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IsPIRIaMocI agLI InsEgnaMEntI DI MaRx PER DEnuncIaRE ...sione di Renzi di preparare e prima o poi...

Date post: 16-Aug-2020
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Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XXXX - N. 12 - 24 marzo 2016 A RICCIONE IN OCCASIONE DEL 133° ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA DEL GRANDE MAESTRO DEL PROLETARIATO INTERNAZIONALE I marxisti-leninisti dell’Emilia-Romagna commemorano Marx attorno al suo busto PROVOCATORIA IDENTIFICAZIONE DEI COMPAGNI DA PARTE DELLE “FORZE DELL’ORDINE” Discorso del Responsabile del PMLI per l’Emilia-Romagna alla commemorazione del grande Maestro del proletariato internazionale a Riccione il 13 marzo 2016 ISPIRIAMOCI AGLI INSEGNAMENTI DI MARX PER DENUNCIARE, SMASCHERARE E COMBATTERE IL CAPITALISMO, PER IL SOCIALISMO SOTTOSCRIVI PER LA CAMPAGNA PER IL AL REFERENDUM CONTRO LE TRIVELLAZIONI Se non puoi partecipare personalmente alla campagna del PMLI per il Sì al referendum contro le trivellazioni, ti invitiamo calorosamente a sottoscrivere per il Partito attraverso il conto corrente postale n. 85842383 intestato a: PMLI - Via A. Del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Nella causale scrivere: donazione per il Sì al referendum. Grazie di cuore. PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE -- Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] -- www.pmli.it Al referendum del 17 aprile per salvaguardare la salute la natura e l’ambiente per le energie rinnovabili AL VERTICE ITALO-FRANCESE DI VENEZIA Renzi e Hollande: “Il tempo non è infinito” Manifestazione dei No Tav, No Triv e No Grandi navi Dibattito in parlamento sulla Libia GENTILONI: L’INTERVENTO MILITARE CI SARÀ SU RICHIESTA DEL GOVERNO LIBICO Napolitano: “Non generare l’illusione che non avremo mai, nel nostro futuro, la possibilità di intervenire con le nostre Forze armate” ALL’ASSEMBLEA COSTITUENTE TRAMITE TOGLIATTI E DI VITTORIO Il PCI e la CGIL si accodarono alla DC sugli articoli 39 e 46 della Costituzione per integrare i lavoratori e il sindacato nello Stato borghese e nel capitalismo Tanti gli striscioni e le immagini contro il governo Renzi 30 CITTA’ IN PIAZZA CONTRO L’INTERVENTO DI GUERRA IN LIBIA A Catania e a Biella il PMLI esprime il suo antimperialismo e il sostegno allo Stato islamico Opponiamoci alla guerra imperialista e appoggiamo lo Stato islamico che ne è il bersaglio A Firenze e Borgo San Lorenzo VOLANTINAGGI PER L’8 MARZO DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO INSODDISFACENTE POCHE TUTELE PER I LAVORATORI AUTONOMI Nella maggior parte dei casi svolgono un lavoro precario e a basso reddito Riccione (Rimini), 13 marzo 2016. L’omaggio del PMLI e il cartello “con Marx per sem- pre” accanto al monumento a Marx durante la comme- morazione organizzata dal PMLI (foto Il Bolscevico) “Maternità surrogata”, un diritto civile da conquistare PAG. 10 PAG. 11 PAGG. 10-11 PAG. 3 PAG. 3 PAG. 4 PAG. 2 PAG. 6 PAG. 5 PAGG. 7-9 Per le emissioni nocive dell’Ilva di Taranto SOTTO PROCESSO VENDOLA E I RIVA PAG. 5
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Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XXXX - N. 12 - 24 marzo 2016

A Riccione in occAsione del 133° AnniveRsARio dellA scompARsA del gRAnde mAestRo del pRoletARiAto inteRnAzionAle

I marxisti-leninisti dell’Emilia-Romagna commemorano Marx attorno al suo bustoProvocatoria identificazione dei comPagni

da Parte delle “forze dell’ordine”

Discorso del Responsabile del PMLI per l’Emilia-Romagna alla commemorazione del grande Maestro del proletariato internazionale a Riccione il 13 marzo 2016

IsPIRIaMocI agLI InsEgnaMEntI DI MaRx PER DEnuncIaRE,

sMaschERaRE E coMbattERE IL caPItaLIsMo, PER IL socIaLIsMo

SottoScrivi per la

campagna per il Sì al referendum contro

le trivellazioniSe non puoi partecipare personalmente alla campagna del PMLI

per il Sì al referendum contro le trivellazioni, ti invitiamo calorosamente a sottoscrivere per il Partito attraverso il conto corrente postale n. 85842383 intestato a: pmli - via A. del pollaiolo, 172a - 50142 FiRenze

Nella causale scrivere: donazione per il Sì al referendum. Grazie di cuore.

PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO

Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE -- Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] -- www.pmli.it

Al referendum del 17 aprileper salvaguardare la salute

la natura e l’ambienteper le energie rinnovabili

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Renzi e hollande: “Il tempo non è infinito”

manifestazione dei no tav, no triv e no grandi navi

Dibattito in parlamento sulla Libia

Gentiloni: l’intervento militare ci sarà su richiesta

del Governo libiconapolitano: “non generare l’illusione che non avremo mai, nel nostro futuro, la

possibilità di intervenire con le nostre forze armate”

aLL’assEMbLEa costItuEntE tRaMItE togLIattI E DI vIttoRIoIl PcI e la cgIL si accodarono alla Dc sugli articoli 39 e 46 della costituzione per integrare i lavoratori e il

sindacato nello stato borghese e nel capitalismo

tanti gli striscioni e le immagini contro il governo Renzi

30 citta’ in piazza contro l’intervento

di Guerra in libiaa catania e a Biella il Pmli esprime il suo antimperialismo

e il sostegno allo Stato islamico

opponiamoci alla guerra imperialista e appoggiamo lo

stato islamico che ne è il bersaglio

a firenze e borgo san Lorenzo

volantinaGGi per l’8 marzo

DIsEgno DI LEggE DEL govERno InsoDDIsfacEntE

poche tutele per i lavoratori autonominella maggior parte dei casi svolgono un lavoro precario e a basso reddito

Riccione (Rimini), 13 marzo 2016. L’omaggio del PMLI e il cartello “con Marx per sem-pre” accanto al monumento a Marx durante la comme-morazione organizzata dal PMLI (foto Il Bolscevico)

“Maternità surrogata”, un diritto civile da

conquistare

Pag. 10

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Pagg. 10-11

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Per le emissioni nocive dell’Ilva di taranto

sotto PRocEsso vEnDoLa E I RIva

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2 il bolscevico / guerra imperialista alla libia N. 12 - 24 marzo 2016

OppOniamOci alla guerra imperialista e appOggiamO lO statO

islamicO che ne è il bersagliOSabato 12 marzo si sono

svolte in 30 città italiane ma-nifestazioni, cortei e sit-in antimperialisti, anche davan-ti a basi Nato e altre installa-zioni militari, nell’ambito di una “Giornata di mobilitazio-ne contro la guerra” indetta dal Coordinamento contro la guerra, le leggi di guerra, la Nato”. Un’iniziativa di mobi-litazione quanto mai oppor-tuna, in un momento in cui il nuovo duce Renzi sta inten-sificando i preparativi per un intervento armato in Libia, mentre le masse popola-ri italiane sono frastornate e disorientate dalla propagan-da del governo e dei mass-media di regime, tesa a far loro accettare passivamente un’entrata in guerra dell’Ita-lia mascherata da intervento di “pace” in nome della “sicu-rezza” e della lotta al “terrori-smo” di matrice islamica.

Sostanzialmente condivi-sibili sono anche le rivendi-cazioni politiche contenute nell’appello alla mobilitazio-ne, tra cui “la fine immediata di ogni partecipazione italia-na alle guerre in corso, con il ritiro delle truppe da esse e il ripristino dell’articolo 11 della Costituzione”, “lo smantella-mento delle basi e delle ser-vitù militari”, “l’uscita dell’I-talia dalla Nato e da ogni alleanza di guerra”, “la fine delle politiche persecutorie e xenofobe contro i migranti” e la cancellazione delle leg-gi eccezionali e dello stato di polizia imposte in tutta Euro-pa “nel nome della guerra al terrorismo”.

Condivisibile è anche la denuncia, con cui si apre il documento, che “il no-stro paese è in guerra”, così come la messa in guardia delle masse che “la deci-sione di Renzi di preparare e prima o poi fare la guerra in Libia ci espone a tutti i ri-schi terribili che abbiamo vi-sto realizzarsi in altri paesi”. Non siamo invece d’accor-do sull’analisi politica delle cause che stanno alla base di questa guerra e delle for-ze in campo, a proposito del-le quali riscontriamo non po-che ambiguità e tesi errate e fuorvianti su cui occorre fare chiarezza, proprio per non prestare il fianco a quel “muro di bugie della propa-ganda del circo mediatico di regime” che pure gli esten-sori dell’appello affermano di voler rompere con questa mobilitazione.

E chiarezza si fa comin-ciando intanto a chiamare le cose col loro vero nome, cioè chiamandola guerra di aggressione imperialista, e non genericamente guer-ra, quella che Renzi sta per lanciare contro la Libia. Non è solo un problema di nomi ma un criterio rigoroso per inquadrare nella giusta pro-

spettiva economica, politica e storica – noi diciamo se-condo l’analisi marxista-le-ninista – questa guerra che non si può ridurre, come suggerisce confusamente l’appello, a “guerra di ege-monia e sopravvivenza”, nel quadro della “competizione tra potenze”.

Quali sono le due forze in campo

Le parole hanno la loro importanza. Se non si chia-risce che questa di Renzi, che sta calcando le orme del suo predecessore e maestro Mussolini, è una guerra im-perialista in senso classico, per conquistare nuovi spa-zi all’imperialismo italiano nella sua sfera di espansio-ne storica del Mediterraneo e del Nord-Africa – non solo in termini geo-politici e mili-tari, ma anche economici, di fonti energetiche, di ma-terie prime e di mercati – si rischia di lasciare ampi var-chi di ambiguità alla propa-ganda di regime per farla ac-cettare alle masse come una sorta di guerra inevitabile di “difesa” (o di “sopravviven-za”, appunto) dalla “minac-cia terroristica” al nostro Pa-ese. Poco importa a questo punto controbattere tale ar-gomento lamentando che la minaccia sia stata provoca-ta a sua volta da preceden-ti interventi delle “potenze in competizione” tra di loro.

Ma se questa è una guer-ra di aggressione imperiali-sta, occorre anche dire chia-ramente chi è l’aggredito. Certamente il popolo libico in generale, ma sappiamo bene che sul piano militare il nemico giurato da battere della coalizione imperialista che l’Italia aspira a coman-dare in Libia è lo Stato isla-mico. Di fatto, piaccia o non piaccia, è l’IS l’unica forza in campo che si oppone militar-mente alle potenze imperia-liste: in Libia come in Siria, in Iraq come in altre zone del Medio Oriente e dell’Africa.

Dunque è lo Stato islamico l’aggredito, il bersaglio del resto dichiarato della nuova guerra imperialista che Ren-zi sta per scatenare in Libia, e contro la quale si chiama-no giustamente gli antimpe-rialisti e i pacifisti a mobilitar-si.

Ma su questo punto fon-damentale l’appello è vo-

lutamente lacunoso, lad-dove accenna appena alla “espansione dell’IS” tra le nefaste conseguenze del-le “guerre per procura suc-cessive alle primavere ara-be”. In questo modo cerca di evitare di prendere posizio-ne tra le due forze in cam-po: la santa alleanza impe-rialista occidentale, a cui si è aggiunta anche la Russia del nuovo zar Putin, e lo Sta-to islamico. Ma così facendo si finisce per coprire nei fatti quell’intervento che si rifiuta a parole.

Un rischio questo che si

fa certezza se si vanno a ve-dere le posizioni più artico-late espresse sull’argomen-to da alcune forze aderenti all’appello, come per esem-pio il sito Peacelink.it, che si chiede esplicitamente cosa si può fare “per fermare i mi-liziani dell’Isis, già impiantati in alcune città libiche”. Dan-do quindi per scontato, sen-

za peraltro spiegare il per-ché, che lo Stato islamico sia da considerare un nemi-co da estirpare, esattamente come sostiene la coalizione imperialista. Sia pure senza bombardamenti e solo con sanzioni ai “sei paesi man-danti dell’Isis”.

O, peggio ancora, sem-pre su peacelink.it ma an-che su altri siti, con gli artico-li del professore californiano, attivista della Rete No War, Patrick Boylan, che sostie-ne addirittura la falsa e fuor-viante tesi trotzkista e dei fal-si partiti e gruppi comunisti

che lo Stato islamico sareb-be stato creato e foraggia-to appositamente dall’Occi-dente per dargli il pretesto di invadere i paesi del Medio Oriente. Oppure si danno pericolose patenti di credi-bilità a superpotenze impe-rialiste come Russia e Cina, come fa il sito sibialiria.org, perché insieme ai cinque pa-esi dell’Alleanza bolivariana per l’America-Alba, più Iran, Bielorussia, Zimbabwe, Co-rea del Nord e governo si-riano di Assad, le dette su-perpotenze “sono stati gli unici al mondo a votare con-tro una risoluzione dell’Ara-bia Saudita, che condanna le sole violenze governative e propone l’appoggio all’op-posizione siriana in nome della protezione della popo-lazione”.

appoggiare chi si oppone

all’imperialismoQueste posizioni rischia-

no di disorientare e disarma-re i movimenti antimperiali-sti e pacifisti e portano solo l’acqua al mulino di Renzi e dei guerrafondai, che basa-no proprio sulla demonizza-zione dell’IS come “nemico dell’umanità”, a prescindere da qualsiasi altra considera-zione, il tentativo di creare un consenso di massa alla nuova avventura imperiali-sta in Libia.

Ma se si ragiona con la propria testa, senza lasciar-si ingannare dall’asfissian-te propaganda imperialista, non si può non prendere atto che l’IS è l’unica realtà che si oppone oggettivamente

all’imperialismo. In Iraq e in Siria ha un territorio e ammi-nistra uno Stato e una popo-lazione, e in Libia ha un for-te seguito in alcune zone e tra alcuni strati della popola-zione. Lo ammettono anche alcuni osservatori occidenta-li, che cominciano ad affac-ciare la proposta che l’uni-co modo per far cessare gli attentati terroristici è quello di smetterla coi bombarda-menti, che del resto servono solo a massacrare e terro-rizzare le popolazioni iner-mi e a provocare esodi bibli-ci, riconoscere il suo diritto di ridiscutere i vecchi asset-ti geopolitici imposti dalle po-tenze coloniali e trattare con esso per far cessare il con-flitto.

Si può non condividere, come noi non condividiamo assolutamente, l’ideologia, la cultura, la strategia, certi metodi di lotta, certe azioni e gli obiettivi dello Stato isla-mico, ma occorre compren-dere che è l’imperialismo il vero nemico dei popoli, la vera causa di tutte le guerre, la barbarie che genera ogni barbarie.

Perciò opporsi alle guerre imperialiste è giusto, ma non basta. Affinché questa lotta sia efficace, come dimostra l’esperienza storica delle lot-te anticolonialiste e di libe-razione, dall’Algeria, al Viet-nam, alla Palestina, bisogna anche appoggiare chi ne è il bersaglio, in questo caso lo Stato islamico. Anche se queste guerre vengono estese per ritorsione dentro gli stessi paesi imperialisti attraverso attentati terroristi-ci. Anzi, proprio per evitare o far cessare queste ritorsioni.

Libano, 22 dicembre 2015. Il nuovo duce Matteo Renzi sfoggia la tuta mimetica all’incontro con i militari italiani

Roma, 12 marzo 2016. Il corteo contro la guerra attraversa il quartiere di Cinecittà

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N. 12 - 24 marzo 2016 guerra imperialista alla libia / il bolscevico 3Al vertice itAlo-frAncese di veneziA

renzi e Hollande: “il tempo non è infinito”Manifestazione dei No Tav, No Triv e No Grandi navi

Il vertice lampo dell’8 Mar-zo a Palazzo Ducale a Vene-zia tra il primo ministro italiano Matteo Renzi e il presidente francese Françoise Hollande ha avuto tra i principali argo-menti in discussione quello della crisi libica, nella quale i due paesi imperialisti sono fra i più coinvolti e si trovano da una parte uniti nella determi-nazione a combattere contro lo Stato islamico ma dall’altra in concorrenza per la sparti-zione delle aree di influenza e dello sfruttamento delle fonti energetiche. Entrambi, come i pure i compari imperialisti Usa e Gran Bretagna, hanno già in azione sul terreno uomini dei servizi o dei reparti speciali e al momento hanno bisogno di un invito ufficiale, di una co-pertura legale, pur farlocca, per dare il via al massiccio in-tervento militare a guida italia-na in preparazione da tempo. Fra gli altri argomenti del verti-ce quello della riconferma del-la Tav tra Torino e Lione.

La situazione in Libia non è molto diversa da quella di un anno fa ma i paesi impe-rialisti impegnati nelle guer-re nell’area mediterranea e mediorientale hanno deciso di spostare in questo paese il centro dell’attacco e dato il

via alla campagna propagan-distica per preparare le masse popolari se non a sostenerlo quantomeno a non ostacolar-lo. Messa una toppa alla cri-si siriana con una fantomatica tregua, che permette alla Tur-chia di Erdogan di continuare impunemente la sua guerra e a colpire i curdi in Siria e Iraq, sembra ora il momento della Libia e del suo petrolio.

Così Hollande affermava che “dobbiamo agire, l’Euro-pa deve agire, i nostri paesi devono lottare contro il terro-rismo, bisogna sorvegliare un certo numero di spostamenti dei foreign fighters che minac-ciano i nostri Paesi. Faremo di tutto affinché in Libia ci sia un governo che possa fare ap-pello alla comunità internazio-nale in modo che gli sia dato un sostegno per la sicurezza”. Appunto, un governo libico che serva anzitutto a chiede-re l’aiuto dei paesi imperialisti.

“Vorremmo fare di tutto in Libia per la creazione di un governo. Ma la lotta contro Daesh (lo Stato islamico, ndr) deve essere portata avanti” aggiungeva il presidente fran-cese per avvisare i due gover-ni libici di Tripoli e di Tobruk a mettere fine alle scaramucce e ad approvare il governo di

unità nazionale definito ora-mai tre mesi fa sotto l’egida dell’Onu. Altrimenti l’interven-to ci sarà lo stesso in nome della guerra allo Stato islami-co.

In maniera meno esplicita ma con la stessa sostanza di Hollande si esprimeva il nuo-vo Mussolini Renzi impegna-to a lanciare l’Italia per la ter-za volta nella sua storia in una sciagurata avventura imperia-lista e neocolonialista in Libia. “La formazione di un governo

in Libia è la priorità per il po-polo libico – affermava Ren-zi che già considera il paese un protettorato italiano e si ar-rogava il diritto di parlare per conto del popolo libico - e no-nostante le difficoltà anche di oggi la comunità internaziona-le farà di tutto perché il gover-no ottenga la fiducia” e inizi a lavorare in tempi brevi. E am-moniva: “i libici per primi devo-no sapere che il tempo a loro disposizione non è infinito”. Il termine ultimo potrebbe esse-

re la primavera, da mesi indi-cato dalla ministra della Guer-ra Roberta Pinotti, in sintonia coi colleghi guerrafondai dei paesi imperialisti.

Diverse centinaia di mani-festanti hanno partecipato la mattina dell’8 Marzo alle ini-ziative organizzate contro il vertice dai No Grandi navi, il gruppo che si oppone al pas-saggio delle grandi navi nella laguna veneziana, dai No Tav, che si oppongono alla realiz-zazione della linea ferrovia-

ria ad alta velocità tra Torino e Lione e dai No Triv che prote-stano contro le estrazioni pe-trolifere.

“Manifestiamo contro un vertice che non vogliamo, in cui verranno stretti accor-di che non vogliamo. Renzi e Hollande parleranno di guerra in Libia, dell’inutile alta veloci-tà tra Torino e Lione, di gran-di opere. Noi non le vogliamo, queste grandi opere ed è un insulto che ne vengano a par-lare qui, dove stiamo ancora pagando la più inutile di tutte le grandi opere, il Mose”, di-chiarava un esponente dei No Grandi navi durante il corteo che ha sfilato per 5 chilome-tri, dalla stazione fino a Punta della Dogana; il corteo aveva l’autorizzazione a passare da-vanti a Palazzo Ducale, sede del vertice pomeridiano ma dall’altra parte del Canal Grande. Una metà dei mani-festanti non sfilava in corteo ma saliva su numerosi bar-chini che cercavano di entra-re nella proibita “zona rossa” costruita dalla polizia attorno alla sede del vertice nel ba-cino di San Marco. I barchini erano respinti con getti d’ac-qua e speronamenti da parte dei mezzi d’acqua delle “forze dell’ordine”.

dibattito in parlamento sulla libia

Gentiloni: l’intervento militare ci sarà su richiesta del Governo libico Napolitano: “Non generare l’illusione che non avremo mai, nel nostro futuro, la possibilità di intervenire con le nostre Forze armate”

Dopo le rivelazioni sul-la concessione segreta del-la base di Sigonella ai voli dei droni armati americani, le di-chiarazioni del capo del Penta-gono e dell’ambasciatore Usa sul via libera alla guida italiana dell’intervento internazionale, le rivelazioni su un’imminen-te incursione di forze speciali italiane in Libia deciso diretta-mente da Renzi in base a un decreto speciale secretato, l’uccisione di due dei quattro tecnici rapiti lo scorso luglio, e chi più ne ha più ne metta, alla fine il governo si è deciso a rispondere alle sollecitazio-ni del parlamento affinché non si continuasse a fare e disfare piani di guerra senza neanche degnarsi di informarlo.

