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La Previdenza Forense - Gennaio-Marzo 2008 - N. 1

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1 gennaio-marzo 2008 LA PREVIDENZA FORENSE TRIMESTRALE DELLA CASSA DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE POSTE ITALIANE S.p.A. – SPEDIZIONE IN A. P. – D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004,ART. 1, C. 1; DCB ROMA – CONTIENE I.P. GLI “SCIOPERI” DEGLI AVVOCATI NUOVE NORME SULL’ANTIRICICLAGGIO NO ALLA SOCIETÀ DI CAPITALE TRA AVVOCATI Copertina 1_08 21-04-2008 18:25 Pagina I
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Page 1: La Previdenza Forense - Gennaio-Marzo 2008 - N. 1

1 gennaio-marzo

2008

LA PREVIDENZA FORENSETRIMESTRALE DELLA CASSA DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE

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GLI “SCIOPERI” DEGLI AVVOCATI

NUOVE NORME SULL’ANTIRICICLAGGIO

NO ALLA SOCIETÀ DI CAPITALE TRA AVVOCATI

Copertina 1_08 21-04-2008 18:25 Pagina I

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SLA PREVIDENZA FORENSE

PresidentePaolo Rosa

Direttore ResponsabileDario Donella

Comitato di RedazioneGiuliano Berti Arnoaldi Veli

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Domenico Condello Remo Danovi

Massimo Di Lauro Alarico Mariani Marini

Carlo MartuccelliPer il Consiglio di Amministrazione:

Giovanni CerielloSalvatore Di Cristofalo

Segreteria del Comitato di RedazioneDonatella Asquino

t. 06.36205665, fax 06.36205726

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Tiratura 128.000 copieISSN 1827-7373

Direzione e redazioneVia Ennio Quirino Visconti, 8 - 00193 Roma

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EditoreIl Sole 24 ORE S.p.A.

Sede legale: via Monte Rosa, 91 - 20149 MilanoRedazione: via P. Di Dono, 3/A - 00142 Roma

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e-mail: [email protected]

Numero chiuso in redazione il 1° aprile 2008Finito di stampare il mese di aprile 2008

Sped. in Abb. Post.D.L. 353/2003 conv.

L. 46/2004, art. 1 c. 1, DCB Roma

In copertina:I Bronzi di Riace

SommarioAE

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1gennaio-marzo

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LA PREVIDENZA FORENSETRIMESTRALE DELLA CASSA DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE

EDITORIALEDalla sostenibilità delle Casse all’adeguatezza delle prestazionidi Paolo Rosa 2

AVVOCATURAavvocatura

Codice di autoregolamentazione degli “scioperi” degli avvocati.Ora adempia la politica (a cura di Michelina Grillo) 5Studi legali associati di Fabio Cappelletti 11

ordinamento professionaleUn esame da cambiare di Carlo Martuccelli 15La formazione continua tra deontologia e professionalitàdi Massimo Di Lauro 18Diritti di procuratore ed onorario di avvocato: differenze e fattispecie“particolari” nella giurisprudenza e prassi amministrativadi Leonardo Carbone 20

libere professioniLa nuova normativa antiriciclaggio e gli obblighi per i professionistidi Remo Danovi 28

spazio apertoAlfa e Beta contro Gamma di Giuliano Berti Arnoaldi Veli 37

recensioniL’“elogio” di Calamandrei. Tra canzonatura e piaggeriadi Franco Cipriani 40La tutela della salute delle donne nel mondo del lavorodi Maurizio de Tilla 45

GIURISPRUDENZA FORENSELa riserva della consulenza(Cass. civ. 18 aprile 2007, n. 9237 e Sent. Cass. pen., Sez. VI, 10 ottobre 2007, n. 42790)(nota di Mauro Rubino Sammartano) 52La responsabilità dell’avvocato – La misura del danno risarcibile(Sent. Cass. civ. 18 aprile 2007, n. 9238)(nota di Marta Bussola e Sara Uboldi) 58Un caso singolare: una messa di suffragio tra religione e giustizia. Libertà di culto(a cura di Remo Danovi) 65

PREVIDENZAl’opinione

La società di capitale tra avvocati: un pericolo per la Cassa di Previdenzadi Dario Donella 68Redditività del patrimonio immobiliare della Cassa di Carlo Dolci 75

gestione della CassaInadempienze degli iscritti di Michele Proietti 80Continuità professionale di Maria Caterina Neri Serneri 82Quanto l’iscritto finanzia la sua pensione di Antonella Menichetti 86Dati numerici rivalutati a cura di Maria Caterina Neri Serneri e Gennaro Florio 89

LETTERE E QUESITI 94

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EEDITORIALE ELA PREVIDENZA FORENSE

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Con la privatizzazione (1994 – 1995) le Casse han-no ereditato dal pubblico un debito previdenzialeconsiderevole; pur tuttavia si sono organizzate almeglio ed in 10 anni hanno ricostruito un sistema diprevidenza privata “virtuoso” che si contrapponeal sistema pubblico costretto, in specie per i costidell’assistenza, a ricorrere alla fiscalità generale,ricorso inibito per legge alle Casse private.Questo il quadro dell’insieme.Certamente si pone il problema della sostenibilità edell’adeguatezza delle prestazioni, problemi chenemmeno la previdenza pubblica ha risolto perchéla sostenibilità di quel sistema (pubblico), comedetto, è garantita in gran parte dal ricorso alla fi-scalità generale nonostante l’altissimo livello dicontribuzione e le prestazioni offerte dal criterio dicalcolo contributivo non sono adeguate se è vero,come è vero, che nel protocollo sul Welfare, resisi igovernanti finalmente conto della situazione reale,propongono «politiche attive che possano favorireil raggiungimento di un tasso di sostituzione, al net-to della fiscalità, ad un livello non inferiore al 60%con riferimento all’aliquota prevista per i lavorato-ri dipendenti» così inserendo nemmeno tanto vela-tamente elementi retributivi nel sistema contributi-vo in grado di far saltare il sistema!La sostenibilità, per le Casse private, passa attra-verso l’aumento della contribuzione soggettiva edintegrativa accompagnata da un progressivo au-mento dell’età pensionabile.L’adeguatezza della prestazione previdenziale, siapure in stretta connessione con i principi di equità esolidarietà, trova la sua fonte nell’art. 38, comma 2,della Costituzione, per il quale «i lavoratori hannodiritto che siano preveduti ed assicurati mezzi ade-guati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio,malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione in-volontaria».Il concetto di adeguatezza, rispetto alle esigenze divita, è però sfuggente e si presta ad essere “tirato”

da una parte e dall’altra a seconda degli interessi ingioco.Le incertezze e le oscillazioni che la giurispruden-za costituzionale manifesta, quando si tratta di af-frontare le tematiche che attengono alla garanziadi “adeguatezza” delle prestazioni previdenziali,vanno sicuramente poste in relazione con il ruolodi mediazione o francamente politico assunto findagli inizi della sua attività (C. cost. 14 giugno1956, n. 1) dalla Corte, specie nelle vicende in cuirisultano coinvolti e contrapposti interessi politici.Con ripetute sentenze (C. cost. 13 marzo 1980, n.26; 17 dicembre 1985, n. 349; 30 gennaio 1986, n.19; 12 maggio 1988, n. 531; 2 marzo 1991, n. 96;15 marzo 1991, n. 119 e numerose altre) il Giudicedelle leggi ha ribadito che il trattamento pensioni-stico deve essere proporzionato alla quantità e allaqualità del lavoro svolto e che mezzi adeguati alleesigenze di vita da assicurarsi non sono solo quel-li che soddisfano i bisogni elementari e vitali maanche quelli che siano idonei a realizzare esigenzerelative al tenore di vita conseguito dallo stesso la-voratore, in rapporto al reddito ed alla posizionesociale raggiunta in seno alla categoria di appar-tenenza, per effetto dell’attività svolta; che dai pa-rametri degli artt. 36 e 38 scaturisce una partico-lare posizione per il lavoratore, nel senso che il suotrattamento di quiescenza, al pari della retribuzio-ne in costanza di servizio, della quale costituiscesostanzialmente un prolungamento ai fini previden-ziali, deve essere proporzionato alla quantità ed al-la qualità del lavoro prestato e deve in ogni casoassicurare al lavoratore medesimo ed alla sua fa-miglia i mezzi adeguati alle loro esigenze di vitaper un’esistenza libera e dignitosa; proporziona-lità ed adeguatezza, che non debbono sussisteresoltanto al momento del collocamento a riposo, mavanno costantemente assicurate anche nel prose-guo, in relazione ai mutamenti di acquisto dellamoneta.

Dalla sostenibilità delle Casse all’adeguatezza delle prestazioni

di Paolo Rosa

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ELA PREVIDENZA FORENSE

Tale orientamento può considerarsi consolidato ead esso si è richiamata la Corte nella sentenza n.127/1997 e, più vicino a noi, con la sentenza 26gennaio 2007, n. 18. Da altre sentenze, in tema del-l’integrazione al trattamento minimo, traspare peròun uso promiscuo dei parametri della sufficienza edella proporzionalità di cui all’art. 36 Cost. e, ri-spettivamente, dell’adeguatezza, di cui all’art. 38Cost. Nella pluriennale giurisprudenza del Giudicedelle leggi, infatti, è dato individuare anche pro-nunce nelle quali il rapporto tra trattamento pen-sionistico e precedente trattamento retributivo vieneapprezzato sulla base di criteri anche sensibilmentediversi da quelli sopra ricordati. Le sentenze dellaC. cost. 7 maggio 1993, n. 226 e 27 luglio 1995, n.409, infatti, affermano che l’applicazione del prin-cipio di proporzionalità delle pensioni non compor-ta automaticamente la necessaria ed integrale coin-cidenza tra il livello delle pensioni e l’ultima retri-buzione cosicché vi è sempre una sfera di discrezio-nalità riservata al legislatore per l’attuazione anche

graduale dei principi suddetti così come viene rico-nosciuto che non esiste alcun canone costituzionaleche (nell’impiego pubblico) richieda un allinea-mento delle pensioni al corrispondente trattamentodei dipendenti in attività di servizio. La consapevo-lezza del distacco del principio di adeguatezza del-le prestazioni previdenziali pensionistiche dal prin-cipio di proporzionalità della retribuzione è eviden-te anche in sentenze risalenti come nella già ricor-data sentenza n. 31/1986. Evitando accuratamenteogni residuo riferimento all’art. 36 Cost., detta sen-tenza riconosce espressamente, nell’art. 38, la fon-te esclusiva dei criteri di determinazione dei tratta-menti previdenziali e dichiara che il legislatore puòvalutare differentemente le esigenze di vita da tute-lare e quindi fissare discrezionalmente, caso per ca-so, l’adeguatezza della prestazione sia verso il bas-so che verso l’alto.Cassa Forense ha allo studio, ormai avanzato, solu-zioni in grado di assicurare sia la sostenibilità chel’adeguatezza delle prestazioni.

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ALA PREVIDENZA FORENSE

AAVVOCATURA

avvocatura

L’avvocatura alla fine di un per-corso sofferto e complesso ha fat-to responsabilmente la sua parte.Tocca adesso alla politica adem-piere ai propri obblighi.Con delibera 749 del 13 dicembre2007 la Commissione di Garanziadell’attuazione della legge sullosciopero nei servizi pubblici es-senziali ha valutato idoneo ai sen-si dell’art. 13, lett. a) legge n.136/90, il Codice di autoregola-mentazione dell’astensione foren-se elaborato dall’Organismo Uni-tario dell’Avvocatura con il con-corso dell’UCPI, dell’UNCC,dell’AIGA e dell’ANF.Si è trattato come si vede di unrisultato fondamentale, poichéintorno a questo problema, purpartendo da posizioni ed esigen-ze diverse, l’avvocatura è riusci-ta ad esprimere una posizioneunitaria.L’elaborazione del codice di auto-regolamentazione, però, non puòe non deve essere interpretata co-me una resa dell’avvocatura nelconflitto che la vede contrappostaapparentemente alla Commissio-ne, ma, in realtà, soprattutto allapolitica. Si tratta invece dell’en-nesimo atto di responsabilitàcompiuto dagli avvocati italiani,in supplenza dell’inadempienza

altrui e nel rispetto del proprioruolo di defensor civitatis.L’avvocatura infatti è ben consciache tale ruolo le impone ancheduri sacrifici nel rispetto dellafondamentale esigenza dei citta-dini ad un servizio giustizia effi-ciente; quel rispetto che, spessogabellato a parole, sembra inrealtà mancare a chi negli anninon è riuscito a risolvere neppurei più banali problemi organizzati-vi, per rendere almeno tollerabileil servizio giustizia.In questo vi è supplenza, perché,accettando di elaborare un codicedi autoregolamentazione l’avvo-catura si è fatta carico di conse-gnare ai cittadini delle certezzenella gestione del servizio – alme-no per quanto nella disponibilitàdegli avvocati – in quei particola-ri momenti di crisi nei quali l’av-vocatura stessa è lacerata tra il do-vere delle tutele individuali nelsingolo processo e la tutela gene-rale di legittimità costituzionale,che sola la spinge a brandire l’ar-ma senza elsa rappresentata dal-l’astensione.Il conflitto con la Commissione èin realtà una aporia irrisolvibile: èl’impianto stesso della legge in-fatti, dalla quale la Commissionederiva legittimazione e poteri, a

porsi in contrasto con il dettatocostituzionale.La nota sentenza del Giudicedelle leggi n. 171/96 infatti, nelsottolineare la necessità che an-che l’astensione forense venisseregolamentata, evidenziava conassoluta chiarezza che tra scio-pero ed astensione vi era una as-soluta diversità ontologica, eche solo tra le conseguenze pra-tiche si poteva invece ravvisareanalogia.Tanto questo era evidente che l’al-lora guardasigilli Flick, pochi me-si dopo la sentenza, presentò allecamere un d.d.l. che regolava se-paratamente e dettagliatamente ilfenomeno dell’astensione, senzaprevedere alcuna Commissione diGaranzia.Si aprì comunque un forte conflit-to tra l’avvocatura e la politica,forse vittima di un’ottica rigida-mente lavoristica, ed anche all’in-terno della politica stessa.Esigenze di tipo elettorale porta-rono purtroppo alla novella n.83/00, che, con l’art. 2-bis, scelsedi applicare al fenomeno dell’a-stensione l’intero impianto origi-nario di una legge basata sullosciopero, e cioè sul conflitto trasoggetti collettivi con interessi so-cio-economici contrapposti. Nulla

Codice di autoregolamentazionedegli “scioperi” degli avvocati.

Ora adempia la politicaLa Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero

nei servizi pubblici essenziali ha approvato la proposta delle Associazioni forensi per il Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze.

La illustra il presidente dell’OUA.

commento a cura di Michelina Grillo

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Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati

L’Organismo unitario dell’avvocatura (O.U.A.)e

l’Associazione nazionale giovani avvocati (A.I.G.A.)l’Associazione nazionale forense (A.N.F.)

l’Unione nazionale camere civili (U.N.C.C.)l’Unione camere penali italiane (U.C.P.I.)

congiuntamente sottopongono alla Commissione digaranzia per l’attuazione della legge sullo scioperonei servizi pubblici essenziali, il presente

Codice di autoregolamentazione

Art. 1(Ambito di applicazione)

1. La presente regolamentazione disciplina le moda-lità dell’astensione collettiva dall’attività giudiziariadegli avvocati.

AAVVOCATURAavvocatura

mente alle Associazioni forensipiù rappresentative, si confrontòdi nuovo con la Commissione,che nel frattempo aveva redattoun codice di autoregolamentazio-ne provvisorio, le cui disposizioninon sono mai state concordatecon l’avvocatura e da essa appro-vate, malgrado un responsabileadeguamento di fatto, nell’inte-resse del cittadino.Il punto nodale del conflitto era erestava sostanzialmente il ruolodella Commissione, ed il mancatoriconoscimento della specificitàdella astensione forense.Che cosa quindi oggi ha spintol’avvocatura a fare un passo avanti?Le grandi manifestazioni di mas-sa del 2006, con la connessa esi-genza di addivenire all’internodell’avvocatura ad un ulterioremomento unitario di sintesi e diregolamentazione, che consentis-se da un lato un diverso rapportocon la politica, nel momento diaccelerato processo di trasforma-zione socio-economica, e dall’al-tro lo scolpire le differenze tra in-teressi generali perseguiti dall’av-vocatura e interessi settoriali dellastessa, anch’essi tuttavia degni dirispetto e tutela, ma certamente diminor rilievo costituzionale.Ha poi certamente influito quelsenso della legalità che è tipicodel ceto forense, e che Socrate co-

sì evidenziò ancora in punto dimorte invitando comunque al ri-spetto delle leggi anche se ingiu-ste. Ha influito il rispetto per ilcittadino e la consapevolezza cheil ricorso all’astensione è decisio-ne di grande rilevanza, dettata daaltrettanto rilevanti esigenze di tu-tela dei diritti costituzionalmenteprotetti.Ma la partita come detto non èconsiderata chiusa dall’avvocaturaperché, risolta la questione sulpiano regolamentare, resta integroil conflitto sul piano politico.L’avvocatura unita infatti chiede ilrispetto dell’OdG Calvi, e quindiuna normazione specifica che nonsia una legge speciale di privile-gio, ma che costituisca una regola-mentazione più idonea ed autoge-stita di quel peculiare fenomenoche è l’astensione forense, nel ri-spetto del giudicato costituzionaleex art. 171/96, nonché di quelprincipio di specificità della fun-zione difensiva più volte afferma-to anche in sede comunitaria, e daultimo dalla risoluzione 23 marzo2006 del Parlamento Europeo.L’avvocatura ha fatto il suo: la po-litica adesso, qual che sia il Go-verno prossimo venturo, faccia lasua parte! Su questi aspetti, e piùin generale sui temi della Giusti-zia e della professione, l’avvoca-tura non farà sconti a nessuno.

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di più errato con riferimento all’a-stensione forense.Non che fossero mancate nel tem-po ed anche prima della sentenza171/96 delle iniziative di autore-golamentazione dell’avvocatura;in particolare il codice deliberatodall’O.U.A. il 19 gennaio 1996, isuccessivi tentativi, sempre in si-nergia tra O.U.A. e AssociazioniForensi, del 1999 e 2000, ma co-me detto le scelte operate da unlegislatore troppo spesso aduso adisciplinare in modo eguale situa-zioni diseguali, furono diverse,non soddisfacenti e francamenteillegittime.Tanto erano evidenti le buone ra-gioni dell’avvocatura, ed in gene-rale delle professioni liberali, checontestualmente all’approvazionedella novella n. 83/00 il Senatopropose – era l’ormai lontano 4aprile 2000 – il cosiddetto OdGCalvi, sottoscritto da tutte le forzepolitiche e accolto dal Governo,che proprio argomentando tra l’al-tro sull’inadeguatezza della Com-missione di garanzia e dato attodell’avvenuta elaborazione del co-dice di autoregolamentazione, im-pegnava il Governo a tenere debi-to conto del rilievo costituzionaledella funzione difensiva. Purtrop-po nulla ne seguì, come spesso ac-cade nelle vicende italiane.Nel 2005 sempre l’O.U.A., unita-

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Art. 2(Proclamazione e durata delle astensioni)

1. La proclamazione dell’astensione, con l’indica-zione della specifica motivazione e della sua dura-ta, deve essere comunicata almeno dieci giorni pri-ma della data dell’astensione al presidente dellaCorte d’appello e ai dirigenti degli uffici giudizia-ri civili, penali, amministrativi e tributari interes-sati, nonché anche quando l’astensione riguardiun singolo distretto o circondario, al Ministro del-la giustizia, o ad altro Ministro interessato, allaCommissione di garanzia dell’attuazione della leg-ge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali e alConsiglio nazionale forense. L’organismo procla-mante assicura la comunicazione al pubblico dellaastensione con modalità tali da determinare il mi-nimo disagio per i cittadini, in modo da renderenota l’iniziativa il più tempestivamente possibile.Tra la proclamazione e l’effettuazione dell’asten-sione non può intercorrere un periodo superiore asessanta giorni.2. La revoca della proclamazione deve essere comu-nicata agli stessi destinatari di cui al comma prece-dente almeno cinque giorni prima della data fissataper l’astensione medesima, salva la richiesta da par-te della Commissione di garanzia o la sopravvenien-za di fatti significativi.3. Le disposizioni in tema di preavviso e di duratapossono non essere rispettate nei soli casi in cui l’a-stensione è proclamata ai sensi dell’art. 2, comma 7della legge n. 146/1990, come modificata dalla leggen. 83/2000.4. Ciascuna proclamazione deve riguardare un uni-co periodo di astensione. L’astensione non può su-perare otto giorni consecutivi con l’esclusione dalcomputo della domenica e degli altri giorni festivi.Con riferimento a ciascun mese solare non può co-munque essere superata la durata di otto giorni an-che se si tratta di astensioni aventi ad oggetto que-stioni e temi diversi. In ogni caso tra il termine fina-le di un’astensione e l’inizio di quella successiva de-ve intercorrere un intervallo di almeno quindici gior-ni. Tali limitazioni non si applicano nei casi in cui èprevista la proclamazione dell’astensione senzapreavviso. Nel caso di più astensioni proclamate indifformità dalla presente norma, la Commissione digaranzia provvederà in via preventiva alla valuta-zione del prevedibile impatto delle proclamazioni inconflitto.

Art. 3(Effetti dell’astensione)

1. Nel processo civile, penale, amministrativo e tri-butario la mancata comparizione dell’avvocato al-l’udienza o all’atto di indagine preliminare o a qual-siasi altro atto o adempimento per il quale sia previ-sta la sua presenza, ancorché non obbligatoria, af-finché sia considerata in adesione all’astensione re-golarmente proclamata ed effettuata ai sensi dellapresente disciplina, e dunque considerata legittimoimpedimento del difensore, deve essere alternativa-mente:a) dichiarata – personalmente o tramite sostituto dellegale titolare della difesa o del mandato – all’iniziodell’udienza o dell’atto di indagine preliminare;b) comunicata con atto scritto trasmesso o deposita-to nella cancelleria del giudice o nella segreteria delpubblico ministero, oltreché agli altri avvocati costi-tuiti, almeno due giorni prima della data stabilita.c) Nel rispetto delle modalità sopra indicate l’asten-sione costituisce legittimo impedimento anche qualo-ra avvocati del medesimo procedimento non abbianoaderito all’astensione stessa. La presente disposizio-ne si applica a tutti i soggetti del procedimento, ivicompresi i difensori della persona offesa, ancorchénon costituita parte civile.2. Nel caso in cui sia possibile la separazione o lostralcio per le parti assistite da un legale che non in-tende aderire alla astensione, questi, conformementealle regole deontologiche forensi, deve farsi carico diavvisare gli altri colleghi interessati all’udienza o al-l’atto di indagine preliminare quanto prima, e co-munque almeno due giorni prima della data stabili-ta, ed è tenuto a non compiere atti pregiudizievoliper le altre parti in causa.3. Il diritto di astensione può essere esercitato inogni stato e grado del procedimento, sia dal difenso-re di fiducia che da quello d’ufficio.

Art. 4(Prestazioni indispensabili in materia penale)

1. L’astensione non è consentita nella materia pena-le in riferimento:a) all’assistenza al compimento degli atti di perquisi-zione e sequestro, alle udienze di convalida dell’arre-sto e del fermo, a quelle afferenti misure cautelari,agli interrogatori ex art. 294 del codice di procedurapenale, all’incidente probatorio ad eccezione dei ca-si in cui non si verta in ipotesi di urgenza, come adesempio di accertamento peritale complesso, al giu-

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AAVVOCATURAavvocatura

dizio direttissimo e al compimento degli atti urgenti dicui all’art. 467 del codice di procedura penale, non-ché ai procedimenti e processi concernenti reati lacui prescrizione maturi durante il periodo di asten-sione, ovvero, se pendenti nella fase delle indaginipreliminari, entro trecentosessanta giorni, se penden-ti in grado di merito, entro centottanta giorni, se pen-denti nel giudizio di legittimità, entro novanta giorni;b) nei procedimenti e nei processi in relazione aiquali l’imputato si trovi in stato di custodia cautela-re o di detenzione, ove l’imputato chieda espressa-mente, analogamente a quanto previsto dall’art.420-ter, comma 5 (introdotto dalla legge n.479/1999) del codice di procedura penale, che siproceda malgrado l’astensione del difensore. In talcaso il difensore di fiducia o d’ufficio, non può legit-timamente astenersi ed ha l’obbligo di assicurare lapropria prestazione professionale.

Art. 5(Prestazioni indispensabili in materia civile)

1. L’astensione non è consentita, in riferimento allamateria civile, nei procedimenti relativi:a) a provvedimenti cautelari, provvedimenti somma-ri di cognizione ai sensi dell’art. 19, decreto legisla-tivo n. 5/2003, allo stato e alla capacità delle perso-ne, ad alimenti, alla comparizione personale dei co-niugi in sede di separazione o di divorzio o nei pro-cedimenti modificativi e all’affidamento o manteni-mento di minori;b) alla repressione della condotta antisindacale, nel-la fase di cognizione sommaria prevista dall’art. 28della legge n. 300/1970, ed ai procedimenti aventi adoggetto licenziamenti individuali o collettivi ovverotrasferimenti, anche ai sensi della normativa di cuial decreto legislativo n. 165/2001;c) a controversie per le quali è stata dichiarata l’ur-genza ai sensi dell’art. 92, comma 2, del regio de-creto n. 12/1941 e successive modificazioni ed inte-grazioni;d) alla dichiarazione o alla revoca dei fallimenti;e) alla convalida di sfratto, alla sospensione dell’e-secuzione, alla sospensione o revoca dell’esecuto-rietà di provvedimenti giudiziali;f) alla materia elettorale.

Art. 6(Prestazioni indispensabili nelle altre materie)

1. L’astensione non è consentita, in riferimento allamateria amministrativa e tributaria:

a) nei procedimenti cautelari e urgenti;b) nei procedimenti relativi alla materia elettorale.

Art. 7(Controllo deontologico)

1. Quanto alle violazioni delle disposizioni concer-nenti la proclamazione e l’attuazione dell’astensio-ne, oltre a quanto previsto dagli articoli 2-bis e 4,comma 4, della legge n. 146/1990, così come rifor-mulati dalla legge n. 83/2000, resta ferma anche l’e-ventuale valutazione dei consigli dell’ordine in sededi esercizio dell’azione disciplinare. Gli stessi ordiniprofessionali vigilano sul rispetto individuale delleregole e modalità di astensione. Gli organismi foren-si si impegnano ad assicurare il coordinamento del-le iniziative in caso di questioni applicative concer-nenti il codice di autoregolamentazione. Le questio-ni saranno risolte e disciplinate secondo il principiodella tutela dei cittadini e della necessità di assog-gettare gli stessi al minor disagio possibile nel casoconcreto.

Ordini del giornoIl Senato,premesso che:1. con sentenza n. 171 del 1996 la Corte costituzio-

nale ha dichiarato la illegittimità costituzionaledell’articolo 2, commi 1 e 5 della legge 12 giugno1990, n. 146 nella parte in cui non è previsto, nelcaso di astensione collettiva dall’attività giudizia-ria degli avvocati, l’obbligo di un congruo preav-viso e di un ragionevole limite temporale dell’a-stensione e non prevede altresì gli strumenti ido-nei ad individuare e assicurare le prestazioni es-senziali, nonché le procedure e le misure conse-quenziali nell’ipotesi di inosservanza;

2. l’ordinamento repubblicano, argomenta la senten-za, si fonda sul pieno riconoscimento della libertà diassociazione e dell’attività sindacale e sulla espres-sa garanzia del diritto di sciopero entro i limiti indi-spensabili alla salvaguardia di altri interessi costitu-zionalmente protetti. È quindi accordata una gene-rale tutela alle iniziative che possono esprimersi an-che mediante l’astensione collettiva dal lavoro pur-ché volte a difendere peculiari interessi di categorianon soltanto economici e a garantire un correttoesercizio della libera professione;

3. le carenze della legge n. 146 del 1990 hannoquindi imposto una nuova e più ampia regola-mentazione anche in riferimento all’astensione

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collettiva dal lavoro non qualificabile, per l’as-senza dei suoi tratti tipici, come esercizio del di-ritto di sciopero;

4. il disegno di legge A.S. 4539 prevede all’articolo2 che, per i lavoratori autonomi, professionisti opiccoli imprenditori, una commissione di garan-zia promuova l’adozione di codici di autoregola-mentazione, valuti le compatibilità tra le condotteassunte e le regole emanate, e adotti le eventualisanzioni;

5. non vi è dubbio che l’Ordine degli avvocati siaconnotato da peculiarità che appaiono più evi-denti proprio in occasione delle astensioni dalleudienze. Infatti le astensioni non sono diretta-mente connesse ad interessi economici ricondu-cibili all’avvocato. L’astensione è indetta perdenunciare disfunzioni organizzative del siste-ma giudiziario ovvero per proporre o censurareriforme normative con la finalità di una più in-cisiva tutela dei diritti dei cittadini. Devono es-sere infine ricordate le forti peculiarità dell’av-vocatura espresse in più parti della Carta Costi-tuzionale: nell’articolo 24 che garantisce la di-fesa tecnica quale momento essenziale ed esclu-sivo del diritto di agire in giudizio; negli artico-li 104, quarto comma, e 135, secondo comma,che conferiscono agli avvocati la legittimazionesia per l’elezione al Consiglio della Magistratu-ra sia per la nomina o elezione alla Corte costi-tuzionale, nell’articolo 106, terzo comma, di re-cente regolato con legge dal Parlamento, cheprevede la possibilità di essere chiamato all’uf-ficio di Cassazione; ed infine nell’articolo 111così come riformato dalla recente legge costitu-zionale che prevede una funzione essenzialedell’avvocato per l’esercizio delle garanzie pro-cessuali poste a tutela dei cittadini nel processopenale;

6. alla luce di tali considerazioni non può essere di-menticato che l’avvocatura ha già redatto da tem-po un codice di autoregolamentazione, il Consi-glio nazionale forense e l’organismo unitario del-l’avvocatura italiano con proposte del maggio1999 inviate al ministero della Giustizia hannoprovveduto ad integrare detto Codice per ottem-perare a quanto indicato dalla Corte costituziona-le. Il 30.3.2000 è stata approvata su una propostadi mediazione delle camere penali una riformache prevede l’istituzione di una commissione digaranzia. Tale commissione esercita il controllo

di legittimità ed è organizzata con criteri di ter-zietà e indipendenza;

7. pertanto chiede che il Governo si impegni, nel da-re attuazione alla legge di modifica e di attuazio-ne della legge 12 giugno 1990, n. 146, ad indivi-duare una specifica commissione o autorità sullabase delle indicazioni proposte dal CNF e OUAdel maggio 1999 e della proposta concordata an-che con le Camere penali del 30 marzo 2000.

Il Senato,premesso che:1. con sentenza n. 171 del 1996 la Corte costituzio-

nale ha dichiarato la illegittimità costituzionaledell’articolo 2, commi 1 e 5 della legge 12 giugno1990, n. 146, nella parte in cui non è previsto, nelcaso di astensione collettiva dall’attività giudizia-ria degli avvocati, l’obbligo di un congruo preav-viso e di un ragionevole limite temporale dell’a-stensione e non prevede altresì gli strumenti ido-nei ad individuare e assicurare le prestazioni es-senziali, nonché le procedure e le misure conse-quenziali nell’ipotesi di inosservanza;

2. l’ordinamento repubblicano, argomenta la senten-za, si fonda sul pieno riconoscimento della libertàdi associazione e dell’attività sindacale e sullaespressa garanzia del diritto di sciopero entro i li-miti indispensabili alla salvaguardia di altri inte-ressi costituzionalmente protetti. È quindi accor-data una generale tutela alle iniziative che posso-no esprimersi anche mediante l’astensione collet-tiva del lavoro purché volte a difendere peculiariinteressi di categoria non soltanto economici e agarantire un corretto esercizio della libera profes-sione;

3. le carenze della legge n. 146 del 1990 hannoquindi imposto una nuova e più ampia regola-mentazione anche in riferimento all’astensionecollettiva dal lavoro non qualificabile, per l’as-senza dei suoi tratti tipici, come esercizio del di-ritto di sciopero;

4. il disegno di legge Atto Senato 4539 prevede al-l’articolo 2 che, per i lavoratori autonomi, profes-sionisti o piccoli imprenditori, una commissionedi garanzia promuova l’adozione di codici di au-toregolamentazione, valuti la compatibilità tra lecondotte assunte e le regole emanate e adotti leeventuali sanzioni;

5. non vi è dubbio che l’avvocatura sia connotata dapeculiarità che appaiono più evidenti proprio inoccasione delle astensioni dalle udienze, volte di

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massima non alla tutela di interessi economicidell’avvocato, ma alla denuncia di disfunzioniorganizzative del sistema giudiziario per una piùincisiva tutela dei diritti dei cittadini. Devono es-sere anche ricordate le forti peculiarità delle fun-zioni difensive, espresse in più parti della Costi-tuzione e messe in evidenza dalla Corte costitu-zionale;

6. va dato atto che l’avvocatura ha da tempo redatto

un codice di autoregolamentazione, successiva-mente modificato e integrato, nell’intento di darepiena attuazione alle indicazioni della Corte co-stituzionale;

7. alla luce delle considerazioni che precedono,chiede che il Governo si impegni a tener conto,nella strumentazione attuativa dell’articolo 2 del-la presente legge, del rilievo costituzionale dellafunzione difensiva.

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1. I diversi modelli organizzativi degli studi legali

Lo sviluppo economico-sociale ela conseguente necessità di spe-cializzazione hanno così profon-damente inciso sull’attività degliavvocati che oggi risulta impossi-bile ricondurre ad unità figure as-sai diverse tra loro, che si avval-gono di modelli organizzativi net-tamente differenziati.In termini numerici complessivi èprobabilmente ancora prevalenteil modello tradizionale dell’avvo-cato che opera in forma indivi-duale, prevalentemente in ambitogiudiziale. In tali studi possonoessere presenti come coadiutoricolleghi più giovani, che normal-mente quando riescono ad eman-ciparsi aprono un proprio studio.L’avvocato così organizzato talo-ra condivide lo studio con altricolleghi, principalmente allo sco-po di contenere i costi, senza darvita ad una vera e propria associa-zione e ad una piena collaborazio-ne professionale.Costituiscono realtà già notevol-mente diverse gli studi associatipiccoli e medio-piccoli, formatida alcuni avvocati-soci e da unnumero assai variabile di avvoca-ti-collaboratori, (con prospettiveassociative spesso limitate). In ta-li studi, in forte crescita non solo

nelle principali città, possono es-sere maggiori le opportunità dispecializzazione, e conseguente-mente è maggiore anche la colla-borazione interna. Le spese sonoeffettivamente comuni, quandol’associazione non è meramenteformale, mentre i ricavi possonoessere ripartiti in vari modi, maspesso restano strettamente colle-gati ai risultati dell’attività indivi-duale.Ancora più marcata è la differen-za rispetto agli studi associati de-finibili (secondo i parametri ita-liani), come medi e grandi, costi-tuiti da un numero significativo disoci, che può arrivare anche ad al-cune decine, e da un numero an-cor maggiore di collaboratori. Ta-li studi sono sempre più diffusi, edi dimensioni rapidamente cre-scenti. Pur mancando rilevazioniufficiali, si può stimare che glistudi legali presenti in Italia checontano complessivamente più diduecento avvocati tra soci e colla-boratori siano più di dieci e menodi venti. Meno attendibile sarebbeuna stima degli studi di medie di-mensioni, comunque ben più nu-merosi.Gli studi qualificabili come studimedi e grandi possono essere stu-di italiani indipendenti, che ope-rano solo in ambito domestico oanche a livello internazionale

(questi ultimi spesso legati più omeno strettamente a network distudi esteri), ovvero articolazioniitaliane di studi internazionali perlo più americani o inglesi presen-ti nei principali Paesi, formate co-munque quasi esclusivamente daavvocati italiani.Tali studi sono caratterizzati dauna forte specializzazione. Quellidi taglio internazionale in preva-lenza nel settore stragiudiziale edin particolare nell’ambito del di-ritto commerciale, bancario e deimercati finanziari, pur occupan-dosi anche delle altre materie ne-cessarie a fornire un serviziocompleto a clientela (quali il con-tenzioso civile e arbitrale, il dirit-to del lavoro, il diritto industriale,il diritto amministrativo, ecc.), co-stituita in prevalenza da imprese.In questi studi le formule di ripar-tizione degli utili sono assai com-plesse e articolate, e spaziano daquelle focalizzate sul risultatocomplessivo dello studio e sulpercorso di carriera dei soci (lock-step) a quelle incentrate sulle pre-stazioni dei singoli (eat what youkill).Tali studi sono generalmenteaperti all’ingresso nella compagi-ne associativa dei giovani avvoca-ti. In particolare ai più meritevoli,al termine di un impegnativo per-corso di carriera che normalmen-

Studi legali associatiDa tempo si va affermando il lavoro dell’avvocato in associazione o in società.La complessità ed eterogeneità del diritto moderno richiedono specializzazioni

che consentano prestazioni più qualificate, meglio se sono di avvocati riuniti a formare un unico studio. Da tempo vi è un’associazione di studi legali

a cui partecipano associazioni e società tra avvocati.Qui si esamina che cosa serva veramente ai grandi studi legali associati.

di Fabio Cappelletti

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te si conclude ad un’età compresatra i 33 ed i 36 anni.Gli studi medi e grandi sono en-tità rispetto alle quali persistonomolti ingiusti pregiudizi, sia in re-lazione alla natura dell’attivitàsvolta, che taluni consideranod’impresa, sia con riferimento altrattamento ed alle prospettive de-gli avvocati-soci e degli avvocati-collaboratori che ne fanno parte1.Esula dallo scopo delle presentinote un approfondimento di que-sto tema, ma va chiarito che l’as-similazione di tali studi alle im-prese sarebbe del tutto inappro-priata: essi sono infatti delle entitàpeculiari, sostanzialmente di tipocooperativistico, formate dall’u-nione su base paritetica di avvo-cati-soci che svolgono personal-mente un’attività squisitamenteprofessionale, in forma organiz-zata.

2. L’ASLA – AssociazioneStudi Legali Associati

Alla fine del 2003 alcuni di que-sti studi hanno costituito l’ASLA– Associazione Studi Legali As-sociati, alla quale hanno succes-sivamente aderito molti altri stu-di analoghi. Oggi partecipa adASLA la maggior parte degli stu-di legali medio-grandi e grandi ditaglio internazionale presenti aMilano, a Roma ed in talune del-le altre maggiori città italiane2,ma l’associazione è aperta all’a-desione di ogni studio associatoche abbia interesse alle tematichetrattate.ASLA è un’associazione senzascopo di lucro, non orientata poli-ticamente, che agisce su base vo-lontaristica avendo quale finalitàistituzionale la modernizzazione elo sviluppo della professione le-gale svolta in forma associata. Aquanto consta è la prima ed unica

associazione di tal genere in Eu-ropa.ASLA è anzitutto un luogo di in-contro e di confronto fra i rappre-sentanti degli studi che ne fannoparte, un vero e proprio forum ovevengono dibattute tematiche dicomune interesse ed elaborate se-gnalazioni, informazioni e model-li di strumenti operativi utili a tut-ti gli studi membri.ASLA è inoltre interlocutore ac-creditato delle istituzioni profes-sionali (quali gli Ordini, il CNF,altre associazioni di categoria),per contribuire alla regolamenta-zione della professione forense,alla formazione dei giovani avvo-cati e ad altre simili finalità di in-teresse generale.Nell’ambito di ASLA sono stateattentamente analizzate le diverseproposte di riforma delle profes-sioni che si sono succedute, inparticolare con riferimento al pro-blema dell’individuazione delmodello organizzativo ottimale,che possa consentire ai grandi stu-di legali associati presenti in Italiadi fornire servizi adeguati allaclientela italiana ed estera, svilup-pandosi e competendo sui merca-ti internazionali.Pur in presenza di esigenze e po-sizioni variegate, è da ritenere chevi sia largo consenso su alcunequestioni di rilievo, alle quali peri limiti delle presenti note si puòsolo accennare.

