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Introduzione · Web viewNapoli, 17-19 ottobre 2005 L’innovazione logistica in una filiera...

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XXVI CONFERENZA NAZIONALE AISRe Napoli, 17-19 ottobre 2005 L’innovazione logistica in una filiera produttiva orientata all’esportazione Flavio Boscacci 1 Dipartimento di Architettura e Pianificazione – Politecnico di Milano [email protected] Introduzione Mentre quasi ovunque nei Paesi economicamente sviluppati il settore tessile e quello dell’abbigliamento sono stati abbandonati o di molto ridotti, in Italia la loro attività resiste, nonostante la annunciata prima (1994) e l’avvenuta ora (2005) cancellazione degli Accordi Multifibre di protezione dalla concorrenza dei Paesi in via di sviluppo. Naturalmente, nell’attuale regime di libera concorrenza le nostre aziende soffrono non poco e molte di esse sono destinate a soccombere. Tuttavia, il modello domestico dei distretti in cui molte filiere del tessile-abbigliamento sono nate e cresciute aiuta la loro sopravvivenza e per certi versi può garantirne ulteriori successi, sia per la forza intrinseca di questo modo “agglomerato” di produzione, sia per la capacità delle imprese manifatturiere di organizzarsi e restare comunque flessibili per godere delle economie di dimensione, di scopo e di specializzazione, specie per le produzioni di media e alta gamma. 1 Davide Lucca e Paola Riboli del Laboratorio di Economia, Logistica e Territorio (LabElt) del DIAP-Politecnico di Milano, hanno predisposto la base dati e contribuito alla loro interpretazione 53
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Page 1: Introduzione · Web viewNapoli, 17-19 ottobre 2005 L’innovazione logistica in una filiera produttiva orientata all’esportazione Flavio Boscacci Dipartimento di Architettura e

XXVI CONFERENZA NAZIONALE AISReNapoli, 17-19 ottobre 2005

L’innovazione logistica in una filiera produttiva orientata all’esportazione

Flavio Boscacci1

Dipartimento di Architettura e Pianificazione – Politecnico di [email protected]

Introduzione

Mentre quasi ovunque nei Paesi economicamente sviluppati il settore tessile e quello dell’abbigliamento sono stati abbandonati o di molto ridotti, in Italia la loro attività resiste, nonostante la annunciata prima (1994) e l’avvenuta ora (2005) cancellazione degli Accordi Multifibre di protezione dalla concorrenza dei Paesi in via di sviluppo.Naturalmente, nell’attuale regime di libera concorrenza le nostre aziende soffrono non poco e molte di esse sono destinate a soccombere. Tuttavia, il modello domestico dei distretti in cui molte filiere del tessile-abbigliamento sono nate e cresciute aiuta la loro sopravvivenza e per certi versi può garantirne ulteriori successi, sia per la forza intrinseca di questo modo “agglomerato” di produzione, sia per la capacità delle imprese manifatturiere di organizzarsi e restare comunque flessibili per godere delle economie di dimensione, di scopo e di specializzazione, specie per le produzioni di media e alta gamma.Questo contributo va incontro ad una particolare problema delle imprese di queste filiere: quello della movimentazione interindustriale delle merci, semilavorati e prodotti finiti, e di quella distributiva: tra i luoghi di produzione e quelli del consumo. Movimentazioni che, appunto, sono divenute via via più significative in ragione del modo di produzione (just in time) e della frammentazione internazionale dei cicli produttivi. Si è voluto pertanto rilevare la dotazione nazionale di servizi logistici per questa filiera per giudicare della loro adeguatezza e capacità di rispondere alle esigenze dell’industria locale. Il contributo di conoscenza è stato basato su una indagine diretta presso le più importanti imprese logistiche orientate a questo tipo di movimentazioni specializzate, ma prima di questo si è voluta dare una descrizione dei luoghi di produzione e degli scambi tra i luoghi di produzione, proprio per fotografare le mutevoli esigenze di risposta alla competizione internazionale sui mercati di sbocco.Nei primi due paragrafi vengono forniti i dati aggiornati della filiera per quanto riguarda la produzione e il commercio internazionale, da cui si deducono agevolmente i lineamenti generali della dinamica competitiva e della reazione dei produttori nazionali

1 Davide Lucca e Paola Riboli del Laboratorio di Economia, Logistica e Territorio (LabElt) del DIAP-Politecnico di Milano, hanno predisposto la base dati e contribuito alla loro interpretazione