Perciò il 9 marzo il ministro degli Esteri, Paolo Gentilo-ni, si è recato prima in Sena-to e poi alla Camera, mentre la ministra della Difesa Pinot-ti ha riferito davanti al Comi-tato parlamentare per i servi-zi segreti (Copasir). Ma solo per un’“informativa urgente”, senza votazione finale su una qualunque mozione, a confer-ma di quanto il parlamento sia ormai del tutto esautorato da ogni decisione importante, fi-nanche quelle che possono gettare da un giorno all’altro il Paese in una guerra. Da no-tare che quattro giorni prima (“nel salotto di una soubrette”, come ha sottolineato ironica-mente l’ex ministro della Dife-sa, Mario Mauro), Renzi aveva

rassicurato il Paese che mai e poi mai l’Italia avrebbe fatto un intervento militare senza il consenso di un legittimo go-verno unitario libico sul quale si sta ancora trattando; mentre il giorno prima dell’audizione parlamentare, nel vertice con Hollande a Venezia, aveva sentenziato minacciosamen-te che “i libici devono sapere che il tempo a loro disposizio-ne non è infinito”.

Tra queste due dichiarazio-ni del nuovo duce che si sbu-giardano a vicenda, Gentiloni (ex Movimento lavoratori per il socialismo e poi Pdup), si è destreggiato come una biscia, assicurando da una parte che “lavoriamo per rispondere ad eventuali richieste di sicurez-za del governo libico, niente di più e niente di meno... e ov-viamente lo faremo soltanto in seguito al via libera da parte del parlamento, come ha ricor-dato qualche giorno fa il pre-sidente del Consiglio”. Mentre dall’altra ha rimesso sul tavo-lo l’ipotesi di interventi “mirati” di servizi segreti, forze specia-li e quant’altro, da effettuarsi “quando necessario, su azio-ni circoscritte, su risposte pro-porzionate alla minaccia effet-tiva e concordate tra alleati”. E a questo proposito ha ricorda-to al parlamento un po’ sme-morato il voto del dicembre scorso con cui aveva conces-so al presidente del Consiglio il potere di decidere diretta-mente tali tipi di intervento in

caso di crisi internazionali e minacce alla sicurezza, con il solo obbligo di informare (a cose fatte, e col vincolo del se-greto) il Copasir.

confermato l’intervento a guida italiana

Dopodiché Gentiloni si è tolto l’elmetto da guerra per indossare di nuovo la feluca da diplomatico e recitare un finalino zuccheroso e rassi-curante in cui ha rimprovera-to quanti agitando “la minaccia di Daesh” invocano interventi militari, perché “non sono la soluzione” e anzi “talvolta pos-sono perfino aggravare il pro-blema”: “Insomma, il governo non è sensibile al rullo di tam-buri e non si farà influenzare da radiose giornate interventi-ste”, ha detto il ministro degli Esteri. Ma aggiungendo subi-to dopo, a scanso di equivoci, che “il governo difenderà il Pa-ese dalla minaccia terroristi-ca con le azioni proporziona-te che saranno necessarie”, e “interverrà, se e quando possi-bile, per rispondere alle richie-ste di sicurezza di un governo legittimo e impegnato a ripren-dere gradualmente il controllo della sovranità”.

Ossia ha confermato in so-stanza che Renzi si riserva di avvalersi della facoltà di ordi-nare personalmente e in qua-lunque momento raid delle forze speciali in Libia, e che comunque un intervento in for-

ze a guida italiana ci sarà ap-pena arriverà la richiesta di un governo fantoccio libico “uni-tario”.

Il “dibattito” che ne è segui-to è stato di una inconsistenza assoluta, di passiva acquie-scenza al sostegno alla linea “che deve combinare fermez-za, prudenza e responsabilità” invocato da Gentiloni, e sot-tolineato ancor più dal capo-gruppo del PD Zanda, che ha chiesto a tutti “sostegno pie-no e leale alle nostre forze ar-mate e di sicurezza, senza di-stinzioni tra destra e sinistra, tra antichi partiti e nuovi mo-vimenti”. Inviti, prontamente (e vergognosamente) accolti dal capogruppo di SEL-Sinistra italiana, De Cristofaro, che si è sdilinquito nel profondersi in untuosi riconoscimenti al go-verno Renzi per il suo atteg-giamento “intelligentemente prudente”, e per non essersi “fatto travolgere da isterie bel-liche”. E nel sintetizzare tutte le richieste dell’“opposizione” della sinistra parlamentare al governo a “dire con massima chiarezza che l’intervento mi-litare è certamente escluso, almeno in assenza di una ri-chiesta di un governo unitario libico”, e comunque non al di fuori “dal quadro di una legit-timazione internazionale del-le Nazioni Unite”: il che non è altro che una ripetizione pap-pagallesca di quanto Gentiloni era venuto a dire alle Camere.

Proclami di guerra del rinnegato napolitanoIn questo clima soporife-

ro e squallido la parte del pri-mo attore, di colui che ha tira-to le fila dell’intera recita, se l’è presa facilmente il rinnega-to Napolitano, che nel suo lun-go e puntiglioso intervento non si è peritato di atteggiarsi come se fosse ancora lui il capo del-lo Stato e il capo delle forze ar-mate, dettando al governo e al parlamento l’agenda della poli-tica internazionale e militare e impartendo lezioni su come bi-sogna condurre la guerra allo Stato islamico e stabilire le giu-ste procedure per l’intervento in Libia.

“Bisognerà concordare con gli alleati in che misura l’Italia debba farsi partecipe su tutti i fronti secondo le necessità del contrasto al fondamentalismo, al terrorismo e all’ISIS in Libia e altrove”, ha sottolineato il pre-sidente della repubblica “emeri-to”, precisando che per quanto riguarda il fronte libico la mis-sione può prevedere anche “al-cuni impieghi limitati di reparti speciali, oltre che di servizi di sicurezza, come si è largamen-te detto e scritto”, e concordan-do col premier quando dice che “non c’è un tempo infinito”, fra-se per lui “del tutto comprensi-bile anche se un po’ criptica”.

Quanto alla cornice lega-le per l’intervento ha ricorda-to con sussiego all’assemblea che questa c’è già, anche sen-

za scomodare l’articolo 52 della Costituzione citato da Gentiloni (“La difesa della patria è sacro dovere del cittadino”, ndr): per la “copertura internazionale”, ha detto infatti, basta il Capito-lo VII della Carta dell’ONU, che ammette “un intervento con for-ze di cielo, di terra e di mare, sotto il comando delle Nazio-ni Unite, per prevenire o repri-mere violazioni e minacce alla pace e alla sicurezza interna-zionale”.

E infine si è levato pure la soddisfazione di bacchettare qualsivoglia scrupolo pacifista di quanti si attardassero anco-ra sull’articolo 11 della Costitu-zione, concludendo l’interven-to con una sparata militarista e guerrafondaia degna della peg-giore retorica patriottarda e fa-scista, proclamando che “gene-rare l’illusione che non avremo mai, nel nostro futuro, la possi-bilità di interventi con le nostre forze armate, in un mondo che ribolle di conflitti, di tensioni e di gravissime minacce, sarebbe veramente ingannare l’opinio-ne pubblica, sollecitare un pa-cifismo di vecchissimo stampo, che non ha ragion d’essere nel mondo d’oggi e anche nel mon-do quale è uscito dalla seconda guerra mondiale”.

Il nuovo duce Renzi può continuare tranquillamente a imbastire i suoi piani di guer-ra: non sarà certo questo parla-mento di servi, di opportunisti e di guerrafondai a mettergli i ba-stoni tra le ruote.

Venezia, 8 marzo 2016. La protesta dei NOTav contro il vertice tra Renzi e Hollande mentre le barche della poliza intervengono per non farli penetrare dalla cosidetta “zona rossa”

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4 il bolscevico / guerra imperialista alla libia N. 12 - 24 marzo 2016

Tanti gli striscioni e le immagini contro il governo Renzi

30 cittA’ in piAzzA contro l’intervento di guerrA in libiA

A Catania e a Biella il PMLI esprime il suo antimperialismo e il sostegno allo Stato islamicoLe manifestazioni che si

sono svolte sabato 12 mar-zo sono state un nuovo gri-do antimperialista contro la guerra in Libia.

La mobilitazione era stata organizzata a partire da un appello di padre Alex Zano-telli, il quale, dopo il succes-so della precedente svoltasi il 16 gennaio scorso, aveva proposto una nuova giornata “per esprimere con un’unica voce il nostro NO alla guerra contro la Libia, un NO a tutte le guerre che insanguinano il nostro mondo”.

L’appello è stato raccolto dalla piattaforma Eurostop e dal Coordinamento contro la guerra, le leggi di guerra e la Nato, che nella sua piatta-forma chiede il ritiro dei sol-dati da ogni teatro di guerra, il “ripristino” dell’articolo 11 della Costituzione (secondo cui l’Italia ripudia la guerra), lo smantellamento delle basi militari sul territorio del no-stro Paese, l’uscita “da ogni alleanza di guerra” a parti-

re dalla Nato per diventare “un Paese neutrale per con-tribuire alla pace”, ma an-che la fine delle discrimina-zioni contro i migranti, delle politiche di austerità imposte dall’Ue e delle “leggi sicurita-rie” che strangolano i popoli europei.

Su questa base si sono svolte manifestazioni con cortei, presidi e sit-in in 30 città italiane, al Nord al Sud fino alle Isole. Tanti gli stri-scioni e le immagini contro il governo Renzi, con il nuovo duce ritratto in divisa milita-re, e per chiedere l’Italia fuo-ri dalla Nato e la Nato fuori dall’Italia. Anche l’Ue è sta-ta nel mirino dei manifestan-ti, i quali le hanno contestato le politiche di guerra con-tro il Medioriente, l’austerità per salvare il capitalismo e la chiusura contro i migranti. Presidi si sono svolti davanti a diverse basi Nato, come a Ghedi (Brescia), Gaeta (La-tina) e Lagopatria (Napo-li), alcune delle quali erano

già state bersaglio di azio-ni simili l’anno scorso con-tro l’esercitazione militare imperialista Trident Junctu-re. Significativamente, in Val Susa la manifestazione si è svolta davanti al cantiere Tav di Chiomonte, come a voler rimarcare che, in fondo, lu-crare sull’ambiente e sul-la vita delle masse e lucra-re sulla guerra imperialista sono due facce della stessa medaglia capitalista.

Manifestazioni importanti si sono svolte a Roma, Bo-logna, Camp Darby (Pisa), Vicenza, Napoli, Ghedi (Bre-scia), Lago Patria (Giuglia-no), Viterbo, Gaeta, Catania e Biella dove era presente il PMLI con le sue parole d’or-dine antimperialiste e a so-stegno dello Stato islamico.

Hanno aderito, fra gli altri, Area Opposizione Cgil, Usb, No Tav, No Muos, No Dal Molino, No War, Peacelink. In alcune realtà hanno parte-cipato anche la Cgil e l’Anpi. Presenti anche associazioni

cristiane e musulmane.La mobilitazione è stata

oscurata dai media di regi-me: evidentemente i guer-rafondai imperialisti vogliono evitare ogni minimo ostacolo ai loro piani di guerra.

Il 12 marzo è stata la pri-ma tappa di un percorso che porterà ad una nuova mo-

bilitazione il 4 aprile. Ma bi-sogna lavorare per chiarire quale è il vero obiettivo dei governi imperialisti per co-struire una grande mobili-tazione di massa contro la guerra imperialista alla Li-bia che mira a distruggere lo Stato islamico, una nuo-va avventura che non por-

terà altro che barbarie e che espone il nostro po-polo al pericolo di ritorsioni terroristiche. Una mobilita-zione che, quindi, non può non essere parte della lot-ta più generale per buttare giù il governo interventista e guerrafondaio del nuovo duce Renzi.

CataniaViva e rossa propaganda antimperialista

dei marxisti-leninisti sicilianiIMPortAnte doCuMento dI

ConVoCAzIone “no ALLA guerrA In LIBIA, no AI dronI A SIgoneLLA, no AL MuoS. SIAMo gIA’ In guerrA” �Dal corrispondente della Cellula “Stalin” della provincia di CataniaNel pomeriggio di saba-

to 12 marzo, un centinaio di manifestanti si è dato ap-puntamento sotto il Palazzo della Prefettura a Catania ed ha dato vita ad un combat-tivo presidio contro la parte-cipazione dell’Italia di Renzi – pronto a guidare la coali-zione imperialista contro l’IS – alla guerra in Libia. La ma-nifestazione organizzata, tra gli altri, dal Coordinamento Democrazia Costituzionale Catania e l’Anpi, ha visto l’a-desione di numerose orga-nizzazioni come: Arci, Arci-gay, Azione Civile, G.a.p.a., Comitato Viva la Costituzio-ne, Libera, Sel, Verdi, L’Altra Europa, La Città Felice, Mo-vimento La Direzione Giu-sta, Pcd’I, Punto Pace Pax Christi, I Siciliani giovani, Prc, Sicilia Libera, UdS, oltre al PMLI.

Nella convocazione del sit-in, “No alla Guerra in Li-bia, No ai Droni a Sigonella, No al MUOS a Niscemi”, si affermava tra l’altro: “Siamo già in guerra. Servizi segre-ti italiani, assieme a quelli francesi, inglesi, americani, preparano il terreno per un intervento militare che, se-condo gli USA, dovrebbe gravare prevalentemente sulle Forze Armate italiane. Contro la Costituzione, il go-

verno Renzi attribuisce ai servizi segreti il comando di reparti speciali dell’eser-cito, permette l’uso di Sigo-nella per incursioni aeree con i droni, insiste per l’uti-lizzazione del MUOS di Ni-scemi e, mentre siamo già in guerra, il governo si copre di una prudenza istituziona-le attendendo la formazione di un governo unitario libico mentre sono i nostri ”alle-ati” che non ne permettono la formazione. […] Un inter-vento militare in Libia è in di-retto contrasto con i nostri in-teressi nazionali e con quelli degli stati confinanti (Tuni-sia, Algeria) e coinvolgerà le popolazioni locali in nuo-vi lutti, miserie ed emigrazio-ni. Occorre fermare la subal-ternità del governo italiano agli USA, la lunga schiavitù alle servitù della NATO, alle spinte alla guerra, sconfig-gere la campagna di stam-pa per la militarizzazione del conflitto, difendere la Costi-tuzione Italiana che impone il ripudio della guerra”.

Il presidio ha visto l’atti-va partecipazione dei mar-xisti-leninisti siciliani. Erano presenti compagne e com-pagni della Cellula “Stalin” della provincia di Catania e dell’Organizzazione di Cal-tagirone del Partito, i qua-li hanno diffuso varie copie de “Il Bolscevico” e gli artico-li estratti dal numero 11/2016

dell’Organo del PMLI “L’Ita-lia di Renzi pronta a guida-re la coalizione imperialista contro l’IS in Libia” e il docu-mento referendario dell’Uffi-cio politico del PMLI “Vota Sì contro le trivellazioni”. Una viva e rossa propaganda an-timperialista è stata portata in piazza dai compagni: nei pressi del presidio si pote-vano notare manifesti e ar-ticoli de “Il Bolscevico” che evidenziano come i prepara-tivi di guerra contro lo Stato islamico ordinati dal governo Renzi siano in pieno svolgi-mento e che l’Italia sta per essere gettata per la terza volta nella sua storia in una sciagurata avventura impe-rialista e neocolonialista in Libia.

Interessanti e costruttivi sono stati i dialoghi intratte-nuti dai marxisti-leninisti con militanti di altre organizza-zioni interessati ad approfon-dire la linea antimperialista del PMLI. È stata sostanzial-mente riaffermata la posizio-ne del Partito sulle guerre di rapina ingannevolmente de-

nominate “missioni di pace” e sull’IS: secondo noi, infat-ti, il vero nemico è l’imperia-lismo. Da parte sua, lo Stato islamico, pur essendo porta-tore di un’ideologia, una cul-tura, una strategia, dei me-todi di lotta, delle azioni e degli obiettivi assolutamente non condivisibili, è attualmen-te l’unica forza che si oppone oggettivamente ai piani di sac-cheggio in Medio Oriente.

BiellaPresidio no tAV contro tutte le guerre imperialiste. Il PMLI in un comunicato stampa ribadiva il forte “no alla guerra

imperialista allo Stato Islamico” �Dal corrispondente dell’Organizzazione di Biella del PMLISi è svolto sabato pomerig-

gio 12 marzo il presidio contro le guerre imperialiste organiz-zato dal “Gruppo biellese NO TAV” per sensibilizzare la po-polazione contro le politiche di guerra dell’imperialismo ita-liano, guidato dal nuovo duce Renzi, che sta preparando una nuova invasione della Li-bia.

In uno scenario mondiale fatto di guerre dichiarate e ce-late che vede una cifra di mor-ti stimata, per la sola Siria, di oltre 470 mila vittime, il grup-po No TAV di Biella, da sem-pre politicamente attento alle tematiche sociali e politiche, non poteva non organizza-re una giornata tra le masse per far conoscere dati e av-venimenti che rendono faci-le comprendere quali soggetti stanno guadagnando enormi somme di denaro sulla vita di milioni di disperati che, dopo essere fuggiti da atroci guer-

re imperialiste e dalla miseria in cui versano i loro Paesi, si ritrovano in Italia mal assisti-ti da associazioni o coopera-tive prive di ogni scrupolo che nella maggior parte dei casi si intascano l’irrisoria cifra corri-sposta ai migranti e profughi senza offrire pressoché nulla in cambio.

In tale drammatica situa-zione le compagne ed i com-pagni del “Gruppo biellese NO TAV” hanno allestito un gaze-bo nei centralissimi “Giardini Zumaglini” di Biella e distribu-ito decine di copie del volanti-no preparato per l’occasione. In molti si sono intrattenuti a scambiare opinioni con gli at-tivisti NO TAV rivelando tut-to il disgusto possibile con-tro la politica guerrafondaia del governo Renzi che taglia la spesa pubblica destinata a sanità, previdenza sociale e istruzione ma foraggia lauta-mente il ministero della Dife-sa e quello degli Interni.

Attiva presenza dell’Orga-nizzazione locale del PMLI che ha messo a disposizio-ne del gruppo l’infrastruttura e contribuito attivamente alla diffusione del materiale infor-mativo. Nel comunicato in cui annunciava la sua adesione e presenza in piazza, l’Orga-nizzazione biellese marxista-leninista sosteneva fra l’altro la posizione dei NO TAV con-tro le guerre di aggressione e il commercio delle armi e ri-badiva il nostro forte “No alla guerra imperialista contro lo Stato Islamico”.

(Sotto) Biella, 12 marzo 2016. Il ga-zebo contro la guerra organizzato dal Gruppo biellese NO TAV nei centralissimi Giardini Zumaglini (foto Il Bolscevico)

12 marzo 2016. Il presidio di protesta contro la guerra alla Libia davanti alla base Usa di Campa Darby (Pisa)

Catania, 12 marzo 2016. Al presidio contro la guerra Santina Sconza, presidente ANPI Catania, posa con i compagni del PMLI; con il corpetto Sesto Schembri, Segretario della Cellula “Stalin” della provincia di Cata-nia e, alla sua destra, Aurora Greco con la bandiera (foto ANPI Catania)

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N. 12 - 24 gennaio 2016 interni / il bolscevico 5

“Maternità surrogata”, un diritto civile da conquistare

La stepchild adoption (ossia l’adozione del figlio del partner da parte di coppie omosessuali), pri-ma presente e poi stracciata nel-la versione definitiva del ddl sulle unioni civili, e la vicenda legata al figlio di Nichi Vendola sono state strumentalizzate ad arte dalla de-stra reazionaria, cattolica e oscu-rantista per lanciare una nuova offensiva contro i diritti delle fa-miglie omosessuali, questa volta sulla “maternità surrogata”, cioè gestazione per altri.

Per “maternità surrogata”, chiamata incorrettamente anche “utero in affitto” per darle un tono ancora più disumano, si intende la possibilità per una donna di parto-rire un figlio per conto di altri.

Non stupisce che la destra re-azionaria scalpiti per difendere la genitorialità come un “dono di Dio” da realizzarsi esclusivamen-te all’interno della famiglia cat-

tolica eterosessuale tradiziona-le, peraltro strumentalizzato una legge, la Cirinnà, che la surroga-ta non la sfiorava nemmeno. Ma è inaccettabile che certi esponen-ti della “sinistra” borghese tirino in ballo persino Marx e la lotta di classe per unirsi al coro reaziona-rio. Giorgio Cremaschi l’ha defi-nita “mostruosità del mercato” e “violenza di classe” che “sfrutta le donne e il loro corpo”. L’arcim-broglione Marco Rizzo dai micro-foni di “Radio Vaticana” ha par-lato di “sfruttamento bestiale”; certo non stupisce se si pensa che il suo PC in un recente documen-to ha scritto che: “riteniamo che l’orientamento sessuale omoses-suale o la relazione di per sé non determinino diritti sociali lega-ti alla famiglia e soprattutto alla custodia di minori”, ripetendo a pappagallo il partito revisionista greco KKE che ha votato contro

il matrimonio gay insieme ai neo-nazisti di Alba Dorata. Il filosofo a lui gradito, Diego Fusaro, ha in-vece usato fuori contesto la frase tratta dalla “Miseria della filoso-fia” di Marx secondo cui sotto il capitalismo “tutto divenne mer-ce” per attaccare la surrogata, con un notevole riscontro in rete. “Il manifesto” trotzkista ha ospitato l’assurda tesi del prof. Paolo Er-colani di Urbino per cui “quella che già Marx chiamava schiavitù salariata... oggi si è trasformata in un dominio ‘biopolitico’”.