3. I grandi studi associatie la riforma della professione forense

Molti ritengono inopportuno sta-bilire in via prioristica e di princi-pio a quale tipo di società riserva-re l’attività degli studi legali asso-ciati. Il relativo dibattito rischia dirisultare sterile e di portare a con-clusioni avulse dalla realtà. Pare

preferibile decidere prima comerisolvere alcune questioni-chiave,e solo successivamente individua-re lo strumento formale più con-sono.Un primo aspetto da regolamenta-re in modo adeguato ai tempi èquello della denominazione. Percostruire uno studio-istituzione,che si sviluppi e duri nel tempo,oltre la vita professionale dei suoifondatori, dovrebbe essere con-sentita l’utilizzazione di nomi difantasia, se del caso modificandoad hoc taluni aspetti del regimegiuridico dei marchi commerciali.Ciò consentirebbe di superare ipersonalismi che in sede costituti-va possono creare difficoltà ancheinsuperabili, e non esporrebbe isoci che ne fanno parte, anchemolto numerosi, al rischio di per-dere la reputazione e l’avviamen-to che hanno faticosamente con-tribuito a creare a seguito dellacessazione o dell’uscita dei socifondatori. Quantomeno dovrebbe essereconsentito di acquisire il diritto diutilizzare il nome dei fondatori edi mantenerlo senza limiti di tem-po, secondo gli accordi con essiintervenuti.Così è nei principali Paesi esteri,dove certo non si rischia diconfondere studi che mantengonoil nome di fondatori scomparsi dadecenni o più con eventuali studiomonimi.Ogni argomento a difesa delle at-tuali anacronistiche disposizioni,risalenti alle leggi razziali, è age-volmente superabile, ma ciono-nostante tutte le proposte di rifor-ma della legge professionale con-tinuano a prevedere restrizioninon solo inutili ma fortementedannose.Un altro problema che non riescea trovare adeguate soluzioni nei

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progetti di riforma è quello dellaresponsabilità professionale. Ta-le responsabilità deve essere di-sciplinata con norme davvero ef-ficaci, ma non inutilmente pena-lizzanti e discriminatorie rispettoa quelle applicabili all’eserciziodell’attività in forma individuale,sul quale soltanto sembra model-lata ogni ipotesi di riforma. Lostrumento necessario e sufficien-te a garantire un’efficace tuteladei clienti è l’assicurazione pro-fessionale, che dovrebbe divenireobbligatoria per tutti gli avvocatied essere affiancata alla respon-sabilità personale. Ma solo quel-la di chi abbia effettivamente re-so o concorso a rendere la presta-zione professionale. Sarebbe in-fatti privo di senso, e fonte di re-sponsabilità oggettiva senza col-pa, responsabilizzare i soci diuno studio associato per fatti col-posi o dolosi di colleghi che essinon possono controllare, vuoiper mancanza delle necessariecompetenze tecniche, vuoi perl’impossibilità di verificare ogniloro attività. Né avrebbe sensostabilire che la responsabilitàpossa derivare dalla mancata isti-tuzione da parte dello studio as-sociato di adeguate procedure,perché non v’è procedura chepossa davvero consentire di pre-venire errori ed omissioni del-l’avvocato, salvo eccezioni ditrascurabile importanza. Ed èevidente che se si rendesse re-sponsabile, oltre all’avvocato cheha reso la prestazione professio-nale, anche lo studio associatodel quale egli fa parte, risultereb-bero indirettamente responsabilitutti gli altri soci. Lo studio do-vrebbe infatti far fronte con ilproprio patrimonio, che appartie-ne a tutti i soci.Ulteriore lacuna dell’ordinamento

vigente è la mancanza di regolespecifiche che disciplinino, inparticolare a livello fiscale, le sediestere di studi italiani e le sedi ita-liane di studi esteri. Ciò comportala necessità di ricorrere a soluzio-ni inutilmente complicate e co-munque crea situazioni di incer-tezza, penalizzando in particolarel’internazionalizzazione degli stu-di italiani.Ancora, pare necessario rimuove-re talune disposizioni che preclu-dono tutt’ora la possibilità di ef-fettuare la comunicazione infor-mativa in forma adeguata. Adesempio quelle che impedisconodi rendere note alla clientela,sempre più esigente e sofisticata,le esperienze professionali speci-fiche maturate negli ambiti d’inte-resse anche menzionando i nomidei clienti assistiti in precedenza.Ciò dovrebbe essere consentito,come avviene ovunque all’estero,e non vietato per il semplice timo-re di comportamenti scorretti, suiquali gli Ordini dovrebbero e po-trebbero vigilare. Ovviamente nelrispetto delle norme deontologi-che in genere ed in particolare de-gli obblighi di riservatezza.Le questioni sopra menzionate ri-guardano specificamente gli studiassociati, e particolarmente quellimedi e grandi, ma è necessariomodernizzare la professione fo-rense più in generale, partendodall’accesso, ed evitare di com-piere in sede di riforma scelte sba-gliate e assai dannose. Si accen-nerà nel seguito ad alcune di esse,che hanno trovato purtroppo nonpochi sostenitori.Negli studi legali associati nondeve essere ammessa la partecipa-zione di soci di capitale, che lisnaturerebbe e sarebbe priva diutilità. Per la loro costituzione esviluppo non sono necessari capi-

tali o finanziamenti di entità taleda non poter essere reperiti dai so-ci-avvocati.Deve essere mantenuta la tassa-zione per cassa, poiché l’introdu-zione del principio di competenzacomporterebbe la tassazione di unreddito di lavoro (e non d’impre-sa) non effettivamente percepito,con conseguenze economiche di-rompenti.Tanto gli avvocati-soci quanto gliavvocati-collaboratori non devo-no essere formati né inquadratiquali dipendenti, perché ciò con-dizionerebbe negativamente il lo-ro approccio alla professione e li-miterebbe fortemente le loro pro-spettive future.Concludendo, la modernizzazionedella professione forense non varealizzata riconoscendo il dirittodi avvalersi di società di capitale,o mediante altre innovazioni inu-tili se non dannose, ma creandoun sistema di regole adeguate alleeffettive esigenze di ogni diversatipologia di studio legale e dellasocietà contemporanea. Per fareciò va utilizzato lo strumento spe-cifico della società tra avvocati,integrando e correggendo la suaattuale disciplina.

Fabio Cappelletti

Note1 Per una più approfondita trattazionerinvio al mio articolo “Studi legali asso-ciati: pregiudizi e miti da sfatare”, in LaRivista del Consiglio, edita dell’Ordinedegli Avvocati di Milano, n. 4 dicembre2006, pagg. 51 ss., e reperibile anche nelsito Internet di ASLA – Associazione Stu-di Legali Associati – www.aslaitalia.it.2 Ad oggi gli studi membri sono, in ordinealfabetico: Abbatescianni; Agnoli Ber-nardi e Associati; Allen & Overy; Anto-nelli Cocuzza & Associati; Ashurst,Baker & McKenzie; Bonelli Erede Pap-palardo; Bryan Cave; Callipari; Camoz-zi Bonissoni Varrenti & Associati; Capra-rulo; Carnelutti; Ceccon & Associati;

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Chiomenti; Cleary Gottlieb Steen & Ha-milton LLP; Clifford Chance; CMS –Adonnino Ascoli & Cavasola Scamoni;CNTT; Curtis Mallet-Prevost Colt & Mo-sle; De Berti Jacchia Franchini Forlani;Delfino e Associati Willkie Farr & Galla-gher LLP; Del Plato e Associati; Dewey& LeBoeuf LLP; DLA Piper; D’UrsoGatti e Associati; Freshfields BruckhausDeringer; Galbiati Sacchi e Associati;

Gianni Origoni Grippo & Partners; Gili-berti Pappalettera Triscornia e Associati;Giuffrè Scorcelli Rosa & Partners; Gri-maldi e Associati; Hammonds Rossotto;Jones Day; La Scala & Associati; LCA –Lega Colucci e Associati; Linklaters; Lo-vells; Macchi di Cellere Gangemi; MBLPartners - Marena Bonvicini Ludergnani;NCTM; Norton Rose, Orrick; Pavia e An-saldo; Pedersoli e Associati; Piergrossi

Bianchini Eversheds; Portolano ColellaCavallo; Pupolo; Geffers Rosen Bosin &Iacobelli; Regoli Merani & Associati; Ri-naldi e Associati; Rota Rusconi & Asso-ciati; Shearman & Sterling LLP; Sutti;TCM Avvocati Associati; Tonucci; Tra-verso e Associati; Trevisan & Cuonzo;Tullio & Partners; Ughi e Nunziante conBernascone & Soci; Vita Samory Fabbri-ni e Associati.

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È in corso la correzione dei com-piti della sessione di esami soste-nuti nel mese di dicembre 2007 enon sono ancora esauriti, in moltesedi, gli esami orali della sessioneprecedente. Di questa conosciamoi dati relativi alle percentuali diammissione agli orali (con l’ecce-zione di sole due sedi), che con-fermano ancora una volta la tesi,più volte sostenuta e ribadita, del-la inefficacia risolutiva della c.d.“legge Castelli”.Si nota, esaminando le percentualiin esame, che la forbice tra le variesedi non accenna a restringersi: siva dal 18,92% di candidati am-messi in una delle sedi all’83,16%di ammessi in altra sede.La lotteria continua! I numeri so-pra riportati dimostrano a luce so-lare che qualcosa non funziona.Non sappiamo se abbiano sba-gliato i commissari di esame chehanno ammesso il 18,92% ovve-ro quelli che hanno promossol’83,16%; quel che è certo è chenon appare ragionevole il quadroche pubblichiamo in calce.Non si tratta di stabilire chi sia piùbuono e chi più cattivo, ma sem-plicemente di adottare un sistemache garantisca un trattamentouguale o, quanto meno, uniformeper tutti i candidati.

Non è giusto che superino l’osta-colo soggetti non idonei e restino,come suol dirsi, al palo ragazzi eragazze capaci, studiosi e chehanno dimostrato, nel biennio dipraticantato, capacità professio-nali certe e solide.Poiché è ormai incontestabile cheil sistema non funziona o, meglio,non consente di raggiungere risul-tati accettabili, occorre trovare so-luzioni che offrano la possibilitàdi un percorso utile a consentirel’accesso alla professione forenseche prescinda dalla … lotteria!Si è detto da più parti che la viamigliore sarebbe quella di un per-corso formativo realizzato me-diante la frequenza di una scuolaobbligatoria biennale, con verifi-che periodiche, all’esito del qualepotrebbe essere sufficiente la solaredazione di uno scritto difensivo,sottoposto al vaglio di un’unicacommissione a livello nazionale.Simile soluzione rispetterebbel’esigenza dell’omogeneità digiudizio e, nel contempo, realiz-zerebbe, un recupero di qualità,da considerarsi oggi non propriosuperfluo.I problemi da risolvere ai fini del-la realizzazione del quadro ora di-segnato non sono pochi, ma a vol-te anche ciò che ad un esame su-

perficiale appare non superabile,può invece presentare potenzialitàattuative non proprio insormonta-bili.Un primo ostacolo viene sollevatoda chi ritiene che la soluzione oraipotizzata finisca con il penalizza-re i giovani aspiranti alla profes-sione perché il percorso divente-rebbe troppo lungo prima dell’in-gresso nell’attività di lavoro. Sipuò rispondere a simile obiezioneche la frequenza della scuolaavrebbe la stessa durata del tiroci-nio (due anni) e che la compatibi-lità tra quest’ultimo e la frequen-za della scuola ben potrà essererealizzata con opportuni accorgi-menti di scelta di orari e di giornidella settimana. Con l’ulteriorevantaggio di una durata della va-lutazione finale ben minore ri-spetto ai tempi attuali.Il problema più grave è rappre-sentato dal numero dei praticantiche in alcune sedi è così elevatoda rendere difficile un’offerta discuola utile per tutti. In realtà lesedi che avrebbero un simile pro-blema non sarebbero molte, inquanto dei 165 Ordini circonda-riali solo il 10% ha un numero dipraticanti particolarmente rilevan-te e per essi ben si potrebbe trova-re la soluzione, utilizzando intese

Un esame da cambiareLe critiche alle regole vigenti per gli esami di avvocato sono continue e molto

fondate. L’esame dovrebbe servire a selezionare qualitativamente i giovani avvocati, con la garanzia di eguaglianza di trattamento in tutte le sedi.

Il numero troppo elevato di promossi e l’enorme disparità dei giudizi nelle varie sedi dimostrano che la legge attuale non consente di conseguire

i fini indicati. È dunque necessaria una riforma per rispettare il precetto costituzionale che impone l’esame di stato, ma è molto difficile

individuarne i contenuti idonei.

di Carlo Martuccelli

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ordinamento professionale

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con le Università locali, con laMagistratura e con la Scuola Su-periore della avvocatura di recen-te istituzione ad opera del Consi-glio Nazionale Forense.Non è certo questa la sede perentrare nei dettagli organizzatividelle scuole; qui preme soltantoriaffermare la necessità di unariforma del sistema di esame e

“Postilla”Si ritiene opportuno segnalare chel’argomento della preparazionedei praticanti avvocati e dell’esa-me è stato affrontato in modo in-teressante nel disegno di leggepresentato dal Senatore GuidoCalvi per la riforma dell’ordina-mento della professione di avvo-cato (Senato n. 963).Per quanto riguarda la frequenzaai corsi integrativi di formazio-ne, nel disegno Calvi non è pre-vista la obbligatorietà della fre-quenza per i motivi indicati nel-la relazione.Si ritiene che occorra del tempoprima che vengano ben organiz-zate in tutti gli ordini forensi lescuole di formazione.Solo quando fosse stato constata-to che l’organizzazione è diffusain tutto il territorio della repubbli-ca, potrà essere imposta la obbli-gatorietà.Da subito, tuttavia, può essere fa-vorita la frequenza delle scuole,riconoscendo, a chi abbia supera-to l’esame previsto a conclusionedei corsi, un punteggio da aggiun-gere a quello acquisito nelle provescritte e nelle prove orali.Una volta che sarà stata prescrittala obbligatorietà, si dovrà tuttaviatener conto che ben difficilmentepotrà essere rispettato il criterio,ritenuto importantissimo, della

eguaglianza della preparazionepresso tutti gli ordini e del rigorenel rilasciare gli attestati di fre-quenza.Nel disegno di legge si ritiene,pertanto, che l’esame debba con-servare la sua funzione selettiva edi garanzia, per quanto possibile,di eguaglianza di trattamento.A questo scopo, sono state previ-ste disposizioni, che rendono l’e-same più severo e perciò più diffi-cile da superare. Le modalità del-l’esame attuale non garantisconoaffatto questa severità.Inoltre, nel disegno di legge si ècercato di rendere il più possibileeguali i criteri di giudizio in tuttele sedi d’esame (che possono es-sere presso i singoli distretti op-pure presso distretti riuniti).Come ha illustrato Carlo Martuc-celli, il sistema introdotto di re-cente e lo scambio dei temi fra ivari distretti, non ha arrecato l’au-spicata eguaglianza di giudizio.In una bozza di emendamenti aldisegno Calvi (elaborata dallacommissione Riforma dell’Unio-ne Triveneta degli Ordini) è statoprevisto che le prove scritte sianodistribuite tra le varie sedi d’esa-me con criterio di assoluta casua-lità.È inoltre previsto che gli elabora-ti di ogni prova siano valutati se-paratamente l’uno dall’altro.

In questo modo, l’uguaglianza digiudizio per i candidati delle variesedi è garantita in misura soddi-sfacente per la prova scritta.Per quanto riguarda, invece, laprova orale è stato previsto che gliesami siano sostenuti presso il di-stretto di iscrizione. Tuttavia, per itre distretti nei quali risulti piùelevata in un anno la percentualedei promossi nella prova orale, èprevisto che, nell’anno successi-vo, l’esame venga sostenuto pres-so una commissione centrale.Ciò dovrebbe indurre gli esamina-tori di ogni distretto ad usare cri-teri rigorosi di giudizio, per evita-re che, nell’anno successivo, icandidati di quel distretto venga-no esaminati in sede nazionale.È certo che l’argomento dellescuole forensi e degli esami è tra ipiù importanti e anche tra i piùdifficili da disciplinare.Il disegno di legge Calvi contienesoluzioni interessanti. Esso avevainiziato il percorso per l’approva-zione in Senato, con il riconosci-mento dell’importantissimo prin-cipio che la professione forensedeve essere disciplinata da unalegge speciale e non essere com-presa nella legge di disciplina ditutte le libere professioni.Era già stato nominato il comitatoristretto nell’ambito della com-missione giustizia del Senato,

di accesso alla professione fo-rense.Propedeutica a tutto ciò è la veri-fica della esistenza o meno di uninteresse vero alla soluzione delproblema segnalato, posto che datroppi anni si constata e si affermal’inadeguatezza del sistema vi-gente, senza trovare adeguata at-tenzione nelle sedi deputate a de-

cidere ed attuare le opportune mo-difiche. Viene da credere che laformazione di una classe forensepreparata ed idonea ad offrire allacollettività difesa ed assistenza dielevata qualità non interessi nes-suno e men che mai coloro i qua-li sono chiamati ad assumere lenecessarie iniziative in sede legi-slativa.

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quando lo scioglimento delle Ca-mere ha vanificato l’importantis-simo inizio dell’iter di approva-zione (ad oltre 130 anni dall’en-trata in vigore dell’ordinamentovigente!).Sarà necessario fare in modo cheil disegno di legge Calvi, opportu-namente emendato ed integrato,

venga presentato quanto prima epoi che sia sollecito il procedi-mento di approvazione.C’è da sperare che tutta l’avvoca-tura si mobiliti per superare l’i-nerzia parlamentare che, fino adoggi, ci ha costretti ad una disci-plina assolutamente inadeguatadella professione.

In una recente indagine, pubblica-ta sul Corriere della Sera, risultache la professione di avvocato inItalia è quella che, in ambito euro-peo, è giudicata in modo più ne-gativo.Non può continuare così.

d.d.

Corti Domande Presenti Corretti Termine Ammessi %Ammessi Idoneidi Appello scritti dalla C.A. correzione orali

Ancona 935 847 Messina 557 85,78

Bari 2736 2624 Venezia 1039 39,6

Bologna 2793 Milano

Bolzano 154 146 Bolzano 28 16,92 26

Brescia 1018 835 Ancona 400 47,9

Cagliari 1304 1200 Catanzaro 998 83,16

Caltanissetta 255 247 Potenza 128 51,82

Campobasso 519 456 Trieste 125 27,41

Catania 1406 1237 Salerno 680 54,97

Catanzaro 1919 1803 Catania 1293 71,71

Firenze 2326 2137 Torino 937 43,84

Genova 1170 1046 Brescia 353 33,75

L’Aquila 1228 1173 Reggio Calabria

Lecce 1829 1759 Palermo 696 39,68

Messina 717 594 L’Aquila 417 70,2

Milano 3824 3404 Roma 1382 40,6

Napoli 5990 5546 Bologna 2109 38,02

Palermo 1468 1255 Cagliari 445 35,46

Perugia 723 619 Campobasso 243 39,28

Potenza 628 591 Trento 206 34,85

Reggio Calabria 1058 1007 Genova 458 45,46

Roma 5524 4794 Napoli 3364 70,59

Salerno 1312 1265 Lecce 593 46,88

Torino 1929 1735 Firenze 640 36,88

Trento 157 151 Perugia 60 39,73

Trieste 504 455 Caltanissetta 262 57,58

Venezia 2258 2037 Bari 1218 59,79

Totali 45684 38962 18653 47,9

Tabella - Sessione 2006

N.B. Nella prima colonna sono elencate le sedi degli esami; nella seconda le sedi ove sono state corrette le prove scritte, indicate incorrispondenza di ciascuna sede di esame.

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AAVVOCATURAordinamento professionale

Se c’è un postulato indiscusso neldibattito sulla “formazione pro-fessionale continua” degli avvo-cati, esso riguarda il valore unani-memente riconosciuto al doveredi preparazione e di aggiorna-mento permanente in capo adogni iscritto.Non si tratta di un’opzione con-cettualmente elaborata, ma di unaproposizione che non ha bisognodi alcuna dimostrazione: da qual-siasi prospettiva si parta, non èconcepibile che un avvocato pos-sa esercitare la professione senzaun costante aggiornamento dellasua preparazione.Come ha incisivamente osservatoGuido Alpa, «il dovere di aggiorna-mento professionale è sempre statouna delle componenti della forma-zione dell’avvocato, un doveredeontologico, perché l’avvocatoche assume la difesa di una causasenza conoscerne i profili di dirittosostanziale e processuale espone ilcliente ad un grave rischio, e nelcontempo viene meno il dovere didiligenza (oltre che di correttezza)professionale, richiesta, prima an-cora della disciplina specifica delleprofessioni intellettuali, dall’art.1176, comma 2 c.c.».Se, poi, dal lessico generico si pas-sa a quello, più esplicito e determi-nato, del Regolamento approvato il

13 luglio 2007 dal CNF sulla “for-mazione professionale continua”,si ritrova la stessa presupposizio-ne, ma se ne riconosce anche la ra-dice concettuale. Si tratta del nodoche si va stringendo sempre più tradeontologia e professione, in unamodalità che fa del primo terminela condizione di pensabilità del se-condo, e viceversa.Proprio per questo la “formazionecontinua” si pone non soltanto co-me un dovere da assolvere per as-sicurare una più elevata qualitàdella prestazione, ma costituisceessa stessa il punto di giuntura tradeontologia e professionalità.Suscita perciò non poche perples-sità la motivazione addotta a so-stegno di una pretesa intromissio-ne del CNF nell’autonomia deiprofessionisti i quali “sanno be-nissimo che, se non si aggiorna-no, rischiano di essere relegati aimargini del mercato”.Ora, nessuno pensa che il dovere,diciamo così di competenza, esulidalla sfera di autonomia e di re-sponsabilità del singolo professio-nista e possa essere adempiuto so-lo mediante un’imposizione dal-l’alto. Né è immaginabile un’av-vocatura minuziosamente regolatada un sovraccarico normativo.Ma dietro l’esigenza di garantirel’osservanza di questo dovere c’è

una più radicale idea. L’idea che ilprocesso storico e culturale in attonell’avvocatura – contraddistintoda una divaricazione tra gruppi ag-guerriti di legali organizzati in for-ma associata o societaria, ed avvo-cati che esercitano la professionesu base artigianale ed in condizio-ni difficili, e quindi privi di ade-guati strumenti di formazione e diaggiornamento – debba vedere leistituzioni forensi impegnate asvolgere un’azione di supporto checonsenta, soprattutto ai giovani, dimantenersi al corrente di una legi-slazione nevrotica e di una giuri-sprudenza in continua evoluzione.Non solo; ma di conoscere ed ap-profondire le esperienze giuridichedi altri Paesi, tanto più necessariein presenza di dinamiche di globa-lizzazione che abbattono i confinigiuridici degli Stati nazionali.Il punto essenziale di questa azio-ne sembra quindi riguardare latattica non la strategia, i mezzinon i fini, ed in tale prospettiva unprimo interrogativo da porsi è se ilRegolamento approvato dal CNFsarà in grado di raggiungere que-sto obiettivo.In verità non risulta che tutti i Con-sigli dell’ordine, cui spetta il com-pito di organizzare master, semina-ri, giornate di studio e tavole roton-de, o di accreditare eventi organiz-

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La formazione continua tra deontologia e professionalitàLa formazione continua disciplinata dal Regolamento approvato dal CNF e da tanti regolamenti dei Consigli dell’ordine suscita molte polemiche.Deve essere grande l’impegno dei Consigli dell’ordine a dare attuazione alle nuove regole e garantirne la corretta applicazione. Ne va di mezzo l’avvenire della professione legato al rinnovamento culturale degli avvocati.

di Massimo Di Lauro

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zati da associazioni forensi, istitu-zioni ed organismi pubblici o pri-vati, abbiano inviato al CNF i pianiformativi per il 2008. Mentre è cer-to che quelli trasmessi sono preva-lentemente “eventi” organizzati daterzi, dei quali i Consigli si sono li-mitati ad attestare la validità.Tutto ciò non induce all’ottimi-smo.La strada virtuosa per centrare unobiettivo così ambizioso, comequello della “formazione profes-sionale continua”, passa attraversoiniziative culturali di ampio respirole quali richiedono un’accurata se-lezione degli argomenti in discus-sione ed una scelta dei relatori chenon prenda la vecchia piega di ser-vire ad amici e colleghi a caccia dimicrofoni e sprazzi di visibilità.E’ necessario, pertanto, che i Con-sigli dell’ordine mettano ciascuno

in gioco le proprie competenze ed ipropri ruoli, coinvolgendo anchequelle associazioni di studiosi cheper tradizione culturale e autorevo-lezza degli organi direttivi sono ingrado di garantire la qualità deglieventi formativi e la professionalitàdei relatori chiamati ad illustrarli.Deve infatti essere chiaro a tuttiche formazione professionale con-tinua non significa soltanto inte-grare ed aggiornare le conoscenzenei vari campi del sapere giuridico,ma repertoriare i principali proble-mi applicativi legati all’attuazionedelle recenti riforme di diritto so-stanziale e processuale, al fine dichiarire e risolvere i punti di con-trasto tra princìpi astratti e praticaeffettiva, enunciazione di regole eloro effettiva operatività.Si pensi, per tutte, alle regole delgiudizio di Cassazione, dettate dal

d.lgs. n. 40/06: in particolare allamodifica dell’art. 366-bis c.p.c., lecui previsioni – come ha scrittoAndrea Protopisani – hanno lospiacevole sapore di vere e proprietagliole per il legale sprovveduto.Si pensi alla nuova disciplina del-le procedure concorsuali, che harimodulato molti istituti obsoletisecondo un disegno unitario chevede il suo fil rouge in una gestio-ne accentuatamente privatisticadelle crisi aziendali, con conse-guente maggior coinvolgimentodelle competenze dell’avvocato.Si pensi, più in generale, alla ri-flessione su istituti vecchi e nuovialla luce dell’esperienza legislati-va e giurisprudenziale, premessaindispensabile per superare ildualismo un po’ schizofrenico trasapere giuridico e pratica quoti-diana del diritto.

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AAVVOCATURAordinamento professionale

I. Diritti di procuratore ed onorario di avvocato:differenze

L’art.1, comma 1, del capitolo Idella tariffa forense prevede cheall’avvocato sono dovuti oltre chegli onorari anche i diritti indicatinella tabella B; la tariffa profes-sionale prevede distintamente glionorari di avvocato ed i diritti diprocuratore, sottintendendo la di-stinzione fra opera di patrocinioed attività procuratoria: i diritti diprocuratore sono relativi, quindi,alle singole prestazioni in confor-mità alla tabella relativa, mentregli onorari riguardano la presta-zione d’opera nel suo complesso.Si è specificato (Cass. 8 marzo2005, n. 4966) che ai fini della li-quidazione di diritti ed onorari diavvocato, le istanze, i ricorsi e ireclami, per i quali la tabella Bdella tariffa prevede la correspon-sione di un apposito diritto, nonincludono le sollecitazioni al giu-dice per il compimento di una at-tività a lui imposta dalla legge.Dopo la soppressione della di-stinzione tra procuratori legali eavvocati ad opera degli artt. 1 e 6della l. 24 febbraio 1997, n. 27, siè posto il problema della “perma-

nenza” dell’attività procuratoria.Al riguardo si è affermato (Cass.11 febbraio 2004, n. 2626) chegli artt. 1 e 6 della l. n. 27 del1997, nel sopprimere la distin-zione tra procuratori legali e av-vocati, e prescrivendo l’iscrizio-ne in un unico albo per entrambi,non hanno eliminato l’attivitàprocuratoria.La liquidazione dei diritti di pro-curatore deve avvenire secondo latariffa in vigore all’epoca delcompimento di ciascuna presta-zione la quale, benché preordina-ta ai fini del giudizio, ha una pro-pria individualità, così da esaurir-si con la sua effettuazione, mentrela liquidazione degli onorari av-viene quando il mandato è esauri-to (Cass. 29 aprile 1983, n. 2961).Ne consegue che in caso di suc-cessione di tariffe professionalinel corso del processo, i diritti diprocuratore vanno liquidati sullabase della tariffa vigente al mo-mento della singola prestazione,mentre gli onorari di avvocato, inconsiderazione del carattere uni-tario dell’attività difensiva, vannoliquidati in base alla tariffa in vi-gore al momento in cui l’operacomplessiva è stata condotta a ter-mine, con l’esaurimento dell’in-

carico professionale (Cass. 24marzo 1997, n. 2566; Cass. 22 no-vembre 1988, n. 6275).Con riferimento alle prestazionistragiudiziali, la Cassazione (2 di-cembre 1972, n. 3488) ha affer-mato che all’avvocato che abbiaprestato la sua attività in materiastragiudiziale, non compete uncompenso a titolo di “diritti ecompetenze” o a titolo di “dirittifissi e prestazioni di assistenza” inaggiunta al compenso per onorarispettanti allo stesso professionistaper tale attività.

II. Diritti di procuratoreper fattispecie particolari

Si ritiene utile segnalare fattispe-cie particolari esaminate dallagiurisprudenza.

– Esame procura alle litiTale diritto spetta per ogni praticatrattata, quando l’avvocato trattanumerose pratiche per lo stessocliente, sulla base di una unicaprocura alle liti (Cass. 5 febbraio1971, n. 295; Cass. 19 febbraio1971, n. 432).

– Richiesta notificaTale diritto è dovuto per ogni ri-chiesta ed una sola volta anche se

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Diritti di procuratore ed onorario di avvocato: differenze e fattispecie“particolari” nella giurisprudenza e prassi amministrativaLe nostre tariffe non sono idonee a determinare il giusto compenso dell’avvocato e si prestano a interpretazioni difformi.È interessante fare una rassegna della disciplina per alcune prestazioni.

di Leonardo Carbone

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la richiesta di notifica si riferiscea due atti, come ad es., titolo ese-cutivo e precetto (Cass. 13 no-vembre 1982, n. 6055).

– Deposito in cancelleria di atti odocumentiTale diritto spetta per il depositoin cancelleria degli scritti difensi-vi (Cass. 28 maggio 1976, n.1929) e della nota spese (Cass. 25novembre 2003, n. 17898). In ipo-tesi di deposito di atti contempo-raneamente spetta un diritto unico(Cass. 22 gennaio 1982, n. 433).

– Dichiarazione di contumaciaNon spetta il diritto per la dichia-razione di contumacia della con-troparte perché fatta d’ufficio dalgiudice (Cass. 18 novembre 1974,n. 3694).

– Procedimenti innanzi alle Com-missioni tributarieNei procedimenti dinanzi alleCommissioni tributarie, che han-no natura e funzioni giurisdizio-nali, sono dovuti al difensore i di-ritti di procuratore (Cass. 18 otto-bre 1977, n. 4441).

– Consultazioni con il clientePer il diritto di procuratore inquestione l’espressione riportatain tariffa è al singolare “Consulta-zione” e non “consultazioni” (adifferenza per la stessa voce rela-tiva all’onorario). Da ciò ne con-segue che, nei confronti del clien-te, competono tanti diritti di pro-curatore per ogni consultazionecol cliente.Per il riconoscimento del diritto diprocuratore “consultazione colcliente” vi è una presunzione iuristantum e dà luogo, in ogni caso,alla riconoscibilità di un solo di-ritto di procuratore; l’attribuzionedi ulteriori competenze a tale tito-lo è subordinata, invece, alla do-cumentazione e, comunque, alla

prova certa dell’effettività dellaprestazione professionale.Per il riconoscimento di tale dirit-to non è richiesta la prova che visiano state le consultazioni, es-sendo tale presunzione assistitada presunzione. Il compenso pertale diritto è dovuto al difensore,anche dopo ogni sentenza non de-finitiva, dopo ogni ordinanza col-legiale, dopo ogni riassunzionedel processo e fissazione di nuovaudienza (Cass. 16 novembre1984, n. 5832). La voce “consul-tazione con il cliente” è applicabi-le una volta sola per giudizio (del.Cons. Ordine Avvocati Bologna31 gennaio 2005, 22 giugno 2005,29 novembre 1999), è unica, indi-pendentemente dal numero con-creto di consultazioni (del. Cons.Ordine Avvocati Bologna 2 di-cembre 2002, 30 giugno 2003, 22settembre 2003), e non è dovutaquando il rapporto professionale èstato intrattenuto solo con il domi-nus (del. Cons. Ordine AvvocatiBologna 10 gennaio 2000). Levoci delle competenze “corri-spondenza” e “consultazioni” so-no, quindi, complessive ed uni-che, e quindi devono essere espo-ste una volta sola anche in presen-za di pluralità di corrispondenze edi consultazioni, salvo che nelleoccasioni specificamente indicatedalla tariffa, qualora plurime al-l’interno del medesimo giudizio(sentenza non definitiva, ordinan-za di rimessione in istruttoria,riassunzione).Il Consiglio Nazionale Forensecon parere n. 4 del 2 novembre2005 (in Attualità forensi, 2006,nov-dic. 2006, 63) ha osservatoche nelle tariffe in vigore primadel d.m. n. 127 del 2004, la voceper “consultazione cliente” eradovuta espressamente «anche do-po ogni sentenza non definitiva,

dopo ogni ordinanza collegiale…», mentre nel d.m. n. 127 del2004 tale specificazione non èstata ripetuta, per cui si ritiene chei diritti in esame siano dovuti unatantum. Tale interpretazione è“avallata” da Cass. 8 novembre1974, n. 3694, Foro it., Mass.,1974, 832, in cui si afferma che ildiritto di procuratore per le con-sultazioni con il cliente non è do-vuto per ogni sessione col cliente,e ciò perché dalla dizione dell’ar-ticolo della tariffa si desume in-fatti che il diritto spetta “per leconsultazioni” e non per ogni“singola consultazione”. Il Tribu-nale di Milano, con sentenza 20marzo 1980 (in Riv. Cons. Ordine,Milano, 1980, 5,12) afferma peròche rispetto al proprio assistitol’avvocato ha diritto di pretendereun autonomo compenso per ognisingola attività compiuta, cioè perogni colloquio, per ogni lettera,ecc. (conforme anche Corte App.Napoli 25 settembre 1969, causaNugues ed altro c. Cafarelli, inDir. giur., 1969, 826).

– Corrispondenza informativacon il clientePer il riconoscimento di tale dirit-to, Cass. 1° settembre 1987, n.7156, afferma che non è richiestala prova dell’avvenuta corrispon-denza, essendo la stessa assistitada presunzione, sempre che risul-ti non la mera esistenza del rap-porto di clientela, bensì, attraver-so la documentazione od altro ele-mento idoneo presuntivo, l’effet-tività della prestazione professio-nale; si specifica ulteriormente(Cass. 23 marzo 2004, n. 5802;Cass. 23 gennaio 2002, n. 738;Cass. 23 novembre 1994, n. 9040)che per il riconoscimento di talediritto procuratorio è necessaria ladocumentazione o altro elementoidoneo ad attestare in via presun-

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tiva la effettività della prestazioneprofessionale. Non è consentito,naturalmente, esporre – in attivitàgiudiziale – i diritti per ogni co-municazione ricevuta e inviata,dovendosi invece esporre per unasola volta il diritto relativo allacorrispondenza informativa.Non sono dovuti, quindi, dirittiper ogni lettera o invio di lettere efax, essendo la voce “corrispon-denza” unica e onnicomprensiva.La relativa competenza è comun-que dovuta dopo ogni provvedi-mento terminativo di una faseprocessuale.In tempi di internet, la corrispon-denza in formato elettronico è sta-ta equiparata a quella cartacea,così come la spedizione telemati-ca di atti e documenti è stata equi-parata all’invio di telefax; la com-petenza per “accesso in posta perraccomandata” non è comunqueprevista né vi è la possibilità delsuo implicito riconoscimento(del. Cons. Ordine Avvocati Bolo-gna 3 marzo 2003).Si è specificato (Cass. 2 aprile2007, n. 8152) che l’espletamentodell’attività di “corrispondenzainformativa con il cliente” nelcorso del procedimento di I gradosvolto con il rito del lavoro è og-getto di una vera e propria pre-sunzione iuris tantum e dà luogo,in ogni caso, alla riconoscibilitàdi un solo diritto di procuratore,ex art. 21 della tabella B) allegataal d.m. n. 585/1984; l’attribuzionedi ulteriori competenze a quel ti-tolo è subordinata, invece, alla do-cumentazione e, comunque, allaprova certa dell’effettività dellaprestazione professionale comespecificamente indirizzata a tene-re informato il cliente degli even-ti processuali indicati, in chiusu-ra, nella stessa tabella, vale a dire«dopo ogni sentenza non definiti-

va, ogni ordinanza collegiale,ogni riassunzione del processocon fissazione di nuova udienza».Per la spettanza del “numero” deidiritti della corrispondenza, sirinvia a quanto esposto per la pre-cedente voce “consultazionecliente”.

– Posizione e archivio; disaminaLe voci “posizione e archivio” e“disamina” vanno esposte una so-la volta ciascuna nell’ambito delprocedimento (del. Cons. OrdineAvvocati Bologna 7 marzo 2005).

– ArchiviazioneTra i diritti non esiste la voce “ar-chiviazione”, la quale pertantonon è dovuta.

– Formazione fascicoloLa competenza per “formazionefascicolo” è dovuta solamente peril caso di formazione del fascico-lo atti e documenti depositato inun procedimento giudiziale (del.Cons. Ordine Avvocati Bologna11 ottobre 2004).

– Richiesta copieLa voce “richiesta copie” com-prende già in sé anche il relativoritiro, il quale non attribuisce di-ritto ad una distinta competenza(del. Cons. Ordine Avvocati Bolo-gna 22 giugno 2005).

– DomiciliazioneTale diritto è dovuto solo al pro-curatore domiciliatario ed è dovu-to solo dal cliente (Cass. 7 dicem-bre 1990, n. 11729), e non anchedalla parte avversa soccombente(Cass. 23 gennaio 1990, n. 366;Cass. 22 marzo 1985, n. 2073).Il diritto di domiciliazione spettasolo se il legale svolga la funzio-ne di semplice “domiciliatario” enon anche nella ipotesi in cui illegale svolga l’attività di procura-tore (del. Cons. Ordine AvvocatiBologna 14 maggio 2001).

– VacazioniIl diritto di vacazione è un sup-plemento di compenso che la ta-riffa riconosce in ipotesi specifi-camente indicate, in relazione altempo in più rispetto ad un nor-male canone temporale. Tale di-ritto, comune, spetta solo nei ca-si predeterminati dalla tariffa, enon in via generale per ogni atti-vità che si prolunghi oltre un’ora(Cass. 28 maggio 1976, n.1929). Ai fini del riconoscimen-to del diritto di vacazione, i di-ritti previsti dalla tariffa, e chesono suscettibili di essere au-mentati, sono:– la partecipazione a ciascuna

udienza e per ogni intervento al-le operazioni del CTU;

– l’assistenza alla parte comparsadinanzi al giudice o al collegio;

– l’assistenza ad atti di istruzioneprobatoria, per ciascuna udien-za;

– l’esame delle relazioni dei con-sulenti tecnici o di documenticontabili;

– le ispezioni ipotecarie o per larichiesta di certificati ipotecari;

– l’esame dei certificati ipotecari el’esame dei certificati catastali;

– l’assistenza all’adunanza deicreditori nella procedura falli-mentare.

La vacazione è dovuta solo se laprestazione supera l’ora, mentrenon è dovuta se dura di meno,perché l’attività entro l’ora è com-pensata con il diritto procuratorio.Per la spettanza di più vacazionicontemporaneamente (una perogni ora ulteriore), la durata del-l’attività deve risultare, però, dal-l’atto o dal verbale; si è specifica-to (Cass. 28 maggio 1976, n.1929, Foro it., Mass., 1976, 422)che il riconoscimento del dirittodi vacazione per l’assistenza adatti di istruzione probatoria durati

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oltre un’ora, non presuppone cheil protrarsi della prova oltre un’o-ra emerga dal relativo processoverbale, potendosi la circostanzamedesima essere accertata anchein modo diverso. Unica conse-guenza della mancanza di indica-zioni nel verbale è che, quand’an-che si accerti una assistenza dura-ta più ore, è dovuta un’unica va-cazione.

– Indennità di trasfertaL’avvocato per poter conseguire ildiritto per l’indennità di trasfertanon deve essere autorizzato divolta in volta dalla parte ad acce-dere alla località dove si svolgonole udienze del processo (Cass. 5gennaio 1970, n. 13; Cass. 22maggio 1967, n. 1108).L’indennità di trasferta e le relati-ve spese sono poste a carico delsoccombente, salvi gli opportunicorrettivi in caso di eccessività esuperfluità (Cass. 15 maggio2002, n. 7601; Cass. 23 gennaio2002, n. 738; Cass. 25 marzo1999, n. 2820). In precedenza lagiurisprudenza aveva escluso laripetibilità nei confronti della par-te soccombente: Cass. 23 gennaio1990, n. 366; Cass. 26 luglio1983, n. 5145; Cass. 6 febbraio1982, n. 716.Occorre precisare che il d.m. n.127 del 2004, per la trasferta, haindicato il criterio del domicilioprofessionale e non più quellodella residenza (in base all’art.18 della l. 3 febbraio 2003, n. 14è consentita l’iscrizione all’alboprofessionale anche con riferi-mento al domicilio); ne consegueche l’avvocato può iscriversi sianel circondario del tribunale ovel’avvocato è residente, che ovesvolge prevalentemente la pro-pria attività professionale (ovvia-mente è consentita una sola iscri-zione).

– Indennità di trasferta per sosti-tutoPresupposto dell’indennità di tra-sferta è l’accesso alla località do-ve si svolgono le udienze del pro-cesso (l’art. 8 della tariffa dispo-ne «All’avvocato che, per l’ese-cuzione dell’incarico ricevuto,debba trasferirsi fuori dal propriodomicilio professionale, sono do-vute …»). Ne consegue che nelcaso in cui all’udienza partecipaun sostituto del posto, senzaquindi “trasferimento” dal domi-cilio, non spetta l’indennità inquestione.

– Diritti ed onorari dell’esecuzio-ne per consegna e rilascioIn tema di esecuzione per conse-gna e rilascio, il sistema di liqui-dazione delle spese previste dal-l’art. 611 c.p.c. concerne esclusi-vamente le spese vive (esborsi),anticipate dall’istante, ma non an-che i diritti di procuratore edeventuali onorari di avvocato, peril cui rimborso si deve ricorrere alprovvedimento di ingiunzione(Cass. 10 maggio 2005, n. 9745).

– Rinuncia al mandatoNon sono dovute competenze perla redazione della lettera di rinun-cia al mandato, né esiste dirittoper la rinuncia al mandato e per lalettera di diffida per il pagamentodella propria attività (del. Cons.Ordine Avvocati Bologna 30 otto-bre 2000, 3 marzo 2003, 12 mag-gio 2003).

– Redazione ricorso per opina-mento parcella al Consiglio del-l’ordineNon sono dovute competenze (ediritti) per la redazione del ricorsoper opinamento della parcella,salvo il recupero della spesa, ov-vero tassa di opinamento (del.Cons. Ordine Avvocati Bologna21 ottobre 2002, 15 novembre

2004, 18 luglio 2005). Non sonodovuti diritti (né onorario) sia perla redazione del ricorso per opina-mento che per le lettere di solleci-to delle proprie note (del. Cons.Ordine Avvocati Bologna 8 otto-bre 2001, 14 aprile 2004).La voce n. 41 della tariffa («perrichiesta al Consiglio dell’ordinedegli Avvocati del parere per la li-quidazione degli onorari di avvo-cato»), trattandosi di voce per at-tività giudiziale, può essere rico-nosciuta esclusivamente per il ca-so previsto all’art. 59, ultimocomma, del R.d.l. n. 1578/1933, ilquale prevede che «per quanto ri-guarda l’onorario di avvocato, al-la nota delle spese può essere uni-to, all’atto della presentazione diessa ed in ogni caso non oltre die-ci giorni dall’assegnazione dellacausa a sentenza, il parere delConsiglio dell’ordine» (del. Cons.Ordine Avvocati Bologna 14 feb-braio 2005).