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in termini di internazionalizzazione dei processi produttivi, soprattutto verso i Paesi dell’Est europeo. Ed anche, si evidenziano le strategie differenziate di localizzazione per quanto riguarda le fasce di qualità dei prodotti; così che l’esportazione di prodotti finiti è fondata sulla media e alta gamma, mentre l’importazione riguarda semilavorati e prodotti di bassa gamma che, in buona misura, sono il risultato della esportazione di fasi produttive, tecnologie e know how verso Paesi a basso costo del lavoro.Nel terzo paragrafo, si approfondiscono i temi della localizzazione industriale, riportando sia i dati caratteristici dei distretti industriali sul territorio nazionale, sia quelli del cosiddetto meta-distretto lombardo, così come definito dalla programmazione regionale. E’ sembrato utile esaminare queste informazioni in vista dei processi di reazione dei nostri sistemi di imprese che, dalla pur evidente crisi delle capacità di resistenza degli stessi tradizionali distretti industriali, stanno azionando tutte le possibili sinergie, a cominciare dalla formazione di gruppi di imprese, sempre più integrati e aggressivi.Nel quarto paragrafo si espongono i risultati dell’indagine diretta presso le imprese di logistica, specializzate per la fornitura di servizi a questa filiera. Tali risultati possono apparire scontati per larga parte, ma sono certamente significativi laddove gli intervistati affermano, univocamente, che la domanda di servizi in conto terzi da parte delle imprese della filiera è in costante crescita e che le caratteristiche della domanda convergono decisamente nel senso della qualità dei servizi, non nel livello di prezzo degli stessi. Non si rilevano, invece, richieste significative di innovazione dei processi logistici le quali, ad esempio la tecnologia RFID per la tracciabilità dei prodotti e per le operazioni di magazzino, sono disponibili e tutto fa pensare che diverranno indispensabili a breve termine.L’indagine sull’offerta di servizi logistici alle filiere del T/A, verrà completata successivamente con una specifica indagine sulla domanda degli stessi da parte delle imprese manifatturiere e commerciali. Dopo questa ulteriore fase del lavoro si potranno trarre conclusioni più consistenti per la progettazione, a scala nazionale, di una politica di sostegno ai fattori comuni della filiera; ovvero di una politica industriale, prevalentemente di tipo orizzontale, che tenga in considerazione i pericoli di una perdita netta di attività in un comparto, quello considerato, che è tradizionale ma anche fortemente creativo e ancora capace di convincere i mercati internazionali.

1. L’industria della moda e la filiera Tessile/Abbigliamento

Il sistema moda italiano costituisce uno dei pochi cluster in cui il nostro paese può vantare una solida tradizione e un consolidato vantaggio competitivo a livello internazionale2. Si tratta di un insieme di settori, diversi sia in termini di importanza che di peso, la cui leadership internazionale è testimoniata dalle consistenti quantità esportate, dalla reputazione delle marche, dalla presenza di numerose sfilate e manifestazioni espositive e dalla localizzazione in Italia delle produzioni più qualificate di importanti marchi esteri attraverso rapporti di fornitura, sub-fornitura, licenza e acquisizioni.

2 S. Testa, La specificità della filiera italiani della moda in M.Belfanti, F.Giusberti (a cura di), Storia d’Italia-Annali n. 19, Einaudi, Collana Grandi Opere, 2003

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Il sistema moda, considerato il centro del made in Italy, contribuisce, attraverso le sue aziende più prestigiose e note al grande pubblico, ad alimentare nel mondo il concetto dell’Italian way of life, ovvero la tradizione del buon gusto e dello stile italiano. Esso comprende al suo interno diverse filiere produttive: accanto a quella del tessile-abbigliamento, finalizzata alla produzione di capi finiti di vestiario, ne esistono altre riguardanti pelletteria e calzature, profumi e cosmetica, occhiali, oreficeria, gioielleria e oggettistica di complemento. Nonostante l’eterogeneità di questi prodotti in termini di materie prime e di tecnologia produttiva utilizzata, il legame tra queste filiere è dovuto sia ai processi di estensione orizzontale delle marche (processi di licencing) che ai processi di commercializzazione e di distribuzione. Caratteristica peculiare di questo sistema è la stagionalità del prodotto: il ciclo di vita è molto breve dato che non solo la referenza è stagionale, ma per ciascuna stagione devono essere presentate più collezioni, in modo da favorire un maggiore turn-over del prodotto (Zara, H&M, Promod).

Tab. 1: I dati del sistema moda Italia

Fatturato Aziende Addetti(mln di Euro) n. n.

Tessile - Abbigliamento 43.150 67.741 569.733Calzature 7.582 7.283 103.275Pelletteria 2.445 6.000 27.400Oreficeria/gioielleria 4.606 10.000 41.000Profumeria 7.155 550 35.000Occhialeria 1.871 1.270 17.800Totale Moda 66.809 92.844 794.208

Fonte: Elaborazione SMI su dati ISTAT 2003, Prometeia ed Associazioni di Categoria

La filiera del tessile-abbigliamento fornisce prodotti che sono il risultato di una lunga ed articolata catena di fasi produttive interrelate che occorre prendere in considerazione come insieme sinergico e coordinato, di cui si valuta il percorso seguito dal prodotto nel processo di produzione-trasformazione-distribuzione. Quest’ottica allargata di sistema esamina tutte le attività e i soggetti direttamente o indirettamente connessi al ciclo produttivo e, in particolare, osserva le relazioni a monte e a valle tra le diverse fasi della filiera in modo da superare la concezione che considera ogni stadio un’area strategica a sé stante, isolata rispetto alle altre. Assumere la logica di filiera consente, quindi, di migliorare il flusso informativo tra le sue diverse componenti e il coordinamento tra decisioni produttive, logistiche e distributive; ottimizzando, così, la catena del valore tra produttori di fibre, produttori di filati e tessuti, confezionisti, reti di vendita e le relazioni di committenza tra imprese fornitrici e subfornitrici, soprattutto in un sistema competitivo come l’attuale, sempre più time based. Occorre, infatti, rispondere in modo sempre più rapido alle richieste avanzate dai diversi attori, condizionate dalla maggiore frequenza con cui devono essere presentati i campionari (nella moda, stagionalità può significare dover presentare anche 3-4 collezioni per stagione), dall’ampia varietà di modelli richiesta dal mercato e dalla conseguente flessibilità produttiva che le aziende devono perseguire.