Fa specie che i suddetti perso-naggi rispolverino la lotta di clas-se e Marx solo quando si tratta di fare, almeno oggettivamente, fronte comune con la destra re-azionaria. “L’Avvenire”, organo della Conferenza episcopale ita-liana, il 5 marzo si è compiaciuto di tutti questi nuovi alleati inatte-si. Bisognerebbe chiedersi inol-

tre perché questo accanimento nasca solo ora che si parla di gay, mentre la “maternità surrogata” esiste da tempo per le coppie ete-ro. Ciò nasconde una certa omo-fobia di fondo e rischia di mette-re la classe operaia e i lavoratori contro chi, in questi giorni come nel passato, si sta battendo per i diritti civili. Un po’ come fece il PCI revisionista quando vacillò sulla legalizzazione del divorzio e dell’aborto.

Per noi marxisti-leninisti italia-ni, la “maternità surrogata” è un diritto che va riconosciuto sia alle coppie eterosessuali che a quelle omosessuali, purché basata sulla libera scelta da parte delle donne e non a scopo di lucro. Parimenti devono essere facilitate le proce-dure per l’adozione, che va lega-lizzata anche per le coppie gay e resa gratuita.

Ovviamente, sotto il capitali-

smo, dove vige la legge della giun-gla del libero mercato, solo i più ricchi possono permettersi questa pratica ed esiste il pericolo che le donne proletarie e oppresse siano barbaramente costrette a “vende-re” il proprio corpo. A ben vedere ciò vale anche per molti altri dirit-ti, a partire dalla stessa adozione, per via delle differenze di classe che esistono nella società. La cul-tura individualista ed edonista del capitalismo può portare anche ad aberrazioni come la scelta della donatrice in base a caratteristiche fisiche come il colore degli occhi e dei capelli, come avviene negli Usa. Tutto questo è inaccettabile e deve essere combattuto, battendo-si per strappare leggi a tutela del-le “madri surrogate”, in particola-re affinché la pratica sia realizzata esclusivamente dalla sanità pub-blica, non da cliniche private a caccia di profitti.

Ma ciò non significa che la lotta per i diritti civili debba es-sere messa in soffitta e rimanda-ta alle calende greche, sacrifican-do il benessere di intere categorie. Bisogna invece lottare per elimi-nare sia le condizioni economiche e sociali che possono portare allo sfruttamento delle donne povere, sia quelle che impediscono alle coppie etero e gay appartenenti alle classi oppresse di poter ricor-rere alla surrogata.

Semmai, quindi, siamo di fron-te ad un’ulteriore prova che senza diritti sociali non ci possono esse-re diritti civili autentici per tutti. Ecco perché la battaglia per il ma-trimonio, l’adozione e la “mater-nità surrogata” anche per le cop-pie omosessuali è parte integrante e non in contraddizione con la lot-ta più generale contro il capitali-smo, per l’emancipazione del pro-letariato e dell’intera umanità.

Per le eMissioni nocive dell’ilva di taranto

sotto processo vendola e i riva L’ex governatore della Puglia è accusato di aver fatto pressioni

per ottenere un atteggiamento meno severo per l’aziendaDopo il vergognoso annulla-

mento “per errori procedurali” del primo processo dinanzi alla Corte d’Assise e il ritorno alla fase pre-liminare, il 28 febbraio il Giudice per l’udienza preliminare (Gup) Anna De Simone ha accolto la ri-

chiesta della procura di Taranto e rinviato a giudizio tutti i 47 impu-tati (44 persone e tre società) coin-volti a vario titolo nell’inchiesta “Ambiente Svenduto” inerente le emissioni nocive dell’Ilva nel ca-poluogo ionico.

Il nuovo processo inizierà il prossimo 17 maggio. Alla sbar-ra ci sarà fra gli altri l’ex gover-natore trotzkista della Puglia, Niki Vendola, accusato di concussione aggravata per aver fatto pressioni sul direttore di Arpa Puglia, Gior-

gio Assennato, affinché assumesse un atteggiamento meno severo nei confronti dei fratelli Riva, padroni dello stabilimento. Sulla base dei monitoraggi del 2009, infatti, Arpa Puglia aveva evidenziato “valori estremamente elevati di benzo(a)

pirene” e di conseguenza propo-sto in una relazione “l’esigenza di procedere ad una riduzione e ri-modulazione del ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico di Taranto”. Ma, secondo la procu-ra ionica, Vendola ha “fortemen-te criticato l’operato dell’Arpa, esprimendo al contempo disap-provazione, risentimento ed insof-ferenza” e in un incontro avvenuto il 22 giugno 2010 con alcuni di-rigenti della regione e l’allora di-rigente Ilva Girolamo Archinà, ha ribadito “che in nessun caso l’atti-vità produttiva dell’Ilva avrebbe dovuto subire ripercussioni”.

A giudizio anche l’ex assesso-re e attuale deputato di Sel, Nico-la Fratoianni, e il consigliere re-gionale PD Donato Pentassuglia, entrambi accusati di favoreggia-mento personale nei confronti di Archinà.

Sul banco degli imputati sali-ranno anche Fabio e Nicola Riva, figli del padrone Emilio e pro-prietari dell’Ilva, accusati insieme all’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, all’ex respon-sabile delle relazioni istituziona-li Girolamo Archinà, all’avvocato del Gruppo Riva Franco Perli e ai cinque fiduciari che componeva-no il cosiddetto “governo ombra” di associazione per delinquere, di-sastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissio-

ne dolosa dei dispositivi e proce-dure di sicurezza contro gli infor-tuni sul lavoro. Fabio Riva e l’ex consulente della procura Lorenzo Liberti, inoltre, devono risponde-re anche dall’accusa di corruzione in atti giudiziari per aver versato, secondo i pubblici ministeri, una tangente di 10mila euro per am-morbidire le perizie sull’Ilva.

Tra i 44 imputati finiti nuova-mente a processo c’è anche il ne-opodestà di Taranto, Ippazio Ste-fano, accusato di abuso d’ufficio per non aver preso adeguate misu-re a tutela dei cittadini contro l’in-quinamento; l’ex presidente della Provincia, Gianni Florido, accu-sato insieme all’ex assessore pro-vinciale Michele Conserva e al re-sponsabile delle relazioni esterne Ilva, Girolamo Archinà, di aver fatto pressioni su due dirigerti provinciali all’Ambiente per favo-rire l’apertura di una discarica in Ilva; Luigi Pelaggi (ex capo del-la segreteria tecnica del ministro dell’Ambiente Stefania Prestigia-como), l’ex presidente Ilva ed ex prefetto Bruno Ferrante e Dario Ticali, ex presidente della com-missione ministeriale che rilasciò l’autorizzazione integrata ambien-tale alla fabbrica.

Sotto processo anche tre socie-tà: Riva Fire, Riva Forni elettrici e Ilva spa che devono rispondere di illeciti amministrativi.

sequestrate dal tribunale di catania azioni per circa un miliardo e mezzo di euro

la tecnis di costanzo Pagava cosa nostra

Il grande costruttore Costanzo, ex-assessore della prima giunta Bianco, era un sodale di Montante ed esponente di spicco dell’antimafia di facciata

Dal nostro corrispondente �della SiciliaÈ il momento dello smasche-

ramento di tanti filomafiosi che per anni hanno indossato i panni degli antimafiosi, ingrassandosi alle spalle dei lavoratori siciliani. E tra questi, il grande costrutto-re catanese Costanzo, che negli ultimi anni ha ricevuto onori isti-tuzionali e conquistato titoli gior-nalistici troppo frettolosi come presunto paladino della legalità nella provincia etnea e addirittu-ra partecipato alle serate in me-moria del giornalista ucciso dalla mafia, Pippo Fava. Affascinato dall’antimafia da salotto di que-sto parolaio amico di Antonello Montante, nel 1993, l’attuale sin-daco di Catania, Enzo Bianco, PD, lo nominava assessore nella sua prima giunta.

Il bel quadretto però mostra le prime evidenti crepe già ad otto-bre del 2015, quando l’inchiesta sul giro di mazzette negli uffici Anas, condotta dalla Procura di Roma, porta Costanzo agli arre-sti domiciliari insieme a Concetto Bosco Lo Giudice, l’altro proprie-tario di Tecnis, l’azienda coinvol-ta nello scandalo: la più grande azienda edile del Mezzogiorno

che fatturava 380 milioni con ben 1.500 dipendenti.

Il bel quadretto va in frantumi completamente in pochi mesi. È da pochi giorni arrivata per la Tecnis l’accusa d’infiltrazione mafiosa e il tribunale di Catania ha stabilito il sequestro di un mi-liardo e mezzo di euro, corrispon-denti al valore delle azioni delle tre società che compongono il gruppo Tecnis (Artemis spa, Co-gip holding e Tecnis spa).

I Carabinieri indagano sulle re-lazioni del gruppo imprenditoriale e ne hanno documentato l’as-servimento “alla cosca mafiosa di Catania, alla quale sono state garantite ingenti risorse econo-miche ed è stata consentita l’in-filtrazione del redditizio settore degli appalti pubblici”.

A partire dagli anni ’90 e fino al 2011 tutte le imprese Costanzo hanno pagato proprio quel pizzo contro il quale l’imprenditore era più volte intervenuto pubblica-mente, addirittura denunciando alla magistratura una richiesta arrivata dalla ’ndrangheta in Ca-labria. Ci preme sottolinearlo, Costanzo, colmo dell’ipocrisia politica antipopolare, inizia a pa-gare il pizzo proprio in quegli anni

in cui è assessore con il “centro-sinistra” nella giunta Bianco. An-drebbe chiarito da un punto di vista delle indagini se e come la sua presenza in giunta abbia fa-vorito l’afflusso di denaro nelle mani della mafia. In ogni caso, ad una valutazione politica, è chia-ro che Bianco, che aveva fatto dell’“antimafiosità” uno dei titoli imprescindibili per l’ingresso in giunta, è fallito a tal punto che i sostenitori diretti della mafia se li è messi in casa.

La Tecnis pagava anche al di fuori di Catania. Nel 2005 paga alla cosca di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, 5mila euro al mese per la prote-zione dei cantieri della galleria Scianina. Che l’ex-assessore avesse delle relazioni organiche con Cosa nostra lo dimostra un fatto. Il boss barcellonese aveva chiesto all’azienda dei Costanzo 800mila euro di pizzo. Con l’ex-assessore si mettono d’accordo per la cifra di 5mila al mese du-rante un incontro in cui era pre-sente e non certo per caso, ma invitato da qualcuno, anche il boss catanese Angelo Santapa-ola del clan dominante nel capo-lutogo etneo. Ci pare abbastanza

ovvio che Costanzo lo avesse chiamato a svolgere una sorta di ruolo di protezione degli interes-si dell’imprenditoria catanese in quell’incontro. Ma è certo che la magistratura potrà valutare me-glio quali siano stati i legami di organicità tra Costanzo e i San-tapaola.

Crollano così uno dopo l’altro questi “paladini” dell’imprendito-ria antimafiosa. Il primo era stato Montante, indagato dalla procu-ra di Caltanissetta per concorso esterno a Cosa nostra. Poi era stata la volta del presidente della Camera di commercio di Paler-mo, Roberto Helg, preso men-tre intascava una mazzetta da 100mila euro. Adesso è la volta della star imprenditoriale catane-se, Costanzo.

Tra le pieghe di questa storia, emerge certamente come la testa della mafia si trovi proprio nell’al-ta finanza, nei circoli dell’indu-stria, dell’agricoltura, del terziario e nelle istituzioni e come sia vasta la “zona grigia” di contiguità tra i politicanti borghesi, gli imprendi-tori e le cosche, che oggi indos-sano la maschera dell’antimafia, ma agiscono esattamente come i filomafiosi aperti e dichiarati.

Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHIe-mail [email protected] Internet http://www.pmli.itRedazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di FirenzeEditore: PMLI

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ore 16,00

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6 il bolscevico / lavoratori N. 12 - 24 marzo 2016

Disegno Di Legge DeL governo insoDDisfacente

Poche tutele per i lavoratori autonomiNella maggior parte dei casi svolgono un lavoro precario e a basso reddito

Tra le varie misure prese dal Consiglio dei ministri del 28 gen-naio scorso c’è anche la propo-sta di un disegno di legge (ddl) dedicato al lavoro autonomo. Questo è stato descritto con molta enfasi come lo Statuto dei lavoratori autonomi oppure il Jobs Act delle partite Iva, de-finizione quest’ultima più appro-priata specie nella sua declina-zione negativa. Tecnicamente vengono definite “misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale”. Da tempo si av-vertiva l’esigenza di un interven-to che riavvicinasse le garanzie e i diritti dei lavoratori autonomi a quelli dei lavoratori subordina-ti, sopratutto istituendo anche per loro sostegni di natura pre-videnziale e di protezione pre-visti per i dipendenti, come ri-

vendicato dalle associazioni che rappresentano i cosiddetti free-lance (i collaboratori esterni), gli autonomi e i liberi professionisti.

È bene sgombrare il campo dagli equivoci. Ci sono le ecce-zioni del professionista afferma-to con il suo lauto guadagno, il fotografo di grande esperienza che fornisce i suoi servizi a chi lo paga profumatamente, ma nella stragrande maggioranza dei casi il forte aumento avvenu-to in questi anni di questo tipo di lavoratori non è altro che la con-seguenza dell’ultima crisi eco-nomica capitalistica e della de-regolamentazione del mercato del lavoro. Quelli che vengono definiti imprenditori di se stessi o autoimprenditori sono spesso soggetti che non trovano altro impiego e accettano un livello

di garanzie inferiore a quello del lavoratore dipendente pur di ga-rantirsi un reddito che, è bene ri-cordarlo, è quasi sempre basso o bassissimo.

Le misure contenute nella bozza del disegno di legge, pur contenendo alcuni miglioramen-ti rispetto alla situazione esi-stente, non modificano la con-dizione del lavoratore autonomo che rimane un soggetto con po-che tutele e uno stipendio mol-to incerto. Il governo si è detto disposto a modificarla anche se fino ad ora tutti i cambiamenti apportati sono stati peggiorativi. Per adesso è molto generica ed esclude gli agenti e i rappresen-tanti di commercio restringen-do la platea degli interessati al provvedimento a circa 200mila persone. La Cgil è stata molto

critica sul ddl poiché disattende in larga misura le richieste del-la associazioni che rappresenta-no questi lavoratori e comunque quel poco che è stato concesso è grazie alle loro pressioni fatte sul governo.

Per il sindacato vi sono “nor-me confuse sul contrasto agli abusi, ad esempio non viene introdotto l’obbligo di comuni-cazione al centro per l’impiego dell’inizio dell’attività, né è chia-ra la disposizione circa la durata della committenza, ne’ l’obbligo della forma scritta del contratto”. Tutto questo continuerà a favo-rire lo sfruttamento del lavoro specie dei giovani, costretti dal-la pratica diffusa in molti studi professionali dove anziché as-sumere dipendenti si preferisce lucrare sui collaboratori, solo

formalmente autonomi, ma nel-la pratica sono dei dipendenti su cui il committente risparmia gli oneri previdenziali, oltre a quo-te di salario.

La Cgil denuncia come sono “completamente assenti misu-re per tutelare la parte più” de-bole del lavoro autonomo: uno strumento di sostegno al reddi-to per i periodi di crisi, una pre-visione sui compensi minimi con riferimento ai costi contrat-tuali previsti dai contratti collet-tivi nazionali di lavoro dei lavo-ratori subordinati corrispondenti, i diritti sindacali e alla rappre-sentanza, le norme antidiscri-minatorie, l’accesso al welfare contrattuale”. Riguardo alle tu-tele sui mancati pagamenti sarà istituita una polizza assicurativa a spese del lavoratore (deduci-bile, bontà loro). Si arriva così al paradosso che i danni provocati dal committente saranno pagati da chi li subisce.

Alcuni miglioramenti sono poi molto parziali. Sulla gravidanza l’indennità è prevista anche se la lavoratrice continua a svolge-re la sua attività mentre sarebbe necessario, come rivendicano anche sindacati e associazioni, un periodo obbligatorio di asten-sione dal lavoro per salvaguar-dare madre e nascituro. In caso di malattia invece s’introduce la sospensione del pagamento de-gli oneri previdenziali ma non quella degli oneri fiscali. Nel te-sto poi viene inserita, sotto la

pressione delle associazioni fre-elance l’equiparazione dei trat-tamenti oncologici alla degenza operatoria ma viene esclusa per tutte le altre patologie gravi che determinano una impossibilità oggettiva e prolungata a svolge-re l’attività’ lavorativa.

Nel complesso il ddl del go-verno non cambia le condizioni di vita e di lavoro dei lavorato-ri autonomi, ben lontana dall’es-sere elettrizzante, autonoma e senza vincoli, insomma libera da quelle rigidità di orario che impongono la propria presenza ogni giorno sul posto di lavoro. Chi si ritrova a fare la vita del freelance dietro a questa appa-rente libertà è costretto a subi-re l’alienazione dal contesto la-vorativo e l’assenza, quella sì reale, di uno stipendio che sia degno di questo nome e fare fronte a costi sempre più soste-nuti per l’attività lavorativa come benzina, telefono eccetera che spesso non sono neppure rim-borsati.

Anche se vi sono delle diffe-renze con i dipendenti, la condi-zione attuale della maggioranza dei lavoratori autonomi rientra a tutti gli effetti nella dilagante pre-carizzazione dei rapporti di lavo-ro. Una condizione da alcuni di-pinta ipocritamente affascinante dietro la quale si nascondono in-vece lavori poco remunerati e con scarsissime tutele per i gio-vani che nella maggior parte dei casi li svolgono.

Le nuove norme sugli appalti non cambiano le regole del supersfruttamento dei lavoratori

Lavoratrici e Lavoratori dei caLL center in Lotta in difesa deL posto di Lavoro e i diritti

In 8.000 rischiano il licenziamento La giusta lotta dei lavoratori

dei call center non si ferma nem-meno davanti alla nuova legge delega sulla “riforma” del Codice Appalti (L. 11/2016 che sostitui-sce il vecchio Dlgs 163/2006) ap-pena licenziata dal Senato e da approvare definitivamente entro il 18 aprile 2016. In essa è sta-bilito che le proposte delle ditte partecipanti alle gare di appalto saranno valutate sulla base del miglior rapporto tra prezzo e qua-lità del progetto e non è più “con-sentito” fare ricorso al massimo ribasso all’infuori che nei contratti sotto soglia comunitaria relativi a lavori ripetitivi e senza comples-sità tecniche e “dovrà sempre es-sere motivato”.

Formulazioni ambigue e con-troverse che non hanno convin-to i lavoratori perché sostanzial-mente non cambiano le regole del supersfruttamento, non van-no verso una loro stabilizzazione, non segnano un passo in avan-ti nella giungla dell’assegnazio-ne degli appalti; sono solo buoni propositi che saranno completa-mente disattesi dalla legge su-prema del massimo profitto, dei ladrocini e delle furberie congeni-te al sistema capitalistico anche perché non c’è nessuna garan-zia o contropartita penale per chi non li rispetta. Lo confermano le stesse parole di Cesare Damia-no (PD), presidente della XI com-missione di Montecitorio, nel cor-so di una conferenza stampa alla Camera nella quale presentava la nuova legge: “Il governo ha re-sponsabilità, perché abbiamo ap-pena concluso l’iter parlamentare del codice degli appalti, che met-te le briglie, cancella, o regola il massimo ribasso e imprese sotto il controllo dello Stato praticano ancora la vecchia strada”. Figu-riamoci quelle private!

Proprio così invece hanno fat-to, senza alcun riguardo, le due aziende controllate dallo Sta-to, Enel e Poste, proponendo ai gestori del call center di Alma-viva e Gepin, in particolare del-le sedi di Palermo e Roma che lavoravano per loro, commesse con un ribasso così sfacciato da non permettergli di mantenerle. In particolare, secondo Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom sono 3.500 i lavoratori a rischio di queste due aziende, mentre si arriverebbe a

8.000 con altri lotti in scadenza nei prossimi mesi includendo im-prese come Call&Call, Uptime e Abramo.

Così lo spiega Riccardo Sac-cone, della Slc Cgil nazionale “Gli operatori in Italia sono circa 80 mila, e 15 mila sono le posta-zioni all’estero. In Poste abbia-mo avuto assegnazioni da 0,29 a 0,32 centesimi al minuto, il che vuol dire circa 14–15 euro l’ora, soldi con cui certamente non ri-esci a pagare un lavoratore in-quadrato con contratto naziona-le. Noi chiediamo: dove si andrà a risparmiare? Un lavoro che ri-spetta tutti i crismi, dai contrat-ti alle tutele, non può stare sotto il costo di 0,40–0,45 centesimi al minuto”.