– Redazione nota speseNon sono dovute competenze perla redazione della nota spese peril cliente. La competenza per“nota spese” è dovuta solamenteper la nota spese giudiziale, chesi deposita all’atto di assegnazio-ne della causa a sentenza, e noninvece per la nota che il legale re-dige per il proprio cliente (del.Cons. Ordine Avvocati Bologna21 giugno 2004, 18 aprile 2005,13 giugno 2005).

– Scritturazione e collazioneL’importo per la collazione vacalcolato ogni quattro facciatedella sola prima copia, dovendosiapplicare l’importo previsto per ladattilografia e non quello per lastampa. Allo stesso modo le spesedi scritturazione vanno calcolatecon riferimento all’impiego delladattilografia (del. Cons. Ordine

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Avvocati Bologna 14 febbraio2005).I diritti di collazione spettano perogni foglio, che è da ritenersi ilfoglio uso bollo ovvero quattrofacciate (del. Cons. Ordine Avvo-cati Bologna 20 dicembre 1999,10 gennaio 2005).

– Partecipazione alle udienzeIn occasione di ogni udienza nonsono dovuti, in aggiunta alla com-petenza per la partecipazione allaudienza, né la vacazione, né l’esa-me degli scritti avversari, né l’e-same della documentazione (del.Cons. Ordine Avvocati Bologna1° ottobre 2001).

– Esame prove testimonialiIl diritto di procuratore per l’esa-me delle prove testimoniali, pre-visto dalla tariffa forense, è unicosolo in caso di prova e contropro-va sulle medesime circostanze,ancorché protrattasi per piùudienze. Invece, qualora vengaassunta una nuova prova testimo-niale, su fatti diversi ed indipen-denti da quelli oggetto della pre-cedente, va riconosciuto un di-stinto diritto di procuratore.

– Accessi in cancelleriaLa competenza per accesso allacancelleria può essere esposta so-lamente quando non sia assorbitada specifica competenza per l’in-combente che viene svolto conl’accesso alla cancelleria; quindi,tale competenza non è dovuta inaggiunta alle voci di competenzaquali “deposito”, “richieste co-pie”, “notifica”, ecc. (del. Cons.Ordine Avvocati Bologna 22 no-vembre 2004).

– Mandato alle litiLa tariffa forense non prevede ildiritto di “mandato alle liti”. Pre-vede invece il diritto di “Esameprocura alle liti”. Tale diritto spet-

ta per ogni pratica trattata, anchequando l’avvocato tratta numerosepratiche per lo stesso cliente, sullabase di una unica procura alle litio di procura generale. A maggiorragione tale diritto compete quan-do il cliente rilascia per ogni prati-ca apposito mandato alle liti.

– Deduzioni difensive di udienzaIl diritto per “deduzioni difensivedi udienza”, stante la formulazio-ne della voce 13 della tab. B dellatariffa, che fa riferimento per l’at-tribuzione del diritto ad ogni scrit-to difensivo e specifica poi fra pa-rentesi cosa si intende per scrittodifensivo, è da ritenersi che spettinon solamente in presenza di de-duzioni a verbale scritte con eser-cizio del diritto di difesa, ma an-che per qualsiasi altro atto difen-sivo, sempre però “inserito” nelverbale di udienza, e quindi “ver-balizzato”.

– Esame deduzioni a verbale av-versarieLa tariffa forense non prevede ta-le diritto di procuratore. Né è ap-plicabile per tale fattispecie, invia analogica, il diritto previstodalla voce n. 11 della tabella B.

– Esame ordinanzeTale diritto compete per tutte leordinanze, sia per quelle conse-guenti lo scioglimento di una ri-serva che per le ordinanze di me-ra riserva. E ciò perché la formu-lazione della voce 15 della tabellaB non consente tale distinzione;tale disposizione riconosce il di-ritto di procuratore «per l’esamedel dispositivo di ogni sentenza edi ogni decreto o ordinanza, an-che se emessi in udienza», senzadistinzione di sorta.

– Esame della documentazioneprodotta da controparteTale diritto è dovuto una sola vol-

ta indipendentemente dal numerodi documenti prodotti dalla con-troparte e per ciascuna parte costi-tuita. Occorre precisare che il di-ritto in esame compete per ogniproduzione documentale; ne con-segue che se nel corso del giudi-zio, a più riprese, e su autorizza-zione del giudice, la controparteeffettua più produzioni documen-tali in varie udienze, spettano i di-ritti per le varie produzioni docu-mentali.

– Richiesta alla cancelleria di co-pie di attiPer il ritiro di copie di atti dallacancelleria (di cui in precedenzaera stata richiesta copia) la tariffaforense non prevede alcun dirittodi procuratore; la voce “richiestacopie” comprende già in sé ancheil relativo ritiro, il quale non attri-buisce diritto ad una distinta com-petenza (in termini, anche delibe-ra Cons. Ordine Avvocati Bolo-gna 22 giugno 2005).

– Assistenza ai mezzi di provaIl diritto in questione spetta unasola volta per ogni mezzo di pro-va espletato, trattandosi sempredel medesimo mezzo istruttoriorichiesto dal difensore ed ammes-so dal giudice. Naturalmente spet-tano per la partecipazione allaudienza istruttoria altri diritti pre-visti dalla tariffa: es., partecipa-zione all’udienza, deduzioni diudienza, ecc. Occorre richiamarel’attenzione che la voce 28 dellatabella B prevede il diritto «perl’assistenza agli atti di istruzioneprobatoria, per ogni ora o frazionedi ora di ciascuna udienza».

– Assistenza alla CTUQuanto al diritto per l’assistenzaalla CTU la voce 19 della tabellaB prevede il diritto di procuratore«per la partecipazione a ciascunaudienza e per ogni intervento alle

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operazioni del consulente tecnicoper ogni ora o frazione di ora».

III. Onorari per fattispecieparticolari

Si segnalano alcune fattispecie –abbastanza ricorrenti nella pratica“professionale” – in cui spesso èincerta la spettanza o meno delcompenso a titolo di onorario.

– Onorario per la voce “consulta-zione cliente”Per tale voce occorre distinguerese il compenso fa carico al soc-combente oppure al cliente.Infatti nel primo caso (a carico delsoccombente) la voce per onora-rio “consultazioni cliente” è ap-plicabile una sola volta, prescin-dendo dal numero concreto delleconsultazioni effettuate.Anche nel secondo caso (a caricodel cliente), la espressione al plu-rale “consultazioni” (e non “con-sultazione”) depone per la spet-tanza di una voce unica. Natural-mente, nei confronti del cliente, leconsultazioni “ripetute” (c.d.cliente petulante) hanno rilevanzanella determinazione dell’onora-rio – per tale voce – fra il minimoe massimo della tariffa.Per il riconoscimento di tale com-penso non è comunque richiestala prova che vi siano state le con-sultazioni, essendo tale riconosci-mento assistito da presunzione (ildifensore per poter difendere ilcliente almeno una volta deve“consultarsi” con il cliente).Il compenso per tale diritto è do-vuto al difensore, anche dopo ognisentenza non definitiva, dopo ogniordinanza collegiale, dopo ogniriassunzione del processo e fissa-zione di nuova udienza (Cass. 16novembre 1984, n. 5832).La voce delle competenze peronorario “consultazioni cliente”,è, quindi, complessiva ed unica, e

deve essere esposta una volta solaanche in presenza di pluralità diconsultazioni, salvo che nelle oc-casioni specificamente indicatedalla tariffa, qualora plurime al-l’interno del medesimo giudizio(sentenza non definitiva, ordinan-za di rimessione in istruttoria,riassunzione).Il Consiglio Nazionale Forense,con parere n. 4 del 2 novembre2005 (in Attualità forensi, 2006,nov-dic. 2006, 63) ha osservatoche nelle tariffe in vigore prima deld.m. n. 127 del 2004, la voce per“consultazioni cliente” era dovutaespressamente «anche dopo ognisentenza non definitiva, dopo ogniordinanza collegiale …», mentrenel d.m. n. 127 del 2004 tale speci-ficazione non è stata ripetuta, percui si ritiene che i diritti in esamesiano dovuti una tantum.Da quanto sopra ne consegue chela voce “consultazioni col cliente”è da ritenersi unica e prescindedal numero concreto delle consul-tazioni effettuate.

– Onorario per “ispezione deiluoghi della controversia”Tale voce della tariffa può essererichiesta una sola volta per cia-scuna causa e per ciascun grado digiudizio.Per il riconoscimento di tale com-penso non è richiesta la prova chevi sia stata effettiva ispezione, es-sendo tale prestazione assistita dapresunzione.

– Onorario per voce “Ricerca do-cumenti”Tale voce della tariffa competeuna sola volta per ciascuna causae per ciascun grado di giudizio, edè assistita da presunzione.

– Spese legali nei giudizi per re-sponsabilità amministrativa-con-tabileCirca la disciplina delle spese

nei giudizi per responsabilitàamministrativa-contabile, l’art.26 del regolamento di proceduraper i giudizi innanzi alla Cortedei Conti (R.d.l. 13 agosto 1933,n. 1038) dispone che nei proce-dimenti contenziosi si osservanole norme e i termini della proce-dura civile, in quanto applicabilie non siano modificati dalle di-sposizioni di quel regolamento.Nei giudizi per responsabilitàcontabile si applicano, quindi,anche le norme della proceduracivile in tema di spese del pro-cesso, ispirate al principio che laparte soccombente deve soppor-tarne la condanna, sia pure congli adattamenti derivanti dallanatura del giudizio: difatti lastruttura dei giudizi di responsa-bilità contabile, infatti, è tale cheil procuratore generale dellaCorte dei Conti non può chiede-re la rifusione delle spese legali,quando sia accolta la domandadi condanna, perché si tratta diparte pubblica, che esercita d’uf-ficio la relativa azione. Allo stes-so modo e per le stesse ragioni,il procuratore generale non puòessere condannato al rimborsodelle spese in favore della parteche sia stata assolta. Ciò com-porta che in caso di rigetto delladomanda del procuratore gene-rale, la parte assolta deve farsicarico delle spese affrontate perla sua difesa (Cass., sez. un., 12novembre 2003, n. 17014, in Riv.Corte conti, 2003, 6, 217; Cortedei Conti, sez. giur. Reg. Basili-cata 5 giugno 2006, in ForoAmm. – TAR, 2006, 2246). Oc-corre evidenziare sul punto cheper sopperire all’inconvenientesegnalato, sono stati approntatistrumenti di assistenza legale infavore dei dipendenti sottopostia giudizio di responsabilità con-

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tabile (art. 10-bis, comma 10,d.l. n. 203 del 2005, conv. in l. n.248/2005).

– Assistenza ai mezzi di provaL’onorario per l’assistenza aimezzi di prova è unico per ognimezzo di prova, indipendente-mente dal numero delle udienzenel quale lo stesso può essersisvolto (del. Cons. Ordine Avvoca-ti Bologna 31 gennaio 2005, 11aprile 2005).La tariffa forense riconosce unavoce unitaria di onorario “per cia-scun mezzo istruttorio”, cosicché,quando siano state esperite sola-mente le prove testimoniali, dettoonorario può essere riconosciutouna sola volta, non potendosi ri-conoscere un onorario per il nu-mero dei testimoni sentiti, trattan-dosi comunque sempre del mede-simo mezzo istruttorio richiestodal difensore ed ammesso dal giu-dice (del. Cons. Ordine AvvocatiBologna 20 settembre 2004).L’attività di assistenza alla CTUnon può attribuire onorario, postoche la consulenza disposta d’uffi-cio non è mezzo di prova (del.Cons. Ordine Avvocati Bologna 8novembre 2004).

– Redazione delle difeseLa tariffa degli onorari giudizialicivili prevede una voce unica perla redazione delle difese conclu-sive, comprensiva sia della com-parsa conclusionale sia della me-moria di replica, per le quali nonpossono essere richiesti onoraridistinti, ma un unico onorariounitario (del. Cons. Ordine Avvo-cati Bologna 11 aprile 2005, 2maggio 2005, 3 maggio 2004).Non sono dovuti, quindi, onorariautonomi per la memoria di repli-ca, perché ricompresi nella voceunica “redazione delle difese”, incui confluiscono sia la memoria

di replica che la comparsa con-clusionale.

– Opera prestata per la concilia-zioneL’onorario per la conciliazione èdovuto solamente quanto la con-ciliazione è riuscita. In caso diconciliazione giudiziale, la voce“opera prestata per la conciliazio-ne” comprende già in sé la “reda-zione scrittura” per cui nessunonorario può essere riconosciutoper tale attività (del. Cons. OrdineAvvocati Bologna 21 ottobre2002).Nel caso di più cause riunite, poiconciliate, l’onorario per l’operaprestata per la conciliazione è do-vuto una sola volta.Quando la controversia stragiudi-ziale approda ad una definizionestragiudiziale, non sono liquidabi-li separatamente onorari per la de-finizione stragiudiziale, che vannoricompresi negli onorari giudizialisub specie di onorari per “operaprestata per la conciliazione”.

– Esame documentazioneLa tariffa per gli onorari civili nonprevede la voce “esame documen-tazione” (del. Cons. Ordine Avvo-cati Bologna 26 aprile 2004).

– Onorario per “memoria” e/oper deduzioni di udienzaNon può essere riconosciuto ono-rario per una “memoria” quandosi tratti di deduzioni di udienza ecomunque quando questa sia statapredisposta prescindendo dalla ti-picità di quelle previste dal c.p.c.o comunque autorizzate dal giudi-ce (del. Cons. Ordine AvvocatiBologna 31 marzo 2003). Infattila tariffa forense non prevedeonorario per la redazione di dedu-zioni d’udienza, bensì solo permemorie autorizzate; la voce “re-dazione foglio di deduzioni” nontrova, peraltro, riscontro nella ta-

riffa e non attribuisce onorario.L’onorario parametrato a compar-sa conclusionale non può essereapplicato analogicamente ad altriatti, sia che si tratti di memorieautorizzate, sia che si tratti di fo-glio di deduzioni e conclusioni(del. Cons. Ordine Avvocati Bolo-gna 14 febbraio 2005).

– Precisazione delle conclusioniLa tariffa forense riconosce perl’attività di “precisazione delleconclusioni” quand’anche formu-late in foglio separato dal verbale,solamente una competenza procu-ratoria e non anche un onorario(del. Cons. Ordine Avvocati Bolo-gna 14 febbraio 2005).

– Redazione atto di riassunzioneLa “redazione atto di riassunzione”costituisce attività professionaleche dà diritto ad una corrispettivavoce di competenza procuratoriama non anche di onorario.

– Assistenza in esecuzione immo-biliareCon riguardo alla assistenza pre-stata in una esecuzione immobi-liare, non attribuisce diritto a se-parati ed ulteriori onorari l’averdepositato due atti di intervento,oltre ad aver promosso l’esecu-zione, essendo l’onorario unico eunitario previsto per l’assistenzanell’intero procedimento, a pre-scindere dagli atti depositati (del.Cons. Ordine Avvocati Bologna 7marzo 2005).

– Designazione di arbitroLa designazione d’arbitro non co-stituisce svolgimento di attivitàdifensionale, e quindi non dà di-ritto ad onorario.

– Inibitoria sospensione esecuzio-ne sentenza; correzione errorematerialePer il procedimento di inibitoriadella provvisoria esecuzione di

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sentenza, così come per quello dicorrezione di errore materiale,deve trovare applicazione l’ono-rario forfetizzato di cui alla tabel-la X, voce 49, lett. C (del. Cons.Ordine Avvocati Bologna 3 mar-zo 2003).

– Cessazione di efficacia del pre-cetto per decorso del termine espese relativeLa sopravvenuta inefficacia delprecetto per mancato inizio del-l’esecuzione nel termine di 90 gg.dalla sua notificazione comportache le spese del precetto ormaiperento, restano a carico dell’inti-mante, atteso che è applicabileanche in questa ipotesi il principioche le spese del processo estintostanno a carico delle parti che le

hanno anticipate (Cass. 4 agosto2005, n. 16376).

– Esecuzione per consegna o rila-scioIn tema di esecuzione per consegnao rilascio, il sistema di liquidazionedelle spese previsto dall’art. 611c.p.c. concerne esclusivamente lespese vive anticipate dall’istante e idiritti di procuratore, sempre che visia stata, secondo l’apprezzamentodi fatto del giudice di merito, insin-dacabile in sede di legittimità, ope-ra di procuratore (Cass. 4 agosto2005, n. 16377).

Si sono “occupati” della materiatrattata: L. Carbone, La liquidazio-ne dei diritti di procuratore nellagiurisprudenza e nella prassi am-ministrativa, in Foro it., 1995, I,

3213; Giuliano Berti Arnoaldi Veli,Qualche considerazione sui dirittiprocuratorii, in Toga Picena, 2001,fasc. 2, 37; C. Lega, Esclusione deidiritti di procuratore per l’avvoca-to cassazionista non domiciliata-rio, in Giur. It., 1975, I, 1, 1097; M.Pizzigati, Onorario di risultato –Relazione presentata al congressoFbe svoltosi a Zurigo dal 19 al 20maggio, in Prev. forense, 2006,222; A. Damien, L’onorario di ri-sultato, in Rass. forense, 1996,471; G. Alù, Cause di prelazione eonorario dell’avvocato, in Giust.Civ., 1995, I, 929; A. Zaccaria, In-sinuazione tardiva di crediti nonammessi allo stato passivo dichia-rato esecutivo – Credito di rivalsaiva su onorario professionale, inNuova giur. civ., 1989, I, 503.

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I. I precedenti normativi

1. Le tre direttive europee1. La prima direttiva europea sullalotta contro il riciclaggio risale al1991 (direttiva 91/308/CEE del 28giugno 1991). La direttiva obbliga-va gli Stati membri a combattereunicamente il riciclaggio dei pro-venti da reato connessi al traffico distupefacenti e riguardava soprattut-to gli enti creditizi e finanziari. Nontoccava i professionisti e quindinon ha suscitato particolare interes-se nell’ambito professionale.2. Negli anni più recenti si è af-fermata la necessità di aggiornarela normativa sulla base di dueconsiderazioni: da un lato si è ri-conosciuto che il fenomeno presoin esame è il risultato di una gam-ma ben più vasta di reati, tutti po-tendo costituire il presupposto perla utilizzazione successiva deiproventi dalle attività illecite; ed’altro lato si è constatato che i ri-ciclatori del denaro hanno la ten-denza ad avvalersi non più soltan-to di enti creditizi o finanziari, maanche di una pluralità di soggettiche a vario titolo intervengononella trasformazione del denaro(cioè nel suo “lavaggio” o “sbian-camento”, per utilizzare i terminiin uso negli altri Stati. È il c.d.money laundering o blanchimentd’argent, poiché si tratta pur sem-pre di denaro sporco).

Così è sorta, sulla base anchedelle 40 raccomandazioni delGAFI (Gruppo di Azione Finan-ziaria Internazionale, il più im-portante organo internazionaleper la repressione di questi cri-mini), la seconda direttiva euro-pea (direttiva 2001/97/CE del 4dicembre 2001).3. Questa seconda direttiva ha de-finito i reati gravi che determina-no flussi di denaro (tra cui sonocompresi anche la frode e la cor-ruzione, e comunque tutti i reatipassibili di severe pene detentive)e ha precisato soprattutto la no-zione di riciclaggio, inteso comeconversione o trasferimento o oc-cultamento o dissimulazione o ac-quisto o detenzione di beni, dena-ro o risorse provenienti da attivitàillecite.L’ambito di applicazione dellanormativa è stato quindi notevol-mente ampliato e, per la primavolta, sono stati compresi tra i de-stinatari degli obblighi anche iprofessionisti, e precisamente irevisori, i contabili esterni e i con-sulenti tributari, gli agenti immo-biliari, i notai e gli “altri liberiprofessionisti legali” (così qualifi-cati). Per questi ultimi, la direttivaha specificato le attività oggettodi controllo, che riguardano varia-mente l’assistenza e la rappresen-tanza dei clienti.Secondo questa direttiva, dunque,

nella ricorrenza delle varie condi-zioni indicate, i soggetti destina-tari dovevano provvedere a identi-ficare i clienti, a registrarne i datie a comunicare alle autorità re-sponsabili ogni fatto che potessecostituire indizio di riciclaggio.Nel caso dei notai e degli altriprofessionisti legali la direttivadava la facoltà di designare un“organo adeguato di autoregola-mentazione della professione”che potesse ricevere le comunica-zioni e collaborare con le autorità;e gli Stati potevano anche decide-re se consentire o meno al profes-sionista di informare il clientedella segnalazione effettuata.4. Mentre questa seconda direttivaveniva recepita dai vari paesi eu-ropei, è stata approvata la terzadirettiva (direttiva 2005/60/CEdel 26 ottobre 2005), che ha ulte-riormente precisato e ampliato icontenuti delle disposizioni pre-cedenti, rivolgendosi non più sol-tanto ai “proventi di attività illeci-ta”, ma più dettagliatamente ai“proventi di attività criminose e difinanziamento del terrorismo”.Questa terza direttiva ha avuto in-fatti il dichiarato scopo di intro-durre “disposizioni più specifichee dettagliate” non solo sulla iden-tificazione e la verifica della iden-tità del cliente, ma anche su quel-la dell’eventuale “titolare effettivodella operazione” e sulla eventua-

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La nuova normativa antiriciclaggioe gli obblighi per i professionistiLe nuove norme sui riciclaggi impongono molti adempimenti anche agli avvocati con disposizioni che devono essere attentamente esaminate affinché ne sia possibile il non facile adempimento.

di Remo Danovi

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le esistenza di rapporti d’affari adalto rischio; ha inteso poi estende-re l’ambito di applicazione a nuo-vi soggetti (ad esempio gli inter-mediari assicurativi) e a nuoveoperazioni (ad esempio le iniziati-ve attuate con internet), con ilcontrollo severo di tutte le opera-zioni in contanti di importo eleva-to; e ha inteso infine anche “com-piere ogni sforzo” per proteggerele persone che hanno effettuatosegnalazioni e sono vittime di mi-nacce o atti ostili.La terza direttiva dichiara che èespressamente abrogata la primadirettiva, mentre nulla dice dellaseconda; ciò, a mio avviso, per laintuitiva ragione che la secondadirettiva si era limitata a modifi-care la prima, sostituendone quasitutti gli articoli con nuove dispo-sizioni. Anche la seconda diretti-va, dunque, non è più esistente.

2. Le norme di recepimento e diattuazione in Italia

1. Già in occasione della primadirettiva, lo Stato italiano era in-tervenuto con un decreto legge(d.l. 3 maggio 1991, n. 143), poiconvertito con modificazioni dallalegge 5 luglio 1991, n. 197. Que-sta legge conteneva varie normesostanziali ed è stata indicata ini-zialmente come “legge antirici-claggio”.2. Successivamente è stata ema-nata la seconda direttiva 4 dicem-bre 2001, come abbiamo detto, ead essa è stata data attuazione (se-condo un sistema abbastanza cri-ticabile), dapprima formalmentecon la legge comunitaria 2002(legge 3 febbraio 2003, n. 14), epoi sostanzialmente con il d.lgs.20 febbraio 2004, n. 56.Tuttavia per i professionisti que-sta normativa non è entrata imme-diatamente in vigore perché era

specificamente stabilito (art. 3.2)che le disposizioni di legge fosse-ro accompagnate da un Regola-mento da adottarsi entro 240 gior-ni dalla entrata in vigore del de-creto (e con la specifica precisa-zione, appunto, che gli obblighiimposti ai professionisti di identi-ficazione e segnalazione sarebbe-ro stati differiti fino alla entrata invigore del regolamento).Il Regolamento ministeriale è sta-to approvato circa due anni dopo(Regolamento 3 febbraio 2006, n.141) ed è stato pubblicato in G.U.il 7 aprile 2006, n. 86, e quindi apartire dal 22 aprile 2006 esso èdivenuto operante. Nella stessadata sono entrate in vigore anchele Istruzioni applicative (provved.24 febbraio 2006, pure pubblicatosulla G.U. del 7 aprile 2006, n.87), e successivamente le Istru-zioni operative (provved. 21 giu-gno 2006).3. Anche la terza direttiva ha avu-to un recepimento formale con lalegge comunitaria del 2005 (art.22 della legge 25 gennaio 2006, n.29), e ad essa è stata data attua-zione con il d.lgs. 21 novembre2007, n. 231.Tale decreto legislativo ha espres-samente abrogato gran parte dellalegge 5 luglio 1991 n. 197, non-ché il decreto legislativo 20 feb-braio 2004, n. 56, e i relativi rego-lamenti di attuazione, introducen-do nel testo anche una pluralità didisposizioni in precedenza conte-nute nella normativa secondaria.Sono stati in particolare precisatie ampliati gli obblighi facenti ca-rico ai vari destinatari; è statosoppresso l’U.I.C. (Ufficio Italia-no Cambi) e sostituito con l’U.I.F.(Unità di Informazione Finanzia-ria); è stato previsto un sistema di“filtro” delle segnalazioni delleoperazioni sospette attraverso i

vari ordini professionali; sono sta-te modificate e aggravate le san-zioni e sono stati imposti ancheobblighi particolari per la forma-zione e l’informazione dei varisoggetti.Da ultimo, una nota del Ministerodell’Economia e delle Finanze, indata 19 dicembre 2007, ha fornitoalcune precisazioni soprattuttosulle fonti secondarie incompati-bili con la nuova normativa o an-cora in vigore.

3. La normativa antiriciclaggio

1. Al termine di questo percorsonormativo, quando oggi si richia-ma la “normativa antiriciclaggio”si fa riferimento esclusivamentealla terza direttiva e più corretta-mente, nel nostro ordinamento, aldecreto legislativo 21 novembre2007, n. 231, che ne costituiscel’applicazione.Naturalmente dovranno essereemanati i provvedimenti attuativi.Fino a tale momento rimangonoin vigore, in quanto compatibili,le disposizioni di attuazione pre-cedenti, e così in particolare il Re-golamento e le Istruzioni applica-tive, che pure hanno consentito econsentono di identificare una va-rietà molto ampia di indicatori dianomalie.

II. I soggetti destinatari

4. I soggetti

1. Ben quattro articoli sono diret-ti alla individuazione dei vari sog-getti interessati, con una minuziache ribadisce fin dall’inizio la vo-lontà del legislatore di regolarel’intera materia con una normati-va completa ed esauriente.Così in particolare, pur nel rispet-to della direttiva europea che indi-ca semplicemente gli enti creditizie gli enti finanziari, oltre che alcu-ni professionisti, la nuova norma-

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presentanza) ovvero quandoassistono i propri clienti nellapredisposizione o nella realiz-zazione di operazioni (atti diassistenza) riguardanti:(1) il trasferimento a qualsiasi

titolo di diritti reali su beniimmobili o attività econo-miche;

(2) la gestione di denaro, stru-menti finanziari o altri be-ni;

(3) l’apertura o la gestione diconti bancari, libretti di de-posito e conti di titoli;

(4) l’organizzazione degli ap-porti necessari alla costitu-zione, alla gestione o al-l’amministrazione di so-cietà;

(5) la costituzione, la gestioneo l’amministrazione di so-cietà, enti, trust o struttureanaloghe;

d) i prestatori di servizi relativi asocietà e trust.

2. Le considerazioni più imme-diate sono due:– mentre per i consulenti contabi-

li (così genericamente indicati)non sono precisate le attività (equindi tutte le prestazioni sonoprese in considerazione), per isoli notai e avvocati sono esat-tamente indicate le operazionioggetto di attenzione con riferi-mento alla rappresentanza e al-la assistenza dei clienti;

– per tutti i professionisti, poi, lostesso art. 12.2, si preoccupa dichiarire che gli obblighi di se-gnalazione delle operazioni so-spette non si applicano «per leinformazioni che essi ricevonoda un loro cliente o ottengono ri-guardo allo stesso, nel corso del-l’esame della posizione giuridi-ca del loro cliente o dell’espleta-mento dei compiti di difesa o dirappresentanza del medesimo in

un procedimento giudiziario oin relazione a tale procedimento,compresa la consulenza sull’e-ventualità di intentare o evitareun procedimento, ove tali infor-mazioni siano ricevute o ottenu-te prima, durante o dopo il pro-cedimento stesso».

6. Gli ordini e i clienti

1. Una novità particolare è intro-dotta per la prima volta nella nor-mativa, ed essa riguarda gli ordiniprofessionali e i clienti.Infatti i collegi e gli ordini profes-sionali sono tenuti a promuoveree controllare l’osservanza da par-te dei professionisti degli obblighistabiliti dalla legge (art. 8.1); sonotenuti a fornire alla U.I.F. (Unitàdi Informazione Finanziaria) tuttele informazioni e le forme di col-laborazione richieste (artt. 9.5 e9.6), ferma l’osservanza del se-greto d’ufficio; sono obbligati aricevere le segnalazioni delle ope-razioni sospette e, a loro volta, atrasmetterle alla U.I.F. (art. 43);sono infine tenuti ad adottare mi-sure adeguate per la formazionedel personale.2. Inutile dire che il filtro degli or-dini, per la segnalazione e lo smi-stamento delle condotte illecite, èstato giudicato molto negativa-mente da alcune professioni (tracui l’avvocatura). Si è chiestoquindi che i futuri decreti ministe-riali, nell’ambito del loro poteredi individuazione (art. 43.2),escludano alcuni ordini impeden-do di fatto la funzione loro asse-gnata dalla legge.3. Quanto ai clienti, anch’essi so-no tenuti a fornire, sotto la propriaresponsabilità, e per iscritto, tuttele informazioni necessarie e ag-giornate per consentire ai vari de-stinatari di adempiere agli obbli-ghi previsti (art. 21).

tiva indica dettagliatamente gli in-termediari finanziari (art. 11), iprofessionisti (art. 12), i revisoricontabili (art. 13) e altri soggetti(artt. 10 e 14). E specifica poi cheper intermediari finanziari si in-tendono numerosi enti (le banche,le Poste italiane, le SIM, le varietipologie di società di investimen-to, le imprese di assicurazione, gliagenti di cambio, le società fidu-ciarie, i promotori, i mediatori, gliagenti finanziari, gli intermediari ealtri); per revisori contabili si in-tendono i soggetti fisici o giuridiciche svolgono tale attività, e nellanozione di altri soggetti sonocompresi altri enti (case da gioco,enti di recupero crediti, attivitàtramite internet, mediatori immo-biliari e altro ancora).2. Insomma, una molteplicità disoggetti è presa in esame, nellapalese volontà di coinvolgere pra-ticamente tutti i settori in cui si at-tua una intermediazione del dena-ro, con finalità o presupposti po-tenzialmente illeciti.

5. I professionisti

1. Per quanto riguarda in partico-lare i professionisti, secondo lanormativa (art. 12) sono quattro letipologie professionali interessate:a) i soggetti iscritti nell’albo dei

ragionieri e periti commer-ciali, nell’albo dei dottori com-mercialisti e nell’albo dei con-sulenti del lavoro;

b) ogni altro soggetto che rende iservizi forniti da periti, consu-lenti e altri soggetti che svolgo-no in maniera professionale at-tività in materia di contabilitàe tributi;

c) i notai e gli avvocati quando, innome o per conto di propriclienti, compiono qualsiasioperazione di natura finanzia-ria o immobiliare (atti di rap-

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Tale disposizione è certamenteopportuna, poiché con essa sicompleta l’ambito dei destinatarinella circolarità del comporta-mento attivo previsto (che è poi laratio della norma): si impone in-fatti un obbligo ai clienti e con ciòsi favoriscono anche indiretta-mente gli adempimenti dei pro-fessionisti.

III. Gli obiettivi

7. Gli obiettivi

1. Mentre la seconda direttiva siriferiva genericamente al “rici-claggio dei proventi di attività il-lecita”, la terza direttiva e conse-guentemente il decreto di attua-zione presentano dichiaratamenteuno scenario più ampio, come ab-biamo detto, nel quale si pone “ilriciclaggio dei proventi di attivitàcriminose e di finanziamento delterrorismo”.Sono queste le due grandi emer-genze della nostra attualità, comepurtroppo le vicende di ogni gior-no si preoccupano di confermare.Ed è in questa maggiore e più sco-perta sensibilità che si colloca l’o-biettivo primario di combattere isoggetti che riciclano denaro e fi-nanziano il terrorismo.È un pericolo ampiamente ricor-dato nei “considerando” della di-rettiva, ed è un pericolo che oc-corre scongiurare con le piccole egrandi limitazioni che si pongonoa tutti i soggetti che a vario titoloentrano nell’ambito di applicazio-ne della legge.

8. I principi

1. Al fine di scongiurare il riciclag-gio, e quindi per tutelare l’integritàdel sistema e assicurare la corret-tezza dei comportamenti, la nor-mativa si preoccupa di far emerge-re una idea di fondo: l’idea è quel-la che tutti i soggetti destinatari so-

no in sostanza “agenti” al serviziodella legalità, e operano con unacollaborazione attiva per realizza-re le finalità indicate (art. 3).Tutti i destinatari, dunque, sonoobbligati ad adottare idonei e ap-propriati schemi e procedure, edevono compiere sempre adegua-te verifiche per tutti gli obblighiprevisti.2. Ma non solo. Il principio ispira-tore (la collaborazione attiva) vie-ne ulteriormente specificato nelsenso che tutte le misure previstesono individuate e individuabiliattraverso una duplice considera-zione di proporzionalità:– le misure sono proporzionate al

rischio di riciclaggio in relazio-ne ai vari rapporti (art. 3.3);

– le misure devono essere propor-zionate alla peculiarità dellevarie professioni e alle dimen-sioni dei destinatari della nor-mativa (art. 3.4).

Sono queste le ragioni per cui siparla sempre di adeguatezza delleverifiche (artt. 17 e 18) e di ap-proccio basato sul rischio (art.20), e più oltre ancora di obblighirafforzati (art. 28) oppure sempli-ficati (art. 25), secondo le contin-genze.

9. Le finalità

1. Le finalità dunque pacificamen-te espresse sono dirette a preveni-re adeguatamente (e impedire) leoperazioni illecite, perché aventiad oggetto il denaro provenienteda attività criminose o relativo alfinanziamento del terrorismo, equindi giustamente sono indicatetutte le azioni che possono richie-dere l’intervento della legge.Tali azioni sono prese in conside-razione se sono commesse inten-zionalmente (art. 2.1) e se traggo-no fondamento da circostanze difatto obiettive (art. 2.3).

In pratica, costituiscono riciclag-gio (riprendendo in gran parte ledefinizioni già contenute nellaprecedente normativa):– la conversione o il trasferimento

di beni, con la conoscenza cheessi provengono da una attivitàcriminosa o da una partecipa-zione a tale attività, allo scopodi occultare o dissimulare l’ori-gine illecita degli stessi beni;

– l’occultamento o la dissimula-zione della reale natura, prove-nienza, ubicazione, disposizio-ne, movimento, proprietà deibeni o diritti sugli stessi, con laconoscenza della provenienzacriminosa;

– l’acquisto, la detenzione o l’uti-lizzazione di beni, con la stessaconoscenza dell’attività crimi-nosa;

– la partecipazione o l’associazio-ne o il tentativo fatto per realiz-zare, aiutare, istigare o consi-gliare atti criminosi.

2. Più in generale (art. 2.5), lanormativa intende prevenire l’uti-lizzazione di ogni sistema econo-mico o finanziario per finalità diriciclaggio o di finanziamento delterrorismo, essendo diretta a “tu-telare l’integrità di tali sistemi ela correttezza dei comportamen-ti”, sanzionando ovviamente icomportamenti illeciti.Un compito pragmatico, dunque, diprevenzione e repressione, espressocon una formulazione estremamen-te sintetica ma esemplare.

IV. Gli obblighi

10. Gli obblighi di adeguata ve-rifica della clientela1. Un intero titolo è dedicato dal-la legge agli obblighi imposti aidestinatari (artt. 15-48). Tali ob-blighi sono:– gli obblighi di adeguata verifica

della clientela;

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– identificare l’eventuale titolareeffettivo e verificarne l’identità;

– ottenere informazioni sullo sco-po e sulla natura del rapportoprofessionale;

– svolgere un controllo costantenel corso dell’attività professio-nale.

L’identificazione del cliente deveessere eseguita prima della instau-razione del rapporto o al momen-to del conferimento dell’incarico(art. 19.1) e viene effettuata inpresenza del cliente, anche attra-verso collaboratori dello studio,mediante un documento di identi-ficazione non scaduto.L’identificazione e la verifica del-l’identità del titolare effettivo è ef-fettuata contestualmente all’iden-tificazione del cliente, con l’ado-zione di misure adeguate alla si-tuazione di rischio.4. Del tutto innovativa è poi laprevisione che gli obblighi di ade-guata verifica della clientela com-prendono la necessità di avereinformazioni “sullo scopo e sullanatura del rapporto continuativoo della prestazione professionale”(art. 18.1 sub c), e ugualmente in-novativa è la previsione che gliobblighi sono assolti “commisu-randoli al rischio associato al ti-po di cliente” (c.d. approccio ba-sato sul rischio).Anche in questo caso (art. 20) visono indicazioni particolari cheriguardano il cliente ovvero l’ope-razione posta in essere o la presta-zione professionale richiesta.5. Quando poi i soggetti interessa-ti non siano in grado di rispettaregli obblighi di adeguata verificaimposti, il rapporto non si può co-stituire e il professionista deve ri-nunciare all’incarico e porre finealla prestazione, valutando se ef-fettuare una segnalazione (art.23.1).

In ogni caso tutti i destinatari de-vono astenersi dall’eseguire leoperazioni sospette, inviando im-mediatamente alla U.I.F. una se-gnalazione (art. 23.3).L’astensione dall’incarico invecenon è imposta ai professionistiquando gli stessi si trovino a svol-gere la loro attività “nel corso del-l’esame della posizione giuridicadel loro cliente o dell’espletamen-to dei compiti di difesa o di rap-presentanza di questo cliente inun procedimento giudiziario o inrelazione a tale procedimento,compresa la consulenza sull’e-ventualità di intentare o evitareun procedimento” (art. 23.5).In effetti questa precisazione ri-produce quella già prevista nel-l’art. 12.2 (con riferimento peral-tro all’obbligo di segnalazione),nell’un caso e nell’altro intenden-dosi proteggere la prestazioneprofessionale che abbia riguardoalla posizione giuridica del clien-te, compresa la consulenza.6. Infine obblighi semplificati, ov-vero per contrasto obblighi raffor-zati (quando il cliente non sia fisi-camente presente, ovvero quandoi rapporti siano attuati con perso-ne politicamente esposte), sonoprevisti in determinati casi (artt.25-27 e 28), mentre precisazionianalitiche sono previste anche perle verifiche effettuate da terzi(artt. 29-35).

11. Gli obblighi di registrazione

1. Ogni singolo professionista de-ve conservare tutti i documenti re-lativi alle varie prestazioni esegui-te, e alle verifiche e ai controlliimposti dalla legge, e registraretutte le informazioni relative all’i-dentificazione del cliente e allaprestazione professionale esplica-ta (art. 36).I documenti devono essere con-

– gli obblighi di registrazione;– gli obblighi di segnalazione.Si tratta sempre di obblighi, nellapluralità della loro indicazione,per sottolineare evidentementeche ogni forma di verifica, di con-trollo o di iniziativa richiede sem-pre una molteplicità di attenzioni:obblighi tutti variamente e grave-mente sanzionati.2. In particolare, gli obblighi diadeguata verifica della clientela(in precedenza, l’obbligo di iden-tificazione del cliente) sono mo-dulati secondo le caratteristichedei destinatari, e sono imposti(art. 16) a tutti i professionisti cheesercitano l’attività in forma indi-viduale, associata o societaria, inuna serie molto precisa di casi:– quando la prestazione profes-

sionale abbia ad oggetto mezzidi pagamento o beni pari o su-periori a 15.000 euro;

– quando le prestazioni professio-nali anche occasionali compor-tino la trasmissione o movimen-tazione di mezzi di pagamentopari o superiori a 15.000 euro;

– quando l’operazione sia di valo-re indeterminato o indetermina-bile (ad esempio, la costituzio-ne, gestione o amministrazionedi società, enti o trust);

– quando vi sia sospetto di rici-claggio o di finanziamento delterrorismo;

– quando vi siano dubbi sulla ve-ridicità o sull’adeguatezza deidati precedentemente ottenuti aifini della identificazione di uncliente.

