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Il secondo numero del nostro giornalino-Marzo 2016

Date post: 07-Apr-2017
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IL GIORNALE DEL LICEO CANNIZZARO PALERMO FEBBRAIO 2016 NUMERO 1 bbiettivamente Öcalan cittadino onorario Mentre uomini e donne del partito “PKK” lottano giornalmente contro Turchia e Isis per la propria indipendeza, il loro leader, attualmente prigioniero nell’isola di Imrali, è stato insigni- to del titolo di cittadino onorario della nostra città Di Asia clemenza, pag. 4-5 FENOMENO STAR WARS L’ultimo capitolo “Il Risve- glio della Forza” riesce a competere con quelli passati? di Manfredi Alberto Monti pag. 24-25 #LIBERIFINOALLAFINE Cosa si intende per eutanasia? E’ il nostro sistema giuridico avanzato da questo punto di vista? di Davide Angelini pag. 6-7 STATO E CHIESA Fin dove si spinge l’influenza della Chiesa Cattolica nelle discussio- ni all’interno del nostro Stato? di Chiara Schillaci pag. 12 I PECCATI CAPITALI E IL CERVELLO Ne sentiamo parlare spesso da piccoli, poi ce ne dimentichiamo. Tutta- via questi sono radicati nella psiche umana. di Elisabetta Cannata pag.14
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Page 1: Il secondo numero del nostro giornalino-Marzo 2016

IL GIORNALE DEL LICEO CANNIZZARO

PALERMO FEBBRAIO 2016NUMERO 1

bbiettivamente

Öcalancittadino onorario

Mentre uomini e donne del partito “PKK” lottano giornalmente contro Turchia e Isis per la propria indipendeza, il loro leader, attualmente prigioniero nell’isola di Imrali, è stato insigni-

to del titolo di cittadino onorario della nostra cittàDi Asia clemenza, pag. 4-5

FENOMENOSTAR WARS

L’ultimo capitolo “Il Risve-glio della Forza” riesce a competere con quelli

passati?di Manfredi Alberto Monti

pag. 24-25

#LIBERIFINOALLAFINE

Cosa si intende per eutanasia?

E’ il nostro sistema giuridico avanzato da questo punto di vista?

di Davide Angelinipag. 6-7

STATO E CHIESA

Fin dove si spinge l’influenza della Chiesa

Cattolica nelle discussio-ni all’interno del nostro

Stato?di Chiara Schillaci

pag. 12

I PECCATI CAPITALI E IL CERVELLO

Ne sentiamo parlare spesso da piccoli, poi ce

ne dimentichiamo. Tutta-via questi sono radicati

nella psiche umana.di Elisabetta Cannata

pag.14

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In un’intervista rilasciata a “Il Fatto Quotidiano” sull’attuale situazione culturale dell’Italia, Dario Fo sostiene: <<Abbiamo oggi una classe d’intel-lettuali che in gran parte ha perso il tamburo, un formidabile strumento per svegliare i bambini imbambolati. Tacciono in molti: non hanno digni-tà e quindi non s’indignano. Ecco cos’è terribile e incredibile: la mancanza di indignazione>>. Ciò che temo di più oggi è che siamo assuefat-ti a scandali e imbrogli del mondo della politica; sembra quasi che essere giusti sia impossibile perché, come mostrano le recenti vicende di al-cuni partiti dell’opposizione, anche chi fa dell’o-nestà il proprio baluardo tiene dietro la schiena oppio e sedativi per stregare l’elettorato. Il risul-tato è che un numero crescente di persone non si interessa più della politica, si trova spaesato di fronte a un Parlamento dove ognuno urla contro l’altro al posto di fare il proprio lavoro. Se voglio-no restare a Montecitorio o a Palazzo Madama per “abbanniare” contro il governo o contro le forze di opposizione (o gli sforzi di opposizione, mi permetto di definirli), che vadano a farlo alla Vucciria! Non credo che l’Italia abbia bisogno di grida manzoniane. Le nostre istituzioni sembra-no una grande palude dove avviene una guerra tra rane e topi; può essere mai il silenzio la rispo-sta a tutto ciò? Eppure questo sta accadendo: se la situazione non cambierà, il numero di astenu-ti alle elezioni supererà quello dei votanti. Non pensate che io dica cose insensate: quanti can-nizzarini maggiorenni hanno richiesto al Comu-ne la tessera elettorale? Spero di ricredermi, ma penso che si possano contare sulla punta delle dita. E la cultura? sempiterno vanto dell’Italia sin dal Rinascimento? Dario Fo definisce gli intellet-tuali italiani <<inetti, tristi e asserviti al pensiero unico>>. Inoltre, a mio giudizio oggi la nostra cul-tura è troppo tradizionalista, le forme di speri-mentazione novecentesche sembrano esauritesi come ceneri che cadono dal cielo dopo fuochi d’artificio. Noto la tendenza a ripiegare sul pas-sato, a uno studio eccessivo e quasi reazionario di classici antichi e di romanzi moderni, come se

mescolando di continuo una “minestra arriqua-riata” il gusto migliori. Non bisogna nemmeno mandare al rogo il nostro passato, tuttavia oggi è quasi necessario guardare il Sole in viso e cercare di andare avanti. Studenti politicamente attivi, non credete che sia un po’ troppo anacronistico dichiararvi comunisti e giocare alla lotta contro i fascisti? State creando voi i vostri nemici, è follia, è schizofrenia. Intellettuali italiani, scrivete ope-re per esporle alla polvere di un museo? E tu, lettore, da quanto tempo non leggi un libro o un giornale? Quante ore passi condividendo sui social dei video che ti fanno sogghignare bona-riamente? Riprendendo una bellissima canzone di De Andrè,:

<<Anche se voi vi credete assoltiSiete lo stesso coinvolti>>

DAVIDE ANGELINI V C

L’EDITORIALE FORSE QUEST’ITALIA SI DOVREBBE SCROLLARE LA POLVERE DI DOSSO L’ “ERASMUS PLUS” AL CANNIZZARO

LUCIA RAFFELE II D

Il Cannizzaro ha dato la possibilità ad alcu-ni studenti di intraprendere uno scambio culturale con scuole di altre nazioni euro-pee mediante il progetto “Erasmus Plus”.Si tratta di un programma che coinvolge istitu-ti di scuole superiori e università europee ri-volto a giovani, studenti e insegnanti, dedicato all’istruzione, alla formazione mediante nuove esperienze, aperto a tutti i cittadini europei.Alla dotazione di fondi comunitari del program-ma si aggiungono i fondi forniti in ciascun Paese partecipante dalle autorità pubbliche, dalle stes-se scuole o università e dalle altre organizzazioni.Il programma non invita soltanto all’apprendi-mento della cultura del corrispondente ma an-che un forte senso di comunità tra gli studenti corrispondenti ospitanti provenienti da paesi di-versi, è anche un’esperienza importante e un’op-portunità per imparare a convivere con culture diverse. Il nome del programma, nato nel 1987 affinché gli studenti europei possano arricchire il loro patrimonio culturale mediante il contatto con altri popoli, deriva da Erasmo da Rotterdam, filosofo e teologo olandese che si spostò in tutta Europa alla ricerca di esperienze e cognizioni e che nutriva il sogno di un’umanità unita da radi-ci culturali comuni con lo scopo di fare della di-versità un elemento di arricchimento culturale.

Il progetto inoltre comprende differenti attivi-tà oltre il semplice gemellaggio, consente poi a studenti universitari di intraprendere un corso di studi e lo sviluppo di programmi di studio o di pro-grammi intensivi internazionali, il programma può anche assumere la forma di rete tematica. A que-sto progetto partecipano ventotto stati membri dell’Unione Europea, comprese Turchia, Norve-gia e Islanda. La nostra scuola è stata scelta tra una selezione in tutta Italia e lo scambio culturale è stato fatto con Turchia, Francia, Spagna e Svezia. Io ed altri cinque ragazzi abbiamo avuto la pos-sibilità di avere uno scambio con altrettanti sei ragazzi svedesi. Dopo essere stati ospitati in Svezia per una settimana accompagnati dalla preside e dalla professoressa Clemenza, abbia-mo accolto i ragazzi svedesi a Palermo nel pe-riodo di dicembre. Ogni ragazzo è stato ospitato nella casa del proprio corrispondente con l’in-tento di mostrare non solo il nostro stile di vita, ma anche alimentazione e abitudini quotidiane.Con un programma svolto dalla scuola, han-no avuto l’opportunità di conoscere i luoghi storici e i più importanti di Palermo, visitare siti archeologici come Selinunte, avere un’e-sperienza nuova dentro la scuola italiana e di incontrare personaggi illustri come il sindaco.

SOMMARIOL’Erasmus “plus” al Cannizzaro.........................................3Abdullah Öcalan...............................................................4-5#LiberiFinoAllaFine..........................................................6-7Corea del Sud: Songdo, un’utopia che diventa re-altá........................................................................................8-9Siamo sicuri di non essere come loro?.......................10Non può esistere soluzione militare al problema dell’ISIS...................................................................................11Rapporto Stato - Chiesa..................................................12L’importanza di saper trattare con la gente.............13I peccati capitali e il cervello..........................................14C215, l’artista educato...............................................15-17Call of Duty Black Ops 3..................................................18Il CRISPR: La tecnologia genetica è eticamente cor-retta o scorretta?................................................................19L’Indie in Italia.....................................................................20Il Soft-Air...............................................................................21Approfondimento su Star Wars.............................22-23Il ritorno dei favolosi “Lucky Losers”............................24Narcos....................................................................................25Pensieri e parole...........................................................26-27Galleria Fotografica...........................................................28

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A distanza di diciassette anni dall’”allontana-mento volontario” dall’Italia di Abdullah Ocalan, Palermo decide di insignirlo della cittadinanza onoraria: “Siamo molto orgogliosi – ha detto il sindaco Leoluca Orlando – di aver conferito al popolo curdo e per esso al suo leader, Abdullah Ocalan, la cittadinanza onoraria di Palermo. A conferma del sacrosanto diritto di questo popo-lo di aver riconosciuto l’esistenza della propria terra: il Kurdistan, una regione divisa tra Turchia, Siria, Iraq ed Iran. La città di Palermo, riconosce, così, le costanti azioni di promozione dei diritti umani, di tutela del diritto alla vita, di sostegno alle garanzie internazionali che devono esse-re previste per tutte le donne e gli uomini del pianeta, indipendentemente dall’appartenenza culturale, dalla provenienza e dall’orientamento religioso, politico, filosofico e sessuale. La nostra adesione alla campagna contro la pena di mor-te con il conferimento di cittadinanza onoraria a numerosi condannati a morte e la convinzione che la mobilità umana debba essere riconosciuta come un diritto inalienabile rappresentano ca-ratteristica qualificante di una città che, con la Carta di Palermo, ha esplicitato la sua missione politica per la costruzione della pace nel mondo e prioritariamente, in ragione della sua colloca-zione geografica, nel bacino del Mediterraneo”.Ma chi è Abdullah Ocalan? Ocalan nasce nel 1949 ad Amara, villaggio del Kurdistan turco. Studia Scienze Politiche ad An-kara, dopo aver lavorato come dipendente pub-blico a Diyarbakir. Con l’avanzare degli anni inizia a prendere sempre più coscienza della questio-ne curda, della negazione e della soppressione dell’identità del suo popolo, con una svolta de-cisiva nel 1978, anno in cui viene fondato il PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Iniziano quindi le ricerche sulla questione curda: Ocalan e i suoi compagni di lotta lavorano su temi so-ciali, sviluppando nuove idee e tesi su filosofia, religione, uguaglianza tra sessi e problemi am-bientali. Lascia preventivamente la Turchia nel ‘79, infatti l’anno dopo avviene un colpo di Stato:

