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L’ omi ovince it alian e ogiorno 2017...industriali delle regioni italiane, l’OBI ha continuato...

Date post: 27-Feb-2019
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Advisory Board:

Antonio Corvino, Francesco Saverio Coppola ed Enrico D’Elia.

Il Rapporto è stato redatto in base alle informazioni più recenti disponibili al 30 maggio 2017.

Le previsioni ed il Rapporto sono stati curati da Enrico D’Elia, chief economist per l’analisi territoriale dell’OBI.

Come di consueto, le conclusioni sono state tracciate dal direttore generale dell’OBI, Antonio Corvino.

Si ringraziano Angelo Marco Damiani ed Emma Suaria per la preziosa collaborazione redazionale.

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Prefazione

Questo Rapporto è uno dei tanti risultati delle ricerche svolte dall’Osservatorio Banche - Imprese nell’ambito dei propri fini istituzionali. Anche il 2017 è stato un periodo di intensa e proficua attività che ha consentito di consolidare ulteriormente quel processo di crescita iniziato più di 20 anni fa, quando l’Osservatorio fu costituito, con lo scopo di “approfondire la conoscenza dei sistemi produttivi regionali, migliorare le relazioni tra il mondo bancario e le imprese proponendosi quale strumento di analisi e programmazione dei processi di sviluppo sul territorio”.

Con la costituzione dell’Osservatorio si è voluto realizzare un laboratorio di ricerca e di proposta sulle relazioni tra intermediari creditizi e piccole e medie imprese, per migliorare concretamente i rapporti tra i due sistemi e concorrere alla definizione di più adeguate politiche di sviluppo a livello territoriale.

Nel perseguimento di tali finalità, l’Osservatorio ha sempre cercato la collaborazione di altre istituzioni ed organismi attivi a livello regionale, nazionale e internazionale, il cui contributo si è sempre rivelato indispensabile per approfondimenti e ulteriori progetti di lavoro. Proprio da questo approccio internazionale e multidisciplinare traggono origine la partecipazione dell’OBI alla conferenza su “The Triple European Mezzogiorno”, organizzata a Varsavia dal Ministero dello Sviluppo Economico polacco nel settembre 2009; il progetto Aquifalc con l’Albania del 2009; i “Sorrento Meeting”, giunti alla quinta edizione, che raccolgono prestigiose personalità per discutere di geopolitica, economia globale e temi specifici. Il successo di tali iniziative, che stanno ormai assumendo un ruolo rilevante e continuativo, gratifica sempre di più l’Osservatorio per lo sforzo che ha sempre fatto per estendere il suo impegno anche al di fuori dei confini nazionali.

In linea generale, oltre alla tradizionale attività di produzione di pubblicazioni concernenti l’analisi sui settori industriali delle regioni italiane, l’OBI ha continuato a curare la realizzazione di nuovi progetti al fine di valorizzare le proprie potenzialità e, di conseguenza, fornire ai policy maker meridionali le migliori conoscenze per l’indirizzo e l’attuazione della politica economica.

Tornando agli argomenti trattati in questo Rapporto, è proseguito quest’anno l’utilizzo del nuovo approccio metodologico sperimentato per la prima volta nel 2010, che è stato migliorato sia sotto il profilo tecnico, sia attraverso il ricorso ad ulteriori fonti statistiche. Ciò ha consentito all’Osservatorio di proseguire ed arricchire la ormai tradizionale analisi territoriale a livello comunale, arrivando ad elaborare delle nuove stime del valore aggiunto per tutti i comuni del Mezzogiorno dal 1995 al 2017, spingendosi a formulare delle previsioni fino all’anno 2025, cinque anni in più della precedente edizione.

Con questo Rapporto si è inoltre rafforzata la convinzione che solo partendo dalla conoscenza degli aggregati territoriali più piccoli – che non necessariamente, come accade spesso, rispettano i confini amministrativi in essere – si può sperare di comprendere meglio l’evoluzione dell’economia di un’area complessa come il Mezzogiorno fornendo contemporaneamente validi strumenti di confronto con le altre aree territoriali.

Il presente Rapporto rappresenta dunque una ulteriore conferma della volontà dell’Osservatorio di proseguire nel percorso di crescita intrapreso seguendo la vocazione di individuare - e possibilmente anticipare - l’evolversi dei complessi processi di trasformazione che stanno coinvolgendo i sistemi economici meridionali nel contesto degli attuali cambiamenti in corso sia a livello nazionale che internazionale

Michele Matarrese Presidente dell’OBI

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Premessa

Per la seconda volta, il Rapporto sul valore aggiunto dei comuni del Mezzogiorno è disponibile solo on-line. Non è solo una scelta dettata dalle sollecitazioni degli utenti, che preferiscono sempre più prodotti che possono essere consultati ovunque e utilizzati su diverse piattaforme, sfruttando anche funzioni di ricerca per parole chiave, molto più potenti ed efficaci dei vecchi indici analitici dei volumi cartacei. Secondo noi, un Rapporto on-line è molto della semplice immagine di un volume tradizionale: è un prodotto dinamico, che può essere aggiornato continuamente, arricchito anche con il contributo degli utenti, completato con le analisi ad hoc che si rivelino eventualmente necessarie.

Anche quest’anno il Rapporto è focalizzato soprattutto sulle previsioni, che ora si spingono al 2025, ossia cinque anni oltre il benchmark europeo del 2020 che è ormai alle porte, e rimanda alle edizioni precedenti per le analisi retrospettive. La principale “concessione” ad una analisi di più lungo periodo consiste nel rimarcare le conseguenze nefaste dell’abbandono delle politiche industriali a partire almeno dagli anni novanta, ossia proprio in concomitanza con l’avvio del risanamento delle finanze pubbliche e l’abbandono del sotterfugio delle svalutazioni competitive. D’altra parte, chi si occupa con passione della questione meridionale, oltre che delle sorti del sistema produttivo nazionale, non poteva non sottolineare questo aspetto.

Naturalmente il Rapporto non esaurisce l’impiego dell’immensa banca dati territoriale (con circa 10 milioni di indicatori principali a livello comunale) costruita dall’OBI, ma è solo un esempio del suo utilizzo. Ricercatori, operatori dei media e amministratori locali sono invitati a richiedere elaborazioni e previsioni personalizzate relative ai territori di interesse. L’intera banca dati e maggiori informazioni sono disponibili sul sito dell’OBI www.bancheimprese.it.

Come di consueto, il testo è supportato da un ampio apparato di tabelle, grafici e cartogrammi, che illustrano le tendenze dell’economia italiana a livello provinciale e di quella meridionale a livello comunale. Si tratta di rappresentazioni grafiche dotate di una impressionante capacità di sintetizzare una situazione estremamente eterogenea tra le diverse aree del Paese e all’interno di ciascuna provincia, a riprova che i vari livelli di governo amministrativi, acne se riformati e semplificati, devono necessariamente cooperare tra loro per lo sviluppo locale. Ne scaturisce un quadro ricco di luci, ma anche di ombre (soprattutto per alcune zone e per taluni settori produttivi). Al di là di qualche temporaneo miglioramento e di alcune punte di eccellenza, gran parte del Mezzogiorno continua infatti a perdere lentamente terreno rispetto alle altre macro-regioni, dopo l’eccezionale performance del 2015, che purtroppo l’OBI aveva già considerato del tutto occasionale e difficilmente ripetibile. Le nuove previsioni, tuttavia, indicano che il gap tra Nord e Sud dovrebbe allargarsi più lentamente che nel passato. E’ forse questa la principale novità del primo Rapporto elaborato da quando la crisi economica è definitivamente alle spalle. Tuttavia non ci stancheremo mai di ripetere che senza politiche adeguate i divari territoriali sono destinati a perpetuarsi nel tempo, privando il Mezzogiorno di una opportunità di crescita e sottraendo all’intero paese risorse e mercati di sbocco.

L’OBI, continua a raccomandare politiche di sviluppo che puntino a valorizzare le specificità dei territori (sostenendo il TAC 4.0, rappresentato dal turismo e tecnologia (T), dalla filiera agro-alimentare (A) e da quella della cultura (C)) ed a rafforzare lo sviluppo, all’interno delle singole aree, di sistemi economici equilibrati (e inevitabilmente meno specializzati) in grado di resistere agli shock settoriali e di sfruttare le sinergie con i territori circostanti. La stessa ripresa dello scorso

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anno testimonia che è proprio questa la strada da seguire. D’altro canto, in un mondo instabile e in rapidissimo cambiamento solo prudenziale distribuzione dei rischi su diversi settori può garantire uno sviluppo duraturo nel tempo. Se è finita l’epoca delle cattedrali nel deserto, è anche finita quella dei distretti troppo specializzati e delle filiere rigide, che possono essere spazzate via dagli imprevedibili sviluppi della globalizzazione e della tecnologia.

Il rinnovamento delle politiche territoriali, avviato dagli ultimi governi, fa sperare che le nuove Agenzie e i nuovi strumenti di intervento, più agili e flessibili, riescano a spingere il Mezzogiorno (e il Paese) fuori dalla spirale regressiva in cui è intrappolato da troppi anni. In effetti, le previsioni presentate in questo Rapporto mostrano finalmente qualche segno di miglioramento degli squilibri territoriali, anche se si prospetta sempre più chiaramente una crescente difficoltà del Nord-Ovest, che fino a qualche decennio fa era il cuore dell’Italia industriale. Almeno su questo, l’OBI si augura di aver sbagliato previsioni.

Antonio Corvino Direttore dell’OBI

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Indice

1  INTRODUZIONE ............................................................................................................... 1 

2  LO SCENARIO INTERNAZIONALE E LE PROSPETTIVE PER L’ECONOMIA ITALIANA .................................................................................................................................... 3 2.1  L’economia italiana nei prossimi anni ............................................................................................................. 4 

3  LE PREVISIONI TERRITORIALI ..................................................................................... 7 3.1  Le grandi ripartizioni ........................................................................................................................................ 8 3.2  Le regioni ......................................................................................................................................................... 11 3.3  Le province ...................................................................................................................................................... 14 

4  NUCLEI DI SVILUPPO E DI DECLINO NEL MEZZOGIORNO ................................ 16 

5  CONCLUSIONI ................................................................................................................... 19 

APPENDICE STATISTICA ...................................................................................................... 27 

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1 Introduzione

La leggera ripresa nel Mezzogiorno rilevata nel 2015 sembra lontana. Purtroppo l’OBI aveva segnalato da tempo che quello di due anni fa era poco più di un rimbalzo tecnico dopo sette anni di cali consecutivi del Pil, amplificato da una eccezionale (e difficilmente ripetibile) annata agricola. Le prospettive per quest’anno e soprattutto per il prossimo decennio indicano la persistenza del gap economico tra il Mezzogiorno e il resto del Paese, anche se la sua ampiezza dovrebbe crescere sempre più lentamente. Si tratta solo in parte di una buona notizia, perché il riavvicinamento tra i ritmi di crescita delle diverse aree dipende anche ad un progressivo rallentamento del Nord-Ovest, che un tempo era uno dei motori dello sviluppo industriale italiano.

L’attuale miglioramento, tuttavia, non segna una reale inversione di tendenza rispetto al ridimensionamento ultra-ventennale dell’economia meridionale che sconta una continua perdita di competitività delle imprese del Sud e delle Isole rispetto alle altre (cfr. il successivo riquadro su “Il declino della produttività in Italia e nel Mezzogiorno”). E tale perdita si somma a quella generale della produttività italiana, in progressivo rallentamento da almeno mezzo secolo. Sono questi i nodi principali da affrontare e risolvere, se si vogliono rilanciare l’Italia e il Mezzogiorno. Su questo punto, le previsioni dell’OBI, quest’anno estese per la prima volta fino al 2025, sono poco rassicuranti ed indicano una crescita del Sud e delle Isole modesta (inferiore alla già bassa media nazionale) a partire dall’anno in corso. In queste condizioni, il divario che si è creato tra Nord e Sud è destinato, quanto meno, a permanere immutato in mancanza di politiche adeguate e di un risveglio dell’imprenditoria privata sul territorio.