E con il Jobs Act in diverse re-altà si è creato una sorta di para-dosso: gli incentivi dati dal gover-no alle imprese “hanno favorito le assunzioni in alcune aziende, a scapito però dei vecchi operatori, divenuti troppo cari. Ma con Po-ste e Enel si è scesi a costi così bassi che per competere non bastano neanche gli incentivi di Renzi”, conclude il sindacalista.

Il testo prevede, inoltre, una clausola sociale per garantire la stabilità occupazionale dei lavo-ratori dell’appalto in caso di suc-cessione di imprese nel contrat-to con il medesimo committente e per la medesima attività di call center, secondo le modalità e le condizioni previste dai contrat-ti collettivi nazionali. Belle paro-le peccato che questa clausola fino a quando non verrà recepi-ta nel nuovo contratto nazionale, già scaduto da un anno, non sarà valida.

Le lavoratrici e i lavoratori non hanno dato tregua a un gover-no sordo e colpevole di questa situazione scendendo in piazza con cartelli, striscioni e pettorine di denuncia in combattive mani-festazioni, sit-in, presidi per stu-rargli le orecchie. Dopo le mo-bilitazioni territoriali e dopo la proclamazione dello sciopero nazionale dei lavoratori del set-tore per l’11 marzo, finalmente il governo ha aperto il tavolo di trattativa al Mise il 9 marzo. Un incontro giudicato dai sindaca-ti insoddisfacente, con risposte “vaghe, se non addirittura ridico-le” sull’applicazione delle clauso-

le sociali e sulle norme contro le delocalizzazioni. Sulla questione ammortizzatori sociali “la previ-sione di convocare un tavolo tec-nico che valuti l’estensione della Cigs ai lavoratori dei call center, rischia di allungare troppo i tem-

pi e non farlo diventare uno stru-mento utile per la soluzione del-le vertenze in corso.” In questo modo 4.000 lavoratrici e lavo-ratori perderanno improrogabil-mente il posto di lavoro entro il mese.

Presa Di Posizione Di aLcuni DeLegati fca DeLLa fioM-cgiL sotto ProvveDiMento DisciPLinare DeLLa coMMissione statutaria DeLLa cgiL

gli incompatibili non siamo noiE’ veramente difficile convin-

cersi di vivere e rivendicare diritti di un Paese democratico.

Siamo un gruppo di iscritti e delegati della Fiom Cgil, tutti la-voratori negli stabilimenti FCA del Centro Sud, giudicati dal-la Commissione Statutaria in-terna alla nostra Organizzazio-ne incompatibili con la stessa, in quanto facciamo parte di un coordinamento di lavoratori FCA del Centro Sud che al suo inter-no ha colleghi appartenenti ad altre sigle sindacali.

Essere incompatibili può si-gnificare espulsione, può signi-ficare toglierci la delega da rsa, compromettendo le nostre ini-ziative all’interno delle fabbriche e nei rapporti con i lavoratori da noi rappresentati e per i quali spesso siamo l’unico riferimento sui luoghi di lavoro.

Sentirsi giudicati incompati-bili alla Cgil perché cerchiamo, con determinazione, un confron-to con altri colleghi che subisco-no le stesse nostre condizioni, rispetto alle quali è nostra in-tenzione ribellarci e determinare una svolta che ci ridia diritti e di-gnità, ha dell’incredibile!

La storia della Cgil dimostra che azioni come la nostra sono sempre state valorizzate e mai giudicate tanto negativamente.

Noi portiamo avanti quei va-lori di aggregazione, è abba-stanza evidente che il sindaca-to di cui facciamo parte cerca di contrastarli.

Perché usare tanta repres-sione? Le risposte, a nostro modo di vedere sono molteplici, in capo a tutte c’è la volontà di normalizzare un sindacato che

per molti è rimasto l’unico, tra i confederali, che possa ancora rimettere in discussione la dife-sa della classe operaia.

Normalizzare il conflitto e di-ventare come Fim e Uilm, cioè come quei sindacati che han-no fatto di tutto per metterci fuori dagli stabilimenti FCA e ai quali sempre più spesso i verti-ci Fiom tendono la mano in se-gno di pace, ecco questo sì che dovrebbe essere considerato in-compatibile con il nostro Statuto.

Siamo delegati che continua-no a proclamare scioperi in FCA,

spesso rivendicando quell’auto-nomia che è in capo ad ogni sin-dacalista di fabbrica, è questo uno dei problemi?

Siamo dei lavoratori che, al di là delle appartenenze sinda-cali, cercano di difendersi, di-fendersi da un padrone sempre più autoritario, che quando col-pisce i propri dipendenti non fa alcuna distinzione, colpisce tutti, ed è da questo presupposto che è partita l’idea di coordinarci, di

fare fronte unico.Questo non vuol dire assolu-

tamente creare un parasindaca-to, assolutamente no!

Questo significa cercare al-tri colleghi, che come noi, voglio unirsi sui posti di lavoro per fare della lotta alla prepotenza l’uni-ca strada perseguibile.

Un’ultima precisazione ci sentiamo di fare, e riprende la frase a titolo della nostra lette-ra, in quale luogo che si defini-sce democratico, si giudicano ed eventualmente condanna-no delle persone senza averle

nemmeno ascoltate? In un Pa-ese civile nessuno. Ma è quan-to accaduto a noi, da quando abbiamo appreso da altri e non dalla Cgil, di essere sotto inda-gine non ci è mai stata data la possibilità di motivare le nostre scelte in merito all’oggetto della discussione.

Nessuno ci ha convocati per chiederci spiegazioni, pur aven-do incontrato spesso i segretari che avevano fatto denuncia alla

Commissione Statuto Cgil, nes-suno ci ha informati, possiamo affermare senza paura di esse-re smentiti che è stato fatto tutto alle nostre spalle.

Questo è in assoluto un at-teggiamento autoritario, nei Pa-esi meno democratici al mon-do si finge un processo, a volte anche sommario, la nostra or-ganizzazione ha saputo fare di peggio.

In conclusione, di cosa sia-mo accusati, di fare gruppo con altri colleghi per difenderci a vi-cenda? Se questa è la preoc-cupazione del nostro sindacato più che del padrone, forse gli in-compatibili all’organizzazione di Di Vittorio non siamo noi.

Martedì, 8 Marzo 2016Iscritti e delegati della Fiom

Cgil in FCAMaria Labriola direttivo Fiom

Melfi, Stefania Fantauzzi rls/rsa Fiom Termoli, Giuseppina Im-brenda rsa Fiom Melfi, Michela Canci rsa Fiom Sevel, France-sca Felice direttivo Fiom Sevel, Massimiliano Fierro rls/rsa Fiom Termoli, Antonio Langone rsa Fiom Melfi, Fabio D’Ilio rsa Fiom Termoli, Antonio Lamorte rsa Fiom Melfi, Domenico Cappella rsa Fiom Termoli, Domenico De Stradis rsa Fiom Melfi, Ernesto Marcovicchio rsa Fiom Termo-li, Silvano Fanelli direttivo Fiom Melfi, Leonardo Di Maio direttivo Fiom Termoli, Antonio De Ste-fano iscritto Fiom Melfi, Antonio Genovese iscritto Fiom Melfi, Marco Pignatelli direttivo Fiom Melfi, Luciano Chiavaroli diretti-vo Fiom Sevel

Susanna Camusso, segretaria nazionale della CGIL e Maurizio Landini, segretario nazionale della FIOM, si fanno ritrarre felicemente insieme per dimostrare la propria intesa sulla linea sindacale della CGIL. A destra Fabio Palmieri, provocatore antiPMLI, che in occasione della manifesta-zione della FIOM a Roma il 16 ottobre 2010 cercò di impedire l’accesso al corteo alla delegazione nazionale del Partito

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N. 12 - 24 marzo 2016 art. 39 e 46 costituzione e istituzionalizzazione sindacato / il bolscevico 7All’Assemblea costituente tramite Togliatti e Di Vittorio

Il PCI e lA CGIl sI ACCoDArono AllA DC suGlI ArTIColI 39 e 46 DellA CosTITuzIone Per InTeGrAre I lAVorATorI e Il sInDACATo nello sTATo borGhese e nel CAPITAlIsmo

I lavori che si svolsero tra il 1946 e il 1947 presso l’Assemblea costituente mostrano chiaramente quanto i dirigenti dell’allora Par-tito comunista Italiano si fossero accodati, per ciò che riguarda l’au-tonomia dei sindacati e la parteci-

pazione dei lavoratori alla gestio-ne delle imprese, alla Democrazia Cristiana, rivelando il loro revi-sionismo al punto che addirittu-ra furono scavalcati dalla sinistra democristiana sul tema del supe-ramento del capitalismo.

Questa sintonia con la DC, che spesso diventava appiattita subal-ternità, è evidente soprattutto dai lavori che portarono all’emana-zione dell’articolo 39 (che fissa i principi fondamentali in tema di li-bertà sindacale, del riconoscimen-

to giuridico dei sindacati e della contrattazione collettiva) e dell’ar-ticolo 46 (che tratta della parteci-pazione dei lavoratori alla gestione delle aziende). Dell’articolo 39 ne abbiamo parlato a fondo sul prece-dente numero de “Il Bolscevico”.

Sono interessanti in quest’am-bito le posizioni di Palmiro To-gliatti, segretario generale del PCI, e dell’allora dirigente della CGIL unitaria (che dal 1944 comprende-va comunisti, cattolici e socialisti e dalla quale pochi anni dopo sa-

rebbero nate CISL e UIL) Giusep-pe Di Vittorio, ossia i due massi-mi dirigenti, l’uno politico e l’altro sindacale, che si richiamavano as-seritamente al pensiero marxista-le-ninista nell’immediato dopoguerra italiano. Ma erano solo parole.

PC e DC sull’articolo 39L’articolo 39 della Costituzio-

ne italiana è stato storicamente uno dei più travagliati, non tan-to nella fase della sua elaborazio-ne, quanto per il fatto che la legge che avrebbe dovuto dare attuazio-ne alle modalità di registrazione dei sindacati - e quindi alla con-seguente efficacia obbligatoria dei contratti collettivi da essi sotto-scritti - non fu mai emanata a cau-sa dell’opposizione in particolare della democristiana CISL che te-meva l’egemonia sindacale della CGIL.

L’articolo 39, nella sua for-mulazione definitiva, così recita: “L’organizzazione sindacale è li-bera. Ai sindacati non può esse-re imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici lo-cali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la re-gistrazione che gli statuti dei sin-dacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sin-dacati registrati hanno personali-tà giuridica. Possono, rappresen-tati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contrat-ti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli apparte-nenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.

All’Assemblea costituente Di Vittorio e i democristiani furono, con qualche dissidenza su questio-ni peraltro marginali, concordi nel-la stesura dell’articolo, e vi sono a tal proposito numerosi esempi.

Si pensi alla discussione tenu-ta il 17 ottobre 1946 nella seduta pomeridiana della terza Sottocom-missione della Commissione per la Costituzione, nella quale Di Vit-torio presentò la sua proposta, che così come formulata, andrà a costi-tuire, con marginali emendamenti, il primo e secondo comma dell’art. 39 della Costituzione: “L’organiz-zazione sindacale è libera. All’or-ganizzazione sindacale non può essere imposto altro obbligo che quello della registrazione presso organi del lavoro, locali o centra-li. Ai sindacati è attribuito il com-pito di stipulare contratti collettivi di lavoro secondo quanto è stabi-lito dalla legge”. Di Vittorio non si dimostrò contrario alla proposta di Giuseppe Rapelli (Democrazia Cristiana) che proponeva del resto un testo che era difforme, rispet-to a quello dell’esponente del PCI, più nella forma che nella sostanza: “L’organizzazione sindacale è li-bera. Al fine della stipulazione dei

contratti collettivi di lavoro, che dovranno avere efficacia obbliga-toria per tutti gli appartenenti alla stessa categoria, la legge regolerà la formazione delle rappresentan-ze sindacali unitarie di ciascuna e detterà le norme relative”.

A questo punto, al fine di chia-rire meglio il rapporto reciproco di più sindacati che concorrano alla stipulazione dei contratti colletti-vi, Di Vittorio propone, rettifican-do l’ultimo comma da lui prece-dentemente proposto, il seguente testo: “Le rappresentanze sinda-cali formate in proporzione degli iscritti stipulano i contratti collet-tivi di lavoro che devono avere ef-ficacia obbligatoria per tutti gli interessati”.

È evidente come Di Vittorio fa di tutto per venire incontro alla proposta di Rapelli, ma ciò che aggiunge poi è ancora più signi-ficativo per comprendere la sua subalternità verso la Democrazia Cristiana e la tradizione politica borghese, chiarendo gli scopi che, a suo avviso, il sindacato deve prefiggersi dall’acquisizione del-la personalità giuridica, attraver-so la registrazione. Egli dichiara che l’organizzazione dei lavorato-ri si prefigge, con la registrazione, uno scopo triplice: innanzitutto

consentire ai sindacati di stipula-re i contratti collettivi (e questo lo aveva detto nella sua proposta di testo costituzionale sopra citato, in secondo luogo dare loro il diritto di costituirsi in giudizio e per ulti-mo dare la facoltà di possedere dei beni, ed è altresì sua opinione che debba essere la legge ordinaria a stabilire i requisiti per il riconosci-mento dei sindacati.

Per cui egli così integrò la sua proposta: “Ai sindacati, quali or-gani di difesa e di tutela dei dirit-ti e degli interessi economici pro-fessionali e morali dei lavoratori, viene riconosciuta la personalità giuridica. La legge fisserà le con-dizioni del riconoscimento giuridi-co delle associazioni professionali dei lavoratori e dei datori di lavo-ro”. È significativo che le ultime due nuove proposte di Di Vittorio vennero approvate dalla terza Sot-tocommissione con il voto deter-minante dei deputati della Demo-crazia Cristiana, e del resto esse offrivano alle forze politiche mo-derate e conservatrici la garanzia, per non dire la certezza, che - per bocca più che autorevole del mas-simo dirigente sindacale legato al PCI come Di Vittorio - si stava ap-prontando un modello di sindacato non di lotta bensì di sistema, non

di conflitto in rappresentanza dei lavoratori bensì di acquiescenza ai controlli giuridici per dimostrare di avere le carte in regola per stare nel sistema borghese.

Infine, anche il riferimento con-giunto alle “associazioni profes-sionali dei lavoratori e dei datori di lavoro” non poteva che suona-re come musica alle orecchie del-le forze borghesi come la DC, la-sciando intendere che il PCI ormai accettava le organizzazioni padro-nali come un fatto insito nel siste-ma che si stava costruendo.

Infatti nella seduta della ter-za Sottocommissione del 22 otto-bre 1946 il democristiano Amin-tore Fanfani chiarisce che con l’espressione “sindacati” devono intendersi sia le organizzazioni dei lavoratori che quelle padrona-li, e che esse devono essere giuri-dicamente su un piano di parità, e formula una proposta che non di-spiace a Di Vittorio: “L’organizza-zione sindacale è libera. In essa si riconosce un mezzo necessario per la tutela dei diritti e degli interessi economici, professionali e mora-li dei lavoratori. Ai sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro è riconosciuta la personalità giuri-dica alle condizioni previste dal-la legge, ma senza imposizione di

altro obbligo all’infuori di quello della registrazione. Le rappresen-tanze sindacali unitarie formate in proporzione agli iscritti, stipulano i contratti collettivi di lavoro che devono avere efficacia obbligato-ria per tutti gli interessati”.

Il testo del futuro articolo 39, ulteriormente emendato e rielabo-rato, fu infine discusso all’Assem-blea costituente dove è interessan-te notare che il PCI si accodò alla DC su molti punti.

È interessante il pensiero che la DC, per bocca del suo deputa-to Dominedò, espresse nella se-duta pomeridiana dell’Assemblea costituente che si tenne il 3 mag-gio 1947 a proposito del ruolo dei sindacati dei lavoratori nel sistema che si stava formando: “Noi dob-biamo cominciare a parlare della personalità giuridica di diritto pri-vato, cioè della titolarità dei diritti da parte del sindacato, non essen-do ancora giunti al secondo gra-dino che toccheremo solo quan-do daremo la possibilità di dettar norme alla categoria: solo in quel momento spetterà, infatti, al sin-dacato una potestà di imperio, per cui la personalità giuridica si tra-sferirà dal terreno di diritto priva-to in quello del diritto pubblico”. La “potestà di imperio” di cui par-

la Dominedò è un concetto tecnico giuridico, e indica l’attitudine, da parte di un soggetto, di modifica-re unilateralmente con la propria volontà la situazione giuridica di un altro soggetto, in parole povere indica il potere, che è tipico degli enti pubblici borghesi, di imporre in modo unilaterale una volontà a scopo coercitivo. Il futuro sinda-cato disegnato dall’esponente de-mocristiano deve essere un vero e proprio ente pubblico in grado di dettare norme (create attraverso i contratti collettivi) vincolanti an-che per i lavoratori non iscritti al sindacato, una concezione che as-somiglia in modo assai pericoloso, al di là degli scopi voluti da Fan-fani, a quella corporativa di epoca fascista (nella quale le corporazio-ni, alle quali erano obbligatoria-mente iscritti lavoratori e datori di lavoro di ogni singolo comparto, erano infatti enti pubblici): insom-ma, si sta parlando dei futuri sin-dacati dei lavoratori come di veri e propri pezzi del regime borghese.

Il 7 maggio 1947, nella seduta pomeridiana dell’Assemblea co-stituente interviene Giuseppe Di Vittorio che, a proposito del ruo-lo dei sindacati, afferma a proposi-to del contenuto del futuro articolo 39 della Costituzione: “Ma quan-do noi, tenendo conto della tradi-zione che si è stabilita nel nostro Paese, abbiamo voluto afferma-re che il riconoscimento giuridico dei sindacati non deve implicare una dipendenza dei sindacati stes-si dallo Stato, non abbiamo voluto esprimere nessuna diffidenza ver-so lo Stato democratico repubbli-cano; tanto è ciò vero, che nello statuto della Confederazione ge-nerale italiana del lavoro è affer-mato nettamente il principio che i sindacati, oltre a difendere gli interessi economici dei lavora-tori, si preoccupano anche della difesa delle libertà democratiche e della Repubblica. Perciò, nes-sun sospetto dei lavoratori verso lo Stato democratico e repubbli-cano; ma noi crediamo che la esi-genza dell’autonomia e dell’indi-pendenza completa dei sindacati rispetto ai poteri dello Stato non sia incompatibile col rispetto che i lavoratori hanno verso lo Stato democratico, ed anzi con la loro volontà di impiegare tutti i mezzi a loro disposizione per difendere lo Stato democratico contro qualsia-si assalto o tentativo di assalto re-azionario e monarchico. In questo

Fine anni ‘60. Un gruppo di lavoratori edili porta in piazza per il Primo Maggio la rivendicazione per uno statuto dei diritti dei lavoratori

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8 il bolscevico / art. 39 e 46 costituzione e istituzionalizzazione sindacato N. 12 - 24 marzo 2016

stesso articolo è affermato il prin-cipio della obbligatorietà dei con-tratti di lavoro. Io desidero per un momento attirare l’attenzione dei colleghi sulla necessità di questa obbligatorietà. I sindacati sono abbastanza forti per tutelare effi-cacemente gl’interessi dei lavora-tori, per ottenere la stipulazione di contratti collettivi, che, nei limiti delle possibilità reali, soddisfino le loro esigenze. Però ci si trova molto spesso di fronte a dei datori di lavoro tanto egoisti e tanto anti-sociali, da non volere riconoscere nemmeno i contratti di lavoro, che sono stipulati liberamente fra le organizzazioni dei datori di lavo-ro e le organizzazioni dei lavora-tori. In questo caso, l’organizza-zione dei lavoratori non ha che un mezzo per far valere il proprio di-ritto: l’agitazione, lo sciopero, la lotta contro quel datore di lavoro egoista che si rifiuta di accogliere i giusti diritti dei lavoratori. E, na-turalmente, siccome il numero di questi datori di lavoro non è così esiguo, come si potrebbe pensare, ciò ci porterebbe a dover scatena-re una serie di agitazioni e di lot-te, che noi vogliamo evitare al no-stro Paese”.

Giuseppe Di Vittorio qui si smaschera come un autentico so-cialdemocratico e non come un comunista, e a nulla può valere l’obiezione che egli, nel distin-guere lo Stato fascista da quello repubblicano, si rivela un antifa-scista: infatti anche uomini come Benedetto Croce o Alcide De Ga-speri furono antifascisti, ma non per questo si possono considera-re seguaci della Comune di Parigi o dell’Ottobre Rosso. Di Vittorio offre, con le sue prese di posizio-ne politiche, la sua adesione senza riserve alle istituzioni del nuovo Stato repubblicano che, contem-plando e tutelando - senza nean-che frapporre limiti degni di nota - la proprietà privata dei mezzi di produzione, si contraddistin-gue chiaramente come Stato bor-ghese nel quale la classe borghe-se dominante, che con il fascismo governava in un modo, nella Re-pubblica continuerà a governare in una modalità diversa, a meno che una Rivoluzione socialista non la spazzi via come classe, ma questo è possibile soltanto con la Rivo-luzione socialista, che Di Vittorio neppure nomina.

Quanto alla lotta di classe delle

masse lavoratrici, è la stessa visio-ne del massimo dirigente sindaca-le dell’epoca che la depotenzia e la imbriglia all’interno delle isti-tuzioni della neonata Repubblica, privando le masse popolari di una guida sindacale e politica autenti-camente rivoluzionaria, e lo stesso elemento dello sciopero - elemen-to fisiologico nella lotta di classe - viene esorcizzato, tanto che Di Vittorio dichiara candidamente che è sua intenzione evitare agita-zioni e lotte.

