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Istituto MEME: Tra la realtà dell'esperienza e l ...1].pdf · narrazione. Il secondo capitolo...

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Istituto MEME associato a Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles TRA LA REALTA’ DELL’ESPERIENZA E L’ESPERIENZA DELLA FANTASIA Uno spazio affettivo-creativo dove immaginare, creare e giocare Scuola di Specializzazione: Arti Terapie Relatore: Dott.ssa Roberta Frison Contesto di Project Work: Servizio di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva - Azienda Usl Tesista Specializzando: Paola Masi Anno di corso: Secondo Modena, 4 settembre 2010 Anno Accademico: 2008 - 2009
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Istituto MEME associato a

Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles

TRA LA REALTA’ DELL’ESPERIENZA E L’ESPERIENZA DELLA FANTASIA

Uno spazio affettivo-creativo dove immaginare, creare e giocare

Scuola di Specializzazione: Arti Terapie

Relatore: Dott.ssa Roberta Frison

Contesto di Project Work: Servizio di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva - Azienda Usl

Tesista Specializzando: Paola Masi

Anno di corso: Secondo

Modena, 4 settembre 2010 Anno Accademico: 2008 - 2009

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ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES

PAOLA MASI - Scuola di Specializzazione Triennale in ARTI TERAPIE (2° anno) A.A. 2008-2009

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Indice dei Contenuti

Introduzione ........................................................................................................ 3

Capitolo 1 - Il pensiero di alcuni studiosi dell’evoluzione infantile

1.1. Mahler - La nascita psicologica …………...................……………..…. 6

1.2. Bowlby - La qualità dell’attaccamento ……...…..……………………... 7

1.3. Winnicott - Oggetti transizionali: tra realtà, gioco e immaginazione ...... 8

1.4 Klein – Gioco: espressione e strumento di costruzione del mondo

interno ………………………………………………………………………10

1.5 Bruner, Bethleim, Demetrio: il significato della narrazione ……………11

Capitolo 2 - Il contesto teorico di riferimento ............................................... 13

Capitolo 3 - Le funzioni emotivo-affettive/cognitive …………………….... 15

Capitolo 4 - Relazione tra arte terapia e malattia ………………………....17

4.1 Il processo creativo ……………………………...…………………….. 18

Capitolo 5 - Contesto del Project – Work ………………………………….19

5.1 – Osservazione ………………….………………………………………19

5.2 – Colloquio con il clinico ……………………………………………… 22

5.3 – Incontro con i genitori ………………………………………………...23

5.4 – Il percorso di Claudia …………………………………………………24

5.4.1. – Setting ……………………………………………………….… 25

5.4.2. – Descrizione del processo ……………………………………… 27

Bibliografia …………………………………………………………………….41

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“la fantasia fa parte di noi come la ragione: guardare dentro la fantasia è un modo come un altro per guardare dentro noi stessi”

GIANNI RODARI

Introduzione

Nell’avvicinarmi a Claudia, la bambina della quale parlerò in questo lavoro, e al

percorso che ne è seguito, sono stata, prima inconsapevolmente e poi con

graduale consapevolezza, stimolata a considerare la condizione di “non salute” in

un’ottica più allargata rispetto a quella a cui abitualmente si fa riferimento.

La malattia è una condizione non sempre risolvibile (come nel caso di Claudia)

che va comunque collocata nell’intero mondo della persona, integrata, quindi,

anche ad aspetti creativi propri di ogni individuo (piacere ludico-espressivo insito

nel gioco, nella rappresentazione grafica, ecc.) e al contesto in cui egli vive.

L’esperienza con Claudia mi si è delineata quale percorso parallelo a quello della

realtà quotidiana connotata com’è da difficoltà, momenti gratificanti e, in

particolare modo, dagli affetti e dal gioco.

In quest’ottica, inevitabilmente, l’attenzione si estende al mondo della “realtà del

gioco”: uno spazio vitale, proprio soprattutto dell’infanzia (ma, non solo), in cui

il bambino sperimenta ed impara a collegare tra loro sentimenti e pensieri

attraverso l’azione ed in cui il gioco, le fiabe e anche “il fare arte” offrono

continuamente nuovi orizzonti all’immaginazione.

All’interno di questa dimensione fantastica, il bambino, con i personaggi che egli

stesso crea e fa propri, può raccontarsi ed esprimere in modo tangibile le

emozioni crea e che fa propri, più gradevoli e anche quelle che più lo

preoccupano.

I personaggi creati dal bambino danno voce al suo mondo interno, un mondo che

contribuiscono a formare e di cui al tempo stesso fanno parte. Si tratta di una

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realtà speciale, particolarmente accessibile, dove l’esperienza concreta di tutti i

giorni, staccata ma anche profondamente legata alla quotidianità, può essere

raccontata, organizzata e trasformata: un percorso che, se supportato

adeguatamente dall’adulto, consente una maggiore sicurezza e fiducia in se

stessi.

L’apporto dell’adulto, diviene particolarmente necessario quando l’esperienza di

una realtà troppo difficile per essere elaborata, può inibire e bloccare proprio la

possibilità creativa di evolvere, conoscersi e conoscere.

Partendo da tali premesse, l’arte terapia, attraverso la relazione con l’operatore e

con i materiali che le sono propri, era diretta a facilitare un viaggio di

esplorazione personale. In questo viaggio la sperimentazione nel fare espressivo,

l’immagine creata, il gioco hanno costituito degli attivatori emotivi-affettivi in

grado di fare emergere le difficoltà del bambino in forma simbolica

condivisibile.

All’interno di questo contesto globale, raccontare la propria storia è divenuta una

modalità volta non tanto ad affrontare un trauma, quanto a connotare la propria

immagine.

Il primo capitolo, riporta sinteticamente il pensiero di alcuni importanti studiosi

dell’evoluzione infantile i quali pongono l’attenzione sulla qualità della relazione

madre-bambino quale fattore e contesto determinante per lo sviluppo emotivo-

affettivo e cognitivo. Per ogni autore viene preso in considerazione uno aspetto

particolarmente rilevante della teoria che hanno formulato: Mahler rispetto al

processo di separazione-individuazione, Bowlby per quanto concerne

l’attaccamento, Winnicott relativamente allo sviluppo dell’immaginazione, Klein

in riferimento alla sua visione del gioco; con alcuni cenni, farò riferimento a

Bruner, a Bethleim e Demetrio, riguardo al significato da loro attribuito alla

narrazione.

Il secondo capitolo sarà rivolto alla breve descrizione dei presupposti teorici di

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questa esperienza che considerano la realtà individuale legata a quella

dell’“ambiente” con cui la persona si relaziona (modello sistemico- relazionale).

Il terzo capitolo descrive le funzioni emotivo-affettive/cognitive considerate

quale nucleo integrato e sottolinea la necessità di una loro sufficiente

modulazione all’interno della relazione primaria.

Il quarto capitolo riguarda il concetto di malattia nel suo stretto rapporto con il

processo creativo e quindi con l’arte terapia.

Il quinto capitolo, parla dei passaggi più significativi del percorso di arte terapia

intrapreso con Claudia, all’interno del quale creatività ed immaginazione hanno

assunto un ruolo fondamentale. Parlerò di come, attraverso materiali ed immagini

simboliche, si sia attivata una narrazione che ha facilitato lo sviluppo di

un’immagine di sé meno confusa e complessivamente più integrata.

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Capitolo 1 - Il pensiero di alcuni studiosi dell’evoluzione infantile

1.1 Mahler - La nascita psicologica

Secondo la psicoanalista americana M. Mahler la nascita psicologica del

bambino è legata al processo di separazione – individuazione, percorso che

comporta il passaggio da uno stato di iniziale inconsapevolezza del mondo

esterno ad uno stato di differenziazione dalla madre, fino alla costruzione di un

Sé autonomo.

La separazione consiste nel distacco del bambino dallo stato di simbiosi con la

madre, mentre l’individuazione si ha quando il bambino si accorge di avere

caratteristiche individuali proprie.

Durante i primi mesi di vita il bambino non riesce ad iniziare l’affermazione del

proprio Sè perché condizionato dalla relazione con la madre della quale ha

assoluto bisogno (Winnicott, concepisce i due come un’unica unità psicosomatica

che si organizza durante la gravidanza).

E’ dal secondo mese che diviene necessario per il bambino iniziare il processo di

separazione e di individualizzazione, per giungere alla formazione di un’altra

unità che gli permetta di diventare “altro” rispetto alla madre.