Anche se quella che ormai viene chiamata Grande Recessione è alle spalle, ci sono vaste aree del paese che non recuperano ancora i livelli di attività del 2007-8. In base alle previsioni dell’OBI, solo 15 province sono tornate a produrre come prima della crisi, e di queste solo 3 sono situate nel Mezzogiorno. Perfino al termine del periodo di previsione, solo la metà delle province raggiungerà nuovamente i volumi di produzione del 2007-8. Ciò influirà inevitabilmente anche sul riassorbimento della disoccupazione, che rimarrà presumibilmente abbastanza elevata a lungo. Al basso ritmo di crescita si sommeranno, infatti, gli effetti delle trasformazioni tecnologiche e organizzative che ridurranno il fabbisogno di lavoro a parità di produzione. Il fenomeno potrebbe essere particolarmente intenso nei servizi pubblici, ossia in uno dei tradizionali sostegni al reddito del Mezzogiorno, anche a causa dell’indispensabile processo di razionalizzazione del comparto.

All’interno di uno scenario così grigio, l’OBI scorge tuttavia vari motivi di ottimismo. Il primo è che la recessione, come ogni crisi economica, ha contribuito a selezionare le iniziative imprenditoriali più promettenti e flessibili, e ciò potrebbe determinare nel lungo periodo un salto nell’efficienza dell’intero sistema industriale. Tale processo, in base alle proiezioni dell’OBI, è stato particolarmente intenso proprio nel Mezzogiorno. Si potrebbe dunque formulare uno scenario molto più dinamico di quello presentato in questo Rapporto, in cui il ritmo di crescita complessivo del paese supera, a regime, il 2% annuo e il Mezzogiorno potrebbe addirittura progredire a tassi lievemente superiori, tali da garantire la chiusura del gap con il resto dell’Italia entro il 2050.

Un’altra ragione per considerare forse troppo pessimistiche le previsioni contenute in questo Rapporto è la tendenza di molti sistemi economici locali a crescere in modo più equilibrato, evitando la specializzazione spinta, pur senza dissipare i vantaggi competitivi e le competenze di cui ogni territorio dispone. Secondo quanto auspicato da tempo dall’OBI, questo maggiore equilibrio tra settori dovrebbe favorire l’avvio di processi di crescita endogena, sempre più resistenti agli shock esterni sfavorevoli. Per un grande paese come il nostro, infatti, non si può immaginare

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una crescita perennemente trainata dalle esportazioni, anche a costo di una compressione della domanda interna.

Un ulteriore motivo di ottimismo deriva paradossalmente da una delle debolezze del nostro sistema industriale, ossia il suo ritardo tecnologico. Il regresso degli investimenti provocato dalla crisi ha infatti reso sempre più necessario il rinnovo dei macchinari (in media vecchi più di venti anni secondo una recente indagine di Confindustria) e questa è una occasione per compiere un vero e proprio salto tecnologico, adeguando gli impianti alle più moderne tecniche produttive (p.es.: stampa 3D, macchine in rete a controllo centralizzato, nuovi materiali, logistica integrata) e ridisegnando anche l’organizzazione interna delle imprese su nuovi modelli di business. Si tratterebbe di un “nuovo inizio” per molte realtà produttive, che consentirebbe all’Italia di sfruttare esperienze e buone pratiche che altrove sono state accumulate solo nel corso di decenni ed a costo di numerosi tentativi ed errori. Perdere questa occasione irripetibile potrebbe significare rassegnarsi ad un lento declino di tutto il paese.

Naturalmente nessuno di questi esiti è scontato, e l’OBI ha preferito presentare in questo Rapporto uno scenario molto più prudenziale, sperando di essere smentito dai fatti. Nuove tecnologie, nuovi mercati e nuove forme organizzative sono il frutto di scelte imprenditoriali supportate da adeguate politiche industriali sia a livello nazionale che locale. Se ciò non si verificasse, le prospettive più probabili per il paese e per il Mezzogiorno sarebbero quelle abbastanza modeste disegnate in questo Rapporto.

In estrema sintesi, il Rapporto sconta una crescita media nazionale attorno all’1,4% l’anno da qui al 2025, lievemente inferiore a quella degli altri paesi sviluppati e dell’Eurozona., che per il Mezzogiorno dovrebbe tradursi in un aumento della produzione dell’ordine dell’1,2% l’anno, che è molto superiore alla media pre-crisi. La crescita del Mezzogiorno dovrebbe essere trainata dall’industria, e particolarmente da quei settori che l’OBI ha battezzato TAC 4.0, che valorizzano i vantaggi competitivi dei vari territori nel campo del turismo e tecnologia (T), della filiera agro-alimentare (A) e di quella della cultura (C). Si tratta di un modello che ha sostituito il vecchio TAC, rappresentato dal tessile, abbigliamento e calzature, ormai schiacciato dalla pressione concorrenziale dei paesi emergenti.

A conferma delle grandi potenzialità del TAC 4.0, una delle province che dovrebbe registrare una accelerazione della crescita nei prossimi anni è Matera, capitale europea della cultura per il 2019. Per il resto, all’interno del Mezzogiorno, si registrano performance migliori in Calabria, Campania e Sardegna, mentre l’Abruzzo stenta a decollare dopo i ripetuti eventi sismici che hanno colpito direttamente l’Aquilano e indirettamente il sistema turistico di tutta la regione.

Il Rapporto conferma anche la vivacità di alcuni “sentieri” di sviluppo che collegano comuni, anche di varie regioni, e che talvolta si interrompono a causa della mancanza di adeguate infrastrutture. Di particolare rilievo sono il sentiero Ionico, quello che attraversa longitudinalmente la Sicilia, e i due rami che dalla Campania si protendono verso l’Adriatico senza tuttavia raggiungerlo. Ancora una volta, l’OBI vuole sottolineare che queste evidenze non discendono da tendenze spontanee e processi “naturali” ma da uno sforzo di imprese, banche e lavoratori dei territori interessati, incoraggiati e sostenuti da politiche lungimiranti sia a livello locale che nazionale. Da questo punto di vista, l’OBI continua a riporre grandi speranze nel nuovo sistema di gestione dei fondi europei

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per la coesione territoriale, che appare più razionale del precedente modello fortemente decentralizzato, che rendeva difficile sfruttare sinergie ed economie di scala.

2 Lo scenario internazionale e le prospettive per l’economia italiana

La maggior parte degli analisti prevede un consolidamento della ripresa dell’economia mondiale nei prossimi anni, senza tuttavia significative accelerazioni rispetto ai ritmi attuali. Tale tendenza sconta soprattutto il probabile ritorno a politiche monetarie più prudenti, dopo un prolungato periodo di espansione della liquidità che non ha precedenti nella storia e che ormai ha portato molti tassi di interesse di riferimento in terreno negativo. Un altro fattore di incertezza deriva dal neo-protezionismo paventato dagli Stati Uniti, che potrebbe sommarsi al fisiologico rallentamento di importanti economie emergenti come l’India e soprattutto la Cina, recentemente oggetto di una revisione al ribasso del rating del debito sovrano. Le quotazioni stagnati del petrolio potrebbero inoltre ridurre la capacità di crescita dei paesi produttori, particolarmente in Sud-America e in Nord-Africa, dove già si manifestano forti tensioni.

La Brexit, i suoi riflessi sul resto dell’Europa, gli squilibri cinesi e le incertezze sul dollaro potrebbero generare una certa volatilità dei cambi, che certamente non favorirà un rilancio della domanda mondiale. A questi elementi “fattuali”, si aggiungono alcuni rischi politici, che ormai non riguardano solo il Medio Oriente e molti paesi del Mediterraneo meridionale e orientale, ma toccano anche vaste aree del Sud America e la Corea. Perfino negli stabilissimi Stati Uniti si manifesta una certa incertezza all’indomani del cambio di amministrazione.

Lo scenario mondiale è dunque abbastanza favorevole, ma anche segnato da rischi difficili da quantificare. In ogni caso, i maggiori analisti escludono una nuova crisi mondiale come quella da cui siamo appena usciti ed evidenziano come le istituzioni internazionali ed i governi nazionali sono comunque più attrezzati (anche culturalmente) per fronteggiare anche eventuali shock sistemici. In particolare, quasi tutti i governi sembrano consapevoli del rischio di una recessione “secolare” che porterebbe la crescita mondiale permanentemente in terreno negativo, a meno di significativi stimoli fiscali e riforme strutturali. Un simile scenario farebbe esplodere gli squilibri finanziari, che richiedono una crescita certa e sostenuta per tornare sotto il livello di guardia.

Uno scenario di consenso vede il complesso dell’economia mondiale crescere nei prossimi anni a tassi tra il 3,5 e il 4%, ancora al di sotto dei ritmi pre-crisi. Sottostante questo andamento vi dovrebbe essere un progresso del commercio mondiale appena più dinamico, a meno di chiusure protezionistiche diffuse. La domanda da parte dei tipici mercati di sbocco dell’Italia, inoltre, potrebbe crescere qualche decimo di punto in più della media, confermando l’avvio di un riposizionamento più favorevole delle nostre esportazioni dopo la crisi.

In questo quadro, le economie avanzate difficilmente recupereranno lo slancio della prima metà del duemila, con l’Eurozona ferma ad una crescita ben inferiore al 2% l’anno e il Giappone solo in lieve progresso. Anche negli Stati Uniti la crescita dovrebbe rallentare lievemente, a meno di imprevedibili ed improbabili cambi nelle politiche economiche. Nei paesi emergenti, infine, dovrebbe scontarsi un rallentamento della crescita, in parte pilotato dai governi per evitare tensioni inflazionistiche e squilibri internazionali, in parte indotto fisiologicamente dal raggiungimento di livelli di reddito pro-capite sempre meno distanti da quelli dei paesi sviluppati. Tensioni politiche e

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un andamento sfavorevole dei prezzi delle materie prime potrebbero frenare ulteriormente la crescita nel Sud-America. Su questo specifico aspetto, si devono segnalare i rapidi progressi sul fronte delle energie alternative, in particolare delle tecnologie basate sulla fusione controllata, che potrebbero rendere in breve tempo obsoleti i combustibili fossili. Per una volta, l’Italia sembra all’avanguardia nella produzione di componenti, basati sui supermagneti, indispensabili per le nuove centrali.

La dinamica del Pil nel mondo (variazioni medie annue a prezzi dell’anno precedente)

media

1998-2007 2017 2018

lungo periodo

Mondo 4.2 3.4 3.6 3.9 Economie avanzate 2.8 1.9 2.0 2.1 - USA 3.0 2.3 2.4 2.4 - Eurozona 2.4 1.7 1.6 1.7 - Giappone 1.0 1.1 0.9 1.0 Paesi emergenti 5.8 4.5 5.0 5.1 - Asia (escl. Giappone) 7.6 6.5 6.7 6.0 - Europa non UE 4.2 2.9 3.1 3.0 - America Latina 3.1 1.0 2.0 2.3

Fonte: elaborazioni OBI su dati e previsioni FMI, OCSE, BM e Consensus Forecast.

2.1 L’economia italiana nei prossimi anni

Per i prossimi anni l’Italia dovrebbe continuare a crescere a ritmi non troppo superiori all’1-1,5%, che, pur essendo ancora insoddisfacenti, risultano comunque superiori ai risultati medi del periodo 1995-2007. Riforme strutturali e consolidamento fiscale non hanno ancora intaccato alcuni nodi essenziali per lo sviluppo, come il sistema giudiziario e della sicurezza, la macchina delle decisioni e delle amministrazioni pubbliche, la dotazione di capitale umano, la polverizzazione del tessuto produttivo, la mancanza di una coerente politica industriale. Non ci si possono dunque attendere realisticamente ritmi di crescita superiori a quelli ipotizzati fino a quando questi problemi non saranno affrontati con decisione. Non si può infatti chiedere ai lavoratori, alle imprese e alle banche italiane di essere efficienti ed innovativi dovendo fare i conti ogni giorno con simili handicap. Il successivo approfondimento sulla produttività in Italia e nel Mezzogiorno fornisce un quadro impietoso delle conseguenze di decenni di politiche ondivaghe, sbagliate, talvolta controproducenti, che hanno progressivamente ridotto i margini di crescita del paese. E’ appena il caso di sottolineare che sul rallentamento secolare della produttività italiana hanno pesato solo marginalmente il processo di integrazione europeo, la globalizzazione di mercati e il consolidamento delle finanze pubbliche, che hanno eventualmente riguardato solo gli ultimi due decenni.

