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Istruzione versus educazione? - Foe · Goethe non ti dice niente, è una cosa saputa a memoria e...

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POST IT “tu puoi sapere Goethe a memoria e poi uccidere gli ebrei, perché questo Goethe non ti dice niente, è una cosa saputa a memoria e basta, e lo sai bene, sai anche i ritmi delle sue poesie, le sai descrivere, ma tu non sei cambiato …, allora non è nessuna esperienza. ” Bernhard Scholz 3 5 6 20 EDUCO DUNQUE SONO “Ti ho aspettato da sempre”. L’impresa di Silvio Cattarina COSA SUCCEDE IN CITTA’ Intervista a Marco Masi, nuovo presidente della FOE VITA KARIS Dalle materne ai licei, gli eventi che hanno segnato l’anno AMICI DELLA KARIS I giusti che amano educare segue a p. 23 Istruzione versus educazione? direttore EManuele Polverelli numero 3 - 23 maggio 2012 «Voi sapete che, nel 1933, nel mio Paese d’origine, sono cominciati anni drammatici, poi tragici. La cosa che mi sono sempre chiesto è: ‘Come è possibi- le che questo succeda, in un paese che aveva delle scuole fantastiche, dove tutti imparavano il latino, il greco, imparavano Goethe, Hölderlin, erano impegnati come pochi, erano formati veramente … era gente colta, e con tutto questo sapere storico, culturale, filosofico, perché la filoso- fia era d’obbligo, con tutto quello che veniva insegnato, è successo questo. Cioè: non erano educati. (...) Così ha detto Scholz e lo abbiamo riportato nello speciale, ancora scaricabile dal nostro sito
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“tu puoi sapere Goethe a memoria e poi uccidere gli ebrei, perché questo

Goethe non ti dice niente, è una cosa saputa a memoria e basta, e lo sai

bene, sai anche i ritmi delle sue poesie, le sai descrivere,

ma tu non sei cambiato …, allora non è nessuna esperienza. ”

Bernhard Scholz

3 5 6 20EDUCO

DUNQUE SONO

“Ti ho aspettato da sempre”. L’impresa di

Silvio Cattarina

COSA SUCCEDE IN CITTA’

Intervista a Marco Masi, nuovo

presidente della FOE

VITA KARIS

Dalle materne ai licei, gli eventi

che hanno segnato l’anno

AMICI DELLA KARIS

I giusti che amano

educare

segue a p. 23

Istruzione versuseducazione?

direttore EManuele Polverellinumero 3 - 23 maggio 2012

«Voi sapete che, nel 1933, nel mio Paese d’origine, sono cominciati anni drammatici, poi tragici. La cosa che mi sono sempre chiesto è: ‘Come è possibi-le che questo succeda, in un paese che aveva delle scuole fantastiche, dove tutti imparavano il latino, il greco, imparavano Goethe, Hölderlin, erano impegnati come pochi, erano formati veramente … era gente colta, e con tutto questo sapere storico, culturale, filosofico, perché la filoso-fia era d’obbligo, con tutto quello che veniva insegnato, è successo questo. Cioè: non erano educati. (...) Così ha detto Scholz e lo abbiamo riportato nello speciale, ancora scaricabile dal nostro sito

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Editoriale (Voci dalla scuola)

Preparatiall’imprevisto

Si entra in classe preparati, di solito almeno, con la lezione da svolgere e i compiti da assegnare. Interroghi, poi introduci un nuovo argomento, spieghi, favorisci un dialogo.Poi accade qualcosa che ti chiede, improvvisamente, di esserci davvero. Sposti un po’ da parte il libro – può aspettare un momento – perché seguire quel che accade appare ancora più prezioso di quello che, con cura, avevi preparato. Lì ti accorgi che non sei chiamato a dare una spiegazione, a istruire, a “consegnare” una risposta, ma che quello che ti è chiesto è – di nuovo – di metterti in discussione. Non di spiegare un bel niente, ma di tornare a chiedere, tu per primo, di poter capire.Non c’è scampo: gli studenti chiedono che tu ci sia. C’è ogni mattina una sfida per te, una educazione su di te. E’ una lealtà con l’esperienza che ti è chiesta, innanzitutto. E questa non è una cosa comoda (è come se la vera sveglia, quella che ti sveglia davvero nel senso che fa “tornare in te”, non sia quella di quando ti alzi dal letto, ma quando sei davanti a loro). Vedi allora che tutto si gioca innanzitutto su di te. Non nel senso che sei al centro dell’attenzione – perché al centro c’è ciascuno – ma nel senso che se ti metti in gioco, allora ognuno di loro, probabilmente, farà lo stesso. Ti è chiesto di esserci, questo è la scuola. Esserci, soprattutto. Poi – tentazione del mestiere – vedi che, magari perché il tema emerso ti appassiona, ti vien voglia di dilungarti a parlare… ma capisci che, al suono della campanella, una domanda chiara, irrisolta, aperta, è più uti-le di mille tentativi di risposta che potresti suggerire. Perché la risposta, alla fine, la deve dare ciascuno.Esci dall’aula, ti incammini verso un’altra. Ti tornano in mente, nel tur-binìo dei pensieri, le parole di Pasolini: “Se qualcuno mi avesse educato, l’avrebbe fatto col suo essere, non col suo parlare”. Una educazione di sé, innanzitutto, una sfida per sé. Questo mi apparve chiaro quando, in un tema, trovai scritto: “Se facciamo una domanda il prof. risponde, ma dà una risposta alla quale dobbiamo rispondere anche noi”. Quando ho letto questo, ero contento. Ma inquieto, anche. Perché a quella risposta, un minuto dopo, avrei dovuto rispon-dere anch’io.

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Oltre -Periodico della Karis Foundationn. 3 del 23 maggio 2012

Editore: Karis Foundation. Direttore responsabile: Emanuele Polverelli. Redazione: Miria Beleffi, Francesca Barducci, Stefano Picciano, Paolo Fanciaresi, Paolo Valentini, Silvia Maioli, MArco Bellini, Davide Tonni, Carlo Gaspe-rini, il Comitato scientifico Karis (Lanfranco Cam-pana, Anna Carli, Daniele Celli, Claudio Minghetti, Gabriella Mazzoli, Carla Gasperoni, Marina Magi, Laura Dari). Progetto grafico: Marco Mescolini.Per scrivere al direttore: [email protected] chiuso il 20 maggio 2012

di Stefano Picciano

Al mio fianco,non al mio posto

Si pensa sempre che nelle nostre scuole tutto ci sia risparmiato, che l’essere in una scuola paritaria garantisca una specie di “alone di protezione dalla fatica” agli studenti che la frequentano. Essendo arrivata praticamente alla fine del percorso, credo di poter dire, in tutta sincerità, che non è affatto così.Nella mia esperienza personale di studio alla Karis, infatti, mi è capitato molte volte di avvertire pesantemente la fatica dello studio, soprattutto in quest’ultimo anno di liceo, in cui i già numerosi impegni scolastici, e non, si sono affiancati alla necessità di compiere una scelta per il futuro. Tuttavia, mi sono presto accorta che la questione vera non era far fatica o meno a scuola: la fatica, infatti, è dappertutto, in tutte le cose che faccio ogni giorno. La domanda vera, che quest’anno non mi ha mai lasciato in pace, forse a causa di una mia certa sensibilità, è se tutta questa fatica possa avere un senso! Nel cercare una risposta, mi sono ritrovata a giudicare come i miei professori, cioè coloro che mi sono più vicini nell’esperienza scolastica insieme ai miei compagni, mi aiutino a vivere lo studio, e con esso la fatica che ne deriva. Riguardando indietro nella mia esperienza scolastica, mi sono accorta di come i miei professori non mi abbiano mai risparmiato la fatica, non per tagliarmi le gambe, ma per farmi crescere. Hanno saputo aspettare che venissi fuori io in prima persona, che facessi un mio percorso personale, seppur costellato di fatiche e anche di grandi pianti! Mi hanno accompagnato, con la discrezione di chi sa che non si può sostituire a un alunno nella sua crescita. Adesso, riguardandomi indietro, posso permettermi di dire che ci è voluta anche e soprattutto quella fatica lì per crescere, per arrivare a muovermi e a chiedere quando avevo bisogno. Se avessi trovato già tutto pronto, segnato dai miei prof, probabilmente non ci sarebbe stato quel “passo personale” per cui adesso sono in grado di muovermi per le cose a cui tengo. E’ solo così che la fatica non è più una fregatura, ma un mezzo attraverso cui crescere e imparare a domandare; è solo così che i professori diventano “compagni” di un cammino, e non pretendono di farlo al tuo posto, ma al tuo fianco.

di Sara De Marchi

Incredibile. Studiare non è poi così male

Quando l’anno scorso sono tornati gli studenti delle terze medie dalla “convivenza - studio” dicendo di quanto fosse bello studiare, li ho presi per sciocchi e pensavo che in quei tre giorni avessero fatto loro il lavaggio del cervello. Invece ammetto che questo anno anch’io sono tornato a casa col piacere e la voglia di studiare.Mentre studiavo con i miei compagni le stelle, mi sono accorto di quanto fosse bello arrivare a capire le cose insieme, aiutandosi, e di quanto più si vada al fondo delle cose rispetto a quando si studia da soli.Studiare lo spazio mi è inoltre piaciuto particolarmente perché sono sempre stato colpito dall’irrefrenabile desiderio umano di spingersi più in là dell’apparenza, dal fatto che l’uomo abbia faticato per arrivare alla verità di ciò che esiste. Per esempio Galileo, affermando che il centro dell’universo non era la terra, è andato contro alla mentalità del tempo, perché era inammissibile sostenere allora che l’uomo non avesse un ruolo predominante nella storia universale. Molte teorie una volta assurde e impensabili ora sono considerate certezze e stampate sui libri di

di Giacomo Galassi

scuola grazie alla tenacia dell’uomo di non fermarsi di fronte alla banalità.Non studiate di malavoglia e senza motivo... ne vale sempre la pena. Andate in convivenza: verrà voglia anche a voi di comunicare la vostra esperienza e trasmettere il piacere di studiare agli altri.

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Educo dunque sono

Il vero lavoro dell’uomoè il grido

Silvio Cattarina sarà l’ospite centrale della prima giornata della prossima festa della Karis. Sarà con noi domenica 27 dopo le ore 17, al parco della Comasca. La sua testimonianza sta girando per l’Italia e commuove centinaia e centinaia di persone di tutte le età. Ma lui lo scopriremo insieme domenica, insieme ai suoi ragazzi.Qui vogliamo invece capire meglio una piccola-grande questione. Vogliamo farlo con lui, perchè ci pare che la condizione in cui si trova - gestire la cooperativa sociale “L’Imprevisto”, da lui fondata e volta al recupero di ragazzi “pericolanti” com’egli ama chiamarli -, possa aiutarci notevolmente ad approfondire quella inquietante e suggestiva questione lanciata al personale della Karis da Scholz qualche mese fa: “perchè tanta barbarie se siamo così istruiti?”. Ovvero cosa rende così difficile il cammino dei giovani e degli adulti, oggi?Lo siamo andati a trovare a Pesaro, nella sede della cooperativa, che in oltre trent’anni ha accolto più di 800 ragazzi, collaborando con i servizi sociali dei Comuni e del Ministero di Giustizia.Prima di passare a raccontarvi le sue parole, impressionanti per concretezza e profonda semplicità, e le parole dei suoi ragazzi, che interpella sempre, senza rete, chiamando chi è nei pressi, senza “prepararli”, voglio però raccontarvi cosa ho visto in questa mia prima vista alla Comunità.In una giornata di vento e di pioggia, trovo Silvio che mi aspetta sul ciglio della strada, dopo una telefonata che indicava la difficoltà di individuare il posto. La località è fantastica. Da una parte un costone di roccia, dall’altra il mare. Lungo questa striscia di terra,

a fianco della statale, in una ex proprietà dell’Università Cattolica, sorge la cooperativa l’Imprevisto. Luogo incantevole, ma il vero spettacolo è dentro. Tutto è assai curato e presenta una bellezza spontanea. Alcuni ragazzi stanno facendo lavoro di pulizia e giardinaggio. Quando ti vedono entrare, alzano la testa e salutano con un volto che sembra esprimere gratitudine, gratitudine perchè sei lì. Ti senti subito amico loro, ti senti subito importante. Sono loro a farti sentire tale. Si badi, che per dei ragazzi con un passato spesso terribile (per la maggior parte tossicodipendenza, con tutte le difficoltà annesse) salutare a testa alta, ma non tronfia d’orgoglio, salutare con questa umiltà non dimessa, ma lieta, è già cosa che colpisce. Silvio scherza, “ho un ospite, un carabiniere in borghese che controlla..”. Poi chiarisce, “è un giornalista, un amico della Karis, vuole sapere di noi”. Clima disteso, laborioso ma non ansioso. In cucina diversi ragazzi e ragazze stanno pulendo la verdura. Anche qui la testa si alza e salutano, si presentano e intanto continua il lavoro. Poco più in là alcuni ragazzi studiano. Devono fare l’Esame di Stato e scherzo con loro. Penso ai miei ragazzi del liceo, alle loro fatiche, alla loro domanda di un senso a questa fatica, una domanda così penosa a volte... Poi mi fa vedere la sede dei ragazzi che hanno finito il percorso e si preparano al rientro in società. E’ l’alloggio maschile mentre quello femminile si trova fuori. Locali curati e belli. Mi chiedo da dove venga quella bellezza, così immediata e naturale, e subito arriva la risposta. Comprendo grazie a un gesto casuale che accade lì per lì. C’è un ramo portato dal vento. Silvio lo raccoglie e chiede a un ragazzo con un bidone poco più in là, “metto qui”? C’è un’aria buona, insomma. Un’aria priva del pesante richiamo a doveri che schiacciano, ma che porta una domanda più alta, sempre densa di un rapporto di grande stima.

