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IL CALITRANO serie/IL CALITRANO N. 11.pdf · Calitri,6 luglio 1999.La signora Rosa ... 1907 in...

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IL CALITRANO ANNO XIX - NUMERO 11 (nuova serie) MAGGIO-AGOSTO 1999 IL CALITRANO
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IL CALITRANOANNO XIX - NUMERO 11 (nuova serie) MAGGIO-AGOSTO 1999

IL CALITRANO

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IL CALITRANOANNO XIX - N. 11 n. s.

Periodico quadrimestraledi ambiente - dialetto - storia e tradizioni

dell’Associazione Culturale “Caletra”

Fondato nel 1981

Indirizzo Internet - http://www.dinonet.itE-mail: [email protected]

DirettoreRaffaella Salvante

Direttore ResponsabileA. Raffaele Salvante

SegreteriaMartina Salvante

Direzione, Redazione, Amministrazione50142 Firenze - Via A. Canova, 78

Tel. 055/78.39.36

Spedizione in abbonamento postale 50%

C. C. P. n. 11384500

La collaborazione è aperta a tutti,ma in nessun caso instaura un rapporto

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Le spese di stampa e postali sono copertedalla solidarietà dei lettori.

Stampa: Polistampa - Firenze

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Il Foro competente per ogni controversia èquello di Firenze.

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Chiuso in stampa il 19 luglio 1999

IN

QUESTO NUMERO

La sfida è competeredi Raffaele Salvante 3

Prima della primaCalitri 1999di Antonella Salvante 4

Una lezione di storiae di vitadi Vannalucy Di Cecca 6

Calitri nel Seicentodi P. Gerardo Cioffari O.P. 8

Conzain età modernadi Emilio Ricciardi 13

DIALETTO E CULTURA

POPOLARE 18

MOVIMENTO

DEMOGRAFICO 20

LA NOSTRA BIBLIOTECA 22

REQUIESCANT IN PACE 23

IN COPERTINA:Calitri, 6 luglio 1999. La signora RosaLucia Fatone, nata a Calitri il 25 ottobre1907 in compagnia del cagnolino Lilli èintenta ad un lavoro all’uncinetto nellasua cucina non proprio antica, maancora capace di destare, nelle personedi una certa età, antichi ricordi difamiglie raccolte davanti al focolare,mentre le caldaie crepitavano sul fuoco.La cucina, fino all’avvento dellatelevisione era il vero santuario dellafamiglia, che ogni giorno vi si raccoglievaper trascorrere insieme il tempo delriposo e della comunicazione.

L’AMORE

Amore,quannu si’ vveru,si’ cchiu’ rranne te lu Celu,cchiu’ prufunnu te lu Marecchiu’ sprènditu te lu Sule!Anima te lu core,nu’ canusci né tiempu e

[né cunfini.Pe ttie, o iterna Primavera,li scuèrpi te la Vita, le spineddèntanu fiuri te sciardine.Vita te la Vita e te la Morte.Eternu comu Diu,allu Paraisu unisci la Terra.

Alfredo Mangeli(dal libro

Munnu te Jeri e Munnu te OscieEdizioni Biblioteca Minima

Novoli – Lecce 1998)

LUMINOSAMENTESOVRANA

La danza dei tuoi sognicosì leggero di un soffioe come a correre in azzurroper vederti elettasempre più in altodai profili in ombradelle tue belle formee ti risplende alloradi sorrisi il voltonei tuoi trionfi,e pur vivi le penedel tuo finire,ma nel fiorito dei toui annifigura umanaluminosamente sovrana

Manfredi Del Donno

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È DECISIVAPER LA PUBBLICAZIONEDI QUESTO GIORNALE

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L a concertazione, ovvero, la pace sociale eil consenso quali insostituibili ingredienti

di qualsiasi ricetta di sviluppo, ha consentitofinora di governare le dinamiche salariali inuna fase a dir poco turbolenta, sia sul pianoprettamente politico che su quello valutario,anche se soltanto di riflesso.

È chiaro che la si vuole rendere più am-biziosa nei traguardi, rilanciando lo sviluppo el’occupazione e più ampia nella partecipa-zione, con il coinvolgimento di tutti i nume-rosi attori che compongono l’articolato tessu-to produttivo della nostra Italia, che continuaa vivere una grande trasformazione: sia sulfronte politico, sia e soprattutto sul fronte eco-nomico, dove la necessità di efficienza siscontra con il consolidarsi dei vecchi vincoli el’affermarsi di nuove rigidità.

Infatti, la complessità burocratica-ammi-nistrativa e l’onerosità fiscale e contributivanon solo provocano la crescita del sommer-so, ma rende sempre più difficile integrarsinella globalizzazione, facendo perdere colpial Paese nella cultura dell’innovazione ecreando nuove oligarchie che perpetuano ef-fetti perversi, sottostando, per di più alla di-screzionalità di una burocrazia in cui l’inno-vazione ha raramente cambiato i sistemi dioperare e non ha, comunque, mai modificatoi comportamenti.

Questo è l’arido, freddo e disarmante lin-guaggio della politica e della politica eco-nomica in particolare, nel cui ambito i cam-biamenti si verificano con maggiore rapidità,producendo e distribuendo beni e servizi ma-teriali con manifesti e preoccupanti incon-venienti, quali la piaga endemica della di-soccupazione, le forme antiche e nuove dipovertà, l’inquinamento ambientale, l’in-treccio perverso fra interessi economici e de-cisioni politiche, l’induzione artificiosa dibisogni e di modi di vita e così via.

È, perciò, necessario che i fenomeni ne-gativi – quali le intollerabili disuguaglianzesociali ed economiche – siano fatti oggetto diuna puntuale e vibrata denuncia, per richia-mare l’attenzione e scuotere la coscienza col-lettiva e di quanti hanno particolari respon-sabilità al riguardo, ricordando sempre che ilmondo delle cose ci è donato attraverso l’e-redità che ci viene lasciata dalle generazioni

passate e che, a sua volta, esige che noi latrasmettiamo, arricchita, alle generazioni fu-ture, in una catena ininterrotta di solidarietà,idonea a costituire il fermento e il principiodi un autentico rinnovamento della nostrasocietà.

Certo le leggi economiche si rifanno, ol-tre che al mercato, alle istitutzioni nelle qua-li si esprimono e vengono regolate la vita e lerelazioni dei popoli; ma, in fondo, è sempreil cuore dell’uomo che è chiamato a sce-gliere tra la forza e il dialogo, la competizio-ne e la solidarietà, e cambiare le istituzioniresta impresa vana e impossibile se non si ri-conosce la centralità dell’uomo dentro la so-cietà, il primato dell’uomo sul lavoro, il pri-mato del lavoro sul capitale e il primato del-la destinazione universale dei beni sulla pro-prietà privata.

In effetti, lo sviluppo allora soltanto è ar-monioso, quando ogni persona viene valoriz-zata attraverso una partecipazione responsa-bile alla vita economica e sociale; quando ven-gono promosse la libertà, la creatività, l’auto-determinazione e l’iniziativa personale, quan-do viene garantito il diritto al lavoro, quandoviene conservato l’ambiente naturale.

L’impronta da dare alle istituzioni eco-nomiche della società costituisce, dunque,un impegno etico, capace di assumere formeprogettuali, al fine di garantire che il pro-gresso della tecnologia sia posto al serviziodello sviluppo integrale della persona, di tut-te le persone e di ciascuna di esse, in un iti-nerario educativo di formazione permanenteatto a sostenere il livello e la qualità dell’a-scolto, del confronto e del dialogo che nu-trono la comunicazione. Purtroppo, episodidi violenza, di razzismo, di esclusione, di ri-fiuto, di disprezzo della vita, sono ormai ognigiorno sotto i nostri occhi, dentro la quieteapparente delle nostre città e delle nostrecase; episodi che esplodono nella concorren-zialità efficientistica e spietata che, in ognicampo, espelle i deboli e i vinti, nei ricatti diuna vita di coppia e di famiglia sempre piùattraversata da linee di frattura, nella violen-za fisica e psichica esercitata sulle donne esui bambini, nell’aggressività cieca che de-vasta perfino i momenti del gioco e dellacompetizione sportiva.

L’umanità comincia a capire che senzagiustizia non c’è pace e che per fare paceoccorre cominciare a fare giustizia, l’illega-lità, infatti, è nemica della pace dentro a unmondo minacciato e divorato dai conflitti, lapratica della giustizia come virtù è un fattoredinamico e operoso della costruzione dellapace: i giusti sono i veri operatori di pace;ritardare la promozione umana è dunque ri-tardare la pace.

Nasce da qui la necessità di un rinnova-to impegno da parte di ciascuno di noi conl’attenzione concreta alle persone che è fon-te di nuova cultura sociale e di cittadinanzaresponsabile e solidale, in particolare attra-verso il riconoscimento e la promozionedella dignità e dei diritti di ogni persona,col mettersi in viaggio con altri senza pre-tendere di scegliersi la compagnia, apprez-zare il valore dell’incontro e dell’accoglien-za tra diversi, sperimentare la fatica e lagioia del camminare insieme, imparare aprocedere al passo degli ultimi, cioè co-struire la “comunione” con tutti nella quo-tidianità, senza escludere nessuno e senzascendere a compromessi in nulla sul pianodell’autenticità; la carità crea comunioneperché cerca gli altri, ogni altro, nella di-versità delle situazioni personali di vita, locerca perché sa di averne bisogno, primaancora che per aiutarlo. Cerchiamo di farnostro, con fiducia e coraggio, l’impegno diinvestire le migliori energie per i giovaniper dissipare quella loro sorte di indifferen-za che è piuttosto diffidenza verso una so-cietà e un mondo adulto che non si fa re-sponsabile del loro futuro; e fare uscire ognigiovane dall’anonimato delle masse per far-lo sentire persona ascoltata e accolta per sestessa, come un valore irripetibile.

Questa competizione sarà vinta soltantoad una condizione essenziale, che è quelladella testimonianza di vita convinta, coe-rente e coraggiosa, con la quale la verità e ivalori morali vengono non solo annunciatima anche vissuti, socializzati e protetti dai ri-schi incombenti della superficialità e dellaricerca di facili alibi che sottraggono a unarigorosa e coinvolgente verifica personale.

Raffaele Salvante

N. 11 n. s. - Maggio-Agosto 1999 IL CALITRANO

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PER UNA RINNOVATA CONSAPEVOLEZZA

LA SFIDA È COMPETEREPer far ritrovare al Paese il gusto dei valori che garantiscono autenticità di futuro,dignità, giustizia e pace attraverso un ininterrotto processo educativo e formativo

che renda possibile la compresenza di solidarietà e di efficienza.

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Domenica 28 febbraio 1999 si è inau-gurato a Calitri l’Atelier per la Sposa

“Tania Sposa” di Enza Di Luzio in viaFrancesco De Sanctis, 8; si tratta del-l’elegante sartoria gestita dalla signorinaEnza che opera avvalendosi del prezio-so lavoro sartoriale della signora Anto-nietta, sua madre, nonché dell’attivacollaborazione dell’intero gruppo fami-liare che, dopo circa 30 anni trascorsi aTaranto, è rientrato a Calitri.

L’accoglienza riservata dal paese aquesta bella famiglia laboriosa è risul-tata calorosa non solo per la simpatiache naturalmente suscita, ma anche perl’originalità ed il coraggio dell’idea: inun momento economico così delicatoecco finalmente qualcuno che lanciauna sfida e si propone di lavorare e in-vestire nella nostra area. Il fatto non po-teva sfuggire all’attenzione di chi vive elavora a Calitri, magari ostinandosi a

credere nella possibilità di un’economialocale sana e attiva: attorno alla circo-stanza si è creato un gruppo ed è nataun’interessante iniziativa rivolta aglisposi e denominata “Prima della pri-ma - Calitri 1999”.

Una trentina di operatori impegnatinel settore delle nozze (dei quali la sot-toscritta è soltanto una portavoce), dalfotografo al ristoratore, dal mobiliereall’agente di viaggi, dal fiorista allo sti-lista dell’immagine, dal tipografo al det-tagliante di abiti, piuttosto che di og-gettistica o di gioielli, hanno messo suuna manifestazione imperniata su undefilè, ma essenzialmente rivolta a rap-presentare un esempio delle offerte cheil paese può e sa offrire alle coppie inprocinto di sposarsi.

L’organizzazione di un matrimonio,si sa, è di per sé un momento delicato eimportante della vita: richiede tempo,energia, denaro, attenzione. Di contro ifuturi sposi hanno per lo più poco espe-

rienza e sono chiamati a fare le “provegenerali” con questioni organizzative,economiche, pratiche. Ed ecco l’idea:consorziare le attività che a Calitri si ri-volgono agli sposi proprio per fornireloro una panoramica completa dellepossibili scelte esistenti sul mercato edelle risorse di esperienza e professio-nalità del nostro paese. L’iniziativa harichiesto alcune settimane di prepara-zione: un gruppo di giovani calitrani,sotto la guida della signora Karin, si ècimentato nell’esperienza del defilè cu-randone dettagliatamente ogni aspettoed il risultato, oltre ad impressionaremolto favorevolmente il pubblico, pre-sente su invito strettamente personale,ha naturalmente gratificato il lavoro ditutti.

Gli abiti sono stati presentati, oltreche dall’Atelier Tania Sposa di Enza DiLuzio, che ha dato ampia prova di com-petenza e raffinatezza sartoriale, dallaBoutique Uomo-Donna Glamour e da

IL CALITRANO N. 11 n. s. - Maggio-Agosto 1999

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ANTONELLA SALVANTE

PRIMA DELLA PRIMACALITRI 1999

Calitri 7 marzo 1999 - Il gruppo della riuscita manifestazione “Prima della Prima – Calitri 1999”, dasinistra dietro: Franco Acocella, Roberto Salvante, Canio Zarrilli,Antonio Di Luzio; al centro seduti: RitaDi Cecca,Antonella Salvante, Enzo Galgano,Angela Caputo,Antonietta Farese, Iefferson Schettino,An-tonietta Di Luzio, Enza Di Luzio, Gianluigi Toglia, Michele Maffucci, Bianca Campana, Karin Wam,An-gelo Maffucci; in basso: Ivan De Nicola, Rosario Maffucci, Salvatore Caruso.

Calitri, domenica 7 marzo 1999, la famiglia Di Lu-zio, composta dal padre Antonio dalla moglie An-tonietta Margotta e dalle figlie Enza e Tania, rien-trata a Calitri dopo circa 30 anni vissuti a Taranto,hanno concretizzato il sogno di aprire un Atelierper la Sposa, in via Francesco De Sanctis. In occa-sione di “Prima della Prima – Calitri 1999” i lorosplendidi abiti da sposa hanno sfilato in passerella,fra gli applausi di un pubblico incantato.

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Caruso Abbigliamento Uomo. Subitodopo il defilè il pubblico ha potutoprendere contatti direttamente con i di-versi operatori e visionare le propostedei commercianti di Calitri che hannoaderito al progetto “Prima della Prima -Calitri 1999”. Al di là di quello che po-trà essere il riscontro immediato e com-merciale della manifestazione, il fattoin sé merita una serie di considerazionidal suo interno: probabilmente si trattadella prima volta che gli operatori com-merciali del nostro centro danno vita adun progetto di lavoro di squadra conobiettivi chiari e condivisi per esprime-re la qualità del servizio esistente in un

particolare settore e sostenere l’econo-mia del paese.

Il fatto, poi, che tanto si sia verifi-cato attraverso il coinvolgimento el’impegno di un nutrito gruppo di gio-vani calitrani dinamici ed entusiasti,fornisce un esempio di come la dire-zione da intraprendere sia veramentequella della collaborazione e della va-lorizzazione delle risorse locali. So-prattutto per questo l’iniziativa meritaattenzione e non va considerata episo-dica: il gruppo “Prima della Prima -Calitri 1999” ha sostenuto brillante-mente le sue prove generali e meditaora di ripresentarsi con nuove idee enuovi lavori. A quanti hanno collabora-to, partecipato, assistito o anche sem-plicemente curiosato, va intanto il rin-graziamento sentito di tutti.

N. 11 n. s. - Maggio-Agosto 1999 IL CALITRANO

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Enza Di Luzio all’inaugurzione dell’Atelier “Tania Sposa”.

Due momenti della sfilata. in alto da sinistra Ivan De Nicola,Antonella Farese e Jefferson Schettino; inbasso Michele Maffucci, Bianca Campana e Pierluigi Toglia.

Calitri 2 novembre 1952, da sinistra: ZabattaDomenico, Cicoira Vito, Borea Donato, CerretaAngelomaria, Maffucci Giuseppe, CirminielloFranco, Polestra Vincenzo, Galgano Attilio, Sal-vante Michele e Di Maio Antonio (ServizioFotolampo).

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L’Istituto Tecnico Commerciale “A. M.Maffucci” di Calitri, sabato 13 marzo

u. s. ha vissuto una splendida giornata cul-turale che ha regalato profonde ed esaltan-ti emozioni a quanti hanno avuto la venturadi essere presenti alla presentazione del-l’opera Viaggio in Irpinia del nostro illu-stre comprovinciale il dottor Giovanni DeMatteo, già procuratore della Repubblica epresidente onorario di Cassazione.

Sono convenuti nell’aula magna dell’I-stituto, oltre all’autore con la gentile signo-ra, il Provveditore agli Studi dottor Genna-ro Javerone e la consorte, il comandantedella compagnia dei Carabinieri capitanoZurlo col maresciallo Soricelli, l’ispettricescolastica dott.ssa Antonietta Tartaglia, ladirettrice didattica del plesso di Calitridott.ssa Concetta Sullo, i presidi prof.ri At-tilio Capaldo e Alfonso Cuoppolo, numero-si docenti in rappresentanza delle Scuoledi ogni ordine e grado del paese, una folladi studenti, il sindaco prof. Vito Marchittoche ha concesso alla manifestazione l’altopatrocinio dell’Amministrazione Civica, edinfine gli operatori della 3TV di Avellino.

A moderare e disciplinare lo svolgi-mento della manifestazione è stato chia-mato il giornalista dottor Antonio Gaggia-no del «Mattino» di Napoli.

A tenere la prolusione programmatica èstato il preside prof. Antonio Moccia, ilquale, nel porgere il saluto e il ringrazia-mento ai convenuti, ha sottolineato il si-gnificato e l’importanza della manifesta-zione vista come momento di rimeditazio-ne di proposizioni culturali già acquisite,ma forse non adeguatamente approfondite,e come stimolo ad appassionarsi alle storiee alle vicende patrie, al fine di trarne validied utili insegnamenti.

Al preside Moccia ha fatto seguito ilprof. Vito Marchitto, sindaco di Calitri,che si è dichiarato felice di aver concesso ilpatronato dell’Amministrazione Comunale,in quanto vede nell’opera della Scuolaun’occasione per dischiudere ai giovanistudenti un più vasto orizzonte culturale eper offrire loro una palestra per suscitarepiù vivi e più profondi interessi culturali.

Il Provveditore agli Studi dottor Gen-naro Javerone, ha sottolineato come le

Scuole di Calitri siano sempre state all’a-vanguardia nella promozione di vivi inte-ressi conoscitivi e nel proporsi come puntodi riferimento e polo di orientamento persempre maggiori approfondimenti cognitivi.

Anche il dottor Gaggiano ha espresso ilsuo compiacimento per l’iniziativa, cheegli interpreta come pungolo per le nuovegenerazioni a porre maggior impegno percogliere le valenze culturali della civiltàdegli avi, onde trarne suggerimenti di com-portamento per il futuro.