Prendendo a riferimento le previsioni macroeconomiche più recenti (formulate dopo la Brexit e la crisi turca), il nostro Pil dovrebbe crescere attorno all’1% quest’anno e manterrebbe questo modestissimo ritmo per almeno altri 2-3 anni. Successivamente si potrebbe registrare una lenta

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accelerazione, che porterà il ritmo di crescita della produzione verso l’1,6% l’anno al termine dell’orizzonte della nostra previsione e possibilmente al 2% nel 2030.

Anche ammettendo che le riforme strutturali e la modernizzazione dell’apparato produttivo procedano rapidamente negli anni a venire, è difficile ipotizzare che i diversi comparti crescano molto al di sopra dei ritmi registrati prima della crisi. Potrebbe fare eccezione l’agricoltura, che sembra aver ritrovato dinamismo soprattutto grazie alle produzioni di qualità (e forse anche grazie alla riduzione delle importazioni dai paesi più instabili del Mediterraneo), ma che resta un settore marginale per il complesso dell’economia. Quanto alla manifattura industriale, si può immaginare un rimbalzo “tecnico” rispetto alle ingenti perdite subite durante la Grande Recessione, che ammontano a circa un quarto della capacità produttiva del settore. Qualche segno di ripresa dovrebbe verificarsi anche nel settore delle costruzioni, che è stato tra i più colpiti dalla crisi, che dovrebbe beneficiare di qualche opera pubblica e di una lieve riduzione dell’invenduto residenziale e commerciale. Il segnale più positivo che emerge da questo quadro è che i tassi di crescita dei diversi settori (ad eccezione dell’agricoltura) cominciano ad allinearsi, come non era mai avvenuto nel recente passato, facendo sperare che l’economia stia trovando finalmente un assetto più bilanciato, in grado di sostenere i processi di crescita endogeni e di resistere meglio a shock settoriali. Ciò andrebbe finalmente nella direzione più volte auspicata dell’OBI, che ha sempre sostenuto che l’Italia e il Mezzogiorno hanno bisogno soprattutto di una crescita settorialmente più omogenea per recuperare slancio e garantire uno sviluppo solido e duraturo.

La dinamica del valore aggiunto in Italia

(variazioni medie annue a prezzi dell’anno precedente)

Settore Prima

della crisi Durante la crisi

Durante la ripresa

Previsioni

2000-2007 2008-2013 2014-2017 2018-2025 Agricoltura -0.8% -0.1% 0.6% 0.7% Costruzioni 2.6% -5.8% 0.3% 1.5% Industria in senso stretto 0.9% -2.9% 1.8% 1.4% Servizi 1.2% -0.8% 0.6% 1.5% Totale 1.1% -1.5% 0.8% 1.4%

Fonte: elaborazioni e previsioni OBI

La dinamica dell’occupazione in Italia (variazioni medie annue delle unità di lavoro standard)

Settore Prima

della crisi Durante la crisi

Durante la ripresa

Previsioni

2000-2007 2008-2013 2014-2017 2018-2025 Agricoltura -1.8% -1.3% 1.6% 0.5% Costruzioni 3.0% -4.0% -1.4% 0.7% Industria in senso stretto -0.1% -3.9% 1.4% 1.3% Servizi 1.3% -0.6% 1.2% 1.1% Totale 0.9% -1.5% 1.1% 1.1% Fonte: elaborazioni e previsioni OBI

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In questo contesto, l’occupazione dovrebbe aumentare a ritmi molto modesti se si ipotizza qualche guadagno di produttività nei diversi settori. La domanda di lavoro nei prossimi due-tre anni dovrebbe essere inoltre rallentata dall’anticipo di assunzioni incoraggiate dal Jobs Act e dagli incentivi fiscali ad esso collegati. In una prospettiva di lungo periodo, l’innovazione tecnologica dovrebbe ridurre il fabbisogno di lavoro diretto in molti comparti, concentrando l’uso delle risorse umane per svolgere mansioni non routinarie, che tuttavia rappresentano ancora una quota minoritaria dell’intero mondo del lavoro. All’interno dell’orizzonte di previsione considerato in questo Rapporto, tuttavia, il settore che registrerà probabilmente la migliore performance occupazionale sarà quello tradizionale dell’industria manifatturiera. Tale comparto dovrebbe infatti beneficiare di una domanda estera comunque più dinamica di quella interna e della espansione delle attività produttive comprese nella cosiddetta industria 4.0. Si tratta di un insieme di produzioni solo in parte sovrapponibili a quelle del TAC 4.0 auspicato da anni dall’OBI e del nuovo TAC 4.0, ma che dovrebbe comunque avere interessanti prospettive di sviluppo. Non ci si potranno invece aspettare rilevanti contributi all’occupazione dai servizi, sia pubblici che privati, che saranno probabilmente interessati neri prossimi anni da una accelerata razionalizzazione, che riguarderà soprattutto il commercio e i servizi finanziari.

Il declino della produttività in Italia e nel Mezzogiorno

La bassa crescita dell’economia italiana è solo una conseguenza del lento rallentamento della produttività, che procede, con molte oscillazioni, almeno dagli anni sessanta ad un rimo medio di circa un decimo di punto l’anno. La Grande Recessione del 2007 e la crisi dei debiti sovrani del 2011 non hanno fatto altro che accentuare temporaneamente questa tendenza.

La produttività oraria in Italia

(variazioni annuali)

Fonte: elaborazioni OBI su dati Penn World Table e AMECO-ECOFIN

La cause di quello che alcuni definiscono il declino secolare del nostro paese sono molteplici, ma possono essere sintetizzate in due grandi sfide che l’Italia sembra aver perso. La prima è quella della tecnologica, che ha visto le imprese italiane costantemente in ritardo rispetto ai paesi più

-4,0%

-2,0%

0,0%

2,0%

4,0%

6,0%

8,0%

10,0%

12,0%

14,0%

1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020

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avanzati, sia in termini di innovazione che di investimenti fisici e in capitale umano. La seconda è la persistenza di un tessuto industriale estremamente polverizzato, che non consente di sfruttare economie di scala e, soprattutto, non favorisce la presenza sui mercati più dinamici, come la Cina, l’India, le Tigri Asiatiche e i Paesi dell’Est Europeo, che richiedono volumi di produzione decine di volte superiori alla capacità di una singola impresa medio-piccola. Problemi di questo tipo affliggono anche altre economie, ma in Italia decenni di politiche industriali controproducenti (più che sbagliate) hanno finito per peggiorare la situazione. Alla riduzione delle dimensioni medie delle imprese ha contribuito certamente lo smantellamento dell’industria pubblica (compresa quella più innovativa), che con tutti i suoi limiti garantiva comunque una base di domanda interna per le imprese che volevano crescere e competere sui mercati globali. Quando la necessità di consolidare i bilanci pubblici è divenuta più pressante, le politiche di sviluppo sono state le prime ad essere sacrificate.

Il divario di produttività del Mezzogiorno (rispetto alla media nazionale)

Fonte: elaborazioni e previsioni OBI su dati Istat

In questo quadro, il Mezzogiorno ha subito più di altri i ritardi del Paese. Fino alla crisi dei debiti sovrani, ogni addetto ad una impresa del Mezzogiorno produceva tra il 18 e il 19% in meno della media nazionale. Su questo risultato pesavano sia i ritardi “nazionali” in termini di innovazione e dimensione aziendale, sia le specifiche carenze infrastrutturali del Mezzogiorno. Da quel momento in poi la persistente riduzione dei livelli produttivi ha drammaticamente peggiorato la situazione e, secondo le previsioni (molto prudenziali) dell’OBI, il divario di produttività si assesterà attorno al 21% nei prossimi anni. Se, da un lato, il calo relativo della produttività ha consentito di preservare i già modesti livelli occupazionali del Sud, esso ha anche peggiorato la capacità di competere sia sul mercato interno che estero, rischiando di avviare un circolo vizioso in cui le imprese meridionali, essendo meno produttive, non riescono a crescere abbastanza per sfruttare economie di scala e si trovano così a perdere ulteriori posizioni in termini di competitività.

3 Le previsioni territoriali

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18%

19%

20%

21%

22%

1995 2000 2005 2010 2015 2020 2025

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Come di consueto, l’OBI ha svolto un esercizio previsionale utilizzando una versione aggiornata del suo modello TODOMUNDI© (TOp DOwn MUNicipal Domestic Indicators), descritto nell’edizione 2011 del Rapporto, che consente di disaggregare fino al livello comunale uno scenario formulato a livello macroeconomico. Il modello utilizza virtualmente tutti gli indicatori territoriali disponibili al massimo livello di disaggregazione e fornisce proiezioni sul valore aggiunto a prezzi concatenati e sull’impiego di lavoro (misurato in termini di ULA, ovvero di unità di lavoro equivalenti a tempo pieno). L’obiettivo è quello di valutare prospettivamente la capacità produttiva e occupazionale dei singoli territori, che non necessariamente corrisponde al reddito dei residenti (i quali possono lavorare altrove o ricevere pensioni e sussidi). Ovviamente il divario tra produzione e reddito cresce significativamente passando dalle previsioni ripartizionali fino a quelle comunali. Quest’anno il modello è stato migliorato utilizzando una matrice input-output dinamica, che consente ti tenere conto più accuratamente dei mutamenti tecnologici. Ciò ha consentito di spostare in avanti l’orizzonte di previsione, che ora sfiora i 10 anni. Previsioni al 2030, già ora disponibili, sono considerate invece troppo poco affidabili e soggette a tali e tante incertezze da risultare menoutili ai fini dell’analisi e della programmazione territoriale.

3.1 Le grandi ripartizioni

Secondo le stime dell’Istat, nel 2015 il Mezzogiorno sarebbe tornato a crescere per la prima volta dopo sette anni, superando addirittura il ritmo di crescita medio nazionale. Già lo scorso anno l’OBI aveva sottolineato il carattere occasionale di tale risultato, dovuto, in gran parte, ad un “rimbalzo tecnico” rispetto ad un 2014 particolarmente sfavorevole per il Sud e ad una eccezionale annata agricola. Per i prossimi anni è molto improbabile che si verifichino ancora condizioni così vantaggiose, ma le previsioni dell’OBI indicano comunque una convergenza dei ritmi di crescita (ma non dei livelli di attività!) delle quattro macro-aree.

Per i prossimi anni, l’OBI prevede per il Mezzogiorno una crescita del valore aggiunto positiva, ma modesta: attorno all’1% l’anno fino al 2020 e in accelerazione fino all’1,5% del 2025. Si tratta di valori comunque inferiori di 2 decimi di punto rispetto alla media nazionale del periodo 2018-2025, che determineranno un ulteriore lieve allargamento del gap tra i livelli produttivi del Mezzogiorno e quelli del resto del paese. Nelle altre grandi ripartizioni, invece, il tasso di crescita dovrebbe assestarsi tra l’1,5% del Centro e l’1,2% del Nord Ovest sulla media del periodo di previsione. In entrambi i casi si tratta di un lieve peggioramento rispetto alle proiezioni dello scorso anno, che ipotizzavano una uscita dalla crisi più rapida di quella che si va prospettando.

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Valore aggiunto totale per ripartizione (tasso di crescita annuale ai prezzi dell’anno precedente)

Fonte: elaborazioni e previsioni OBI su dati Istat

La dinamica del valore aggiunto totale per ripartizione

(variazioni medie annue a prezzi dell’anno precedente)

Ripartizione Prima

della crisi Durante la crisi

Durante la ripresa

Previsioni

2000-2007 2008-2013 2014-2017 2018-2025 Nord-Ovest 1.2% -1.4% 0.9% 1.3% Nord-Est 1.2% -1.0% 0.9% 1.4% Centro 1.6% -1.4% 0.7% 1.5% Mezzogiorno 0.6% -2.1% 0.8% 1.2% Non attribuibile -1.7% 2.1% 1.7% -0.3%

Italia 1.1% -1.5% 0.8% 1.4% Fonte: elaborazioni e previsioni OBI

Mentre nel Mezzogiorno la produzione dovrebbe aumentare ritmi doppi rispetto al periodo pre-crisi, nelle altre ripartizioni la crescita dovrebbe tornare sostanzialmente sui tassi registrati prima del 2007. Questo risultato, tutt’altro che scontato e confermato rispetto alle previsioni dello scorso anno, riflette lo straordinario sforzo delle imprese del Mezzogiorno sopravvissute alla Grande Recessione e alla crisi dei debiti sovrani, che hanno avuto il merito di “selezionare” le realtà più solide e dinamiche, anche a costo di un abbassamento della capacità produttiva complessiva. Si tratta certamente di un segnale positivo, nonostante i suoi pesanti riflessi sui livelli di occupazione. Resta il fatto che, nonostante questa inversione di tendenza, il valore aggiunto prodotto nel Mezzogiorno rappresenterà una quota sempre più esigua di quello nazionale, passando da poco meno di un quarto a metà degli anni novanta, fino al 22,5% alla fine del periodo di previsione.

