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La felicità altrove: Le tre sorelle -...

Date post: 23-Jun-2018
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La felicità altrove: Le tre sorelle L’opera Čechov scrive il dramma Le tre sorelle espressamente per il Teatro d’Arte di Mosca. L’opera gli costa molta fatica e riesce a portarla a termine solo grazie alla tenace insistenza del direttore del Teatro, che voleva assolutamente da lui qualcosa di nuovo per la stagione. Il 29 ottobre 1900 lo scrittore legge una prima versione del dramma agli attori, che restano sconcertati: non sanno come recitarlo, chiedono spiegazioni, ma lui non sa che cosa dire di più («Sentite, tutto quello che sapevo, l’ho scritto»). Čechov si chiude allora in un albergo per quasi un mese e finisce i primi due atti; poi parte per Nizza, in Costa Azzurra, da dove spedisce a Mosca gli altri due atti, oltre ad alcune correzioni e ad alcune battute aggiunti- ve. L’opera va in scena il 31 gennaio 1901, senza che l’autore abbia potuto partecipare alle prove, cosa che invece farà nella stagione successiva. Il dramma conta ben quattordici personaggi. Le tre sorelle Ol’ga, Irina e Maša [leggi: “màscia”] Prozorov [leggi: “prosòrof”] vivono con il fratello Andrej [leggi: “andrièi”] in una città di provincia, dove il loro padre, generale di brigata morto da poco, si era tra- sferito con la famiglia undici anni prima. Ol’ga, ventott’anni, è insegnante di ginnasio, ma è stufa del suo lavoro e vorrebbe tanto trovare marito; Maša invece è infelicemente sposata con un collega di Ol’ga, che le vuole molto bene, ma è noioso e pedante; Irina ha vent’anni ed è la più giovane e non desidera altro che ritornare a Mosca, per cui sente una tremenda nostalgia. Anche Andrej, unico maschio di famiglia, aspira a una cattedra all’università di Mosca, ma si è innamorato di Nataša, una ragazza del posto che non piace molto alle sorelle, e sta perdendo il suo tempo, invece di dedicarsi seriamente al suo obiettivo. In questo ambiente triste e sospiroso la vera novità è rappresentata dal tenente colonnello Veršinin [leggi: “verscìnin”], ufficiale quarantenne, appena nominato comandante della guarnigione locale, che conosceva bene la famiglia Prozorov a Mosca, quando ancora le tre ragazze erano molto giovani. Gli altri personaggi principali sono Čebutykin [leggi: “cebutùkin”], un medico militare sessantenne che alloggia in casa Prozorov e ogni tanto alza un po’ troppo il gomito; Tuzenbach, un barone giovane e buono, ma brutto, innamoratissimo di Irina; e il capitano Solenyj [leggi: “saliòni”], un tipo cinico e un po’ strano che fa sempre battute di dubbio gusto, anche lui innamorato della ragazza. Tutta l’azione si svolge in casa delle sorelle: nel primo atto, Veršinin è appena arrivato in città e viene invitato a colazione, nel giorno dell’onomastico di Irina: l’incontro è un’oc- casione per ricordare con nostalgia l’infanzia e la città natale, e per parlare dei desideri per il futuro. A differenza delle sorelle, Veršinin ama la provincia, mentre il suo unico vero dolore è la moglie pazza, che tenta continuamente di uccidersi e rende infelice lui e le sue figlie. Il secondo atto si svolge un anno e mezzo dopo, la sera di carnevale: Andrej è ormai sposato e ha due figli con Nataša (una svampita che pensa solo ai suoi bambini e tradisce il marito con il suo fidanzato di prima), ha dimenticato i suoi sogni di gloria accademica e continua a perdere soldi al gioco; Irina lavora al telegrafo e non smette di sognare Mosca; Veršinin, la cui moglie ha già tentato due volte il suicidio, si è innamorato di Maša, che a sua volta sopporta sempre meno il marito. Il terzo atto si svolge un anno dopo e comincia alle due del mattino di un giorno d’estate, mentre un incendio devasta Una gestazione difficile I personaggi La vicenda 1 5. tra naturalismo e simbolismo: il dramma europeo di fine ottocento I MODI, I GENERI I MODI, I GENERI Letteratura Terzo Millennio © Loescher Editore, Torino
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La felicità altrove: Le tre sorelle

L’operaČechov scrive il dramma Le tre sorelle espressamente per il Teatro d’Arte di Mosca. L’opera gli costa molta fatica e riesce a portarla a termine solo grazie alla tenace insistenza del direttore del Teatro, che voleva assolutamente da lui qualcosa di nuovo per la stagione. Il 29 ottobre 1900 lo scrittore legge una prima versione del dramma agli attori, che restano sconcertati: non sanno come recitarlo, chiedono spiegazioni, ma lui non sa che cosa dire di più («Sentite, tutto quello che sapevo, l’ho scritto»). Čechov si chiude allora in un albergo per quasi un mese e finisce i primi due atti; poi parte per Nizza, in Costa Azzurra, da dove spedisce a Mosca gli altri due atti, oltre ad alcune correzioni e ad alcune battute aggiunti-ve. L’opera va in scena il 31 gennaio 1901, senza che l’autore abbia potuto partecipare alle prove, cosa che invece farà nella stagione successiva.

Il dramma conta ben quattordici personaggi. Le tre sorelle Ol’ga, Irina e Maša [leggi: “màscia”] Prozorov [leggi: “prosòrof”] vivono con il fratello Andrej [leggi: “andrièi”] in una città di provincia, dove il loro padre, generale di brigata morto da poco, si era tra-sferito con la famiglia undici anni prima. Ol’ga, ventott’anni, è insegnante di ginnasio, ma è stufa del suo lavoro e vorrebbe tanto trovare marito; Maša invece è infelicemente sposata con un collega di Ol’ga, che le vuole molto bene, ma è noioso e pedante; Irina ha vent’anni ed è la più giovane e non desidera altro che ritornare a Mosca, per cui sente una tremenda nostalgia. Anche Andrej, unico maschio di famiglia, aspira a una cattedra all’università di Mosca, ma si è innamorato di Nataša, una ragazza del posto che non piace molto alle sorelle, e sta perdendo il suo tempo, invece di dedicarsi seriamente al suo obiettivo. In questo ambiente triste e sospiroso la vera novità è rappresentata dal tenente colonnello Veršinin [leggi: “verscìnin”], ufficiale quarantenne, appena nominato comandante della guarnigione locale, che conosceva bene la famiglia Prozorov a Mosca, quando ancora le tre ragazze erano molto giovani. Gli altri personaggi principali sono Čebutykin [leggi: “cebutùkin”], un medico militare sessantenne che alloggia in casa Prozorov e ogni tanto alza un po’ troppo il gomito; Tuzenbach, un barone giovane e buono, ma brutto, innamoratissimo di Irina; e il capitano Solenyj [leggi: “saliòni”], un tipo cinico e un po’ strano che fa sempre battute di dubbio gusto, anche lui innamorato della ragazza.

Tutta l’azione si svolge in casa delle sorelle: nel primo atto, Veršinin è appena arrivato in città e viene invitato a colazione, nel giorno dell’onomastico di Irina: l’incontro è un’oc-casione per ricordare con nostalgia l’infanzia e la città natale, e per parlare dei desideri per il futuro. A differenza delle sorelle, Veršinin ama la provincia, mentre il suo unico vero dolore è la moglie pazza, che tenta continuamente di uccidersi e rende infelice lui e le sue figlie. Il secondo atto si svolge un anno e mezzo dopo, la sera di carnevale: Andrej è ormai sposato e ha due figli con Nataša (una svampita che pensa solo ai suoi bambini e tradisce il marito con il suo fidanzato di prima), ha dimenticato i suoi sogni di gloria accademica e continua a perdere soldi al gioco; Irina lavora al telegrafo e non smette di sognare Mosca; Veršinin, la cui moglie ha già tentato due volte il suicidio, si è innamorato di Maša, che a sua volta sopporta sempre meno il marito. Il terzo atto si svolge un anno dopo e comincia alle due del mattino di un giorno d’estate, mentre un incendio devasta

Unagestazionedifficile

Ipersonaggi

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15. tra naturalismo e simbolismo:

il dramma europeo di fine ottocento

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una via della città: Andrej è arrivato a ipotecare la casa di famiglia a causa dei suoi debiti di gioco, mentre l’avida e volgare Nataša è diventata insopportabilmente arrogante; Irina ha cambiato lavoro, ma continua a essere infelice, e Maša confessa alle sorelle il suo amore per Veršinin, che sta però per essere trasferito in un’altra città insieme con tutti i suoi soldati. L’ultimo atto si volge in una giornata dell’autunno successivo a mezzogiorno, nel giardino di casa Prozorov, al momento della partenza dei militari: gli ufficiali passano a salutare, Čebutykin si appresta a partire, mentre Irina sposerà l’indomani Tuzenbach, cambiando finalmente vita (lei lavorerà come maestra e lui in una fabbrica di mattoni). Dopo uno straziante addio tra Veršinin e Maša, i soldati se ne vanno, ma si ode da lon-tano un colpo di pistola: Solenyj ha ucciso Tuzenbach in un duello nato da futili motivi, gettando così nella disperazione Irina. La scena si chiude sulle tre sorelle che cercano di farsi coraggio per la vita che verrà.