Prende, poi, la parola il preside prof.Antonio Altieri, il quale, dichiarandosionorato e felice di essere investito del man-dato di presentare alla cittadinanza – pro-prio nell’istituzione scolastica che lo avevavisto, anni addietro, docente prima e presi-de poi – un’opera di sicuro prestigio e dielevatissima valenza culturale, ha iniziatocol disegnare un tratto biografico del pro-curatore Di Matteo esaltandone la presti-giosa figura di magistrato che ha saputoconferire lustro e prestigio al suo paese an-che come letterato e scrittore. «Egli – hadetto il preside – ci aveva, già per il passa-to, dato prova della fervida intelligenzamettendo in luce notevoli doti critiche ecapacità espressive di rilievo, proponendo-ci, col suo saggio Da Piazzale Loreto a viaFani il tormentoso e doloroso camminopercorso dal popolo italiano desideroso dicostruirsi un avvenire glorioso degno dellesue nobili tradizioni, dimenticando gli or-rori della guerra, accantonando gli odi e ilivori di parte e debellando quelle frangeestremiste e farneticanti che volevano ri-portare il nostro paese nel caos e nel di-sordine».

Entrando nel vivo dell’opera, ha inizia-to a tratteggiare le connotazioni antropichee culturali di coloro che per primi si inse-diarono in queste nostre contrade, allora«sicuramente verdeggianti di ubertosi pa-scoli, ammantate di immense distese bo-schive e irrorate da fresche e pescose ac-que» e, dinanzi ad un ammirato e stupitouditorio, ha esaltato le virtù di questi nostrilontani progenitori, che pur ci hanno la-sciato preziose testimonianze della loro ci-viltà: «asce levigate, strumenti di lavoro edutensili domestici; e poi, quando impararo-

no a lavorare l’argilla, vasi, anfore, broc-che, oggetti fittili; e più tardi ancora, brac-cialetti, orecchini e fibule finemente lavo-rati, ma non nel prezioso oro, bensì nell’u-mile e vile rame, giacchè quei nostri pro-genitori non erano ancora stati affetti dal-l’auri sacra fames».

Poi, con un parlare sempre caloroso,appassionato e trascinante, ci ha fatto assi-stere, quasi come ad una proiezione cine-matografica, al timido affacciarsi dei primiabitatori all’imbocco di queste nostre valli,al loro ammirato stupore dinanzi a scenaridi selvaggia e incomparabile bellezza.

Questi nostri antenati erano gli Osci,che insediatisi in queste contrade, conduce-vano la loro vita nella pace e nella serenitàdei clan, alternando la pesca alla caccia, lalavorazione dei campi all’allevamento delbestiame, la preparazione di utensili dome-stici e di attrezzi di lavoro alla fabbricazio-ne di armi necessarie per la difesa, ma an-che e soprattutto per rendere più ricca e piùcospicua la caccia e la pesca.

Poi quest’Eden di pace, questa oasi diserenità fu violata e distrutta dall’arrivo dinuove e tuttaltro che pacifiche immigra-zioni; erano gli Irpini, che fieri e bellicosiquali erano, abituati a saccheggiare, a de-predare e a sottrarre ai vinti quanto potevafar loro comodo o tornare loro utile, scac-ciarono, laddove opponevano resistenza, lepopolazioni preesistenti; si mescolarono,si unirono, si sovrapposero ad esse laddovefu possibile una pacifica convivenza.

Ben presto questo fiero e bellicosopopolo ebbe a scontrarsi con le legioni diRoma; e l’oratore, con passione coinvol-gente, ha riproposto all’attento e interes-santissimo pubblico, la storia delle bat-taglie, degli scontri, degli eccidi, dellevittorie conseguite, delle umiliazioni su-bite, portando gli uditori a sentirsi viciniagli Irpini, ad esultare per le vittorie cheessi seppero conseguire contro Roma eper l’umiliazione che seppero infliggerealle sue legioni, costringendole a passare,disarmate, sotto il giogo, alle famoseForche Caudine; a rivivere la tragediadella distruzione di Akudunnia, della stra-ge dei suoi eroici difensori immolatisi perdifendere la propria cittadella, della vile e

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VANNALUCY DI CECCA

UNA LEZIONE DI STORIAE DI VITA

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macabra uccisione del capo Irpino CaioPonzio, massacrato a Roma a colpi discure.

Ma gli Irpini cercarono costantementeoccasioni di riscatto dal giogo di Roma: efurono, perciò, con Pirro allorchè questimosse guerra alla superba città laziale, fu-rono con Annibale, allorchè videro nel car-taginese colui che avrebbe potuto restituireloro dignità, prestigio e l’antica indipen-denza e furono con Spartaco quando questiinsorse contro Roma. Ma la fortuna fu lorocostantemente avversa e dovettero soccom-bere sotto lo strapotere romano; «La glo-riosa epopea – ha commentato l’oratore – diun popolo, che aveva fatto della fierezza lapropria bandiera, dell’ardimento il proprioblasone, del coraggio il proprio stemma, siera definitivamente conclusa».

Nei secoli successivi popoli ed esercitisi avvicendarono in queste contrade: i Lon-gobardi, e la toponomastica locale parlaancora di quei tempi, i Bizantini, i Goti epiù tardi i Normanni, gli Aragonesi e gliAngioini, i Francesi, gli Spagnoli e per ul-timi vennero i Piemontesi; e l’oratore harievocato le tristi e dolorose vicende chevidero protagonisti i nostri nonni nel tenta-tivo di contrastare l’avanzata e la conquista

di queste contrade da parte dei reggimentie delle divisioni di Vittorio Emanuele II.

Ma ancora una volta gli Irpini dovette-ro soccombere, con l’amarezza di non«aver trovato poeti, cantori o aedi che esal-tassero il loro eroismo o che tramandasserole loro gesta alle future generazioni; anzi illoro eroismo fu contrabbandato ed etichet-tato – complici gli storici di parte – bandi-tismo e il loro sangue andò ad inzupparequeste zolle, che erano già pregne del fieroe orgoglioso sangue irpino».

A conclusione del suo dire, l’oratore siè interrogato: «Che cosa ha spinto il no-stro illustre magistrato a interessarsi di pro-blematiche storiche e a discostarsi tantodal suo abituale campo di azione?”. E harisposto: «È stato l’amore per la sua terra,per la sua piccola patria, per quel paeseche lo aveva visto nascere, che ne avevaascoltato i primi vagiti, ne aveva udito iprimi balbetii scolastici, che lo aveva vistoscorazzare, bambino, per quelle allora pol-verose sue strade». È stato dunque l’amoreper il suo paese che ha spinto l’illustre ma-gistrato ad erigergli, alla stregua oraziana,un monumentum aere perennius. «E quan-do – ha concluso l’oratore – è l’amore cheagita e scuote i petti degli uomini, le loro

opere non possono che risultare dei poe-mi!»

Al termine, ha preso la parola il dottorGiovanni De Matteo, spiegando all’uditoriole motivazioni che lo avevano indotto a im-pegnarsi in quell’ardua fatica e a cimentar-si con una così monumentale ricerca e unacosì scrupolosa indagine storica, narrandodella sua infanzia nel suo paese, della suaansia di conoscere gli usi, le abitudini, i co-stumi, del suo peregrinare per le contradecircostanti alla ricerca di connotazioni atni-che e di consuetudini degne di essere tra-mandate ai posteri; ha, infine, rievocato ilsuo distacco dai luoghi cari per trovare al-trove affermazione professionale, portan-dosi dietro emozioni e ricordi mai sopiti,mai dimenticati, mai cancellati. «È stato ilmio un tentativo di rivivere quel passatoche orami è lontano nel tempo, ma che ri-mane così profondamente radicato nel miocuore» ha concluso l’illustre magistrato.

Coloro che hanno avuto la fortuna diessere spettatori di un sì elevato e presti-gioso incontro culturale, hanno vissuto,quel 13 marzo, una giornata di intensa, li-rica e commovente emozione.

A quando un’altra giornata bella comequesta?

N. 11 n. s. - Maggio-Agosto 1999 IL CALITRANO

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Le elezioni amministrative del 13.06.1999 a Calitri hanno visto la vittoria, seppure per una man-giata di voti, della lista “Il Paese che Vogliamo” che ha espresso il sindaco nella persona dell’avv.Rosanna Galgano e 11 consiglieri comunali: Acocella Pasquale, Buldo Giovanni, Di Cecca Gio-vanni, Di Maio Giuseppe 27.12.1955, Lampariello Canio, Pignataro Paola Zampaglione, RubinettiGerardo Antonio, Tateo Vito, Tornillo Generoso, Zarrilli Antonio e Zarrilli Canio.L’altra lista “Progetto Democratico Calitri 2000” ha espresso i restanti 5 consiglieri: CicoiraEmilio, D’Ascoli Berardino, Galgano Giuseppe, Nicolais Antonio Giuseppe e Salvante Antonel-la. Purtroppo, è subito sorta una grave controversia circa l’eleggibilità del sindaco, che rischia dibloccare ogni attività dell’Amministrazione Comunale!…

Risultati elettorali

50 ANNI DI MATRIMONIO - Vito Rocco Milano e Fiordellisi Concetta hanno festeggiatoi loro 50 anni di matrimonio, attorniati da alcuni nipoti, parenti e amici. Auguri vivissimi.

Calitri 1953, da sinistra: Beltrami Palmina,americana, Di Carlo Erberto, farfalacchj’ (sivede solo la testa), Strollo Rachele, mogliedi De Rosa Vitale, De Rosa Vitale, Del Re Vin-cenzo, gimì (si vede solo la testa), CioffariLuigi, vicc’ vicc’, Beltrami Romolo, De RosaMichela, detta Maichina (1905-1978) mogliedi Acocella Gaetano, Margotta Francesca,gg’v’nazza e Acocella Gaetano.

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INTRODUZIONE

La storia della Valle dell’Ofanto, là ovequesto fiume lascia l’Alta Irpinia per at-traversare la Basilicata e scorrere verso laPuglia, ha bisogno ancora di consolidarele sue basi mediante la trascrizione di do-cumenti da mettere a disposizione deglistorici. Quella che segue (nei prossimi nu-meri del Calitrano) è appunto la trascri-zione di uno dei documenti più preziosi,vale a dire la Cronista Conzana, ancorainedita, ma con una ricca sintesi pubblicatada Giuseppe Chiusano.

Nel volume di questi, dal titolo La Cro-nista Conzana. Manoscritto inedito del1691 (Grafiche Fratelli Pannisco, Calitri1983), a Calitri sono dedicate le pagine 83-87. Si noti che questa Cronista Conzanafu molto utilizzata e spesso citata anchedall’Acocella nella sua Storia di Calitri.Inoltre, diversi brani del “Primo discorso”sono liberamente trascritti nella sua Calitrimoderna e contemporanea, del 1926, doc.IV (pp. 252-253). Integralmente trascriveanche la relazione dell’arcivescovo Carac-ciolo alla Sacra Congregazione al fine diimpedire la riapertura del convento di S.Sebastiano. Poche le imprecisioni (es. Pa-dri colendissimi, invece di Padroni colen-dissimi, 1680, invece di 1687). Vedi doc.III, pp. 248-252.

1. L’autore: formazione presso i Dome-nicani di Bagnoli

Donato Antonio Castellano era natonella prima metà del XVII secolo a Ba-gnoli Irpino da Giovanni Francesco e Ro-bonea Salvio. I suoi studi di lettere e scien-ze furono arricchiti dalla frequentazionedei Padri Domenicani che a Bagnoli ave-vano un importante convento.

Questo convento, dedicato alla Madon-na di Loreto, era stato fondato nel 1483,come si evince dal relativo breve pontificiodel 25 febbraio di quell’anno (BOP III, p.612). Pochi anni dopo, nel 1491, fu vittimadi un grave incendio che distrusse la docu-mentazione. Dopo la ricostruzione sichiamò S. Domenico. Il vescovo di Nardò,

mons. Saluzzo, fu particolarmente genero-so verso di esso, facendo delle concessionial maestro generale fra Serafino Usumaniin data 26 gennaio 1556 (cfr. AGOP, LiberA, parte II, f. 399). Nativo di Bagnoli fuanche quell’Ambrogio Salvio, autorevoledomenicano priore di S. Pietro Martire, duevolte provinciale e quindi vescovo diNardò (1569-1577), il quale, come appun-to il Castellano un secolo dopo, aveva rice-vuto la prima formazione nel convento do-menicano. Un catalogo del 1680 (Arch.Stato di Napoli, Mon. Soppressi, fasc. 688),che pone il 1479 come data di fondazione,afferma che in quel periodo vi erano 8 reli-giosi. All’Archivio di Stato di Napoli, Fon-do Monasteri Soppressi, fasc. 678, ho avu-to modo di consultare un interessante alle-gato a stampa relativo alle liti con la dioce-si ed il clero locale sulle processioni: Nu-scana pro RR. Patribus Dominicanis Ter-rae Balneoli in Regno Neapolitano. Nulli-tates Decreti Curiae Metropolitanae Sa-lernitanae, editi sub die 30 augusti 1732, etcensurarum per Curiam episcopalem nu-scanam inflictarum, post appellationem apraedicto decreto ad S. Romanam Sedem,excommunicationis, adversus praefatosRR. PP. Dominicanos, et Interdicti eorumEcclesiae appositi, ob confectas processio-nes SS. Rosarii, SS. Nominis Jesu et SS.Sacramenti Dom. 1, 2 et 3 Octobris 1732extra ambitum, sine licentia Episcopi velParochi.

2. Vicario generale del Caravita e delCaracciolo

Dopo l’ordinazione sacerdotale il Ca-stellano si trasferì a Napoli, svolgendo atti-vità di avvocato presso i tribunali ecclesia-stici. A seguito di una malattia, volle riti-rarsi a Caposele, ove la madre viveva, dopoessere passata a seconde nozze. Da qui sitrasferì a Campagna, ove l’aveva invitato ilfiglio del patrigno, che svolgeva funzioni digovernatore della cittadina. Non vi restò alungo, poiché il 15 gennaio 1674 l’arcive-scovo di Conza, mons. Paolo Caravita1 lovolle come collaboratore.

Benedettino napoletano, il Caravita era

stato nominato arcivescovo di Conza il 29gennaio 1673. Per difendere i diritti vesco-vili dovette affrontare delle liti col marche-se Cioffa di Oliveto e col barone di Castel-nuovo. Lavorò per la costruzione del cam-panile della cattedrale, e morì il 16 settem-bre 1681. Anche per meglio affrontare lesuddette liti legali, l’arcivescovo pensò su-bito al Castellano quale suo braccio destrocompetente in materia giuridica, nominan-dolo perciò vicario generale della diocesi.

Alla morte di questo arcivescovo, ilCastellano fu eletto vicario generale sedevacante. L’arcivescovo Gaetano Caraccio-lo2 nei primi anni lo tenne da parte, ceden-do alle pressioni dei baroni contro i quali ilCastellano aveva lottato, ma poi, in data11 gennaio 1685 si decise anch’egli a no-minarlo vicario generale.

Teatino calabrese, Gaetano Caraccioloera stato nominato arcivescovo di Conza il30 aprile 1682. Promosse la ricognizionedelle ossa di S. Erberto (1684) e si impe-gnò alla ricostruzione della cattedrale dopoil terremoto del 1694. Morì nel 1709 e fusepolto nella chiesa di S. Michele aSant’Andrea.

A lui il Castellano dedicò la CronistaConzana cui lavorò intensamente fra il1689 e il 1691, terminandola prima dichiudere gli occhi nel Signore.

3. Il titolo dell’opera

Il titolo del manoscritto di Donato An-tonio Castellano presenta qualche oscilla-zione nello stesso originale. Quello gene-rale e completo è:

Cronista Conzana dedicata all’Ill.moe Rev.mo signore D. Gaetano Caracciolo,Arcivescovo di Conza. Divisa in cinque li-bri. Nel Primo dell’origine, Guerre e De-struttione di Conza, delli Conti, Arcivesco-vi e Vescovi di essa. Della Diocesi tutta eGiurisdittione che hà l’Arcivescovo in ge-nere di essa e del suo Seminario. Nel 2ºdelli Feudi e Terre che possedeva e pos-siede la Menza Arciv., cioè Palorotondo,S. Andrea, S. Menna, S. Maria de Foris e S.Mauro. Nel 3º di tutte l’altre Terre dellaDiocesi, con tutte le Rendite, Giurisdittioni

IL CALITRANO N. 11 n. s. - Maggio-Agosto 1999

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P. GERARDO CIOFFARI O. P.

CALITRI NEL SEICENTOLa Cronista Conzana

di Donato Antonio Castellano (1691)

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et entrade spettanti alla Menza Arcivesco-vale. Nel 4º di tutte le Città, Diocesi e Ve-scovi Suffraganei. Nel 5º dell’appendice,supplemento e additione di quello chemanca o può occorrere in futurum. AutoreDottor D. Donato Antonio Castellano diBagnuolo suo Vic. Gen. et anco tale diMonsig. Paolo Caravita, e sua sede vacan-te.

Tuttavia già nel libro primo l’autore ef-fettua una variante: Cronista di Conza, in-vece di Cronista Conzana. Anzi, opera unavariante persino sul suo stesso nome: Ca-stellani, invece di Castellano.

4. Pregi e difetti della “Cronista Con-zana”

Il valore di questa fonte non è dato, ov-viamente, dalle particolari capacità criti-che dell’autore, bensì dal fatto di riportareintegralmente un gran numero di docu-menti i cui originali sono andati perduti.Certo è che molte città dell’Alta Irpinia,come pure del salernitano e del potentino,devono non poco della loro memoria stori-ca all’opera di questo infaticabile vicariogenerale dell’arcidiocesi di Conza.

La data di composizione è l’anno 1691,come si rileva da diversi brani, fra cui an-che uno (f. 45) relativo a Calitri: QuestaTerra di Calitri è la più numerosa d’animedi tutte l’altre Terre della diocese, mentrein questo present’anno 1691 vi sono anime1843.

Parlando della sua sede vacante riferi-sce che coprì un arco di nove mesi, settedei quali li spesi in lite con il don France-sco Mirelli, barone di Teora e Calitri, pernon farlo prendere possesso delle crimi-nalità delle Terre di S. Andrea e di S. Men-na 3. Tale il merito ed il limite della suaopera: la passione con cui condusse le suebattaglie giuridiche lo spinse a preziose ri-cerche archivistiche per meglio sostanziarele sue argomentazioni, ma fu anche allabase della sua mancanza di equilibrio neigiudizi.

Trattando di Calitri, la figura di Fran-cesco Mirelli emerge a tinte fosche ed ècoronata da un biblico minaccioso augu-rio: la sua terza generazione non se ne ve-drà bene (non gaudebit). Tutto il discorsorelativo a S. Maria in Elce è ugualmenteimpregnato di parzialità, ma per noi è co-munque prezioso per la ricchezza dei do-cumenti e dei regesti riportati (anche rela-tivi a Bisaccia). Più pacato è il tono quandoparla di S. Maria dei Santi. Deludente, in-vece, è il modo rapido con cui si libera diCastiglione e delle sue chiese. Il titolo èpromettente, ma poi non vi si sofferma af-fatto.

5. Confusione di pagine fra Calitri e Pe-scopagano

Nella sua pubblicazione il Chiusanoparla di 44 pagine dedicate a Calitri nel-la Cronista Conzana, ma in realtà le pa-gine relative a Calitri vanno dalla 43 alla80.