Silvio, perchè è così fatica crescere oggi?E’ così difficile per un giovane impegnarsi e trovare un entusiasmo - che peraltro significa in greco “essere in Dio” - che generi un’energia, perchè oggi sembra che nella realtà non ci sia nessuna chiamata. Oggi nessuno chiede più nulla ai giovani. Oggi, nessuno mostra come la realtà sia tutta una chiamata a te, una vocazione, parola che infatti è divenuta desueta. Ci spieghi meglio?Vedi, nel mio lavoro molti sono portati a pensare che i giovani che incontriamo siano condizionati dal loro passato. Un passato a volte davvero duro. Ma

Non si istruisce se non si educa. Ed educare è semplicemente essere uomini. Silvio Cattarina, ospite

della Karis il 27 maggio, si svela a Oltre.

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Qui a fianco Silvio Cattarina, a sinistra, Massimiliano, al centro, e a destra Lorenzo. Con loro abbiamo dialogato, in attesa di averli con noi domenica.Sotto nella prima colonna il momento del pasto. A ferro di cavallo per vedersi tutti, si parla uno alla volta e ci si ascolta. Alle spalle, dalle ampie vetrate il mare.

Qui sotto il libro di Silvio,“Torniamo a casa”, edito da Itaca, che ha venduto oltre ogni aspettativa. Durante un raduno, pur nume-roso (8mila persone), dopo la testimonianza, in una sola sera ne sono state vendute duemila copie.

di Emanuele Polverelli

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Educo dunque sono

ciò che fa davvero male ai giovani, ciò che li fa soffrire e li inchioda è la mancanza di una chiamata, di uno che ti vuole. E questo vale per il giovane e per l’adulto. L’adulto poi è più abile a nascondersi, a ingannarsi. Ma il punto è qui: “ma tu lo sai che c’è uno che ti vuole, che ti chiama, che ti aspetta?”. Senza avvertire questo, non si cammina.Dunque la questione non è nel passato?E’ un condizionamento di questo mondo così psicologizzato che ci porta a pensare così. Ma io ho sperimentato che non è vero. A questi ragazzi, quando arrivano qui, dico sempre, “io mi aspetto che tra te e me, tra te e noi, accada una cosa grande”. Il punto è il presente, è se possiamo verificare che c’è qualcosa di grande, qualcosa che vale, qualcosa che possiamo seguire e perseguire. D’altro canto, il passato è passato. Non c’è più. Il grande dramma è il presente che, se vuoto, se è percepito come segno di un assenza, diventa un peso insopportabile.E’ oggi siamo a questo livello…E’ il grande problema, che risponde anche alla tua domanda. Quando ero piccolo, in particolare da me in Trentino, tra i monti e salde tradizioni, tutto mi chiamava a qualcosa di grande. Era subito evidente, e lo era perchè così percepivano le cose i miei genitori e gli altri adulti. La famiglia, la scuola, il parroco. Uno partiva col vento in poppa, sapeva che doveva camminare, perchè c’era da fare, c’era una strada. La realtà parlava. Io, da piccolo, - ovviamente lo comprendo ora - mi sentivo accolto da una promessa. Dobbiamo tornare a percepire questa grande promessa che la realtà porta. Un’altra frase che dico a tanti che arrivano qui, è “ma dove sei stato in questi anni? Ti aspettavamo!”.

E questa è la radice della vostra attività…Tutto quanto facciamo intende portare sui ragazzi questo sguardo. Il tutto si traduce in attività, anche complesse, dentro un percorso di recupero dell’umano che ha anche tappe ben precise, fino a quella finale, ovvero alle dimissioni.Ovvero?E’ il momento in cui, finito il percorso, i ragazzi sono pronti per il rientro nella società. Ma anche questo momento è una festa, una festa commossa. E’ impressionante vedere questi ragazzi che fanno Shakespeare, quando a scuola erano sempre fuori dalla porta, perchè non li si teneva, oppure lavorare con correttezza e tenacia tutti i giorni. Di fronte a una chiamata si può rispondere. Noi ci vogliamo testimoniare l’un l’altro questa grande attesa e desiderio di una chiamata.Ma davvero è di questo che un ragazzo tossicodipendente ha bisogno?Basta riflettere sul linguaggio che i ragazzi usano per chiamare l’atto dell’assumere droga. Noi diciamo, appunto, “assumere”, prendere”, “iniettarsi”. Loro dicono “mi faccio”. Questa frase dice tutto. Svela tutto. “Mi faccio”, cioè mi faccio da me. Sono convinti di farsi da sè, di dover costruire da soli la propria vita. Ma chi può farcela a farsi da sè? E dunque la necessità di una sostanza che ti faccia sentire immortale. Ma poi, ovviamente, vi è il crollo. Il dramma è che questa convinzione non è propria solamente dei tossicodipendenti, ma è di tutti. E’ il punto di grande fatica, come dicevo all’inizio.Ovvero non riconoscere che la realtà chiama…Certo. Se la realtà chiama, significa che non sei tu a decidere di te. C’è uno che ti vuole e ti aspetta. La vita ti viene incontro. E’ appunto un “imprevisto” che non hai fatto tu, che è sempre “più in là” (sono non a caso i nomi della nostra cooperativa e della cooperativa di falegnameria nata da qualche anno, dove alcuni nostri ragazzi lavorano). Quando i ragazzi intuiscono questo, sono come liberati da un peso mortale. E’ questione di un giudizio: non sei tu che ti fai, ma è la vita che ti porta.

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Sopra, il momento delle dimissioni, al termine del percorso di recupero: una festa.Qui a fianco Silvio ritira un premio con le ragazze della comunità.

(continua a pagina 9)

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Che cosa succede in città

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L’Avv. Marco Masi, sposato con tre figli, avvocato in quel di Bologna, ma nato a Morciano di Romagna, è un vecchio amico della Karis.Dopo gli studi al liceo “A. Volta” di Riccione e la laurea in Giurisprudenza a Bologna, vive nel capoluogo dove ha partecipato alla costituzione di uno studio legale associato oggi composto da venti avvocati, con una sede a Bologna ed una a Forlì. Come legale si è specializzato in diritto amministrativo, diritto scolastico e diritto delle organizzazioni non profit. Da anni è impegnato nel mondo delle scuole paritarie ed è attivo nella FOE (CdO Opere educative) sin dall’origine di questa importante istituzione, dapprima come revisore dei conti e poi come membro del consiglio direttivo. La sua elezione a Presidente nazionale della FOE, avvenuta il 18 marzo scorso, è per noi occasione per interpellarlo e per capire di più cosa sia la FOE, quali i suoi compiti e quali anche le priorità che il nuovo presidente intende porsi.

Presidente, cosa è la FOE?La FOE è una associazione di gestori di scuole paritarie, costituita nel 1996. Cresciuta progressivamente negli anni, raccoglie oggi oltre 520 scuole associate di ogni ordine e grado, con circa 49.000 alunni e più di 5.000 docenti.

In quali zone d’Italia è diffusa?Un numero particolarmente rilevante di associati FOE si concentra in Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Sardegna; ugualmente significativa è la presenza, pur diversificata, nel resto del paese.

In cosa consiste la mission della FOE?La sua mission è il sostegno delle scuole associate, attraverso l’aiuto alla crescita umana e professionale delle persone che vi operano. Nell’alveo della esperienza della Compagnia delle Opere, la Foe favorisce e sollecita il costituirsi di reti di scuole attraverso sistematiche occasioni di incontro e di formazione, rivolte in particolare a chi ne ha la responsabilità ultima.

Quali sono le priorità e gli specifici obiettivi che la FOE si pone a breve e medio termine?La crisi che stiamo vivendo rilancia in modo evidente la centralità della educazione e l’importanza delle realtà educative per il futuro e la crescita della società. E’ sempre più chiaro a tutti che la

persona è il cuore della comunità, anche di quella economica, e che l’educazione è decisiva per la consistenza di ognuno. Oggi siamo continuamente sollecitati dalle crescenti difficoltà economiche con cui le famiglie delle scuole paritarie devono fare i conti. Come responsabili delle opere scolastiche cerchiamo di aiutarci per migliorare continuamente la gestione delle nostre scuole e per garantire tutte le famiglie che lo desiderano, anche quelle con minori possibilità economiche, la possibilità di sceglierle.La situazione attuale ci spinge poi ad incrementare l’impegno a livello istituzionale, perché la famiglia sia sostenuta nella libertà di scelta educativa e non debba continuare a pagare due volte la scuola (con le tasse e con le rette), se sceglie quella paritaria.

Quali sono i principali compiti che come presidente ritiene inderogabili?Dopo la laurea mi sono avvicinato alla realtà delle scuole paritarie perché colpito e affascinato dalla testimonianza di bene e di positività che lì ho incontrato. Una realtà ricca di persone dedite al bene comune, testimoni di una fede viva, capace di rispondere ai bisogni dei più piccoli e delle loro famiglie. In questi anni ho potuto conoscere da vicino tante opere scolastiche, vedendo così crescere quel fascino che mi aveva colpito all’inizio. Come Presidente spero di poter servire, per come sono capace, le realtà -e ce ne sono tante grazie a Dio- in cui quotidianamente riaccade la bellezza dell’avvenimento educativo.

Infine, le chiediamo quali sono i suoi rapporti con la Karis.Mi sento particolarmente legato alla Karis. In primo luogo per una profonda gratitudine nei confronti delle persone che sono all’origine della Karis e che sono all’origine anche del mio incontro con l’ esperienza cristiana, quando frequentavo le scuole superiori.Mi è molto cara poi l’amicizia con chi ha la responsabilità della Karis oggi. Sia per il pezzo di strada compiuto insieme in questi anni, sia per l’importanza delle scuole Karis nell’ambito della Foe e delle scuole paritarie in Italia. Mi ha sempre colpito in particolare come una realtà così significativa come la Karis (è una delle scuole paritarie con il maggior numero di alunni) sia stata e sia disponibile ad un cammino comune, di reciproco arricchimento, con tante altre scuole.

Servire l’educazione dove accade

Il nuovo presidente della FOE è delle nostre parti ed è particolarmente legato alla Karis.

Occasione per capire cosa è questa importante realtà.

di Lanfranco Campana

Nella foto Marco Masi, insieme al sottosegretario all’istruzione Elena Ugolini.

