Istituto MEME associato a
Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
TOSSICODIPENDENZA IN AMBITO PENITENZIARIO: LETTERATURA,
LEGISLATURA ED UNA RICERCA ESPLORATIVA
Scuola di Specializzazione: SST in Scienze Criminologiche
Relatore: Dott.ssa Roberta Frison
Contesto di Project Work: Ambito penitenziario
Tesista Specializzando: Claudia Silvia Sparpaglione
Anno di corso: Primo
Modena: 8 settembre 2012 Anno Accademico: 2011 - 2012
ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Claudia Silvia Sparpaglione - SST in Scienze Criminologiche (primo anno) A.A. 2011 - 2012
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INDICE
INTRODUZIONE Pag. 5
1. LA TOSSICODIPENDENZA Pag. 7
1.1 Tipologie di droga e diagnosi di abuso Pag. 7
1.2 Fattori di influenza nell’esperienza con la droga Pag. 10
1.3 “Perché” si fa uso di droghe? Pag. 12
1.4 Teorie sull’abuso e sulla dipendenza da droghe Pag. 16
1.4.1 Teorie che rientrano nel paradigma “desease” Pag. 17
1.4.2 Teorie sulla tossicodipendenza come modalità di adatta-mento disfunzionale
Pag. 18
1.5 L’evoluzione del fenomeno della tossicodipendenza Pag. 22
1.5.1 La situazione italiana Pag. 22
1.5.2 La situazione spagnola Pag. 28
1.6 Punizione o cura? Pag. 28
2. LEGISLAZIONE E SISTEMI PENITENZIARI IN ITALIA E SPAGNA
2.1 La legislazione spagnola sul trattamento penitenziario Pag. 31
2.1.1 La Constituciòn Española Pag. 33
2.1.2 Ley organica General Penitenciaria (LOGP) Pag. 34
2.1.3 “El regolamento penitenciario” Pag. 36
2.2 La Legislazione italiana sul trattamento penitenziario Pag. 37
2.2.1 Legge di riforma penitenziaria del 1975 e succ. modifiche Pag. 39
2.2.2 La riforma dell’ordinamento penitenziario attuata con la legge 10 ottobre 1986, n.663 (Legge Gozzini)
Pag. 40
2.2.3 Legge 390/90: “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”
Pag. 44
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2.2.4 Legge N. 49 del 2006 “Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309"
Pag. 46
2.3 I sistemi penitenziari in Italia e Spagna Pag. 49
2.3.1 Caratteristiche organizzative nel Sistema Penitenziario Spagnolo
Pag. 49
2.3.2 Caratteristiche organizzative nel Sistema Penitenziario Italiano
Pag. 50
2.4 Tipologie di istituti penitenziari Pag. 52
2.4.1 Tipi di centri e distribuzione sul territorio spagnolo Pag. 52
2.4.2 Tipi di centri e distribuzione sul territorio italiano Pag. 55
2.5 Le figure professionali Pag. 57
2.5.1 Le figure professionali nel sistema penitenziario spagnolo Pag. 57
2.5.2 Le figure professionali nel sistema penitenziario italiano Pag. 58
2.6 Interventi penitenziari Pag. 60
2.6.1 Interventi intramurari (programmi di trattamento, attività culturali e sportive) in Spagna
Pag. 60
2.6.2 Interventi extramurari (inserimento lavorativo e formazione professionale, etc.) in Spagna
Pag. 61
2.6.3 Moduli terapeutici in Spagna Pag. 62
2.6.4 Interventi intramurari (programmi di trattamento, attività culturali e sportive) in Italia
Pag. 63
2.6.5 Interventi extramurari (inserimento lavorativo e formazione professionale, etc.) in Italia
Pag. 66
2.6.6. Modelli terapeutici in Italia Pag. 66
2.7 Misure alternative alla detenzione in prigione Pag. 68
2.7.1 Le misure alternative nel sistema penitenziario spagnolo Pag. 68
2.7.2 Le misure alternative nel sistema italiano Pag. 68
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3. UN’INDAGINE ESPLORATIVA
3.1 Obiettivi e ipotesi di ricerca Pag. 71
3.2 Partecipanti Pag. 72
3.3 Metodologia Pag. 74
3.4 Strumenti Pag. 74
3.5 Analisi statistiche e risultati Pag. 76
3.6 Discussione Pag. 83
CONCLUSIONI Pag. 87
BIBLIOGRAFIA Pag. 91
SITOGRAFIA Pag. 95
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INTRODUZIONE
Il seguente elaborato, con particolare accezione all'indagine empirica condotta a seguito
dell'elaborazione di dati raccolti durante colloqui ed interviste semi-strutturate in ambito
penitenziario, è stato svolto in collaborazione con la Dott.ssa Foti, mia collega
universitaria.
Ciò che ci ha spinte ad intraprendere questo lavoro di tesi è stato un personale e comune
interesse nei confronti dell’ambiente carcerario e per le dinamiche che in esso hanno
luogo, tematiche che ci hanno spinte a voler comprendere maggiormente questo ambito.
Inoltre, a seguito della nostra partecipazione a seminari e laboratori didattici tenuti dalla
Prof.ssa Mombelli, unitamente al Dott. Scopelliti1 ed al Dott. Ferrario2, intervenuti per
parlare del loro lavoro legato ad interventi clinici con persone tossicodipendenti in
ambito penale, è sembrata operazione logica e naturale indirizzare il nostro interesse nei
confronti di questo specifico ambito all'interno delle mura carcerarie.
Quello della tossicodipendenza, in particolar modo se legato all’ambito giudiziario, è un
tema che nell'immaginario comune evoca scenari di delinquenza, drammaticità,
situazioni di degrado. Ciò che ci ha guidate attraverso tali stereotipi negativi, tuttavia, è
stato il presupposto secondo il quale ogni individuo tende ad assecondare e soddisfare i
bisogni che più gli garantiranno una sensazione di sicurezza, anche a discapito di
bisogni riguardanti approvazione sociale o appagamento personale.
In questo specifico caso, il nostro intento è stato quello di indagare ciò che spinge una
persona ad avvicinarsi alla droga, quali bisogni complessi cerca di soddisfare e cosa
cerca di “compensare” abusando di essa.
Inoltre, in previsione di un ipotetico intervento operativo sul soggetto, si è cercato di
indagare il carattere multidimensionale e complesso delle variabili che intervengono nel
mantenimento della condotta additiva, e soprattutto il ruolo che in tutto ciò ricoprono
l’ambiente familiare e sociale.
Approfittando di un’esperienza di studio a Madrid offerta alla dott.ssa Foti
dall’Università Cattolica, durante il quale ha potuto frequentare in tale città un istituto
1 Psicoterapeuta, Sert 3, Carcere di Bollate e Tribunale di Milano, ASL di Milano. 2 Criminologo, Sert 3, Carcere di Bollate e Tribunale di Milano, ASL di Milano.
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penitenziario ed i detenuti che in esso soggiornavano, è stato possibile dare una doppia
impronta a questo lavoro, ponendo a confronto gli elementi principali riguardanti il
funzionamento del sistema penitenziario nei due Paesi, dei principi legislativi e della
dichiarazione d’intenti che ne stanno alla base.
Il primo capitolo si sofferma in particolare sulla letteratura presente in merito alla
tossicodipendenza, con focus attentivo sui tipi di droga e le diagnosi di abuso
maggiormente condivise; i principali fattori d’influenza nell’esperienza con la droga ed
i bisogni a cui le persone tossicodipendenti cercano di rispondere abusandone; infine
sono state analizzate le teorie sulla dipendenza e sull’abuso di droga. Successivamente,
sempre in riferimento alla letteratura attuale, ho effettuato un excursus sull’evoluzione
del fenomeno della tossicodipendenza in entrambi i Paesi presi in analisi in questo
elaborato, ripercorrendo le varie fasi storiche e politiche che hanno caratterizzato nel
tempo la diffusione di tale fenomeno.
Infine, si è cercato di riflettere sul dibattito in merito alla concezione data alla pena,
considerata alternativamente una mera punizione o un’occasione di trattamento per i
detenuti con problemi legati alla tossicodipendenza.
Il secondo capitolo verte sulla legislazione vigente in materia penale in entrambi i Paesi,
in particolare quella relativa al sistema penitenziario, ponendo in evidenza la
dichiarazione d’intenti su cui si basano.
Inoltre, offre una panoramica del sistema penitenziario italiano e spagnolo.
Il terzo e ultimo capitolo è incentrato sull’indagine esplorativa che ho svolto in
collaborazione con la dott.ssa Foti e che si basa sui dati raccolti all'interno della struttura
penitenziaria a Madrid, in Spagna.
L'obiettivo principale è stato quello di mettere a fuoco i punti salienti che possono
caratterizzare il vissuto della persona tossicodipendente e allo stesso tempo detenuta, la
percezione che ha di sé, delle relazioni familiari, del contesto sociale in cui vive, e di
come tali percezioni e rappresentazioni influiscano sul suo stato emotivo.
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1. LA TOSSICODIPENDENZA
L'ambito psicologico non presenta una tradizione consolidata di studi sui fenomeni
connessi all’uso e alla dipendenza dalle droghe. Il fatto che si tratti di sostanze che
esplicitano un effetto psicoattivo sull’organismo ha certamente contribuito a definire
inizialmente questo ambito di ricerca e di intervento come di pertinenza medica,
secondo la generale convinzione che il ricorso alle droghe sia da imputare ad uno stato
di malattia, prestando dunque attenzione ai fattori biologici e psicopatologici
predisponenti e alle caratteristiche farmacologiche delle diverse droghe. Minore, nel
passato, è stato invece l’interesse e l’impegno nei riguardi dell’analisi e della
ricostruzione dei processi cognitivi, emozionali, motivazionali, di presa di decisione
dell’abuso di sostanza e delle influenze familiari e sociali che sono implicati nelle
condotte di consumo, sia nella genesi sia nella loro diversificata evoluzione, anche se,
negli ultimi decenni, si sta osservando un crescente interesse per queste tematiche da
parte delle scienze psicologiche.
1.1 Tipologie di droga e diagnosi di abuso
Il termine “droga”, in questo paragrafo, verrà utilizzato per indicare “le molte sostanze
naturali o di sintesi, capaci di modificare l’umore, la percezione e l’attività mentale”3,
anche se sarebbe maggiormente appropriato utilizzare il termine “sostanza psicoattiva”
o “psicotropa”, data la modificazione a livello dell’attività psichica che tutte le droghe
provocano.
Possiamo distinguere le tipologie di droga secondo una classificazione a quattro
categorie di Ravenna (1997):
Droghe che deprimono il sistema nervoso centrale (come alcol, barbiturici,
ipnosedativi): riducono gli stati di tensione e d’ansia, come anche la capacità di
concentrazione e di memoria;
Droghe che riducono il dolore (come gli oppioidi naturali e di sintesi): riducono
3 Ravenna. M., “Psicologia delle Tossicodipendenze, Il Mulino Ed., 1997, p. 14.
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gli stati di angoscia e di ansia, la sensibilità e le reazioni emotive al dolore;
Droghe che stimolano il sistema nervoso centrale (come amfetamine, cocaina,
crack, caffeina, nicotina): aumentano la vigilanza, diminuiscono la sensazione
di fame e di fatica, incrementano la capacità di svolgere compiti fisici e
intellettuali prolungati;
Droghe che alternano la funzione percettiva (come LSD, funghi, cannabis,
ecstasy): incrementano e modificano le esperienze sensoriali, favoriscono stati
di euforia e alterano il pensiero.
Quando invece si fa riferimento al termine “abuso”, viene indicato con esso l’uso
costante e ripetuto di una sostanza psicoattiva, oltre ad una delle possibili conseguenze
di tale comportamento reiterato.
Esso è definito dal Diagnostic and Statistical Manual, IV versione,4 come una “modalità
patologica di uso di una sostanza dimostrata da ricorrenti e significative conseguenze
avverse o correlate all’uso ripetuto della stessa”. I criteri indicati per diagnosticare
l’abuso si riferiscono alla presenza, nell’arco degli ultimi 12 mesi, di una o più delle
seguenti condizioni:
- Uso ricorrente della sostanza che comporta l’incapacità di adempiere ai principali
compiti connessi con il lavoro, la scuola, la casa (assenze o scarso rendimento nel
lavoro; assenze, sospensioni, espulsioni da scuola; trascuratezza nella cura dei bambini
o della casa, ecc.).
- Uso ricorrente della sostanza in situazioni di rischio (guida di un’auto, uso di
macchinari ecc.).
- Ricorrenti problemi legali correlati all’uso di sostanze (arresti, ecc.).
- Uso continuativo della sostanza nonostante persistano o ricorrano problemi sociali o
interpersonali causati o esacerbati dagli effetti della sostanza (discussioni in famiglia,
scontri fisici, ecc.).
La categoria diagnostica dell’abuso differisce dalla categoria diagnostica della
dipendenza, perché la seconda non richiede la presenza né dell'uso compulsivo della
sostanza, né della comparsa della tolleranza e dell'astinenza, basandosi sulle sole
4 American Psychiatric Association, “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders” DSM IV, Washington DC, APA, 1994.
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conseguenze negative dell'assunzione ripetuta della sostanza stessa.
Il comportamento di chi è dipendente da una sostanza è stato definito nei primi anni ’80
dall’OMS nei termini di una sindrome caratterizzata dai seguenti elementi:
- consapevolezza soggettiva della compulsione ad assumere una o più droghe
nonostante i tentativi di smettere o di controllare il consumo;
- desiderio di interrompere l’uso più che di continuarlo;
- abitudine relativamente stereotipata di assumere la droga;
- evidenti sintomi di neuro adattamento, come la tolleranza (il fenomeno di risposta del
sistema nervoso centrale tale da ridurre gli effetti delle ripetute somministrazioni di
droga) e l’ astinenza (la mancanza di droga provoca un effetto di scompenso che da
luogo ai sintomi di astinenza, con effetti fisici e psicologici negativi);
- uso della droga per attenuare o evitare sintomi di astinenza;
- salienza del comportamento di ricerca della droga rispetto ad altre importanti priorità;
- rapida reintegrazione della sindrome dopo un periodo di astinenza.
Questa definizione, pur essendo oggetto di numerose critiche, come quella di favorire
un’interpretazione della tossicodipendenza in termini di malattia, ha però suscitato
notevole influenza in ambito psichiatrico, tanto che i suoi aspetti costitutivi sono stati
inseriti nella più importante classificazione di malattie mentali attualmente in uso: il
DSM-IV, che ho nominato in precedenza.
La definizione di “dipendenza” proposta dal DSM-IV, invece, la indica come “un
insieme di sintomi cognitivi, comportamentali e fisici indicativi del fatto che il soggetto
continua a far uso della sostanza nonostante siano presenti problemi significativi ad essa
correlati”. Per una diagnosi di dipendenza per il DSM-IV occorre riscontrare almeno 3
dei seguenti sintomi e che essi persistano da almeno 1 mese:
- tolleranza, intesa come bisogno di dosi notevolmente più elevate della
sostanza per raggiungere l’intossicazione o l’effetto desiderato e/o come un
effetto notevolmente diminuito in caso di uso continuativo della stessa
quantità della sostanza;
- astinenza, che si manifesta come una sindrome sostanza-specifica
conseguente alla cessazione (o riduzione) dell’assunzione di una sostanza
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precedentemente assunta in modo pesante e prolungato (tale sindrome causa
disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento
sociale, lavorativo o di altre aree importanti. I sintomi non sono dovuti ad
una condizione medica generale, e non possono essere meglio spiegati con
un altro disturbo mentale) o nel senso che la stessa sostanza è assunta per
attenuare o evitare i sintomi di astinenza;
- assunzione della sostanza in quantità maggiori o per periodi più prolungati
rispetto a quanto inizialmente previsto dal soggetto;
- desiderio persistente o tentativi infruttuosi di ridurre o controllare l’uso della
sostanza;
- grande quantità di tempo speso in attività necessarie a procurarsi la sostanza,
ad assumerla o a riprendersi dai suoi effetti;
- interruzione o riduzione di importanti attività sociali, lavorative o ricreative a
causa dell’uso della sostanza.
E' inoltre necessario accennare alla distinzione tra droghe “lecite” e “illecite”: vi sono
infatti sostanze, come l’oppio, l’eroina, la cocaina, gli allucinogeni, i derivati del
cannabis, di cui è assolutamente vietato l’uso, la produzione, il commercio e il possesso,
e che sono per questo definite “illegali”. Di altre, come le amfetamine, i barbiturici e gli
oppiacei di sintesi, la produzione, il commercio e l’utilizzazione sono invece soggetti a
controllo e limitati all’uso medico. Altre ancora, come l’alcol, il tabacco, il tè, il caffè e i
solventi, non sono soggette ad alcuna forma di controllo, e sono identificate come
droghe “legali”.
1.2 Fattori di influenza nell’esperienza con la droga
Gli effetti delle droghe psicoattive sono determinati in parte dalla loro composizione
chimica e in parte dalle aspettative di coloro che le consumano. Sono proprio queste
aspettative che variano a seconda delle diverse culture di riferimento e del momento
storico5.
Gli effetti a breve termine di una droga non dipendono in modo esclusivo dalle sue 5 Szasz, T.S., “Cerimonial chemistry. The ritual persecution of drugs, addicts and pushers”, New
York, Anchor Press, 1974; trad. ita Il mito della droga, Milano, Feltrinelli.
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caratteristiche farmacologiche, ma variano in modo considerevole anche in relazione ad
una serie di fattori:
1) Qualità della sostanza e modalità dell’assunzione.
Gli effetti della sostanza sono diversi a seconda che essa sia naturale, raffinata o di
sintesi, a seconda del suo grado di concentrazione e di purezza, a seconda della dose e
della modalità scelta per l’assunzione (l’assunzione per via orale, per iniezione
endovenosa, intramuscolare o sottocutanea o per inalazione implica processi di
assimilazione molto diversi tra loro). E’ rilevante infine l’associazione con altre droghe.
2) Caratteristiche biologiche dell’assuntore.
Una certa variabilità nelle reazioni alle droghe dipende da fattori quali il sesso, l’età,
conformazione e stato fisico, appartenenza etnica e fattori genetici.
3) Contesto del consumo.
Anche le caratteristiche del contesto in cui avviene l’assunzione, e cioè l’ambiente
fisico e le sue caratteristiche in termini di protezione o di ostilità, e quello sociale (la
presenza o assenza di altre persone, la qualità delle relazioni reciproche e il grado di
influenza) sono tutti aspetti che possono influenzare le reazioni personali alla droga.
4) Caratteristiche psicologiche dell’assuntore.
Ravenna6, in merito agli aspetti in grado di influenzare quella che sarà l’esperienza di
un individuo rispetto ad una droga, individua diverse caratteristiche psicologiche:
- Il tipo di personalità.
- Lo stato psichico in cui si trova al momento dell’assunzione (l’essere in
condizioni di ansia o di depressione può accentuare esperienze di angoscia o
panico o allucinazioni).
- Le conoscenze di cui si dispone a proposito della droga e dei suoi effetti.
- Le sue aspettative.
- La fase di consumo in cui si trova (è diverso se si tratta di una prima
assunzione o di un consumo consolidato).
In definitiva, le credenze e le conoscenze di cui un soggetto dispone a proposito della
droga che ha intenzione di usare, il significato che attribuisce all’esperienza, ciò che si
aspetta di ottenere, sono tutti elementi che influenzano la sua reazione agli effetti della 6 Ravenna, M., “Psicologia delle tossicodipendenze”, Ed. Il Mulino, Bologna 1997, p.26.
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droga7.
1.3 “Perché” si fa uso di droghe?
Alle droghe è attribuita la funzione di fornire una risposta, per lo più immediata, a
bisogni e desideri personali che possono riguardare diversi ambiti (Szasz8 ):
1) Il bisogno di modificare e di espandere gli stati di coscienza.
Un primo riferimento per spiegare perché le persone assumono droghe risiede nella
capacità delle droghe di alterare lo stato di coscienza, di provocare cioè sensazioni e
stati psicologici percepiti come piacevoli. Gli stati alterati sono stati definiti da Tart9,
come “consistenti alterazioni della funzione della coscienza che in genere il soggetto è
in grado di percepire e che sono tuttavia rilevabili anche da parte di un osservatore
esterno”.
Un tipo di approccio alla questione in chiave esplicitamente ideologica del rapporto fra
individuo e droghe condivide l’idea che l’individuo assume sostanze per contrastare le
pressioni all’omologazione e all’appiattimento provenienti dalla società (come accadde
negli anni ’70). Così, come riferisce Bolelli10, gli individui, avvicinandosi per lo più a
droghe definite “espansive”, ovvero in grado di “rivelare” al soggetto aspetti sconosciuti
del proprio Sé, sperimentano quel tipo di esperienza liberata dai parametri “totalitari”
della norma in grado di contrapporsi ai dettami della società contemporanea.
2) La ricerca di sensazioni forti.
Zuckerman11 spiega l’attrazione dei giovani per i comportamenti spericolati come una
manifestazione di un tratto di personalità caratterizzato da “un bisogno di sensazioni ed
esperienze variate, nuove e complesse e volontà di correre dei rischi fisici e sociali per il
gusto di farlo”. Secondo questo Autore vi sono soggetti che più di altri per raggiungere
7 Gossop, M., “Living with drugs”, London, Willwood House, 1987. 8 Szasz, T.S., “Cerimonial Chemistry. The ritual persecution of drug, addicts and pushers”, New
York, Anchor Press, 1974.
9 Tart, C.T., “Stati alterati di coscienza, in R. Harrè, R.Lamb e L.Mecacci, “Psicologia. Dizionario Enciclopedico”, Bari, Laterza, pp. 218-220, 1986.
10 Bolelli, F., “Le nuove droghe”, Roma, Castelvecchi,1996. 11 Zuckerman, M., “Dimension of sensation seeking”, in “Journal of Consulting and Clinical
Psychology”, XXXIV, 1, pp. 45-52, 1972.
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e mantenere un livello ottimale di attivazione hanno bisogno di sperimentare sensazioni
e di compiere esperienze sempre nuove, variate e complesse. Tali soggetti, definiti
“ricercatori di sensazioni” presentano una personalità caratterizzata dal desiderio di
intraprendere attività e sport che implicano velocità e un certo grado di rischio, dal
bisogno di una grande varietà di esperienze interiori, dalla predilezione per la
sregolatezza nel bere, nel gioco nella sessualità. Tali personalità non sono attratte tanto
dall’effetto specifico di una determinata droga, quanto dallo stato generale di alterazione
che una droga consente loro di ottenere.
Altre ricerche, condotte dallo stesso Zuckerman, hanno anche messo in relazione il
bisogno di sensazioni forti con altri tratti e caratteristiche di personalità, mostrando
correlazioni positive con l’ipomania, le tendenze impulsive, antisociali o psicopatiche,
con l’estroversione, l’anticonformismo, la creatività, con bassi livelli di ansia, con il
bisogno di cambiamento, di autostima, di esibizione ed infine con il sesso maschile e
l’età giovanile, confermando quanto siano proprio gli adolescenti ad essere
maggiormente orientati verso la ricerca di sensazioni forti rispetto agli adulti.
3) Il bisogno di facilitazione sociale.