3. Nella sussistenza di uno deisuddetti casi, gli obblighi di ade-guata verifica della clientela im-pongono una serie di attività, eprecisamente (art. 18):– identificare il cliente e verificar-

ne l’identità sulla base di docu-menti o informazioni oggettive;

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servati per dieci anni, mentre laregistrazione deve avvenire tem-pestivamente, e comunque non ol-tre il trentesimo giorno successivoal compimento dell’operazione oall’inizio del rapporto.Anche i dati registrati devono es-sere conservati per dieci anni.2. La registrazione può avvenireattraverso un archivio informati-co (“formato e gestito a mezzo distrumenti informatici”), ovveroattraverso un registro della clien-tela a fini antiriciclaggio (artt.37-38).L’archiviazione informatica natu-ralmente deve assicurare la chia-rezza, la completezza e l’imme-diatezza delle informazioni, e laloro conservazione secondo crite-ri uniformi, e quindi deve esseretenuta (mutuando anche espres-sioni dalla precedente normativa)in maniera trasparente e ordinata,in modo tale da facilitare la con-sultazione, la ricerca e il tratta-mento dei dati, nonché garantirela storicità delle informazioni.3. In sostituzione dell’archivioinformatico (art. 38.2 e 38.3), ilprofessionista può tenere “il regi-stro della clientela a fini antirici-claggio”, che è cartaceo, numera-to progressivamente e siglato inogni pagina, a cura del professio-nista o di un suo collaboratore de-legato, con indicazione alla finedell’ultimo foglio del numero dipagine in cui è composto il regi-stro e l’apposizione della firmadelle suddette persone. Il registrodeve essere tenuto in maniera or-dinata, senza spazi bianchi e abra-sioni.Nel caso di svolgimento dell’atti-vità professionale in più sedi, puòessere tenuto un registro pressociascuna sede.4. Ovviamente nel registro devo-no essere inseriti i dati identifi-

cativi del cliente (mentre la do-cumentazione relativa dovrà es-sere contenuta nel fascicolo delcliente).I dati e le informazioni registratidevono essere resi disponibili en-tro tre giorni dalla richiesta (art.38.4). Per i notai, la custodia deidocumenti e la tenuta dei registricostituiscono modalità idonea diregistrazione dei dati e delleinformazioni (art. 38.6).

12. Gli obblighi di segnalazione

1. Tutti i soggetti destinatari dellanormativa (e quindi anche i pro-fessionisti) devono effettuare unasegnalazione alla U.I.F. (Unità diInformazione Finanziaria) quan-do “(essi) sanno, sospettano ohanno motivi ragionevoli per so-spettare che siano in corso o chesiano state compiute o tentateoperazioni di riciclaggio o di fi-nanziamento del terrorismo. Il so-spetto è desunto dalle caratteristi-che, entità, natura dell’operazio-ne o da ogni altra circostanza co-nosciuta” (art. 41.1).2. Al fine di agevolare l’indivi-duazione delle operazioni sospet-te, su proposta della U.I.F. sonoesaminati e periodicamente ag-giornati gli indicatori di anomalieper i vari soggetti destinatari.3. Le segnalazioni sono effettuatesenza ritardo, ove possibile primadi eseguire l’operazione.4. Come abbiamo già detto, l’ob-bligo di segnalazione non si appli-ca, per quanto riguarda gli avvo-cati in particolare, per l’attivitàgiudiziaria dagli stessi prestata(attività di rappresentanza in unprocedimento giudiziario o in re-lazione a tale procedimento),compresa la consulenza sullaeventualità di instaurare o evitareun procedimento, ove tali infor-mazioni siano ricevute o ottenute

prima, durante o dopo il procedi-mento stesso (art. 12.2).Rientra nella esenzione (applica-bile a questo riguardo a tutti i pro-fessionisti) anche l’esame dellaposizione giuridica del cliente,come pure abbiamo già detto.5. Quando poi ricorrono i presup-posti per una segnalazione, la nor-mativa prescrive che i vari sogget-ti sono obbligati ad astenersi dalcompiere l’operazione finché nonhanno effettuato la segnalazione.6. Per i soli professionisti è possi-bile effettuare la segnalazione al-l’U.I.F. ovvero agli ordini profes-sionali competenti (art. 43).Gli ordini professionali sono te-nuti a loro volta a effettuare la se-gnalazione all’U.I.F., senza indi-care il nome del segnalante.7. È detto poi espressamente (art.41.6) che “le segnalazioni di ope-razioni sospette non costituisconoviolazione degli obblighi di segre-tezza, del segreto professionale odi eventuali restrizioni alla comu-nicazione di informazioni impostein sede contrattuale o da disposi-zioni legislative, regolamentari oamministrative e, se poste in esse-re per le finalità ivi previste e inbuona fede, non comportano re-sponsabilità di alcun tipo”.8. È fatto divieto al soggetto cheha compiuto la segnalazione didare comunicazione al cliente o alterzo dell’avvenuta segnalazione(art. 46). Non concretizza una co-municazione il tentativo del pro-fessionista di dissuadere il clientedal porre in atto una attività ille-gale (art. 46.7) e non costituisceviolazione la comunicazione dataall’interno di uno studio ai propriassociati o collaboratori (art.46.5).9. Spetta poi all’U.I.F. segnalare ifatti all’Autorità giudiziaria.10. Particolari disposizioni sono in-

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impongono la segnalazione allepubbliche autorità, sul presuppo-sto che la normativa colpisce “l’e-sercizio stesso dell’essere e delfare l’avvocato”; e ancora più re-centemente, alcune delibere diAssociazioni hanno richiesto airappresentanti politici di esclude-re gli avvocati dal novero dei pro-fessionisti destinatari della nor-mativa.3. Nello stesso senso sono inter-venute anche iniziative a livelloeuropeo. Ad esempio, la CorteCostituzionale del Belgio (Courd’arbitrage) con provvedimentodel 13 luglio 2005 ha chiesto allaCorte di Giustizia di verificare lapossibile incompatibilità della di-rettiva con i principi costituziona-li vigenti nella Unione Europea. Eugualmente il CCBE (Conseil desbarreaux européens) è intervenu-to presso la Corte di Giustizia sul-la pregiudiziale sollevata per farescludere gli avvocati dagli obbli-ghi previsti.4. La Corte di Giustizia ha tutta-via respinto le eccezioni sollevatee, tenuto conto del fatto che l’atti-vità giudiziaria è esclusa dallaprevisione degli obblighi di se-gnalazione, con la sentenza del 26giugno 2007 ha ritenuto conformealle regole comunitarie sul giustoprocesso la direttiva e le leggi diattuazione conseguenti.La Corte di Giustizia ha infatti af-fermato che l’art. 6 della Conven-zione sui diritti dell’uomo(C.E.D.U.) assicura un equo pro-cesso e in tale concetto rientranoplurimi elementi, quali i dirittidella difesa, il principio di ugua-glianza delle armi, il diritto di ac-cesso alla giustizia, nonché il di-ritto di accesso a un avvocato tan-to in materia civile quanto in ma-teria penale; sicché l’avvocatonon sarebbe in grado di svolgere

adeguatamente il proprio incaricodi consulenza, di difesa e rappre-sentanza del cliente, e quest’ulti-mo sarebbe privato dei diritti rico-nosciutigli dall’art. 6 della Con-venzione sui diritti dell’uomo, sel’avvocato collaborasse con i pub-blici poteri trasmettendo ad essi leinformazioni ottenute. Si tratta in-fatti di diritti fondamentali (ovve-ro di tradizioni costituzionali),che fanno parte integrante deiprincipi generali del diritto di cuila Corte garantisce l’osservanza.Ma questa violazione non avvienecon la normativa comunitaria,perché da un lato tutta l’attivitàgiudiziaria è esclusa dall’ambitodella segnalazione (compreso l’e-same della posizione giuridica delcliente), e d’altro lato è giustifica-ta una limitazione dei diritti nel-l’ambito di una attività di rappre-sentanza in tutte le operazioni dinatura finanziaria o immobiliare,e di assistenza in alcune tipologieesattamente individuate, poiché sitratta di attività economica in cuii privilegi cedono di fronte allagravità delle conseguenze deri-vanti dalle attività criminose e dalriciclaggio dei relativi proventi.Non vi è dunque una violazionené del segreto professionale nédella indipendenza dell’avvocato.

14. Il segreto professionale

1. In verità, il segreto professiona-le è protetto da molteplici normesia penali che processuali (l’art.622 c.p., l’art. 200 c.p.p. e l’art.249 c.p.c.), e anche se non è defi-nito, è percepibile quasi fisica-mente essendo connaturale allaattività prestata.Il segreto infatti, come abbiamopiù volte scritto, “è un limite idea-le non valicabile; è un diritto euna difesa per la parte assistita; èun dovere di prestazione per l’av-

fine previste per garantire la sicu-rezza delle segnalazioni e la tuteladelle persone segnalate (art. 45).Tali disposizioni toccano anchegli ordini professionali, per garan-tire la riservatezza della identitàdel professionista segnalato.11. Sanzioni particolari sono pre-viste in caso di violazione dei va-ri obblighi.

V. Le regole professionali

13. Le regole deontologiche1. Prima ancora che fosse emana-to il d.lgs. del 2004 l’Avvocaturaha provveduto a modificare leproprie regole deontologiche (conle modifiche al codice deontologi-co del 26 ottobre 2002), introdu-cendo alcuni nuovi canoni com-plementari all’art. 36, che hannoimposto essenzialmente all’avvo-cato di identificare il cliente, rifiu-tare l’incarico in caso di incertez-za e comunque di rinunciare almandato ove vi siano sospetti diattività delittuose.È questo un esempio pratico, chedimostra la saggezza e la lungimi-ranza degli interventi effettuati.2. Naturalmente, le regole deonto-logiche non possono consentireun obbligo di delazione, che ècontrario pacificamente a tutte leprescrizioni professionali.Per questa ragione, per l’inciden-za che la normativa viene ad ave-re nel rapporto tra cliente e avvo-cato e sul rispetto del segreto pro-fessionale, gli avvocati hannosempre espresso contrarietà alledirettive e alle relative leggi di at-tuazione.Tale dissenso si è espresso for-malmente in occasione del XX-VIII Congresso degli avvocati chesi è tenuto a Milano nel novembre2005, con l’approvazione di unaspecifica mozione che criticavavariamente le disposizioni che

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vocato che fonda su di esso la ra-gione stessa del proprio ministero.Sinceramente non potrebbe esiste-re una attività professionale liberae indipendente se non vi fosse que-sto rapporto tacito ma coscientetra avvocato e assistito che si rea-lizza nella tutela del segreto”.È anche da rilevare che, dal puntodi vista oggettivo, il segreto tutelanon soltanto l’attività giudizialema anche l’attività stragiudiziale.In tal senso lo stesso art. 7 dellalegge 9 febbraio 1982, n. 31, sul-la libera prestazione dei servizi,prescrive che le norme riguardan-ti il segreto professionale e la ri-servatezza devono essere rispetta-te anche nello svolgimento delleprestazioni stragiudiziali da partedegli avvocati europei nello svol-gimento della loro attività negliStati membri.2. La normativa sull’antiriciclag-gio è cosciente della rilevanza diquesti problemi, e cerca di disci-plinarli con disposizioni che han-no suscitato peraltro molteplicicritiche.3. In effetti, la normativa anzitut-to stabilisce (art. 9.1) che tutte leinformazioni in possesso delle va-rie autorità (tra cui gli ordini pro-fessionali) sono coperte dal segre-to d’ufficio, opponibile anche allapubblica amministrazione. Il se-greto cede soltanto davanti all’au-torità giudiziaria “quando leinformazioni richieste siano ne-cessarie per le indagini o i proce-dimenti relativi a violazioni san-zionate penalmente”.Tuttavia, gli ordini professionalidevono dare tutte le informazioniin loro possesso alla U.I.F. (art.9.5), sia pure omettendo il nomedel segnalante, perfino informan-do l’U.I.F. della omissione delle

segnalazioni di operazioni sospet-te (art. 9.6)! Sono obblighi checonfliggono con l’affermazionedell’esistenza del segreto d’uffi-cio, genericamente inteso.4. Per fugare poi l’idea che la nor-mativa imponga obblighi di dela-zione, inammissibili per il rispet-to dei diritti della persona e delladifesa di tali diritti, la normativasi preoccupa di affermare (art.41.6), che “le segnalazioni di ope-razioni sospette effettuate ai sensie per gli effetti del presente capo,non costituiscono violazione degliobblighi di segretezza, del segretoprofessionale o di eventuali re-strizioni alla comunicazione diinformazioni imposte in sede con-trattuale o da disposizioni legisla-tive, regolamentari o amministra-tive e, se poste in essere per le fi-nalità ivi previste e in buona fede,non comportano responsabilità dialcun tipo”.Tuttavia, è facile obiettare chenon bastano le enunciazioni pro-grammatiche o formali a modifi-care o capovolgere la realtà deirapporti, poiché la normativa do-vrebbe colpire, coerentementecon le sue finalità, le sole opera-zioni sospette che non toccanol’attività professionale in sensoproprio, con ciò introducendosiuna netta separazione tra attivitàriservate (la rappresentanza, assi-stenza e difesa, in tutte le accezio-ni, non necessariamente proces-suali) dalle attività per così direnegoziali, non tutelate da alcunpresidio costituzionale. Così, sepuò essere colpita la rappresen-tanza del cliente in tutte le attivitàdi natura finanziaria e immobilia-re (l’avvocato in tal caso agisce“in nome e conto del cliente” e nesopporta le conseguenze), si do-

vrebbero stabilire limiti precisiper le attività di assistenza, distin-guendosi le attività puramente ne-goziali da quelle più strettamentegiuridiche.Si dovrebbe dunque proporre unadistinzione rigorosa, nell’alveodella pronuncia della Corte diGiustizia nella ricordata decisionedel 26 giugno 2007, per salvare lanormativa comunitaria e le varieleggi di applicazione.

15. Conclusione

1. In verità, lo abbiamo scritto piùvolte, non è soltanto il segreto indiscussione, ma è anche la fidu-cia, quale essenza stessa del rap-porto professionale (art. 35 cod.deont.), onde non è pensabile cheil vincolo tra cliente e avvocatopossa essere esposto alla coscien-te distruzione dell’elemento fidu-ciario che si attua comunque conla delazione. Si dovrebbe insisterequindi per affermare il principioper cui tutta l’attività professiona-le dell’avvocato, anche quellastragiudiziale, dovrebbe essere ri-servata, e tutta l’attività sarebbequindi coperta dal segreto, nonper eludere le norme o compiereatti di favoreggiamento, ma alcontrario per riaffermare la positi-vità della assistenza giuridica, equindi i principi di diritto.Solo in questo modo, nella riaffer-mazione dei principi costituziona-li, sarebbe possibile agli avvocatisvolgere la loro prestazione, nelrispetto della doppia fedeltà (ver-so il cliente e verso l’ordinamen-to), che impedisce di per sé ognicollusione od ogni illecito.2. È questo il tema su cui è neces-sario continuare a riflettere, per ilgiusto equilibrio tra le contrappo-ste esigenze.

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Non è un diritto di nuova inven-zione quello alla privacy, ovveroalla riservatezza. Gli studiosi nefanno risalire la prima elaborazio-ne ad un articolo di Samuel War-ren e Louis Brandeis apparso nel1890 sulla Harvard Law Review,occasionato dal fatto che sull’E-vening Gazette di Boston eranoapparsi articoli pettegoli sullenozze della figlia di Warren e sul-le amicizie della moglie1. Tutta-via, il nostro Paese non ha in pas-sato mostrato particolare sensibi-lità di fronte ai potenziali pericolicostituiti dalla raccolta dei datipersonali e dall’esercizio incon-trollato di potere fondato sullainformazione. Ha fatto eccezione,negli anni sessanta del secoloscorso, il mondo operaio, che ave-va sperimentato le possibili di-scriminazioni conseguenti allaraccolta di informazioni sulle opi-nioni politiche, sulla fede religio-sa, sull’iscrizione al sindacato esulle abitudini private. Sotto lasua spinta il legislatore imposecon l’art. 8 della Statuto dei Lavo-ratori un espresso divieto.Per questa ragione, probabilmen-te, l’Italia fu nel 1996 il penulti-mo dei paesi dell’Unione Europeaad approvare una legislazione sul-la protezione dei dati personali,precedendo solo la Grecia2, e ciòfece sostanzialmente perché co-stretta da una forte pressione co-

munitaria, e non perché la norma-tiva fosse reclamata dalla opinio-ne pubblica. Anzi, si può dire chemolti, con quell’atteggiamento unpo’ anarchico che spesso contrad-distingue noi italiani, accolsero lanovità con un misto di scetticismoe di fastidio, cogliendo più la gra-vosità di qualche nuova incom-benza burocratica che il vantaggiodella affermazione di un nuovodiritto della persona.E tuttavia, dal 1996 in poi in ma-teria di privacy si sono fatti moltipassi in avanti: la novità è statametabolizzata, e soprattutto nel2003 è stato emanato un testo uni-co – il decreto legislativo n. 196del 30 dicembre 2003 – che è sta-to giudicato il più completo a li-vello europeo3. E il diritto alla pri-vacy è oggi certamente percepitodalla maggioranza della popola-zione come qualcosa di irrinun-ciabile, e del quale vengono coltie approfonditi via via semprenuovi aspetti.È evidentemente in diretta corre-lazione con l’entrata in vigore deltesto unico del dicembre 2003 chele riviste giuridiche, sia cartaceeche telematiche, hanno iniziato aporsi il problema della privacy ap-plicato alla pubblicazione integra-le dei provvedimenti giudiziari. Ese le riviste per così dire “stori-che” di giurisprudenza (la Giuri-sprudenza Italiana ed il Foro Ita-

liano) hanno continuato come peril passato a pubblicare le decisio-ni con i nomi delle parti, dei giu-dici estensori e degli avvocati co-stituiti (salvi casi particolari), al-tre riviste hanno iniziato ad oscu-rare i nomi delle parti, general-mente sostituendoli con le letteredell’alfabeto.La questione, per quanto nondrammatica, è delicata. Le sen-tenze sono spesso scritte in unalingua complessa, fitta di tecnici-smi (quando non di evitabili pseu-dospecialismi4), di non agevolelettura. Se a questo si aggiungeuna selva di lettere (A, B, X, Ysono le più usate) si introduce unacomplicazione in più, sia nellalettura che nella memorizzazione.Le sentenze, in particolare, rap-presentano casi di vita reale, chevengono risolti inquadrandoli incategorie giuridiche astratte. Illettore ricorda innanzitutto il fat-to, il “caso”, e poi ne ricava l’in-quadramento. E così, per dire,nella materia del risarcimento deldanno si ricorda ancora il “casoMeroni”, come esempio di unasentenza che riconobbe la risarci-bilità del danno subito dalla squa-dra di calcio del Torino per lamorte del calciatore Gigi Meroni.Sarebbe lo stesso se si dovesse ri-cordare il caso della morte delcalciatore X?Il fatto è già stato notato da più

Alfa e Beta contro GammaDall’entrata in vigore delle norme per garantire la riservatezza degli atti,

redattori e direttori delle riviste giuridiche si sono posti il quesito della liceitàdella indicazione del nome delle parti. Secondo le prescrizioni normative,

l’anonimato deve essere rispettato solo in pochi casi specificati dalla legge.

di Giuliano Berti Arnoaldi Veli

AAVVOCATURAspazio aperto

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AAVVOCATURAspazio aperto

me le disposizioni vigenti circa ilrilascio di copie di atti e docu-menti, è lecito rendere accessibilii relativi dati anche mediante retidi comunicazione elettronica, si-stemi informativi e anche attra-verso i siti istituzionali internetdelle singole autorità giudiziarie.L’articolo non pone limiti: salval’osservanza delle “cautele” chesaranno definite dall’articolo suc-cessivo.L’art. 52, in effetti, introduce unduplice livello di cautele: il primoaffidato alla iniziativa delle partiinteressate, e il secondo rimessoalla preventiva valutazione del le-gislatore.Sotto il primo riguardo, l’articoloattribuisce a qualunque “interes-sato” (espressione più ampia diquella di parte in giudizio, e checomprenderà anche i soggettiestranei al processo ma menzio-nati nel provvedimento) il dirittodi presentare in cancelleria, senzaformalità particolari, una istanzaper vietare che le loro generalità edati identificativi vengano diffusiin caso di riproduzione della sen-tenza «in qualsiasi forma per fina-lità di informazione giuridica suriviste giuridiche, supporti elet-tronici o mediante reti di comuni-cazione elettronica». Sulla istanzaprovvederà con decreto in calce,senza ulteriori formalità, l’auto-rità competente a pronunciare lasentenza o ad adottare il provve-dimento. In caso di accoglimento,il comma 3 dell’articolo citatoprevede che il cancelliere appon-ga sull’originale del provvedi-mento una annotazione “anchecon timbro” di questo tenore: «incaso di diffusione omettere le ge-neralità e gli altri dati identificati-vi di …».Si tratta di una novità importantegiacché rimette alle parti un dirit-

to, prima mai affermato, di atti-varsi per non vedere circolare ilproprio nome, se non vogliono,neppure per fini scientifici. È ve-ro che la norma dice che la istan-za deve essere fondata su “motivilegittimi”. Ma dal complesso del-la normativa sulla privacy sembrasi possa ricavare in via generaleche la tutela della riservatezzacomporta anche il rispetto dellavolontà delle persone di non esse-re menzionate se non lo vogliono,e solo perché non lo vogliono. Sitenga conto del fatto che qualsia-si dato identificativo che vengamesso in rete, tramite i motori diricerca, può essere ripescato confacilità, e tendenzialmente senzalimiti temporali. Nella rete tutto èsempre accessibile e compresen-te, con limitate possibilità di eli-minazione dei dati inseriti (ed èdifatti in corso anche in giuri-sprudenza un dibattito sul cosid-detto “diritto all’oblio”6). È giu-sto che venga riconosciuto alleparti un diritto ad opporsi. E lavalutazione preventiva, caso percaso, è ritenuta così rilevante, chelo stesso articolo 52 attribuisce alGiudice la possibilità di disporlad’ufficio “a tutela dei diritti e del-la dignità degli interessati”.Viene poi un secondo livello diprotezione. Il comma 5 dell’art.52 infatti dispone in via generaleil divieto di divulgare i dati dellepersone offese da atti di violenzasessuale, salvo il loro consensoespresso (divieto già posto dal-l’art. 734-bis c.p.), e vieta ancoradi diffondere «le generalità, altridati identificativi o altri dati an-che relativi a terzi dai quali puòdesumersi anche indirettamentel’identità di minori oppure delleparti nei procedimenti in materiadi rapporti di famiglia e di statodelle persone».

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parti. Annotando ad esempio unasentenza in materia di contraffa-zione di software, resa in un giudi-zio fra molte parti, i cui nomi era-no stati sostituiti dall’editore conuna serie di caratteri alfabetici(XX, YY1, YY2, YY3), GuidoScorza si è sentito in dovere di pre-mettere il suo dissenso per la scel-ta editoriale che rendeva il testoquasi incomprensibile, valutandolacome il frutto di un fraintendimen-to o di una cattiva interpretazionedella normativa vigente5.In effetti, il codice della privacyha introdotto nella parte II (Di-sposizioni relative a specifici set-tori) un titolo I dedicato espressa-mente al trattamento (dei dati) inambito giudiziario. A sua volta, iltitolo è suddiviso in tre capi, inti-tolati rispettivamente ai profili ge-nerali (artt. 46-49), ai minori (art.50) e all’informatica giuridica(artt. 50-52).Il capo relativo ai profili generalisi occupa, appunto in via genera-le, di dichiarare leciti la raccoltaed il trattamento dei dati, anchecon strumenti elettronici, per ra-gioni di giustizia, e cioè nellosvolgimento dei vari procedimen-ti. In questo ambito l’art. 50 si oc-cupa di minori, e, richiamando ildivieto vigente di pubblicazione edivulgazione di notizie relative aminorenni coinvolti in procedi-menti penali, estende tale divietoa qualunque procedimento, anchein materia diversa da quella pena-le, in cui siano coinvolti “a qua-lunque titolo” dei minorenni. Ec-co dunque un primo punto, nonequivocabile: anche sulle riviste ènecessario omettere i nomi e ognidato che possa consentire l’identi-ficazione di un minore.Segue poi il capo intitolato allainformatica giuridica, che esordi-sce (art. 51) affermando che, fer-

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Le disposizioni che precedono so-no poi dall’art. 52 comma 6 este-se anche ai lodi arbitrali, nel casodi loro deposito ai sensi dell’art.825 c.p.c.“Fuori dai casi indicati nel pre-sente articolo” – conclude l’art.52 – è ammessa la diffusione inogni forma del contenuto ancheintegrale di sentenze e di altriprovvedimenti giurisdizionali”.Tradotta in parole povere, la con-clusione è questa: la pubblicazio-ne integrale delle sentenze, e de-gli altri provvedimenti è attivitàlecita, e anzi necessaria a scopiscientifici e di studio, e non ha li-miti, se non quelli espressamente

posti dal legislatore. Di null’altrosi tratta, se non della applicazio-ne di una delle regole fondamen-tali di una legislazione democra-tica, per la quale è lecito tuttoquello che non è vietato (e nonviceversa).Non siano dunque, i curatori delleriviste, più realisti del re: rendanoanonime solo le decisioni per lequali gli interessati, o la materia,lo richiedano, e viceversa conti-nuino a pubblicare integralmentele altre, così come del resto è av-venuto dall’Unità d’Italia in poi.

Note1 Giannantonio – Losano – Zeno Zenco-vich, La tutela dei dati personali, Com-

mentario alla L. 675/1996, Padova CE-DAM 1997, pag. XXIII.2 Giannantonio – Losano – Zeno Zenco-vich, op. cit., pag. XXIV.3 Castellaneta, In Europa l’Italia diventa“campione” di tutela, in Il Codice dellaprivacy, Dossier Guida al Diritto n 8,settembre 2003, pag. 105.4 Sul punto vedi Mortara Garavelli, Strut-ture testuali e stereotipi nel linguaggioforense, in La lingua, la legge, la profes-sione forense a cura di Alarico MarianiMarini, Milano Giuffrè, 2003.5 Guido Scorza, Contraffazione softwaree presupposti dell’acceso alla tutela cau-telare, commento a Trib. Bologna 4 lu-glio 2005, Florini est., in Diritto dell’in-ternet, 2006, 43 e segg.6 Mezzanotte, La memoria conservata ininternet ed il diritto all’oblio telematico:storia di uno scontro annunciato, in Di-ritto dell’internet, 2007, 398.

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1. Lo “strano” saggio di Eduar-do J. Couture

Qualche giorno fa, sfogliando laRivista di diritto processuale del1957, mi sono imbattuto in unsaggio che non avevo mai letto eche non mi era mai capitato di ve-der citato. Il saggio era intitolatoDue libri in uno, ma, ad onta diciò, si trovava tra gli “Articoli” didottrina e non tra le “Varietà” edera per di più dovuto ad un auto-revole studioso straniero, EduardoJ. Couture1. Di qui la mia curio-sità: come mai uno studioso delcalibro di Couture aveva scrittoun articolo così strano? A cosa al-ludeva quel titolo?Ho cominciato a leggere e dall’a-sterisco posto a pie’ della paginainiziale ho subito appreso che sitrattava di una prefazione, piùprecisamente della prefazionedettata dall’insigne studioso uru-guaiano per la traduzione in spa-gnolo della terza edizione dell’E-logio dei giudici scritto da un av-vocato di Piero Calamandrei, cheera stata pubblicata in Italia nel1955.Il titolo, Due libri in uno, era do-vuto al fatto che Calamandrei, inquella terza edizione, aveva ag-giunto non poche nuove pagine, sìche il prefatore sosteneva che lepagine delle prime due edizioni,

che risalivano agli anni Trenta,più precisamente la prima al 1935e la seconda al 1938, eranoprofondamente diverse da quelledegli anni Cinquanta, tanto diver-se da dar vita a due distinti libri.Il rilievo non mi ha sorpreso, inquanto anch’io, quindici anni fa,avevo capito e avvertito che le pa-gine degli anni Trenta andavanotenute ben distinte da quelle ag-giunte in occasione della terzaedizione2: non mi ero spinto sinoa dire che i libri erano diventatidue, ma ci ero andato vicino.Ma non è solo questo. L’aspettodel saggio che mi ha maggior-mente colpito sta nel fatto cheCouture, sia pure limitando il di-scorso alle pagine degli anniTrenta, era chiarissimo nell’av-vertire che quello di Calamandreiera un Elogio solo per modo di di-re, atteso che non era affattoescluso che in realtà si trattasse diuna critica, in quanto «il lettore sisente senz’altro consenziente col-l’autore ed ha la certezza che l’o-pera sarebbe stata senz’altro chia-mata Critica dei giudici scritta daun avvocato, se, in seguito ad unsincero e spassionato esame, fos-sero risultate in prevalenza le pa-role di censura su quelle di plau-so»3. Quindi, poiché nel libro lecensure erano sicuramente più

numerose delle lodi, era evidenteche Couture aveva detto più o me-no le stesse cose che avevo dettoio nel 1992, quando avevo avver-tito che, se si prescindeva dai pri-mi due capitoli, nei quali Cala-mandrei aveva avuto cura di met-tere fuori discussione le propriebuone, ingenue e incontrollabiliintenzioni, il libro poteva pure es-sere intitolato Dei vizi e dei difet-ti dei giudici4. Con questa diffe-renza: mentre a me era parso didover affermare che si trattava di“una lunga, severa e coraggiosarequisitoria contro i giudici”5, tut-ta in falsetto e usando “quella de-licatissima arma che è la dissimu-lazione”6, grazie alla quale Cala-mandrei aveva dedicato una ele-gante canzonatura a quegli intoc-cabili che sono i giudici, Couture,più prudentemente, si era limitatoa dire che il libro poteva essereuna “critica”. Il nocciolo della suainterpretazione, però, non era dis-simile da quello della mia: en-trambi, infatti, eravamo dell’avvi-so che il titolo diceva l’esattocontrario del contenuto del libro,e cioè, dunque, che nel titolo siannidava una goliardica burla.La constatazione non poteva nonrallegrarmi. Ma non perché mifaccia piacere veder canzonare lagente in generale e i giudici in

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L’“Elogio” di Calamandrei.Tra canzonatura e piaggeriaIl rapporto tra avvocati e magistrati non è mai stato facile e, nell’intimità, sono sempre prevalsi giudizi severi degli uni nei confronti degli altri.Negli scritti pubblicati vi è la tendenza a far prevalere i giudizi positivi.Un grande giurista ha affrontato il tema con argomentazioni molto interessanti, che hanno dato adito a interpretazioni divergenti.

di Franco Cipriani

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particolare, bensì perché quindicianni fa, quando m’ero permessod’interpretare in quel modo quellibro e, soprattutto, il suo titolo,non ebbi molta fortuna.

2. La soave interpretazione diPaolo Barile e Alessandro Ga-lante Garrone

Infatti, quindici anni fa la mia re-censione alla ristampa della quar-ta edizione dell’Elogio, che avevauna introduzione di Paolo Barile7,fu accolta con una certa qual sor-presa dallo stesso Barile e con unavalanga di critiche da parte diAlessandro Galante Garrone.Barile, nel presentare le mie pagi-ne sul Ponte, assicurò che la miainterpretazione proponeva una“originale lettura” del libro di Ca-lamandrei, con “profili totalmentenuovi”. A suo avviso, però, le mie“forzature” (tra virgolette nel te-sto), che intravedevano pensieri“maligni” di Calamandrei neiconfronti dei giudici (ancora vir-golette nel testo), non avevano ra-gione di essere in quanto ciò era“lontano dall’etica di Calaman-drei”: “chi ha vissuto per anni vi-cino a lui – egli tenne a precisare– ne è buon testimone”. In com-penso, però, egli concesse che sa-rebbe stato il lettore a stabilire sela mia interpretazione fosse “trop-po azzardata o no”8, riconoscendocosì, sia pure a denti stretti, che lamia interpretazione poteva pureessere esatta.Viceversa, Alessandro GalanteGarrone, che con una certa qualgenerosità si considerava un “mi-te giacobino”9, ma che era noto-riamente molto più giacobino chemite, ai Lincei, ancor prima che ilmio saggio vedesse la luce sulPonte, non esitò a dire che nonavevo capito niente né del libro,né tanto meno del suo autore, in

quanto il Calamandrei da me ipo-tizzato esisteva solo nella mia fer-vida fantasia10. Non solo, ma, qua-si non bastasse, aggiunse che lamia “stravagante” interpretazionenon era neppure del tutto origina-le, in quanto 36 anni prima (ossia,direi, nel 1956) l’aveva già data ilgiudice Dessì, che naturalmentenon aveva capito niente neppurelui, in quanto Calamandrei nonsapeva neppure che cosa fosserola “dissimulazione onesta” e il“nicodemismo”11. Io, per la verità,avevo parlato solo di “dissimula-zione onesta” e non anche di “ni-codemismo”, che è concettoprofondamente diverso e moltopiù grave, ma sta di fatto che Ga-lante Garrone assicurò che Cala-mandrei non si era mai comporta-to come Nicodemo, il discepoloche andava a trovare Gesù solo dinotte, quando non poteva vederlonessuno.Nel 1992 non detti alcun rilievo alnicodemismo12, ma cercai di rin-tracciare lo scritto (non so se unsaggio o una recensione) del giu-dice Dessì, senza peraltro riuscir-vi. In tutti questi anni non ho avu-to migliore fortuna, ma ora il caso(che continua a mostrarsi fornitodi una bella intelligenza…) ha vo-luto che mi imbattessi nel saggiodi Couture, di fronte al quale nonso se il “mite giacobino”, che pur-troppo ci ha lasciati qualche annofa, avrebbe osato dire le stessegentili parole che dedicò in tuttatranquillità a me. Couture, infatti,non era solo “un giurista di famamondiale”, ma anche un “impa-reggiabile amico” di Calaman-drei13, sì che, prima di dirgli chenon aveva capito niente dell’Elo-gio e di Calamandrei, sarebbe sta-to il caso di pensarci due volte.Comunque, quello che conta èche siamo già in tre ad interpreta-

re esplicitamente in quel modol’Elogio, sì che, se si consideranoanche le perplessità di FrancescoCarnelutti, di Pietro Pancrazi e diMariano d’Amelio14, tuttinient’affatto convinti che quellofosse un vero elogio, si ottieneche la tesi prevalente è la nostra enon certo quella angelicamentepropugnata da Calamandrei15 e ri-badita da Barile e da Galante Gar-rone. Ché se poi si considerasseche Calamandrei, una volta, si la-sciò sfuggire di essere bravissimonel dissimulare16, nonché che Ba-rile e Galante Garrone erano duesuoi fedelissimi discepoli, allorasi comprenderebbe che la tesi diCalamandrei sul significato del-l’Elogio, pur essendo stata difesadai suoi discepoli, non ha maiconvinto nessuno.Sta tuttavia di fatto che Barile as-sicurò che la sua era l’interpreta-zione “tradizionale” e che Galan-te Garrone, nel dirsi d’accordocon Barile, menzionò l’introvabi-le Dessì e non anche Couture (nétanto meno Carnelutti, Pancrazi ed’Amelio), nonché che di recen-te l’Elogio è stato nuovamente ri-stampato con la soave introdu-zione di Barile17, quasi che, con-tinuando a presentare Calaman-drei come un candido discenden-te di Calandrino, gli si renda unbuon servigio e/o gli si faccia uncomplimento. A me invece sem-bra che Calamandrei ne guada-gnerebbe, e non poco, se gli sidesse atto di avere attaccato ge-nialmente i giudici adoperandocon grande maestria quella mici-diale arma che è la dissimulazio-ne, e cioè, dunque, se finalmentesi avvertisse apertis verbis che lecose stanno diversamente da co-me parrebbe voler dire (agli al-locchi) il titolo. Anche perché, secosì non fosse, probabilmente

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non resterebbe che concordarecon chi ha ritenuto di dover giu-dicare quel libro nel modo peg-giore che si possa immaginare: ecioè come un servile atto diomaggio.

3. Le stroncatorie “recensioni”di Ernesto Rossi e Vittorio Foa

A giudicare in questo severo mo-do quel libro di Calamandrei sonostati due grandi protagonisti dellastoria politico-culturale italiana,Ernesto Rossi (1897-1967) e Vit-torio Foa (1910), i quali, in priva-to, in due lettere che risalgono al1936, ma che sono state pubblica-te molto più tardi, proprio perchénon presero neppure in considera-zione l’idea che Calamandreistesse ironizzando, non esitaronoa bollare senza appello l’Elogio eil suo autore.A quell’epoca Rossi e Foa stava-no scontando nelle patrie galere ilunghi anni di reclusione ai qualierano stati condannati dai tribuna-li speciali fascisti. Il caso volleche essi, per quattro anni, dal1935 al 1939, si ritrovassero ri-stretti nello stesso carcere, quelloromano di Regina Coeli, nella cuibiblioteca vi era l’Elogio di Cala-mandrei, che evidentemente laDirezione generale degli istitutipenitenziari del Regno d’Italiaaveva reputato opportuno metterea disposizione dei detenuti. Ebbe-ne, i due, entrambi laureati in giu-risprudenza, Rossi a Siena nel1920 e proprio con Calamandrei18,Foa a Torino nel 1931, ad ottobredel 1936 lessero il libro di Cala-mandrei, che era uscito l’annoprima, e ne scrissero delle lettereche erano autorizzati a indirizza-re, una alla settimana, ai loro fa-miliari. Ernesto Rossi, infatti, siapure “a costo di punizioni”, erariuscito a ottenere dalla Direzione

generale della PS il riconosci-mento del “diritto di descrivere lavita carceraria e di commentare‘liberamente’ i volumi letti in cel-la”19. Si ebbero così due “recen-sioni” quant’altro mai singolari,forse non del tutto sincere eschiette, ma non certo per defe-renza, rispetto o fair play verso ilrecensito, bensì perché i due “re-censori” sapevano bene che le lo-ro lettere erano sottoposte allacensura, sì che, a volersi sbilan-ciare, si poteva star certi che ogniparola fuori posto sarebbe statacancellata20.Ernesto Rossi, che era stato con-dannato a 20 anni di reclusione edera l’“inflessibile guida” del pic-colo gruppo di “carcerati di Giu-stizia e Libertà a Regina Coeli”21,il 16 ottobre 1936, quando si tro-vava in carcere da sei anni, cosìscrisse alla madre:

Il libro di Calamandrei è scrittobene, ma non mi piace un granche. È una abile auto-réclame:qualche pagina mi è sembrata an-che untuosa come se fosse scrittada un gesuita. Ci si sente troppol’uomo sicuro di sé, perché “godedi una certa posizione sociale”, equel che più teme è che qualcosavenga a mettere in forse la posi-zione raggiunta.“Quando ti trovo sul mio cammi-no (egli dice al giudice) e mi in-chino a te con riverenza, c’è nelmio saluto una dolcezza di rico-noscenza fraterna. Io so che ditutto quello che mi è di intima-mente più caro, tu sei custode egarante; in te saluto la pace delmio focolare, il mio onore e lamia libertà”. Bravo, bravo Pieri-no! Questi sentimenti ti fannoproprio onore, ma, per esser logi-co, devi dimostrare la tua ricono-scenza fraterna anche al poliziot-to e alla guardia carceraria, che

certamente non sono meno indi-spensabili del giudice per conser-vare l’ordine e per tutelare la vitae la roba delle persone perbene22.

Fin qui Ernesto Rossi, che dovet-te restare fortemente deluso dallepagine del suo professore: quelsuo “Bravo, bravo Pierino! Questisentimenti ti fanno proprio ono-re”, manifesta tutta la sua addolo-rata sorpresa.Quindici giorni dopo, il 30 otto-bre 1936, fu Vittorio Foa a scrive-re di quel libro ai suoi genitori.Prima di leggere la sua “recensio-ne”, però, è il caso di tenere pre-sente che, mentre Rossi si era de-dicato all’economia, Foa si eradedicato al diritto e, in particola-re, all’avvocatura: laureato nel1931 e procuratore legale nel1934, era stato arrestato a maggiodel 1935, quando si accingeva ascrivere un manualetto di dirittocommerciale. Condannato a 15anni di reclusione a febbraio del1936, in carcere si era abbonato alForo italiano e alla Rivista di di-ritto commerciale23, che leggevacon grande attenzione. Questo ilsuo pensiero sul libro di Calaman-drei:

Mi ha alquanto deluso un librosul foro e sulla magistratura delprof. Calamandrei che è un pro-cessualista molto noto e bravo;speravo che uscisse dalle solitebanalità dei rapporti tra giudicied avvocati per trattare dei dueistituti con franchezza e sotto unangolo visivo un po’ più vasto diquello dei corridoi di palazzo digiustizia.Non dovrebbe essere difficile direqualche verità su questo argo-mento soprattutto da parte di unavvocato come il Calamandreicon una lunga esperienza di vitadi toga. È per contro una conti-

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nua tiritera tutta latte e miele: av-vocati e giudici si vogliono un be-ne dell’anima, sono onesti ed in-tegerrimi, tutti i giudici fanno giu-stizia, tutti gli avvocati muoionopoveri e tutti insieme sono domi-nati da drammi neutrali nell’eser-cizio della loro nobile missione.In complesso questo studio costi-tuisce una auto-réclame dell’au-tore che par che dica ai giudici:guardate come vi capisco!; e ri-spetto agli avvocati, è un incita-mento a flettere la schiena in attidi umilissimo ossequio, incita-mento affatto superfluo date le lo-ro naturali tendenze ai salaamnon solo materiali24.