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Vita della Karis

“e ci ritrovammo a rimirar le stelle”

di Matteo Montemaggi

L’immensità del Cosmo passa attraverso la scoperta di quanto siamo infinitamente piccoli. E’ l’esperienza fatta dai bambini della VC della Scuola Primaria “Il Cammino” durante i laboratori pomeridiani di quest’anno ai quali ho avuto il piacere di partecipare in un paio di occasioni. La riproduzione del Sistema Solare in scala non rende ancora bene l’idea di dimensioni e distanze del nostro pur “piccolo” angolo di Universo. Il Sole infatti non è che una delle centinaia di miliardi di stelle della nostra galassia, confusa tra miliardi e miliardi di altre galassie. Tante le domande sulla nostra stella, “Ma quanto è grande e quanto è caldo il Sole?”... “Un giorno si spegnerà? Quando?”... “Ah, è lontana la fine del Sole per fortuna!”... Tra i pianeti particolare attenzione è stata rivolta alla Terra, unica nel suo genere per le sue caratteristiche e per il fatto che è il solo pianeta ad ospitare la vita, con la sua atmosfera che ci protegge e che, così ricca di ossigeno, risulta decisiva per la nostra vita.Gli altri pianeti ci appaiono come le stelle, “Venere sembra una stella, perché fa tanta luce e si vede bene”... “Dove la possiamo trovare se guardiamo il cielo la sera?”... Tuttavia, visti da vicino sono corpi strani, o troppo freddi o troppo caldi, paesaggi spogli e ventilati, inospitali alla vita. E poi... “C’è acqua su Marte? C’è Vita su Marte?... E su altri pianeti o satelliti?” La ricerca di possibili vite extra-terrestri nel nostro Sistema Solare scatena la fantasia di alcuni alunni.Ma la curiosità non si ferma qui: “Cosa sono le stelle comete? E le stelle cadenti?... Perchè si chiamano così? Di che cosa è fatta la loro coda?... Sono veramente stelle?... Sono davvero come quella vista dai Magi tanti anni fa?”.L’esperienza dello stupore del Cielo continua con i ragazzi della Scuola media e del Liceo Scientifico che hanno avuto

l’opportunità di mettere i loro occhi all’oculare del telescopio, strumento che solo 400 anni fa Galileo Galilei puntava al Cielo per la prima volta. Per l’occasione il Cielo primaverile ci permette di osservare nebulose, come quella in Orione, ammassi stellari quali le Pleiadi e M35 (nei gemelli), e soprattutto quattro dei cinque pianeti visibili ad occhio nudo. E così i ragazzi hanno potuto distinguere i quattro Astri Medicei vicino a Giove, le fasi di Venere, il rosso pianeta Marte e il maestoso Saturno con i suoi anelli. La Luna resta comunque l’osservazione che ha destato più stupore; dicono alcuni alunni della III B (“W.Spallanzani”): “Nonostante sapessi che la Luna ha dei crateri, non immaginavo che si potessero vedere così bene”... “sembrava un formaggio... Si potevano vedere nitidamente i crateri ed i giochi di luci ed ombre che la luce del Sole produceva su di essa”... “Ho potuto osservare in prima persona ciò che fino a quel momento avevo visto solo nei documentari in TV o sui libri”. Anche l’orientamento tra migliaia di punti luminosi ha suscitato interesse: “una cosa che mi ha incuriosito in modo particolare è stata il fatto che a partire da alcune stelle, procedendo in diverse direzioni e a determinate distanze, è possibile trovare tutte le costellazioni”.Alla luce delle esperienze trascorse non posso che essere d’accordo con le parole del prof. Fabio Perrone (Liceo Scientifico “G. Lemaitre”) quando dice che, pur nella loro semplicità, sono momenti importantissimi di crescita personale che rendono noi insegnanti in qualche modo privilegiati: “Quella notte osservando il cielo stellato sono stato pervaso, quasi letteralmente rapito, dalla bellezza: la bellezza della natura che ha colpito me ed i ragazzi ma, soprattutto, la bellezza degli sguardi curiosi, desiderosi di sapere ed assetati di conoscenza, di una gioventù viva e stupefatta di fronte alla meraviglia del Creato... Aveva ragione Seneca: “Quando insegnano, gli uomini imparano”. Ed io devo ammettere di avere imparato da questi ragazzi, in quella notte, molto di più di quello che, probabilmente, riuscirò ad insegnare loro”.Già, perchè i bambini, i ragazzi, questi ragazzi, questi ‘giovani uomini’, come noi insegnanti, come ciascun individuo, sono un libro bianco, pieno di domande e di curiosità verso il Mondo che li circonda, che attende solo di essere “scritto”... E’ il libro della Vita, e in qualche modo anche il Cielo fa parte di questa Realtà.

Racconto di una passione che ha attraversato tutti gli ordini delle scuole della Karis

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Fino a poco tempo fa, le stelle per me non erano altro che un confuso ammasso di punti nel cielo: uno spettacolo bellissimo, certamente, ma comunque qualcosa di lontano, come inafferrabile. Ma quando, insieme al professor Montemaggi, a quei punti abbiamo dato un nome o una forma, tutto è cambiato: le stelle non erano più solamente dei punti, ma qualcosa, qualcosa a cui gli uomini si erano presi la briga di dare un nome, o di associare la forma di un animale o di un personaggio mitico. Ed è così che mi sono ritrovata a stupirmi nel vedere Saturno attraverso la lente di un telescopio, perchè finalmente le parole del libro su cui avevo studiato quel pianeta diventavano una realtà, una presenza che si imponeva davanti ai miei occhi. Tuttavia, la cosa più bella era che l’aver definito quei puntini, l’aver dato loro un nome, non limitava lo stupore che provavo di fronte ad essi, ma, al contrario, lo accresceva, perchè era la prima volta che guardavo veramente quelle stelle ed esse mi dicevano qualcosa. Una scuola e degli insegnanti che mi insegnano a stupirmi di fronte alle cose presenti mi interessano davvero, perchè mi rendo conto che solo così tutta la realtà mi può “parlare”.

Sara De Marchi

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Vita Karis - materne

Incontro con Nembrini The day after

di Laura DariAvevamo ancora negli occhi e nel cuore le parole che Il prof. Franco Nembrini aveva proferito nell’incontro pubblico del 16 marzo e stavamo per incontrarci per il Collegio dei docenti. Fu immediato per tutte il desiderio di riprendere insieme ai genitori dei “nostri bambini” la provocazione sull’educazione che avevamo respirato là e l’occasione erano le già programmate Assemblee di sezione. Per le maestre questi appuntamenti sono sempre un’occasione per comunicare con i genitori, ma questa volta volevamo anche coinvolgerli, per evitare il rischio di fare un “elenco” delle attività svolte, anche se belle e numerose.Abbiamo così inviato a tutte le famiglie, oltre all’avviso solito con data, luogo e orario dell’incontro, anche la richiesta di reagire ad una frase contenuta nel libro del prof. Nembrini: «Alessandro D’Avenia mi ha detto: “Osservavo un po’ di tempo fa il mio nipotino di due anni, e ho notato un fatto interessante: quando cade, se non si fa proprio male, non è che si mette automaticamente a piangere, si guarda in giro e osserva l’adulto: se incontra uno sguardo spaventato, scoppia a piangere: se incontra un sorriso, uno sguardo sicuro, si rialza in piedi e si rimette a giocare” F. Nembrini (2011) “Di padre in figlio.

Conversazioni sul rischio di educare”, Ares, Milano, pag.175.

Dopo una mia breve introduzione, le maestre hanno incominciato a raccontare il lavoro che stanno facendo. “In queste poche righe penso ci sia già tutta la proposta educativa della scuola e tutto il mio desiderio di essere così nel rapporto con i bambini, con voi genitori e con le colleghe. C’è un bambino che non sia mai caduto? Ce n’è uno che non abbia mai fatto un capriccio, mai una volta che abbia fatto arrabbiare? E c’è una maestra, un papà o una mamma che non abbia mai inciampato? Io desidero avere davanti uno che mi guardi per quello che sono e non per le cadute che ho fatto. Ed è lo stesso per i nostri bambini. Un bambino ha bisogno di essere perdonato, riabbracciato così com’è, per poter desiderare di crescere ed aprirsi alla realtà”.Una mamma ha esordito così: “ ...volevo ringraziarvi per la modalità nuova con cui ci avete invitato a questa assemblea. Sono una maestra di sostegno e mi capita solitamente di assistere ad assemblee in cui le maestre comunicano per un’ora

ai genitori le problematiche della classe, ed i genitori, alcuni interessati altri fingendo di esserlo, prendono atto del da farsi senza sentirsi veramente coinvolti. Con la citazione dal libro di Nembrini inserita nell’avviso, avete proposto un metodo nuovo che ci ha dato modo di riflettere su cosa sia per noi l’educazione dei nostri figli e di esserne veramente i protagonisti. E’ come se la nostra attenzione fosse stata spostata al cuore dell’educazione. Mi sono detta: è necessario  in primo luogo che mi lascio educare io “grande”, perchè i “piccoli” si lascino educare!”E poi un’altra mamma, con una frase che dice tutto: “La mia bambina vuole che io giochi sempre con lei, ma s’accorge quando accetto solo per farla contenta e allora mi manda via…”.E’ proprio vero, loro ci guardano sempre e questa è una bella responsabilità per noi. Un babbo ha aggiunto: “Io lavoro tutto il giorno, i miei figli li vedo solo alla sera, non farei il bene di nessuno se lasciassi il lavoro per stare tutto il giorno con i miei figli. Loro però “sanno” in quel momento, in quell’ora che io sono lì per loro. Rispondo alle loro richieste, a volte bene, a volte meno, ...dipende dalla stanchezza. Non c’è una formula magica, ma loro sanno che sono lì per loro e che voglio loro bene. Allo stesso modo sono contento di aver mandato i miei figli da voi, perché m’accorgo che le maestre hanno la preoccupazione di scegliere nel loro compito educativo quello che li fa crescere, di mettere a tema la mia stessa preoccupazione per loro: che siano felici”. Viene in mente quanto diceva Nembrini, quando ricordava che suo figlio guardandolo mentre correggeva i compiti dei suoi alunni disse: “Papà, assicurami che valeva la pena che venissi al mondo”.La questione è proprio questa; che noi maestre, noi genitori, non si abbia il problema dei figli, degli alunni, ma il problema di essere lieti, certi di una positività del reale. Molti genitori hanno detto di aver visto i propri figli “cresciuti”, felici di avere degli “amici preferiti”, capaci di usare un linguaggio più ricco. Col proprio passo ognuno si è messo in gioco e questo rende interessante e bella questa “avventura” che è l’educazione dei bimbi di due, tre, quattro e cinque anni! Durante l’incontro insieme ai genitori dei bambini della sezione Primavera si è evidenziato un punto fondamentale: la certezza del rapporto con questi bimbi piccoli. Quel rapporto nato durante quest’anno di scuola; vissuto per alcuni di loro con difficoltà nel distaccarsi dalla propria mamma ma poi vivendo quotidianamente ognuno di loro è riuscito a fidarsi. E’ quella fiducia che è proprio alla base di ogni rapporto.Alcuni genitori sono rimasti colpiti dai loro figli, seppur piccini, che a casa imperterriti cantano le canzoni della scuola e si arrabbiano nel vedere i genitori non cantarle. Anche in questo li hanno visti proprio “cresciuti”. Queste assemblee sono stati momenti in cui le maestre e i genitori si sono confrontati, si sono aiutati con coraggio e sincerità, cosa non facile, troppo spesso rara. Continueremo a lavorare, coscienti di questa “sfida” proponendo questo nuovo metodo, ovvero individuando sempre nell’ordine del giorno di ogni incontro con i genitori una riflessione, che in quel momento riteniamo importante per l’educazione dei nostri bambini. Cioè, importante e decisiva per noi.Ricordiamo che su vienioltre.it, trovate il pdf scaricabile e stampabile con lo speciale contnenente la trascrizione degli incontri con Nembrini e Scholz.

Quest’anno, gli incontri delle scuole di Riccione con i genitori sono stati qualcosa di diverso...

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Vita Karis - materne

partecipasse, mentre Rinaldi ha chiesto di non insistere, in quanto ancor prima che il bambino a doversi correggere, siamo noi adulti a doverci lasciare provocare da un atteggiamento di questo tipo e a trovare il modo di stimolare il suo interesse. Quello che è accaduto con questo bambino è ben descritto da queste parole di Onorato Grassi in cui afferma che “l’insegnamento non è una tecnica, ma un’esperienza che accade; chi insegna fa normalmente esperienza che qualcosa di nuovo, di imprevisto, sta accadendo”. Ecco questo dice meglio di tante parole l’esperienza accaduta in questo tempo durante gli incontri con il professore di basket, alla cui base c’è un’esperienza di divertimento grandissima, che nasce dalla passione grande che lui stesso sa trasmettere ai bambini.

Le maestre della Scuola Materna di Rimini

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L’incontro col professor Rinaldi, è avvenuto qualche anno fa, quando i suoi nipoti hanno iniziato a frequentare la scuole della Karis. Da subito ha dato la sua disponibilità per condividere la sua esperienza con i bambini e dopo alcune prime attività, la modalità di accompagnare i bambini alla scoperta delle cose ci ha trovato immediatamente in sintonia. Abbiamo così accolto la sua offerta di venire a scuola ad insegnare basket ai bimbi dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia. E’ nata un’esperienza interessante in cui abbiamo scoperto in lui la figura del “maestro”, cioè un adulto che sa accompagnare i bambini

nel gioco in tutti i suoi aspetti, introducendoli alla coordinazione motoria, al rispetto delle regole, alla richiesta di ascolto, di impegno, aiutandoli nella fatica e favorendo il divertimento. La sua richiesta è precisa e decisa lasciando loro la possibilità di agire e di sbagliare. L’errore, legato spesso a una distrazione non viene immediatamente sottolineato durante il gioco, perché desidera che sia il bambino stesso ad accorgersene, da solo o stimolato dai suoi stessi amici, chiedendo così ad ognuno di fare i passi necessari per acquisire maggior consapevolezza di sé e ottenere di conseguenza anche risultati al di là delle proprie aspettative. Al termine delle attività non esita però a correggere i bambini spiegando loro l’errore fatto, per cui non sono riusciti così ad ottenere i risultati attesi. I bambini dal canto loro rimangono incantati e presi da una persona così, perché percepiscono nella sua fermezza un’attenzione vera ai loro bisogni, per cui al termine delle attività lo salutano dimostrandogli un grande affetto. Questo atteggiamento ha corretto anche noi insegnanti, così spesso pronte a richiamare un bambino perché non rispetta la consegna, distratto dai suoi mille pensieri. Siamo state provocate a rispettare e a guardare i passi necessari ad ogni bambino. Vorremmo esemplificare questo, raccontando di un bambino che quest’anno non voleva in nessun modo partecipare ai giochi proposti dal professore, obbiettando che faceva troppa fatica. Le maestre lo stimolavano tantissimo affinchè

Il Basket e quella grande passione (per la vita)

Il corso di Basket con il prof. Rinaldie quelle correzioni per le maestre (e per i genitori)...