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A questo proposito, alcune imprese sviluppano una strategia di quick response, in cui si produce solo ciò che è domandato dal mercato in modo tale da riuscire a ridurre gli stock cautelativi e i relativi costi di gestione (riconducibili sia ad un minore stoccaggio di merce sia alla riduzione del rischio di invenduto) e lo si rende disponibile dove e quando richiesto, agendo, in questo modo, sulla leva competitiva della minimizzazione del tempo di risposta. L’obiettivo è quello di rendere flessibile e tempestivo non solo il ciclo di movimentazione delle merci, ma anche il trasferimento delle informazioni.La filiera del tessile-abbigliamento3 si compone di fasi a monte del ciclo produttivo, in cui, a partire dalle fibre tessili, vengono realizzati semilavorati (filati e tessuti) per gli stadi successivi (filiera del tessile) e quelle a valle, caratterizzate dal confezionamento e dalla distribuzione del prodotto finale (filiera dell’abbigliamento). E’ importante tener presente che esistono settori collegati, a monte del ciclo la chimica e il meccano-tessile, e a valle, i diversi comparti della comunicazione: editoria specializzata, fiere, agenzie di pubblicità e creazione dello stile.

Fig. 1: La filiera del tessile abbigliamento (Saviolo, Testa, 2000)

A seconda del livello di integrazione verticale tra le diverse fasi della filiera si può parlare di (Saviolo, Testa, 2000): filiere integrate, in cui le lavorazioni corrispondenti a fasi differenti sono condotte

internamente ai diversi reparti aziendali, potendo in tal modo meglio sfruttare le interdipendenze che caratterizzano il complesso ciclo tessile. La filiera così strutturata è però poco flessibile, a causa della necessità di bilanciamento della capacità produttiva: i prodotti sono, quindi, standardizzati e poco personalizzati;

3 La filiera così strutturata, definita ristretta, rispetta le sottosezioni della classificazione Istat-Ateco 2002 relative al “tessile-abbigliamento”, mentre è possibile considerare anche una filiera allargata in cui vengono inclusi anche i settori del commercio all’ingrosso e al dettaglio per il settore tessile-abbigliamento, pelli-calzature, design e styling per il tessile-abbigliamento, calzature, gioielleria, mobili e altri beni personali o per la casa.

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filiere integrate a rete, il cui esempio tipico sono i distretti tessili italiani, in cui le fasi della filiera sono gestite da diverse aziende indipendenti, ma legate da rapporti di partnership, localizzate nello stesso territorio. Il vantaggio rispetto alla tipologia precedente risiede nell’alta flessibilità che si traduce in un alto grado di personalizzazione con cui è possibile rispondere alle esigenze che il mercato manifesta;

filiere virtuali: caratterizzate dalla presenza di attori dislocati in aree molto distanti tra loro i cui rapporti sono riconducibili ai meccanismi di mercato.

Il coordinamento tra le diverse imprese è, in genere, gestito da un leader di filiera, collocato a valle del ciclo produttivo. A partire dalle distinzioni tra le diverse fasi del tessile-abbigliamento è possibile individuare differenti tipologie di attori coinvolti; in particolare, per ciò che riguarda il settore dell’abbigliamento si possono identificare cinque categorie, comprese all’interno di due modelli polari, in cui convergono due forze apparentemente contrastanti. Da un lato, si trova il modello dell’azienda orientata al mercato, che si occupa della gestione della marca, dell’ideazione del prodotto e della sua distribuzione; mentre nell’altra tipologia, l’attenzione si concentra sulle fasi esclusivamente produttive, gestendo l’intero processo di industrializzazione del prodotto o alcune sue fasi. Più precisamente esistono (Saviolo, Testa, 2000): grandi aziende industriali a vocazione internazionale spesso integrate in gruppi tessili

con marchi di prestigio e che si indirizzano a diversi segmenti di mercato (Marzotto, Ermenegildo Zegna, Benetton, Max Mara). Per ciò che riguarda i grandi gruppi, la tendenza è quella all’integrazione verticale: negli ultimi anni, si è assistito ad un processo di concentrazione e di integrazione degli assetti strategici di diverse fasi della filiera;

grandi griffe a capo di aziende di produzione proprie o di gestione di licenze presenti sui mercati internazionali con una gamma di prodotti molto vasta (Armani, Missoni, Valentino, Ferrè);

medie aziende industriali con marchi propri o in licenza che producono una gamma di prodotti più ristretta, appartenenti a comparti specifici, come ad es. l’intimo, lo sportswear, presenti in modo più significativo sul mercato nazionale, nonostante l’avvio di una fase di internazionalizzazione (Aeffe, Maska, Gruppo Corneliani, Belfe, Gruppo La Perla);

medio–piccole aziende produttrici di prodotti specializzati e di accessori (cravatte, foulard, etc.) con marca propria o in licenza presenti sui mercati nazionali;

aziende sub-fornitrici delle precedenti, classificabili in terzisti di dimensioni medio/piccole che realizzano interamente o la maggior parte di un capo finito e façonisti che si occupano delle fasi di finissaggio e confezione di semilavorati di proprietà del committente.

La crescente competitività internazionale spinge verso un maggiore sfruttamento delle economie di scala, di scopo e di esperienza, ossia alla specializzazione produttiva ma contemporaneamente si avverte anche una forte esigenza di coordinamento interno alla filiera, in modo tale da contenere diseconomie ed inefficienze legate alla scarsità dei flussi informativi tra i vari attori della filiera.

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2. Il commercio internazionale del T/A

La bilancia commerciale dell’Italia nel settore del tessile-abbigliamento è in attivo, anche se negli ultimi anni si è registrata una flessione legata non solo al calo dei consumi, ma anche alla concorrenza sempre più aggressiva soprattutto per produzioni a basso valore aggiunto e alle politiche di liberalizzazione dei mercati. A questo proposito, occorre sottolineare l’importanza del ruolo ricoperto dall’Italia, testimoniato dall’incidenza relativa del fatturato prodotto (24,5%), il numero di addetti (30,7%) e il numero di imprese (53,6%) rispetto alle analoghe filiere in ambito UE.L’industria del tessile-abbigliamento trova nei paesi dell’Europa Centro-Orientale e dell’Asia Orientale i principali serbatoi per l’importazione, rappresentando insieme quasi i 2/3 dell’import totale: da queste regioni provengono rispettivamente il 34% (3.378 mln €) e il 29% (2.835 mln €) dell’import complessivo.