L’esistenzaumanatrasognoerealtàIl tema di Le tre sorelle è la disillusione. I suoi personaggi hanno dei sogni (un matrimonio felice, un lavoro gratificante, una vita sociale brillante) e, a seconda della loro età e del loro carattere, vivono in modo diverso il loro rapporto con essi. I due estremi sono rappresen-tati da Čebutykin e Tuzenbach: il primo non crede più in nulla e annega nell’alcol i propri dispiaceri; il secondo, al contrario, cerca di concretizzare le proprie speranze con ottimi-smo e fiducia in se stesso e negli altri. Tra queste due posizioni si collocano tutti gli altri personaggi, che hanno capito, chi più chi meno, che sono i sogni a doversi adeguare alla realtà – spesso triste e deludente – e non viceversa. L’attenzione di Čechov si concentra proprio sulle loro reazioni psicologiche, sulla loro capacità di adattamento, sul modo in cui accettano, tollerano, mascherano o scoprono con orrore la realtà che dovranno vivere al posto di quella immaginata e sperata.

Di fronte alla “scoperta” della realtà non sembra esistere una formula vincente. Tutti accusano il colpo duramente e cercano di resistere, di sperare ancora, di illudersi l’ultima volta. Forse l’unico che ha l’atteggiamento giusto è Veršinin, che non per nulla rappresenta la “novità” nel desolato panorama della città di provincia in cui il dramma è ambientato. Egli ha una situazione familiare dolorosa e sa con certezza che la felicità non è un bene raggiungibile, perché essa appartiene per definizione alle generazioni future. La stessa fugacità della sua apparizione (arriva in città all’inizio del dramma ed è nuovamente trasferito alla fine) è simbolo della “leggerezza” delle cose umane, destinate a non durare o – come dice lui stesso – a essere dimenticate. Tutto questo però non gli impedisce di vivere intensamente il presente, impegnandosi nel lavoro che gli è toccato ed esprimendo apertamente i suoi sentimenti: egli si innamora di Maša e intreccia con lei una storia di cui Čechov non ci dice quasi nulla, ma che immaginiamo intensa e sincera, anche se fatta solo di attimi rubati.

Veršinin e Maša sanno però bene che la loro vita non può cambiare e che il loro amo-re resterà solo una parentesi. Quello che ci sarà dopo – per loro come per tutti gli altri – è l’esistenza reale, quella di tutti i giorni, che bisogna vivere e accettare fino in fondo, senza interrogarsi sul suo significato. Come dice Ol’ga alla fine del quarto atto «Oh, care sorelle, la nostra vita non è ancora finita. Vivremo! La banda suona così allegra, con tanta gioia e pare che tra poco anche noi sapremo perché siamo al mondo, perché soffriamo… Ah, saperlo, saperlo!». Ed è su quel rassegnato «saperlo», ripetuto ancora due volte da Ol’ga, che si conclude il dramma, perché una vera risposta non c’è. Del resto Čechov diceva che il compito dello scrittore non è «risolvere i problemi, ma presentarli in modo corretto. Come a una giuria». Sta poi alla giuria, cioè agli spettatori, giudicare.

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UnteatroliricoCome altri drammi di Čechov, Le tre sorelle si presentava al pubblico contemporaneo con delle caratteristiche formali molto innovative, che lo allontanavano dai modelli teatrali consolidati e lo rendevano molto difficile da recitare. Sembra infatti un’opera più di un poeta che di un drammaturgo, priva com’è di azione e di tempi forti: durante i quattro atti non succede quasi niente di concreto e gli unici veri avvenimenti sono l’arrivo di Veršinin e la partenza finale della brigata; tutto il resto (l’incendio e il duello, ad esempio) non viene rappresentato, ma al massimo se ne sentono i rumori (le campane che suonano a stormo, lo sparo) e se ne raccontano gli effetti.

I diversi atti sembrano inoltre slegati tra di loro. Il teatro tradizionale era costruito su uno schema serrato, che prevedeva, dopo le scene introduttive, lo svolgimento dell’azione con un aumento progressivo di tensione, fino al colpo di scena che decideva le sorti dei protagonisti, seguito o meno da un breve epilogo. Qui invece gli atti sembrano dei brevi flash che l’autore apre sugli stati d’animo dei personaggi in momenti diversi della loro esistenza, senza alcun rispetto per la cosiddetta unità di tempo (dal primo al quarto atto passano tre anni e mezzo). Non viene narrata una vera e propria vicenda, quanto piutto-sto la lenta e inesorabile constatazione della fine delle illusioni, annunciata lungo tutto il dramma, ma compiutamente realizzata nell’epilogo, che occupa tutto il quarto atto, in cui la forza della realtà (la partenza dei soldati, l’uccisione di Tuzenbach) ha il sopravvento sul divagare dei sogni.

Alla liricità del dramma contribuisce anche il simbolismo: ci sono cioè delle parole, dei gesti, dei suoni o degli avvenimenti (narrati o percepiti in scena) il cui valore va al di là dell’immediato significato; essi rimandano a una sensazione più generale che l’autore vuole comunicare allo spettatore. Si veda ad esempio, nel primo dei brani che analizzia-mo, il gioco del «solitario», termine che torna per tre volte in un breve spazio; oppure, nel secondo brano, l’incendio con i suoi effetti distruttori; o ancora, infine, lo sparo che si sente nell’ultima scena, di cui nessuno sa ancora nulla, ma che proietta un’atmosfera lugubre sulle parole dei personaggi.

Ultima novità čechoviana è la grande quantità dei personaggi e la contemporanea presenza in scena di molti di loro. Rispetto al teatro ibseniano, centrato su un protagonista e costruito per lo più attraverso “duelli” verbali, qui il parlato diventa ora monologo, ora dialogo contemporaneo di più personaggi, ora confuso rumore di fondo. Si capiscono a questo proposito le difficoltà degli attori, costretti a lavorare molto di più sull’interiorità del personaggio e sui particolari gestuali ed espressivi, il che richiede normalmente un lungo lavoro di regia.

Ilrealismo“esistenziale”Il teatro di Čechov parte da una sincera ricerca di verità e autenticità nelle forme e nei contenuti. Il suo approccio allo spettacolo è profondamente antiretorico e antideclama-torio («Nessuna esigenza scenica giustifica la menzogna» scrive a sua moglie, attrice del Teatro d’Arte) e le sue scelte tematiche sono fortemente legate alla società contemporanea e alla vita reale delle persone: «nella vita la gente non si spara, non ci si impicca, non fa dichiarazioni d’amore ogni momento. Né si dicono ad ogni momento cose intelligenti. La gente per lo più beve, mangia, fa la corte, dice sciocchezze. Dunque bisogna che tutto questo si veda sulla scena. Bisogna fare una commedia dove la gente venga, vada via, mangi, parli del tempo, giochi a carte. Ma non perché questo serve all’autore, ma perché così avviene nella vita reale». Nelle sue opere troviamo così la Russia zarista della crisi, ripiegata su se stessa, senza una vera idea del futuro, con le sue oscure città di provincia,

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le sue case di campagna ipotecate, i suoi sogni irrealizzabili di gloria artistica e letteraria, i suoi debiti di gioco, i suoi funzionari pedanti e i suoi ufficiali annoiati.

Čechov non è però interessato tanto alla dimensione sociale dei suoi personaggi, quanto piuttosto a quella esistenziale, che è nello stesso tempo specifica e universale. Come diceva il suo regista Stanislavskij, «le sue opere teatrali sono molto ricche di azione, non però nello sviluppo esterno, ma in quello interno. Anche nella inazione dei perso-naggi da lui creati si nasconde una complessa azione interiore… Ecco perché si sbagliano coloro che rappresentano la trama in sé e per sé, sfiorando la superficie, accentuando le linee esterne delle parti e non creando le immagini interne e la vita interiore… In Čechov è interessante l’anima dei suoi personaggi». Attraverso di loro egli rappresenta un’umanità debole e sofferente che non riesce a realizzare i sogni della sua infanzia e la cui maturità non è altro che una lunga serie di delusioni a cui ci si deve per forza adattare. La macchi-na fotografica ibseniana è diventata una cinepresa lasciata accesa sulla banalità della vita quotidiana, in attesa che qualcosa scuota il torpore esistenziale dei personaggi.

L’interiorizzazionesimbolica

ANTON CEChOVIl futuro e la felicità

Siamo all’inizio del secondo atto. Veršinin ha appena dichiarato il suo amore a Maša; Irina è rientrata dal suo lavoro al telegrafo, accompagnata dal fedelissimo Tuzenbach; Cebutykin ha fatto la sua comparsa nel salone dopo la lunga siesta. I discorsi quotidiani di casa Prozorov s’intrecciano, mentre Maša e Veršinin avviano a distanza un dialogo sulla felicità, un bene che – sostiene lui, contro il parere dell’ottimista Tuzenbach – sarà solo delle generazioni future.