-3,0%

-2,0%

-1,0%

0,0%

1,0%

2,0%

2013 2015 2017 2019 2021 2023 2025

Nord-Ovest Nord-EstCentro Mezzogiorno

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Quota del Mezzogiorno sul Pil nazionale

Fonte: elaborazioni e previsioni OBI su dati Istat

A fronte di un leggero miglioramento della situazione del Mezzogiorno, si assiste ad un altro fenomeno già anticipato dall’OBI nei precedenti Rapporti, ossia il progressivo rallentamento del Nord-Ovest, una volta cuore pulsante dell’industria italiana, che rischia ora di diventare una nuova area di basso sviluppo endemico. Attorno al 2030, la crescita di questa area potrebbe risultare addirittura inferiore a quella del Mezzogiorno, aprendo un nuovo fronte per le politiche di coesione sociale e di sviluppo territoriale.

I progressi del Sud e nelle Isole dovrebbero concentrarsi nell’industria (+1,6% in media da qui al 2025, con un picco nella filiera dell’alimentare di qualità, di alcune manifatture di nicchia e nell’automotive, dopo il “ritorno” di FCA in alcuni siti del Sud). Appena inferiore dovrebbe essere l’apporto delle costruzioni (auspicabilmente spinte da qualche investimento in infrastrutture), mentre i servizi (inclusi quelli logistici e legati al turismo) dovrebbero crescere ad un ritmo inferiore di 1-2 decimi rispetto alle altre aree (1,2%). Infine l’agricoltura, dopo l’exploit del 2015 dovrebbe tornare a crescere a tassi inferiori all’1% l’anno, al netto delle consuete ampie oscillazioni del tutto imprevedibili, tipiche di questo settore.

Previsioni settoriali (tassi di crescita medi annui 2018-2025)

Nord-Ovest Nord-Est Centro Mezzogiorno Agricoltura 0.4% 0.8% 0.6% 0.7% Costruzioni 1.4% 1.3% 1.5% 1.4% Industria in senso stretto 1.0% 1.6% 1.5% 1.6% Servizi 1.4% 1.4% 1.5% 1.2%

Fonte: elaborazioni e previsioni OBI su dati Istat

L’industria dovrebbe trainare la crescita anche del Nord-Est e del Centro, mentre rischia di dare un contributo assai modesto alla dinamica produttiva del Nord-Ovest, dove ormai si sentono le

22%

23%

24%

25%

1995 2000 2005 2010 2015 2020 2025

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conseguenze di un decennio di sostanziale deindustrializzazione. Per tutte le macro-aree l’OBI ipotizza una ripresa delle costruzioni e una buona dinamica dei servizi, nonostante il prevedibile ridimensionamento di settori importanti come il commercio di vicinato e i servizi bancari.

Il Centro, e in parte anche il Nord-Est, sono le aree che sembrano interpretare meglio il modello ideale di crescita settorialmente bilanciata più volte indicato dall’OBI come quello più sostenibile e robusto nel medio e lungo periodo. Nord-Ovest e Mezzogiorno presentano invece una eterogeneità degli andamenti settoriali che sembra prefigurare la prosecuzione di processi di aggiustamento strutturale ancora lontani dal concludersi.

In questo quadro, l’occupazione dovrebbe crescere attorno all’1% in tutte le ripartizioni, e appena un decimo in meno nel Mezzogiorno, dove sembra che gli incentivi contributivi comparativamente più generosi previsti dal governo stiano funzionando. Rispetto al periodo pre-crisi, infatti, l’occupazione meridionale ha decisamente allungato il passo, convergendo verto i ritmi di crescita medi nazionali.

La dinamica dell’occupazione totale per ripartizione (variazioni medie annue delle unità di lavoro standard)

Ripartizione Prima

della crisi Durante la crisi

Durante la ripresa

Previsioni

2000-2007 2008-2013 2014-2017 2018-2025 Nord-Ovest 0.9% -1.4% 1.0% 1.0% Nord-Est 1.0% -1.2% 0.7% 1.1% Centro 1.4% -1.1% 0.8% 1.1% Mezzogiorno 0.6% -2.0% 1.5% 0.9% Non attribuibile -2.7% -2.4% -0.6% 0.7% Totale 0.9% -1.5% 1.1% 1.1% Fonte: elaborazioni e previsioni OBI

Le dinamiche dell’occupazione e del valore aggiunto dovrebbero assicurare un aumento della produttività abbastanza diffuso in tutte le macro-aree e pari a 2-3 decimi di punto l’anno. Non si tratta di progressi straordinari, viste anche il divario che resta da recuperare rispetto ai principali competitors, ma è pur sempre un segnale positivo, che conferma quelli già intravisti nella precedente edizione di questo Rapporto.

3.2 Le regioni

Da qui al 2025, la crescita dovrebbe risultare abbastanza omogenea tra le diverse regioni (se non altro per motivi statistici legati al prolungamento dell’orizzonte previsivo). Le regioni complessivamente più dinamiche dovrebbero risultare il Lazio e le Marche (con una crescita media che sfiorerà il 1,5% annuo), l’Emilia e Romagna e il Veneto (+1,4% l’anno). Qualche lieve ritardo potrebbe invece registrarsi in Abruzzo (solo 1%, anche a causa degli eventi sismici) e la Val d’Aosta (0,9%).

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A livello settoriale, nel Lazio la crescita dovrebbe essere guidata dalle costruzioni (+1,7%), sperabilmente interessate dalla realizzazione o l’ammodernamento di varie infrastrutture di pubblico interesse, mentre non si prevedono significativi progressi dell’agricoltura, nonostante la presenza di aree di grande interesse per le produzioni di qualità. Nelle Marche e in Emilia e Romagna si dovrebbe registrare nel prossimo decennio un significativo aumento dell’attività industriale (poco meno del 2% l’anno), mentre in Veneto la migliore performance sarà quella dei servizi (particolarmente di quelli turistici e la logistica verso l’Europa dell’Est e del Nord). Le difficoltà dell’Abruzzo e della Val d’Aosta dovrebbero concentrarsi nell’agricoltura, mentre la ricostruzione post-terremoto potrebbe stimolare il settore delle costruzioni in Abruzzo (+1,9%).

La dinamica del valore aggiunto totale per regione (variazioni medie annue a prezzi dell’anno precedente)

Regione Prima

della crisi Durante la crisi

Durante la ripresa

Previsioni

2000-2007 2008-2013 2014-2017 2018-2025 Liguria 0.7% -2.5% 0.5% 1.2% Lombardia 1.3% -1.1% 0.9% 1.3% Piemonte 1.1% -1.7% 0.7% 1.2% Valle d'Aosta 1.0% -1.5% 0.1% 0.9% Emilia-Romagna 1.4% -1.0% 1.0% 1.5% Friuli-Venezia Giulia 0.9% -1.6% 0.5% 1.3% Trentino-Alto Adige 1.0% 0.5% 0.9% 1.2% Veneto 1.2% -1.2% 0.8% 1.4% Lazio 2.0% -1.4% 0.6% 1.5% Marche 1.7% -2.0% 0.6% 1.5% Toscana 1.1% -1.1% 0.9% 1.3% Umbria 0.8% -2.9% 1.1% 1.3% Abruzzo 0.6% -1.1% 1.4% 1.0% Basilicata -0.1% -1.3% 1.9% 1.1% Calabria 0.5% -2.4% 0.8% 1.3% Campania 0.7% -2.6% 0.4% 1.3% Molise 0.7% -3.4% 0.6% 1.2% Puglia 0.3% -1.5% 0.8% 1.1% Sardegna 0.9% -2.0% 0.2% 1.3% Sicilia 0.8% -2.1% 1.1% 1.2%

Fonte: elaborazioni e previsioni OBI

Nel complesso, l’agricoltura sarà probabilmente il principale fattore di freno per la crescita in quasi tutte le regioni, ad eccezione dell’Emilia e Romagna. A sorpresa l’industria manifatturiera dovrebbe trainare l’economia di gran parte delle regioni meridionali e del Centro, oltre che della Val d’Aosta e dell’Emilia e Romagna. Come si è detto, si tratterà tuttavia di un settore manifatturiero fortemente “selezionato”, all’interno del quale avranno un peso rilevante lavorazioni di qualità e di nicchia. Le costruzioni registreranno la migliore performance settoriale in Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Lazio, Abruzzo e Basilicata. Infine i servizi potrebbero trainare lo sviluppo

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solo in Lombardia, Piemonte e Veneto. Su tale comparto, come si è detto, peserà la riorganizzazione della Pubblica Amministrazione e del settore finanziario e commerciale. Solo chi riuscirà a puntare su servizi ad alto valore aggiunto (logistica, progettazione, e turismo), come le regioni citate, potrà aspettarsi un ruolo trainante anche da tale macro-comparto.

In termini di occupazione, la migliore performance dei prossimi anni dovrebbe registrarsi in Umbria e Lazio (+1,2% in media l’anno in termini di ULA), mentre qualche incertezza potrebbe manifestarsi in Valle d’Aosta (+0,4%), Liguria (+0,6%) e Abruzzo (+0,7%). In quasi tutte le regioni il settore che allargherà maggiormente gli organici sarà l’industria, con l’eccezione dell’Emilie e Romagna, dove sarà notevole la performance dei servizi, e di alcune regioni in cui sarà invece più rilevante il contributo delle costruzioni (Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Abruzzo). Ovunque sono attesi aumenti di produttività, eccetto che in Basilicata (dove valore aggiunto complessivo e occupazione cresceranno esattamente allo stesso ritmo), e in pochi casi particolari, come il settore manifatturiero in Liguria, Lombardia, Lazio, Basilicata e Sicilia; e il settore agricolo in Campania.

La dinamica dell’occupazione totale per regione (variazioni medie annue delle unità di lavoro standard)

Regione Prima

della crisi Durante la crisi

Durante la ripresa

Previsioni

2000-2007 2008-2013 2014-2017 2018-2025 Liguria 0.6% -0.9% 0.7% 0.6% Lombardia 1.0% -1.6% 1.0% 1.1% Piemonte 0.9% -1.3% 1.0% 0.9% Valle d'Aosta -0.1% -0.7% 0.8% 0.4% Emilia-Romagna 1.0% -1.1% 0.6% 1.0% Friuli-Venezia Giulia 0.6% -1.6% 0.6% 0.9% Trentino-Alto Adige 0.7% 0.0% 0.1% 0.8% Veneto 1.2% -1.3% 0.7% 1.1% Lazio 1.8% -0.7% 0.5% 1.2% Marche 1.2% -1.8% 1.2% 1.1% Toscana 1.0% -1.4% 0.7% 0.9% Umbria 1.3% -1.8% 2.0% 1.2% Abruzzo 0.6% -1.2% 1.3% 0.7% Basilicata 0.1% -2.5% 1.4% 1.1% Calabria 0.9% -1.6% 1.1% 1.0% Campania 0.0% -2.4% 0.8% 0.9% Molise 0.8% -2.0% 0.5% 0.9% Puglia 0.6% -1.6% 1.9% 0.8% Sardegna 1.3% -1.6% 1.4% 0.9% Sicilia 0.7% -2.1% 2.1% 0.9%

Fonte: elaborazioni e previsioni OBI

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3.3 Le province

La sostanziale abolizione delle province quali centri decisionali intermedi non impedisce di considerare queste unità territoriali come un utile riferimento per le analisi economiche e sociali. Le previsioni dell’OBI sulla dinamica del valore aggiunto e dell’occupazione a livello provinciale comportano ovviamente un margine di errore superiore a quello delle aggregazioni maggiori, ma sono ugualmente utili per individuare tendenze e criticità che possono condizionare lo sviluppo sia delle regioni di appartenenza, sia dell’intero Paese.