Fra le ragioni più note che spingono al consumo di droga, tra i giovani in particolar
modo, figurano senza dubbio quelle cosiddette “socio-ricreative”. Alcune droghe sono
infatti ricercate proprio per favorire la piacevolezza e la fluidità degli incontri sociali, e
più in generare per sperimentare rapporti interpersonali più intensi: tra di esse, oltre
all’alcool e la marijuana, si è recentemente imposta l’ecstasy. L’ecstasy può essere vista,
secondo la critica di Galimberti12, come “una via di uscita dall’oppressione dei ruoli,
delle funzioni, dell’estetica della distanza e della freddezza che è possibile ritrovare
negli usi e costumi degli occidentali. In riferimento all’ecstasy, una ricerca condotta da
Panzacchi e Degiuli12 sui giovani e la techno-trance mostra l’esperienza dell’assunzione
della sostanza come “un’esperienza caratterizzata da forti percezioni di uguaglianza fra
sé e gli altri che prescindono dalle rispettive appartenenze”. Questa ricerca di sensazioni
inusuali risulta essere indicatore di un bisogno: quello appunto di sperimentare una
dimensione di profondo coinvolgimento collettivo.
12 Panzacchi, R. e Degiuli, S., “Primi risultati della ricerca I giovani e la tecno-trance”, Cantoni,
1996).
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4) Il bisogno di salvaguardare e migliorare l’immagine di sé.
Un elemento in grado di facilitare il ricorso a sostanze psicoattive è stato identificato
grazie alle ricerche condotte da George e Marlatt13, i quali pongono l’attenzione sulla
dimensione dell’autoefficacia percepita, mostrando come il riuscire a mantenere o ad
incrementare sentimenti di efficacia personale in situazioni di vita connesse alla
produttività personale sia un forte elemento in grado di direzionare il soggetto verso
comportamenti di assunzione di droga.
5) La ricerca di autonomia, di emancipazione, di sfida.
Riferendosi ai propri studi sull’adolescenza, Ravenna14 afferma che “l’intraprendere
un’esperienza ignota e stigmatizzata dagli adulti permette al soggetto adolescente di
affermare e rimarcare la propria distanza dal loro mondo, e di esplicitare in qualche
modo il suo bisogno di urtare e sconcertare”.
L’uso di droga diventa un simbolo di emancipazione, un mezzo che permette
all’adolescente di accorciare il suo percorso verso lo status di adulto. L’adolescente
compie quindi un rito d’iniziazione per diventare adulto: fa ricorso alle droghe, ma non
disponendo dello spazio interiore che insieme ad altri rituali costituisce la cornice di una
tale esperienza di rinnovamento15 è destinato a fallire in questo processo. Infatti, senza
una piena consapevolezza delle proprie azioni e senza una guida, egli sperimenterà solo
gli aspetti più distruttivi di questa esperienza.
6) Il bisogno di appartenenza e di prestigio.
Gli adolescenti, in questa fase della loro vita, sperimentano il forte bisogno di sentirsi
accettati e stimati.
In quest’ottica è possibile che l’adolescente, per sentirsi integrato e valorizzato da un
gruppo di coetanei già consumatori, diventi disponibile a provare lui stesso, come
13 George, W. H., e Marlatt, G. A., “Alcoholism: The evolution of a behavioral perspective, in M.
Galanter (a cura di), Recent developments in alcoholism, New York, Plenum Press, vol. 1, pp. 105-138, 1983.
14 Ravenna, M. e Palmonari, A., “Rappresentazioni di sé e dello sballo: studio su un campione di giovani studenti, Atti della conferenza internazionale su Ecstasy e sostanze psichedeliche”, Bologna, 18-19 novembre,1997.
15 Zoja, L., “Nascere non basta. Iniziazione e tossicodipendenza”, Milano, Cortina, 1985.
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mostrano gli studi condotti da un gruppo di ricercatori guidati da Novacek16.
Un’esperienza di questo genere, oltre a facilitare processi di similarità con i coetanei,
consente all’adolescente di dimostrare la propria diversità da chi non si cimenta in
questo. Ciò gli permette di sentirsi più coraggioso e libero dai condizionamenti esterni
che stimolano l’astensione, consentendogli inoltre di costruire la propria immagine ed il
proprio status nel gruppo e di ottenere dagli altri ammirazione e popolarità.
7) Il bisogno di ridurre gli stati di disagio e di regolare le emozioni.
Se l’individuo in difficoltà non è in grado di compensare gli sforzi che compie con il
raggiungimento dell’obiettivo per lui significativo e che si è posto in una certa fase della
vita, se perde la direzione nel raggiungimento degli scopi, o se si è posto degli obiettivi
troppo irrealistici, può accadere che la droga possa apparirgli come un mezzo per ridurre
quegli stati psicologici – quali ansia, angoscia, incertezza, tensione, depressione,
sentimenti di bassa autostima – che la situazione di difficoltà gli fa sperimentare.
Oltre alle esperienze di disagio legate ai compiti di sviluppo, il ricorso alla droga può
essere favorito da eventi altamente stressanti che, in uno studio condotto da Newcomb e
Bentler17, sono stati messi in relazione con l’uso di droga. Il rapporto fra eventi
stressanti e l’uso di droga è risultato essere non lineare, ma mediato da due variabili
intervenienti: l’incontrollabilità della situazione stressante e i sentimenti di perdita di
significato della propria esistenza. In altre parole gli eventi incontrollabili che si
verificano nelle relazioni, nel proprio ambiente di vita o a livello intrapsichico, possono
favorire l’insorgere di stati psicologici negativi quali sentimenti di impotenza, di
inefficacia, di alienazione o perdita di progettualità. Lo squilibrio provocato da queste
esperienze induce l’individuo, in funzione del disagio percepito, a ricercare della
modalità, fra cui l’uso di droga, per attenuarlo.
16 Novachek, K., Raskin, R., Hogan, R., “Why adolescents use drugs?Age, sex, and user
differences”, in Journal of Youth and Adolescents, XX, 5, pp. 475-492,1991. 17 Newcomb, M. D. e Bentler, P. M., “Consequences of adolescents drug use”, Beverly Hills,
Calif., Sage, 1986.
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1.4 Teorie sull’abuso e sulla dipendenza da droghe Le teorie sulla genesi della dipendenza possono essere ricondotte a due ampi paradigmi
teorici: il paradigma disease, che riprendendo il modello medico spiega la
tossicodipendenza esclusivamente sulla base di cause intra-individuali, e il paradigma
adattivo che la interpreta invece alla luce dell’interazione della persona con il suo
ambiente di vita.
Il paradigma disease considera l’addiction18 come frutto di una predisposizione
individuale che può avere base biologica o psicologica e che si manifesta in
conseguenza dell’esposizione alla droga. Dunque l’idea sottostante è che le persone
tossicodipendenti siano diverse dalle altre persone, perché contraddistinte da anomalie
biologiche o psicologiche già presenti alla nascita, prima del loro primo incontro con la
droga. Esse sono “malate”, sia perché presentano tali anomalie, sia perché l’azione della
droga ha distrutto o ridotto in modo considerevole la loro capacità di intraprendere
azioni autonome e funzionali.
In quest’ottica, la “malattia” del tossicodipendente richiede un trattamento specifico. Le
forme d’intervento che seguono questa logica mirano infatti a rimuovere un bisogno –
che è fondamentalmente indotto dalla droga – tramite strategie di controcondiziona-
mento o terapie di tipo farmacologico.
Al contrario il paradigma adattivo costituisce una sintesi fra diverse teorie sviluppate in
ambito psichiatrico, sociologico e psicologico, e considera il ricorso alla droga come il
risultato dell’influenza di un intreccio di fattori, da quelli biologici a quelli cognitivo-
motivazionali e di personalità, a quelli interpersonali e di contesto. L’uso di droga è
visto qui come una strategia di adattamento disfunzionale utilizzata per fronteggiare
diverse esperienze e situazioni di sofferenza e disagio.
18 E’ importante distinguere fra i termini inglesi dependence e addiction. Il primo indica una
dipendenza fisica e chimica, ovvero quella condizione per cui l’organismo necessita di determinate sostanze per funzionare, e perciò le richiede. Con “addiction” s’intende invece una condizione generale in cui la dipendenza psicologica spinge alla ricerca dell’oggetto, senza il quale l’esistenza diventa priva di significato.
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1.4.1 Teorie che rientrano nel paradigma “desease”
In esse è possibile rintracciare due orientamenti: uno che considera come fattori
determinanti l’abuso e la dipendenza la predisposizione individuale e l’esposizione alle
droghe; l’altro che accorda un ruolo prioritario all’esposizione alla droga.
1) Tossicodipendente perché “predisposto”.
Le teorie centrate sulla predisposizione individuale considerano la predisposizione alla
dipendenza come il risultato di un’alterazione genetica, di un danno psicologico relativo
all’infanzia, di entrambi i fattori o di particolari caratteristiche di personalità.
Molti studi, in particolare quelli condotti sull’alcoolismo, confermano in modo decisivo
l’ipotesi che i fattori genetici contribuiscano a determinare una certa suscettibilità:
tuttavia riconoscere che essi esercitino un ruolo nella genesi dell’alcoolismo non
esclude che questa sia influenzata anche da fattori ambientali. In conclusione non
sembra possibile affermare che qualcuno sia “predestinato” a diventare alcoolista, i
fattori genetici possono però aumentare o diminuire il livello di vulnerabilità.
Un’altra teoria riconducibile all’orientamento della predisposizione individuale è la
Teoria degli Impulsi. Gli impulsi, “intesi come forza in grado di attivare e dirigere il
comportamento degli individui verso il soddisfacimento di alcuni bisogni fondamentali,
costituiscono il fondamento dell’addiction”19, che può essere letto come il prodotto di
una serie di forze che agiscono con la finalità di salvaguardare il benessere biologico e
psicologico dell’individuo.
Gli studi sui tratti di personalità, ed in particolare quelli sul locus of control, tentano di
spiegare l’uso di droghe in termini di controllo interno o esterno. L’assunto su cui si
basano è che se le persone pensano che gli eventi e le situazioni che si verificano
derivano dal loro comportamento o dalle loro caratteristiche personali, allora avranno
un’aspettativa di controllo interno; al contrario, se pensano che gli eventi dipendano
dalla fortuna, dal caso, dal destino o dall’azione di altre persone, sperimenteranno
un’aspettativa di controllo esterno. E’ possibile affermare in modo generale che i
consumatori di sostanze psicoattive sono caratterizzati da un orientamento di aspettative
19 Baker, T. B., Morse, E., & Sherman, J. E., “The motivation to use drugs: A psychobiological
analysis ofurgers”, in C. Rivers (a cura di), The Nebraska Symposium on motivation. Alcohol Use and Abuse, Lincoln, Nebraska University Press, pp. 257-323, 1987.
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di tipo esterno.
2) Tossicodipendente perché “esposto”.
Le teorie centrate sull’esposizione alle droghe attribuiscono un ruolo di primaria
importanza alle proprietà farmacologiche delle droghe ed interpretano l’addiction come
un effetto specifico dell’uso. In sostanza le proprietà farmacologiche di una sostanza
innescano modificazioni fisiologiche o dei processi di condizionamento che inducono a
proseguire il consumo o ad incrementare l’assunzione. Gli individui diventano così
dipendenti di quella sostanza, cioè legati compulsivamente all’abitudine
dell’assunzione, sulla quale non esercitano alcun controllo.
1.4.2 Teorie sulla tossicodipendenza come modalità di adattamento
disfunzionale
Il paradigma adattivo considera l’abuso di droga non come una “malattia”, ma come il
risultato di un tentativo da parte dell’assuntore di far fronte a diverse situazioni quali il
superamento di compiti di sviluppo, il sopraggiungere di eventi stressanti, stati di
difficoltà o disagio, per mezzo dell’uso di sostanze.
Diverse teorie sono a fondamento di questa visione della genesi della tossico-
dipendenza:
Le teorie cognitive.
L’approccio cognitivista considera i processi di consumo e gli effetti percepiti delle
diverse droghe come fortemente influenzate da aspetti motivazionali e cognitivi
dell’individuo, quali gli atteggiamenti, le credenze, le aspettative. Tali credenze sono
apprese dagli individui nell’ambito dei loro rapporti sociali e dei loro contesti di vita e
forniscono loro un repertorio di spiegazioni che consentono di interpretare e giustificare
le loro condotte di consumo. Fenomeni quali distorsioni ed errori cognitivi, attese
irrealistiche relativamente a se stessi o ad altri, razionalizzare o minimizzare il
significato e il peso di alcuni eventi e situazioni sono fattori in grado di contribuire ad
incrementare il coinvolgimento dei soggetti nel consumo.
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Le teorie psicodinamiche.
Gli studi condotti da Kohut20 interpretano il ricorso a sostanze stupefacenti in rapporto
alla relazione fra madre e bambino. Una relazione carente e frustrante può portare,
secondo l’Autore, ad un serio disturbo dell’identità. Può accadere, spiega Kouth, che la
delusione verso la madre sperimentata negli anni dell’infanzia sia allontanata,
mantenendo l’immagine idealizzata di essa e “l’ipertrofizzazione dell’immagine di sé
tipica delle prime fasi di sviluppo”: in questi casi, quello che si riscontra è un forte
indebolimento dell’Io. E’ così che il soggetto scopre che i suoi sentimenti di
inadeguatezza possono essere allontanati grazie al ricorso ad un oggetto esterno, ed
illusoriamente controllabile, come la droga.
Le categorie diagnostiche di Cancrini.
In ambito clinico-psichiatrico Cancrini21 ha condotto numerosi studi dei sintomi e delle
condotte osservabili in soggetti tossicodipendenti, giungendo a delineare alcune
categorie diagnostiche. Secondo l’Autore le tossicomanie sono ricondotte a quattro
tipologie, distinte in rapporto al ruolo esercitato dalle cause endogene e da quelle
esogene sull’organizzazione psicologica dei soggetti, e al ruolo dei modelli di
organizzazione esistenti nelle loro famiglie di origine.
Le tossicodipendenze reattive, o di tipo A, si strutturano in relazione ad un evento
traumatico esterno, come la perdita di uno o entrambi i genitori, una delusione affettiva
o scolastica o lavorativa. Si tratta spesso di soggetti non inclini a parlare dei propri
problemi, ma conseguentemente impegnati ad affrontare quelli di altri membri della
famiglia. In altri casi i soggetti imparano a gestire le esperienze luttuose per mezzo di
strategie di evitamento, ma se non sostenuti da una relazione significativa che permetta
loro di gestire e rielaborare l’evento luttuoso, è alta la probabilità che essi diventino
tossicodipendenti. La sostanza per questi individui si dimostra in grado di lenire la
sofferenza tramite lo stordimento, portando ad una rapida rottura con lo stile di vita
precedente ed infine alla dipendenza.
Le tossicodipendenze che si collocano nell’area della nevrosi, o di tipo B, sono quelle
20 Kouth, H. “La guarigione del sé”, Torino, Boringhieri, 1980; Kouth, H., “La cura psicoanalitica”,
Torino, Boringhieri, 1986. 21 Cancrini, L., ”Quei temerari sulle macchine volanti. Studio sulle terapie dei tossicomani”, Roma,
La Nuova Italia Scientifica, 1982; Cancrini, L., “Psicopatologia delle tossicodipendenze: una revisione”, in Attualità in Psicologia, VIII, 3, pp. 59-83, 1994.
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che concernono i problemi d’individuazione tipici delle fasi adolescenziali:
rappresentano in altri termini la “copertura” di alcune patologie psichiche tipiche
dell’adolescenza, caratterizzate da elevati livelli di ansia, inquietudine, sbalzi d’umore,
incertezza, confusione relativamente al proprio progetto di vita, insoddisfazione,
tendenza a drammatizzare i problemi. Questi adolescenti spesso sono abituati a
intervenire nei conflitti dei propri genitori, ponendosi nel mezzo e finendo col
richiamare l’attenzione per mezzo della drammatizzazione del loro disagio. In questa
tipologia, secondo le osservazioni di Cancrini, rientrerebbero più i consumatori che i
tossicomani.
Le tossicodipendenze associate ad un grave disturbo della personalità, o di tipo C,
riguardano soggetti che ricorrono in modo massiccio all’utilizzo di meccanismi di difesa
quali la scissione, il diniego, l’identificazione proiettiva. Questi soggetti inoltre
manifestano una marcata difficoltà a sperimentare stati di piacere, e spesso la patologia
evolve in varie forme di depressione. L’ambito familiare di questi tossicomani è
caratterizzato da una tendenza a non definire le relazioni, dall’uso di messaggi
contraddittori, da un forte coinvolgimento e complicità da parte dei genitori nelle
difficoltà e nella tossicomania dei figlio e dall’utilizzo da parte loro del sintomo del
figlio come strumento per mantenere la relazione coniugale. La droga in questo contesto
rappresenta il mezzo per attenuare la sofferenza e lo stato di disagio, consentendo al
soggetto di sperimentare seppur temporaneamente una condizione di benessere.
Le tossicodipendenze sociopatiche, o di tipo D, riguardano infine soggetti che tendono
ad esprimere i propri conflitti attraverso comportamenti di acting out, che hanno
disturbi di tipo sociopatico e che assumono la droga in modo anaffettivo o con un
atteggiamento di sfida. Le famiglie di questi soggetti sono spesso famiglie cosiddette
“multiproblematiche”, caratterizzate cioè da una forte disorganizzazione dei ruoli, da
una bassissima definizione del nucleo familiare, da reazioni eccessivamente lente o
rigide alla sofferenza di un membro della famiglia, da inadeguatezza da parte dei
genitori a svolgere il proprio ruolo. Questo tipo di tossicodipendenza è da considerarsi
fra le più gravi e risulta spesso associata ad esperienze traumatiche legate all’età
infantile.
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Accenni ad alcuni studi familiari
Vari studi dimostrano che la famiglia ha un ruolo fondamentale nella genesi e nel
mantenimento della tossicodipendenza, ma che possa anche rivelarsi una risorsa
importante per il trattamento: come affermato da Scabini22, il compito fondamentale
della famiglia è “l’allevamento e l’inserimento sociale dei figli, che può essere portato a
termine grazie ad un’equa distribuzione delle funzioni e dei ruoli affettivi materno,
paterno e del bambino”. Ma nella famiglia in cui vi sia un figlio con problemi legati alla
tossicodipendenza tali ruoli e funzioni non sono distribuiti equamente. Inoltre altri studi
hanno evidenziato una sovversione delle gerarchie tradizionali23 indebolite da coalizioni
tra membri di diverse generazioni24, ad esempio figlio-madre-nonna, che ostacolano
l’alleanza coniugale. Harbin e Maziar25, inoltre, hanno riscontrato che il padre del
tossicomane viene spesso descritto come una figura assente e distante emotivamente dal
figlio, e che questo fenomeno non è necessariamente determinato da una latitanza della
figura paterna, ma da un accorpamento dei valori paterni a quelli materni; tutto ciò
avviene a fronte di una madre iper-coinvolta e indulgente, a tratti simbiotica26. La
relazione genitoriale influisce notevolmente sulla genesi della tossicodipendenza: alcuni
studi sulla qualità del rapporto genitori-figli in relazione all’uso di droga27 hanno messo
in evidenza come il ruolo paterno sembri essere determinante per impedire il
coinvolgimento dei figli nella tossicodipendenza, mentre sembrano più esposti al rischio
i giovani che si sentono investiti da sentimenti di sfiducia da parte della madre.
In definitiva, la componente di abbandono affettivo, sperimentata dal soggetto
all’interno del percorso relazionale familiare in cui la distribuzione dei ruoli e dei
compiti affettivi si realizza in modo incompiuto28, risulta essere la caratteristica che
meglio qualifica la tossicodipendenza.
22 Scabini E., “Psicologia sociale della famiglia”, Bollati Boringhieri, Torino, 1995. 23 Madanes, C., Dukes, J., Harbin, H., “Family ties of heroin addicts”, Arch. Gen. Psichiatry, n. 37,
pp. 889-894, 1989. 24 Haley, J., “Il distacco dalla famiglia”, Tr.it. Astrolabio, Roma, 1983. 25 Harbin, H. T., Maziar, H. M., “The family of drugs abusers: a literature review”. Family Process,
14, pp. 411-431, 1975. 26 Kaufman, E., Kaufman, P., “Falily Therapy of drug and Alcohol abuse”, Gardner Press, New
York, 1979. 27 Coombs, R. H., Ladsverk, J., “Parenting styles and substance use during childhood and
adolescence”, Journal of Marriage and Family, n. 50, pp. 473-482, 1998. 28 Cambiaso, G., Berrini, R., “La terapia della famiglia in crisi. La famiglia del tossicodipendente”,
Franco Angeli, Milano, 1992.
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L’approccio biopsicosociale
A partire dagli anni ’80 venne proposto il Modello Bio-psico-sociale di Engel29.
Il modello bio-psico-sociale colloca la salute in una dimensione sistemica e
multilineare, e ritiene che il problema della tossicodipendenza sia comprensibile solo se
il terapeuta considera tutti i livelli di funzionamento del paziente: biologico, psicologico
e socio-relazionale. La caratteristica principale dell’intervento è la personalizzazione
della strategia terapeutica, ovvero un progetto terapeutico a rete, elaborato in seguito ad
una valutazione psicologica e medica complessiva adeguata alla patogenesi
multifattoriale. Il problema della tossicodipendenza analizzato in ottica biopsicosociale
ritiene la persona tossicodipendente un agente in grado di compiere scelte libere e
responsabili, capace di essere un soggetto attivo e co-costruire, con l’aiuto della rete di
operatori, il suo percorso verso il raggiungimento di un maggiore benessere e
l’acquisizione di risorse utili, in un’ottica di empowerment.
1.5. L’evoluzione del fenomeno della tossicodipendenza
1.5.1 La situazione italiana
Magni30 propone una classificazione tipologica rispetto alla quale analizzare le diverse
fasi che hanno caratterizzato nel tempo la diffusione della droga nel nostro Paese:
- I Fase (1900-1950) è dissolutiva (dall’atto del dissolvere, sciogliere,
distruggere): è caratterizzata dall’abuso dell'oppio e dei suoi derivati.
- II Fase (1950-1960) è transitiva (da “transito”): in questo periodo inizia la
diffusione massificata della droga; In Italia l’uso di droghe è un fenomeno
ancora contenuto, che riguarda gruppi ristretti di adulti e che non richiede un
intervento mirato e di largo respiro.
- III Fase (1960-1970) è trasgressiva: le droghe predominanti sono la
cannabis con i suoi derivati e l’LSD, una tra le più potenti sostanze
psichedeliche conosciute. Nasce in questo periodo grazie a Timoty Leary il
“movimento psichedelico”, che sponsorizza l’uso di LSD come strumento di
29 Engel, G. L., “The need for a new medical modl, a challenge for biomedicine”, Science, 196,
1977. 30 Magni, E., “Parlo con te: ragazzi, genitori, insegnanti”, Sapere edizioni, Padova, 2010.
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socializzazione e di aggregazione giovanile. La fase trasgressiva sul piano
del comportamento si manifesta attraverso il bisogno di trasgredire i limiti
posti dalle norme sociali; è un periodo caratterizzato da movimenti giovanili
e da contestazioni sociali. In Italia in questo periodo scatta l’allarme sociale
e l’attenzione dei mass media si rivolge principalmente al rapporto l’uso di
droga e il mondo giovanile. L’esplosione del movimento del “’68” crea una
nuova “classe”: quella dei giovani ribelli o hippy, tra i quali aumenta l’uso
di droghe leggere.
- IV Fase (1970-1980) è depressogena: vede prevalere la diffusione
dell'eroina. Il periodo è definito “depressogeno” per via dello stato
psicologico contraddistinto da sfiducia e depressione accompagnate da ansia
che corrisponde all’uso dell’eroina. In Italia la malavita inizia a sfruttare e
sollecitare la domanda di droga, che viene offerta a prezzi bassi, sia a chi ha
già una dipendenza, sia ai consumatori occasionali considerati nuovi
potenziali clienti. L’ideologia legata all’eroina ha, però una durata breve:
l’immagine del giovane “junkie” (dall’inglese: scarto, rifiuto), incompreso,
che tira avanti a modo suo e si scontra con una società oppressiva perde
tutto il suo richiamo, l’uso dell’eroina ha perduto il suo status trasgressivo.