Fig. 2. Import ed Export per Paese di origine e destinazione del T/A (Valori 2003 in milioni di euro correnti)

Fonte: Elaborazione dati ISTAT, 2003

In particolare, le principali regioni importatrici rispetto alla media nazionale sono quelle in cui sono localizzati i più importanti distretti industriali del tessile-abbigliamento: Lombardia (30%), Veneto (25%), Toscana (11%) e Piemonte (10%). Queste, interscambiano sempre più con i Paesi dell’Europa orientale, in particolare con la Romania (44% del totale importato dall’E.O.) e dalla Cina (72% del totale dei capi importati da quell’area).Le imprese italiane, in virtù di consistenti vantaggi di costo, de-localizzano le fasi della filiera legate al momento della confezione dei capi, anche se questi prodotti sono spesso di poca qualità e di basso valore aggiunto, come dimostra l’indicatore del valore in euro per kg di prodotto (fig. 3).

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Fig. 3. Import di materie tessili (mln euro) e relativo valore/kg (euro/kg-scala destra)

Fonte: Elaborazione dati Istat, 2003

Analogamente, l’analisi dei valori di export mostra come i principali mercati di sbocco dei prodotti italiani, per ciò che riguarda i semilavorati tessili, siano l’Europa Centro-Orientale, l’Asia Orientale e l’America Settentrionale, essendo quest’ultima uno dei maggiori mercati di sbocco per i prodotti italiani finiti ad alta qualità.

Fig. 4. Export di materie tessili (mln euro) e relativo valore/kg (euro/kg-scala destra)

Fonte: Elaborazione dati Istat, 2003

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Tab. 3. Import ed export 2003 per mercato Paese (milioni di euro)

Asia Orientale Europa Centro-Orientale  import export   import exportBirmania 19 1 Lituania 53 61Thailandia 103 45 Polonia 164 377Laos 9 0 Ceca (Repubblica) 181 190Vietnam 41 16 Slovacchia 124 136Cambogia 4 2 Ungheria 300 402Indonesia 177 19 Romania 1.500 1.187Malaysia 36 9 Bulgaria 266 206Singapore 3 46 Ucraina 47 182Filippine 16 32 Bielorussia 32 42Mongolia 1 0 Moldavia 56 42Cina 2.038 176 Russia (Federazione) 68 755Corea Sud 115 369 Croazia 248 319Giappone 78 1.077 Bosnia e Erzegovina 37 47Taiwan 70 115 Serbia e Montenegro 55 105Hong Kong 107 766 Macedonia 10 17Fonte: Elaborazione dati Istat, 2003

3. Localizzazionee rilocalizzazione

Le imprese del tessile-abbigliamento sono concentrate in alcune aree territoriali. Il calcolo, su base provinciale dell’indice di specializzazione4 conferma l’esistenza di una consistente concentrazione di imprese specializzate nel tessile-abbigliamento nelle province del Centro-Nord Italia (fig. 13).

In alcune delle province si trovano concentrazioni imprenditoriali dove si realizza il tipico amalgama socio-produttivo del distretto. La caratteristica principale del distretto, infatti, non è solo la presenza storicamente definita di un tessuto industriale costituito da imprese di piccola-media dimensione specializzate in singole fasi di lavorazione di una filiera produttiva, connesse da reti di transazioni e coordinate da forme di collaborazione più o meno esplicita, ma anche l’esistenza di un contesto sociale in cui sono radicati quei valori, propensione all’imprenditorialità, attitudine al lavoro autonomo, che permettono al sistema industriale di rafforzarsi e competere.La logica distrettuale si fonda sull’esistenza di esternalità positive dinamiche legate alla diffusione della conoscenza (spillover). Le imprese si localizzano in virtù dello sfruttamento di economie di scala esterne, ossia esterne alla singola impresa ma interne al settore (economie di localizzazione) o trasversali a più ambiti produttivi (economie di

4 L’indice di specializzazione è calcolato come rapporto tra la quota su base provinciale degli addetti al tessile–abbigliamento sugli addetti al manifatturiero e quella analoga su base nazionale.

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Fig. 5 Indice di specializzazione provinciale del tessile-abbigliamento (n° addetti)

Fonte: Nostra elaborazione

urbanizzazione). Il senso della localizzazione distrettuale risiede, perciò, nei vantaggi che derivano dalla prossimità fisica tra imprese e lavoratori (contatti face to face) appartenenti alla filiera produttiva allargata: il mercato del lavoro risulta essere molto specializzato, sia dal punto di vista della

domanda che dell’offerta; le conoscenze e le innovazioni si diffondono facilmente in modo informale,

riducendo i costi di transazione tra le imprese che si occupano delle diverse fasi produttive;

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si manifestano economie di scala nella produzione di input intermedi e nel contenimento dei costi di trasporto.