Senza entrare nel dettaglio settoriale, che è disponibile su richiesta ed è rappresentato nei cartogrammi dell’Appendice Statistica, si possono individuare, da un lato, alcune best performer in termini di tasso di crescita da qui al 2025 e, all’opposto, alcune aree critiche su cui sarebbe bene concentrare gli sforzi dei policymaker.

In base alle previsioni OBI, le provincie in cui il valore aggiunto dovrebbe crescere di più nei prossimi anni sono, in ordine decrescente, Ravenna, Reggio nell'Emilia, Grosseto, Matera e Rimini (tutte con ritmi di crescita vicini al 2% l’anno). Si tratta di realtà locali molto differenti tra loro, anche se tre di esse appartengono alla stessa regione e molte hanno una fiorente industria turistica. Segue un gruppo di 17 province che potrebbero vedere la propria produzione aumentare a tassi superiori o pari all’1,5%. Quasi tutte si trovano nel Centro-Nord e solo tre (Crotone, Olbia-Tempio e Palermo) nel Mezzogiorno.

All’estremo opposto della classifica, solo Pavia rischia di registrare una lieve diminuzione dei livelli di attività (-0,1% l’anno), ma altre sette non cresceranno probabilmente più di mezzo punto l’anno da qui al 2025. Sorprendentemente, tre di esse si trovano in Lombardia (Cremona, Como e Mantova) e due in Veneto (Rovigo e Belluno), mentre in questo gruppo non compare nessuna città del Mezzogiorno. La maggior parte delle province del Sud e delle isole, infatti, non registreranno tassi di crescita particolarmente bassi, ma semplicemente mediocri (attorno all’1%), segno di economie poco dinamiche, ma comunque in grado di “galleggiare” in un panorama nazionale non troppo brillante.

Guardando ai cartogrammi sulla dinamica del valore aggiunto complessivo, si vede chiaramente che le zone a maggiore sviluppo nei prossimi anni saranno concentrate ai bordi della pianura Padana, seppure con significative interruzioni della continuità territoriale, con una propagine meridionale nelle Marche; sul Tirreno centrale (con una appendice nel Nord della Sardegna) e sullo Ionio. Sembrano essersi invece dissolti i nuclei isolati di sviluppo individuati nella precedente edizione del rapporto nel Nord Est e nella Sicilia meridionale, confermando purtroppo la previsione che il loro isolamento ne avrebbe frenato le potenzialità in mancanza di una rete di infrastrutture efficiente.

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Valore aggiunto totale per provincia: previsioni 2018-2025 (variazioni medie annue a prezzi dell’anno precedente e confronto col periodo pre-crisi)

Tasso di crescita medio annuo Differenza rispetto al tasso di crescita medio annuo pre-crisi

oltre il +1.5% oltre 0,5 p.p. in più tra +1% e +1.5% tra 0 e 0,5 p.p. in più tra 0% e +1% tra 0,5 e 0 p.p. in meno in decrescita oltre 0,5 p.p in meno

Fonte: elaborazioni e previsioni OBI

Rispetto al periodo pre-crisi, si conferma la previsione che gran parte del Mezzogiorno dovrebbe recuperare o superare i suoi (pur modesti) ritmi di crescita nei prossimi anni. La crisi sembra ancora persistente in molte aree che affacciano sul Tirreno centrale, nel Piemonte meridionale e in alcune province di confine della Lombardia. Se questo è un buon segno per il Mezzogiorno, non lo è affatto per il resto del paese, che vede ancora in difficoltà aree che un tempo erano estremamente dinamiche.

La modesta crescita della maggior parte delle province italiane si ripercuote necessariamente sulla loro capacità di assorbire mano d’opera. Anche se i casi di una riduzione tendenziale dell’occupazione dovrebbero essere molto rari nei prossimi anni, una crescita superiore all’1,5% l’anno si dovrebbe registrare in poche province isolate tra loro, caratterizzate tutte da una posizione lungo la costa e nel Centro. Se si istituissero adeguati canali di interconnessione tra questi nuclei, essi potrebbero forse costituire dei primi centri di diffusione dell’occupazione, ma se, anche per motivi strettamente geografici, questa ipotesi non è praticabile, ci si attende che nei prossimi anni il dinamismo di queste province finisca per rallentare o addirittura spegnersi. Ma questa è un altra di quelle congetture su cui i ricercatori dell’OBI sperano ardentemente di essere contraddetti dai fatti.

variazione rispetto a 2000-2007

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Occupazione totale (ULA) per provincia: previsioni 2018-2025 (variazioni medie annue e confronto col periodo pre-crisi)

Tasso di crescita medio annuo Differenza rispetto al tasso di crescita medio annuo pre-crisi

oltre il +1,5% oltre 0,5 p.p. in più tra +1% e +1,5% tra 0 e 0,5 p.p. in più tra 0% e +1% tra 0,5 e 0 p.p. in meno in decrescita oltre 0,5 p.p. in meno

Fonte: elaborazioni e previsioni OBI

Il recupero dell’occupazione rispetto ai livelli pre-crisi, dovrebbe essere più rapido nel Mezzogiorno, che per altro era stato colpito anche più duramente dalla recessione, e in poche aree sparse del Nord. Al Centro prevale invece una situazione in cui la domanda di lavoro sarà ancora meno intensa rispetto al periodo 2000-2007.

4 Nuclei di sviluppo e di declino nel Mezzogiorno

L’analisi dei dati comunali consente di avere una visione ancora più fine delle prospettive economiche territoriali, che ovviamente non sono tenute a rispettare confini amministrativi così ampi come quelli regionali e provinciali. In particolare, già nei precedenti Rapporti, l’OBI aveva identificato alcuni “sentieri” di sviluppo, difficili da identificare in base alla semplice analisi provinciale, che sembravano congiungere comuni contigui, spesso appartenenti a diverse regioni, accomunati da tassi di crescita superiori alla media.

variazione rispetto a 2000-2007

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Valore aggiunto totale per comune: previsioni 2018-2025 (variazioni medie annue a prezzi dell’anno precedente)

Tasso di crescita medio annuo oltre il +1,5% tra +0,5% e +1,5% tra 0% e +0,5% in decrescita

Fonte: elaborazioni e previsioni OBI

Secondo l’OBI, tali aggregazioni, non rappresentano semplici strutture geografiche, ma corrispondono potenzialmente a “super-distretti” in cui tra imprese spesso appartenenti a diversi settori riescono a sfruttare le sinergie e le economie di scala rese possibili proprio dalla contiguità territoriale. Tali sentieri si formano preferibilmente, ma non necessariamente, attorno ad assi infrastrutturali che facilitano le interazioni tra i diversi sistemi economici locali.

Per il periodo 2018 – 2025, le previsioni dell’OBI sembrano confermare, in primo luogo, l’esistenza di una coppia di canali che partono dalla Campania del Nord e tendono a congiungere il Tirreno all’Adriatico. Il ramo più settentrionale si interrompe nelle aree montuose dell’Abruzzo meridionale. L’altro asse sembra invece disperdersi invece al confine pugliese. In entrambi i casi, lo stop appare legato alla carenza di infrastrutture logistiche che consentano un trasferimento veloce delle merci tra i due mari. Un altro sentiero di sviluppo, pure individuato nei precedenti Rapporti, forma un arco lungo la costa ionica settentrionale, con una interessante propagine all’interno della Basilicata. A parere dell’OBI, si tratta di un asse particolarmente promettente, che include attività industriali, turismo, cultura e agro-industria di qualità, ossia proprio le componenti del TAC 4.0. Riuscire ad estendere questo arco virtuoso al resto della costa ionica, anche attraverso interventi infrastrutturali, potrebbe dunque rivelarsi un investimento estremamente proficuo anche per altre aree contigue, ancora poco interessate da questo nucleo di sviluppo.

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Accanto a questi sentieri continentali, si intravedono un canale, piuttosto frastagliato, che attraversa la Sicilia dalla costa occidentale a quella orientale e che, almeno in parte sembra associato ad un modello di sviluppo TAC 4.0, seppure meno definito. Tende invece ad assottigliarsi, rispetto alle elaborazioni precedenti, quell’arco che interessava la Sardegna settentrionale, fortemente caratterizzato dalla prevalenza del turismo, che è stato probabilmente danneggiato da una dissennata politica dei collegamenti tra l’isola e il continente, che ha indubbiamente scoraggiato i flussi turistici. Se i policy maker locali e nazionali riusciranno ad invertire in tempo questa tendenza è probabile che anche questo sentiero di sviluppo rifiorisca. Sempre in Sardegna, precisamente nell’area centro-occidentale, si rafforza un’area molto omogenea in cui lo sviluppo dovrebbe risultare superiore alla media, soprattutto grazie ad una buona performance dei servizi, particolarmente quelli legati al turismo agricolo e culturale, ossia ancora una volta a fattori tipici del modello TAC 4.0.

A differenza delle precedenti previsioni, nei prossimi anni non dovrebbero registrarsi troppe aggregazioni di comuni contigui in netta decrescita, che rischiano di risucchiare anche le potenzialità di sviluppo delle aree contigue, come dei veri e propri “buchi neri” economi, facendo mancare mercati e risorse finanziarie. Si distingue solo un’area di crisi nell’Abruzzo settentrionale, chiaramente legato agli eventi sismici, e qualche nucleo sparso nelle isole maggiori. Spesso le aree meno progredite sembrano affidarsi troppo ai servizi, particolarmente pubblici, che tuttavia non offrono prospettive troppo dinamiche.

La dinamica prospettiva del valore aggiunto sottenderà una crescita piuttosto modesta dell’occupazione. Guardando ai cartogrammi, si vede chiaramente che la creazione di posti di lavoro segue solo approssimativamente i sentieri di sviluppo individuati in base all’intensità dell’attività produttiva, se non nel caso delle Isole. Nel complesso, l’occupazione dovrebbe crescere in modo abbastanza omogeneo in tutto il Mezzogiorno, ma si conferma, rispetto alle precedenti previsioni, la resistenza di vaste aree di regresso in Abruzzo, Sicilia e Calabria, dove già la situazione occupazionale era abbastanza critica.

Tra i grandi comuni del Sud, nei prossimi anni dovrebbero registrare una crescita di tutto rispetto (tra il 2,5% e il 4% l’anno) due città della Campania (Avellino e Caserta) e tre della Sicilia (Ragusa, Palermo e Catania), confermando le tendenze emerse anche nelle precedenti edizioni del Rapporto. Si tratta di comuni che prima della crisi crescevano già a tassi superiori alla media (alcuni oltre il 4% l’anno) e che spesso hanno subito pesanti contraccolpi durante la Grande Recessione (fino a -8% ad Avellino), quindi la loro performance in previsione è attribuibile almeno in parte ad un rimbalzo tecnico rispetto al periodo 2008-2013. Un altro gruppo di comuni dovrebbe registrare una crescita meno vivace, ma sempre superiore alla media nazionale: due sono in Abruzzo (Teramo e Pescara), due in Campania (Napoli e Pozzuoli), due in Sardegna (Cagliari e Sassari), due in Calabria (Catanzaro e Crotone) e gli altri in Puglia e Basilicata (Taranto e Matera). Si tratta di grandi comuni con un settore dei servizi piuttosto consistente, solo in alcuni casi ben collegati al resto del paese. All’opposto, si dovrebbero registrare un vero e proprio declino a Bagheria e una crescita solo di pochi decimali l’anno in altri due comuni siciliani (Trapani e Vittoria) e in due località campane (Acerra e Benevento).

Per quanto riguarda l’occupazione, solo Avellino Caserta e Catania dovrebbero registrare incrementi superiori al 2,5% l’anno, mentre probabilmente si registrerà un calo dell’impiego di manodopera a Benevento, Acerra, Marano di Napoli e Bagheria ed un aumento di pochissimi

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decimali a Giugliano, Afragola, Trapani, Caltanissetta e Vittoria. Il resto dei comuni dovrebbe vedere una intensificazione nell’impiego delle risorse umane (eventualmente provenienti anche da fuori comune) che va dallo 0,3% l’anno fino al 2,4% e che solo in pochi casi consentirà un rapido riassorbimento della disoccupazione locale.