La vicenda di Calitri è narrata dopoquella di Pescopagano (9). Alcune paginerelative a questo paese del potentino, vici-nissimo a Calitri, sono finite fra quelleconcernenti quest’ultimo, onde la svistadel Chiusano. Questi rileva anche che ilmanoscritto, durante il terremoto del 1980,ha subìto qualche danno, ma che ora ènuovamente accessibile agli studiosi. Cosache ho potuto personalmente verificare,grazie alla gentilezza del vicario, in occa-sione della preparazione dei due volumisull’Arciconfraternita dell’Immacolata diCalitri.

Già prima, comunque, preoccupato perl’affermazione del Chiusano, avendo io tra-scritto “soltanto” 38 pagine, ho voluto te-lefonare a don Tarcisio, attuale archivistadella diocesi, che gentilmente mi ha tran-quillizzato, dicendomi che il testo è tutto eche il numero 44 include indebitamente seipagine (dalla 25 alla 30) relative a Pesco-pagano.

Queste pagine concernenti Pescopa-gano trattano di possedimenti di terre evigne con relativi proprietari, ubicazioni eproduzioni. Tra i nomi è opportuno se-gnalare il sig. Fabio Gesualdo, la magni-fica Laudonia Celano, vedova del fisicoPietro Ingenuo, Antonio de Marco, pre-fetto della Congregazione della SS. An-nunziata, don Guglielmo Rubinetto, preteseniore della Parrocchia di S. Leonardo,fra Bonaventura Mazzeo, guardiano dellocale convento di S. Francesco, donMarc’Antonio Fucuchione, prete senioredella parrocchia di S. Giovanni Battista,Pinto Gasparrino, procuratore del signorMarchese, che si prese le decime con laforza, dicendo che non appartenevano allamensa arcivescovile. Per la toponomasti-ca della Terra di Pescopagano possiamoricordare il Vallone della Guana, il Vallo-ne dello Vallone, li Chiani di S. Vito, loPiano di S. Nicola seu Pietra Scritta, laterra di S. Nicola “sotto li Chiani di S.Vito”, lo Vallone dello Toriello (talvoltaTirello), le Streppare, la Cervara, il locodetto Saversino, il piano di Marzano. Lostesso Castellano confessa che non sem-pre è riuscito a decidere se molti luoghicitati nella Platea di Bardaro siano daidentificarsi o meno con quelli menzio-nati nell’atto notarile di Lorenzo di Rug-giero di S. Menna rogato in data 6 aprile1568.

6. La trascrizione

Per questa trascrizione della CronistaConzana di Donato Antonio Castellano misono attenuto alla grafia del tempo (es. dio-cese, e non diocesi, Giesualdo, e non Ge-sualdo, e così via). Un lieve ritocco ho fat-to a proposito delle maiuscole e delle mi-nuscole e, talvolta, anche riguardo alla pun-teggiatura, per rendere la lettura più agevo-le. Ho anche sciolto quasi tutte le abbre-viazioni e contrazioni, sempre per rendereil testo fruibile da parte degli studiosi. Peril resto, mi sono mantenuto assolutamentefedele alla grafia del testo, ponendo fra pa-rentesi quadre le “lezioni” dubbie. Fra pa-rentesi quadre sono anche le indicazionidel relativo folio (es. f. 43, f. 50, f. 80,ecc.), preferendo l’indicazione internazio-nale (f), a quella più in uso in Italia (c),cioè “carta”.

Ringrazio mio cugino, il prof. GiovanniMaffucci, che mi ha gentilmente messo adisposizione una vecchia fotocopia del te-sto. Nonostante la qualità non sempre buo-na di questa, il lavoro è stato agevole, graziealla calligrafia del Castellano, che è moltocurata e lineare. Le uniche difficoltà sorgo-no dalle frequenti abbreviazioni, special-mente a carattere giuridico. Ringrazio, an-cora una volta, l’amico Carlo De Rosa, chetempo addietro mi ha dato una bozza datti-loscritta con una sua libera trascrizione, in-serita nello studio a nome di Carlo e Va-lentino De Rosa, Calitri in alcuni mano-scritti e scritti precedenti e dopo l’Acocella(1993). Né posso omettere l’amico Raffae-le Salvante, che ha sempre attirato la miaattenzione verso questa fonte, nonché donTarcisio, archivista della diocesi di Conza -S. Angelo, per alcuni chiarimenti sulla que-stione.

7. Una rapida cronologia

Per facilitare la lettura e la comprensionedei fatti ritengo opportuno premettere lacronologia fondamentale sulla signoria feu-dale della Terra di Calitri nel XVII secolo:1599.

Calitri ha 514 fuochi.1604 (31.VII).

Istruttoria sulla distruzione di S. Ma-ria in Elce nel 1597.

1612 (20.VIII).Muore Emanuele, figlio di CarloGesualdo e Maria d’Avalos. Lascia unafiglia, Isabella, nata a Venosa il13.IX.1611.

1613 (8.IX).Muore Carlo Gesualdo, il famoso ma-drigalista, ultimo discendente del ramomaschile della famiglia.

N. 11 n. s. - Maggio-Agosto 1999 IL CALITRANO

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1621 (9.II).Alessandro Ludovisi di Bologna è elet-to papa col nome di Gregorio XV.

1623 (30.XI).Nicola, figlio del fratello del papa(Orazio), sposa Isabella Gesualdo. Daessi nasce Lavinia, che sposa GiosiaAcquaviva.

1629 (8.V).Muore Isabella, ultima discendente del-la famiglia Gesualdo. Erede del patri-monio è la figlia Lavinia.

1635 (?).Muore Lavinia. Il patrimonio passa allaRegia Corte, che lo fa apprezzare.

1636 (16.V).Nicolò Ludovisi compra il patrimoniodella figlia Lavinia.

1648.Calitri ha 550 fuochi.

1664 (24.XII).Muore Nicolò Ludovisi, utile padronedi Calitri. Gli succede come signore diCalitri il figlio Giambattista.

1669.Calitri è numerata per 331 fuochi. Evi-dentemente la peste del 1656 era statamicidiale (secondo Acocella è una que-stione di calcoli).

1676 (13.II).Giambattista Ludovisi vende Calitri per30.800 ducati a Francesco Mirelli. Nonmancano però strascichi, ritenendosi ilLudovisi ingannato.

1688 (5.VI).Terremoto. I danni sono riparati dalMirelli.

1689 (16.V).Altra scossa tellurica.

1689-1691.Il vicario generale di Conza, Donato An-tonio Castellano, scrive la Cronista Con-zana (molto polemica verso il Mirelli).

1692 (III).Rovinoso terremoto con crollo di molteabitazioni, della chiesa madre e granparte del castello.

1692 (4.XII).Su incarico di Giambattista Ludovisi,giunge a Calitri Antonio Chianelli, au-tore di una Relazione sul paese.

1693 (6.V).Il Ludovisi ratifica definitivamente lavendita di Calitri.

1694 (19.V).Francesco Mirelli vende il feudo di Ca-litri al nipote Francesco Maria (natodal figlio Carlo e da Maddalena Carafail 7.VIII.1684).

1694 (8.IX).Violento terremoto. Nel crollo del castel-lo muoiono tutti i componenti della fa-miglia Mirelli. Francesco Maria (col pa-dre Carlo) si salva, perché vive a Napoli.

NOTE

1 Cfr. UGHELLI, Italia Sacra, VI, col. 826-827;CHIUSANO, La Cronista, p. 39.

2 Cfr. UGHELLI, Italia Sacra, VI, col. 827-828;CHIUSANO, La Cronista, p. 39. È l’ultimo arcivescovomenzionato nella Cronista Conzana, che l’autore vol-le dedicargli.

3 Cfr. CHIUSANO, cit., Introduzione. Per chi desi-derasse farsi un giudizio più equo su tutta la contro-versia si consiglia di leggere l’allegato a stampa di L.P., Ragioni per l’Ill. Marchese D. Carlo Mirella. Col-le quali, si dimostra annesso al Feudo di Calitri ilIus Patronato della Chiesa di S. Maria in Elce; validala nomina fatta in persona di Monsignor Rimbaldesiper la morte del Cardinal Ludovisio; E nulla ed inva-lida la Risegna, che si suppone fatta in persona del Si-gnor Conte Ugo Albergati; E perciò si conchiude,che di nessuna maniera possa amoversi l’Economodestinato da S. E. per l’esazion de’ frutti di questaChiesa, pendente la decisione della controversia prin-cipale. Nel Regio Collateral Consiglio, Napoli, 13Gennaro 1693. Questo testo raccoglie tutte le argo-mentazioni contrarie a quelle del Castellano.

LA CRONISTA CONZANA

I - LA TERRA DI CALITRIDiscorso primo:[Capitolo secondo, f. 43]

Della Terra di Calitri, antichità, sito,stato dell’anime, qualità della Terra, eTerre habitate anticamente nel tenimen-to di Calitri, come sono Castiglione, Cer-rutolo, Lorman, Castello della Contessa,e Cisterna colli Signori Padroni di essa.

Doppo haver discorso della Terra di Pe-scopagano1, discorreremo quà della Terradi Calitro con l’altri casali, e Terre antichehoggi distrutte, che stavano situate nel Ter-ritorio di detta Terra, la quale è situata nel-la Provincia de Principato Ultra, seu deMontefuscoli1, in luogo alto e sollevato conbuona costruttione di case, le quali sonoedificate tutte in prospettiva, cioè le fene-stre sono tutte ad una parte, cioè alla partesottana, e le porte tutte alla parte soprana,che dalla via che viene dalla Puglia com-pare una bellissima prospettiva ad uso diteatro, a segno che il signor Principe di Ve-nosa antico, quando voleva far vedere a’suoi hospidi Cavalieri una bella vista, fa-ceva di notte tempo mettere lumi a dettefenestre che dimostravano un grandissimosplendore, et ordinata [vista].

Questa Terra confina con quella di Pe-scopagano, dalla quale è distante circa quat-tro in cinque miglia; confina con quella diCaijrano, da dove vi sono circa quattro mi-glia; confina con quella di Andretta con ladistanza di cinque miglia in circa; e confinaancora fuor diocese, cioè con la Terra diRapone e Ruvo, della diocese di Muro, conla distanza di cinque o sei miglia in circa.

Viene circondata da una parte dettaTerra da quel fiume tanto nominato dal-l’antichi scrittori e poeti, dimandato l’O-fanto, detto dall’antichi (f. 44) l’Aufidus,conforme lo porta il Ciarlante 2 nell’Istoriedel Sannio, lib. I, cap. 9. Il Lofanto dettodagl’antichi Aufidus hà il suo principio da imonti degl’Irpini secondo Plinio3. L’Alber-ti, trattando della Puglia Peucetia4, dicequesto fiume uscire da una picciola fontanadell’Appennino negli Irpini, non molto di-scosto dal castello Nosco, donde scenden-do per spatio di trenta miglia è sì picciolo,che à pena si conosce il suo corso in tempodi state; ma nel verno talmente cresce perle pioggie, che da Canosa per molto spatioà basso verso il mare esce fuori del suoconsueto letto, et inonda il paese di modotale, che fà mostra d’un altro mare. Sboccaparimente nell’Adriatico da tre miglia di-scosto da Barletta. Se ne fà mentione daStrabone5, Virgilio6, Livio7, Silio8, Pompo-nio Mela9, e da altri.

IL CALITRANO N. 11 n. s. - Maggio-Agosto 1999

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FRAMMENTI

L’ombra sul muro biancoassorta nel meriggio assolato.Stradine silenziose, animateal calar della serae nei giorni di festa.Donne sedute sugli uscialla “contrara”.Sul ruvido selciato,mosaico si pietra castellana,battuto da passi chiodati e zoccoli ferrati,dove il sole e il ventoinaridiscono ogni segno di vita,scansioni di mirabili colori.Stemmi lapidei sui portoni lamieratidi nobili casati si ergono;povere dimore a cui è stata datala mano di calceanche sulla fatiscente porta.Al crepuscolo lungo la “vianova”coperta di bianca “breccia”,da umana fatica frantumata,dove ancora qualche tiglio profuma l’aria,arrancano carovane di umili animali,sulla cui groppa, foraggio per la notte,è legato il fascio di rossa lupinellaappena mietuta.Più in là, tra “i piani e le serre”,solitari “carrari” bordati da rigogliosi cardie violacei “baciamani”.Gli embrici stagionati di un casolareemergono dietro la landa di gialle stoppiee presso cui, tra tanta aridità,c’è il conforto del verde e fedele gelso nero.Ma ora son desto :passo tra tanti etriste retaggio dell’esule, ignorato dai piùalla ricerca dell’ultimo amico

Donato CerretaTeramo, 1999

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Si deve perciò avvertire che in questadescrittione che fà il Ciarlante vi son al-cun’errori, com’è a dire Mosco, che vuoldire Nosco, sotto la di cui città ha origineLofanto da una picciola fonte, e poi inpoco spatio di miglia s’ingrossa ricevendodalli valloni e fiumi che li danno aggiutoda là della Terra delli Lioni diocese di S.Angelo, e viene à passare per sotto Morra,Teora, Conza, Caijrano, Andretta, e per sot-to detta Terra di Caletro, Melfi, Canosa,che di là poi se ne tira verso Barletta perdar tributo al Mare Adriatico.

Questo Aufido, seu infido fiume è ter-ribile nell’inverno, atteso che si ha inghiot-tito diversi passaggieri, che passavano peresso, fidandosi non havere timore dell’ac-qua, ma poi si sono visti a galla estinti licadaveri navigando a descrettione dell’on-de, il tutto perché non ha il sito fermo, nétampoco ha ponte per passarvi più adag-giatamente, e benché vi siano alcuni pelie-ri vestigij d’antico ponte, che si vedon sot-to questa Terra, ad ogni modo perchédett’acqua sempre rode e smove il sito daun luogo ad un’altro, si stima impossibilela trasmutatione del sito, et reedificationedel detto Ponte. [f. 45]

L’estate questo fiume s’essicca in tuttoe per tutto, à segno che vi restano pocheonde, le quali influiscono malaria a questaTerra di Caletro, essendo le dette acquestagnante, che se non fusse per detta esala-tione dell’Ofanto, sarebbe questa Terra dibellissima aria.

Questa Terra di Calitri è la più nome-rosa d’anime di tutte l’altre Terre della dio-cese, mentre in questo present’anno 1691vi sono anime 1843.

Li cittadini di questa Terra sono deditialla coltura de grani, orgio, et altre vittova-glie con abondanza di vigne nelle quali,benché facessero quantità e qualità de vini,ad ogni modo d’estate è sempre mancante.Hà gran quantità d’animali vaccini e peco-rini per il vastissimo territorio che tiene.

Nel territorio di questa Terra hoggidìtutt’unito e soggietto ad essa anticamentevi erano altre Terre, le quali son’hoggi di-strutte, come sono la Terra di Castiglione,de Murra, la quale era per prima posta den-tro il luogho che hoggidì si dimanda boscodi Castiglione, che vi appareno alcuni ve-stigij et hoggi serve per herbaggio di vac-che, e più avanti vi stava un’altra Terra di-mandata il Castello della Contessa, etun’altra Terra dimandata Cisterna. Da quel-la parte l’Ofanto vicino Ruvo vi era un’al-tra Terra dimandata Cerrutolo, che v’appa-reno li vestigij sopra un montetto. E nelliconfini di questa Terra di Calitri con quelladi Pescopagano vi stava situata un’altraTerra dimandata Lorman, che hò intesodire che questa era un casale di Scavoni, e

tutte queste Terre io le ritrovo notate nelconservatorio di Conza ottenuto per via diBulla da Papa Innocentio III10 a beneficiodi Pantaleone, Arcivescovo nell’anno 1200,che sta portato da noi nel primo tomo, cap.5, discorso 2, fol. 516.

In quanto poi all’antichità di questaTerra io ritrovo essere stata posseduta dalconte Gionata di Balbano11, conte di Conzae [f. 46] Padrone di questa Terra, e ne famentione il Ciarlante nel lib. 4, cap. X, ovenarra che Rè Guglielmo il Buono12 chiesea’ Barone del Regno duplicato il servitio deloro feudi per soccorso di Terra Santa, cioèSanto Sepolcro ad istanza di Gregorio Papa8° 13, che furono tassati molti Baroni, tra’quali vi fu Gionata di Balbano, conte diConza, per Conza, Caijrano, Calitri, Casti-glione, Monderisi, Liceto e Pescopagano,che offerse cento e quattro soldat’a cavallo,e 100 fanti, e questo fu nel 1322 14.

Ritrovo che questa Terra sia stata sem-pre della nobilissima famiglia Giesualdo15,che erano conte di Conza, che poi passòalli sig.ri Ludovisij di Bologna16, confor-me dissemo nel lib. I, cap. 3, discorso 2,fol. 36.

In questa Terra vi habitorno quasi sem-pre l’Arcevescovi di casa Giesualdo, comesono Camillo Giesualdo, Troiano Giesualdo,Alfonzo Giesualdo, e Scipione Giesualdo17,e tra questi Alfonzo fu cardinale, conformedissemo nel chatalegho dell’Arcevescovi li.primo, fol 51, e quest’habitatione provenivaa causa che li conti di Conza e Padroni diquesta Terra erano Padre, zij e fratelli re-spective di detti Arcivescovi tanto maggior-mente che in detta Terra vi è un famosissi-mo castello carrico d’habitationi, circa a 300camere, che vi possono comodamente stareda cinque corte di Signori, ben munito didue Ponti à levat[ura], con bellissimi bastio-ni, atteso detto castello stà posto sopra unmonte, e guarnito di tutte comodità, et altre-tanto la Terra è tutta morata con quattro Por-te, che si rende assai sicura.

Li costumi dell’habitatori d’essa Terrasono, che stando dediti alle vanità, giochidi carte, et altr’otiosità, per le quali sonohoggi ridotti in qualche necessità e miseria.

Questa Terra ha havuto à suoi tempimolti dottori e medici, e fra l’altri vi fuGio(vanni) Matteo de Luisi, oriondo dellaTerra di Teora, che compose le mille con-clusioni legali per darle alle stampe, mà poinon si stampò, e questo facendo habitationenella Terra di Caletro fù Vicario generaledell’Arcivescovo [f. 47] Scipione Giesualdonell’anno 1598, et dopo haver esercitato lo-devolmente detto offitio per molt’anni, eperché non havev’altro che la prima tonsurasi casò in detta Terra di Calitri con unaSig.ra di casa Cioglia, conforme havemodetto nel cathalego de’Vicarij, fol. 91.