Tab 4. I principali distretti italiani del tessile-abbigliamento

Vicenza Tessile-abbigliamentoPrato Tessile lanieroSan Giorgio Vesuviano Tessile-abbigliamentoBergamo Tessile-abbigliamentoBiella Tessile lanieroBrescia Tessile-abbigliamentoComo Tessile setaArea pedemontana veneta MaglieriaSchio-Thiene-Valdagno TessileAsse del Sempione Tessile cotonieroCarpi Tessile-abbigliamentoLecco Tessile

Fonte: SMI, 2004

Nonostante non esista una rappresentazione geografica unitaria dei confini distrettuali (Istat, Regioni, Ist. Tagliacarne, etc.), si evidenzia una marcata specializzazione nel T/A nelle regioni del Centro-Nord Italia, anche se esistono alcune rilevanti eccezioni nel Mezzogiorno italiano.Infine, ciò che sembra emergere dall’analisi delle tendenze attuali è l’evoluzione del distretto verso forme più agglomerate: ciò emerge sia dalla sempre più diffusa presenza di sistemi coordinati di imprese, caratteristica di imprese di piccole-medie dimensioni che individuano nelle reti di cooperazione il fattore essenziale per la loro competitività, sia osservando la formazione di veri e propri gruppi di imprese.

Tab 5. I gruppi di impresa nel Sistema Moda 1999

Distretti industriali % di imprese appartenentiad un gruppo

Biella 47,7Prato 27,8Como 34,8Vicenza 29,9Modena 23,7Media imprese distrettuali Sistema Moda 31,7

Media Sistema Moda 20,7Media Industria Manifatturiera 24,6

Fonte: Smi, 2004

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Da alcuni anni a questa parte sia i grandi gruppi sia le piccole-medie imprese hanno manifestato la tendenza ad internazionalizzare la produzione, ossia alla frammentazione internazionale del processo produttivo, in cui le attività direzionali a più alto valore aggiunto legate alla progettazione, al disegno dei capi, al controllo qualità vengono svolte direttamente dai committenti italiani, mentre la concreta realizzazione dei prodotti viene eseguita all’estero, grazie alla frammentabilità delle fasi produttive, mettendo così in competizione diretta le imprese italiane di sub-fornitura con quelle estere.A seconda della forma che la frammentazione internazionale della produzione assume (alleanze strategiche, IDE o rapporti di subfornitura per l’acquisto di prodotti progettati dal committente) è possibile distinguere tra la delocalizzazione finalizzata alla riduzione dei costi, per cui le imprese si localizzano in Paesi in cui il costo del lavoro è molto contenuto e il livello di specializzazione basso (imprese cost-oriented), e quella strategica, il cui obiettivo è il presidio rapido ed efficace di mercati di largo consumo che richiedono una produzione localizzata (imprese market oriented). La scelta della strategia dipende dalla complessità del prodotto e, quindi, dalla diversa intensità dei fattori produttivi impiegati, dalla lunghezza del processo di produzione, dall’importanza e dalla conseguente necessaria tutela del marchio, dalla qualità dei materiali impiegati e dai tempi di consegna richiesti. E’ evidente che nella delocalizzazione cost-oriented si manifesteranno costi aggiuntivi di addestramento del personale e di riorganizzazione produttiva che il basso costo del lavoro compensa ampiamente; mentre per quelle market-oriented il vantaggio risiede nel controllo diretto di mercati ricchi (riduzione del time to market). In questo senso, è interessante sottolineare che la delocalizzazione di produzioni tessili, il cui processo produttivo è più complesso e capital-intensive rispetto alla confezione, avviene più spesso tramite IDE, una forma più strutturata e impegnativa per l’impresa rispetto ai rapporti di subfornitura, tipici del settore dell’abbigliamento.

Fig. 6. Evoluzione della struttura localizzativa

Fonte: Smi, 2004

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Fasi intermedie della produzione sono state de-localizzate nei Paesi dell’Est europeo (Romania, Bulgaria) o del Nord Africa (Tunisia, Marocco) in virtù del basso costo del lavoro5; più di recente si sta verificando un progressivo spostamento ad est (Ucraina, Bielorussia, etc.), dove vengono realizzati capi le cui materie prime provengono da altri Paesi (esportazioni temporanee) e poi re-importati in Italia per le fasi finali del processo produttivo, maggiormente capital-intensive, come la tintoria, il lavaggio e il controllo qualità (re-importazioni), dando così origine al traffico di perfezionamento passivo, una particolare forma di commercio di beni intermedi (semilavorati). La quota più rilevante del traffico di perfezionamento passivo è relativo agli scambi tra Romania e Italia: infatti le esportazioni temporanee di prodotti tessili rappresentano il 95% delle esportazioni italiane tessili, mentre l’abbigliamento corrisponde al 92%6; le re-importazioni dell’abbigliamento pesano per il 99% delle importazioni. L’elevata quota di traffico di perfezionamento passivo è legata prevalentemente al basso costo del lavoro rumeno: Eurostat quantifica in 1,5 €/ora il costo medio del lavoro pari a poco più di un quarto di quello polacco e quasi ad un ottavo di quello sloveno.In altri Paesi, come Cina, Thailandia e India viene di norma delocalizzato l’intero ciclo produttivo7, in modo tale da importare prodotti finiti (capispalla, T-shirt e capi in seta). Occorre, però, sottolineare che la Cina non presenta solo il costo del lavoro come fattore competitivo ma, grazie a enormi investimenti in infrastrutture, logistica e tecnologie, ha maturato anche tempi e costi logistici più bassi rispetto ai competitor8.

