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La Cina e il 1989, fra linee di continuità e discontinuità

Date post: 30-Jul-2015
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Autore: Paolo SelmiStudio sui fatti di Piazza Tian'anmen, nel contesto storico del rapporto fra classi subalterne e potere in Cina.
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La Cina e il 1989, fra linee di continuità e discontinuità. Il 1989 rappresentò per la giovane Repubblica popolare cinese un momento cruciale. I fatti accaduti dentro e fuori dal confine imposero alla dirigenza del partito comunista ora accelerazioni a tendenze preesistenti, ora veri e propri cambiamenti di rotta: il risultato però non fu l’inizio della fine, come accadde per i partiti comunisti d’Occidente, ma uno dei tanti momenti di una metamorfosi, che affonda le proprie radici prima della nascita della Repubblica popolare e che è tutt’ora in corso. E’ importante questa chiave di lettura, dal momento che consente di mantenere una visione d’insieme che abbraccia gli ultimi due secoli e di cui i singoli episodi corrispondono a ele- menti di un processo ben più complesso e non riducibile entro schemi pre- concetti. Tuttavia, a vent’anni di distanza è possibile apprezzare quanto ef- fettivamente sia mutato e quanto no, sotto ogni punto di vista. Il presente lavoro non intende soffermarsi eccessivamente sulla cro- nologia di quanto accadde in quell’anno, né riproporre le tappe precedenti e antecedenti la vertiginosa crescita economica cinese che di lì a quattro anni avrebbe modificato le fondamenta del modo di produzione del Paese di Mezzo. Tale studio richiederebbe ben altre energie e probabilmente non solo non si esaurirebbe nello spazio di una pur breve monografia, ma rischiereb- be di risultare incompiuto: non pochi coni d’ombra e punti da chiarire, tipici di qualsiasi tragico evento relativamente recente e controverso, si celano in- fatti dietro le versioni ufficiali e le ricostruzioni di visione opposta, entram- be arricchite di volta in volta di particolari sempre nuovi e ricchi di implica- zioni tese a stravolgere il quadro complessivo dato 1 . Inoltre, l’enfasi sulle 1 L’ultimo apporto in questo senso proviene dal recentissimo (e censuratissimo) libro intervista dell’allora sindaco di Pechino Chen Xitong, la cui pubblicazione è stata preceduta da una fiumana di dichiarazioni polemiche su quei giorni. Y AO Jianfu [ 姚監 ], Conversazioni con Chen Xitong: i rumori della gente fondono il metallo, ma non intaccano la verità (陳希同親述——眾口鑠金難鑠真 Chen Xitong qinshu, zhongkou shuo jin nan shuo zhen), Hong Kong, Xin shiji chubanshe ( 新世紀出版社), 2012, pp. 1
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Page 1: La Cina e il 1989, fra linee di continuità e discontinuità

La Cina e il 1989, fra linee di continuità e discontinuità.

Il 1989 rappresentò per la giovane Repubblica popolare cinese un

momento cruciale. I fatti accaduti dentro e fuori dal confine imposero alla

dirigenza del partito comunista ora accelerazioni a tendenze preesistenti, ora

veri e propri cambiamenti di rotta: il risultato però non fu l’inizio della fine,

come accadde per i partiti comunisti d’Occidente, ma uno dei tanti momenti

di una metamorfosi, che affonda le proprie radici prima della nascita della

Repubblica popolare e che è tutt’ora in corso. E’ importante questa chiave di

lettura, dal momento che consente di mantenere una visione d’insieme che

abbraccia gli ultimi due secoli e di cui i singoli episodi corrispondono a ele-

menti di un processo ben più complesso e non riducibile entro schemi pre-

concetti. Tuttavia, a vent’anni di distanza è possibile apprezzare quanto ef-

fettivamente sia mutato e quanto no, sotto ogni punto di vista.

Il presente lavoro non intende soffermarsi eccessivamente sulla cro-

nologia di quanto accadde in quell’anno, né riproporre le tappe precedenti e

antecedenti la vertiginosa crescita economica cinese che di lì a quattro anni

avrebbe modificato le fondamenta del modo di produzione del Paese di

Mezzo. Tale studio richiederebbe ben altre energie e probabilmente non solo

non si esaurirebbe nello spazio di una pur breve monografia, ma rischiereb-

be di risultare incompiuto: non pochi coni d’ombra e punti da chiarire, tipici

di qualsiasi tragico evento relativamente recente e controverso, si celano in-

fatti dietro le versioni ufficiali e le ricostruzioni di visione opposta, entram-

be arricchite di volta in volta di particolari sempre nuovi e ricchi di implica-

zioni tese a stravolgere il quadro complessivo dato1. Inoltre, l’enfasi sulle

1 L’ultimo apporto in questo senso proviene dal recentissimo (e censuratissimo) libro intervista dell’allora sindaco di Pechino Chen Xitong, la cui pubblicazione è stata preceduta da una fiumana di dichiarazioni polemiche su quei giorni. YAO Jianfu [姚監

復], Conversazioni con Chen Xitong: i rumori della gente fondono il metallo, ma non intaccano la verità (陳希同親述——眾口鑠金難鑠真 Chen Xitong qinshu, zhongkou shuo jin nan shuo zhen), Hong Kong, Xin shiji chubanshe (新世紀出版社), 2012, pp.

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cosiddette “dietrologie”, se da un lato permette di evidenziare appieno le re-

sponsabilità personali e di gruppi di potere all’interno di una vicenda data o

di un complesso di vicende legate fra loro da trame oscure, dall’altro però

rischia di spostare l’esercizio della critica su un versante pericoloso, avval-

lando – di fatto – tesi “plutocraticistiche” o comunque cospiratorie, di qua-

lunque colore esse siano.

È convinzione invece di chi scrive che, anche frangenti tragici come

quello in oggetto, laddove un ordine male impartito (o male eseguito) può

effettivamente fare la differenza e, in precise condizioni di estrema tensione

sociale e altrettanto feconda produzione simbolica, condizionare irrimedia-

bilmente l’andamento di un’intera vicenda, l’accento debba essere sempre

posto sulle classi subalterne (ebbene, si! anche in un Paese che si continua a

definire socialista), coloro che stanno ai remi, per quanto esse siano protago-

nisti consapevoli piuttosto che invece manipolate, sfruttate mediaticamente,

vittime più o meno consapevoli di rese dei conti loro estranee. Tale tesi di-

scende dalla constatazione che chiunque stia al timone, sia che navighi a vi-

sta, magari muovendosi nell’ombra per realizzare quanto ha in testa, sia che

abbia un progetto più o meno dichiarato di medio o lungo periodo, in qual-

siasi caso, a partire dal mantenimento dei rapporti sociali esistenti fino al

loro sovvertimento, debba sempre ricorrere a queste classi e al loro consen-

so, ovvero debba sempre e comunque apparire ai loro occhi, sia esso stesso

esposto in prima persona o tramite un suo rappresentante indiretto, come

l’interprete più genuino dei propri bisogni e aspirazioni, anche quando in

realtà operi poi in tutt’altro modo. In questo senso, ogni suo errore gli po-

trebbe costare caro.

Ciò appare con ogni evidenza proprio in Cina, dove da millenni il

Mandato del Cielo o tianming [天命], il titolo che conferiva all’Imperatore

la legittimazione a governare, era legato a filo doppio alla capacità effettiva

del regnante di interpretare tali bisogni e aspirazioni2: in caso ciò non fosse

280.2 Tale concetto già appare in Mengzi, “Wan Zhang shang” (万章上), 5: 尧荐舜于天而天

受之,暴之于民而民受之. “Yao presentò Shun al Cielo e il Cielo lo accettò, quindi lo

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avvenuto, il sovrano sarebbe stato un semplice usurpatore3 e il Mandato del

cielo sarebbe stato irrimediabilmente “trasferito” sul futuro fondatore di una

nuova dinastia imperiale. Appare quindi chiaro come i cambiamenti in corso

in Cina negli ultimi trent’anni siano il frutto condiviso degli sforzi degli at-

tuali governanti da un lato, che di tale Mandato hanno sempre inteso mo-

strarsi gli interpreti più genuini, e dei propri governati dall’altro: rientra,

pertanto, in questo quadro la scelta di aprire progressivamente al mercato e

alle possibilità di accumulazione, produzione e riproduzione capitalistica

non solo come semplici incentivi alla crescita economica e agli investimenti

esterni e interni, ma come parte integrante di una nuova società armoniosa

(hexie shehui 和谐社会) e del benessere.

Per altri versi è sempre dietro l’angolo un rischio, sia per chi non ab-

bia abbandonato del tutto gli strumenti di critica marxistica della società, e a

maggior ragione per chi si accontenti già a priori di ripetere l’esegesi storio-

grafica ufficiale di Pechino; rischio dato anche dall’immagine stessa data da

un partito che continua a chiamarsi comunista e che parla ufficialmente di

“edificazione socialistica” (shehuizhuyi jianshe 社会主义建设): anziché os-

servare direttamente la Cina con la lente marxistica in quanto metodo criti-

co-analitico, partire invece da un dato già mediato, ovvero dall’accettazione

automatica di un’immagine, preconfezionata ad artem da Pechino negli ulti-

mi sessant’anni, infarcita di una terminologia familiare la cui applicazione,

in riferimento agli accadimenti storico-sociali degli ultimi due secoli nel

Paese di Mezzo, non è tuttavia minimamente posta in discussione.

Non ci si deve meravigliare, pertanto, che tale “immagine” porti, da

parte di tali osservatori esterni, a conclusioni opposte: chi grida al tradimen-

to della causa e chi, pur di giustificare acriticamente ed ex post ogni scelta

mostrò al popolo e il popolo lo accettò”. In Wujing Sishu quanyi (五经四书全译 ), traduzione e commento a cura di Chen Xianmin et al., 4 voll., Zhengzhou, Zhongzhou guji chubanshe (中州古籍出版), 2002.pp. 3392-3.

3 Sempre Mencio è molto chiaro su questo punto: 是篡也,非天与也 “ Sarebbe usurpatore, e non assegnato dal Cielo”. In precedenza aveva anche affermato: “Il Cielo non parla, ma lo manifesta (il proprio mandato) attraverso la condotta personale e le azioni (del sovrano)” (天不言,以行与事示之而已矣。), ibidem.

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dell’attuale dirigenza cinese, non esita a imbarcarsi in arditi paragoni con la

NEP leniniana. Come ritrovare allora la bussola? Da cosa partire? Vale la

pena citare, a questo proposito, le parole dello stesso Vladimir Ilič, peraltro

ben note allo stesso Mao4: “La dialettica esige che si tenga conto, sotto tutti

gli aspetti, dei rapporti nel loro sviluppo concreto, e non che si afferri un

pezzetto di una cosa, un pezzetto di un’altra”5.

Pertanto, chi scrive è convinto che la storia e i connotati stessi della

Rivoluzione cinese non possano essere compresi soltanto con il metro, piut-

tosto eurocentrico, dell’adesione più o meno formalmente dichiarata o attua-

ta a un percorso ortodosso piuttosto che eterodosso di edificazione sociali-

stica, così come esposto nei manuali di politekonomija su cui si sono forma-

te in Occidente generazioni di comunisti. Sin dalla sua introduzione nel Pae-

se di Mezzo, infatti, il marxismo-leninismo dovette fare i conti con un sub-

strato ideologico preesistente e formatosi nel corso di millenni: in questo

senso, la Rivoluzione cinese parte da ben più lontano non solo del 1 ottobre

1949, ma anche del 1 luglio 1921, data di fondazione del GCD6. La storia

della Cina è costellata nei secoli da rivolte popolari di proporzioni ampissi-

me e guidate dalle ideologie, religioni e utopie più disparate. Millenarismo

buddhista o taoista e distribuzione razionale delle terre confuciana, ritorno

all’antica età dell’oro dei Re Saggi e proiezione positivistica in un futuro

dominato dalla scienza e dalla tecnica, finalmente espropriati del loro conte-

nuto “straniero” e addomesticati entro il costante fluire della Cina di sem-

pre: tutto questo e ancora di più convisse all’interno del cosiddetto “secolo

breve”, in un rapido e violento processo di metamorfosi che continua tutt’o-

ra.

4 Che, infatti, le inserì nel suo famoso scritto Sulla Contraddizione (Maodun lun, 矛盾论).5 Диалектика требует всестороннего учета соотношений в их конкретном развитии,

а не выдергивания кусочка одного, кусочка другого. V. I. Lenin, “Еще раз о профсоюзах, о текущем моменте и об ошибках тт. Троцкого и Бухарина” (Ancora una volta sui sindacati, sul momento attuale e sugli errori dei compagni Trotckij e Bucharin), Полное Собрание Сочинений [Opere complete], V ed., 55 voll., Moskva, Izdatel'stvo političeskoj literatury, 1979-83, vol. 42, p. 287.

6 abbr. di Gong Chan Dang 共产党, Partito Comunista di Cina.

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Concetti come “Rivoluzione”, “Comunismo” e “Socialismo”, è sol-

tanto alla luce storica di tale composita esperienza fondamentale che posso-

no essere letti: ecco che quindi, parlare di “sinizzazione” (zhongguohua 中

国化) del marxismo-leninismo, diviene logicamente parlare della loro stessa

“traduzione” (che è sempre in misura maggiore o minore “tradimento”) in

un contesto extraeuropeo che allo stesso tempo era maledettamente bisogno-

so di trovare un proprio Dao [道] o Via di salvezza, per uscire dalle catene

dell’imperialismo straniero.