Mahler ritiene che sia necessario un certo arco di tempo (trentasei mesi circa) per

lo sviluppo di tutto questo processo, al termine del quale il bambino potrà

iniziare le relazioni sociali.

La prima fase di differenziazione (dai 4-5 mesi ai 12 circa) è un periodo critico

perché se il bambino non riesce a separarsi, dovranno essere i genitori ad avviare

questo percorso (solitamente per prima la madre). La separazione può richiedere

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sei o sette anni e, talvolta, non si completa causando disordini psichici e

relazionali. In quest’ultimo caso, poiché il bambino non riesce a separarsi, le sue

condizioni patologiche sono caratterizzate da un’estesa confusione con la madre,

o anche con il padre, che riguarda tanto la mente quanto il corpo.

In questo contesto può verificarsi un disturbo del sé, che Winnicott definisce

con i termini “falso Sè”; si tratta di una difesa del vero sé che comporta la

separazione dalla madre grazie alla manifestazioni di emozioni che possono

soddisfarla e alla ’’assunzione di comportamenti compiacenti”.

1.2 Bowlby - La qualità dell’attaccamento

Nei suoi studi Bowlby sottolinea la continuità psicologica tra il bambino e la

madre. Il presupposto, condiviso tra lui, Mahler e Winnicott, pur nella diversità

delle relative impostazioni teoriche, è quello di collocare le prime manifestazioni

psichiche all’interno della diade madre-bambino. Infatti, per Bowlby come per

Mahler e Winnicott la naturale evoluzione verso l’individuazione si intreccia con

l’innata disposizione del bambino ad interagire con l’ambiente attraverso

modalità adattive (Mahler, Bolwlby) e/o creative (Winnicott); questa interazione

è uno dei fattori che consente lo sviluppo stesso.

Il presupposto centrale del pensiero di Bowlby è il concetto di attaccamento

quale comportamento innato che caratterizza l’essere umano durante tutto il

corso della vita.

L’attaccamento si manifesta con qualunque forma di comportamento che porta il

bambino (o, anche un adulto) a ricercare e mantenere una condizione di

vicinanza fisica ed emotiva con un'altra persona significativa per ricevere da

essa protezione e conforto.

La qualità dell’attaccamento dipende dalla stretta relazione tra la comunicazione

affettiva che si instaura tra madre-bambino e la capacità del bambino di

sviluppare emozioni “regolate”. Le modalità di separazione dalla figura materna

oggetto di attaccamento per il bambino, danno luogo, a seconda dei casi, a uno

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sviluppo normale o a uno sviluppo patologico.

Un attaccamento sicuro prefigura una persona che ha sviluppato una “buona”

immagine di sé, sa aiutarsi ma, anche chiedere e dare aiuto in una prospettiva di

fiducia negli altri.

L’immagine di Sé e un atteggiamento fiducioso nel rapportarsi agli altri possono

essere alterati nel corso dell’infanzia qualora il bambino subisca abbandoni

prolungati di uno o di entrambi i genitori, se Venga ospedalizzato senza ricevere

le necessarie cure psico-affettive .

La presenza fisica/mentale della madre o la sua assenza è, quindi, un fattore

determinante all’interno del processo di separazione del bambino e il suo

sviluppo emotivo .

In un legame di attaccamento insicuro, oltre a comparire difficoltà

nell’elaborazione delle emozioni, si può sviluppare un’alterata e/o scarsa carente

integrazione fra i processi cognitivi e l’affettività.

1.3 Winnicott - Oggetti transizionali: tra realtà, gioco e immaginazione

In “gioco e realtà” W focalizza l’attenzione sul primissimo formarsi della “vita

immaginativa” ; dal momento della nascita in poi, il rapporto madre-bambino

subisce una serie di modificazioni che porteranno quest’ultimo a prendere atto

del suo essere separato dalla madre.

Inizialmente, la madre “sufficientemente buona” si adatta totalmente ai bisogni

del figlio e gli da l’illusione di poter creare una realtà esterna che risponda

magicamente ai suoi bisogni : “essa pone il seno reale proprio là dove il bambino

è pronto a creare, e proprio al momento giusto”.

La madre deve modulare questo adattamento, per far sì che, in modo graduale, il

bambino si emancipi da lei e concepisca l’esistenza di un “non-me”.

La madre sufficientemente buona presenta quindi il mondo al bambino in modo

da fargli gradualmente acquisire fiducia in esso.

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La fase transizionale (dai 4 ai 12 mesi di vita) è caratterizzata dalla costruzione

da parte del bambino di un ponte comunicativo tra pura soggettività e realtà

oggettiva condivisa; tale ponte, sempre costituito da un elemento della realtà

esterna (un pupazzo, una copertina, un lembo di un lenzuolino…) acquista il

valore (ed il nome) di oggetto transizionale e, pertanto, ha caratteristiche sia

oggettive che soggettive. Il ricorso a tale oggetto ha la funzione di aiutare il

bambino nel tollerare l’assenza della figura materna (l’assenza della madre, in

questo caso, può essere intesa anche in senso ampio, quale sensazione di mancata

continuità delle cure materne, insita in una qualsiasi situazione di per Sè

frustrante). Grazie a questa funzione di sostituto materno, l’oggetto transizionale

assume rappresentazione simbolica: sta per la madre, ma è, al tempo stesso,

anche un oggetto (qualcosa di) reale in grado di rassicurare il bambino rispetto

alle angosce che colpiscono questa prima fase del suo emozionale.

Non sempre nella storia di un bambino è rintracciabile la presenza di un oggetto

transizionale (forse perché, talvolta, apparentemente, irrilevante per forma e

consistenza materiali) ma, è sempre possibile osservare, nello sviluppo sano,

quelli che vengono chiamati fenomeni transizionali: attività (come, ad esempio,

coprire e scoprire un pupazzo o altro) che hanno lo stesso significato affettivo (e

cognitivo) dell’oggetto transizionale.

L’oggetto transizionale e i fenomeni transizionali costituiscono il primo nucleo

immaginativo; su di esso si attiverà l’evoluzione del gioco e costituiscono, già,

“la prima esperienza di gioco”(Winnicott).

Nel gioco, inteso come uso di simboli, l’individuo, bambino o adulto, è in grado

di essere creativo, può sperimentare in modo autentico la propria personalità e

scoprire realmente sé stesso; l’immaginazione, oltre a fornire i contenuti, è in

grado di attivare, attraverso il gesto ed il “fare per finta”, un mondo separato e

fantastico (Winnicott).

Per separarsi il bambino ha, inoltre, bisogno di uno spazio transizionale ovvero di

un “luogo” che non sia né vuoto e né angoscioso, ma rassicurante e che abbia la

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funzione intermedia di separare e connettere contemporaneamente.

L’immaginazione e la relazione, ovvero la modalità con cui avviene la prima

relazione che il bambino intrattiene con il mondo, (nella maggior parte dei casi la

madre) realizzano questo spazio transizionale.

1.4 Klein – Gioco: espressione e strumento di costruzione del mondo interno

Il gioco è un’attività che aiuta il bambino ad esprimere i propri bisogni e desideri

supportandolo così nel processo di strutturazione del proprio mondo interno.

Secondo le teorie di M. Klein, l’ansia è presente nel bambino fin dalle prime fasi

dello sviluppo.

Inizialmente, il bambino teme che la madre possa scomparire del tutto e che lo

distrugga; solo la rassicurazione dello sguardo materno può attenuare questa

ansia persecutoria.

Successivamente, l’ansia del bambino assume una connotazione depressiva

dovuta al timore che il proprio Sè cattivo possa rivolgersi contro la madre,

principale fonte di benessere.

All’interno della relazione con la madre, quest’ultima gioca un ruolo

fondamentale nel sostenere il figlio ad affrontare ed a integrare le paure proprie

delle fasi del suo sviluppo.

Nel mondo interno del bambino cominceranno a comparire personaggi buoni e

cattivi in grado, rispettivamente, di offrire rassicurazione o di generare timori e

aggressività; il bambino li affronterà giocando, sognando, attivando la fantasia e

l’immaginazione ovvero ricorrendo ad un forma creativa al tempo stesso base

per lo sviluppo di ulteriore creatività.

In quest’ottica, il gioco (ma, anche altri ambiti espressivi) rappresenta uno spazio

in cui costruire una realtà propria, per esprimere i suoi sentimenti compreso il

timore di non essere riconosciuto e di non riconoscersi.

