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Intervista Curioso o asceta, che razza di filosofo sei? · fanno i filosofi. Che, a loro volta,...

Date post: 15-Feb-2019
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DOMENICA 11 DICEMBRE 2016 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 27 di MARCO DEL CORONA L a filosofia non si fa da sé, non è figlia di NN. La fanno i filosofi. Che, a loro volta, marziani non sono. E così, sfuggendo alla tentazione di ragio- nare sulle idee astraendole dal mondo o al ri- schio di appiattirsi voyeuristicamente sulle bio- grafie spicciole dei pensatori, Justin E. H. Smith (che inse- gna Storia e filosofia della scienza all’Université Paris Di- derot-Paris VII) ha osato una terza via. Ha identificato sei tipologie di filosofi, sei esempi di come il «filosofo» è sta- to percepito lungo la campata temporale che va dall’antica Grecia, ma anche dall’antica India, a oggi. «Il problema — spiega a “la Lettura” Smith, del quale ora Einaudi traduce Il filosofo. Una storia in sei figure — è che gli approcci tra- dizionali sono stati impiegati talmente spesso che è diffi- cile pensare di usarli per scrivere qualcosa di nuovo. Con- sidero il mio lavoro metafilosofico, anche se qualche filo- sofo analitico conservatore potrebbe definirlo “extra-filo- sofico”, nel senso che tenta di cogliere che cos’è la filosofia, e cos’è stata, attraverso un punto di vista sociolo- gico e antropologico. Mi sono chiesto che cos’abbiano in comune gli esseri umani che, in tempi e luoghi particola- ri, praticano quella cosa che chiamiamo filosofia». Lei identifica sei tipologie di filosofi. Qualcuno pri- ma di lei ha azzardato una tassonomia di questo tipo? «Da quel che so, no. Comunque non è una tassonomia rigorosa. È più una “tassonomia folk”. Sì, descrivo i tipi di filosofi per come li vedo io, ma metto in chiaro che non c’è nulla di esaustivo, che le categorie un po’ si sovrappongo- no e che qualcun altro potrebbe identificarne altre». Lei cita anche l’India antica, il filosofo ruandese Alexis Kagame (1912-1981), il ghanese Kwame Nkrumah (1909-1972)... È il tentativo di rompere certi stereotipi o è il segno che oggi per la filosofia esiste davvero una sorta di cornice condivisa globalmente? «I casi indiano e africano vanno distinti. I filosofi euro- pei e americani sanno che c’è in India una lunga tradizio- ne intellettuale centrata su questioni e fondata su metodi parecchio simili a quelli categorizzati come “filosofia” in Europa. Per dire: ci sono logica, epistemologia, metafisica proprie dell’India, benché non vengano identificate con termini che hanno legami etimologici con la lingua greca. Anche le istituzioni che sostennero questa tradizione as- somigliano ad accademie o università. Il caso africano è più controverso perché, almeno nelle aree del continente non toccate dalla cultura arabo-islamica, le tradizioni so- no soprattutto orali e non codificate. Di Kagame e, in una certa misura, di Nkrumah, trovo brillante il modo di pe- scare dalle culture bantù e dell’Africa occidentale come fonti di una visione filosofica innata. Non è prerogativa esclusiva dell’Africa, quest’attitudine: si lega alle idee del Romanticismo, penso a figure come Johann Gottfried Herder (1744-1803, ndr) secondo le quali, per così dire, ogni cultura è un mondo a sé, con la sua intrinseca sag- gezza e ricchezza di senso». Altro tema presente ne «Il filosofo»: le donne e la fi- losofia. Che contributo hanno dato al suo sviluppo? «Nel libro cerco di approfondire la discussione su quanto le donne siano sottorappresentate nella filosofia e lo faccio rivelando la genealogia maschile e monastica della disciplina com’è oggi. Nietzsche sosteneva che ogni filosofo serio non è sposato (e dunque che implicitamente è un uomo) e che gli esempi di segno contrario, tipo So- crate, sono figure da commedia più che veri filosofi. Un brutto pregiudizio, che non salta fuori dal nulla. Deriva dal fatto che con Nietzsche culmina una lunga tradizione nella quale si intendeva la filosofia come una rinuncia al mondo, una visione che aveva incluso monaci mendicanti e vari asceti di sesso maschile. Oggi sperimentiamo le conseguenze di tutto questo, ma senza un’effettiva consa- pevolezza della storia e di come essa ci plasma». Il Curioso e il Saggio, il Polemico e l’Asceta, il Manda- rino e il Cortigiano: tutte le sue sei figure hanno la stes- sa importanza per capire cos’è la