Al contrario di ciò che ritiene Di Vittorio infatti, la lotta di clas-se non si può placare per decisione sindacale in quanto è un elemen-to fisiologico e naturale in ogni società, e il ruolo dei sindacati è semmai far sì che le lotte siano ef-ficaci e coordinate e non scompo-ste e disordinate.

Si tratta, per il PCI, non solo dell’abbandono di ogni posizione critica nei confronti del capitali-smo, ma anche - fatto ben più gra-ve - della chiara volontà, da parte di tale partito, di fare entrare i sin-dacati (e di conseguenza i lavora-tori) all’interno stesso del sistema capitalista.

Ma è nella seduta pomeridiana

dell’Assemblea costituente del 10 maggio 1947 che più si vede l’ap-piattimento di Di Vittorio sulle po-sizioni della DC. In tale occasio-ne infatti il giurista democristiano Costantino Mortati presentò il se-guente emendamento al progetta-to articolo 39 della Costituzione: “I sindacati, per poter parteci-pare a funzioni di carattere pub-blico, devono essere ordinati in modo democratico ed ottenere la registrazione presso Uffici locali o centrali a norma di legge”. Mor-tati così argomentò la sua propo-sta: “In uno Stato moderno, come il nostro, che voglia porsi dei compiti interventisti nel campo dell’economia, i sindacati assu-mono una funzione essenziale sul funzionamento dello Stato, essen-do elementi costitutivi della strut-tura dello Stato stesso. Ne conse-gue la rilevanza costituzionale di questi organismi e la necessità di una inserzione nella Costituzio-ne dei principi fondamentali che servono a delineare l’organizza-zione di questi enti”. Con tale ar-gomentazione giuridica Morta-ti vuole sottoporre i sindacati dei lavoratori al controllo pubblico, obbligandoli a integrarsi comple-

tamente nella sovrastruttura giu-ridica e nella struttura economica dello Stato borghese e rendendo-li, dal punto di vista della lotta di classe, completamente inoffensi-vi. Non si possono interpretare in altro senso parole come “i sinda-cati assumono una funzione es-senziale sul funzionamento dello Stato, essendo elementi costitutivi della struttura dello Stato stesso”: quello che a prima vista sembra un entusiastico riconoscimento del ruolo sociale dei sindacati, ad un attento esame si rivela il tentativo, poi riuscito per mano anche di al-tri deputati tra cui lo stesso Di Vit-torio, di irretire e imbrigliare nel sistema i sindacati al fine di svuo-tarli (e di conseguenza di svuota-re i lavoratori ad essi iscritti o co-munque da essi guidati) di ogni funzione di lotta, e non è casuale che un gruppo trasversale di depu-tati concordò con lo stesso Morta-ti quell’emendamento che andò a costituire quello che è attualmen-te il terzo comma dell’art. 39 del-la Costituzione, ovvero “È condi-zione per la registrazione che essi sanciscano nei loro statuti un or-dinamento interno democratico”. Tali deputati erano (oltre allo stes-

so Mortati) Benvenuti, Carboni, Moro, Taviani (Democrazia Cri-stiana), Bitossi, Di Vittorio, La-coni (Partito Comunista Italiano), Arata, Canevari, Francesco Ma-riani (Partito Socialista Italiano) e Veroni (Democrazia del lavoro).

Il risultato finale fu che il 20 dicembre 1947 l’Assemblea Co-stituente votò quello che sareb-be diventato l’art. 39 della Co-stituzione, che nelle intenzioni di PCI e DC avrebbe dovuto sanci-re un vero e proprio ruolo istitu-zionale dei sindacati all’interno dello Stato borghese: “L’organiz-zazione sindacale è libera. Ai sin-dacati non può essere imposto al-tro obbligo se non la registrazione presso uffici locali o centrali, se-condo le norme di legge. È con-dizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sancisca-no un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Pos-sono, rappresentati unitariamen-te in proporzione dei loro iscrit-ti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle ca-tegorie alle quali il contratto si ri-ferisce”

PCI e DC sull’articolo 46Anche per ciò che riguarda i

lavori che, nell’ambito dell’As-semblea costituente, portarono alla formulazione di quello che sa-rebbe diventato l’articolo 46 del-la carta fondamentale, non si può non notare la sintonia tra Togliatti e Di Vittorio da una parte e la De-mocrazia Cristiana dall’altra.

Tale disposizione costituziona-le peraltro è assai scarna, come si può leggere dal testo definitiva-mente approvato dall’Assemblea costituente: “Ai fini della elevazio-ne economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica ricono-sce il diritto dei lavoratori a colla-borare, nei modi e nei limiti stabi-liti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

Il legislatore costituente, quan-do, tra il 1946 e il 1947, fu dibat-tuto il tema che portò alla stesura di questo articolo, aveva in men-te l’esperienza dei cosiddetti ‘con-sigli di gestione’ operai che erano sorti e stavano sorgendo in molte grandi aziende subito dopo la fine della guerra, un’esperienza peral-tro che, lungi dall’avere svilup-pi, andò rapidamente a esaurirsi completamente nell’arco di pochi anni.

Dal punto di vista politico, non si può non rilevare che la colla-borazione tra imprenditore e di-pendenti finalizzata alla gestione dell’azienda rappresenta in un si-stema capitalista una vera e pro-pria arma a doppio taglio per gli stessi lavoratori, i quali nei perio-di di congiuntura economica fa-vorevole ottengono un modesto vantaggio nel salario, ma quando l’economia va male essi rischia-no comunque il licenziamento o la messa in mobilità: con l’istituto della cogestione insomma il siste-ma capitalista vuole attrarre poli-ticamente gli operai nella propria orbita ideologica come aveva fat-to il fascismo con il corporativi-smo, neutralizzando così la lotta di classe ed esorcizzando lo sviluppo della coscienza di classe da parte delle lavoratrici e dei lavoratori.

La coscienza di classe peral-tro ha come esito finale della con-seguente prassi rivoluzionaria la creazione di un sistema socialista, dove i lavoratori non sono chia-

mati a fare le sguattere degli im-prenditori ossia a “collaborare” come, su proposta della DC, re-cita l’articolo 46, bensì a gestire da protagonisti direttamente e in forma collettiva l’azienda coope-rativa o comunque pubblica nel-la quale lavorano, come accadeva nelle fabbriche e nelle campagne dell’URSS sin dagli anni Trenta nell’ambito dei piani quinquennali che assicurarono a quel Paese tas-si di crescita economici mai rag-giunti né prima né dopo da alcun altro sistema, e tutto questo men-tre l’Occidente capitalista si lecca-va le ferite a seguito della grande depressione del 1929!

Da un punto di vista squisi-tamente giuridico, il sistema so-

cialista legittima la gestione del-le imprese da parte dei lavoratori con il principio della democrazia proletaria applicata, in questo caso specifico, al campo economi-co, democrazia che è a sua volta conseguenza del processo di col-lettivizzazione di tutti i mezzi di produzione attuata a seguito del-la Rivoluzione Socialista, un fatto che all’epoca della promulgazio-ne della Costituzione sovietica del 1936 era ormai un dato acquisito e un traguardo fondamentale nella costruzione del socialismo, come recita l’articolo 3 di questa fonda-mentale fonte giuridica: “La base economica dell’URSS è costitui-ta dal sistema socialista dell’eco-nomia e dalla proprietà socialista

degli strumenti e mezzi di pro-duzione, affermatisi in seguito alla liquidazione del sistema ca-pitalista dell’economia, all’abo-lizione della proprietà privata degli strumenti e mezzi di pro-duzione e all’eliminazione dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo”.

D’altra parte il sistema capita-lista legittima la gestione da par-te dell’imprenditore privato con il concetto di ‘rischio’ al quale l’im-prenditore stesso sottopone il ca-pitale di cui egli, in modo esclusi-vo, è proprietario e dal quale trae profitto, come in modo cristallino enuncia uno dei maggiori esper-ti italiani di diritto commerciale, Francesco Galgano, che espone la

teoria economica liberale classica, nella quale non c’è spazio, per i la-voratori, neppure per una minima voce in capitolo riguardo alla dire-zione dell’impresa: “Solo all’im-prenditore, e non ad altri, spetta di dirigere l’impresa perché solo l’imprenditore, che è esposto ai ri-schi dell’impresa, offre la garan-zia di una responsabile direzione” (F. Galgano, Diritto commercia-le: l’imprenditore, vol. I, Bologna, 1990, p. 124).

Ma, mentre l’imprenditore pri-vato cura solo ed esclusivamente i suoi peculiari interessi, la clas-se operaia può emancipare dallo sfruttamento e dalla precarietà non solo se stessa, ma l’intera società, come ben ha commentato Engels

nella sua Prefazione all’edizione inglese del 1888 al Manifesto del Partito Comunista: “tutta la storia dell’umanità è stata una storia di lotte di classi, lotte fra classi sfruttatrici e classi sfruttate, fra classi dirigenti e classi oppres-se; la storia di questi conflitti di classe costituisce uno svilup-po nel quale si è raggiunto oggi uno stadio in cui la classe sfrut-tata e oppressa - il proletariato - non può liberarsi dal giogo della classe sfruttatrice e dominante - la borghesia - senza emancipare una volta per tutte la società nel suo insieme da ogni sfruttamen-to, da ogni oppressione, da tut-te le differenze di classe e da tut-te le lotte di classe” (K. Marx, F. Engels, Manifesto del Partito Co-munista, Piccola biblioteca mar-xista-leninista 4, Firenze, 1998, pp. 18,19). In questo senso si può tranquillamente dire che la coge-stione da parte dei lavoratori in un sistema capitalista non costituisce alcun vantaggio per la classe ope-raia, mentre ai capitalisti offre il vantaggio di una maggior pace so-ciale, minore conflittualità, senza però che tutto ciò significhi per i lavoratori una messa in sicurezza dalle crisi che periodicamente, e fisiologicamente, colpiscono il si-stema capitalista e che mettono a rischio il loro posto di lavoro o co-munque i loro diritti.

Alla luce di quanto detto, si comprenderà meglio il dibattito che si svolse in seno all’Assem-blea costituente.

Il 1 ottobre 1946, nella sedu-ta mattutina della terza Sottocom-missione della Commissione per la Costituzione, Bruno Corbi (PCI) si dimostra favorevole alla promo-zione e alla creazione di consigli di azienda nei quali avrebbero do-vuto partecipare i dipendenti, sia nelle imprese private sia in quelle pubbliche, formulando la seguente proposta: “per garantire lo svilup-po economico del Paese e per as-sicurare nell’interesse nazionale l’esercizio del diritto e delle forme di proprietà previste dalla legge, lo Stato assicura al lavoratore il diritto di partecipare alle funzio-ni di direzione dell’impresa, siano esse aziende private, pubbliche o sotto il controllo della Nazione” e

Torino, 1969. Una assemblea dei lavoratori della FIAT organizzata dal Consiglio di fabbrica

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N. 12 - 24 marzo 2016 art. 39 e 46 costituzione e istituzionalizzazione sindacato / il bolscevico 9il presidente della Sottocommis-sione Ghidini (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) sotto-linea che vi è un consenso gene-rale, da parte dei deputati, su tale punto. Dominedò (DC) sottolinea comunque il fatto, sgomberando il campo da qualsiasi ipotesi di col-lettivizzazione che deve trattar-si di partecipazione, da parte dei lavoratori, non alla comproprietà dell’impresa, ma solo alla sua ge-stione o alla sua direzione.

Il 4 ottobre 1946, nella seduta mattutina della medesima Sotto-commissione, il presidente Ghidi-ni prese atto di un accordo gene-rale sul diritto dei lavoratori ad intervenire nella vita delle azien-de, mettendo altresì in risalto che non vi fosse invece accordo sul-la natura di questo intervento, in quanto vi era il timore che una ac-centuata partecipazione dei lavo-ratori alla gestione delle impre-se potesse essere di intralcio alla attività dei dirigenti aziendali, ri-tenendo che il compito di deter-minare le funzioni dei consigli di gestione spettasse non alla Costi-tuzione, ma alla legislazione or-dinaria, un concetto quest’ulti-mo che poi entrò nell’articolo 46 quando fu definitivamente formu-lato. Ghidini, con la sola riserva in relazione al numero minimo di la-voratori che egli avrebbe deman-dato semmai alla legge ordinaria, si mostrò favorevole alla formu-lazione proposta da Di Vittorio il quale sosteneva che “Ai lavorato-ri di aziende di ogni genere aven-ti almeno 50 dipendenti, è ricono-sciuto il diritto di partecipare alla gestione dell’azienda mediante appositi consigli di gestione, le cui norme costitutive ed i cui compiti saranno fissati dalla legge”.

Interviene a questo punto Fan-fani che esordisce trattando non il tema della partecipazione dei la-voratori alla gestione dell’impresa, bensì della loro partecipazione agli utili dell’azienda, ritenendo che non si sarebbe potuto rinunciare a questo espediente della partecipa-zione agli utili, che avrebbe potu-to consentire un controllo dell’ac-cumulazione capitalistica in vista di una maggiore giustizia sociale. Tema strettamente connesso alla redistribuzione della ricchezza era, secondo Fanfani, quello della partecipazione attiva dei lavorato-ri alla creazione di tale ricchezza, tramite l’immissione dei lavorato-ri negli organi dirigenti dell’im-presa, sottolineando che questi ul-timi, se non predispongono i piani industriali, tuttavia, provandone l’efficacia, ne vedono quotidia-namente i difetti. All’obiezione dell’impreparazione dei lavorato-ri a partecipare ai consigli di am-ministrazione, Fanfani risponde-va che normalmente il lavoratore ne sa di più dei consiglieri di am-ministrazione stessi, proponendo comunque l’istituzione di scuole aziendali per la preparazione tec-nico-amministrativa dei lavoratori che in futuro sarebbero entrati in seno al consiglio di amministra-zione, facendo la similitudine con il processo che ha portato al suf-fragio universale. Fanfani ovvia-mente non poteva non tener pre-sente nella sua analisi politica ciò che sin dagli inizi degli anni Tren-ta accadeva nell’Unione Sovietica dove la partecipazione attiva dei lavoratori alla gestione delle im-prese aveva consentito un auten-tico miracolo economico, tanto più eclatante in quanto esso avve-niva mentre il capitalismo ameri-cano era messo in ginocchio dal-la grande depressione del ‘29 e il capitalismo dei Paesi dell’Europa continentale risolveva le sue con-traddizioni con l’espansionismo dei regimi nazifascisti. E nel pro-sieguo del suo discorso Fanfani ri-leva che lo sviluppo finale del pro-cesso di partecipazione si sarebbe

avuto, a suo avviso, mediante l’istituto della progressiva parte-cipazione della comunità dei la-voratori non solo alla gestione ma anche alla proprietà dell’impresa, originariamente con una parteci-pazione di minoranza, e in seguito come partecipazione paritaria che avrebbe comportato, come inevi-tabile sviluppo, la partecipazione totale dei lavoratori ai consigli di amministrazione.

Alla luce di quanto esposto, Fanfani propose un ordine del giorno: “In attesa che sia svolta e discussa la relazione sul control-lo sociale dell’attività economica, la terza Sottocommissione, udita la relazione Corbi sui consigli di gestione, chiede che al momento opportuno sia statuita una norma la quale precisi i diritti dei lavo-ratori (tecnici, impiegati, operai) ed eventualmente degli utenti (per alcune imprese di servizi), a par-tecipare con rappresentanti de-mocraticamente eletti all’am-ministrazione delle imprese, ad affiancare con appositi Consigli la direzione tecnica delle aziende, ed infine determini la partecipa-zione dei lavoratori ed eventual-mente degli utenti agli utili delle imprese ed agevoli nei casi favo-revoli il passaggio della proprietà delle imprese alle comunità dei la-voratori ed eventualmente anche degli utenti”.

L’11 ottobre 1946, nella sedu-ta mattutina della terza Sottocom-missione, Pesenti (PCI) si limitò a dire che la Costituzione avrebbe dovuto accontentarsi di enuncia-re un principio fondamentale, cioè che al lavoratore è riconosciuto il diritto di partecipare alla direzione dell’impresa, lasciando alla leg-ge ordinaria la legislazione tecni-ca circa le modalità di tale inter-vento dei lavoratori. Il presidente Ghidini (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) propone quin-di la sua sintesi che tiene conto di quanto espresso da Pesenti, ovve-ro: “Lo Stato assicura il diritto dei lavoratori di partecipare alla ge-stione delle aziende ove prestano la loro opera. La legge stabilisce i modi e i limiti di applicazione del diritto”, e tale articolo è vota-to anche dai democristiani Fanfani e Taviani.

La proposta della terza Sotto-commissione, così come formula-ta, giungeva pochi giorni più tardi, il 16 ottobre 1946, all’attenzione della prima Sottocommissione che trattava dei rapporti sociali ed eco-nomici, e viene fatta propria da To-

gliatti che in quella sede era rela-tore, il quale propose che anche la prima Sottocommissione facesse propria la formula approvata, con l’apporto decisivo della DC, dalla terza Sottocommissione: la propo-sta di Togliatti, messa ai voti, ven-ne approvata all’unanimità.

Tale testo veniva poi defini-tivamente approvato dalla terza Sottocommissione nella seduta del 26 ottobre 1946 e trasmesso alla Commissione per la Costitu-zione, la quale così lo rielaborava nel progetto di Costituzione, inse-rendolo come provvisorio articolo 43: “I lavoratori hanno diritto di partecipare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende ove prestano la loro opera”

A questo punto è interessante leggere alcuni interventi durante i lavori di discussione, nell’As-semblea costituente, del progetto di Costituzione.

Tupini (DC) sostiene nella se-duta del 5 marzo 1947, in perfet-ta sintonia con quanto aveva pre-cedentemente affermato Fanfani: “Sono altresì raccomandate e pre-viste nel nostro progetto la coo-perazione e la partecipazione dei lavoratori alla vita delle aziende. Questo punto di vista noi difen-deremo, poiché esso rappresenta il riconoscimento e l’attuazione di una civiltà, di un ordinamento giuridico e sociale in cui il lavo-ratore è posto al centro e sottrat-to alla speculazione, alla miseria, alle cause insomma che feriscono la sua libertà e la sua dignità”.

Nella seduta pomeridiana dell’Assemblea costituente dell’11 marzo 1947 è poi il turno di La Pira (DC): “l’impresa va conce-pita in maniera istituzionale, non secondo la categoria del contrat-to di diritto privato, ma secondo, invece, quella visione finalistica per cui tutti coloro, che collabo-rano ad una comunità di lavoro, sono membri, sia pure con diverse funzioni, di quest’unica comunità che trascende l’interesse dei sin-goli; quindi gli strumenti di pro-duzione si proporzionano a que-sta concezione: e allora avete una concezione della proprietà, che pur essendo presidio della libertà umana, tuttavia diventa strumento di questa opera collettiva, quindi dà una dignità al lavoratore, che non è più un salariato, ma, come le Encicliche pontificie ricordano, deve tendere a diventare il con-sociato, il compartecipe di que-sta comunità di lavoro. Quindi se

guardiamo alla realtà economica e vediamo tutte queste imprese, e le vediamo in senso cooperativo - vedi i richiami agli articoli 42 e 43 - vediamo questa grande famiglia umana che nel campo produttivo crea queste cellule vive, attraver-so le quali viene risolta la que-stione sociale: le comunità di la-voro”.

Togliatti, subito dopo il discor-so di La Pira, esprime la piena sin-tonia con quest’ultimo e, facendo riferimento ad una sua precedente relazione, sottolinea “la necessità dell’organizzazione di Consigli di azienda come organi per l’eserci-zio di un controllo sulla produzio-ne, da parte di tutte le categorie dei lavoratori, nell’interesse della collettività”.

Il 3 maggio 1947, nella seduta pomeridiana dell’Assemblea Co-stituente, Piero Malvestiti (DC) addirittura auspica il superamento del capitalismo, laddove dice: “Bi-sogna, invece, puntare risoluta-mente sulla trasformazione, direi meglio, sul superamento dell’eco-nomia capitalistica: perciò il solo diritto, sancito dall’articolo 43, di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende mi sem-bra del tutto inefficace ed illuso-rio”; e poco dopo aggiunge: “Ora, l’articolo 43 immette i lavoratori nella gestione delle aziende; ma, pure ammesso che tutto ciò deb-ba portare un contributo notevo-le alla produzione, c’è sempre una domanda da farsi, una riserva da proporsi: a profitto di chi? Si può dire, genericamente, ‘a pro-fitto della produzione’; ma questa è una parola. Si tratta, concreta-mente, di modificare la ripartizio-ne del profitto, senza danneggia-re il normale funzionamento di un sistema produttivo che ha pur fatto delle grandi prove; si tratta di conservare quanto c’è di buo-no nel sistema, indirizzandolo ver-so un’evoluzione in cui l’impera-tivo sociale diventerà sempre più dominante; si tratta di toglier di mezzo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo senza sostituirvi l’an-cor più atroce sfruttamento dello Stato su l’uomo. Si tratta, in so-stanza, di creare una vera e vitale democrazia economica. E allora, bisogna avere il coraggio di anda-re più in là; bisogna avere il co-raggio di dire: i lavoratori hanno diritto alla compartecipazione, re-golata dalla legge, agli utili, al ca-pitale e alla gestione dell’impresa di tipo capitalistico. La legge rico-noscerà il diritto al lavoro di es-

sere rappresentato nei consigli di amministrazione delle società per azioni, a prescindere da qualsiasi partecipazione azionaria”. Alcuni esponenti della sinistra DC, come La Pira e Malvestiti, erano molto avanzati sul piano sociale, men-tre altri, come Fanfani (e lo avreb-be poi dimostrato la storia politica dei decenni successivi) erano più tattici verso il PCI.