Questo anno la cosa più significativa per me è stato l’ interesse che hanno suscitato in me i collegi . All’ inizio ho fatto un po’ fatica a capire perché ci incontravamo tutte le settimane, mi sembravano poco importanti. Anche mio marito mi chiedeva, “ma perchè tutti i martedì, cosa andate a fare e cosa vi dite?”. Ad un certo punto mi sono chiesta anche io, “ma perchè?”. Poi un giorno è successa una cosa curiosa. Io e mio marito guardavamo il telegiornale in cui si parlava di maestre che maltrattavano i bimbi della propria scuola. All’ improvviso mio marito mi guarda e mi dice: “Ecco perchè sono importanti i collegi!”. Io subito gli chiedo: “perché?”. “Ti aiutano a riflettere su quanto è importante il tuo lavoro e che i bimbi sono preziosi!”. L’ osservazione di mio marito mi ha fatto pensare molto ma anche un altra esperienza personale mi ha chiarito le idee. Tutte le sere il mio papà mi telefona e la prima cosa che mi chiede è, “come va al lavoro?”. E comincia a raccontarmi la sua giornata. Lui lavora come bidello. Mi racconta di quanta tristezza, di quanto pettegolezzo vi sia nei dialoghi e di come sia vissuta male l’ esperienza scolastica. Le maestre non hanno mai il tempo di fermarsi un attimo per confrontarsi e ognuno va per conto suo, ognuno fa il suo lavoro e basta. Lui mi dice sempre che sono fortunata ad avere la possibilità di un giorno alla settimana in cui mi posso confrontare, per discutere di tutto ciò che succede a scuola. Ascoltando le parole del mio papà e di mio marito mi sono resa conto di quanto sia importante per me quel martedi. Ho imparato a chiedere aiuto alle mie colleghe senza avere la presunzione di saper fare tutto da sola. E’ importante lavorare in un clima sereno, collaborativo e potersi confrontare. Infine ho imparato a guardare i bambini con occhi diversi rendendomi conto che ogni bambino mi regala ogni giorno emozioni uniche, aiutandomi a guardare la realtà con il suo stupore di bambino e così lavoro non tanto per fare, ma coinvolgo tutta me stessa, soprattutto con il cuore.

Rosi Albero

Quei collegitutte le settimane....

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(continua a pagina 19)

dei bambini per il coinvolgimento dei genitori nel divertirsi con loro. Alle mamme e ai babbi si leggeva negli occhi che non giocavano “per” i loro figli, ma con i loro figli …

In questa mattina bagnata, di un Aprile dal colore ancora invernale, nel salone della scuola “Cuore Immacolato di Maria” è accaduta una cosa così bella da portare dentro il sole e l’entusiasmo….La sezione dei mezzani ha vissuto la lezione aperta di psicomotricità’ tenuta dalla maestra Alice, che ci ha accompagnato in questi mesi. I genitori sono venuti in tanti immaginandosi forse di dover mettersi a sedere e guardare piacevolmente giocare i loro figli … invece la proposta è stata ben diversa. Alice ha invitato tutti i genitori a giocare e a divertirsi con i loro figli e loro hanno partecipato alla “grande”. Insieme si sono trasformati in pescatori e pesciolini, a turno hanno pescato e si sono fatti pescare passando sotto un grande telo tutto colorato, hanno fatto la gara di palle di neve … Per noi maestre è stato meraviglioso vedere l’emozione e la gioia

“Non per i loro figli, ma con i loro figli”

di Maddalena Rastelli

Le lezioni di psicomotricità... tra gli allievi,anche i genitori!

(continua da pagina 4)

Ed è per questo giudizio che così tante persone oggi ti cercano, cerca te e i tuoi ragazzi per sentir raccontare…Ma è da poco che siamo così conosciuti. Prima eravamo qui, ma nessuno ci filava!E cosa è cambiato?Sono cambiato io. Ho dovuto comprendere io questo giudizio.E cosa ti ha fatto cambiare...Me lo chiedono tutti. Non so. Ho desiderato molto. Ho desiderato che la vita portasse questo grido. Ho imparato a gridare. So che prima, in fondo, in fondo, la coscienza era che facessi tutto io. Ora comprendo che non è opera delle mie mani. Noi adulti dobbiamo accendere un fuoco, dobbiamo avere acceso in noi un fuoco perchè si accenda in loro. Ora mi brucia dentro questo fuoco. E’ una specie di Pentecoste.Uno dei sentimenti più forti dei ragazzi è la rabbia… anch’essa è un grido?Il grido diviene rabbia quando nessuno ti dice che tutta la promessa del tuo cuore e della tua ragione può avere un compimento. Nessuno dice che c’è la risposta. Ognuno di noi soffre solo e soltanto per questo. Il passato può far male, ma prima o poi lo si accetta. Ma che quello che desidero non sia un inganno, che abbia un compimento e un senso, è una cosa decisiva. L’adulto lo deve dire. Poi l’energia del giovane nasce da sola.Dunque, pensando anche alla scuola, chi è l’adulto, il maestro?L’adulto è colui che indica questa presenza. E’ colui che insegna, ovvero lascia segni, segni che la risposta è possibile, che la realtà è lì perchè si realizzi la tua attesa. Insomma l’adulto, il genitore, come

insegnava il mio vecchio catechismo, è “colui che fa le veci di Dio sulla terra”. Non male no?Impegnativo!No, no. Se tu sei solo tu, come fai a sostenere questa impresa? Intendo l’impresa educativa, ma anche l’impresa della tua vita, di essere veramente te stesso, che poi è la stessa cosa. Se tu, invece, sei opera di un altro, porti l’opera di un altro, allora ce la puoi fare. Guarda che è la stessa dinamica che dicevamo prima per il tossicodipendente (mi faccio). Noi siamo nella stessa loro barca.E’ come acquisire da parte degli adulti questa consapevolezza…Per un certo aspetto si può dire che è oggettivo. Uno è questo segno. Se penso a mio babbo, senza che lui avesse mai studiato o fatto riflessioni, era questo. Una volta nella nostra casa - un vecchio fienile vicino alle cime delle Alpi - io e mia sorella avevamo scoperto una fonte d’acqua e tutti contenti eravamo corsi dal nostro papà e pieni di sorpresa dicevamo, “che bella l’acqua, è forte, zampilla, è gelida, è pulita, che rumore che fa”, e così via. Lui zitto. Dopo un po’ dice, “ha sempre buttato”. Ma questo è fantastico! E’ l’idea di Dio. Non gli interessava niente delle altre cose. Lui sapeva che l’acqua ha sempre gettato. E’ la certezza, è l’inesauribilità dell’essere. Questo deve dire l’adulto! C’è sempre un fuoco acceso. Cercalo! In classe, deve passare questa certezza. C’è un fuoco sempre acceso, cerchiamolo! Con le discipline, con lo studio, con tutto… cercatelo, perchè c’è, ve lo assicuro!E pensare che a quel tempo quella frase di mio babbo mi sembrava arida, banale… Invece era la cosa più giusta, più vera.

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Tutta una questione di “Sguardi”

10Vita Karis - elementari

L’ordine degli Architetti riminese propone “Sguardi”, iniziativa per promuovere la cultura del paesaggio. Ecco quanto è accaduto con gli alunni della Karis

L’ordine professionale degli Architetti riminesi ha organizzato tre giornate dedicate alla Valmarecchia per promuovere la cultura del paesaggio. La manifestazione si è composta di più iniziative complementari e ha avuto sede in tre luoghi significativi per il paesaggio della vallata: Rimini, San Leo, Novafeltria.L’iniziativa dal titolo “Sguardi” ha chiamato, ad interpretare i diversi paesaggi della vallata, categorie di persone diverse.Nel caso di Rimini sono stati i bambini delle classi 3°C e D, più quelli della 4°C e D del “Cammino”, a raccontare il loro punto di vista sul paesaggio.Tutto nasce dalla proposta di un babbo della nostra scuola, Presidente degli Architetti di Rimini, Roberto Ricci. Confrontandoci su come sviluppare tale iniziativa, noi insegnanti abbiamo sottolineato l’esigenza dell’aspetto esperienziale dell’osservazione, ma anche quella di seguire dei “maestri” che ci aiutassero a guardare per vedere.Così con due “maestri architetti”, Roberto Ricci e Marialuisa Cipriani siamo partiti per il nostro “viaggio”.Partenza da scuola (via Brandolino)- Darsena- paesaggio marino- foce del fiume Marecchia, risalita del fiume osservando i cambiamenti della flora e della fauna, dalla foce fino al punto della deviazione del fiume Marecchia, Parco Marecchia, percorso del vecchio letto del fiume, invaso del Ponte di Tiberio , Borgo San Giuliano, porto canale, porto, ritorno a scuola.Gli alunni hanno prodotto elaborati iconografici ed elaborati scritti.Il tutto è stato proiettato nella Sala del Giudizio, nel Museo della Città, sabato 14 aprile. Non potendovi mostrare tutti gli elaborati dei nostri alunni, vi proponiamo alcuni stralci che dettagliano l’esperienza fatta dai bambini.

“Una frase pronunciata dagli Architetti mi è rimasta impressa: - Prima di rispondere alle nostre domande dovete provare ad usare gli occhi, ora”. “Questa uscita mi è piaciuta molto perché ho scoperto la bellezza che ha Rimini dentro di sé”.“Se guardo la mia città senza fermarmi e senza osservarla bene, non scopro nulla”.“Ciò che ha suscitato in me più interesse, nel guardare i particolari del paesaggio, è stata la trasformazione che l’uomo ha operato sulla natura; la foce del fiume Marecchia è cambiata del tutto”.“Sabato camminando lungo il fiume Marecchia ho scoperto notizie nuove: il fiume è stato deviato, la seconda, che avevo spesso studiato, ma mai capito: come i detriti venivano trasportati dal fiume verso la riva del mare”.“Roberto e Maria Luisa, ci hanno guidato lungo il percorso, aiutandoci a conoscere in modo preciso quello che guardiamo. Gli architetti ascoltando le risposte che davamo alle loro domande, ci

hanno suggerito di non farci ingannare dalle cose che già sappiamo e di osservare bene con gli occhi”.“Quando l’uomo ha costruito i “padelloni” sul fiume, cioè case sorrette da pilastri di cemento, con una rete sospesa nel fiume, ha preso spunto dalle palafitte degli uomini primitivi”.“Questa passeggiata mi ha insegnato che la natura è una parte molto importante della vita e che l’uomo ha scelto i luoghi migliori dove vivere”.

Roberto e Maria Luisa dopo aver visto i disegni e letto gli elaborati erano entusiasti di quanto i bambini avessero recepito, ricordato e imparato attraverso quella mattinata trascorsa insieme; a questo - sottolinea Marialuisa - va aggiunta la purezza dei loro sguardi … C’è sempre da imparare dagli occhi di un bambino.

Emanuela, Laura, Morena e Daniela

“Lavorare con i piccoli è stata un’esperienza straordinaria nel suo genere e la straordinarietà è stata determinata dalla natura delle persone a cui è stato dedicato il percorso formativo. Più volte nella mia vita professionale mi sono trovata ad esporre ad un pubblico, ma il pubblico era sempre un pubblico adulto. Le dinamiche con i piccoli sono state nuove e diverse: c’è stata la dimensione del gioco, c’è stata l’emozione di raccontare qualcosa di ancora mai ascoltato e di accompagnare nella scoperta di nuovi orizzonti, ma soprattutto c’è stato il grande regalo di aver avuto la sensazione che quello che abbiamo fatto Roberto ed io avesse uno scopo e potesse contribuire a lasciare in questi bambini la voglia di vedere un mondo migliore.Grazie, piccoli grandi uomini del futuro e ancora un caro grazie a voi maestre che ci avete accompagnato e sostenuto nel percorso”.