Tuttavia, questa paura lo spinge ad agire, ad organizzarsi e attiva la relazione, la

ricerca di nuovi giochi. Così nell’area del gioco si attivano pensieri inizialmente

funzionali a inventare situazioni molto vicine alla realtà (che il bambino si sta

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impegnando a conoscere e dalla quale talvolta cerca di difendersi) e

successivamente ad elaborare queste stesse fantasie per rappresentarsi la realtà

stessa.

Lo spazio fisico del gioco progressivamente diviene uno spazio mentale ed

attraverso il gioco il bambino può riversare l’angoscia, diversamente

insostenibile, derivante da rappresentazioni interne a carattere distruttivo.

1.5 Bruner, Bettelheim, Demetrio: significato della narrazione

Le favole e le storie, la narrazione rappresentano per il bambino degli strumenti

privilegiati per la conoscenza del mondo e per il suo sviluppo affettivo-cognitivo.

Bruner (1986) ipotizza una forma di pensiero comune a tutti gli esseri umani,

che si esprime attraverso la narrazione, essa costituirebbe un elemento fondativo

del processo di pensiero e della continua capacità della mente di ri-interpretare il

mondo interno e il mondo esterno.

Seguendo i presupposti propri della “teoria della mente”, che implicano la

capacità di un individuo di attribuire stati mentali a sé e agli altri, narrare può

essere inteso come integrare mentalmente due diversi piani rappresentativi:

quello delle azioni e degli eventi organizzati in una sequenza temporo-spaziale e

quella delle intenzioni, dei sentimenti, dell’emozioni dei personaggi oltre che del

narratore (Bretherton,1981).

Nell’infanzia la narrazione e anche il gioco contribuiscono e sostengono il

bambino nel suo agire, a prescindere dal contributo attivo dell’adulto e,

gradualmente, si intrecciano creando un sovrapposizione costituita da un

reciproco interscambio.

Sono note le riflessioni che Bettelheim ha sviluppato sulle fiabe e generalizzabili

a tutte quelle storie che, toccando vari aspetti della personalità infantile, aiutano

il bambino a fare chiarezza in sé stesso accostandosi ai suoi problemi e lo

incuriosiscono sostenendone l’attività immaginativa.

La narrazione, quindi, è un modo di raccontare eventi, fatti, esperienze

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attribuendo loro significati che sono collegati alle rappresentazioni e alla

memoria affettiva della persona che racconta; essa costituisce un nucleo centrale

nella vita di ognuno ed in essa la dimensione psichica occupa un ruolo

importante.

Le nostre storie sono sempre connesse con le nostre emozioni e le nostre

emozioni sono incorporate in storie (Telfener,1997).

All’interno della narrazione, il raccontare di Sé rappresenta per Demetrio il

mezzo attraverso cui dare forma alla propria identità poiché nel momento in cui

si racconta qualcosa che appartiene al passato, non lo si rivive ma, lo si

ricostruisce (“Io tessitore”); secondo l’autore raccontarsi spinge a prendersi in

carico: “quando ripensiamo a ciò che abbiamo vissuto, creiamo un altro da noi.

Lo vediamo agire, sbagliare, soffrire, ammalarsi e gioire”.

Il significato di narrazione implica tanto l’ascoltare quanto il narrare come

momenti inseparabili che si esplicano attraverso modalità e canali diversi:

linguaggio parlato, scrittura, immagine.

Di fronte alla patologia spesso la persona sembra trovarsi in una condizione di

apprendimento zero (Bateson, 1972), chiusa in un circuito senza possibilità di

uscita.

Quando la narrazione è portata in terapia e condivisa con l’altro, essa diviene

sempre una co-costruzione nella quale vengono rimodellate parti di Sé, le

rappresentazioni della propria identità e del proprio ambiente. In questa co-

costruzione il finale può sempre essere riscritto.

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Capitolo 2 - Il contesto teorico di riferimento

I presupposti teorici di questa esperienza fanno riferimento all’approccio

sistemico-relazionale (Bassoli, Frison, 1998).

Il modello sistemico poggia sull’idea che è il contesto, fatto dalle relazioni e

dalle comunicazioni, a dare senso al comportamento umano (secondo Bateson il

contesto va considerato quale matrice dei significati).

In quest’ottica, scegliere la relazione come luogo dell’osservazione implica il

considerare il bambino all’interno del legame con la principale figura di

attaccamento, e anche nell’ambito di altri rapporti importanti per la sua

crescita: la famiglia, le altre istituzioni (sistemi) coinvolte.

Il contesto sociale in cui il bambino vive è inteso non tanto come ambiente fisico,

ma principalmente come modo di relazionarsi con le figure significative e con

possibilità di co-costruire con esse dei significati, delle narrazioni, dando così

senso all’evolvere della propria storia.

All’interno del percorso terapeutico l’osservazione rappresenta il primo passo

nell’analisi dell’interazione comunicativo-relazionale.

Secondo l’ottica sistemica l’osservazione diretta e partecipe rappresenta un

strumento fortemente significativo che accompagna l’intero percorso della

relazione terapeutica.

L’osservazione viene definita partecipante perché l’operatore stesso, con il suo

esserci, entra a far parte del “contesto del soggetto” osservato.

Contesto, in arte terapia, è soprattutto lo spazio protetto del setting, un luogo

accogliente ed empatico in cui ogni emozione, gesto, espressione corporea sono

funzionali proprio a quel particolare spazio di creazione.

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Questa prospettiva implica anche l’importanza di essere consapevoli del proprio

stato emotivo, del proprio umore, dei propri atteggiamenti, riconoscendosi come

parte attiva nella relazione che, in quanto tale, può introdurre elementi di

perturbazione.

Nel corso degli incontri occorre comprendere quello che il bambino vuole

comunicare attraverso la sua attività espressiva (ipotesi). Per questo motivo è

importante osservare tutto il percorso (la programmazione iniziale e le varie fasi

dell’intervento, fino alla condivisione della verifica sull’intero processo)

annotando in un diario gli elementi significativi che emergono (impressioni,

feed-back, risonanze, ecc.) sia preventivamente che successivamente ad ogni

incontro. In itinere, potranno così essere approfonditi altri elementi interni al

processo.

La funzione dell’osservatore può assumere, inoltre, un’ulteriore caratteristica:

essa perde la propria posizione istruttiva legata alla tecnica così che “il soggetto

osservato” può sperimentarsi in una condizione non più passiva e totalmente

dipendente (Frison, 2009). La disponibilità dell’arte terapeuta ad attivare un

coinvolto interesse verso l’altro come persona implica il vedere ogni bambino

come potenziale portatore di novità. In quest’ottica, all’interno del processo, è

possibile una crescita per entrambi legata allo scambio che si crea in quel

particolare contesto di apprendimento.

L’apprendimento accompagna la persona fin dalla prima infanzia. Secondo il

pensiero batesoniano nel processo di apprendimento vanno distinti tre livelli; in

questa sintesi ricordo il “proto-apprendimento” che, legato alla semplice risposta

al singolo compito, è un apprendimento meccanico ed il deutero-apprendimento

sinonimo dell’imparare ad apprendere (meta-apprendimento). Il processo di

apprendimento è sempre collegato al concetto di contesto.

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Capitolo 3 - Le funzioni emotivo-affettive/cognitive

Le emozioni sono esperienze multi-dimensionali che organizzano il mondo

affettivo-cognitivo. Le emozioni sono provocate da percezioni e da sensazioni,

dipendono all’attività del sistema libico e, rappresentano un sistema adattativo e

difensivo che permette all’individuo di reagire rapidamente a stimoli esterni ed

interni.

L’integrazione emotiva-affettiva (che non si completa prima dei 18-24 mesi)

diventa fondamentale per lo sviluppo delle funzioni psico-mentali e del sistema

rappresentativo il quale crea rappresentazioni ed immagini della vita di ognuno

grazie alla memoria affettiva.

L’integrazione tra le componenti emotivo-affettive e quelle cognitive è

indispensabile per l’espressione dei vissuti.

Sebbene le emozioni siano state definite “l’energia della mente”, solo la loro

armonizzazione e modulazione tramite gli affetti può condurre ad un

comportamento integrato e ad un buon funzionamento nell’ambito sociale

(Ludioni, 2008).

La capacità di regolare le emozioni si apprende nell’infanzia e, come

sottolineano molti autori, risente largamente della qualità delle relazioni

oggettuali

Come abbiamo visto, secondo Winnicott, il concetto di “oggetto transizionale”

indica la fase intermedia tra la regolazione gradualmente attivata dal bambino per

raggiungere la rappresentazione simbolica della madre e quella fornita da

quest’ultima.