Ernesto Rossi e Vittorio Foa, dun-que, due grandi e inflessibili anti-fascisti, si ritrovarono d’accordonel giudicare più che severamenteil libro di Calamandrei, nel defi-nirlo un’“auto-réclame” e nel de-dicargli due “recensioni” stronca-torie. Non sappiamo se essi per-vennero a questa conclusioneognuno per proprio conto o con-versando tra loro, ma certo è chenessuno dei due fu sfiorato dal so-spetto che Calamandrei avessescritto quel libro per prendere ingiro i giudici col metodo della“dissimulazione onesta” di Tom-maso Accetto25. Per loro, che era-no stati mandati in galera dai giu-dici che Calamandrei si era preoc-cupato di elogiare per un intero li-bro, non doveva essere neppureipotizzabile che su certi temi sipotesse scherzare. Ergo, non esi-tarono a vedere in quel libro unatto di gesuitica e untuosa piagge-ria.Ma, pur riconoscendo che nell’E-logio, e in particolare nei primidue capitoli, vi sono non pochepagine che parrebbero dar ragionealle “recensioni” di Rossi e Foa, ame non sembra che la loro inter-

pretazione, sulla quale ovviamen-te non può non avere influito ilfatto che essi si trovavano in car-cere per motivi politici, possa es-sere condivisa. Anzi, nel prendereatto che i due si aspettavano unben diverso discorso da parte diCalamandrei, devo pur dire cheessi forse non dettero il debito ri-lievo al fatto che Calamandrei, sefosse stato appena più esplicito,sarebbe sicuramente finito anchelui a Regina Coeli.Con questo non voglio dire, sullascia di Galante Garrone, che l’in-terpretazione di Rossi e Foa sia“stravagante”, ché, anzi, non cre-do si possa seriamente dubitareche essi, pur non trovandosi nellemigliori condizioni di spirito percogliere l’ironia di Calamandrei esorridere delle sue battute, sianonel giusto quando vedono in quellibro un’“auto-réclame”. Tantomeno mi pare che la loro interpre-tazione possa essere respinta, co-me fecero Barile e Galante Garro-ne con la mia, facendo leva sull’e-tica di Calamandrei, quasi che i li-bri si potessero giudicare in consi-derazione della personalità o,peggio ancora, delle indimostra-bili buone intenzioni sbandieratedall’autore e non per quello cheeffettivamente dicono e significa-no. In realtà, i motivi per i quali lalettura di Rossi e Foa va a parermio respinta risiedono nel titolodel libro, che è fin troppo para-dossale, e nelle mille sciabolatecontro i giudici che sono contenu-te nel libro. In particolare, il tito-lo, come rilevai quindici anni fa,non è Elogio dei giudici, ma Elo-gio dei giudici scritto da un avvo-cato, ove è chiaro che il parados-so sta proprio nell’ipotizzare cheun avvocato possa scrivere un li-bro per elogiare i giudici. E poi-ché il contenuto del libro è quello

che è, tanto che, come si è visto,Eduardo J. Couture pensò bene diavvertire che forse sarebbe statopiù giusto intitolarlo Critica deigiudici scritta da un avvocato, ègiocoforza concludere nel sensoche ci troviamo in presenza di unaraffinata e studiatissima canzona-tura.

4. Il precedente di Erasmo daRotterdam

A riprova dell’esattezza della miainterpretazione, che poi, sia con-sentito ripeterlo, è quella preva-lente, sta il rilievo che gli elogipossono essere tributati sia perelogiare26, sia, in senso ironico,per scherzare e/o dileggiare: è so-lo una questione di sfumature o,se si vuole, di rapporto tra gli elo-gi e la realtà.Basti pensare non solo all’anti-chissimo Elogio della calvizie diSinesio di Cirene27 o ai recentissi-mi Elogio dell’ombra, Elogio delquasi, Elogio del somaro, Elogiodell’assenza28, ma anche e soprat-tutto al celeberrimo Elogio dellaFollia di Erasmo da Rotterdam29,che mi era imperdonabilmentesfuggito nel 1992, ma che noncredo fosse sfuggito anche a Cala-mandrei: è infatti da sempre notoe notorio che con quel titolo Era-smo “si divertì a burlare la gen-te”30, non potendosi dubitare cheil suo Elogio è “una bizzarria ac-cademica, un paradosso”31, ovve-ro, se si preferisce, “uno scherzoletterario”32, non certo un’apolo-gia33.Mi pare, quindi, di dover ribadirel’interpretazione prospettata quin-dici anni fa, escludendo che inquel libro possa essere visto, se-condo la leziosa e sdolcinata in-terpretazione proposta da PaoloBarile e Alessandro Galante Gar-rone, un vero elogio. Ma, pur

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comprendendo la delusione di Er-nesto Rossi e Vittorio Foa, mi pa-re di dovere anche escludere chelo si possa considerare un atto dipiaggeria.

Note1 Cfr. COUTURE, Due libri in uno, trad. it.di CAPPELLETTI, in Riv. dir. proc., 1957, p.64 ss. 2 V. il mio Come si attaccano gli intocca-bili, in Il Ponte, 1992, 3, p. 90 ss., ora nelmio Piero Calamandrei e la procedura ci-vile, Napoli, 2007, p. 213 ss. (donde sa-ranno tratte le citazioni successive).3 Così COUTURE, op. cit., p. 65.4 Cfr. Come si attaccano gli intoccabili,cit., p. 220.5 V. la mia op. cit., p. 219.6 Così ancora la mia op. cit., p. 222.7 Cfr. BARILE, Introduzione, in CALAMAN-DREI, Elogio dei giudici scritto da un av-vocato, Firenze, rist. 1989.8 V. le poche righe di presentazione posteda BARILE nell’asterisco a pie’ della pa-gina iniziale del mio Come si attaccanogli intoccabili, cit., p. 213.9 V., infatti, GALANTE GARRONE, Il mitegiacobino. Conversazione su libertà e de-mocrazia, a cura di BORGNA, Roma,1994. Su Galante Garrone v. anche BOR-GNA, Un paese migliore. Vita di Alessan-dro Galante Garrone, Roma-Bari, 2007;GRANDE STEVENS, Ricordo di AlessandroGalante Garrone, in Rass. avv. it., 2004,2, p. 68 ss.10 Cfr. GALANTE GARRONE, Calamandrei el’Elogio dei giudici: ieri e oggi, in ACCA-DEMIA NAZIONALE DEI LINCEI, Giornata lin-cea in ricordo di Piero Calamandrei (Ro-ma, 20 marzo 1992), Roma, 1993, p 15ss., spec. 19 s. (ora nel mio Piero Cala-mandrei, cit., p. 223, donde saranno trat-te le citazioni successive).11 Così GALANTE GARRONE, Calamandreicit., p. 223.12 Che oggi mi sembra invece molto elo-

quente, perché la preoccupazione di Ga-lante Garrone di escludere il nicodemi-smo di Calamandrei era del tutto ingiu-stificata. Ho perciò idea che egli si rife-risse al comportamento di Calamandrei,che aveva collaborato col fascismo. V. al-tresì F. CALAMANDREI, Piero Calamandreimio padre, in CALAMANDREI, Diario 1939-1945 a cura di AGOSTI, I, Firenze, 1982, p.XVII, che ebbe cura di assicurare che la“duplicità” era lontana dall’animo delpadre.13 Così CALAMANDREI, Eduardo J. Couture,in Riv. dir. proc., 1956, pp. 245 e 247.14 Cfr. CARNELUTTI, Recensione a CALA-MANDREI, Elogio, in Riv. dir. proc., 1935,I, p. 199, e 1955, I, p. 235. Per le per-plessità di Pancrazi e d’Amelio, v. lostesso CALAMANDREI, Prefazione alla se-conda edizione, in Elogio, cit., p. XXI.15 V. ancora CALAMANDREI, Prefazione allaseconda edizione, cit. p. XX ss.16 Fu quando prese in giro il preside delsuo liceo “con una dissimulazione da de-linquente che non supponevo in me”: co-sì CALAMANDREI, Una questione d’econo-mia … scolastica, (1910), in La burla diPrimavera con altre fiabe, e prose sparse,a cura di LUTI, Palermo, 1987, p. 95. 17 Cfr. CALAMANDREI, Elogio dei giudiciscritto da un avvocato, Milano, rist.2006.18 Cfr. FRANZINELLI, Cronologia, in ROSSI,Epistolario 1943-1967, a cura di FRANZI-NELLI, Roma-Bari, 2007, p. 517. 19 Così FRANZINELLI, Lettere oltre le sbar-re, in ROSSI, “Nove anni sono molti”. Let-tere dal carcere 1930-1939, a cura diFRANZINELLI, Torino, 2001, p. XVI.20 Lo ricorda FOA, Lettere della giovinez-za. Dal carcere 1935-1943, a cura dellaMONTEVECCHI, Torino, 1998, p. XIII.21 Così FOA, In carcere con Ernesto Rossi,in ROSSI, “Nove anni sono molti”, cit.,pp. IX e X.22 Così ROSSI, “Nove anni sono molti”,cit., p. 518. Per un inedito ritratto di Ca-lamandrei, v. ID., Epistolario, cit., p. 496

ss., ove è riportata una bellissima (edeloquentissima) lettera di Ernesto Rossi,che il direttore de Il Ponte, Enzo Enri-ques Agnoletti, rifiutò di pubblicare.23 Cfr. FOA, Lettere della giovinezza, cit.,p. 82.24 Così FOA, Lettere della giovinezza, cit.,p. 150.25 Cfr. ACCETTO, Della dissimulazioneonesta, (1641), Genova, rist. 1983, su cuiv. il mio Le finzioni nel processo civile,in Rass. dir. civ., 2002, p. 51.26 Cfr., per esempio, AXIA, Elogio dellacortesia, Bologna, 1996; BUEB, Elogiodella disciplina, trad. it. della BOTTINI,Milano, 2007; LEVI MONTALCINI, Elogiodell’imperfezione, Milano, 1997; VILLA-RI, Elogio della dissimulazione. La lottapolitica nel Seicento, Roma-Bari, 1987.27 Cfr. SINESIO, Elogio della calvizie, a cu-ra della ROTUNNO, Milano, 1995.28 Cfr. AGASSO, Elogio del somaro, Torino,2006; BORGES, Elogio dell’ombra, Tori-no, 2007; DE CRESCENZO, Il pressappoco.Elogio del quasi, Milano, 2007; PAQUOT,Elogio del lusso, trad. it. di GALLICO, Ro-ma, 2007; nonché, a proposito dei desa-parecidos argentini, MAGRIS, Elogio del-l’assenza, in Corriere della sera, 12 apri-le 2007, p. 47.29 Cfr. ERASMO DA ROTTERDAM, Elogio del-la Follia, (1509), a cura di CARENA, Tori-no, 1997, che nella Dedica iniziale (p.11) ricordò gli “elogi” dei grandi scrit-tori dell’antichità, da quello di Glauconeall’ingiustizia, a quello di Favorino allafebbre quartana, a quello di Luciano al-la mosca e al parassitismo.30 Così, nel 1549, Sir THOMAS CHALONER,citato da CARENA, Introduzione, in ERA-SMO DA ROTTERDAM, op. cit., p. VII.31 Così CROCE, in ERASMO DA ROTTERDAM,Elogio della pazzia e dialoghi, Bari,1914, p. VIII.32 Così SURTZ, The Praise of Pleasure,Cambridge, 1957, citato da CARENA, In-troduzione, cit., p. IX. 33 Così CARENA, Introduzione, cit., p. VII.

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L’Associazione O.N.Da presiedu-ta da Francesca Merzagora, avva-lendosi della collaborazione delComitato scientifico, pubblica ilprimo volume sulla “Tutela del la-voro delle donne” che è dovutoall’impegno di Giulio Prosperetti(Il problema degli effetti discrimi-natori dell’eccesso di tutela),Edoardo Ales (La protezione del-la salute della donna lavoratricenella normativa internazionale ecomunitaria), Maria Vittoria Bal-lestrero (Il lavoro notturno delledonne tra diritto comunitario e di-ritto interno), Franca Borgogelli(Lavoratrice e madre: tutele econtraddizioni), Riccardo DelPunta (Il mobbing: un rischio spe-cifico per la salute della donna?),Gisella De Simone (Le molestiesessuali, tra tutela della libertà etutela della salute della donna).Si tratta di scritti di esperti e do-centi universitari che pongono inevidenza le più spinose problema-tiche che investono, nell’attualità,il lavoro delle donne.

1. Le discriminazioni

Alla base del divieto di discrimi-nazione vi è la legge 10 aprile1991, n. 125, che è nata con loscopo principale di realizzareuna parità sostanziale e nonunicamente di principio tra uo-mini e donne. Il legislatore, par-tendo da alcune carenze della leg-

ge Anselmi, ha stabilito che nonera sufficiente garantire alle lavo-ratrici lo stesso trattamento deicolleghi uomini, trattamento giàformalmente in essere, ma era ne-cessario intraprendere iniziativeconcrete che colmassero il divariosostanziale tra i due sessi.La legge n. 125/91 si caratterizzaper alcune finalità specifiche:a) eliminare le disparità di fatto di

cui le donne sono oggetto nellaformazione scolastica e profes-sionale, nell’accesso al lavoro,nella progressione di carriera,nella vita lavorativa e nei pe-riodi di mobilità;

b) favorire la diversificazione del-le scelte professionali delledonne, in particolare attraversol’orientamento scolastico eprofessionale e gli strumentidella formazione; favorire l’ac-cesso al lavoro autonomo e al-la formazione imprenditorialee la qualificazione professiona-le delle lavoratrici autonome edelle imprenditrici;

c) superare condizioni, organizza-zione e distribuzione del lavoroche provocano effetti diversi, aseconda del sesso, nei confron-ti dei dipendenti con pregiudi-zio nella formazione, nell’a-vanzamento professionale e dicarriera ovvero nel trattamentoeconomico e retributivo;

d) promuovere l’inserimento del-

le donne nelle attività, nei set-tori professionali e nei livellinei quali esse sono sottorappre-sentate e in particolare nei set-tori tecnologicamente avanzatied ai livelli di responsabilità;

e) favorire anche mediante una di-versa organizzazione del lavo-ro, delle condizioni e del tempodi lavoro, l’equilibrio tra re-sponsabilità familiari e profes-sionali e una migliore ripara-zione di tali responsabilità tra idue sessi.

Per la legge n. 125/91 il concettodi discriminazione si concretizzaquando il datore di lavoro pone inessere qualsiasi atto che producaun effetto pregiudizievole discri-minando anche in via indiretta lelavoratrici o i lavoratori in ragionedel loro sesso. Costituisce discri-minazione indiretta ogni tratta-mento pregiudizievole conseguen-te all’adozione di criteri che svan-taggino in modo proporzional-mente maggiore i lavoratori del-l’uno o dell’altro sesso e riguardi-no requisiti non essenziali allosvolgimento dell’attività lavorati-va. Nei concorsi pubblici e nelleforme di selezione attuate, anche amezzo di terzi, da datori di lavoroprivati e pubbliche amministrazio-ni la prestazione richiesta deve es-sere accompagnata dalle paroledell’uno o dell’altro sesso, fattaeccezione per i casi in cui il riferi-

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recensioni

La tutela della salute delle donnenel mondo del lavoro

Il libro recensito affronta, con la collaborazione di molti autori, alcuni temi interessanti per la donna lavoratrice: le discriminazioni,

la tutela della salute, le molestie sessuali e la maternità.

di Maurizio de Tilla

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mento al sesso costituisca requisi-to essenziale per la natura del la-voro o della prestazione.Un caso tipico di discriminazioneindiretta ai danni delle lavoratriciè quello della sopravvalutazionedel carattere pesante della man-sione tradizionalmente affidata amanodopera maschile, rispetto al-la mansione di contenuto analogoaffidata tradizionalmente a mano-dopera femminile.Affrontando con dovizia di argo-menti la tematica delle discrimi-nazioni, Giulio Prosperetti ha ri-chiamato opportunamente l’art.141 del Trattato C.E. che disponeche allo scopo di assicurare l’ef-fettiva e completa parità fra uomi-ni e donne nella vita lavorativa ilprincipio di parità di trattamentonon osta a che uno stato membromantenga o adotti misure che pre-vedano vantaggi specifici diretti afacilitare l’esercizio di un’attivitàprofessionale da parte del sessosottorappresentato ovvero ad evi-tare o compensare svantaggi nellecarriere professionali.Viene così affermata la possibilitàper gli Stati membri di compiere“azioni positive”, inserendo di di-ritto tali strumenti fra quelli in do-tazione agli Stati nella lotta alla di-scriminazione. In sostanza, ciò cheviene legittimata è la possibilità diporre in essere una disciplina difatto discriminatoria, in quanto mi-rata alla protezione, al sostegno,all’aiuto e all’agevolazione delsesso sottorappresentato, ponendofine alle disparità di fatto che pre-giudicano le pari opportunità.È in questo senso, dunque, chevanno lette le azioni positive, co-me strumento di uguaglianza so-stanziale che introduce un tratta-mento preferenziale per i gruppisvantaggiati e/o sottorappresenta-ti indispensabile.

La Corte di Giustizia, proprio inmerito ad azioni positive, ha avu-to il modo in varie occasioni didefinire i limiti e la portata di talistrumenti. In particolar modo ciòche la Corte ha inteso chiarire è ilprincipio per cui l’uguaglianza diopportunità (o di chance) allaquale mira l’attività promozionaledelle azioni positive, non deve tra-dursi in una uguaglianza di risul-tati, ma solo limitarsi a mettere idestinatari di dette azioni nellecondizioni di ottenere, attraverso iloro meriti e capacità, l’ugua-glianza dei risultati.

2. La tutela della salute delledonne lavoratrici

Nel nostro ordinamento la tuteladella salute del lavoratore ha isuoi fondamenti in alcune norme:l’art. 32 Cost. («La Repubblicatutela la salute come fondamenta-le diritto dell’individuo e interes-se della collettività»); l’art. 2087c.c., che impone al datore di lavo-ro di adottare, nell’esercizio del-l’impresa, le misure necessarieper tutelare l’integrità fisica deiprestatori di lavoro; l’art. 9 della l.20 maggio 1970, n. 300, che san-cisce il diritto dei lavoratori dicontrollare l’applicazione dellenorme di prevenzione degli infor-tuni e delle malattie professionalie di promuovere l’attuazione ditutte le misure idonee a tutelare laloro salute e integrità fisica.Per l’attuazione di tali principi so-no state emanate specifiche dispo-sizioni regolamentari e tecnicheper la prevenzione degli infortunie per l’igiene del lavoro.Si citano, per tutte, il d.p.r. 27aprile 1955, n. 547 (Norme gene-rali per la prevenzione degli infor-tuni sul lavoro), il d.p.r. 19 marzo1956, n. 303 (Norme generali perl’igiene del lavoro), il d.lgs. 19

settembre 1994, n. 626 (in attua-zione di direttive CEE riguardantiil miglioramento della sicurezza edella salute dei lavoratori sul luo-go di lavoro), modificato e inte-grato dal d.lgs. 19 marzo 1996, n.242, e successive modificazioni.Nell’ambito della tutela della sa-lute delle donne rientra il tema del“mobbing”, affrontato nel presen-te volume da Riccardo Del Punta,il quale osserva che la dottrinagiuslavoristica si è dedicata pocoal “mobbing” in linea proporzio-nale inversa al successo popolaredel fenomeno.All’origine di tale freddezza visono, forse, le medesime ragioniche hanno determinato il grandesuccesso “mediatico” del mob-bing: i misteri semantici e le sug-gestioni esterofile della parola;l’attitudine del nuovo istituto acatalizzare un’indeterminata seriedi situazioni di disagio lavorativo,dando così voce ad un “sottosuo-lo” individuale talora rimosso dal-l’attenzione riservata alle proble-matiche collettive; gli impieghistrumentali cui il mobbing ha ta-lora finito col prestarsi, andandocosì ad ingrossare il fiume, sem-pre più insofferente degli argini,dei danni alla persona.Il fenomeno del mobbing è un se-gno dei tempi la cui componenteeffimera non deve far dimenticarela serietà delle patologie organiz-zative cui esso rimanda.E se, in tali patologie, il ruolodell’“aggressore” finisce con l’es-sere talora distorto dalle rappre-sentazioni soggettive di una pre-sunta “vittima” che proietta sul-l’azienda, sui capi o sui colleghidi lavoro, le proprie e irrisolteproblematiche personali, nondi-meno esistono molte situazioninelle quali, davvero, le dinamiche(soprattutto “verticali”, ma pure

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“orizzontali”) dei rapporti di po-tere in seno alle organizzazioni sifanno perverse e capaci di emar-ginare, e nei casi più gravi di an-nientare, gli anelli più deboli oquelli sui quali le stesse organiz-zazioni hanno scaricato, a lorovolta, le proprie contraddizioniinterne.Su questa base sociologica, psico-logica e medica del fenomeno –che avrebbe avuto maggiori diffi-coltà ad emergere nelle classicheorganizzazioni fordiste, più che inquelle post-fordiste – si è innesta-ta la grande crescita di tensione,da parte della giurisprudenza civi-listica (e, soltanto in un secondotempo, lavoristica), sulle proble-matiche del risarcimento dei dan-ni alla persona.Ove è sottinteso che la possibilitàche il mobbing dia luogo (come difrequente accade) ad una lesionedella salute (art. 2087, prima par-te), ergo ad una malattia profes-sionale, non esclude che esso in-tegri, in primis e tipicamente, unalesione della dignità morale (art.2087, seconda parte). In altre parole – osserva Del Punta– la circostanza che del mobbing sisiano occupati, per primi, i medicidel lavoro, non deve far scivolareverso una integrale “medicalizza-zione” del mobbing: esso costitui-sce una condotta illecita, dalla qua-le può scaturire una pluralità dipossibili (e risarcibili) pregiudizi:alla salute, alla sfera esistenziale,ma anche, semplicemente, alla di-gnità morale della persona.È anzi nel dispregio della dignitàdella lavoratrice o del lavoratorein quanto persona che si deve ri-cercare il “grado zero” del mob-bing.

3. Le molestie sessuali

L’obbligo di tutela posto a carico

del datore di lavoro ex art. 2087c.c., comprende anche l’ambitodelle molestie sessuali – con leconseguenti responsabilità – pur-ché sia accertata l’esistenza di unnesso causale tra il relativo com-portamento ed il pregiudizio chene deriva.Non vi è alcun dubbio che le mo-lestie sessuali, poste in essere daldatore di lavoro o dai suoi stretticollaboratori nei confronti dei la-voratori soggetti al rispettivo po-tere gerarchico, costituiscono unodei comportamenti più detestabilifra quelli che possono ledere lapersonalità morale e, come conse-guenza, l’integrità psicofisica deiprestatori d’opera subordinati.L’obbligo previsto dalla disposi-zione contenuta nell’art. 2087c.c., non è limitato al rispetto del-la legislazione tipica della preven-zione, ma – come si evince da unainterpretazione della norma inaderenza a principi costituzionalie comunitari – implica anche il di-vieto di qualsiasi comportamentolesivo dell’integrità psicofisicadei dipendenti, qualunque ne sia-no la natura e l’oggetto e, quindi,anche nel caso in cui siano postiin essere atti integranti molestiesessuali nei confronti dei lavora-tori. Pertanto, qualora da un sif-fatto comportamento derivi unpregiudizio per il lavoratore, im-plicante la lesione del bene prima-rio della salute o integrante queltipo di nocumento che dalla dot-trina e dalla giurisprudenza vienedefinito biologico, evidente è laresponsabilità del datore di lavoropurché sia accertata l’esistenza diun nesso causale fra il suddettocomportamento, doloso o colpo-so, e il pregiudizio che ne deriva.Deve ritenersi pertanto legittimoil licenziamento irrogato a dipen-dente che abbia molestato ses-

sualmente una collega sul luogodi lavoro, a nulla rilevando lamancata previsione della suddettaipotesi nel codice disciplinare, esenza che, in contrario, possa de-dursi che il datore di lavoro è con-troparte di tutti i lavoratori, siauomini che donne, e non può per-ciò essere chiamato ad un ruoloprotettivo delle seconde nei con-fronti dei primi, giacché, per unverso, le molestie sessuali posso-no avere come vittima entrambi isessi, e, per altro verso, il datoredi lavoro ha in ogni caso l’obbli-go, a norma dell’art. 2087, cit., diadottare i provvedimenti che ri-sultino idonei a tutelare l’integritàfisica e la personalità morale deilavoratori, provvedimenti tra iquali può certamente ricompren-dersi anche l’eventuale licenzia-mento dell’autore delle molestiesessuali.Il datore di lavoro è responsabiledel danno biologico derivato a la-voratrice da molestie sessuali emorali di un capoturno e dall’adi-bizione della stessa da parte diquest’ultimo a luogo di lavoro diridotte dimensioni ed isolato. Ildanno biologico derivante da sin-drome ansioso depressiva reattiva,protrattasi per numerosi mesi edimputabile al datore di lavoro, valiquidato equitativamente.Affrontando la complessa temati-ca delle molestie sessuali, GisellaDe Simone ha evidenziato il lega-me stretto tra tutela della salute esicurezza delle lavoratrici e prote-zione della dignità della personaassicurata a lavoratori e lavoratri-ci con il divieto di molestie con-nesse ad una serie chiusa ma am-pia di fattori di identità personale.Se prima ci si preoccupava soltan-to dell’incolumità fisica delle la-voratrici, oggi la preoccupazioneconcerne anche la «personalità

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morale» di lavoratrici e lavoratori,come peraltro prevede e prevede-va già nel 1942 l’art. 2087 c.c. Lamolestia connessa al genere e lamolestia a connotazione sessualein particolare, lede la salute dellalavoratrice oggetto di molestie,producendo danni psicofisici datempo segnalati dalla scienza me-dica e dagli studi di psicologia.Ma la lesione della salute si ac-compagna alla lesione della per-sona causata dal fatto di prestarela propria attività lavorativa in unclima intimidatorio, ostile, degra-dante, umiliante, offensivo, comerecita la Direttiva 2002/73.Non solo. Le molestie, che colpi-scono in particolar modo le don-ne per ragioni storiche e sociali,quali soggetti “deboli“ nel mer-cato del lavoro, «sono contrarieal principio della parità di tratta-mento fra uomini e donne», co-me si legge in uno dei “conside-rando” iniziali della più volte ci-tata Direttiva 2002/73. Ed eccodunque – osserva Gisella De Si-mone – il legame tra molestie ediscriminazione: le molestie so-no oggi finalmente “considerate”come discriminazione perchéviolano il principio di parità ditrattamento, principio fondamen-tale dell’Unione europea e per-ché violano quel principio costi-tuzionale (art. 3) di eguaglianzasostanziale che rappresenta unapietra angolare del nostro siste-ma di civiltà giuridica. La «paridignità sociale» dei cittadini, in-dipendentemente da sesso, razza,lingua, religione, opinioni politi-che, condizioni personali e socia-li (1° comma dell’art. 3 Cost.)deve dunque essere garantita, inmodo efficace ed effettivo, a tuttii cittadini, in primis a lavoratori elavoratrici, rimuovendo tutti que-gli ostacoli che impediscono il

pieno sviluppo delle personaumana e l’effettiva partecipazio-ne di tutti i lavoratori all’organiz-zazione politica, economica e so-ciale del Paese (2° comma del-l’art. 3 Cost.). La libertà “dalle”molestie, e dalle molestie sessua-li in particolare, rappresenta allo-ra un aspetto della libertà delladonna, irrinunciabile precondi-zione per garantire sia il pienosviluppo delle sua persona, sia lasua effettiva e piena partecipa-zione al mondo del lavoro.La protezione contro le molestie,connesse al sesso o a connotazio-ne sessuale, così come la prote-zione contro ogni forma di di-scriminazione non dovrebberoallora essere considerate tantouna vera e propria protezione,quanto un formidabile strumentodi emancipazione delle donne e,più in generale, dei lavoratori. Idivieti di discriminare e di mole-stare non rappresentano una limi-tazione imposta in modo miopealla presunta libertà delle perso-ne (lavoratori e lavoratrici in par-ticolare) di accettare condizionidi lavoro qualsivoglia e ai sog-getti più deboli (donne in primis)di competere sul mercato metten-do sul piatto della bilancia la lo-ro accettazione di deteriori con-dizioni di lavoro, ma garantisco-no invece il rispetto della dignitàdella persona e della sua libertàdi lavorare. Se la tutela antidi-scriminatoria è un lusso – comequalcuno ha detto – è un lussodoveroso e irrinunciabile, chedobbiamo poterci “permettere”nella costruzione di un diritto at-tento alle “diverse differenze”delle persone e al rispetto dellaloro dignità, nonché di una de-mocrazia civile ed evoluta, che sifondi sul rispetto del principio dieguaglianza.

4. Il lavoro notturno

Il nostro ordinamento vieta il la-voro notturno – variamente defi-nito nella sua estensione, caso percaso – soltanto per i fanciulli e gliadolescenti (l. n. 77/1967, artt. 16e 17), per gli apprendisti (l. n.25/1955, art. 10), per le lavoratri-ci madri per il periodo che va dal-l’accertamento dello stato di gra-vidanza fino a un anno di età delbambino (d.lgs. 26 marzo 2001, n.151, art. 53, 1° co.) e parzialmen-te per gli addetti alla “produzionedel pane e delle pasticcerie” (l. n.105/1908, art. 1, marginalmentemodificato dall’art. 1 della l. 11febbraio 1952, n. 63).L’art. 5 della legge 9 dicembre1977, n. 903 aveva posto anche undivieto di adibizione al lavoronotturno delle donne, tra le ore 0 ele 6, nelle aziende manifatturiere:divieto derogabile in sede colletti-va «in relazione a particolari esi-genze della produzione e tenendoconto delle condizioni ambientalidel lavoro e dell’organizzazionedei servizi».La Corte di giustizia europea, consentenza del 4 dicembre 1997, hadichiarato inadempiente la Re-pubblica italiana rispetto alla di-rettiva europea n. 207 del 1976 edunque l’Italia ha dovuto emana-re una nuova normativa con l. 5febbraio 1999, n. 25, che discipli-na ex novo il lavoro notturno fem-minile, limitando il divieto esclu-sivamente alle donne in stato digravidanza e sino al compimentodi un anno di età del bambino.Quindi il potere di attribuzione diun lavoro notturno al personalefemminile ritorna ad essere asse-gnato, sia pur con una serie diprecauzioni, ai datore di lavoro,nell’ambito del potere di organiz-zazione dell’impresa.Ampiamente consentito, dunque,

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il lavoro notturno è tuttavia ogget-to di una disciplina assai articola-ta, volta a prevenire i disturbi cheesso può provocare agli organismiche lo sopportano male: poiché èormai acquisito che vi sono perso-ne cui il lavorare di notte causa di-sturbi neurovegetativi anche gravie persone che invece non ne sof-frono, la legge mira a garantireche, nella misura del ragionevol-mente possibile, al lavoro nottur-no siano adibite, ove necessario,soltanto queste ultime. La disci-plina generale della materia ècontenuta nel d.lgs. 26 novembre1999 n. 532, emanato dal Gover-no in forza della delega conferita-gli con il già citato art. 17 dellalegge n. 25/1999, in attuazionedelle norme su questa materiacontenute nella direttiva n.104/1993.Affrontando il tema del lavoronotturno, Maria Vittoria Ballestre-ro ha affermato che dalla nuovadisciplina del lavoro notturnoemerge il quadro, non certo rassi-curante, di un notevole aumentodella flessibilità dell’orario di la-voro a vantaggio del datore di la-voro, che può andare a scapito in-vece della salute e sicurezza deilavoratori, il cui livello di tutelasubisce un non indifferente inde-bolimento. Si può dire allora, e inconclusione, che con la riformadella disciplina del lavoro nottur-no le donne abbiano guadagnatoqualcosa? Si può senz’altro direche le donne abbiano guadagnatola possibilità di lavorare di notte,che in passato era loro preclusa;ma se da questo sia derivato unguadagno quanto a miglioramen-to delle loro condizioni di lavororesta dubbio: l’impossibilità di ri-fiutare il turno di notte in tutti icasi, e sono tanti, in cui la lorospecifica situazione non è presa in

considerazione dalla legge puònei fatti rendere molto amara laconquista del diritto alla parità ditrattamento con gli uomini.

5. Diritto alla maternità e dirit-to al lavoro

I principi costituzionali assicura-no una particolare tutela alla don-na lavoratrice per l’adempimentodella sua funzione familiare ed, inparticolare, per il suo ruolo di ma-dre.L’art. 37, 1° co. della Costituzio-ne, dispone che «la donna lavora-trice ha gli stessi diritti e, a paritàdell’uomo, le stesse retribuzioniche spettano al lavoratore. Lecondizioni di lavoro devono con-sentire l’adempimento della suaessenziale funzione familiare eassicurare alla madre ed al bambi-no una speciale ed adeguata pro-tezione».L’art. 2110 c.c., è in linea con ildettato costituzionale, pur essen-do precedente, poiché tutela, oltrealla malattia e l’infortunio, anchela gravidanza ed il puerperio ga-rantendo alla lavoratrice la so-spensione del rapporto, la conser-vazione del posto e della retribu-zione e il riconoscimento dell’an-zianità di servizio nei periodi diassenza dal lavoro.Allo stato attuale la tutela dellamaternità (e della paternità) siconcreta: nel diritto di astenersidal lavoro, usufruendo di un trat-tamento economico; di rientrare –al termine del periodo di astensio-ne – nella stessa unità produttivanella quale si era occupati in pre-cedenza o in altra sita nel medesi-mo Comune; di poter svolgeremansioni uguali o equivalenti aquelle da ultimo svolte; di fruiredi una serie di permessi e agevo-lazioni per l’allattamento e l’assi-stenza del neonato.

Affrontando il tema della mater-nità, Franca Borgogelli osservache le lavoratrici madri sono pro-tette da una delle migliori legisla-zioni europee, ma incontrano gra-vi difficoltà nel conciliare mater-nità e lavoro extradomestico. Inun’area problematica nella qualele tradizionali antitesi che caratte-rizzano il lavoro femminile – pa-rità e tutela, eguaglianza e diffe-renza, ragioni dell’economia e di-ritti della persona – perdono ogniconnotato teorico/ideologico percalarsi in una realtà carica di og-gettive e soggettive difficoltà, lacostruzione di una disciplina giu-ridica specifica, per quanto atten-ta ai molteplici aspetti e ambitid’intervento, si dimostra tutt’oranon del tutto adeguata a soddisfa-re le esigenze sia delle lavoratricisia dell’apparato produttivo e adassicurare una corretta regolazio-ne dei rapporti socio-economici. È necessario allora, nel dar contodella disciplina positiva, riflettereanche sulle contraddizioni che an-cora affliggono la situazione ita-liana.Nell’ambito del lavoro subordina-to viene tutelata la salute dellamadre e del bambino, è garantitala sicurezza economica e del po-sto di lavoro, si consente ad en-trambi i genitori di assentarsi perla cura dei figli, si estendono leprotezioni alle fattispecie di ado-zione e affidamento, ci si preoc-cupa della professionalità dellelavoratrici e delle esigenze orga-nizzative dei datori di lavoro; unsostegno, seppur parziale, è offer-to anche al di fuori dei confini dellavoro subordinato. Eppure, i datistatistici segnalano che l’Italia, seconfrontata con i paesi europei, sicaratterizza per il basso tasso difecondità e per la elevata età me-dia delle madri alla prima nascita:

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peraltro in presenza di tassi di oc-cupazione femminile significati-vamente inferiori.Anche la disciplina giuridica anti-discriminatoria – nel cui ambito èespressamente ricondotta la di-scriminazione attuata con riferi-mento alla maternità – ha progres-sivamente raffinato e rafforzato,in coerenza con il quadro disegna-to dalla normativa e dalla giuri-sprudenza comunitarie, i propriistituti: sul piano definitorio (pre-cisando le nozioni di discrimina-zione diretta e indiretta); sul pianoprocessuale (in relazione alla le-gittimazione in giudizio, all’oneredella prova e agli strumenti san-zionatori); e sul piano degli orga-nismi istituzionali (in particolarecon la diffusione sul territorio del-le/dei consiglieri di parità). Inol-tre, ai comandi e ai divieti si sonoda tempo affiancati – ora tutticompendiati nel Codice delle pariopportunità – gli interventi di so-stegno e le azioni positive rivolteanche a favorire, mediante una di-versa organizzazione delle condi-zioni e del tempo di lavoro, l’e-quilibrio tra responsabilità fami-liari e professionali. Ma l’effetti-vità di tali normative risulta debo-le, dal momento che l’Italia conti-nua a distinguersi in Europa pertassi di occupazione femminilebassi e per una ancora limitatapresenza delle donne nelle posi-zioni professionali di vertice. Undato da porre in relazione anchealla maternità, una condizione chenon costituisce solo un ostacoloall’assunzione: se per le lavoratri-ci con un rapporto di lavoro stabi-le in imprese medio-grandi e nel-le pubbliche amministrazioni puòrappresentare un freno alle oppor-tunità di carriera, per le occupatenelle piccole imprese e nell’arti-gianato, ma soprattutto per le tito-

lari di contratti di lavoro c.d. ati-pici o non standard, comporta so-vente la rinuncia all’attività lavo-rativa o la permanenza nella con-dizione di precarietà.Significativa – così osserva Fran-ca Borgogelli – anche la rappre-sentazione sociale: in un paeseche attribuisce (o dichiara di attri-buire) rilievo centrale alla fami-glia, al rapporto madre-figlio, albambino come oggetto di cura eprotezione, negli ambienti lavora-tivi la maternità è prospettata co-me il principale “problema” postodall’occupazione femminile e diconseguenza percepita dalle don-ne come un ostacolo alla propriarealizzazione professionale.È evidente il danno sociale – intermini di progressivo invecchia-mento della popolazione e di per-dita di risorse lavorative – prodot-to da una tale situazione, chemantiene il nostro Paese lontanodagli standard e dagli obiettivi in-dicati dall’Unione europea. Per-tanto l’analisi di una normativache tutela la maternità, ma nongarantisce adeguatamente la suaeffettiva compatibilità con losvolgimento di una attività lavora-tiva, va condotta soprattutto al fi-ne di verificare in che misura ledifficoltà siano da imputare a li-miti dell’apparato legislativo piut-tosto che a pregiudizi che impedi-scono di utilizzare le opportunitàda questo offerte; senza dimenti-care il peso negativo di un inade-guato e insufficiente sistema diservizi all’infanzia, a partire dallacarenza e dalla eccessiva onero-sità degli asili nido.In particolare si tratta di valutarel’adeguatezza del modello regola-tivo adottato per realizzare la pro-tezione legale. Questo modelloinfatti, nonostante i contrappesiintrodotti dalle riforme più recen-

ti, resta imperniato sulla polariz-zazione tra il diritto all’assenzadella lavoratrice, per tutelarne lasalute e consentirle la cura del fi-glio, e un regime di divieti e cor-relate sanzioni per imporre ai da-tori di sopportarne i costi: dunquedelinea una situazione di rigiditàin un contesto economico e pro-duttivo che ha fatto della flessibi-lità la parola d’ordine per rispon-dere alle sfide della globalizzazio-ne, e in un quadro normativo ge-nerale che ha introdotto notevolidosi di flessibilità nella disciplinadei rapporti di lavoro.Edoardo Ales afferma, poi, che ladirettiva in ciò innovando rispettoall’approccio adottato nelle Con-venzioni OIL, individua nello sta-to di gravidanza e puerperio unacondizione che assume peculiarerilievo nella prospettiva dell’igie-ne e sicurezza dei luoghi di lavo-ro e che rende le lavoratrici che visi trovino soggetti bisognosi di tu-tela specifica e aggiuntiva rispettoa quella generalmente garantita ailavoratori e alle lavoratrici in taleprospettiva.La prima parte della direttiva è,dunque, dedicata a individuareprescrizioni minime relative allavalutazione dei rischi connessi al-l’esposizione delle lavoratrici ma-dri ad agenti chimici, fisici e bio-logici, nonché all’adibizione aprocessi produttivi ritenuti perico-losi, ivi compresi quelli che ri-chiedono movimenti e posizionidi lavoro particolari, fatica menta-le e fisica e altri disagi fisici o psi-chici (art. 3). A tal fine la Com-missione è incaricata di elaborareLinee guida contenenti indicazio-ni per gli Stati membri, così comeavvenuto nella Comunicazionedel 2000.Il datore di lavoro è, dunque, te-nuto a una valutazione ad hoc dei

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rischi specifici che possono deri-vare dall’organizzazione del la-voro e della produzione con rife-rimento alla condizione di gravi-danza o di puerperio e, qualoraessi vengano riscontrati, è obbli-gato ad «adottare le misure ne-cessarie affinché l’esposizionedella lavoratrice al rischio siaevitata modificando temporanea-mente le condizioni di lavoro e/o

il suo orario di lavoro». Se ciònon è tecnicamente e/o oggetti-vamente possibile, il datore di la-voro assegna la lavoratrice ad al-tre mansioni ovvero, qualora an-che questo non sia oggettivamen-te possibile, la dispensa dal lavo-ro per tutto il periodo di duratadella condizione protetta (art. 5).Il datore di lavoro non può, per-tanto, sospendere dal lavoro sen-

za retribuzione una lavoratrice ingravidanza ma abile al lavoro, inconsiderazione del fatto che ellanon è in condizione di prestarel’attività richiesta.Conclusivamente si può affermareche il volume, curato da GiulioProsperetti, contiene scritti di note-vole pregio che, ciascuno di per sé,può formare (e forse formerà) og-getto di un’autonoma trattazione.

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PremesseÈ nota la convinzione di molti che la consulenza le-gale non sia materia riservata agli avvocati.Va precisato che, per “riservata”, deve intendersiuna attività professionale per la quale è prescritta laiscrizione in un albo; per “esclusiva”, si intendequella attività che può essere svolta solo dagliiscritti agli albi di una professione.Si deve ritenere che la consulenza legale sia mate-ria “riservata” anche per gli avvocati, mentre la di-fesa in giudizio è una attività “esclusiva”.L’opinione che la consulenza legale sia materia li-bera per tutti è errata, ma molto radicata.In questa rivista, si è cercato di dimostrare che lenorme giuridiche vigenti prescrivono la riserva perla consulenza legale e l’attività stragiudiziale. Si èpoi dimostrato che, in questo senso, è anche lamaggior parte delle sentenze, nelle quali prevalel’affermazione che la prestazione singola di consu-lenza (anche se retribuita) sia materia libera; men-tre è materia riservata l’attività di consulenza lega-le e stragiudiziale svolta con continuità e cioè concarattere di professionalità.Il tema della consulenza legale e dell’attività stra-giudiziale è stato più volte trattato in questa rivista.Si segnalano i seguenti scritti:– Donella – L’astrologo e la consulenza legale,

2001, 1, 30 e segg.;– Grande Stevens e Danovi – Sull’astrologia e sul-

la consulenza legale, 2001, 2, 110;– De Negri – Lettera alla rivista con risposta del di-

rettore, 2001, 3, 262;– Janna – Dubbi sulla riserva per gli avvocati della

consulenza legale, 2002, 2, 118;– Donella – Dissipare i dubbi, 2002, 2, 121;

– Babini – Lettera alla rivista con risposta del di-rettore, 2002, 3, 280;

– Cass. Pen. 8 gennaio 2003 (Notaristefano) – solasentenza con brevi citazioni redazionali;

– Donella – Per la consulenza legale, i giudici do-vrebbero applicare le norme, 2003, 2, 118, notaalla sentenza Notaristefano;

– Donella – A Torino tutti d’accordo: anche la con-sulenza legale è materia riservata, 2003, 2, 112;

– Donella – Come disciplinare la consulenza lega-le, 2004, 1, 21;

– Vinatzer – La consulenza legale stragiudiziale inGermania, 2004, 3, 204.