Roberto e Marialuisa

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Certificazioni lingua inglese: molto più di una “competenza”

E’ giunto a compimento un primo step, con la certificazione STARTER della Cambridge ESOL University, delle quinte elementari per l’importante opera di ristrutturazione dell’insegnamento della lingua inglese che si sta attuando alla scuola Karis. Di questa innovazione avevamo parlato nel n. 2 di Oltre (vedi www.vienioltre.it, alla sezione archivio), dove la responsabile per tutti gli ordini di scuole, la prof.ssa Raffaella Mignatti, così ci diceva, “Abbiamo già iniziato a livello della primaria ma gradualmente la porteremo a tutti gli ordini di scuole della Karis fino alle superiori. Si tratta di sviluppare i programmi mattutini in funzione del conseguimento delle certificazioni internazionali della Cambridge University (Pet, First). In questo modo otteniamo un miglioramento della qualità dei programmi per tutti, e un supporto a chi vorrà sostenere gli esami di certificazione senza impegnare le ore pomeridiane, che ai ragazzi servono per studiare e per mille altre belle iniziative. La presenza in tutte le classi di una madrelingua, completa questo rinnovamento dell’ insegnamento dell’inglese”. Qui di seguito, nelle parole di insegnanti e alunni, possiamo leggere il risultato di questo percorso, un risultato non solo tecnico e funzionale, ma che dentro l’esperienza della Karis, diventa umano ed educativo.

ep

L’esperienza sviluppata in questi ultimi anni nella scuola primaria come insegnanti di lingua inglese è stata coinvolgente e motivo di intensa riflessione. Coinvolgente perché tutti i gesti, le attività e le azioni che si verificano all’interno di un aula di scuola sono carichi dell’energia che ogni individuo sprigiona e dell’affettività e dell’emotività tipiche di un linguaggio universale. La passione e lo sguardo con cui ci si rivolge agli scolari sono una chiave di accesso fondamentale per creare con loro una relazione educativa, una relazione di senso. Motivo di intensa riflessione perché abbiamo realizzato fra i diversi ordini scolastici una concreta continuità e coerenza attraverso forme di raccordo pedagogico, metodologico e didattico che hanno permesso ai contenuti di non essere ripetuti e sovrapposti ma condivisi in una logica di gradualità e ciclicità del curricolo. Questo lavoro ci ha permesso di individuare le finalità dell’apprendimento della lingua inglese e concentrarci sul valore funzionale, interculturale e sul raggiungimento di una maggiore flessibilità cognitiva. Questa collaborazione ha motivato le insegnanti della Scuola Primaria a sviluppare un percorso che integra i Programmi Nazionali con il Sillabus dell’esame STARTER per giungere alla Certificazione Cambridge ESOL University.In quest’ottica le metodologie che stiamo utilizzando propongono di

sviluppare il sapere, (“..Arrivato a scuola penso ad ogni minima cosa che ho imparato: alle regole studiate, alle domande possibili, a ogni parola affrontata. Insomma, penso a tutto ciò che so”) anche in saper dire e saper capire (“.. perché per prepararsi al meglio non bisogna solo imparare a memoria le preposizioni, gli articoli e i pronomi, ma bisogna sapere i significati delle parole ... mi sono messo a studiare e studiare finché le cose mi sono entrate nella testa. ...Quando ho aperto la porta, per sostenere la prova dello speaking, la teacher Francesca sembrava una sentinella che protegge il tesoro. Io l’ho salutata e lei cordialmente mi ha risposto … grazie al lavoro svolto in questi anni sono riuscito ad affrontare il test con un filo di gas”).È stato interessante confrontarci con gli alunni sulle difficoltà incontrate. Questa riflessione li ha resi consapevoli del come affrontare le prove e ha dato loro la possibilità di comprendere le strategie da attivare per portare a termine il compito, ma anche di poterle richiamare quando necessario. “The person who is educated is one who has learned how to learn”. (“..La writing era difficile. Per non perder tempo saltavo le domande che non sapevo per poi riprenderle alla fine. Una volta trovata la risposta che cercavo, mettevo una croce e andavo avanti e mettevo anche un bel sorriso sulla faccia”).La tensione emotiva nel mettersi alla prova applicando ciò che si è appreso davanti a esaminatori, amici ma sconosciuti, contribuisce a sviluppare il loro processo di autonomia in situazioni reali. (“..Io, piccola tappetta della classe, mi sentivo male, la mia faccia era rossa e la sentivo scottare, il mio cuore batteva a mille, stavo impazzendo... la mia mano era proprio appiccicata, non riuscivo a cavarla dalla tasca”. ... Ho capito che non bisogna avere paura delle sfide che la vita ci propone, ci fanno comprendere cosa di noi dobbiamo migliorare e ci fanno ragionare su noi stessi. ... Questa esperienza mi ha fatto capire molte cose: gli esami non sono difficili e sono un passo per diventare uomini e donne un domani. (...) Il rapporto di fiducia instaurato con l’insegnante ha permesso agli alunni di affrontare le loro tensioni e di credere nelle loro capacità. (“..ce l’ho fatta, sono uscito a petto in fuori, orgoglioso. Gli occhi della teacher brillavano, era più eccitata di noi e non la deluderò”. ... Quel foglio stava davanti a me era come una porta da aprire o lasciare chiusa. Ho deciso di aprirla, cioè di accettare la sfida della teacher, come affacciarsi ad una finestra che un altro ti ha aperto”). La condivisione come gruppo classe dell’intero percorso di apprendimento, di analisi, di riflessione, di azione ha mantenuto alta la motivazione e il sentimento di coesione. “..La cosa più bella è che questo test l’ho fatto insieme ai miei amici”.

Le insegnanti di lingua inglese e gli alunnidelle classi quinte delle scuole primarie Karis Foundation

Dalle parole delle insegnanti e degli alunni,si comprende la valenza educativa di questa nuova

frontiera aperta dalla Karis

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Roma e la scoperta di un grande abbraccio

Roma! Ecco la meta della grande gita di fine anno delle classi quinte delle scuole elementari di Rimini e di Riccione. L’importanza dell’iniziativa la si assapora dalle stesse parole delle maestre.“Sono stati due giorni intensi in cui i nostri ragazzi, con la compagnia della scuola, hanno incontrato la grandezza dell’Impero romano e la tenerezza dell’abbraccio del Santo Padre. La Piazza del Campidoglio, i Fori Romani, il Colosseo e la Basilica di San Clemente hanno testimoniato il desiderio dell’antico popolo romano di essere ricordato per sempre. I bambini hanno riconosciuto in loro lo stesso desiderio: siamo fatti per “cose” grandi. Così la proposta di svegliarsi nuovamente all’alba del giorno dopo per “procurarci” i posti in Piazza San Pietro in prima fila per l’Udienza con il Papa, li ha trovati pronti e contenti. Noi maestre siamo rimaste stupite vedendo i nostri bambini così impegnati a seguire le guide, ad osservare tutto con

Una classe che si trasforma di fronte a richieste grandi

di Francesca Barducci

interesse e a domandare con la voglia di “riconoscere” ciò che avevano studiato sui libri”.

Le maestre delle quinte della Karis

E’ il terzo anno consecutivo che le quinte vanno a Roma. Un appuntamento divenuto irrinunciabile. Abbiamo voluto approfondirne il motivo con la maestra Nicoletta Sanese. Nicoletta, che cosa è accaduto?È accaduta la possibilità di incontrare dal vero tutto ciò che durante l’ultimo periodo di storia avevamo letto sui libri. Un incontro ravvicinato con la maestosità dell’Impero Romano e la tenerezza dell’abbraccio del Santo Padre.Come hanno vissuto i tuoi alunni queste due giornate?Hanno vissuto il gesto di quei due giorni con gli occhi aperti in cerca di qualcuno o qualcosa da guardare.Durante l’anno come erano quegli stessi bambini?Sulle tante proposte fatte loro erano spesso istintivi, erano più da “guardare”, tanto che uno degli slogan degli ultimi tempi era “Guardate… non fatevi guardare!” In generale posso dire che rispetto alle proposte fatte, si fanno spesso uno sconto… Che cosa è stato insolito vivere con loro? C’è un passo comune che ti porti a casa?L’unità fra di loro, l’attenzione a guardarsi, a richiamare il compagno che magari non faceva la fila e rimaneva indietro, un aiutarsi reale. È venuto a meno l’additarsi nell’errore, il correggersi era un aiutarsi a guardare. Hanno sperimentato che è più facile e immediato stare a ciò che succede quando lo scopo non è far bene, ma guardare dove c’è un’attrattiva per sé.

La foto del Papa è stata scattatata dall’alunna, Giada Marchionna, V A di Riccione, mentre Benedetto XVI stava rivolgendo il proprio sguardo, quasi fosse un abbraccio, proprio ai bambini della Karis.

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Decine di ragazzi sorridenti in fila per un autografo, con un libro aperto in mano. A farli, gli autografi, non c’è però un attore di successo né il leader di una band musicale in voga. Ma una professoressa di grammatica. Accade al termine dell’iniziativa che ha recentemente coinvolto studenti e docenti della scuola media. Un corso di aggiornamento sui generis, guidato da Raffaela Paggi, preside e docente presso la Fondazione Sacro Cuore di Milano e autrice del manuale di grammatica su cui quotidianamente la scuola lavora.Allestiamo un’ aula nel foyer del teatro Tarkovskij, con banchi e lavagna. La professoressa Paggi, appena entrata, desta da subito la curiosità dei ragazzi - quella curiosità di chi si accorge che i nomi letti sulla copertina dei libri corrispondono a persone reali! – e questi la seguono attentamente in una lezione intensa e coinvolgente. In ultima fila, tutti i docenti di italiano seguono e prendono appunti loro stessi.La Paggi dialoga a lungo con gli studenti, essi si coinvolgono con partecipazione in questa giornata di scuola particolare.Tanti i punti interessanti affrontati, ma a fine mattinata ce n’è uno imprevisto: “Professoressa, lei crede che la grammatica serva ad aiutare la vita degli uomini sul piano sociale, economico, politico?” La Paggi si alza, va davanti al banco dello studente che ha posto la domanda. E’ il punto focale della lezione: si può vivere anche senza sapere la grammatica, ma possedere lo strumento del linguaggio aiuta a conoscere la realtà. L’obiettivo non è la grammatica, ma la realtà. E tanto più uno è consapevole dello strumento che ha per esprimere quello che vive – la lingua - tanto più potrà entrare nella realtà, potrà conoscerla.Dopo la mattinata si pranza tra insegnanti, nel pomeriggio il dialogo prosegue discutendo del lavoro svolto al mattino. Due giornate intense, che hanno di nuovo messo in discussione, perfezionandoli, i metodi di insegnamento dell’italiano, disciplina che non si lascia facilmente “incasellare” in schemi grammaticali precostituiti. E’ l’impostazione stessa della concezione che seguiamo – e del manuale, che da essa è nato -: non si tratta

appena di insegnare delle regole per utilizzare bene la lingua, ma di indagare il complesso funzionamento della lingua come strumento di attestazione dell’esperienza. Ne consegue un atteggiamento didattico per sua natura aperto al dialogo, amante dell’imprevisto, pronto a mettere in discussione le regole acquisite e per questo al contempo umile e appassionato. E che di una continua approssimazione si tratta lo ha dimostrato la Paggi stessa, di fronte agli studenti, senza remore, quando uno studente ha obiettato che la conclusione cui si era giunti si discostava leggermente dalla definizione data sul manuale. Ha accettato la sfida e ripreso la discussione, per concludere infine che ciò che lei stessa aveva scritto sul libro poteva essere migliorato (e ha invitato i ragazzi a correggere il libro!). La lingua è più forte delle regole. Perché serve a conoscere la realtà. A intraprendere, cioè, per instancabile approssimazione, un cammino che non finisce mai.

Aggiornamento “sul campo” con la prof.ssa Paggi, co-autrice, insieme alla prof.ssa Albini, del nostro manuale

«Professoressa, lei crede che la grammatica serva ad aiutare la vita degli uomini sul piano sociale, economico, politico?»

Il senso dellagrammatica

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Vita Karis - medie

di Stefano Picciano

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Vita Karis - medie

Una miniera di novità(cioè la realtà intera)

di Stefano Picciano

Una miniera di ricordi emerge dalle parole concitate – come di chi racconta qualcosa di importante e di caro - di Nino, ex-minatore che incontriamo durante la visita alle miniere di Perticara (PU) in occasione della tradizionale convivenza delle terze medie. Un mondo sconosciuto si svela a noi, fatto di rocce, di fatica, di tenace dedizione ad un lavoro che non fa sconti a nessuno. Ma ogni parola è pronunciata con tono commosso, quasi nostalgico. Un “mondo” che – come tanti altri – non conoscevamo e che poteva rimanerci estraneo, pur

sapendo della sua esistenza. Come la Luna per Ciaula – in una nota novella riletta all’inizio della convivenza -, di cui Pirandello scrive che “sapeva che cos’era, ma come tante cose si sanno, a cui non s’è dato mai importanza”.La sfida, dunque, – una delle ultime sfide “lanciate” da Don Giancarlo – era quella di vedere come le diverse discipline sono in grado di “illuminare” un particolare aspetto della

realtà, di fartelo conoscere di più. Perché è la realtà – e non le discipline – l’obiettivo della scuola. Le materie appaiono così punti diversi di osservazione dell’unica realtà. Leggendo Pirandello, allora, abbiamo capito meglio cosa c’è nel cuore del minatore Nino, mentre Nino ha dato carne alle parole di Pirandello; riguardare alla rivoluzione industriale è l’occasione per ripercorrere la drammatica storia del Novecento; anche

i minerali osservati in miniera fanno nascere una lezione di scienze che d’un balzo va fino alle stelle. Ed ecco che dalla miniera, che prima poteva sembrare solo un “buco” nel terreno, cominciano a uscire tesori inaspettati. Tornando a guardare la stessa cosa, ora, lo sguardo è diverso, nuovo.Ma quella miniera – e qui sta il bello – era solo un esempio, una sorta di banco di prova per verificare una dinamica che vale per tutto: ci accorgiamo che tutta la realtà, in fondo, ha questa caratteristica: se inizi a osservarla con cura, improvvisamente svela aspetti di una ricchezza sorprendente e inaspettata. E’ come se lo sguardo, prima piatto, acquistasse d’un tratto prospettiva, profondità, e da questa profondità cominciassero a emergere aspetti fino allora rimasti invisibili.Ti accorgi, così, che questa ricchezza sta nascosta dietro ogni particolare, e tutta la realtà appare più “densa” e degna di attenzione. Perché di tante cose sappiamo l’esistenza, così, senza lasciarci toccare da esse. Ma guardare davvero, conoscere, è tutta un’altra cosa.