Hoggidì questa Terra per sua disgratia èposseduta dal detto Francesco Mirella18 ori-ginario d’alcuni casali della Costa dellaMalfa, figlio d’un chirurgo di bassissiminatali, che, in tempo delle [revolutioni] po-pulari del anno 1645 nel Regno di Napoli,dal capopopolo per li meriti delle sue indi-gnità fu eletto Giodice di Vicarìa, mà hog-gidì ha havuto una fortuna cospicua in mol-tiplicar denaro con il quale nella dilapida-tione che fé anni sono Gio(vanni) BattistaLudovisio19, Principe di Venosa, si compròper un tozzo di pane molte Terre, frà le qua-li fu questa di Calitri sopra della quale vi hacomprato il titolo di Marchesato in personadi Carlo Mirella20 suo figlio, e cossì vannole vicenne del mondo, nel quale si vedonoimpoverite le famiglie più cospicue, et esal-tate le più basse, com’è questa del Mirellacol essere Patrone di questa Terra, et ancodella Terra di Teora, sopra della quale hacomprat’anco il titolo di Principe a benefi-cio del figlio del detto Carlo Mirella, natoda una signora di casa Carrafa della (Stac-cia); si comprò anco Peterno, e le giurisdi-tioni criminali di queste Terre di S. Menna eS. Andrea con diversi frodi ed inganni,come dissimo nel libro 2° della present’o-pra, e tuttavia va trattando comprare altreTerre, dicendosi ancora volere comprareConza, però essendo questo denaro acqui-stato malamente e forsi con usure ed ingan-ni si verificarà quel detto della Scrittura:non gaudebit tertius haeres. Ho voluto per-ciò mettere tutte queste in questo libro nonanimo iniuriandi 21, mà per dare a’ posterilume di tal famiglia, che forsi se un giornosarà risplendente sappiano da dove ha ha-vuto origine e chi quella sia.

NOTE

1 Il Principato Ultra era la provincia del Regno diNapoli confinante a nord con la Capitanata, a sud colPrincipato Citra (con capitale Salerno), ad ovest con laTerra di Lavoro (Napoli, Caserta) e ad est con la Ba-silicata. Sede dell’Udienza (tribunale) era Montefu-scolo (oggi più comunemente Montefusco), e tale fuanche per tutto il XVIII secolo, prima di cedere taleruolo ad Avellino.

2 L’opera di Giovanni Vincenzo Ciarlanti, cui piùvolte il Castellano fa riferimento è Memorie istorichedel Sannio chiamato oggi Principato Ultra, Contadodi Molise e parte di Terra di Lavoro, Provincie delRegno di Napoli, Divise in cinque libri, nelle quali sidescrivono i suoi confini, gli habitatori, le guerre,edificationi, e rovine de’ luoghi: li Signori di essi, leloro famiglie e gli huomini illustri che vi fiorirononella santità, nelle lettere e nell’arme. Isernia, Ca-millo Cavallo, 1644.

3 Plinio il Vecchio (Como 23- Stabia 79 d.C.) fuautore di molte opere storiche non pervenuteci. Moltenotizie su di lui sono riportate dal nipote Plinio il Gio-vane (61-113 d.C.), fra le quali anche le modalità dellasua morte. Era andato ad osservare da vicino l’eruzione

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del Vesuvio, e morì sepolto dai lapilli che seppellironoanche Ercolano e Pompei. L’unica opera pervenutaci èla Naturalis Historia in 37 libri. Da notare che a Pliniosi fa comunemente risalire una delle prime menzioni(sia pure di dubbia identificazione) di Calitri. Special-mente nella prima metà del XIX secolo gli Aletrini diPlinio (lib. III, cap. 16) venivano identificati con i Ca-litrani (es. F. Cassitto, Romanelli e Corcia). Anche loStrafforello, parlando di Aletrium, piccola città irpina ri-presa dai romani nell’ambito della guerra annibalica(Livio, XXIII, 37), afferma che fu congetturata sia l’o-dierna Calitri, nell’Alta Valle dell’Ofanto (cfr. La Pa-tria (Geografia d’Italia), Torino 1898, IV, p. 17).

4 Il domenicano fra Leandro Alberti è stato unodei maggiori e più volte citati geografi del Rinasci-mento. Nato a Bologna nel 1479, ed entrato nell’Or-dine dei Frati Predicatori, scrisse opere come il De vi-ris illustribus Ord. Praedicatorum libri sex in unumcongesti (Bologna 1517) e le Historie di Bologna(Bologna 1541-43). È universalmente noto per la suaDescrittione di tutta Italia. pubblicata a Venezia nel1551 (un anno prima della sua morte). Parlando dellaCapitanata (che egli chiama Puglia Piana), scrive:Comincia Puglia Piana al Fiume Lofante, ove finisceTerra di Barri, e trascorre al fiume Fortoro per lungo,abbracciando in larghezza ciò che se ritrova fra ilmonte Apennino, ò siano gli Hirpini et Sanniti, et ilmare Adriatico, ò sia Gionio, in tal guisa. Dall’o-riente havera Terra di Barri, co’l Fiume Lofante, da’lmezo giorno...” (p. 203).

5 Strabone è il grande geografo dell’antichità.Nato nel Ponto nell’anno 63 av. C., risiedette per uncerto periodo a Roma, effettuando numerosi viaggi. Ilrisultato delle sue ricerche è raccolto nei 17 libri dellasua Geografia. Morì verso il 19 d.C.

6 Virgilio Marone (Andes, 70 - 19 a.C., Brindisi)è il grande poeta latino dell’età augustea. È nel suocelebre poema dell’Eneide (lib. XI, v. 405) che vienemenzionato l’Ofanto: Nunc et Myrmidonum proceresPhrygia arma tremescunt, / nunc et Tydides et Lari-saeus Achilles, / amnis et Hadriacas retro fugit Aufi-dus undas.

7 Tito Livio (Padova, 59 a.C. - 17 d.C.), autoredei Libri ab Urbe condita (Storia di Roma dalla suafondazione), parla dell’Ofanto nel contesto della guer-ra di Annibale contro i Romani, essendo entrambi glieserciti accampati presso questo fiume non lontano daCanne. Cfr. lib. XXII, cap. 44.

8 Silio Italico (25-101 d.C.), console nel 68, quin-di proconsole in Asia, scrisse il poema Punica (in 17libri), ove, nel quadro della guerra annibalica, men-ziona appunto l’Ofanto.

9 Pomponio Mela è il maggior geografo latino.Nacque a Tingentera, nella Spagna Betica e visse nelprimo secolo dopo Cristo. La sua Chorographia in trelibri è nota anche col titolo De situ orbis.

10 Innocenzo III, papa. Lotario di Segni, nato nel1161, divenne papa l’8 gennaio 1198 a soli 37 anni. Sidedicò soprattutto alla riforma ed al prestigio dellaChiesa, nonché alla crociata. Morì a Perugia il 16 lu-glio 1216.

11 Gionata di Balvano è il primo signore di Calitrila cui vicenda storica è ben delineata cronologica-mente e politicamente. Fu tra i baroni che osteggiaro-no Guglielmo il Malo, e fu quindi costretto a lasciareil Regno per evitare la sua vendetta. Tornò al tempo diGuglielmo il Buono, del quale sostenne la politica.Vedi il mio Calitri e l’Alta Irpinia dalle origini all’e-poca sveva, in “Radici”, n. 11, pp. 78-85.

12 Guglielmo il Buono (1153-1189) succedette alpadre Guglielmo il Malo nel 1166. Data la sua giova-

ne età, per i primi anni fu la madre Margherita di Na-varra a guidare la nuova politica di riconciliazione, cuiaderì, come si è detto, anche il signore di Calitri.

13 Gregorio VIII, papa. Alberto Morra di Bene-vento, fu eletto papa il 21 ottobre 1187 e, dopo soli 57giorni di pontificato, morì a Pisa il 17 dicembre dellostesso anno.

14 1322. Data completamente errata, poichÈ ilCatalogo dei Baroni, cui si riferisce l’episodio, è del1150 circa. Se, invece, ci si vuol riferire all’epoca dipapa Gregorio VIII (cfr. F. UGHELLI, Italia Sacra, VI,col. 805) la data dovrebbe essere il 1187, data la bre-vità di quel pontificato.

15 Per la famiglia Gesualdo, vedi Scipione AMMI-RATO, Delle famiglie nobili napoletane, Firenze 1651,t. II, p. 3 ss. e Camillo DE LELLIS, Discorsi delle fa-miglie nobili del Regno di Napoli, parte II, Napoli1663, pp. 1-26. La tradizione aulica faceva derivare lastirpe da un Gensualdo, eroico cavaliere di Romoaldo,duca di Benevento. A fianco a questa, l’Ammiratopropose un’altra versione: la famiglia potrebbe risali-re ad un Guglielmo, figlio del duca di Puglia RuggeroBorsa (+ 1111). A tale conclusione egli giungeva apartire da una carta della Badia di Cava che riferisceappunto di un Guglielmo figlio del glorioso ducaRuggero, per la grazia di Dio signore di Gesualdo.Nella conferma del 1299, fatta da Carlo II a favore diElia Gesualdo, sono comprese nello stato di Gesualdole terre di Frigento, Acquaputrida, Paterno, Santo-mango, San Barbato, Cirifalco, la Torella, Villamaina,Bonito, Castelfranci, ecc.

16 La famiglia Ludovisi era una delle più in vistadi Bologna. Assurse a fama nazionale con l’elezioneal pontificato di Alessandro, col nome di GregorioXV. Eletto il 9 febbraio 1621, soltanto sei giorni dopocreava cardinale il giovane ed energico nipote Ludo-vico, il quale, data la salute malferma del pontefice,prese le redini degli affari ecclesiastici fino alla mortedel papa (8 luglio 1623). Questo papa favorì molto lasua famiglia, favorendo l’acquisizione di nuovi feudi.Il fratello del papa Orazio con la moglie Lavinia, sirecò a Roma, accompagnato dal figlio Nicolò e dallafiglia Ippolita (Ludwig von Pastor, Storia dei Papi,Roma 1961, XIII, p. 53). Ancora giovinetto, Nicolòebbe il titolo di castellano di Castel S. Angelo e go-vernatore di Borgo. Era in vista un suo matrimoniocon una fanciulla della famiglia Colonna, ma poi im-provvisamente (sul finire del maggio 1622) si fidanzòcon Isabella Gesualdo. Il matrimonio ebbe luogo inVaticano il 30 novembre 1623. Dai due nacque Lavi-nia, che ereditò i beni della madre, la quale ben prestovenne a morte (8 maggio 1629). Ma anche Laviniavisse poco, e i beni (fra cui il feudo di Calitri) torna-rono alla corona. Intanto il padre, Nicolò Ludovisi, erapassato a seconde nozze con Polissena Mendoza, di-venendo nel 1634 principe di Piombino. Due annidopo (16 maggio 1636) comprava tutto il patrimoniodella figlia Lavinia, costituito dagli antichi feudi deiGesualdo, divenendo così anche signore di Calitri.Dato che il principato di Piombino passò più tardialla famiglia Boncompagni, è nell’Archivio della fa-miglia Boncompagni di Roma che si trova la docu-mentazione relativa a questo signore di Calitri.

17 Per gli arcivescovi di Conza appartenenti allafamiglia Gesualdo, vedi F. UGHELLI, Italia Sacra, VI,col. 820 (Camillo 1517-1535, Troiano 1535-1539) e821-824 (Alfonso 1563-1572) e col. 825 (Scipione1587-1608). Vedi anche CHIUSANO, La Cronista, pp.37-38. Si noti che la Cronista Conzana (lib. I, capo V,discorso VI) riporta una Platea tratta dal Breve Nota-mento e libro di quanto ciascheduna Terra della Dio-

cese di Conza deve ordinariamente ogni anno al suoseminario in denari, grano, oglio et vino. Per ordinedell’Ill.mo e Rev.mo Scipione Giesualdi Arcivescovo.

18 Sulla famiglia Mirella, vedi l’allegato a stampadi L.P., Ragioni. Per l’ill. Marchese D. Carlo Mirella,Napoli 13 Gennaro 1693. Utile, tra l’altro, ad equili-brare il giudizio negativo del Castellano, troppo per-sonalmente implicato contro di lui e in difesa dei di-ritti della diocesi di Conza. Il “figlio di un chirurgo dibassissimi natali” del Castellano in realtà discendevada cavalieri al seguito di Carlo I d’Angiò. Cfr. F. DE

ANGELIS, Cenno genealogico delle famiglie Ceva-Gri-maldi e Mirella, Napoli 1840; ed Elenco dei diplomiriguardanti la famiglia Mirella, Napoli 1847. Da no-tare, comunque, che anche l’università di Calitri ebbea lottare contro questi feudatari, come dimostrano inumerosi allegati a stampa: Per l’Università di Calitricontro l’Ill. Principe di Teora ed il patrimonio diPiombino [senza l. né d., ma Napoli 1745]; Per l’U-niversità di Calitri e per i suoi cittadini coll’Ill. Prin-cipe di Teora e di lei barone, Napoli 26 aprile 1788;Per l’Università ed uomini di Calitri contro l’abate diS. Maria in Elce, D. Michele Mirelli, Napoli 12 giu-gno 1798; Per l’Università di Calitri col Principe diTeora utile possessore, Napoli 15 agosto 1802.

19 Giovan Battista Ludovisi principe di Venosa, fi-glio e successore di Nicola. Dapo la morte del padre,avvenuta a Cagliari (era infatti viceré di Sardegna), di-venne signore di Calitri, fino al 1676, quando, pres-sato dalle difficoltà finanziarie, vendette il nostro feu-do a Francesco Mirelli. Pare che come abitazione pre-ferisse proprio il castello di Calitri. Ricorda infattil’Ughelli (Italia Sacra, VI, 826): [ArchiepiscopusCompsanus ...Jacobus Lentius Romanus, monachusCasinensis ] Mox in oppidum Calistrum se contulitpermotus precibus Principum Ludovisiorum, a qui-bus et humaniter acceptus, et benignissime semperest habitus. Quo in loco, quanquam esset valetudinistuendae studiosissimus, tamen decessit haud satis ma-tura quidem aetate die 30 augusti 1672, sepultus estin majori eiusdem oppidi Ecclesia, ac perhonorifica,elegantique inscriptione honestatus. Ritenendo di es-sere stato ingannato nell’apprezzo, inviò il fidato An-tonio Chianelli a verificare la situazione e a stendereuna relazione. Ma, questi giunse nel dicembre 1692, etrovò il paese in pessime condizioni per il terremotodel marzo di quell’anno. Per cui Giambattista rece-dette dalla lite col Mirelli.

20 Carlo Mirelli, figlio di Francesco e di AnnaPaternò, studiò giurisprudenza sì da divenire avvoca-to fiscale della regia Camera della Sommaria. SposòMaddalena Carafa, a favore della quale la zia Artemi-sia rinunciò al titolo di marchesa di Vico di Pantano(Caserta). In cambio, chiese al re Carlo II di Spagnaed ottenne (diploma del 23.II.1682) di concedere aMaddalena il titolo di marchesa di Calitri. Nel pro-mulgare l’esecutoriale (20 luglio), il viceré precisavache il titolo era estensibile al marito Carlo e ai legitti-mi discendenti. L’11 luglio 1689, Carlo e Maddalenaottenevano il titolo di Principe di Teora per il figlioFrancesco Maria, che nel 1694 diveniva anche mar-chese di Calitri.

21 Curiosa è quest’affermazione del Castellano,che dopo averne detto di tutti i colori della famigliaMirelli, avendo auspicato quanto detto dalla Scrittura(che l’erede della terza generazione non ne godrà ifrutti), avendo affermato che la Terra di Calitri per di-sgrazia aveva come padrone il Mirelli, e avendo de-scritto i suoi bassissimi natali, dichiara che lo fa nonper calunniare (animo iniuriandi), ma solo per amoredi verità.

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C onza, che fu città importante in età ro-mana e altomedievale, decadde in età

moderna anche a causa dei frequenti terre-moti che ne decimarono la popolazione1.Uno tra i più disastrosi nella sua storia fuquello del 25 ottobre 990, ricordato da mol-te fonti, dopo il quale la città «restò permetà adeguata al suolo, né da quel tempo èpiù risorta»2. Ciò che restava dell’anticaCompsa finì per raccogliersi su una collina,con le case raggruppate l’una sull’altra in-torno al castello. Il territorio circostante,ricco di acque, boschi e cacciagione, conterreni fertili coltivati a grano e a vigneto,forniva risorse più che sufficienti alla pic-cola comunità.

La città fu sede vescovile dal VI secolod. C., prima diocesi suffraganea di Salerno ein seguito, dall’XI secolo, sede arcivesco-vile metropolitana.

Conza nel Quattrocento.

Alla fine del XV secolo Conza conser-vava numerose memorie degli antichi splen-dori. La città, che apparteneva ai Gesualdocon il titolo di contea, era circondata da unapotente cinta di mura; sulla sommità dellacollina sorgeva il castello, cioè il palazzobaronale, «con membri assay et jardino»,disposto intorno a un cortile, dal quale siaccedeva anche al vicino giardino, coltivatoin parte a vigneto e in parte a frutteto.

Nel 1464 il feudo di Conza forniva du-cati 28:10:0 di entrata, così ripartiti: «la ba-gliva ducati 12, la defesa de Caperrunj du-cati 3, lo molino de grano ducati 8:10, literragij tra grano et orgio ducati 5»

Pochi anni dopo, nel 1494, un inventariocompilato dai funzionari del re Alfonso IIdescrive il palazzo baronale:

«Et primo lo palaczo consistente in limembri infrascritti: lo cortiglio una salagrande con uno restrecto picculo da la bandaverso lo jardino unaltra cammara grande conunaltra verso ponente et una logia con unacammareta verso ponente e altre cammareluna intro laltra verso levante con una scalada fare che scende a lo cortiglio uno gaysocum la scala donde se saglie al dicto gaisogrande […] duj mezanini dove se chiama

la cammara perta cum una cammarella tenelo jardineri duj altri mezaninetti sotto lecammare»; seguiva «lo cortiglio cum multiet diversi altri membri dabascio terragni constalle cellarj cocina con furno» e infine «unojardino cum arbori comuni et vignia […] inlo quale jardino ej una chiesuola nomata a lanuntiata»3.

Nello stesso anno le entrate del feudoerano costituite da grano, orzo, legname, dal-la bagliva, dai censuali e dalle difese di «Pe-scara» e «Caperrunj»; inoltre il feudatariopossedeva «il mulino d’acqua sito e postoin lo loco nomato la murgia quale è stato lo-cato in questo anno per tomola quattrocen-tocinquanta de grano a la mesura de essaCità» e «una vigna, in uno loco nomato lopianello consistente in dodici giornate deZappaturij»4.

Conza nel Cinquecento.

Nel 1507 Luigi III Gesualdo, dopo averprestato atto di sottomissione al re spagnoloFerdinando il Cattolico, riebbe i feudi che,dopo la sua ribellione ai re aragonesi, gli era-no stati confiscati 5; in cambio dovette corri-spondere un sostanzioso indennizzo, che perla città di Conza ammontava a 109 ducati 6.

Il Cinquecento fu il secolo di maggiorsplendore per i Gesualdo i quali, una voltareintegrati nel possesso dei loro beni, conun’abile politica di alleanze e matrimoni riu-scirono ad accrescere il patrimonio e la po-tenza della famiglia. Nel 1543 acquistaronoil feudo di Venosa e nel 1561 Luigi IV, dopoil matrimonio del figlio Fabrizio con la ni-pote di papa Pio IV, ricevette il titolo di prin-cipe. Il fratello di Fabrizio, Alfonso, a soli21 fu nominato cardinale e nel 1563 divennearcivescovo di Conza, primo gradino di unastrepitosa carriera che lo proiettò ai verticidella gerarchia ecclesiastica, prima comedecano del Sacro Collegio e poi come arci-vescovo di Napoli.

Tra il Cinquecento e il Seicento furonoarcivescovi di Conza anche due zii di Alfon-so, Troiano e Camillo, e il nipote Scipione;tutti costoro, pur risiedendo stabilmente nel-la propria diocesi, scelsero come abitazioneil lussuoso castello di Calitri.

Le fortune di casa Gesualdo ebbero ri-flessi positivi anche per la città di Conza,che vide migliorare il proprio tenore di vita.Le «Informazioni sulle entrate» del feudoattestano per tutto il Cinquecento una rendi-ta tra i 350 e i 450 ducati.