- V Fase (1980-1990) è eccitatoria: si caratterizza per la diffusione di
anfetamine e dei rispettivi derivati. L’uso di droga si diffonde a tutte le
classi sociali e l’età media della prima assunzione si abbassa notevolmente.
Si assiste inoltre ad una diffusione massiccia della cocaina, che incarna
meglio lo spirito dei tempi, acquista un’immagine vitale e positiva, centrata
sull’idea che ad essa ricorrono personalità forti, intraprendenti, ambiziose e
desiderose di incrementare le proprie risorse personali.
- VI Fase (1990-2000) è intimistica: si caratterizza per l'apparire sul mercato
degli allucinogeni e delle droghe sintetiche prodotte nei laboratori del nord
Europa e nei paesi dell’Est. La fase intimistica connota un modo di essere
nel rapportarsi a sé e agli altri. L'assuntore è più nascosto, difende la
segretezza del suo agire nei riguardi degli altri, è un individuo non ben
inserito nella società e le cui relazioni sono scarse e insoddisfacenti, che
teme il giudizio altrui, e che con l’assunzione di queste droghe riesce a
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rispondere alle richieste della società di successo, iperattività ed entusiasmo.
- VII (2000-2010) è ricreativa: si caratterizza per l'uso delle sostanze in
funzione del bisogno individuale e situazionale. Così, l’ecstasy è assunta
quando c'è la necessità di presentarsi in maniera positiva in discoteca; lo
spinello è funzionale a stare nel gruppo; la chetamina è assunta per
sopportare le fatiche; la cocaina per essere prestante e nell'affrontare la
fatica e lo stress.
I dati riportati dalla Relazione annuale del Dipartimento per le Politiche Antidroga
(DPA) al Parlamento sull’uso di sostanze stupefacenti e sullo stato delle
tossicodipendenze in Italia un quadro di netto miglioramento in questi ultimi anni
rispetto ai rilevamenti del 2008.
I consumatori stimati – sia occasionali che dipendenti – sono stati stimati in un numero
pari a 2.924.500, ovvero il 25.7% in meno rispetto ai dati del 2008. Su un campione di
12.323 soggetti di età compresa fra i 15 e i 64 anni, le percentuali di persone che hanno
dichiarato di aver usato almeno una volta nella vita stupefacenti sono state
rispettivamente: 1.29% per l’eroina; 4.8% per la cocaina; 22.4% per la cannabis; 2.8%
per stimolanti, amfetamine ed ecstasy; 1.9% per gli allucinogeni (contro l’1.6%; 7%;
32%; 3,8% e 3.5% rispetto alle stesse droghe nel 2008).
Negli studi criminologici di Ponti31 il rapporto fra droga e criminalità agita è analizzato
su quattro livelli di correlazione:
- Criminalità diretta: commissione di reati in virtù dell’effetto di una droga. E’
possibile che in alcuni casi l’effetto specifico della sostanza assunta possa
favorire, talvolta addirittura provocare, comportamenti criminali. Ci si
riferisce a droghe in grado di provocare un aumento sensibile
dell’aggressività, una perdita di auto-controllo ed una diminuzione delle
inibizioni.
- Criminalità da sindrome da carenza: è indissolubilmente legata allo stato
psicofisiologico dell’astinenza. L’individuo tossicodipendente cioè si trova
nella situazione di impellente necessità di assumere la sostanza, e dunque di
procurarsi il denaro necessario per comprarla. In questo stato di urgente ed
31 Ponti, G., “Compendio di criminologia”, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1999.
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ineliminabile bisogno, i reati più frequentemente commessi sono rapine,
furti, aggressioni.
- Criminalità indiretta: i soggetti eroinomani, pur non in una condizione di
astinenza, sono spinti, a causa della loro condizione e dell’interazione con la
sostanza, a preoccuparsi continuamente di procurarsi il denaro necessario
per l’acquisto della droga.
- Criminalità da ambiente: si riferisce alla correlazione ambientale esistente
tra droga e criminalità. Lo sguardo secondo quest’ottica si sposta su quelle
particolari aree urbane, presenti in larga misura sul nostro territorio, dove il
consumo di sostanze stupefacenti è più intenso, su quegli specifici ambienti
sociali in cui maggiormente confluiscono le persone tossicodipendenti e in
cui l’aspetto della criminalità è generalmente un elemento strutturale
dell’ambiente circostante.
E’ interessante sottolineare come la tossicodipendenza sia universalmente considerata
dalla comunità scientifica come una “malattia cronica recidivante”, e pertanto il
tossicodipendente autore di reato, oltre ad essere punito, dovrebbe anche essere inserito
in un programma atto alla cura ed al recupero, prevedendo forme di pena alternative al
carcere, che viene sostituito con un programma terapeutico in comunità o sul territorio.
Inoltre, per condanne fino ai sei anni i tossicodipendenti autori di reato possono
beneficiare di una serie di proposte terapeutiche, fra le quali l’inserimento in comunità e
l’affidamento ai Servizi Territoriali. Nonostante le numerose strategie messe in atto per
gestire la cura e la riabilitazione dei soggetti tossicodipendenti che commettono reato, la
quantità delle persone sottoposte a processo è così elevata rispetto alle risorse
disponibili che i tossicodipendenti non solo vengono condotti in carcere, ma all’interno
del carcere sono fra i detenuti più numerosi. Il tasso di recidiva per questi soggetti è
particolarmente elevato, superiore a quello dei detenuti cosiddetti “comuni”.
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Fonte: Elaborazione del Centro Studi di Ristretti Orizzonti su dati del Ministero della Giustizia.
Fonte: Elaborazione del Centro Studi di Ristretti Orizzonti su dati del Ministero della Giustizia.
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Fonte: Elaborazione del Centro Studi di Ristretti Orizzonti su dati del Ministero della Giustizia.
Fonte: Elaborazione del Centro Studi di Ristretti Orizzonti su dati del Ministero della Giustizia.
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1.5.2 La situazione spagnola
Il consumo di droghe in Spagna è il più alto rispetto alle altre parti d’Europa, e, insieme
ai Paesi Baschi, è il principale Paese in Europa che permette l’ingresso della canapa
indiana. Inoltre, la Spagna ha il numero più alto numero di persone con HIV in Europa a
causa dell’abuso di droghe per via endovenosa.32 L’uso di droga e il possesso per uso
personale non costituiscono un reato per la legge spagnola: solo il consumo pubblico è
penalizzato, ma con multe amministrative, dunque una pena molto lieve. Come per i
Paesi Bassi, la Spagna tratta il consumo di droga come un problema di salute, e le leggi
contro il traffico di droga sono tra le più severe in Europa. Per quanto riguarda l’uso di
cocaina, la tendenza generale a livello europeo sembrerebbe in aumento, soprattutto per
Regno Unito e Spagna, dove è proprio la cocaina la droga più popolare. Secondo recenti
indagini nazionali, una percentuale della popolazione adulta (15-64 anni) compresa tra
lo 0,5 % e il 6 % riferisce di aver provato la cocaina almeno una volta (prevalenza una
tantum); in Spagna e nel Regno Unito i dati più recenti sulla prevalenza superano il
2%.33
1.6 Punizione o cura?
Nel dibattito che è avvenuto nel corso degli anni in merito alla concezione della pena e
alla sua utilità per il condannato e per la società, c’è chi sostiene la necessità della
punizione in senso materiale e del punire come privato boni, privazione o diminuzione
dei beni giuridici, di cui il condannato abbia una chiara percezione e che gli causi
sofferenza. D'altra parte, in contrapposizione a questa visione piuttosto estremista,
Beccaria in “Dei delitti e delle pene” (1764) afferma che la pena, piuttosto che essere
punitiva, debba possedere carattere preventivo di protezione sociale e debba essere
proporzionata all’azione delittuosa. Questa concezione, propria del pensiero illuminista
che all’epoca di Beccaria era la corrente filosofica portante, condusse però ad un
eccesso di garantismo che indusse molti a prendere le distanze da queste posizioni e a
32 Delegaciòn del Gobierno para el plan nacionales sobre drogas, “Encuesta sobre salud y consumo
de drogas a los internados en instituciones penitenciarias”, ESDIP, 2006. 33 Rossi, R., Mortali, C., Spoletini, R., Mattioli, D., Zuccaro, P. “Cocaina: l’andamento del
fenomeno nei rapporti ufficiali, Dipartimento del Farmaco – ISS, 2005.
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far propri i principi di un’altra scuola di pensiero che prendeva piede, la scuola classica
di diritto penale (Carrara, 1882). Essa, pur mantenendo saldi i principi di umanità e di
legalità delle pene, si ispirava a criteri scientifici attraverso i quali costruire un sistema
fondato su un’ottica razionale, e fondamentalmente impermeabile alle stimolazioni
provenienti dal mondo esterno. Si giunse con il trascorrere del tempo ad una condizione
di negazione dei diritti dell’uomo detenuto, attraverso l’imposizione di un ferreo rigore
disciplinare, di un clima repressivo e di condizioni di sofferenza e svantaggio personale,
considerati quali strumenti di espiazione. L’esigenza cui si cercava di rispondere era
quella di isolare il reo dal contesto sociale, e utilizzare la privazione della libertà come
mezzo privilegiato per dissuadere dalla violazione del diritto.
Con l’affermarsi della scuola positiva si giunge poi all’osservazione dell’individuo che
ha commesso il reato, e al giudizio sulla sua personalità, che si sostituisce alla
teorizzazione della norma applicata attraverso la pena. Secondo quest’approccio,
denominato positivismo criminologico, l’uomo non è guidato totalmente dal libero
arbitrio, ma vi è una compresenza di fattori interni ed esterni al Sé che determinano il
comportamento, anche quello criminale. Questo cambio di prospettiva consente alle
discipline ausiliari del diritto di entrare a far parte del sapere considerato necessario per
comprendere la criminalità: è in questo contesto che la psicologia, la psichiatria, la
biologia iniziano ad occuparsi del contesto giudiziario, tramite la progettazione di
interventi di tipo preventivo: la pena così non ha più carattere esclusivamente punitivo,
ma deve mirare anche al recupero della persona. Gli sviluppi del dibattito hanno portato
all’esigenza, sempre più incisiva, di intendere la pena nella sua accezione di cura e
riabilitazione, ed oggi si esplica tenendo conto delle finalità rieducative e riabilitative.
Fondamentale, rispetto a quest’ultimo aspetto, risulta essere, come afferma De Leo34:
“… il lavoro sulla personalità del reo, sulle condizioni psicologiche, familiari e sociali.
[…]. Funzionale al cambiamento non è quindi la pena in sé, ma la progettazione e la
realizzazione di un programma di osservazione e trattamento individualizzato, che miri
a modificare in senso sociale e positivo gli orientamenti comportamentali di tipo
deviante, attraverso l’offerta di sostegno psicosociale e risorse di cambiamento”.
Il compito dell’intervento dunque è quello di assicurare l’effettiva realizzazione
34 De Leo, G., “Psicologia della responsabilità”, Laterza, Bari, 1996.
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dell'attività riabilitative accanto alla promozione del reinserimento sociale.
Negli ultimi anni, inoltre, si sta affermando una nuova concezione di un modello di
giustizia, quella “ripartiva”, nel quale si aspira ad un’idea di sanzione in cui trovi posto
una risposta di mediazione dei conflitti da parte della società davanti al reato.
Si parte dall’assunzione di responsabilità del reo rispetto all’azione commessa, e da qui
ci si muove nella direzione di una “restituzione” rivolta direttamente alla vittima del
reato, e in senso più ampio alla società nel suo insieme. Viene in questo modo
privilegiata l’interazione autore di reato-vittima, ma anche il rapporto tra la norma e la
risposta sociale connessa alla conseguenze materiali e simboliche dell’azione
commessa. La direzione verso cui una tale prospettiva tende è quella della mediazione
sociale dei conflitti, della negoziazione tra le parti, finalizzata al mutamento di
prospettiva di ciascuna parte nei confronti dell’altra: modificare il modo reciproco di
percepirsi, e rapportarsi, porta infatti ad una maggiore consapevolezza della realtà
dall’Altro, e costituisce un importante punto di partenza verso l’assimilazione di una
nuova modalità di gestione dell’azione reato e delle sue conseguenze. Un modello di
giustizia riparativa sembra comprendere e contenere nelle sue declinazioni le esigenze
di riabilitazione individuale insieme a quelle di sicurezza sociale.
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2. LEGISLAZIONE E SISTEMI PENITENZIARI
IN ITALIA E SPAGNA
2.1 La legislazione spagnola sul trattamento penitenziario “Le pene privative della libertà e le misure di sicurezza sono orientate alla rieducazione
e al reinserimento sociale e non possono consistere in lavori forzati. Il condannato che
stesse compiendo la pena in carcere godrà dei diritti fondamentali espressi nella
Costituzione Spagnola35, a eccezione di quelli che si vedono limitati a causa della
condanna, il senso della pena e la legge penitenziaria. In ogni caso, avrà diritto a un
lavoro remunerato e ai benefici corrispondenti della Sicurezza Sociale36 così come
all’accesso alla cultura e allo sviluppo integrale della sua personalità” (La Constituciòn
Española Art. 25.2).
La finalità fondamentale che la legislazione attribuisce attualmente alle pene e alle
misure di privazione della libertà è la “prevenzione speciale”, intesa come rieducazione
e reinserimento sociale dei condannati.37 che differisce dalla “prevenzione generale”, la
quale consiste semplicemente in una minaccia che serve a distogliere dal compiere atti
socialmente dannosi.
“Nel difendere, in primo luogo, la finalità socializzatrice della pena, la Legge pretende
comunicare il concetto che il condannato non è un essere umano eliminato dalla società,
ma piuttosto una persona che continua a far parte della stessa, anche come membro
attivo, nonostante sottomesso ad un regime di sicurezza particolare causato dal
comportamento antisociale anteriore, e in cammino verso il ritorno alla vita libera.”4
35 nella sezione I “De los derechos y deberes fundamentales” della Constituciòn Española. 36 Si riferisce ad un’entità istituzionale che amministra il benessere sociale relazionato alla
protezioni sociale o copertura delle problematiche socialmente riconosciute, come la salute, la povertà, la vecchiaia, gli handicap, l’alloggio, la disoccupazione, famiglie con bambini, famiglie numerose in situazioni di rischio, etc.
37 Secondo la teoria della prevenzione speciale, la pena tende ad impedire che colui che si è reso responsabile di un reato torni a delinquere anche in futuro. Questo effetto positivo può essere conseguito in tre modi diversi: a) attraverso l'emenda del reo, la sua rieducazione o risocializzazione; b) l'intimidazione e cioè l'efficacia dissuasiva della condanna e dalla sua esecuzione; c) la neutralizzazione qualora si tratti di pena detentiva consistente nella segregazione del reo che gli impedisce di commettere altri reati.
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Mercedes Gallizo Lamas, membro della Segreteria Generale delle Istituzioni
Penitenziarie5 (Organo istituzionale che svolge funzione di direzione, coordinazione e supervisione
delle istituzioni penitenziarie), ritiene che le prigioni non possano essere solamente ed
esclusivamente spazi di reclusione. Per questo, il sistema penitenziario spagnolo è
orientato al reinserimento e al rispetto delle persone private della libertà.
La delinquenza, in quest'ottica, proviene dalla volontà di qualcuno di violare le norme
sociali: né problemi di salute, né tossicodipendenze, né difficoltà economiche e tanto
meno concezioni religiose o politiche possono giustificare illegalità, ingiustizie o
crimini, ma è altresì necessario porre l’accento sul fatto che nelle prigioni, in Spagna e
anche nell’insieme dei Paesi europei, un’alta percentuale di prigionieri soffre di disturbi
mentali che non hanno acquisito in carcere, soffrono di dipendenza da droghe e
presentano un basso livello educativo, con antecedenti di fallimento scolastico; la
maggior parte non ha mai avuto un lavoro stabile e molti hanno subito abusi,
maltrattamenti e abbandoni durante l’infanzia. In sintesi, nel carcere si concentra il
risultato di molti fallimenti della società.
E' possibile dedurre che il compito principale che si prefigge l’istituzione penitenziaria,
allo stesso livello della sicurezza e la garanzia di custodia degli internati e del
compimento delle pene alle quali furono condannati, deve essere la loro riabilitazione
attraverso l’educazione, il lavoro e il trattamento dei problemi di salute fisici e mentali.
Il sistema penitenziario spagnolo ha sperimentato nelle ultime decine d’anni un cambio
radicale di orientamento e concezione, parallelo all’evoluzione della società spagnola. Il
grande avvenimento che ha segnato questa trasformazione è stato l’approvazione della
Costituzione Spagnola del 1978, che da allora ha ispirato profondi cambiamenti tanto
nella legislazione penale come nel trattamento dei prigionieri e nelle condizioni delle
prigioni. Fu necessario uno sforzo considerevole per mitigare le deficienze endemiche
del sistema, dotarlo di nuove installazioni, migliorare quelle che erano già in uso e
riorganizzare le attività per una maggiore efficienza delle risorse umane.38
L’attuale sistema penitenziario spagnolo si fonda su tre leggi basiche:
- La Consitución Española (del 1978).
- La Ley Organica Penitenciaria (del 1979).
- Il Reglamento Penitenciario (del 1996, che sostituisce il precedente del 1981).
38 Secretaría General de Instituciones Penitenciarias, “El sistema penitenziario español”.
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Il loro fine primordiale è da una parte quello di punire, con la limitazione della libertà,
chi viola il Codice Penale; mentre dall’altra quella di lavorare sulla persona, sulle sue
predisposizioni affinché nella vita in libertà, non incorra più nel commettere delitti.
2.1.1 La Constitución Española
Come nella dichiarazione dei diritti dell’uomo39, anche qui viene posto in risalto il
principio di uguaglianza di qualsiasi cittadino di fronte alla legge. Vengono inoltre
stabiliti i diritti fondamentali del recluso e di qualsiasi persona che sia in procinto di
dover affrontare una condanna; diritti a cui, appunto, devono scrupolosamente attenersi
le amministrazioni penitenziarie.
Artículo 14. Principio di Uguaglianza
“Gli spagnoli sono uguali davanti alla legge, senza che prevalga alcuna discriminazione
per nessuna ragione legata a nascita, razza, sesso, religione, opinione o qualsiasi altra
condizione o circostanza personale o sociale”.
Artículo 25.2 Sanzioni, condanne e pene privative della libertà
“Le pene privative della libertà e le misure di sicurezza sono orientate alla rieducazione
e al reinserimento sociale e non potranno consistere in lavori forzati. Il condannato alla
pena in prigione che stesse compiendo la stessa godrà dei diritti fondamentali a
eccezione di quelli espressamente limitati per il contenuto della condanna, il senso della
pena e la Legge Penitenziaria. In tutti i casi, avrà diritto ad un lavoro remunerato e ai
benefici della Sicurezza Sociale, così come all'accesso alla cultura e allo sviluppo della
sua personalità”.
39 Documento che, a livello internazionale può essere considerato come base e fondamento verso
qualsiasi regolamentazione basica dei diritti umani, ma, poiché è una dichiarazione e non una legge, giuridicamente non è vincolante per gli Stati membri.
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2.1.2 Ley Organica General Penitenciaria (LOGP)
La Legge Organica Generale Penitenziaria (LOGP) è stata approvata nel Settembre
1979; gli aspetti40 che si possono mettere in evidenza della suddetta legge sono tre:
• Il contenuto del titolo preliminare, dove, in carattere generale, si trovano i principi che
devono informare e orientare il sistema penitenziario spagnolo: la risocializzazione, la
legalità, la non discriminazione, la presunzione di innocenza e il divieto di eccessi.
E' qui che vengono riconosciuti espressamente i diritti dei detenuti.
• La considerazione del trattamento penitenziario come strumento capace di ottenere il
fine ultimo delle pene e delle misure privative di libertà: la risocializzazione del
condannato, sulla base della conoscenza della sua personalità e inclinazioni personali.
• La presenza del “Giudice di Vigilanza Penitenziaria” come organo istituzionale
incardinato nella giurisdizione penale, garante dell’esecuzione penale e dei diritti e
benefici dei detenuti, controllando l’attività penitenziaria e il compimento di questi fini.
I principi, invece, che ispirano la LOGP sono:
• La finalità delle pene e delle misure privative di libertà è la rieducazione e la
reintegrazione sociale dell’accusato, in consonanza con l’articolo 25.2 della costituzione
spagnola.
• L’attività penitenziaria si deve sviluppare rispettando il principio di legalità durante
l’esecuzione della pena; l’umanità degli interni non deve essere intaccata dalla
condanna. D’altra parte anche per i detenuti ci sono una serie di doveri da rispettare.
• La classificazione e la separazione dei detenuti avverrà secondo il regime previsto (I
grado, II grado e III grado) e le caratteristiche biologiche del detenuto.
• L’incoraggiamento alla partecipazione da parte degli interni alle attività di ordine
educativo, ricreativo, religioso, sportivo, trattamentali proposte dal centro penitenziario.
• La considerazione del lavoro come un diritto e un dovere dell’interno e sarà regolato
secondo il principio di equiparazione al lavoro libero in quanto a remunerazione, 40 Rodriguez Alonso, Antonio “Lecciones de derecho penitenziario” Editorial Comares, 2003.
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giornata, sicurezza sociale, etc.
• L’assistenza sanitaria a carico dei medici e specialisti per curare la salute fisica e
mentale degli interni e vigilare sulle condizioni di salubrità dello stabilimento, mettendo
anche gli interni in condizione di essere assistiti in centri ospedalieri extra-penitenziari.
• Il regime disciplinare è diretto a garantire la sicurezza e ha come obiettivo una
convivenza ordinata.
• Regolazione dei permessi di uscita, sia degli straordinari, sia degli ordinari.
• Riconoscimento del trattamento come attività penitenziaria diretta alla rieducazione e
reinserzione sociale degli accusati.
• Regolazione dell’assistenza sociale ai detenuti, ai familiari e agli ex-detenuti.
Articolo n.26
“Il lavoro sarà considerata un diritto e un dovere del prigioniero, essendo un elemento
fondamentale del trattamento. Le loro condizioni sono:
a. Non ci sarà una natura afflittiva, non verrà applicato come una correzione.
b. Non entrerà in conflitto con la dignità del detenuto.
c. Sarà di carattere formativo, creativo o conservatore di abitudini lavorative,
produttive o di trattamento.
d. Si organizzerà e si pianificherà, tenendo conto delle competenze e delle
qualifiche professionali, in modo da soddisfare le aspirazioni di carriera dei
detenuti in quanto compatibili con l' organizzazione e la sicurezza della struttura.
e. Il tutto sarà facilitato dall'Amministrazione Penitenziaria.
f. Godranno della protezione accordata dalla legislazione vigente in materia di
sicurezza sociale.
d. Non sarà subordinato al raggiungimento di interessi da parte
dell’Amministrazione Penitenziaria.”
Articolo n.55
a. “In ogni struttura vi sarà una scuola dove si svilupperà l'istruzione dei
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detenuti, e soprattutto degli analfabeti e dei giovani.
b. Le materie insegnate nelle istituzioni devono essere conformi, per quanto
possibile, alla normativa vigente in materia di istruzione e formazione.
c. L'amministrazione penitenziaria deve promuovere l'interesse dei detenuti per
lo studio e offrire le condizioni migliori per coloro che non possono seguire
corsi all'estero affinché lo facciano per corrispondenza, radio o televisione.”