Fig. 7. Principali flussi commerciali tra Italia e Romania (export)

Fonte: Area studi ICE, 2003

5 L’effetto della delocalizzazione internazionale, dal punto di vista occupazionale, riduce, in Italia, l’occupazione nelle qualifiche più basse e l’aumenta in quelle più elevate.6 Area Studi ICE, I Rapporti economici tra Italia e Romania, tabelle 3 e 4, 20037 Cfr. P.Crestanello, P:E. Dalla Libera, La delocalizzazione produttiva all’estero nell’industria della moda: il caso di Vicenza, Economia e Società Regionale, 2,20038 Cfr. Mauro Lombardi, I° Convegno sulla PMI, Firenze 2005

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Fig. 8. Principali flussi commerciali tra Italia e Romania (import)

Fonte: Area studi ICE, 2003

La strategia della de-localizzazione non è, però, perseguita da imprese di fascia alta. In questo caso, l’elevato valore della merce prodotta, legato al contenuto moda e alla ricerca continua di innovazione, impone una forte difesa del marchio e rende necessario avvalersi di personale altamente qualificato. La imprese di alta gamma producono, dunque, direttamente in Italia, oppure operano in conto terzi su scala territoriale locale, dove la tradizione sartoriale è ancora solida.

Fig. 9. Esportazioni temporanee e re-importazioni dal ’91 al 2002 in Italia

Fonte: TEDIS, 2004

Infine, occorre anche considerare che, collegati alla de-localizzazione produttiva, si manifestano flussi di scambio legati all’esportazione di macchinari tessili: nel 2004 la produzione italiana è stata di 2,9 miliardi di euro, 3/4 della quale oggetto di esportazione in oltre 100 Paesi. La quantità maggiore di export (40%) è andata ai Paesi dell’Asia e a quelli dell’Europa dell’Est (26%), dove appunto la produzione tessile è in forte incremento.

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Fig. 10. Export di macchinari tessili per area geografica

Fonte: ACIMIT (Italian Textile Machinery), 2004

4. I servizi logistici di supporto

Una indagine preliminare ha consentito di individuare 15 imprese che offrono servizi logistici per la filiera del T/A, che sono quindi state oggetto di indagine diretta al fine di comprendere caratteristiche e modalità dei servizi prestati. Un terzo di queste si definisce nella categoria degli “spedizionieri”, sei sono imprese di trasporto e logistica e le rimanenti quattro effettuano servizi di intermodalità e terminalismo portuale. In generale, quasi tutte queste imprese dichiarano di essere in una fase di ampliamento della loro offerta di servizi per meglio posizionarsi sul mercato dell’outsourcing.Con riferimento a questa tendenza di mercato, le imprese del campione si possono altrimenti classificare, in base a due sole variabili chiave: a) la varietà (numerosità) delle funzioni svolte lungo il processo logistico e b) la numerosità delle filiere nelle quali operano. La riclassificazione, effettuata sulla base del modello interpretativo qui adottato9, evidenzia che la metà delle imprese si colloca nel quadrante degli integratori logistici, un terzo in quello degli operatori tradizionali, due imprese si qualificano come integratori di filiera e una come subfornitrice di servizi (operatore logistico privo di una propria programmazione del servizio).L’esistenza di integratori logistici di filiera, in genere imprese di media dimensione, e la creazione di divisioni aziendali o società controllate specializzate nel segmento fashion da parte di alcuni integratori logistici dimostrano, da una parte, il rilevante peso produttivo che la filiera del T/A assume all’interno dell’economia italiana; dall’altra, che il T/A presenta delle specificità legate al trasporto di capi appesi e alla stagionalità dei prodotti, per cui si rende necessario fornire servizi accessori dall’elevato valore aggiunto. Occorre anche considerare la rilevante quota degli operatori tradizionali che offrono un solo servizio, per es. il trasporto, per una varietà di filiere, avvalendosi anche di piccole imprese di subfornitura.

9 Per una trattazione più ampia, si rimanda al testo: F. Boscacci, La nuova logistica. Una industria in formazione tra territorio, ambiente e sistema economico, Egea, Milano, 2003.

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Fig. 11. Distribuzione del panel di imprese per tipologia di operatore

Fonte: Nostra elaborazione

Dall’indagine emerge un dato interessante: 2/3 delle imprese intervistate fanno parte di un gruppo imprenditoriale, nella maggioranza dei casi di origine italiana; per 4 delle imprese intervistate il gruppo ha invece origine nei Paesi di maggior tradizione logistica: Olanda, Germania e Belgio. Queste ultime, hanno costituito divisioni fashion specializzate per ciascuna delle filiere interessate all’interno delle proprie controllate/filiali in Italia. In questo modo, i servizi logistici erogati si possono avvalere sia delle normali e forti sinergie di impresa (economie di scopo o di scala nella gestione delle strutture), che dello specifico know-how di filiera. Indubbiamente, appare questo il miglior modo per l’accompagnamento del cliente sui mercati globali e quindi per la sua fidelizzazione. Come si vedrà nell’analisi delle singole risposte, è questa anche la situazione migliore per l’innovazione dei servizi offerti.Dall’analisi del fatturato emerge che 7 delle imprese intervistate, appartenenti ad un gruppo, sono di medie-grandi dimensioni, con valori di fatturato superiori a 100 milioni di euro. In particolare, gli integratori logistici con un fatturato superiore a 500 milioni di euro sono gruppi, presenti su tutti i mercati mondiali, che svolgono attività a valore aggiunto.I servizi tradizionali come quelli di trasporto e magazzinaggio sono offerti dalla quasi totalità delle imprese intervistate, mentre quelli legati alla specificità della filiera del T/A: lavorazioni accessorie come la stiratura o il ricondizionamento dei capi, sono forniti da 1/3 degli operatori; mentre altri servizi aggiuntivi quali il confezionamento, l’etichettatura, l’imballaggio vengono svolti da circa i 2/3 degli intervistati.