Questa interazione affettiva e la stessa capacità immaginativa del bambino

giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo della personalità in quanto

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condizionano l’autoregolazione affettiva, la nascita e l’evoluzione della

creativita e l’acquisizione delle varie competenze sociali.

Anche la “Teoria dell’Attaccamento” e la Teoria del Sé sottolineano come le

esperienze maturate con le figure di accudimento siano fondamentali per

identificare, esprimere e modulare gli stati emotivi.

Secondo Tronick, (1989) le emozioni, che cominciano come sistema fisiologico

che riceve input dai sensi, diventano, attraverso l’esperienza interattiva, un

complesso strumento sociale e un mezzo per la creazione di una vita mentale

interna.

Sempre Tronick, (1989) evidenzia non solo come la capacità affettiva del

bambino si leghi strettamente a quella attivata dalla madre ma, anche, come la

madre, a sua volta, risenta nelle sue manifestazioni affettive dell’attività emotivo-

comunicativa messa in atto dal figlio.

Le tappe del ciclo vitale costituiscono passaggi evolutivi fondamentali: ciascuna

fase segue quella precedente e deve essere superata in modo soddisfacente

affinché lo sviluppo proceda correttamente.

Eventuali problemi in una o in più fasi creano un blocco nella memoria affettiva

e condizionano le future rappresentazioni. A questo proposito, gli studiosi

sostengono che nell’attaccamento insicuro, al contrario di quanto avviene in

quello sicuro, vi è difficoltà nell’elaborazione delle emozioni e nell’integrare i

processi cognitivi con l’affettività.

Queste alterazioni appaiono in diretto rapporto con la qualità della disponibilità

emotiva della figura materna in grado di consentire o meno una sufficiente

condivisione degli affetti.

Se nella nostra storia personale siamo stati amati, saremo a nostra volta capaci di

amare e raggiungere una regolazione affettiva autonoma.

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Capitolo 4 – Relazione tra arte terapia e malattia

L’arte terapia è un intervento di mediazione non verbale nel quale la relazione e

la comunicazione nascono e si sviluppano attraverso “l’arte ed i materiali” per

poi esprimersi nella realizzazione di “un immagine”e in modo più peculiare nel

processo creativo che si sviluppa nel corso degli incontri; nel setting, che ne

costituisce parte integrante, l’espressione artistica e il processo creativo

divengono insostituibili strumenti di regolazione emotiva.

In un clima relazionale protetto, la persona può scoprire, un po’ per gioco e un

po’ sul serio, il proprio “spazio”sul foglio bianco, sperimentando, attraverso il

fare, nuovi e autentici modi di esprimersi; rabbia, paura, gioia vengono così

“oggettivate” attraverso forme simboliche e potranno assumere un nome, essere

condividere ri-visitate e ri-tessute dando origine a nuove storie e nuovi

significati.

Fare arte terapia significa quindi attivare un processo trasformativo utilizzando

le emozioni, con le espressioni che le connotano. nonché la narrazione che si

sviluppa all’interno all’interno della connessione persona-immagine-

arteterapeuta.

Sebbene la conoscenza medica comporti un approccio basato non solo sulla

conoscenza scientifica ma anche sulla conoscenza “spirituale” dell’individuo, le

terapie mediche, classicamente, mirano al ripristino di uno stato di salute e

l’intervento può comportare due scenari possibili: guarigione o non guarigione.

Le terapie creative ricercano, invece, un concetto di salute più ampio in cui la

malattia stessa può assumere un profondo legame con la creatività (Luzzatto,

2009).

In una visione che potremmo definire olistica, la malattia viene vista non tanto

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come l’interruzione di uno stato di salute ma essa ha una ragione di essere e un

significato che va capito nel contesto relazionale e di vita della persona ed il

sintomo diviene uno strumento di conoscenza e di crescita e La guarigione non

può essere considerata il ripristino di una condizione precedente ma va intesa

come una trasformazione verso uno stato nuovo.

4.2 – Il processo creativo

Il processo creativo inteso come tutto ciò che avviene nel corso della produzione

artistica dalla scelta dei materiali , alla gestione dello spazio del tempo,alle

emozioni provate, assume il ruolo di potente strumento di espressione e

comunicazione del proprio mondo interno che è lo spazio delle memorie

affettive, delle emozioni inconsce e pre-consce, dei ricordi.

Tale spazio interno si esprime attraverso il linguaggio artistico, che è un

linguaggio non verbale, analogico e simbolico.

Nel setting la comunicazione e la relazione tra arte e bambino avviene sempre

all’interno di una cornice tribolare: immagine, bambino e arteterapeuta (Luzzato,

2009).

Durante il processo creativo, i materiali usati , così come l’immagine creata ed

oggettivata oggettivata in forma simbolica, offrono vari livelli di significazione e

rispecchiano la visione della realtà della persona.

Materiali e immagini acquisiscono caratteristiche transizionali e diventano

efficaci mediatori nella relazione terapeuta–bambino all’interno dello spazio

protetto del setting.

Nel processo creativo si crea la magia di dare forma, a vissuti che appartenevano

al proprio mondo interno, che una volta oggettivati consentono di rivivere la

primitiva esperienza del prendersi cura.

E’ importante che l’arteterapeuta osservi l’intero processo: come vengono scelti i

materiali, il loro utilizzo, come è avvenuta la relazione con il foglio bianco, da

dove è partito il primo segno, quale prima forma è emersa, come si è trasformata,

quali colori sono stati usati, lo stato d’animo all’inizio del processo e le sue

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modificazioni nel tempo. Ogni elemento da informazioni utili per formulare un

ipotesi che si potrà meglio delineare nel momento della restituzione.

Occorre, quindi, non guardare i singoli eventi in sé o il prodotto finito, ma

rivolgere l’attenzione a tutto il processo in relazione a tutto contesto del bambino.

Capitolo 5 – Contesto del Project – Work

Questo percorso formativo si è svolto in uno dei Poliambulatori dell’Azienda

Usl a partire dall’Ottobre 2009 d è rivolto a bambini in età scolare.

L’esperienza, tuttora in corso, mi ha permesso di considerare in un’ottica più

ampia l’approccio al bambino dando specifica rilevanza ai suoi bisogni

emotivo/affettivi. In questa più vasta prospettiva assume particolare valore la

necessità, propria di ogni persona, di essere accolta, riconosciuta, al di là della

patologia presentata e poi aiutata a risvegliare e sbloccare risorse personali con

l’essenziale contributo dei familiari.

Con molti di questi interlocutori, alcuni più piccoli ed altri più grandi, solo un

ascolto attento e primario di tali bisogni può spesso riattivare abilità carenti siano

esse il linguaggio, la letto-scrittura o la possibilità stessa di comunicare in modo

autentico e sufficientemente funzionale.

Come sottolineano molti autori, la componente emotivo-affettiva, sempre legata

alla relazione, costituisce l’elemento più importante sia per la crescita del

bambino, che per futuri apprendimenti e la rielaborazione degli stessi.

In questo lavoro descriverò il percorso di intervento individuale con una bambina

di sette anni (Claudia) e quindi anche la mia esperienza formativa.

5.1 – Osservazione

La neuropsichiatria ha proposto questa iniziale osservazione, omettendo

volutamente molte informazioni su Claudia.

Molto sinteticamente mi dice che la bambina ha recentemente fatto un controllo

del linguaggio per monitorare l’evoluzione delle lieve alterazioni articolatorie e

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che la sua storia clinica è caratterizzata da intervento chirurgico alla nascita e da

una conseguente condizione di saluta alquanto delicata. Mi informa che la

famiglia di Claudia si è dichiarata disponibile a far seguire alla bambina questo

percorso.

Conveniamo di parlare di Claudia, in modo più approfondito dopo la mia

osservazione e successivamente di incontrare i genitori.

Motivo dell’invio: eccessivo controllo del comportamento verbale e non verbale

con di difficoltà a riconoscere ed esprimere le emozioni. Difficoltà di separazione

dalle figure genitoriali.

L’osservazione iniziale viene svolta durante tre sedute a frequenza settimanale,

(riporto qui di seguito una sintesi del primo incontro). Quando invito la bambina

ad entrare, Claudia mostra disagio nel separarsi dalla madre: appare visibilmente

scossa e poco dopo nella stanza, rimasta sola con me, trattiene a stento il pianto.