2.1.3 “El Reglamento penitenciario”
Il “Reglamento Penitenciario” (Regolamento Penitenziario), approvato per Decreto
Reale 190/1996, è parte integrante della Legge Organica Penitenziaria, come
regolazione concreta dei problemi penitenziari derivanti sia dai cambi interni alla
società, sia dai cambi strutturali dei centri penitenziari.
È nell’aspetto dell’esecuzione del trattamento, che si trova il potenziale più innovativo
affinché l’Amministrazione Penitenziaria possa migliorare il compimento della
missione di preparazione dei prigionieri per la vita in libertà, il cui conseguimento esige
di ampliare l’offerta di attività e di programmi specifici per i prigionieri, potenziando le
prestazioni ed evitando che la loro permanenza nei centri penitenziari costituisca un
tempo perso e inattivo.
Riguardo alla tematica del trattamento, il nuovo Regolamento Penitenziario opta per una
concezione ampia che non solo includa attività terapeutico-assistenziali, ma anche
attività formative, educative, lavorative, socioculturali, ricreative e sportive, concependo
il reinserimento sociale del prigioniero come un processo di formazione integrale della
sua personalità, dotandola di strumenti efficienti per la sua propria emancipazione.
Il regolamento penitenziario del 1996 è innovativo rispetto all’antecedente (1981) per i
seguenti motivi41:
• L’approfondimento del principio di individualizzazione scientifica nell’esecuzione del
trattamento. Per questo motivo viene stabilita una nuova regolamentazione di uscite
41 Ibidem.
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programmate e di programmi di attuazione specializzata per fornire i mezzi necessari
per adattare il trattamento penitenziario alle necessità individuali di ogni interno.
• Il potenziamento e la diversificazione dell’offerta di attività come strumenti di
esecuzione del trattamento che permettano di rendere dinamica la vita dei centri
penitenziari fino a configurarli come un autentico servizio pubblico diretto alla
risocializzazione dei reclusi.
• La ridefinizione del regime chiuso, stabilendo due modalità di vita: i dipartimenti
speciali di controllo diretto per interni estremamente pericolosi e moduli o centri di
regime chiuso per reclusi manifestamente inadatti ai regimi comuni.
• Un’ampia regolamentazione dei diritti e dei doveri degli interni e dell’accesso a questi
alle prestazioni dell’Amministrazione Penitenziaria.
• Il riordinamento dell’assistenza sanitaria mediante l’articolazione di convegni di
collaborazione tra le istituzioni penitenziarie e le amministrazioni penitenziarie.
Il fine principale del sistema penitenziario spagnolo, in definitiva, viene sottolineato nel
seguente articolo:
Artículo 2. I fini dell’attività penitenziaria.
“L’attività penitenziaria ha come fine primordiale la rieducazione e la reintegrazione
sociale dei sentenziati a pene e misure di sicurezza preventiva di libertà, così come la
ritenzione e custodia dei detenuti, condannati e preventivi, e l’assistenza sociale degli
internati, di coloro in libertà e dei loro familiari”.42
2.2 La Legislazione italiana sul trattamento penitenziario, con
particolare accezione ai detenuti tossicodipendenti
L’ampia diffusione degli stupefacenti, a partire dalla fine degli anni Settanta ha destato
un notevole allarme sociale, dovuto sia alla presa di coscienza degli effetti altamente
nocivi derivanti dall’uso di tali sostanze, sia alla constatazione del nesso causale
intercorrente tra droga e criminalità.
42 Consultato presso http://noticias.juridicas.com/base_datos/Penal/rd190-1996.t1.html#a2.
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“La percezione sociale del fenomeno della tossicodipendenza è stata, nel corso degli
anni, tutt’altro che univoca. Si è passati, infatti, da una diagnosi della tossicodipendenza
che, partendo da fattori patogenetici, giungeva a forme di prevenzione basate sulla paura
e su indebiti allarmismi per concludersi, alla fine, con metodi terapeutici che
privilegiavano la risocializzazione coatta, il carcere, il reparto psichiatrico e la cura
farmacologia, ad una concezione che considera la tossicodipendenza come
conseguenza, da un lato, dell’esistenza e delle pressioni del mercato, dall’altro, della
condizione di crisi culturale, di conflitto sociale ed economico, di anomia diffusa che è
propria, in diversa misura, di tutte le società industriali contemporanee. Le diverse
percezioni del fenomeno non potevano non influire anche sull’aspetto normativo della
questione droga.”43
L’evoluzione della legislazione in materia di stupefacenti è partita dai problemi sollevati
dal consumo, dall’abuso, dal traffico e dai meccanismi di mercato delle varie droghe
illegali, per giungere, sulla spinta di mutamenti della concezione sociale della
tossicodipendenza, a porre sempre più l’attenzione anche sulla condizione sociale e
sanitaria del tossicomane e, conseguentemente, sull’aspetto della cura e dell’assistenza
del medesimo.
Ma nel momento in cui si pone l’attenzione - nell’ambito di una politica generale di
contrasto del fenomeno - sugli aspetti terapeutici, si deve tener conto del fatto che la
stretta connessione tra droga e criminalità ha come effetto naturale l’ingresso nel
circuito penitenziario di un ingente numero di tossicodipendenti. Sorge, pertanto,
l’esigenza di assicurare a tali soggetti un intervento terapeutico e socio-riabilitativo
anche all’interno del carcere, di modo che la detenzione possa costituire non un
momento esclusivamente afflittivo, ma l’occasione per stimolare nell’individuo un
processo di cambiamento che lo conduca all’abbandono dello stile di vita e degli
atteggiamenti connessi alla tossicodipendenza. Ciò è stabilito anche dall’art. 27 della
Costituzione, in cui si afferma che le pene “devono tendere alla rieducazione del
condannato” e dalle “Regole minime per il trattamento dei detenuti” (Ginevra, 1955).
Con la legge 22 dicembre 1975, n. 685 si è prestata per la prima volta attenzione anche
all’aspetto terapeutico e riabilitativo della tossicomania, attribuendo competenze
specifiche al Ministero della Sanità ed agli organi regionali e locali nella 43 Morrone, A., “Il trattamento penitenziario e le alternative alla detenzione”, Cedam, 2003.
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consapevolezza che il fenomeno della diffusione e dell’uso degli stupefacenti
richiedesse un impegno sociale, culturale e giuridico.
Con la legge 26 giugno 1990, n. 162 - confluita nel Testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 - è stata rivolta
particolare attenzione al trattamento terapeutico e riabilitativo del tossicodipendente.
2.2.1 Legge di riforma penitenziaria del 1975 e succ. modifiche
Dal punto di vista scientifico e culturale la visione del problema della tossicodipendenza
ancorata negli anni ’70 ad un modello medico farmacologico, ha ceduto gradualmente il
passo ad un modello conoscitivo di tipo socio-psicologico.
Il legislatore, in questo caso, si è preoccupato di garantire un trattamento terapeutico al
tossicodipendente a prescindere dall’eventuale consenso di quest’ultimo, non effet-
tuando alcuna riflessione in merito all’effettiva utilità di un trattamento coercitivo. In
particolare, verificata la sussistenza della causa di non punibilità prevista dall’articolo
80 (c.d. "modica quantità"), il soggetto detentore-consumatore non veniva colpito da
sanzione penale, ma poteva essere coattivamente sottoposto, mediante provvedimento
giurisdizionale, al ricovero ospedaliero oppure a cure ambulatoriali o domiciliari, con
esclusione dell’internamento in ospedale psichiatrico.
L’articolo 100 consentiva altresì al tribunale, previo accertamento delle condizioni della
persona segnalatagli, di disporre di un "trattamento necessario", indipendentemente dal
consenso dell’interessato. Il tossicodipendente veniva, pertanto, affidato ad un presidio
ospedaliero, ambulatoriale, medico e sociale, localizzato nella regione, per l’attuazione
del trattamento medico-assistenziale.
Le soluzioni legislative della legge 663/1986 (che ha modificato la precedente legge di
riforma del 1975) spingono in modo accentuato il trattamento del tossicodipendente
verso una politica di deistituzionalizzazione: la sanzione penale viene concepita con lo
scopo di stimolare il soggetto ad un aggancio extracarcerario con agenzie sociali di
recupero piuttosto che per un controllo intramurario.
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Strumento cardine di queste strategie di “decarcerizzazione” sono alcuni istituti previsti
dal legislatore:
- gli arresti domiciliari in alternativa alla custodia preventiva, per i tossico-
dipendenti che sono in terapia presso un luogo privato o pubblico di cura o di
assistenza (artt. 254 bis e ter);
- le misure alternative, e in particolare l’affidamento in prova al servizio sociale in
casi speciali, che permette al tossicodipendente condannato (entro i limiti di
pensa prevista di 3 anni e per qualsiasi reato), di evitare la detenzione, non
soltanto se al momento dell’ordine di carcerazione stia svolgendo un programma
terapeutico presso strutture esterne, ma anche se, essendo in stato di detenzione,
intenda sottoporsi ad esso.
2.2.2 La riforma dell'ordinamento penitenziario attuata con la legge 10
ottobre 1986, n. 663 (Legge Gozzini)
L'inversione di tendenza cominciata con il ridimensionamento delle carceri e delle
sezioni di massima sicurezza trovò seguito a livello legislativo con l'approvazione della
legge 10 ottobre 1986, n. 663, meglio nota come "legge Gozzini", la cui formulazione
risultò essere il frutto di più proposte di riforma dell'ordinamento penitenziario.
L'innovazione più importante della legge Gozzini risiede nel concetto di “Premialità”,
ovvero la possibilità per il condannato di ottenere, almeno in parte, le misure alternative
direttamente dallo stato di libertà con il preciso scopo di sottrarre il condannato dal
contatto con l'ambiente carcerario44. Trattasi delle misure alternative come l'affidamento
in prova, concesso nell'ipotesi che il condannato abbia goduto di un periodo di libertà
serbando un comportamento tale da consentire un giudizio positivo circa la capacità
della misura di contribuire alla rieducazione del reo e ad assicurare la prevenzione del
pericolo che egli commetta ulteriori reati; la detenzione domiciliare, che deve essere
eseguita nei confronti di persona che si trovi in stato di libertà o abbia trascorso la
custodia cautelare o la parte terminale di essa in regime di arresti domiciliari; la
44 Brunetti, C., Ziccone, M., “Manuale di diritto penitenziario”, La Tribuna, Piacenza, 2004, pag.
238.
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semilibertà, nell'ipotesi in cui il condannato alla pena dell'arresto o della reclusione non
superiore a sei mesi, cui non sia concesso l'affidamento in prova, abbia dimostrato la
propria volontà di reinserimento nella vita sociale. Nella dottrina penitenziaria e
criminologica è stato ipotizzato che fosse inutile e dannoso, per i soggetti autori di reati
di lieve entità o comunque meno gravi, scontare la pena in un carcere che avrebbe
favorito il contagio criminale producendo effetti dannosi sulla personalità di soggetti
che potevano essere meglio trattati fuori dalle mura di un istituto penitenziario.
La nuova legge tentò altresì di risolvere il problema legato all'utilizzo arbitrario ed
indiscriminato dell'art. 90 (che prevedeva la facoltà per il Ministro di Grazia e Giustizia
di sospendere, in tutto o in parte, l'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti
che potessero porsi in contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza), senza però
rinunciare alla predisposizione di strumenti di differenziazione trattamentale per motivi
di sicurezza. A questo scopo la legge Gozzini si indirizzò in una duplice direzione: da
un lato abrogò l'art. 90 e ne trasferì il contenuto, in parte rivisitandolo, nell'art. 41-bis
o.p.; dall'altro introdusse l'art. 14-bis relativo al regime di sorveglianza particolare che si
ispirava ad un modello di esecuzione fondata non sulla differenziazione degli istituti e
conseguentemente sulle assegnazioni e sui trasferimenti, bensì sull'adozione di un
regime esecutivo differenziato.
Modifiche che la Legge Gozzini ha apportato al vecchio ordinamento:
La sospensione delle ordinarie regole di trattamento per motivi di rivolta (art. 41-bis
comma 1 o.p.)
L'art. 10 della legge n. 663/86 introdusse una disposizione di nuovo conio, l'art. 41-bis
o.p. nominato "Situazioni di emergenza" e originariamente composto da un solo
comma. Il suo contenuto, seppur riformulato in termini più chiari e circoscritti, appariva
per molti aspetti simile all'abrogato art. 90 nominato a sua volta "Esigenze di sicurezza".
Esso, infatti, recitava:
"In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il Ministro di
Grazia e Giustizia ha facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso
l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La
sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza e
ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto".
La nuova disposizione mirava a chiarire, più di quanto facesse l'art. 90 o.p., quali
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fossero i presupposti che dovevano ricorrere affinché il Ministro di Grazia e Giustizia
potesse esercitare il suo potere di sospensione delle ordinarie regole trattamentali: essa
fa riferimento, infatti, a "casi eccezionali di rivolta o altre situazioni di emergenza
collettiva", circoscrivendo dunque l'ambito di operatività dello strumento alle sole
situazioni che si connotassero per l'eccezionale gravità.
La sorveglianza particolare (art. 14-bis della legge n. 354/75).
L'istituto della sorveglianza particolare disciplinato dagli artt. 14-bis, 14-ter e 14-quater
o.p., collocati nel capo III dedicato alle "modalità di trattamento", rappresentò forse
l'espressione più significativa della ratio garantista sottesa alla legge n. 663.
L'intenzione dichiarata del legislatore dell'86 è stata quella, da un lato, di superare il
concetto di carcere di massima sicurezza per realizzare, invece, una differenziazione di
regime applicata a singoli individui strettamente limitata alla necessità dell'ordine e
della sicurezza e rapportata a parametri oggettivi di comportamento; dall'altro si è inteso
sottrarre la materia alla totale discrezionalità dell'amministrazione penitenziaria fissando
termini di durata del regime particolare, definendo i contenuti delle restrizioni e i
comportamenti ritenuti pregiudizievoli per il regolare svolgersi della vita carceraria.
L'oggetto della valutazione non era la pericolosità sociale del reo, rilevante soprattutto
sul piano del diritto penale sostanziale, ma la pericolosità penitenziaria riferita al
comportamento di determinati soggetti e al rischio che questi lasciavano trasparire per
l'ordine e la sicurezza all'interno del carcere.
La sorveglianza particolare comportava "le restrizioni strettamente necessarie per il
mantenimento dell'ordine e della sicurezza, all'esercizio dei diritti dei detenuti e degli
internati e alle regole di trattamento previste dall'ordinamento penitenziario" (art. 14-
quater comma 1). La disciplina prevedeva una serie di garanzie a favore dei detenuti
introdotte col chiaro intento di evitare che prescrizioni impartite dall'autorità
amministrativa potessero incidere sulla detenzione in termini puramente afflittivi. La
novità più significativa in questo senso, riguardava la facoltà di proporre reclamo al
Tribunale di Sorveglianza contro il provvedimento applicativo del regime differenziato
(art. 14-ter o.p.).
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L’istituto dei “permessi premio”.
Passando all'esame delle specifiche disposizioni, l'art. 7, comma 1, della legge ha
previsto limiti più rigorosi per la concessione ai recidivi dei permessi premio, ossia
delle autorizzazioni concesse ai condannati, che hanno tenuto regolare condotta e non
risultano socialmente pericolosi, di trascorrere un breve periodo di tempo fuori
dall'istituto per coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro.
Il permesso premio nasce per dare attuazione al principio costituzionale dell'art. 27,
comma 3, della Costituzione perché essenzialmente funzionale alla rieducazione del
condannato; lo stesso ordinamento penitenziario inserisce l'esperienza dei permessi
premio tra gli elementi del trattamento ritenendola "parte integrante del programma di
trattamento e deve essere seguita dagli educatori ed assistenti sociali penitenziari in
collaborazione con gli operatori sociali del territorio".
Così concepito l'istituto si caratterizza essenzialmente per una duplice funzione: una
funzione preventiva, perché contribuisce al mantenimento degli interessi affettivi,
culturali e lavorativi del detenuto oltre a consentire di mettere alla prova il
comportamento del detenuto in libertà; una funzione “premiale” perchè stimola il
condannato ad un atteggiamento maggiormente aderente alle norme che regolano la vita
dell'istituto. Le finalità perseguite dall'istituto spiegano anche i requisiti oggettivi
richiesti per la sua concessione. Anzitutto è richiesto il requisito della regolare condotta
che è tale, ai sensi del comma 8 dell'art. 30-ter, quando l'interessato ha manifestato
costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle
attività organizzate negli istituti e nelle attività lavorative e culturali.
In secondo luogo, l'art. 30-ter richiede la mancanza di pericolosità sociale del soggetto
che si desume, secondo la consolidata interpretazione, da un giudizio sulla probabilità di
recidiva.
Verso la fine degli anni ottanta il clima generale attorno alle tematiche penitenziarie si
deteriorò rapidamente: le ragioni vanno individuate prevalentemente nell'opinione
diffusa in base alla quale il sistema delle pene risultante, da un lato, dall'introduzione dei
benefici penitenziari contenuti nella legge Gozzini e, dall'altro, dalle riduzioni di pena
consentite dai riti speciali introdotti nel nuovo Codice di Procedura Penale approvato
nel frattempo, aveva creato un divario troppo ampio tra l'entità della pena applicata e il
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quantum eseguito in concreto, a danno del principio di proporzionalità tra gravità della
violazione e afflizione della sanzione penale.
Inoltre, in quegli anni le attività delle organizzazioni mafiose vissero un periodo di
vertiginosa crescita: nel solo triennio 1989-1991 si registrarono 1.652 omicidi di mafia,
aumentò il volume d'affari che ruotava intorno al traffico di denaro e allo spaccio di
droga, e aumentarono le denunce per truffa ed estorsione45
Per far fronte a questa situazione di diffusa preoccupazione davanti all'espandersi del
fenomeno mafioso e a ciò che venne vissuto come un allentamento normativo sul piano
della prevenzione generale, lo Stato decise, a partire dagli anni '90 (anche con
l'introduzione del Testo Unico sugli stupefacenti, n. 309/90) di predisporre un'articolata
strategia di contrasto volta soprattutto a rafforzare i fronti normativi e istituzionali,
risultati fino a quel momento incapaci di contenere l'espandersi del fenomeno.
2.2.3 Legge 390/90: “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”
Questa normativa prevede un’eterogeneità di forme trattamentali mediante le quali
intervenire tendenzialmente su tutte le possibili dimensioni (fisiologiche, psicologiche,
sociali) del fenomeno, adattandosi al singolo individuo nella graduazione e nelle
modalità di intervento.
Al fine di assicurare la più completa attuazione degli interventi di assistenza socio-
sanitaria su tutto il territorio, la legislazione del 1990 ha previsto l’attribuzione di
competenze specifiche allo Stato, agli enti territoriali e ai cosiddetti enti ausiliari
(comuni, comunità montane, servizi pubblici per le tossicodipendenze presso le aziende
sanitarie locali).
L’amministrazione penitenziaria deve farsi carico, prima ancora di porre in essere gli
interventi trattamentali finalizzati al recupero del soggetto, di due problemi
fondamentali per la tutela del diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della
Costituzione: l’individuazione dello stato di tossicodipendenza e l’azione di controllo e
sostegno nel primo periodo della detenzione.
45 Minna, R., “Il controllo della criminalità”, La Nuova Italia, Firenze, pag. 143, 1999.
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In relazione al tossicodipendente la legge ha disciplinato in modo specifico le fasi
dell’assegnazione e del trattamento. Il legislatore, infatti, già dal 1975 ed ancor più nel
1990, ha preso atto della necessità di separare i tossicodipendenti dagli altri reclusi, in
primo luogo per sottrarre quest’ultimi dal pericolo della diffusione dell’uso della droga
e per sottrarre i primi, in quanto soggetti più fragili fisicamente e psicologicamente, al
pericolo di prepotenze, sopraffazioni, strumentalizzazioni, ricatti e violenze di ogni
genere da parte degli altri detenuti; in secondo luogo, per poter assicurare ai
tossicodipendenti un regime penitenziario nel quale gli aspetti trattamentali non siano
limitati dalle esigenze della sicurezza. La scelta operata dal legislatore, nella
consapevolezza del ruolo fondamentale che il trattamento terapeutico e socio-
riabilitativo riveste nel recupero del tossicomane, ha inteso creare all’interno del circuito
penitenziario - luogo nel quale la privazione della liberà personale, la rigidità delle
regole e la problematicità dei rapporti umani influiscono negativamente sulle condizioni
fisio-psichiche del tossicodipendente - un circuito differenziato in senso positivo, e cioè
come intenzione e possibilità di offrire a tali detenuti, in sezioni di istituti e in istituti
idonei, le cure mediche, l’assistenza, i programmi terapeutici e socio-riabilitativi che la
legge impone, il tutto in un contesto di “individualizzazione del trattamento”, nel senso
che il soggetto tossicodipendente in carcere presenta problemi diversi che richiedono
accertamenti particolari e interventi specifici, che non possono essere affrontati e risolti
solamente attraverso un’azione di mero sostegno psicologico e/o farmacologico.
Dunque, affinché il trattamento intramurario possa conseguire risultati apprezzabili,
tenendo conto della “poliedricità” del fenomeno, ad ogni tossicodipendente dovrebbe
essere assicurato un programma minimo che comprenda46:
- interventi di urgenza per il controllo dei comportamenti di dipendenza, per la
disintossicazione, per la cura degli aspetti fisici generali, etc.;
- un’informazione ampia, capillare e continuata nel tempo sui rischi connessi all’abuso
di droghe, anche con riferimento all’AIDS e ai comportamenti che ne facilitano il
contagio, mediante l’impiego di metodologie attive implicanti un coinvolgimento
partecipativo degli interessati;
- interventi psicologici di sostegno;
46 Morrone, A., “Il trattamento penitenziario e le alternative alla detenzione”, Cedam, 2003.
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- un aiuto pedagogico-sociale che serva da stimolo al mantenimento e all’ampliamento
degli interessi affettivi, culturali e sociali, con particolare riguardo alle relazioni
familiari, mediante programmi e modalità di intervento che vanno adattate alla
particolare condizione ed alla cultura dei soggetti in questione, nonché alle diverse
esigenze di sicurezza dei singoli istituti o sezioni;
- un’analisi approfondita dei problemi personali/relazionali sottesi alla tossico-
dipendenza ed una conseguente azione volta a motivare il soggetto ad aderire ad un
programma di trattamento più impegnativo;
- interventi preparatori alla dimissione e al successivo eventuale percorso di recupero in
stretta collaborazione con la comunità esterna.
2.2.4 Legge N.49 del 2006 “Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309"
Con questa legge vengono apportate delle modiche al Testo Unico 390/90.
Il punto di forza della nuova legge sulle droghe è l'equiparazione tra droghe "leggere" e
droghe "pesanti" sotto l'aspetto della pericolosità e delle sanzioni. Detenere, cedere o
consumare tali sostanze, non importa in che quantità, sono comportamenti puniti dalla
legge. In particolare, possedendo più di una quantità massima prestabilita, si diventa
spacciatori e si rischiano pene da uno a vent'anni di carcere, secondo la gravità. Il
consumo è comunque punito con sanzioni amministrative, revocabili se l'interessato si
sottopone a programma terapeutico, di cui sia certificato il buon andamento.
Tra le modifiche apportate riporto qui di seguito alcune che appaiono rilevanti:
Articolo 75 (Condotte integranti illeciti amministrativi)
“Chiunque illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque
detiene sostanze stupefacenti o psicotrope… è sottoposto, per un periodo non inferiore a
un mese e non superiore a un anno, a una o più delle seguenti sanzioni amministrative:
a) sospensione della patente di guida o divieto di conseguirla;
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b) sospensione della licenza di porto d'armi o divieto di conseguirla;
c) sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di
conseguirli;
d) sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di
conseguirlo se cittadino extracomunitario.”