filosofia? «Il Curioso è quello sul quale sono andato più in pro- fondità, anche se penso che negli ultimi secoli i filosofi si- ano stati in genere Mandarini o Cortigiani». Il Curioso è il primo tipo, e lei evoca per esempio Ari- stotele o il giovane Kant. «Il Curioso è colui che comprende perché i fatti partico- lari, dalla riproduzione delle anguille alla pressione del- l’acqua sul timpano dell’orecchio, sono motivi d’interesse filosofico. Queste cose erano al cuore della filosofia co- m’era concepita nel Seicento e gran parte del mio obietti- vo è riproporre un po’ di quello spirito». Vengono poi il Saggio, l’immagine del filosofo che più si avvicina all’interpretazione diffusa in Europa e nell’antica India, e il Polemico, che potrebbe essere de- finito un nichilista. «No, non definirei il Polemico un nichilista. Il nichilista vuole abbattere ogni credenza per colpire la morale domi- nante, mentre il Polemico mette in discussione credenze acquisite per trasmettere una posizione morale più vasta sulla difficoltà di raggiungere la certezza». Lei parla anche di poesia e filosofia. Oggi la poesia è una controparte reale della filosofia? «Almeno nel mondo anglofono, la poesia contempora- nea non è conosciuta se non da chi la scrive. Lo stesso, suppongo, si può dire della filosofia contemporanea». Anche l’Asceta sembra un ponte tra Europa e Orien- te. C’è spazio per lui oggigiorno, in questo mondo? «L’excursus narrativo del capitolo sull’Asceta è basato su fonti erudite della storia intellettuale dell’antico mon- do greco-battriano, e faccio riferimento in particolare al lavoro di Christopher Beckwith. Fu un periodo di signifi- cativa ibridazione tra Est e Ovest (III secolo a. C., ndr), in un’area che rifletteva varie tradizioni, inclusi lo scettici- smo greco e il buddismo indiano». Il Mandarino si rivela tale sia da un punto di vista fi- losofico sia sociale, quasi burocratico. Chi sono oggi i filosofi Mandarini? «Non dovrei fare nomi. Ma nella categoria rientra ap- pieno il grosso dei filosofi accademici anglosassoni in car- riera: passano il tempo a parlare di incarichi, promozioni, comitati, e arrivano a fine carriera senza aver contribuito, se non in piccolissima parte, allo sviluppo di quella che Thomas Kuhn chiamava “scienza normale”». Infine, il Cortigiano. Che più del Polemico incarna l’intellettuale pubblico. «L’inserto romanzesco del capitolo si basa su Jan Sten, il filosofo che Stalin prese come tutore privato quando capì di non essere un gran pensatore marxista e di avere diffi- coltà con la dialettica hegeliana. Prevedo che vedremo un po’ di Cortigiani nell’era Trump: patetici, servili sicofanti che cercano di guadagnarsi il favore del nuovo bambino- presidente sostenendo di essere impegnati a migliorarlo. Non dovrebbe essere migliorato, ma isolato e ridicolizza- to, e solo un Cortigiano potrebbe pensarla in altro modo». @marcodelcorona © RIPRODUZIONE RISERVATA JUSTIN E. H. SMITH Il filosofo. Una storia in sei figure Traduzione di Chiara Melloni EINAUDI Pagine 237, e 28 L’autore Justin Erik Halldór Smith (Reno, Usa, 1972) insegna all’Université Paris Diderot - Paris VII, dove è vicedirettore del dipartimento di Storia e filosofia delle scienze e membro del laboratorio di ricerca Sphere. Ha pubblicato, fra l’altro, Nature, Human Nature, and Human Difference: Race in Early Modern Philosophy (Princeton University Press, 2015) i Libri Saggistica Un altro 7 dicembre è passato, alla Scala ora sorridono delle tensioni di ogni vigilia. Il musicologo Franco Pulcini, direttore editoriale del teatro, ha pensato che quella data fatidica fosse lo scenario ideale per un omicidio. In Delitto alla Scala (Ponte alle Grazie, pp. 418, e 16) misteri e ambiguità si intrecciano con ironia nei comportamenti degli indiziati che hanno un unico, sommo obiettivo: far andare in scena l’Arianna di Monteverdi. The show must go on. Largo ad Arianna, costi quel che costi { Un’altra bellezza di Alessandro Cannavò Curioso o asceta, che razza di filosofo sei? Intervista Justin E. H. Smith propone una storia del pensiero non cronologica o tematica: classifica i suoi protagonisti in sei categorie, guardando all’Africa e all’antica India e denunciando la «genealogia maschile e monastica» che marginalizza le intellettuali ILLUSTRAZIONE DI ANNA RESMINI
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DOMENICA 11 DICEMBRE 2016 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 27