si registrano numerosissimi morti, feriti, tortura-ti, schedati, arrestati, giustiziati o esiliati, a opera del generale Kenan Euren. Questi mette fuori legge molti partiti, abolisce il senato e istituisce un nuovo articolo della costituzione in cui si pre-vede l’esenzione dei militari golpisti dalla giusti-zia, per gli atti commessi durante il loro governo. Solo nel 2010 un referendum, comprendente un pacchetto di riforme costituzionali, abolisce questo articolo. Ma non si è ancora svolto nes-sun processo che riguardi i crimini contro l’uma-nità commessi, che sono stati invece prescritti. Secondo il giornalista Ismail Saymaz “qualsiasi forma antidemocratica oggi esistente è diretta-mente legata al 12 settembre 1980. Occuparsi di quel periodo non significa parlare di un passato remoto, ma parlare d’attualità”.Ocalan si accorge però di un fattore fondamen-tale, ovvero che la soluzione militare è impossibi-le, e sposta dunque l’attenzione verso una solu-zione politica. Ma lo Stato turco non dà seguito ai cessate il fuoco unilaterali e anzi minaccia la Siria, che ospitava Ocalan nel ‘98.Inizia così un intrecciato caso diplomatico inter-nazionale: lascia la Siria per l’Europa, cercando asilo politico dapprima in Russia, da cui viene allontanato. Pur senza il sostegno formale del governo greco ha il sostegno di alcuni agenti se-greti che lo proteggono dal mandato di cattura turco e da quello della Germania federale. Viene accompagnato da Mosca all’Italia da un deputa-to di Rifondazione Comunista, Ramon Mantova-ni, dopo aver nominato come avvocato Giuliano Pisapia. Considerando la situazione del governo D’Alema che, secondo Sergio Romano era un “pasticciato rimestio del quadro politico nazio-nale”, si può almeno in parte capire come “alcuni considerassero Ocalan un pericoloso terrorista, altri un coraggioso patriota”. Non gli viene però concesso asilo politico, violando di fatto gli arti-coli 10 e 26 della Costituzione (riguardanti non solo l’asilo politico ma anche l’estradizione passi-va per i reati politici nei paesi in cui è prevista la pena di morte, come appunto la Turchia del ‘98).

ASIA CLEMENZA IV IABDULLAH ÖCALAN

D’Alema infatti, pressato dal rischio di boicot-taggio delle aziende italiane all’estero da parte di Turchia e Stati Uniti, opta per quella che gli appare come l’unica soluzione rimanente: con-vincere Ocalan ad “allontanarsi volontariamen-te”, fu questa la formula utilizzata dal governo. Dunque dopo 65 giorni Ocalan lascia il paese per il Kenya, dove viene arrestato dall’Intellgence turca. Il breve processo, che ha per esito la con-danna a morte, viene considerato “ingiusto” dal-la Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e viene sospeso dal presidente turco Ecevit, per non incrinare i rapporti con l’Euro-pa. Ma poiché nel 2002 viene abolita la pena di morte in Turchia, la sua pena viene commutata in “ergastolo aggravato”. Ed è allora che Ocalan viene rinchiuso in quella che è definita la “Guan-tanamo europea”, un carcere di massima sicurez-za al confine tra Europa ed Asia, la prigione-isola di Imrali. E’ stato l’unico detenuto fino al 2009, e per undici anni non ha potuto avere contatti con quasi nessuno (gli erano vietate perfino le stret-te di mano), ma gli altri cinque incarcerati sono in celle d’isolamento. Dal carcere scrive nume-rosissimi libri, di cui 12 pubblicati, in cui sviluppa un modello di superamento del secessionismo, in favore della convivenza pacifica e in accordo con i suoi precedenti tentativi di risoluzione pa-cifica e diplomatica (dai cessate il fuoco ai “grup-pi di pace” costituiti da guerriglieri disarmati del PKK, arrestati e condannati in Turchia). Scrive anche una road map, ovvero un piano diploma-tico programmato in diverse accurate tappe per il raggiungimento di un determinato obiettivo di pacificazione, ma il testo fu sequestrato (suc-cessivamente pubblicato in inglese). Nel 2005 enuncia un proclama in cui esplica il concetto di Confederalismo Democratico, che si pone come obiettivo la costruzione pacifica di una società civile non-statale, democratica ed ecologica, se-condo “equa e volontaria unità”. I suoi pilastri sono dunque l’ecologia, in quanto “un model-lo ecologico della società è essenzialmente un modello socialista”, e la parità dei sessi. Questa concezione va a scardinare il “nesso causale tra la questione curda e la dominazione globale del

sistema capitalistico moderno”, e colloca Ocalan come vero e proprio “portatore di convivenza universale”. Infatti nonostante l’interruzione del processo di Oslo nel 2011 (ovvero i negoziati segreti, in cui sono stati concordati di tre proto-colli risolutivi in accordo con la sua road map), il consecutivo aggravamento delle sue condizioni di isolamento, che perdurano tutt’ora, Abdullah Ocalan è riconosciuto come leader nazionale, con più di 3,5 milioni di firme curde e 750 mila firme all’estero a sostenerlo. “Sostenere la re-sistenza del popolo curdo significa schierarsi contro il terrorismo dell’Isis e Palermo, già lega-ta con Kobane e con le comunità autonome del Rojava con un patto di amicizia, è la prima città italiana a compiere questo gesto, un atto di soli-darietà nei confronti di tutte le donne e di tutti gli uomini che in Kurdistan hanno combattuto e combattono per edificare una società più uma-na, più giusta e più libera” (comitato ‘Palermo solidale con il popolo curdo’).

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La riflessione sull’eutanasia (dal greco “eu” , “bene” , e “thanatos” , “morte”) è il nucleo fon-damentale della branca dell’etica più oggetto di studio ai giorni nostri, la bioetica. L’argomento è molto complesso poiché coinvolge filosofia, me-dicina e biologia. Secondo la definizione moder-na, l’eutanasia è il processo mediante il quale un uomo, privo di qualsiasi possibilità di guarire da una malattia che lo affligge con dolori acutissimi e oppure che costituisce un impedimento a fun-zioni vitali o di vitale importanza per l’individuo (esempio: la paralisi totale del corpo) decide di porre fine alla sua vita, e dunque alle sue soffe-renze. Negli ultimi anni ci sono stati numerosi casi di persone che hanno richiesto l’eutanasia perché afflitte da patologie di questo tipo. Un caso che ha destato molto scalpore in Italia è sta-to quello di Piergiorgio Welby, il quale soffriva di una malattia degenerativa molto grave, la distro-fia fascioscapolomerale, che impediva il corretto funzionamento dei suoi muscoli. Dal 1997 non riuscì più a respirare autonomamente, pertanto fu tenuto in vita da un respiratore automatico, e progressivamente rimase paralizzato. Nono-stante fosse stato sottoposto a tentativi di cure estreme, la sua condizione non migliorò minima-mente. Consapevole che nulla lo avrebbe difeso dal destino ineluttabile che lo attendeva, chiese al suo medico di staccare la spina del suo polmo-ne artificiale, previa somministrazione di un ane-stetico. Dopo aver ricevuto un rifiuto, scrisse una lettera al Presidente della Repubblica,

Giorgio Napolitano, e fece ricorso alla magistra-tura. “Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. [...] Purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche”. Dopo aver ricevuto altre risposte negative, certo del proprio diritto all’autodeterminazione, ovve-ro il poter scegliere fino alla fine cosa fare nella propria vita e della propria vita, chiese a più ri-prese a un medico anestesista di fare ciò che egli avrebbe fatto se avesse potuto. Il medico decise di accettare, lo sottopose ad anestesia e stac-cò la presa del respiratore il 20 Dicembre 2006. Nacque una vera e propria battaglia legale che vide costui accusato di reato di omicidio del con-senziente; alla fine il caso fu archiviato benché nel codice penale italiano mancasse una norma che giustifichi o che sia un attenuante a casi di omicidi simili. Il Concilio Episcopale Permanente condannò fermamente la volontà di Welby e il gesto del medico; inoltre il parroco della chiesa di Don Bosco a Roma negò alla moglie del defun-to la possibilità di celebrare il funerale religioso (la stessa parrocchia avrebbe ospitato nove anni dopo l’ampollosa e spettacolare “santificazio-ne” funebre di Vittorio Casamonica, il boss della mafia romana). In campo etico non si hanno mai delle risposte definitive, né il parere di alcune autorità può risolvere una questione. La scelta

della magistratura di archi-viare il processo nei confronti dell’anestesista è stata presa a partire dalla constatazione dell’arretratezza del diritto ita-liano riguardo alle questioni di bioetica, valutando anche le condizioni in cui si trovava l’am-malato; di fatto, l’anestesista ha semplicemente anticipato qualcosa che sarebbe inesora-bilmente giunto,

DAVIDE ANGELINI V C

#LIBERIFINOALLAFINE

ponendo fine a una situazione caratterizzata dalla presenza del solo dolore. Altri casi molto importanti riguardo al tema dell’eutanasia sono quelli di Britanny ed Eluana. Britanny Maynard era una ragazza statunitense di 29 anni che fu colpita da una forma molto aggressiva di tumore al cervello. Frequentemente era afflitta da for-tissimi mal di testa, che addirittura le impediva-no di parlare, perdita di conoscenza e gravi difet-ti nella memoria. Dopo che i medici le diedero sei mesi di vita, scelse di praticare l’eutanasia, legale in alcuni stati dell’America, e decise au-tonomamente la data della propria morte, il 30 Ottobre 2014 (il giorno successivo al complean-no del marito). In quel giorno ella tuttavia ten-tennò, affermando di essere felice e di sentirsi provvisoriamente bene, rimandando dunque il momento decisivo. Passarono soltanto due gior-ni da quella apparenza di benessere: morì l’1 No-vembre 2014. “Addio a tutti i miei cari amici e alla mia famiglia, che amo. Oggi è il giorno che ho scelto per morire con dignità a fronte della mia malattia terminale, di questo terribile cancro al cervello che si è preso così tanto di me, e che si sarebbe preso ancora di più. Il mondo è un po-sto bellissimo, i viaggi sono stati i miei più grandi maestri, i miei amici e la mia gente sono i più ge-nerosi. Ho tante persone attorno a me persino adesso, mentre scrivo… Addio mondo. Diffon-dete energie positive. Fate del bene agli altri!”Mentre Britanny scelse con coscienza la fine del-la propria vita, diversa fu la storia di Eluana. Ella era una ragazza italiana che restò in coma vege-tativo per diciassette anni dopo un incidente au-tostradale nel 1992. Oltraggiose furono le dice-rie sulla sua condizioni fisica, beceri e ingiuriosi i commenti di alcuni politici. Il padre di Eluana chiese l’interruzione dell’accanimento terapeuti-co per la figlia già nel 1999; Dopo aver constata-to la sordità della magistratura sull’argomento, decise, insieme ai familiari, di agire autonoma-mente. Eluana si spense il 9 Febbraio del 2009, tredici persone furono coinvolte nell’accusa di omicidio; il caso venne archiviato solamente nel 2013. Poiché la vittima era completamente in-cosciente da anni, non si ebbe mai un parere del

soggetto sulla questione, come era avvenuto nel caso di Welby e di Britanny. Si tratta di omicidio? È oggettivamente riconosciuto a partire dai re-ferti medici, tuttavia, che Eluana non avesse al-cuna possibilità di risvegliarsi dallo stato in cui si trovava. La soluzione a circostanze di questo tipo esiste ed è in vigore nei paesi anglosassoni da vari anni: il “living will”, il testamento biolo-gico, che dà la possibilità a un uomo in stato di perfetta coscienza di esprimere un giudizio sulle terapie che potrebbe affrontare se si trovasse nella condizione di non poter intendere e volere per motivi biologici. Sul tema eutanasia la legi-slazione italiana è ancora molto arretrata, come abbiamo visto, ma ultimamente si stanno com-piendo i primi passi in avanti. Dopo numerose campagne di sensibilizzazione attraverso i social network e migliaia di firme raccolte, per la pri-ma volta la legge sulla “dichiarazione anticipata di trattamento” è stata calendarizzata nei lavori al Parlamento e sarà discussa a Marzo. E’ un tra-guardo fondamentale perché è stata riconosciu-ta l’importanza del diritto all’autodeterminazio-ne, della libertà di ogni individuo di avere potere decisionale su di sé fino alla fine. Secondo una mia personale opinione, lo Stato, in quanto au-torità laica, dovrebbe garantire a chiunque lo vo-lesse la possibilità di praticare l’eutanasia.