Per questo, il diamat staliniano che i Ventotto bolscevichi rientrati

negli anni trenta da Mosca conoscevano a menadito, seguì la stessa tragica

sorte dei suoi profeti. Per questo, il pensiero composito ed eclettico di un

capo comunista dello Hunan, che leggeva la guerra, la rivoluzione e la co-

struzione di una nuova società in maniera totalmente diversa dai suoi stessi

compagni ideologicamente più formati, depotenziando, in certi casi svuotan-

do, la terminologia marxistica del proprio significato e contesto originario e

riempendola di significati tratti dall’utopia rivoluzionaria cinese, fu lo stru-

mento teorico con cui conquistò prima l’egemonia nel partito e infine con-

dusse il Paese all’unità e alla vittoria sui nemici interni ed esterni.

Tale risultato, tuttavia, ebbe un suo prezzo: un’idea diversa di rivolu-

zione, un’idea diversa di socialismo, un’idea diversa di comunismo. Il “mar-

xismo-leninismo-Pensiero di Mao Zedong” non fu il marxismo arricchito di

un nuovo sviluppo, così come un ragionamento apparentemente dialettico,

ma in realtà decisamente meccanicistico nel proprio incedere, sarebbe porta-

to a ritenere. Si trattò, piuttosto, di una struttura ideologica che, pur mutuan-

do lessico e formule dal bagaglio terminologico marxistico, di fatto lo rifor-

mulò sin dagli anni Venti e Trenta in maniera del tutto diversa, decontestua-

lizzando e collocando i vari tasselli su intelaiature che non riproducevano gli

stessi disegni originali, ma che bensì rispettavano distanze e composizioni

antiche7.

7 Questo è l’argomento principale della mia Tesi di Dottorato. Paolo Selmi, Il substrato confuciano e tradizionale del “marxismo” di Mao Zedong, Napoli, Istituto Universitario L’Orientale, Dipartimento di Filosofia e Politica, Dottorato di Ricerca

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Quest’opera, svolta più o meno consciamente da parte dello stesso

Mao, ricoprì un’importanza fondamentale all’interno della storia del pensie-

ro comunista cinese: non solo, infatti, consentì al Grande Timoniere di am-

pliare la propria sfera di influenza teorica come continuatore e, al tempo

stesso, innovatore, ma aprì la strada, dopo la sua morte, a ulteriori modifiche

sostanziali che, pur mutando notevolmente nella forma l’ideologia ufficiale,

ripresero nella sostanza la stessa logica di tipo ricombinante per creare il

nuovo Pensiero guida. Ciò che sarebbe stato impossibile in un contesto

marxistico ortodosso, in Cina poté avvenire solo grazie al maoismo, inteso

in questo caso come “ariete” scardinante la ferrea e rigorosa logica dialettica

aristotelico-hegeliana-marxiana e, al contempo, aggiustatore dei relativi coc-

ci in un disegno che sin da subito si discostava nettamente dall’originale e

molto si accostava, invece, all’immagine storicamente data in Cina dell’uto-

pia rivoluzionaria.

Si badi inoltre a un ultimo dettaglio, anch’esso degno della massima

attenzione: sarebbe errato immaginarsi, come invece fu raffigurato nella ri-

costruzione fattane a posteriori per quel periodo, una contrapposizione bina-

ria e schematica fra “dogmatici”, ottusi occhialuti con la loro “mentalità li-

bresca” e attenti ai diktat di Mosca da un lato, e “pragmatici” vicini al popo-

lo e ai suoi bisogni dall’altro (oppure fra revisionisti e rivoluzionari, oppure

fra ultrasinistra avventurista, ultradestra revisionista e linea della ragione

rappresentata da un’ipotetica aurea mediocritas): questo è quanto poté rac-

contare la vulgata maoista, una volta giunta al potere, dal momento che era

comodo creare una contrapposizione fittizia per poi legittimare la propria

posizione di potere come la vittoria di una linea sull’altra.

Anzitutto, le linee in quel periodo non erano due, ma molteplici, qua-

si come le leggendarie cento scuole in competizione durante gli Stati com-

battenti. La dialettica fra moderno e antico condizionò, infatti, il fiorire di

numerose scuole di pensiero e linee di tendenza, ciascuna esprimente la pro-

“Religioni, Filosofie e Teorie di Salvezza: Modelli di Pensiero e loro Trasformazioni ed Interazioni”, 2012, pp. 541.

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pria sintesi di marxismo-leninismo di fonte moscovita, piuttosto che di anar-

co-sindacalismo mutuato negli anni di studio a Parigi, con diverse compo-

nenti significative di fonte tradizionale. Da questa constatazione, discende

che la lettura della situazione e dei compiti attuali con un occhio sul passato

e un altro su quando stava accadendo al Grande Fratello Maggiore (lao dage

老大哥), ovvero l’URSS, fosse parte della riflessione di ogni dirigente co-

munista cinese, anche il più “ottuso” nell’eseguire ciecamente gli ordini del

Comintern.

Anche per questo motivo, occorre studiare a fondo gli anni Venti e

Trenta in Cina onde per cui, nelle pagine che seguiranno, dopo una breve

parte introduttiva ai fatti dell’Ottantanove, si cercherà accennare ad alcuni

fra gli elementi significativi di quel processo di continuità e di rottura pro-

prio della metamorfosi cinese. Tali tratti saranno utili a decodificare e inter-

pretare alcuni eventi recenti e passati, fra cui anche gli stessi fatti accaduti in

quell’anno. E’ un’analisi limitata, certo, alle dimensioni di un saggio, da in-

tegrare e ampliare fino a comprendere altri aspetti fondamentali della politi-

ca, della cultura e della società cinesi. Tuttavia, rappresenta un primo passo,

delle cui imprecisioni ed errori chi scrive è ovviamente l’unico responsabile.

UNO SPETTRO SI AGGIRA PER PIAZZA TIAN’ANMEN

La piazza più grande del mondo ben si presta al primo elemento di

discontinuità, fra passato e presente, oggetto di questo studio: le classi su-

balterne, il loro ruolo politico e la loro rappresentazione. Tuttavia, che il po-

polo (min 民) costituisse la radice (ben 本) dello Stato non fu mai in Cina un

concetto d’importazione: “Il popolo è la sola radice del Paese: se la radice

è salda, il Paese è in pace”8. Così recita il Libro di Shang e, di fatto, il neo-

logismo minbenzhuyi [民本主义], dato da minben (“popolo alla base”) più

zhuyi (corrispondente al nostro “-ismo”), costituì una delle prime rese in se-

gni cinesi del termine occidentale “democrazia”. Nel sistema confuciano il

8 民惟邦本,本固邦宁。Shang Shu [尚书], Xia Shu [夏书], Wu zi zhi ge [五子之歌]. In Wujing Sishu quanyi (五经四书全译), cit., p. 343

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governo era – ed è tuttora – naturalmente e dichiaratamente per il popolo e

per il suo benessere, almeno nella forma: per questo, alcuni riformatori cine-

si di fine Ottocento, ancora in piena dinastia Qing, non videro contrapposi-

zione alcuna fra sistema di governo imperiale e “democrazia” occidentale,

intesa in questa traduzione. Il vero segno di discontinuità, compiuto nei tur-

bolenti decenni successivi, fu da ricercarsi quindi non tanto nel riconosci-

mento dell’importanza del popolo, ma in un diverso ruolo dello stesso

all’interno della struttura di potere: esso non solo era importante, ma pren-

deva le redini del Paese e lo governava. Minben divenne così minzhu [民主]:

“il popolo è sovrano”, e minzhuzhuyi [民主主义] assurse infine a traduzio-

ne ufficialmente riconosciuta di “democrazia”.

L’ingresso in campo nel Novecento di estese presenze di gente di tut-

ti gli strati sociali, in quanto nuovi protagonisti dell’arena politica, esigeva

nuovi spazi, e non solo metaforici. Decine, centinaia di migliaia di persone,

per la prima volta si riunivano e manifestavano (shiwei 示威, lett. “mostrare

il potere”), ovvero dimostravano a loro stessi e ai propri interlocutori, in vir-

tù dell’enorme impatto visivo e percettivo del proprio numero, la forza del

proprio messaggio, ricevendo al contempo conferma della propria unità d’a-

zione e d’intenti: la piazza divenne così per la prima volta in Cina il luogo

della rappresentazione pubblica di istanze e rivendicazioni. Fu il movimento

del Quattro maggio (Wusi yundong 五四运动) a cambiare per sempre la fi-

sionomia del Paese di mezzo e in primo luogo di Pechino: piazza Tian’an-

men (Tian’anmen guangchang 天安门广场 ) il cui nome significa “Porta

della Pace Celeste”, si trasformò e, per la prima volta dalla sua edificazione

nel 1417 d.C., divenne luogo di azione politica collettiva e segno distintivo

della Nuova Cina che si voleva costruire9. Fu da questa piazza che Mao pro-

clamò il primo ottobre 1949 la nascita della Repubblica popolare cinese, fu

infine nel 1958 che lo spazio venne ulteriormente ampliato, sventrando lo

spazio urbanistico circostante rappresentato da mura, portali, palazzi impe-

9 Argomento ampiamente trattato in Lee Ka Kiu, “How is a Political Public Space Made? – The Birth of Tiananmen Square and the May Fourth Movement”, Political Geography, Amsterdam, Elsevier, 2009, vol.28, N° 1, pp.32-43

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riali, fiumi artificiali, stradine e archi di legno, raggiungendo, vent’anni più

tardi, i quarantaquattro ettari attuali10. Classi fino ad allora tradizionalmente

escluse dalla gestione del potere, testimoniavano, rendevano visibile la loro

presenza, in carne ed ossa, riempendo a centinaia di migliaia l’area conces-

sagli palmo a palmo. La politica in piazza e di piazza, fece anche in tempo a

vedere, in un secolo tanto “breve” quanto intenso di eventi, il culmine di tale

espressione: fatto fuori il partito e le ultime opposizioni interne, restò solo il

plebiscitarismo, lo slancio estatico dell’interazione diretta con il simbolo vi-

vente della rivoluzione nonché oggetto di un fortissimo culto; questo, a detta

delle testimonianze di allora, è quanto provarono nel torrido agosto del 1966

i sei milioni di guardie rosse passate in rassegna dal Grande Timoniere. An-

dare in piazza Tian’anmen assunse quindi la forte valenza simbolica di un

pellegrinaggio.

Tale luogo aveva quindi subito mutamenti non solo di tipo architetto-

nico, ma anche semantico, divenendo non solo luogo di rappresentazione

pubblica del dissenso o del consenso, ma anche simbolo celebrativo della

Repubblica e di tutte le funzioni e riti a essa connessa, fino all’estremo rap-

presentato dal culto del capo supremo: il manifestante oscillava ora nella sua

doppia funzione di soggetto attivo, in quanto protagonista della Storia, e

passivo, in quanto semplice comparsa, elemento coreografico di uno spetta-

colo più grande di lui11. Fu sempre Tian’anmen che vide nel 1976 i disordini

di piazza durante i funerali di Zhou Enlai [周恩来], oltre alle manifestazioni

del 1978 collegate al vicino Muro della democrazia di Xidan [西单民主墙]

e, infine, la tragedia del 1989. Poi il nulla: fu quella infatti l’ultima volta che

un fronte numeroso e compatto di persone, più o meno protagoniste, o stru-

mentalizzate, da fazioni in lotta all’interno del GCD, agitarono slogan riven-

dicativi nella piazza della Porta della Pace Celeste. Nello spazio originaria-

mente messo loro a disposizione, non rimase che il loro spettro. Una sorve-

glianza discreta ma costante vigila da allora affinché tali avvenimenti non si

10 Un saggio che tratta ampiamente l’impressionante trasformazione di questo spazio è Wu Hung, “Tiananmen Square: A Political History of Monuments”, Representations, The University of California Press, n° 35, 1991, pp. 84-117.

11 Ibidem, pp. 84-5.

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ripetano, anche su scala individuale, durante le manifestazioni ufficiali o fra

le quotidiane frotte di turisti che, quasi smarrite in tale vastità, percorrono a

piedi le decine di minuti che intercorrono fra le varie pareti che racchiudono

tale spazio e che rappresentano simbolicamente il passato e il presente: la

Porta, il Mausoleo di Mao, il Palazzo dei Musei e il Palazzo dell'Assemblea

Nazionale del Popolo. Questa immensa, sproporzionata struttura all’aperto12,

che rappresenta un’immensa anticamera a tutti i simboli della Rivoluzione

ivi contenuti o adiacenti, dai tragici eventi del 1989 restò meta di pellegri-

naggio e di celebrazione ordinata del potere, perdendo di fatto quella valen-

za rivendicativa iniziale, al punto che oggi neppure il più piccolo sparuto

gruppo di manifestanti può permettersi di manifestare in tale luogo. Non vi

sarà un’altra Tian’anmen, almeno finché il GCD rimarrà saldamente al co-

mando del Paese: vale la pena, pertanto, riassumere brevemente la cronaca

di quanto accadde.

UNA BREVE RICOSTRUZIONE DEI FATTI

Un primo segnale vi fu nel 1986, con le manifestazioni studentesche

a sostegno dell’allora segretario del GCD Hu Yaobang [胡耀邦] contro chi

voleva destituirlo per il suo appoggio a riforme che, accogliendo rivendica-

zioni espresse già in occasione del Muro della democrazia (Minzhu qiang 民

主墙), non volevano essere solo economiche (incontrando al contempo il fa-

vore degli studenti e l’opposizione del resto del partito)13. Nel 1988 il mal-

contento non si limitò all’ambito puramente studentesco. Tali riforme, infat-

ti, oltre a causare una crescita della produzione e degli scambi mercantili,

12 Rudolf Arnheim, nel suo lavoro La dinamica della forma architettonica (Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 318), ben sottolinea l’equilibrio vettoriale che occorre stabilire fra orizzontale e verticale, fra pieno e vuoto, al fine proprio di prevenire tale segno di smarrimento entro uno spazio così grande (a meno che, come in questo caso, tale effetto sul singolo o su di un gruppo numericamente inferiore ai quattro zeri sia proditoriamente voluto). Vedasi in particolare il cap. III “Pieni e cavi” (pp. 81-137) e il paragrafo ‘Incroci e piazze’ (pp. 96-104).