Sono state di recente pubblicate, sull’argomentodella consulenza, due interessanti sentenze del Su-premo Collegio.Una prima sentenza (18 aprile 2007, n. 9237) è in-teressante perché comprende l’attività di consulen-za legale tra le attività protette per l’avvocato.Questa sentenza conferma che si va affermando unorientamento giurisprudenziale esplicitamente fa-vorevole al riconoscimento della riserva della con-sulenza legale per l’avvocato.La sentenza afferma inoltre l’invalidità delle pre-stazioni rese da una società di capitale, anche se at-traverso un avvocato legalmente esercitante la pro-fessione.La seconda sentenza è della Cassazione Penale, Se-zione VI, 10 ottobre 2007, pubblicata il 20 novem-bre 2007.Questa sentenza tratta l’argomento dell’esercizioabusivo di una professione ed è particolarmente in-teressante, perché i principi enunciati possono es-sere riferiti anche alla professione di avvocato.Il caso si riferisce ad un ragioniere non iscritto all’al-bo. La Corte ha rinviato al giudice di merito per ac-certare se la prestazione eseguita (relazione da pre-sentare al curatore fallimentare) rientri tra gli atti tipi-

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La riserva della consulenza (pag. 52)La responsabilità dell’avvocato – La misura del danno risarcibile (pag. 58)Un caso singolare: una messa di suffragio tra religione e giustizia. Libertà di culto (pag. 65)

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ci della professione di ragioniere. Ed ha affermato chela prestazione tipica, anche se non esclusiva, non puòessere eseguita da chi non sia iscritto ad un albo pro-fessionale, neppure occasionalmente e gratuitamente.Questa sentenza si adatta perfettamente al caso del-la consulenza legale e dello stragiudiziale per gliavvocati.La sentenza conferma, infatti, che le attività “riser-vate” (anche non esclusive) di tutte le professionisono tutelate dall’art. 348 del codice penale.Va segnalato che il disegno di legge Calvi per la ri-forma della professione di avvocato (Senato n. 963)è aderente a questa impostazione della Cassazione.Nel disegno di legge, è ammessa una possibilità diriserva anche per altre professioni così da consenti-re la concorrenza, ma limitatamente a professioni-sti che siano specificatamente competenti.Le sentenze sono accompagnate da una nota diMauro Rubino Sammartano.

(d.d.)

Sulla soggezione a riserva dell’attivitàdi consulenza e assistenza in materia legale e tributaria

CASS. CIV., SEZ. III, 18 APRILE 2007, N. 9237Pres. Varrone, Rel. Filadoro, P.M. Destro, ric. soc.Turchese Immobiliare c. ditta Tiburzi

Le attività di consulenza e assistenza in materia lega-le e tributaria rientrano tra le prestazioni professio-nali protette, che possono essere svolte solo da pro-fessionisti iscritti nei relativi albi; pertanto è nullo ilcontratto stipulato da una società di servizi per l’of-ferta di una consulenza legale, in quanto tale ipotesirientrebbe in quella prevista dall’art. 2 l. n. 1815/39,che vieta la costituzione di società di capitali per losvolgimento di una attività professionale, a nulla rile-vando l’eventualità che di fatto l’attività sia stata con-cretamente svolta da un professionista abilitato.

(omissis)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSOCon sentenza 11 febbraio 2002 il Tribunale di Ma-cerata confermava la decisione del giudice di pacedi Tolentino del 14 maggio 1999 (che aveva revo-cato il decreto ingiuntivo emesso su richiesta dellasocietà a responsabilità limitata), rigettando la do-manda riconvenzionale dell’opponente, ditta indi-viduale Tiburzi Gino, intesa ad ottenere la restitu-

zione di quanto pagato alla S. per titoli diversi dal-la attività di elaborazione dati l’unica consentita aduna società di capitali quale la S., condannandol’opponente a pagare la minor somma di lire2.550.000.Secondo i giudici di appello le attività di consulen-za e assistenza in materia legale e tributaria rientra-no tra le prestazioni professionali protette, che pos-sono essere svolte solo da professionisti iscritti neirelativi albi.Non rilevava, per contro, che nel caso di specie leprestazioni oggetto del contratto tra committente eS. fossero state svolte da professionisti iscritti al-l’albo e che la società di elaborazione dati si fosseattrezzata per mettere a disposizione dei clienti al-cuni professionisti esperti in vari settori.Infatti, il contratto avente un oggetto del genere do-veva comunque ritenersi radicalmente nullo, perviolazione del divieto di cui alla legge n. 1815 del1939.La domanda della ditta T.G., intesa ad ottenere inrestituzione quanto effettivamente versato a S. equanto spettante per la sola attività consentita (cheera appunto quella di elaborazione dati) non pote-va, tuttavia, essere accolta – pur essendo in lineadel tutto teorica fondata – in mancanza di prove si-cure e soprattutto di un esatto conteggio tale daporre in evidenza le prestazioni professionali vieta-te, rese da S.Avverso tale decisione la T.I. s.r.l. in liquidazioneha proposto ricorso per cassazione.Resiste T.G. con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONECon il primo motivo la società ricorrente denunciaomessa, insufficiente e/o contradditoria motivazio-ne su di un punto decisivo della controversia, pernon avere il giudice di appello indicato su quali ele-menti aveva fondato l’affermazione che S. avevasvolto attività di assistenza e consulenza in materialegale e tributaria.Il richiamo ad una singola fattura non poteva dirsisufficiente, poiché dalla descrizione dei servizi re-si, in essa contenuta, non appariva tale indicazione,ma solo un generico riferimento ad attività di “con-sulenza/assistenza/elaborazione dati”.Con il secondo motivo la ricorrente denuncia viola-zione e falsa applicazione dell’art. 2697 codice civi-le, censurando la decisione di appello nella parte incui la stessa aveva ritenuto la nullità del contrattoavente ad oggetto la erogazione da parte di una so-

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cietà di capitali di prestazioni tipiche di professioniprotette, senza che l’opponente avesse fornito provarigorosa della natura, qualità e quantità delle presta-zioni che potrebbero ricondursi tra quelle precluse.Ancora nella comparsa di costituzione in grado diappello la difesa della ditta individuale T.G., avevaformulato espressa riserva di verificare quali som-me dovessero essere ricollegate ad attività illecita equanta parte della richiesta fosse invece da riferirealla sola attività lecita, di elaborazione di dati.Osserva il Collegio: i due motivi, da esaminarecongiuntamente in quanto connessi tra di loro, nonsono fondati.Con motivazione adeguata e logica i giudici di ap-pello hanno premesso alcuni principi del tutto cor-retti in punto di diritto, sottolineando che le attivitàdi assistenza e consulenza in materia legale e tribu-taria rientrano tra le prestazioni professionali pro-tette che possono essere svolte soltanto da profes-sionisti iscritti nei relativi albi professionali.Secondo i giudici di appello, costituiva circostanzadel tutto irrilevante che molti dei servizi prestati nonrientrassero tra le attività professionali protette.Infatti, il compenso era stato richiesto unitariamen-te per le attività di consulenza ed assistenza e perquella di elaborazione dati, salvo la specificazionedi alcune voci, di minore importo, relative appuntoa questa ultima attività.Il contratto nullo non poteva essere fatto valere,evidentemente, al fine di ottenere il compenso pat-tuito.Quanto al rilievo che S. avesse, nella pratica, chie-sto ad un professionista iscritto nel relativo albo disvolgere le attività di consulenza ed assistenza lega-le e tributaria, e che la stessa si fosse attrezzata pro-prio per mettere a disposizione dei propri clientiquesto tipo di assistenza qualificata, correttamenteil giudice di appello ha ritenuto tale fatto secondo laconsolidata giurisprudenza di questa Corte del tuttoirrilevante di fronte al preciso divieto di legge (art.2 della legge n. 1815 del 23 novembre 1939).Ha rilevato infatti questa Corte (Cass. 8 settembre1999, n. 9507), che la nullità di un contratto, perviolazione del divieto di costituzione di società dicapitali aventi ad oggetto l’espletamento di profes-sioni intellettuali protette, sancita dall’art. 2 dellalegge 1815/39, si produce per il solo fatto che l’at-tività oggetto del contratto tra il committente e lasocietà tra i professionisti consista in una presta-zione interamente ricompressa nell’attività tipica

della professione protetta, sì che, contrattualmente,tale prestazione sia imputabile in via diretta alla so-cietà e non ai professionisti che alla stessa faccianocapo, senza che assuma rilievo la circostanza se-condo cui la prestazione oggetto del contratto siastata poi, concretamente, effettuata da un profes-sionista iscritto all’albo (o sotto la sua direzione evigilanza).Quanto alle argomentazioni contenute nel secondomotivo di ricorso, è appena il caso di rilevare che ladomanda della originaria opponente è stata rigetta-ta dal giudice di appello, in base ad un conteggio diquanto corrisposto dalla ditta T.G. per l’anno 1996per le sole attività di elaborazione dati, ritenutocongruo con riferimento alla richiesta avanzata peri primi dieci mesi dell’anno successivo.Si tratta, in questo caso, di accertamento di merito,contro il quale si infrangono le censure di violazionedi norme di legge proposte dalla società ricorrente.Peraltro, come opportunamente ha sottolineato lacontroricorrente, la stessa S. aveva, fin dal ricorsoper decreto ingiuntivo, specificamente ammesso diavere svolto in favore della ditta individuale T.G.,attività di consulenza ed assistenza presso la sededella società “in materia tributaria fiscale, commer-ciale, amministrativa, societaria legale”, sia pureper il tramite di professionisti iscritti ai rispettivi al-bi, esperti nelle rispettive discipline.Ogni questione in ordine alla applicazione del prin-cipio dell’onere della prova, ed alla eventuale vio-lazione dell’art. 2697 c.c., resta pertanto superatoda tale assorbente rilievo. La circostanza dellosvolgimento di attività professionali vietate doveva,infatti, ritenersi pacificamente acquisita al proces-so. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigetta-to, con la condanna della società ricorrente al paga-mento delle spese, liquidate in dispositivo.

PQMLa Corte rigetta il ricorso.

(omissis)

Prestazione isolata e violazione della riserva

CASS. PEN., SEZ. VI, 10 OTTOBRE 2007 N.42790 Pres. Lattazzi, Est. Matera, Imp. Galeotti

Ai fini della configurabilità del delitto di esercizio

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abusivo di una professione, non è necessario il com-pimento di una serie di atti, ma è sufficiente il com-pimento di un’unica ed isolata prestazione riserva-ta ad una professione per la quale sia richiesta unaspeciale abilitazione, mentre non rileva la mancan-za di scopo di lucro nell’autore o l’eventuale con-senso del destinatario della prestazione, in quantol’interesse leso, essendo di carattere pubblico, è in-disponibile.

(omissis)

sul ricorso proposto dal Procuratore Generale dellaRepubblica presso la Corte di Appello di Firenze,nel procedimento a carico di:Galeotti Armandoavverso la sentenza del 5.5.2006 del Tribunale diArezzo, Sezione distaccata di Montevarchi;

(omissis)

FATTO E DIRITTO1) Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale

di Arezzo, Sezione distaccata di Montevarchi, haassolto Galeotti Armando dal reato di appropria-zione indebita aggravata perché il fatto non sus-siste e dal reato di esercizio abusivo della pro-fessione di ragioniere perché il fatto non costi-tuisce reato. In particolare, la pronuncia di asso-luzione in ordine al capo di imputazione di cuiall’art. 348 c.p. («perché non essendo iscritto al-l’Albo Professionale, esercitava abusivamentel’attività di Ragioniere svolgendo incarichi pro-fessionali per conto di Cellai Carlo redigendo epresentando al curatore fallimentare nominatodal Tribunale di Firenze per il fallimento dellaC.S.T.»; fatto commesso in Pian di Scò il29.11.2003) è stata motivata sul rilievo che ilGaleotti aveva posto in essere un unico atto, tral’altro non retribuito e determinato da motivi diamicizia.

2) Il Procuratore Generale di Firenze ricorre persaltum limitatamente alla pronuncia relativa alreato di cui all’art. 348 c.p., per erronea inter-pretazione di detta norma e, quindi, ai sensi del-l’art. 606 lettera b) c.p.p. Secondo il ricorrente,la decisione impugnata si pone in contrasto colcostante orientamento della Suprema Corte, se-condo cui, ai fini della consumazione del reatoin oggetto, non è necessario il compimento diuna serie di atti, ma è sufficiente anche un soloatto, così come bastano prestazioni isolate, gra-

tuite ed occasionali. Quanto all’elemento psico-logico, inoltre, il reato non richiede il dolo spe-cifico, per cui è sufficiente la volontarietà dell’a-zione nella quale si concreta la condotta crimi-nosa. Infine, non esclude il reato neppure il con-senso del destinatario della prestazione abusiva,in quanto l’interesse leso, essendo di caratterepubblico, è indisponibile.

3) Il ricorso è fondato.La condotta esecutiva del delitto di cui all’art.348 c.p., consiste nel compimento di atti di eser-cizio di una professione per la quale sia richiestauna speciale abilitazione da parte dello Stato,senza aver conseguito tale abilitazione.La norma è volta a tutelare l’interesse generale,riferito in via diretta e immediata alla P.A., chedeterminate professioni, richiedenti, tra l’altro,particolari competenze tecniche, vengano eserci-tate soltanto da soggetti che abbiano conseguitouna speciale abilitazione amministrativa (Cass.,Sez. 2, 21.11.2006, n. 3627; Cass., Sez. 6,18.4.2007, n. 17203).Al riguardo, va evidenziato che l’art. 348 c.p., hanatura di norma penale in bianco, che presupponel’esistenza di altre disposizioni di legge che stabi-liscano le condizioni oggettive e soggettive in di-fetto delle quali non è consentito – ed è quindiabusivo – l’esercizio di determinate professioni(quelle per cui occorre l’abilitazione statale): trat-tasi propriamente di altre disposizioni che, essen-do sottintese nell’art. 348 c.p., sono integrativedella norma penale ed entrano a far parte del suocontenuto, cosicché la violazione di esse si risol-ve in violazione della norma incriminatrice (Cass.15.11.1966, n. 2546; Cass., Sez. 6, 1.6.1989, n.59; Cass., Sez. 6, 6.12.1996, n. 1632).Costituisce principio acquisito in giurisprudenzaquello secondo cui, ai fini della sussistenza deldelitto di esercizio abusivo di una professione,non è necessario il compimento di una serie diatti riservati ad una professione per la quale siarichiesta una particolare abilitazione, ma è suffi-ciente anche il compimento di un solo atto (Cass.7.3.1985, n. 4349; Cass. 11.12.1979, n. 3732).Controversa è invece la questione se la norma inesame tuteli esclusivamente gli atti c.d. propri otipici, riservati a ciascuna professione, ovveroanche gli atti che, mancando di tale tipicità, pos-sono essere compiuti da chiunque, anche se ab-biano connessione con quelli professionali. A

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fronte di un indirizzo contrario a una interpreta-zione estensiva della disposizione in esame(Cass., Sez. 6, 24.10.2005, n. 7564; Cass., Sez.6, 3.3.2004, n. 17702; Cass., Sez. 6, 11.5.1990,n. 11794), infatti, si registra un diverso orienta-mento, propenso a ritenere rilevanti, ai fini dellaconfigurabilità del reato di cui all’art. 348 c.p.,non solo gli atti riservati, in via esclusiva, a sog-getti dotati di speciale abilitazione (c.d. atti tipi-ci della professione), ma anche quelli c.d. carat-teristici, strumentalmente connessi ai primi, acondizione che vengano compiuti in modo con-tinuativo e professionale, in quanto, anche inquesta seconda ipotesi, si ha l’esercizio dellaprofessione per la quale è richiesta l’iscrizionenel relativo albo (Cass. 8.10.2002, n. 49).

Quanto all’elemento psicologico, esso è richiestodalla legge a livello di mero dolo generico. Ai finidella configurabilità del reato di abusivo eserciziodi una professione, pertanto, è irrilevante l’even-tuale scopo di lucro e, in genere, qualsiasi moventedi carattere privato; sicché, la consapevole mancan-za di titolo abilitativo all’esercizio di tale profes-sione, integra il dolo generico richiesto per la sus-sistenza del reato, ancorché “l’abusiva” prestazione“professionale” sia stata del tutto gratuita e con ilconcorrente consenso del destinatario di tale pre-stazione (Cass., Sez. 2, 22.8.2000, n. 10816). Poi-ché, infatti, titolare dell’interesse protetto dallanorma penale è solo lo Stato, l’eventuale consensodel privato è del tutto irrilevante ex art. 50 c.p.(Cass., Sez. 6, 8.10.2002, n. 49).Fatte queste premesse, si osserva che, nel caso dispecie, il Tribunale, dopo avere accertato che il Ga-leotti ha presentato per conto dell’amico CellaiCarlo una relazione a titolo di favore e senza rice-vere alcuna retribuzione, ha mandato assolto l’im-putato dal reato ascrittogli, sul rilievo che si eratrattato di “un episodio singolo, di fronte alla con-testazione di esercizio abusivo della professioneche implica il protrarsi di una attività nel tempo”.Nel pervenire a tali conclusioni, peraltro, il Tribu-nale si è sottratto alla necessaria verifica della na-tura della prestazione compiuta dall’imputato e del-la sua eventuale inquadrabilità tra gli atti “propri”della professione di ragioniere; verifica che avreb-be dovuto essere effettuata, stante la evidenziatanatura di norma penale in bianco dell’art. 348 c.p.,con riferimento alle previsioni della seconda partedell’art. 1 del d.p.r. 27.10.1953, n. 1068, che indi-

vidua la competenza riservata a coloro che sonoiscritti nell’albo dei ragionieri, specificando, conun’elencazione in otto punti, le attività che forma-no oggetto tipico di tale professione.Una simile indagine sarebbe stata doverosa, inquanto, per le ragioni in precedenza esposte, l’e-ventuale riconducibilità della prestazione effettuatadall’imputato tra quelle c.d. tipiche, riservate allaprofessione di ragioniere, avrebbe reso configura-bile, nella specie, l’ipotesi criminosa prevista dal-l’art. 348 c.p., non rilevando, in contrario, l’unicitàdell’atto, né la gratuità della prestazione e il con-senso del destinatario.Si impone, di conseguenza, l’annullamento dellasentenza di primo grado, con rinvio, ai sensi del-l’art. 569 ultimo comma c.p.p., al giudice compe-tente per l’appello, il quale dovrà in primo luogo ac-certare se la prestazione posta in essere dall’imputa-to costituisca un atto “proprio” della professione diragioniere, e in caso affermativo valutare la sussi-stenza dell’elemento soggettivo, attendendosi alprincipio di diritto secondo cui “ai fini della confi-gurabilità del delitto di esercizio abusivo di una pro-fessione, non è necessario il compimento di una se-rie di atti, ma è sufficiente il compimento di un’uni-ca ed isolata prestazione riservata ad una professio-ne per la quale sia richiesta una speciale abilitazio-ne, mentre non rileva la mancanza di scopo di lucronell’autore o l’eventuale consenso del destinatariodella prestazione, in quanto l’interesse leso, essen-do di carattere pubblico, è indisponibile”.

Il monopolio dello stragiudizialeÈ tuttora controversa la questione della sussisten-za o meno del monopolio dello stragiudiziale a fa-vore dell’avvocatura. Come è noto «nessuno puòassumere il titolo né esercitare le funzioni di avvo-cato se non è iscritto nell’albo professionale» (art.1 R.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578). Tale disposi-zione che integra la norma penale in bianco (art.348 c.p.) è stata voluta dal legislatore a tutela del-l’interesse generale che determinate professioni,le quali richiedono particolari competenze tecni-che, vengano esercitate soltanto da soggetti cheabbiano conseguito una speciale abilitazione am-ministrativa.A tal fine è stata effettuata, per giurisprudenza co-stante, una netta distinzione tra atti assolutamenteriservati all’avvocato, atti liberi consentiti a chiun-que ed infine altri atti propri della professione le-

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gale attraverso i quali si esercitano le funzioni diavvocato detti anche atti caratteristici ossia “stru-mentalmente connessi ai primi”. Alla prima cate-goria appartengono gli atti che rientrano nell’e-lencazione di cui all’art. 4 «Gli avvocati iscritti inun albo possono esercitare la professione davanti atutte le Corti d’appello, i Tribunali e le Preture del-la Repubblica. Davanti alla Corte di cassazione, alConsiglio di Stato ed alla Corte dei conti in sedegiurisdizionale, al Tribunale militare, al Tribunalesuperiore delle acque pubbliche il patrocinio puòessere assunto soltanto dagli avvocati iscritti nel-l’albo speciale di cui all’articolo 33 (5)» e dall’art.7 della legge professionale «Davanti a qualsiasigiurisdizione speciale la rappresentanza, la difesae l’assistenza possono essere assunte soltanto daun avvocato ovvero da un procuratore assegnatoad uno dei Tribunali del distretto della Corte d’ap-pello e sezioni distaccate, nel quale ha sede la giu-risdizione speciale. Nelle cause commerciali da-vanti al Tribunale la parte che comparisca perso-nalmente deve essere assistita da un procuratore oda un avvocato. Nulla è innovato alle norme chedisciplinano i procedimenti davanti ai conciliatori,a quelle che regolano la rappresentanza e la difesadelle amministrazioni dello Stato e alle disposizio-ni particolari relative a determinati organi giuri-sdizionali».Mentre la giurisprudenza è costante nel ritenere cheanche il compimento di un solo atto tipico (o proprioo riservato) comporti esercizio abusivo della profes-sione, essa non è univoca nella valutazione degli at-ti caratteristici. Secondo numerose pronunce dellaCassazione in sede penale (Sez. VI, 14 febbraio2001, n. 13124 relativamente all’attività di commer-cialisti; Sez. V, 17 ottobre 2001, n. 41142 in tema diattività anch’essa svolta da commercialisti; Sez. VI,11 marzo 2003, n. 17921 relativamente ad attivitàlegale e n. 22274 del 23 giugno 2006 relativamentead attività di psicologo), gli atti caratteristici, ossiastrumentalmente connessi ad atti professionali, sonorilevanti al fine dell’esercizio abusivo di una profes-sione solamente ove siano compiuti in modo conti-nuativo e professionale ossia “abitualmente e facen-dosi retribuire per il loro compimento”.In tal senso è la pronuncia della Sez. VI della CorteRegolatrice dell’8 gennaio 2003 confermata dallasentenza in esame, la quale afferma che una profes-sione è un’attività umana caratterizzata da continui-tà, svolta al fine lucrativo e con autonomia da parte

di persona dotata di un adeguato corredo di cogni-zioni tecnico-scientifiche. La libera professione, persua naturale attitudine a soddisfare bisogni colletti-vi rilevanti anche per l’interesse generale della co-munità e per la funzione di mediazione che spessosvolge tra lo Stato e il cittadino (che è incapace diconfrontarsi con esso se non attraverso il professio-nista), ha rilevanza sociale e pubblica. Per tale ra-gione il legislatore ha previsto un complesso di nor-me a garanzia delle capacità tecniche e morali oc-correnti per il resto dell’esercizio della professioneimponendo l’abilitazione e l’iscrizione all’albo.La conferma effettuata dalla sesta sezione dellaCorte di Cassazione dell’interpretazione estensivadella norma appare opportuna non sotto il profilocorporativo ma per la tutela del cittadino.L’ambito dell’attività legale stragiudiziale è piùampio di quanto esso possa a prima vista apparire.Essa viene effettuata da commercialisti, da notai,da legali stranieri, da revisori contabili, da agenziedi infortunistica, da consulenti del lavoro, da enti dipatronato, da associazioni a tutela della responsa-bilità civile.Mentre per i commercialisti, i revisori e i notai laconsulenza stragiudiziale limitatamente alla mate-ria da essi trattata appare accettabile, altrettantonon sembra poter essere per le altre categorie dioperatori. Ciò benché l’art. 1 della l. 22 gennaio1934, n. 36 disponga al terzo comma «infine è in-compatibile (nota bene: con la professione di avvo-cato e procuratore) ogni altro impiego retribuito an-che se consistente nella prestazione di opere o assi-stenza o consulenza legale, che non abbia caratterescientifico o letterario». Da tale norma emerge lafacoltà di compiere consulenza legale presso un da-tore di lavoro con impiego retribuito. Se da un latoè dunque consentito l’esercizio della consulenza le-gale a favore del proprio datore di lavoro, dall’al-tro sembra da escludersi anche che essa possa es-sere prestata a favore di terzi escludendosi peraltroa mio avviso che il datore di lavoro possa effettua-re per parte sua (e tramite il proprio dipendente)consulenza legale a favore di terzi.In un disegno di legge presentato dal Ministro dellaGiustizia nella presente legislatura è prevista, al-l’art. 1, la delega al Governo ad emanare decreti le-gislativi limitando tra l’altro, a tutela della concor-renza, l’ambito delle attività riservate nel rispettodei principi e dei criteri direttivi indicati negli arti-coli successivi.

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Il principio e criterio direttivo enunciato all’artico-lo 2 consiste nell’organizzare attività riservate asingole professioni regolamentate limitandole aquelle strettamente necessarie per la tutela dei di-ritti costituzionalmente garantiti per il prosegui-mento di finalità primarie e di interessi generali,previa verifica dell’idoneità a raggiungere il mede-simo fine senza aumentare le riserve già previstedalla situazione vigente.Proposta di normativa che non appare in linea conla pronuncia in esame né con la direttiva CE relati-va ai servizi nel mercato interno (la n. 2006/123/CEdel 12 dicembre 2006) la quale nelle premesse al n.88 precisa che “il principio di libera prestazione diservizio non si applica all’attività riservata agli av-vocati ivi compresa, negli ordinamenti nei quali lariserva è prevista, anche la consulenza giuridica”.Un breve panorama sulla disciplina negli stati este-ri ha portato – in base ad informazioni raccolte intali Paesi – ad acquisire che il monopolio dello stra-giudiziale esiste in Francia, (eccetto la consulenzafiscale e contabile), in Germania, (eccetto per i con-sulenti fiscali e contabili), negli Stati Uniti, (eccettoper i fiscalisti e in materia brevettuale), in Porto-gallo, (eccetto i solicitadore) in Austria, (eccetto laconsulenza prestata da altre professioni nelle ri-spettive materie) nonché in Canada (peraltro convarie eccezioni tra cui gli uffici brevetti, i consulen-ti fiscali e i notai). Le indicazioni pervenute dallaSvizzera e dalla Spagna sembrano invece escluderela sussistenza di un monopolio.Appare necessario che la nostra professione man-tenga la consapevolezza che il monopolio dellostragiudiziale per gli avvocati è un diritto del citta-dino che deve essere tutelato e che promuova nelquadro della Federazione degli Ordini Forensi Eu-ropei e della CCBE, una legislazione uniforme per ivari Stati dell’Unione.

Mauro Rubino Sammartano

CASS. CIV., SEZ. III, 18 APRILE 2007, N. 9238Pres. Dott. Varrone Michele Presidente, Rel. Dott.Filadoro Camillo ha pronunciato la seguente sen-tenza sul ricorso proposto da: L. Consiglio c. V.Forti, Avv. Incannoi Giuseppe

In tema di responsabilità del legale incombe alcliente, il quale assume di aver subito un danno,l’onere di provare la difettosa o inadeguata pre-stazione professionale, l’esistenza del danno e ilrapporto di causalità tra la difettosa o inadegua-ta prestazione professionale e il danno. Perquanto riguarda la difettosità o inadeguatezzadella prestazione professionale, il cliente ha l’o-nere di fornire la prova di idonei dati obiettivi inbase ai quali il giudice valuterà se, in relazionealla natura del caso concreto, l’attività svoltadal professionista possa essere giudicata suffi-ciente. L’affermazione di responsabilità di un legale impli-ca l’indagine sul sicuro fondamento dell’azione cheavrebbe dovuto essere proposta o diligentementecoltivata e perciò la “certezza morale” che gli ef-fetti di una diversa attività del professionista sareb-bero stati vantaggiosi per il cliente.

(omissis)

FATTOCon sentenza 18 ottobre-19 novembre 2002 la Cor-te d’Appello di Firenze rigettava l’appello propostoda C.L. avverso la decisione del Tribunale di Firen-ze del 14 dicembre 1999 che aveva respinto la suarichiesta di risarcimento dei danni per l’attività pro-fessionale svolta per suo incarico dall’avv. F.L. (ac-cogliendo invece l’appello incidentale del F., relati-vo alla condanna alle spese del processo).Avverso tale decisione C.L. ha proposto ricorso perCassazione, sorretto da due motivi.Resiste il F. con controricorso.

DIRITTOCon il primo motivo la ricorrente denuncia violazio-ne degli articoli 1176, 1218, 2236, 2697 c.c., con ri-ferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione dell’art.360 c.p.c., n. 5, per inesistenza e illogicità della mo-tivazione sul punto decisivo della controversia.I giudici di appello avevano finito per escludere l’i-nadempienza o la negligenza dell’avvocato F. ri-spetto all’obbligazione di esatto adempimento conl’ordinaria diligenza delle prestazioni professionalirichiestegli «non essendo stato dimostrato che il le-gale disponeva di elementi per la difesa».Il fatto produttivo di responsabilità era da indivi-duare, nel caso di specie, non tanto nella commis-sione di errori nello svolgimento dell’attività pro-

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La responsabilità dell’avvocato – Lamisura del danno risarcibile

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fessionale, ma piuttosto nella omissione totale ditale attività da parte del legale che ne era stato piùche tempestivamente incaricato, e per di più nellaomissione di incombenti processuali elementariche certamente non presupponevano la soluzione diproblemi tecnici di speciale difficoltà.L’accoglimento della domanda del C. conduttoredell’appartamento locato dalla C. era da porre inrelazione con la tardiva costituzione del convenuto(da considerare equivalente, nella sostanza, allaomessa costituzione, per gli effetti decadenzialiprevisti dall’art. 416 c.p.c.).I giudici di appello, in buona sostanza, muovevanoda un erroneo criterio di valutazione della diligen-za nella prestazione professionale, da un erroneocriterio nell’individuazione del rapporto di causali-tà tra inadempimento e danno, da un criterio erro-neo della ripartizione dell’onere della prova in or-dine all’adempimento delle obbligazioni nascentidal rapporto di opera professionale.In effetti, non risultava che, preliminarmente, cioèall’atto del ricevimento dell’incarico professionale,il F. avesse avvertito la propria cliente della neces-sità di disporre di testimoni al fine di dimostrarequali fossero le esigenze del futuro conduttore.Se il legale avesse ritenuto, nello svolgimento dei pro-pri compiti, che fosse necessario dimostrare tali circo-stanze nel corso del giudizio, avrebbe dovuto prelimi-narmente fornire la prova di avere fatto presente allacliente tale esigenza, «Diversamente, bisogna(va) rite-nere che la omissione di tempestiva costituzione e diqualsivoglia attività di difesa, sia già di per sé suffi-ciente dimostrazione di colpa professionale».In ogni caso, il giudizio che il giudice avrebbe do-vuto compiere sulla probabilità di un esito favore-vole dell’attività professionale del F., qualora fossestata svolta con la dovuta diligenza, non poteva es-sere dissimile da quello risultante dalla sentenzadel Pretore di Firenze (n. 520 del 2004), che avevariconosciuto la scadenza convenzionale del contrat-to di locazione, sottraendo lo stesso alla durataquadriennale di cui alla legge n. 392 del 1978.Con il secondo motivo la ricorrente denuncia viola-zione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, manifesta inesisten-za per incongruenza ed illogicità della motivazionedella sentenza impugnata su un punto decisivo.La sentenza della Corte d’appello afferma anche chela C. avrebbe dovuto indicare il numero ed il nomi-nativo di coloro che erano presenti ed avevano assi-stito ai colloqui in sede di trattative per la stipulazio-

ne del contratto di locazione, confermando che il C.aveva dichiarato di voler stabilire nell’appartamentopreso in locazione la propria stabile dimora, e che erastata la proprietaria dell’alloggio invece a pretenderel’inclusione di quelle clausole che le avrebbero con-sentito di ricevere un canone di locazione superiore aquello dovuto in base ai parametri legali.Le circostanze che i giudici di appello ritenevanoche la C. avesse l’onere di dimostrare erano contra-rie, in realtà, alla tesi sostenuta dalla originaria at-trice, potendo invece essere utilizzate per escludereogni responsabilità del professionista.In buona sostanza la decisione di secondo gradoaveva finito per negare ogni responsabilità del le-gale sulla base dell’erroneo presupposto dellaomissione, da parte della cliente, della indicazioneal legale stesso di mezzi di prova a sé sfavorevoli.Osserva il Collegio: i due motivi da esaminare con-giuntamente perché connessi tra di loro non sonofondati.Attraverso la denuncia di vizi della motivazione edi violazione di norme di legge, la ricorrente tendead ottenere una diversa valutazione delle risultanzeprobatorie, inammissibile in sede di legittimità.A seguito della decisione del Tribunale del 16 maggio1990, che, confermando la decisione di primo grado,ha accolto la domanda del conduttore, determinando ilcanone mensile in L. 77.307 in luogo delle L. 750.000,pattuite con il contratto di locazione, la C. ha conve-nuto in giudizio l’avvocato F. per sentirlo condannareal risarcimento dei danni indicati in L. 200.000.000,oltre interessi e rivalutazione monetaria, per essersicostituito tardivamente e non aver formulato la provaper testimoni nel giudizio di primo grado, nonostanteegli fosse a conoscenza che alle trattative con il con-duttore avevano assistito altre persone, provocandocon questa negligente condotta processuale l’ingiustadecisione sfavorevole della controversia.Se il legale avesse dedotto tempestivamente provaper testi sulla circostanza che il conduttore avevanegato che l’appartamento era destinato a soddisfa-re esigenze abitative di natura stabile, sottolinea laricorrente, il giudice avrebbe sicuramente respintola domanda proposta dal C.Sul punto, hanno tuttavia accertato, con una valuta-zione non più censurabile in questa sede, i giudicidi appello, che la C. – nel procedimento specialeavente per oggetto la determinazione del canone le-gale, ma anche nel giudizio di primo grado del pre-sente processo e nel procedimento di appello – non

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aveva mai indicato il nominativo delle persone cheavrebbe potuto chiamare a testimoniare dinanzi alPretore di Firenze e neppure le esatte circostanzeche le stesse avrebbero potuto riferire.Donde, sotto altro profilo, la inammissibilità dellecensure formulate con i due motivi di ricorso.Ha rilevato correttamente la Corte territoriale che laC. avrebbe dovuto – quanto meno – indicare il nu-mero ed i nominativi di coloro che erano stati pre-senti ai colloqui, di avere comunicato tali nomina-tivi al proprio difensore, e dedurre uno specificocapitolo di prova, confermando il quale le personeinterrogate avrebbero dovuto riferire di avere senti-to, in momenti prossimi alla stipulazione del con-tratto, che il C. aveva dichiarato che (non) intende-va abitare stabilmente nell’appartamento.Deve essere rettificata la motivazione della sentenzadi appello che, all’evidenza, ha confuso la posizionedel locatario con quella del locatore (senza alcunainfluenza pratica, tuttavia, ai fini della decisione).La decisione impugnata si colloca nell’alveo dellagiurisprudenza costante di questa Corte, secondo laquale incombe al cliente il quale assume di averesubito un danno, l’onere di provare la difettosa odinadeguata prestazione professionale, l’esistenzadel danno ed il rapporto di causalità tra la difettosaod inadeguata prestazione professionale ed il danno.Per quanto riguarda la difettosità o inadeguatezzadella prestazione professionale, il cliente ha l’one-re di fornire la prova di idonei dati obiettivi in baseai quali il giudice valuterà se, in relazione alla na-tura del caso concreto, l’attività svolta dal profes-sionista possa essere giudicata sufficiente.Secondo la più recente giurisprudenza di questaCorte (Cass. 4044 del 1994, 1286 del 1998, 21894del 2004, 16846 del 2005, 6537 e 6967 del 2006),l’affermazione di responsabilità di un legale impli-ca l’indagine sul sicuro fondamento dell’azione cheavrebbe dovuto essere proposta o diligentementecoltivata e perciò la “certezza morale” che gli ef-fetti di una diversa attività del professionista sareb-bero stati vantaggiosi per il cliente.Al criterio della certezza degli effetti della condot-ta, si può – pertanto – sostituire quello della proba-bilità di tali effetti e della idoneità della condotta aprodurli (Cass. n. 21894 del 2004, 16846 del 2005,6967 del 2006).Secondo risalente giurisprudenza di questa Corte«non occorre che i fatti su cui la presunzione si fon-da siano tali da far apparire l’esistenza del fatto

ignoto come l’unica conseguenza possibile dei fat-ti accertati in giudizio secondo un legame di neces-sarietà assoluta ed esclusiva, bastando invece chel’operata inferenza sia effettuata alla stregua di uncanone di probabilità, con riferimento ad una con-nessione possibile e verosimile di accadimenti, lacui sequenza e ricorrenza possono verificarsi se-condo le regole di esperienza colte dal giudice pergiungere all’espresso convincimento circa la pro-babilità di sussistenza e la compatibilità del fattosupposto con quello accertato» (Cass., 4 maggio1985, n. 2790; 18 settembre 1991, n. 9717).In base a tali principi, al criterio della certezza de-gli effetti della condotta, può sostituirsi quello del-la probabilità di tali effetti e dell’idoneità della con-dotta a produrli.In questa prospettiva, devono ritenersi superate lecensure svolte nei due motivi di ricorso in ordinealla pretesa erronea applicazione dei principi gene-rali in materia di responsabilità dei professionisti,di risarcimento del danno per inadempimento e diquelli in materia di onere probatorio.I giudici di appello hanno infatti rilevato non soloche non vi era alcuna certezza, ma che non vi eraneppure alcuna possibilità di accertare che la do-manda della C. potesse trovare accoglimento, rile-vato che non era dato conoscere quali fossero, esat-tamente, le circostanze sulle quali i testimoniavrebbero dovuto essere chiamati a deporre.Sfugge, pertanto, a qualsiasi censura la affermazio-ne conclusiva contenuta nella sentenza di appellosecondo la quale mancava del tutto la dimostrazio-ne che l’attività professionale eventualmente omes-sa dall’avvocato F. avrebbe potuto essere rilevante esoprattutto decisiva, nel senso che la stessa – sesvolta ritualmente e tempestivamente – avrebbe po-tuto, con ogni probabilità, dar luogo ad una decisio-ne diversa e più favorevole, rispetto a quella di ac-coglimento integrale della domanda del conduttore.Conclusivamente il ricorso deve esser rigettato.Sussistono giusti motivi per disporre la compensa-zione delle spese di questo giudizio.

PQMLa Corte rigetta il ricorso.Compensa le spese di questo giudizio.Così deciso in Roma, il 6 marzo 2007.Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2007.