TESTO32

IrIna: Perché ve ne state zitto, Aleksandr Ignat’ic?VeršInIn: Non so. Vorrei del tè. Metà della mia vita per un bicchiere di tè. Non tocco cibo da questa

mattina…ČebutykIn: Irina Sergeevna1! IrIna: Comandi.ČebutykIn: Venite qua. Venez ici2. Irina va alla tavola e si siede. Non riesco a stare senza di voi3. Irina dispone un solitario.VeršInIn: Ebbene, se non ci portano il tè, ci lascino almeno filosofare un po’.tuzenbach: Suvvia. Da che cosa cominciamo?VeršInIn: Da che cosa? Sogniamo un po’… per esempio, quella vita che ci sarà dopo di noi, fra

due, trecento anni.tuzenbach: Ah, dopo di noi voleranno in pallone aerostatico4, cambieranno le giacche, scopriranno

probabilmente un sesto senso e lo svilupperanno chissà come, ma la vita resterà tale e quale,

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1. Sergeevna: [leggi: “serghiévna”] lette-ralmente “figlia di Sergej”; in Russia l’uso del nome accompagnato dal patronimico (il nome derivato da quello del padre mediante l’aggiunta di un suffisso) è uno dei modi più

comuni per chiamare una persona.2. Venez ici: [leggi: “vené isì”] lo stesso invito in francese, lingua dei ceti cólti nella Russia dell’Ottocento.3. Non riesco … voi: perché Irina suscita in

Čebutykin il ricordo della madre di lei, della quale egli era stato innamorato.4. pallone aerostatico: la mongolfiera, il cui prototipo era stato realizzato nel 1783 dai fra-telli Montgolfier.

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dura, piena di misteri e felice. E fra mille anni l’uomo sospirerà proprio come oggi: “Ah, che pena vivere!”, e poi, proprio come adesso, avrà paura e rifiuterà la morte.

VeršInIn: [pensieroso] Che vi posso dire? A me pare che su questa terra tutto dovrà cambiare, a poco a poco, anzi stia già cambiando, sotto i nostri occhi. Fra due, trecento, mille anni, non è que-stione di tempo, comincerà una vita nuova, felice. Noi non la vedremo questa vita, ma oggi viviamo per lei, lavoriamo, soffriamo, la creiamo, e solo in questo sta la ragione del nostro essere, se volete, della nostra felicità.

Maša ride sottovoce.tuzenbach: Che c’è da ridere?Maša: Non so. È da questa mattina che rido.VeršInIn: Io ho fatto la stessa vostra scuola, all’accademia non ci sono andato; leggo molto sì, ma

di scegliere i libri non sono capace e leggo, probabilmente, ciò che non dovrei. Comunque più vivo, più mi viene voglia di sapere. I capelli imbiancano, sono quasi vecchio, ma so molto poco, molto poco! Comunque l’essenziale mi sembra di averlo imparato e di conoscerlo come si deve. Ah, quanto mi piacerebbe riuscire a dimostrarvi che la felicità non esiste, non deve esistere e non esisterà per noi… Noi dobbiamo soltanto lavorare e ancora lavorare, mentre la felicità toccherà ai nostri nipoti, ai nostri lontani nipoti.

Pausa.Ai nipoti dei miei nipoti. Fedotik e Rode5 compaiono nel salone; prendono posto e canterellano sottovoce accompagnan-

dosi con la chitarra.tuzenbach: Secondo voi neanche sognarla si potrebbe, la felicità! Ma se io sono così felice!VeršInIn: No.tuzenbach: [con un gesto di meraviglia e ridendo] È chiaro che non ci capiamo. Come posso fare

per convincervi? Maša ride sottovoce. [Mostrandole il dito]. Ridete, ridete! [A Veršinin]. Non tra due o trecento anni, ma fra un milione

di anni la vita resterà tale e quale; la vita non cambia, rimane eterna, seguendo le proprie leggi, contro le quali voi nulla potrete, o per lo meno che mai arriverete a conoscere. Gli uc-celli migratori, le gru, per esempio, volano e volano, e indipendentemente da quali pensieri, sublimi o meschini, attraversino le loro menti, continueranno a volare senza sapere perché e dove. Volano e voleranno, per quanti filosofi si possano trovare fra di loro; e che filosofeggino pure, come vogliono, purché continuino a volare…

Maša: E il senso dove sta?tuzenbach: Il senso… Poniamo: nevica. Il senso dove sta? Pausa.Maša: L’uomo, io credo, deve essere credente o cercare una fede, altrimenti la vita è vuota, vuota…

Vivere e non sapere perché volano le gru, perché nascono i bambini, perché ci sono le stelle in cielo… O sapere perché siamo al mondo, o altrimenti è tutto una sciocchezza, un’idiozia.

Pausa.VeršInIn: Peccato però che la giovinezza se ne sia andata…Maša: Gogol6 dice: che noia la vita in questo mondo, signori!

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5. Fedotik e Rode: due ufficiali.6. Gogol: famoso scrittore russo (1809-1852), autore di commedie, romanzi e novelle, da una delle quali è tratta la frase che segue.

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tuzenbach: E io dico: è difficile discutere con voi, signori! Io proprio di voi…ČebutykIn: [leggendo il giornale] Balzac si è sposato a Berdičev7. Irina canterella sottovoce. Me lo scrivo addirittura sul taccuino. [Prende nota]. Balzac si è sposato a Berdičev. [Legge il

giornale].IrIna: [dispone un solitario] Balzac si è sposato a Berdičev.tuzenbach: Il dado è tratto8. Sapete, Marija Sergeevna, che ho dato le dimissioni?Maša: L’ho sentito dire. E non ci trovo niente di buono. Non mi piacciono i borghesi.tuzenbach: Non fa nulla… [Si alza]. Io non son bello, che militare sarei? E poi è lo stesso… Lavo-

rerò. Almeno una giornata di lavoro nella mia vita, per arrivare a casa la sera e buttarmi a letto stravolto e addormentarmi di colpo. [Andando verso il salone]. Gli operai, bisogna credere, dormiranno sodo!

FedotIk: [a Irina] Da Pyžikov, in via Moskovskaja, ho appena comprato per voi due pastelli colorati. E questo temperino…

IrIna: Continuate a trattarmi come una bambina, ma sono grande ormai… [Prende i pastelli e il temperino, felice]. Che bellezza!

FedotIk: Anche per me ho comprato un temperino… guardate… una lama, un’altra lama, una terza, questo è per pulire le orecchie, queste sono forbicine, e questo per le unghie…

rode: [ad alta voce] Dottore, quanti anni avete?ČebutykIn: Io? Trentadue. Risate9.FedotIk: Adesso vi mostro un altro solitario… [Dispone il solitario]. Portano il samovar10; Anfisa11 sta accanto al samovar; poco dopo arriva Nataša che si affac-

cenda anche lei attorno al tavolo; arriva Solenyj e, dopo aver salutato, si siede a tavola.VeršInIn: Ma che vento!Maša: Sì. Sono stufa dell’inverno. Mi sono già dimenticata com’è fatta l’estate.IrIna: Il solitario riesce, lo vedo già. Andremo a Mosca.FedotIk: No, non riesce. Vedete, l’otto sta sul due di picche. [Ride]. Quindi niente Mosca.ČebutykIn: [legge il giornale] Zizicar. Infuria il vaiolo.anFIsa: [avvicinandosi a Maša] Maša, il tè è pronto, cara. [A Veršinin]. Prego, eccellenza… scusatemi,

ho dimenticato il vostro nome e patronimico12…Maša: Porta qui, balia. Non mi voglio muovere.IrIna: Balia!anFIsa: Eccomi!nataša: [a Solenyj] I lattanti capiscono alla perfezione. “Buon giorno, Bobik13, gli dico. Buon giorno,

tesoro!”. E lui mi guarda in un modo tutto speciale. Pensate che sia solo la madre in me a parlare, ma non è così, vi assicuro! Si tratta di un bambino eccezionale.

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7. Balzac … Berdičev: è una delle battute che Čechov inviò a Mosca dal suo soggiorno in Costa Azzurra. Il grande romanziere france-se si era sposato nel 1850 con la ricchissima nobildonna polacca Évelyne hanska nella città ucraina di Berdičev, dopo una storia d’amore durata molti anni.8. Il dado è tratto: “il dado è stato lanciato”.

Famosa frase attribuita dai biografi a Giulio Cesare quando diede inizio alla guerra civile contro il suo avversario Pompeo, attraversan-do il fiume Rubicone nel 49 a.C. Significa che ormai la decisione è stata presa e non si può più tornare indietro.9. Risate: perché il dottore ne ha, in realtà, quasi sessanta.

10. samovar: recipiente di metallo per riscal-dare e conservare l’acqua per il tè.11. Anfisa: la vecchia domestica.12. patronimico: nome derivato da quello del padre attraverso l’aggiunta di un suffisso. Veršinin si chiama Aleksandr Ignat’ič (cioè “figlio di Ignat”).13. Bobik: è il figlio di Andrej e Nataša.