Inoltre, è prevista la possibilità che il detenuto sia invitato a un programma terapeutico e
socio-riabilitativo personalizzato: il programma terapeutico che viene proposto è
volontario e comporta degli incontri di gruppo o incontri individuali su temi correlati a
sostanze e consumi ed esami tossicologici delle urine; se si porta a termine con esito
positivo il programma, il prefetto revocherà la sanzione dandone comunicazione al
questore e al giudice di pace competenti.
Articolo 75-bis (Provvedimenti a tutela della sicurezza pubblica).
“Qualora in relazione alle modalità od alle circostanze dell'uso… possa derivare
pericolo per la sicurezza pubblica, l'interessato che risulti già condannato, anche non
definitivamente, per reati contro la persona, contro il patrimonio o per quelli previsti
dalle disposizioni del presente testo unico o dalle norme sulla circolazione stradale,
oppure sanzionato per violazione delle norme del presente testo unico o destinatario di
misura di prevenzione o di sicurezza, può essere inoltre sottoposto, per la durata
massima di due anni, ad una o più delle seguenti misure:
a) obbligo di presentarsi almeno due volte a settimana presso il locale ufficio della
Polizia di Stato o presso il comando dell'Arma dei carabinieri territorialmente
competente;
b) obbligo di rientrare nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora,
entro una determinata ora e di non uscirne prima di altra ora prefissata;
c) divieto di frequentare determinati locali pubblici;
d) divieto di allontanarsi dal comune di residenza;
e) obbligo di comparire in un ufficio o comando di polizia specificamente indicato,
negli orari di entrata ed uscita dagli istituti scolastici;
f) divieto di condurre qualsiasi veicolo a motore.”
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Inoltre, anche le sanzioni aggiuntive dell’art 75bis sono revocate a seguito dell’esito
positivo del programma terapeutico e socio-riabilitativo.
Articolo 90 (Sospensione dell'esecuzione della pena detentiva)
Il Comma 1 recita così: “Nei confronti di persona che debba espiare una pena detentiva
inflitta per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendente, il tribunale
di sorveglianza può sospendere l'esecuzione della pena detentiva per cinque anni
qualora, all'esito dell'acquisizione della relazione finale di cui all'articolo 123, accerti
che la persona si e' sottoposta con esito positivo ad un programma terapeutico e socio-
riabilitativo eseguito presso una struttura sanitaria pubblica od una struttura privata
autorizzata ai sensi dell'articolo 116. Il tribunale di sorveglianza, qualora l'interessato si
trovi in disagiate condizioni economiche, può altresì sospendere anche l'esecuzione
della pena pecuniaria che non sia stata già riscossa. La sospensione può essere concessa
solo quando deve essere espiata una pena detentiva, anche residua e congiunta a pena
pecuniaria, non superiore a sei anni od a quattro anni se relativa a titolo esecutivo
comprendente reato di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e
successive modificazioni.”
Art. 94 (Affidamento in prova in casi particolari)
“Se la pena detentiva deve essere eseguita nei confronti di persona tossicodipendente o
alcooldipendente che abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda
sottoporsi, l'interessato può chiedere in ogni momento di essere affidato in prova al
servizio sociale per proseguire o intraprendere l'attività terapeutica sulla base di un
programma da lui concordato con una azienda unità sanitaria locale o con una struttura
privata autorizzata ai sensi dell'articolo 116. L'affidamento in prova in casi particolari
può essere concesso solo quando deve essere espiata una pena detentiva, anche residua e
congiunta a pena pecuniaria, non superiore a sei anni od a quattro anni se relativa a
titolo esecutivo comprendente reato di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975,
n. 354, e successive modificazioni.”
Alla domanda deve essere allegata la certificazione rilasciata da una struttura sanitaria
pubblica o da una struttura privata attestante lo stato di tossicodipendenza o di
alcooldipendenza.
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2.3 I sistemi penitenziari in Italia e in Spagna 2.3.1 Caratteristiche organizzative nel Sistema Penitenziario Spagnolo Il compito fondamentale che attribuiscono la Costituzione Spagnola e la Legge
Organica Generale Penitenziaria al sistema penitenziario consiste nel garantire il
compimento delle pene ordinate dai giudici, assicurare la custodia dei reclusi e
proteggere la loro integrità. Questa missione, però, non sarebbe completa né efficace se
non fosse indirizzata alla riabilitazione dei reclusi; lo sforzo si dirige, soprattutto, a
porre nelle loro mani i mezzi professionali ed educativi che li aiutino ad affrontare con
successo la nuova vita che li aspetta una volta usciti di prigione.
Tutta l’organizzazione del sistema penitenziario e dei mezzi materiali fa riferimento a
questi principi47:
INDIVIDUALIZZAZIONE. L’entrata in prigione è sempre un evento traumatico che si
pretende mitigare, per quanto possibile, accogliendo il prigioniero nel Modulo di
Ammissione: il nuovo giunto viene riconosciuto dal servizio medico e viene intervistato
da un’equipe tecnica che lo assegna ad un regime di vita in accordo con criteri di
classificazione tenendo conto della sua personalità e della carriera delittuosa.
PROGRESSIONE DI GRADO. Il sistema penitenziario spagnolo è progressivo: tutti gli
interni possono procedere al Terzo Grado o Regime Aperto in funzione del tempo di
compimento della pena e della sua evoluzione una volta analizzata la condotta, la
partecipazione alle attività, il comportamento nei permessi di uscita, etc. Allo stesso
modo però si può indurire il regime in caso di comportamento negativo.
TRATTAMENTO PENITENZIARIO. Le attività organizzate nel carcere sono orientate
non solo al recupero terapeutico o all’attenzione assistenziale del recluso, ma anche,
primariamente, allo sviluppo delle sue capacità sociali e lavorative, motivando
un’attitudine rispettosa della legge.
TERRITORIALIZZAZIONE DELLA PENA. Le carceri spagnole sono disseminate su
tutto il territorio nazionale, il che permette ai reclusi di compiere la propria condanna
47 Secretaría General de Instituciones Penitenciarias, “El sistema penitenziario español”.
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nell’istituzione penitenziaria più vicina al luogo di nascita ed evitare così lo
sradicamento familiare e sociale.
MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE. Il sistema penitenziario spagnolo
prevede per alcune categorie di detenuti la possibilità si svolgere alcuni periodi della
pena o l’intera fase finale della condanna all’esterno delle mura carcerarie, in strutture
specificatamente adibite per lo svolgimento di attività correlate al loro trattamento e alla
loro graduale reintegrazione con l’ambiente esterno.
COMUNICAZIONE CON L’ESTERNO E PERMESSI D’USCITA. La relazione del
prigioniero con il mondo esterno si contempla come uno strumento positivo per il
reinserimento. Il regolamento penitenziario prevede la comunicazione per telefono,
lettera o attraverso contatti personali negli stabilimenti abilitati per questo fine.
L’internato può anche godere, di permessi ordinari di uscita proposti dalla Giunta di
Trattamento e approvati dal Giudice di Vigilanza.
2.3.2 Caratteristiche organizzative nel Sistema Penitenziario Italiano
La legge 26 luglio 1975 n. 354, "Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecu-
zione delle misure privative e limitative della libertà", prevede diverse modalità di
esecuzione delle pene, dalla privazione totale della libertà a limitazioni parziali di essa.
Ne deriva un sistema articolato e complesso del quale il carcere è solo un aspetto,
comprendendo anche le misure alternative alla detenzione e, in generale, l’area penale
esterna.48
Tra i principi ispiratori dell’Ordinamento Penitenziario italiano è possibile riscontrare
delle similitudini con quanto esposto per la Spagna.
TRATTAMENTO PENITENZIARIO. La riforma penitenziaria, avviata dalla legge 26
luglio 1975, n. 354 ha voluto dare attuazione ai principi costituzionali in materia di
esecuzione delle pene detentive, ed in particolare al dettato dell'art. 27 comma 3 della
Costituzione: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di
48 http://www.giustizia.it/giustizia/
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umanità e devono tendere alla rieducazione". All’Amministrazione penitenziaria è
assegnato il mandato istituzionale di promuovere interventi "che devono tendere al
reinserimento sociale" (art. 1, ordinamento penitenziario) dei detenuti e degli internati e
ad avviare "un processo di modificazione delle condizioni e degli atteggiamenti
personali, nonché delle relazioni familiari e sociali che sono di ostacolo ad una
costruttiva partecipazione sociale"49. Il complesso di attività, misure ed interventi che
concorrono a conseguire l'obiettivo della risocializzazione della persona detenuta
prende il nome di “trattamento rieducativo”. L'art 15 dell'ordinamento penitenziario
individua nell'istruzione, nel lavoro, nella religione, nelle attività ricreative, culturali e
sportive, nei contatti con il mondo esterno e nei rapporti con la famiglia i principali
elementi del trattamento.
INDIVIDUALIZZAZIONE. Il trattamento è attuato in rapporto alle specifiche
condizioni dei soggetti”50. Poiché l'individualizzazione riguarda il trattamento
rieducativo che deve “tendere” al reinserimento sociale e poiché l'osservazione è
strumentale al trattamento, anche quest'ultima deve essere individualizzata.
MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE O DI COMUNITA’. Con esse
s’intendono “sanzioni e misure che mantengono il condannato nella comunità ed
implicano una certa restrizione della sua libertà attraverso l’imposizione di condizioni
e/o obblighi e che sono eseguite dagli organi previsti dalle norme in vigore”.51
Le misure alternative alla detenzione o di comunità consistono nel seguire un
determinato comportamento, definito possibilmente d’intesa fra il condannato e l’ufficio
di esecuzione penale esterna che lo abbia preso in carico; il contenuto del
comportamento da assumere è ciò che viene normalmente indicato come un
“programma di trattamento”, espressione applicabile anche ai condannati posti in
misura alternativa o di comunità.
TERRITORIALIZZAZIONE DELLA PENA. Il ministero della Giustizia, in attuazione
di questo principio previsto dalla legge 354/75 e succ. modifiche, si impegna per quanto
possibile a destinare e/o favorire il rientro dei detenuti in Istituti nella propria regione di
49 Art. 1, comma 2, regolamento di esecuzione, D.P.R.30 giugno 2000 n. 230. 50 http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/misure/barberio/cap2.htm. 51 Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per mezzo della Raccomandazione 16.
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residenza, tenendo conto della residenza del nucleo familiare del detenuto e
adoperandosi per il reinserimento sociale sia di coloro che sono ristetti, sia di quelli che
sono in esecuzione penale esterna.
TUTELA DELLA SALUTE. L'articolo 32 della Costituzione dispone: "La Repubblica
tutela il diritto alla salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della
collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti".
Il diritto alla salute di coloro che si trovano in condizione di privazione della libertà
trova quindi tutela e garanzia quale diritto inviolabile della persona.
2.4 Tipologie di Istituti Penitenziari
2.4.1 Tipi di centri e distribuzione sul territorio spagnolo
Le prigioni riuniscono persone con multipli e diversi problemi. Per dare risposte
positive a tutti si rende necessaria una diversificazione e individualizzazione delle
attività, e una grande varietà di tipologia dei centri:
Centri Penitenziari Ordinari. Il compimento della condanna imposta dal giudice esige in molte occasioni la
reclusione permanente del recluso in ambiente chiuso. La vita di queste persone
trascorre tra le mura della prigione. In questi casi risulta essenziale un progetto
funzionale delle infrastrutture e una dotazione sufficiente di attrezzature.
La Società delle Infrastrutture e delle Attrezzature Penitenziarie, incaricata del progetto,
pianificazione ed esecuzione delle nuove installazioni, ha sviluppato un modello di un
tipo di carcere che è servito da base per la costruzione delle moderne installazioni.
Questo disegno dota i centri di edifici che ospitino i servizi generali comuni, così come
ampi spazi polivalenti di uso comune che si utilizzano sia per seminari che come aule
per la formazione. Sono anche dotati di spazi per l’assistenza sanitaria e di luoghi per la
comunicazione con le famiglie, dimostrando anche qui una certa attenzione alla tutela
del mantenimento dei rapporti tra il detenuto e i suoi familiari.
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I centri penitenziari funzionano come piccole città autosufficienti con tutti i servizi
necessari per il suo corretto funzionamento.
Centri di Inserimento Sociale (CIS)
Questi centri sono destinati agli interni che compiono la pena in Regime Aperto o che si
trovano in un processo avanzato di reinserimento. Attraverso i CIS si gestiscono anche
le pene alternative che non esigono l’entrata in prigione, come i Lavori in Beneficio per
la Comunità, la sospensione dell’esecuzione della pena e la localizzazione permanente.
Inoltre si svolge il monitoraggio della libertà condizionata.
I CIS sono ubicati nei centri urbani e semi-urbani, il più possibile vicini all’ambiente
sociale più familiare affinché risulti loro più facile l’integrazione nella vita sociale delle
persone libere. Si tratta del fatto che gli interni che stanno sul punto di recuperare la
libertà si rifacciano una vita nell’ambiente abituale e vicino ai propri cari.
Il regime aperto richiede l’accettazione volontaria dell’interessato ed è basato sul
principio della fiducia, dato che i prigionieri godono della libertà per compiere i propri
impegni lavorativi e trattamenti terapeutici fuori dal centro.
I CIS compiono una funzione residenziale basilare però in essi si sviluppano anche
attività di intervento e trattamento, lavoro sociale e laboratori produttivi.
La tecnologia offre alternative di controllo a distanza della mobilità dei prigionieri e per
tanto la possibilità di unire l’esigenza di libertà e di integrazione sociale dei prigionieri
con la domanda sociale di sicurezza.
Unità di Madri
Alla fine del 2009, l’8% della popolazione penitenziaria spagnola era composta da
donne, alcune delle quali madri di figli minori di età. La legislazione spagnola, e come
vedremo anche quella italiana con gli Istituti di Custodia per Madri, contempla il diritto
delle madri recluse di tenere i propri figli con sé fino a quando questi compiano tre anni.
Per questo motivo più di 200 bambini vivono nei centri penitenziari insieme alle loro
madri mentre compiono la condanna. Ciò nonostante, il carcere non è il luogo più adatto
per bambini piccoli. Per rispondere a questo problema, il Governo approvò, nel
Dicembre 2005, la costruzione di cinque nuove infrastrutture penitenziarie dentro le
quali far alloggiare le madri con i figli minori di età: si tratta di spazi ubicati fuori dai
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recinti carcerari, che per la loro situazione, progetto ed attrezzature sono adatti per
coprire le necessità dei minori nei loro primi anni di vita. La vita in questi moduli è
adattata agli orari e necessità dei bambini e trascorre molto similarmente a quella di
qualunque bambino libero; i bambini dormono e fanno colazione con le loro madri,
frequentano la scuola dell’infanzia, etc.
Si tratta di una delle prime esperienza di questo tipo in Europa, come del resto quella
italiana che risale al 2006, il cui obiettivo è quello di creare un ambiente adeguato
perché i bambini possano svilupparsi “emozionalmente” ed educativamente durante il
tempo che permarranno nel centro.
Ospedali psichiatrici penitenziari
Gli ospedali psichiatrici penitenziari sono centri speciali destinati al compimento delle
misure di sicurezza privative della libertà per interni con diagnosi di disturbi mentali. Le
persone che vengono ricoverate in questi ospedali sono state considerate non imputabili
a causa della presenza di anomalie o alterazioni psichiche, specialmente disturbi mentali
gravi di tipo psicotico, che impedisce loro di comprendere l’illegalità dell’atto
delittuoso. In questi centri predomina la funzione assistenziale, coordinata da un’equipe
multidisciplinare composta da psichiatri, psicologi, medici generali, infermieri,
operatori sociali, educatori e “terapeuti occupazionali”, che sono incaricati di garantire
il processo di riabilitazione dell’interno conforme al modello di intervento bio-psico-
sociale. L’obiettivo principale di questi ospedali passa attraverso l’ottenimento della
stabilizzazione psicopatologica dei pazienti e la riduzione della loro pericolosità, tutto
ciò come passo indispensabile per una possibile sostituzione delle misure di sicurezza
privative della libertà.
Unità Dipendenti
Le Unità Dipendenti sono, insieme ai Centri di Inserimento Sociale, una delle risorse
utilizzate dall’Amministrazione Penitenziaria per il compimento delle pene in regime
aperto. Si tratta di stabilimenti residenziali situati fuori dai centri penitenziari, ubicati
nei nuclei urbani, senza nessun segno distintivo, situati nella collettività civile, il che
apporta una sensazione di libertà e d’integrazione ai suoi occupanti. Questa situazione
facilita, inoltre, la possibilità di approfittare delle risorse comunitarie.
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Hanno una doppia funzione: da un lato, completano il lavoro di reinserimento iniziato
nei centri penitenziari con attività che incrementano e favoriscono lo sviluppo
personale, la responsabilità e valori della convivenza, dall’altro incontrandosi gli interni
giornalmente all’esterno acquisiscono, o rinforzano, i legami familiari e le abitudini
lavorative, in alcuni casi andati persi.
2.4.2 Tipi di centri e distribuzione sul territorio italiano
L'amministrazione penitenziaria sul territorio italiano si articola in52:
Istituti penitenziari, la cui tipologia è individuata dagli articoli 59-66
dell'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975 n. 354 e successive
modifiche);
Provveditorati regionali che esercitano le competenze relative ad affari di
rilevanza circoscrizionale in materia di personale, organizzazione dei servizi e
degli istituti, detenuti ed internati, area penale esterna e rapporti con gli enti locali,
le regioni ed il servizio sanitario nazionale;
Uffici di esecuzione penale esterna (UEPE), così denominati dalla legge 27 luglio
2005 n. 154 a modifica dell'art. 72 della legge 26 luglio 1975 n. 354 che aveva
istituito i Centri di servizio sociale per adulti dell'amministrazione penitenziaria, e
con caratteristiche simili ai CIS nel Sistema Penitenziario Spagnolo.
a) ISTITUTI PENITENZIARI
A loro volta si distinguono in:
- Istituti di custodia cautelare.
La separazione dei condannati dagli imputati è considerata una condizione di
fondamentale importanza per la salvaguardia della presunzione di non colpevolezza.
L'art. 60 della l.354/1975 distingue gli istituti per la custodia cautelare in “case
circondariali” e “case mandamentali”. Alle prime sono assegnati gli imputati a
disposizione di qualunque autorità giudiziaria, alle seconde gli imputati "a 52 http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_3_7.wp.
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disposizione del pretore". La soppressione della figura del pretore operata dalla
normativa che ha istituito il giudice unico (d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51) e il
conseguente svuotamento del concetto di "mandamento" ha fatto venir meno la
distinzione di carattere funzionale con le case circondariali: entrambe sono destinate
alla custodia degli imputati a disposizione dell'autorità giudiziaria e delle persone
fermate o arrestate nonché a quella dei detenuti in transito.
- Istituti per l'esecuzione delle pene.
Gli istituti per l'esecuzione delle pene, secondo quanto stabilito dall'art. 61 della
l.354/1975, sono le case di arresto per l'espiazione della pena.
- Istituti per l'esecuzione delle misure di sicurezza.
Tali istituti, individuati dall'art. 62 della l.354/1975, sono: le colonie agricole, le case
di lavoro, le case di cura e custodia e gli ospedali psichiatrici giudiziari. Mentre le
colonie agricole e le case di lavoro sono destinate ad ospitare solo i soggetti ai quali la
misura di sicurezza è stata applicata con sentenza definitiva, alle case di cura e
custodia per madri e per tossicodipendenti (vedi di seguito) e agli ospedali
psichiatrici giudiziari possono essere assegnati anche gli imputati a cui le misure siano
state applicate in via provvisoria.
b) PROVVEDITORATI REGIONALI
Esercitano, ai sensi del Decreto del Ministro della Giustizia 22 gennaio 2002, le
competenze relative ad affari di rilevanza circoscrizionale, secondo i programmi, gli
indirizzi e le direttive disposti dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria,
anche al fine di assicurare l'uniformità dell'azione penitenziaria sul territorio nazionale.
c) UFFICI DELL’ESECUZIONE PENALE ESTERNA (UEPE)
Questi uffici provvedono ad eseguire, su richiesta del magistrato di sorveglianza, le
inchieste sociali utili a fornire i dati occorrenti per l'applicazione, la modificazione, la
proroga e la revoca delle misure di sicurezza e per il trattamento dei condannati e degli
internati. Prestano la loro opera per assicurare il reinserimento nella vita libera dei
sottoposti a misure di sicurezza non detentive.
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Gli assistenti sociali in sevizio negli UEPE svolgono le attività indicate dall'art. 72 della
legge: compiti di vigilanza e/o di assistenza nei confronti dei soggetti ammessi alle
misure alternative alla detenzione nonché compiti di sostegno e di assistenza nei
confronti dei sottoposti alla libertà vigilata.
2.5. Le figure professionali
2.5.1. Le figure professionali nel sistema penitenziario spagnolo
I professionisti che lavorano nel sistema penitenziario giocano un ruolo decisivo nello
sviluppo della politica penitenziaria e nella messa in pratica dei programmi di
rieducazione degli interni.
In un sistema penitenziario che ha come obiettivo il reinserimento sociale è
imprescindibile contare su un’equipe di professionisti qualificati e con un alto livello di
implicazione. La formazione degli impiegati pubblici costituisce un elemento essenziale
nella strategia dell’Amministrazione Penitenziaria. Il Centro di Studi Penitenziari, nel
processo di ridefinizione, si incarica di quest’opera. Tra i suoi compiti c’è lo sviluppo di
programmi di formazione per le persone che si incorporano al sistema.
Il sistema penitenziario annovera un’equipe multidisciplinare di professionisti:
GIURISTI. Sono incaricati di studiare tutta l’informazione penale, processuale e
penitenziaria di ciascun recluso e di realizzare la valutazione giuridica per la sua
classificazione che determinerà la programmazione del trattamento che deve seguire.
PSICOLOGI. Studiano le variabili che determinano il comportamento dell’interno per
scrivere referti e identificare le necessità che devono essere tenute in conto al momento
di assegnare i programmi di trattamento e i modelli individualizzati di intervento per
ciascun recluso. Sono responsabili di svolgere i programmi terapeutici.
EDUCATORI. Il loro lavoro consiste nel conoscere e informare tanto in tema
penitenziario come extra-penitenziario ciascun interno a cui sono assegnati.
Osservano la condotta e compilano un resoconto che sia il riflesso del loro percorso.
Sviluppano i programmi di intervento terapeutico e le attività culturali e sportive che
interessano gli interni di cui si occupano.
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SERVIZI SOCIALI. Prima di iniziare qualsiasi altro intervento per la riabilitazione del
detenuto, l’attenzione prioritaria degli assistenti sociali è centrata nel risolvere
problematiche socio-familiari che hanno potuto influire sulla sua entrata in prigione.
Inoltre, offrono informazioni sui servizi sociali esistenti affinché possano accedere a
sussidi, aiuti per l’alloggio, scolarizzazione, borse di studio, sovvenzioni, etc.
PERSONALE SANITARIO. È incaricato di elaborare i protocolli per lo sviluppo
dell’attività assistenziale dentro lo stabilimento penitenziario; deve assicurare che
l’attenzione sanitaria sia di qualità, mediante l’utilizzo razionale ed efficiente delle
risorse diagnostiche e terapeutiche.
SOCIOLOGI. Realizzano le ricerche e gli studi che determina l’Amministrazione
Penitenziaria. Partecipano anche alla programmazione, sviluppo e valutazione dei
programmi di trattamento dei reclusi.