E’ una bambina minuta, delicata nel porgersi ed anche nel suo essere, controlla

l’espressione mimica, l’uso del linguaggio (al quale ricorre esclusivamente per

rispondere alle mie produzioni) e anche nella postura sembra comunicare un

timore globale.

Cerco il modo per farle percepire che comprendo la sua preoccupazione e poi

dico anche che, se lo desidera, può aprire la porta ed andare a vedere la madre.

Claudia reagisce affermando che può non recarsi dalla madre e che presto, a suo

avviso, il dispiacere le passerà.

Subito dopo la conversazione, piuttosto breve, è volta a condividere quello che

faremo insieme. Le dico, anche per tranquillizzarla, che in questo luogo si accetta

“tutto quello che i bimbi fanno” senza dare giudizi.

Le mostro i materiali selezionati per questo incontro e le chiedo di disegnare

l’immagine di una bambina con una casa e un albero. Claudia appare subito

disponibile ad assecondare la mia richiesta.

Nella produzione che segue osservo che non c’è una base di “appoggio”; la

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bambina ha gli occhi spalancati, sembra quasi girata con il corpo e le gambe; la

casa evidenzia una comunicazione molto limitata (di fatto, non ci sono finestre

ma, sola la porta e una volta entrati si è totalmente isolati dall’esterno); l’albero

è privo di radici.

L’immagine globale appare molto precisa e regolare, alquanto rigida, forse un

po’ congelata.

Foto 1 – La bambina con la casa e l’albero.

Sostenuta dalle domande dell’adulto Claudia dice che la bambina del disegno ha

sei anni, si chiama Anna, gioca con le Barbie, è brava a scuola, non fa sport, non

li vuole fare. La casa è abitata dalla bambina e dalla sua mamma. Quando chiedo

se su quell’albero ci si può arrampicare Claudia annuisce.

“Allora ci sono rami anche bassi aggiungo” (Operatore, O).

“Sì, ma lei a volte va fin su,… le piace guardare” risponde Claudia e subito

dopo, alludendo alla bambina del disegno, aggiunge:“ci va di pomeriggio e un

po’ di mattina”. Dietro mia richiesta, Claudia precisa che la bambina va

sull’albero sempre, anche d’inverno, “coperta bene”.

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Non sembra possibile ricavare ulteriori elementi di connotazione personale in

quanto alle domande poche volte a sondare possibili gusti, preferenze, interessi,

Claudia risponde dicendo “non so”.

La mia impressione è che la bambina controlli tutte le emozioni e che ciò

comporti una limitazione alla possibilità di coinvolgersi su questo piano in modo

attivo nella relazione con l’altro.

Mi è sembrato che alla compiacenza adattiva con la quale la bambina ha

cominciato a svolgere il disegno sia subentrato un coinvolgimento personale che

era però esclusivamente rivolto all’attività in corso e non all’operatore.

5.2 Colloquio con il clinico

Mi vengono riferite informazioni anamnestiche più dettagliate.

Claudia è nata alla trentasettesima settimana di età gestazionale con diagnosi prenatale di “ernia diaframmatica postero-laterale sinistra”, una grave malformazione del diaframma che provoca il passaggio dei visceri addominali nella cavità toracica. Questa malformazione causa un ritardo di sviluppo dei polmoni responsabile del “pericolo del primo respiro”: un quadro clinico complesso a volte non compatibile con la vita. La diagnosi prenatale aveva già evidenziato la necessità di un intervento chirurgico, volto alla “riduzione dei visceri erniati e di alla chiusura della breccia diaframmatica, che è stato eseguito in quarta giornata di vita. Nel successivo decorso post-operatorio, sono state effettuate tutte le procedure di svezzamento dal flusso di ossigeno (non più necessario dopo quasi due mesi) e di adattamento all’alimentazione con poppatoio. Verso i quattro mesi vi sono state due situazioni minacciose per la vita della bambina: un episodio di insufficienza respiratoria e la comparsa di un’occlusione intestinale prodotta da briglie aderenziali che ha richiesto un intervento chirurgico d’urgenza. La bambina è stata dimessa dopo circa un mese. Poco dopo, il costante monitoraggio clinico e strumentale delle funzioni cardiaca e polmonare evidenzia la presenza di una malformazione cardiaca (una comunicazione tra la parte destra e quella sinistra del cuore, per fortuna in buone condizioni di compenso) e alterazioni della dinamica respiratoria che hanno richiesto un supporto fisioterapico quotidiano. Le condizioni cliniche cardio-vascolari (presenza di ipertensione polmonare) e cardio-respiratorie (tendenza alle infezioni sovrapposte), costante fonte di preoccupazione,

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richiedono, fin da dai primissimi mesi, l’assunzione di farmaci e un frequente monitoraggio clinico-strumentale. Successive valutazioni da parte del Servizio Territoriale di appartenenza, hanno confermato le indicazioni per il trattamento di fisioterapia respiratoria e per un trattamento del ritardo delle acquisizioni posturo-cinetiche dovuto al prolungato periodo ospedaliero e di convalescenza. Gli anni che vanno dall’intervento chirurgico ad oggi sono stati caratterizzati da una precaria condizione di salute che ha significativamente limitato le esperienze sociali (scolastiche e del tempo libero) e motorie. Attualmente Claudia ha sette anni, continua a fare fisioterapia per una grave scoliosi in trattamento con busto ed è costantemente seguita dal Servizio di Cardiologia per la gestione della cardiopatia secondaria all’ipertensione polmonare, la qualità di vita risente della ridotta tolleranza allo sforzo (ad esempio il superamento di una rampa di scale costringe i genitori a prenderla in braccio). A quasi sei anni dietro richiesta dei genitori, Claudia conosce l’attuale referente clinico ai fini di effettuare una valutazione logopedica perché la bambina non articola bene alcuni fonemi. Tale valutazione viene effettuata dalla dottoressa Lippi che conferma un lieve ritardo articolatorio. Altri aspetti del linguaggio( competenze lessicali, comprensione verbale di strutture grammaticali ed espressione morfosintattica risultano nella norma spesso nei valori medio alti. Si osserva che la bambina sembra usare il linguaggio controllandone attivamente i contenuti e gli aspetti soprasegmentali. Anche in considerazione di questo dato, l’operatrice non ritiene consigliabile procedere con trattamento logopedico e fornisce ai genitori alcune indicazioni per favorire, in modo indiretto,il completamento del repertorio fonetico. Viene concordato un controllo per il prossimo marzo anche per verificare lo sviluppo dei pre-requisiti per l’apprendimento scolastico in previsione dell’inserimento di Claudia in prima elementare nel settembre 2009. Tale controllo evidenzia un miglioramento a livello articolatorio e le lievi alterazioni ancora presenti vengono considerate irrilevanti da parte della logopedista. Dalla valutazione dei pre-requisiti per gli apprendimenti scolastici emerge una adeguata maturazione degli stessi. Infine il clinico mi accenna nuovamente ai problemi di separazione di Claudia

già emersi al momento dell’invio ed aggiunge, sinteticamente, che la bambina

presenta una rilevante inibizione emozionale associata a forte ansia imputabile

alla storia clinica, con i vissuti che genera, non solo direttamente su di lei, ma

anche sui suoi genitori.

5.3 – Incontro con i genitori

Incontro la famiglia di Claudia insieme al clinico inviante. I genitori di Claudia

sottolineano la dipendenza e la passività della figlia: la bambina sembra non

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riuscire a disporre del proprio tempo libero in modo autonomo e i genitori

devono organizzarle le attività. Quando gioca (sia all’interno delle mura

domestiche che all’esterno di esse) Claudia richiede sempre la presenza attiva di

un adulto.

Emerge anche che Claudia non racconta le esperienze effettuate in assenza dei

genitori e che, a causa della scarsissima frequenza scolastica, non frequenta altri

bambini.

Complessivamente, i genitori sembrano, soprattutto, cercare modalità per

rendere la figlia meno dipendente da loro nel contesto quotidiano.

Analizzando quanto i genitori dicono sembra emergere il richiesta di indicazioni

pratiche su come aiutare la figlia rispetto alla quotidianità senza cogliere il

significato dei comportamenti da loro indicati come critici e senza collocarli della

storia della bambina.

Tale storia non è solo fatta di eventi ma anche delle relazioni interpersonali

all’interno del nucleo familiare e dei vissuti dei membri. Emerge che il bisogno

reale dei genitori è quello di ripensare l’immagine della loro bimba all’interno

dell’intera relazione con loro. Viene quindi proposto un percorso parallelo di

sostegno ai genitori.