Ad esempio nel 1539 il feudo rendeva417 ducati; le voci principali del bilancioerano l’erbaggio di Caperroni, i «terragij»(terratichi) di grano e orzo, il mulino, la ba-gliva, la fida dei buoi, ma si producevanoanche olio, formaggio, vino ed erano stateintrodotte nuove colture come il lino e i le-gumi («ciciri et cicerchie»). Nel 1585 le en-trate del principe erano l’erbaggio di Caper-roni, la mastrodattia, l’affitto del giardinodel castello, il forno, il mulino «della mac-chia», lo jus degli aratri, il «compasso diConza, Andretta, S. Andrea e altri luochi»,la bagliva, la fida delle pecore e poche altrecose per una rendita complessiva di oltre600 ducati, più 900 tomoli di grano, 129 to-moli di orzo e ancora tre pollastri, otto gal-line, sei «pese di caso e ricotta», otto «pi-gnatelle» d’olio e 16 «ayni»7.

I censimenti disponibili vanno da 153fuochi per il 1532 a 188 fuochi nel 1545,per poi diminuire a partire dal 1561 (136fuochi), fino a raggiungere il minimo nel1669 (36 fuochi). La diminuzione di popo-lazione fu causata anche dai due terremotidel 1561 e del 1627; quest’ultimo in parti-colare dovette arrecare molti danni alla città,sebbene non distruggesse la cattedrale,come testimonia la seguente descrizione,scritta nel 1637: «Consa, che è arcivescova-to et in altri tempi fu Città grande, appenahora conserva la chiesa metropolitana perla celebratione delle fontioni arciepiscopali,essendo nel resto desolata. Gl’abitanti sonpochi […] La chiesa è assai bella, ove sonole sepolture degli antichi Signori Gesualdiconti di Consa […] Il territorio è grande ebello a meraviglia, ma per carestia d’huo-mini e bovi non è coltivato».

I nuovi feudatari e il terremoto del 1694.

Nel 1613, con la morte degli ultimi duediscendenti maschi, la famiglia Gesualdo siestinse. I feudi furono acquistati da Nicolò

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EMILIO RICCIARDI

CONZA IN ETÀ MODERNAI - DAL 1464 AL 1694

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Ludovisi, principe di Piombino e marito diIsabella Gesualdo, ultima erede della grandecasa, morta nel 1629. Il principe Ludovisilasciò erede il figlio Giovan Battista cheperò, caricatosi di debiti, fu costretto a ven-dere gran parte del proprio patrimonio.

Alla fine del Seicento, nel giro di pochianni, la famiglia Mirelli acquistò da GiovanBattista Ludovisi, per 45.200 ducati, alcunifeudi che, secondo una perizia del 1635, va-levano oltre 100.000 ducati. In particolare laterra di Calitri era stata valutata 68.166 du-cati, Teora 13.715:2:10 ducati, Conza13.761:2:16 e le giurisdizioni di S. Andrea eSantomenna 4.420 ducati 8. Le trattative dicompravendita furono lunghe e laborioseper la diffidenza che il principe Ludovisinutriva verso i nuovi acquirenti, diffidenzaalimentata dagli arcivescovi di Conza, inconflitto di interessi con la famiglia Mirelliper la giurisdizione criminale dei casali di S.Andrea e Santomenna. Venditore e compra-tore ricorsero all’opera di architetti, notai etavolari per stimare con esattezza il valoredelle loro proprietà e solo dopo numerosiprocessi si giunse a un accordo definitivo.

A complicare le cose, costringendo gliinteressati a rifare molte perizie, intervenne-ro i terremoti che si successero alla fine delsecolo, tra il 1688 e il 1694. Quest’ultimo inparticolare ebbe effetti disastrosi nei piccolicentri dell’Alta Irpinia; ecco come lo rac-conta un cronista del tempo: «La diocese diConzo ha patito notabilmente, potendosidire, senza esageratione, che quel monsignorarcivescovo Caraccioli sia divenuto pastoresenza ovile, per esser rimaste la maggior par-te delle sue terre a lui sottoposte distrutte daquesta disgratia […] Conza può dirsi che piùnon vi è, e la sua chiesa maggiore di S. Gi-berto non si conosce ove era»9. Tuttavia, se-condo Lorenzo Giustiniani, nonostante le in-genti distruzioni, nella città di Conza il ter-remoto avrebbe fatto poche vittime, causan-do la morte di soli 30. cittadini10.

Nel 1696 Giovan Battista Ludovisi chie-se al Sacro Regio Consiglio una consistenteriduzione delle tasse da pagare sulle due cittàdi Conza e Venosa, che a causa del terremo-to non fornivano più alcuna rendita e dellequali era già stato costretto ad alienare la«tenuta» a favore del duca di Lavello; il prin-cipe sperava di ricavare in questo modo al-meno i soldi necessari per riparare il castellodi Venosa, «di gran magnificenza», e di su-perare col tempo le difficoltà finanziarie. In-vece pochi mesi dopo anche Conza divenneproprietà di Francesco Maria Mirelli, chel’acquistò dai creditori del principe Ludovisi,ma «all’atto della possessione di detta tenutadi Conza li sindico, eletti e cittadini di quellaprotestorno, ch’essi haveano dato il possessoal detto signor Duca [di Lavello], e l’accet-tavano per padrone, con condittione però che

detta città non la potesse né dovesse cederead altri, altrimenti non avrebbero consentiti adare detto possesso»11.

Gli abitanti di Conza non amavano lafamiglia Mirelli: Donatantonio Castellano,nella Cronica conzana, un manoscritto ter-minato nel 1691, aveva descritto il vecchioFrancesco Mirelli come «un uomo di bas-sissimi natali», il quale «nella dilapidationeche fe’ anni sono Giovanni Battista de Lu-dovisio si comprò per un tozzo di pane mol-te terre, fra le quali Calitri […] Teora […]Paternò e le giurisdizioni criminali di questeterre di S. Menna e S. Andrea con diversefrodi ed inganno […] e tuttavia va trattandocomprare Conza, però essendo questo de-naro acquistato malamente, e forse con usu-re e inganni, si verificherà quel detto dellascrittura: non gaudebit tertius heres»12. Laprofezia colse nel segno, poiché tre anni piùtardi Francesco Mirelli perì, insieme con lamaggior parte della sua famiglia, travoltonel crollo del castello di Calitri13; alla finecomunque, nonostante l’opposizione deiconzani, Francesco Maria Mirelli, figlio diCarlo e nipote del vecchio Francesco, di-venne proprietario della città.

Conza dopo il terremoto.

Nel febbraio 1696 il Sacro Regio Consi-glio inviò a Conza il primario14 Antonio Ca-racciolo affinché provvedesse a un’esatta va-lutazione del feudo, dei danni che aveva su-bito in seguito al terremoto e delle renditeche poteva ancora fornire. Una copia dellarelazione è conservata nell’Archivio di Statodi Napoli, ed offre preziose informazioni suConza all’indomani del terremoto15. Si puòconfrontare questa testimonianza con alcunefonti dello stesso periodo, come la secondaedizione dell’Italia sacra16 di FerdinandoUghelli (1595-1670), edita nel 1720; la Cro-nica conzana, scritta tre anni prima del ter-remoto da Donatantonio Castellano, vicariodegli arcivescovi Paolo Caravita (1673-1681)e Gaetano Caracciolo (1682-1709); infine lerelazioni ad limina dell’arcivescovo ScipioneGesualdo (1587-1608), pubblicate di recenteda Nicola Di Guglielmo17.

La descrizione della città, nella qualeCaracciolo si trattenne per più giorni, è mol-to accurata: il piccolo centro, esposto aoriente e a mezzogiorno, era racchiuso daantiche mura, con le case, costruite in pietraviva e coperte a tetto, raggruppate l’una sul-l’altra intorno ai resti del castello; la vici-nanza del fiume e la gran quantità di caseabbandonate e diroccate rendevano l’ariaumida e malsana. L’amministrazione citta-dina era affidata a un sindaco affiancato dadue eletti, la cui nomina doveva ottenere ilgradimento del principe.

La cattedrale, «fatta con buon disegnod’architettura a 3 navi» e intitolata alla Ver-gine Assunta, era stata costruita prima del1344 nell’area occupata in età romana dalforo della città e più volte atterrata e rico-struita in occasione dei terremoti. All’epocadell’arcivescovo Fabrizio Campana, tra il1653 e il 1667, furono riparati i danni delterremoto del 1627 e nel 1680 fu rifatto ilcampanile, usando le pietre dell’antica pa-vimentazione romana. Alla fine del Seicentol’archidiocesi aveva sei sedi suffraganee(Muro Lucano, Lacedonia, S. Angelo deiLombardi, Bisaccia, Monteverde e Satria-no) e racchiudeva venticinque terre apparte-nenti alle province di Principato Ultra, Prin-cipato Citra e Basilicata. La cattedrale eraofficiata dal capitolo, composto originaria-mente da una trentina di canonici «con moz-zetto violato sopra la cotta»; ai tempi del-l’arcivescovo Alfonso Gesualdo (1563-1572) il capitolo fu ridotto a dodici canonicicon quattro dignità (arcidiacono, cantore,arciprete e primicerio), per dividere trameno persone le misere entrate dell’ufficio.A causa del clima malsano, gli arcivescoviabitualmente non risiedevano a Conza, ben-sì a Santomenna (d’inverno, per il clima piùmite) o a S. Andrea (d’estate, per il climapiù fresco); in ognuno di questi due casali,sui quali la curia esercitava la giurisdizione,sorgeva un palazzo arcivescovile. Nel mesedi febbraio 1696, quando il tavolario Carac-ciolo visitò Conza, l’arcivescovo risiedeva aSantomenna, nell’episcopio ristrutturato dalsuo predecessore mons. Caravita.

Il terremoto del 1694 aveva lasciato inpiedi solo il coro con il sepolcro di S. Er-berto, arcivescovo e protettore della città, ealcune cappelle. La cappella gentilizia deiGesualdo, conti di Conza, che ospitava unaltare privilegiato e i preziosi sepolcri mar-morei di Costanza di Capua (m. 1484), delfiglio Luigi III (m. 1524)18 e di altri compo-nenti della famiglia, era stata scoperchiata;parte dei marmi che decoravano i sepolcri ela cappella furono impiegati per ricostruirel’altare maggiore e quello, dedicato a S. Ma-ria di Loreto, della famiglia Mirelli, i nuoviproprietari della città. La cattedrale fu rico-struita a spese dell’arcivescovo card. Gaeta-no Caracciolo (1682-1709) e, dopo il terre-moto del 1732, nuovamente rifatta dal card.Giuseppe Nicolaj (1731-1758)19. La renditadel capitolo nel 1696 ascendeva a 220 duca-ti, la rendita complessiva dell’archidiocesi a4000 ducati 20.

La relazione di Caracciolo conferma laraffigurazione di Conza dopo il terremotopubblicata da Giovan Battista Pacichelli 21 etraccia il ritratto di una comunità povera eduramente provata dal sisma. La città conta-va 36 fuochi (circa 250 persone) contro i 70censiti pochi anni prima, nel 1672 22; la ren-

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dita complessiva era ridotta a meno di 300ducati annui. La maggior parte delle caseera stata distrutta, e i pochi abitanti rimasti,poveramente vestiti e di «mediocre com-plessione» a causa dell’aria malsana e delladieta povera, vivevano sotto «pagliari coper-ti d’imbrici»23. Il capitolo era ridotto a cinquecanonici in tutto, con due dignità (cantore eprimicerio), e nessuno aveva richiesto di su-bentrare ai canonici morti; non vi erano altrisacerdoti in città. Nella relazione non è cita-to il conventino domenicano di S. Maria del-la Pietà, abitato alla fine del Cinquecento daun solo frate con due oblati 24, e nemmeno ilSeminario, di cui invece parla Ughelli 25.Nessuna menzione nemmeno dei «molti luo-chi pij, come son Monti di pietà, Hospitali, etcompagnie, sotto varie invocationi, per ma-ritagi, sostintamento di poveri, et per altreopere di carità», citati nelle relazioni ad li-mina dell’arcivescovo Scipione Gesualdo 26 ericordati anche nel settecentesco dizionariodi Francesco Sacco27.

Appendice documentaria.

1Vera e distinta relatione dello spaventoso efunesto terremoto accaduto in Napoli eparte del suo regno il giorno di 8 settembre1694 (…) et in particolare nelle tre Pro-vincie di Principato Ultra, Citra e Basili-cata..., Napoli - Roma 1694, pp. 3 e 4.

È un volumetto di poche pagine conservatonella Biblioteca Nazionale di Napoli. Perl’interesse dell’argomento e la vivacità del-la descrizione si trascrivono qui di seguito ibrani su Calitri, Conza e alcuni paesi circo-stanti.

[…] La diocese di Conzo ha patito notabil-mente, potendosi dire, senza esageratione,che quel monsignor arcivescovo Caracciolisia divenuto pastore senza ovile, per esser ri-maste la maggior parte delle sue terre a luisottoposte distrutte da questa disgratia, esono le seguenti, cioè, Calitri vi sono morte1200. persone, essendo tutta diruta con leChiese, Monasterij e Case. Il Castello didetta Terra stava situato sopra un montetomolto grande, a modo di Fortezza, con pon-ti, quale s’aprì da una parte, e precipitò so-pra della Terra, che li stava di sotto […] Nelsudetto Castello nelli due Cortili si sono fat-te due aperture grandissime molto larghe, eprofonde, che rendono gran stupore. In Pe-sco Pagano son rimase tutte le Case distrut-te con morte di circa 200. habitanti. In S.Andrea sono tutti rovinati gl’Edificij, essen-dosi perite 50. persone. Castel Nuovo diConza hà patito nelle fabriche, con mortedi qualche habitante. Teora dell’istesso Mar-

chese è distrutta con la morte di 400. perso-ne, e la sua stupenda Montagna con estremamaraviglia si è aperta per lunghezza di 10.miglia sul dorso, essendo ampia l’aperturadi più braccia, quale si và chiudendo a pocoa poco, evidente contrasegno, ch’ivi anchestia in moto la Terra. Conza può dirsi chepiù non vi è, e la sua chiesa maggiore di S.Giberto non si conosce ove era. S. Mennahà perduto 300. persone in circa, essendocaduti la metà dell’Edificij, havendosi dettoArcivescovo perso in detta terra il suo Pa-lazzo Arcivescovale, e la chiesa di S. Gaeta-no da lui nuovamente edificata. Cairano, eCaposele hanno avuto l’istessa sorte delleprime, e le restanti terre del medemo Arci-vescovato hanno patito la loro portione deldanno, alquanto però più unite dell’altre. Ipoveri delle accennate Terre rimasti illesidal Terremoto sono degni di compassionemaggiore dell’altri rimasti estinti, già che lepoche Vettovaglie, che havevano essi rac-colto per loro sostentamento, essendo rima-ste seppellite sotto delle Pietre, non hannocome vivere, e quel che peggio avvicinan-dosi l’Inverno si vedon costretti ad habitarenelle Campagne allo scoverto. Leuni rendemolta compassione, essendo dell’intutto di-strutta, non vi essendo rimasto in piedi cheuna sola Taverna. […]

2Per una migliore lettura dei documenti sonostate sciolte le abbreviazioni e sono statimodernizzati l’uso delle maiuscole e la pun-teggiatura.

Archivio di Stato di Napoli, Archivio Ca-racciolo di Torella, vol. 71, n. 9.Apprezzo della città di Conza fatto dal pri-mario sig. Don Antonio Caracciolo.- Dupli-catoAl regio consigliero signor Don Pietr’Anto-nio Ciavarri delegato per Sua Maestà del-l’illustre principe di Piombino e Venosa.

Per parte dell’illustre principe di Venosa educa di Lavello essendosi dato memoriale alRe nostro Signore – Dio guardi – per quellosi asserì dal detto ill. principe, come si ritro-vano le sue città di Venosa e di Conza damolti anni sequestrate ad istanza de suoicreditori, senza né meno utile di essi credi-tori; poiché rendendo ambidue annui ducatiduemila in circa particolarmente per esserdistrutta detta città di Conza dal terremotoseguito a 8 settembre 1694, se ne deduconoducati settecentoventicinque in circa di pesiannuali, altri 600 per mantenere l’ammini-stratore e delegatione ed altre spese, in ma-niera che né esso ill. principe, né li suoi cre-ditori ne ricevono utile, anzi avanza ogn’an-no il debito per non sodisfarsi l’annualità, népuol finirsi di reparare il castello di Venosa

di gran magnificenza, per lo che ha stimatoesso principe utile ed espediente per prove-dere a tanti danni d’assignare la tenuta didette due città. Onde ha trattato col duca diLavello per detta causa, con pagare ducati42mila vincolati per pagarnosi cioè ducati34mila al Sacro Monte della Misericordia diquesta città […] e colli restanti ducati 8000sodisfare l’attrasso che si deve delli suddet-ti pesi ed altro, e finire di reparare il dettocastello di Venosa, e con quello che avan-zarà possa esso Principe in qualche partesovvenire nelli suoi gran bisogni […] in datade 4 del passato mese di febraro 1696 […]onde eseguire quanto da V.S. è stato ordina-to, precedente mia requisitoria in scriptisalle parti, mi sono personalmente conferitonella detta città di Conza, coll’assistenza delmagnifico D. Giovanni Pisadeci ammini-stratore, ed esattore generale del stato di Ve-nosa, cossì ordinato da V.S. a mia istanza, invirtù di decreto interposto a 8 di detto mesedi febraro;Quale città di Conza si ritrova sita, e postanella provincia di Principato Ultra distantemiglia 20 dalla città di Montefusco, doverisiede la Regia Audienza Provinciale, daquesta città di Napoli miglia 50; ripiglian-dosi la strada dell’Atripalda, dalla Città diSalerno miglia 30; da Gesualdo miglia 16;da Calitri miglia 6; da Caposele miglia 6; daTeora miglia 4; da Cairano miglia 2; e daSanto Andrea miglia 2; si và in essa conbuone strade a cavallo, ed à piedi, e d’inver-no fangose, e brecciose, ed è posta soprauna collina circondata da antiche, e rovinatemura, e stà al Mezzogiorno, et all’Oriente,dividesi la città predetta con più strade com-mode, ed incommode, piane, e penninose,però è tutta aperta, e l’habitationi sono po-chissime in piano, e detto ordino di fabricadi pietre vive, coverte a tetti, e tutte l’altrehabitationi sono dirute, et inhabitabili, e conle mura perte per causa delli gran terremoti,e precise dell’ultimo successo a 8 settembre1694, che l’hà a fatto distrutta, e l’ha resoquasi inhabitata, ed’alcuni cittadini habitanofuori dell’habitato, sotto pagliari copertid’imbrici; scuopronsi in detta città alcunepoco miglia di campagne montuose, che listanno all’intorno, li suoi territorij sono bo-scosi, piani, e seminatorij abbondanti di cac-cia di pelo, e di penne, e sono li territorijpredetti fertili, ma perché vi sono poco gen-ti, si fà poca quantità di grano, vino, e legu-mi, solo bastante per loro, et alle volte l’a-vanzano, e se ne provedono li convicini,sono li territorij predetti abbondanti d’ac-que, ma distanti dalla città, la quale tienesolamente una fontana di acqua salimastra,attaccata alla muraglia, e stendono li suoiterritorij da Levante a Ponente miglia quat-tro e mezzo in circa, e da Mezzogiorno aSettentrione altre miglia quattro e mezzo.