PERSONALE INTERNO E VIGILANZA. Questo gruppo rappresenta la maggior parte
dei lavoratori del sistema e sviluppa diverse e varie funzioni dentro i centri. Oltre che
garantire il mantenimento dell’ordine, questo gruppo è direttamente implicato nei
compiti educativi e di riabilitazione dei prigionieri. Stando a contatto diretto con i
prigionieri, dispone di informazioni di prima mano sul comportamento ed è un
osservatore privilegiato dell’evoluzione che i detenuti sperimentano durante lo sviluppo
dei differenti programmi. Il lavoro si sviluppa in stretta collaborazione con le equipe
terapeutiche ed educative del centro e il loro apporto risulta un fattore imprescindibile
nel processo di reinserimento del delinquente.
2.5.2 Le figure professionali nel sistema penitenziario italiano
L’approccio al detenuto presuppone un modello operativo d’intervento ad ampio raggio,
che coinvolge non solo gli operatori penitenziari del trattamento e della custodia, ma
anche gli operatori socio-sanitari degli enti locali, delle aziende sanitarie locali e delle
agenzie del privato sociale e del volontariato. In tal modo si concretizza il necessario
collegamento tra la struttura penitenziaria e la rete dei servizi socio-riabilitati deputati,
per legge, al recupero sociale dei detenuti, in particolar modo se tossicodipendenti.
Il personale dell’amministrazione penitenziaria può essere articolato in cinque aree:
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pedagogica, sicurezza, sanitaria, amministrativo contabile e segreteria.
EDUCATORI. Svolgono attività di osservazione della personalità dei condannati e
intervengono con finalità rieducative nel corso della fase esecutiva della pena nelle
attività trattamentali.
PSICOLOGI. L’art. 80 dell’ordinamento penitenziario, legge 26 luglio 1975 n. 354,
stabilisce che l’amministrazione penitenziaria per lo svolgimento dell’attività di
osservazione e trattamento può avvalersi anche di esperti in psicologia, servizio sociale,
pedagogia, psichiatria e criminologia clinica. All’attività di osservazione e trattamento
collaborano generalmente esperti psicologi che svolgono anche il servizio accoglienza e
di sostegno.
ASSISTENTI SOCIALI. Previsti dall’art. 72 dell’ordinamento penitenziario e
incardinati negli uffici di esecuzione penale esterna, partecipano all’attività di
osservazione scientifica della personalità, con il compito di riferire alla magistratura e
alla direzione degli istituti penitenziari, sul rapporto del detenuto con la realtà esterna,
individuando soluzioni utili al suo reinserimento.
POLIZIA PENITENZIARIA. Ha il compito istituzionale di garantire legalità e
sicurezza all’interno degli istituti penitenziari e, in collaborazione con gli operatori
dell’area pedagogica, partecipa all’attività di osservazione e trattamento delle persone
detenute.
AMMINISTRAZIONE. Gli operatori dell’area amministrativo-contabile e dell’area
segreteria svolgono tutte le funzioni relative alla gestione della contabilità penitenziaria
e agli affari generali.
PERSONALE SANITARIO. Opera negli istituti penitenziari, nelle regioni a statuto
ordinario e dipende dal Servizio sanitario nazionale. Invece, dipende dall’amministra-
zione penitenziaria il personale sanitario delle regioni a statuto speciale.
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2.6 Interventi penitenziari
2.6.1 Interventi intramurari (programmi di trattamento, attività
culturali e sportive) in Spagna
a) Programmi di trattamento Dall’anno 2005 è stato dato un impulso definitivo nei centri penitenziari ai programmi
di trattamento diretti ad ottenere la rieducazione e il reinserimento sociale dei detenuti.
Il trattamento viene assegnato tenendo conto dell’evoluzione globale del recluso
soggetto a condizioni speciali o per caratteristiche proprie della sua personalità o per il
delitto che ha commesso. b) Attività culturali e sportive Oltre alla formazione educativa e professionale, nei centri penitenziari si svolge una
moltitudine di attività culturali con l’obiettivo di favorire la crescita integrale degli
interni e che vengano stimolate le loro attitudini creative. I reclusi dispongono della
capacità di intervenire nella pianificazione e nella proposta delle attività che si
sviluppano, con finanziamenti e gestione propria del centro o mediante la cooperazione
con istituzione pubbliche e private.
Nell’area culturale, le azioni includono cineforum, seminari, concorsi musicali e di
scrittura o realizzazioni di plastici. Si svolgono anche rappresentazioni teatrali, musicali
o esposizioni all’esterno che permettono di avvicinare i cittadini alla realtà creativa e
produttiva di un mondo sconosciuto per la maggior parte di loro.
Tutti i centri penitenziari dispongono di biblioteche che sono state rinnovate
recentemente con nuovi fondi. Attraverso l’accordo con istituzioni e fondazioni si
sviluppano piani di incremento per la lettura.
Tra tutte le attività, quelle che arricchiscono di più gli interni sono quelle che implicano
la partecipazione attiva: esistono laboratori di pittura, ceramica, artigianato, teatro,
musica, video, radio, etc. Queste attività svolgono un doppio compito: stimolare lo
sviluppo della creatività degli interni e rafforzare la loro autostima nel diffondere i
lavori nel sociale. Lo sport nei centri penitenziari è un’attività fondamentale perché
fomenta valori come lo spirito di squadra, il rispetto delle norme e uno stile di vita
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salutare. Inoltre forma parte della terapia per quegli interni che hanno problemi di
tossicodipendenza.
2.6.2 Interventi extramurari (inserimento lavorativo e formazione professionale, etc.) in Spagna
Il lavoro penitenziario e l’inserimento lavorativo La privazione della libertà, oltre a significare il compimento di una pena imposta dai
tribunali di giustizia, può convertirsi in un’opportunità per coloro che provengono da
una storia personale di marginalità ed esclusione. Durante il tempo che rimangono in
prigione si presenta loro la possibilità di formarsi professionalmente per integrarsi nella
società e per allontanarsi dal mondo delinquenziale. Per raggiungere questo obiettivo,
l’Istituzione Penitenziaria conta sull’organizzazione del lavoro produttivo penitenziario
e sulla formazione per il futuro impiego professionale.
Conforme all’articolo 26 della LOGP (vedi Cap. II, 2.1.2), il lavoro viene considerato
un diritto e un dovere dell’interno. E’ lo strumento basico per il suo reinserimento
perché prepara il detenuto ad una migliore integrazione con il mondo lavorativo una
volta compiuta la pena. Nel 2009, circa 12.000 interni hanno lavorato nei laboratori
produttivi dei centri penitenziari in ambienti simili a quello lavorativo esterno, al fine di
familiarizzare con le esigenze del lavoro produttivo.
La formazione professionale La formazione per l’impiego si considera un elemento fondamentale. Il suo obiettivo è
coprire le carenze formative dei detenuti e migliorare la loro qualifica professionale per
facilitare il pieno inserimento nel mondo lavorativo una volta compiuta la pena.
L’Organismo Autonomo Lavoro Penitenziario e Formazione per l’Impiego (OATPFE)
svolge il compito di promuovere la formazione e orientare gli interni nella ricerca di un
lavoro. I corsi di formazioni possono essere svolti sia all’interno che all’esterno dei
centri. Nel 2009 si svolsero all’interno dei centri penitenziari 938 corsi di Formazione
per l’Impiego diretti a coprire le carenze di più di 16.000 interni che potettero
migliorare la loro qualifica professionale, e 109 corsi nell’ambiente esterno a cui
assistettero 1.000 interni.
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Percorsi di inserimento.
Il sistema penitenziario spagnolo ha sviluppato un itinerario integrale di inserimento
lavorativo che contempla una serie di azioni graduali per ottenere un inglobamento nel
mercato del lavoro delle persone condannate a pene privative di libertà.
Questi itinerari comprendono azioni di formazione professionale per l’impiego,
acquisizione di esperienza lavorativa in laboratori produttivi penitenziari, orientamento
professionale, etc. L’ultima fase del percorso prevede un programma di
accompagnamento dell’interno, fornendogli un appoggio individualizzato nel momento
in cui inizia la fase di semilibertà o libertà condizionale e arriva il momento di
affrontare la sfida dell’inserimento nel mondo lavorativo esterno. Il programma vuole
che l’interno non si trovi solo durante la ricerca di un lavoro e che, una volta trovato,
possa contare sull’appoggio e la motivazione per mantenere l’attività lavorativa.
2.6.3 Moduli Terapeutici in Spagna
Due modelli terapeutici, tra quelli sviluppati per il reinserimento del reo, affrontano il
trattamento dei tossicodipendenti.
a) Moduli di Rispetto Negli ultimi anni si è messa in moto una nuova esperienza nel sistema penitenziario
spagnolo che vuole creare spazi appropriati affinché gli interni sviluppino le loro
capacità come cittadini responsabili e rispettosi della legge: sono i cosiddetti Moduli di
Rispetto: si tratta di un programma di educazione ai valori positivi, e l’ingresso in questi
moduli presuppone l’accettazione di un nuovo stile di vita basato sulla fiducia, la
solidarietà e la soluzione pacifica dei conflitti.
La normativa che vige su questi spazi gioca un ruolo determinante perché favorisce la
creazione e il consolidamento di abitudini e atteggiamenti socialmente accettati e
impedisce che i valori predominanti nella subcultura carceraria fomentino la recidività
dell’interno.
L’interno si sottopone volontariamente, mediante la firma di un contratto, al
compimento scrupoloso delle norme che dirigono il modulo. Ciascun interno ha
assegnato un Programma Individualizzato di Trattamento (PIT), il cui compimento è
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imprescindibile per continuare il modulo. Il regolamento proibisce qualsiasi atto di
violenza, tanto fisica come psicologica, e il possesso o il consumo di droga. Inoltre gli
interni vengono suddivisi in gruppi. L’equipe di operatori sceglie un responsabile tra
loro che organizzi i lavori e aiuta il resto del gruppo. Quando non vengono compiute le
norme o si hanno comportamenti inappropriati viene assegnato un negativo. Al
contrario, vengono rinforzate le attitudini positive quando si adattano alle norme. Il
comportamento di un interno ha delle ripercussione sul gruppo a cui appartiene perché i
lavori vengono assegnati settimanalmente in funzione della valutazione di ciascuno dei
componenti.
b) Moduli Terapeutici
Simili ai Moduli di Rispetto, i Moduli Terapeutici rappresentano un modello alternativo
al carcere tradizionale, in quanto si propongono di trasformare la realtà penitenziaria
eliminando la subcultura carceraria che fa della prigione una scuola di delinquenza e la
convertono in uno spazio educativo. Questo traguardo è possibile grazie alla cogestione
e corresponsabilità del collettivo che conforma lo scenario penitenziario: professionali
penitenziari e interni. Per raggiungerlo è necessario superare la diffidenza e il
distanziamento che possono caratterizzare la relazione iniziale, e finire per confrontarsi
con la propria storia. In questo programma, il funzionario di vigilanza è agente attivo
del cambiamento e ha dirette responsabilità come tutore dei gruppi degli interni. In
questi moduli ci si propone di raggiungere uno spazio libero dalle interferenze che
inducono alla droga per provocare dei cambiamenti nelle abitudini e atteggiamenti degli
interni in modo che possano continuare il trattamento nelle diverse risorse terapeutiche
comunitarie. Questi moduli sono aperti a interni tossicodipendenti con buone
prospettive di reinserimento, indipendentemente dal fatto che ricevano trattamento con
metadone, naltrexone o siano sottoposti a trattamento psichiatrico.
2.6.4 Interventi intramurari in Italia
a) Programmi di trattamento - Programmi per detenuti con HIV. Sono trattamenti terapeutici anti-AIDS basati sulla
somministrazione di combinazioni di farmaci anti-retrovirali, inclusi gli inibitori della
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proteasi, ormai assicurati presso tutti gli Istituti medio grandi.
- Reparti per disabili. Tra le patologie più gravi si annoverano quelle da trauma
vertebro-midollare comprese le ferite da armi da fuoco, da esiti di malattia
cerebrovascolare, amputazioni, sclerosi multipla, da esiti di poliomielite, neuropatie
diabetiche.
- L'osservazione e il trattamento. L'obiettivo della rieducazione viene perseguito, nella
fase dell'esecuzione della pena, attraverso un complesso di attività, di misure e
interventi, rivolti a condannati e internati che prende il nome di “trattamento
rieducativo”. Il trattamento deve essere individualizzato e diretto a promuovere un
processo di modificazione degli atteggiamenti che sono da ostacolo ad un’effettiva
partecipazione sociale in modo da poter perseguire l'obiettivo finale che consiste nel
reinserimento sociale dei condannati. L’osservazione inizia con l’ingresso in carcere e
segue l’individuo fino al termine dell’esecuzione penale, rilevando così i mutamenti che
a livello personale e di vita di relazione si manifestano, verificando i risultati degli
interventi attuati, aggiornando il programma di trattamento sulla base dei progressi o
delle difficoltà che si registrano nel corso dell’esecuzione della pena. L’osservazione è
condotta dall’équipe, costituita da una pluralità di attori che operano secondo un
approccio integrato.
a) Attività culturali e sportive
Teatro. All’inizio degli anni '80 il teatro assume significati, metodologie e obiettivi
nuovi che si precisano e si consolidano negli anni. Si pone l’accento sulla pratica
teatrale piuttosto che sullo spettacolo, sull’attività laboratoriale e creativa dei
detenuti, sulla funzione terapeutica e pedagogica di quest'ultima. Il teatro diviene
anche uno strumento importante per far conoscere alla società la realtà del carcere,
sia tramite rappresentazioni negli istituti aperte al pubblico, sia con spettacoli di
compagnie di detenuti in teatri esterni.
Istruzione e formazione. L’art. 15 dell’ordinamento penitenziario (legge 354/1975)
configura l’istruzione come fondamentale elemento di risocializzazione inserendola,
assieme al lavoro, nelle attività culturali, ricreative e sportive, come interventi attraverso
i quali “principalmente” si attua il trattamento rieducativo. L’istruzione è intesa come
strumento rivolto oltre che ad un approfondimento della formazione scolastica e
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professionale, anche alla promozione di nuovi interessi per il miglioramento
complessivo della personalità della persona detenuta.
Lavoro in carcere. L'art. 15 dell’ordinamento penitenziario, legge 26 luglio 1975 n. 354,
individua il lavoro come uno degli elementi del trattamento rieducativo stabilendo che,
salvo casi di impossibilità, al condannato e all’internato è assicurata un’occupazione
lavorativa. L'art. 20 dell’ordinamento penitenziario definisce le principali caratteristiche
del lavoro negli istituti penitenziari:
E’ obbligatorio. Negli istituti penitenziari deve essere favorita la destinazione dei
detenuti e degli internati al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione
professionale.
Non ha carattere afflittivo. Non rappresenta pertanto un inasprimento della pena
ma è considerato come una forma di organizzazione necessaria alla vita della
comunità carceraria.
E’ remunerato. Il compenso è calcolato in base alla quantità e alla qualità di
lavoro prestato, in misura non inferiore ai 2/3 del trattamento economico
previsto dai contratti collettivi nazionali.
L’organizzazione e i metodi devono riflettere quelli della società libera. Questo
per preparare i detenuti alle normali condizioni del lavoro libero e favorirne il
reinserimento sociale.53
Scrittura in carcere. Tra le attività culturali organizzate all'interno degli istituti
penitenziari la scrittura nelle sue varie forme (narrazione, anche autobiografica, poesia,
sceneggiatura per il teatro ed per il settore audiovisivo) ha assunto negli ultimi anni il
rilievo di efficace strumento di supporto per la crescita personale e il reinserimento
sociale delle persone in stato di reclusione.
Sport. I numerosi programmi sportivi realizzati all’interno degli Istituti penitenziari per
adulti e per minori sono attuati principalmente tramite apposite convenzioni con
organismi nazionali e locali preposti alla cura di questo genere di attività.
53 Art. 20 ord. penit., art. 72 reg. min. Onu e dall’art. 73 reg. penit. eur.
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2.6.5 Interventi extramurari in Italia
Lavoro di recupero ambientale. Dall’inizio degli anni ’90 molti istituti penitenziari, in
collaborazione con i comuni e con altre realtà territoriali e del terzo settore, hanno
avviato attività di manutenzione e pulizia degli spazi verdi.
I progetti sono generalmente incentrati sull’acquisizione di capacità e competenze
specifiche utilizzabili in un futuro reinserimento lavorativo.
Inserimento lavorativo. All’interno degli istituti di pena, l’amministrazione allestisce
officine e lavorazioni per la realizzazione di mobilio, oggetti e suppellettili necessari al
fabbisogno degli istituti penitenziari. Per aumentare le possibilità di occupazione in
attività qualificate e spendibili nel mondo libero, l’Amministrazione offre inoltre in
comodato d’uso gratuito i locali e, ove possibile i macchinari per le lavorazioni, a
imprese o cooperative che in questo modo realizzano le loro attività produttive (o
almeno una parte di esse) assumendo detenuti.
2.6.6 Moduli Terapeutici
Il modello del Ser.T (Servizio per le tossicodependenze)
Il lavoro svolto dai Ser.T (Servizio per le Tossicodipendenze) riguarda la gestione,
l’osservazione e la presa in carico dei soggetti tossicodipendenti. Al suo interno
vengono inoltre programmati interventi di prevenzione della dipendenza e dell’abuso di
sostanze legali ed illegali. Le attività proposte vanno dalla diagnosi e cura dei soggetti
in condizione di dipendenza o di abuso di sostanze, alle attività riabilitative conseguenti,
all’assistenza per patologie correlate alle dipendenze. Il Servizio rappresenta una realtà
unica nel contesto italiano: generalmente è infatti lo stesso Ser.T. a prendere in carico il
detenuto tossicodipendente; nel contesto milanese il Servizio è orientato invece in modo
specifico su soggetti tossicodipendenti in carcere, che vengono presi in carico da un’
équipe di professionisti provenienti dall’area sociale, medica e psicologica.
La sua attività per la diagnosi, la cura e la presa in carico di soggetti affetti da
dipendenza patologica coinvolti in procedimenti penali si svolge in ottemperanza alla
normativa vigente. La legge 309/90 garantisce infatti alla persona tossicodipendente il
diritto “di ricevere le cure mediche necessarie e l’assistenza necessaria all’interno degli
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istituti carcerari a scopo di riabilitazione” (art.96, comma 1).
Nonostante il Servizio Pubblico sia per legge tenuto ad accogliere la richiesta
dell’interessato di sottoporsi al programma terapeutico, l’istanza succitata deve essere
corredata da una dichiarazione di disponibilità all’accoglimento rilasciata dalla struttura
stessa. In aggiunta, qualora la pena detentiva debba eseguirsi nei confronti di una
persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia già in corso un programma di
recupero o che abbia intenzione di sottoporsi ad esso, “l’interessato può chiedere in ogni
momento di essere affidato in prova al servizio sociale per proseguire o intraprendere
l’attività terapeutica sulla base di un programma da lui concordato con una azienda
sanitaria locale o con una struttura privata autorizzata ai sensi dell’articolo 116.”54
Gli operatori del Servizio svolgono pertanto l’attività di presa in carico sanitaria, sociale
e psicologica dei soggetti ristretti elaborando modelli specifici d’intervento
personalizzato. Si valuta inoltre, a seconda della dipendenza sviluppata, la possibilità di
programmare una eventuale misura alternativa alla detenzione. Ai soggetti detenuti
viene così offerto un importante punto di riferimento psicologico oltre che giuridico.
Il Servizio Area Penale e Carceri della ASL di Milano nasce come un Servizio a forte
orientamento medico-psichiatrico, per poi diventare un servizio d’avanguardia, di
orientamento multidisciplinare, composto attualmente da un’équipe di psicologi,
assistenti sociali, medici ed infermieri.
Il Servizio presso il Tribunale è attivo invece per soggetti tossicodipendenti sottoposti al
processo per direttissima. Al momento dell’inizio del processo il giudice accoglie
l’eventuale richiesta del tossicodipendente arrestato di accedere, in una breve pausa del
processo medesimo, ad un colloquio riservato con l’operatore delle tossicodipendenze
che si occupa della valutazione del soggetto sottoposto a giudizio. Uno degli obiettivi
primari che il Servizio si pone è la presa di coscienza, da parte del soggetto arrestato, di
essere portatore di un problema (l’utilizzo di sostanze stupefacenti) che lo ha portato a
commettere un reato, ad essere arrestato e sottoposto a giudizio. Si assiste quindi ad una
trasformazione del contesto “giudiziario” in un luogo che assume una valenza di
assistenza, cura e riabilitazione.
La tossicodipendenza è sempre una modalità con la quale si manifesta un disagio,
piuttosto che una patologia a se stante. Essa è il frutto di un insieme di fattori personali,
54 Legge 309/90 art. 94, comma 1.
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medici, psicologici, sociali. Pertanto non è possibile curare la tossicodipendenza se non
intervenendo sulla persona nella sua globalità e complessità, oltre che sul sintomo che
quella persona presenta agli operatori.
2.7 Misure alternative alla detenzione in prigione
2.7.1 Le misure alternative nel sistema penitenziario spagnolo
Ultimamente stanno ottenendo importanza le misure alternative alle pene in prigione
perché si considerano strumenti più utili per il fine educativo, alcune delle quali sono
esposte qui di seguito:
Lavori a beneficio della comunità. Nell’attuale sistema penale costituiscono un
elemento basico e sono diventati, in alcuni casi, una misura sostitutiva. Le infrazioni
che sono sanzionate con questa pena sono infrazioni lievi, molto frequentemente
relazionate con la sicurezza stradale. In altre occasioni si opta per questa misura quando
si tratta si una persona “normalizzata” e integrata nella società. I lavori sono focalizzati
sull’appoggio o l’assistenza a determinate vittime relazionate con il delitto compiuto.
Sospensione della pena. I giudici, quando le pene privative della libertà sono inferiori ai
due anni, hanno la facoltà di sospendere l’esecuzione della condanna, appellandosi alla
pericolosità nulla e alla storia delittiva del condannato, sempre che questi non torni a
delinquere nell’arco di tempo fissato dal giudice.
La sospensione della pena può comportare doveri e obblighi stabiliti dal giudice.
2.7.2 Le misure alternative alla detenzione nel sistema italiano
In Italia le misure alternative alla detenzione o di comunità vengono introdotte dalla
legge 26 luglio 1975, n. 354. Vediamone alcune:
Affidamento in prova al servizio sociale. È considerata la misura alternativa alla
detenzione per eccellenza, in quanto si svolge totalmente nel territorio, mirando ad
evitare al massimo i danni derivanti dal contatto con l'ambiente penitenziario e dalla
condizione di privazione della libertà. Consiste nell'affidamento al servizio sociale del
condannato fuori dall'istituto di pena per un periodo uguale a quello della pena da
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scontare. Requisiti per la concessione:
- pena detentiva inflitta, o anche residuo pena, non superiore a tre anni;
- osservazione della personalità nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento,
anche attraverso le prescrizioni, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la
prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati;
Detenzione domiciliare. Con tale beneficio si è voluta ampliare l'opportunità delle
misure alternative, consentendo la prosecuzione, per quanto possibile, delle attività di
cura, di assistenza familiare, di istruzione professionale, già in corso nella fase della
custodia cautelare nella propria abitazione (arresti domiciliari) anche successivamente al
passaggio in giudicato della sentenza, evitando così la carcerazione e le relative
conseguenze negative.
Liberazione condizionale. La liberazione condizionale consiste nella possibilità di
concludere la pena all'esterno del carcere in regime di libertà vigilata. I requisiti per la
concessione sono di tipo giuridico e soggettivo.