Nel corso dell’incontro, sia il clinico che io abbiamo posto l’accento sul senso di

supportare, ampliare e condividere il lessico emotivo sia attraverso, fiabe e

video, sia attraverso la verbalizzazione delle emozioni provate dall’adulto.

Abbiamo infine sottolineato la necessità di comunicarci eventuali eventi

significativi riguardanti Claudia in modo da renderli anche argomento del

percorso che bambina sta per intraprendere con me.

5.4 – Il percorso di Claudia

L’intento, condiviso con il referente, si sovrappone, in un certo senso, a quello

del lavoro proposto ai genitori: aiutare Claudia nel rivedere l’immagine di Sé,

integrandone alcuni aspetti percepiti, ma scarsamente sperimentati e quindi

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conosciuti.

All’interno del percorso inoltre assumono un ruolo importante alcuni elementi

che concorrono a costituirlo:

- permettere alla bambina di sperimentare un contesto accogliente in cui

prevalga la modalità di ascolto dell’altro invece della valutazione e del

giudizio;

- valorizzare le risorse della bambina per aumentare aspetti positivi rivolti a

sé a prescindere dalla qualità delle prestazioni; sperimentare, quindi, un

senso di fiducia e sicurezza di sé (attraverso “il fare”);

- percezione e distinzione delle emozioni: conoscere e dare un nome agli

stati emotivi relativi al “qui e ora” attraverso le stesse espressioni

mimiche e corporee proprie di Claudia ed anche tramite immagini e/o

personaggi da lei creati;

- favorire uno spazio di espressione in cui, all’interno della relazione,

sperimentare parti inesplorate di sé attraverso l’atto creativo;

- attivare attraverso il processo creativo e la fantasia la connessione tra

gesto-emozione-immagine e poi immagini-affetti-narrazione-pensieri

(integrare vari livelli di sé).

5.4.1 Setting

In arte terapia la costruzione del setting comprende non solo gli elementi

strutturali e materiali, ma anche la relazione e comunicazione che si instaura tra il

bambino l’arte terapeuta.

Il setting non è solo un luogo dove esprimersi e giocare, ma anche uno spazio di

sostegno che ha un tempo definito. Tutto ciò che si sviluppa all’interno di questa

cornice ha (un) significato e serve per favorire la conoscenza di sé. Si tratta di

uno spazio sicuro che diventa ambiente facilitante.

Ho cercato di disporre e connotare la stanza nel modo più accogliente e

confortevole possibile, selezionando con cura anche i materiali (*), (dato il valore

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simbolico che li caratterizza).

Come sottolineato da Luzzatto, diviene centrale il concetto di contenimento

(holding) che nel setting dell’arte terapia si sviluppa su più livelli:

lo spazio del foglio che esprime in senso metaforico lo spazio interno del

bambino, per poi divenire anche spazio condiviso;

l’insieme delle immagini che, come solitamente avviene, vengono raccolte in una

cartellina quale ulteriore connotazione personale. E’ spesso importante rivisitare

le immagini per scoprire nuovi significati e/o collegamenti, ma anche per

rafforzare il senso di identità, e (per ripercorrere le fasi significative del processo

alla fine del percorso).

La persona dell’arte terapeuta che diviene il contenitore interumano e anche colei

che comprende e rispecchia.

Ponendomi come osservatore partecipe, ho cercato di modulare la relazione nella

sua connotazione di contenimento soprattutto quale, ascolto, sostegno (indiretto)

e sintonizzazione emotiva attraverso i materiali e la creazione delle immagini.

Con Claudia i rituali di inizio e fine (saluto e breve conversazione, recupero della

cartellina) e una scansione del tempo condivisa attraverso l’anticipazione dei

passaggi hanno contribuito a creare uno spazio stabile e leggibile in cui iniziare a

collocare, in modo via, via più rilassato, la propria esperienza.

(*) Materiali proposti:

- pennarelli, matite colorate, pastelli a cera, colori a tempera e a dito, acquarelli; - fogli bianchi A4,A3 foglio colorati A4, A3, bristol; - carte colorate di vari tipi e dimensioni (carta velina colorata, crespa, da collage, trasparente); - plastilina, didò, pongo; - conchiglie, sassi colorati, pezzi di legno, sabbie colorate, vetri colorati; - nastri, corde colorati, fili di lana;

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- colle, spugne, pennelli di varie dimensioni, fermagli diversi, timbri, tamponi, cannucce); - materiale di recupero(polistirolo, scatole, supporti vari, tessuti).

5.4.2 Descrizione del processo

A partire dal mese di Novembre 2009 si sono svolti 24 incontri individuali a

cadenza settimanale. I passaggi significativi del processo possono essere

suddivisi in tre fasi:

PRIMA FASE L’inizio del viaggio: “costruzione del rapporto” descrizione del sesto incontro SECONDA FASE In cerca di avventure… descrizione del quindicesimo incontro TERZA FASE L’arrivo nel giardino… speciale PRIMA FASE L’inizio del viaggio: costruzione del rapporto

Con la costruzione della cartellina è apparsa una prima idea di viaggio insieme:

sul frontespizio Claudia ha rappresentato con materiali di recupero quella che poi

si è rilevata essere una barca con due vele che va nel mare.

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Foto 2 – La barca.

Fin dall’inizio la bambina ha evidenziato attrazione e interesse a provare

soluzioni alternative a quelle più abitualmente utilizzate nella proprie produzioni

grafiche.

Nel setting di arte terapia i materiali scelti e messi a disposizione sono validi

compagni nel processo di sperimentazione non solo cognitiva, ma anche e

soprattutto emotivo-affettiva e relazionale; essi hanno il ruolo fondamentale di

gettare un ponte comunicativo fra le due parti evitando il confronto altrimenti

troppo diretto.

In questa fase iniziale del percorso ho pertanto privilegiato, la sperimentazione

(sensoriale) dei materiali per portare progressivamente Claudia ad aprirsi

spontaneamente e con minor timore all’esplorazione dell’“ambiente”.

Ho proposto la plastilina e il pongo per il loro potere assorbente, utilizzati

morbidi per essere più facilmente manipolati più che incisi.

Anche altri materiali fra loro diversi per caratteristiche, si sono rivelati

importanti attivatori di esperienze sensoriali, sinestesiche, affettive e

immaginative, creando una più stretta connessione tra corpo-emozioni-immagine.

L’azione stessa del fare sperimentato nella gamma delle sue molteplici

espressioni (manipolare, premere, tagliare, assemblare, incollare, costruire)

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sostiene la percezione della propria capacità di agire e quindi anche una diversa

conoscenza di sé; significa conoscersi in uno spazio di deutero-apprendimento,

che coinvolgendo la relazione diviene sempre anche un

apprendimento/conoscenza reciproca.

In questa fase del percorso, è più l’adulto (osservatore partecipe), ad “adattarsi”

nello scambio e nella reciproca conoscenza.

I vari materiali hanno fin da subito incontrato un interlocutore attento, curioso,

cauto ma disponibile a farsi coinvolgere nel gioco di scoperta e (iniziale

immaginazione) del piacere, così anche l’iniziativa della bambina ha cominciato

ad essere meno finalizzata ad esprimere una idea precisa, idea che Claudia

tendeva a realizzare velocemente.

Durante questi incontri Claudia si mostrata molto indipendente, difficilmente ha

accetto le mie proposte di aiuto, ha iniziato tuttavia a verbalizzare scelte e

intenzioni lasciandosi scappare brevissimi commenti nel corso dell’attività. Con

la complicità dei materiali presenti sul tavolo si sono spesso create e

improvvisate sequenze di interazione e gioco che hanno facilitato la

comunicazione il coinvolgimento e la partecipazione reciproca.

Si è progressivamente creato un clima di iniziale fiducia ed una progressiva

disponibilità ad aprirsi nella relazione con l’altro.

Il dialogo interattivo attraverso gli oggetti e le immagini create si è pertanto

attivato all’interno di una dimensione ludica di sostegno alla relazione. In questo

contesto, a parlare erano soprattutto i personaggi presenti nei disegni.

Ogni produzione grafica di Claudia contribuiva allo sviluppo di una storia che si

è andata costruendo fin dal momento dell’osservazione. Il personaggio

principale, la bambina Anna, ha un gatto di nome Silvestro. Anna insieme a

Silvestro e ai genitori partirà per una gita e dopo varie avventure arriverà in un

giardino speciale.