13 Per una breve sintesi di quanto accadde dopo la morte di Mao dal punto di vista politico, economico e sociale, nel processo di trasformazione della Repubblica popolare cinese da Stato totalitario a Stato autoritario, cfr. Mario Sabattini, Paolo Santangelo, Storia della Cina, Bari, Laterza, 2005, pp. 634-646.

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avevano generato un surriscaldamento dell’economia di mercato, con un’in-

flazione galoppante dal 24% al 50%; il tutto, non da ultimo, accompagnato

da un notevole tasso di corruzione. A Xi’an [西安 ] comparve la seguente

scritta, che si diffuse ben presto sui muri dell’intero Paese, divenendo uno

slogan molto diffuso anche durante le manifestazioni dell’anno successivo:

Il figlio di Mao Zedong andò al fronte,il figlio di Lin Biao fece il colpo di stato,il figlio di Deng Xiaoping fa raccolte fondi,il figlio di Zhao Ziyang specula vendendo TV a colori14.

Fu proprio nel 1989 che morì, ufficialmente per un arresto cardiaco,

proprio l’ex-segretario del partito Hu Yaobang, silurato due anni prima dal

suo ex mentore Deng Xiaoping [邓小平], sacrificato sull’altare del compro-

messo con le fazioni che nel partito gli si opponevano: a succedergli fu Zhao

Ziyang [赵紫阳], un sostenitore ancora più convinto della via delle riforme.

Era il 15 aprile 1989, data che segna l’inizio delle sette settimane che scon-

volsero l’apparato di partito e l’intero Paese. Il 22 aprile si svolsero i funera-

li, apparentemente in ordine e compostezza. Tuttavia, esattamente come in

Occidente è proprio il momento del lutto che rende possibile percuotersi il

volto e stracciarsi le vesti, in altre parole commettere in pubblico legittima-

mente infrazioni alle convenzioni sociali, allo stesso modo anche i parteci-

panti al funerale, celebratosi a Pechino proprio in Piazza Tian’anmen, e che

normalmente per rispetto, pudore nei confronti del defunto non dicono “mo-

rire” (si 死), ma gli preferiscono l’eufemismo “lasciare il mondo” (shishi 逝

世 ), pronunciarono all’unisono una frase di protesta estremamente forte:

“Chi deve morire non muore, chi non deve morire è invece morto (gai si de

14 毛泽东的儿子上前线,林彪的儿子搞政变,邓小平的儿子搞捐献,赵紫阳的儿子

倒彩电。 In Joseph W. Esherick, “Xi’an Spring”, in The Pro-Democracy Protests in China: Reports from the Provinces, New York, M.E. Sharpe, 1991. Lo slogan per intero è riportato in Lucian W. Pye, Tiananmen and Chinese Political Culture: The Escalation of Confrontation from Moralizing to Revenge, Asian Survey, Vol. 30, No. 4 (Apr., 1990), pp. 331-347. L’originale in cinese si trova in tantissimi siti sulla rete fra cui , per esempio, chinaworker.info che, a vent’anni di distanza, commemorò il massacro con una serie di articoli tra cui la ricostruzione “L’incidente di piazza Tian’an men del 1989: le sette settimane che scossero il mondo” (1989 天安门事件:震惊世界的 7 周 , http://chinaworker.info/zh/content/news/704/; ultima consultazione 13/06/2012).

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bu si, bu gai si de que si le 该死的不死,不该死的却死了!).” Questa

espressione divenne ben presto uno slogan fra i più diffusi sui manifesti che

si stavano innalzando in ogni campus universitario del Paese di Mezzo15.

Inoltre, il giorno dei funerali gli studenti chiesero a gran voce di ve-

dere Li Peng [李鹏], allora primo ministro. Tale richiesta seguiva, di fatto,

un modulo storicamente consolidato: il contadino vessato dalle autorità cor-

rotte, da secoli sapeva che per essere ascoltato doveva ricorrere al grado su-

periore nella scala gerarchica e a tal fine, qualora una semplice lettera (xin

信) di protesta non fosse bastata, si sarebbe dovuto spostare dal suo villag-

gio per “visitarlo” (shangfang 上访 ), suonando tamburi davanti alla porta

del suo ufficio (yamen 衙门) al fine di denunciare (gaozhuang 告状) il so-

pruso subito. L’extrema ratio prevista da tale modello di istituzionalizzazio-

ne del conflitto era “la denuncia diretta all’imperatore” (gaoyuzhuang 告御

状): il contadino si imbarcava allora nella difficilissima impresa di raggiun-

gere la capitale, recandosi nei paraggi delle residenze imperiali con un car-

tello, tenuto sempre ben visibile, recante la triste storia dell’ingiustizia patita

dal proprio villaggio e attendeva appena fuori uno dei rari momenti in cui

l’imperatore usciva dalle proprie residenze, ben conscio dei rischi che com-

portava tale operazione di contatto, seppur indiretto, con il diretto ricettore

del Mandato celeste. A quel punto, in lacrime e sempre sdraiato per rispetto

(e per salvare la pelle) con la faccia ben a terra (koutou 叩头), cercava di

commuovere l’imperatore e perorare la propria causa. L’entourage imperiale

sapeva che a quel punto doveva ascoltare il contadino e, in qualche modo,

rendergli giustizia: il passo successivo a tale espressione estrema di malcon-

tento sarebbe stato in genere il disordine (luan 乱), la rottura di ogni misura

e il ricorso a forme violente di lotta, quali le rivolte contadine o il banditi-

15 Cfr. Lucian W. Pye, Op. Cit. p. 333. Lo slogan in cinese, così come altri che accompagnarono la manifestazione, è riportato nella Trascrizione del film “Tian’an men” (“Tian’anmen” yingpian wengao 《天安门》影片文稿), Hong Kong, Mingjing Chubanshe, 1997. Tale film, che per ovvi motivi non gira nel continente, è un documentario in cinese interamente dedicato alla ricostruzione di quelle sette settimane. Il capitolo in questione è il secondo: “La morte di Hu Yaobang e lo stadio iniziale del movimento” ( 第二章:胡耀邦逝世和运动的开始阶段).

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smo. Tale metodo era talmente radicato fra le classi subalterne che fu recu-

perato dai comunisti cinesi sin dalla fine degli anni ’30 come modello di

contatto diretto con loro: fu creato così un apposito sistema “di lettere e visi-

te” (xinfang 信访)16.

Fu in questo contesto che gli studenti si rivolsero a Li Peng, il capo

supremo che nella fase finale di questa rappresentazione scenica del conflit-

to avrebbe dovuto sollevare il contadino da terra, ascoltare la sua storia e

punire i colpevoli riportando giustizia e armonia sociale. Questi però non si

fece trovare e mandò al suo posto la polizia, che senza mezzi termini mandò

tutti a casa. A questo punto il conflitto fra studenti e autorità si mescolò con

il conflitto interno al partito e, purtroppo per i primi, tale gioco di potere

poco chiaro condusse gli eventi a un crescendo degli scontri fomentato dalle

rispettive fazioni interne fino alla repressione e al massacro del 4 giugno,

ovvero ciò che le autorità di Pechino chiamano ancora oggi “l’incidente del

Quattro giugno” ( liusi shijian 六四事件). La frattura fra Zhao Ziyang da un

lato e Li Peng e Deng Xiaoping dall’altro risale già a quel periodo: il 25

aprile Li, approfittando dell’assenza di Zhao per una visita programmata a

Pyongyang, convocò una sessione d’emergenza del politbjuro con quanti

erano rimasti a casa (e a lui fedeli), definendo ufficialmente “disordine”

(dongluan 动乱) la situazione creatasi: il livello di allarme, rispetto alla si-

tuazione di “disturbo della quiete pubblica” (naoshi 闹市) con cui erano sta-

te classificate, per esempio, le manifestazioni del 1986, stava già salendo17.

Per gli appassionati di “dietrologia”, si riporta che, durante uno

scambio di battute fra Li e Deng il secondo, già adirato con Zhao aver defi-

nito, durante l’elogio funebre di Hu, il defunto come “grande marxista”, se

16 Procedimento sintetizzato in Zou Keyuan, “The right to petition in China: new developments and prospects”, East Asian Institute Background Brief, National University of Singapore, 2006, pp. 11. Per inciso, dello stesso argomento tratta anche il film, premiato all’epoca con il Leone d’oro alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, di Zhang Yimou, La storia di Qiu Ju (Qiu Ju da guansi 秋菊打官司), Repubblica popolare cinese, 1992.

17 In Richard Baum, Burying Mao: Chinese politics in the age of Deng Xiaoping, Princeton, Princeton University Press, 1994, p. 249 e segg.

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la pigliava con i fomentatori del disordine nazionale e concludeva con la se-

guente frase: “Non avere paura degli studenti, dal momento che noi abbia-

mo diversi milioni di soldati”18. Sempre a quella stessa sessione del comitato

politico, è riconducibile un discorso non ufficiale di Deng dello stesso teno-

re: “Non temere le maledizioni interne, non temere l’opinione pubblica in-

ternazionale, non temere il bagno di sangue”19.

La linea di Li e Deng passò e il 26 aprile il Giornale del Popolo apri-

va con un editoriale che si intitolava: “Occorre combattere i disordini in

modo chiaro e netto”. Nelle prime righe era già chiaro il senso del suo di-

scorso: “Una sparuta minoranza di persone hanno colto l’occasione per

creare disordine, attaccando le più alte cariche del Partito e dello Stato”20.

Lucian Pye evidenzia come, nella cultura cinese, il rimprovero ufficiale da

parte di un’autorità faccia più male di una punizione corporale, rispetto in-

vece a un Occidente dove, la presenza di una mentalità più individualistica,

ha storicamente sviluppato una maggiore resistenza ai rimproveri esemplari,

anche pubblici21. Tuttavia, in tale occasione quell’editoriale causò l’effetto

opposto negli studenti che, invece di rientrare nei ranghi acuirono, la loro

opposizione all’autorità costituita. La costituenda Federazione delle organiz-

zazioni autonome degli studenti universitari di Pechino (Beijing gaoxiao

xuesheng zizhi lianhehui 北京高校学生自治联合会 ) rispedì le accuse al

18 Ibidem, p. 249. Riportato in origine in un articolo apparso sul giornale di Hong Kong Jing Bao del 10 maggio 1989, e successivamente in Pye, op. cit., p. 337.

19 不怕骂娘,不怕国际舆论,不怕流血。Dispaccio del corrispondente a Pechino del giornale di Hong Kong Mingbao, pubblicato sullo stesso giornale il 27/04/1989 e ripreso da una agenzia Reuters, quest’ultima riprodotta dal giornale di Singapore Lianghe Zaobao (联合早报 ) in un articolo pubblicato il giorno successivo. Reuters: “‘La Cina è così grande, non può avere ogni giorno un incidente’: Deng Xiaoping si prepara a colpire” (“中国这么大,不能天天有事情” 邓小平准备动手), Lianghe Zaobao, 28 aprile 1989, p. 1.

20 极少数人借机制造谣言,指名攻击党和国家领导人。“Occorre combattere i disordini in modo chiaro e netto” [ 必须旗帜鲜明地反对动乱 ], Renmin Ribao, 26/04/1989. Riportato integralmente sul sito dell’Agenzia Nuova Cina (http://news.xinhuanet.com/ziliao/2005-02/23/content_2609426.htm; consultato l’ultima volta il 13/06/2012).

21 Pye, op. cit., p. 339.

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mittente: il 27 aprile per le strade di Pechino oltre centomila studenti mar-

ciarono in modo composto e disciplinato22 al grido dei seguenti dieci slogan:

1. Sostegno al GCD, sostegno al socialismo! [拥护共产党,拥护社会主义]

2. Viva la democrazia! [民主万岁]

3. Contro i burocrati, contro la corruzione, contro i privilegi! [反官僚,反腐

败,反特权]

4. Difendiamo la Costituzione! [维护宪法]

5. Amare il proprio Paese non è reato! [爱国无罪]

6. Le notizie devono dire la verità, resistenza ai falsi complotti! [新闻要讲真

话,抗议诬陷]

7. Viva il popolo! [人民万岁]

8. Prezzi fissi! [物价稳定]

9. Se gli Stati prosperano o crollano, la responsabilità è anche della gente co-

mune! [国家兴亡,匹夫有责]

10. La polizia del popolo protegge il popolo! [人民警察保护人民]

Dopo esser riusciti a raggiungere piazza Tian’anmen, grazie allo

scioglimento volontario del cordone di protezione da parte delle forze di po-

lizia, lo slogan più ripetuto fu: “Vogliamo il dialogo!” (yaoqiu duihua 要求

对话), mentre la canzone più cantata fu “L’unione fa la forza!” (tuanjie jiu-

shi liliang 团结就是力量), brano risalente alla guerra antifascista di libera-

zione (1943)23.

