchi, avvocati veri e propri e gran-di avvocati. Che poi l’avvocato di Josef K. affermi di avere un gran-

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de studio, come il suo stesso cliente ha constatato, è cosa che la-scia sorpreso il lettore, non essendo stato dato a lui alcun modo diconstatarlo.

- Il modo di trattare Titorelli nel capitolo “La casa” non trova ri-scontro in nessun altro luogo. Josef K. si può lì perfino permetteredi tormentare questo mediatore del tribunale, col quale pare essereentrato in gran confidenza. Ma la dichiarazione più clamorosa del-lo stesso capitolo è che Josef K. conta di poter far parte lui stessodel tribunale. Di certo, dice a se stesso, capisce del tribunale quan-to Titorelli e il misterioso Wolfahrt. Pare che Josef K. abbia possi-bilità concrete di entrare nel novero dei mediatori. Commisurata airestanti materiali, tale prospettiva è inaudita.

- Vengono considerati due modi della sentenza finale. Secondo il pri-mo essa appare qualcosa di per sé, un atto conclusivo che può es-sere annunciato «in un momento qualunque da una bocca qualun-que» (“Avvocato / Industriale / Pittore”). Il cappellano della pri-gione invece dichiara: «la sentenza non arriva d’un tratto ma è ilprocesso stesso a trasformarsi gradatamente in sentenza.»

- E soprattutto esistono indicazioni opposte sul modo di condurre van-taggiosamente il processo. Secondo Titorelli occorre mantenerlo algrado più basso e lì farlo girare sempre in circolo; in questo modol’imputato non viene assolto, però è al sicuro da una condanna. Esat-tamente il contrario dice il cappellano: «temo che finirà male. Ti ri-tengono colpevole. Il tuo processo non andrà forse neppure oltre untribunale di grado inferiore.» Difficile dire quale dei due punti divista sia confermato da frasi che appaiono verso la conclusione delcapitolo “Fine”: «Dov’era il giudice, che non aveva mai visto? Do-v’era l’alto tribunale, al quale non era mai giunto?» Queste frasinon ci permettono di dire se l’imputato è stato condannato nei gra-di superiori, ma segretamente, oppure già ai gradi inferiori. D’altraparte tale capitolo è stato scritto fra i primi, quando Kafka non sem-bra aver previsto quello che scriverà in seguito.

Come si evince da quest’ultimo esempio, le incongruenze di questosecondo elenco sono possibilità alternative, compresenti in quel cheKafka ha scritto per il romanzo. Questa compresenza delle alternativeci avvicina al nostro vero tema; è esso che ci viene offerto dalla mag-

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giore conseguenza di una considerazione filologica del materiale, cioèdall’impossibilità di scartarne checché, anzi dalla necessità di consi-derarlo tutto. Del resto (l’aggiungo per far tacere ogni scrupolo) il let-tore avrà notato che quasi tutti gli esempi sono stati ricavati da mate-riale che sia Brod sia Pasley hanno considerato approvato da Kafka econ cui entrambi hanno costruito il romanzo.

Quando sono possibili delle alternative, non si può parlare di ne-cessità e si deve invece parlare di contingenza. Quanto particolare siala contingenza in questo romanzo lo vedremo presto; così come ve-dremo quanto particolare sia il suo rapporto con la necessità. Ma co-minciamo da un esempio facile. Nel capitolo “Nel duomo” il prota-gonista sta inutilmente aspettando un cliente della banca, cui deve fa-re da guida turistica. Il cliente è in ritardo e Josef K. inganna l’attesacercando di capire che cosa si potrebbe vedere nel duomo con quelbuio. Si scopre così che ha portato con sé un’improbabile lampadinatascabile; con essa esamina piccole zone della pala d’altare di una cap-pella laterale. Essa gli è manifestamente ignota:

La prima cosa che K. vide e in parte indovinò fu un grande cavaliere in ar-matura, dipinto al margine estremo del quadro. Si appoggiava alla spada, cheaveva conficcato nel terreno brullo davanti a sé – solo qua e là spuntava qual-che filo d’erba. Sembrava intento a osservare una scena che si svolgeva da-vanti a lui. Era strano che se ne stesse fermo là, senza avvicinarsi. Forse ave-va avuto ordine di stare di guardia. K., che non vedeva quadri da parecchiotempo, rimase a lungo a contemplare il cavaliere, sebbene dovesse strizzarespesso gli occhi perché non sopportava la luce verde della lampadina. Quan-do poi fece scorrere la luce sul resto del dipinto, trovò una Deposizione ese-guita secondo canoni convenzionali e, del resto, in periodo piuttosto recente.