NotaLa recente sentenza della Corte di Cassazione, 18

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aprile 2007, n. 9237, torna ad affrontare il temadella responsabilità professionale dell’avvocato ed,in particolare, la tematica dell’onere della provache incombe sul cliente, il quale si assume danneg-giato dal comportamento del legale.Premessa imprescindibile di ogni valutazione inmerito all’affermazione della responsabilità del-l’avvocato è la qualificazione giuridica dell’obbli-gazione professionale assunta dal legale.Il rapporto giuridico che si instaura tra cliente edavvocato, in forza del rilascio della procura alle li-ti, è costantemente qualificato dalla giurisprudenzaquale “contratto di clientela”1.Il rapporto tra professionista e assistito, dunque, èdisciplinato dalle norme dettate dal c.c. in tema dimandato con rappresentanza.In particolare, dottrina e giurisprudenza ritengonoche il contratto di prestazione d’opera, che si in-staura tra avvocato e cliente, implichi l’assunzione,da parte del professionista, di una obbligazione dimezzi, anziché di risultato, per cui il mancato rag-giungimento del risultato utile, cioè l’esito positivodella lite, non vale di per sé a costituire un inadem-

pimento e a determinare, quindi, il sorgere della re-sponsabilità2.La giurisprudenza ha costantemente affermato chela responsabilità del professionista è regolata dalcombinato disposto degli artt. 1176 e 2236 c.c., percui risulta attenuata per i casi che implicano la so-luzione di problemi di particolare complessità3.A fronte di un orientamento costante della giuri-sprudenza, parte della dottrina ha introdotto unadistinzione “orizzontale” delle obbligazioni assun-te dal professionista, ponendo in rilievo la differen-za tra le attività svolte dal legale4.Si è dunque proposta la distinzione tra incarico spe-cifico, che comporta l’assunzione di un obbligo dirisultato, ed il conferimento al legale di un incaricogenerico, a cui consegue l’assunzione di una obbli-gazione di mezzi.In concreto, la responsabilità dell’avvocato è stataaffermata non già in relazione alle scelte discrezio-nali di impostazione della strategia difensiva, ambi-to in cui l’imprevedibilità del risultato è condizio-nata da fattori esterni quali la posizione assuntadalla controparte e la decisione del giudice5, ma

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1 Cass. civ., Sez. un., 31 marzo 1969, n. 1045, in Giur. it. 1970, 977 ha stabilito che «il rapporto sussistente tra avvocato ed INPSrientra nel cosiddetto “contratto di clientela” quando il professionista, pur nella previsione di un compenso forfetario mensile e nel-la osservanza di talune direttive di massima dell’ufficio legale della direzione generale, assolva i compiti in sostanziale autonomia,avvalendosi per la trattazione delle pratiche della propria attrezzatura ed organizzazione tecnica di studio e conservi l’iscrizionenel comune albo professionale». Nello stesso senso, vedasi Cass. civ., Sez. un., 28 maggio 1968 n. 1619, in Foro it. 1968, 1764.2 Sulla qualifica di obbligazione di mezzi, vedasi Cass. civ., 27 marzo 2006, n. 6967 per cui «la responsabilità professionale del-l’avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova ap-plicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esi-gibile, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., da commisurare alla natura dell’attività esercitata». Cfr. Cass. civ., 28 ottobre 2004,n. 20869; Cass. civ., 26 febbraio 2002, n. 2836; Cass. civ., 25 marzo 1995, n. 3566 in cui, chiaramente, si stabilisce che «le obbli-gazioni del professionista forense sono obbligazioni non di risultato, ma di mezzi, sicché l’inadempimento non può essere desuntodal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto da specifica responsabilità professionale, con ri-guardo alla natura ed alla modalità dell’attività esercitata». Dimostrano la continuità dell’orientamento: Cass. civ., 18 maggio1988, n. 3463; Cass. civ., 29 novembre 1973, n. 3298; Cass. civ., 13 dicembre 1969, n. 3958 e Cass. civ., 3 agosto 1968, n. 2791.3 Sulla distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, vedasi Cass. civ., 11 agosto 2005, n. 16846 in cui si specifi-ca che «l’avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del proprio cliente, ai sensi degli artt. 2236 e 1176 c.c., in caso diincuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed, in generale, nei casi in cui, per negligenza o imperizia, compromette il buon esi-to del giudizio, mentre nelle ipotesi di interpretazione di leggi o di risoluzione di quesiti opinabili, deve ritenersi esclusa la sua re-sponsabilità, a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave. Pertanto, l’inadempimento del suddetto professionistanon può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto dalla violazione del doveredi diligenza adeguato alla natura dell’attività esercitata …». Cfr. Cass. civ., 23 aprile 2002, n. 5928; Cass. civ., 18 luglio 2002, n.10454; Cass. civ., 8 agosto 2000, n. 10431; Cass. civ., 14 agosto 1997, n. 7618; Cass. civ., 18 giugno 1996, n. 5617. In dottrina:CONTE, Obbligazioni di mezzo ed obbligazioni di risultato nella responsabilità civile dell’avvocato e riflessioni sulla nozione di “col-pa lieve”, in Corr. giur. 2005, 1415; FAVALE, La responsabilità civile del professionista forense, in Gius. civ. 2004, 248;4 MUSOLINO, La responsabilità civile del professionista e la distinzione tra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi con par-ticolare riguardo all’ingegnere e all’architetto, in Riv. trim. app. 1989, 735, afferma che la responsabilità deve essere trattata in mo-do diverso «discernendo le mansioni e gli incarichi ove il margine di alea è minimo … e attività in cui … la discrezionalità nellascelta e nell’uso di mezzi tecnici e l’aleatorietà del fine da raggiungersi acquistano importanza preponderante».5 La decisione del giudice è un elemento imprevedibile ed aleatorio che contraddistingue l’attività demandata al legale, rispetto al-la prestazione degli altri professionisti intellettuali, condizionandone il risultato; secondo la più risalente corrente giurispruden-ziale, la convinzione personale del Giudice, unitamente ad altri fattori esterni, quali la condotta dell’avversario e lo stato della dot-

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con riferimento alla ricostruzione del fatto oltre cheall’errore procedurale, che abbia impedito al Giu-dice di esaminare il merito della causa.La casistica dimostra che la responsabilità dell’av-vocato è stata affermata in riferimento all’aspettotecnico dell’attività professionale ed, in particolare,alla violazione del dovere di informazione verso ilcliente, a cui il legale è tenuto anche in forza dellenorme deontologiche professionali.Chiarito dunque l’ambito della obbligazione pro-fessionale dell’avvocato, si richiama l’attenzionesul particolare regime dell’onere probatorio nelgiudizio di responsabilità instaurato dal cliente neiconfronti del professionista.La decisione commentata afferma che è onere delcliente, che assume di avere subito un danno a cau-sa della condotta inadempiente dell’avvocato, pro-vare: 1) la difettosa o inadeguata prestazione pro-fessionale; 2) l’esistenza del danno; 3) il rapportodi causalità tra questi due elementi.Con particolare riferimento alla prova del nessoeziologico, la sentenza in esame afferma che l’ac-certamento della responsabilità del legale deve es-sere effettuato mediante una indagine sul sicurofondamento dell’azione che avrebbe dovuto essereproposta o diligentemente coltivata, e perciò la“certezza morale” che gli effetti di una diversa at-tività del professionista sarebbero stati vantaggiosiper il cliente. Il Collegio prosegue precisando che alcriterio della “certezza” degli effetti della condottasi può sostituire quello della “probabilità di tali ef-fetti e della idoneità della condotta a produrli”.I criteri da utilizzare, al fine dell’indagine sull’esisten-za del nesso causale tra errore e/o omissione dell’av-vocato e danno subito dal cliente, sono stati oggetto didibattito giurisprudenziale, oltre che dottrinario.

Le prime pronunce in tema di responsabilità profes-sionale tendevano a negare la risarcibilità del dan-no, anche in presenza di una evidente e accertatanegligenza. Queste decisioni evidenziavano la diffi-coltà del giudice di rifare un processo che non si eramai svolto, e di prevedere gli sviluppi che essoavrebbe potuto assumere6. Esse muovevano anchedalla considerazione del problema dell’intangibili-tà del giudicato, poiché l’accertamento della re-sponsabilità del professionista avrebbe comportatoil totale rifacimento del processo, con conseguenzesull’intero ordinamento processuale ed, in partico-lare, sull’efficacia del giudicato7.Questo orientamento giurisprudenziale è stato gra-dualmente modificato, rilevando che è comunquepossibile determinare il diverso esito di una liteprocessuale in assenza dell’errore o omissione del-l’avvocato; d’altro canto, è stato rilevato che non sipone un problema di giudicato.In particolare, la giurisprudenza ha consideratoche non esiste, nell’ordinamento giuridico, una nor-ma che vieti al giudice di formulare un giudizio ipo-tetico-probabilistico circa la fondatezza del dirittovantato dal cliente, pregiudicato dalla condotta ne-gligente del legale. Il cliente avrà quindi il diritto alrisarcimento del danno quando provi di avere sof-ferto un danno per la erroneità, inadeguatezza, nontempestività della prestazione professionale ricevu-ta e che l’azione, ove ritualmente esperita, sarebbestata con certezza accolta8.Si è dunque ritenuto che la prova del nesso causaletra errore e/o omissione dell’avvocato e danno su-bito dal cliente avrebbe potuto essere fornita attra-verso la dimostrazione della “certezza morale” chegli effetti di una diversa attività del professionistasarebbero stati vantaggiosi per il danneggiato9.

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trina e della giurisprudenza all’epoca della instaurazione del giudizio, impediva di effettuare una stima preventiva del danno ri-conducibile alla attività del legale, anche nelle ipotesi di accertata negligenza professionale.6 Cass. civ., 10 febbraio 1931, n. 495, in Riv. dir. proc. civ. 1931, II, 260, con nota di CALAMANDREI e in Foro it. 1931, I, 628 con no-ta di PARRELLA; Cass. civ., 27 luglio 1935, in Foro it. 1936, I, 269; Corte Appello Bologna 27 luglio 1939, in Temi emiliani 1940,16; Trib. Roma 3 marzo 1954, in Giust. Civ. 1954, 726, con osservazioni di CAMILLERI, secondo la quale «non può essere risarcitoil danno incerto ed eventuale desunto da una stima preventiva dell’esito della lite, poiché in ogni processo è insito un elemento diimprevedibilità, che scaturisce dall’incontro processuale tra soggettività delle parti, dei difensori e del giudice e che dipende da ele-menti quali la completa e leale prospettazione dei fatti e degli elementi di diritto, la omissione di fatti rilevanti o decisivi, il volon-tario o accidentale prospettarsi di una verità processuale non coincidente con quella reale».7 Trib. Torino, 28 novembre 1958, in Arch. resp. civ. 1959, 252; Z. ZENCOVICH, Il danno per la perdita della possibilità di un’utilitàfutura, in Riv. dir. comm. 1986, II, 217, richiamato da G. FACCI, L’errore dell’avvocato, l’appello tardivo e la chance di vincere ilprocesso, in Resp. civ. e prev. 2002, 1376 e ss. e da F. MAGNI, in Danno e resp. 1998, 343.8 Cass. civ., 29 novembre 1968, n. 3848, in Arch. resp. civ. 1971, 184.9 Cass. civ., 11 agosto 2005, n. 16846; Cass. civ., 26 febbraio 2002, n. 2836, in Resp. civ. e prev. 2002, 1373, con nota di G. FACCI;Cass. civ., 28 aprile 1994, n. 4044, in Resp. civ. prev. 1994, 635, con nota di RUTA; Cass. civ., 10 agosto 1991, n. 8728, in Corr.

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L’onere della prova a carico del cliente rimanevacomunque molto difficile, poiché egli doveva dimo-strare che l’attività dell’avvocato, se correttamentee tempestivamente intervenuta, avrebbe comportatola certezza che la causa sarebbe stata vinta.Il rigore del criterio utilizzato dalla giurisprudenzarichiamata è stato inizialmente mitigato dalla giuri-sprudenza di merito, che ha fatto riferimento alprincipio della “ragionevole certezza”10.In seguito, la Cassazione ha accolto questo princi-pio, richiedendo, per il risarcimento del danno, laprova della probabilità che una corretta attività dellegale avrebbe determinato l’esito positivo dellacausa. Il nesso causale, dunque, implica la dimo-strazione che la condotta del professionista, in as-senza dell’errore o dell’omissione, avrebbe deter-minato serie e apprezzabili possibilità di successo11.La dottrina ha rilevato che il collegamento giuridi-co tra fatto e conseguenze dannose non può che fon-darsi su un giudizio ipotetico, e perciò probabilisti-co circa l’esito che il processo avrebbe avuto qua-lora il legale avesse compiuto tempestivamente l’at-to richiesto. Pertanto, la “ragionevole certezza”,utilizzata da alcune pronunce giudiziali, non può si-gnificare che un elevato grado di probabilità sull’e-sito processuale. In questo modo, da un criterio dicertezza degli effetti della condotta, la giurispru-denza è passata a quello della probabilità e idonei-tà della condotta a produrre tali effetti12.Anche la sentenza in commento sottolinea che alcriterio della certezza degli effetti della condotta sipuò sostituire quello della probabilità degli effetti edella idoneità della condotta a produrli.L’applicazione di questo principio consente di al-leggerire l’onere probatorio a carico del cliente –

danneggiato, poiché la sussistenza del nesso vienevalutata alla stregua di un canone di probabilità,con riferimento ad una connessione possibile e ve-rosimile di accadimenti, la cui sequenza può essereverificata dal giudice secondo regole di esperienza.Non occorre, cioè, che i fatti su cui la presunzionesi fonda siano tali da far apparire l’esistenza delfatto ignoto come l’unica conseguenza possibile deifatti accertati in giudizio, secondo un legame di ne-cessarietà assoluta ed esclusiva.Ciò si spiega con la considerazione che, per poter af-fermare la responsabilità dell’avvocato, è necessariauna indagine sulla fondatezza dell’azione giudizialecompromessa. Poiché è pressoché impossibile deter-minare a posteriori, con certezza, l’esito di un pro-cesso che non si è mai svolto, il requisito della cer-tezza del danno dovrà trovare un adeguato e neces-sario temperamento nella ragionevole certezza.In altre parole, premesso che il danno, per essere ri-sarcibile, deve essere certo, si ha diritto al risarci-mento del danno per la perdita del processo, quandosia ragionevolmente certo che una corretta attivitàdel proprio legale avrebbe fatto vincere il processo13.Il criterio della probabilità degli effetti e della ido-neità della condotta a produrli ha trovato le sue pri-me applicazioni nell’ambito della responsabilitàmedica: «… Il rapporto causale sussiste anchequando l’opera del sanitario, se correttamente etempestivamente intervenuta, avrebbe avuto nongià la certezza, bensì serie ed apprezzabili possibi-lità di successo, tali che la vita del paziente sareb-be stata probabilmente salvata»14.Successivamente, anche in tema di responsabilitàprofessionale dell’avvocato, la giurisprudenza ha ri-tenuto applicabile il principio penalistico della equi-

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Giur. 1991, 12, 1319; Cass. civ., 27 luglio 1984, n. 4453; Cass. civ., 11 maggio 1977, n. 1831; Cass. civ., 7 novembre 1974, n.3403, in Arch. civ. 1975, 53; Cass. civ., 2 agosto 1973, n. 2230; Cass. civ., 13 dicembre 1969, n. 3958, in Temi 1970, 679; Cass.civ., 3 agosto 1968, n. 2791, in Giur. it. 1969, I, 1, con nota di LEGA.10 Trib. Roma, 11 ottobre 1995, in Danno e resp. 1996, 644, con nota di COSENTINO; Trib. S.M. Capua Vetere, 6 febbraio 1989, inForo it. 1990, I, 3315.11 Cass. civ., 27 marzo 2006, n. 6967; Cass. civ., 19 novembre 2004, n. 21894, in Corr. Giur. 2005, 1410; Cass. civ., 21 gennaio2000, n. 632, in Danno e resp. 2001, 72, con osservazione di MAGGESE, in tema di responsabilità del medico; Cass. civ., 18 aprile1997, n. 3362, in Arch. giur. circol. e sinistri 1997, 691, in tema di responsabilità civile per danni prodotti a terzi dalla circolazio-ne stradale; Cass. civ., 5 giugno 1996, n. 5264, in Resp. civ. e prev. 1997, 169, con nota di DE FAZIO; Cass. civ., 16 novembre 1993,n. 11287, in tema di responsabilità medica; Cass. civ., 18 settembre 1991, n. 9717; Cass. civ., 4 maggio 1985, n. 279; Trib. Roma,9 febbraio 2007; Corte Appello Milano, 16 febbraio 2005, in Giur. merito 2006, 5, 1182; Corte Appello Milano, 13 ottobre 2004,in Giur. merito 2005, 10, 2130.12 A.F. SALVATORE, in Danno e resp. 1999, 441.13 G. DE FAZIO, cit., 660.14 Cass. pen., IV sez., 16 agosto 1990, n. 11484; Cass. pen., IV sez., 23 gennaio 1989, n. 790; Cass. civ., 21 gennaio 2000, n. 632,in Giur. it. 2000, 100, con nota di MATTEO; Cass. civ., 16 novembre 1993, n. 11287.

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valenza delle cause (artt. 40 e 41 c.p.)15. Perché sus-sista il rapporto di causalità, è sufficiente che l’even-to sia un antecedente logico del fatto dannoso, even-to sviluppatosi in base a circostanze non eccezionali.La teoria accolta da dottrina e giurisprudenza puòessere definita della causalità umana, poiché si tieneconto della normale sequenza causale, escludendosoltanto i casi eccezionali. Pertanto, un atto che sisarebbe potuto effettuare normalmente in un deter-minato contesto, e che si è omesso di compiere, si po-ne quale antecedente idoneo a creare una preclusio-ne e quindi un corrispondente danno16.Oggi si assiste ad una parificazione, in termini dipresupposti, tra responsabilità del medico e respon-sabilità dell’avvocato17.Il risarcimento del danno è finalizzato al ripristino delpatrimonio del danneggiato, nella situazione in cui sisarebbe verificato ove l’avvocato avesse compiuto dili-gentemente e tempestivamente la propria attività. Il di-ritto al risarcimento presuppone, quindi, l’effettiva esi-stenza del danno, che, nel caso di responsabilità del-l’avvocato, può consistere o nella perdita del processoo nella perdita della “chance” di vincere il processo. Con l’espressione “perdita di chance” si intende ge-nericamente la perdita della possibilità o della pro-babilità di conseguire un risultato favorevole o di nonveder svanire una situazione vantaggiosa18.Il criterio della perdita di “chance”, anch’esso mu-tuato dalla giurisprudenza formatasi in materia diresponsabilità del medico, rappresenta lo strumen-to di liquidazione del danno.

Secondo un primo orientamento, la “chance” costi-tuisce un elemento del patrimonio dell’individuo, lacui perdita rappresenta una ipotesi di danno emer-gente, danno che può essere liquidato decurtando invia equitativa il risultato utile sperato19. Secondo que-sta impostazione è la chance, in sé e per sé, a costi-tuire oggetto del pregiudizio, non il risultato finale au-spicato, rispetto al quale la “chance” rappresentauna entità autonoma, anche se suscettibile di valuta-zione economica. Secondo il pensiero di questa partedella giurisprudenza, l’inadempimento determinasempre un danno ed una conseguente responsabilitàdell’autore del fatto, a prescindere dalla perdita effet-tivamente arrecata nella sfera patrimoniale altrui eda prescindere dalle reali probabilità che il risultatosperato si verificasse in concreto, mentre le concretepossibilità del realizzarsi del risultato utile vengono inrilievo soltanto ai fini del quantum del risarcimento20.Questa impostazione è stata criticata da dottrina egiurisprudenza.In particolare, è stato rilevato che una simile rico-struzione appare maggiormente diretta a sanziona-re la condotta negligente del professionista, anzichéa risarcire la chance perduta21. Il cliente, che si as-sume danneggiato dal comportamento negligentedell’avvocato, trarrebbe maggiori vantaggi dall’er-rore e/o omissione, che non dalla condotta diligen-te del professionista, per cui egli non può avvantag-giarsi dell’errore dell’avvocato per trarre un utileche l’azione di quest’ultimo avrebbe difficilmenteprocurato o sicuramente non procurato.

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15 Cass. civ., 6 febbraio 1998, n. 1286, cit.: «L’avvocato, nell’espletamento dell’attività professionale, deve tendere a conseguire ilbuon esito della lite per il cliente e perciò sussiste la sua responsabilità se, probabilmente e presuntivamente, applicando il princi-pio penalistico di equivalenza della cause, esso non è stato raggiunto per sua negligenza».16 F. MARINELLI, Le nuove frontiere della responsabilità professionale dell’avvocato, in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata,1994, I, 275.17 G. DE FAZIO, Responsabilità dell’avvocato: per la perdita del processo e per la perdita della chance di vincere il processo, in Resp.civ. e prev. 1998, 655 e ss.18 D. CALDERONE e G. CRESTA, in Danno e responsabilità 2001, 519; la stessa espressione è utilizzata da G. DE FAZIO, Responsabili-tà del legale e perdita della chance di vincere il processo, in Resp. civ. e prev. 1997, 1174.19 La casistica riguarda prevalentemente la responsabilità del datore di lavoro per violazione di norme in concorso per l’assunzio-ne di lavoratori. Si segnala Cass. civ., 26 febbraio 2002, n. 2836, in Resp. civ. e prev. 2002, 1373; Cass. civ., 14 dicembre 2001, n.15810, in Orient. Giur. lav. 2002, I, 52; Cass. civ., 13 dicembre 2001, n. 15759, in Giust. Civ. 2002, 1288 e in Danno e resp., 2002,393, con nota di BITETTO; Cass. civ., 21 giugno 2000, n. 8468; Cass. civ., 22 aprile 1993, n. 4725; Cass. civ., 29 aprile 1993, n.5026, in Giur. it. 1993, I, 1, 234; Cass. civ., 7 marzo 1991, n. 2368, in Foro it. 1991, I, 1793; Cass. civ., 17 aprile 1990, n. 3183, inForo it. 1990, I, 2817; Cass. civ., 10 agosto 1987, n. 6864, in Foro it. 1987, I, 2987; Trib. Roma 28 gennaio 1999, in Giur. it. 2000,83, con nota di TORRESI. In dottrina ritiene che il danno da perdita di chance costituisca danno emergente M. BOCCHIOLA, Perdita diuna chance e certezza del danno, in Riv. trim. proc. civ. 1976, 55.20 G. FACCI, cit., 1384, il quale, critico rispetto a questa impostazione, rileva che l’art. 1218 c.c., presuppone non soltanto l’ina-dempimento, ma anche che dallo stesso sia derivato un danno; in caso di lesione di una chance, il danno si ha soltanto se vi sianodelle probabilità che si verifichi il risultato finale.21 G. FACCI, cit., 1384.

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Pertanto, la “perdita di chance” non può essere di-stinta dal danno finale, cioè dalla perdita del risul-tato sperato.La chiave di lettura della risarcibilità del danno da“perdita di chance” va individuata nell’ambito delnesso di causalità giuridica di cui all’art. 1223 c.c.,secondo il quale il risarcimento del danno è limita-to alle sole conseguenze immediate e dirette.La possibilità di ottenere il risarcimento del dannoper la lesione della “chance” è, in questo modo, le-gata al presupposto che la possibilità di ottenere ilrisultato favorevole sperato non sia trascurabile.Non è cioè sufficiente che la possibilità di consegui-re il risultato sperato sia ipotetico, ma vi deve esse-re una apprezzabile possibilità di successo finale22.Secondo questa parte di dottrina e giurisprudenza,la “perdita di chance” costituisce un lucro cessan-te; l’accertata “perdita di chance” non rappresen-ta quindi un danno in re ipsa, e per ottenere il ri-sarcimento sarà necessario dimostrare che, se sfrut-tata, la “chance” avrebbe verosimilmente determi-nato il successo della lite23.La tesi maggioritaria ritiene, quindi, che il potenzia-le della “chance” possa essere valutato in base adun giudizio presuntivo o prognostico, per cui il cre-ditore ha l’onere di provare, pur se solo in modo pre-suntivo o secondo un calcolo di probabilità, la rea-lizzazione in concreto di alcuni dei presupposti peril raggiungimento del risultato sperato e impeditodalla condotta illecita della quale il danno risarcibi-le deve essere conseguenza immediata e diretta.La difficoltà probatoria della lesione non può esse-re superata attraverso il riconoscimento del dannoin re ipsa, ma attraverso il ricorso alla prova, siapure per presunzioni, nei limiti di cui all’art. 2797c.c., o al fatto notorio24.

Marta Bussola e Sara Uboldi

CASS. CIV., SEZ. III, 27 MARZO 2007, N. 7449 Pres. Vittoria, Rel. Amatucci, P.M. Golia (conf.),

Veneri e Veneri (avv.ti Panariti, Veneri) c. Parroc-chia S. Pietro Apostolo

Culti – Accordo tra i parenti del defunto e un sa-cerdote per celebrare una messa di suffragio –Celebrazione ad un orario diverso da quello con-cordato – Risarcimento del danno – Insussisten-za – Libertà di culto – Lesione – Esclusione.(C.c. artt. 1218, 1453, 2034, 783; Cost. art. 19)

La contingente impossibilità di assistere ad una Mes-sa di suffragio ad una determinata ora, per afferma-to inadempimento contrattuale del sacerdote chia-mato ad officiarla che la celebra ad un’ora diversada quella prevista, non lede un diritto fondamentaledella persona né incide sul diritto di ognuno a prati-care i riti della propria religione. La libertà di culto,infatti, non viene per nulla conculcata dalla omessao anticipata celebrazione di una determinata Messada parte del sacerdote di quella religione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSOM. E M.V., assumendo di avere concordato con ilparroco, cui avevano versato dieci euro, la celebra-zione (in un determinato giorno e ad una determi-nata ora) di una messa in suffragio del loro genitoree che la celebrazione non era invece avvenuta, con-vennero in giudizio il parroco per il risarcimento deldanno patrimoniale e non patrimoniale subito.Il giudice di pace dispose che la somma di euro10,00 fosse versata agli attori (così a pagina 10 delricorso), respinse per il resto la domanda e com-pensò le spese di lite.Il Tribunale di Verona ha rigettato l’appello dei V.rilevando: che il parroco non era stato inadempien-te, posto che la messa era stata effettivamente cele-brata, benché alle ore 8.30, invece delle ore 18.30,del giorno medesimo; che il defunto, in suffragiodel quale era stato assunto l’obbligo di celebrare lamessa, non aveva ricevuto alcun danno dal com-portamento in questione; che, peraltro, il parrocoaveva offerto agli attori, innanzi allo stesso giudicedi pace, la restituzione dei dieci euro versatigli perla celebrazione della messa.Propongono ricorso per cassazione i V. a mezzo di

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22 Cass. civ., 26 febbraio 2002, n. 2836, in Resp. civ. e prev. 2002, 1373, con nota di Facci.23 Cass. civ., 25 settembre 1998, n. 9598, in Danno e resp. 1999, 534 con nota di Violante; Trib. Roma, 28 ottobre 1999, in Dannoe resp. 2000, 658, con nota di Pacces. In dottrina, ritiene che la perdita di chance costituisca lucro cessante A.F. SALVATORE, cit., L.D’APOLLO, Perdita di chance: danno risarcibile, onus probandi e criteri di liquidazione, Altalex, n. 1961 del 26.11.2007.24 L. D’APOLLO, Perdita di chance: danno risarcibile, onus probandi e criteri di liquidazione, Altalex, n. 1961 del 26.11.2007.

Un caso singolare: una messa di suffragio tra religione e giustizia.Libertà di culto

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tre motivi, illustrati anche da memoria, con i qualidomandano che la sentenza sia cassata sui rilieviche lo spostamento dell’orario della messa costi-tuisce inadempimento contrattuale, che non è nep-pure provato che la messa fosse stata effettivamen-te celebrata il mattino invece che il pomeriggio,che il contratto era intervenuto tra loro ed il sacer-dote (e non tra il sacerdote ed il defunto, come af-fermato dal tribunale) ed aveva come scopo la rea-lizzazione del vantaggio dei congiunti – contraen-ti di assistere alla celebrazione della messa nell’o-rario stabilito.

MOTIVI DELLA DECISIONEIl ricorso è manifestamente infondato per le assor-benti ragioni che il giudice di pace ha disposto chela somma di euro 10 fosse versata agli attori: che glistessi non hanno affermato in ricorso di aver maiprospettato di aver subito un danno patrimoniale ul-teriore rispetto alla somma corrisposta al parrocoper la messa di suffragio, che non è ravvisabile nel-la specie la lesione di un diritto fondamentale dellapersona, comportante la risarcibilità del danno nonpatrimoniale allorché non ricorra un’ipotesi di reato(cfr. Cassazione, 8827 e 8828 del 2003, cui s’è alli-neata la giurisprudenza successiva).Benché, dunque, la sentenza vada corretta nellaparte in cui il tribunale ha impropriamente afferma-to che il defunto non aveva subito alcun danno peril comportamento del parroco, volta che non il dan-no del defunto veniva ovviamente in considerazio-ne ma quello in ipotesi patito dai congiunti per nonaver potuto assistere alla messa di suffragio, la so-luzione data alla controversia è tuttavia corretta indiritto. È, infatti, di palmare evidenza che l’impos-sibilità contingente di assistere ad una determinatamessa di suffragio in una determinata ora, per af-fermato inadempimento contrattuale del sacerdoteche avrebbe dovuto officiarla, non lede un dirittofondamentale della persona né incide sul diritto diognuno «a praticare i riti della propria religione»,in quanto si appalesa affatto estranea alla libertà diculto. La quale, in quanto attiene alla possibilità dipraticare liberamente i riti della propria religione,non è stata in nulla conculcata dalla omessa o anti-cipata celebrazione di una determinata messa disuffragio da parte del sacerdote di quella medesimareligione (il cui culto si assume dal medesimo im-pedito).

(Omissis)

NotaÈ risaputo che la giustizia è estremamente lenta eche fino ad oggi non ha avuto cure adeguate. Sonoinfatti pendenti milioni di cause e l’Italia continuaa subire condanne dai giudici nazionali e dallaCorte di giustizia europea per l’enorme durata deiprocessi.Un goffo tentativo di miglioramento è stato effet-tuato con la c.d. legge Pinto, la legge cioè che ac-corda un risarcimento quando sia accertata una du-rata irragionevole: il tentativo è goffo perché operasugli effetti e non sulle cause (è come se, per soppe-rire alla mancanza di scuole o alla mancanza diospedali, venisse offerta una somma di denaro adogni analfabeta e ad ogni ammalato).Naturalmente tra le cause vi è anche la prolifera-zione ingiustificata dei processi, nella pretesa chetutto possa risolversi avanti a un giudice, tra i cit-tadini che chiedono giustizia e gli avvocati che so-no pronti a dare assistenza.Queste sono considerazioni di carattere generale, chenascono peraltro da un caso singolare, di cui si è oc-cupata recentemente la Corte Suprema di Cassazione.Due fratelli avevano chiesto a un parroco di cele-brare una messa di suffragio per il loro defunto ge-nitore e avevano versato a tal fine la somma di 10(dieci) euro. A seguito di ciò i due fratelli si eranopresentati in chiesa il giorno indicato, alle 18.30,ma a quell’ora non vi era nessuno, poiché la messadi suffragio era stata celebrata alle ore 8.30 (e nonalle 18.30)!Di qui le proteste dei congiunti, e addirittura la ci-tazione in giudizio del parroco avanti il Giudice dipace per chiedere il risarcimento dei danni morali emateriali. Il Giudice di pace aveva ordinato di re-stituire l’importo pagato (dieci euro), ma avevaescluso qualsiasi risarcimento.Non contenti, i fratelli si erano rivolti al Tribunaledi Verona, il quale aveva respinto la domanda conla singolare (certamente ironica) affermazione cheil defunto non aveva subito alcun danno, essendoper lui indifferente l’orario della messa! Nuova im-pugnazione in Cassazione, e ancora la Corte Su-prema con la sentenza 27 marzo 2007 n. 7449 (inCorriere giurid., 2007, 1231, con nota di R. FOFFA,e in Danno e resp. con nota di G. FINOCCHIARO), hadefinitivamente respinto la domanda di danni, af-fermando che non era stato leso alcun diritto fon-damentale della persona né il diritto alla libertà diculto o alla pratica dei riti religiosi.

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Tanto rumore per nulla verrebbe da dire. Senonchéil caso è esemplare perché (a parte gli spunti dot-trinali sulla configurazione dell’esistenza di un con-tratto con un defunto per la salvezza dell’anima diquesti!) la decisione della Cassazione ci fa capire aquale grado di litigiosità siamo ormai arrivati, conl’ostinazione e l’arroganza che non ammette con-fronti, e quanto siano ormai inaccettabili tali com-portamenti che sembrano imitare e moltiplicare lerisse politiche in Parlamento e offendono anche ilbuon senso.Sarebbe invero preferibile cercare giustizia, e otte-nerla senza ricorrere all’imperio della legge.È l’immagine che coltivano i giapponesi: la leggeè un’antica spada ereditaria, della quale bisogna

cercare di fare a meno, e il ricorso al Tribunale èuna opzione a cui è meglio non pensare. Così latradizione giapponese esclude gli avvocati e i liti-gi, e impone di rispettare l’armonia, cioè un siste-ma di reciproca comprensione, che evita soprusi eincoraggia al rispetto delle regole e dei reciprocidiritti.Possibile che il senso della giustizia sia oggi smar-rito? Possibile che prevalga sempre la volontà diappropriarsi dei beni comuni e di ignorare i dirittidegli altri, e poi di portare il conflitto in Tribunale,anziché risolverlo secondo la coscienza dei giusti?Sono domande che dovremmo porci, un giorno ol’altro, per cambiare le prospettive del nostro futuro.

Remo Danovi

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PremesseTra gli argomenti in discussioneper la riforma dell’ordinamentoforense, vi è anche il proposito,manifestato da taluni, di includerenella legge norme che consentanoanche la costituzione di società dicapitale tra avvocati.La società di capitale è avversatadalla maggioranza degli avvocati, iquali la considerano strumento nonidoneo, ed anzi pericoloso, per l’e-sercizio della loro professione, per-ché influirebbe negativamente sumolte caratteristiche dell’avvocato.L’argomento dell’ammissibilità disocietà di capitale per gli avvoca-ti è ampio e complesso e la suacompleta trattazione esula dai li-miti di un articolo per la rivista.Io qui intendo dimostrare la peri-colosità della società di capitaletra avvocati, per gli equilibri fi-nanziari della Cassa di Previ-denza forense ed anche addirit-tura per la sua sopravvivenza.L’aspetto previdenziale viene tra-scurato dai sostenitori della societàdi capitale. Si deve ritenere che es-si non abbiano ampia conoscenzadelle norme previdenziali e perciòdegli effetti che la società di capi-tale tra avvocati potrebbe determi-nare sulla Cassa di Previdenza.La questione è molto complessa e

le interpretazioni possono essereassai diverse tra loro.È certo, tuttavia, che il pericoloper la Cassa di Previdenza esiste.E grave.Vanno premesse alcune questionidi carattere generale, indispensa-bili per affrontare le questioniprevidenziali.

a) La difficoltà di conservarecarattere di lavoro autonomoall’avvocato che presta la suaattività all’interno di una so-cietà di capitale.

Quale tipo di rapporto si instaura trala società di capitale e gli avvocatiche lavorano per essa (soci o colla-boratori)? Gli avvocati conserva-no le caratteristiche di liberi pro-fessionisti o verrebbero a confon-dersi con i lavoratori dipendenti?Già ora, nella prassi delle societàe delle associazioni tra avvocatiesistenti, molti collaboratori ven-gono compensati con retribuzionifisse, analoghe agli stipendi.Nelle società di persone, tuttavia, laprestazione di lavoro può conserva-re le caratteristiche di autonomiaproprie della professione, perchénon vi è un soggetto munito di per-sonalità giuridica, per conto del qua-le le prestazioni vengono eseguite.Le società di persone e le associa-

zioni tra avvocati sono organizza-zioni del lavoro autonomo costi-tuite per migliorare la qualità del-le prestazioni e la loro remunera-tività, nel rispetto della individua-lità e nella soggettività dei soci.Ciò è particolarmente evidentenel regime fiscale, nel quale i red-diti dei soci di società di personeo di associazioni professionalivengono direttamente imputati,“pro quota”, nella loro interezza,ai singoli soci od associati.Nella società di capitale, invece, ilreddito è, e può essere soltanto,reddito della società; mentre ilreddito degli avvocati, che in essalavorano, può consistere nel com-penso che ricevono o negli utiliche la società distribuisce a loro, oun po’ dell’uno o un po’ degli altri.Ritengo che, ai fini fiscali e perciòanche previdenziali, come cercodi dimostrare più avanti, non sipossa far distinzione tra utili deri-vanti dal lavoro degli avvocati edutili di altra fonte.Ci si deve chiedere se il regime fi-scale dell’avvocato, che lavoraper la società di capitale, possaessere equiparato a quello di undipendente, per la parte del com-penso corrisposta periodicamentein misura costante o, di volta involta, per le singole prestazioni.

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La società di capitale tra avvocati:un pericolo per la Cassa di PrevidenzaTra le molte proposte relative al nuovo Ordinamento forense, alcuni indicanol’opportunità di consentire anche società di capitale tra avvocati. Molte e giustificate sono le contrarietà per l’impossibile conciliazione tra regole delle società di capitale e professione di avvocato. Decisiva, per escludere queste società, è una valutazione degli effetti della loro costituzione per la nostra previdenza.

di Dario Donella

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Questa equiparazione dovrebbeessere riconosciuta, con evidenzase, nella società di capitale, vi fos-se una partecipazione di soci nonprofessionisti.Si può, a mio avviso, ritenere cheuna analogia vi sia anche nella so-cietà di capitale tra soli avvocati,in conseguenza della esistenza diuna autonoma personalità giuridi-ca della società, nella quale è dif-ficile attribuire carattere di auto-nomia alle prestazioni compiuteper conto della società.È senza dubbio, invece, diverso daquello per il lavoro dipendente ilregime fiscale per il reddito chel’avvocato percepisce come quotadi utili della società, perché questisono, per intero, soggetti ad impo-sizione di capitale, dovendosi con-siderare, come già rilevato, l’im-possibilità di distinguere, tra gliutili, quelli derivanti dal lavoro de-gli avvocati e quelli di altra fonte.Queste constatazioni devono in-durre a riflettere sulla compatibi-lità con l’esercizio professionaleper l’avvocato con il legamecontrattuale, che lo legherebbealla società di capitale, anche secon soci soltanto avvocati.Si ritiene da taluni che la societàdi capitale tra soli avvocati nonpossa incidere sulla natura dell’e-sercizio professionale. La tesi sipresta a seri dubbi.Vi è, prima di tutto, una estremadifficoltà di individuare strumentigiuridici, che escludano la “infil-trazione” di capitale esterno nellasocietà di capitale; mentre, questainfiltrazione, incriminerebbe l’au-tonomia degli avvocati ed altere-rebbe la natura dell’esercizio pro-fessionale.Vi è poi la notevole somiglianzatra l’avvocato dipendente di unasocietà di capitale qualsiasi e l’av-vocato dipendente di una società

di capitale tra avvocati; ciò, inparticolare, per una notevole diffi-coltà concettuale di considerare ilreddito dell’avvocato, che lavoraper la società di capitale (sia puretra avvocati), come reddito di la-voro autonomo.Vi è il pericolo che, ammettendocome possibile un rapporto “di-pendente” con la società di capita-le tra avvocati venga poi, comeconseguenza, eliminata la incom-patibilità per l’avvocato con ognitipo di lavoro dipendente. Non sitratta di un pericolo meramenteteorico, perché questa pericolosis-sima nefandezza era già compresanel disegno di legge Flick (v.Prev. For. 1998, 4, 47).La conseguenza di ciò sarebbe lacollocazione previdenziale del-l’avvocato dipendente nell’IN-PS, sottraendo un buon numero diavvocati (che potrebbe anche es-sere rilevante) alla Cassa di Previ-denza.Questo costituirebbe un pericolomolto grave per la previdenza fo-rense, perché, come hanno sem-pre spiegato economisti ed attua-ri, gli equilibri finanziari sarebbe-ro difficilmente sostenibili quan-do calasse il numero dei contri-buenti.Riassumendo, dunque: pur senzacertezze sulle varie questioni indi-cate, vi è, senza dubbio, grandepericolo per la Cassa di Previ-denza, per le notevoli difficoltà dimantenere carattere di lavoroautonomo a quello dell’avvocato,che lavora per una società di ca-pitale, anche se tra soli avvocati.

b) Conflitto tra norme della so-cietà di capitale e disciplina del-la professione di avvocato.

Vi sono molte norme nella disci-plina delle società di capitale, checonfliggerebbero con le caratteri-

stiche della professione di avvo-cato o che creerebbero grosse dif-ficoltà di applicazione.Numerosi problemi e difficoltàpossono essere individuati, tutticon rilevanti riflessi sulla deter-minazione e sull’accertamentodell’imponibile del contributosoggettivo.Nella legge speciale, che dovreb-be disciplinare la società di capi-tale tra avvocati, si potrebberoprevedere eccezioni alle normecomuni, per rendere la società dicapitale tra avvocati compatibilecon la libera professione. Ma condifficoltà e contraddittorietà forsenon superabili.b-1) Si considerino, ad esempio,le norme sul controllo giudizia-rio sull’attività degli amministra-tori delle s.p.a. Questo pericolo siescluderebbe solo adottando la fi-gura della s.r.l., poiché in questanon esiste più il controllo giudi-ziario.Ma, per la s.p.a., il controllo rap-presenta un grosso pericolo perl’autonomia dell’avvocato e per ilrispetto del segreto professionale.b-2) Potrebbe essere molto diffi-cile introdurre norme di legge chevietino la cessione di azioni oquote a non avvocati; è anche dif-ficile estendere il divieto agli ere-di di un socio defunto (qualchecosa di simile ad un recesso ob-bligatorio?).b-3) I problemi maggiori sonoperò relativi ai bilanci ed al regi-me fiscale.Il bilancio dovrebbe essere redat-to secondo le regole del codice ci-vile. Una rilettura di queste rego-le convince facilmente della diffi-coltà di rispettarle per una societàtra avvocati.Il problema più grosso nasce daldilemma: regime di competenza oregime di cassa?

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Come è noto, i bilanci degli avvo-cati sono redatti secondo il regimedi cassa; e non potrebbe essere di-versamente.Per la società di capitale, il regimedi competenza è pressocché ine-ludibile.Per le associazioni professionali eper le società semplici, si ritienepossibile (purché la legge non im-ponga il regime di competenza)adottare il regime di cassa.Per la società (di persone) tra av-vocati, già disciplinata dalla legge(d.lgs. n. 96/01), il richiamo gene-rico alle norme della s.n.c. fa pre-valere l’opinione che si debba ri-spettare, anche per queste società,il regime di competenza.Questa potrebbe essere una delleragioni dello scarso successo del-la società tra avvocati; sarebbenecessario che il legislatore ap-provasse norme chiarificatrici(sull’argomento, vedi MOSCHETTI,Prev. For. 2001, 3, 202 e DONEL-LA, Prev. For. 2001, 2, 164).Vale la pena approfondire un po’che cosa significherebbe per unasocietà tra professionisti il regimefiscale di competenza.Come noto, i professionisti deter-minano il reddito secondo il c.d.principio di cassa, essendo rile-vante ai fini dell’imposizione di-retta la differenza tra l’ammonta-re dei compensi percepiti nel pe-riodo d’imposta e quello dellespese sostenute nel periodo stessonell’esercizio della professione.Per le caratteristiche peculiaridella professione legale, è norma-le l’esistenza di una significativadiscrasia temporale tra il momen-to di inizio della prestazione, chedi solito coincide con l’instaura-zione di un’azione legale, ed iltermine della stessa, ad esempiocon il deposito di una sentenzache definisca il giudizio.