Convivenza di studio delle terze, seguendo una delle ultime intuizioni di don Giancarlo

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In alto a sinistra un momento di studio con i prof. e gli amici. Sotto il titolo, Nino, il minatore, che racconta e qui a fianco la lezione di storia sul Novecento della prof.ssa Silvia Maioli. In alto, in questa colonna, il prof. Paolo Valentini commenta “Ciaula scopre la luna”. Ma la convivenza è anche gioco. Nella foto qui sopra un momento ludico. Protagonisti i prof.!Sul sito www.vienioltre.it, potete trovare i video che rappresentano i powerpoint utilizzati per le lezioni di storia e di scienze (sezione News, selezionando “audio-video”).

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Vittoria!

Battere un liceo classico? Impagabile!Assieme ai ragazzi delle classi IV^ sezioni A e B del Liceo Scientifico “Georges Lemaître”, durante questo anno scolastico che sta per volgere al termine, ho avuto modo di percorrere un lungo e proficuo cammino che credo sia stato, per tutti coloro che ne sono stati coinvolti, motivo di crescita sia in termini di conoscenza e scoperta, sia di rapporti umani. I ragazzi di entrambe le classi hanno fin da subito manifestato un grande interesse nei confronti del tema dello sviluppo sostenibile e delle energie alternative. Questo argomento di strettissima attualità li ha, infatti, particolarmente coinvolti e più volte abbiamo avuto modo di parlarne assieme anche in aula.

La realizzazione degli exhibits per la mostra didattica “La nostra eredità: una Terra vivibile per i nostri figli” allestita presso il Palazzo dell’Arengo di Rimini è stata per loro un’importante occasione per riflettere sull’argomento ed impegnarsi in prima persona nel lanciare un messaggio forte ai loro coetanei: è importante modificare radicalmente il nostro stile di vita, le modalità di consumo e le consuetudini dei nostri comportamenti quotidiani che influenzano l’attuale utilizzo di energia del pianeta. Se ciò non dovesse accadere comprometteremmo irreversibilmente la capacità della biosfera di realizzare funzioni ecologiche essenziali, peggiorando drasticamente la qualità di vita delle generazioni future: la sostenibilità ambientale parte da ognuno di noi, è una responsabilità che coinvolge tutti, dal livello del singolo a quello internazionale, dal cittadino, alle istituzioni ed alle imprese. La partecipazione alla mostra ha messo in luce, inoltre, un loro spirito creativo ed una originalità sicuramente non comuni, con cui sono stati capaci di integrare le loro conoscenze scientifiche con le loro personali passioni ed inclinazioni artistiche, come testimonia l’originale video-clip della canzone “Eco-Song” realizzato dai ragazzi della IV^A in classe durante i giorni del “nevone” . Ciò ha rappresentato un bell’esempio di come, quando si verifica uno scambio di idee, energie ed entusiasmo tra allievi ed insegnanti e si realizzano sinergie positive e costruttive, sia possibile imparare molto anche divertendosi. La vittoria dei nostri quattro “campioni”, selezionati in qualità di rappresentanti dell’Istituto, al primo “Trofeo SGR” è stata solo la ciliegina sulla torta che ha coronato il loro impegno e la loro serietà nell’affrontare questo lungo percorso didattico. Questo risultato, che ha portato i nostri ragazzi a primeggiare in un torneo tra scuole secondarie di II° grado della provincia di Rimini, incentrato su temi scientifici, ed a vincere un premio finale complessivo di 10.000€ in tecnologie e materiale didattico, è soprattutto dovuto al loro desiderio di conoscere la realtà, al gusto di apprendere, all’entusiasmo per l’esperienza della scoperta, all’esigenza di mettersi continuamente alla prova e di superare di volta in volta i propri limiti nonché alla loro vivace e sana competitività, che fanno di questi ragazzi gli studenti che ogni insegnante sarebbe fiero di annoverare tra i suoi allievi.

Lo abbiamo già visto nello scorso numero. Nessuna passività sui banchi. Continua il viaggio tra studenti protagonisti (e vincitori”)

15Vita Karis - scientifico

A scuola sono molte le occasioni in cui uno studente dà il meglio di sé e mostra le proprie capacità, ma quando questo avviene in una competizione tra scuole superiori e il risultato finale è assaporare il gusto della vittoria, si può scoprire che la scuola continua anche al di fuori delle pareti della classe.È quanto hanno sperimentato professore e studenti nel partecipare al progetto didattico “SOSTENIBILITA’: LA STRADA PER IL FUTURO” proposto alle scuole secondarie superiori di II° grado della provincia di Rimini dalla società SGR Servizi S.p.A., con il patrocinio dell’Anno Internazionale dell’Energia Sostenibile Per Tutti, proclamato dall’ONU nel 2012 in occasione delle celebrazioni per il ventennale della Conferenza della Terra di Rio de Janeiro.Nel racconto dei protagonisti, professore e studenti, possiamo rintracciare l’esperienza fatta durante tutto l’anno e coronata dalla vittoria finale. Sull’edizione online (www.vienioltre.it) trovate il video della Eco-Song, registrato in classe durante il nevone di questo inverno (sezione news, selezionando “audio-video”)

sm

a cura di Silvia Maioli

(continua a pagina 17)

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16Vita Karis - scientifico

Vai in gita a Genova e impari a studiare. L’esperienza di prof. e studenti.

La medesima

Una faccia, una razza!Prof. e studenti,

stessa esperienza

a cura di Silvia Maioli

Cosa può accadere quando ci si aggira per i “caruggi” di Genova guidati dai propri professori e accompagnati dalle parole di Montale e De André?Si può scoprire una città, il suo mare, i suoi angoli, i suoi colori, i volti degli uomini che la abitano e così accorgersi di avere gli occhi per guardare e per godere di tutto questo, fino a rendersi conto che lo sguardo va educato.Di ritorno dalla gita, poi, ci sorprende un pensiero: la scuola è il luogo che rende possibile conoscere, perché permette di imparare uno “sguardo diverso, più profondo” sulle cose, al punto da non “vedere l’ora di proseguire” nello studio per “vedere cosa ti aspetta”, come racconta Maria di IIB. Questo avviene più facilmente quando si scopre che “i professori sono persone come noi”, scrive Giacomo di IIA, perché nel rapporto educativo si è aiutati a “oltrepassare la muraglia” della vita per poter gustare la bellezza che vi è al di là.La gita del biennio del liceo scientifico a Genova è stata l’occasione, per studenti e professori, di vivere la scuola come “trampolino di lancio” per buttarsi nella vita.

sm

Quest’anno la gita a Genova mi è sembrata ancora più bella di quella dell’anno scorso. Non perché i luoghi visitati fossero più belli, perché la Milano dell’anno scorso è stata certamente una tappa interessante e una città affascinante; però mi rendo conto che più si va avanti con il percorso scolastico più si impara ad apprezzare la bellezza che ci viene proposta in gita. Quello che abbiamo visto e fatto quest’anno l’abbiamo vissuto più coscientemente, l’abbiamo guardato più consapevolmente, sia perché avevamo più conoscenze acquisite a scuola e quindi ad esempio chiese, palazzi e altre struttu-re le potevamo “leggere” più facilmente dal punto di vista sia archi-tettonico che storico; ma anche perché il nostro sguardo era stato educato già dall’anno scorso a una maggiore attenzione, e gli occhi hanno imparato ad essere più aperti e svegli, ad avere uno sguardo diverso, più profondo e che abbraccia tutti i fattori. A conferma di ciò è stato il lavoro di preparazione dal punto di vista “narrativo”, cioè la preparazione di canti e poesie. Questo è stato molto utile secondo me perché ha rappresentato un modo bello e piacevole per entrare nel clima della città dei genovesi, per poterla poi conoscere ancora meglio, anche da un punto di vista un po’ particolare, che una comune guida turistica magari non presenta: abbiamo potuto vedere la famosa “Via del Campo” di De Andrè, alla luce di quello che ci racconta lui, sentire “quell’aria carica di sale, gonfia di odori” che ha Genova, e persino vedere il giallo dei limoni di Montale, avendo presente il suo prezioso punto di vista.La gita mi ha fatto capire concretamente che la scuola è una sorta di trampolino di lancio per buttarsi nella vita e che ogni anno si va in crescendo. Più si va avanti, più è un viaggio affascinante alla conoscenza della realtà che ci circonda, il che non ti fa vedere l’ora di proseguire e vedere cosa ti aspetta!

Maria IIB

In gita mi sono accorto che i professori sono persone come noi, con passioni, desideri e voglia di divertirsi. A me, per esempio, piace molto suonare la chitarra, cantare e stare in allegria e ho scoperto che questo piace anche alle prof perché in pullman si sono messe a cantare con noi le canzoni di Vasco Rossi e Battisti.Insomma ho capito che ci vogliono bene; in classe lo do per sconta-to, perché mi fermo solo alla superficie e penso ai prof. come figure senza umanità; cerco di mostrarmi bravo, ma non sono comple-tamente me stesso, mentre in gita, forse per il contesto diverso è successo proprio il contrario.

Giacomo IIA

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“La vita è come una muraglia, che in cima ha cocci aguzzi di bot-tiglia, pertanto se provi a scavalcarla ti ferisci, ma che bellezza al di là di essa! Vale la pena oltrepassarla”. Così esordisce Mikael al ritorno dal viaggio di istruzione del Biennio, a Genova, parafra-sando Montale e rivelando in maniera esemplare ed esaustiva ciò che quei tre giorni hanno significato per lui e non solo.La bellezza di cui abbiamo fatto esperienza è stata commovente e confortante. Siamo tornati desiderosi di sperimentare quello che è accaduto in gita, sui banchi di scuola. “È accresciuta in me la sete di conoscenza”, ha detto Marianna.Ciò che mi resta negli occhi e nel cuore sono la disponibilità con cui alcuni ragazzi hanno aderito alla richiesta di preparare i canti; la cura dei particolari; il desiderio che riuscisse un bel lavoro e che nulla fosse lasciato al caso, nemmeno un arrangiamento mu-sicale apparentemente banale; la loro adesione e partecipazione attenta e contenta non scontata, ma fiduciosa e curiosa. Sono rimasta sbigottita dalla cura con cui altri si sono impegnati nella lettura dei testi loro affidati tanto da impararli a memoria, a forza di ripeterli per poterli leggere al momento opportuno nel modo più espressivo. Sorprendente il momento al faro di Portofino, dove, complici le letture ascoltate ed il violino suonato da Francesco, è stato eviden-te che quello spettacolo era offerto a noi, era lì per noi, ed il gelo del cuore si è proprio “sfatto”.Entusiasmante la mattina trascorsa all’acquario, dove i ragazzi hanno potuto fare esperienza diretta dello studio affrontato in classe in Scienze, incuriositi e mai distratti.Ho potuto sperimentare, ancora una volta, che è differente vedere la bellezza e gustare della stessa, nonostante le difficoltà ine-vitabili che l’organizzazione di una gita comporti. Vale la pena scavalcare quel muro. La sfida è farlo ogni giorno, affrontando il

quotidiano con il medesimo sguardo imparato a Genova.Laura Bizzocchi

La gita a Genova è stata un’occasione innanzi tutto per me. Infatti io ho chiesto di accompagnare i ragazzi per il desiderio di approfon-dire il rapporto con i miei alunni. Ho avuto la possibilità di vivere con loro in una familiarità e immediatezza nuova. Condividere la bellezza mozzafiato della costa ligure e di Portofino, osservare e ammirare l’intraprendenza dei genovesi durante la visita al centro storico della città o meravigliarsi di fronte alle centinaia di specie di pesci visti all’interno dell’acquario ha permesso la scoperta reciproca di una umanità nuova. I ragazzi sono cresciuti. Poi tornati a scuola la cosa più bella è stata sentirli dire che erano tristi perché dopo l’eccezionalità della gita erano tornati alla normalità, come succede a Leopardi nel Sabato del villaggio che sperimenta la “noia” della domenica, quando pensa al giorno seguente in cui si tornerà al solito lavoro settimanale. Finalmente hanno sperimentato un’ec-cezionalità affascinante, che scatena il desiderio che sia per sempre, e non è da poco.La gita è stata proprio un’esperienza di scuola educativa, dove la realtà affascinante ha destato il desiderio di conoscenza dei ragazzi e ha mostrato loro la validità e benevolenza degli adulti che li con-ducono verso tale conoscenza.Anche il solo vederci affascinati da quello che vedevamo e quindi tesi, anche noi prof., alla conoscenza, credo che abbia contribuito a farci uscire dal loro cliché solito di professori senza anima e farci riscoprire umani, veri. La gita è stata un’occasione perché mi sono stupita, stupita dei miei alunni.