Dunque questo dipinto è una novità e allo stesso tempo una delusio-ne. La delusione però interviene solo quando esso è stato visto per in-tero; finché se ne vede un particolare, questo resta enigmatico e inte-ressante. Che cosa fa quel misterioso cavaliere? Che ci sta a fare? Nonpare avere alcuna funzione. Ma più in generale: che cosa ci sta a farequella descrizione all’interno del capitolo? Veramente a far passare iltempo in attesa del cliente? Non si direbbe, poiché a tale scopo Kafkausa altri espedienti. Per di più c’è anche la descrizione del grande pul-pito, che procede nel senso inverso, cioè dal generale al particolare; e

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stavolta si tratta di un capolavoro. Certo, il lettore legge alla fine consua sorpresa che Josef K. ignorava l’esistenza di questo pulpito; eppu-re si era lungamente preparato per questa visita e ha con sé un albumillustrato dei monumenti. Quest’ultima descrizione, tuttavia, pare avereuna sua funzione: a rendere inspiegabile quel che deve restare inspie-gabile, cioè la scoperta dell’opprimente piccolo pulpito dal quale loapostroferà il cappellano della prigione. Ma la descrizione della palad’altare, prima enigmatica poi deludente, non ha alcuna funzione diquesto genere. In tal senso essa è puramente casuale ed è l’unico par-ticolare del capitolo a non essere richiamato in nessun altro luogo del-lo stesso capitolo, per il resto strutturato con fittissimi rimandi inter-ni. Ma se non è funzionale alla vicenda, essa è però iterativa di unaspetto essenziale: è l’irriducibilità del particolare, il suo irrompere in-controllato, irrefrenabile, inspiegabile. Deludente è solo il suo rappor-to con il contesto, di per sé merita invece tutto l’interesse. La sua ca-sualità è il suo pregio, la funzionalità è il suo limite. Attraverso di es-so non irrompe né la logica stringente né la realtà esterna: quel che ir-rompe è il “non-c’entra-nulla”, e questo richiama per sé tuttal’attenzione. Il contingente non è eliminabile. Ricordiamocene per far-ne uso più in là.

Intanto saliamo un po’ nel grado della complessità. Finché ci sonoalternative di scelta, non si può parlare di necessità. I capitoli “Da El-sa” e “Nella sala vuota” sono manifestamente in alternativa. Basta leg-gerne gli incipit per esserne convinti. Il capitolo “Prima udienza” ter-mina con Josef K. che, esasperato, dichiara di rinunciare a qualunqueudienza futura. Il capitolo “Da Elsa” comincia con una dichiarazioneda parte del tribunale, tanto sbalordita quanto impotente, a propositodi quel rifiuto a comparire in futuro. Il protagonista insiste nel suo at-teggiamento e, invece di andare in tribunale, come si era preteso dalui, si reca da una donna, la Elsa del titolo:

Da quel momento K. dimenticò a poco a poco il tribunale e il pensiero del-la banca cominciò di nuovo a occuparlo interamente, come in passato.

Il capitolo “Nella sala vuota” mostra una soluzione alternativa:

La settimana successiva [alla prima udienza] K. aspettò di giorno in giornouna nuova convocazione, non poteva credere che avessero preso alla lettera

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la sua rinuncia a essere interrogato, e quando il sabato sera l’attesa convoca-zione non era davvero ancora arrivata, suppose d’essere tacitamente invitatoa comparire nella stessa casa e per la stessa ora. La domenica quindi vi sirecò di nuovo […].

L’opposizione fra i capitoli non potrebbe essere più chiara. Essa peròsi attenua verso la fine, poiché il capitolo “Nella sala vuota” si con-clude così:

aveva intenzione d’ora in poi […] d’impiegare le mattinate domenicali in mo-do migliore [che recandosi in tribunale].