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14. la faccenda di Panama: il crollo della Compagnia per il taglio dell’istmo di Panama nel 1889, che travolse migliaia di piccoli risparmiatori francesi.

solenyj: Se questo bambino fosse mio, lo friggerei in padella e me lo mangerei. [Va con un bicchiere in salotto e si siede in un angolo].

nataša: [coprendosi il viso con le mani] Cafone, maleducato!Maša: Beato chi non capisce se siamo in estate o in inverno. Credo che se fossi a Mosca non mi

importerebbe niente del tempo che fa…VeršInIn: Giorni fa leggevo il diario scritto in carcere da un ministro francese. Il ministro era

stato condannato per la faccenda di Panama14. Con che trasporto e entusiasmo scrive degli uccelli che vedeva dalla finestra della sua cella e che prima, quand’era ministro, non notava neppure. Adesso che è stato rimesso in libertà, certamente tornerà a non accorgersi più di loro. E altrettanto farete voi con Mosca, quando tornerete a viverci. La felicità non possiamo averla, non esiste: la desideriamo soltanto.

tuzenbach: [prende una scatola dal tavolo] Dove sono le caramelle?IrIna: Le ha mangiate Solenyj.tuzenbach: Tutte?anFIsa: [servendo il tè] Una lettera per voi, signore.VeršInIn: Per me? [Prende la lettera]. È di mia figlia. [Legge]. Sì, certo… Mi scuserete, Marija Serge-

evna, me ne devo andare. Non berrò neppure il tè. [Si alza agitato]. Sempre le stesse storie…Maša: Cos’è successo, se non si tratta di un segreto?VeršInIn: [sottovoce] Mia moglie si è di nuovo avvelenata. Bisogna che vada. Cercherò di non farmi

notare. È tutto tremendamente spiacevole. [Bacia la mano a Maša]. Mia cara, buona, bellissi-ma amica… Passerò di qua, senza dar nell’occhio… [Esce].

(da A.P. Čechov, Le tre sorelle, Atto II, in Teatro, trad. it. di G.P. Piretto, Milano, Garzanti, 2003.)

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FrAmmentIdIVIteLEGGIAMO INSIEME

nSolitudiniintrecciateNella scena che abbiamo appena letto sono presenti molti dei personaggi che costituiscono il cast di Le tre sorelle. Radunati nel salone di famiglia, come spesso succede nel teatro čechoviano, essi intreccianodiscor-siperlopiùcasuali, come persone che si trovano a condividere uno stesso spazio senza averlo scelto. Dif-ficilmente si nota una partecipazione reciproca, un’em-patia che coinvolga gli interlocutori: è come se ognuno proseguisse invece per una sua strada, già determinata in partenza, con poche o nessuna possibilità di modifi-care il suo percorso.All’inizio Irina chiede a Veršinin perché è così taciturno, ma poi viene subito chiamata da Čebutykin. Lei rispon-de disponendoun«solitario», che simbolicamente ri-manda alla condizione sua e del dottore (entrambi non sono sposati: lei perché non ha ancora trovato l’anima gemella; lui perché vi ha rinunciato per la sua “fedeltà”

alla madre di Irina, di cui è stato a lungo innamorato). Dopo la parentesi del dialogo sulla felicità e sul futu-ro, mentre i due ufficiali appena entrati «canterellano […] con la chitarra», Čebutykin prende la parola con la frase sul matrimonio di Balzac (lui sì che si è sposato, sembra dire…), che viene ripetuta meccanicamente da Irina (che «dispone» un altro «solitario»). Poi interviene Tuzenbach con l’annuncio della sua decisione, subito disapprovata da Maša. Ora parlano idueufficiali: uno per dare a Irina un regalo, l’altro per chiedere l’età al dottore, che risponde con una battuta. Mentre tutti ri-dono, anche il primo ufficiale «dispone un solitario». A questo punto partono deirapididuettiparalleli, in-frammezzati dal solito Čebutykin che legge una notizia sul vaiolo: Maša-Veršinin sul tempo, Irina-Fedotik su Mosca, Nataša-Solenyj sul bambino, Tuzenbach-Irina sulle caramelle.Parole e gesti assolutamente banali e sganciati l’uno

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dall’altro, conferiscono alla scena uncaratterenellostessotemporealisticoesimbolico,esprimendosolitu-dine,incomunicabilità,disillusione,noia. Non c’è alcu-na drammaticità, nessuna suspense, nessun momento forte. La vita scorre senza sussulti e senza attrattive; neanche la notizia del tentato suicidio della moglie di Veršinin provoca scompiglio: «Sempre le stesse sto-rie…» è il suo significativo commento prima di uscire «senza dar nell’occhio».

nmašaeVeršinin:lafelicitàimpossibileNella scena c’è però un vero dialogo, prima a distanza, poi ravvicinato: quellotramašaeVeršinin, che si svol-ge attraverso la mediazione involontaria di Tuzenbach. Va ricordato che Veršinin ha da poco dichiarato il suo amore a Maša, la quale si è messa a ridere (un riso non certo allegro, che continua insistentemente anche in questa scena). Veršinin sostiene che «la felicità non esiste, non deve esistere e non esisterà per noi… Noi dobbiamo soltanto lavorare e ancora lavorare, mentre la felicità toccherà ai nostri nipoti, ai nostri lontani ni-poti» (da notare il peso di questo «lontani»). Il mes-saggio per Maša è chiaro: nessunodiloroduepotrànédovràcambiarelapropriacondizione (lei non ama più suo marito, lui ha una moglie depressa), nonostante il loro reciproco affetto. Maša lo sa bene e ride (per non piangere?): già nella scena della dichiarazione aveva detto che Veršinin poteva anche continuare a parlarle d’amore, tanto era «lo stesso», e si era coperta il viso con le mani. Quello che però lei non accetta è l’idea che la sofferenza presente sia giustificata solo con un’ipo-tetica felicità futura: «L’uomo, io credo, deveessere

credenteocercareunafede,altrimentilavitaèvuota, vuota…». Veršinin a questa domanda non ha risposta e si lascia prendere dalla nostalgia per la giovinezza, mentre Maša conclude che la vita è solo «noia». A que-sto punto ritorna il pensiero di Mosca: là sì che si po-trebbe essere felici e non pensare se è inverno o estate. Ma Veršinin è pessimista: ovunque è la stessa cosa, la felicità non esiste. La prova immediata di questa affer-mazione è naturalmente la sua rapida uscita di scena per l’abituale tentato suicidio della moglie.

ntuzenbach,odell’ottimismoL’unico ottimista del gruppo (e delle Tre sorelle in ge-nerale) è il giovane barone. Secondo lui il mondo non cambierà mai veramente (anche se ci saranno molti pro-gressi tecnici) e gli uomini continueranno come oggi a domandarsi inutilmente il senso delle cose. Ma le leggi della vita sono inconoscibili: gli uccelli migratori volano, la neve cade; perché tutto questo deve per forza avere un significato? Invece di fare i filosofi, megliolavorareean-dareadormirestravolti, ma sereni, come gli operai. Del resto lui così ha fatto: ha dato le dimissioni dall’esercito e lavorerà in una fabbrica di mattoni. Tuzenbach sembra così avere trovato la via di uscita dalla noia čechoviana: poca filosofia e scelte concrete, guardando con fiducia al futuro (non quello dei posteri, ma il proprio). Tuttavia, alla fine del dramma – non a caso –, proprio lui finirà ammazzatoperunostupidoduello: quasi una fine ro-mantica, per una donna che però, il giorno prima del ma-trimonio, gli confesserà di non amarlo. Alla fine dunque ha ragione Veršinin: «La felicità non possiamo averla, non esiste: la desideriamo soltanto».

Attività

PercAPIre

1. Che cos’hanno in comune Čebutykin e Irina?

2. Che cosa pensa Veršinin della felicità?

3. Perché Maša ride?

4. Qual è il significato del lavoro per Tuzenbach?

5. Che significato hanno le battute del dottore?

6. Qual è il ruolo degli altri personaggi?

PerAPProFondIre

7. Che cosa pensano i diversi personaggi del senso della vita? In che cosa consiste per Maša, Veršinin e Tuzenbach?

8. Perché i personaggi non fanno attenzione a quello che dicono gli altri?

9. Rintraccia nella scena i passi dove maggiormente emerge il tema della solitudine.

10. Quali sono secondo te i significati della scena? Quale impressione deve lasciare sullo spettatore? Ar-gomenta le tue risposte.

PerScrIVere

11. Scrivi un ritratto di Maša.

12. Immagina un dialogo tra te stesso e Veršinin sulla felicità.

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ANTON CEChOVSperanze e realtà

Siamo nel terzo atto, nella camera di Ol’ga e Irina. Sono le due di notte e nessuno è ancora andato a letto, anche perché in città è scoppiato un incendio e le campane suonano a stormo. Mentre Irina rievoca con struggimento le sue speranze svanite nel nulla, Maša confessa il suo amore travolgente (e disperato) per Veršinin, e Andrej cerca di difendere davanti alle sorelle le sue scelte di vita e di lavoro. La scena comincia con Maša che manda via dalla stanza Tuzen-bach e suo marito, che si sono addormentati.

TESTO33

tuzenbach: [svegliandosi] Sono stanco… La fabbrica di mattoni1… Non sto delirando, davvero. Presto andrò alla fabbrica di mattoni e inizierò a lavorare… ho già preso accordi. [A Irina tenera-mente]. Siete cosi pallida, splendida, incantevole… Mi sembra che il vostro pallore rischiari le tenebre, come la luce… Siete triste, scontenta della vita… Oh, venite con me, andiamo insieme a lavorare!

Maša: Nikolaj L’vovič, andatevene.tuzenbach: [ridendo] Ah, siete qui. Non vi vedo. [Bacia la mano a Irina]. Addio, me ne vado… Vi

guardo e mi torna in mente che tanto tempo fa, nel giorno del vostro onomastico, voi allegra e piena di baldanza2 parlavate delle gioie del lavoro3… E come mi sorrideva la vita allora! Dove è finita? [Le bacia la mano]. Avete le lacrime agli occhi. Andate a coricarvi, fa già chiaro… è l’alba… Se mi fosse concesso di offrire la mia vita per la vostra!