Benché io condanni aspramente il suicidio, riten-go che in casi estremi come quelli di Welby, Elua-na e Britanny sia lecito porre fine alla propria vita se questa si configura come un lungo protrarsi di malattie senza cura che distruggono l’umanità di una persona. Critico tuttavia chi decide di sotto-porsi all’eutanasia senza un motivo necessario, come avviene in alcune cliniche della Svizzera.

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La dibattuta questione della sostenibilità am-bientale, tornata in auge a seguito della recente conferenza sul clima di Parigi e della pubblicazio-ne di studi circa il futuro andamento demogra-fico della popolazione mondiale, - questi ultimi concordi nell’affermare un aumento esponen-ziale del numero degli abitanti del nostro pianeta che, in un futuro abbastanza prossimo, circa 50 anni, toccherà la soglia dei 9 miliardi -, ha spinto molti ad interrogarsi ed ingegnarsi su come or-ganizzare un nuovo modello di vita, più efficien-te ed ottimizzato. Nel pieno dunque di ferventi discussioni sulle cosiddette “smart cities” , la Co-rea del Sud sbalordisce il mondo dando luce ad un progetto, venuto a costare ad oggi ben $35 miliardi, di città “istantanea”: Songdo. Situata a 70 Km dalla capitale Seoul, e separata mediante un ponte di 16Km, edificato ad hoc, da uno degli aeroporti internazionali più efficienti al mondo, quello di Incheon, che permette in poche ore di volo un collegamento diretto con circa 1/3 della popolazione mondiale, ovvero con i colossi Cina, Giappone e Russia, Songdo rappresenta un ag-glomerato urbano non sviluppatosi nel corso dei secoli attorno ad un nucleo commerciale o ad una via di comunicazione importante, come ac-caduto per pressoché tutti i centri urbani d’ Eu-ropa, bensì frutto di una pianificazione a tavoli-no che ha visto la partecipazione sia del governo sudcoreano che di privati: fra questi, da segna-lare due multinazionali dell’edilizia, una statuni-tense, l’altra coreana. L’obiettivo primario, nelle intenzioni degli ideatori, sarebbe quello di farne il centro affaristico e commerciale di riferimento del Nord-Est asiatico. A fronte di una popolazio-ne di 65000 abitanti, Songdo è stata infatti con-cepita per ospitare ben 300000 lavoratori; dun-que essa verrebbe a rappresentare non solo una ghiotta opportunità per i Sudcoreani stanchi del caos e dello smog di Seoul di cambiare residen-za, ma, nelle intenzioni degli ideatori, una vera e propria metropoli abitata da persone prove-nienti da tutto il mondo. Per capire come tutto ciò verrà attuato, è necessario aver ben chiaro il

concetto di “aerotropoli”, ovvero città costruita attorno ad un aeroporto. Come già accennato in precedenza, Songdo si situa in una posizione strategica. In effetti, mentre in passato gli uomi-ni si stabilivano in vicinanza di fiumi o del mare aperto, nell’età della globalizzazione gli aeropor-ti stanno assumendo la medesima importanza ri-vestita dalle vie di comunicazione tradizionali in precedenza. Songdo rappresenta inoltre la città ideale del futuro, poiché è organizzata seguen-do un modello secondo cui sempre più persone si adatteranno a vivere nei prossimi decenni. Edi-ficata su 6500 ettari di terreno sottratti al Mar Giallo, essa è stata concepita rielaborando e fa-cendo convivere le più apprezzabili peculiarità delle principali metropoli del mondo: il Central Park di New York, il Canal Grande di Venezia ed i maestosi Boulevards di Parigi. Il progetto ha pre-visto inoltre una superficie di spazi aperti pari al 40% del totale, in accordo con i più moderni stu-di sulla sostenibilità ambientale e sulla qualità della vita nelle città fino ad oggi effettuati. Ma non solo: i blocchi residenziali saranno collegati da ben 25 Km di piste ciclabili, le quali si apriran-no in vere e proprie piazze concepite in modo da ricevere ad ogni ora del giorno, condizioni me-teo permettendo, la luce solare.

VINCENZO MANFRÈ V A

COREA DEL SUD, SONGDO: UN’UTOPIA CHE DIVENTA REALTÀ

Tutti i parcheggi saranno sotterranei, e grande spazio verrà dato ai veicoli poco inquinanti: una metropolitana collegherà la città all’aeroporto ed alla capitale coreana, mentre stazioni di ri-fornimento elettrico verranno costruite in ogni box auto. La gestione delle acque rappresenta un altro fiore all’occhiello del progetto: difatti, la morfologia del territorio permetterà un riuti-lizzo delle acque reflue per l’irrigazione. Energia pulita alimenterà l’intera città fornendo anche acqua calda. Un sistema centralizzato di raccol-ta garantirà lo smaltimento interno dei rifiuti, i quali, tramite condutture a trazione pneumatica, saranno direttamente collegati ad una centrale, evitando così l’ingombro delle strade dovuto ai cassonetti ed alla raccolta notturna da parte dei camion della spazzatura. Il cemento utilizzato, flyash-content concrete, permetterà una riduzio-ne di CO2 del 20% al momento della costruzione, aumentando nel contempo la coibentazione ter-mica. Gli edifici saranno edificati secondo criteri di consumo energetico di CLASSE A; i tetti degli appartamenti saranno pensati a mo’ di giardini pensili, in modo da ridurre il drenaggio a terra delle acque durante i temporali. Tuttavia il punto forte nonché cuore e motivo ispiratore dell’im-presa è la tele trasparenza. La città, infatti, verrà completamente digitalizzata e coperta da fibra ottica. Un centro operativo raccoglierà qualsiasi tipo di informazioni, sia dall’ esterno che dall’ in-

terno. Giusto per fare un esempio: sensori speci-fici regoleranno le luci dei semafori così da cam-biare colore a seconda del traffico, in modo da decongestionarlo; i lampioni si autoregoleranno cosicché si possano spegnere quando una strada è deserta; giganteschi maxischermi inonderanno i principali punti di ritrovo di luci, colori ed im-magini in modo tale da aumentare al massimo la comunicazione e il collegamento della città al mondo esterno e, all’interno, di ciascuna zona con le restanti. Inoltre, secondo lo schema Inter-net of Everything, verrà fornito un servizio porta a porta virtuale e verrà garantito agli abitanti un canale di comunicazione giornaliero e sempre attivo con ospedali e pronto soccorsi di tutta la città. Songdo, quindi, oltre a rappresentare il risultato tangibile di una progettazione che, si può a ragione dire, apre uno scorcio sul futuro, dovrebbe rappresentare anche un’occasione per riflettere sul cammino che l’ Umanità intera sta cominciando a percorrere in direzione di un sempre maggiore ruolo e protagonismo delle tecnologie che, è indubbio, rivestiranno una fun-zione sempre più essenziale per la nostra stessa esistenza. Ancora non è possibile esprimere un giudizio di merito circa la buona riuscita o meno del progetto, tuttavia grandi speranze ma nel contempo grandi perplessità esso ha suscitato, come del resto è sempre accaduto nei momenti di grande cambiamento della Storia.

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“Allah Akbar” è la frase che hanno urlato una de-cina di terroristi venerdì 13 novembre, quando in cinque posti differenti di Parigi hanno sparato sui civili e si sono fatti esplodere in nome di Dio. Questi attentatori fanno parte dell’ISIS, l’orga-nizzazione di estremisti islamici che da anni in-traprende una vera e propria guerra con l’Occi-dente. Questa volta hanno deciso di attaccare i giovani sparando sulla folla durante un concerto metal in un piccolo teatro della capitale francese e in un ristorante nel centro di Parigi. Poco prima dell’inizio della partita Francia-Germania un ter-rorista si è fatto esplodere nei pressi dello stadio provocando vari morti. Alla fine le vittime sono state 130 e i feriti oltre 300. A meno di 48 ore dagli attentati di Parigi la Francia intensifica i raid in Siria e bombarda la roccaforte dell’autoprocla-mato Stato Islamico a Raqqa. Il Ministero della Difesa francese ha annunciato una serie di ope-razioni condotte da 10 caccia decollati da Emirati Arabi Uniti e Giordania. I velivoli hanno sganciato in totale 20 bombe su quella che è considerata la capitale e base di comando del gruppo jihadista. Adesso vorrei fare una riflessione e vorrei farvi pensare. Siamo sicuri che le 20 bombe lanciate dagli aerei francesi hanno colpito solo militanti

dell’ISIS? Sapete quanti civili sono morti in Siria negli ultimi 5 anni? 250.000 povere persone han-no perso la vita a causa della guerra civile Siriana e a causa dei nostri bombardamenti.

Era necessario? E’ servito a qualcosa? Dovrem-mo analizzare la situazione oggettivamente e non soggettivamente come fanno i media euro-pei. Niente potrebbe giustificare gli attacchi di questi “animali” ma è una vera e propria guerra e come tale è ovviamente sbagliata, l’Europa li bombarda e loro ci uccidono. Siamo sicuri che siamo così diversi da loro?

ALDO MARGUGLIO III HSIAMO SICURI DI NON ESSERE COME LORO?

Le azioni militari sono di impedimento alla rea-lizzazione di soluzioni definitive politiche. Non esiste azione immediata che faccia sparire l’ISIS. Nonostante i provvedimenti militari degli Stati Uniti riescano a centrare bersagli giusti da qual-che parte, non si può distruggere un’ideologia — o anche un’organizzazione — bombardandola. Come si è visto, infatti, anche gente che provie-ne da altri Stati anche civilizzati si unisce a questa organizzazione terroristica, nata per cause stori-che più che giuste che però non giustificano ciò che è diventata e il loro tentativo di farla appa-rire una guerra santa voluta da Allah. Un’azione militare potrebbe recare qualche soddisfazione immediata, ma la vendetta è una cattiva base per la politica estera, specialmente quando ha tali conseguenze disastrose. Bisogna mantenersi focalizzati sulle soluzioni a medio e lungo termi-ne, unici metodi di confronto. Gli attacchi militari sono da evitare non solo per una miriade di mo-tivi (illegali per il diritto internazionale, immora-li a causa delle vittime civili, distolgono da una diplomazia vitalmente necessaria), ma rendono impossibili vere soluzioni. La gran parte degli af-filiati all’ISIS usa la loro religione come grido di battaglia e getta il terrore perché effettivamen-te è l’unica forma di forza con la quale sono cre-sciuti. Hanno poca cultura e combattere è la loro unica forma di confronto. L’ISIS ha militarmente diversi punti di forza: Ha buone armi, una valida dirigenza militare fornita da generali sunniti, è sostenuto dai capi tribali sunniti, dai comuni cit-tadini sunniti iraqeni ed è supportato e alimenta-to non solo da chi procura loro armi sofisticate, ma anche da chi acquista illegalmente da loro reperti archeologici. Sono stati demonizzati, ag-grediti, e spossessati dal governo di Baghdad, e molti di loro considerano quindi l’ISIS la sola for-za con cui potersi alleare per sfidare il governo. Sul web recluta e addestra su scala internaziona-le, anche in Europa, numerosi proseliti e bande di fanatici religiosi pronti alla Jihād ed alla mor-te in nome di Allah, sicuri essere da lui premiati. Indebolire l’ISIS richiede l’erosione del sostegno su cui poggia. Bisognerebbe quindi impedirgli di