Dunque anche questo capitolo si conclude con un allentamento dei vin-coli col tribunale, seppure non nella maniera drastica del capitolo “DaElsa”. Nel complesso, tuttavia, i due capitoli presentano un’alternati-va: darsi alle donne e al lavoro nell’uno, dedicarsi al processo nell’altro.Tale alternativa, macroscopica in questo caso, si mantiene costante eattraversa tutto o quasi tutto il materiale scritto per il romanzo. Piùvolte si legge che Josef K. «era ancora libero»: lo si legge nel primocapitolo così come nel capitolo “Nel duomo”. Nel capitolo “Primaudienza” Josef K. dichiara che il processo è tale solo se lui l’accettaper tale; ma che per il momento ha deciso di accettarlo. Il che signi-fica che può anche non accettarlo e così uscire dal processo. Nel ca-pitolo “Nella sala vuota” ripete a se stesso che può mandare tuttoall’aria da un momento all’altro; questa libertà gli resta; se va incon-tro a sconfitte (dice a se stesso), è solo perché si reca in tribunale; sese ne restasse alla vita consueta, si confermerebbe mille volte supe-riore a tutti quelli che hanno a che fare col tribunale. E pensa di nuo-vo a Elsa, recandosi dalla quale (nel capitolo che da quella visita pren-de il titolo) si è gettato alle spalle il processo: se portasse da Elsa lostudente che nel tribunale gli porta via la lavandaia, davanti a quel let-to costui non potrebbe che invocare pietà a mani giunte. Perfino nelcapitolo “Nel duomo” Josef K. si aspetta dal cappellano della prigio-ne «un consiglio decisivo e accettabile […] su come uscire dal pro-cesso, come aggirarlo, come vivere al difuori del processo.» Dunqueperfino in questo momento, che è il più drammatico, il processo nonappare ineludibile. Esso persiste accanto alla possibilità di aggirarlo.Il cappellano lo conferma: «Il tribunale non vuole niente da te. Ti ac-

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cetta se vieni, ti lascia andare se vai.»

Ci sono capitoli alternativi, ci sono alternative puntuali, ci sono capi-toli incollocabili o collocabili solo con estrema approssimazione. Talisono, come già visto, “Lotta col vicedirettore” e “Viaggio dalla ma-dre”; il primo è l’unico capitolo di resistenza vittoriosa (o almeno cosìpare), il secondo manca addirittura – e dichiaratamente! – di una mo-tivazione; infatti il protagonista dice a se stesso di non saper come mo-tivare quel viaggio. E certamente il lettore non ne sa più di lui. Maforse questa incollocabilità comincia ad apparire in altra luce, se la siaccosta alle alternative e alla contingenza, la maggiore fra le quali èla non ineluttabilità del processo; forse quest’altra luce è quella che cifa apparire l’incollocabilità come un valore, cioè come un potenzia-mento di quella contingenza che, andiamo constatando, è costitutivadel romanzo.

Kafka opera spesso per combinazioni binarie. Esse possono assu-mere il carattere di opposizioni oppure di iterazioni. Di queste ultimefanno parte episodi locali come la doppia descrizione di opere d’arteo il raddoppio dei pulpiti visti nel capitolo “Nel duomo”; oppure, co-me già nel caso delle opposizioni, interi capitoli. È il caso dei capito-li “Il fustigatore” e “La casa”. Nel primo di questi, Josef K. scopre inun ripostiglio una scena sadica: vengono frustati i due guardiani chel’hanno arrestato e del cui comportamento s’era lamentato in occasio-ne della prima udienza. K. chiude la porta del ripostiglio e con un pre-testo allontana gli uscieri che si erano avvicinati alle grida per le fru-state. La sera seguente apre di nuovo il ripostiglio, trova che la scenasta per ricominciare da capo, ripetendosi come il giorno prima. Di nuo-vo le mette fine chiudendo la porta e stavolta ordina agli uscieri disgomberare il ripostiglio: evidentemente non ha più paura che essi ve-dano qualcosa. La scena sadica c’è, è reale, ma lo è solo per lui. Nonsi può dire propriamente una visione, ma ne ha tutti gli aspetti, conun’aggravante: che per lui, e solo per lui, sarà sempre reale.