di MARCO DEL CORONA

La filosofia non si fa da sé, non è figlia di NN. Lafanno i filosofi. Che, a loro volta, marziani nonsono. E così, sfuggendo alla tentazione di ragio-nare sulle idee astraendole dal mondo o al ri-schio di appiattirsi voyeuristicamente sulle bio-

grafie spicciole dei pensatori, Justin E. H. Smith (che inse-gna Storia e filosofia della scienza all’Université Paris Di-derot-Paris VII) ha osato una terza via. Ha identificato seitipologie di filosofi, sei esempi di come il «filosofo» è sta-to percepito lungo la campata temporale che va dall’anticaGrecia, ma anche dall’antica India, a oggi. «Il problema —spiega a “la Lettura” Smith, del quale ora Einaudi traduceIl filosofo. Una storia in sei figure — è che gli approcci tra-dizionali sono stati impiegati talmente spesso che è diffi-cile pensare di usarli per scrivere qualcosa di nuovo. Con-sidero il mio lavoro metafilosofico, anche se qualche filo-sofo analitico conservatore potrebbe definirlo “extra-filo-sofico”, nel senso che tenta di cogliere che cos’è lafilosofia, e cos’è stata, attraverso un punto di vista sociolo-gico e antropologico. Mi sono chiesto che cos’abbiano incomune gli esseri umani che, in tempi e luoghi particola-ri, praticano quella cosa che chiamiamo filosofia».

Lei identifica sei tipologie di filosofi. Qualcuno pri-ma di lei ha azzardato una tassonomia di questo tipo?

«Da quel che so, no. Comunque non è una tassonomiarigorosa. È più una “tassonomia folk”. Sì, descrivo i tipi difilosofi per come li vedo io, ma metto in chiaro che non c’ènulla di esaustivo, che le categorie un po’ si sovrappongo-no e che qualcun altro potrebbe identificarne altre».

Lei cita anche l’India antica, il filosofo ruandeseAlexis Kagame (1912-1981), il ghanese Kwame Nkrumah(1909-1972)... È il tentativo di rompere certi stereotipi oè il segno che oggi per la filosofia esiste davvero unasorta di cornice condivisa globalmente?

«I casi indiano e africano vanno distinti. I filosofi euro-pei e americani sanno che c’è in India una lunga tradizio-ne intellettuale centrata su questioni e fondata su metodiparecchio simili a quelli categorizzati come “filosofia” inEuropa. Per dire: ci sono logica, epistemologia, metafisicaproprie dell’India, benché non vengano identificate contermini che hanno legami etimologici con la lingua greca.Anche le istituzioni che sostennero questa tradizione as-somigliano ad accademie o università. Il caso africano èpiù controverso perché, almeno nelle aree del continentenon toccate dalla cultura arabo-islamica, le tradizioni so-no soprattutto orali e non codificate. Di Kagame e, in unacerta misura, di Nkrumah, trovo brillante il modo di pe-scare dalle culture bantù e dell’Africa occidentale comefonti di una visione filosofica innata. Non è prerogativaesclusiva dell’Africa, quest’attitudine: si lega alle idee delRomanticismo, penso a figure come Johann Gottfried Herder (1744-1803, ndr) secondo le quali, per così dire,ogni cultura è un mondo a sé, con la sua intrinseca sag-gezza e ricchezza di senso».

Altro tema presente ne «Il filosofo»: le donne e la fi-losofia. Che contributo hanno dato al suo sviluppo?

«Nel libro cerco di approfondire la discussione suquanto le donne siano sottorappresentate nella filosofia e

lo faccio rivelando la genealogia maschile e monasticadella disciplina com’è oggi. Nietzsche sosteneva che ognifilosofo serio non è sposato (e dunque che implicitamenteè un uomo) e che gli esempi di segno contrario, tipo So-crate, sono figure da commedia più che veri filosofi. Unbrutto pregiudizio, che non salta fuori dal nulla. Derivadal fatto che con Nietzsche culmina una lunga tradizionenella quale si intendeva la filosofia come una rinuncia almondo, una visione che aveva incluso monaci mendicantie vari asceti di sesso maschile. Oggi sperimentiamo leconseguenze di tutto questo, ma senza un’effettiva consa-pevolezza della storia e di come essa ci plasma».

Il Curioso e il Saggio, il Polemico e l’Asceta, il Manda-

rino e il Cortigiano: tutte le sue sei figure hanno la stes-sa importanza per capire cos’è la filosofia?

«Il Curioso è quello sul quale sono andato più in pro-fondità, anche se penso che negli ultimi secoli i filosofi si-ano stati in genere Mandarini o Cortigiani».