ergersi a paladino dei sunniti che, bistrattati da-gli occidentali, trovano nelle azioni terroristiche il solo modo di lottare. Ed inoltre fermare, con leggi adeguate, il traffico di beni culturali e la vendita sul mercato nero di reperti archeologici estremamente preziosi (prelevati dallo smantel-lamento dei ricchissimi monumenti della città di Palmira) con cui autofinanziano il terrorismo. Bisogna smettere con gli attacchi aerei poiché vengono visti come un’ulteriore minaccia e im-pediscono di porre fine al diffuso sostegno all’I-SIS: servono esclusivamente a rafforzarlo. Tutti gli Stati devono impegnarsi anche a “Non metter piede sul terreno siriano”.Per rimanere coeren-ti con il messaggio di un effettivo confronto tra popoli, si dovrebbe trattare con l’ISIS. Gli USA, anche se stanno effettuando attacchi aerei, sono consapevoli che non esistono soluzioni mi-litari. Si deve ricorrere alla diplomazia iniziando anche una ricerca per soluzioni diplomatiche all’ONU e spingerlo a ricominciare negoziati per far finire la guerra in Siria chiamando a trattare i diretti interessati. E’ importante inoltre aumen-tare i contributi per i milioni di rifugiati e sfollati della Siria e dell’Iraq. Il 21 novembre c’è stato il Via libera del Consiglio di sicurezza Onu a una ri-soluzione che invita tutti gli Stati membri a unirsi nella lotta contro i terroristi, che rappresentano “una minaccia inedita e globale”. Tuttavia, il 27 dicembre la Russia ha dichiarato di aver bombar-dato lunghe colonne di camion cisterna che tra-sportano petrolio da vendere sul mercato nero in Turchia. Come si vede, la tensione internazio-nale ogni giorno assume svariate sfaccettature. Talvolta prevale l’uso della forza e della vendet-ta/punizione, talvolta si offre aiuto umanitario ai sofferenti o si tenta di tagliare le fonti di ricchez-ze del movimento terrorista. Queste ultime noti-zie possono determinare o l’inizio di una guerra globale (del tutti contro tutti) o la presa di co-scienza del’ISIS sulla necessità di instaurare un dialogo proficuo con chi intendono combattere. La mia opinione è sempre la medesima: le azioni militari non permettono la definitiva risoluzione dei problemi.

COSTANZA RUGGIERI II D

NON PUÒ ESISTERE SOLUZIONE MILITARE AL PROBLEMA DELL’ISIS.

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In questi ultimi giorni in Italia, a causa di nume-rosi fatti accaduti di recente, le prime pagine dei giornali e i servizi dei telegiornali sono stati riservati ad argomenti legati al rapporto tra Re-ligione e Stato. In particolare, si sono aperti vari dibattiti tra le controparti politiche inerenti la questione religiosa: che sia legata al fatto che all’interno del territorio italiano vi sia lo stato Vaticano? Certamente questo influisce, a mio parere, su certe tematiche all’ordine del giorno, tra i quali: l’aborto spontaneo, le unioni civili, la legalizzazione della marijuana, i divorzi e l’immi-grazione. Eh sì, perché i nostri politici non man-cano di prendere posizioni ben precise su questi argomenti. Uno dei fatti più eclatanti di questi ultimi tempi, giusto per fare un esempio, è acca-duto in una scuola elementare di Rozzano, dove un preside ha deciso di non far eseguire dei canti cristiani durante la classica recita natalizia, sem-plicemente in rispetto delle altre religioni, e non di “cancellare il Natale”, come molti hanno affer-mato. Insomma, notizie distorte e voci di corri-doio hanno fomentato la cosa ingigantendola ed ogni scusa è stata buona per fare propaganda politica scagliandosi contro questo povero pre-side la cui unica colpa è stata soltanto quella di, senza nuocere a nessuno, aver rispettato le altre culture e soprattutto la Costituzione italiana la quale riconosce un principio di laicità ribadito nel 1989 dalla Corte Costituzionale. In base a quest’ ultimo, infatti, l’ordinamento italiano attribu-isce ad ogni cittadino la facoltà di preferenza di religione e nell’articolo 7 stabilisce che “Sta-to italiano e Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, sovrani e indipendenti”, mentre all’articolo 8 che “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere e che a quelle diverse dalla cattolica viene riconosciuto lo stesso regi-me di rapporti con lo Stato, per tutelare le loro specifiche esigenze, mediante accordi”; cosa c’è dunque di sbagliato nella decisione di non fare cantare canzoni cristiane a dei bambini nel ri-spetto delle altre culture? Sicuramente nulla di così scandaloso da fare muovere non solo da parte di alcuni nostri politici ma anche da parte

della CEI (Conferenza Episcopale Italiana ) varie critiche abbastanza immotivate e vere e proprie manifestazioni di dissenso. Questa è solo uno dei molti episodi riguardanti il tema dei rapporti tra Religione e Stato, anche se non dovrebbero essere, secondo me, così numerosi, dal momen-to che l’Italia, uno stato laico, non dovrebbe ne-anche rivestire i luoghi pubblici con simboli sacri. Ma da dove nasce tutta questa voglia di man-tenerci stretta la cosiddetta “nostra” religione cristiana? Sicuramente dai “Bastardi Islamici” del titolo di prima pagina del giornale Libero, scritto in seguito ai gravi fatti accaduti a Parigi tra il 13 e il 14 novembre, una titolazione definita “ fuori dalla società civile” da molti cittadini, a testimo-nianza del fatto che queste titolazioni e questi continui attacchi alla religione islamica non han-no alcun senso e non riflettono in alcun modo alcun principio del Cristianesimo, che anzi si basa sul rispetto del prossimo; da segnalare, inoltre, la denuncia penale di Maso Notarianni (noto blogger e giornalista) nei confronti di Maurizio Belpietro, direttore del giornale sotto accusa, per la titolazione inappropiata. La domanda che sorge dunque spontanea è: “perché continuare questa guerra in difesa della religione come se “qualcuno ce la stesse portando via”? Ogni buon cristiano sa bene che tutto ciò non ha fonda-mento e che invece di pensare a cantare canzoni natalizie dovremmo porre la nostra attenzione ai diritti negati a certe persone nel mondo e a vincere questa guerra contro il terrorismo uniti con le altre religioni, nel rispetto della civiltà che dovrebbe contraddistinguerci da coloro che uc-cidono nascondendosi dietro un Dio, anche se ul-timamente, purtroppo, non è sempre stato così.

CHIARA SCHILLACI III CRAPPORTO STATO-CHIESA

Quanto è importante saper trattare con la gen-te? Quali sono i modi da usare per farsi benvo-lere? Come convincere il prossimo a condividere le nostre opinioni? In poche parole: “How to win friends and influence people?”.Dale Carnegie ha studiato la vita delle persone più influenti nella storia dell’uomo alla ricerca delle risposte: da Giulio Cesare ad Abraham Lin-coln, Thomas Edison e Theodore Roosevelt. La domanda che lo ispirava era: ”How to win friends and influence people?” (”Come ottenere amici e influenzare le persone?”). Ma chi è Dale Car-negie? Dale Carnegie (1889-1955) è ricordato come un “genio del pensiero positivo” e proprio su questo argomento ha scritto numerosi libri; le parole che suggerisce al lettore non sono diva-gazioni teoriche di un esperto in relazioni inter-personali, né capitoli di un altisonante trattato di psicologia: semplicemente sono consigli che hanno un immediato utilizzo pratico a scuola, in casa, sul lavoro e nei rapporti sociali in gene-re. Infatti Herbert Spencer, filosofo britannico e premio Nobel per la Letteratura, affermava: ”Lo scopo supremo della formazione culturale non è l’erudizione, ma l’azione”, l’apprendimento è un processo attivo, solo facendo si impara. Ma torniamo alle nostre domande iniziali: a cosa ci serve sapere le risposte? Una ricerca effettuata dal Carnegie Foundation for the Advancement of Teaching ha evidenziato che, anche nelle pro-fessioni più tecniche, il successo è dovuto per il 15% a solide conoscenze di settore e per l’85% a doti umane come la personalità e la capacità di farsi seguire dalla gente; quindi: chi possiede una buona preparazione tecnica e in più è capace di esprimere le proprie idee, di comandare senza offendere e suscitare risentimenti, di accendere l’entusiasmo tra i collaboratori, sarà candidato meritatamente alle leve del potere.Quali sono le tecniche fondamentali per trattare con la gente? “Se vuoi prenderti il miele, non tira-re calci all’alveare”: non bisogna criticare ma es-sere prodighi di apprezzamenti onesti e sinceri: la gente riterrebbe un’impresa criminosa lasciare

la propria famiglia o i propri dipendenti a digiuno per cinque giorni; eppure non hanno problemi a lasciarli cinque giorni, o cinque settimane, o a volte addirittura cinque anni, senza quella gra-tificazione della quale hanno bisogno assoluto, tanto quanto del cibo; è anche utile sottolineare come “il solo sistema valido perché io ottenga da voi quello che voglio è che anche voi lo vogliate”, quindi è necessario suscitare negli altri la nostra stessa volontà domandandoci: “come posso fare in modo che questa persona arrivi a desiderare la stessa cosa che voglio io?”, così da non perder-ci in futili chiacchiere sui nostri desideri; Henry Ford diceva:”Se esiste un segreto del successo, direi che sta tutto nel riuscire a vedere dal punto di vista dell’altra persona, a uniformarsi all’ango-lo di visuale altrui.” Questi tecniche per trattare bene la gente, Carnegie, le implementa con dei principi da seguire per farsi benvolere. È interes-sante la sua analisi del valore di un sorriso: dimo-stra come ci sia più comunicatività in un sorriso piuttosto che in una minaccia dato che l’incorag-giamento è un sistema educativo più efficace della repressione. Di conseguenza se volete che la gente sia contenta di stare con voi, bisogna che anche voi dimostriate che siete contenti di trovarvi in loro compagnia. E se non si ha voglia di sorridere? Agire come se si fosse già felici e questo porterà ad esserlo davvero. Il professor William James di Harvard diceva che ogni perso-na sviluppa al massimo il 10% delle proprie po-tenzialità naturali. Dale Carnegie, aiutando tanta gente a tirar fuori il meglio, ha creato uno dei più importanti sistemi odierni di educazione degli adulti. Grazie al suo stile colloquiale e piacevole Carnegie dà una soluzione ai problemi di tutti i giorni che nessuna scuola prepara ad affrontare. Per questo suggerisco la lettura dei libri di que-sto autore (soprattutto “Come trattare gli altri e farseli amici”) a insegnanti, dirigenti e soprattut-to agli studenti, così che le relazioni interperso-nali siano piacevoli, solide e proficue.