Anche nel capitolo “La casa” c’è una visione. Essa cominciachiaramente come tale: Josef K. è sdraiato sul canapé e nel suo dor-miveglia gli passano avanti varie figure. Poi all’improvviso i verbicambiano, la situazione si presenta con i tratti della realtà.

24 F. Kafka Il processo

C’erano vari sconosciuti [fra gli inquilini della signora Grubach], poiché K. da tempo ormai non si occupava minimamente di quanto succedeva nella pen-sione. Tutti quegli sconosciuti, però, gli rendevano sgradevole avere a che fa-re più da vicino con il gruppo, cosa a cui talvolta, quando vi cercava la si-gnorina Bürstner, si vedeva costretto. Faceva, per esempio, correre lo sguar-do sul gruppo e d’improvviso brillavano, puntati su di lui, due occhi del tut-to sconosciuti, che lo trattenevano. Allora non trovava la signorina Bürstner,ma quando, a scanso di errore, la cercava ancora una volta, la trovava pro-prio nel mezzo del gruppo, con le braccia intorno a due uomini che le stava-no ai lati. Questo non gli faceva nessunissima impressione, soprattutto per-ché la scena non era niente di nuovo, ma solo il ricordo indelebile di una fo-to sulla spiaggia che aveva visto una volta nella camera della signorina Bürstner.

E via di questo passo, finché Josef K. «non si rigirava nel canapé eaffondava il viso nel cuoio.»

Queste connessioni binarie, oppositive o iterative che siano, paio-no richiamare la nostra attenzione in tutt’altro modo delle deboli con-nessioni esistenti tra i vari capitoli. Paiono negarne la debolezza. Sequesta poteva essere addotta come un ulteriore appoggio alla tesi del-la contingenza, il graduale rinvenimento di connessioni pare smentir-la. Eppure la debolezza di legami è ammessa da critici e lettori. Leconnessioni binarie, a loro volta, appaiono essere il gradino più bassodelle stratificazioni infinite, tematizzate nel Processo. Queste le co-nosce bene ogni lettore; esse sono l’ossessione di Kafka e quasi il sim-bolo del kafkismo. La gerarchia e i livelli del tribunale sono infiniti,non controllabili nemmeno dagli esperti. Sul loro modello, e in ma-niera illogica, paiono stratificarsi anche gli avvocati. I guardiani dellalegge sono infiniti e l’uno più potente dell’altro. Parimenti si molti-plica e complica la casistica; le molteplici interpretazioni della legge,anzi nemmeno della legge ma della leggenda che si trova negli scrittiintroduttivi alla legge, sono solo un’espressione di disperazione. Ana-logamente si moltiplicano le ipotesi e si soppesa ogni passo: ha sensoo non ha senso andare da Titorelli? Oppure andare a trovare la madre?

Ma se tutte le possibilità effettivamente date vengono prese in con-siderazione, ciò porta all’esaurimento della contingenza. Infatti se nonci sono ulteriori possibilità, la contingenza è esaurita e resta la neces-sità. Questa, a sua volta, reca il segno del modo in cui è nata, e cioèuna costante memoria della contingenza. Noi lettori abbiamo a che fa-

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re con questa contingente necessità, con questa necessaria contingen-za, costituita dal materiale del Processo così come esso è, incompletoe (con rispetto parlando) incoerente. Che questa non sia pura teoria celo mostra Il processo stesso, che ora possiamo ripercorrere da capo(seppure brevemente) in questa luce.

Il finale è stato scritto all’inizio, dunque esso è predeterminato.Eppure il capitolo “Fine” è ben lungi dallo spiegarci tutto. Il che vuoldire che un finale, per quanto predeterminato possa essere, non è pre-determinato fino in fondo. In compenso esso ci dice quel che non èdetto mai altrove, e cioè ci dice quale è l’accusa e la colpa. Nel pri-mo capitolo Josef K. viene ammonito per due volte a concentrarsi suse stesso, a non farsi distrarre da pensieri inutili. Solo nel capitolo“Fine” ciò va a frutto. Il protagonista è dapprima scontento che comeboia gli siano stati inviati due attorucoli da strapazzo, poi però cam-bia idea: quei due dal tardo ingegno gli permettono di dirsi da soloquel che è necessario. Dunque la concentrazione su se stesso riesce; ementre nel primo capitolo non sapeva quale colpa avesse, qui la trovae se la dice da solo: «Ho sempre voluto allungare tutte le mani sulmondo e per di più a scopi non sempre lodevoli.» A condannarlo èl’ingordigia di vita. Finalmente lo sappiamo. E lo sa il protagonista,che scavando in sé arriva alla colpa e alla sentenza; quest’ultima, sene avesse la forza, avrebbe il dovere di eseguirla da solo.