Lo scopo dichiarato dei manifestanti era “ribaltare il verdetto” (fan

an 翻案), la sentenza di condanna decretata dalle autorità politiche. Questio-

22 Cfr. Roderick MacFarquhar, The politics of China: the eras of Mao and Deng, Cambridge, Cambridge University Press, 1997, p. 442. L’autore aggiunge anche che circa mezzo milione di persone assistette alla marcia pacifica portando viveri e generi di prima necessità ai manifestanti di quella che egli definisce la prima manifestazione spontanea dal 1949.

23 In Chen Xiaoya, “La Grande Marcia” (大游行), in Bāshíjiǔ mín yùn shǐ ([八九民运史] “Storia del movimento democratico dell’Ottantanove”), 06/1996, p. 153 (pubblicato integralmente su http://www.64memo.com/b5/4_153.htm; consultato l’ultima volta il 13/06/2012).

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ne morale, fedeltà alla Rivoluzione e al Socialismo, spirito di abnegazione e

di amore per il proprio Paese e popolo erano rivendicati a gran voce dagli

studenti come propri, contro la mistificazione fattane della stampa di regi-

me. Al contempo, le accuse al potere di corruzione, burocratismo e nepoti-

smo colpivano evidentemente nel segno, in un Paese dove il concetto di ver-

gogna aveva (e ha tutt’ora ancora un senso): il rimprovero esemplare appar-

so il 26 in prima pagina sul Giornale del popolo si era rivolto ora contro i

suoi stessi estensori, i quali con imbarazzo crescente vedevano il fallimento

della propria linea repressiva.

Fu in questo contesto che, nei giorni successivi, si scatenò e si con-

sumò un’asperrima lotta per il potere fra la fazione di Zhao, nel frattempo

rientrato dalla Corea del Nord, e quella di Deng. Nel mezzo, politici che

cambiarono più volte e improvvisamente casacca e, cosa ancor più tragica,

gli studenti che capirono troppo tardi cosa stava succedendo. La posizione

conciliatoria di Zhao e quella repressiva di Li e Deng nascondevano altro,

ma intanto gli eventi avevano preso il loro corso. La protesta dilagava in tut-

to il Paese, mentre il governo si rifiutava di riconoscere politicamente i di-

mostranti e incontrava in finti dibattiti televisivi studenti che non facevano

parte delle organizzazioni in rivolta24. Si giunse così al 4 maggio, celebra-

zione del Settantesimo di quel movimento rivoluzionario che nel 1919 scon-

volse Pechino e la cui onda giunse in ogni parte della Cina: alla manifesta-

zione organizzata dagli studenti parteciparono centocinquantamila persone,

cui si unirono circa ottocento giornalisti chiedendo libertà di stampa e, più

in generale, l’intera capitale che si strinse intorno a loro fornendo anche in

questa occasione viveri e generi di prima necessità. Da quel giorno iniziò

l’occupazione permanente di Piazza Tian’anmen25. Le richieste degli studen-

ti si erano ora ridotte a tre: ritrattazione dell’editoriale del Giornale del po-

24 MacFarquhar, Op. Cit., p. 443.25 Cfr. Douglas J. Guthrie, Political Theater and Student Organizations in the 1989

Chinese Movement: A Multivariate Analysis of Tiananmen, Sociological Forum, Vol. 10, No. 3 (Sep., 1995), p. 427

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Page 17: La Cina e il 1989, fra linee di continuità e discontinuità

polo, riabilitazione politica di Hu Yaobang, riconoscimento della Federazio-

ne studentesca da parte del governo26.

Il braccio di ferro fra studenti e governo e fra le fazioni interne al

GCD proseguì e toccò il picco di tensione il 13 maggio quando circa tremila

studenti iniziarono in Piazza Tian’anmen, per veder riconosciute le proprie

rivendicazioni, uno sciopero della fame a oltranza, due giorni prima la stori-

ca visita del segretario del PCUS Michail Gorbačev in Cina (15-

18/06/1989). Pye nota acutamente come la figura storica cinese dell’eroe

giusto e puro, che si lascia morire di fame piuttosto di riconoscere l’usurpa-

tore al trono, riecheggi nelle parole e negli scritti dei giovani partecipanti

allo sciopero. Altrettanto acutamente nota come tale atto, letto in Occidente

in chiave pacifistica attraverso la lente del Satyāgraha gandhiano, avesse

costituito al contrario da catalizzatore dell’ira furibonda della società civile

di Pechino, finora soltanto simpatizzante. Il motivo è da ricercarsi ancora

una volta nella millenaria storia culturale del Paese di mezzo. Cito testual-

mente il brano tradotto:

La combinazione di un’aumentata aggressività e del simbolismo lega-to all’autodistruzione possono suggerire una spiegazione aggiuntiva alla risposta così drammatica della popolazione cinese di fronte allo sciopero della fame. La ragione potrebbe essere che nella cultura ci-nese il suicidio è un atto riconosciuto collettivamente per causare ver-gogna nell’autorità. La logica emotiva è: anche se i sentimenti di ag-gressione non possono essere diretti di fronte alla figura dell’autorità, tuttavia l’aggressione può essere rivolta contro di sé e il risultato sarà sempre un attacco contro l’autorità. “anche se non ti posso colpire, colpirò me stesso e questo ti farà stare da cani, che è l’obbiettivo che voglio ottenere27.

L’autorità umiliata, oggetto in quel momento impotente delle maledi-

zioni di chi osserva la scena, è un concetto comprensibile anche da un occi-

dentale come, mutatis mutandis, dimostra la geniale intuizione di Fosco Ma-

raini il quale, prigioniero in Giappone durante la seconda guerra mondiale,

per salvare sé stesso e la sua famiglia fece yubikiri (指切), amputandosi due

falangi del dito mignolo e gettandole con disprezzo in faccia ai suoi carce-

26 Richard Baum, Op. Cit. p. 254.27 Pye, Op. Cit., p. 341-2

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rieri; da quel momento, le condizioni di vita nel campo di prigionia miglio-

rarono28.

Non cambiarono però le condizioni degli studenti in piazza. Il 18

maggio una delegazione dell’Ufficio politico del GCD si recò in visita

nell’ospedale dove erano ormai ricoverati gli studenti digiunanti. I toni con-

ciliatori e paternalistici si accompagnarono a calorose strette di mano. Lo

stesso giorno avvenne il faccia a faccia televisivo fra Li Peng e il capo degli

studenti Wu’erkaixi [吾尔开希]: i toni drammatici di tale confronto non la-

sciarono presagire nulla di buono. A notte fonda, altre immagini fecero il

giro del mondo: il segretario Zhao Ziyang andava in lacrime dagli studenti.

Lo avevano appena sconfitto, e definitivamente, la sua linea di dialogo era

stata fatta fallire e a lui non restava che prenderne atto. Fattosi accompagna-

re in piazza da una vettura, per quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio

da segretario, pronunciò da un megafono quelle che sarebbero state le sue

ultime parole in pubblico. I toni sono drammatici ma non ancora tragici:

Compagni studenti, siamo arrivati troppo tardi. Scusateci studenti. Parlateci contro, criticateci, è nel vostro dovere. Non sono venuto qui però per chiedervi perdono. Quello che volevo dirvi è: i corpi degli studenti sono già notevolmente indeboliti; lo sciopero della fame ha già raggiunto il settimo giorno, non potete andare avanti ancora29.

La tragedia si consumò qualche giorno più tardi. Mentre Zhao pro-

nunciava il suo accorato appello, le prime truppe dell’esercito cominciavano

a entrare a Pechino. Li e Deng, sbarazzatisi dell’opposizione interna, aveva-

no infatti deciso di chiudere la partita anche con la piazza. Il 19 maggio Li

proclamò lo stato di emergenza, il 20 la legge marziale, mentre nella capita-

le erano già confluiti circa duecentocinquantamila soldati30.

28 Dacia Maraini: «Lo fece anche mio padre Così ottenne una capretta e ci salvò la vita», in Corriere della Sera, 24 agosto 2007, p. 17.

29 同学们,我们来得太晚了。对不起同学们了。你们说我们、批评我们,都是应该

的。我这次来不是请你们原谅。我想说的是,现在同学们身体已经非常虚弱,绝

食已经到了第七天,不能再这样下去了。Tutto il discorso pronunciato da Zhao è riportato in Zhang Liang, Zhōngguó "liùsì" zhēnxiàng ([中国“六四”真相], “La verità sul ’6 giugno’ in Cina”), Hong Kong, Mingjing Chubanshe, 2001, p. 519.

30 MacFarquhar, Op. Cit., p. 450.

18

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A quel punto, successe però un fatto imprevisto: a opporsi fra loro e

gli studenti scese in piazza una fiumana di gente comune, che riempì le stra-

de e paralizzò letteralmente il traffico. Un milione circa di persone partecipò

il 21 maggio alla manifestazione contro l’imposizione della legge marziale.

Il giorno dopo gli studenti terminarono lo sciopero della fame e cominciaro-

no a barricarsi dentro l’enorme piazza, chiudendo con ogni mezzo possibile

le vie di comunicazione e creando una zona franca nel cuore dello Stato. La

reazione del partito non si fece attendere: il 24 maggio aveva definitivamen-

te fatto piazza pulita di Zhao, dei suoi fedelissimi e degli ultimi incerti; ora

poteva rispondere in modo compatto. Nel frattempo, fra il 29 e il 30 maggio

gli studenti eressero sulla piazza un’enorme pupazzo, proprio davanti al ri-

tratto di Mao, cui posero il nome di “Dea della democrazia” (ziyou nüsheng

自由女神). Si era ormai alle battute finali.

Il massacro avvenne tra il 3 e il 4 giugno: truppe con mezzi corazzati

in appoggio sgomberarono la piazza. I morti ufficialmente furono duecento,

qualche centinaio in più secondo stime attendibili31. Il 6 giugno il sindaco di

Pechino si congratulava per l’ordine ristabilito contro i controrivoluzionari

mentre non si fermava l’ondata di arresti, che infatti sarebbe proseguita an-

che dopo il ritorno della calma nella Piazza della Porta della Pace Celeste.

LE CLASSI SUBALTERNE NELLA PRASSI POLITICA CINESE: QUALCHE

CENNO

Come già premesso, non è questa la sede per andare oltre questa bre-

ve sintesi. Ciò che interessa evidenziare è tentare un’interpretazione di que-

sti fatti all’interno della complessa storia del Paese di Mezzo: per farlo, oc-

corre descrivere brevemente le due strutture, le due forme di produzione del

consenso e i due modi diversi di fare politica di cui questa tragedia costituì

di fatto lo spartiacque:

31 Sabattini, Santangelo, Op. Cit., p.645.

19

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il primo che puntò, nell’azione politica, alla produzione e riproduzio-

ne di forme di mobilitazione tese al massimo di aggregazione e coin-

volgimento popolare fino a ipotizzarne, in frangenti storicamente

dati, pratiche plebiscitaristiche di esercizio diretto e immediato del

potere;

il secondo, che punta invece a un ampio consenso mantenendo intat-

ta una (antica per derivazione) struttura gerarchica, parcellizzando

poteri e benefici derivati dal loro esercizio, distribuendoli a pioggia

sui diversi soggetti disgregati e, per la maggior parte, disinteressati

verso l’ars politica, considerata materia loro estranea.

Sullo sfondo, un partito che dagli anni Venti a oggi ha elaborato un

proprio modus operandi, tramite una costante contaminazione fra pensiero

straniero e autoctono: come già accennato, questo processo sarebbe stato de-

finito “sinizzazione del marxismo” (makesizhuyi de zhongguohua 马克思主

义的中国化).

Un buon esempio del primo modo ci è offerto da un Mao trentaquat-

trenne, in attesa di un imminente uragano che avrebbe spazzato via tutto:

Tra breve centinaia di milioni di contadini, in ogni provincia del centro,

del sud e del nord della Cina si solleveranno, il loro impeto sarà come

quello di un uragano o di una tempesta, forte, violento e si scatenerà in

modo eccezionalmente pesante; nessuna forza, per quanto grande, potrà

fermarlo. Bruceranno tutti i vincoli e i lacci che li tenevano imbrigliati,

avanzando di gran passo sulla strada della liberazione. Tutti gli imperia-

listi, i signori della guerra, i funzionari corrotti, i proprietari signori e

vili nobili, saranno infine spinti da loro nella tomba32.