GABRIELE RIZZO III C

L’IMPORTANZA DI SAPER TRATTARE CON LA GENTE

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Ira, Accidia, Superbia, Gola, Invidia, Avarizia e Lussuria. Dei peccati capitali se ne sente parlare probabilmente sin dall’infanzia, alle elementari o alle lezioni di catechismo. Poi probabilmente di essi ci si dimentica. Tuttavia essi occupano il posto d’onore proprio per il loro essere profon-damente radicati nella società e nella psiche umana. Agostino diceva “Errare humanum est perseverare autem diabolicum”, ma la nostra capacità o incapacità di resistere alle tentazio-ni e al peccato dipene solo dalla lotta interna e invisibile tra bene e male? Oppure dipende an-che dalla struttura del nostro cervello? Margriet Sitskoorn, neuropsicologa olandese, ha affronta-to il tema del rapporto tra i sette peccati capitali e l’attività celebrale nel suo saggio “Le passioni del cervello”, libro in cui fonde rigorose ricerche scientifiche a considerazioni puramente etiche. Il dibattito scientifico sul tema ha radici storiche, esattamente esso nasce nel 1848, quando Phi-neas Gage, un operaio americano viene coinvol-to in un incidente a lavoro; la sua testa viene at-traversata da un’asta di metallo, che entra dallo zigomo sinistro ed esce dalla sommità destra del cranio. Tuttavia ciò che ha reso noto questo caso è stato il cambiamento di personalità di Gage, il quale, da uomo onesto e gentile, divenne intrat-tabile, irrequieto ed incline alla violenza. Gli studi che vennero condotti durante gli anni verifica-rono che il cambiamento improvviso fu dovuto alla distruzione di una parte del cervello, situata appena dietro l’occhio sinistro, che può essere considerata la parte in cui risiede quel “severo giudice” che ci impedisce di soddisfare sfrenata-mente ogni desiderio e che tiene le redini del no-stro comportamento. La Sitskoorn sostiene che i peccati capitali siano pienamente radicati nel nostro cervello perché strettamente collegati ai meccanismi di piacere/dolore che giustificano ed orientano i nostri comportamenti. In particolare, un buon cibo, l’avere molto potere, l’accumulare molte ricchezze e una soddisfacente vita sessua-le determinano nel nostro cervello il medesimo

effetto: attivano l’area evolutivamente molto antica del cosiddetto “centro del piacere”.Alcuni vizi invece hanno l’effetto speculare, ov-vero disattivano l’insula posteriore, il cosiddetto “centro del dolore”. L’ira, ad esempio, può sca-ricare e dissipare il dolore provocato da un so-pruso subito, l’invidia, invece ci dà la sensazione di mitigare il disagio e la rabbia per una distribu-zione, secondo noi ingiusta, della fortuna e delle ricchezze. Tuttavia questi meccanismi non sono poi così perfetti, spesso infatti i desideri entra-no in competizione tra di loro o si sviluppano in modo spropositato, come nel caso dei bisogni che “chiedono” di essere soddisfatti anche quan-do non sono più indispensabili alla sopravviven-za. L’accumulo di ricchezze, potere, sesso, cibo, infatti, provoca l’accumulo di piacere che non può essere soddisfatto in altro modo se non nel ricercare altro piacere, dando vita ad un vero e proprio circolo “vizioso”.Quando i comportamenti menzionati sinora di-vengono esasperati e ossessivi, si trasformano in peccati che danneggiano non solo colui che li adotta, ma minano anche l’intero tessuto so-ciale. Per evitare che ciò avvenga, nel cervello, si sono evolute in tempi più recenti delle zone, come quella danneggiata in Phineas Gage, che valutano l’opportunità di cedere ai bisogni e agli istinti primordiali in relazione alle circostanze, all’esperienza passata e alle norme sociali. Avere consapevolezza di tali processi celebrali non ci deresponsabilizza ma, al contrario, ci for-nisce i mezzi per spezzare quelle abitudini nocive e per correggere alcuni comportamenti. Una vol-ta analizzata la nostra storia personale, costitui-ta dai peccati a cui cediamo e dai bisogni da cui siamo maggiormente influenzati, potremo sco-prire se siamo riusciti a raggiungere un equilibrio tra le aree evolutivamente più antiche, dominate dai meccanismi di piacere e dolore, e le aree più recenti, in cui risiede la capacità di inibizione, op-pure se per assumere comportamenti più “etici” bisogna fare un passo in più.

ELISABETTA CANNATA IV CI PECCATI CAPITALI E IL CERVELLO

Pennello e

Bomboletta

Dalla fine del ventesimo secolo a oggi, diver-si sono stati gli street artists che hanno deco-rato pareti mura dei palazzi in maniera ragio-nata, artistica e intelligente. Tra questi uno in particolare si è affermato in tutto il mondo per la profondità e la vicinanza ai temi popo-lari dei suoi pezzi: C215.C215, nome d’arte del francese Christian Guémy, nasceva a Bondy nel 1973; dopo aver conseguito all’università della Sorbona il dot-torato di ricerca in Storia dell’Arte, si è fatto strada dal 2005 a oggi conquistando il rispet-to e la stima da parte sia di writers di tutto il mondo, neofiti e non, sia di critici d’arte, grazie al suo uso, sofisticato e particolare, della tec-nica dello stencil. I suoi pezzi sono caratterizzati dalla grande profon-dità di sguardi di persone e anima-li; infatti, è solito utilizzare come soggetti dei suoi pezzi gente co-mune facendone vedere all’osser-vatore l’aspetto umile e sincero. Oltre a essi, però, in più occasioni, ha rappresentato volti di persone famose strettamente collegate al luogo nel quale viene effettuato il pezzo.Si possono trovare sue opere nelle vie di grandi città come Roma, Parigi, Londra, Amsterdam, Berlino, Barcellona e tante al-tre ma anche in diverse note gallerie d’arte. Nel 2014 ha collaborato insieme ad altri noti street artists, come Popay e Alexone, ad un progetto organizzato dall’ ATAC (Agenzia del trasporto autoferrotranviario del Comune di Roma) per decorare la stazione della metro di Piazza di Spagna e renderla agli occhi dei turisti una sorta di galleria d’arte. Lì ha rap-

presentato su due pareti diverse un ritratto del Papa corrente, Francesco, e un enorme stencil raffigurante un gatto, animale da lui spessissimo rappresentato. Ha lavorato an-che in ambiti diversi, come la produzione del videogioco FARCRY4, della casa videoludica Ubisoft, all’interno della quale ha contribuito alla realizzazione del design degli affreschi presenti negli edifici del gioco. Recentemen-te, nell’ottobre del 2015, ha anche pubbli-cato un libro bilingue, “La monographie”, in francese e in inglese, di oltre trecento pagi-

ne, al cui interno vi è un enorme raccolta del-le sue opere. Queste sono riportate accom-pagnate dal commento e dalla spiegazione dell’artista stesso, in modo tale da permet-tere al lettore di riuscire a entrare a far parte dell’universo dello street artist. C215 è anche soggetto di un libro di Sabina De Gregori, la quale lo definisce “l’artista educato” poiché i suoi furono fra i primi pezzi di street art a non essere considerati atti di vandalismo

C215, L’ARTISTA EDUCATOETTORE INZERILLO 3^C

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Pennello e

Bomboletta

ma vere e proprie opere d’arte apprezzate sia da gente comu-ne, sia da critici d’arte. C215 non si limita soltanto alle grandi capitali poiché numerosi sono i suoi pezzi sparsi per tutto il mondo. Palermo stessa ha avu-to l’onore di ospitare alcune sue opere. L’artista ha infatti deciso,

a Palermo, di ricordare il passaggio di Caravaggio dalla città creando una sorta di percorso chiamato “Sulle tracce di Caravaggio”, rappresentando alcuni tra i suoi quadri più famosi. Oltre a questi ha anche realizzato altri pezzi caratteristici del suo stile o della città. Sfortunatamente sei delle sue opere d’arte, come testimoniato dal quotidiano “La Repubbli-ca”, realizzate su cassette postali o cabine elettriche dell’Enel, sono state trafugate, proba-bilmente per essere rivendute in aste illegali. L’artista, indignato per l’accaduto, ha afferma-to che questo è stato un atto irrispettoso sia nei suoi confronti che nei confronti dei cittadini e che probabilmente non sarebbe tornato a Palermo. Fortunatamente sono rimasti, anche se pochi, alcuni suoi pezzi, come il ritratto/tributo raffigurante Al Pacino, che si trova nello storico mercato della Vucciria, ed altri nel centro storico cittadino nei pressi di Corso Vittorio Emanuele e dei Quattro Canti di città.

“I try to interact with con-text, so I place in the streets

elements and characters that belong especially to the streets. I like to show things and people that society aims at keeping hidden: homeless people, smokers, street kids, bench lovers, for example”

“Provo a interagire con il contesto, così posiziono nel-la strada elementi e perso-naggi che appartengono, in particolar modo, alla strada.

Mi piace mostrare cose e persone che la società tende a mantenere nascoste: sen-

zatetto, fumatori, bambini di strada, amanti sulle panchi-

ne, per esempio”

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Nuovo episodio del pluripremiato Call of Duty, che vuole essere la continuazione ideale di Black Ops II, un titolo che ha riscosso grande parteci-pazione dal pubblico.Per questo gli sviluppatori californiani di Treyarch hanno deciso di mante-nere intatta la struttura di gioco, spostando l’a-zione di quarant’anni nel futuro per il terzo epi-sodio. Ciò ha significato nuove armi più potenti, con protesi cibernetiche che permettono ai sol-dati di compiere azioni che un umano non si so-gnerebbe nemmeno: jetpack che aumentano la freneticità del gioco eccetera. Novità di questo capitolo l’impianto cerebrale DNI, che permet-te di essere connessi in tempo reale al coman-do centrale, ai componenti del proprio team e ai satelliti geostazionari. Le unità d’elite che si fronteggiano hanno una sterminata capacità di scelta per ciò che riguarda armamento individua-le e mezzi d’attacco e di difesa, ampliando così la già vasta disponibilità dell’episodio precedente. Treyarch ha voluto evitare che il gioco scorresse su binari prestabiliti, mantenendo ampia libertà di scelta da parte del giocatore. Esistono sempre undici differenti livelli, ma l’accesso agli stessi non è consequenziale. Questo è al tempo stesso il pregio e il difetto del nuovo prodotto; è rivolto ad un pubblico più cosciente e meno abituato a soddisfarsi con le ripetitive azioni degli sparatut-to. La narrazione generale, però, risulta spesso frammentaria e priva di uno scopo strategico, lasciando però ampio spazio a colpi di scena as-solutamente imprevedibili. Verremo proiettati in una “terza guerra fredda” dove non esiste più il super cattivo del secondo episodio, un Raul Me-nendez autore delle atrocità peggiori sul quale scaricare ogni colpa: qui il concetto di amico e nemico si confonde, introducendo un alone di dubbio e di doppiogioco che intriga non poco e, spesso, porta a risultati tattici disastrosi. In que-sto modo, però, il titolo promette tante ore di gioco mai uguali per titoli della stessa serie, una manna per chi predilige l’arcade game. Il compar-to tecnico è, come sempre, ben curato ma non eccezionale; il sonoro sempre all’altezza, paesag-gi ed ambientazioni precisi, la fluidità d’azione

garantita. I rami di abilità che permetteranno di migliorare il proprio equipaggiamento, sblocca-bili nel corso della partita, offrono scelte infinite e fantasiose. Armi, oggetti, droni, robot, mezzi pesanti e leggeri permettono scelte tattiche che spingono alla creazione di piccole unità sotto il proprio comando, le quali sono fondamentali per la buona riuscita nella modalità single player. Il multiplayer è stato arricchito di nuove opzioni, pur rimanendo concettualmente uguale al capi-tolo due. Novità simpatica ma non determinante è la possibilità di scelta tra uomini e donne, che hanno praticamente le stesse potenzialità. Inte-ressante l’introduzione della figura dello specia-lista: nove differenti specializzazioni che offrono armi particolari e possibilità uniche di risoluzione dei conflitti. Un quadro tanto vasto di possibili scelte permette di giocare molte ore senza mai ripetere nulla. Rispetto al passato anche i livel-li di abilità dell’IA (intelligenza artificiale) sono stati incrementati e sono stati introdotti server di gioco online più efficienti che permetteran-no una sessione di gioco continua senza conti-nui cambi di hosting. Tra le opzioni, segnaliamo nuove regole per i tornei online e una modalità Zombie completamente rinnovata. Quest’ulti-ma modalità si ramifica su due campagne: una online, con una nuova mappa che permetterà a 4 giocatori di cimentarsi in sfide sempre più ar-due e diversificate o per i giocatori più esperti il completamento dei cosiddetti “easter egg”, una offline (con integrazione cooperativa) che verrà sbloccata dopo aver finito la storia principale. Uno sparatutto che tiene fede alle proprie origi-ni, che saprà soddisfare per la sua versatilità.