Maša: Nikolaj L’vovič, andatevene! Diamine…tuzenbach: Vado… [Esce].Maša: [si corica] Dormi, Fedor4? kulygIn: Eh?Maša: Dovresti andare a casa.kulygIn: Mia cara Maša, mia dolce Maša…IrIna: È sconvolta. Lasciala riposare, Fedja.kulygIn: Adesso vado… Moglie mia cara, meravigliosa… Ti amo, te sola…Maša: [seccata] Amo, amas, amat, amamus, amatis, amant5.kulygIn: [ride] No, è davvero straordinaria. Sono sposato con te da sette anni, ma mi sembra ieri.

Parola d’onore. No, sei davvero una donna straordinaria. Sono contento, contento, contento!Maša: Sono stufa, stufa, stufa… [Si alza e parla rimettendosi seduta]. E non riesco a togliermi

quest’idea di testa… Mi sta ossessionando. Mi si è ficcata in testa come un chiodo, non posso più tacere. Ce l’ho con Andrej… ha ipotecato la casa6, i soldi li ha presi tutti sua moglie, la ca-sa però non appartiene solo a lui ma a tutti e quattro! Lo dovrebbe sapere se è un galantuomo.

kulygIn: Ma che voglia di prendertela, Maša! Ma perché? Andrjuša è pieno di debiti, che Dio lo assista.

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1. La fabbrica di mattoni: Tuzenbach si è dimesso dall’esercito e ha deciso di andare a lavorare in una fabbrica per meglio occupare il suo tempo.2. baldanza: spavalderia.3. nel giorno … lavoro: Tuzenbach rievoca la scena del primo atto, in cui Irina aveva escla-mato raggiante di felicità: «Oggi, quando mi sono svegliata, alzata e lavata, all’improvviso mi è parso di vedere tutto chiaro e di sape-

re come bisogna vivere. […] L’uomo deve faticare, lavorare fino a far sudare la fronte, chiunque egli sia, e solo in questo stanno il senso e la ragione della sua vita, la sua felici-tà, le sue gioie. Com’è bello essere un operaio che si alza al far del giorno e spacca le pietre sulla strada, o un pastore, o un maestro che insegna ai bambini, o un macchinista delle strade ferrate… Mio Dio, se no perché essere uomini, meglio essere un bue, un semplice

cavallo che una di quelle donnette che si alza-no a mezzogiorno, prendono il caffè a letto, poi stanno due ore a vestirsi…».4. Fedor: leggi: “fiòdor”.5. Amo … amant: (latino) amo, ami, ama, amiamo, amate, amano (coniugazione del presente indicativo).6. Ha ipotecato la casa: per pagare i suoi de-biti di gioco.

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Maša: In ogni modo io non sto tranquilla. [Si corica].kulygIn: Noi non siamo poveri. Io lavoro, vado al ginnasio, poi do lezioni… Sono un galantuomo.

Semplice… Omnia mea mecum porto7, come si suol dire.Maša: Io non ho bisogno di niente, è l’ingiustizia che mi agita.

Pausa. Va’, Fedor.kulygIn: [la bacia] Sei stanca, riposa una mezz’oretta, io mi metto di là e ti aspetto. Dormi… [Va].

Sono contento, contento, contento. [Esce].IrIna: Certo quanto è cambiato il nostro Andrej, come si è fatto meschino e vecchio accanto a quel-

la donna! Una volta aspirava a diventar professore, e ieri si vantava di essere finalmente stato nominato socio del consorzio8. Lui è socio del consorzio, e Protopopov9 presidente… Tutta la città parla, ride, e lui è l’unico a non sapere niente, a non vedere niente… Anche adesso tutti sono corsi all’incendio e lui se ne sta nella sua stanza come se niente fosse. Sempre a suonare quel violino. [Nervosamente]. Oh, è terribile, terribile, terribile! [Piange]. Non ce la faccio, non ce la faccio a sopportare ancora!… Non posso, non posso!…

Entra Ol’ga, e mette in ordine il suo comodino. [Singhiozza ad alta voce]. Portatemi via, via, non ne posso più!…Ol’ga: [spaventata] Che hai, cara? Che ti succede?IrIna: Dove? Dove sono finite le nostre speranze? Dove sono? Oh, Dio mio, Dio mio! ho dimenti-

cato tutto, tutto… che confusione ho in testa… Non ricordo nemmeno come si dice in francese finestra10, o che so, soffitto… Dimentico tutto, di giorno in giorno, e la vita se ne va per non tornare più, mai, mai partiremo per Mosca… Vedo bene che non partiremo…

Ol’ga: Cara, cara…IrIna: [controllandosi] Oh, infelice che sono… Non ce la faccio a lavorare, non lavorerò. Basta, basta!

Sono stata telegrafista, adesso sono impiegata al municipio e odio, disprezzo tutto ciò che mi danno da fare… ho già ventiquattro anni, lavoro da tanto tempo, mi si è inaridita la mente, sono dimagrita, imbruttita, invecchiata e niente, niente, nessuna soddisfazione, e il tempo passa e mi sembra di andar sempre più lontano dalla vita vera e bella, verso chissà quale precipizio. Sono disperata, disperata! E come faccio ad essere ancora viva, come ho fatto a non suicidarmi non lo capisco proprio…

Ol’ga: Non piangere, bambina mia, non piangere… Quanto soffro.IrIna: Non piango, non piango… Basta… Vedi, non piango più. Basta… basta!Ol’ga: Cara, ti parlo da sorella, da amica, se accetti il mio consiglio, sposa il barone11!

Irina piange silenziosamente. Tu lo stimi, lo apprezzi molto… Non è bello, è vero, ma è così per bene, così corretto… Ci si

sposa non per amore, ma solo per compiere il proprio dovere. Per lo meno, io la penso così, io mi sposerei senza amore. Chiunque mi chiedesse in moglie accetterei, purché fosse un galantuomo. Persino un vecchio sposerei…

IrIna: Continuavo a sperare che ci saremmo stabilite a Mosca, là avrei incontrato l’uomo della mia vita, quanto l’ho sognato, amato… Ma evidentemente sono tutte fantasie, storie…

Ol’ga: [abbraccia la sorella] Mia cara, bellissima sorella, come ti capisco; quando il barone Nikolaj

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7. Omnia … porto: (latino) “porto con me tutte le mie cose”. Detto attribuito a diversi personag-gi del mondo antico per significare che i veri be-ni sono quelli spirituali e non quelli materiali.

8. consorzio: organo amministrativo locale.9. Protopopov: l’uomo con cui sua moglie Nataša lo tradisce.10. Non ricordo … finestra: nel primo atto

Andrej aveva spiegato che il padre aveva fatto studiare a tutti loro tre lingue, perché aveva la «mania dell’educazione».11. il barone: Tuzenbach.

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L’vovič ha abbandonato la carriera militare ed è arrivato da noi in borghese, mi è sembrato tanto brutto che mi sono addirittura messa a piangere… E lui chiedeva: “Perché piangete?”. Cosa potevo rispondergli! Ma se Dio volesse che tu lo sposassi, allora sarei felice. Le cose cambiano, cambiano molto.

Nataša con una candela in mano attraversa la scena in silenzio, dalla porta di destra a quella di sinistra.

Maša: [si siede] Cammina come se l’incendio l’avesse appiccato lei.Ol’ga: Sei stupida, Maša. La più stupida della famiglia. Scusami, ma è così.

Pausa.Maša: Devo sfogarmi, sorelle care. La mia anima è in pena. Mi confido con voi e con nessun altro,

mai più… Adesso, qui. [Sottovoce]. È un mio segreto, ma voi dovete sapere tutto… Non posso tacere…

Pausa. Io amo, amo… Amo quell’uomo… Lo avete appena visto… Sì, quello che era qui. In poche

parole, io amo Veršinin…Ol’ga: [si ritira dietro il suo paravento] Lascia perdere. Non ti starei a sentire.Maša: Che ci posso fare! [Si afferra la testa con le mani]. Da principio mi sembrava strano, poi mi

ha fatto pena… poi mi sono innamorata… innamorata della sua voce, delle sue parole, delle sue disgrazie, delle sue bambine…

Ol’ga: [da dietro il paravento] Non ti ascolto, è inutile. Qualunque sciocchezza tu dica, non ti ascolto.

Maša: Eh, fai presto tu, Olja12. Io amo, questo è il mio destino. La mia sorte vuole così… Anche lui mi ama… E tutto ciò è terribile. Non è vero? Non c’è niente di buono in questo. [Attira a sé Irina prendendola per un braccio]. Oh, mia cara… La vivremo questa nostra vita, che ne sarà di noi… Quando si legge un romanzo si ha l’impressione che siano tutte storie scontate, ma chiare, quando sei tu ad innamorarti, invece, capisci che nessuno sa niente e ciascuno deve decidere per se stesso… Care mie, sorelle mie… La mia confessione l’ho fatta, ora tacerò… farò come il pazzo di Gogol13… silenzio… silenzio…

Entra Andrej.andrej: […] Dov’è Ol’ga?Ol’ga esce dal suo paravento. Ti stavo cercando, dammi la chiave dell’armadio, ho perso la mia. Tu hai una chiavetta da

qualche parte.Ol’ga gli porge la chiave in silenzio. Irina si ritira dietro il suo paravento; pausa.

[…] Perché te ne stai zitta, Olja?Pausa.