Alla seduta dell’Assemblea co-stituente del 14 maggio 1947 si decisero infine le sorti del proget-tato articolo 43, che nel definitivo testo costituzionale diventerà l’ar-ticolo 46 che tutti conosciamo.

Dopo la lettura, da parte del presidente Terracini (PCI) del te-sto, ossia “I lavoratori hanno di-ritto di partecipare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla ge-stione delle aziende ove prestano la loro opera”, inizia la discussio-ne.

I democristiani Gronchi, Pasto-re, Storchi e Fanfani presentarono il seguente emendamento con il quale sostituire il testo del provvi-sorio articolo 43: “Ai fini della ele-vazione economica e sociale del lavoro, ed in armonia con le esi-genze della produzione, la Repub-blica riconosce il diritto dei lavo-ratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

La relazione a tale testo fu affi-data a Giovanni Gronchi che così motivò la scelta dei quattro depu-tati democristiani: “La nostra po-sizione rispetto ai problemi del la-voro è sintetizzata nella frase che noi siamo risoluti a non mantenere nel vuoto sostanziale delle affer-mazioni oratorie, ma a riempire di un contenuto di progressive rifor-me sociali. Intendo dire: ‘la pre-minenza del lavoro’. Questo, nella sua attuale posizione, è uno stru-mento della produzione, più che un suo collaboratore. Da una tale inferiorità noi vogliamo elevar-lo. Ma in ogni fase della vita eco-nomica occorre che noi teniamo realisticamente conto della pro-gressività, attraverso la quale le trasformazioni si attuano. Senza di questa progressività l’inserzione del lavoro nei posti direttivi della vita economica si tradurrebbe in un pericolo per gli stessi lavora-tori. Non ci sono che due vie: o il capovolgimento totale e completo di un sistema economico, oppure la sua graduale modificazione che tenga razionalmente conto di cer-te leggi e di certe esigenze da cui non si può prescindere, in primo luogo per gli interessi del lavoro medesimo. Il nostro emendamen-to contiene due concetti. Il primo si rifà esplicitamente alle esigenze della produzione. Noi non siamo di quelli che sul tavolo anatomico della teoria distinguono e separa-no il processo della produzione in due fasi nettamente distinte e qua-si per se stanti: la prima produtti-va e la seconda distributiva. Noi siamo però convinti che l’impe-rativo categorico - come si dice-va in tempi che fortunatamente fu-rono - sia in primo luogo, in ogni tipo di sistema economico, quello di produrre di più affinché vi sia-no più utili, più frutti da distribu-ire, sia nel senso finanziario che nel senso più largamente econo-mico e sociale. È per questo che noi, finalizzando lo scopo di que-sto articolo, abbiamo posto in pri-mo luogo la nostra mira di eleva-re economicamente e socialmente il lavoro; ma vi abbiamo associa-to anche il concetto dell’armonia con le esigenze della produzione. Il secondo concetto che abbiamo voluto affermare è quello della collaborazione, la quale, lo dicia-mo con piena lealtà, non rispec-chia soltanto il nostro concetto di una solidarietà che comunque si pensi, nella fase attuale dell’eco-nomia dei paesi ancora, chiamia-

moli così, capitalistici è anch’es-sa imposta dallo stesso interesse della classe lavoratrice; ma vuo-le altresì indicare, per quella pro-gressività di trasformazioni da noi ritenuta necessaria, che debbono essere salvi taluni principî senza dei quali non vi è ordinata e per-ciò feconda attività produttiva; primo fra tutti quello che potrebbe essere nella unità di comando del-le aziende produttive. Questo non presuppone né un paternalismo anacronistico nella realizzazione di tale collaborante solidarietà, né una subordinazione che meno-mi il prestigio del lavoro; ma indi-ca una certa posizione gerarchica di compiti e di responsabilità del-la quale sarebbe assurdo e contra-rio agli interessi stessi del lavo-ro non tenere conto nel momento presente. Una Costituzione non è eterna, e chi la crea non può illu-dersi di regolare la vita sociale ed economica di un paese per seco-li; una Costituzione deve inserir-si soprattutto nella realtà del mo-mento nel quale essa è studiata e promulgata. Ecco le ragioni per le quali noi, al di là di ogni pruden-za, di cui sarebbe facile ma ingiu-sto accusarci, abbiamo creduto di accentrare questi due concetti nel testo della Commissione e propor-re l’emendamento che ho avuto l’onore di firmare per primo”. De-gne di nota sono le frasi dell’espo-nente democristiano laddove par-la di “paesi ancora, chiamiamoli così, capitalistici” e laddove so-stiene che “Una Costituzione non è eterna, e chi la crea non può il-ludersi di regolare la vita sociale ed economica di un paese per se-coli”, frasi tese a coinvolgere i la-voratori nel sistema capitalista al fine di trasformarlo in qualcosa di altro è solo un’illusione per i lavo-ratori e per l’intera società. Se si vuole abbattere il capitalismo, lo si deve fare per via rivoluzionaria travolgendo anche le sovrastrut-ture politiche, giudiziarie, milita-ri e di polizia dello Stato borghese che non possono sopravvivere, in quanto tali, in uno Stato socialista dove sia le aziende, sia le istituzio-ni politiche, giudiziarie, militari e di polizia non sono più nelle mani rispettivamente di imprenditori, magistrati, corpi, corpetti e corpu-scoli vari borghesi, ma degli stessi lavoratori. Senza avere in mano i centri fondamentali di potere, i la-voratori si illudono di essere clas-se dirigente, ma in realtà riman-gono degli sfruttati in un sistema capitalista.

Tuttavia Di Vittorio rimase fol-gorato dalla proposta democristia-na, tanto da affermare “Il Gruppo comunista sarebbe favorevole a mantenere il testo approvato dal-la Commissione; però, siccome noi vogliamo ricercare dei punti di in-contro con altri Gruppi che rappre-sentano larghe correnti dell’opi-nione pubblica e di lavoratori, voteremo l’emendamento sostitu-tivo dell’onorevole Gronchi, attri-buendo al concetto di collaborazio-ne il significato di partecipazione attiva dei lavoratori alla gestione dell’azienda, e quindi allo svilup-po dell’azienda stessa nell’interes-se dei lavoratori e del Paese”.

Ispirata da questa ideologia e da questa politica di collaborazio-ne con la classe dominante borghe-se, si capisce come mai la CGIL, a 70 anni dalla Costituente, una vol-ta che è riuscita, con l’aiuto deter-minante del PCI revisionista, a de-comunistizzare e derivoluzionare la classe operaia e le masse lavo-ratrici, chieda, attraverso la Car-ta dei diritti universali del lavoro, l’attuazione degli articoli 39 e 46 della Costituzione che formalizza-no i sindacati come istituzioni del-lo Stato borghese e integrano i la-voratori nel sistema capitalistico e nel suo ordinamento istituzionale e giuridico.

1971. Una grande assemblea degli operai alla Breda siderurgica di Sesto San Giovanni (Milano)

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Dal nostro corrispondente �dell’Emilia-RomagnaDomenica 13 marzo, in occa-

sione del 133° anniversario della scomparsa di Marx, avvenuta il 14 marzo del 1883, si è svolta a Ric-cione, di fronte al busto di Marx posto nel giardino della biblioteca comunale, una commemorazione del grande Maestro del proletaria-to internazionale e cofondatore del socialismo scientifico, alla qua-le hanno partecipato militanti e simpatizzanti di Rimini, Ravenna, Modena, Forlì e Salsomaggiore Terme del PMLI.

Ancor prima dell’inizio una pattuglia della polizia è giunta sul posto ed ha identificato i compa-gni presenti chiedendo loro il per-messo per stare lì, al che i com-pagni hanno risposto che non si

trattava di una manifestazione ma di una commemorazione di Marx alla quale partecipavano solo i presenti in quel momento.

Comunque si è trattata dell’en-nesima provocazione antimarxi-sta-leninista.

Il Responsabile del PMLI per l’Emilia-Romagna, ha tenuto un discorso commemorativo sul tema “Ispiriamoci agli insegnamenti di Marx per denunciare, smaschera-re e combattere il capitalismo, per il socialismo” (pubblicato a parte) nel quale ha evidenziato gli ele-menti fondanti della dottrina eco-nomica di Marx tesa a smascherare la natura sfruttatrice e parassitaria del capitalismo, che opprime e im-poverisce le masse lavoratrici che sono costrette a venderle la loro forza-lavoro per poter entrare in

possesso dei mezzi di sussisten-za, generando il plusvalore di cui il capitalista si appropria.

Al termine dell’apprezzato in-tervento i compagni hanno depo-sitato un mazzo di gerbere rosse e un biglietto del PMLI stringendosi assieme attorno al busto di Marx.

I dirigenti nazionali del PMLI con alla testa il compagno Gio-vanni Scuderi hanno apprezzato molto questa iniziativa dei mar-xisti-leninisti dell’Emilia-Roma-gna. In un messaggio inviato a tut-ti i partecipanti hanno scritto: “Vi siamo profondamente grati per la puntualità e la passione con cui da anni commemorate il grande Mae-stro del proletariato internazionale e cofondatore con Engels del so-cialismo scientifico.

Inoltre hanno espresso la loro

totale solidarietà militante e fra-terna per essere stati provocato-riamente identificati dalle “forze dell’ordine” mentre “vi accingete a commemorare Marx. A riprova che i servi dello Stato e del gover-no borghesi non sopportano il ros-so, specie se è espresso dal PMLI. Siamo comunque certi che questa vile intimidazione non intacche-rà il vostro spirito e combattività proletari rivoluzionari e marxisti-leninisti, anzi li rafforzerà. Solo i più deboli, di fronte alle prove della lotta di classe e alla durezza della nostra Lunga Marcia politi-ca e organizzativa, abbandonano il Partito e la causa o sbandano ca-dendo nel parlamentarismo e nel riformismo o nel verbalismo “ul-trasinistra” e filoterrorista che si trova nei social network.

10 il bolscevico / Marx N. 12 - 24 marzo 2016

A Riccione in occAsione del 133° AnniveRsARio dellA scompARsA del gRAnde mAestRo del pRoletARiAto inteRnAzionAle

i marxisti-leninisti dell’emilia-Romagna commemorano marx attorno al suo bustoProvocatoria identificazione dei comPagni da Parte delle “forze dell’ordine”

discorso del Responsabile del pmli per l’emilia-Romagna alla commemorazione del grande maestro del proletariato internazionale a Riccione il 13 marzo 2016

ispiRiAmoci Agli insegnAmenti di mARx peR denunciARe, smAscheRARe e combAtteRe

il cApitAlismo, peR il sociAlismoCare compagne e cari compa-

gni,sono passati ben 133 anni dal-

la scomparsa del grande Maestro del proletariato internazionale Marx, ma non uno di questi anni che ci separano dalla sua morte è passato senza che il proletariato rivoluzionario di ogni Paese, in-dipendentemente dalle forze che di volta in volta ha accumulato o perso nel corso della lotta di clas-se, non ricordasse la sua immor-tale opera per dare al proletariato la sua coscienza di classe, fon-dando assieme a Engels il socia-lismo scientifico, base della lotta per l’emancipazione dei popoli di tutto il mondo.

In Italia è il PMLI ad aver sem-pre ricordato Marx, e da diversi anni lo fa anche grazie alla Cel-lula “Stalin” di Rimini, diretta dal compagno Tino, pubblicamente qui dinannzi al suo busto collo-cato nel giardino della biblioteca comunale di Riccione.

La strada dei marxisti-leni-nisti italiani nella lotta contro lo sfruttamento capitalistico e per la conquista del potere politico è ancor oggi illuminata dagli in-segnamenti di Marx, studioso, teorico, politico, combattente, dirigente, educatore e organizza-tore del movimento operaio inter-nazionale.

Il perdurare della grave crisi economica del capitalismo, che si protrae da ben 8 anni, e che inasprisce le già profonde disu-guaglianze economiche, sociali, territoriali e di sesso insite natu-ralmente nel capitalismo, non fa altro che confermarne l’analisi economica e politica che ha se-gnato profondamente e influen-zato ogni grande rivolgimento so-ciale e politico dell’ultimo secolo.

È grazie a Marx che possiamo constatare come pur cambiando forma, ordine di successione e fisionomia le crisi continuano a essere parte integrante del regi-me capitalistico, e a subirne le conseguenze più pesanti sono

sempre le masse lavoratrici e po-polari, come dimostra l’enorme e sempre crescente divario che se-para le loro condizioni di vita da quelle dei grandi capitalisti.

Basti dire che nel mondo 963 milioni di persone vivono in con-dizioni di povertà, le 3 persone più ricche del mondo hanno una ricchezza complessiva superiore al Prodotto interno lordo dei 48 paesi più poveri, il reddito com-plessivo dei 50 milioni di persone più ricche del mondo, che costi-tuiscono l’1% della popolazione mondiale, è equivalente a quel-lo dei 2 miliardi e 700 milioni di persone più povere (il 57% della popolazione mondiale). In Italia, stando solamente ai dati Istat, ci sono oltre 4 milioni di italiani “in stato di povertà assoluta”, cioè che non possono permettersi l’acquisto di beni e servizi indi-spensabili per vivere, e a questi vanno aggiunti 2 milioni e mezzo di persone in “povertà relativa”.

La fame e la miseria hanno causato una emigrazione biblica, che si riversa nei paesi capitalisti e imperialisti dove gli immigrati trovano una vita da bestie.

“L’odierna società borghese viene smascherata, al pari di tutte quelle che la hanno pre-ceduta, come una gigantesca istituzione per lo sfruttamento della enorme maggioranza del popolo da parte di una mino-ranza che diventa sempre più piccola” (F. Engels, Scritti scelti, vol. I, Edizioni in lingue estere, Mosca, 1943).

L’imperialismo ha generato un mondo di fame, povertà e guerre come quella contro i popoli del Medio Oriente per sottometterli, soggiogarli e spogliarli delle loro risorse, criminalizzando e bom-bardando chi osa ribellarsi.

Il succedersi ciclico delle crisi economiche, con le devastanti conseguenze sociali che produ-ce, dimostra come il capitalismo monopolistico abbia sì unificato la produzione, ma accentuando-

ne al tempo stesso l’anarchia, e aggravando le condizioni del pro-letariato e l’oppressione del capi-tale, inasprendo le contraddizioni di classe.

Ma il proletariato non deve cercare la via d’uscita assogget-tandosi ancor di più al capitale, come vorrebbero i riformisti di ogni specie e anche la Cgil con la Carta dei diritti universali del lavoro che porta alla cogestione corporativa coi padroni. I lavo-ratori non devono rinunciare ai propri diritti nella vana speranza che questo possa portare ad una ripresa economica, come fosse loro la colpa delle crisi capitali-stiche.

Proprio Marx ci insegna che

le condizioni dei lavoratori non sono legate alle sorti della bor-ghesia sfruttatrice, anzi, afferma: “Dire che l’operaio ha interesse al rapido aumento del capitale significa soltanto che, quanto più rapidamente l’operaio ac-cresce la ricchezza altrui, tan-to più grasse sono le briciole che gli sono riservate, tanto più numerosi sono gli operai che possono essere impiegati e messi al mondo, tanto più può essere aumentata la massa de-gli schiavi alle dipendenze del capitale… Anche la situazione più favorevole per la classe operaia, un aumento quanto più possibile rapido del capita-le, per quanto possa migliorare

la vita materiale dell’operaio non elimina il contrasto fra i suoi interessi e gli interessi del capitalista. Profitto e salario stanno, dopo come prima, in proporzione inversa. Se il capi-tale aumenta rapidamente, per quanto il salario possa aumen-tare, il profitto del capitale au-menta in modo sproporzionata-mente più rapido. La situazione materiale dell’operaio è miglio-rata, ma a scapito della sua si-tuazione sociale … Dire che la condizione più favorevole per il lavoro salariato è un aumento il più rapido possibile del capita-le produttivo, significa soltanto che, quanto più rapidamente la classe operaia accresce e in-grossa la forza che le è nemica, la ricchezza che le è estranea e la domina, tanto più favorevo-li sono le condizioni in cui le è permesso di lavorare a un nuo-vo accrescimento della ricchez-za borghese, a un aumento del potere del capitale, contenta di forgiare essa stessa le catene dorate con le quali la borghesia la trascina dietro di sé” (Marx, Lavoro salariato e capitale).

Gli interessi del proletariato e quelli del borghesia sono quindi antitetici, ed è così sin dalla com-parsa del capitalismo, in quanto esso fonda le proprie radici nello sfruttamento dell’uomo sull’uomo che si realizza con la proprietà privata dei mezzi di produzione.

Marx ha dimostrato come la lotta del proletariato contro la borghesia sia cominciata con la sua esistenza e abbia attraver-sato diversi gradi di evoluzione. “Ad eccezione della storia del-le comunità primitive” (Engels), “la storia di ogni società finora esistita è storia di lotta di clas-se’’ (Marx).

Ma mentre le precedenti clas-si sfruttate avevano comunque la possibilità di evolversi, nel capi-talismo il proletariato cade sem-pre più in basso, nel capitalismo è l’operaio che diventa il povero.

Anche nel nostro Paese sono sempre più di più coloro che hanno un reddito insufficiente a soddisfare i propri bisogni primari benché abbiano un’occupazione o comunque un sostegno econo-mico legato al lavoro, come i la-voratori in cassa integrazione, in mobilità o comunque a stipendio ridotto, i precari, i part-time, chi alterna periodi di lavoro ad altri di disoccupazione, lavoratori in nero o senza contratto e paga-ti con i voucher, false partite iva che sostanzialmente sono dipen-denti mal pagati e senza diritti previdenziali.

Com’è scritto nel “Manifesto del Partito Comunista” di Marx ed Engels, “la borghesia... è incapace di assicurare al suo schiavo l’esistenza persino nei limiti della sua schiavitù, perché è costretta a lasciarlo cadere in condizioni tali, da do-verlo poi nutrire anziché essere nutrita. La società non può più vivere sotto il suo dominio, cioè l’esistenza della borghesia non è più compatibile con la socie-tà”.

E alla base dello sfruttamento capitalistico c’è il plusvalore, che costituisce la pietra angolare del-la teoria economica di Marx, che chiarisce come il modo di produ-zione capitalistico abbia come sua premessa l’esistenza di due classi sociali, da un lato i capi-talisti che sono in possesso dei mezzi di produzione e di sussi-stenza, e dall’altro lato i proletari, che, esclusi da questo possesso, hanno una sola merce da vende-re, cioè la loro forza-lavoro, per entrare in possesso dei mezzi di sussistenza.

La giornata di lavoro dell’ope-raio è quindi divisa in una prima parte che serve per coprire le spese per la sua sussistenza e che costituisce il salario, mentre l’altra parte della giornata l’ope-

SEGUE IN 11ª ë

Riccione (Rimini), 13 marzo 2016. Il mazzo di fiori rossi e il biglietto del PMLI deposti al busto di Marx (foto Il Bolscevico)

Riccione (Rimini), 13 marzo 2016. Il compagno Tino durante la com-memorazione (foto Il Bolscevico)

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raio lavora gratuitamente per il capitalista, creando il plusvalo-re, che costituisce la fonte della ricchezza dei capitalisti che si ripartiscono poi secondo leggi economiche determinate, ed è la fonte da cui sgorgano la rendita fondiaria, il profitto, l’accumula-zione del capitale, in una parola, tutte le ricchezze che vengono di-vorate o accumulate dalle classi non lavoratrici.

Per aumentare il plusvalore i capitalisti tentano di restringere sempre di più la parte di salario, peggiorando così le condizioni di vita dei lavoratori e delle lavora-trici.

“Mi sono convinto - scriveva Engels agli operai nel 1845 (La situazione della classe opera-ia in Inghilterra) - che voi avete ragione, perfettamente ragione di non aspettarvi alcun appog-gio da esse (cioè dalle “classi medie”, dalla borghesia). I loro interessi sono diametralmente opposti ai vostri, sebbene esse cerchino sempre di sostenere il contrario e di farvi credere che nutrono la più fervida simpatia per la vostra sorte... Le classi medie in realtà ad altro non mi-rano che ad arricchire sé stes-se, col vostro lavoro, finché possono vendere il prodotto, e a farvi morire di fame, non appena non possono più trarre profitto da questo commercio indiretto di carne umana”.

Marx ha quindi scoperto e denunciato le leggi che regolano il sistema di produzione capitali-stico, dimostrandone il carattere transitorio, anche si spaccia per eterno, il carattere parassitario e reazionario anche se si rivoluzio-na ininterrottamente i suoi mezzi di produzione, un sistema poli-tico ed economico destinato a soccombere e a essere superato storicamente dal sistema socia-lista per effetto congiunto della lotta di classe del proletariato e degli antagonismi che ne minano le fondamenta.

La teoria economica di Marx ha chiarito la situazione reale del proletariato nel regime capitali-stico, dimostrando come di tutte le classi che stanno di fronte alla borghesia esso rappresenta l’uni-ca veramente rivoluzionaria.

Il materialismo filosofico di Marx ha indicato al proletaria-to la via di uscita dalla schiavitù spirituale nella quale hanno ve-getato fino a quel momento tutte le classi oppresse e dato vita alla nuova concezione del mondo del proletariato.