32 很短的时间内将有几万万农民从中国中部、南部及北部各省起来,其势如暴风骤

雨,迅猛异常,无论什么大的力量压抑不住。他们将冲决一切束缚他们的罗网,

朝着解放的路上迅跑。一切帝国主义军阀贪官污吏土豪劣绅都将被他们最后葬入

坟墓。Mao Zedong, Rapporto d’inchiesta sul movimento contadino nello Hunan [湖南农民运动考察报告], febbraio 1927. La versione originale, scevra da cesure e aggiunte interpolate dagli “esegeti devoti” redattori delle Opere Scelte, e testo di riferimento per questa traduzione, è raccolta in Takeuchi Minoru (竹内実 , a cura di), Mō Takutō shū [『毛沢東集』], Tōkyō, Hokubōsha, 1970-2, vol. I, pp. 207-249; traduzione integrale dello stesso in Stuart R. Schram (a cura di), Mao’s road to power: Revolutionary

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Tale impostazione risentiva pesantemente dell’influenza di Peng

Pai33, il primo a ideare – e a sperimentare con successo – l’ingresso nel pro-

cesso rivoluzionario dei contadini in quanto protagonisti effettivi, non sem-

plici comprimari o, peggio ancora, soggetti da “educare”, mediante insurre-

zioni armate e applicazione su vasta scala della violenza per abbattere il vec-

chio ordine e instaurare il nuovo. Tale atteggiamento non poteva non influire

su Mao. Un anno prima, infatti, questi si poneva una domanda che non lo

avrebbe abbandonato, in seguito, fino alla sua morte: “Chi è con noi? Chi

contro di noi?” La risposta che si diede e che propose al resto del partito, at-

tirandosi un fiume di critiche dall’ortodossia marxistica di allora per il suo

mancato fondamento su basi di classe e per la sua genericità, era inequivo-

cabile:

Chi sono i nostri nemici, chi sono i nostri amici? Ora possiamo dare

una risposta a questa domanda. Tutti i signori della guerra e i buro-

crati, legati all’imperialismo, la borghesia compradora, i grandi pro-

prietari terrieri e la classe degli intellettuali che è reazionaria, cioè la

cosiddetta grande borghesia cinese, sono i nostri nemici, sono i nostri

veri nemici; tutta la piccola borghesia, il semi-proletariato e il prole-

tariato, sono i nostri amici, sono i nostri veri amici. Per quanto con-

cerne quegli ondivaghi e indecisi della media borghesia, l’ala destra

dobbiamo considerarla nostra nemica: per adesso non lo è, ma il tem-

po in cui lo diventerà non è lontano. Possiamo invece considerare no-

stra amica l’ala sinistra, però non è una nostra vera amica: dobbiamo

sempre stare in guardia con lei, non dobbiamo permetterle di creare

scompiglio tra le nostre file. Di veri amici quanti ne abbiamo? Trecen-

tonovantacinque milioni. Di veri nemici quanti ne abbiamo? Un milio-

ne. Quella frazione centrale, che può esserci amica, ma anche nemica,

a quante persone ammonta? Quattro milioni. Consideriamo anche

Writings (1912-1949), New York, M.E. Sharpe, 1992, vol. II, vol. II, pp. 429-464.33 Peng Pai [彭湃] (1896-1929), direttore dell’Istituto per l’addestramento del movimento

contadino di Guangzhou (Guangzhou nongmin yundong jiangxi suo, 广州农民运动讲

习所 ), fondatore del primo Soviet in terra di Cina nel novembre 1927 e autore del Rapporto sul movimento contadino di Haifeng (Haifeng nongmin yundong baogao, 海丰农民运动报告 ), che avrebbe enormemente influenzato Mao nella stesura del suo Rapporto d’inchiesta sul movimento contadino nello Hunan.

21

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questi quattro milioni come nemici e, per assurdo, che tutti assieme i

nostri nemici si uniscano fino a giungere a cinque milioni; eppure,

neanche allora riuscirebbero a stare in piedi di fronte a un solo sputo

dei nostri trecentonovantacinque milioni. Trecentonovantacinque mi-

lioni, uniamoci!34

“We are the 99%”, per usare una terminologia, non a caso a-classi-

stica, oggi di moda fra gli oppositori dell’attuale sistema, sembra quasi na-

scere allora. Non è un’analisi sociologica, e neppure basata sui rapporti di

produzione, a indurre in Mao tale constatazione, bensì l’esigenza di sentirsi

nella “giusta direzione”, all’interno di quella fiumana oceanica che di lì a

poco avrebbe scardinato il tutto: condicio sine qua non di ogni discorso che

vuole assumere valenza universalistica, e dove anche la stessa ricerca di al-

leanze, elemento imprescindibile nella strategia politica e quindi necessario

per partire con l’azione rivoluzionaria, diveniva una potente immagine che

restituiva quanto egli vedeva in prospettiva e già in atto. Le azioni intrapre-

se dai contadini nelle campagne gli giunsero quindi come una folgorazione:

erano loro gli agenti in Cina della rivoluzione che stava cambiando la faccia

al mondo. Il loro modo di fare rivoluzione era irruento e irrazionale, per am-

missione dello stesso Mao. Tuttavia, era allo stesso tempo “veramente buo-

no” (hao de hen, 好得很35) anzi, in una polarizzazione abbastanza inconsue-

ta fra bene e male, il “buono” par excellence36. Se la rivoluzione era violen-

34 谁是敌人谁是朋友?我们现在可以答覆了。一切勾结帝国主义的军阀官僚,买办

阶级,大地主,反动的知识阶级即所谓中国大资产阶级,乃是我们的敌人,乃是

我们真正的敌人:一切小资产阶,半无产阶级,无产阶级乃是我们的朋友,乃是

我们真正的朋友。那摇动不定的中产阶级,其右翼应该把他当做我们的敌人——

即现时非敌人也去敌人不远:其左翼可以把他当做我们的朋友——但不是真正的

朋友:我们要时常提防他。不要让他乱了我们的阵线!我们真正的朋友有多少?

有三万万九千五百万。我们的真正敌人有多少?有一百万。那可友可敌的中间派

有多少?有四百万。让这四百万算做敌人,也不枉他们有一个五百万人的团体,

依然抵不住三万万九千五百万人的一铺唾沫。三万万九千五百万人团结起来呀!

Mao Zedong, Analisi di tutte le classi sociali della Cina [中国社会各阶级的分析], 1 febbraio 1926. Originale in Takeuchi Minoru (a cura di ), Op. Cit., vol. I, p. 173; trad. integrale in Schram, Op. Cit., vol. II, pp. 303-309.

35 Ibidem, p. 211.36 Il Bene e il Male in nella tradizione filosofica e religiosa cinese non esistono in quanto

entità ontologicamente assolute, “con le iniziali maiuscole”, ma il paragrafo di Mao che discute l’argomento in questo lungo rapporto vi si avvicina di molto. Per una disamina

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ta, era perché ciò ne costituiva connotato specifico e indispensabile; per

questo scrive, in un passo che sarebbe divenuto poi celeberrimo:

La rivoluzione non è invitare ospiti a pranzo, non è scrivere un saggio,

non è un disegno o un ricamo; non la si può fare con altrettanta ele-

ganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta “affabilità, rettitu-

dine, rispetto, semplicità e cedevolezza”. Rivoluzione è insurrezione,

un atto violento di potere con cui una classe ne rovescia un’altra37.

Rivoluzione per Mao è baodong [暴动 ], “insurrezione”: come già

accennato, al partito non resta che prendere atto di questo “uragano” (bao-

feng, 暴风) parola che non a caso condivide con il termine precedente il se-

gno iniziale, e decidere cosa fare, se ostacolarlo, mettersi in coda o porsi

alla sua guida.

Tale impostazione iniziale, sarebbe andata col tempo modificandosi,

di fronte alle prime sonore sconfitte e a una prospettiva rivoluzionaria che,

in certi momenti, di fronte a campagne di accerchiamento e annientamento e

a gravi errori tattici, sembrava ridursi sempre più. A partire dalla seconda

metà degli anni Trenta, in seguito alla conclusione della Lunga Marcia

(chang zheng 长征, fine 1935) e alle quasi concomitanti risoluzioni del VII

Congresso del Comintern (Mosca, 25/07 – 20/08), il movimento aveva or-

mai del tutto perso quella carica irrazionale ed emotiva iniziale, a vantaggio

del ruolo guida di un partito che, nella crescita politica di Mao, era passato

da semplice (e quasi inutile) comprimario a strumento necessario. In parti-

colare, divennero oggetto di studio sin dalla Prima campagna di rettificazio-

ne (Zhengfeng Yundong 整风运动, 1942) a Yan’an38, gli scritti di Josif Sta-

approfondita dell’argomento, vedasi Paolo Santangelo, Il “peccato” in Cina, Bari, Giuseppe Laterza e figli, 1991.

37 革命不是请客吃饭,不是做文章,不是绘画绣花,不能那样雅致,那样从容不迫,

文质彬彬,那样“温良恭俭让”。革命是暴动,是一个阶级推翻一个阶级的权利

的暴烈的行动。Ibidem, p. 213.38 Vedasi, in particolare, la Direttiva del dipartimento di propaganda del CC del PCC

sulla campagna di studio in corso in tutto il partito per “rettificare i tre stili” (中共中

央宣传部关于在全党进行整顿三风学习运动的指示 , 8 giugno 1942), che contiene l’elenco completo dei 22 testi da studiare, in Aa.Vv., Raccolta di documenti scelti del CC del PCC [ 中 共 中央文 件选集 ], Beijing, Zhonggong zhongyang dangxiao

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lin sulla bolscevizzazione (1925) e di Georgij Dimitrov sulla politica dei

quadri e sulla politica di formazione dei quadri (1935). A serrare ulterior-

mente le fila contribuì, fra l’altro, l’attento lavoro di ricucitura e di costru-

zione del partito operato da Liu Shaoqi (刘少奇), altra figura di spicco della

rivoluzione cinese: è sul suo “Sulla formazione degli iscritti al GCD” che si

forgiò un’intera generazione di militanti e di quadri39.

Il documento di Stalin appena citato costituiva in realtà il testo di

un’intervista pubblicata sulla Pravda il 3 febbraio 1925, “Sulle prospettive

del PCG e sulla bolscevizzazione”40, laddove si fissavano dodici condizioni

necessarie per la bolscevizzazione (bol’ševizacija) dei partiti comunisti. E’

interessante fra queste la sesta condizione, in quanto antesignana della co-

siddetta “linea di massa” (dalle masse alle masse) che, tempo dopo, sarebbe

stata definita uno dei tanti gongxian [贡献], o “contributi” di Mao al marxi-

smo (corsivo mio):

6) E’ indispensabile che il partito nel proprio lavoro sappia combinare la punta massima del proprio ruolo da protagonista (da non confondersi col settarismo!) con il massimo di rapporto e contatto con le masse (da non confondersi con il codismo!), senza cui per il partito è impossibile non solo educare le masse, ma anche imparare da loro, non solo condurre le masse e alzarle al livello del partito, ma anche ascoltare la loro voce e intercettare i loro urgenti bisogni”.

Lo scritto di Dimitrov è invece tratto dal discorso di chiusura in oc-

casione del già citato VII Congresso del Comintern e aveva a che fare più

direttamente con la politica di formazione e selezione dei quadri: pur esulan-

chubanshe, 1991, vol XIII, pp. 391-395.39 Liu Shaoqi, Lun gongchandang yuan de xiuyang [论共产党员的修养], 8 luglio 1939,

in Liu shaoqi Xuanji , vol. 1, Beijing, Beijing Renmin Chubanshe, 1949, pp. 97-167. Ed. it. Liu Shao ch'i, Come diventare un buon comunista, Milano, Edizioni Oriente, 1965.

40 6) Необходимо, чтобы партия в своей работе умела сочетать высшую принципиальность (не смешивать с сектантством!) с максимумом связей и контакта с массами (не смешивать с хвостизмом!), без чего невозможно для партии не только учить массы, но и учиться у них, не только вести массы и подымать их до уровня партии, но и прислушиваться к голосу масс и угадывать их наболевшие нужды. Josif Stalin, O perspektivach KPG i o bol’ševizacii (О перспективах КПГ и о большевизации, 3/2/1925), in Sočinenija, Moskva, Gospolitizdat, 1952, Tom VII, pp. 34–41.

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do dallo scopo di questo studio, la lettura di tale documento è tuttavia di

estremo interesse, al fine di rintracciare le fonti sovietiche cui i comunisti ci-

nesi si ispirarono per regolare il funzionamento del proprio apparato politico

e organizzativo. L’allora capo del Comintern, infatti, fu preso a modello da

Liu Shaoqi nel processo che lo portò a ridefinire natura e funzione del qua-

dro comunista. Nel suo scritto “Idee sul lavoro in Cina centrale”, egli ricon-

duceva a lui la genesi dei seguenti quattro punti richiesti a ogni dirigente:

- un cuore infinitamente leale (wuxian zhong xin 无限忠心)

- strettissimo legame con le masse (lianxi qunzhong 联系群众)

- capacità di lavorare in autonomia (duli gongzuo nengli 独立工作能力)

- rispetto della disciplina (zunshou jilu 遵守纪律)41.

Tale schema, riassunto ben presto nella formula “i quattro criteri dei

quadri” (si tiao ganbu biaojun 四条干部标准),si ritrova anche in scritti

coevi di capi, come lo stesso Mao42 e prima ancora di lui Chen Yun (陈云)43,

sia pur con una lieve variante. Ora, ciò che realmente Dimitrov pronunciò è

riportato qui sotto:

Da quale criterio fondamentale dobbiamo essere guidati nella scelta dei quadri?Primo: profondissima dedizione alla causa della classe operaia, fiducia nel partito provata dalle lotte, dalle prigioni, dai tribunali, faccia a faccia col nemico di classe.Secondo: strettissimo legame con le masse: vivere nell’interesse delle masse, sentire il loro battito vitale, il loro stato d'animo e le loro richieste. l’autorità dei dirigenti delle nostre organizzazioni di partito deve fondarsi anzitutto sul fatto che le masse vedono in essi le loro guide, contano sulle loro capacità, acquisite tramite esperienza, di essere dirigenti e di condurre le lotte con il giusto piglio e con spirito di abnegazione.Terzo - essere in grado di orientarsi autonomamente nelle situazioni e

41 Liu Shaoqi, “Dui Huazhong gongzuo de yijian” [对华中工作的意见 18/06/1943], Liu Shaoqi Xuanji, Vol., I. pp. 288-9.

42 Mao Zedong, “Alcune questioni riguardanti il metodo di direzione” (关于领导方法的

若干问题, 1943), Mao Zedong xuanji, cit., p. 899.43 Chen Yun, “I quadri devono chiedere a loro stessi rigore” (干部要严格要求自己 ,

1942), Chen Yun wenxuan, Beijing, Renmin chubashe, 1995, vol. I, pp. 212-213. Il quarto punto diviene nel suo schema “obbedire alla disciplina” (fucong jilü 服从纪律).