È ora che la smettiamo con queste sciocchezze e questi musi lunghi… Tu, Maša, sei qui, Irina è qui, benissimo: ci spiegheremo a meraviglia, una volta per tutte. Perché ce l’avete tanto con me? Che c’è?

Ol’ga: Lascia perdere, Andrjuša14. Ci spiegheremo domani. [Agitata]. Che notte terribile!andrej: [molto turbato] Non ti agitare. Vi domando con tutta calma: che cosa avete contro di me?

Parlate chiaro.

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12. Olja: diminutivo di Ol’ga.13. il pazzo di Gogol: allusione al protagonista del racconto dello scrittore russo Gogol Dia-

rio di un pazzo (1835), un povero impiegato pietroburghese che, per sfuggire alla sua infe-licissima condizione, sogna un mondo fanta-

stico, sprofondando a poco a poco nella follia.14. Andrjuša: [leggi: “andriùscia”] diminutivo di Andrej.

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La voce di Veršinin: “Tram – tam – tam15!”.Maša: [si alza, ad alta voce] Tra – ta – ta! [A Ol’ga]. Addio, Ol’ga, Dio sia con te. [Va dietro il pa-

ravento, bacia Irina]. Dormi tranquilla… Addio, Andrej. Lasciale, sono sfinite… domani ti spiegherai… [Esce].

Ol’ga: Davvero, Andrjuša, rimandiamo a domani… [Si ritira dietro al paravento]. Dobbiamo dor-mire.

andrej: Una cosa sola e me ne vado. Adesso… Prima di tutto voi ce l’avete con Nataša, mia moglie, cosa che ho notato fin dal giorno del mio matrimonio. Se volete la mia opinione, Nataša è una persona meravigliosa, onesta, franca e nobile; sì, è così. Io amo e stimo mia moglie, è chiaro, e pretendo che la stimino anche gli altri. È una persona onesta e nobile, lo ripeto, e tutte le vostre lamentele non sono che capricci…

Pausa. In secondo luogo, quel vostro rancore perché non ho avuto la cattedra, perché non vivo di

scienza. Sono o no un impiegato del consorzio, ne sono o no un membro ufficiale? E questo impiego lo considero altrettanto sacro e illustre di quello all’università. Sono un socio del consorzio locale e, se volete saperlo, ne sono fiero…

Pausa. Terzo… Non ho ancora finito… ho ipotecato la casa senza chiedere la vostra autorizzazione…

Ammetto la mia colpa e ve ne chiedo scusa. Sono stato costretto dai debiti… trentacinquemi-la… ho smesso di giocare a carte, da tempo, ma quel che posso dire a mia difesa, è che voi sorelle avete una pensione, mentre io non ho… introiti, per così dire…

Pausa.kulygIn: [sulla porta] C’è Maša qui? [Preoccupato]. Ma dov’è? È strano… [Esce].andrej: Non mi ascoltano. Nataša è una persona eccezionale, onestissima. [Cammina in silenzio

per la scena, poi si ferma]. Quando mi sono sposato pensavo che saremmo stati felici… tutti felici… Ma Dio mio… [Piange]. Care sorelle mie, carissime sorelle, non datemi ascolto, non credetemi… [Esce].

kulygIn: [sulla porta, agitato] Dov’è Maša? Non è qui? Ma che strano. [Esce]. Campane a martello, la scena è vuota.IrIna: [da dietro il paravento] […] Olja! Chi batte al pavimento?Ol’ga: È il dottor Ivan Romanyč. È ubriaco.IrIna: Che notte d’inferno!

Pausa. Olja! [Sporge il capo da dietro il paravento]. hai sentito? Trasferiscono la brigata lontano, ce la

portano via.Ol’ga: Sono solo voci.IrIna: Resteremo solo noi… Olja!Ol’ga: Ebbene?IrIna: Cara, dolce Olja, io stimo, apprezzo il barone, è una persona meravigliosa, lo sposerò, sono

d’accordo, ma andiamo a Mosca! Ti imploro, andiamo! Al mondo meglio di Mosca non c’è niente! Andiamo, Olja! Andiamo!

(da A.P. Čechov, Le tre sorelle, Atto III, in Teatro, op. cit.)

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15. Tram – tam – tam: Veršinin e Maša dialogano tra di loro da qualche minuto cantando un motivetto comune.

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LA fINE dELLE ILLuSIONILEGGIAMO INSIEME

nIlpiantodiIrinaIl brano che abbiamo letto conclude il terzo atto e pre-para lo spettatore all’epilogo della vicenda. Sullo sfon-do di un incendio che devasta un quartiere della città si svolge una scena in cui le tre sorelle e il fratello si rendono conto della distanzaabissaletraidesideripas-satielarealtàpresente. L’incendio non è naturalmente un dettaglio casuale: lo si capisce da una battuta di Fedotik, che dice a Irina poco prima della parte ripor-tata: «Bruciato, tutto bruciato! Piazza pulita! […] Non c’è rimasto niente. Anche la mia chitarra, e la macchi-na fotografica, tutte le mie lettere, è bruciato tutto… Vi volevo regalare un taccuino, è bruciato anche quello». Ilfuocodistruttoreanticipailtemadellaperditadelleillusioniedelladesolazionedelpresente, in cui non resta più nulla dei sogni della gioventù.È Tuzenbach a introdurre l’argomento con la sua osser-vazione sul tempo che è passato e ha cambiato Irina e lui stesso. Dopo lo sfogo di Maša su Andrej, Irina riprende il tema, con la constatazione che il fratello è cambiato, diventando «meschino e vecchio» accan-to alla moglie: prima aspirava a diventare professore universitario a Mosca e ora sembra contento di essere membro dell’amministrazione locale, di farsi tradire da Nataša e di perdere tutti i suoi soldi al gioco. La “caduta” del fratello è per Irina unospecchiodelpro-priodestinodiventennedibellesperanze, costretta a passare la vita in una incolta cittadina di provincia («Dove? Dove sono finite le nostre speranze?»). Lo sfogo diventa subito una crisi isterica che Ol’ga, la più materna delle sorelle, calma con difficoltà. Irina si sente infatti «imbruttita, invecchiata», non ha mai «nessuna soddisfazione», mentre «il tempo passa» e la porta «sempre più lontano dalla vita vera e bella, verso chis-sà quale precipizio». Rispetto a lei, gli altri personaggi sembrano avergiàinqualchemodocapitocomefun-zionanolecoseeavereaccettatoillorodestino: Ol’ga, realista e rassegnata, consola teneramente la sorella, come si fa con qualcuno che ha appena scoperto una verità dolorosa e inevitabile, e le consiglia di sposare Tuzenbach; Maša sa già che dovrà rinunciare al suo amore per Veršinin e tenersi il marito che non ama; Andrej infine è il primo a non credere all’appassionata difesa delle proprie condizioni di vita.

nmasa,AndrejeilmatrimonioIl consiglio di Ol’ga, subito accettato da Irina, rimanda al secondo tema importante della scena, quello del ma-trimoniocomeluogodelnonamore. Molto significative a questo riguardo le due battutediKulyginemasa: al marito che dice teneramente «Adesso vado… Moglie mia cara, meravigliosa… Ti amo, te sola…», lei risponde «seccata» con la coniugazione latina del verbo amo, co-

me a dire che il suo amore è diventato per lei un’insulsa regola grammaticale (un marito che lei aveva sposato credendolo un genio, ma che si è poi rivelato un noioso e pedante professore di liceo). Il matrimonio è insom-ma per Maša il simbolo stesso della disillusione e del fallimento della propria vita. Anche Andrej vive la stessa realtà, maglieffettisudiluisonopeggioriacausadelsuoruolomaschile: dopo la convinta difesa della moglie e il rimprovero alle sorelle di essere capricciose e di nutrire un rancore ingiusti-ficato, egli finisce con cedere a un’aperta confessione di infelicità. Significativa a questo proposito la battuta «Non mi ascoltano. Nataša è una persona eccezionale, onestissima. [Cammina in silenzio per la scena, poi si fer-ma]. Quando mi sono sposato pensavo che saremmo stati felici… tutti felici… Ma Dio mio… [Piange]. Care sorelle mie, carissime sorelle, non datemi ascolto, non credetemi… [Esce]». È l’uomo che, forse proprio perché uomo, cerca di convincere se stesso e gli altri che tutto va bene, mentre le lacrime gli rigano il volto.

nLa“sordità”diol’gaA differenza degli altri, che vivono in un mondo sen-za amore, masaèinnamorata e deve sfogarsi con le sorelle. Vale la pena di analizzare attentamente le sue parole. Alla confessione del sentimento vengono su-bito associati il «destino» e la «sorte» (l’amore non sembra una scelta libera e gioiosa, ma una specie di maledizione); anche Veršinin la ama, ma questo non rende più facili le cose, anzi: «tuttociòèterribile.nonèvero?nonc’ènientedibuonoinquesto». Questo amore non è vissuto come una liberazione da una vita senza affetti, ma come una sofferenza in più, destinata a passare. A differenza dei «romanzi» in cui tutto è chiaro, la storia di Maša finirà nel silenzio (la parola è ripetuta due volte), quello del pazzo di Gogol, che si era immaginato di essere il re di Spagna, mentre in realtà faceva il temperamatite del capo. Maša esclu-de infatti qualsiasi possibilità concreta di ascoltare i suoi sentimenti e sirassegnaallasuarealtàdimoglieinfelice(«La vivremo questa nostra vita, che ne sarà di noi…»).Che questa sia l’unica soluzione possibile è confer-mato dalla “sordità” di Ol’ga, che nonvuoleneancheascoltarelaconfessionedellasorella e si ritira addi-rittura «dietro il suo paravento». È come se ascoltare significasse ammettere la possibilità del cambiamento e quindi turbare un equilibrio psicologico conquistato con fatica. Questo rifiuto del sentimento è già stato teo-rizzato dalla stessa Ol’ga, che, nel dare il suo consiglio a Irina, afferma: «cisisposanonperamore,masolopercompiereilpropriodovere. Per lo meno, io la penso così, io mi sposerei senza amore. Chiunque mi chiedes-