Il socialismo scientifico fonda-to da Marx ed Engels ha guidato le lotte delle masse popolari e la-voratrici di tutto il mondo che si sono battuti e si battono contro il capitalismo e i suoi devastanti effetti sulle persone, sulle cose e sulla natura.

Queste lotte, quando guidate da partiti realmente comunisti, cioè marxisti-leninisti, hanno por-

tato ad ottenere importanti con-quiste, che però sono parziali e momentanee se relegate all’inter-no del capitalismo, solo nell’Urss di Lenin e Stalin e nella Cina di Mao hanno trovato piena appli-cazione, arrivando poi a com-prendere i due terzi del mondo grazie alla costruzione del campo socialista.

Oggi la situazione è radical-mente cambiata e il proletariato ha perso le sue principali conqui-ste, non però a causa del presun-to “fallimento del comunismo” ma a quello dei rinnegati e tradi-tori revisionisti e più in generale di quelle correnti socialiste a parole ma borghesi e controrivoluzio-narie nei fatti contro cui si erano scagliati gli stessi Marx ed Engels nel terzo capitolo del “Manife-sto del Partito Comunista”. Solo dopo un serio e approfondito bi-lancio critico e autocritico dell’in-tera esperienza del movimento operaio nazionale e internazio-nale, il proletariato potrà chiarirsi le idee, riorganizzarsi, rimettere in moto la lotta di classe e far tornare a vincere il socialismo dando tutta la sua fiducia, forza ed energia al PMLI, che è l’unico Partito autenticamente marxista-leninista presente nel nostro Pae-se e che si batte ogni giorno, con tutte le proprie forze contro il ca-pitalismo e per il socialismo, non dando tregua al governo Renzi che sta dimostrando di essere la reincarnazione moderna e tecno-logica di Mussolini e Berlusconi, falcidiando i diritti dei lavoratori, degli studenti, dei pensionati, che ha ridato vigore alle mire espan-sioniste dell’imperialismo italiano con migliaia di militari italiani che fanno parte delle forze di occupa-zione in vari Paesi e che in par-ticolare vuole rimettere la Libia sotto il tallone dell’Italia, come ai tempi di Mussolini, mettendo in serio pericolo il popolo italiano di fronte alle ritorsioni dei combat-tenti islamici antimperialisti.

Un governo che con il refe-rendum confermativo sulla con-troriforma costituzionale vuole apporre il definitivo sigillo all’in-staurazione della seconda re-pubblica neofascista così come si proponeva la P2 di Gelli, Craxi e Berlusconi nel “piano di rinasci-ta democratica” e nello “schema R”.

I dirigenti dei sindacati con-federali collaborazionisti hanno dormito anche troppo, è ora che si sveglino e che diano battaglia contro il governo Renzi, la devo-no smettere di preoccuparsi solo di concordare norme che ga-rantiscono il loro potere e il loro controllo sui lavoratori e pensino piuttosto a proclamare quanto prima lo sciopero generale di 8 ore con manifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi!

Intanto abbiamo la possibilità di dare un bel colpo al governo Renzi e alle giunte locali con le elezioni amministrative che si svolgeranno nei primi giorni di giugno anche in molti comuni

dell’Emilia-Romagna, propa-gandando l’astensionismo, che è l’unica scelta tattica sul piano elettorale, nelle attuali condizioni, per gli sfruttati e gli oppressi, le masse popolari, chiunque subi-sce angherie, soprusi e ingiusti-zie da parte dei governi comunali, regionali e nazionale, i giovani a cui è precluso un avvenire, per farsi sentire, per protestare, per far valere le proprie ragioni, per penalizzare i partiti e le istituzio-ni borghesi. Mentre il 17 aprile al referendum contro le trivellazioni dobbiamo votare Sì.

I fatti e la storia dimostrano che solo il socialismo può cambiare davvero l’Italia e dare il potere al proletariato. Per questo occorre lottare contro il capitalismo e i suoi governi, per il socialismo.

Noi marxisti-leninisti dobbia-mo tutto a Marx, a questo gigan-te che insieme a Engels ha dato vita alla nostra storia, alla storia del movimento di emancipazione del proletariato sotto le bandiere del socialismo scientifico.

Nel 1883 così Engles com-mentava la scomparsa di Marx: “L’umanità è stata privata di un cervello, anzi del cervello più ri-levante che attualmente posse-deva. Il movimento del proleta-riato continua il suo cammino, ma è scomparso il punto di ri-ferimento verso cui spontanea-mente, nei momenti decisivi, si volgevano russi, francesi, ame-ricani, tedeschi per ottenere ogni volta quel consiglio chia-ro, inconfutabile che soltanto il genio e una perfetta conoscen-za dei problemi potevano dare. I grandi uomini locali, i piccoli talenti, per non parlare degli im-broglioni, avranno mano libera. La vittoria finale rimane sicura, ma i giri viziosi, le aberrazioni temporanee e locali - già prima inevitabili - ora aumenteranno in ben altra misura. Ebbene terremo duro; non è questo il nostro compito? E siamo ben lungi per questo dal perderci di coraggio” (F. Engels, Lettera a F. A Sorge, 15 marzo 1883, Ricordi su Marx, Edizioni Rinascita, pag. 137).

Anche noi siamo ben lungi dal perderci di coraggio, anzi, conti-nueremo a procedere nella nostra Lunga Marcia, con serenità e de-terminazione, stringendoci l’uno all’altro e sostenendoci recipro-camente.

Care compagne e cari com-pagni,

teniamo alta la bandiera di questo gigante del pensiero e dell’azione e continuiamo ad ispirarci ai suoi insegnamenti per denunciare, smascherare e com-battere il capitalismo e per fare un grande, forte e radicato PMLI!

Gloria eterna a Marx, cofon-datore del socialismo scientifico e grande Maestro del proletariato internazionale!

Avanti verso l’Italia unita, ros-sa e socialista!

Coi Maestri e il PMLI vincere-mo!

N. 12 - 24 marzo 2016 PMLI / il bolscevico 11 ë DALLA 10ª

Firenzemolto apprezzato il volantino per l’8 marzo

al mercato settimanale delle cascine

volAntinAggi del pmli peR l’8 mARzo

Redazione di Firenze �Martedì 8 Marzo, in occasione

della Giornata internazionale della donna, la Cellula “Nerina ‘Lucia’ Paoletti” di Firenze ha organizza-to una diffusione presso il popola-re mercato delle Cascine.

Diffuso il volantino con l’estrat-to dell’Editoriale di Monica Mar-tenghi, Responsabile della Com-missione per il lavoro femminile del CC del PMLI, pubblicato su “Il Bolscevico” n°10/2016, dal titolo: “Nello spirito dell’8 Marzo rimuo-

viamo le cause dell’oppressione delle donne”. Il volantino del Par-tito è stato molto apprezzato e non sono mancati i ringraziamenti da parte di alcune donne per l’impor-tanza che diamo ad una ricorrenza così storicamente importante.

mugello (Firenze)diffuso con successo il volantino del Pmli

sull’8 marzo a Borgo San lorenzoDal corrispondente �dell’Organizzazione di Vicchio del Mugello del PMLILunedì 7 marzo l’Organizza-

zione di Vicchio del Mugello del PMLI, per onorare l’importante ricorrenza dell’8 Marzo, ha dif-

fuso nel centrale corso Matteotti a Borgo San Lorenzo (Firenze) il volantino con estratti dell’edito-riale de Il Bolscevico scritto dal-la compagna Monica Martenghi, Responsabile della Commissio-ne per il lavoro femminile del CC del PMLI, dal titolo “Nello spirito

dell’8 Marzo rimuoviamo le cause dell’oppressione delle donne”.

Il volantino è stato preso con interesse dalla popolazione.

Nel corso dell’iniziativa abbia-mo scambiato alcuni pareri sulla situazione sindacale col compagno Antonio, PRC, amico del Partito.

echi sui mediA di ischiA del documento del pmli

sul ReFeRendum del 17 ApRile

Il quotidiano “Il Dispari” di Ischia (Napoli) del 14 marzo ha pubblicato un intervento del com-pagno Gianni Vuoso nel quale il Responsabile dell’Organizzazio-ne isolana del PMLI rilancia il do-

cumento dell’Ufficio politico del nostro Partito a proposito dei re-ferendum del 17 aprile prossimo sulle trivellazioni e l’indicazione a partecipare al voto e votare Sì.

All’indomani il sito “Il Golfo 24.it

– Ischia, Capri e Procida” ha dato am-pio rilievo a sua volta alla posizione referendaria dei marxisti-leninisti.

Infine, anche sul sito ischitano “isolaverdetv” c’è stata ampia eco al nostro documento.

Farò girare tra gli amici il volantino sul referendum

Grazie per il volantino del

PMLI sul referendum contro le tri-vellazioni, lo farò girare tra alcuni amici che sono indecisi.

Alessandro –Cervia (Ravenna)

contro le trivellazioniAnch’io sono contro le trivella-

zioni, è naturale!Nicola Spinosi - Firenze

sempre al vostro fianco!

Cari compagni,grazie di cuore per gli auguri

che ci avete mandato per la Gior-nata internazionale della donna e per gli articoli de “Il Bolscevico” che ci inviate.

Sempre al vostro fianco!Un rosso fraterno abbraccio.

Liliana, Anna, Maria – Cuneo

Richiedete

Le richieste vannoindirizzate a:[email protected]

PMLIvia A. del Pollaiolo, 172/a50142 Firenze

Tel. e fax 055 5123164

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Guardate attentamente le foto di questi due volantini. I quali apparentemente sem-brano uguali, in realtà nel primo si annuncia che terrà la relazione introduttiva Vincenzo Cialini, membro del Comitato dell’Abruzzo del PC. Nel secondo invece si dice che tale relazione sarà tenuta da Graziano Gullotta del CC del PC.

Che cosa è mai successo? Perché è stato sostituito il relatore? Forse si è voluta can-cellare la prova che il PC di Marco Rizzo arruola anche gli ex nazi-fascisti non credi-bili qual era (ed è?) Vincenzo Cialini, come ha denunciato “Il Bolscevico” sul numero 8/2016 a pag. 3?

12 il bolscevico / PMLI N. 12 - 24 marzo 2016

e vincenzo cialini?

COSA FARE PER ENTRARE NEL PMLISecondo l’art. 12 dello Statuto, per essere membro del PMLI occorre accettare il Programma e lo Statuto del Partito, militare e lavorare attivamente

in una istanza del Partito, applicare le direttive del Partito e versare regolarmente le quote mensili, le quali ammontano: lavoratori euro 12,00; disoc-cupati e casalinghe euro 1,50; pensionati sociali e studenti euro 3,00.

Lo stesso articolo dello Statuto specifica che “può essere membro del Partito qualunque elemento avanzato del proletariato industriale e agricolo, qualunque elemento avanzato dei contadini poveri e qualunque sincero rivoluzionario sulle posizioni della classe operaia... Non può essere membro del Partito chi sfrutta lavoro altrui, chi ha e professa una religione o una filosofia non marxista”.

Oltre a ciò occorre accettare la linea elettorale astensionista del Partito.L’ingresso al PMLI avviene dopo l’accettazione della domanda di ammissione il cui modulo va richiesto al Partito.

SOTTOSCRIVI PER LA CAMPAGNA PER IL SÌ AL REFERENDUM CONTRO LE TRIVELLAZIONI

Se non puoi partecipare personalmente alla campagna del PMLI per il Sì al referendum contro le trivellazioni, ti invitiamo calorosamente a sottoscrivere per il Partito attraverso il conto corrente postale n. 85842383 intestato a: PMLI - Via A. Del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE

Nella causale scrivere: donazione per il Sì al referendum.Grazie di cuore.

PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO

Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE -- Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] -- www.pmli.it

Al referendum del 17 aprile

per salvaguardare la salute

la natura e l’ambiente

per le energie rinnovabili

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Stiamo in cordata

stretti l’uno all’altrosostenendoci reciprocamentetenendo ben alta la bandiera dell’antimperialismo, del Sì

al referendum contro le trivellazioni e del socialismo

Con i Maestri e il PMLIvinceremo!

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N. 12 - 24 marzo 2016 cronache locali / il bolscevico 13Alle primarie PD del 6 marzo

A NApoli viNce lA reNziANA vAleNte, mA è cAos brogli

Bassolino annuncia ricorsi e prepara una lista civica in polemica con il nuovo duce Renzi �Redazione di NapoliDomenica 6 marzo si sono

svolte le primarie del PD per scegliere il candidato a sinda-co da contrapporre a De Ma-gistris per il prossimo 12 giu-gno. Di misura (13.419 voti rispetto ai 12.967 di Antonio Bassolino) ha vinto la renzia-na Valeria Valente, ex asses-sore al Turismo della giunta della DC Iervolino, già depu-tata del PD. Lo sconfitto, rin-negato del comunismo e già neopodestà di Napoli e gover-natore della Campania, rap-presentava la “sinistra” del PD.

Fallita l’operazione sia del medico Antonio Marfella, pro-posto dai socialisti all’interno del partito di Renzi, che vo-leva traghettare i voti dei Co-mitati territoriali per l’ambiente che invece hanno completa-mente snobbato l’esponente di Medici per l’ambiente ac-cordandogli solo 1.044 voti. Allo stesso modo tramonta-va l’altro fumoso tentativo di presentare un volto giovane come Marco Sarracino, espo-nente dei Giovani Democrati-

ci propugnatore di un trito e ri-trito riformismo liberale (3.265 voti).

Nonostante il martellamen-to mediatico che voleva le pri-marie fortemente partecipate, va invece detto che in tutta la città, dove alle prossime co-munali circa un milione di na-poletani sarà chiamato alle urne, solo 30mila sono sta-ti i votanti. Di più rispetto alle primarie per le regionali ma in forte flessione comparando le precedenti primarie PD per le amministrative, confermando una disaffezione persino del-la base.

Il risultato striminzito con cui la renziana Valente ha di-stanziato Bassolino, 452 voti, ha fatto scattare non pochi dubbi sulla regolarità della vo-tazione per brogli come de-nunciato da alcuni siti locali nei quali militanti di base del PD postavano filmati di mano-vre poco pulite e sulle quali ha aperto un fascicolo la Procura di Napoli per fare luce. Come documentato dal sito Fanpa-ge.it, in ben cinque seggi al-cuni cittadini sono stati indotti

a votare in cambio di denaro. Tant’è che Bassolino annun-ciava ricorso l’8 marzo per-ché, secondo il rinnegato del comunismo, eliminando quei 5 seggi, il risultato delle pri-marie si capovolgerebbe e lui vincerebbe con uno scarto di circa 300 voti. Il ricorso veniva respinto il 9 marzo dalla Com-missione di garanzia piddina producendo la reazione stizzi-ta di Bassolino che addirittura convocava sabato 12 marzo le sue “truppe cammellate” al te-atro Augusteo. Dal palco l’ex neopodestà chiedeva il rispet-to delle regole, di passare ad una rapida nuova votazione e minacciava la composizio-ne di una sua lista civica. Con-temporaneamente cercava un asse, anche a livello naziona-le, richiamando l’esperienza dell’Ulivo, con i critici di Renzi, ossia Bersani e D’Alema.

Non si è fatta attendere la

replica del nuovo duce Ren-zi, difensore d’ufficio della sua pupilla Valente: “non mi inte-ressano le ripicche personali, Napoli ha bisogno di ripartire: chi cerca strumentalmente di utilizzare il risultato delle am-ministrative in chiave interna sta sbagliando campo di gio-co”.

L’autentica babele in cui è finito il PD napoletano e la possibilità che Bassolino vada per la sua strada con una sua lista civica lasciando Valente candidata a sindaco per il PD, conferma ciò che noi marxisti-leninisti diciamo da tempo, os-sia che i candidati a sindaco di Napoli non rappresentano affatto gli interessi, i problemi e le aspirazioni del proletaria-to e delle masse popolari. Tut-ti costoro, vanno puniti seve-ramente con la diserzione dal voto, annullando la scheda o lasciandola in bianco.

In ProvIncIA DI cAtAnIA, contro glI InAccettAbIlI rItArDI neI PAgAmentI DeglI stIPenDI DA PArte Dell’AmmInIstrAzIone

riusciti sciopero e manifestazione dei

dipendenti comunali di caltagirone

�Dal corrispondente dell’Organizzazione di Caltagirone del PMLINella mattinata del 5

marzo, circa 200 dipen-denti del comune di Cal-tagirone (Catania) sono scesi in piazza per mani-festare contro i mancati pagamenti di più mensilità arretrate.

Sotto la guida di Cgil, Cisl, Uil e Silpol, i dipen-denti comunali erano sup-portati da alcuni geometri dell’associazione “Archi-mede”, scesi in piazza in segno di solidarietà. I sindacati che hanno pro-mosso la manifestazione sostengono che in questa occasione è stato rotto il silenzio sui ritardi croni-ci, tant’è che il pagamen-to nei giorni precedenti la manifestazione di par-te degli arretrati e l’arrivo

delle tredicesime mensili-tà (seppur in ritardo), non sono bastati ad attenua-re la rabbia degli sciope-ranti.

I promotori della ma-nifestazione, tra i cui re-sponsabili ci sono Con-cetta La Rosa (Cgil) e Valeria La Iacona (Cisl), parlano di un’economia paralizzata nel calatino e si dicono preoccupati per il futuro delle famiglie dei 380 lavoratori.

Tale manifestazione rappresenta un trampo-lino di lancio per i lavo-ratori calatini, raramente scesi in piazza in passato e a loro va il nostro mili-tante appoggio. L’augurio è che la loro lotta non si arresti qui, ma che prose-gua allargandosi ad altre questioni, come quella del precariato.

Caltagirone (Catania), 5 marzo 2016. La protesta dei dipendenti comunali

Iniziativa sui problemi del medio oriente al circolo Arci Isolotto di Firenze

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Circolo ARCI Isolotto Paolo PampaloniGASSOLOTTOvia Maccari 104 - FirenzeGIOVEDÌ 17 MARZO 2016 ore 20:00

Buffet e presentazione del libro

“Assedio, da Hebron al Kurdistan” con Claudio Tama-gnini (autore).

Due viaggi nell’estate 2015, due esperienze interna-zionali, due tentativi di rompe-re l’assedio a popoli oppressi. Come rendersi conto dei pro-blemi e dell’imbroglio dell’in-

formazione “main stream”.Claudio Tamagnini ha pre-

so parte alla Freedom Flotilla III, ha trascorso molto tempo a Hebron, fino a che è stato espulso dalle autorità israelia-ne, e adesso si occupa di Kur-distan.

Introduce Giulia Chiarini, rappresentante del coordi-namento toscano Kurdistan. Interverranno: Tulay Ozen, Comunità Curda toscana, un rappresentante dell’associa-zione Amicizia Italo-Palesti-nese.

Ricordiamo la festa per il Newroz, il capodanno Kurdo, il 19 marzo al Cpa di Firenze sud.

4-5-12

18

171818

Cobas scuola – Sciopero lavoratori scuola contro le prove Invalsi

Fitl-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl-Ta - Trasporto Aereo, sciopero personale British Airways Italia

CIPe - Confederazione Italiana Pediatri - Servizio Sanitario Nazionale - Pediatri di Famiglia

Feder-A.T.A. - Ministero Istruzione Università Ricerca – sciopero personale A.T.A.

Cub, Si-Cobas, Usi-Ait - Sciopero generale di tutte le categorie pubbiche e private per i diritti vitali e contro le guerre

CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI E DEGLI SCIOPERI

MAGGIO

MARZO

79

1

Orsa - Trasporto Merci - Compagnia Ferroviaria Italiana – Sciopero di tutto il personale mobile di C.F.I.

Rsu, Unica- Trasporto Aereo - Enav SpA – Sciopero personale Enav Spa Upm Roma

Unione Sindacale Italiana – Sciopero generale di tutte le categorie pubbliche e private

APRILE

UTILIZZATE Invito agli operai, lavoratori, compresi i precari, disoccupati, pensionati, donne, giovani, studenti

il bolscevico mette a disposizione di tutti i suoi lettori non membri del PMLI, senza alcuna discriminazione ideologica, religiosa, politica e organizzativa, fatta salva la pregiudiziale antifascista, alcune rubriche affinché possiate esprimere liberamente il vostro pensiero e dare il vostro contributo personale alla lotta contro la classe dominante borghese e il suo governo, le giunte locali e regionali, le ingiustizie sociali, la disoccupazione, il neofascismo e i mali vecchi e nuovi del capitalismo, per l’Italia unita, rossa e socialista.

Alla rubrica “LETTERE” vanno indirizzate le opinioni di sostegno al Bolscevico, al PMLI e ad ogni sua istanza anche di base, nonché le pro-poste e i consigli tendenti a migliorare il nostro lavoro politico e giornalistico.

Alla rubrica “DIALOGO CON I LETTORI” vanno indirizzate le questioni ideologiche e politiche che si intendono dibattere con “Il Bol-scevico”, anche se sono in contraddizione con la linea del PMLI. Le lettere non devono supe-rare le 3.600 battute spazi inclusi.

C ntributi OPINIONI PERSONALI DI LETTRICI E LETTORI NON MEMBRI DEL PMLI SUI TEMI SOLLEVATI DAL PARTITO E DA “IL BOLSCEVICO”

Alla rubrica “CONTRIBUTI” vanno indiriz-zate le opinioni riguardanti l’attualità politica, sindacale, sociale e culturale in Italia e nel mondo.