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di non temere la responsabilità delle proprie decisioni. Non è un capo chi ha paura di assumersi responsabilità. Non è un bolscevico chi non sa assumere l’iniziativa, chi pensa: "farò solo quanto mi diranno". Il vero capo bolscevico è solo chi non perde la testa nella sconfitta, né diviene arrogante nella vittoria, chi mostra fermezza incrollabile nell’esecuzione di quanto deciso. Anzi, i quadri crescono e si sviluppano meglio proprio quando diviene inevitabile per loro risolvere autonomamente le questioni concrete di lotta e sentono su di sé tutto il peso della responsabilità delle loro scelte.Quarto - spirito di disciplina e tempra bolscevica sia nella lotta contro

il nemico di classe, sia nella rinuncia a ogni compromesso con tutte le

deviazioni dalla linea bolscevica44.

Dimitrov aveva fortemente insistito sin dall’inizio del proprio man-

dato sulla formazione dei quadri. La disciplina ferrea richiesta dal partito

non era però intesa come fine, bensì come mezzo per garantire la massima

efficacia nell’attuazione delle risoluzioni dell’esecutivo, risoluzioni queste

ultime per la cui stesura era richiesto il contributo dei quadri stessi. Al con-

trario, nel corso della “traduzione” dalla versione terzinternazionalistica a

quella cinese, avvenne un notevole spostamento semantico in direzione di

44 Каким основным критерием должны мы руководствоваться при подборе кадров?Первое - глубочайшая преданность делу рабочего класса, верность партии, проверенная в боях, в тюрьмах, на суде - перед лицом классового врага.Второе - теснейшая связь с массами: жить интересами масс, чувствовать пульс жизни масс, их настроения и запросы. Авторитет руководителей наших партийных организаций должен быть прежде всего основан на том, что масса видит в них своих вожаков, убеждается на собственном опыте в их способности быть руководителями, в их решимости и самоотверженности в борьбе.Третье - умение самостоятельно ориентироваться в остановке и не бояться ответственности на решения. Не тот руководитель, кто боится брать на себя ответственность. Не тот большевик, кто не умеет проявлять инициативу, кто рассуждает: "выполню только то, что мне скажут". Только тот настоящий большевистский руководитель, кто не теряет голову в моменты порaжения, не зазнается в моменты успеха, кто проявляет несокрушимую твердость в проведении решении. Лучше всего кадры развиваются и растут тогда, когда они ставятся перед необходимостью самостоятельно разрешать конкретные задачи борьбы и чувствуют на себе всю ответственность за это.Четвертое - дисциплинированность и большевистская закалка как в борьбе против классового врага, так и в непримиримости ко всем уклонам от линии большевизма. in GEORGI DIMITROV, Documento al VII Congresso dell’Internazionale Comunista, Rapporto politico al CC durante il V Congresso del Partito Laburista Bulgaro (dei comunisti) [Доклад на VII всемирном конгрессе коммунистического интернационала. Политический отчет ЦК БРП(к) V съезду партии ], Moskva, Gospolitizdat, 1958, pp. 106-107.

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un più rigido rispetto della gerarchia e del rapporto di subordinazione all’in-

terno dell’organigramma del partito. La “lealtà” (zhong 忠), antico e sempre

attuale principio confuciano, prendeva il sopravvento, divenendo momento

cardine all’interno del processo di selezione dei quadri. Stesso discorso va-

leva per lo spirito di abnegazione e dedizione totale alla causa, in un quadro

di progressiva demolizione del proprio sé, visto negativamente come egoi-

smo, da parte di ogni subordinato45.

Era in virtù di tale condotta esemplare, proprio perché incarnazione

di un modello ideale di virtù che il quadro comunista, al pari dell’antico fun-

zionario confuciano, poteva sentirsi pienamente legittimato a ricoprire posi-

zioni di responsabilità e di potere. In altre parole, tramite una citazione stru-

mentale di Stalin e Dimitrov, il gruppo dirigente comunista era riuscito a

riaffermare i tradizionali principi di esercizio dell’autorità per la gestione e

il mantenimento dell’ordine sociale, garantendosi un’ampia base di consen-

so fra la popolazione cinese. Per inciso, era dalla negazione di tali principi

che tutto era iniziato vent’anni addietro: il movimento studentesco del Quat-

tro maggio 1919, con la sua carica di irriverente iconoclastia, ne era stata la

maggiore personificazione. Tuttavia, pur trionfando già con la prima Cam-

pagna di rettificazione, tale dinamica “conservatrice” si dovette scontrare,

ancora una volta, contro le enormi forze centrifughe che periodicamente

scuotevano (e scuotono) il Paese di mezzo. Di lì a poco il “disordine” e le

“masse” sarebbero, causa un acerrimo scontro interno fra gruppi di potere,

tornati protagonisti.

IL TERRORE DELLE GUARDIE ROSSE E LE INSURREZIONI CONTADINE DEGLI

ANNI VENTI

Nella seconda metà degli anni Sessanta, l’intera architettura politica

e sociale appena creata, fu temporaneamente smantellata dalla cosiddetta

“Rivoluzione culturale”, in una situazione ibrida che sarebbe perdurata fino

alla morte di Mao. In questo senso le guardie rosse, che di tale movimento

intendevano rappresentare la punta più avanzata, raccogliendo idealmente il

45 Tale aspetto è approfondito puntualmente in Paolo Selmi, Op. Cit., pp. 167-175.

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testimone lasciato dai contadini poveri e dal lumpenproletariat durante le in-

surrezioni del 1926 e 192746, non si limitarono alla semplice citazione lette-

rale degli stessi, ma ne mutuarono l’intero corpus di pratiche sociali. Si con-

siderino per esempio questi episodi, citati da Mao nel suo dettagliatissimo

rapporto e classificati come diversi gradi di punizione inflitti ai “proprietari

signori e vile nobiltà”; tali resoconti potrebbero essere tranquillamente con-

fusi con quelli scritti quarant’anni più tardi sostituendo solamente la parola

“contadini” con “guardie rosse”:

(4) Piccoli interrogatori Se le colpe di coloro che hanno danneggiato le

leghe contadine con le parole o con i fatti non sono gravi, [i contadini] si

riuniscono in gran numero, irrompono nelle loro case e chiedono loro

conto di quanto detto o fatto, senza però alzare di molto i toni; alla con-

clusione, la maggior parte deve firmare una “Parola di interruzione”47,

esprimendo l’intenzione di non denigrare più, con le parole o con i fatti,

il nome delle leghe contadine48.

(5) Dimostrazioni di forza Molto spesso una folla di contadini irrompe

in massa nelle case dei proprietari signori e dei vili nobili per dimostrar-

vi contro, mangiarvi dentro, ammazzarvi un bel po’ di maiali e portarsi

via sacchi di cereali: cose che succedono. È accaduto di nuovo a Majia-

he, nel distretto di Xiangtan: una folla di quindicimila contadini è stata

condotta nella residenza di sei vili nobili per gridargli contro; si son fer-

mati a casa loro per quattro giorni, sgozzando più di centotrenta maiali.

Solitamente, alla conclusione di queste manifestazioni, [i contadini] in-

fliggono un’ulteriore sanzione pecuniaria49.

46 Mao Zedong, Rapporto d’inchiesta sul movimento contadino nello Hunan [湖南农民运

动考察报告] (febbraio 1927), Ibidem.47 Xiuxizi [休息字 ], documento diffuso nelle campagne dello Hunan in cui l'imputato si

impegnava a smettere di compiere il dato reato. Importantissima era, nella tradizione giuridica cinese, la confessione scritta dell'imputato, l'ammissione di colpa e l'impegno a non commettere più il reato. Fino a quel momento formalmente la condanna non era possibile: è infatti per questo che storicamente si fece anche ampio ricorso alla tortura, al fine di estorcere tale documento.

48 (四)小质问 有破坏农会言语行动而罪较轻的,则邀集多人涌入其家,提出比

较不甚严重的质问,结果多要写个“休息字”,写明从此终止破坏农会名誉的言

语行动了事。Ibidem, p. 227.49 (五)大示威 统率大众向与农会结仇的土豪劣绅家里示威,在他家里吃饭,少

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(6) Attraversare tutto il villaggio con in testa alti cappelli a punta Que-

sta pratica è ovunque molto frequente. Al proprietario signore e al vile

nobile viene messo in testa un alto cappello a punta, di carta intelaiata,

con la scritta proprietario signore tal dei tali o vile nobile tal dei tali.

Quindi lo si lega e lo si tira avanti e indietro per il villaggio, mentre una

gran quantità di persone fa mucchio intorno e gli corre dietro. Si battono

anche gong e si innalzano insegne, al fine di attirare l’attenzione della

gente. Questa è la punizione che più fa tremare i proprietari signori e i

vili nobili. Chiunque, sia pure una sola volta, abbia messo l’alto cappello

di carta, è completamente disonorato e non potrà più guardare in faccia

nessuno; per questo, chi ha soldi preferisce pagare una sanzione, piutto-

sto subire l’onta. Quando però i contadini non sono d’accordo, essi devo-

no portare quel cappello. La lega contadina di un villaggio fu la più fur-

ba, catturò un vile nobile e dichiarò che in giornata avrebbe dovuto por-

tare il cappello di carta; il vile nobile divenne livido di paura, poi i con-

tadini decisero che quel giorno non gli avrebbero fatto mettere il cappel-

lo, dal momento che se egli se lo fosse messo quel giorno, il rancore gli

avrebbe fatto superare la paura e non li avrebbe più temuti; era quindi

meglio lasciarlo andare a casa e rimandare la punizione a data da desti-

narsi. Ora, non sapendo quando sarà la data dell’esecuzione, il vile nobi-

le non ha più ritrovato la calma e giorno e notte vive in continua ango-

scia50.

Il movimento compatto di migliaia di persone, violento e disordina-

to, ariete in grado di scardinare qualsiasi difesa, formidabile strumento di

pressione sociale e di terrore, sia fisico che psicologico, era costante sia del-

le insurrezioni contadine che delle manifestazioni esemplari delle guardie

不得要杀猪出谷,此类事颇不少。最近湘潭马家河还有率领一万五千群众向六个

劣绅家里问罪,延时四日,杀猪百三十余个的事。示威的结果,多半要罚款的。Ibidem.

50 (六)戴高帽子游乡 这种事各地做得很多。把土豪劣绅戴上一顶纸扎的高帽子,

在那帽子上面写上土豪某某或劣绅某某字样。用绳子牵着,前后簇拥着一大群人。

也有敲打铜锣,高举旗帜,引人注目的。这种处罚,最使土豪劣绅颤栗。戴过一

次高帽子的,从此颜面扫地做不起人,故有钱的多愿罚款,不愿戴高帽子。但农

民不依时,还是要戴。有一个乡农会最巧妙,捉了一个劣绅来,声言今天要给他

戴高帽子,劣绅于是吓乌了脸,但结果农民议决今日不给他戴高帽子,因为今天

给他戴过了,这劣绅横了心,不畏罪了,不如放他回去,等日再戴。那劣绅不知

何日要戴高帽子,每日在家放心不下,坐卧不宁。Ibidem, p. 228.

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rosse. Come si pose storicamente, il GCD o le sue singole fazioni (come nel

caso di quella maoistica), di fronte a tali sommovimenti, nel momento in cui

intese servirsi degli stessi per raggiungere i propri scopi immediati? Per ri-

spondere a tale quesito occorre tenere presente due importanti fattori:

la partecipazione di massa a singoli eventi e movimenti come segno

di consenso e strumento essenziale di legittimazione dell’operato e

della autorità del GCD;

la doppia funzione del GCD così come concepito da Mao, promotore

attivo da un lato e agente dietro le quinte dall’altro.

LA PARTECIPAZIONE DI MASSA COME FONTE (IN)DIRETTA DI

LEGITTIMAZIONE

Com’è stato accennato, il GCD non soltanto non poté ricorrere a for-

me radicali di lotta politica senza godere di un ampio consenso ma, in mo-

menti storicamente dati, richiese esplicitamente l’incarnazione, la visualiz-

zazione dello stesso sotto forma di presenza fisica massificata. A tale movi-

mento faceva capo la teorizzazione della violenza in quanto necessità inelu-

dibile, la sua legittimazione in senso “rivoluzionario”. Particolare interesse

desta, in questo senso, l’esercizio della giustizia sommaria durante le mani-

festazioni. Mao descrisse nel proprio rapporto i “processi di piazza” (gong-

kai shenpan, 公开审判), che lo colpirono emotivamente in modo tanto forte

da riprodurli su scala nazionale una volta raggiunto il potere. E’ questa la

perpetuazione di pratiche antiche che vedono il processo pubblico come mo-

mento punitivo, di giustizia popolare, ma anche momento educativo, laddo-

ve la punizione esemplare era in questo caso occasione di mostrare al popo-

lo che le cose erano davvero cambiate.

La pratica dei “processi di piazza” non nasceva, come qualcuno po-

trebbe pensare, dagli esercizi di giustizia sommaria occorsi nei terribili anni

di guerra civile tra Rossi e Bianchi nella Russia rivoluzionaria51, ma traeva

51 Da buon giurista quale di formazione Lenin era, si preoccupò di fondare il neonato

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la propria origine da una tradizione consolidata da secoli nei villaggi cinesi.