“La fantasia, nell’accezione della Klein, risale alle prime fasi della vita, è radicata nel corpo ed è perciò estranea al linguaggio e nasce piuttosto da una capacità di sentire le cose, ancor prima di poterle pensare e dire.” (Melanine Klein, 1978).

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Anche Winnicott sostiene che la vita immaginativa ha le sue radici nel corpo, ma, ancora di più rispetto alla Klein sottolinea che il corpo e la psiche sono un’unità inscindibile, nella quale la possibilità di distinguere l’uno dall’altra dipende solamente dal punto di vista dal quale ci si pone” (Donald Winnicott, 1975). In questo senso ciò che viene creato durante lo sviluppo del processo creativo (e

quindi non tanto il prodotto finito in sé) non è mai solo espressione di un

pensiero astratto e razionale, ma è la rappresentazione di un vissuto depositato

nella memoria affettiva del bambino: non semplice traduzione di quell’esperienza

in una forma concreta, ma ripresa di un processo (legato al sentire), investito di

affetti e/o emozioni, che può essere stato carente, alterato e/o bloccato.

- Sesto incontro

Nel quinto incontro, Claudia aveva iniziato un lavoro con la plastilina commentando più volte che “non sapeva bene cosa sarebbe saltato fuori”. In quell’occasione, anch’io, in disparte, avevo cominciato a plasmare un altro pezzo di plastilina senza, volutamente, connotarla con una forma che ci sarebbe sicuramente venuta un’idea per la storia. Nel racconto fino a quel momento costruito, in forma grafica e poi verbale, comparivano i personaggi così inventati (la bambina Anna ed il gatto Silvestro), che dalle produzioni di Claudia spesso si divertono giocare tra loro. Poiché il lavoro non era stato ultimato, ci siamo lasciate con l’intento di continuarlo durante l’incontro successivo (sesto) cui avremmo aggiunto eventuali nuovi materiali che entrambe avremmo cercato.

Quando vado a chiamare Claudia per invitarla nella stanza, la bambina, pur

continuando a mostrarsi titubante al momento della separazione, non è, come di

consueto, in braccio alla madre appiccicata al corpo di quest’ultima. Oggi, infatti,

Claudia è in piedi, impegnata a disegnare una bimba con i materiali presenti sul

tavolo della sala d’attesa. Mostrando il mio interesse le propongo di continuare il

suo lavoro nella stanza, Claudia sceglie invece di lasciare il disegno alla madre e

le chiede di continuarlo. Si percepisce quanto per lei sia difficile la separazione,

ma anche i suoi sforzo in questo senso.

Nella breve conversazione iniziale, la bambina si fa più facilmente coinvolgere

nel racconto, vedo che sorride in modo più spontaneo mostrandosi globalmente

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più rilassata. In questi giorni non sta frequentando la scuola, perché è raffreddata

e sta prendendo delle medicine, è molto presa dai giochi ricevuti a Natale, vengo

così a sapere che fra quelli preferiti c’è una bambola che lei ha deciso di

chiamare Anna come la bambina dei suoi disegni. Claudia dice che non le va di

fare i compiti che puntualmente le mandano da scuola.

Colgo l’occasione per connotare quanto sta verbalizzando per dare un nome e

importanza a quello prova, differenziando e condividendo i sentimenti correlati

a quanto esprime (sostegno alla relazione e rispecchiamento).

Dopo aver preso il contenitore dove avevamo riposto il lavoro non ultimato e la

cartellina, riprendiamo, quindi, il filo dell’attività, iniziando a guardare i nuovi

materiali portati da entrambe.

Claudia aggiunge altra plastilina al vecchio lavoro spalmando con le dita. Lavora

silenziosamente ed inizia a dare forma a quella che è poi diventata una ciotola

piena di cibo per il gatto. Appena completata si è spontaneamente creato il gioco

del dare da mangiare al gattino: Claudia dice che il gattino ha fame e

accompagna le azioni che svolge nell’alimentarlo con verbalizzazioni (“tieni…

dai, mangia…). Io commento e sostengo quanto Claudia fa e dice e senza

avanzare ipotesi dedico la mia attenzione a questo gatto che appare bisognoso di

un adulto di riferimento.

Il contenitore con il cibo, che Claudia ha realizzato con molta cura, ha un a tinta

molto cupa ed è reso prezioso da alcune decorazioni. Essendo pieno di

nutrimento sembra costituire un sostentamento reale ma anche simbolico:

sottintende il bisogno di sicurezza e conforto come l’idea di accudimento in

senso profondo.

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Foto 3 – Il gatto Silvestro e la sua ciotola.

Nel corso di questo incontro osservo l’emergere di un misto di sperimentazione,

esplorazione, percezione corporea, con connotazioni talvolta molto infantili che

rileverò anche in vari incontri successivi (Claudia chiederà di mescolare l’acqua

alla sabbia colorata per creare impasti, pappe, bevande colorate ed effettuare

travasi).

Mi sembra che si sia attivata la possibilità di investire un’immagine (oggetto o

produzione grafica) di un significato affettivo. La nuova rappresentazione che ne

è emersa si è trasformata in una traccia affettiva e multisensoriale.

Foto 4 – La bambina Anna.

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SECONDA FASE In cerca di avventure… Nel corso degli incontri, attraverso le immagini, si è potuto oggettivare sulla

carta un “itinerario fantastico”.

“In arteterapia lo strumento specifico è l’uso dell’immagine e dell’immaginazione, all’interno del rapporto terapeutico (…)”, in questo contesto espressivo inoltre si attiva “(…) un continuo collegamento tra il presente e il passato, tra la realtà e la fantasia, tra i rapporti interpersonali e le emozioni”(Luzzatto, 2009 ).

Chi disegna lascia affiorare in sé dei ricordi, delle immagini che non possono

essere espresse solo con le parole.

Le immagini rappresentano il modo personale e inconsapevole di percepire e

costruire sé stessi, il mondo e le relazioni che viviamo.

Secondo Bion l’immagine è “l’unica traduzione possibile dell’emozione”, è la

voce delle memorie affettive realizzata attraverso il linguaggio analogico delle

sinestesie, dei gesti, dei colori.

Gli studiosi dei processi percettivi (Arnheim, 1969) sottolineano la natura

plurisensoriale delle immagini che non investono solo la rappresentazione

puramente visiva di un oggetto, ma coinvolgono ogni nostro senso. L’uso del

linguaggio grafico, percettivo, ludico, fantastico consente di dare espressione alle

immagini in un processo di costruzione continua che unisce il vecchio al nuovo,

il passato al presente e al futuro; paure, ansie come sogni, desideri, aggirano il

canale verbale che spesso inibisce, e possono prender, così, forma attraverso il

fare, il plasmare oggetti, il gioco col colore, la produzione grafica. Tutto questo

significa lavorare con la fantasia, accedere ad un “mondo altro”.

Questo mondo diverso a cui si può pervenire, non è naturalmente un luogo in cui

fuggire ma, dove andare a creare e al tempo stesso definire la parte più vera di sè.

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Quindicesimo incontro

Oggi Claudia appare globalmente più rilassata e spontanea nell’interazione.

Mantenendo il coinvolgimento dell’adulto che sostiene la conversazione, si

osserva in generale una maggior disponibilità a raccontare. Si sono molto ridotte

le risposte telegrafiche e soprattutto i frequenti “non lo so”.

Claudia mi racconta del compleanno del cugino senza mostrare una particolare

partecipazione emotiva. A differenza di quanto accade nel qui ed ora, uno scarso

coinvolgimento è spesso presente quando racconta eventi che la riguardano,

come se il “pensarli” in forma verbale, costituisca un momento separato da

quanto percepito e sperimentato realmente.

In questo incontro ma, più in generale in questa fase del percorso, ai momenti

individuali di espressione artistica, sono succeduti momenti di condivisione con

l’intento di creare collegamento tra gli incontri.

Rileggo la storia gradualmente costruita con i le diverse rappresentazioni e che oggi continua con un piccolo imprevisto: Silvestro ha fatto finire la pallina con cui stava giocando dentro al laghetto dove lui ed Anna si erano fermati per una breve pausa ed il pesciolino che è nell’acqua con la sua mamma si è spostato velocemente, perché la palla cadendo nell’acqua ha sollevato molta sabbia provocando confusione. Aggiungo che il pesciolino è scappato senza accorgersi che la mamma non era più con lui; dopo un po’ si è trovato da solo in un punto del laghetto dove non era mai stato… Si accorge che lì vicino c’è un piccolo baule e lui che è molto curioso indovina cosa fa?... Contemporaneamente, le mostro una scatola con all’interno vari materiali che la bambina utilizzerà creando una nuova immagine. Quando sembra aver concluso il suo lavora le chiedo se vuole aggiungere, cambiare qualche parte del disegno. Claudia costruisce in forma tridimensionale un pesciolino, non è un nuovo personaggio, ma è lo stesso pesciolino già disegnato precedentemente.