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Confinano li territorij di detta città con quel-li di Santo Andrea, Castel nuovo, Teora, An-dretta e Cairano, e dicono che prima ancheconfinavano con il territorio di Morra; ven-gono bagnati alla parte d’Oriente e Mezzo-giorno dal fiume Ofanto, la città è di medio-cre aere per essere circuita da molte habita-tioni dirute e dishabitate, e si mantengono inessa li cittadini di mediocre complessione. La predetta città non è popolata, ma vivonopoche persone, come si è detto di sopra, nonascendendo più che a fuochi 36, constatateall’ultima numeratione, e fa anime n.° 250in circa.Sono di mediocre aspetto cossì gl’huominicome le donne, e vivono parcamente di carned’aini, e qualche volta di castrato, di grano,vino, e vettovaglie si è detto di sopra, e d’o-glio, ed’ogn’altra cosa a loro necessario, tan-to per il comestibile, quanto per il vestire, sene provedono per le terre convicine, e fiere.Di persone civili vi è un dottor di legge conun suo fratello, e non vi sono medici, néspetiarie, né barbieri, né botteghe lorde, néboccerie, vi è si bene una mammana.Vestono al generale poveramente con grossi,e rozzi panni, e solo il dottor di legge con ilfratello, vestono mediocremente, et alcunidelli cittadini di panno di cerrito, e di lanerozze, che si fanno nelle loro case.Dormono in generale sopra pagliaricci,ed’alcuni pochi con matarazzi di lana, e conqualche poca commodità in casa, non visono persone facoltose, e solo il dottore dilegge con il fratello hanno qualche poca fa-coltà, del rimanente sono tutti poveri brac-ciali, che si procacciano il vitto alla giornatacolla zappa ed’altri esercizij foresi con l’ag-giuto delle loro donne, e quelle che riman-gono in casa si esercitano in filare, cucire,tessere ed’in altri esercitij.In detta città vivono da 600 pecore, 7 giu-mente, 10 somarri, e da 150 bovi e bacchecon figliuoli. Governasi la città predetta da un sindaco, edue eletti, l’elettione de quali si fa per que-sto Parlamento, nominando due sindici, equattro eletti, e poi il P< > confirma unsindaco e due eletti delli nominati.Tiene la città predetta da ducati 300 in circad’introito ogn’anno, che provengono dallicarlini quarantanove a fuoco, dal boscochiamato della Pescara, bonatenenza ed al-tri, e tiene d’esito quasi l’istessa summa,alla Regia Corte, fiscali, istromentari, speseordinarie, et straordinarie; ed’annui D. 20al padrone.Nella sommità di detta città vi era antica-mente il castello, che dalli suoi vestigij parche sia stato grande e ben fatto, al presente èdiruto, e non vi è rimasto altro che alcunepoco mura all’erta.È tenuta la città sudetta a fare due soldati apiedi per il Battaglione.

Circa il Spirituale

Detta città è decorata del titolo d’arcivesco-vo metropolitano, e tiene sotto di sé settevescovi suffraganei, il qual arcivescovo tienela giurisdittione civile, mista, delle terre di S.Menna, e S. Andrea, ed è signore del feudorustico detto di Palo rotondo in giurisdittio-ne del stato di Melfi, e tiene d’entrata dettoarcivescovo annui ducati 4000 in circa.Dentro detta città vi è la chiesa arcivescova-le, sotto titolo di Nostra Signora dell’As-sunta, ch’era fatta con buon disegno d’ar-chitettura a 3 navi, e con molte cappelle dal-l’una, e l’altra parte, però al presente è tuttadiruta, e disfatta dall’ultimo terremoto su-detto, successo a 8 settembre 1694, e sola-mente è restato in piedi il coro, dietro l’alta-re maggiore con il tumolo, dentro il qualesta il corpo di s.to Erberto, coll’altare sottodetto tumolo, nel quale si celebra, et è rima-sta anco in piedi una cappella di ius padro-nato dell’antichi principi Gesualdi, conti diConza dentro la quale vi sono due tumoli dimarmo fino con grande architettura, e constatue, dentro li quali stando riposti li cada-veri delli predetti conti di Conza Fabritio, etaltri di Gesualdo, e di Costanza di Capua,della quale cappella per la scossa del dettoultimo terremoto se n’è caduta la sua lamiacon una partita di muro, ed’al presente è ri-masta scoverta, che per la magnificenza didetta cappella si doveria coprire, e ripararneil muro, cossì per l’antichità di essa, comeper conservare l’altare privilegiato, ch’è indetta cappella, sotto il titolo di Santa Mariadella Gratia, nel qual altare si celebrano dal-li reverendi canonici di detta chiesa arcive-scovale due messe cantate la settimana, edue lette coll’elemosina di D. 90 l’anno, chesi pagano dal padrone di detta città, e dettemesse si celebrano per l’anime del quon-dam Fabritio, Luise, ed Antonio Gesualdoconte di Conza, che per esser scoperta ladetta cappella si celebrano dette messe tra-sferite dall’ordinario nel detto altare di s.toErberto. Nella detta chiesa arcivescovale visono molte reliquie colla sua sfera, pisside, emolti calici con patene d’argento, e diversi,e molti altri ornamenti di qualche valore.Il detto arcivescovo risiede nella terra di S.Menna della sua diocese.Viene servita, ed officiata la detta chiesadalli suoi canonici con mozzetto violato so-pra la cotta, quali canonici per prima eranoal n.° di 12, e frà essi quattro costituiti in di-gnità, cioè archidiacono, cantore, arciprete, eprimocerio, al presente non vi sono più dicinque canonici, tra li quali due dignità, cioècantore, e primocerio, atteso gl’altri sonomorti nel mese del sommo Pontefice, e nes-suno se l’ha procurato per esser di poco frut-to, e non vi è che un altro sacerdote in dettaCittà, ma bensì vi sono 4 clerici, ed un cur-

sore, e detti canonici tengono di rendita an-nui D. 220 in circa fra tutti.Sieguono li corpi baronali, quali sono tuttifeudali, cioè:La montagna detta di Conza con il suo her-baggio, e stratonico -Il molino in atto macinante, con sua casettae tutte comodità -Il compasso de grani, ed’orgio nelli territorijreddititij al barone -La stratonica de legumi -La mastro d’attia - La mastro bagliva - Et annui d. 20 che rende l’Università pre-detta per la portolania, ed altro - La rendita delli sudetti sette corpi feudaliper l’affitti delli tre anni antecedenti fu di D.263 l’anno, e per l’anni correnti di D. 300annui com’appare dall’istromento d’affitti,franchi d’ogni spesa al barone.Quali sei anni importano D. 1689, che coa-cerbati importano ogn’anno d. 281 16 2/3Dalli quali se ne deducono adoha a diversiparticolari annui d. 57.4.6Restano di netto annui ducati ducentoventi-tre 1.10.2/3223. 1. 10. 2/3Ed essendosi da me considerata la qualità didetta città la quale si ritrova distrutta e conpoco numero di vassalli, havuto anco miraalla loro qualità e povertà, e che la giuri-sdittione civile, criminale e mista in dettacittà con le prime e seconde cause si ritrovaalienata, com’anco havuto mira che la cittàpredetta s’aliena per la tenuta tantum, con ilpatto de retrovendendo perpetuo, doppoelassi dieci anni, e non a tutta passata; ha-vuto anco mira che in detta città non vi è ha-bitatione del barone, ed’havuto anco miraalla dispositione del presente tempo, ed atutto quello che de iure si deve vedere e con-siderare, apprezzo dette annue entrate e feu-dali alla raggione di quattro per cento fran-che e libere, eccetto però dal peso dell’a-doha d’annui D. 57.4.6. dedotti come di so-pra […] importa il suo capitale, prezzo evalore D. cinquemilacinquecentoottantadue.3. 6. 2/3 5582. 3. 6. 2/3 E perché dall’antichi conti di Conza fu fattolegato d’annui D. 90 al reverendo capitolo ecanonici della catedrale di detta città di Con-za per la celebratione di messe due cantate,e due lette ogni settimana nella cappella del-li detti conti di Conza construtta in dettachiesa metropolitana, ut supra descritta, perla sentenza definitiva del Sacro Regio Con-siglio, sotto li 27 maggio dell’anno 1591,fu condannato l’illustre principe di Venosa,come conte di Conza a dovere quelli corri-spondere ogn’anno a beneficio del detto re-verendo capitolo e canonici […] parendo aV.S. doversi continuare detto pagamento so-pra delle entrade di detta città come creditoantico, et ad piam causam, con occasione

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dell’alienatione della detta città, e darne ilpeso della d.a annualità al nuovo comprato-re […] importa il suo capitale D. milledue-centoottantacinque 3. 11. 3/5 quali dedottida detti D. 5582. 3. 6. 2/3 capitale, prezzo evalore di detta città, resta di netto il suo va-lore D. quattromiladucentonovantasei 4. 15.5/21 […] dico D. 4296. 4. 15. 5/21.E questo è quanto posso, e devo riferirle, aV.S., al di cui savio, e prudente giuditio ri-mettendomi li bacio le mani Napoli 6 marzo1696-

Antonio Caracciolo

NOTE

1 Su Conza della Campania cfr.: Curia Arcivesco-vile di S. Angelo dei Lombardi, ms. del 1691, D.A.CASTELLANO, Cronica conzana, parzialmente pubbli-cata in G. CHIUSANO, La Cronista conzana, Conza del-la Campania 1983; F. UGHELLI, Italia sacra, II ediz.,VI, Venezia 1720; F. SACCO, Dizionario geografico-istorico-fisico del regno di Napoli, I, Napoli 1795; F.P.LAVIANO, La vecchia Conza e il castello di Pescopaga-no, Trani 1924; V. ACOCELLA, Storia di Conza (I) - Ilgastaldato e la contea fino alla caduta della monarchiasveva, estratto dagli «Atti della Società Storica del San-nio», Benevento 1927 - 1928; G. GARGANO, Ricerchestoriche su Conza antica, Avellino 1934; V. ACOCELLA,Storia di Conza (II) - La contea dalla dominazione an-gioina al Vicereame, estratto da «Samnium» 1942,1945, 1946, poi in volume, Napoli 1946; G. CHIUSANO,Memorie conzane, Lioni 1969; A. CESTARO, Le diocesidi Conza e Campagna nell’età della Restaurazione,Roma 1971; G. FELICI, Il principato di Venosa e lacontea di Conza dai Gesualdo ai Boncompagni Ludo-visi, a cura di A. CAPANO, Venosa 1992; E. RICCIARDI,Conza in Campania dopo il terremoto del 1694, in «IBeni Culturali. Tutela e valorizzazione», 1/1997, pp.16-18. Interessante e ben fatto è il saggio di G. FRA-TIANNI intitolato La cattedrale di Conza. Note archeo-

logiche e architettoniche, del quale però, avendolo ri-cevuto in fotocopia, ignoro il titolo e l’anno della rivistanella quale è pubblicato.

2 F. SACCO, Dizionario geografico-istorico-politi-co, cit, I, pp. 346.

3 Napoli, Archivio di Stato, Relevi, vol. 322, f. 59[1494]

4 Ivi5 «Mandavimus reintegrari, et restitui spectabili

Ludovico de Gisualdo Comiti Consie Civitatem Consiecum titulo, et honore Comitatus Terram, et fortelliciumCalitri, Terras Cayrani, Sancti Andree, S. Mennai, et Li-gorii, et Civitatem Fricenti et eum baronia videlicetGisualdi cum fortellicio, Terram Paterni, Terram Fon-tanerose, et Feudum Castiglioni inhabitatum de Pro-vincia Principatus Ultra…» (Napoli, Archivio di Stato,Archivio Caracciolo di Torella, vol. 84, fasc. 6 [1507],atto di notar Altobello di Montefredane allegato all’i-strumento in pergamena del ligio omaggio prestato daLuigi Gesualdo al re).

6 Cfr. N. CORTESE, Feudi e feudatari della primametà del Cinquecento, I, Napoli 1931, pp. 15-16.

7 Nell’Archivio di Stato di Napoli, fondo Relevi,voll. 316 e 322, si conservano numerosi bilanci del feu-do di Conza tra il 1464 e il 1590. Nel vol. 316 vanno se-gnalati anche, da f. 759, alcuni libri del compasso diConza riferiti agli anni intorno al 1585; uno dei volu-metti del compasso è rilegato in un foglio di pergamenaminiata. Nei compassi sono riportati i nomi di molticittadini di Conza e dei paesi vicini, e diversi toponimicome, ad esempio, Canalicchio, Cocomella, la pretade Pierro, la fontana de Balerio, lo Travagliuso, le costede lo ceraso, lo legnito de Rizzardo, l’isca de la chiusa,l’isca de lo molino, Piscarello, la fontana de li Fiori, lovallone de Cesterna, Santo Ianni. Inoltre il compassodel 1583-84 (f. 759), cita il conventino domenicano di S.Maria della Pietà, a quella data ancora esistente.

8 Napoli, Archivio di Stato, Archivio Caracciolo diTorella, vol. 222.

9 Vera e distinta relatione dello spaventoso e fu-nesto terremoto accaduto in Napoli e parte del suo re-gno il giorno di 8 settembre 1694 (…) et in particolarenelle tre Provincie di Principato Ultra, Citra e Basili-cata..., Napoli - Roma 1694, pp. 4 e 5.

10 L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico- ragio-

nato del Regno di Napoli, IV, Napoli 1802, p. 122.11 Napoli, Archivio di Stato, Notai del XVII seco-

lo, scheda 508, prot. 26, f. 396.12 Curia arcivescovile di S. Angelo dei Lombardi,

ms. del 1691: D.A.CASTELLANO, Cronica conzana, cit.,libro II, discorso I.

13 Cfr. Vera e distinta relatione..., cit., p. 5.14 Era detto primario il più auterovole tra i tavo-

lari, professionisti incaricati di redigere perizie, rela-zioni e piante di beni immobili, che dipendevano dalSacro Regio Consiglio.

15 Napoli, Archivio di Stato, Archivio Caracciolodi Torella, vol. 71, n. 9, riportato in Appendice, doc. 2.

16 Cfr. F. UGHELLI, Italia sacra, II ediz., VI, Vene-zia 1720, coll. 797 ss.

17 Cfr. N. DI GUGLIELMO, L’archidiocesi di Conzaalla fine del XVI secolo nelle “Relazioni ad limina”dell’arcivescovo Scipione Gesualdo, in «Rassegna Sto-rica Irpina», 7 - 10 (1995/II), pp. 457 - 477.

18 Caracciolo afferma erroneamente che il sepolcroera di Fabrizio Gesualdo, e nella seconda edizione diUghelli compare lo stesso errore. È possibile che larelazione di Caracciolo fosse una delle fonti utilizzateper aggiornare l’Italia sacra, dato che in molte parti idue scritti sono sovrapponibili. Il testo dell’epigrafetombale è riportato in G. GARGANO, Notizie storiche,cit. p. 118.

19 Cfr. F. UGHELLI, Italia sacra, cit., VI, col. 801.20 Appendice, doc. 1.21 Cfr. G.B. PACICHELLI, Il regno di Napoli in pro-

spettiva [1702], I, Bologna 1975, pp. 304 ss. 22 Cfr. N. DI GUGLIELMO, L’archidiocesi di Conza,

cit., p. 461 n. 12. Caracciolo calcola sette persone perogni fuoco.

23 Appendice, doc. 2.24 Il convento domenicano di Conza già prima del

1650 non viene più citato negli elenchi della ProvinciaRegni dell’ordine. Cfr. G. CIOFFARI - M. MIELE, Storiadei domenicani nell’Italia meridionale, II, Napoli-Bari1993, p. 338.

25 Cfr. F. Ughelli, Italia sacra, cit., VI, col. 802.26 Cfr. N. Di Guglielmo, L’archidiocesi di Conza,

cit., p. 464.27 Cfr. F. Sacco, Dizionario, cit., I, pp. 345-347.

N. 11 n. s. - Maggio-Agosto 1999 IL CALITRANO

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Nella stupenda e maestosa cornice delPalamaggiò di Castel Morrone alle

porte della città di Caserta, il 17 aprileu.s. è avvenuta l’ordinazione episcopaledi mons. Pietro Farina, conferita da S.E.il cardinale Lucas Moreira Neves, Pre-fetto della Congregazione per i vescovi,con la partecipazione del cardinale Mi-chele Giordano e di ben ventidue vescovi,circa 200 sacerdoti, autorità civili e reli-giose, un coro di tutto rispetto, un punti-glioso servizio liturgico e la partecipa-zione di un foltissimo pubblico di fedeli

provenienti dalle diocesi di Caserta e diAlife-Caiazzo, sede del nuovo vescovo.

È stata una magnifica cerimonia re-ligiosa, dove aleggiava lo “Spirito” qua-le presenza sperimentale di Dio in mez-zo agli uomini e alla loro storia. Al neovescovo gli auguri di tutti, in particolaredei fedeli del suo gregge, perché insie-me sappiano rinnovarsi, cambiando ipropri modi di essere, di pensare, di agi-re, per una maggiore conformità al Van-gelo ed una risposta più piena all’amoredi Cristo.

Ordinazione Episcopaledi S.E. Mons. Pietro FARINA

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IL CALITRANO N. 11 n. s. - Maggio-Agosto 1999

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LA VITA E’ UN ECCOCI QUA

Per conto mio è proprio così: si pensa, si dice, si fa, si sale, si scende,si piange, si ride, si prega, si impreca, si benedice, si maledice, si litiga, sifa la pace, si grida, si ammutolisce, si corre, si torna indietro, poi, comedice il proverbio: “corri quanto vuoi che qui ti aspetto”. Eccoci qua : unavita piena di problemi, una volta per la povertà, adesso per il benessere.

Prima ci puzzavamo dalla fame, non avevamo di che vestirci, non ave-vamo una pezza per rattoppare i buchi dei vestiti, adesso il problema è un al-tro, cominciando dal mangiare; con tutto il ben di Dio che c’è non si sa maicosa cucinare, non si sa che mettere addosso quando ci si deve vestire,aprendo l’armadio; quando si compra qualche vestito nuovo od altro non c’èposto negli armadi, quelli che ci sono già non si vogliono buttare, pensandoche un giorno potrebbero servire; non si sa dove infilare tutti gli aggeggi esuppellettili, le credenze sono strapiene; se si deve spolverare viene la febbrea spostare tutte quelle cose.

Quando eravamo ragazze avevamo in casa uno specchietto appesosul muro con un chiodino per specchiarci, quando invece dovevamo ritor-nare dalla campagna ci pettinavamo con un pettine sdentata ( e sì, perchécon i capelli arruffati, appiccicosi, duri di sudore,polvere e terra, era mol-to facile rompere il pettine e difficile a comprarne uno nuovo) e ci spec-chiavamo nel pozzo o in un secchio con l’acqua. Ora abbiamo specchi dap-pertutto, agli armadi, attaccapanni, nei bagni, nei negozi quando si va a farela spesa, ovunque giri puoi specchiarti.

Una volta per potermi guardare se la cucitura delle calze velate eradritta, appoggiavo lo specchietto a terra in piedi ad un angolo della casa,adesso ovunque ci voltiamo possiamo specchiarci, renderci conto peròcome avanza la vecchiaia : i capelli cominciano ad imbiancare, la fronte asolcare, le guance se ne scendono e si raggrinziscono di rughe, gli occhiche certe volte vedono doppio; se ne scende la pelle del mento (pappa-gorgia) e della pancia, sono fatta come una botte, pari pari, più larga chealta; in gioventùnon potevamo specchiarci, alla vecchiaia possiamo farlo,il peggio è che giornalmente possiamo notare i difetti e cambiamentidella vecchiaia, ma macellarci non possiamo e come siamo ci dobbiamoaccettare.