Requisiti giuridici:
- avere scontato almeno trenta mesi o comunque almeno metà della pena, se la pena
residua non superi i cinque anni;
- avere scontato almeno quattro anni di pena e non meno di tre quarti della pena
inflitta, in caso di recidiva aggravata o reiterata;
- avere scontato almeno ventisei anni di pena in caso di condanna all'ergastolo;
- aver scontato almeno due terzi della pena, fermi restando gli ulteriori requisiti e
limiti sanciti dall'art. 176 c.p., in caso di condanna per i delitti di cui all'art. 4bis l.
354/75 (art. 2 del D.L. 13/05/91, n. 152, convertito in legge 12/07/91, n. 203).
Requisiti soggettivi:
- aver tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il proprio ravvedimento;
- avere assolto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che il condannato
dimostri di trovarsi nell'impossibilità di adempierle;
- può essere chiesta in qualunque momento dell'esecuzione dai condannati che
abbiano commesso il delitto da minori di anni 18;
Semilibertà. Può essere considerata come una misura alternativa impropria, in quanto,
rimanendo il soggetto in stato di detenzione, il suo reinserimento nell'ambiente libero è
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parziale. E' regolamentata dall'art. 48 dell'Ordinamento Penitenziario (o. p.), e consiste
nella concessione al condannato e all'internato di trascorrere parte del giorno fuori
dall'Istituto di pena per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al
reinserimento sociale.
Affidamento in prova al servizio sociale per tossicodipendenti. È una particolare forma
di affidamento in prova rivolta ai tossicodipendenti e alcooldipendenti che intendano
intraprendere o proseguire un programma terapeutico. La legge n. 297 del 21 Giugno
1985 ha introdotto l'affidamento in prova in casi particolari, che poi è stato modificato
dalla L. n. 663/86 (Gozzini). Tale misura alternativa è stata poi recepita dal Testo Unico
in materia di stupefacenti (D.P.R. n. 309/90), che è stato successivamente modificato
dalla Legge 21 febbraio 2006, n. 49, che ha introdotto i seguenti cambiamenti:
- l’affidamento in prova terapeutico viene esteso alle pene fino a 6 anni, anche se tale
periodo è residuo di maggior pena;
- la certificazione dello stato di tossicodipendenza non è più di esclusiva competenza
del servizio pubblico, ma anche le strutture private possono certificarlo ai fini delle
misure alternative al carcere e della sospensione dell’esecuzione della pena.
Requisiti per la concessione della misura alternativa o di comunità:
- pena detentiva inflitta, o anche residuo pena, non superiore a sei anni;
- il condannato deve essere persona tossicodipendente o alcooldipendente che ha in
corso o che intende sottoporsi ad un programma di recupero;
- il programma terapeutico deve essere concordato dal condannato con una A.S.L. o
con altri enti, pubblici e privati, espressamente indicati dalla legge;
- una struttura sanitaria pubblica o privata deve attestare lo stato di tossicodipendenza
e l'idoneità, ai fini del recupero, del programma terapeutico concordato.
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3. UN’INDAGINE ESPLORATIVA
3.1 Obiettivi e ipotesi di ricerca
Risulta dunque plausibile che le condotte di abuso di droghe non dipendano da un
fattore isolato, ma piuttosto originano e sono mantenute da diversi fattori di natura
multidimensionale. Tale concettualizzazione della genesi della tossicodipendenza trova
riscontro nel cosiddetto Modello Bio-psico-sociale55 (Engel, 1977), il quale sostiene che
la salute sia costruita socialmente nel contesto dei comportamenti e delle relazioni
umane, dagli stessi essere umani; nell’ambito della vita quotidiana, la realtà
dell’individuo è determinata dai ruoli svolti dalle persone che lo circondano e dalle
relazioni che nel corso della vita egli intrattiene con esse. L’ambiente sociale dunque
influenza il comportamento, facilitando od ostacolando comportamenti specifici
attraverso fattori di disagio che, combinandosi in modo diverso nella storia personale
del soggetto, possono determinare una situazione di crisi tale da predisporlo ad un
contatto con la sostanza stupefacente (riferimento al “modello adattivo”, vedi Capitolo
I). Partendo da questi presupposti è stata svolta un’indagine esplorativa con l’obiettivo
di raccogliere informazioni sulla percezione e rappresentazione che persone con
problemi di tossicodipendenza e allo stesso tempo detenute hanno della propria
condizione relazionale e psicologica, con l’intento di mettere in evidenza il tipo di
relazione che tali persone hanno avuto con le figure familiari significative nel corso
della propria vita e con l’ambiente sociale in cui hanno vissuto, ipotizzando la presenza
di una condizione familiare/sociale e psichica problematiche alle spalle.
Molti autori, inoltre, si interrogano sull’efficacia che un trattamento per “curare” la
tossicodipendenza possa avere in carcere, ma qui non si tratta di “cura”, dato il tipo
particolare di setting in cui si trovano i soggetti, quello carcerario, ma semplicemente di
fornire quanto più risorse possibili che incrementino le loro capacità di coping, che li
motivino al cambiamento, che diano loro la possibilità di decidere del proprio destino,
di far prendere loro coscienza del problema tossicodipendenza nella sua interezza e
lavorare sui propri bisogni, sulla loro genesi (familiare e sociale). Si parte dunque dal
55 Engel, G. L., “The clinical application of the biopsycosocial model”, American Journal of
Psychiatry, n.37, 1980.
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presupposto che abbia senso seguire un trattamento psicologico in carcere con gli
obiettivi appena sopra definiti per coloro che hanno problemi legati alla
tossicodipendenza, e che non abbia semplicemente una funzione di rassicurazione e
controllo sociale. Il trattamento della tossicodipendenza in carcere è molto importante
per evitare che una volta scontata la pena e terminata la detenzione si possa ricadere di
nuovo negli stessi errori del passato. Un rischio molto frequente per le persone
tossicodipendenti è infatti quello della recidiva, circostanza molto difficile da poter
controllare e per questo all’interno del carcere gli operatori dedicano particolare
impegno su questo tipo di detenuti.
Inoltre, in questo progetto di analisi sono state effettuate interviste sia all’ingresso che a
distanza di tempo dall’entrata nel programma, in merito all’opinione che i detenuti
hanno sul trattamento a cui partecipano e sul loro livello di soddisfazione, evidenziando
eventuali miglioramenti nella percezione della qualità del trattamento andando avanti
con il programma nel tempo.
3.2 Partecipanti
La ricerca è stata condotta su un campione composto da 30 soggetti, detenuti e facenti
parte di un programma di trattamento per tossicodipendenti all’interno del Centro
Penitenciario Madrid IV - Navalcarnero. Di questi 30 interni, 10 hanno iniziato il
trattamento da meno di un mese, 8 da un periodo compreso tra 1 e 4 mesi, mentre i
restanti 12 hanno iniziato il trattamento da un periodo superiore ai 12 mesi. Il
programma a cui sono sottoposti i soggetti prevede una presa di coscienza sempre più
profonda nel tempo del “problema tossicodipendenza” da parte degli stessi, i quali, a
partire dal primo ingresso nel programma, che sottolineo essere volontario, vengono resi
partecipi delle decisioni prese dall’equipe di trattamento nei loro riguardi, vengono
informati sulle modalità di svolgimento delle attività (laboratori professionalizzanti,
attività sportive, gruppi di discussione con uno psicologo), vengono loro spiegate le
regole da rispettare per poter seguire nel programma ed avanzare di grado (più si va
avanti nel programma e più si ha la possibilità di accedere a benefici, a sconti di
pena,etc.), tra cui l’assoluta necessità che i risultati delle analisi cliniche delle urine
(effettuate a random diverse volte alla settimana) risultano negativi all’uso di sostanze
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stupefacenti.
La suddivisione in tre gruppi ha permesso di mettere in evidenza un’eventuale
evoluzione, seppur senza nessuna pretesa scientifica, dell’andamento della situazione
psichica e relazionale dei soggetti a distanza di tempo dall’ingresso in carcere.
Il campione è composto da soggetti di sesso maschile, la cui età media è 38.5 anni
(range 23-49, ds. 6.4), e di cui il 60% proviene da città di grandi dimensioni (>100.000
abitanti), il 30% da città di medie dimensioni (comprese tra i 10.000 e i 100.000
abitanti, e solo il 10% proviene da piccole realtà (< 10.000 abitanti). Per quanto riguarda
lo stato civile, una grande percentuale (53.3%) è celibe, di molto superiore allo stato
civile che prevale nel campione italiano (37.8%), il 20% è separato, seguono poi i
coniugati il 13,3% (come è possibile osservare dalla Figura1). Di essi, inoltre, il 43%
dichiara di essere indifferente all’attuale situazione di stato civile, il 33% di non essere
soddisfatta, mentre la più bassa percentuale di soggetti afferma di essere soddisfatto
della propria situazione, come del resto ci si potrebbe aspettare da chi è costretto a
vivere in un contesto coercitivo e limitante come quello carcerario.
Figura 1
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3.3 Metodologia La Dott.ssa Foti ha somministrato le interviste nel carcere Madrid IV-Navalcarnero,
recandosi in loco durante un arco temporale compreso tra Giugno e Luglio 2011. Il
setting di somministrazione delle interviste ai tre gruppi di soggetti è stato dunque
quello carcerario, rispettivamente nel Modulo 4 per coloro appartenenti al primo gruppo
della ricerca (permanenza nel programma di trattamento da 1 mese) e al secondo
(permanenza nel programma di trattamento da 4 mesi), e i restanti nel Modulo 3
(permanenza nel programma di trattamento da oltre 1 anno). La sala in cui è stato
possibile effettuare le interviste (in ordine di somministrazione l’EuropAsi,
successivamente la SDS ed infine il TPQ) era abbastanza ampia e ben illuminata, con la
presenza di una scrivania da utilizzare per la somministrazione dei test. La modalità di
somministrazione utilizzata è stata quella individuale, ritenuta più opportuna per
ottenere un contatto più diretto con l’intervistato data la sensibilità e delicatezza di
alcune domande e dargli la possibilità di esprimersi più liberamente possibile. Inoltre, è
stato presentato a ciascun intervistato un documento in cui era richiesta la loro
autorizzazione per sottoporsi al test, affinché i dati raccolti possano in futuro essere
utilizzati dalla UAD (Unidad de Atenciòn al Drogodependiente) e dall’Equipo de
Tratamiento. Il tempo impiegato per somministrare le interviste è stato da un minimo di
mezz’ora, in quei casi in cui i soggetti si sono rifiutati di portare a termine l’intervista,
ad oltre un’ora, principalmente in quei casi in cui i soggetti, oltre a rispondere a quanto
esplicitamente richiesto dall’intervista, decidevano di arricchire le proprie risposte con
dettagli personali relativi alla propria vita.
3.4 Strumenti
Strumenti rapidi ed affidabili orientati a valutare la dipendenza da sostanze psicoattive
d'abuso e la possibile presenza di una patologia psichiatrica correlata risultano
particolarmente utili nell'orientare gli operatori dei servizi pubblici per le
tossicodipendenze, soprattutto in quelle condizioni ambientali e di “setting” che non
consentono lunghe interviste ai pazienti, come appunto accade in ambito carcerario. A
questo riguardo sono stati selezionati alcuni questionari di facile e rapida
somministrazione.
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Per la raccolta dati la dott.ssa Foti si è avvalsa di tre diversi strumenti: la versione
europea dell’“Addiction Severity Index”56, la “Severtity Dependance Scale”57 e il
“Treatment Perceptions Questionnaire”58.
L'A.S.I.59, proposto nel 1980 negli U.S.A., è un’intervista semi-strutturata che consente
di valutare sul piano diagnostico più puntualmente la dipendenza da sostanze.
Il questionario EuropASI è articolato su sette aree problematiche: condizione medica;
situazione occupazionale/di sostentamento; uso di alcol; uso di altre sostanze
psicoattive; situazione legale; situazione familiare e sociale; condizione psicologica e
psichiatrica. Tali questionari, sicuramente utili ed esaustivi, richiedono tempi di
somministrazione relativamente lunghi; questo strumento, pertanto, non può essere
utilizzato di routine in quei contesti nei quali la disponibilità di tempo per l'esame del
paziente è limitata, quando il setting clinico è inidoneo oppure quando la partecipazione
attiva richiesta al paziente risulta insufficiente. Si può considerare come il primo passo
per sviluppare un profilo dell'utente utilizzabile in un secondo momento da parte dei
ricercatori e dei clinici.
Per motivi di logistica (poco tempo a disposizione, setting favorevole alla
somministrazione intera del test) e di maggiore affinità agli obiettivi dell’indagine, si è
scelto di somministrare solo la parte del test relativa alle relazioni familiari e alla
situazione psichiatrica e psicologica, con range di risposta da 0 a 9.
Il secondo test che somministrato è stato la Severity Dependence Scale (SDS), la quale
è considerata particolarmente utile per valutare la dipendenza da sostanze illecite,
somministrabile ai pazienti in breve tempo e di facile comprensione. E' formata da
cinque domande orientate ad apprezzare l'intensità del controllo esercitato dalla
sostanza d’abuso sul comportamento del paziente, ed ogni domanda ha 4 livelli di
risposta con punteggio da 0 a 3. Il punteggio totale è compreso tra 0 (nessuna
dipendenza) e 15 (dipendenza estrema).
E' stato dimostrato che i punteggi dell'SDS sono correlati ai comportamenti
d'assunzione di droghe che si correlano significativamente a fattori di gravità della 56 EuropASI, versione spagnola validata da Stephen F. Butler, José Pedro Redondo, Kathrine C.
Fernandez, e Albert Villapiano, 2009. 57 Gossop et. al., 1995. 58 Mardsen et. al., 1998. 59 McLellan, A. T., Luborsky, L., Woody, G. E. & O’Brien, C. P., 1980, “An improved diagnostic
evaluation instrument for substance abuse patients: the Addiction Severity Index, J. Nervous and Mental Disease”, 168, 26-33.
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dipendenza quali dose, frequenza d'uso, durata d'uso e grado di contatto con altri
abusatori di sostanze psicoattive60.
Infine, il Treatment Perceptions Questionnaire (TPQ) è facilmente utilizzabile e
specifico per valutare la percezione della qualità del trattamento specifico per il settore
delle dipendenze. Rappresenta un semplice strumento per valutare il grado di
soddisfazione del processo terapeutico degli utenti in carico e permette agli operatori di
monitorare la funzionalità del trattamento applicato, al fine di raggiungere un buon esito
di quest’ultimo.
Il test contiene 10 item e si compone di due aree: la prima concerne la percezione degli
utenti riguardo alla natura e all’intensità del contatto con lo staff del programma (5
item); la seconda riguarda gli aspetti del servizio di trattamento e la sua applicazione, le
sue regole e le normative. Ogni item è registrato con una scala di tipo Likert a 5 punti
(che va “Molto d’accordo” a “Molto in disaccordo”). A questa parte segue una seconda
sezione che consiste in uno spazio bianco in cui gli utenti possono scrivere osservazioni
e suggerimenti importanti per loro.
3.5 Analisi statistiche e risultati
È stata svolta un’analisi esplorativa e descrittiva del campione attraverso la procedura
statistica SPSS 15.0, con la quale si è cercato di mettere in evidenza gli aspetti
maggiormente interessanti e rilevanti ai fini dell'indagine.
La prima parte dell’EuropAsi, è quella relativa alle relazioni interpersonali (familiari e
sociali) e al vissuto personale dei soggetti; la seconda parte, invece, descrive lo stato
psicologico/psichiatrico degli stessi.
Dall’analisi dei dati relativi alle persone con cui i soggetti trascorrevano il loro tempo
in libertà, si evince come nella maggior parte dei casi (70%) si trattava di amici che
facevano uso di sostanze stupefacenti o di alcol, il 26.7% dei detenuti intervistati invece
frequentava amici che non ne facevano uso e solo il 3.3% dichiara di essere stato solito
trascorrere il tempo libero fuori dal carcere con i familiari. (in nota: Le relazioni
amicali, però, non venivano considerate profonde e sincere, ma piuttosto, come
60 Gossop M., Darke S., Griffhit P., Hando J., Powis B., Hall W. & Strang J., 1995, “The Severity
of Dependence Scale (SDS) psychometric properties of the SDS in English and Ausatralian samples of heroin, cocaine and amphetamine users addiction”, 90, 607-614.
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affermato da molti durante le interviste, “a convenienza” e “di interesse”).
Per quanto riguarda invece le relazioni familiari, è stata analizzata la percezione della
qualità delle relazioni che ciascun soggetto ha sperimentato nel corso della vita con i
genitori, i fratelli/sorelle, il partner e i figli, e infine con gli amici. È risultato che il
76.6% dei soggetti dichiara di avere avuto nel corso della vita un tipo di relazione
duratura e prossima con la madre (solo il 13.3% afferma il contrario) e il 73.3% lo
stesso tipo di relazione con fratelli/sorelle, mentre la situazione cambia di molto quando
si affronta il discorso del rapporto con il padre. Infatti, solo il 46% dei soggetti dichiara
aver intrattenuto con lui una relazione duratura e di vicinanza emotiva, il 23.3% afferma
di non aver sperimentato con il padre una relazione duratura e di vicinanza emotiva, e
sempre il 23.3% afferma di non aver avuto la presenza di una figura paterna, intendendo
con ciò sia la possibilità che sia deceduto che la considerazione di tale figura come
assente nella propria vita.
Il 63,3% dei soggetti ritiene di aver avuto relazioni durature e positive con il proprio
partner, nonostante il 43,3% riferisca di problemi relazionali, sempre riferendosi al
partner, esperiti durante l’arco della vita. Pochi invece i soggetti con figli: il 43,3% del
campione non ne ha; coloro che ne hanno si considerano vicini a loro emotivamente.
Infine, alta è la percentuale di coloro che hanno avuto profonde relazioni amicali (il
70%) nella loro vita, nonostante il numero esiguo di amici intimi (in media); soltanto il
26,7% afferma di avere problemi relazionali con gli amici intimi.
All’item relativo alla soddisfazione per la propria situazione relazionale attuale,
particolarmente quella familiare, il panorama di risposte è stato abbastanza vario. Infatti
il 43% sostiene di esserne indifferente, il 33% ritiene di non essere soddisfatto, mentre il
23,3% afferma di essere soddisfatto. Approfondendo la questione, e analizzando le
risposte suddividendo il campione in tre gruppi in base al periodo di permanenza nel
programma di trattamento, notiamo come la percentuale maggiore di chi afferma di
essere soddisfatto dell’attuale situazione è quella presente tra coloro che hanno già
trascorso un anno in trattamento.
Per quanto concerne invece la domanda relativa alla preoccupazione esperita dai
soggetti nell’ultimo mese riguardo ai propri problemi familiari e ai problemi sociali, il
totale del campione ha affermato quanto segue: il 56% ritiene di non essere preoccupato
per eventuali problemi familiari che sta vivendo, ed il 70% non è preoccupato per
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eventuali problemi a livello sociale. Se anche in questo caso andiamo a vedere le
percentuali di risposta nei singoli gruppi, risulta che nel primo gruppo il 40% sia
“abbastanza” preoccupato per i problemi familiari, mentre nel secondo gruppo l’87,7%
dichiara di non esserne preoccupato, come il 72,7% dei soggetti del terzo gruppo.
Per quanto riguarda invece le informazioni relative alla presenza di eventuali abusi di
tipo emotivo61, fisico62 o sessuale63 subiti nel corso della vita, risulta che nessun soggetto
è stato mai abusato sessualmente da nessuna persona tra quelle che gli sono state
elencate (madre, padre, partner, altri familiari, amici, vicini, colleghi di lavoro), ma che
il 26,7% ritiene di aver subito abusi di tipo emozionale/psicologico ed il 10%, abusi di
tipo fisico.
Se analizziamo quanto riscontrato nella seconda parte dell’Europasi, quella inerente ai
dati sulla condizione psicologica dei soggetti, le domande mirano in particolare a
rilevare se il soggetto abbia sofferto di determinate problematiche psicologiche più o
meno gravi, che non siano conseguenza dell’uso di droga, sia nel corso della vita che
nel corso dell’ultimo mese. Risulta che il 43,3% dei soggetti abbia avuto episodi di
depressione, percentuale che aumenta se consideriamo coloro che hanno avuto periodi
di ansietà o tensione severa (46,7%). E' interessante notare come il 50% dei soggetti
accusi problemi di concentrazione, memoria e comprensione nel corso della vita, la cui
causa viene identificata dagli intervistati stessi nell’abuso di droga. Il 33,3% di essi
inoltre sostiene di aver avuto difficoltà a controllare comportamenti violenti nel corso
della vita.
Solo il 13,3% afferma di aver sofferto di episodi di allucinazioni durante il corso della
vita. Infine, il 30% afferma di aver avuto necessità di prescrizioni farmacologiche, ed il
33,3% dichiara di aver pensato seriamente al suicidio (il 16,7% di essi ha compiuto
almeno una volta nella vita un tentativo di suicidio).
Per quanto riguarda la sessione delle domande che si riferisce esclusivamente agli ultimi
30 giorni, notiamo come le percentuali diminuiscono notevolmente in tutti gli item. Ad
61 Include qualsiasi comportamento, verbale o non verbale, che ha un impatto negativo sul
benessere emotivo/psicologico di un’altra persona. 62 S’intende l'infliggere intenzionalmente dolore ad una persona allo scopo di penalizzare i
comportamenti indesiderati o disapprovati e di impedirne il ripetersi. 63 Nota: si intende il coinvolgimento in attività sessuali di una persona non in grado di scegliere, o
perché sottoposta a costrizione fisica e/o psicologica, e/o perché non consapevole delle proprie azioni, ad esempio per via dell'età, di una particolare condizione psico-fisica, etc.
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esempio solo il 16,7% degli intervistati sostiene di aver avuto episodi di depressione
nell’ultimo mese ed il 20% di aver sofferto di forte ansietà, mentre solo il 6,7% ha
accusato problemi di concentrazione, memoria e comprensione.
Il secondo test somministrato, la Severity Dependence Scale, si focalizza sulla modalità
con la quale il soggetto affronta la dipendenza da un punto di vista personale. Alla
domanda sulla difficoltà a controllare l’uso di droga, il 50% del campione ha risposto
“sempre/quasi sempre”, il 16,7% “spesso”; il 33,3% sempre o quasi sempre si sentiva
preoccupato all’idea della possibilità di saltare una dose; il 40% invece afferma di aver
desiderato “sempre/quasi sempre” di poter smettere. Infine alla domanda relativa alla
difficoltà riscontrata nello smettere si assumere droghe, è interessante notare che il 40%
dichiari di non avere difficoltà, mentre il 33,3% ha risposto “molto difficile”.
Analizzando i punteggi finali relativi all’intensità di dipendenza per ogni soggetto , che
va da 0 a 15, è stata operata una suddivisione in quattro diverse classi (0-3 livello di
dipendenza lieve; 4-7 livello di dipendenza moderato; 8-11 livello di dipendenza
considerevole; 12-15 livello di dipendenza estrema). Il 40% dei soggetti presenta un
livello di dipendenza considerevole e il 23,3% moderato; il livello di dipendenza
estrema è percepito nel 16,7%, ugualmente a quello lieve (Figura 2).
Figura 2
Infine è stato somministrato il Treatment Perceptions Questionnaire a coloro che hanno
iniziato il trattamento da 4 mesi (N=8) e a coloro che invece sono in trattamento da
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almeno 1 anno (N=12).