Elisabetta Arseni

17Vita Karis - scientifico

Un’ esperienza ... ricca!Dopo una lunga preparazione iniziata a novembre con una lezione tenuta da SGR e continuata con l’organizzazione della mostra per la città di Rimini “Il Mio Futuro è…”, finalmente è arrivato il giorno della sfida che consisteva in un quiz a risposta aperta, con delle domande inerenti il tema

Alla fine di questo lungo percorso di conoscenza e scoperta, credo che il regalo più bello che tale esperienza ci ha dato sia la consapevolezza che i limiti che ci ostacolano, anche nella vita di tutti i giorni, siano imposti solo da noi stessi e che con l’impegno e la dedizione sia realmente possibile raggiungere qualsiasi obiettivo ci fossimo prefissati.Inoltre, per un Liceo Scientifico, battere un Liceo Classico in qualsiasi sfida non ha prezzo!

Fabio Massimo Perrone

della sviluppo e dell’energia sostenibile. La soddisfazione per la vittoria è stata grande per due principali motivi: il primo è ovviamente la vincita materiale che il concorso ha fruttato, consistente in un iPad per ciascuno di noi studenti partecipanti e in 8.000 € in buoni spesa per la scuola, il secondo è invece maggiormente legato all’accrescimento delle proprie conoscenze personali su un argomento che viene scarsamente trattato durante le lezioni scolastiche, e che è invece di grande attualità ed importanza vista la sensibilità che sta iniziando a svilupparsi nei confronti dei temi dell’ecologia e della sostenibilità ambientale. In questo senso, pensiamo che questo concorso sia stata una grande occasione anche dal punto di vista culturale, e questo sicuramente vale non solo per noi, ma anche per tutti gli studenti delle altre scuole che si sono impegnati nel partecipare a questo concorso, che è stato quindi un’ottima proposta che SGR ha fatto in termini culturali come se ne vedono poche in questo periodo, e noi non possiamo che essere contenti di questo.

Alice Mazzocchi IVA, Giovanni Corinaldesi IVA, Giacomo Scaparrotti IVA, Alberto Gridelli IVB

(continua da pagina 15)

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Vita Karis - classico

Roma caput mundi!...ma anche Rimini

di Marzia Ceccaglia

Roma caput mundi, diceva lo storico latino Livio, e l’espressione era destinata a diventare famosa. Roma, l’Urbe, è infatti la capitale della romanità che, partendo da quel piccolo nucleo urbano sorto sul Tevere, si sarebbe nel tempo estesa in luoghi lontani.A buon diritto, insomma, “Roma caput mundi”. Ma anche Ariminum. C’è in effetti un periodo della storia in cui la nostra città fu uno dei centri più importanti del territorio romanizzato, l’avamposto, l’estremo baluardo di Roma verso il mondo celtico. Da qui i Romani continuarono la loro espansione verso settentrione e, a conquista effettuata, fecero partire (nel 187 a.C.) quella importantissima direttrice che si chiama ancora oggi via Emilia. Ariminum divenne quindi un punto cruciale di congiunzione, una cerniera sull’asse nord-sud, già in contatto diretto con la capitale attraverso la via Flaminia, opera del console Gaio Flaminio da cui prende il nome.Alla ricerca delle vestigia di questo passato lontano, che ci riguarda però così da vicino, siamo andati ad esplorare, con le classi ginnasiali, ciò che di quel mondo è ancora sotto i nostri occhi.In questa luce si sono visitati luoghi dove spesso capita di trovarci, ma che, senza avere una domanda aperta e curiosa di conoscenza,

passano il più delle volte inosservati: è il caso della Domus del Chirurgo, quel tesoro che sorge nel cuore della nostra città.La maggior parte dei riminesi ne conosce l’esistenza per la sua ubicazione, al centro di una piazza-giardino utilizzata come luogo di ritrovo e incontro, ma raramente capita di mettere in relazione quella struttura moderna che oggi si vede con quel passato che essa contiene. Entrarci è stato come accompagnare i nostri ragazzi in un

viaggio a ritroso nel tempo, ma che, incredibilmente, ha svelato la persistenza dell’antico fino ad oggi. La strada su cui si affacciava la domus, uno dei cardini minori, altro non è che l’attuale via Giovanni XXIII, a testimonianza del fatto che quel rigoroso impianto urbano, creato dai coloni al momento della fondazione, si è in gran parte mantenuto inalterato perché funzionale e utile alla vita e alle attività cittadine. Analogo discorso si può fare circa la via più importante della città romana, il decumano massimo, che corrisponde all’attuale Corso d’Augusto, collegamento, ora come allora, tra le vie Emilia e Flaminia, l’inizio delle quali è contrassegnato dalla presenza di due importanti monumenti: il ponte di Tiberio e l’arco d’Augusto.Attraversare a piedi il ponte romano, constatare che, nonostante i 2000 anni d’età è ancora un accesso privilegiato al centro storico, ci ha insegnato a guardare le pietre sulle quali passiamo, a immaginarne la storia e non limitarci al loro utilizzo.Da un capo all’altro della città, passando attraverso il foro, che la storia locale ci presenta come luogo del celeberrimo discorso di Cesare alle sue truppe, terminante nella proverbiale espressione alea iacta est (il dado è tratto), siamo poi giunti là dove inizia la Flaminia, sotto l’arco d’Augusto. L’eccezionalità di questo monumento e la sua unicità risiedono nel fatto che tale arco sia l’unico romano ad essere porta cittadina e contemporaneamente monumento onorifico. È su quest’arco che Augusto celebra sé e l’impero nascente da lui creato, e lo fa in vario modo: tramite l’iscrizione, dedica del Senato e di tutti i cittadini romani, la statua collocata sulla sommità (Augusto a cavallo o su quadriga) e con elementi decorativi che richiamano l’iconologia della propaganda politica, fiori, frutti, foglie, indice della prosperità e del benessere garantito col ripristino della pax. Infine, ecco la presenza degli dei che proteggono la città dall’alto dei loro clipei, quelle “finestre” dalle quali si affacciano: due verso l’esterno, Giove, re degli dei, e Apollo, caro alla famiglia imperiale, e due verso l’interno, Nettuno, a ricordo dell’ importanza anche marittima del nostro centro, e Roma. Roma, la città che andremo tra poco a scoprire nel viaggio d’istruzione del ginnasio, città personificata e insieme dea, Roma con la spada e il trofeo della vittoria, Roma che guarda verso le case di Ariminum per ricordare che lei c’è, che guarda, protegge, e “vuole bene” a questa colonia, poi municipium, tanto amata dall’imperatore Augusto.

Un po’ di storia . Come nasce un viaggio di istruzione

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Vita Karis - classico

Vivere davveroattraversando anche la sofferenza

di Giammarco Bernabei

Un grande critico letterario del Novecento, Rodolfo Quadrelli, ha scritto che la vera poesia è sempre contemporanea, anche nel caso l’autore sia già scomparso. Questa fondamentale – e paradossale – verità si è resa evidente martedì 8 maggio 2012. In tale giornata ha avuto luogo il primo dei tre momenti di cui si compone la sesta edizione del concorso dedicato a Federica Delmagno, organizzato dal Liceo Classico Dante Alighieri in collaborazione con la famiglia, e con il patrocinio dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Rimini: è stata proposta a tutti gli studenti dei Licei della Città una lezione del prof. Valerio Capasa del Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bari.Tale lezione aveva come titolo “Giuseppe Ungaretti: Come si può ch’io regga a tanta notte?” Con autorevolezza e viva sensibilità didattica, il Professore ha sviluppato un ampio percorso riguardante la poetica del grande poeta italiano, muovendo dai testi dell’autore stesso. La lezione ha preso le mosse dalla prima raccolta pubblicata da Ungaretti, L’Allegria per arrivare a descrivere l’itinerario successivo, attraversando la fondamentale conversione di Sentimento del tempo e arrivando a toccare le ultime raccolte poetiche, con particolare attenzione per Il dolore.Ma questa mia scarna cronaca non descrive in maniera adeguata quello che è successo in tale giornata e non spiega l’affermazione

iniziale. Da una parte non è in grado di rappresentare la grandezza del prof. Capasa, che, con straordinaria attenzione per i testi scelti e soprattutto incontrando la sensibilità degli studenti coinvolti, appartenenti ad età molto differenti, ha saputo mettere in luce i caratteri più profondi della poetica di Ungaretti. Dall’altra non sarebbe una cronaca reale se non tentasse almeno di raccontare l’avvenimento più straordinario della giornata. Uno studente, alla fine della lezione, provocato dalle poesie lette e dalla presentazione del prof. Capasa, ha posto una domanda fondamentale, chiedendo quale differenza intercorra tra la possibilità di sopravvivere alla “notte” di cui parla Ungaretti, alla presenza del dolore e della sofferenza nella vita umana, e la possibilità di vivere davvero, attraversando tale sofferenza. La signora Enrica Delmagno, mamma di Federica, è intervenuta per rispondere a tale domanda, dicendo che la sua vita non è una sopravvivenza, ma una vera vita. E questo, per lei, diventa evidente in momenti come quello del concorso: quando cioè la memoria di Federica, veder rinascere negli studenti e nei docenti coinvolti lo stupore e l’amore per la grande poesia che lei stessa amava, non è un semplice ricordo, ma una vera presenza – una contemporaneità – che genera speranza per il futuro e non nostalgia per un passato. All’improvviso torna alla memoria una poesia: «MATTINA M’illumino / d’immenso». E subito davvero nella mente qualcosa si illumina e si comprende come anche le parole più semplici – magari addirittura giudicate banali la prima volta che le si è sentite o lette – si caricano del significato più profondo e rivelano la grandezza di un poeta che aveva, in un qualche modo, previsto che da quei due semplici versi qualcosa potesse rinascere, come, passata la notte, ogni giorno il sole risorge. Mattina.Insomma chi, come me, nella giornata del concorso ha potuto partecipare a questo avvenimento, grazie alla presenza del prof. Capasa e della signora Enrica Delmagno, ha visto e sa che la vera poesia è fonte di speranza viva: proprio come lo sapevano Federica e Giuseppe Ungaretti.

Concorso Federica Delmagno

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Nella foto il prof. Valerio Capasa, in una conferenza tenuta a 200 ragazzi riminesi durante un soggiorno in montagna.

Ma a questo punto Silvio insiste, “chiamiamo i ragazzi”. Li chiama al citofono, risponde Lorenzo. “Venite tu e un altro o due, che c’è un giornalista…Avete tempo?” Vengono Lorenzo e Massimiliano, due ragazzi di quinta superiore.