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Fig. 12. Frequenza nell’offerta delle diverse tipologie di servizi

Fonte: Nostra elaborazione

E’ così confermata la prevista evoluzione verso la logistica integrata: gli operatori si stanno organizzando per offrire servizi a maggior valore aggiunto in grado di rispondere alle specifiche esigenze dei propri clienti, come ad es. è accaduto per i servizi di tracking e tracing, ormai sempre più diffusi. Come si può vedere anche dalla fig. 26, l’offerta completa di servizi (ad alto valore aggiunto) è considerata una leva importante per l’aumento dei volumi di vendita (il 40% delle imprese intervistate lo reputa un fattore di grande rilevanza); d’altra parte, è chiaro che per svolgere alcune attività è necessario sia un know-how specialistico, sia un volume d’affari che giustifichi tali investimenti oppure lo sfruttamento di economie di scala e di scopo anche rispetto ad altre filiere produttive. Dall’indagine svolta non appare evidente una relazione diretta tra la dimensione dell’impresa e l’offerta di servizi a maggior valore aggiunto, anche se si conferma che le imprese in grado di offrire questi servizi sono integratori logistici e di filiera per i quali il T/A rappresenta un’importante fetta di mercato.Gli integratori logistici e di filiera presentano, però, una maggiore sensibilità rispetto agli operatori tradizionali verso fattori di competitività più sistemici come l’ottimizzazione e l’integrazione del processo logistico e sottolineano l’importanza dell’innovazione tecnologica e di un elevato grado di know-how, inteso non solo come competenze specifiche nel T/A, ma anche come know-how aziendale.Per tutti gli operatori intervistati, i fattori di competitività fondamentali risultano essere: a) puntualità; b) sicurezza del carico; c) velocità nella presa-consegna della merce e d) copertura globale del mercato.

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In altri termini, si conferma nelle interviste il giudizio generale sui servizi logistici per beni a medio e alto valore aggiunto: più che del prezzo del servizio le imprese del T/A sono interessate alla qualità dello stesso.

Fig. 13. Fattori di competitività

Fonte: Nostra elaborazione

Come già evidenziato nel primo capitolo, l’area geografica di riferimento della filiera del tessile-abbigliamento è globale. I maggiori mercati in import sono i Paesi del Far East (47%) ed in particolare la Cina, seguiti da India (20%) e Paesi dell’Africa del Nord, a basso costo del lavoro, mentre quelli in export sono i mercati ricchi dell’Europa Centrale (Germania, Francia e Svizzera) (73%), degli USA (33,3%), del Giappone (20%), di Australia e Paesi del Golfo Persico.A questo proposito, la capacità di presidio di alcune tratte commerciali risulta essere uno dei fattori principali considerati per la scelta dell’operatore logistico: molto spesso le imprese manifatturiere affidano a differenti operatori le diverse fasi della supply chain: dapprima mettono in competizione le varie imprese per ottenere migliori condizioni contrattuali e, una volta definiti gli interlocutori, cercano di costituire una rete sinergica.Un’ulteriore dimensione di mercato è legata alla tipologia di clienti per cui i logistici operano: molti producono servizi per imprese di grandi dimensioni proprietarie di marchi, mentre solo 4 operatori su 11 sono in rapporto con le PMI. Ciò è dovuto alle caratteristiche della domanda e alla frammentazione della supply chain, per cui esistono poche imprese di grandi dimensioni, una grande quantità di piccole aziende terziste che non si occupano direttamente dei rapporti con l’operatore logistico e imprese distrettuali

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che interagiscono a livello di sistema con un logistico, anche se questi ultimi dichiarano di non aver predisposto servizi su misura per i distretti.

Fig. 14. I principali mercati di import ed export

Fonte: Nostra elaborazione

Alcune imprese, per lo più integratori logistici che si occupano anche di corrieristica, effettuano consegne in ambito urbano dove dichiarano di essere soggette ai noti problemi di congestione, imposizione di finestre orarie di accesso e difficoltà di pianificazione delle consegne ai commercianti. Lamentano inoltre la scarsità di piazzole di carico-scarico e le condizioni non adeguate dell’attuale sistema infrastrutturale.Emerge inoltre che la gran parte (il 72%) delle imprese di logistica ha contratti di fornitura di servizi di tipo continuativo dal momento che, per poter operare in questa filiera produttiva, sono necessari investimenti ad hoc: ad es. per i mezzi dedicati al trasporto di capi appesi o per attrezzature speciali di magazzino.

Fig. 15. Principali clienti delle imprese logistiche

Fonte: Nostra elaborazione

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Ne consegue la necessità da parte dei logistici di operare secondo programmi di medio-lungo periodo in modo tale da poter ammortizzare il costo degli investimenti. Infine, è da notare la tendenza, già evidente da qualche anno, per una crescente integrazione tra cliente e fornitore logistico finalizzata alla ottimizzazione dell’intero processo produttivo/distributivo attraverso l’impiego di sistemi hardware e software unificati.

Fig. 16. Presenza di software unificato logistico- cliente

Fonte: Nostra elaborazione

Nonostante l’elevato livello di integrazione raggiunto con i propri clienti, per la comunicazione degli ordini una quota rilevante degli operatori logistici utilizza esclusivamente strumenti tradizionali come il telefono o il fax (66,7%). La posta elettronica è lo strumento di contatto più utilizzato (93,3%), ma le relazioni intranet sono ancora poco diffuse (26,7%). La tendenza per il futuro, vista anche l’evoluzione della tecnologia informatica, è verso l’impiego di portali Internet che consentano di usufruire di servizi aggiuntivi quali il tracking ed il tracing, oltre alla consueta gestione degli ordini.