CALL OF DUTY BLACK OPS IIIFLAVIO SCUDERI 3 H ACHILLE LIBERATORE 3 L

Ormai, a fine del 2015 e quasi all’inizio del 2016, un argomento come la genetica non è più visto, come in passato, con paura e timore ma con cu-riosità e stupore. Uno degli stati che sta spen-dendo ingenti somme di denaro per finanziare queste forme di ricerche è la Cina che, Secon-do il rapporto Science, Technology and Industry Outlook 2014 dell’OCSE, tra il 2008 e il 2012 la spesa in ricerca e sviluppo della Cina è raddop-piata. (Oggi è la seconda al mondo, ma stando al rapporto il bilancio per la ricerca della Cina po-trebbe superare quello degli Stati Uniti entro il 2019.). Nel 2014-2015 in Cina, la genetica ha fat-to grandi passi in avanti grazie anche all’utilizzo della tecnologia genetica CRISPR-Cas9 scoperta circa tre anni fa da Jennifer Doudna ed Emma-nuelle Charpentier. Un esempio dell’utilizzo ef-fettivo in Cina del CRISPR l’ha dato lo Shaanxi Provincial Engineering and Technology Rese-arch Center for Shaanbei Cashmere Goats situa-ta a Shaanxi nella Cina Occidentale. Lo scopo del laboratorio di ricerca è quello di creare un nuo-vo tipo di capre dotate di muscoli più massicci e di un manto di peli più lunghi del normale con l’obbiettivo principale di accrescere i rediti degli allevatori di capre in Cina;dopo anni e anni di ri-cerca e fallimenti,grazie all’uso del CRISPR sono stati raggiunti i risultati sperati infatti il CRISPR sfrutta degli enzimi per localizzare con precisio-ne ed eliminare segmenti di DNA, in modo mol-to simile a un sistema di scrittura che trova ed elimina una frase, un processo noto come “edi-ting genetico”.Grazie a questo i ricercatori sono riusciti a cancellare con successo due geni che inibiscono la crescita sia del pelo sia dei musco-li in alcuni embrioni di capra allo stadio iniziale, ottenendo 10 caprette con muscoli più grandi e pelo più lungo, che finora non mostrano altre anomalie. “Pensiamo che il bestiame genetica-mente modificato sarà commercializzato dopo che avremo dimostrato che è sicuro”, prevede Liu Qu, capo ricercatore dello Shaanxi Provin-cial Engineering and Technology Research Cen-ter for Shaanbei Cashmere Goats. Dopo questo

grande successo, decine e decine di laboratori di ricerca cinesi hanno accolto con grande inte-ressa il CRISPR, “E’ un settore prioritario per l’Ac-cademia cinese delle scienze”, dice Minhua Hu, genetista dello Guangzhou General Pharmaceu-tical Research Institute, che lavora sui beagle. Un suo collega, Liangxue Lai degli Guangzhou Institutes of Biomedicine and Health, aggiunge che “il governo cinese ha stanziato ingenti som-me per gli animali geneticamente modificati di interesse sia per il settore zootecnico sia per quello della biomedicina”.Tuttavia la creazione di nuove forme di vita sta portando anche diverse preoccupazione dal punto di vista etico infatti, rispetto alle tecniche geniche del passato, le modifiche effettuate con il CRISPR negli zigoti e negli embrioni pos-sono divenire anche “permanenti” ovvero che le modifiche apportate al DNA possono venire trasmesse anche alle generazioni future.“La diversità della CRISPR sta nel fatto che è una tecnologia molto più efficiente e quindi è mol-to più reale la possibilità che venga applicata su vasta scala”, dice George Daley, esperto di sta-minali della Harvard Medical School. In passato i tentativi di manipolare il codice genetico della vita sono stati più lenti, più faticosi e più impre-vedibili. “Ora le preoccupazioni etiche incombo-no perché la tecnologia è reale”, aggiunge.Inoltre sulle possibilità di utilizzo di questa tec-nologia sul genere umano Daley si chiede: “Pos-siamo tracciare una chiara linea di demarcazione tra ciò che potrebbe essere ammissibile nel cam-po della ricerca medica o delle sue applicazioni, e ciò che dobbiamo rigorosamente vietare?”E voi cosa ne pensate?

IL CRISPR: LA TECNOLOGIA GENETICA È ETICAMENTE CORRETTA O SCORRETTA?

GABRIELE GIAMBANCO IV N

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“Vedere le rondini che divampano dalle gru sono momenti di alta pasticceria” -L’Officina della Ca-momilla.“C’è un signore pieno di signore, si lava i denti nel bidet” -Dente.“Invidiare le ciminiere perché hanno sempre da fumare”-Le Luci della Centrale Elettrica.Queste sono solo alcune delle perle di vita e sag-gezza che il cantautorato italiano contemporaneo ci dispensa. Ad un primo sguardo l’indie italiano potrebbe apparire come un’accozzaglia di frasi stralunate, adatte da postare sotto una foto parti-colarmente ispirata, e artisti singolari che passano più tempo a decidere un nome abbastanza strano che a scrivere realmente canzoni. E’ anche tutto questo. In questo articolo non ho intenzione di ri-percorrere la genesi di questo genere, perché sem-plicemente non sarei in grado di farlo, essendosi formato prima della mia coscienza musicale. Mi ci sono trovato dentro, da un giorno all’altro pratica-mente, e vorrei fare un poco da guida per chi ha la sventura di esserci cascato anche lui o per chi ha la sciagurata idea di farlo. (No, seriamente, non fatelo).E’ utile sapere che il termine “Indie” deriva da “independent”, riferito ad artisti indipendenti, appunto, dalle major, le case discografiche più im-portanti. Per cui l’originale significato del termine è essenzialmente “quantitativo”, non è collegato all’aspetto qualitativo della musica, ovvero il gene-re, il pubblico a cui si rivolge o un qualunque ap-proccio artistico. Questa è la definizione più sem-plice che si può dare, è corretta ma molto riduttiva. Effettivamente praticamente la totalità degli arti-sti indie ha cominciato da un’etichetta indipenden-te, molti cominciano anche con l’autoproduzione cercando di pubblicizzarsi attraverso Demo, video e molti molti concerti. Insomma, fanno la gavetta.In ogni caso artisti che fanno comunque parte del panorama indie adesso sono scritturati con una Major (Marta Sui Tubi, Verdena) e nessuno ha nulla da obiettare.Concretamente però quando si dice “Indie” ci si riferisce più che altro a tutti quegli arti-sti accomunati da un approccio simile alla compo-sizione, ai testi, al pubblico, nel tentativo di uscire dalle logiche del mercato mainstream.Non esisto-no nell’indie dei paletti di genere, si va dall’elet-tronica al cantautorato, dall’Hip Hop al Post-Emo-Grunge-Rock che si ascolta solo al contrario. Sono i

testi probabilmente la peculiarità di questo filone: i testi indie più “classici” sono non-convenzionali, spesso si susseguono libere associazioni di parole a discapito di quello che dovrebbe essere il senso, parole ricercate o banali, finalizzate a creare imma-gini più che frasi. Ognuno poi si crea uno stile, uno spazio, e ci nuota a tempo indeterminato: Dente è un genio dei giochi di parole, L’Officina della Ca-momilla ha un simbolismo rimasticato tra De Gre-gori e Tumblr, Maria Antonietta per ogni due ver-si sull’amore ne scrive uno su Dio, e Vasco Brondi (pseudonimo de Le Luci della Centrale Elettrica) ha una scrittura violenta, come le musiche del resto, sconfinante nella depressione. Parlavo prima di una volontà, da parte di questi artisti, di discostarsi dalla musica commerciale, essere più audaci nei te-sti e nelle musiche. All’interno del panorama indie esistono però degli artisti largamente più famosi degli altri, per cui è quasi difficile che si possano definire di nicchia. E’ un mezzo paradosso. Anche all’interno del non-commerciale esiste una gerar-chia di gradimento, e fama di conseguenza, che porta a distinguere commerciale e non. Dente e la Brunori Sas, leader dei cantautori old-fashioned, Vasco Brondi, l’uomo simbolo dell’indie, così tanto da avere su internet un generatore automatico di frasi (generatore automatico di frammenti vasco-brondiani), Lo Stato Sociale, il gruppo che per ora è sulla cresta dell’onda: i più originali forse, i più presi in giro sicuramente. L’Indie, nella sua accezio-ne più ampia, va considerato anche come un feno-meno sociale. Non è sbagliato parlare di “comunità Indie”: riconosco che c’è una sorta di tacita com-plicità nell’ascoltare la stessa “scognita” musica e vedere le stesse facce ai concerti. Con gli artisti è possibile avere un rapporto più intimo rispetto ai nomi più famosi, i tipi da rotazione radiofonica e concerti negli stadi. Li incontri ai concerti dei loro colleghi e ti accettano pure l’amicizia su Facebook, fai foto con loro senza dovere vincere lo Special Pass di Radio Deejay e quando capita puoi anche chiacchierarci in tranquillità. In conclusione, l’Indie non è necessariamente meglio della musica main-stream, è tutta questione di gusti, però è solo qui che si nota un fermento di creatività e originalità, e l’unico peccato è che sia una realtà così tanto sco-nosciuta ai più.

L’INDIE ITALIANO, MUSICA DA (S)CONOSCERE

ALBERTO ROMANO V E

L’hardcore punk è un genere musicale difficile: nei suoni e nelle parole sono idee e sentimenti ben caratterizzati che si sono manifestati anche nelle scelte di vita di molti giovani, musicisti e non, dagli anni ’80 fino ad ora.Già col punk rock degli anni ’70 una generazione di giovani delusi ed emarginati aveva voluto farsi sentire: ogni potere è privazione di libertà e chi ha il ruolo di governare se ne approfitta, l’economia guidata dal criterio del profitto è da abbattere, il vero potere è quello economico, i politici sono schiavi dei banchieri e degli industriali, “abbattere ogni vincolo” erano parole d’ordine.Nella visione più matura dell’hardcore punk chi si fa produrre un disco da una “major” è un vendu-to; l’arma contro il potere dell’economia del pro-fitto è il boicottaggio; qui inizia inoltre il bisogno di abbattere ulteriormente i vincoli: nella musica non hanno senso metafore, allusioni, o qualunque forma retorica per esprimere il proprio disagio o le proprie idee, i suoni sono i sentimenti.A Torino, nell’ ‘83, musicisti dei “5° Braccio” e de-gli “Antistato” lasciano i due gruppi con un intento che le loro parole ricordano: <<fondare un gruppo che suoni veloce, duro e potente, scrivendo e can-tando testi più ‘personali’ e con meno ‘slogan’ (ov-viamente in italiano: all’epoca non c’erano dubbi, si trattava di comunicare e urlare, con rabbia). In una parola: hardcore.>> Sono i “Negazione”.Il loro debutto discografico è la cassetta split-tape con i concittadini “Declino” intitolata “Mucchio sel-vaggio”, in cui la canzone “Tutti pazzi” potrebbe essere considerata il manifesto dell’hardcore punk italiano: diventerà un cavallo di battaglia del grup-po, verrà registrata altre due volte, per il loro pri-mo 45 giri, al quale darà il nome, e per il successivo “Condannati a morte nel vostro quieto vivere” che gli autori considerano il loro disco più importante insieme al primo 33 giri, “Lo spirito continua”.<<Esce il primo album: Lo spirito continua. Registra-to ad A’dam e pubblicato in Europa dalla neonata etichetta olandese e indipendente (assolutamen-te indipendente: nelle intenzioni e soprattutto nei modi) De Konkurrent (poi Konkurrel). Il disco viene pubblicato qualche mese dopo negli Stati Uniti da Mordam Records e si progetta un tour americano senza fare i conti con la legge italiana, che nega agli obiettori di coscienza il passaporto durante il

periodo di chiamata al servizio civile. Allora si va a suonare ovunque accettino la carta d’identità: Italia, Francia, Svizzera, Germania, Austria, Dani-marca, Inghilterra e ovviamente Olanda.>> (www.negazione.com)Così viene ricordato dal gruppo il 1986.Pessimismo antropologico… nichilismo… sono componenti importanti del disco, ma la visione dell’uomo che troviamo non è sintetizzabile in due parole.