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se in moglie accetterei, purché fosse un galantuomo. Persino un vecchio sposerei…». L’unico che, all’inizio della scena, ammetteun’alternativaallarassegnazioneèilsolitotuzenbach, l’ottimista: prima invita Irina ad andare a lavorare con lui, poi, colpito dalla sua tristez-za, dice che darebbelavitaperrenderlafelice. A ben considerare si tratta dunque piuttosto di una scelta di morte, che verrà tristemente confermata dal destino di questo personaggio, ucciso in un duello il giorno prima del suo matrimonio.A chiudere ogni possibilità di un futuro diverso siab-batte infinesuipersonaggi lanotiziadi Irina («Hai sentito? Trasferiscono la brigata lontano, ce la portano via»), che vede nella partenza dei soldati la fine di ogni illusione: il suo «andiamo a Mosca» finale è solo più uno sfogo insensato senza più alcun collegamento con la realtà.

nKulygin,odell’incoscienzaDi fronte a tutto questo il marito di Maša sembra lapersonificazionedell’inconsapevolezza. Kulygin non si rende conto che la moglie non lo ama più e non coglie nemmeno le ragioni della sua agitazione e della sua sofferenza. Non fa altro che ricoprirla di tenerezze e di dichiarazioni di amore e felicità che, soprattutto in questo momento, suonano davvero inopportune (una per tutte: «Sono sposato con te da sette anni, ma mi

sembra ieri. Parola d’onore. No, sei davvero una donna straordinaria. Sono contento, contento, contento!»). Dal canto suo Maša è molto esplicita: il suo «Sono stu-fa, stufa, stufa…» si riferisce alla sua vita con il marito, anche se poco dopo spiega di avercela con Andrej. An-che qui Kulygin non capisce e fa un elogio di se stesso che a Maša deve suonare come un’epigrafesullatombadelsuomatrimonio: «Noi non siamo poveri. Io lavoro, vado al ginnasio, poi do lezioni… Sono un galantuomo. Semplice… Omnia mea mecum porto, come si suol di-re». Solo alla fine della scena una qualche preoccupa-zione sembra sfiorare la sua mente, quando cerca la moglie, che probabilmente si trova con Veršinin.Il suo personaggio non è però di facile interpretazio-ne: se da una parte è vero che la sua pedanteria, la sua cecità, il suo egoismo lo rendono particolarmente negativo e ridicolo, dall’altra il suo profondo, sincero e ribadito amore per la moglie gli danno un carattere tragico e patetico. Viene da chiedersi insomma se lui sia poi così tonto come appare, se non abbiainvececapitochemasanonloamapiù,maabbiaimparatoadaccettarequestarealtà, recitando la commedia di se stesso purché lei non se ne vada e non lo lasci. Questo è ciò che del resto fanno o faranno tutti gli altri. Cechov non sembra darci delle indicazioni chiare a riguardo e, interrogato, avrebbe forse detto «Sentite, tutto quello che sapevo, l’ho scritto».

Attività

PercAPIre

1. Quale funzione ha l’incendio nella scena?

2. Perché Maša recita la coniugazione del verbo amare in latino?

3. Che cosa pensa Ol’ga del matrimonio?

4. Perché Ol’ga consiglia a Irina di sposarsi?

5. Quali sono i sogni dei diversi personaggi? In che cosa differiscono?

6. Perché Ol’ga non vuole ascoltare la confessione di Maša?

7. Come giustifica Andrej le sue scelte di vita?

PerAPProFondIre

8. Analizza il personaggio di Kulygin e forniscine una tua interpretazione, citando le parti significative del testo.

9. Che cosa accomuna il destino dei quattro fratelli?

10. Analizza la seguente battuta di Maša e spiegane il significato: «Eh, fai presto tu, Olja. Io amo, questo è il mio destino. La mia sorte vuole così… Anche lui mi ama… E tutto ciò è terribile. Non è vero? Non c’è niente di buono in questo. [Attira a sé Irina prendendola per un braccio]. Oh, mia cara… La vivremo questa nostra vita, che ne sarà di noi…».

11. Nella scena si parla spesso del pianto: dove? Che significato ha?

12. Analizza il personaggio di Tuzenbach, facendo rife-rimento anche al brano precedente (k Testo 32).

VerSoL’eSAme

13. Prima prova. B-Saggiobreve Speranze e realtà nel teatro di Cechov (k anche Testi 32, 34).

14. Prima prova. B-Saggiobreve Il realismo interiore di Cechov (k anche Testi 32, 34).

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ANTON CEChOV«Ah, saperlo, saperlo!»

La scena finale del dramma si svolge nel giardino di casa Prozorov il giorno della partenza dei soldati. Anche Irina sta per lasciare la casa paterna per andare a vivere con Tuzenbach, che però si è assentato qualche tempo per un affare urgente (il duello, di cui si sentirà in scena lo sparo lontano). Per Veršinin giunge così il momento di salutare la famiglia che lo ha accolto con tanto entusiasmo e di abbracciare per l’ultima volta Maša, che quasi impazzisce per il dolore. Gli unici veramente contenti di queste partenze sono Kulygin, che riavrà finalmente per sé sua moglie, e Nataša, che potrà finalmente fare quello che vuole della casa, dal momento che anche Ol’ga, nominata direttrice, è andata a vivere nell’appartamento messole a disposizione dalla scuola.

TESTO34

VeršInIn: Tutto ha una fine. Anche noi ci separiamo. [Guarda l’orologio]. La città ci ha offerto una specie di pranzo, abbiamo bevuto champagne, il sindaco ha fatto un discorso, io ho mangiato e ascoltato, ma con l’anima ero qui, da voi… [Scruta il giardino]. Mi sono abituato a voi.

Ol’ga: Ci vedremo ancora una volta o l’altra?VeršInIn: Probabilmente no. Pausa.Mia moglie resterà ancora qui un paio di mesi con le bambine; vi prego, se dovesse succedere

qualcosa o avessero bisogno…Ol’ga: Certamente. State tranquillo. Pausa.Da domani in città non ci sarà più neppure un soldato, vivremo di ricordi e per noi, indub-

biamente, comincerà una nuova vita… Pausa.Tutto va contro i nostri desideri. Io non volevo diventare direttrice1, ma è andata a finire così.

A Mosca non ci si andrà più…VeršInIn: Beh… Grazie di tutto. Scusatemi se qualcosa… ho parlato molto, scusatemi anche

per questo, non mi serbate rancore.Ol’ga: [asciugandosi gli occhi] Perché Maša non viene…VeršInIn: Cos’altro posso dirvi come addio? Di che posso filosofare?… [Ride]. La vita è dura. A

molti di noi si rivela ottusa e disperata, ma bisogna pur riconoscere che si va facendo sempre più luminosa e leggera e non deve essere lontano il tempo in cui sarà splendente. [Guarda l’orologio]. È ora, devo andare! L’umanità prima di noi era occupata con le guerre, riempiva la propria esistenza con spedizioni, invasioni, vittorie. Oggi questo è superato, ma ha lasciato un gran vuoto dietro di sé, che per il momento non è colmato; l’umanità è alla ricerca di qualcosa e certamente qualcosa troverà. Speriamo solo che sia presto!

Pausa.Se all’amore per il lavoro si unisse l’istruzione, e all’istruzione l’amore per il lavoro. [Guarda

l’orologio]. Comunque, devo andare…Ol’ga: Eccola che viene. Entra Maša.VeršInIn: Sono venuto a congedarmi…

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1. direttrice: del ginnasio cittadino.

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Ol’ga si fa da parte per non intromettersi nell’addio.Maša: [lo guarda in viso] Addio… Un lungo bacio.Ol’ga: Su, su… Maša singhiozza violentemente.VeršInIn: Scrivimi… Non ti dimenticare! Lasciami andare, è ora… Ol’ga Sergeevna, portatela

via, io devo… andare… sono in ritardo… [Molto commosso bacia le mani a Ol’ga, poi abbraccia ancora Maša e esce in fretta].

Ol’ga: Via, Maša! Smetti, cara… Entra Kulygin.kulygIn: [confuso] Non è nulla, lasciala piangere… Mia buona Maša, cara la mia Maša… Sei

mia moglie, e io sono felice, qualunque cosa sia successa… Non mi lamento, non ti faccio alcun rimprovero… Ol’ga mi è testimone… Ricominciamo a vivere come una volta, non dirò una parola, non un accenno…

Maša: [controllando i singhiozzi] Presso la spiaggia c’è una quercia verde, e una catena d’oro su quella quercia2… una catena d’oro su quella quercia… Io impazzisco… Presso la spiaggia… una quercia verde…

Ol’ga: Calmati, Maša… Calmati… Portale dell’acqua.Maša: Non piango più…kulygIn: Non piange più… è buona… Si sente uno sparo soffocato in lontananza.Maša: Presso la spiaggia c’è una quercia verde, su quella quercia una catena d’oro… Un gatto

verde… una quercia verde… Mi confondo… [Beve l’acqua.] Che vita infelice… Non ho più bisogno di niente… Ora mi calmo… Non mi importa… Cosa vuol dire presso la spiaggia? Perché ho queste parole in testa? ho le idee confuse.