Occupazione totale (ULA) per comune: previsioni 2017-2020

(variazioni medie annue)

Tasso di crescita medio annuo oltre il +1,5% tra +0,5% e +1,5% tra 0% e +0,5% in decrescita

Fonte: elaborazioni e previsioni OBI

5 Conclusioni

Il rapporto OBI di quest'anno evidenzia alcune luci, importanti soprattutto per il Mezzogiorno, accanto ad ombre che continuano a gravare l'economia meridionale. In termini macroeconomici si può affermare che il Sud e le Isole stanno finalmente reagendo alla ripresa economica, forse meglio che in qualsiasi altra fase della nostra storia economica recente. Si tratta, in parte, di un effetto “statistico” dovuto alla maggiore gravità della crisi che aveva colpito quest’area, ma anche di alcune tendenze reali che inducono ad un moderato ottimismo. La grande recessione, tra molte sciagure, ha determinato una “selezione darwiniana” tra le imprese, che ha liberato mercati e risorse per un rilancio delle iniziative più solide, soprattutto nel Mezzogiorno. Ciò non sarà certo sufficiente a colmare un divario territoriale accumulato da decenni, ma è certamente un buon inizio da cui ripartire.

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In base ai dati elaborati dall’OBI possiamo infatti affermare con qualche sicurezza che anche nel Mezzogiorno si sta riavviando lentamente un processo di sviluppo endogeno, in grado di sostenersi senza attendere continui stimoli esterni per sopravvivere. Sul fronte delle ombre, il Mezzogiorno, dopo aver registrato nel 2015, una performance, per la prima volta da molti anni a questa parte, superiore alla media nazionale, è tornato a crescere meno del resto del paese e tale tendenza sembra destinata a protrarsi almeno fino al 2025. Uno scenario più favorevole, che fa affidamento su un pieno successo delle nuove politiche di sviluppo oltre che sull’avvio di un processo di crescita endogena anche al Sud, prefigura la chiusura del divario territoriale piuttosto in là nel tempo, attorno al 2050. Nello scenario base presentato in questo rapporto il gap tra Mezzogiorno e resto del paese appare destinato a continuare ad allargarsi, sia pure più lentamente rispetto al passato, fino a stabilizzarsi. Sul fronte delle luci, nel corso degli ultimi anni, l’occupazione del Mezzogiorno ha dato segni di ripresa, anche grazie ai generosi incentivi messi in campo dal governo. Rimane tuttavia il dubbio che, se e quando gli incentivi dovessero cessare, il Mezzogiorno riesca a mantenere la stessa capacità di assorbimento di manodopera. Non va dimenticato inoltre che l’aumento della domanda di lavoro è stata lievemente inferiore ai ritmi di crescita già di per sé modesti, della produzione. Ciò incide negativamente sull’aumento della produttività, che è necessario per rendere le imprese meridionali sufficientemente competitive. Emerge quindi in modo evidente la necessità di creare nuove condizioni per lo sviluppo del Mezzogiorno, in quanto l’andamento del PIL negli ultimi anni e le proiezioni future non ci segnalano elementi particolarmente significativi per sperare che la crescita possa riprendere a livelli accettabili, soprattutto tenuto conto delle proiezioni sul versante della spesa pubblica, in via di contrazione già a partire da quest’anno ed in misura maggiore negli anni a venire. Le misure che noi proponiamo sono quindi:

1) La diffusione del modello TAC 4.0, che integra il modello da noi denominato nei precedenti rapporti TAC 3.0. E’ noto il significato dell'acronimo TAC riferito al manifatturiero tradizionale costituito dai comparti del tessile, abbigliamento e calzaturiero, andato in crisi a partire soprattutto dagli anni 90 a seguito dell'irruzione sullo scenario internazionale dei paesi caratterizzati dal basso costo della manodopera e dal basso livello della tassazione sul reddito delle imprese.

Il recupero del vecchio TAC già allora appariva legato alla forte valorizzazione del made in Italy ed alla diffusione delle tecnologie innovative sia sul piano produttivo, che sul piano organizzativo e del marketing. Cominciammo allora a parlare di TAC 2.0. Ma vi era già la consapevolezza che il TAC, sia pure rivisitato in chiave innovativa ( TAC 2.0), non poteva da solo garantire livelli quali/quantitativi rilevanti e soprattutto funzionali alla diffusione del manifatturiero che, nel Mezzogiorno, presentava livelli di incidenza sul PIL/valore aggiunto assai bassi e comunque lontani dai livelli ritenuti ottimali per perseguire un equilibrato sistema produttivo. L’OBI pertanto, muovendo da tale assunto, propose di puntare sullo sviluppo di un TAC nuovo che non doveva sostituirsi ma aggiungersi a quello tradizionale. Tale modello integrava i settori sopraddetti con le attività connesse alla valorizzazione del territorio e del turismo (T) , dell'agricoltura e dell'agroindustria ( A) nonché della cultura e creatività (C).

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Da qui l'acronimo TAC 3.0 che avrebbe dovuto inglobare le attività produttive tradizionalmente legate al made in Italy e le attività emergenti legate alla valorizzazione del territorio e della cultura in termini turistici, agricoli, creativi , il tutto reinterpretato alla luce delle tecnologie a innovative ed informatiche e degli strumenti del web. L’ OBI propone oggi un’ulteriore evoluzione dal TAC 3.0 al TAC 4.0. Si tratta infatti di imprimere nelle attività assunte a paradigma dello sviluppo endogeno del Mezzogiorno una nuova indispensabile accelerazione, connessa alla diffusione delle tecnologie proprie della quarta rivoluzione industriale. Come noto, la 4° rivoluzione è centrata sull'innervamento delle tecnologie digitali all'interno dei processi produttivi ed organizzativi, sulla diffusione dell'intelligenza artificiale interconnessa e della robotica , oltre che delle tecniche 3D. L'avvio infatti di un programma di sostegno agli investimenti nell'industria 4.0 deciso dal governo con la manovra finanziaria del 2016, ha messo infatti a disposizione risorse importanti ma soprattutto ha indicato percorsi ineludibili per sviluppare la capacità competitiva e sul mercato interno e su quello internazionale. Lo sviluppo del Mezzogiorno passa da questa scommessa e quindi dalla capacità dei suoi operatori di accogliere la sfida proposta. Tale sfida dovrà peraltro segnare :

lo sviluppo dell'industria manifatturiera caratterizzata da contenuti tecnologicamente rilevanti (meccanica, meccatronica, aerospazio, energia, ecc.), presente in maniera rilevante nel Mezzogiorno;

la rinascita dell'industria di base, in particolare dell’ industria siderurgica, (fortemente concentrata a livello territoriale, ma fondamentale per lo sviluppo complessivo del sistema produttivo meridionale e nazionale) , e dell'industria cantieristica, tuttora irrinunciabile.

2) La diffusione della 4° rivoluzione industriale.

Essa comporta la ridefinizione delle logiche produttive delle imprese a tutti i livelli con maggiore urgenza per le imprese del Mezzogiorno rispetto al resto d’ Italia. Il paradigma nascente dalla 4° rivoluzione industriale implica un nuovo concetto di impresa digitale e flessibile, che si caratterizza per:

La riorganizzazione in termini di diffusa digitalizzazione del flusso informativo interno ed esterno che va dalla fase di progettazione del prodotto/servizio fino a quello dell’assistenza post-vendita;

la rideterminazione del rapporto tra capitale umano e macchine, soprattutto dovuto ad un utilizzo sempre maggiore dei robot industriali;

la necessità di personalizzare il proprio prodotto/servizio, che implica una maggiore flessibilità produttiva ed organizzativa.

Il passaggio alla 4° rivoluzione industriale sarà agevole per la grande impresa, che possiede le risorse finanziarie ed organizzative per attuare gli investimenti necessari per affrontare i cambiamenti nascenti dalla 4° rivoluzione, soprattutto per quanto concerne il settore della R & S.

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Ciò non accade invece per le micro piccole e medie imprese, presenti soprattutto nel Mezzogiorno, che soffrono di carenze organizzative e deficit finanziari che precludono loro ogni chance relativa alla ricerca. Generalmente l’approccio alla ricerca di micro piccole e medie imprese avviene per induzione, attraverso l’ acquisto di macchinari e semilavorati che alimentano una diffusione indiretta dell’innovazione. Sarà quindi prioritario programmare e varare una serie di misure che favoriscano l’approccio delle micro piccole e medie imprese alla 4° rivoluzione. In questa prospettiva sarà fondamentale:

creare un collegamento funzionale tra Università , centri di ricerca e tessuto delle PMI attraverso misure che favoriscano l’inserimento di laureati, tecnici, dottorati al loro interno;

promuovere un sistema formativo in grado di plasmare nuove risorse umane, in grado di sostituire o riqualificare quelle preesistenti;

favorire l’integrazione del tessuto produttivo promuovendo reti tra le imprese e ove possibile la concentrazione territoriale delle stesse , riqualificando il ruolo e le funzioni delle vecchie aree di sviluppo industriale in termini di servizi e supporto oltre che di infrastrutture;

puntare alla creazione ed integrazione di aree logistiche con le aree di sviluppo industriale;

3) Lo sviluppo del sistema logistico nazionale che valorizzi la vocazione naturale del

Mezzogiorno con il piano dei porti ed il completamento della rete infrastrutturale terrestre a cominciare da quella ferroviaria, in uno con la creazione di piattaforme logistiche intermodali opportunamente interconnesse. Si tratta di un obiettivo irrinunciabile per costruire condizioni di competitività del Mezzogiorno e quindi di appeal per nuovi investimenti interni ed esterni. La razionalizzazione per un verso, lo sviluppo per l'altro del sistema portuale meridionale sia in chiave di transhipment per l'intercettazione dei traffici intercontinentali provenienti da Suez, ma soprattutto in chiave di leva per l'internazionalizzazione del sistema produttivo territoriale, sono altrettanti obiettivi irrinunciabili da perseguire con una forte programmazione integrata a livello nazionale e regionale. Accanto al sistema portuale, il sistema aeroportuale e quello ferroviario e stradale sono chiamati a giocare un ruolo fondamentale sia per la mobilità delle persone che per la mobilità delle merci. L'integrazione, il completamento, l'interconnessione ma anche il completamento delle reti di trasporto assumono, dal canto loro, un ruolo fondamentale di snodo dello sviluppo. La creazione di una dorsale jonico-tirrenica che interconnetta la Puglia meridionale con la Basilicata, la Calabria cosentina ed il Sud della Campania assume, in questa prospettiva, una importanza capitale e sul fronte della mobilità delle persone e sul fronte della mobilità delle merci. Essa dovrà affiancare la dorsale adriatico-tirrenica in via di realizzazione tra Bari e Napoli, pena la esclusione di un’ area ampia e popolosa del Mezzogiorno che rischierebbe, diversamente, di restare definitivamente tagliata fuori da ogni direttrice di sviluppo.