<<Quante volte ancora mi mostrerete; che questo posto non e’ il mio; in ogni istante, ad ogni occhiata; in ogni

pensiero, ad ogni azione; sempre, fino a quando crepe-ro’; davanti a qualche vostro palazzo; in ginocchio, con

il corpo distrutto; ma con la mente attiva; perche’ l’odio rimane>>

Sono i versi della seconda strofa della canzone che apre l’album: “La vittoria della sconfitta”. La presa di posizione in politica (contro la classe politica, e secondo la mia personale interpretazione contro il patriottismo ed il controllo) è una necessità nono-stante buona parte dell’opera del gruppo affronta temi più personali, è l’insostenibile condizione di “questo posto” che genera i vivi sentimenti scritti nei versi e suonati con tutta la forza con cui essi fanno soffrire: caratteristica di tutta la musica dei primi Negazione.Da notare il concetto “mente attiva”; il centro dei pezzi che mettono in primo piano l’individuo nei Negazione, è spesso l’instabilità psicologica, pre-sentissima nel disco.Già con “Tutti pazzi” era stato efficacemente tra-smesso il concetto di una follia generalizzata che scaturisce dall’oppressione di ogni uomo o donna nel proprio ruolo sociale; “Lo spirito continua” ha dentro momenti di disagio, sentimento di inade-guatezza, alternanze fra nero pessimismo e spira-gli di possibilità, desideri di morte; in “Dritto contro un muro” emerge un capovolgimento della conce-zione di salute mentale, la visione di chi è isolato e “malato” assume il valore di una presa di posizione giusta e realmente sana:

<<Tu stai scegliendo un modo che non e’ il mio ; la tua mente e’ in strade che non mi appartengono;perche’ sei forse troppo lontano da me, ora; io sto andando dritto contro un muro; sto sbattendo la mia testa contro un

muro; ma e’ meglio che riempirla di merda!>> (Dritto contro un muro, vv 1-6)

LO SPIRITO CONTINUA

GIORGIO LA SPINA IV C

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Dalla finzione di un gioco come può essere “Call of Duty” si passa alla realtà: da circa due anni è giunta a Palermo la possibilità di giocare a soft-air (simulazione di guerriglia urbana/boschiva con armi ad aria compressa). Il temine deriva dalla lingua inglese, traducibile in italiano come “aria compressa”. Per la pratica di tale attività si usano riproduzioni di armi vere, le quali per leg-ge devono essere obbligatoriamente riprodotte con una differenza di 400 g dall’originale. Ecco così che a Palermo nascono i primi club ideati per riunire i giocatori, in modo tale da creare vere e proprie squadre che tuttora competono a livel-li agonistici. Per ricreare con più verisimiglianza forze armate esistenti, i club scelgono di imitare uno “schieramento”, ad esempio quello NATO; allora verranno fornite hai giocatori mimetiche e fucili simili a quelle usate dalla NATO (Woodland, M4A1, Beretta M9). Esistono anche altri schiera-menti, ad esempio quello filo-sovietico, talebano ecc…

I giocatori vestono con abbigliamento tipica-mente militare (mimetiche, scarpe, zaini ecc…) nonostante sia severamente vietato dalla legge di ricreare scritte o loghi usati realmente dagli operatori sul campo da battaglia. Il soft-air si differenzia dalle altre attività sulla simulazione di azioni belliche per l’utilizzo delle ASG (“Air Soft Gun”), che sparano proiettili dal diametro minimo di 0,6 mm in ceramica o mate-riali biodegradabili. Al contatto con la pelle crea-no piccole abrasioni, dunque bisogna fare molta

attenzione alle norme di sicurezza (indossare oc-chiali di plexiglass o maschere integrali in plasti-ca dura, per esempio).Non esistono vere e proprie regole, ci si avvale della fantasia con la quale i giocatori inventano modalità di gioco. Per esempio “Deathmatch a squadre” è una delle modalità più diffuse: con-siste nel creare due squadre di pari membri e iniziare il conteggio delle uccisioni compiute da ogni squadra nei confronti degli avversari. Un altro esempio è “Conquista la bandiera”, dove i giocatori (sempre in due squadre) devono cattu-rare la bandiera avversaria per più di 5 minuti. Inoltre nel soft-air si ricreano fatti realmente ac-caduti (l’uccisione di Osama Bin Laden) o batta-glie/guerre storiche (1° e 2° conflitto mondiale). Partite di tal genere vengono svolte in campi pri-vati o nei boschi, previa autorizzazione da parte dell’Arma dei Carabinieri o della Polizia di Stato.Purché agli occhi di molti il soft-air possa sem-brare un gioco diseducativo e d’incitazione alla violenza, in verità è tutto basato sulla correttez-za del singolo giocatore, considerando che non esiste alcun modo oggettivo per determinare se un giocatore sia stato colpito o meno: è dovere di ogni giocatore colpito alzare la mano, smette-re di sparare e indossare la casacca fluorescente che indica la “morte” di quel giocatore. Chi agi-sce disonestamente e non si auto-dichiara viene definito “highlander” (dal celebre film che narra le vicende degli scozzesi immortali). Una volta in-dividuati, sono denigrati ed emarginati dal grup-po. Il “fair play” è la base del soft-air, la maggior parte degli sono dovuti all’utilizzo improprio del-le ASG.

IL SOFT-AIRGABRIELE AIELLO I C

lo sai che...

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e

Forte è la visione della vita e del mondo intese come substanzae vuote:

<<colmi di nulla, sensazioni di impotenza tra ;atteggia-menti imposti, tra imposizioni subite in mezzo ;a lavoro,

casa, scuola, ipocrisie e nessuno se ne accorge,; in mezzo a divise, bandiere e simboli, tra soldati, ; maestri e capi-squadra, in mezzo ad apatia, ; sconfitta e solitudine>>

(Niente, vv 13-18).

Lo sguardo alla collettività e la critica sociale, sono presenti in questi pezzi parallelamente all’indagine sull’individuo.“Qualcosa scompare” parla di un disagio ancora molto diffuso: la perdita di motivazione, di volontà di vivere e il pessimismo nei confronti dei rapporti personali e di qualsivoglia stabilità:

<<non riesco piu’ a divertirmi ; cosa sta succedendo?; L’unica certezza resta la precarieta’; (…); L’unica certezza

resta la solitudine>> (Qualcosa scompare, vv 2-4, 10)

L’amore è un tema accennato in “Un amaro sorriso”, “Qualcosa scompare” e più centrale in “Lei ha biso-gno di qualcuno che la guardi” la visione che emerge è pessimistica, in “Lasciami stare” il disagio mentale è la follia violenta/omicida, entrambi i temi culminano nell’ultima traccia, che da il titolo al disco, in “Lo spi-rito continua” ritroviamo Eros e Thanatos in una veste inedita: istinto omicida verso chi si ama.Diversamente da come prescrivono le regole che ca-ratterizzano il genere, il disco presenta nel suo com-plesso una ricercatezza nei testi e un approfondimento dei temi maggiore rispetto, ad esempio, “Tutti pazzi” che riassume una visione del mondo e dell’uomo in po-chi suoni e versi con la cruda “brevitas” dell’hardcore; prende piede un diverso approccio al giudizio degli al-tri individui, che scaturisce da una sensibilità e da una maturità nuove rispetto i lavori precedenti; nella title track si manifesta perfettamente questa crescita del gruppo.E’ il primo pezzo con una parte di chitarra acustica, che fa da intro; segue un crescendo che nell’arco di un mi-nuto trascina l’ascoltatore nello sviluppo centrale del pezzo, da questo punto al finale si trova buona parte dei contenuti:

<<...Il gioco di immagini e’ riuscito; esplode una risata sensuale...; Io sorrido sopra il mio odio;scoprendomi

dentro un amore spesso negato; scopro te nel mio corpo; non voglio ucciderti; Devi solo imparare a conoscermi; io faro’ lo stesso; e forse allora anche la ferita; fara’ meno

male; lo spirito continua; potremo davvero essere vecchi e forti.>>

(Lo spirito continua, vv 18-29)

L’ultimo verso non è facile da interpretare: potrebbe essere un’illusione data dalla follia, oppure una reale prospettiva e ciò esprimerebbe la maturazione sopra-citata.Nella busta del disco, accanto ai testi, si trova questa commento/riflessione, con molti versi presi da tutti i pezzi e un’anticipazione di un pezzo del disco dell’’88 “Little dreamer” (“Il giorno del sole” il titolo pezzo):<<Abbiamo sempre sommato momenti su momenti cer-cando di ottenere qualcosa che non fosse solo nelle no-

stre menti, collezione di attimi per le sensazioni più belle, non abbiamo mai avuto una base concreta e solida da

calpestare ne qualcosa da stringere tra le mani; abbiamo sentito il logorio dei giorni e degli anni dentro; abbiamo

percorso ormai per troppo tempo strade e ripetuto gesti troppo vecchi; abbiamo visto tutta la gente andare via, prima o poi, e abbiamo visto scomparire tante, troppe

cose, l’unica certezza resta la precarietà, resta la solitudi-ne; cose e persone cresciute attorno a noi non sono mai cresciute con noi, ne tantomeno per noi. Eppure siamo

ancora qui, soli in un abbraccio disperato, ma lucidi nella nostra trasgressione, unici come mai, alla rincorsa di un

sogno senza fine, pronti ad attaccarsi al più piccolo fram-mento di speranza, alle parole, ai gesti, a tutto ciò che ci

rimane e ci può far continuare. Questa è la nostra musica, le nostre canzoni, la nostra vita; questo siamo noi, perché sappiamo che il “giorno del sole” non è lontano, anche se

siamo qui legati. LO SPIRITO CONTINUA!>>

I Negazione si sono sciolti nel 1992, prima dell’avvento di internet, riporto due righe della home del loro sito web:<<Fine di una storia grande e importante, di nove anni e mezzo passati a suonare, registrare, provare, viaggiare e tutto il resto che non importa un cazzo raccontare:

ma noi sappiamo e altri con noi, molti altri con noi e che abbiamo provato a esprimere con dischi, concerti e tutto

il resto, musica e parole, oltre, molto oltre. (...) La sfida continua, insieme allo spirito, intanto che i negazione si

sono sciolti.>>

Registrato e mixato su 16 tracce al Joke’s Koeien-verhuurbedrijf; Amsterdam (Olanda), dal 2 al 10 Giu-gno 1986. Tracklist: La vittoria della sconfitta; Lascia-mi stare; Thinkin’ of somebody else; Diritto contro un muro; Niente; Un amaro sorriso; Straight and rebel; Qualcosa scompare; Lei ha bisogno di qualcuno che la guardi; Lo spirito continua.. Prodotto da Dolf e Negazione; alla voce Guido “Zazzo” Sassola; alla chitar-ra Roberto “Tax” Farano; al basso Marco Mathieu; alla batteria Fabrizio Fiegl.