Il Curioso è il primo tipo, e lei evoca per esempio Ari-stotele o il giovane Kant.

«Il Curioso è colui che comprende perché i fatti partico-lari, dalla riproduzione delle anguille alla pressione del-l’acqua sul timpano dell’orecchio, sono motivi d’interessefilosofico. Queste cose erano al cuore della filosofia co-m’era concepita nel Seicento e gran parte del mio obietti-vo è riproporre un po’ di quello spirito».

Vengono poi il Saggio, l’immagine del filosofo chepiù si avvicina all’interpretazione diffusa in Europa enell’antica India, e il Polemico, che potrebbe essere de-finito un nichilista.

«No, non definirei il Polemico un nichilista. Il nichilistavuole abbattere ogni credenza per colpire la morale domi-nante, mentre il Polemico mette in discussione credenzeacquisite per trasmettere una posizione morale più vastasulla difficoltà di raggiungere la certezza».

Lei parla anche di poesia e filosofia. Oggi la poesia èuna controparte reale della filosofia?

«Almeno nel mondo anglofono, la poesia contempora-nea non è conosciuta se non da chi la scrive. Lo stesso, suppongo, si può dire della filosofia contemporanea».

Anche l’Asceta sembra un ponte tra Europa e Orien-te. C’è spazio per lui oggigiorno, in questo mondo?

«L’excursus narrativo del capitolo sull’Asceta è basatosu fonti erudite della storia intellettuale dell’antico mon-do greco-battriano, e faccio riferimento in particolare al lavoro di Christopher Beckwith. Fu un periodo di signifi-cativa ibridazione tra Est e Ovest (III secolo a. C., ndr), inun’area che rifletteva varie tradizioni, inclusi lo scettici-smo greco e il buddismo indiano».

Il Mandarino si rivela tale sia da un punto di vista fi-losofico sia sociale, quasi burocratico. Chi sono oggi ifilosofi Mandarini?

«Non dovrei fare nomi. Ma nella categoria rientra ap-pieno il grosso dei filosofi accademici anglosassoni in car-riera: passano il tempo a parlare di incarichi, promozioni,comitati, e arrivano a fine carriera senza aver contribuito,se non in piccolissima parte, allo sviluppo di quella cheThomas Kuhn chiamava “scienza normale”».

Infine, il Cortigiano. Che più del Polemico incarnal’intellettuale pubblico.

«L’inserto romanzesco del capitolo si basa su Jan Sten, ilfilosofo che Stalin prese come tutore privato quando capìdi non essere un gran pensatore marxista e di avere diffi-coltà con la dialettica hegeliana. Prevedo che vedremo unpo’ di Cortigiani nell’era Trump: patetici, servili sicofantiche cercano di guadagnarsi il favore del nuovo bambino-presidente sostenendo di essere impegnati a migliorarlo.Non dovrebbe essere migliorato, ma isolato e ridicolizza-to, e solo un Cortigiano potrebbe pensarla in altro modo».

@marcodelcorona© RIPRODUZIONE RISERVATA

JUSTIN E. H. SMITHIl filosofo.

Una storia in sei figureTraduzione di Chiara Melloni

EINAUDIPagine 237, e 28

L’autoreJustin Erik Halldór Smith

(Reno, Usa, 1972) insegnaall’Université Paris Diderot -

Paris VII, dove è vicedirettoredel dipartimento di Storia e

filosofia delle scienze emembro del laboratorio di

ricerca Sphere. Hapubblicato, fra l’altro, Nature,

Human Nature, and HumanDifference: Race in Early

Modern Philosophy (PrincetonUniversity Press, 2015)

i

Libri SaggisticaUn altro 7 dicembre è passato, alla Scala ora sorridono delle tensioni di ogni vigilia. Il musicologo Franco Pulcini, direttore editoriale delteatro, ha pensato che quella data fatidica fosse lo scenario ideale per un omicidio. In Delitto alla

Scala (Ponte alle Grazie, pp. 418, e 16) misteri e ambiguità si intrecciano con ironia nei comportamenti degli indiziati che hanno un unico, sommo obiettivo: far andare in scena l’Arianna di Monteverdi. The show must go on.

Largo ad Arianna, costi quel che costi

{Un’altra bellezzadi Alessandro Cannavò

Curioso o asceta, che razza di filosofo sei?Intervista Justin E. H. Smith propone una storia del pensiero non cronologica o tematica: classifica i suoi protagonisti in sei categorie, guardando all’Africa e all’antica India e denunciando la «genealogia maschile e monastica» che marginalizza le intellettuali

ILLUSTRAZIONE DI ANNA RESMINI

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