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4) L’ integrazione tra aree logistiche ed aree produttive, in vista della creazione delle ZES ( zone

economiche speciali, recentemente approvate dal Consiglio dei Ministri). E’ noto che i ritardi sul versante dell’organizzazione della logistica nel Mezzogiorno d’Italia ha determinato un gap di competitività straordinario perché le imprese sono costrette a utilizzare hub e piastre logistiche strutturate nel nord del paese e comunque lontane dai luoghi di produzione, con evidenti aggravi di costi derivanti dall’utilizzo pressoché generalizzato di gomma anziché di treni o navi . Una possibile soluzione ai problemi evidenziati è la creazione di aree logistico-produttive integrate (ALPI, nell’acronimo della visione progettuale OBI), che possano recuperare, rilanciare e valorizzare le ASI caratterizzate da un importante sviluppo retroportuale, restituendo senso e direzione alle politiche di sviluppo territoriale in chiave nazionale ma anche europea, in vista della futura programmazione certamente assai più selettiva e finalizzata rispetto a quella attuale. Si tratta di immaginare, progettare e realizzare l’integrazione tra alcune aree strategiche rilevanti in specifici territori con una piattaforma logistica che porti a ridosso e dentro le aree industriali, attraverso opportune connessioni, i diversi modi di trasporto e soprattutto i necessari servizi di supporto logistico. Tale processo favorirà processi di aggregazione e concentrazione delle imprese, determinerà un rapporto virtuoso tra ricerca e Università, sostenendo la produttività dell’azienda e definendo condizioni di competitività esterna fondamentali per la stessa. All’interno di tali aree la creazione, accanto a servizi logistici, di un set di servizi per la digitalizzazione, l’utilizzo di intelligenza artificiale interconnessa e di robot potrà favorire il passaggio delle micro piccole e medie imprese alla 4° rivoluzione e per emulazione potrà favorire la diffusione della stessa nel sistema economico, sociale e produttivo. In questa prospettiva la leva finanziaria avrà un ruolo fondamentale sia con riferimento alla leva bancaria, sia a quella fiscale , ed infine all’intervento pubblico, sia a livello nazionale che europeo. Le ZES, d’altro canto, dovranno sorgere proprio nelle aree portuali più importanti ( Gioia Tauro, Napoli, Salerno, Bagnoli, Taranto, Bari, Brindisi, ecc.) e potranno esercitare una notevole forza attrattiva nei confronti degli investitori, grazie ad una opportuna combinazione di incentivi (fiscali e normativi). Le ZES sono un’evoluzione delle zone franche concentrate in ambito doganale e dovrebbero concentrare in sé i poteri di governance ad oggi suddivisa tra Amministrazione centrale, regione e autorità portuale competenti, al fine di consentire una progettualità integrata di sviluppo del territorio.

5) La creazione dei presupposti a livello logistico, infrastrutturale, produttivo, affinchè il Mezzogiorno possa adeguatamente cogliere le opportunità offerte dalla nuova via della seta, la cosiddetta BRI. Il Mezzogiorno ha infatti davanti a sé una sfida straordinaria costituita dalla nascente Belt and Road Initiative – BRI (che, come acronimo, prende il posto del precedente One Belt One Road – OBOR, detta anche “vie della seta”), un progetto ancora in nuce ma che potrebbe essere destinato a riorientare gli assetti geopolitici mondiali. Si tratta di un progetto infrastrutturale (strade, porti, stazioni, ferrovie, reti elettriche – tlc, gasdotti etc.) che riguarda l’Eurasia, il Medio Oriente ed Africa, cioè dei paesi che

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complessivamente raggiungono oltre il 50 % dell’economia mondiale, e che ha per capofila la Cina, che da sola rappresenta circa il 22 % della stessa. Questo progetto, che configura una cooperazione interconnessa a livello mondiale, avrebbe delle importanti ricadute sia a livello geopolitico (con la Cina che si creerebbe degli alleati per “proteggere” la sua costante crescita di natura economica), sia di natura economica. Da questo punto di vista il progetto BRI comporterebbe evidenti effetti positivi sul commercio internazionale, un grandissimo aumento della domanda di prodotti e servizi connessi alla sua messa in opera (tubi, acciaio, rame, sistemi di controllo, ingegneria logistica, ecc.), nonché una notevole offerta sul mercato del lavoro(manodopera, progettisti, tecnici, ecc.), sia in fase realizzativa che nella successiva fase di manutenzione. L’equilibrio del commercio internazionale nell’ambito del progetto BRI sarebbe garantito da una moneta virtuale , espressa sulla base del paniere delle principali valute presenti nell’area interessata, una soluzione che riprende la proposta del “ bancor” presentata da J.M. Keynes, durante le negoziazioni che diedero vita al sistema di Bretton Woods, ma che poi non venne attuata in quanto il dollaro divenne la principale valuta per la regolazione delle transazioni mondiali. E’ fondamentale quindi per ciascun paese fare in modo che il BRI coinvolga il proprio territorio, in modo da “catturare” parte di quella domanda, essere coinvolto nell’aumento dei traffici commerciali tra i paesi aderenti e godere dei benefici attesi nel breve e nel medio-lungo termine sul fronte del mercato del lavoro interno. ed il mezzogiorno, per la sua collocazione geografica, è una piattaforma naturale di collegamento di tutto il mediterraneo, e, sebbene ciò non sia stato adeguatamente sfruttato nel recente passato per intercettare i traffici commerciali nel “mare nostrum”, ciò non esclude che nell’ambito del nuovo progetto possa avere un peso determinante. Il Mezzogiorno pertanto deve creare tutte le condizioni necessarie per rendersi attrattivo agli occhi degli organi decisionali del BRI, perché se questi optassero per il Nord-Est d’Italia (in particolare ai porti di Trieste e Venezia) esso verrebbe “tagliato fuori” da una delle ultime occasione per innestare un importante percorso di sviluppo di lunga durata.

Sempre in quest’ottica il Masterplan per il Sud, con la sua dotazione finanziaria ( quantificabile in circa 98 miliardi di euro, da qui al 2023) costituisce un’ ulteriore(ultima) occasione per la ridare forza e vitalità al tessuto economico meridionale. Il Masterplan si articola in 16 patti per il Sud (uno per ciascuna delle 8 regioni del Mezzogiorno, uno per le 7 Città Metropolitane ed infine il Contratto Istituzionale di Sviluppo (CIS) di Taranto) , che declinano a livello territoriale gli interventi che costituiscono l’asse portante dello sviluppo del Masterplan. Le risorse finanziarie, come detto, non mancano: Fondi FESR e FSE 2014-2020, comprensivi di cofinanziamento nazionale, per complessivi 51,8 ml di euro, a cui si aggiungono risorse dei Programmi Complementari per 7,4 ml di euro ed il Fondo di Sviluppo e Coesione, per 38,8 ml di euro. Adesso è fondamentale che la fase attuativa sia indirizzata al meglio, con il rapido avvio dei progetti già individuati e che, allo stato attuale, si concentrano su 3 macrovoci : infrastrutture (10,7 ml) ambiente (10,7 ml) e sviluppo economico e produttivo (7,4 ml). Al momento sono state già presentate diverse osservazioni, sia sull’impostazione metodologica dei patti (che rischia di mettere in secondo piano l’esigenza di una visione strategica sovra-regionale del mezzogiorno nel suo complesso, con la conseguente frammentazione degli interventi), sia sulla

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destinazione della spesa (viene dato eccessivo peso all’infrastrutturazione stradale a danno di quella ferroviaria, portuale ed aereoportuale, vi è scarso sostegno alla ricerca ed innovazione, che appaiono fondamentali alla luce della 4° rivoluzione industriale, ecc.) , sia infine sulla sua distribuzione territoriale (con una forte concentrazione in Puglia ed in Campania, soprattutto con riferimento agli incentivi alle imprese). Il Masterplan, potrebbe riuscire, come nelle intenzioni del governo, a partire dai punti di forza del tessuto economico meridionale per catalizzare uno sviluppo che si diffonda, attraverso le infrastrutture ed i servizi, a tutto il sistema produttivo, ma in questo è fondamentale la collaborazione attiva delle amministrazioni regionali e locali per un’efficace governance del processo ed una chiara e precisa definizione delle rispettive responsabilità. Il Mezzogiorno non può assolutamente permettersi di lasciarsi sfuggire le opportunità sopraddette, perché ci stiamo avvicinando rapidamente al termine del periodo di programmazione 2014-2020, che determinerà un’ulteriore contrazione delle risorse disponibili, con la conseguente necessità di individuare delle risorse sostitutive. Occorre dar seguito quanto prima al recente decreto Mezzogiorno, convertito in legge lo scorso 27 febbraio, che stabilisce la soglia (34%) degli investimenti ordinari da destinare al Sud. Entro il 30 giugno sarà emanato il DPCM (Decreto della Presidenza del Consiglio) che definirà le modalità per il «riequilibrio territoriale» della spesa ordinaria in conto capitale. La misura della soglia potrebbe non essere adeguata, tenuto conto che:

nella precedente programmazione era stato fissato l’obiettivo di una soglia pari al 30% delle risorse ordinarie in conto capitale, che però nel 2007 era già scesa al 21,4 % perché purtroppo le risorse della programmazione comunitaria hanno via via esercitato un ruolo di supplenza delle risorse ordinarie dello stato;

secondo i calcoli della Svimez , che sommano come base le spese di tutte le amministrazioni e non solo di quelle centrali oggetto della norma, se dal 2009 al 2015 fosse stata attivata la clausola del 34%, il PIL del mezzogiorno avrebbe praticamente dimezzato la perdita accusata dal 2008 (-5,4% anziché -10,75) e l’occupazione sarebbe calata del 2,8% invece del 6,8%;

inoltre, sempre secondo dati Svimez, laddove si dovesse applicare la soglia del 34% innanzi detta, l’effetto depressivo della riduzione degli investimenti al centro-nord sarebbe compensato dalla produzione e occupazione attivata in tale area per soddisfare una parte della domanda aggiuntiva che si mobiliterebbe al Sud, con un saldo netto positivo per il PIL nazionale dello 0,2% e per l’occupazione di 185 mila unità;

riteniamo inoltre opportuno imporre il vincolo degli investimenti al 34% anche ai centri di spesa ad autonoma gestione dello stato, come Enel, Trenitalia, ecc., mentre i fondi UE e Fondi per lo Sviluppo e Coesione devono restare “addizionali”, diversamente da quanto accaduto in passato.

Le premesse per un nuovo sviluppo partono quindi da un adeguato un mix di politiche top down e bottom up, che dovrà finalmente consentire di superare infruttuose derive localistiche scollegate da una stringente visione nazionale, in modo da evitare sterili astrazioni e affermazioni di principio prive di riferimenti concreti.

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Il tutto con uno sguardo attento ed acuto su ciò che succede sullo scenario mondiale. Il 21esimo secolo si caratterizza ormai come il secolo della nuova via della seta. Essa segnerà lo sviluppo attraverso i territori dell'Eurasia e dell'Africa, mentre l'America sembra sempre più avviata a tornare ad essere un'isola, sia pure dalle dimensioni di un continente. La Cina, sempre più, segnerà da protagonista il 21esimo secolo e con essa l'Europa ed una ritrovata Africa. Gli oceani torneranno progressivamente alla loro dimensione di spazi intercontinentali ininfluenti se non per la loro indispensabile funzione di equilibrio del pianeta, i mari interni e i territori, viceversa, vedranno accentuate le loro di funzioni di cerniere e ambiti privilegiati dello sviluppo. Dovremo ripartire da qui per intercettare lo sviluppo prossimo venturo. Benvenuto 21esimo secolo!

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Appendice statistica

La dinamica del valore aggiunto totale per provincia (variazioni medie annue a prezzi dell’anno precedente)

Nord-Ovest

Regione Provincia Prima

della crisi Durante la crisi

Durante la ripresa

Previsioni

2000-2007 2008-2013 2014-2017 2018-2025 Liguria Genova 0.5% -2.5% 0.5% 1.3% Imperia 2.0% -3.8% 0.3% 1.1% La Spezia -1.2% 0.1% 0.4% 0.6% Savona 1.8% -3.2% 0.3% 1.0% Lombardia Bergamo 1.9% -1.6% 0.7% 1.2% Brescia 1.6% -1.9% 0.9% 1.5% Como 0.9% -1.8% 0.1% 0.4% Cremona 0.1% -1.1% 0.0% 0.2% Lecco 0.7% -1.6% 0.2% 0.6% Lodi 2.4% -0.7% 0.7% 1.3% Mantova 0.3% -0.5% 0.4% 0.5% Milano 1.5% -0.6% 1.3% 1.7% Monza e della Brianza 1.0% -0.7% 1.1% 1.5% Pavia 0.8% -2.0% -0.3% -0.1% Sondrio 1.6% -0.4% 0.7% 1.0% Varese 0.8% -1.9% 0.5% 0.8% Piemonte Alessandria 2.5% -2.0% 0.8% 1.6% Asti 1.2% -0.8% 0.5% 1.0% Biella -0.4% -3.2% 0.4% 0.8% Cuneo 2.6% -1.7% 0.9% 1.5% Novara 1.0% -1.7% 0.7% 1.4% Torino 0.5% -1.6% 0.7% 1.1% Verbano-Cusio-Ossola 1.3% -0.7% 0.4% 0.8% Vercelli 2.0% -1.8% 0.3% 0.9% Valle d'Aosta Aosta 1.0% -1.5% 0.0% 0.8%