Ma il finale predeterminato non riesce a reggere tutto quello che èstato scritto dopo, destinato a stare in mezzo, se non proprio a con-durvi. La possibilità di sfuggire al processo viene costantemente man-tenuta. E tuttavia a poco a poco il processo si fa ineludibile. Se il pro-tagonista fosse solo, potrebbe sfuggirgli; ma c’è la famiglia, per la qua-le occorre avere riguardo (“Lo zio”); un’esperienza, questa, che fa an-che il commerciante (“Il commerciante Beck”). Insomma si arriva aun punto nel quale non ci si può più tirare indietro. E allora si vivesolo per il processo, rinunciando a tutto il resto. A questo punto si ègià perso, come gli dice lo zio: avere un processo del genere signifi-ca perderlo. La posta del processo è la felicità di una vita, come hacapito la signora Grubach; anche se poi la signora non capisce di que-ste cose, perché a lei un processo del genere pare roba da gente istrui-ta; chi ne sta fuori non è tenuto a capire. Tutti gli accusati che sosta-no nelle soffitte appaiono essere persone delle classi superiori. Non si

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tratta di processi normali, spiega Josef K. a suo zio. «Allora sono guai»,commenta questi. È un processo che tocca tutte le fibre della vita, gliangoli più riposti:

Non c’era bisogno di avere un carattere molto apprensivo per potersi facil-mente convincere che era impossibile portare a termine la memoria a difesa.[… Infatti], essendo sconosciuta l’accusa e le sue possibili estensioni, si ren-deva necessario richiamare alla memoria l’intera vita, in ogni sua minimaazione e avvenimento, esporla e riesaminarla da ogni lato.

(“Avvocato / Industriale / Pittore”)

Un lavoro manifestamente (e dichiaratamente) incompletabile. Esatta-mente come il romanzo. Ricordiamocene, perché la constatazione ciriserva una sorpresa.

Josef K. alla lunga non può rinunciare al processo. Ma in fondonemmeno vuole. È che tutto sommato da questo lavoro inesauribile esfibrante guadagna qualcosa, anzi molto. Glielo spiega l’avvocato,quando, con tatto ma con chiarezza, gli spiega perché Leni facciaall’amore con tutti gli accusati:

È una stranezza di Leni, che io del resto le ho perdonato da un pezzo […].Que-sta stranezza – lei sarebbe l’ultimo a cui dovrei spiegarla, ma mi guarda cosìsbigottito che mi tocca farlo -, questa stranezza sta nel fatto che Leni trovabelli quasi tutti gli imputati. Si affeziona a tutti, si innamora di tutti e a quan-to pare, del resto, anche tutti loro si innamorano di lei; a volte, quando glie-lo permetto, me ne parla per divertirmi. Tutto questo non mi stupisce poi tan-to quanto pare stupire lei. Se uno ha occhio, spesso trova davvero che gli im-putati sono belli. È comunque un fenomeno strano, quasi biologico. Natural-mente non è che in seguito all’accusa si produca nell’aspetto un mutamentoevidente e ben definibile. Qui non è come in altre cause, i più continuano laloro solita vita e se hanno un buon avvocato che si occupa di loro, il proces-so non li ostacola in nessun modo. Eppure quelli che hanno esperienza di que-ste cose sono in grado di riconoscere nella massa gli imputati, uno per uno.Da che cosa? chiederà lei. La mia risposta non la soddisferà. È che gli im-putati sono i più belli. Non può essere la colpa a renderli belli poiché non tut-ti sono colpevoli – almeno così devo dire in quanto avvocato – , nemmenopuò essere la giusta condanna a renderli già adesso belli, poiché non tutti ven-gono condannati, dunque la cosa può dipendere solo dal procedimento inten-tato contro di loro, che rimane in qualche modo appiccicato addosso. Fra ibelli, poi, ce ne sono anche di particolarmente belli. Ma belli sono tutti [.]