Chiedo ad entrambi, “cosa vi fa camminare ora?”Massimiliano inizia, “sono i rapporti di amicizia con i ragazzi della casa. Questa amicizia mi fa fare un lavoro su di me. Non è scontato che uno continui questo cammino, questo nuovo modo di vivere. E’ un lavoro continuo. Questa amicizia per me è come avere un padre. Stare con gli amici diventa un giudizio sulla realtà, su tutto”. Lorenzo ribadisce, “per me camminare, ora è camminare con qualcuno. Ero abituato a camminare da solo ma era diventata una cosa impossibile. Oggi ho visto che è bello, anche se è più faticoso, poter fare i passi insieme”. E quali sono stati i momenti di fatica, i momenti più duri?Massimiliano: “Nel gennaio 2008, sono scappato di qui due o

tre volte, avevo deciso di andarmene. Ho parlato con Dicio (il responsabile) nel suo ufficio. Non ci siamo detti gran che, ma uscendo mi ha abbracciato e ho capito di essere accolto, totalmente e senza riserve. Per la prima volta ho sentito questo. Era un abbraccio vero. Di lì sono cambiato”.Lorenzo: “ho sempre faticato nei rapporti e aprirmi per me è stata la cosa che ha fatto la differenza. Vivevo nella rabbia, vivevo di paranoie, di gelosie e rancore. Ho sperimentato invece un rapporto che mi ha svelato pienamente e quando arrivano ancora le paranoie, perchè arrivano ancora, so che c’è qualcuno a cui posso chiedere”. “E’ vero - incalza Massimiliano - i problemi restano. Noi siamo fatti di queste cose, di questi dolori. Ma prima vedevo solo quelli, ora vedo il bello che vi si nasconde dietro. Sono libero con i compagni, qui e in classe. Mi sento me stesso, posso aprirmi.” Lorenzo: “a scuola non è stato facile. Sono di Pesaro, tutti mi conoscevano. Entrare lì all’inizio ha voluto dire anche sopportare

(continua da pagina 9)

(continua a pagina 21)

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Quei giusti, che hanno fatto scuola

di don Claudio Parma

In questa liturgia, la prima lettura dal libro della Sapienza introduce bene la ragione per cui questa sera noi siamo qui.Siamo qui per celebrare l’Eucarestia (gesto supremo di unità tra noi e Cristo) per noi, per chi nella propria vita ha dimostrato un affetto

e un’ amicizia con forme (come dice l’invito del Presidente della Karis, Matteoni) nuove e fantasiose per sostenere, spesso a prezzo di sacrifici silenziosi e con dedizione personale tenacissima, l’opera educativa delle scuole della Karis.Dice la prima lettura, che il giusto ci rimprovera la trasgressione contro l’educazione ricevuta. Questo versetto dice bene qual è la preoccupazione del giusto: l’educazione. Non trasgredire l’educazione ricevuta presuppone che questa educazione si possa liberamente offrire come patrimonio di umanità alle generazioni che vengono, attraverso la tradizione. Cosa c’è di più umano che offrire ai figli, ai più giovani ciò che ha educato il cuore dei genitori e degli adulti che guardano con simpatia il cammino che devono fare le nuove generazioni? E

il nostro è un tempo in cui tutto questo non accade quasi più.Dice don Giussani nel “Rischio Educativo” che la prima preoccupazione di una educazione vera ed adeguata è quella di “Educare il cuore dell’uomo così come Dio l’ha fatto”!Un cuore che è uguale, nelle sue esigenze, per tutte le generazioni. Pertanto un punto fondamentale dell’educazione è proporre adeguatamente il passato, la tradizione, ai giovani perché essi verifichino criticamente l’ipotesi educativa degli adulti che li generano e che li guidano.Siamo qui come dicevo per ringraziare e per imparare dai tanti amici che hanno in vita, e anche dopo la loro morte, offerto i loro beni per l’opera educativa della Karis, dagli asili fino ai licei, e perché hanno intravisto la possibilità di diventare anche loro padri, maestri, educatori, anche se non hanno mai avuto direttamente la possibilità di farlo, perché è padre, maestro ed educatore chi condivide lo scopo educativo nelle sue ragioni più profonde e originali.E’ solo una affezione vera a queste ragioni che rende i nostri amici (i “giusti” come li chiama la lettura di questa sera) una cosa sola con noi legati intimamente in una simpatia educativa. Sono persone che senza entrare direttamente nella scuola, hanno fatto scuola, fanno scuola guardandola da lontano, ma con gli occhi lunghi che non vogliono disturbare, quasi come si guarda ad una speranza così grande e bella che è giusto guardarla da lontano, ma è una lontananza che permette di gustare il bello che c’è senza sciupare nulla.Chi condivide così, tanto da lasciare i propri beni per questa speranza, ci ha lasciato non solo i beni, ma il loro stesso bene, la loro stessa umanità. La Chiesa chiama questa esperienza verginità. L’eredità di solito si lascia ai figli o a persone precise che ci sono state vicine più dei figli, ma ci sono persone, i “giusti”, che educati alla fede in Cristo Gesù, hanno pensato di prolungare la loro opera educativa dando i loro beni perché altri figli crescano.Stiamo andando verso la Santa Pasqua e ciò che hanno fatto i nostri “giusti”, è già un segno di resurrezione: ti offro me perché tu possa vivere; questa è imitazione del Cristo Pasquale, ti offro me perché tu possa essere educato a conoscere cosa sia la vita. Questi nostri amici ci hanno fatto capire il valore di un bene, un bene che diventa bene comune, bene per tutti, quando è speso per affermare ciò che conta.Pur potendo disporre dei loro beni diversamente, i nostri “giusti” hanno testimoniato cosa vuol dire vivere la povertà evangelica. Il povero non è quello che non possiede nulla ma è quello che offre la sua ricchezza per lo scopo fondamentale: educare alla coscienza del Mistero che la libertà di ognuno può riconoscere. Il giusto nel libro della Sapienza di questa sera è colui che, tribolato da ogni parte per l’ingiustizia e la cattiveria dei tempi, è comunque capace di giudizio. Un giudizio che l’empio mal sopporta. Basta solo vederlo, uno che ha autorità, e anche se non dice niente la sua presenza giudica chi vive nel torbido, perciò il potere di ogni epoca lo vuole togliere di mezzo. Questa figura del “giusto”, che prefigura Cristo, vero grande educatore del cuore dell’uomo, educa offrendo la sua vita perché gli uomini possano capire che hanno un Padre, che hanno un’origine, che hanno un’appartenenza.La scuola sente questi nostri amici come il “giusto che ha autorità”, li sente presenti e ora uniti alla persona di Cristo continuano con le loro preghiere a sostenerci in questa meravigliosa opera educativa.

Riportiamo la intensa omelia di don Claudio, sviluppata durante la S.Messa celebrata

per i benefattori della Karis.

20Amici della Karis

Sono rimasto sorpreso quando mi hanno comunicato che due nostre amiche avevano lasciato parte della loro eredità alla fondazione Karis. Mi sono meravigliato perché è stato da parte loro un segno inaspettato della stima per il lavoro che tanti all’interno della fondazione stanno svolgendo. Ma ancora di più è stato un segno della coscienza da parte delle nostre amiche che quella che stiamo facendo è “un’opera buona”, cui “regalare” una parte della fatica della vita. Aiutare dei bambini e dei ragazzi a crescere educandoli attraverso le discipline scolastiche, cercando di ricordare loro la domanda che costituisce gli uomini davanti al lavoro che devono fare: ecco, le nostre amiche hanno riconosciuto che questo è un “bene” che vale la pena di essere sostenuto.Poi mi sono venute in mente le facce di tutti gli amici che non sono più con noi e che hanno speso la propria fatica, il proprio danaro, il proprio tempo per questa opera. L’unico modo per poterli ringraziare, intendo proprio per poterli personalmente ringraziare, è stato chiedere a don Claudio di celebrare una messa per loro e per tutti noi.

Stefano Matteoni

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21Amici della Karis

(continua da pagina 19)

Dove ci troviamo quest’estate?

A volte l’amicizia che si vive con i genitori dei compagni di scuola dei propri figli,

o la stessa amicizia vissuta tra i ragazzi, è così piacevole e attraente che si prova

il desiderio naturale di continuare a vedersi, al di là dell’orario e della stagione

scolastica.

A tal fine e per rispondere all’esigenza di servizi di tante famiglie, la scuola Karis,

mette a disposizione la bellissima struttura di cui dispone, per incontrarsi

e condividere la stagione estiva.

Alcune aule, il parcheggio, il cortile interno, la piscina e la spiaggia

antistante: in questi spazi l’associazione sportiva Argylia organizza un

centro estivo per i bambini delle elementari (giugno/agosto), un centro

sportivo (luglio) e un campus d’inglese con insegnanti madrelingua (13/18

– 10/25 agosto) per i ragazzi delle medie.

Grazie alla collaborazione con Marco Corbelli, istruttore ufficiale UISP e FIT

presso Argylia sarà possibile prendere lezioni di beach tennis individuali o di

gruppo e partecipare ai tanti tornei che si svolgeranno nel corso dell’estate.

A Filippo Forlani è affidata la responsabilità dell’area spiaggia. A lui gli amici

della scuola Karis potranno richiedere come organizzare momenti di festa e ritrovo:

tornei, compleanni, aperitivi e cene sotto le stelle.

La piscina adiacente il cortile della scuola sarà a disposizione dei bambini

del centro estivo e sportivo. Inoltre tutti i soci di Argylia avranno diritto a un

particolare trattamento presso il bar ristorante Oasi, dove fermarsi per un

pranzo veloce o una serata con amici.

Infine per chi raggiungerà Argylia in auto, è possibile utilizzare il parcheggio

Dove ci troviamoquesta estate?

La proposta di Argylia per l’estate: sport, gioco, festa e inglese...

interno alla struttura, direttamente collegato alla spiaggia da un sottopassaggio.

La fortuna di poter fruire di spazi così belli e confortevoli, offre un’occasione

speciale d’incontro per tutti i ragazzi e le famiglie che vogliano ritrovarsi

durante le vacanze estive per trascorrere insieme piacevoli momenti di

divertimento e riposo.

Dopo la scuola ci vediamo ad Argylia!

STAFF RESPONSABILI

Centro Estivo e Centro Sportivo Grazia Ghinelli e Mariangela Cinefra

Campus Inglese Raffaella Mignatti

Beach Tennis Marco Corbelli

Spiaggia Filippo Forlani

Utilizzo struttura Carlo Gasperini

Informazioni e iscrizioni: tel. 0541.52065; www.argylia.it; [email protected]

l’ironia di vecchi amici che mi prendevano in giro, pensando che avessi ricevuto un lavaggio del cervello. Ma io adesso sono semplicemente me stesso e sono tranquillo, e non mi dà fastidio neppure questo. Anzi con quegli amici ora sono diverso. Son contento di chi ho vicino. So che si può cambiare”. Qual è il vostro sogno? Massimiliano: “voglio finire la scuola, trovare un lavoro come pasticcere, sposarmi e vivere qui a Pesaro”. Lorenzo: “la prima battaglia da vincere è la scuola. Devo superare l’esame. E’ la mia grande battaglia di questi due mesi. Ma, soprattutto, nella vita voglio sempre essere pronto, nelle cose belle ma anche in quelle brutte. So che ne accadranno ancora, ma io voglio esserci, non fuggire. Non ho le idee chiare sul futuro come

Massimiliano, ma so che voglio vivere, vivere veramente”.

Parole che hanno il peso specifico di una storia, che probabilmente neppure immaginiamo nei suoi dolori e drammi, ma di cui alcuni tratti intuiamo, e che fa risaltare la positività che trapassa. La loro storia e la loro freschezza, semplice e diretta come il loro viso, svela anche il nostro dramma e la nostra inerzia. E ci chiama a cambiare. E’ Silvio che ancora una volta ce lo dice chiaramente…«Quel che viviamo qui è una cosa per tutti. Da un po’ dico sempre ai miei ragazzi, “qualsiasi cosa fate, ricordatevi di farla come fosse per tutti”. Ogni cuore ha un desiderio infinito di uno che ti venga incontro. La vita è una grande attesa. Il vero lavoro dell’uomo è il grido.»

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Quel che accade

E’ festa! (tutto il programma)

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Quel che accade

E’ festa! (tutto il programma)

www.vienioltre.it. Questo passo, si è conficcato nella nostra mente, perchè fotografa in maniera efficace tutto il dramma dell’educazione, tutta la trepidazione che ogni adulto vive di fronte al proprio figlio, o alunno. Che bene ti lascio? Che bene realizzerai?Che cosa è il bene? Come impararlo e come insegnarlo?Abbiamo capito in questi anni, grazie a maestri di tempra, che l’edu-cazione accade. Accade e va seguita dove accade. Non è frutto di una scuola perfetta. Ma accade e la “scuola perfetta” è quella che guarda dove accade e lascia che accada. Per questo il vero editoriale di questo numero lo hanno scritto tre amici e lo trovate in seconda pagina. Tre interventi imprevisti, di due alunni e di un prof. Sono la trascrizione di questa educazione che accade. Una testimo-nianza concreta e quotidiana di cosa significhi questa espressione, che tanto ama Nembrini e che ci ha ripetuto ancora una volta qualche mese fa. Non un’astrazione, nè una connotazione mistica e anti tecni-

(da pagina 1)

cista del far scuola, ma esperienza. Sono tre di noi che ammirano nella propria giornata (dell’altro ieri e non di tempi atavici) che è accaduta la possibilità di camminare verso un bene. Se la Karis ha qualcosa di buono è proprio questo. E’ la capacità di fermarsi a guardare quel che accade tra i suoi ragazzi, tra i suoi prof.Ma la provocazione di Scholz entra nel merito e resta tutta aperta. Istruiti ma bestiali. Questo, i tedeschi del Terzo Reich. E noi? Siamo poi diversi? E cosa ci può salvare da tale barbarie?Ecco perchè la copertina è una domanda, ovviamente provocatoria, perchè comunque istruire si deve, ed anzi al meglio, inserita entro il bellissimo scatto di Marco Mescolini, che ritrae una vecchia città dal sapore gotico accanto a elementi di contemporaneità. Il problema di allora è anche il problema di oggi. Se non si educa, la barbarie è ad un passo. Non è forse quanto avvertiamo dietro ai cupi momenti di questo tempo inquieto?

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