In entrambi i gruppi si riscontra un accordo sull’essere stati ben informati circa le
decisioni prese riguardo al trattamento (62,5% dei soggetti del primo gruppo ha risposto
“molto d’accordo”, lo stesso ha risposto il 75% dei soggetti secondo gruppo), accordo
che ritroviamo anche agli item 4 (“C’è sempre stato un membro dell’équipe disponibile
quando ho avuto bisogno di parlare”), 5 (“L’équipe ha contribuito a motivarmi nel
risolvere i miei problemi”) e 9 (“Ho ricevuto l’aiuto che stavo cercando”).
E' stata notata, infine, una piccola ma interessante differenza nella tendenza delle
risposte date dai due gruppi: infatti, nonostante la maggioranza dei soggetti per ogni
gruppo abbia dato risposte simili, sia in negativo che in positivo, il secondo gruppo
differisce dal primo per posizioni più estreme nelle affermazioni. Ad esempio,
all’affermazione “Io e gli operatori di riferimento abbiamo avuto idee diverse su quelli
che avrebbero dovuto essere gli obiettivi del mio trattamento”, la percentuale maggiore
di soggetti del primo gruppo (50%) la ritroviamo nella risposta “in disaccordo”, mentre
la percentuale maggiore dei soggetti del secondo gruppo (25%) a tale affermazione ha
risposto con “molto in disaccordo”; un’analoga estremizzazione della qualità delle
risposte la ritroviamo agli item 7 (“Non mi è stato dato abbastanza tempo per tirare fuori
i miei problemi”), 8 (“Ritengo che l’équipe abbia fatto un buon lavoro”) e 10 (“Non mi
sono piaciute tutte le regole del servizio”).
ANALISI STATSTICHE
I punteggi di gravità dell’EuropAsi si riferiscono a valutazioni che l’intervistatore
effettua in relazione ad ogni soggetto. Dato che i punteggi sono quindi influenzati
dall’opinione e dalla soggettività dell’intervistatore, Consoli e Bennardo64 suggeriscono
di assumere un metodo, che consiste nel basarsi sule seguenti categorie:
- Da 0 a 1: nessun problema reale, trattamento non indicato.
- Da 2 a 3: problema lieve, trattamento probabilmente non necessario.
- Da 4 a 5: problema moderato, indicato qualche trattamento.
- Da 6 a 7: problema considerevole, trattamento necessario.
- Da 8 a 9: problema grave, trattamento assolutamente necessario.
64 Consoli, A., Bennardo, A., “Diagnosi e valutazione nelle tossicodipendenze e nell’alcolismo –
Addiction Severitu Index”, Centro Scientifico Editore, Torino, 2001.
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L’analisi di correlazione dei punteggi di gravità nell’area interpersonale e in quella
psicologica effettuata con r di Pearson (da ricordare che si verifica solo l’associazione
tra le due variabili e non la loro relazione causale) ha rilevato, come è possibile
osservare nella tabella qui di seguito, una correlazione significativa e di direzione
positiva tra le due variabili (r =.52; p<0.01). Correlazioni
Profilo di
Gravità rel1 Profilo di
gravità psi1
Profilo di Gravità rel1 Correlazione di Pearson 1 ,466(*)
Sig. (bilateral) ,011
N 29 29
Profilo di gravità psi1 Correlazione di Pearson ,466(*) 1
Sig. (bilateral) ,011
N 29 29
* La correlazione è significativa al livello 0,05 (bilaterale).
Figura 3
Dall’analisi emerge che i problemi maggiormente riscontrati sono quelli nell’area
psicologica/psichiatrica piuttosto che in quella relazionale/familiare (vedi grafici).
Figura 4
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Figura 5
Dall’analisi descrittiva delle frequenze dei profili di gravità nelle due aree analizzate e
suddividendo il campione in tre gruppi (1=trattamento iniziato da 1 mese; 2=trattamento
iniziato da 4 mesi; 3=trattamento iniziato da almeno 1 anno), è possibile notare delle
differenze tra di essi, ovvero c’è una differenza riscontrabile nel tempo tra la gravità
della situazione relazionale e psicologica di tali soggetti nel tempo, differenza che
potrebbe essere ricondotta, tra i vari fattori, anche agli effetti prodotti dal trattamento,
come sostenuto nelle ipotesi iniziali.
Per evidenziare la differenza delle medie dei punteggi di gravità nelle due aree
dell’EuropAsi per ogni gruppo è stata svolta un’ANOVA ONE WAY, considerando
come variabile indipendente il periodo d’ingresso nel programma di trattamento
suddiviso in tre livelli, e come variabile dipendente il punteggio di gravità ottenuto da
ogni gruppo di soggetti nell’area psicologica, e poi in quella relazionale. L’analisi ha
mostrato un effetto principale significativo della variabile indipendente (F=16.09;
p<0.05; η2=.99). Inoltre si evidenzia, come è possibile notare dai valori della Figura 5,
una diminuzione del punteggio di gravità man mano che passa il tempo: il punteggio di
gravità va diminuendo progressivamente a partire dal gruppo 1 fino al terzo, dunque vi è
un miglioramento progressivo dello stato psicologico/emotivo.
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Figura 5
Lo stesso risultato è riscontrabile per il punteggio di gravità nell’area dell’intervista
relativa alle problematiche familiari/sociali. Infatti anche qui vi è un effetto principale
significativo della variabile indipendente (F=13.05; p<0.05; η2=.99).
Inoltre, le differenze significative emergono solo tra il primo gruppo in relazione al
secondo ed al terzo, da cui è possibile inferire che le differenze maggiori tra i punteggi
di gravità siano riscontrabili tra il periodo del primo ingresso nel programma e i
successivi periodi, e che non vi siano differenze significative, dunque vi è una certa
omogeneità, nelle risposte di coloro che assistono al programma a partire da 4 mesi e
chi lo fa da oltre 1 anno.
3.6 Discussione
Ciò che emerge dall’intervista EuropAsi e dai risultati dell’analisi descrittiva a
proposito delle figure genitoriali è che la figura paterna nella percezione dei detenuti
intervistati o non è mai esistita come figura emotivamente significativa, o, nonostante
sia stata presente nell’infanzia del soggetto, la relazione con essa viene ritenuta né
intensa né duratura: vi è quindi la percezione, da parte dei soggetti, di un rapporto
problematico e qualitativamente scadente con la figura paterna. Al contrario, la figura
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materna viene elogiata, quasi idealizzata: nonostante i soggetti riferiscano di intrattenere
un rapporto difficile con lei, ritengono che la madre sia stata e sia ancora un punto
fermo nella loro vita. Recalcati65 parla a questo proposito di “una paternità indebolita
ma comunque essenziale” e di “evaporazione del padre”: con la sparizione del padre,
afferma l’autore, sparisce anche l’esperienza del limite e della conflittualità, del No che
orienta e stimola l’affacciarsi nel giovane di un’identità desiderante, di una trasgressione
che nasce dal desiderio di infrangere la legge rappresentata dalla figura paterna.
Dunque, il rapporto con il padre appare non particolarmente intenso e stabile nel tempo,
a differenza di quello materno che, nonostante la presenza di eventuali problematicità,
risulta essere rappresentato dagli intervistati come più duraturo.
Alcuni autori hanno compiuto diversi studi a riguardo: ad esempio, nello studio
condotto da Kaufman nel 198166 emerge che la figura materna è centrale rispetto a
quella paterna: l’88% delle madri manifesta con i figli tossicodipendenti un rapporto
simbiotico ed il loro stato emotivo è totalmente dipendente dal comportamento e dalla
qualità della relazione con il figlio; il 43% dei padri, invece, risulta assente o
emotivamente distante dal figlio.
In riferimento alle relazioni con gli amici intimi, che ricordiamo essere in media poco
più di uno per soggetto, emerge che il tessuto sociale in cui vivono le persone
tossicodipendenti è uno dei fattori di rischio che pregiudicano la loro evoluzione verso
un profilo criminale (vedi Cap. I), pertanto non sorprende che tali soggetti intrattengano
relazioni amicali con persone che anch’esse abusano di sostanze stupefacenti. È
ipotizzabile che un soggetto tossicodipendente, infatti, tenda a frequentare una ben
precisa cerchia di amici, anch’essi legati all’uso di droga, e non è da escludere che
questo possa influenzare il suo cammino futuro o che, viceversa, egli stesso possa aver
avuto un certo ascendente sulle persone a lui vicine.
Per quanto riguarda l’area dello stato psichico/emotivo, si potrebbe ipotizzare che il
decremento della percentuale di soggetti che accusa problemi psicologici nell’ultimo
mese rispetto a quelli sofferti durante tutta la vita sia dovuto, anche solo in parte, agli
effetti del trattamento, e che le alte percentuali riscontrate nelle prime domande siano
connesse alla vita che ha preceduto la carcerazione, quindi all’ambiente familiare-
sociale in cui il soggetto è cresciuto e ha vissuto. Per quanto concerne l’alta percentuale 65 Recalcati, M., “Cosa resta del padre?, Raffaello Cortina, Torino, 2011. 66 “Family structure of narcotic addicts”.
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di soggetti che ritiene di aver avuto nel corso della vita episodi depressivi, o di soffrirne
ancora, uno studio condotto da Hartmann (Hartmann, D., “A study of drug-taking
adolescent”, Psychoanalityc Study of the Child, vol. 24, 1969) conferma la presenza di
uno stato depressivo prima dell’assunzione della droga e di un progressivo deteriorarsi
dell’Io determinato dall’abuso di essa; inoltre, l’autrice collega questo stato psicologico
alle relazioni sociali dei soggetti tossicodipendenti, considerate superficiali, infantili,
tendenti alla dipendenza. Inoltre l’alta percentuale di stati d’ansia e di tensione nervosa
accusata dai soggetti può essere collegata direttamente al fatto di trovarsi in un ambiente
confinato e con l’impossibilità di vivere pienamente i rapporti interpersonali con la
famiglia o persone significative al di fuori dal carcere.
Relativamente al Treatment Perceptions Questionnaire, nell’item 1 (“Gli operatori non
hanno sempre capito il tipo di aiuto che volevo”) abbiamo visto come ci sia una
sostanziale differenza tra i due gruppi circa l’opinione relativa alla capacità dei
professionisti di comprendere appieno i problemi dei detenuti: coloro che stanno in
trattamento da più di un anno evidentemente hanno raggiunto un maggior livello di
consapevolezza e sono stati in grado, in questo modo, di apprezzare maggiormente
l’impegno e la capacità degli operatori, qualità che stentano ad evidenziare coloro che
sono appena entrati nel programma, evidentemente per la situazione altamente
stressante in cui si trovano. Inoltre, è possibile ipotizzare un maggiore senso critico tra i
soggetti del secondo gruppo rispetto al primo, probabilmente dovuto ad una visione più
completa del programma a cui partecipano, comprensiva di tutti i pregi e i difetti del
trattamento e possono perciò essere più “attendibili” nel fornire un giudizio.
Si può ricavare dai dati raccolti una valutazione positiva del trattamento a cui
partecipano i soggetti ed una generale soddisfazione delle prestazioni degli operatori e
dell’aiuto ricevuto. Anche i commenti rilasciati da alcuni intervistati riconducono a
questa considerazione, ad eccezione di alcune critiche rivolte principalmente alle norme
“troppo rigide e severe”, “poco flessibili” e “a volte ingiuste” del programma di
trattamento. Con queste parole, i detenuti fanno riferimento soprattutto alle analisi
cliniche a cui devono sottoporsi per verificare eventuali tracce di sostanze stupefacenti
nel sangue, il cui esito positivo, anche laddove fosse stato l’unico episodio nella storia
trattamentale del detenuto, comportava la retrocessione ad un livello inferiore di
trattamento.
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Commenti positivi riguardano soprattutto l’aiuto e la competenza offertagli dagli
operatori: “sono molto gentili”, “sanno ascoltare”, “sono disponibili a parlare con me
anche se fuori dall’orario stabilito per le sedute”.
Sempre secondo lo studio condotto da Cesáreo Fernández Gómez citato in precedenza, i
pazienti tossicodipendenti con problematiche giuridiche sono generalmente ben
motivati al cambiamento nel comportamento, al trattamento e alla riabilitazione. Tale
motivazione la riscontriamo in entrambi in gruppi della ricerca, con percentuali del 75%
nel primo gruppo e 58,3% nel secondo gruppo nella risposta “molto d’accordo” all’item
5 (“L’equipe ha contribuito a motivarmi nella risoluzione ai miei problemi).
Quanto riscontrato finora in merito alla diminuzione della gravità dei punteggi dei
soggetti riscontrati nell’area delle relazioni familiari e sociale e in quella psicologica /
emotiva in funzione del tempo trascorso all’interno del programma di trattamento,
sostengono l’ipotesi secondo la quale i soggetti del terzo gruppo percepiscono una
situazione personale maggiormente positiva rispetto a quelli appartenenti al primo.
Infatti se analizziamo il livello di soddisfazione per la situazione attuale per ciascun
soggetto e il livello di preoccupazione dei soggetti nell’ultimo mese in merito alla
propria situazione familiare e quella sociale, il primo gruppo raggiunge un livello di
preoccupazione maggiore (il 30%% afferma di essere preoccupato) rispetto ai gruppi 2 e
3 (rispettivamente l’87,5 e il 72,7% affermano di non esserlo), soprattutto per quanto
riguarda problematiche familiari, mentre percentuali minori si riscontrano nel livello di
preoccupazione per le relazioni sociali.
Anche il livello di soddisfazione subisce un cambiamento nella percezione soggettiva
dei detenuti: vi è una differenza in questo caso tra coloro che partecipano al trattamento
fino al periodo di 4 mesi e coloro che invece sono rimasti nel programma per almeno 1
anno, avendo quest’ultimo gruppo un livello di soddisfazione più alto rispetto al primo,
in quanto, migliorando la percezione della situazione interpersonale e psicologica,
diminuisce anche il livello di preoccupazione ed aumenta, anche se di poco, il livello di
soddisfazione per la propria situazione attuale.
Tutti questi elementi portano a riflettere sulla valenza positiva che può avere un
trattamento per la tossicodipendenza, seppur in un contesto difficile come è quello
carcerario.
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CONCLUSIONI
L’Istituzione Penitenziaria è una componente indispensabile della sicurezza del Paese e
delle politiche di interventi sociali. Riguardo alla sua funzione, esiste la convinzione che
solo costruendo spazi di trattamento, rieducazione e riabilitazione per gli autori di reato
si potranno dare risposte efficaci che incrementino la sicurezza e la libertà dei cittadini.
Le mie riflessioni nascono proprio dalla domanda per cui la costruzione di tali spazi sia
solamente in funzione di una sorta di rassicurazione e di controllo sociale, o sia davvero
possibile un cambiamento profondo nel reo tale da privarlo, una volta uscito dal carcere,
dell’idea, della necessità e della volontà di ricommettere reati. Per coloro che oltre ad
essere detenuti sono anche tossicodipendenti, il discorso diventa ancora più complesso,
in quanto il trattamento intramurario per questo tipo di problematica non solo è mirato a
distogliere il detenuto dalla recidiva una volta terminata la condanna, ma anche ad
interrompere l’abuso di droga, intraprendendo un nuovo cammino. Per questo tipo di
detenuti, l’intervento dello psicologo in carcere poggia proprio sull’idea-guida che il
sostegno ed il trattamento possano rispettivamente supportare l’Io nelle fasi più critiche
della vita ed incidere significativamente sulla organizzazione esistenziale del soggetto
promuovendone il senso di colpa, di responsabilità e di autocritica e motivandolo al
reinserimento sociale. Tuttavia, questi presupposti teorici si confrontano e si scontrano
con i vincoli e le richieste istituzionali che li rendono a fatica compatibili con la
quotidianità detentiva e con la precarietà che ancora, nonostante gli innumerevoli sforzi
realizzati, caratterizza l'operare “al di là del muro”.
L’idea di una pena che abbia funzioni riabilitative e rieducative ha numerosi vantaggi
rispetto ai modelli che l’hanno preceduta. Mi riferisco in particolare al modello di
giustizia retributivo, secondo cui, come spiegato da Gatti e Marugo67 “è il reato
l’oggetto, la finalità l’accertamento della colpevolezza, i mezzi l’applicazione della
sanzione”68, diversamente dalla filosofia di pena successiva che rientra nel modello di
giustizia riabilitativa, su cui si basano gli attuali programmi di trattamento, nella quale
“l’oggetto è la persona autore di reato, l’obiettivo il reinserimento sociale, gli strumenti
67 Gatti, U., Marugo M., “La vittima e la giustizia ripartiva” Marginalità e società, 27, 1994. 68 Ibidem, pp.12-32.
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il trattamento socio riabilitativo orientato verso la modifica del comportamento”.69
Nonostante il passaggio al modello riabilitativo abbia costituito una svolta nelle
modalità di approccio e di gestione del problema della criminalità, esso ha rivelato una
serie di limiti dal punto di vista pratico e applicativo. Nella condizione attuale spesso si
è passati da un atteggiamento di totale responsabilizzazione del reo all’assegnazione al
contesto sociale di valenze conflittuali, determinando una sostanziale disarmonia nelle
strategie di lettura e di realizzazione del senso che questa idea di pena trasmette. Si
passa cioè spesso dall’attribuzione quasi esclusiva della colpa del comportamento
deviante al contesto sociale, quasi in un ottica di causalità lineare, alla pretesa di
correzione della personalità: la ricerca di un equilibrio tra sicurezza, controllo sociale e
riabilitazione individuale è, in ultima analisi, ancora in atto, ma pare che la costante
tensione fra queste dimensioni provochi continui sbilanciamenti che non fanno che
rendere confuso e di difficile gestione l’intero sistema.
Secondo la rivisitazione ad opera di Francesco D’Agostino70 del testo di Mathieu
“Perché punire?”, “Il compito del diritto in generale, e del diritto penale in particolare,
sarebbe quindi quello di inserirsi nella sequenza causale e deterministica delle azioni
umane per promuovere quelle socialmente funzionali alla coesistenza e prevenire o
reprimere quelle che portano la coesistenza inevitabilmente alla paralisi”71. Le azioni
socialmente distruttive vanno represse con sanzioni penali, individuandosi “nella
sofferenza attivata nel reo dalla sanzione penale una straordinaria forza endogena”, che
però non stravolga l’identità della persona, ma che operi in essa trasformazioni profonde
per farle espiare le sue colpe. Partendo da questo presupposto, dunque, le azioni sociali
andrebbero trattate e non semplicemente criminalizzate.
Alla luce di quanto riscontrato in letteratura, in legislatura e dall'indagine esplorativa
effettuata sul campo, è possibile ipotizzare che vi siano i presupposti normativi e
ideologici per credere che un trattamento per la tossicodipendenza in carcere possa
essere efficace, ma solo alla condizione che venga svolto tenendo conto della
complessità e della multifattorialità del problema. In riferimento agli svariati motivi che
possono indurre una persona ad abusare di droga, a quali bisogni effettivamente cerca di
porre rimedio con essa, una variabile molto forte che potrebbe motivare tali condotte nei
69 Ibidem. 70 D’Agostino, F., “Rileggendo Perché punire?”, Paradoxa, 3, 2009. 71 Ibidem, p.21.
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soggetti tossicodipendenti potrebbe soggiacere prevalentemente nel bisogno di
modificare ed espandere gli stati di coscienza, dal bisogno cioè di regolare le emozioni e
ridurre lo stato di disagio dovuto ad una insoddisfazione personale che essi
percepiscono nel loro ambiente di vita. Infatti, le relazioni dei soggetti del campione con
le persone significative della loro vita appaiono problematiche, in particolar modo
quella con la figura paterna, come del resto riscontrato da vari studi familiari sulla
tossicodipendenza citati nel primo capitolo.
Uno degli obiettivi primari di qualsiasi trattamento è quello di modificare il modo di
percepirsi e rapportarsi: ciò porta ad una maggiore consapevolezza della realtà
rappresentata dall’Altro, e costituisce un importante punto di partenza verso
l’assimilazione di una nuova modalità di gestione dell’azione reato e delle sue
conseguenze. Il detenuto non deve soltanto scontare la sua pena, ma deve arrivare a
capire il senso delle sue azioni e tutto ciò che può fare per evitare di commettere gli
stessi errori, giungendo ad una consapevolezza più profonda dei suoi problemi e di ciò
che lo ha condotto ad intraprendere il cammino delittuoso, rendendosi soggetto attivo
nelle scelte che prenderà in futuro sulla sua vita. Per una “riabilitazione” duratura del
paziente, inoltre, occorre lavorare all'interno della rete sociale dell’individuo per riuscire
ad attingere a tutte le risorse possibili, in un’ottica di empowerment. La famiglia,
quindi, sarà oggetto a tutti gli effetti del percorso, e come tale avrà diritto ad essere
sostenuta per affrontare i non pochi problemi che un individuo tossicodipendente
all’interno di questo nucleo può causare. Secondo tale modello, all’intreccio
eziopatogenenetico dei nodi causativi biologici, psicologici e socio-familiari, dovrebbe
corrispondere una strategia terapeutica che articoli in maniera non contraddittoria
interventi farmacologici, psicoterapeutici e socio-riabilitativi72.
Abbiamo visto dai risultati del test Europasi come siano influenti nella percezione delle
persone tossicodipendenti detenute, e dunque anche sulla loro condotta, le relazioni
familiari e sociali, e come tali percezioni influiscano sul loro stato emotivo, psichico
(rilevanti sono i livelli di ansia, depressione e problemi di concentrazione riscontrati nel
campione), sul livello di soddisfazione generale e allo stesso tempo di preoccupazione.
Infatti dall’analisi dei risultati emerge che man mano che le percezioni della qualità di
tali relazioni migliorano nel tempo, minore è la gravità dei disturbi psicologici 72 Fassino, S., Daga, G. A., Leombruni, P. M. “Manuale di psichiatria biopsicosociale”, Centro
Scientifico editore, Torino, 2007.
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sperimentati, maggiore è il livello di soddisfazione e minore quello di preoccupazione,
confermando l’ipotesi secondo cui il contesto familiare e sociale in cui il soggetto
tossicodipendente è inserito svolge un ruolo fondamentale nel condizionare i suoi stati
emotivi e psicologici.
Come sostenuto anche da Cigoli e Mariotti73, si può comprendere e curare la malattia
curando non solo il corpo e non solo la psiche, ma anche la relazione familiare, e
sapendo che così si opera a favore della comunità. Ad oggi, benché la maggioranza
degli esperti si sia allontanata da un’ottica individualista, sostenendone una
multifattoriale, riconoscendo così il passaggio da un’ottica biomedica a quella bio-
psico-sociale, nella realtà clinica sono presenti ancora alcuni problemi applicativi.
Molti operatori del settore non hanno la giusta preparazione, altri continuano ad
applicare rigidamente il modello medico, rimanendo ancorati ad esso. Diventa
necessario, davanti alla prospettiva di implementare ed incrementare lo sviluppo di
futuri programmi di trattamento per persone tossicodipendenti in carcere, sensibilizzare
e formare maggiormente gli operatori sulla qualità poliedrica e multidimensionale del
fenomeno della tossicodipendenza, affinché possano essere maggiormente consapevoli
di tutte le variabili fisiche, mediche e psicologiche che giocano un ruolo nella genesi e
nel mantenimento della tossicodipendenza; inoltre, è opportuno valutare con precisione
e rigorosità scientifica l’efficacia dei programmi già esistenti, in particolar modo la
percezione che i soggetti hanno della qualità del trattamento a cui partecipano, in
un’ottica di critica e di miglioramento degli stessi e di suggerimenti possibili da
apportare ai successivi programmi.
73 Cigoli, V., Mariotti, M., “Il medico, la famiglia, la comunità”, Franco Angeli, Milano, 2002.
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BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association, “Diagnostic and Statistical Manual of Mental
Disorders” DSM IV, APA, Washington DC, 1994.
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