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Dunque il processo rende belli. Questo passo è da accostare a uno delracconto Nella colonia penale, scritto contemporaneamente al roman-zo: dopo sei ore di tortura, il condannato decifra la sentenza, che gliviene man mano incisa nel corpo, sempre più profondamente, e di cuinon è stato messo a conoscenza. Anche nel più stupido si accende l’in-telligenza e il volto si trasfigura. Dal processo si potrebbe uscire a ognimomento ma di fatto la luce della conoscenza impedisce l’uscita. Ren-dersi consapevoli e responsabili di tutta la propria vita impediscel’uscita. Esaminare e spiegare ogni minima azione esaurisce la con-tingenza. Resta allora la necessità: una necessità costituita dalla som-ma delle contingenze esplorate ed esaurite.

Kafka scrisse i materiali per Il processo dai primi dell’agosto 1914 fi-no a una data imprecisata del 1915 (si opina: fino al 20 gennaio 1915).Scriveva di giorno ma spesso e anzi soprattutto di notte, con proble-mi di riposo e di organizzazione di cui ci testimoniano i Diari. Pren-de due settimane di ferie dal 5 al 18 ottobre «per portare avanti il ro-manzo». Nel capitolo “Avvocato / Industriale / Pittore” si legge:

la difficoltà di redigere la memoria a difesa era schiacciante. [… Ma essa]doveva essere fatta. Se non trovava tempo in ufficio, cosa molto probabile,doveva lavorarci le notti in casa. Se non fossero bastate neanche le notti,avrebbe dovuto prendere un po’ di ferie.

Il confronto con i Diari mostra pertanto che qui Kafka sta giocandocon il lettore: il memoriale di cui parla è Il processo stesso, dichiara-to sostanzialmente incompletabile già mentre lo scriveva. Perché, co-me abbiamo letto, c’è da disperare di venire mai a capo della memo-ria a difesa (così come del romanzo). Al cappellano dirà infatti che lamemoria non è ancora pronta. Neanche le ferie sono bastate perchédurante quel periodo Kafka, secondo il suo Diario, ha scritto «poco efiaccamente», magari forse il capitolo “Avvocato / Industriale / Pitto-re” (e anche altro, fra cui niente di meno che Nella colonia penale,possente variazione sul tema della legge, dunque vicina al mondo delProcesso). E non finirà mai, come è delle cose contingentemente ne-cessarie e necessariamente contingenti, insomma della nostra poco de-terminabile vita.

28 F. Kafka Il processo

Quel memoriale ha un titolo e un’attribuzione di genere: si chiamaIl processo, romanzo incompiuto di Franz Kafka. Come si fa a ordi-nare in maniera del tutto soddisfacente una riflessione sulla vita, checi accompagna per tutta la vita e di cui non si può trascurare niente,né «minima azione e avvenimenti», né minima riflessione scritta? Ecome si fa a determinare e a dirigere fin dall’inizio una cosa così com-plessa, così di volta in volta sorprendente e così determinatasi da so-la quale una vita processuale? Il filologo deve riconoscere presto i li-miti che gli sono posti. Consoliamoci come possiamo: il processo mi-naccia di farci tutti tanto, ma tanto belli.

Da tutto quanto detto consegue il testo che è messo a base della pre-sente traduzione: esso non maschera le cicatrici della stesura.

D’altra parte l’aver composto in carattere minore le parti cancella-te da Kafka consente una lettura scorrevole, pur senza sopprimere nientedel contenuto. E il lettore mantiene la sua libertà nell’ordinamento deicapitoli: può accettare quello da me proposto oppure un altro fra quel-li proposti da altri e riportati in appendice, oppure costruirsene uno luistesso. I fascicoli si lasciano disporre liberamente; a tenerli insiemebasta una pinzetta, che in caso di pentimento si potrà togliere e ri-mettere dopo aver riordinato i fascicoli.

Enrico De Angelis

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