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Foto 4 – Il pesciolino è in un nuovo posto del laghetto. Claudia ha utilizzato vari materiali: gessetti, diluiti nell’acqua, materiali di recupero, sabbia Vedo che sul foglio sono tracciati molti segni poco rassicuranti.

Riporto, qui di seguito, alcune produzioni della conversazione avvenuta.

“Come sta il pesciolino in questo posto?” (O).

“Il pesce gira in questa parte del laghetto senza paura… C’è anche una grotta, ma

lui non entra. Ci andrà domani.” (Claudia)

“Un po’ per caso sta scoprendo un posto nuovo e chissà quante cose potrà

raccontare alla mamma quando tornerà da lei!” (O).

“Stanotte lui dorme lì nella rete” (C).

“La mamma lo penserà sicuramente” (O. / dialogo di rinforzo all’iniziativa del

pesciolino).

Penso che il posto indicato da Claudia è rassicurante e costrittivo al tempo stesso,

come forse costrittivo e rassicurante è il busto correttivo che Claudia porta ogni

notte.

L’immagine per la sua connotazione simbolica-affettiva-narrativa attiva al tempo

stesso sia il comunicare che una meta-comunicazione (Watzlawick, 1967), una

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riflessione condivisa seppur indiretta e simbolica.

Le verbalizzazioni di Claudia sulle immagini create sono state perlopiù sostenute

dall’adulto. Poiché difficilmente la bambina si attiva spontaneamente, mi è parso

comunque necessario creare uno spazio di pensiero condiviso in cui sia possibile

dare un nome a quella che Claudia fa e che secondo me prova, in altre parole ho

tentato di rinforzare alcuni possibili aspetti della bambina e di amplificarne la

loro rappresentazione.

TERZA FASE

L’arrivo nel giardino… speciale! C’era una volta … e vissero felici e contenti. Ognuno di noi ha una storia... tante storie con un inizio e una fine, tanti mostri marini, fate, sogni, colori, speranze… e anche… un giardino speciale!

Nel prepararci alla separazione, in più incontri, abbiamo guardato le tante

produzioni. Aprendo la cartellina, che è ormai un “libro di immagini”, sono

emersi commenti e Claudia spesso si è soffermata su alcune rappresentazioni,

curiosa e interessata e con aria anche soddisfatta.

E’ stato un mettere “insieme varie parti” attraverso la narrazione, un dare

conferme, un sottolineare la caratteristica estetica preferita e quindi la sensibilità

ad essa sottesa.

Nel penultimo incontro, la scelta di parte delle immagini contenute nella

cartellina, ha avuto il senso di delineare un ulteriore feedback di rinforzo. E’

emersa una nuova immagine, una nuova narrazione, meglio connotata in grado

di sviluppare aspetti affettivi e di favorire un maggiore riconoscimento di sé.

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Descrizione dell’incontro conclusivo

Oggi, Anna, la bambina della storia finalmente è arrivata.…nel giardino.

Dico a Claudia: “Ti ricordi… è un giardino speciale… forse per come è fatto…

forse per qualcosa che c’è soltanto lì… Forse si potrebbe usare questa stanza e

quello che c’è dentro per costruirlo”.

Claudia, mettendosi subito all’opera, mi chiede di spostare il tavolino con i

materiali per liberare tutte le pareti.

Rimescola le immagini, le sceglie con molta cura e partecipazione. Nel disporre

le sue opere nella stanza, non ne tralascia nessuna e anche i lavori meno preferiti

hanno un valore in questa nuova composizione. Le varie rappresentazioni sono

fissate in una sequenza simile ad una pellicola fotografica che si srotola più o

meno all’altezza del viso della bambina.

Claudia inscena, così, il suo giardino speciale.

E’ un giardino tridimensionale che accoglie entrambe e circonda ogni parete,

mobili inclusi.

Le immagini sono sospese: l’effetto d’insieme che si crea fa sentire circondati.

Osservo che Claudia, emotivamente coinvolta, sembra voler interagire.

L’interesse maggiore come anche il coinvolgimento è indirizzato al coniglio (che

ha costruito durante la seconda fase di questo percorso e che nella storia

rappresenta il pupazzino che Anna porta a dormire con sè).

Mentre la osservo, mi accorgo che per lei è anche un momento speciale e

riferendomi alle immagini che ci circondano avvio un dialogo:

“Come ti sembrano?” (O) “Sono tutti bellissimi” (G) “Si, non mi sarei mai aspettata un bel posto così!... E’ un giardino ricco con tante “cose” veramente particolari da vedere, ma che meraviglia!” (O) Mi siedo in diversi luoghi del giardino appena creato.

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“In questo giardino si può stare dove si vuole” (C) “Dove vorresti stare ora? C’è qualche punto che preferisci?” (O) Claudia si avvicina al coniglio, le piace molto, e lo accarezza. “ E’ morbido... è il pupazzino che Anna porta a letto con sé” (C). “Chissa come si sente il coniglio?” (O). “E‘ felice” (C). La bambina accarezza ancora il coniglio. “E’ piccolo, ha due anni” (C). Penso che anche il gatto ha due anni. “Vicino a te si sente più sicuro e coccolato, meno male che ci sei anche tu in questo posto nuovo che lui non conosce!” (O).

Foto 5 – Il coniglio.

Questo dialogo con le immagini create e quindi anche vissute anche in modo

affettivo, assume sempre più connotazioni simboliche. Esse sono utilizzate e

narrate per esprimere vissuti, fornire risposte e avviare un processo di

trasformazione.

Ciò che Claudia ha rappresentato ed espresso sembra come una conquista che

inevitabilmente ritorna a sé.

Più che il contenuto, acquista una dimensione centrale quanto il contenuto stesso

sottende.

L’adulto che, all’interno della relazione, accoglie e partecipa, si fa al tempo

stesso garante di nuove esperienze e significati e sono proprio i significati, non

solo le immagini prodotte da Claudia durante questa intera esperienza, a creare

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collegamenti tra gesti – immagini – rappresentazioni - narrazione: una meta-

comunicazione narrativa.

Come avviene nel gioco, si è creata una dimensione del possibile, una

dimensione parallela alla realtà che, al tempo stesso, continua e trasforma il

reale: spazio di transizione, occupato, oltre che dagli oggetti simbolico-affettivi,

dalla dimensione relazionale.

Nello spazio-tempo del processo creativo, attraverso i simboli creati, Claudia può

progressivamente acquisire nel suo mondo più intimo un sentimento di sicurezza

e di permanenza dell’oggetto. Questa possibilità di sperimentare la perdita

dell’oggetto potendolo ricreare all’interno di sé può potenzialmente favorire un

senso di maggiore integrità.

Le foto di tutte le “immagini” create integrate dalla narrazione sono state raccolte

nel libro personale che Claudia ha portato via con sé nell’ultimo incontro.

Conclusione del percorso e riflessioni

Durante l’immediatezza dei singoli incontri svolti con Claudia, nonché nella

successiva rivisitazioni di ognuno di essi e dell’intero percorso, mi è parso

importante che la bambina stesse e potesse vivere un esperienza relazionale che

le consentisse di definire il suo spazio e dare forma ad interessi e curiosità

(spontaneità creativa).

Nell’incontro svoltosi nell’ultimo periodo dell’esperienza con la bambina, i

genitori mi hanno riferito alcune novità rispetta alla maggiore disponibilità della

figlia ad intraprendere attività per realizzare i suoi interessi (arrampicata, centro

estivo).

L’incontro di restituzione finale con i genitori verrà svolto appena possibile in

quanto motivi contingenti hanno determinato l’impossibilità da parte del clinico

referente di essere in servizio in questo ultimo periodo.

Ritengo che il percorso svolto con Claudia costituisca solo una tappa di un

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processo più ampio e complesso, indispensabile per favorire il suo armonico

sviluppo. Di questo processo i genitori costituiscono parte integrante.

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Bibliografia

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Ringraziamenti

Ringrazio i genitori di Claudia per la loro disponibilità e partecipazione, il

neuropsichiatria referente, e la logopedista che ha seguito la bambina per le

informazioni fornite e per il suo appoggio.


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