Scusate se scrivo un po’ al singolare e un po’ al plurale, ma la parlaturacalitrana è così che deve andare. Una volta, quando una ragazza si doveva ma-ritare, la famiglia dello sposo guardava se era ben piazzata, se aveva i polsigrossi e forti per poter lavorare la terra; una magra, dicevano, se la porta via ilvento e non ha la forza di lavorare; adesso se una ragazza ha qualche chilo ditroppo si mette subito a dieta; questo succede perché ci sono tante cose buo-ne da mangiare e per giunta già pronte, una volta, invece, dovevamo andare ascavare cioire “ sprusc’n’ e ss’vun’”.

Eccoci qua, come è cambiata la vita! Quando eravamo ragazze dove-vamo andare in campagna, la sera al ritorno, se pure molto stanche dallafatica del giorno e del viaggio di ritorno la sera e dopo le faccende di casa,abbassavamo la luce (unica lampadina al centro della casa, di 5 watt comeuna lucciola, mentre ora fra tutte le lampadine che ci sono in casa sono1.500 watt e a volte accese come se dovessero le gatte, come si usa dire) eci mettevamo a ricamare il corredo fino a tarda notte, ma più volte erano

LA VITA EIA NU ECCUC’ QUA’

P’ cunt’ mij eia probbja accussì: s’ penza, s’ ric’, s’ fac’, s’acchiana,s’ scenn’, s’ chiang’, s’ rir’, s’ preha, s’ spreha, s’ bb’n’ric’, s’ mal’ric’,s’ sciarra, s’ fac’ pac’, s’allucqua s’ amm’pisc’, s’ fusc’, s’ torna nn’ret’,ma po’ cum’ s’ ric’: “fusc’quant’vuoj ca qua t’aspett’”. Eccuc’ qua :na vita chiena r’ problem’, na vota p’ la p’v’rtà, mo p’ lu benesser’.

Prima n’ p’zzavam’ r’ l’app’tit’, n’ nn’aviemm’ chè n’ mett’, n’ m’t-tiemm’ na pezza p’ r’p’zzà li har’, mo lu problema eia n’aut’ ac-cumm’nzann’ ra r’ mangià; cu tutt’ r’ bben’ r’ Ddij ch’ ng’eia n’ nz’sap’ che mett’ a ccoc’, n’ nz’ sap’ che mett’ ncuogghj quann’ n’ammavest’ aprenn’ l’armadij, quann’ s’accatta quacche v’stit’nuov’ o at’cos’, n’ng’eia post’ ndo l’armadij, quigghj chi ng’ so’ n’ nz’ vol’n’sc’ttà, p’nzann’ ca quacche ghiuorn’ p’tarrann’ serv’, n’ nz’ sap’ ndomett’ tanta sc’rt’mient’ nda r’ cr’stallier’ ca so’ tott’ chien’, si s’adda luàla polva t’ piglia la freva a sp’stà tutt’ quigghj aggegg’.

Quann’ hierm’ f’gliol’ t’niemm’ nu sp’cchialiegghj a casa appis’ alu mur’ cu na p’ntima a p’ n’amm’rà, quann’ po’ aviemma t’rnà ra for’n’all’sciavam’ li cap’ cu na p’tt’nessa senza rient’ ( e sì, p’cchè li ca-pigghj eran’ tutt’ ammarcat’, mp’zz’cus’, tuost’ r’ s’ror’, r’ polva eterra e p’ quess’ era fac’l’ a romp’ la p’tt’nessa e cchiù difficil’ accattàquegghia nova) e n’ mm’ravam’ nda lu puzz’ o nda lu s’cchiett’ cu l’ac-qua.

Mo’ t’nim’ sp’ cchial’ a tott’ part’ a l’armadij, a l’attaccapann’, ndoli bbagn’, nda li nehozzij quann’ sciam’ a fa la spesa; ndo t’aggir’ ggir’t’ puoj mm’rà. Na vota p’ m’ p’tè uardà nn’ret’ si la cus’tura r’ r’ cau-zett’ v’lat’ era dritta, app’sciava lu sp’cchialiegghj nterra mbietta a nuzinn’ r’ la cascia, mo’ ndo zonga n’ v’tam’ n’ p’tim’ mm’rà, ma n’ p’tim’renn’ cunt’ cum’avanza la v’cchiaia: (i capigghj accummenzan’ agghianch’scià, lu front’ cu li surch’, la facc’ s’ n’ scenn’ e accummenzaarr’chjpp’lià, l’uocchj quacche bbota, ra un’ n’ ver’n’ ruj, s’abbracala luvuccular’ e la fannoglia, so’ fatta quant’ nu v’ttacc’ sozza sozza, cchiùlarga ca auta; a la gg’v’ntù n’ n’ p’tiemm’ mm’rà iuorn’ p’ gghiuorn’ n’p’tim’ add’nà e bbrè tutt’ li r’fiett’ e tutt’ li cambiament’ r’ la v’cchiaia,ma la chianca n’ nn’ la p’tim’ fa e cum’ sim’ n’amma p’glià. Scusat’m’s’ scriv’ n’ poch’ a lu singolar’ e n’ poch’ a lu plural’, ma lu cal’tran’ eaccussì chi s’adda parlà.

Na vota, quann’ na f’gliola s’avja sp’sa, la famiglia r’ lu zit’ uar-dava s’ t’nia r’ ggaramegghj tost’ e si era ndr’m’ntata p’ p’tè fat’hà intr’e for’, una mahra s’ l’abb’lava lu vient’ n’ t’nia forza r’ zappa, mo’ sina f’gliola ten’ quacche chil’ cchiù assaj s’ mett’ a dieta; mo’ ng’ so’tanta cos’ bbon’ ra mangià, na vota aviemma scì a cc’corij, sprusc’n’ ess’vun’!

Eccuc’ qua : cum’ so’ cangiat’ li tiemb’! Quann’ hierm’ f’gliol’aviemma scì for’, quann’ la sera t’rnavam’ a Calitr’, stanch’ e spianat’ rala fatija r’ lu juorn’ e r’ lu viagg’ la sera e ropp’ fatt’ tutt’ li s’rvizzij, n’vasciavam’ la luc’ mmiezz’ a la casa, (la luc’ era ra cinch’ cannel’, pariana bottacatascia, quegghia era nda totta la casa, mo’ facenn’m’ lu cunt’nda tott’ r’ stanz’ e corridoj ng’ so’ 1500 cannel’, e tanta vot’ so’ tott’app’cciat’ cum’ avessana f’glià r’ ggatt’, cum’ s’ ric’)e n’ m’ttiemm’ a

DIALETTO E CULTURA POPOLARE

A CURA DI RAFFAELE SALVANTETRADUZIONE DI LUCIA FIERRAVANTI

A proposito dell’ultimo articolo pubblicato su questa rubrica, abbiamo – improvvidamente – tralasciato di dire che l’autore eral’ing. Emilio Cicoira, al quale chiediamo scusa per l’involontaria omissione.

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r’camà li pann’ fin’ a la sera a nott’, ma eran’ cchiù r’ bbot’ chi riemm’a capat’ ncimma lu c’rchiett’ ca li punt’ chi riemm’ cu l’ach’.

Li juorn’ chi chjvia o ndi viern’ sciemm’ a la mastra a p’ n’ mparàr’ taglià e cos’ li pann’; quann’ sciemm’ for’ a p’ la via faciemm’ la cau-zetta cu li fierr’ o la p’ntima cu lu fierr’ cuoll’; na f’gliola – r’cienn’ lamamma e l’attan’ – adda sapè fa tuitt’ cos’, r’ hintr’ e r’ for’, s’ no’ n’nz’ pot’ mmar’tà.. Mo’ basta avè lu portafogl’ a mandac’, s’ vaj nda nap’teja e s’ trova ra la a a la zeta senza fott’s’ r’ cc’lebbr’ e senza c’cars’l’uocchj. Na vota mmar’tat’ voz’m’ fat’hà – e fat’ham’ ancora –arr’varn’ li figl’, r’ bboz’m’ cresc’, mmannà a la scola, tr’và la fatiha,sp’sa; na mm’tà so’ sp’sat’, so’ nat’ li n’put’, so’ cr’sciut’, vann’ a lascola pur’ lor’, na parzion’ hann’ fatt’ la Cum’nion’ hanna fa la Cres’-ma, n’atu problema n’ nz’ sap’ a qual’ ristorant’ s’ vol’ scì, n’ nz’ sap’cchè accattà, pur’ a spenn’ li sold’, ca t’nim’ tutt’ cos’.

Quann’ fecim’ la Cun’nion’ e la Cres’ma ij e sorama, mamma n’v’stì a la megl’ manera e s’ n’ scì for’ a sciasc’tà la vigna e ss’ll’cà r’gran’; avja appr’f’ttà r’ lu bbontiemp’ ca si ch’via n’ p’tia fa nient’.Quant’ r’cuord’ e quant’ cunfruont’! Gira e rigira s’ torna a lu passat’ ea lu punt’ r’ partenza. Eccuc’ qua: sta vota probbia p’cchè s’ raj lacump’nazion’ r’ l’anniversarj r la partenza ra Calitr’ la prima votatant’ann’ nn’ret’, giust’ 36 ann’, cert’ ca n’eia passata acqua sotta lipont’ r’ l’Ofat’ e la F’cocchia! M’ vogl’ p’glià cappiegghj r’ mpaccia emm’ vogl’ fa v’nì a mment’ m’ment’ p’ m’ment’ cum’ passà quiggh’juorn’ e tutt’ lu riest’. A quigghj tiemp’ ng’ fu lu bumm’ r’ la m’hra-zion’ e tutt’ s’ n’ scienn’ ra Calitr’; quann’ l’aut’ partienn’, quann’ sp’-sa soramacucina e s’ n’ scì a lu Bbelg’ ij m’ s’ntia cchiù sf’rt’nata r’tutt’ quanta e p’nzava :” ij so’r’masta a r’t’lià zanch’e mm’nà mmoc-qua e a strasc’nà chiopp’p’ for’ ra la matina a la sera”.

M’ sp’saj l’ann’ appriess’ a gg’nnar’ e quacche mes’ ropp’ a lamm’tà r’ magg’ marit’maemihrà a la Svizzera; ij r’maniett’ a calitr’ afat’hà r’ terr’, la vigna, pur’ c’asp’ttava la criatura; igghj t’rnà a li cinch’r’ uttobr’, probbia lu juorn’ chi m’ nascì la criatura. R’mas’ a Calitr’ tutt’viern’ e viers’ li prim’ r’ marz’ l’ann’ appriess’ sta vota s’ n’ scì a Como afat’hà nda r’ f’rnac’; ij r’maniett’ a Calitr’ cu la criatura p’cc’nenna.

P’ la mm’tà r’abbril’ m’ scriss’ na lett’ra r’cenn’ ca avja acchiat’ lacasa, avja fatt’ già lu convenut’ p’ l’accattà e appena possibb’l’ n. v’niàa p’glià; ij n’ ng’ p’tia crer’! era arr’vata la partenza pur’ p’ me. Ac-cussì fu, a la fin’ r’abbril’ t’rnà, nd’c’pà lu cammij r’ lu Spaccon’,ropp’ quacche ghiuorn’ carr’carm’ la mobbilia e tott’ r’ cos’. Eran’ li 4r’ magg’ r’ lu 63, n’ m’ pozz’ mai scurdà quigghj juorn’; ier’m’ a lacasa r’ mamma nda lu “chian’ r’ Sant’ M’chel’” lu juorn’ ra nant’aviemm’ lassat’ la casa “ r’ C’p’gghin’” a lu pont’ r’ Sant’Antonij, ndovstiemm’ r’affitt’.

R’ bbalic’ eran’ pront’, mamma p’v’regghia totta nfarata a pr’-parà r’ ccos’ chi n’aviemma p’rtà p’ lu viagg’, n’ nsapia che nz’pp’g-ghià nda r’ bborz’ p’ nuj e p’ la criatura, “ figlia mia, avita affr’ntà nuviagg’accussì lluongh’, n’p’tit’ sapè quann’arr’vat’”. Na pr’gg’ssion’r’ gent’ chi scia e chi v’nia a salutà, ij n’ nsapia si ra retta a li cr’stian’ oa la criatura chi chiangìa mmiezz’ a quegghia cunf’sion’.

La criatura mangiava sul’ r’ ssavoiard’ cu r’ llatt’ e nda quigghj’ pe-riod’ n’ nz’ n’ p’tienn’ avè, quaccheun’ m’avia p’rmis’ ca avienna arr’và;lu ropp’ miezz’juorn’ lassaj a casa li cr’stian’ e agg’raj tott’ r’ p’tej eropp’ tant’ r’aviett’ a la p’teja ngimma a lu Vuccul’. Savv’c’nava l’ora rpart’, m’ s’ndija nu hrupp’ a lu cor’, a lu stommach’, nu nur’ nda li can-narun’, n’agg’tazion’ accussì fort’ chi n’ v’ r’ sacc’ ric’, sul’ chi eiasensibb’l’ cum’ me m’ pot’ capisc’ e cum’ fu brutta la prima partenza!

Era cuntenta ra na part’, cum’ m’ r’cienn’, ca cambiava vita, manda stu cor’ p’nzava “e chi r’ ssà” Suohr’ma, sohrama, cainat’, zian’custal’ stez’n a casa fin’ a l’ut’m’ prima r’ part’, anz’ v’nern’ pur ngim-ma cort’ accumpagnarn’ v’cin’ a lu postal’. Tutt’ quanta n’aurarn’bbona f’rtuna! Stat’v’ attient’ a la criatura! Mmannat’ a ddic’ cos’bbon’! scr’vit’n’ quacche cart’llina! N’ v’ scurdat’ r’ Calitr’! n’ vv’ scur-dat’ r’ nuj! E nda stu cor’ mij p’nzava “ e chi v’vol’ scurdà”.

(Continua sul prossimo numero)

più le testate sul telaio che davamo, dal sonno e dalla stanchezza, che ipunti con l’ago.

Nei giorni di pioggia o in inverno, andavamo alla mastra dalla sarta perimparare a tagliare e cucire. Durante il lungo viaggio da calitri alla campagnae viceversa, facevamo la calza coi ferri o il pizzo all’uncinetto. Una ragazza –dicevano i genitori – deve saper fare tutto della campagna e della casa, altri-menti non è femmina da maritare. Adesso basta avere il portafoglio pieno, siva in un negozio e si compra dalla a alla zeta senza accecarsi di giorno o dinotte e senza faticare. Una volta maritate, abbiamo dovuto lavorare – e lavo-riamo tuttora – sono arrivati i figli, li abbiamo cresciuti, mandati a scuola, tro-vato il lavoro e sposati; la metà sono sposati, sono nati i nipoti, sono cresciu-ti, vanno a scuola pure loro, alcuni hanno fatto la Comunione e devono fare laCresima; un altro problema ! non si sa a quale ristorante andare, anche a vo-ler spendere i soldi non si sa che comprare, visto che hanno tutto.

Quando facemmo la Comunione e la Cresima io e mia sorella, nostramadre ci vestì in qualche modo e se ne andò in campagna a zappettare lavigna ed altri lavori, perché bisognava approfittare del bel tempo, altrimenticon la pioggia non si poteva lavorare la terra. Quanti ricordi e quanti con-fronti ! Gira e rigira si ritorna al passato e al punto di partenza. Eccomiqua: questa volta proprio perché si da la combinazione dell’anniversariodella partenza da Calitri tanti anni addietro, certo che ne sarà passata acquasotto i ponti dell’Ofanto e della Ficocchia! Voglio cimentarmi e ricordarmimomento per momento come si svolse quel giorno e tutto il resto. A queitempi - come tutti sapete – ci fu il “ bum dell’emigrazione” e tutti se neandarono da Calitri; quando gli altri partivano, come quando si sposò miacugina e se ne andò in belgio, io mi sentivo più sfortunata di tutti e pensa-vo “ io sono rimasta a mangiare terra per pane, a strascinare scarponi in-fangati avanti e indietro per la campagna, dalla mattina alla sera” .

Mi sposai l’anno dopo a gennaio e qualche mese dopo esattamente ametà maggio, mio marito emigrò in Svizzera, io rimasi a Calitri a coltivare leterre, la vigna nonostante fossi in attesa di un figlio; lui ritornò il 5 ottobre pro-prio il giorno che avevo dato alla luce la bambina; rimase in paese tutto l’in-verno e verso i primi di marzo l’anno dopo emigrò – questa volta – a Como,a lavorare nelle fornaci, io rimasi a calitri con la bambina piccola. A metà apri-le scrisse una lettera dicendomi che aveva trovato la casa, aveva già fatto ilcompromesso per comprarla e appena possibile sarebbe venuto a prenderci.

Io non ci potevo credere ! era arrivata la partenza anche per me; cosìfu, a fine aprile tornò, anticipò il camion “dello Spaccone” dopo qualchegiorno caricammo la mobilia e tutte le cose. _ra il 4 maggio del 1963 nonpotrò mai dimenticare quel giorno; eravamo a casa di mia madre nel “Pia-no di San Michele”, datosi che il giorno prima avevamo lasciato la casa di“C’p’gghin’” al ponte di S. Antonio. Le valige erano pronte, mamma,poveretta, tutta affaccendata a preparare le cose che dovevamo portareper il viaggio, cercava di infilare il più possibile nelle borse per noi e per labambina, “figlia mia – diceva – dovrete affrontare un lungo viaggio, nonsapete quando arriverete”.

Una processione di gente, chi andava e chi veniva per salutarci; io nonsapevo se dar retta a loro o alla bambina che pianceva in quella confusione;la bambina mangiava soltanto i savoiardi col latte e in quel periodo non sene potevano avere, qualcuno mi promise che sarebbero arrivati in giornata,ma quel pomeriggio, lasciando tutte quelle persone a casa, feci il giro ditutte le botteghe e finalmente li trovai alla bottega sul Buccolo.

Si avvicinava l’ora della partenza, mi sentivo un groppo al cuore, allostomaco, un nodo alla gola, un’agitazione fortissima che non so’ descrivere,solo chi è sensibile come me, può comprendere e quanto fosse stata duraquella prima partenza! Ero contenta da una parte, come mi dicevano cheavrei cambiato vita, mentre in cuor mio pensavo “e chi lo sa”. Suoceri, co-gnati, zii di primo grado rimasero fino all’ultimo momento a casa, anzivennero pure in piazza ad accompagnarci al “postale”. Tutti ci auguraronobuona fortuna! Fate buon viaggio! Passatevela bene! Atate attenti alla bam-bina! Mandate a dire buone notizie! Scriveteci qualche cartolina! Non viscordate di calitri! Non vi scordate di noi! E in cuor mio pensavo “ e comepotrei dimenticarvi!”.

(Continua sul prossimo numero)

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MOVIMENTO DEMOGRAFICORubrica a cura di Anna Rosania

I dati, relativi al periodo dal 6 febbraio 1999 al 25 maggio 1999,sono stati rilevati presso l’Ufficio Anagrafe del Comune di Calitri.