Sotto infatti l’ultima dinastia, la carenza di magistrati e i conseguenti disser-

vizi furono risolti estendendo in modo non ufficiale le forme di giustizia lo-

cale52. Ora, divenire “giudici”, esercitare questo nuovo potere, per il GCD

costituiva un’enorme occasione: sostituire in tutto e per tutto la vecchia au-

torità con la nuova. La piazza, che era già nelle campagne il luogo dell’eser-

cizio del potere giudiziario, si carica dei significati nuovi provenienti dalle

agitazioni nelle città e diviene luogo di espressione e manifestazione. Allo

stesso tempo, le piazze delle grandi città divengono luogo per la celebrazio-

ne di processi di piazza, in un mescolamento di ruoli e funzioni sapiente-

mente orchestrato dal partito-esercito rivoluzionario53.

ordinamento su una base di zakonnost’ (законность), termine che racchiude in sé sia i significati di legittimità che legalità, prima ancora di neobchodimost’ (необходимость), contingenza, necessità di fare fronte alla reazione delle classi spodestate. Circa lo stretto legame che intercorse fra potere sovietico e legalità, esiste una sterminata letteratura in lingua russa. Un buon articolo riassuntivo può essere, di I. S. Samoščenko, “Democrazia socialista e legalità socialista” (Социалистическая демократия и советская законность), Pravovedenie, 1958, N° 4, pp. 22-33. Per una ricostruzione più critica, ma che al contempo riconosce in Lenin il merito di essersi da subito posto il problema di non gettare il Paese nell’anarchia ma al contrario di mantenere anche istituzioni giuridiche preesistenti pur di non creare un vuoto giuridico fra il vecchio e il nuovo ordinamento, vedasi il breve ma interessante contributo di A. Smykalin, “La creazione del sistema giudiziario sovietico” (Создание советской судебной системы), Rossijskaja Justicija, 2002, N° 2, pp. 39-42.

52 Under the last of the imperial dynasties, the Manchu or Qing (1644-1912), many offenses were never adjudicated by the state apparatus but were dealt with by the unofficial processes of local groups. With the government’s acquiescence, leaders of clans, villages, and guilds dispensed a wide range of sanctions that included public censure, fines, ostracism, and corporal punishment. [...] Cases were publicly tried before the county magistrate, who was not a law-trained judge but an administrator steeped in Confucian classics. In Jerome Alan Cohen, “The Criminal Process in the People’s Republic of China: An Introduction”, in Harvard Law Review, Vol. 79, N° 3, gennaio 1966, pp. 469-533.

53 One of the important judicial practices to develop during the soviet period was mass trials. Conducted as a rule by circuit courts, they were designed not so much for the administration of justice as for political education and indoctrination. Circuit courts became widely used only after the Land Investigation Movement was launched in 1933, when their value as a means of securing mass participation in the judicial process received greater attention. Time and again in 1933-34, the soviet authorities instructed local judicial departments that in cases of political and educational significance circuit courts must be organised to hold mass trials in the villages of the accused for the purpose of implementing the mass line and arousing class hatred against the counter-revolutionaries. A mass trial was usually well prepared and organised. Before the trial, the court was specifically arranged to give it an air of dignity and the case fully publicised to attract the attendance of masses of people. At the trial itself anyone could make accusations against the alleged criminal, and the accused

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L’ARTE DI STARE DIETRO LE QUINTE

A questo sforzo di mobilitazione, in modo apparentemente – ma

neanche più di tanto – paradossale, si accompagnava in parallelo un movi-

mento opposto, quasi un disimpegno finale da parte del partito e dei suoi or-

gani dirigenti. Questo secondo aspetto può essere considerato un corollario

del primo o, meglio, l’altra faccia della sua medaglia. L’esercizio della vio-

lenza doveva infatti apparire come partito spontaneamente dai manifestanti,

sempre e comunque. Per vincere e convincere, il crucefige! non poteva che

essere un grido spontaneo, immediato: se fossero stati tutti a invocarlo, nes-

suno si sarebbe poi potuto chiamare fuori, dirsi estraneo, tanto meno critica-

re o accusare gli esecutori materiali; commistione, corresponsabilità, correi-

tà erano concetti che in questo senso si legano bene insieme. Per questo il

partito non doveva apparire nell’esercizio del proprio potere, ma restare un

passo indietro, come spiegava Mao in questa poco citata raccomandazione:

Per quanto riguarda queste questioni circa il lavoro di propaganda, la

nostra politica [nella versione rivista e corretta delle Opere scelte

(1951), “la politica del Partito comunista”, 共产党] è [“dovrebbe esse-

re”, 应当 nella versione del '51] “tendere la corda, ma non scoccare la

freccia, pur dando l’impressione di doverlo fare”54.

or anyone else could at least theoretically speak in his defence. Members of the court and people’s representatives invariably took the opportunity to make political and inflammatory speeches. In the end a swift sentence was often passed and immediate execution carried out in the presence of the stimulated crowd. A couple of concrete cases may well be cited here. In July 1933 the judicial department of Chenbei district (of Jiangxi) organised a circuit court to conduct a mass trial of 11 "local bullies," landlords and rich peasants who failed in their attempt to escape during the Land Investigation Movement. The masses, agitated beforehand by extensive propaganda, demanded the death penalty; amid cries and shouts for "kill," all 11 persons were sentenced to death and executed on the spot. Also during the Land Investigation Drive of 1933, the people of Rentian district were mobilised to combat "feudalistic remnants." Within 55 days they uncovered 300-odd landlord and rich peasant families and executed 12 so-called "Big Tigers." In the process they organised three circuit courts and held 10 mass trials. In Leng Shao-Chuan, “Pre-1949 Development of the Communist Chinese System of Justice”, The China Quarterly, No. 30, aprile-giugno 1967, pp. 93-114.

54 我们对于这些东西的宣传政策是:“引而不发,跃如也。”MAO ZEDONG, “Rapporto d’inchiesta sul movimento contadino nello Hunan”, op. cit., pp. 238.

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La citazione finale era di Mencio55 [孟子], che però nel brano origi-

nale intendeva altro. La Via, il Dao da raggiungere, era alta e bella (Dao ze

gao yi, mei yi 道则高矣,美矣) , ma altrettanto inavvicinabile, gli veniva

obbiettato; Mencio rispondeva negando ogni possibilità di compromesso

gradualistico, affermando che non doveva essere l’artigiano a modificare

l’opera finita perché i suoi operai non erano capaci di riprodurla, e neppure

l’arciere a modificare la propria tecnica di tiro perché troppo difficile. Allo

stesso modo il Maestro non poteva “ammorbidire” la sostanza dei propri in-

segnamenti. Quindi suggeriva una via d’uscita, che consisteva nel fornire un

modello educativo di accompagnamento graduale alla scoperta, “tendere la

corda ma non scoccare la freccia” (yin er bu fa 引而不发), che avrebbe con-

dotto il discepolo fino al punto di compiere da solo l’ultimo passo, soltanto

suggerito, e trovare infine la Via. Zhu Xi nel suo commentario a Mencio

spiegava così questo difficile passo:

Nell’istruire, il saggio impartisce le regole per studiare ma non rivela

il segreto per ottenere (la Via), come l’arciere tende l’arco ma non

scocca la freccia. Ciò che egli non ha rivelato sembra balzar fuori (e

il discepolo) lo vede davanti a sé56.

Questo sottile meccanismo pedagogico, era completamente stravolto

nel senso inteso da Mao, che da educativo lo rendeva semplicemente indut-

tivo della propria volontà politica: un partito o un uomo-partito che, assunto

al ruolo Maestro, portava il popolo a compiere quel lavoro sporco che non

poteva personalmente o soggettivamente espletare, non rappresentava certo

un’evoluzione della tecnica educativa menciana, ma una sua degenerazione,

tipica di ogni potere autoritario e populistico, non popolare.

E’ chiaro ora quindi il motivo per cui Mao legava il proprio agire a

tale frase: il partito era il novello Saggio, l’arciere che tendeva l’arco senza

scoccare la freccia. Il popolo era il discepolo che avrebbe finalmente impa-

rato a centrare da solo il bersaglio. Si aggiunga a questo la contingenza

55 Mengzi, Jin xin shang (孟子·尽心上) in op. cit., p. 3464. 56 In I quattro libri di Confucio, trad. dal cinese di Fausto Tomassini, Torino, UTET, 1974,

p.437.

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drammatica del momento e si capirà ora appieno il significato della seguente

raccomandazione di Mao, che appare sempre nel già citato rapporto:

I Buddha devono essere i contadini stessi a buttarli giù, le tavolette

votive agli antenati devono essere i contadini stessi a farle a pezzi, i

templi dedicati alle vergini martiri, gli archi elevati in onore delle ve-

dove caste e delle nuore filiali, devono essere i contadini stessi a de-

molirli57.

Quanto accadde durante il periodo della Rivoluzione culturale ebbe,

pertanto, un illustre quanto poco conosciuto precedente: alla furia iconocla-

stica dei contadini in rivolta si sarebbe sovrapposta idealmente quella che,

nei roghi di fine anni Sessanta, avrebbe bruciato qualsiasi cosa puzzasse di

ancient regime. In entrambi i casi, il partito avrebbe dovuto limitarsi a “ten-

dere l’arco”. Ancora nel 1928, Mao sarebbe ritornato su questo punto con

un’altra metafora (corsivo mio):

Il partito gode di estremo prestigio fra i suoi membri e le masse, ma al

governo su questo punto manca ancora molto. Il motivo è che, per mo-

tivi di opportunità e comodità, il partito gestisce molte cose diretta-

mente, mettendo da parte gli organi di governo. Questo tipo di errore

avviene da molte parti in questa regione. In alcuni luoghi invece non

vi sono strutture organizzate di partito all'interno degli organi di go-

verno, in altri invece vi sono ma operano in modo insoddisfacente. In

futuro occorre che il partito faccia come il padrone che sta dietro le

quinte; propaganda a parte, tutto il resto deve essere condotto tramite

le organizzazioni di massa. L'errore commesso dal GMD di condurre

tutto direttamente deve essere evitato58.

57 菩萨要自己丢,祖宗牌子要自己打碎,烈女祠、节孝坊要农民自己摧毁。Ibidem, p. 238.

58 党在党员乃至群众中有极大的威权,政府的威权却差得多。这由于,许多事情为

图省便,党在那里直接的做了,政权机关搁置一边。这种错误在各处是很多的。

政权机关里党团组织有些没有,有些组织了用得不完满。以后要实行党做后台老

板;党的主张办法,除宣传外,执行是必须透过民众的组织。国民党直接干政的

错误是要避免的。MAO ZEDONG, “Rapporto al CC del Comitato del fronte del Monte Jinggang”Jinggangshan qianwei dui zhongyang de baogao, 井冈山前委对中央的报告), 25 novembre 1928, in Mō Takutō shū, Vol. II, op. cit. pp. 52-53.

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E’ interessantissimo questo brano, perché esplicitamente ci conduce

a un termine chiave nella storia politica della Cina contemporanea, mutuato

quest’ultimo dal lessico teatrale: lo houtai laoban [后台老板] appunto, “il

padrone che sta dietro le quinte”. Egli secondo le descrizioni dell’epoca era

il padrone che si limitava a controllare, non era coinvolto direttamente nelle

scelte artistiche e nella gestione del teatro, lasciate allo qiantai [前台] ovve-

ro a “colui che sta davanti al palco” (e ci mette la faccia) e incassava il set-

tanta percento di tutti gli introiti del teatro59. Sembra l’invito a cena “alla ro-

mana” in “Totò, Peppino e i fuorilegge”, laddove i padroni di casa si chia-

mavano fuori da qualsiasi spesa o impiego dei loro mezzi60, eppure la fac-

cenda è tremendamente seria, specialmente se applicata alla politica e in

special modo se si considera che questo costituisce uno dei tratti di continui-

tà più vistosi fra passato e presente. La storia millenaria della Cina, come

quella dell’Occidente del resto, è costellata di intrighi, cospirazioni e conse-

guenti “dietrologie”: a differenza dell'Occidente però, in Cina tutto ciò dive-

niva storicamente metodo. Sunzi [孙子] apre il suo trattato sull’Arte della

Guerra con l’asserzione: “La guerra è il Dao, la Via dell’inganno”61: come in

altre culture, la lotta politica in Cina mutuava schemi e modelli dalla lotta

militare, tra cui quest’ultimo. Non è un caso quindi che, invocando questo

metodo, Mao si muovesse molto pragmaticamente sul solco del III Strata-

gemma:

Uccidere con una spada presa a prestito. l'avversario è chiaro, ma

l'alleato ancora incerto; indurre l'alleato a uccidere l'avversario, sen-

za esporsi con la propria forza; ciò si deduce dall'esagramma “la di-

minuzione” [del Libro dei Mutamenti]62.

59 Tale “curioso” personaggio è così descritto in Sydney David Gamble, Peking, a social survey, New York, George H. Dhoran Company, 1921, p. 223

60 “D’altronde tu devi capire che noi ci mettiamo l’acqua, il fuoco, il condimento ed i famosi antipasti che fa mia moglie”, “Totò, Peppino e i fuorilegge”, Italia, 1956.

61 La guerra è il Dao dell’inganno. Se sei in grado di attaccare, al nemico mostrati incapace, se sei attivo mostrati inattivo, se sei vicino mostrati lontano, se sei lontano mostrati vicino. 兵者,诡道也。故能而示之不能,用而示之不用;近而示之远,

远而示之近。Sunzi, Sunzi bingfa xinzhu [孙子兵法新注],Beijing, Zhonghua shuju, 1986, p. 5.

62 借刀杀人 - 敌已明,友未定,引友杀敌,不自出力,以《损》推演。Zhu

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Così, lo houtai laoban è stato ed è tutt’ora una costante della politica

cinese, unendo in questo sia nazionalisti che comunisti. Entrambi, non appe-

na potettero, cercarono di “uccidere con una spada presa a prestito”. Il GCD

in questo senso si servì spesso e volentieri delle mobilitazioni di piazza, nel-

la lotta fra fazioni che rappresenta una costante della politica cinese, dalle

purghe di fine anni ’20 nella Repubblica dei soviet di Mao e Zhu fino alla

tragedia di Piazza Tian’anmen del 1989.