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Galassie lontane nello spazio e nel tempo, pianeti abitati da uomini me-scolati a diverse razze aliene, droidi antropomorfi e navicelle spaziali in grado di raggiungere la velocità della luce, blaster, fucili e spade-laser, l’Alle-anza Ribelle e l’Impero Galattico, i Sith e i cavalieri Jedi, un campo energetico creato da tutti gli esseri viventi che ci circonda, ci penetra e mantiene unito l’universo, la Forza...Torna nelle sale cinematografiche Star Wars, una delle più importanti ‘’space opera’’ e opera di concept art, una del-le più famose e acclamate saghe del cinema, con l’attesissimo settimo epi-sodio ‘’Il risveglio della Forza’’, che da inizio a una nuova trilogia. All’incirca trent’anni dopo la conclusione de ‘’Il ritorno dello Jedi’’ della trilogia origi-nale, sia la Resistenza, una forza mili-tare sostenuta dalla ormai caduta Re-pubblica, sia il sinistro Primo Ordine, nato dalla ceneri dell’Impero Galattico, perlustrano la galassia nel tentativo di trovare l’ultimo Jedi scomparso, Luke Skywalker, colui che ha portato alla fine dell’Impero e dato una nuova spe-ranza alla galassia. Il settimo episodio mette in scena nuovi protagonisti, Rey (Daisy Ridley), una mercante di rottami abbandonata da bambina sul pianeta desertico Jakku e Finn, (John Boyega) uno stormtrooper che pentito delle sue azioni decide di disertare, accanto ai quali fanno la loro comparsa vecchie conoscenze come Han Solo (Harrison

Ford), Chewbacca, (Peter Mayhew) e Leia Organa (Carrie Fisher). Il sistema dei personaggi per così dire ‘’buoni’’ si rivela allo stesso tempo rinfrescato da nuove presenze come Rey e Finn (una ragazza protagonista e un clone che si ribella e passa alla Resistenza Ribelle sicuramente rappresentano una novi-tà nel mondo di Star Wars) ma anche rispettoso della vecchia trilogia. Ma se particolarmente apprezzati sono l’in-serimento di nuovi protagonisti ben interpretati da Daisy Ridley e da John Boyega, e il ritorno nel cast degli attori originali nelle vesti di personaggi sto-rici come Han o Leia, lasciano molto a desiderare i seguaci del Lato Oscuro,

STAR WARS EPISODIO VII : IL RISVEGLIO DELLA FORZA

MANFREDI ALBERTO MONTI V C

Kylo Ren (Adam Driver) adepto, ma-estro dei Cavalieri di Ren, e il Leader Supremo Snoke (Andy Serkis) poten-te figura del Lato Oscuro della Forza a capo del Primo Ordine, maestro di Kylo Ren, che non riescono a compe-tere con il carisma e il mistero che av-volgeva personaggi epici quali Darth Vader e l’Imperatore Palpatine, di cui però si presentano come i successori; così come molta meno importanza e attrattiva viene data alla Forza, al Lato

Chiaro e al Lato Oscuro, elementi car-dine della saga di Guerre Stellari. La re-gia si dimostra comuque ottima nelle mani del grande J.J.Abrams, regista, co-scrittore e co-produttore (già regi-sta di altri film di fantascienza come gli ultimi due Star Trek), e il filo narrativo procede veloce e coinvolgente, accom-pagnato da effetti speciali straordina-ri e dalla celeberrima colonna sono-

ra di John Williams, da sempre parte fondmentale dei film di Star Wars. In definitiva il nuovo capitolo si sviluppa molto bene lungo la scia dei prece-denti episodi, erede soprattutto della trilogia originale in modo da lasciare soddisfatti i maggiori fan della saga e da lasciare nei loro cuori una piacevole nostalgia per l’’old style’’ della vecchia trilogia. E, nonostante non sia in grado di presentare invenzioni o novità del-la portata di quelle che hanno reso i

vecchi episodi della saga una delle piu importanti franchise cinematografiche della storia, si prospetta essere proiet-tato su nuovi e interessanti sviluppi che possano avvicinare un nuovo pubblico e che siano in grado di dare vita a una nuova generazione di fan. Nell’attesa dei prossimi episodi non posso far al-tro che augurarvi questo: che la Forza sia con voi!

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Recensioni

“Ogni giorno, dopo avere terminato i compiti per casa, restavo lì accanto al mio mangianastri, concentrato a decifrare i testi, con scarsi risulta-ti, visto il mio inglese. Nella mia frenesia da no-vizio, avevo chiesto a Silvio se poteva suggerir-mi altri gruppi e cantanti. Genesis e Pink Floyd, rispose. E Genesis e Pink Floyd furono. Poi fu il turno dei Beatles e dei Rolling Stones, per passa-re ai Led Zeppelin, Jethro Tull, Deep Purple, King Crimson, David Bowie. Ben presto capii che vo-levo diventare un musicista. La musica ascoltata non mi bastava.” Pomeriggi trascorsi a suonare con gli amici in box e sale prova, jack rotti, plet-tri persi e musica rock erano gli standard delle giornate dei ragazzi delle band esordienti degli anni ottanta; molte di queste, però, finito il pe-riodo della giovinezza, si scioglievano relegando nel dimenticatoio tutte le avventure condivise con i propri compagni. Proprio questa è stata la fine del protagonista del romanzo scritto da Fa-bio Casano che, una volta adulto, fagocitato dal-la giornaliera routine lavorativa, si piega ai ritmi della sua città, Palermo, tenendo come ricordo della sua giovinezza solamente una pila di LP (di-schi 33 giri) polverosi da ascoltare dopo il lavoro, rigorosamente in solitudine, estraniato dal resto del mondo grazie a quelle cuffie che lo conduce-vano lontano, da tutto, da tutti. Così Fabio Casa-no, autore del romanzo, decide di raccontare la storia dei “Lucky Losers” partendo dalla telefo-nata di un vecchio amico. Questa semplice chiac-chierata riporta alla mente del protagonista ciò che il destino sembrava avesse definitivamente sepolto nei lontani ricordi adolescenziali. E’ Sil-vio, l’amico al quale è impossibile dire di no, che gli propone di rimettere in piedi la loro vecchia band: i “Lucky Losers”. Così la difficile scelta del protagonista, che lo porterà a ricercare anche gli altri membri del gruppo, verrà affiancata paral-lelamente dalla narrazione degli eventi che se-gnarono la sua vita e l’evoluzione della sua band dalle origini fino allo scioglimento. Tutto parte dalla grande amicizia, risalente all’infanzia, fra il nostro protagonista e Silvio. Il loro primo obiet-tivo, da ragazzini, era diventare tennisti profes-sionisti; crescendo ebbero modo di conoscere

gruppi musicali stranieri e, così, iniziarono il loro percorso musicale con delle semplici audiocas-sette nelle quali venivano registrate, con il loro caratteristico fruscio di sottofondo, in maniera poco chiara e nitida, le canzoni del tempo, ispi-randosi anche a grandissimi gruppi dell’epoca come i Pink Floyd, i Genesis, gli U2 e tanti altri ancora. Con il proseguire della narrazione le vi-cende dell’esordiente band palermitana si in-trecciano con avvenimenti reali e leggende me-tropolitane riguardanti figure rock, come Jimmy Page e il suo gruppo, i Led Zeppelin, a Cefalù, paese nel quale possedevano una villa dove gira-va voce svolgessero riti esoterici. Nel suo roman-zo, “Il ritorno dei favolosi Lucky Losers” , conciso ma denso, Fabio Casano dà la possibilità a tutti i giovani del ventunesimo secolo di rivivere l’aria degli anni ottanta e del periodo d’oro del rock. Ad accompagnare l’intrigante storia vi è una sor-ta di colonna sonora che dirompe prepotente-mente dalle pagine del libro, composta da tutti i brani citati che accompagnarono i Lucky Losers nel loro cammino verso la notorietà tra i pub cit-tadini. “Allora Palermo offriva una vasta scelta. La Boutique della Musica, Ellepi, Master dischi, Track Dischi e molti altri ancora, ognuno con la propria clientela affezionata. Solo pochi erano quelli buoni, quelli che ti permettevano di cion-dolare lì dentro anche se alla fine non compravi nulla. Potevi restare ore, circondato da quelli che consideravi i tuoi migliori amici, i dischi.”

IL RITORNO DEI FAVOLOSI“LUCKY LOSERS”ETTORE INZERILLO III C

L’uomo ha la tendenza ad alterare la realtà delle cose, filtrandole attraverso il proprio punto di vi-sta. È un’attività involontaria che funge da forma di difesa verso il mondo esterno e permette di apprezzare meglio se stessi. In fondo la nostra vita sarebbe davvero noiosa se non esaltassimo situazioni della nostra vita, provando sentimenti probabilmente eccessivi.Anche nella narrazione è necessario un processo creativo che alteri la linearità della trama attra-verso vari effetti artistici (la regia e la fotografia di un film, lo stile narrativo di un libro o i vari ef-fetti retorici di una poesia). Poi ci sono storie così sorprendenti da non richiedere alcuna distorsio-ne stilistica. Queste storie non necessitano di es-sere “contaminate” dalla finzione per sorprende-re il pubblico, perché fanno del realismo il loro punto di forza. Questa è l’impressione che dà la serie tv “Narcos”, che racconta la storia del traffi-cante di droga Pablo Escobar.Le controversie che circondano la figura di Esco-bar rendono necessario un giudizio più ogget-tivo, che eviti di mitizzare le sue azioni. Questo giustifica l’aggiunta di filmati e documenti di repertorio, nonché lo sviluppo della narrazione come racconto di Steve Murphy, uno dei detec-tive incaricati di smantellare il cartello Medellìn, capeggiato dallo stesso Escobar. Attraverso il suo punto di vista, l’immersione dello spettatore nella realtà colombiana segue quella del detecti-ve e di sua moglie, a seguito del loro trasferimen-to in Colombia. A questo scopo, la decisione di mantenere la lingua originale durante i dialoghi in spagnolo si rivela estremamente azzeccata.Spesso la narrazione si allontana dalle indagini del detective, mostrando molto da vicino la fa-miglia Escobar. Eppure questo non entra in con-traddizione con l’oggettività della narrazione, mantenendo un estremo distacco emotivo atto a evitare ogni tipo di empatia.Inutile dire che la mancanza di distorsioni artisti-che nella vicenda è in sé un effetto stilistico, il cui obiettivo è favorire l’immersione dello spet-tatore. Per questo non c’è da stupirsi se è possi-bile cogliere varie sfaccettature nel carattere di alcuni personaggi. In particolare, Steve Murphy e

lo stesso Escobar sviluppano un’evoluzione com-portamentale che uno spettatore attento può facilmente intuire, eliminando quella già citata mancanza di empatia che il tipo di narrazione sembra volere imporre.Difatti, la narrazione ricorda la struttura di un documentario per la linearità cronologica degli eventi e per la freddezza del racconto del detec-tive Murphy, ma riprende il livello di coinvolgi-mento di una serie di alto livello, attraverso una scorrevolezza della trama che lascia pochi attimi di respiro, offrendo un ritmo incalzante che ca-ratterizza ognuno dei 10 episodi.L’uomo ha la tendenza di alterare la propria visio-ne della realtà, perché è incapace di modificare il mondo in cui vive. Non che sia sbagliato lottare per rendere il mondo un po’ più confortevole, ma avere la presunzione di poterlo controllare non può che avere risultati spiacevoli. Pablo Escobar ne è la dimostrazione, comprando la gloria che la sua attività gli dovrebbe negare, ingannando chi gli dava la caccia, e persino l’intera Colombia, tentando una carriera politica dai risultati impre-vedibili. Anche “Narcos” inganna il suo pubblico, costruendo un senso di realismo attraverso degli effetti stilistici, che uniscono il fascino di una se-rie storicamente molto valida al coinvolgimento che solo un ritmo così incalzante può offrire.

NARCOSDANIELE BARRESI V S

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REDAZIONE:DOCENTE REFERENTE:Prof.ssa Elena Santomarco

CAPOREDATTORE:Davide Angelini V C

VICE-CAPOREDATTORE:Elisabetta Cannata IV C

IMPAGINAZIONE E GRAFICA: Mario Labruzzo II EDavide Angelini V C

HANNO COLLABORATO:Gabriele Aielli I CLucia Raffaele II DCostanza Ruggieri II DEttore Inzerillo III CGabriele Rizzo III CChiara Schillaci III CAldo Marguglio III HAchille Liberatore III LGiorgio La Spina IV CAsia Clemenza IV IVincenzo Manfrè V ACristina Aiosa V BManfredi Alberto Monti V CAlberto Romano V EDaniele Barresi V S

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Ecco alcune locandine dei film candidati all’Oscar 2016. Parleremo dei vincitori nella prossima edizione


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