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Nord-Est

Regione Provincia Prima

della crisi Durante la crisi

Durante la ripresa

Previsioni

2000-2007 2008-2013 2014-2017 2018-2025 Emilia-Romagna Bologna 0.6% 0.2% 1.0% 1.4% Ferrara 0.9% -2.9% 0.0% 0.4% Forll-Cesena 1.7% -0.4% 0.8% 1.2% Modena 1.3% -1.7% 1.0% 1.5% Parma 1.2% -0.4% 0.8% 1.1% Piacenza 2.5% -1.9% 0.4% 0.8% Ravenna 2.1% -0.9% 1.5% 2.1% Reggio nell'Emilia 1.7% -2.3% 1.3% 2.0% Rimini 3.4% -0.7% 1.4% 1.9% Friuli-Venezia Giulia Gorizia 0.2% -0.8% 0.3% 0.9% Pordenone 0.8% -0.8% 0.4% 1.1% Trieste 1.1% -1.1% 0.8% 1.5% Udine 1.1% -2.5% 0.4% 1.3% Trentino-Alto Adige Bolzano 1.1% 1.1% 0.9% 1.1%

Trento 1.0% -0.2% 0.9% 1.3% Veneto Belluno -0.4% -1.1% 0.3% 0.5% Padova 1.1% -0.7% 0.8% 1.4% Rovigo 0.6% -1.0% -0.1% 0.2% Treviso 2.0% -3.4% 0.9% 1.8% Venezia 1.3% -1.1% 0.7% 1.3% Verona 1.4% -0.6% 0.9% 1.3% Vicenza 1.0% -0.6% 0.7% 1.2%

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Centro

Regione Provincia Prima

della crisi Durante la crisi

Durante la ripresa

Previsioni

2000-2007 2008-2013 2014-2017 2018-2020 Lazio Frosinone 1.7% -1.8% 0.1% 0.9% Latina 2.7% -1.0% 0.3% 1.3% Rieti 2.0% -2.2% 0.1% 0.8% Roma 2.0% -1.3% 0.6% 1.6% Viterbo 1.2% -1.6% 0.0% 0.4% Marche Ancona 1.7% -2.4% 0.8% 1.7% Ascoli Piceno 1.1% -2.4% 0.2% 1.2% Fermo 1.4% -1.8% 0.3% 1.3% Macerata 1.7% -1.1% 0.5% 1.4% Pesaro e Urbino 2.1% -2.0% 0.7% 1.6% Toscana Arezzo 1.5% -0.7% 0.8% 1.4% Firenze 0.3% -0.9% 0.7% 1.1% Grosseto 3.5% -1.9% 1.2% 2.0% Livorno 0.6% -1.2% 0.8% 1.1% Lucca 2.1% -1.1% 1.1% 1.5% Massa-Carrara 1.8% 0.3% 0.7% 1.0% Pisa 1.3% -1.4% 0.9% 1.2% Pistoia 2.2% -0.9% 1.2% 1.7% Prato 1.2% -1.9% 0.8% 1.6% Siena 0.3% -0.6% 0.7% 0.9% Umbria Perugia 0.9% -2.6% 1.0% 1.3%

Terni 0.9% -3.5% 0.9% 1.1%

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30

Mezzogiorno

Regione Provincia Prima

della crisi Durante la crisi

Durante la ripresa

Previsioni

2000-2007 2008-2013 2014-2017 2018-2020 Abruzzo Chieti -0.7% -1.2% 1.3% 0.9% L'Aquila 2.1% -0.3% 1.3% 0.9% Pescara 1.0% -1.3% 1.6% 1.4% Teramo 0.4% -1.3% 1.2% 0.8% Basilicata Matera 0.5% -3.7% 2.2% 1.9%

Potenza -0.3% -0.1% 1.6% 0.6% Calabria Catanzaro 0.7% -0.7% 1.0% 1.2% Cosenza 0.1% -4.4% 0.5% 1.4% Crotone 1.5% -3.5% 0.7% 1.6% Reggio di Calabria 0.6% -0.6% 0.8% 1.0% Vibo Valentia 0.9% -2.3% 0.7% 1.2% Campania Avellino 1.2% -3.1% 0.3% 1.3% Benevento -0.1% -1.0% 0.2% 0.6% Caserta 1.9% -2.1% 0.2% 1.4% Napoli 0.6% -3.2% 0.3% 1.4% Salerno 0.5% -1.3% 0.3% 0.9% Molise Campobasso 0.9% -3.5% 0.5% 1.2%

Isernia 0.3% -3.2% 0.5% 1.2% Puglia Bari 0.1% -1.6% 0.9% 1.3% Barletta-Andria-Trani -0.2% -2.3% 0.8% 1.2% Brindisi 0.3% -0.6% 0.6% 0.7% Foggia -0.1% -0.7% 0.6% 0.8% Lecce 1.3% -1.5% 0.6% 0.8% Taranto 0.5% -2.4% 0.9% 1.4% Sardegna Cagliari 0.6% -2.4% 0.4% 1.3% Carbonia-Iglesias -0.6% -3.6% 0.1% 0.8% Medio Campidano 1.5% -3.0% -0.1% 0.7% Nuoro -0.1% -1.2% -0.1% 0.6% Ogliastra 1.0% -0.3% 0.1% 0.7% Olbia-Tempio 2.5% -0.6% 0.4% 1.5% Oristano 1.5% -3.4% -0.2% 1.1% Sassari 1.5% -0.8% 0.2% 1.4% Sicilia Agrigento 1.8% -1.2% 0.9% 0.7% Caltanissetta -0.2% -3.3% 0.9% 0.9% Catania 0.5% -2.4% 1.1% 1.3% Enna 1.5% -2.6% 1.0% 1.2% Messina 0.1% -2.0% 0.8% 0.8% Palermo 1.9% -2.1% 1.3% 1.5% Ragusa 0.7% -1.6% 1.0% 1.3% Siracusa 0.4% -1.5% 1.0% 0.9% Trapani -0.4% -2.5% 0.8% 0.8%

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La dinamica del valore aggiunto totale nei comuni del Mezzogiorno con oltre 50.000 abitanti (variazioni medie annue a prezzi dell’anno precedente)

Provincia Comune Prima

della crisi Durante la crisi

Durante la ripresa

Previsioni

2000-2007 2008-2013 2014-2017 2018-2025Chieti Chieti -0.4% -1.2% 1.3% 1.0% L'Aquila L'Aquila 2.8% -0.8% 1.5% 1.5% Pescara Montesilvano 0.6% -1.1% 1.5% 0.9%

Pescara 1.9% -1.6% 1.7% 2.2% Teramo Teramo 1.5% -2.2% 2.5% 2.1% Matera Matera 0.4% -3.8% 2.2% 1.9% Potenza Potenza 0.0% -0.3% 1.4% 0.7% Catanzaro Catanzaro 1.1% -0.6% 1.1% 1.6%

Lamezia Terme 1.0% -0.6% 1.0% 1.3% Cosenza Cosenza 0.1% -4.2% 0.7% 1.3% Crotone Crotone 1.8% -3.7% 0.2% 1.8% Reggio di Calabria Reggio di Calabria 0.5% -0.6% 0.8% 0.9% Avellino Avellino 3.1% -8.3% -1.3% 4.0% Benevento Benevento 0.1% 0.0% 0.9% 0.3% Caserta Aversa 2.2% -2.5% 0.2% 1.5%

Caserta 4.1% -5.3% 0.4% 2.6% Napoli Acerra 0.1% -1.4% 0.1% 0.3% Afragola 0.4% -2.0% 0.1% 0.8% Casoria 0.5% -3.5% 0.4% 1.5% Castellammare di Stabia 0.4% -3.0% 0.3% 1.2% Ercolano 0.4% -2.5% 0.2% 1.0% Giugliano in Campania 0.1% -1.9% 0.2% 0.6% Marano di Napoli 0.2% -1.9% 0.1% 0.7% Napoli 0.8% -3.8% 0.4% 1.7% Portici 0.7% -3.4% 0.4% 1.5% Pozzuoli 0.8% -3.9% 0.4% 1.8% Torre del Greco 0.2% -2.3% 0.2% 0.8% Salerno Battipaglia 0.4% -1.2% 0.5% 0.8% Cava de' Tirreni 0.4% -1.0% 0.4% 0.7% Salerno 0.7% -1.9% 0.2% 1.1% Scafati 0.4% -1.4% 0.4% 0.9%

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32

(segue)

Provincia Comune Prima

della crisi Durante la crisi

Durante la ripresa

Previsioni

2000-2007 2008-2013 2014-2017 2018-2025Bari Altamura 0.2% -1.6% 0.8% 1.3% Bari 0.1% -1.8% 1.0% 1.5% Bitonto 0.1% -1.6% 0.9% 1.3% Molfetta 0.0% -1.1% 0.8% 0.9% Barletta-Andria-Trani Andria -0.2% -2.0% 0.7% 1.1% Barletta -0.2% -2.5% 0.9% 1.4% Bisceglie -0.3% -2.1% 0.8% 1.1% Trani -0.2% -2.6% 1.0% 1.4% Brindisi Brindisi 0.8% -1.1% 0.5% 1.0% Foggia Cerignola -0.3% -0.3% 0.7% 0.6% Foggia 0.1% -1.3% 0.6% 1.0% Manfredonia -0.1% -0.7% 0.7% 0.8% San Severo -0.1% -0.6% 0.6% 0.7% Lecce Lecce 1.6% -2.2% 0.8% 1.2% Taranto Taranto 1.3% -2.8% 1.0% 1.9% Cagliari Cagliari 0.7% -2.7% 0.2% 1.6%

Quartu Sant'Elena 0.6% -2.1% 0.4% 1.0% Olbia-Tempio Olbia 2.6% -0.6% 0.4% 1.4% Sassari Sassari 1.7% -1.0% 0.3% 1.6% Agrigento Agrigento 1.5% -1.7% 0.8% 0.7% Caltanissetta Caltanissetta 0.0% -3.4% 0.6% 1.0%

Gela 0.0% -3.1% 1.1% 0.8% Catania Acireale 0.7% -2.5% 1.3% 1.3%

Catania 2.5% -5.1% 2.7% 2.9% Messina Messina 0.2% -3.4% 1.4% 1.2% Palermo Bagheria -2.0% 0.7% 0.5% -1.2%

Palermo 4.1% -3.4% 1.8% 2.6% Ragusa Modica -0.1% -1.3% 1.2% 0.7% Ragusa 4.4% -2.7% 0.2% 3.3% Vittoria -1.1% -1.1% 1.4% 0.3% Siracusa Siracusa 0.2% -0.9% 2.4% 0.7% Trapani Marsala -0.5% -2.3% 0.8% 0.8%

Trapani -0.9% 0.3% 0.7% 0.2%

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Valore aggiunto settoriale per provincia: previsioni 2018-2025 (variazioni medie annue a prezzi dell’anno precedente)

Tasso di crescita medio annuo oltre il +1,5% tra +0,5% e +1,5% tra 0% e +0,5% in decrescita

Agricoltura Costruzioni

Industria in senso stretto Servizi

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34

Occupazione settoriale (ULA) per provincia: previsioni 2017-2020 (variazioni medie annue)

Tasso di crescita medio annuo oltre il +1,5% tra +0,5% e +1,5% tra 0% e +0,5% in decrescita

Agricoltura Costruzioni

Industria in senso stretto Servizi

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Produttività settoriale per provincia: previsioni 2018-2025 (valore aggiunto per ULA: differenza rispetto alla media nazionale)

Differenza rispetto alla media nazionale oltre il 5% in più tra 5% e 0% in più tra 0% e 5% in meno Oltre il 5% in meno

Agricoltura Costruzioni

Industria in senso stretto Servizi

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Valore aggiunto settoriale per comune: previsioni 2018-2025 (variazioni medie annue a prezzi dell’anno precedente)

Tasso di crescita medio annuo oltre il +1,5% tra +0,5% e +1,5% tra 0% e +0,5% in decrescita

Agricoltura Costruzioni

Industria in senso stretto Servizi

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37

Occupazione settoriale (ULA) per comune: previsioni 2018-2025 (variazioni medie annue)

Tasso di crescita medio annuo oltre il +1,5% tra +0,5% e +1,5% tra 0% e +0,5% in decrescita

Agricoltura Costruzioni

Industria in senso stretto Servizi

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