UNA CESURA CON IL PASSATO SUL SOLCO DELLA CONTINUITÀ

NELL’ESERCIZIO DEL POTERE.

I tragici eventi del 1989 misero il partito comunista cinese di fronte a

un drammatico aut-aut: avanti così, verso l’autodistruzione, oppure cambia-

re il modo di dirimere le contrapposizioni interne. Nessuno doveva più agi-

tare le piazze o permettere che si riempissero per i propri fini anzi, meno le

piazze si agitavano meglio era. Le fazioni in lotta, che per comodità gli ana-

listi suddividono in “conservatori” e “riformatori”, ma che in realtà erano (e

sono) molte di più, giunsero a questo compromesso, che cambiò definitiva-

mente il modus operandi del GCD: fu così che le piazze si svuotarono, la

gestione collegiale del partito consentì di spersonalizzare la politica, limi-

tando le diatribe a feroci rese dei conti consumate nel buio dei loro gabinet-

ti, senza creare miti all’esterno, ma soltanto modelli efficaci di appropriazio-

ne del consenso. Il nuovo modello economico si prestò enormemente a tale

scopo: differenziando ulteriormente la gestione – diretta – della res politica

da quella – indiretta – della res economica, il partito si configurò come quel

“padrone dietro le quinte” che muoveva indirettamente le pedine senza che

esse se ne accorgessero. Non è un caso che houtai laoban oggi indichi pro-

prio lo sponsor politico che sta dietro i capitalisti cinesi, piccoli o grandi che

siano, rappresentandone il necessario contatto con la burocrazia al fine di ot-

Gejingyi, La saggezza dell’Arte della guerra e dei Trentasei stratagemmi [孙子兵法与

三十六计的智慧], Beijing, Zhongguo Chang’an chubanshe, 2005, p. 160.

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tenere permessi, autorizzazioni, licenze di esportazione e quanto di necessa-

rio alla prosecuzione e alla crescita della propria attività economica63.

Anche la propaganda è cambiata dal 1989: coerentemente con l’ob-

biettivo di non mobilitare le folle su traguardi che non fossero l’arricchi-

mento individuale, anche le riforme furono attuate nel corso di questo ven-

tennio in modo graduale, sostituendo al roboante suono dei megafoni duran-

te le manifestazioni il rassicurante sapore della consuetudine e della prassi

abitudinaria. È Zhang Weiying [张维迎 ], nel 1993 stretto collaboratore di

Deng Xiaoping nel suo piano di riforme, attualmente preside del prestigioso

63 Vedasi David L. Wank, Commodifying Communism: Business, Trust, and Politics in a Chinese City, Cambridge, Cambridge University Press, 1998. Cap. IV, “Symbiotic Transactions Between Private Firms and Public Units”, p. 70: Enterpreneurs refer to state agents who provide benefits over time as “backstage bosses” (houtai laoban) and “backers” (kaoshan).Tale argomento è esaminato, inoltre, nel più approfondito Walder, Andrew G., The Waning of the Communist State: Economic Origins of Political Decline in China and Hungary. Berkeley, University of California Press, 1995. Cap. VI: “Bureaucratic Patronage and Private Business: Changing Networks of Power in Urban China”: The strong desire of entrepreneurs for support from the bureaucracy was apparent during interviews. Particularly revealing was their response to an open-ended question on the prerequisites for business "success." I did not define success, but in interviews entrepreneurs consistently defined it in terms of business scale. To be successful was to be a boss (laoban ) running a company (gongsi ) and doing business in a big way (zuo da shengyi ) as opposed to being a peddler (shangfan ) running a shop (shangdian ) and doing petty trade (xiao shengyi ). The most successful entrepreneurs run enterprise groups (qiye jituan ) diversified not only across business lines but across the formal categories of the economy into the collective and state sectors through various joint-venture arrangements. Achieving this success requires the support of officials in a wide range of matters. Some entrepreneurs talked about this support in terms of access to profit opportunities. For example, one said, "Your skill and ability as an entrepreneur are less important than having proper support [zhichi ] from the local government. With proper support you can get whatever you need. If you don’t have capital, then you can get capital. If you need scarce goods, then you can get scarce goods" (informant no. 27).Others talked about support in terms of protection from arbitrary sanctions and regulations. Another entrepreneur said, "Everything depends on personal ties [guanxi ]. If you have good ties with officialdom [guanfang ], everything is easy to deal with. If you do something wrong, your friends in the relevant bureau will see that the matter is forgotten. But if your ties are bad, then officialdom will make trouble for you even if you’ve done nothing wrong" (informant no. 17). Ideal bureaucratic support is provided by patrons (houtai laoban ) and backers (kaoshan ). These are officials highly placed in public units who use their discretion regarding decisions over the allocation of resources and in administrative matters to create opportunities and overcome problems for entrepreneurs. This kind of support is considered "solid" (ying ). Lower-ranking officials and public-unit employees with narrow spheres of discretion can also provide support, and, indeed, entrepreneurs running smaller capitalist enterprises rely entirely on these kinds of support.

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Istituto Guanghua di gestione aziendale della Beida, l’Università di Pechino

un tempo culla della rivolta studentesca, a spiegare come andò, con una “pa-

rabola” molto esplicita:

C’era una volta un villaggio, dove gli abitanti usavano trainare i loro

carri con cavalli bianchi. Gli anziani del villaggio si accorsero che nel

paese vicino, dove invece i carri erano trainati da zebre, le cose funzio-

navano meglio. Così, dopo aver passato anni a decantare le lodi dei ca-

valli, essi decisero di passare alle zebre. L’unico ostacolo era ora con-

vincere gli abitanti che per decenni avevano subito un lavaggio del cer-

vello per adorare i cavalli. Gli anziani escogitarono un piano ingegnoso:

ogni notte, mentre gli abitanti del villaggio dormivano, essi dipingevano

strisce nere sui cavalli bianchi. Al loro risveglio, i capi li rassicuravano

dicendo loro che non erano affatto zebre, ma i loro cavalli di prima con

l’aggiunta di innocue strisce nere. Dopo un bel po’ di tempo, gli anziani

cominciarono in silenzio a sostituire i cavalli dipinti con le zebre vere e

proprie. Questi animali prodigiosi fecero la fortuna degli abitanti del vil-

laggio, aumentando la produttività e creando tutt’intorno benessere. Fu

soltanto molti anni più tardi, dopo che da lunghi anni ormai tutti i cavalli

erano stati sostituiti dalle zebre, e il villaggio aveva beneficiato di molti

anni di benessere, che gli anziani annunciarono ai cittadini che il loro

era un villaggio di zebre, e che le zebre erano buone e i cavalli cattivi.64

È una simpatica storiella che ne fa venire in mente altre, come quella

del più grande partito comunista d’Occidente che riuscì ad autodistruggersi

senza darlo a vedere alla maggior parte dei suoi militanti, prima

“comunisti”, poi “pidiessini” e, infine, talmente “democratici” da neutraliz-

zare, di fatto, l’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori: ma questa, appunto,

è un’altra storia. Ciò che preme invece sottolineare è come, spersonalizzan-

do la gestione politica, depotenziando la lotta di classe, incentivando le vie

di arricchimento personale ai più intraprendenti e, coup de maître, legando a

64 Riportato in Mark Leonard, What does China think?, London, Fourth Estate, 2008, p. 23. L’originale della “Favola del villaggio delle zebre” (banma cun de yuyan, 斑马村的

寓言), è lo stesso Zhang Weiying a raccontarla, sulla sua pagina web, Zhang Weiying, Come vedo trent’anni di riforme in Cina [我看中 国改革 30 年 ], 01/12/2008 (http://www.china-review.com/sao.asp?id=20810, consultato l’ultima volta 28/06/2012).

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filo doppio questi nuovi soggetti al partito con “arricchimenti teorici” sem-

pre più arditi e facendo collimare i loro interessi ai propri, il GCD sia riusci-

to a continuare a “cavalcare la tigre” e a confermare ancora dopo sessant’an-

ni il Mandato Celeste nelle sue mani.

CONCLUSIONE

In questo studio si è volutamente parlato meno di Tianan’men e più di Cina,

accennando alla sua storia, alle sue dinamiche passate e al filo che le lega al

presente. Per alcune di esse Tianan’men ha costituito uno spartiacque, in

particolar modo per quel modello di lotta politica morto ben prima della fine

del “secolo breve” e da non ripetere più in nessun caso: la piazza resterà

vuota e lo spettro dei concentramenti di milioni di persone aleggerà sopra di

essa come minaccia, per ora molto tenue, di massicce insurrezioni di folle

scontente. Non è un caso che gli esperimenti di ingegneria sociale attuati ne-

gli ultimi vent’anni abbiano prodotto una società molto più frammentata, di-

spersa, come già aveva notato nel 1997 un non ancora allineato Zhang Yi-

mou [张艺谋] nel suo film “Keep cool”65.

In questo senso, una reazione conforme e in linea con i presupposti e

le aspettative dell’attuale struttura di potere è rappresentata dalle recenti e

abbondanti iniezioni di confucianesimo promosse dall’attuale dirigenza del

GCD: tornare all’antico sembra per il momento aver sopperito alla vuotezza

dell’allora pensiero ufficiale dove un simulacro di “marxismo-leninismo”,

già peraltro destrutturato e soffocato all’interno di quella matriosca in fieri

rappresentata dal “Marxismo-leninismo, Pensiero di Mao Zedong, Teoria di

Deng Xiaoping e Importante pensiero delle ’Tre rappresentatività’”66, una

65 You hua hao hao shuo (有话好好说), Cina, 1997.66 “Il Partito comunista cinese assume come propria guida per l’azione il Marxismo-

leninismo, il Pensiero di Mao Zedong, la Teoria di Deng Xiaoping e l’importante pensiero delle ’Tre rappresentatività’” (中国共产党以马克思列宁主义、毛泽东思想、

邓小平理论和“三个代表”重要思想作为自己的行动指南。) Statuto del GCD (parzialmente modificato durante il XVII Congresso del GCD e approvato il 21/10/2007) [中国共产党章程 – 中国共产党第十七次全国代表大会部分修改,

2007年 10月 21日通过], Beijing, Renmin chubanshe, 2007.

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volta caduti i muri e le frontiere, era (ed è tutt’ora) volutamente lasciato agli

“addetti ai lavori”. Sullo sfondo di una intensa e “spontanea” mobilitazione

produttiva, così come sulla progressiva finanziarizzazione economica, aleg-

gia la presenza discreta, ma al contempo imponente, di un partito che non

intende in alcun modo rinunciare al proprio ruolo centrale ed esclusivo nella

gestione del potere e, anzi, pone costantemente in evidenza tale aspetto:

“Senza il GCD, non ci sarebbe la Nuova Cina” (meiyou GCD jiu meiyou xin

Zhongguo 没有共产党就没有新中国 ), recita un popolare motto da oltre

mezzo secolo67; un partito che, parafrasando un motto famoso di un altro suo

“timoniere”, per mantenere tale posizione è infine sempre più convinto so-

stenitore che “non importa se il gatto sia bianco o nero, se alla fine piglia il

topo è un buon gatto” (buguan hei mao bai mao, jiu dao laoshu jiu shi hao

mao 不管黑猫白猫,捉到老鼠就是好猫)68.

Paolo Selmi, Besnate, 28 giugno 2012

China and 1989, between patterns of continuity and discontinuity

Summary

This work tries to analyze, after a brief chronicle of 1989 Tian'anmen massacre,

what changed and why it did change in the relationship between power and people

in People's Republic of China. In order to do it, it examines early Party documents,

as well as writings of Mao Zedong and other chinese communist cadres, through

the lens of the traditional political thought and the selective and adaptive

67 Su questo slogan, la sua struttura e la sua genesi, vedasi Paolo Selmi, Op. cit., pp. 309-310.

68 La genesi della “teoria del gatto nero e del gatto bianco”, o Hei mao bai mao lun [黑猫白猫论] è illustrata nell’articolo del Giornale del Popolo: La teoria del gatto: la verità dietro un detto popolare [“猫论”——民谚背后的真理], Renmin Ribao, 04/05/2008, (http://www.people.com.cn/GB/shizheng/8198/36907/36908/2732059.html consultato l’ultima volta 28/06/2012).

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translation of Marxist-leninist theory into that context. In order to appreciate more

accurately this last aspect, special attention has been paid also to the Komintern

documents that they openly declared to follow as guidelines. These and other

sources made finally possible to individuate two mainstreams of this particular

relationship: a first one, where mass action was rigidly inscribed and disciplined

into a (neo)confucian context, that de facto limited its range and influence until its

(apparent) neutralization; a second one, where mass action was taken in the

greatest account, through its spontaneity and its mighty appearance: from the early

maoist comparisons of peasant uprisings to a natural phenomenon, to the later

evaluations, by the same maoist faction, of Red guards mass action as an

instrumentum regni, to exert political control through chaos and, at the same time,

to get off political enemies of the opposite factions, till Tian'anmen protests and the

consequent exploitation of that massive partecipation and its fierce repression in

terms of inner political struggle. After that, “silence”, often interpreted as “fear” of

rallies and demonstrations, coincided with the political disappearance of people

massive partecipation and the continuous action of social fragmentation and

contemporary harmonization of that growing multeplicity of social and local

groups and interests, under the red confucian banner of the only force that can

appear now as the only one that unifies and coordinates them: mei you

gongchandang, jiu mei you xin zhongguo 没有共产党就没有新中国.

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