Tab. 6: Strumenti di gestione degli ordini dei clienti

Strumenti N° imprese Peso% sul campioneMarket place 2 13,3EDI 4 26,7Internet 6 40,0Strumenti tradizionali (tel., fax) 10 66,7E-mail 14 93,3Fonte: Nostra elaborazione

Una delle variabili maggiormente significative per l’operatore logistico è la scelta localizzativa della propria base: il 46% delle imprese dichiara che il driver fondamentale è costituito dalla facilità di accesso ai nodi infrastrutturali; per il 27% di esse è la vicinanza ai mercati; mentre il 20% degli intervistati non si è localizzato secondo una logica di tipo economico, ma riutilizzando spazi precedentemente occupati da altre società di logistica. Di notevole importanza risulta anche la costituzione di un network globale di filiali in modo da operare capillarmente sui mercati, consentendo di seguire al

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meglio l’andamento della domanda di import e di export, come dimostrano alcune delle imprese intervistate che hanno potenziato le proprie basi del Far East.

Fig. 17. Strumenti di gestione degli ordini dei clienti

Fonte: Nostra elaborazione

Al fine di comprendere quale sia la percezione degli operatori logistici circa la situazione attuale e quella futura, è stato chiesto di evidenziare quali siano i punti di forza e debolezza della propria impresa e, in un’ottica di più lungo periodo, quali le minacce e le opportunità. Dalla fig 18 emerge che i punti di forza maggiormente significativi per tutte le categorie di operatore sono: a) ampia gamma dei servizi offerti (53,3%), b) la copertura globale (46,7%) del mercato, c) la flessibilità nel rispondere alle diverse esigenze del manifatturiero (33,3%), d) il know-how specialistico (26,7%); e) la qualità del servizio offerto (20%). In particolare, gli integratori logistici considerano che i propri punti di forza rispetto alle altre categorie siano la varietà dei servizi (75%) e la copertura globale (57%); mentre per gli integratori di filiera sono fondamentali la specializzazione e la flessibilità.

Fig. 18. Punti di forza impresa/settore

Fonte: Nostra elaborazione

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Per gli operatori tradizionali è invece sostanziale il presidio di mercato di più filiere e produzioni.

Fig. 19. Punti di debolezza impresa/settore

Fonte: Nostra elaborazione

I punti di debolezza evidenziati dalla maggior parte degli operatori sono legati all’aumento dei costi fissi ad oggi ritenuti troppo elevati (20%) e alle ridotte dimensioni aziendali10 (20%), a cui deve essere aggiunta una certa difficoltà di interazione con i clienti (13,3%), legata all’esclusività nel rapporto con società manifatturiere proprietarie di marchi noti e alla difficoltà di integrazione/comunicazione di informazioni.

Fig. 20. Opportunità impresa/settore

10 In realtà, la dimensione aziendale ridotta è percepita sia come un vantaggio, perché consente flessibilità alle esigenze del cliente, sia come una debolezza, perché non permette di essere pienamente competitivi, soprattutto con alcune grosse società internazionali.

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Fonte: Nostra elaborazione

Le opportunità individuate dalla maggioranza degli operatori sono legate al presidio dei mercati emergenti/siti produttivi, in particolare di Cina e Paesi dell’Est europeo (53,3%) e alla fornitura di servizi innovativi (40%), a maggior valore aggiunto, connessi anche all’offerta di servizi di logistica integrata (20%).

Fig. 21. Minacce impresa/settore

Fonte: Nostra elaborazione

Le minacce più concretamente avvertite dagli operatori logistici riguardano l’eccessiva concorrenza (20%), legata sia all’elevata frammentazione del mercato (20%), che alla presenza di multinazionali (13,3%), nonché alla difficile situazione economica italiana (20%) a cui consegue un calo dei consumi. Come emerge dalle interviste, le imprese ritengono fondamentale che il Governo intraprenda politiche a sostegno diretto della competitività dell’intero sistema Paese. In particolare, sono evidenziate la necessità di riqualificare le infrastrutture di trasporto (33%) ed interventi per una maggior concorrenza interna al settore (33%). Il 13% degli intervistati, in particolare operatori marittimi e ferroviari, sottolineano la forte necessità di incrementare i volumi di merce movimentata via ferrovia e via mare.

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5. Considerazioni conclusive

A fronte delle situazioni contingenti e prospettiche, gli intervistati hanno espresso opinioni precise circa i supporti che pensano di chiedere agli organi di governo. Non chiedono incentivi fiscali: sono tutti coscienti che la battaglia competitiva può essere vinta se si sprigionano le loro proprie forze imprenditoriali e non già per effetto di una qualche temporanea beneficenza dello Stato. Semmai, come sentito da tutte le imprese di ogni settore produttivo, chiedono un minor carico fiscale e contributivo per contenere il costo del lavoro senza gravare ulteriormente sulle condizioni della manodopera impiegata.Chiedono invece un intervento dell’Unione Europea sulla regolazione del commercio internazionale e in particolare sulle importazioni dai Paesi sospetti di attuare il dumping economico e quello sociale e sono inoltre assai sensibili al tema delle infrastrutture. Per quanto riguarda l’innovazione, gli operatori logistici manifestano intenzioni più avanzate di quanto il mercato attualmente non richieda. Sono infatti ancora iniziali le applicazioni dell’info-telematica per la tracciabilità dei prodotti e la gestione dei magazzini, ma si prevede che questa tecnologia sarà fondamentale per perfezionare la gestione delle sempre più complesse supply chain di queste filiere.In vista di ciò, appare a tutti evidente la necessità di attivare studi e sperimentazioni di tipo esemplare, da diffondere poi all’intero sistema, nei tempi più brevi possibili, dato il tipo di congiuntura che, soprattutto in questo campo, si sta svolgendo.

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