NATI

Lucrezia Francesco di Michele e di Acocella Rosa 05.02.1999Fiordellisi Maria di Giovanni e di Di Roma Gerarda 10.02.1999De Nicola Mariangela di Vincenzo e di Margotta Lucia 10.02.1999Mazzucca Federica di Antonio e di Serafini Pasqua 02.03.1999Fierravanti Sara di Vincenzo e di Rosania Vincenza 02.03.1999Roberto Serena di Matino e di Di Milia Maria Teresa 06.03.1999Paolantonio Maria Grazia di Luigi e di Vallario Lucia 15.03.1999Di Napoli Valeria di Vincenzo Mario e di Zarrella Albina S. 17.03.1999Merola Andrea di Antonio e di De Salvo Adriana 23.03.1999Codella Chiara di Francesco e di Fierravanti Elisa 01.04.1999Lamanna Miriana di Gerardo e di Galgano Filomena 07.04.1999Zannato Luigi di Riccardo e di Zarrilli Concetta 11.04.1999Cirminiello Giovanni di Vito e di Iannolillo Nina 17.04.1999Cestone Marianna di Antonio e di Vallario Daniela 08.05.1999

MATRIMONI

Andriaccio Mario e Cetta Daniela 10.04.1999Di Roma Giovanni e Di Cecca Vincenza 01.05.1999

MORTI

Sperduto GiovannaMelaccio Angelantonio 09.11.1921 - 01.02.1999Zarrilli Mariantonia 27.11.1931 - 08.02.1999Codella Angela 10.11.1906 - 19.02.1999Lucrezia Giuseppe 01.01.1924 - 25.02.1999Di Milia Matilde 10.02.1909 - 26.02.1999Rainone Alessandro 25.04.1925 - 27.02.1999Galgano Donato 10.03.1945 - 28.02.1999Di Maio Leonardo 24.01.1927 - 01.03.1999Lampariello Lucia 18.06.1909 - 04.03.1999Metallo Antonio 03.02.1923 - 10.03.1999Galgano Andrea 12.10.1909 - 12.03.1999Megaro Maria Giuseppa 07.04.1921 - 15.03.1999Maffucci Vincenza 28.10.1934 - 15.03.1999Fierravanti Armando 11.01.1949 - 18.03.1999Acocella Maria 30.06.1923 - 25.03.1999Fastiggi Canio 17.06.1911 - 27.03.1999Di Napoli Pasquale 03.01.1909 - 30.03.1999Nicolais Francesco 07.10.1922 - 03.04.1999Caggiano Incoronata 24.04.1925 - 05.04.1999Di Milia Celeste 15.05.1913 - 13.04.1999Marinari Luisa Ofelia Maria 15.01.1935 - 20.04.1999Rabasca Angela 06.01.1914 - 22.04.1999Metallo Vitantonio 02.11.1907 - 22.04.1999Galgano Vincenzo 24.09.1924 - 29.04.1999Giuliano Vincenzo Berardino 20.05.1926 - 30.04.1999Fiordellisi Vito Michele 30.01.1921 - 04.05.1999Armiento Giuseppina 13.04.1922 - 07.05.1999Lampariello Francesco 29.10.1913 - 11.05.1999Zarrilli Vincenza 14.02.1909 - 20.05.1999Nusco Francesco 11.08.1921 - 23.05.1999

C’ERA ‘NA VOTA

Cu “C’era ‘na vota…”Accuminzanu i favuliCa fanu riviviriU ‘ncantu e a magìaD’e munniCriati d’a fantasia.Nivura scinna a siraI picciriddi allisimatiAttuornu a concaAscutanu un cuntu :fataciumi di nannudi quannu eranu nichie spinsirati.N’a ma menti scurraUn duci pinsieruSupra ma nannuCa cuinta ‘n diliziuE iu c’ammuccuCuomu fussi zuccaru!

Gaetano Capuano(da “Vientu D’Autunnu”, Zane Editrice)

C’ERA UNA VOLTA – Con “C’erauna volta…”/incominciano le fiabe/ chefanno rivivere/ l’incanto e la magia/ deimondi/ creati dalla fantasia./ Nera scen-de la sera/ i piccini imbambolati/ attor-no al braciere/ ascoltano un racconto:/incantesimo di nonno/ di quando eranopiccoli/ e spensierati:/ Nella mia mentescorre/ un dolce pensiero/ su mio nonno/che racconta deliziato/ ed io che imboc-co/ come fosse zucchero!

Roma, 21.02.1999 inaugurazione del nuovo studiofotografico di Canio Zarrilli e Adriano Felci, da si-nistra prima fila: Giuseppe Iannuzelli, Brigida Iannu-zelli, Ester Zarrilli, Antonio Zarrilli (il bambino),Elisabetta Armiento, Canio Zarrilli, Luciana Zarrilli,Gerardo Mazzeo, seconda fila: Vincenzo Zarrilli,Lucia Lombardi (si vede solo la testa), Sefora Zar-rilli, Rosaria Zarrilli, Lorenzo Zarrilli, i due giovanidietro Francesco Gallo e Angelo Cubelli.

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LAUREA

Emilio Ricciardi si è bril-lantemente laureato in ingegne-ria civile trasporti presso l’Uni-versità degli Studi di Napoli“Federico II” discutendo la tesi“Case History” di interazioniterreno-fondazioni su pali”conseguendo un meritatissimo110 e lode. Ai genitori Enza eGiuseppe alle sorelle e ai paren-ti tutti le congratulazioni piùsentite e al giovane ingegnerel’augurio più sincero di ognibene per la sua già splendidacarriera.

FESTA DELL’EMIGRANTE

L’Associazione Romana dei Calitrani,come è ormai consuetudine, sta prepa-rando la Festa dell’Emigrante che sisvolgerà a Calitri sabato 4 settembrecon una conferenza , probabilmentepresso la casa dell’ECA, del dotto com-paesano P. Gerardo CIOFFARI O.P. suiGesualdo antichi signori di Calitri. Nelprimo pomeriggio ci sarà una esibizionedel Coro Polifonico di Roma o in Piaz-za o davanti alla Chiesa Parrocchiale; lagiornata si concluderà, come al solito,con una serata danzante, ricca di giochie relativi premi.

Calitri 1963, in piedi da sinistra:Michelina Cialeo, emigrata negli Usa, classe 1924,Concetta Cerreta (ricca rec-ca) classe 1924, con in braccio il figlio Mario nato nel 1962, Lucia Cialeo, classe 1957,Teresa Metallo (papasist’)classe 1950. Seduti da sinistra: Canio Cialeo classe 1888, Canio Cialeo, nipote classe 1955, Lucia Di Cairano(pind’) classe 1894,Gaetano Metallo (papasist’) classe 1946, Francesco Cialeo (Ciccill’ l’elettricista) classe 1922,An-gelo Metallo (papasist’ emigrato negli USA) classe 1915, Bartolomeo Di Cairano (pind’) classe 1892.

Calitri 18.03.1999, Polisportiva Calitri, Campionato di calcio I° categoria, Girone D anno 1998/99, secon-da fila da sinistra:Vito Zarrilli (massaggiatore), Donato Gaudioso,Vito Tornillo,Vincenzo Bozza, Luca Russo,Giuseppe Di Guglielmo,Antonio Zabatta, Gino D’Andrea, Fabio De Nicola, Michele Maffucci (capitano), Ca-nio De Nicola, Claudio D’Emilia, Roberto Creddo (mister). Prima fila Donato Cicoira, Giuseppe Galgano,Giuseppe Di Cosmo, Elio Pinto, Canio Mario Gervasi,Antonio Zarrilli, Giovanni Rubinetti.

Nella famiglia CODELLA, di Cremona, sono tuttidonatori di sangue, da sinistra Giuseppe il primodei figli, Matteo, Canio, Ilaria e il padre Vito daanni consigliere dell’AVIS; davvero una bella fami-glia.Auguri.

Roma, 24 aprile 1999, Festa dell’Associazione Romana dei Calitrani, il tavolo della Presidenza, da sinistraGiovanni Rinaldi, presidente della Pro-Loco, Di Napoli Salvatore Antonio, Priore dell’Arciconfraternita,Maddalena Caputo,Tonino Cicoira il Presidente, Canio Zampaglione Vice Presidente e Rocco Nicolaispresidente dei Sindaci revisori.

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IO LA PREDILETTA di Vania Palmieri – presentazionedi Nino Iorlano - Edizioni “Altirpinia” – Lioni 1999.

Molta gente pensa che un handiccappato debba sopravvi-vere, non vivere. Egli non ha diritto a giocare, studiare,

sorridere. È sopraffatto da un mondo di normali, indifferenti.Nessuno, o quasi, lo aiuta a ritrovare la gioia. Nessuno credeche un disabile possa regalare amore.Falso, falso, falso. Lo affermo perché vivo l’esperienza in pri-ma persona e ho dato sempre tutto quello che potevo dare.Tanta gente ha diffidato del mio modo di affrontare l’esistenza;mi ha visto diversa. L’unica differenza è che io sono capace dicredere, gioire, amare. Ricevo e do senza compromessi. Nonho mai conosciuto la regola di quello che è giusto fare e quel-lo che è più opportuno lasciar perdere. Le perplessità delle persone sane nascono dal timore del con-fronto. Persone che non hanno un’adeguata capacità di guar-dare, senza pregiudizi, la realtà e, per non restare sospese tradue scelte, preferiscono perdersi nell’indifferenza. Io ho sem-pre accettato la sfida del mondo dei cosiddetti normali ed hovissuto in piena autonomia con i sogni, i progetti, gli amori,senza chiudermi nella gabbia del risentimento o dell’invidia.Negli inevitabili momenti di solitudine ho cercato e cerco diascoltare la voce del cuore. Ho frugato e frugo nella menteper scovare l’arcobaleno degli attimi colorati della felicità. Avolte, il rimpianto per qualcosa che poteva essere e non èstato, si fa sentire. Allora mi trovo ad un bivio. Da una partec’è la strada della disperazione, dall’altra quella della vogliadi vivere. Mi rendo conto allora che l’handicap non mi hastroncato il desiderio di volare, anzi, mi ha fatto maturare eassaporare l’indissolubilità di sogno e realtà che sfugge allagente sana.

(dalla prefazione dell’Autrice)

FIABE E MERCANTI IN SICILIA di Luisa Rubini – Leo S.Olschki Editore - Firenze 1998

L e estese e attente ricerche d’archivio operate da Luisa Ru-bini in Italia, Germania e Svizzera, per la sua tesi di dot-

torato presso la facoltà di Lettere dell’Università di Zurigo,hanno portato alla ricostruzione di un periodo – tra la fine del700 e i primi del 900 – tutto particolare per la foltissimapresenza di vere e proprie colonie di Inglesi, Svizzeri, Tede-schi, Americani nel Regno di Napoli e in particolare in Sici-lia dove gestendo floride imprese, vivevano con scuole pro-prie, si legavano fra di loro con matrimoni e celebravano ritie liturgie anglicane o evangeliche con propri pastori di madrelingua.Da questo particolare clima culturale, non ancora sufficiente-mente indagato per i suoi riflessi sulla cultura italiana e sici-liana del tempo, si innesta la vicenda della monografia FiabeSiciliane di Laura Gonzenbach, pubblicata a Lipsia nel 1870dall’allora importante editore Wilhelm Engelmann, su invitodel pastore evangelico e bibliotecario Otto Hartwig stretta-mente collegato a Reinhold Kohler illustre studioso di novel-listica comparata.

Interessante osservare come a ben sei lustri dal 1900 una don-na Laura Gonzenbach, affascinante figura dalla formazioneculturale europea, anticipando la ricerca demologica italiana,scrive un libro con 94 fiabe siciliane in lingua tedesca dedi-cando la raccolta ad un’altra donna Johanna Jaeger; Laura inperfetta consonanza con la sorella Magdalena è all’avanguar-dia nella lotta per l’emancipazione femminile, la sorella, in-fatti, svolse una intensa attività culturale sia collaborando a ri-viste con articoli e traduzioni, sia con iniziative culturali qua-le l’istituzione a Messina del primo asilo infantile, inauguratoil 1 gennaio 1861.Nonostante che il nome di Laura Gonzenbach abbia lasciatodi se tracce esilissime e il suo nome sia stato, in pratica, ridi-mensionato dal silenzio, la ricostruzione del cicuito storico, so-ciale, economico e culturale in cui ha preso forma questa ec-cezionale monografia è davvero eccellente; nonostante che lanotevole mole di citazioni in lingua tedesca, senza la relativatraduzione, metta certamente in imbarazzo chi, come noi, ma-stica a stento il tedesco e impedisce di gustare a pieno il pre-gevole volume della Rubini.

LA CINTA FORTIFICATA DI COSTA PALOMBA SUI MON-TI ALBURNI DI Damiano Pipino – Archeoclub d’ItaliaSezione Contursi Terme 1996

L’Autore ha saputo descrivere la recente scoperta con lode-vole rigore scientifico usando un linguaggio semplice e

chiaro con l’evidente intento di richiamare l’attenzione anchedel più profano alle varie fasi del ritrovamento che si è tra-sformato in un affascinante viaggio nel passato.È veramente un saggio impegnativo ad ampio spettro di diffu-sione non solo perché è destinato ad un vasto pubblico inquanto concepito a livello di ottima dispensa universitaria, maanche e soprattutto perché utile agli stessi specialisti per gli ar-gomenti inediti trattati, tutt’altro che noti. L’Autore ha affron-tato una fatica metodica e non priva di difficoltà nell’indagaresu una fortificazione megalitica esistente sui monti Alburni, nelsalernitano, e da nessuno mai rilevata.È una monografia di sommo interesse, caratterizzata dalla piùscrupolosa severità di ricerca e da una accurata indagine che in-quadra concretamente la storia locale in quella generale di unavasta zona strategicamente tanto interessante da potersi consi-derare quasi una località chiave per le comunicazioni locali.Ne risulta così un ampio saggio scientificamente perfetto chesi addentra in una minuziosa ricostruzione storica ricca di ri-ferimenti topografici e di acute osservazioni dei manufatti,come quella, ad esempio, di aver saputo interpretare quell’in-teressante manufatto scultoreo che raffigura un fiero ed auten-tico guerriero sannita e non già S. Michele Arcangelo, come dasempre afferma una fantasiosa tradizione popolare.

(dalla presentazione)

VIVENDI MODUS romanzo di Lorenzo Franchi –Edizioni Del Leone – Venezia 1998.

V ivendi modus narra le vicende di alcune persone che il de-stino accomuna. La vita di ciascuna di esse si intreccia, più

o meno strettamente, con quella delle altre e tutte insieme “vi-vono in un modo” che potrebbe essere anche il nostro. Secondol’autore, la vita, con i suoi accadimenti, si svolge come il lungofilo di un gomitolo tenuto e guidato, con mano ferrea, misterio-sa e inesorabile, da una forza che viene chiamata “destino”. Nel romanzo questa forza è indicata da una veggente: Edel-gard. Come lei stessa si definisce, è una “sacerdotessa d’amo-

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LALA NOSTRANOSTRABIBLIOTECABIBLIOTECA

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re” devota al culto, ancora oggi esistente in alcuni Paesi, di an-tiche deità nordiche.La narrazione, di scorrevole lettura, porta i personaggi a per-correre, a loro insaputa, strade “predestinate” dalle quali nes-suno può deviare. Essi sono travolti avventurosamente da si-tuazioni che “devono” affrontare per comando di una volontàsconosciuta. In altre parole, l’autore vuole dire che la personaumana è una piccola cosa “obbligata” a percorrere inconscia-mente, dalla nascita alla morte, un cammino determinato daldestino. Con il romanzo precedente Il senso della vita, Loren-zo Franchi ha cercato di sondare il “perché” dell’esistenza,tentativo che nei secoli ha occupato le menti dei filosofi, senzache, però, la metafisica, la scienza, le religioni, le altre scienzeabbiano saputo dare una risposta razionale soddisfacente.Con questo romanzo l’autore si chiede: se ci è stata data la ra-gione, perché dobbiamo rassegnarci a non tentare di capire?

(dalla quarta di copertina)

AMADRON – Una storia fantasy di Solange e LizziaMela – Blu di Prussia Editrice – Piacenza 1999

L a storia si legge d’un fiato, con fervore, avidamente, im-mergendosi nello stupore di un racconto incantato di cui si

vorrebbe anticipatamente conoscere l’epilogo. La trama sisnoda attraverso maghi, dee di abbagliante bellezza cangian-ti in orribili mostri, personaggi dotati di sovrumani poteriche si muovono attraverso scenari che appartengono alla not-te dei tempi: tutti gli elementi cioè che appartengono al ge-nere “fantasy”; l’irreale, l’immaginifico, il fato, la predesti-nazione.Ciò che invece è reale è la capacità delle giovani autrici di ca-larsi in questo genere con la fluidità e sicurezza di raccontodelle scrittrici mature: non sembra invero che questo sia illoro primo lavoro.L’azione si svolge con immediatezza sillabata anche nei gestidi reale quotidianità. Sono de tutto assenti noiosi riferimentispazio – temporali non direttamente legati al “corpus” del rac-conto.Le descrizioni accurate, quasi sceneggiature, non interrom-pono il seducente eloquio ma lo compenetrano scandendo-ne il ritmo.L’approfondimento psicologico dei vari personaggi, senzaessere indagatore o clinico, è proporzionato alla lunghezzadel racconto e inserito con respiro ben proporzionato.

(dall’introduzione di Gabriele Barbieri)

Giuseppe Codella25.02.1904 - † 14.04.1974

Da ormai 25 anni hailasciato, la famiglia chetanto amasti, edopo una vita di durolavoro nei campi.Il Signore ti conceda diriposare in pace.

R E Q U I E S C A N T I N P A C E

Benedetta Del Cogliano 28.05.1914 - † 03.07.1998

L’affetto, il sorrisola dolce mitezzada un anno non sono.

Sappiamo.Ci veglidal Regno in cuisincera credesti

franca infine altravaglioDel vivere umano.

Indugiamo rapitial ricordo d’amoreche intenso donasti.

I tuoi cari.

Antonio Bartucci07.10.1921 - † 07.08.1997

Il ricordo del grandeamore per la tuafamiglia che era tutto iltuo mondo rende ancorapiù vivo il nostro dolore.

Maria Luisa Francoin Di Maio13.08.1930 - †30.04.1999

Quanto dolore ci haprovocato l’improvvisanotizia della tuascomparsa! Ricordiamocon nostalgia quando nel1958 arrivastigiovanissima a Calitri,presso l’Istituto Tecnico

“A. M. Maffucci” perinsegnare inglese:gentile, sensibile,preparata, portasti unavera ventata di gioventù.Poi ognuno di noi hapreso la sua strada,sparsi per il mondo.Concludere la carrierascolastica presso ilprestigioso liceo“G.B.Vico” di Napoli è

stato, sicuramente, il piùalto riconoscimento dellatua seria professionalità.Non possiamo fare altroche conservare il ricordoche abbiamo di te epregare perché la tuabella anima trovi ristoropresso il Padre.

Graziella Melaccio01.07.1925 - † 17.07.1949

Il tuo ricordo è semprevivo nei cuori di chi ti

conobbe e di coloro chehanno sentitoparlare di te.

Vivrai semprenei nostri cuori.

Francesco Nicolais12.10.1922 - † 03.04.1999

Con lieve manoCon lieve cuore

La vita prendereLa vita lasciare…

Giuseppe Corazzelli05.08.1930 - †10.06.1998

Ti affidiamo, con fiduciacristiana, al Signore,

perché la tua vitarifiorisca accanto a Lui,

nella Sua casa.

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