Tali opinioni non necessariamente debbo-no coincidere in tutto con quelle del PMLI, ma non devono nemmeno essere contrapposte alla linea del nostro Partito. In tal caso non si tratterebbe di un contributo alla discussione e all’approfondimento dei temi sollevati dal PMLI e da “Il Bolscevico”, ma di un intervento con-traddittorio adatto tutt’al più alla rubrica “Dia-logo con i lettori”.

Questa rubrica è a disposizione delle ope-raie e degli operai non membri del PMLI che vogliono esprimere la loro opinione sugli avve-nimenti politici, sindacali, sociali e culturali, o che vogliono informare le lettrici e i lettori de “Il

Bolscevico” sulla situazione, sugli avvenimenti e sulle lotte della loro azienda

Alla rubrica “CORRISPONDENZA DELLE MASSE” vanno indirizzate le denunce e le cro-nache di avvenimenti sociali, politici, sindacali che interessano la propria fabbrica, scuola e università e ambiente di vita, quartiere di abita-zione, città o regione.

Sbatti i signori del palazzo in 1ª paginaLibere denunce dei lettori

Alla rubrica “SBATTI I SIGNORI DEL PA-LAZZO IN 1ª PAGINA” vanno indirizzate le denunce delle ingiustizie, angherie, soprusi, malefatte e mascalzonate che commettono mi-nistri, governatori, sindaci, assessori, funzionari pubblici, insomma chiunque detenga del pote-re nelle istituzioni borghesi.

Utilizzate a fondo queste rubriche per le vostre denunce, vi raccomandiamo solo di essere brevi, concisi, chiari... e coraggiosi. Usate la tastiera o la penna come spade per trafiggere i nemici del popolo, come un maglio per abbattere il governo del Berlusconi democristiano Renzi, come scope per far pulizia delle idee errate e non proletarie che i revisionisti e i riformisti comunque mascherati inculcano al proletariato e alle masse lavoratrici, giovanili, femminili e popolari, come un energetico per incoraggiare le compagne, i compagni e le masse ad andare fino in fondo nella lotta di classe contro il capitalismo, per il socialismo.

GLI ARTICOLI VANNO INVIATI A:[email protected]

IL BOLSCEVICO - Via del A. Pollaiolo 172a - 50142 FIRENZE - Fax 055 5123164La Redazione centrale de “Il Bolscevico”

richiedete

Le richieste vanno indirizzate a: [email protected] - via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055 5123164

496 pagine

608 pagine

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14 il bolscevico / referendum 17 aprile N. 12 - 24 marzo 2016

I marxisti-leninisti voteranno Sì e invitano l’elettorato a vo-tare Sì al referendum sulle trivellazioni che si svolgerà il pros-simo 17 aprile, e sono già impegnati a partecipare ai Comitati per il Sì che si stanno creando a livello territoriale.

Il quesito referendario sulle trivellazioni, l’unico sopravvis-suto dei sei iniziali proposti da 9 regioni italiane e dal mondo ambientalista No Triv e non superato dalle modifiche introdot-te in seguito dal governo, contesta la norma secondo la qua-le le autorizzazioni di estrazione ad oggi rilasciate debbano essere fatte salve “per la durata di vita utile del giacimento”.

Il governo sta tentando di ostacolare l’espressione del voto referendario con tutti i mezzi, arrivando addirittura a sprecare 360 milioni di euro di soldi pubblici che si sarebbero risparmiati con un Election Day assieme alle elezioni ammini-strative di giugno.

Se vincerà il SÌ, sarà abrogato l’articolo 6 comma 17 del “codice dell’ambiente”, dove si prevede che le trivellazioni continuino fino a quando il giacimento lo consente. La vitto-ria del SÌ bloccherà tutte le concessioni per estrarre il petro-lio entro le 12 miglia dalla costa italiana, quando scadranno i contratti.

È necessario considerare anche che quando si parla di trivellazioni “offshore”, nessuno può escludere al cento per cento malfunzionamenti o incidenti. Pur gravi ovunque, in un mare chiuso come il Mediterraneo un disastro petrolifero cau-serebbe danni ingenti e probabilmente irreversibili. Fra l’altro è criminale accettare tali rischi per recuperare, come ammet-te anche il governo, riserve certe di petrolio che nei mari ita-liani equivarrebbero a neanche due mesi di consumi naziona-li, unite a prelevamenti di gas che ne soddisferebbero non più di sei.

Ad onor del vero non pensiamo che la lotta su questo fronte possa limitarsi alla sola soluzione referendaria, tan-to più visto l’esito tuttora disatteso dell’altro grande referen-dum, quello sulla ripubblicizzazione dell’acqua, enormemente partecipato e stravinto. Va considerato inoltre che, una vol-ta abrogata la norma in oggetto, non saranno sospese tutte

le trivellazioni ma solo quelle entro le 12 miglia dalla costa; il che rappresenta un passo in avanti ma contemporaneamente rimarrebbero in piedi, oltre ad altre piattaforme esistenti, tut-te le parti dello “Sblocca Italia” cucite su misura per le mul-tinazionali dell’energia e per i petrolieri stessi. Attraverso il referendum e partecipando attivamente alla campagna refe-rendaria però, sarà possibile sensibilizzare e attivizzare la po-polazione al fine di creare consapevolezza affinché si possa davvero archiviare quantomeno l’idea di un modello energe-tico bicentenario basato sui combustibili fossili e scegliere fi-nalmente le fonti rinnovabili che, oltre ad essere meno nocive per l’ambiente e il clima, rappresentano una potenziale op-portunità per l’occupazione e per l’innovazione tecnologica.

La nostra indicazione di partecipare al suddetto referen-dum e di votare Sì non è in contraddizione con l’indicazione tattica di astenersi (disertare le urne, annullare la scheda o la-sciarla in bianco) alle elezioni amministrative, politiche ed eu-ropee. Indicazione che ribadiamo anche in occasione delle elezioni comunali parziali del 12 giugno prossimo. Per quanto riguarda i referendum, trattandosi di scelte concrete, il PMLI stabilisce di volta in volta se partecipare o no e quale voto in-dicare, in base al quesito posto, alle circostanze politiche e a ciò che è più vantaggioso per il proletariato e le masse popo-lari sfruttate e oppresse e per la lotta di classe.

In questo referendum chi si oppone a scelte sbagliate in materia energetica, che mettono a rischio la salute, la natu-ra e l’ambiente e, più in generale, chi vuol dare un colpo alla politica antipopolare, energeticamente obsoleta ed estrema-mente pericolosa di Renzi, deve andare a votare e votare SÌ. Deve farlo anche nell’ottica di servire un amaro antipasto al governo in previsione del referendum che si terrà il prossimo autunno sulle controriforme del Senato ed elettorale piduiste e fasciste. Allora andrà votato NO.

Per noi marxisti-leninisti il referendum non è lo strumen-to privilegiato per far affermare i diritti del proletariato e delle masse. Per noi la lotta di classe, di massa e di piazza resta il migliore e più proficuo metodo per difendere le conquiste dei lavoratori, dei disoccupati, dei pensionati, delle donne e de-gli studenti, anche sul fronte ecologico, e strapparne di nuo-ve alla classe dominante borghese in camicia nera e al suo governo. Tant’è vero che proprio la mobilitazione e la lotta sono state determinanti anche in questa occasione, affinché si svolgesse il referendum.

Attualmente la lotta di classe, di massa e di piazza è tanto più decisiva e necessaria dal momento in cui il regime capi-talista e neofascista amministrato dal governo Renzi ha reso ancor più angusti e limitati gli spazi democratici borghesi, ha ulteriormente aggravato le condizioni di vita e di lavoro delle masse lavoratrici e popolari e sta seguendo le orme naziona-liste, colonialiste e interventiste di Mussolini, coinvolgendo l’I-talia nelle guerre imperialiste per la spartizione del Nord Afri-ca, del Medio Oriente e del mondo.

Ciononostante riteniamo assolutamente necessario par-tecipare al referendum contro le trivellazioni e facciamo ap-pello affinché tutte le forze politiche, sindacali, sociali, cultu-rali e religiose che hanno a cuore l’ambiente e vogliono una politica energetica basata sulle fonti rinnovabili, si uniscano in questa battaglia e aderiscano e sostengano i Comitati per il Sì, a partire dall’intera CGIL e dagli antifascisti dell’ANPI. Noi faremo la nostra parte.

Lottiamo uniti per la vittoria del SÌ il 17 aprile!

Astensionisti, data la posta in gioco e il carattere della consultazione, votate e votate SÌ. Potreste essere determi-nanti per raggiungere il quorum!

(Sintesi tratta dal Documento dell’Ufficio politico del PMLI, dell’8 Marzo 2016)

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PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO

Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE -- Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] -- www.pmli.it

Al referendum del 17 aprile

per salvaguardare la salute

la natura e l’ambiente

per le energie rinnovabili

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N. 12 - 24 marzo 2016 esteri / il bolscevico 15Lo ha rivelato il “New York Times”

L’imperiaLismo americaNo proNTo a coLpire coN raid aerei 40 campi deLL’is iN Libia

In una recente lunghissi-ma intervista sulla sua po-litica estera al The Atlantic, che l’ha titolata “The Obama doctrine (la dottrina di Oba-ma)”, il presidente america-no ha affermato tra le altre che il suo sostegno all’ag-gressione della Nato contro il regime di Gheddafi in Li-bia nel 2011 fu “un errore”, non per l’intervento milita-re contro uno Stato sovrano ma per la sua errata convin-zione che gli alleati Francia e Gran Bretagna avrebbero sostenuto un peso maggiore nell’operazione.

“Mi posso criticare per il fatto di avere avuto troppa fi-ducia nel fatto che gli euro-pei, vista la vicinanza con la Libia, si sarebbero impegna-ti di più con il follow-up”, ha affermato Obama che attac-ca l’allora presidente france-

se Nicolas Sarkozy “che vo-leva vantarsi di tutti gli aerei abbattuti nella campagna, nonostante il fatto che aves-simo distrutto noi tutte le di-fese aeree” e l’inglese David Cameron che dopo l’avvio dell’intervento perse interes-se, “distratto da una serie di altre questioni”. Insomma per Obama se “la Libia è nel caos” la colpa sarebbe de-gli alleati che non si sareb-bero voluti prendere le loro responsabilità nella gestio-ne del dopo Gheddafi e non dell’aggressione imperialista che come le precedenti, da quella della Somalia voluta da Clinton a quella dell’Iraq voluta da Bush, ha fatto sal-tare gli equilibri regionali e aperto la via a guerra ancora in corso.

Oggi sono cambiati i re-ferenti imperialisti di Obama

che in Hollande e soprattutto nel nuovo duce Renzi, sma-niosi di dividersi il controllo delle fonti energetiche del paese africano, ha appoggi senza dubbio più validi per una nuova aggressione alla Libia e alla guerra contro lo Stato islamico.

Lo confermano tra le al-tre le esercitazioni milita-

ri congiunte di Francia ed Egitto iniziate l’8 Marzo nel Mediterraneo con il suppor-to della portaerei france-se Charles de Gaulle e sei navi d’appoggio e a cui par-tecipano alcuni caccia F-16 e Rafale appena acquista-ti in Francia dall’Egitto dopo lo scongelamento degli aiu-ti militari al Cairo da parte di

Washington.In questo scenario il Pen-

tagono ha preparato i nuovi piani per un intervento aereo in Libia lasciando ai partner o agli alleati libici il compito delle azioni sul terreno.

Secondo quanto rivelato il 7 marzo dal New York Ti-mes, il Pentagono avrebbe presentato alla Casa Bian-

ca alcune opzioni a partire da quella che prevede una serie di bombardamenti ae-rei. Obiettivo dei raid sono una quarantina di campi di addestramento, centri di co-mando, depositi di munizioni e altre sedi delle formazioni dello Stato islamico in quat-tro aree del Paese nordafri-cano.

accusando senza prove il pkk dell’attentato a ankara

Il fascIsta Erdogan bombarda vIllaggI curdI

Il 13 marzo un’autobom-ba esplodeva vicino a una fermata dei bus nel centro della capitale turca Anka-

ra; il bilancio tuttora provvi-sorio dell’attentato è di 37 morti e almeno 125 feriti, di cui diversi gravi. Al momen-

to l’attentato non è stato ri-vendicato mentre il fascista Erdogan accusava senza prove il Pkk e lanciava l’a-viazione a bombardare i villaggi curdi fino nel nord dell’Iraq. Un attacco con-tro un paese sovrano che i paesi imperialisti fingono di non vedere, impegnati solo a esprimere “solidarietà” al regime turco, all’alleato nel-la guerra al “terrorismo”.

Dopo che l’auto carica di esplosivo guidata da due persone si era schiantata contro un autobus vicino a una fermata presso piazza Kizilay le indagini della po-lizia si indirizzavano ver-so ambienti vicini al Pkk e 12 sospetti erano arrestati a Eskisehir, nel nord-ovest del Paese. Il prefetto di Eskisehir parlava di accuse di “propaganda terroristica” e “coinvolgimento in diver-se azioni” nei confronti del-le persone arrestate senza

però indicare un legame di-retto con l’attacco di Anka-ra.

Messaggi di cordoglio giungevano al regime di Ankara da tutto il fronte im-perialista impegnato nella guerra al “terrorismo”, dagli Usa alla Russia. Il presiden-te turco Recep Tayyip Erdo-gan incassava la solidarie-tà e senza lanciare accusa a nessuna organizzazio-ne sosteneva che di fronte ad azioni che “minacciano l’integrità del nostro Paese proseguiremo la lotta al ter-rorismo con ancor più de-terminazione”. O meglio la guerra dell’imperialismo tur-co che ha come bersaglio principale il popolo curdo, in Turchia, Siria e Iraq. E l’a-viazione turca bombardava il 14 marzo almeno 18 po-stazioni curde nelle monta-gne del nord Iraq, a Qandil e Gara, seminando morti e distruzioni.

Francia

500miLa maNiFesTaNo coNTro iL Jobs acT iN saLsa HoLLaNde

Almeno 500 mila mani-festanti hanno partecipa-to il 9 marzo alle quasi 150 manifestazioni organizza-te dai sindacati Fo e Cgt e dall’organizzazione studen-tesca Unef che si sono svol-te in tutta la Francia nella pri-ma giornata di mobilitazione contro la legge di “riforma” del codice del lavoro, quel progetto che sarà presen-tato ufficialmente il 24 mar-zo dalla ministra del Lavoro Myriam El Khomri e ribattez-zato il “Jobs Act francese” perché tra le altre introduce maggiori flessibilità nei licen-ziamenti.

Nella giornata era in pro-gramma anche lo sciopero dei ferrovieri in lotta per au-menti salariali che ha portato al blocco di oltre il 75% dei treni. A Parigi, ci sono state due manifestazioni, una dei sindacati Cgt e Fo che han-no portato la protesta fin sot-to le finestre della sede del-la Confindustria francese, il Medef, che ha contribuito alla scrittura della controri-forma sul lavoro del governo del socialista Manuel Valls. Il corteo dei lavoratori si è quindi unito a quello de-gli studenti che è partito da Place de la République ed è sfilato fino a Place de la Nation. Fra le manifestazio-ni nelle altre città si registra quella di Lione dove la poli-zia è intervenuta con i lacri-mogeni contro il corteo.

Le manifestazioni del 9 marzo sono state le prime di una serie di iniziative per contestare la riforma del la-voro che continuerà con al-tre mobilitazioni il 17 e il 31 marzo. Assieme a cortei e sit in la protesta viaggia anche con una petizione su Inter-

net contro la legge che ren-de il lavoro sempre più pre-cario e che ha già raccolto più di 1,2 milioni di firme.

La legge doveva esse-re presentata in consiglio dei ministri proprio il 9 mar-zo ma il governo Valls ave-va deciso di rimandarla al 24 marzo e di avviare un nego-ziato e trovare un’intesa con quei sindacati che non ave-vano aderito alle manifesta-zioni. Il sindacato socialista filogovernativo della Cfdt e l’equivalente studentesco della Fage hanno manifesta-to il 12 marzo per chiedere al governo l’apertura di una trattativa e modifiche alla prima stesura del testo re-datto dalla ministra Myriam El Khomri. Cgt, Fo e l’Unef chiedono invece il ritiro del-la riforma.

Il presidente François Hol-lande ha cercato di camuffa-re la controriforma del lavoro affermando che la proposta del governo difende “il mo-dello sociale francese”, nei fatti ne smantella quanto-meno dei pezzi. Con la nuo-va legge salta di fatto la set-timana lavorativa di 35 ore, che può essere modificata attraverso accordi a livello di impresa; i licenziamenti sa-ranno più facili e meno co-stosi per i padroni dato che basterà un calo anche tem-poraneo dell’attività dell’im-presa per giustificarli mentre gli indennizzi ai lavoratori in caso di licenziamenti abusi-vi non saranno decisi libera-mente dai tribunali del lavoro ma secondo tariffe prefissa-te; le multinazionali potranno taroccare il conto economico e dichiarare se necessario bilanci in negativo potendo non includere gli eventuali

utili fatturati all’estero.Secondo il governo Valls

la maggiore flessibilità nei licenziamenti dovrebbe fa-cilitare le assunzioni, un ri-tornello farlocco che abbia-mo sentito più volte a favore del Jobs Act renziano. Sin-dacati e giovani rispondono che non possono accettare i contratti precari a vita, quel-li modello Cpe, il contratto di

primo impiego che la rivolta degli studenti nel 2006 co-strinse il governo di destra dell’epoca guidato da Domi-nique de Villepin a ritirare. I socialisti Hollande e Manuel Valls ci riprovano e coi sin-dacali filogovernativi tentano di disinnescare la crescita di un movimento di opposi-zione che possa far fallire di nuovo il progetto liberista.

per cercare di uscire daLLa grave crisi di sovrapproduzioNe cHe soFFoca iL sisTema produTTivo

il governo capitalista cinese taglierà 6 milioni di posti di lavoro

Protestano in piazza i minatori di AnyuanIl ministro cinese per le ri-

sorse umane e la sicurezza sociale, Yin Weimin, in una conferenza stampa dell’1 marzo dichiarava che 1,3 mi-lioni di operai del settore del carbone e 500.000 operai delle acciaierie potrebbero perdere il lavoro. Un pesan-te colpo per i lavoratori, circa il 15% degli addetti del setto-re, ma solo un acconto di un progetto più ampio che pre-vede la distruzione fino a 6 milioni di posti di lavoro.

“L’economia sta affron-tando delle pressioni abba-stanza forti verso il basso e alcune aziende stanno af-frontando delle difficoltà nel settore produttivo ed opera-tivo che potrebbero causare una riduzione del numero dei lavoratori impiegati”, affer-mava il ministro. Che nei fatti annunciava un nuovo giro di ristrutturazioni, in particolare nelle aziende statali, quelle

poche sopravvissute ai pre-cedenti tagli.

Tanto per fare un esempio nelle ristrutturazioni compiu-te dal governo di Pechino in soli cinque anni, tra il 1998 e il 2003, gli “esuberi” furono ben 28 milioni. Gli anni suc-cessivi sono stati quelli del-la spaventosa crescita eco-nomica a due cifre, fino alla frenata determinata dall’ulti-ma crisi, l’attuale grave cri-si di sovrapproduzione che soffoca il sistema produttivo e dalla quale cerca di uscire la Cina di Xi Jinping. Scon-tando la crescita di scioperi e proteste dei lavoratori in tut-ta la Cina.

Secondo quanto afferma-to recentemente dal vice-mi-nistro dell’industria Feng Fei la Cina deve tagliare la pro-duzione di acciaio grezzo fino a 150 milioni di tonnella-te e 500 milioni di tonnellate di eccedenze di produzione

di carbone nei prossimi 3-5 anni, tagli della sovrappro-duzione in ben sette settori, tra cui quello del cemento, del vetro e delle costruzio-ni navali. Si salverebbe solo l’industria dell’energia solare per le ancora reali potenziali-tà di crescita. Tradotto in ter-mini di posti di lavoro si cal-cola che fino a sei milioni di lavoratori verrebbero licen-ziati.

I lavoratori di Anyuan, del Gruppo minerario di Pingxiang, già negli ultimi mesi avevano subito la ridu-zione del salario a poco più di 140 euro mensili; la di-rezione delle miniere ave-va deciso unilateralmente la chiusura dei pozzi per di-versi giorni durante la recen-te festa di Capodanno e an-nunciato l’interruzione della produzione per un periodo di due settimane, in alcune mi-niere nel corso del mese di

marzo. All’annuncio da par-te del governo dei nuovi ta-gli occupazionali nel settore l’impresa mineraria locale di proprietà statale annunciava licenziamenti e una ulteriore riduzione dei salari a 65 euro al mese.

Il 29 febbraio alcune centi-naia di lavoratori per protesta contro i tagli occupazionali e salariali scendeva in strada a Anyuan e bloccavano il traffi-co. Il 2 marzo erano almeno 10 mila gli operai provenien-ti da tre miniere che sfilava-no per la città con striscioni con scritte come “gli operai vogliono sopravvivere”.

La lotta dei minatori di Anyuan è diretta contro le decisioni del governo di Li Keqiang che sull’eliminazio-ne delle sopravvissute azien-de statali vuole costruire la sua politica di rilancio dell’e-conomia della superpotenza socialimperialista cinese.

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N. 26 - 2 luglio 2015 esteri / il bolscevico 15

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Per evitare gli attacchiterroristicicessare dibombardare l’Is

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