Entra Irina.Ol’ga: Calmati, Maša. Ragiona… Andiamo in camera.Maša: [adirata] Là non ci vado. [Singhiozza, ma smette immediatamente.] In casa non ci entro

più, né adesso né mai…IrIna: Stiamo un po’ sedute insieme, anche senza parlare. Domani io parto… Pausa.kulygIn: Ieri a un ragazzotto di terza ho sequestrato barba e baffi finti… [Si mette i baffi e la

barba]. Adesso son proprio un professore di tedesco… [Ride]. Non è vero? Fan così ridere questi ragazzi.

Maša: Assomigli davvero al professore di tedesco.Ol’ga: [Ride] Già. Maša piange.IrIna: Basta, Maša!kulygIn: Gli assomiglio proprio… Entra Nataša.nataša: [alla cameriera] Ebbene? Con Sofočka resta Protopopov, Michail Ivanyč, e Bobik3 lo

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2. Presso … quercia: all’inizio del primo Atto Maša canticchiava un verso del celebre scrittore romantico russo Puškin: «Sulla riva

del mare c’è una quercia verde, e sulla quer-cia, d’oro una catena…».3. Sofočka … Bobik: i due figli di Nataša.

La bambina è probabilmente figlia del suo amante Protopopov.

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può portare a spasso Andrej Sergeič. Quanto affanno per i bambini… [A Irina]. Domani te ne vai, Irina, che peccato. Resta ancora una settimana. [Vedendo Kulygin strilla; poi ride e gli toglie i baffi e la barba]. Mi avete davvero spaventata! [A Irina]. Mi sono abituata a te, non credere che sia facile separarmi. Nella tua stanza disporrò che ci vada Andrej col suo violino, lo gratti quanto vuole, e nella sua stanza ci metterò Sofočka. Che bambina meravigliosa, incantevole! Che creatura! Oggi mi guardava con quei suoi occhi e: “mamma!”.

kulygIn: Una bimba meravigliosa, è vero.nataša: Quindi domani sarò sola qui. [Sospira]. Prima di tutto farò abbattere quel viale di

abeti, poi quell’acero. Di sera fa così paura, è tanto brutto… È una vera mancanza di gusto. Ci vuole qualcosa di chiaro. Farò piantare dappertutto fiori, fiori, e ci sarà un profumo… [Severamente]. Chi ha lasciato una forchetta sulla panchina? [Entrando in casa, alla cameriera]. Chi ha lasciato una forchetta sulla panchina, sto chiedendo? [Grida]. Zitta, eh!

kulygIn: S’è infuriata! Fuori scena la banda suona una marcia; tutti ascoltano.Ol’ga: Partono. Entra Čebutykin4.Maša: Sono i nostri che partono. Che ci vuoi fare… Buon viaggio! [Al marito]. Dobbiamo

andare a casa… Il mio cappello, la mia mantella…kulygIn: Li ho portati in casa… Li prendo subito. [Entra in casa].Ol’ga: Sì, adesso possiamo ritirarci. È ora.ČebutykIn: Ol’ga Sergeevna!Ol’ga: Sì? Pausa.Che c’è?ČebutykIn: Niente… Non so come dirvelo… [Le bisbiglia all’orecchio].Ol’ga: Non è possibile!ČebutykIn: Sì… è così… Sono stanco, sconvolto, non voglio più parlare… [Stizzosamente].

Tanto, che importa!5

Maša: Che è successo?Ol’ga: [abbraccia Irina] Che giornata terribile… Non so come dirtelo, mia cara…IrIna: Che cosa? Parlate, presto: che c’è? Per amor di Dio! [Piange].ČebutykIn: Il barone, l’hanno ucciso in duello.IrIna: Lo sapevo, lo sapevo…ČebutykIn: [sul fondo della scena su una panca] Sono stanco… [Tira fuori di tasca il giornale].

Che piangano pure… [Canterella sottovoce]. Ta-ra-ra-bumbija… sižu na tumbe ja6… Ma non è poi lo stesso!

Le tre sorelle stanno in piedi, appoggiandosi l’una all’altra.Maša: Come suona la banda! Questi se ne vanno, uno ci ha lasciato per sempre, restiamo

sole per cominciare una nuova vita. Bisogna vivere… Bisogna vivere…IrIna: [appoggia il capo sul petto di Ol’ga] Verrà un giorno in cui tutti sapranno la ragione di

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4. Čebutykin: di ritorno dal duello tra Tu-zenbach e Solenyj, a cui ha assistito come medico.5. che importa!: Čebutykin è il più vecchio e il più pessimista di tutti i personaggi e si di-

stingue spesso per battute di questo genere. Poco prima aveva detto, riferendosi al duello: «Il barone è una brava persona, ma un baro-ne più, un barone meno, non è lo stesso? Ma sì! È lo stesso!».

6. Ta-ra-ra … ja: versione russa di una can-zoncina francese, che diceva «siedo sul para-carro e piango amaramente perché significo così poco».

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tutte queste sofferenze, non ci saranno misteri, intanto bisogna vivere… bisogna lavorare, solo lavorare! Domani andrò da sola, insegnerò a scuola e dedicherò tutta la mia vita a chi forse avrà bisogno di me. Adesso è autunno, presto verrà l’inverno, tutto si coprirà di neve, e io lavorerò, lavorerò…

Ol’ga: [abbraccia entrambe le sorelle] La banda suona così allegra, viva, mette voglia di vivere! Oh, Dio mio! Il tempo passerà e noi scompariremo per sempre, ci dimenticheranno, dimentiche-ranno i nostri volti, le nostre voci e quante eravamo, ma le nostre sofferenze si trasformeranno in gioie per quelli che verranno dopo di noi7. Felicità e pace scenderanno sulla terra e ci sarà una buona parola e riconoscenza per quelli che vivono ora. Oh, care sorelle, la nostra vita non è ancora finita. Vivremo! La banda suona così allegra, con tanta gioia e pare che tra poco anche noi sapremo perché siamo al mondo, perché soffriamo… Ah, saperlo, saperlo!

La banda suona sempre più piano; Kulygin, allegro, sorride portando cappello e mantella. Andrej spinge un’altra carrozzella in cui è seduto Bobik.

ČebutykIn: [canterella sottovoce] Tara… ra… bumbija… sižu na tumbe ja… [Legge il giornale]. È tutto lo stesso! Tutto lo stesso!

Ol’ga: Ah, saperlo, saperlo! Sipario

(da A.P. Čechov, Le tre sorelle, Atto II, scena I, in Teatro, op. cit.)

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7. le nostre … noi: è la teoria di Veršinin (k Testo 32).

VerSoL’eSAme Prima prova. A - Analisi del testo

1. comPrenSIone

1.1 Cos’è diventata Olga? Come sarà il futuro per lei e le sue sorelle?

1.2 In che modo Veršinin si consola?

2. AnALISI

2.1 Alcuni personaggi cercano di farsi una ragione delle sofferenze che tocca loro di vivere nel presente: di chi si tratta? Quale idea esprimono?

2.2 Analizza queste parole di Kulygin: «Non è nulla, la-sciala piangere… Mia buona Maša, cara la mia Maša… Sei mia moglie, e io sono felice, qualunque cosa sia suc-cessa… Non mi lamento, non ti faccio alcun rimprove-ro… Ol’ga mi è testimone… Ricominciamo a vivere come una volta, non dirò una parola, non un accenno…». Per-ché sembra che egli si affanni a negare la realtà? Perché poi si mette i baffi e la barba finti?

2.3 Qual è il significato della “follia” di Maša?

2.4 A un certo punto si sente in scena lo sparo lontano: che effetto ha sugli spettatori? E sui personaggi in scena? Perché l’autore ha voluto questo effetto?

2.5 Nataša fornisce nella scena una vera antologia del suo carattere: descrivilo citando dal testo le espressioni più significative.

2.6 Perché Irina dice «Lo sapevo, lo sapevo» quando le viene annunciata la morte del suo fidanzato?

2.7 Come reagisce Čebutykin al dolore di Irina? Perché?

3. InterPretAzIonecomPLeSSIVAeAPProFondImentI

3.1 Da’ un’interpretazione complessiva della conclusione del dramma, soffermandoti in particolare su queste parole di Ol’ga: «La banda suona così allegra, viva, mette voglia di vivere! Oh, Dio mio! Il tempo passerà e noi scompari-remo per sempre, ci dimenticheranno, dimenticheranno i nostri volti, le nostre voci e quante eravamo, ma le nostre sofferenze si trasformeranno in gioie per quelli che ver-ranno dopo di noi. Felicità e pace scenderanno sulla terra e ci sarà una buona parola e riconoscenza per quelli che vivono ora. Oh, care sorelle, la nostra vita non è ancora finita. Vivremo! La banda suona così allegra, con tanta gioia e pare che tra poco anche noi sapremo perché siamo al mondo, perché soffriamo… Ah, saperlo, saperlo!».

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