È evidente che la tassazione percassa consente all’avvocato unamaggiore libertà di determinazio-ne del reddito, potendo ripartirel’incasso dei compensi nell’arcotemporale di svolgimento dellaprestazione: si potrà così riscuote-re un fondo spese all’inizio, fattu-rare un acconto nel corso, e incas-sare il saldo al termine della pre-stazione.Ben diversa è la situazione in ca-so di applicazione del principio dicompetenza quale modalità di de-terminazione del reddito: in talcaso, infatti, il professionista saràcostretto a calcolare ex ante ilcompenso spettante, e ad imputar-ne una quota in tutti gli esercizi diprevedibile durata della prestazio-ne, in quanto il rispetto del princi-pio di competenza impone che al-la formazione del reddito di ogniesercizio debbano concorrere tuttii redditi di competenza dell’eser-cizio stesso, indipendentementedall’epoca di inizio o termine del-la prestazione, ed indipendente-mente dall’incasso, o meno, delcorrispettivo.Problemi non minori pone la de-duzione dei costi, che, per rispet-tare il principio di competenza,dovranno essere quelli riferibili aicompensi dell’esercizio: varrebbein proposito il richiamo al dispo-sto dell’art. 109, comma 5, deld.p.r. n. 917/1986 (t.u.i.r.) che, intema di reddito d’impresa, preve-de la deducibilità per spese ecomponenti negativi “se e nellamisura in cui si riferiscono ad at-tività o beni da cui derivano rica-vi o altri proventi che concorronoa formare il reddito”.Inoltre, come calcolare le perditesui crediti e come determinare gliaccantonamenti per rischi diversi?Ed in particolare, si applica quan-to previsto dagli artt. 105 e 106

del TUIR delle imposte dirette intema di perdite su crediti ed ac-cantonamenti previdenziali? Quanti sono gli avvocati che po-trebbero rispettare queste regoledi bilancio? b-4) I bilanci, con la relazione diamministratori e sindaci, sonoinevitabilmente pubblici: questofatto confligge con la necessariasegretezza dell’attività dell’avvo-cato, per garanzia dei clienti.b-5) Dal rilievo che ha il redditodi impresa, emerge, con evidenza,che il fine della società di capitalepuò essere soltanto un fine diprofitto, mentre la professionedi avvocato ha anche finalitàpiù nobili e socialmente più im-portanti.b-6) L’esistenza del capitale com-porta ovviamente la necessità diconferimenti:– il voto in assemblea è propor-

zionale ai conferimenti (o co-munque alla quota di capitaleposseduta)?

– gli utili sono pure proporzionaliai conferimenti (o al valore del-le quote)?

– come evitare che sia favorito ilsocio “ricco”?

È certo che l’ingresso di soci gio-vani diventa estremamente diffici-le, se devono eseguire conferi-menti di capitale; senza questiconferimenti potrebbero esseresoci con minori diritti.b-7) Molti problemi sono da risol-vere per quanto riguarda la remu-nerazione dei singoli avvocati perle prestazioni da loro eseguite:– un compenso fisso o mensile o

annuo?– un compenso ragguagliato alle

tariffe per le prestazioni ese-guite?

– semplicemente una quota delreddito della società?

– oppure sistemi misti?

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Sono quesiti rilevanti per la deter-minazione (se possibile) del con-tributo soggettivo dovuto allaCassa di Previdenza.b-8) Nella società tra avvocati,ora è normale l’entrata di nuovisoci e l’uscita di vecchi.Nella società di capitale tra avvo-cati, si fanno, in tal caso, aumentio diminuzioni di capitale sociale?Oppure i vecchi cedono parte del-la loro partecipazione? A cheprezzo?La partecipazione societaria è ce-dibile? Con diritto di prelazione econ necessità di gradimento? E ilgradimento può essere espressoda parte di tutti i soci? Possonoessere riconosciuti diritti di veto?

■ ■ ■

N.B. – Gli statuti possono risol-vere molti di questi problemi,ma non fino al punto di snatu-rare la struttura della società dicapitale.

■ ■ ■

c) Quale utilità offre una societàdi capitale tra avvocati?

Molte sono dunque le difficoltà,che sorgono, ammettendo la pos-sibilità di costituire società di ca-pitale tra avvocati.Prima di procedere all’esame de-gli effetti previdenziali di questotipo di società, c’è da chiedersi:quali utilità offrono le società dicapitale rispetto alle altre formeassociative (società di persone edassociazioni professionali)?a) La limitazione di responsabi-lità è in gran parte illusoria.Tutti gli avvocati, che lavoranoper la società (soci o collaborato-ri), hanno una responsabilità per-sonale illimitata per i danni cagio-nati ai clienti.Di questi danni, risponde anchela società per l’art. 1228 c.c. (re-

sponsabilità per fatti degli ausi-liari).Tutti i soci possono perciò (siapure indirettamente) subire con-seguenze per i danni cagionatinella loro attività per la società dauno di essi.Rimane la responsabilità per l’in-solvenza derivante dalle obbliga-zioni sociali contratte per l’atti-vità della società in genere e nonadempiute.Per queste obbligazioni, se nonadempiute, vi sarebbe sempre lapossibile responsabilità di ammi-nistratori (i quali, secondo le pro-poste, potrebbero essere solo gliavvocati-soci).Una insolvenza della società, con-seguente ad una gestione ordina-ria, è improbabile e difficilmenteconfigurabile.I vantaggi della responsabilità li-mitata risultano pertanto teorici.b) I proponenti, forse, ritengonoche vi possano essere dei vantag-gi di carattere fiscale.Sono vantaggi molto dubbi, appli-cando le regole fiscali proprie del-le società di capitale; e non è cer-to immaginabile che venga fattoun trattamento fiscale di favoreper le società di capitale tra avvo-cati, oltre tutto, è molto difficileimmaginare quali benefici fiscalipotrebbero venire riconosciuti eperché.c) Per quanto riguarda l’organizza-zione del lavoro, non vi è dubbioche questa può essere disciplinatain modo eguale sia in una societàtra persone o in una associazione,sia in una società di capitale.d) Infine, non dovrebbe essereammesso un oggetto sociale checonsentisse il compimento di atti-vità incompatibili con la profes-sione di avvocato mentre sonodifficilmente individuabili attivitàcompatibili produttive di reddito.

L’ammontare degli investimentidi capitale della società tra avvo-cati dovrebbe essere in ogni casolegislativamente limitato per evi-tare che la società operi come so-cietà finanziaria o commerciale.Ed allora, qual è il vantaggio del-le società di capitale?Su questo argomento, non sonostate date spiegazioni e le societàdi capitale sembrano volute peruna ragione mitologica: esse sa-rebbero strumento di modernitàper l’esercizio della professionead alto livello!Per disciplinare bene la professio-ne, meglio però basarsi su regoleconcrete, vantaggiose ed esenti darischi, non su regole mitologiche.Non c’è dubbio che anche gli av-vocati hanno bisogno di un tipoparticolare e tipico di società, permeglio organizzare il lavoro.Una disciplina della società traavvocati c’è già: il d.lgs. 2 feb-braio 2001, n. 96 (gli artt. da 16 inpoi), approvato in esecuzione del-la legge delega 21 dicembre 1999,n. 526, di attuazione di regole co-munitarie.Si tratta, pertanto, dell’opportu-nità di modificare le norme conte-nute in questo decreto legislativo,per adeguarle meglio alle esigen-ze attuali della professione.Le modifiche dovrebbero riferirsisoprattutto alla previsione di so-cietà multidisciplinari, volute dal-la legge 248 del 2006 di conver-sione del d.l. 4 luglio 2006, n.223.Inoltre, vi sono carenze nel decre-to legislativo per quanto riguardail regime fiscale (non chiaro) econseguentemente per quello pre-videnziale. A queste esigenze,provvede già bene il disegno dilegge Calvi ed altri (Riforma del-l’ordinamento della professionedi avvocato, Senato n. 963).

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Difficoltà di coordinamentocon le norme previdenzialie fiscali – Il pericolo per gli equilibri finanziariPer valutare i rapporti tra una so-cietà di capitale e la previdenzaforense, l’esame deve riferirsi so-prattutto ai problemi relativi aicontributi. Bisogna tener presenteche le regole previdenziali, relati-vamente ai contributi, sono stret-tamente dipendenti dalle normefiscali. E non potrebbe essere di-versamente, se si vuol sperare chel’imponibile contributivo sia vici-no al reddito reale (dire “identico”sarebbe illusorio!).Si deve, dunque, esaminare comecalcolare l’imponibile del contri-buto soggettivo e del contributointegrativo. In particolare, si deveesaminare se la disciplina vigenteper associazioni e società tra av-vocati a responsabilità illimitatapossa valere anche per le societàdi capitale.

a) Per il contributo soggettivo,l’imponibile previdenziale del-l’avvocato è dato dal reddito pro-fessionale netto, coincidente conl’imponibile per l’imposta sullepersone fisiche.Per gli avvocati, che esercitano inassociazione o in società (di per-sone), vi sono già norme che, aifini previdenziali (art. 10 dellalegge 20 settembre 1980, n. 576),chiariscono il modo di attribuireagli avvocati soci od associati unaquota del reddito della società odassociazione.Il criterio di attribuzione è facile,perché il reddito dell’associazioneo della società di persone viene,anche fiscalmente, direttamenteimputato al singolo socio od asso-ciato e perciò è facile individuareil reddito personale sul quale ap-plicare il contributo soggettivo.

Ciò non può avvenire in una so-cietà di capitale, perché il redditodi questa è un reddito misto, e nonpuò costituire imponibile contri-butivo la parte del reddito dovutaalle fonti diverse dal lavoro degliavvocati-soci. E, inoltre, non vi èuna diretta imputabilità di quotedel reddito della società ai singolisoci, anche perché molto variepossono essere le modalità percompensarli.Un problema è se sia possibile se-parare il reddito da lavoro dal red-dito da altre fonti.La separazione tra le due catego-rie di reddito potrebbe essere rela-tivamente facile, se la società cor-rispondesse agli avvocati-soci so-lo un autonomo compenso per leprestazioni di lavoro di ciascunodi essi; meno facile qualora ilcompenso venisse corrisposto pe-riodicamente in misura forfetaria,esclusivamente come compensoper le prestazioni eseguite.Più difficile, anzi impossibile,sarebbe la separazione se il com-penso per l’attività di lavoro ve-nisse corrisposto, in tutto o inparte, come utile della società,determinato assieme all’utilecomplessivo.Nel bilancio, l’utile della società èconsiderato come reddito di im-presa, calcolato in modo unitariocomprendente reddito derivanteda prestazioni professionali e red-dito da altre fonti.L’avvocato-socio, come già rile-vato, potrebbe ricevere un com-penso autonomo rispetto agli utilidi bilancio. In tal caso, questoreddito potrebbe essere conside-rato come reddito professionale.A questo proposito, si consideriche vi sarebbe l’interesse dell’av-vocato-socio alla corresponsionedi un compenso per le sue presta-zioni separato dal reddito sociale

e contenuto entro i limiti del tettocontributivo; questa retribuzionesarebbe “spesa” per la società.Solo questa parte sarebbe sogget-ta al contributo soggettivo, mentrela parte eccedente sarebbe confu-sa con l’utile sociale complessivoe perciò esclusa da ogni contribu-zione, per le più volte specificateimpossibilità di separare il redditoda lavoro professionale dal reddi-to da altra fonte (esclusa dall’im-ponibile).L’avvocato, in questo modo, ot-terrebbe la determinazione dellapensione entro il limite massimoed eviterebbe il pagamento delcontributo di solidarietà.Questa classificazione del redditodella società sarebbe anomala enon veritiera, perché l’utile dellasocietà è presumibilmente deri-vante, in massima parte, dalle pre-stazioni di lavoro degli avvocati-soci.È difficile infatti immaginare unreddito derivante da altra fonte dientità rilevante: l’ammontare de-gli investimenti di capitale dellasocietà tra avvocati dovrebbe es-sere legislativamente limitato, co-me già rilevato, per evitare che lasocietà operi come società finan-ziaria o commerciale; e gli utiliderivanti dalla organizzazione im-prenditoriale difficilmente potreb-bero essere elevati (potrebberoderivare prevalentemente dalleprestazioni degli avvocati non so-ci, che lavorano nella società).Si noti che le esigenze di finan-ziamento di uno studio legale nonsono tali da richiedere rilevanti in-vestimenti.Il gioco tra determinazione delcompenso agli avvocati-soci, de-terminato in modo particolare perle loro prestazioni (che costitui-rebbero spesa per la società), edeterminazione degli utili sociali

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si presta a facili artifici a dannodella Cassa di Previdenza.Non c’è dubbio, pertanto, che lesocietà di capitale tra avvocatisottrarrebbero alla Cassa diPrevidenza una parte dell’im-ponibile del contributo soggetti-vo dovuto dagli avvocati-soci.Questa sottrazione potrebbe an-che essere rilevante, se la struttu-ra della società di capitale venisseadottata da molti studi, soprattut-to da quelli con i redditi più ele-vati.Si deve tener presente che sonoproprio gli avvocati con redditimolto elevati, i quali, col paga-mento del contributo di solida-rietà oltre il tetto contributivo,forniscono alla Cassa di Previden-za mezzi per provvedere, in misu-ra rilevante, agli adempimenti so-lidaristici (ad esempio, il paga-mento delle pensioni minime, perle quali vengono pagati contributimolto bassi rispetto all’ammonta-re della pensione corrisposta).

b) Molti problemi sorgono per ilcontributo integrativo; forse an-cor più complessi e difficili.Per il contributo integrativo, l’im-ponibile è il volume d’affari com-plessivo dell’avvocato, il qualepuò rivalersi sul cliente. Per l’av-vocato, che lavora in una società oin una associazione tra avvocati,l’imponibile è la quota del volu-me d’affari complessiva a lui at-tribuita secondo l’art. 11 dellalegge 20 settembre 1980, n. 576.Abbiamo già visto che sarebbemolto difficile distinguere, nei bi-lanci di una società di capitale, laparte di entrate imputabile a pre-stazioni professionali e la parteimputabile a redditi di altre fonti.Inoltre, sarebbe impossibile (sal-vo una difficile disposizione nor-mativa), enucleare dalle entratecomplessive quelle derivanti da

prestazioni professionali (soprat-tutto se il compenso all’avvocatoè determinato con una quota degliutili), affinché sia individuabilel’imponibile per il contributo inte-grativo da attribuire al singolo av-vocato-socio.Non potrebbe costituire base perl’accertamento dell’imponibileper i singoli avvocati-soci il volu-me d’affari complessivo della so-cietà, per la commistione tra en-trate per prestazioni professionalie proventi di altra natura.Questo volume d’affari non puòcoincidere con la somma dei com-pensi degli avvocati-soci, perchécomprende altre entrate: inoltre,esso non può essere consideratol’imponibile del contributo inte-grativo, perché l’obbligato è l’av-vocato-socio, non la società; il vo-lume d’affari dovrebbe, con lasuddivisione tra gli avvocati-soci,indicare l’imponibile per questi.Il recupero del contributo dalcliente sarebbe (teoricamente econ molta difficoltà) possibile cal-colandolo sui compensi per le pre-stazioni eseguite per suo conto.È difficile però trovare il modoper far coincidere quanto “rim-borsato” dai clienti con quantodeve essere versato alla Cassa,perché ogni contributo pagato dalcliente confluirebbe in un volumed’affari comprendente altre entra-te, con le quali si confonderebbe. L’inconveniente più grave sorgeper il fatto che, ai fini della deter-minazione del contributo integra-tivo, i dati relativi ai volumi d’af-fari (della società, per prestazioniprofessionali, e la quota attribuitaai singoli professionisti) devonorisultare da documenti fiscali: lefatture per le prestazioni profes-sionali e la dichiarazione annualedell’IVA della società. Mentre èpossibile determinare ed indicare

l’ammontare del contributo nellefatture che la società emette neiconfronti dei clienti, in qual modova poi determinato e suddiviso trai singoli avvocati-soci quanto ri-sultante dalla partita IVA della so-cietà, che comprende anche entra-te di natura diversa dalle presta-zioni degli avvocati?Se queste due categorie di entratepotessero essere separate nellapartita IVA, come dividere poil’attribuzione di quote del contri-buto integrativo tra gli avvocati-soci? E come calcolare l’onereper questo contributo per gli av-vocati collaboratori a vario titolo?Occorrerebbero norme speciali dilegge per disciplinare questa ma-teria, che non sarebbero di facileelaborazione, anche per il rischiodi incorrere in illegittimità.Nel valutare questi difficili pro-blemi, si deve tener conto che ilcontributo integrativo è un con-tributo dovuto dall’avvocatoiscritto all’albo ed il suo impo-nibile è, e può essere soltanto, ilvolume d’affari derivante daprestazioni di lavoro professio-nale. Il tutto deve risultare dalladocumentazione fiscale.

■ ■ ■

Va ricordato che i proventi delcontributo integrativo sono essen-ziali per gli equilibri finanziaridella Cassa e che essi sono desti-nati ad aumentare secondo la pro-posta di un loro necessario rad-doppio, contenuta nei progetti diriforma.Si è dunque visto quali complica-zioni e quali difficoltà possonoderivare dalla ammissione dellapossibilità che il lavoro di avvoca-to venga svolto in società di capi-tale (sia pure tra soli avvocati).Ed allora, se l’utilità delle societàdi capitale è molto discutibile, eprobabilmente pressocché inesi-

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stente, se la società di capitalecrea grossi problemi alla Cassa diPrevidenza ed addirittura ne puòcompromettere l’esistenza, qualo-ra le società di capitale tra avvo-cati fossero molte, perché do-vremmo introdurre nell’ordina-mento forense anche la possibilitàdella loro costituzione?Rivolgo nuovamente questa do-manda ai proponenti, che, finoad ora, non hanno dato alcuna ri-sposta.Abbandoniamo il mito, quantomai pericoloso, della società di

capitale come dimostrazione dimodernità e di efficacia e preoc-cupiamoci che siano ben discipli-nate le società di persone e le as-sociazioni, strumenti più che ido-nei per l’esercizio dell’attività diavvocato, anche ai massimi livelliqualitativi delle prestazioni.In conclusione, l’eventualità di in-cludere nell’ordinamento forensenorme che prevedono la società dicapitale va rimeditata; alla fine sidovrà constatare che è meglioescluderla.Molte delle considerazioni fatte

sono discutibili; ma esse segnala-no pericoli reali, perché più di unapotrebbe risultare fondata.Non sarebbero sufficienti normeche adattassero (in quanto possi-bile) la struttura delle società dicapitale alla nostra previdenza,perché, in ogni caso, non sarebbe-ro eliminabili gli effetti di una ri-duzione (anche di notevole entità)delle entrate contributive, con ef-fetti deleteri per la Cassa di Previ-denza.Ne nascerebbe un rischio per lasua stessa sopravvivenza.

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Redditività del patrimonio immobiliare della Cassa

Il patrimonio della Cassa Forense è in costante aumento con la prospettiva di ulteriori futuri incrementi. È necessario scegliere i criteri migliori

per ottenere una buona redditività del patrimonio, ma occorrerà anche ristrutturare l’organizzazione del settore finanziario

della Cassa per garantirne l’efficienza.

di Carlo Dolci

L’esigenza di riformare la nostralegge previdenziale per evitareche fra trent’anni i giovani avvo-cati che si iscrivono oggi trovinola “Cassa” vuota non ci deve fardimenticare l’importanza che ri-copre la buona ed efficiente ge-stione del nostro patrimonio. Eciò al di là del sistema e del meto-do adottati per alimentare le en-trate, per calcolare le prestazioniprevidenziali, per mettere in sicu-rezza il debito previdenziale e percontinuare a sostenere la solida-rietà inter e infragenerazionale. Èdi tutta evidenza che la redditivitàè elemento essenziale per il meto-do contributivo e per i sistemi acapitalizzazione, che devono ga-rantire un incremento almenouguale all’inflazione, meglio sequella reale. Ma anche nel nostrosistema a ripartizione un patrimo-nio che rende bene assicura unavita più lunga o consente aliquotecontributive più basse.Nel nostro patrimonio complessi-vo grande importanza ha, e hasempre avuto, la parte immobilia-re, che, anche se di peso più con-tenuto rispetto alla parte mobilia-re, ricopre un rilievo particolareper la sua capacità di conservarenel tempo il proprio valore ed in-crementarlo, nonostante la cicli-cità del settore. Quanto vale il no-

stro patrimonio immobiliare? Sein bilancio è valutato poco menodi mezzo miliardo di euro, tutte lestime effettuate da consulentiesterni sino ad un paio d’anni facon gli aggiornamenti ad oggifanno ritenere non azzardata unavalutazione di almeno ottocentomilioni di euro, un quinto del pa-trimonio complessivo. Se si ag-giungono gli investimenti in“mattoni di carta” (quote di fon-di), che sono sostanzialmente in-vestimenti immobiliari e tali ven-gono considerati nei criteri daadottare per la diversificazionedel rischio, possiamo valutare ilnostro patrimonio immobiliarepoco al di sotto del miliardo dieuro.

L’acquisizione del patrimonio immobiliareCome si è accumulato nel tempoquesto ingente patrimonio? Quasitutti le vecchie acquisizioni eranocostituite da immobili residenzia-li o adibiti a funzioni pubbliche(caserme e università), di cui loStato imponeva l’acquisto. Allavigilia della privatizzazione la no-stra Cassa non accettò più di sot-tostare all’imposizione e comin-ciò ad acquistare immobili ad usodiverso, più remunerativi sia intermine di canoni sia per i minori

costi di gestione. Dall’inizio dellaprivatizzazione in poi non si sonopiù acquistati immobili ad uso re-sidenziale.Sino al 1997 la Fondazione ave-va adottato un sistema di selezio-ne degli acquisti abbastanzacomplicato e di scarsa efficienza,ereditato dalla gestione pubblica.Una volta all’anno veniva pub-blicato sui giornali nazionali piùimportanti un comunicato, con ilquale si chiedeva a chi avesseavuto disponibilità di immobilida alienare di comunicarlo allaCassa possibilmente entro il ter-mine di sessanta giorni, fornendotutta la documentazione necessa-ria per consentire la valutazionedell’acquisto. I plichi pervenuti(sempre più di duecento) veniva-no sottoposti all’attenzione dellaCommissione Patrimonio e Bi-lancio, che in tre o quattro sedu-te esaminava le offerte e selezio-nava quelle ritenute compatibilicon i criteri dettati dal Comitatodei Delegati (immobili preferi-bilmente cielo-terra, mono-con-dotti, uso non abitativo, situati incittà importanti o in zone di svi-luppo edilizio, con contratti dilocazione in corso e di scadenzaremota, alta redditività, ecc.).Questa prima selezione non pote-va che essere molto superficiale,

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sia per il numero delle offerte daesaminare in poco tempo sia per-ché doveva basarsi soltanto sulladocumentazione cartacea fornitadal venditore. Le offerte selezio-nate (non più del venti per cento)venivano sottoposte all’attenzio-ne del Consiglio di Amministra-zione, che aveva la facoltà di ri-pescarne altre fra quelle già scar-tate dalla Commissione e cheprovvedeva ad approfondire l’e-same di quelle ritenute più inte-ressanti passandole poi a unacommissione mista di consiglierie funzionari, che valutava la con-gruità del prezzo richiesto, iden-tificando il prezzo massimo alquale si sarebbe potuto procede-re all’acquisto. Dopo di che ilPresidente o suoi delegati inizia-vano le trattative con il vendito-re. Condizione irrinunciabile erail non riconoscimento di alcuncosto di mediazione. Come sipuò arguire, il meccanismo nonera dei più efficienti e celeri. Inogni caso non poteva evitare allaCassa i problemi di scarsa traspa-renza del mercato, di interferen-ze pesanti dei soliti intermediari,di rischio d’insolvenza del con-duttore o di risoluzione anticipa-ta del contratto, con conseguentiperiodi di mancata redditività ecosì via. L’elencazione dei “pro-blemi” non è solo teorica, ma ri-cavata dall’esperienza diretta.Dal 1997 si adottò il criterio di ac-quistare soltanto immobili alleaste giudiziarie o in offerta daparte dello Stato e di enti pubbli-ci. Si sono fatti ottimi acquisti,senza pericoli di opacità, ma conqualche strascico giudiziario, nonancora interamente risolto e conl’ulteriore difetto di occasionid’acquisto molto limitate.Anche se ora si manifestasse nelConsiglio di Amministrazione

una volontà di entrare nel merca-to senza limitazioni, non si evite-rebbe il grave svantaggio del pesodell’IVA, che la Fondazione nonpuò scaricare essendo consideratafiscalmente come un privato.Il risultato è che negli ultimi treanni la Cassa Forense non ha ac-quistato alcunché di significativo.

Staticità del patrimonioimmobiliare della CassaÈ principio condiviso da tutti glioperatori del settore che un patri-monio immobiliare va rinnovatocontinuamente perché possa man-tenere valore, anzi acquistarne.Soltanto da una sua oculata movi-mentazione si può conseguirequel plusvalore, che la sola ge-stione della locazione non può da-re e che può avvicinarlo al rendi-mento degli investimenti azionari.Se per le acquisizioni ci si è mossicon grande difficoltà, ancora piùimpraticabile si è rivelata la via delrinnovamento del patrimonio im-mobiliare con l’alienazione dei ce-spiti più vetusti, tutti compresi nelsettore residenziale. La manuten-zione straordinaria di questi immo-bili ha pertanto richiesto un impe-gno economico e di risorse umanetale da renderne ancora più esiguala redditività, già ridotta dalla tas-sazione altissima dei canoni ri-scossi.Occorre dire per la verità che dicontro si è sviluppata nella Cassa,con la collaborazione di ammini-stratori particolarmente attenti edi un ufficio immobiliare moltoefficiente, un’eccellente attività divalorizzazione dei canoni, chehanno ormai raggiunto da tempo ilivelli di mercato, con una moro-sità del tutto contenuta.Nonostante tutto ciò la redditivitàdel patrimonio immobiliare è ri-

masta sempre molto bassa, tantoda non superare l’1,5% del suovalore di libro (meno dell’1% delvalore reale).

Le soluzioni prospettateper aumentare la redditività del patrimonio immobiliareDal 1998 sia per l’esperienza ac-quisita dalla Fondazione, sia perle sollecitazioni dei nostri consu-lenti a rendere più dinamica la ge-stione del patrimonio immobilia-re, si affacciò l’ipotesi di unospin-off di parte del patrimonioimmobiliare con la creazione diuna società parallela, sotto lostretto controllo di Cassa Forense,che ne assumesse la gestione. Itempi non erano ancora maturi el’ipotesi non ebbe seguito, ancheper gli alti costi fiscali dei trasfe-rimenti dei cespiti ad una societàimmobiliare. Le esigenze che ave-vano suggerito la manovra, però,non venivano meno e lo studio supossibili soluzioni è continuato,con il monitoraggio costante del-l’andamento del mercato e, so-prattutto, del trattamento fiscaledel settore. Si stava facendo stra-da anche in Italia, con molte in-certezze ed esitazioni da parte diuna classe politica largamente in-capace di scelte tempestive e co-raggiose, un nuovo strumentooperativo: il fondo immobiliare.Lo Stato ha sovente tentato di ren-dere più trasparente il settore im-mobiliare, che, notoriamente, hasempre reso poco all’erario in re-lazione al proprio valore effettivo.Non per nulla le grandi nuove ric-chezze del paese si sono formateattraverso la speculazione edilizia,che ha potuto contare, tra l’altro,su un mercato in cui i valori realidei cespiti venivano legalmente

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occultati con l’aggancio alle stimecatastali. La fortuna commercialedei REITS statunitensi e di stru-menti analoghi in alcuni paesi eu-ropei (Inghilterra e Francia) hannofinalmente indotto anche il nostrolegislatore ad adottare una norma-tiva più efficiente, volta a faremergere i valori reali dei patri-moni immobiliari e la conseguen-te più adeguata tassazione.Quanto detto non è però suffi-ciente per spiegare il successodei fondi immobiliari e l’introdu-zione, ancorché improvvisata econ molti problemi irrisolti (omal risolti), delle SIIQ (Societàdi Investimento ImmobiliareQuotate). Lo Stato, conscio del-l’enorme debito pubblico accu-mulato nel tempo e dell’altret-tanto enorme valore del propriopatrimonio immobiliare, si è resoconto che se avesse voluto proce-dere celermente alla dismissionedei suoi cespiti immobiliari si sa-rebbe dovuto dotare di uno stru-mento adatto, che consentisseuna rapida realizzazione dellecessioni. L’operazione era fatti-bile soltanto con un consistentesconto fiscale, che si contava direcuperare successivamente (co-me è avvenuto) attraverso l’e-mersione del valore reale del pa-trimonio compra-venduto.L’operazione ha dato i suoi frutti.Ha guadagnato lo Stato. Hannoguadagnato i proprietari dei gran-di patrimoni immobiliari (assicu-razioni, banche, immobiliaristi,ecc.). Il mercato si è svegliato,senza i problemi in cui si è im-pantanato quello americano. Ma,per le Casse di previdenza in ge-nerale e per la nostra in particola-re, i nuovi strumenti sono ancoraallo studio. In attesa forse che loStato cambi indirizzo e che i van-taggi fiscali vengano meno.

Trasparenza dei nuovistrumenti di gestione per l’investimento immobiliare e controllo di Banca d’ItaliaMan mano che il mercato ha capi-to i vantaggi del nuovo strumentodi investimento e di gestione delpatrimonio immobiliare, anche icontrolli di Banca d’Italia si sonoaffinati, al fine di evitare il più pos-sibile intrecci e conflitti d’interes-se. Purtroppo la maggior parte del-le Sgr (Società di Gestione del Ri-sparmio) operante sul mercato ita-liano è controllato strettamente dalsettore bancario e, per tale ragione,segue dinamiche condizionate dal-la sua origine. È notizia recentissi-ma che il Governatore di Bancad’Italia, Mario Draghi, dopo ripe-tuti inviti, ha posto alle banche unultimatum: rendere autonome leSgr o assistere ad «un interventonormativo regolamentare».Si è richiamato il problema delleSgr di origine bancaria per sottoli-neare invece il favore con cui vienevista la creazione di Sgr legate alleCasse previdenziali e, in genere, aifondi pensione, che gestiscono in-teressi di carattere pubblicistico eche quindi non rispondono soltantoa logiche di stretto valore commer-ciale. È un rilievo che deve esseresempre tenuto presente: le Casse diprevidenza, pur private, non posso-no dimenticare la loro funzione egli interessi generali del paese, per-ché un’economia equilibrata e fun-zionante rende meglio gestibile epiù ricco il comparto previdenziale.L’osservazione finale è che l’ado-zione di questi nuovi strumenti diacquisizione e gestione degli im-mobili non risponde solo ad esi-genze di stretto carattere commer-ciale, ma determina una ricadutapositiva sull’economia del paese esulla moralizzazione del settore.

Valutazione dell’incidenzafiscale nel settore immobiliareSi è accennato più sopra allascarsa redditività del nostro patri-monio immobiliare. Essa derivaprincipalmente dalla gravosa tas-sazione dei canoni di locazione,ma anche dall’impossibilità daparte della Fondazione di scarica-re l’IVA sugli acquisti. La Cassanegli ultimi cinque anni ha messoa disposizione degli investimentiimmobiliari € 50 milioni all’an-no per un totale di € 250 milioni.Con tale somma avrebbe potutoacquistare direttamente immobilidel valore commerciale di €

208.333,33 milioni con un esbor-so di altri € 41.666,66 milioni(20%) per l’IVA. Se l’acquisto sifosse potuto effettuare tramite unfondo immobiliare i 41.666,66milioni di eurosi sarebbero potutiinvestire in altro immobile di pa-ri valore, con l’incremento com-plessivo del patrimonio immobi-liare di € 250 milioni anziché208,333,33.Se gli immobili acquistati diret-tamente (€ 208.333,33 milioni)fossero stati affittati ad un cano-ne del 6%, l’investimento avreb-be reso € 8.375.000 (€12.500.000 meno 33% di prelie-vo fiscale). Se gli immobili ac-quistati tramite il fondo immobi-liare (€ 250 milioni) fossero sta-ti affittati allo stesso canone del6% il ricavato sarebbe stato di €13.125.000 (€ 15.000.000 meno12,5%). Con lo stesso esborso di€ 250 milioni la redditività degliimmobili acquisiti al patrimoniodella Cassa sarebbe aumentatadal 3,35% al 5,25%. L’esempio,che non è solo teorico, si basa suipotesi concrete e rende ben chia-ri i vantaggi dell’adozione di unostrumento fiscalmente efficiente.

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Considerazioni sull’approccio dinamico al patrimonio immobiliareLa considerazione più importanteche il Comitato dei Delegati hasempre fatto sin dal momento del-la privatizzazione è stata quella ditrovare il modo di rinnovare il pa-trimonio immobiliare, privile-giando l’ipotesi di dismissionedei cespiti ad uso residenziale.Ma l’operazione è sempre stata ri-tenuta estremamente difficoltosa.Tutte le ipotesi di costituzione disocietà immobiliari create ad hoc,sono naufragate di fronte all’inci-denza dell’onerosità dei trasferi-menti ad altro soggetto del nostropatrimonio.La costituzione di un fondo im-mobiliare ad apporto risolverebbebrillantemente il problema, per-ché la cessione ad un fondo degliimmobili di un soggetto come lanostra Fondazione, cessione chesino al 2007 era senza oneri fisca-li (tassa fissa di registro pari ad €168,00), ora è soggetta ad una tas-sa di registro ed ipotecaria pro-porzionale al valore, ma ridottaalla metà in confronto a quella or-dinaria.Inoltre un fondo immobiliare èuno strumento appositamentecreato per le dismissioni. Non esi-ste nulla di più adatto allo scopoche la Cassa vuole conseguire.

Necessità di una SgrIl fondo immobiliare è comeun’automobile senza motore. Perfarlo muovere bisogna munirlo diuna Sgr. Il problema della Sgr si èsubito posto all’attenzione delCdA come essenziale. Sul merca-

to si presentavano due soluzioni:a) sgr già operative, che si offriva-no di gestire il nostro fondo ad ap-porto (di immobili), ma anche unapluralità di fondi anche a raccolta(di denaro), come quello ipotizza-to attualmente da alcune Casseaderenti all’AdEPP; b) sgr già co-stituite, ma non operative.Le prime potrebbero dare garan-zie di efficienza, ma la certezzadella quasi assoluta impossibilitàdi controllarle. Le seconde po-trebbero garantire un controlloefficace, ma non un efficiente ap-proccio al mercato, che non po-trebbe che essere valutato a po-steriori. Queste ultime possonoavere quasi le stesse caratteristi-che di una sgr creata ex-novo,con qualche dubbio sui costi diacquisizione, ma con la mancan-za di qualsiasi garanzia sul lorofunzionamento. La soluzioneideale sarebbe proprio quella cheè stata prospettata in un’ipotesistudiata insieme alle altre Casseper la gestione di un fondo im-mobiliare a raccolta: una Sgr au-tonoma, costruita come piace eserve alle Casse, con un socio in-dustriale, che abbia già dimostra-to di saper operare efficiente-mente sul mercato, con una go-vernance snella, impostata sulmassimo controllo da parte deisoci investitori.Naturalmente, una volta costitui-ta, la Sgr delle Casse di previden-za potrebbe operare anche per ge-stire una pluralità di fondi immo-biliari di varie tipologie e di sog-getti diversi. In tale eventualità laSgr svilupperebbe un’attività im-prenditoriale creatrice di utili da

distribuire ai soci. Cioè alle stes-se Casse.Per la Cassa Forense la creazionedella Sgr avrebbe, per ora, finalitàlimitate al fondo a raccolta, checonsentirebbe di entrare sul mer-cato con un peso finanziario ditutto rispetto e di acquisire anchecomplessi immobiliari al di sopradelle nostre attuali possibilità diinvestimento, con un approcciocommercialmente adeguato e tra-sparente.

Costi del Fondo immobi-liare e della SgrLa costituzione di un fondo im-mobiliare ha naturalmente dei co-sti, che peraltro in tutte le espe-rienze prese in considerazione so-no largamente compensati dal-l’acquisizione di una efficienza fi-scale e gestionale assolutamentenon confrontabile con quelli dellagestione diretta. Il successo dellostrumento “fondi immobiliari” sulmercato anche italiano è la provaprovata dell’irrilevanza o, quantomeno, della secondaria importan-za del problema.I costi della Sgr sono senz’altromaggiori. Nel caso però di unaSgr di cui sono azioniste le Casseil problema delle alte commissio-ni non si pone perché le stesse, seci fossero, andrebbero a vantag-gio degli azionisti e quindi ridi-stribuite ai soci (le Casse) sottoforma di dividendi.Da calcoli approssimativi si puòaffermare che il rapporto di basefra spese e ricavi non potrà esseresuperiore ad un trentesimo e potràsoltanto migliorare in previsionedello sviluppo dell’attività.

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Mod. 5 e versamento dei contributi: riprendono i controlliDopo un lungo periodo di inatti-vità, legato alla necessità di porta-re a definizione le circa 24.000 do-mande di condono pervenute al-l’Ente alla fine del 2003, sono ri-presi, da parte della Cassa, i con-sueti controlli sull’invio dei mo-delli 5 e sui connessi pagamenti daeseguire in autoliquidazione.Nello scorso mese di novembre,infatti, sono partite, a mezzo rac-comandata A/R, tutte le contesta-zioni in ordine all’omesso o ritar-dato invio del mod. 5/2002, non-ché quelle relative agli omessi, ri-tardati o incompleti versamentidei contributi in autoliquidazioneconnessi ai modd. 5/2001 e 2002.Si tratta, nel primo caso, di circa10.000 avvisi e, nel secondo, diben 20.000 contestazioni, chehanno contribuito ad intasare icentralini dell’Ente, nonché tuttigli uffici interessati.

Il dato normativo

L’invio del mod. 5 è consideratodalla legge e dai regolamenti del-la Cassa l’adempimento fonda-mentale cui è tenuto non solo ogniiscritto alla Cassa, ma anche ogniiscritto ad un Albo Forense (ordi-nario o dei cassazionisti).Il regolare flusso dei redditi e dei

volumi di affari degli avvocati ita-liani (o, comunque, esercenti inItalia anche se stranieri) consente,infatti, all’Ente di verificare il ri-spetto degli obblighi di iscrizione,la continuità professionale perl’accesso alle prestazioni, la rego-larità nel versamento dei contri-buti. A questo, deve aggiungersil’indubbia utilità dei dati a finistatistici ed attuariali, per la reda-zione di bilanci tecnici sempre piùpuntuali e attendibili.Per tutti questi motivi, l’art. 9 del-la legge n. 141/92, nonché il Re-golamento dei contributi dellaCassa prevedono, in caso diomesso o ritardato invio del mod.5, rispetto alle scadenze previsteanno per anno, una sanzione auto-noma e indipendente dal fatto seciò abbia comportato o meno eva-sione contributiva.Ricordiamo che il termine ultimoprevisto dal regolamento, per l’in-vio del mod. 5, è il 30 settembredi ciascun anno.Le sanzioni pecuniarie per questotipo di irregolarità sono stabilitein misura proporzionale al ritardo,da un minimo di € 95,00 ad unmassimo di € 380,00 (base mod.5/2007).Attenzione, però, l’omesso inviodel mod. 5 è da considerare uninadempimento molto più gravedel semplice ritardo. Per questomotivo è prevista anche una san-

zione accessoria, previa diffidainviata dalla Cassa, che consistenella segnalazione al Consigliodell’Ordine di appartenenza perl’apertura del procedimento disci-plinare finalizzato alla sospensio-ne dall’Albo (fino alla regolariz-zazione dell’inadempimento).Il pagamento dei contributi in au-toliquidazione, viceversa, è disci-plinato dagli artt. 17 e 18 dellalegge n. 576/80, così come modi-ficati dagli artt. 10 e 11 della leg-ge n. 141/92 e dal regolamentodei contributi della Cassa.Le scadenze oggi vigenti preve-dono il pagamento della prima ra-ta (pari al 50% del dovuto) entroil 31 luglio e la seconda rata, asaldo, entro il 31 dicembre di cia-scun anno.Il versamento deve riguardare siail contributo soggettivo, calcolatoin percentuale sul reddito profes-sionale netto dichiarato ai fini IR-PEF, sia il contributo integrativocalcolato, in percentuale del 2%,sul volume d’affari dichiarato aifini IVA.

Le sanzioni

Riepiloghiamo, brevemente, lesanzioni pecuniarie vigenti, anali-ticamente dettagliate nel regola-mento per la disciplina delle san-zioni (consultabile sul sito inter-net della Cassa www.cassaforen-se.it).

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Inadempienze degli iscrittiSono purtroppo frequenti le inadempienze degli iscritti alla Cassa: molti avvocati ignorano o trascurano i loro obblighi, spesso inconsapevoli degli effetti e delle sanzioni.

di Michele Proietti

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L’omesso invio del mod. 5 scontauna sanzione fissa pari al 100%del contributo minimo integrativodovuto per l’anno in cui il mod. 5doveva essere inviato (es. omessoinvio mod. 5/2002 = sanzione pa-ri ad € 340,00).Dal mod. 5/2007 in poi questasanzione è individuata in €

380,00, annualmente rivalutata inbase agli indici Istat.Il ritardato invio del mod. 5, oltreil termine del 30 settembre di cia-scun anno, sconta una sanzionepari ad una percentuale variabiledal 25% al 100% del contributominimo integrativo dovuto perl’anno in cui il mod. 5 doveva es-sere inviato.Per il mod. 5/2007, ad esempio,tali sanzioni vanno da un minimodi € 95,00, per ritardi contenutinei 30 giorni, fino ad un massimodi € 380,00.Alle sanzioni per il ritardo (o l’o-missione) nell’invio del mod. 5 siaggiungono le sanzioni nel paga-mento dei contributi dovuti in au-toliquidazione.Tali specifiche sanzioni vanno daun minimo del 5% dei contributinon pagati tempestivamente (perritardi contenuti nei 30 giorni) adun massimo del 30% (per l’omis-sione totale nel versamento deicontributi dovuti).Queste percentuali si aggravano fi-no al 100% nel caso in cui il man-cato versamento di contributi siaaccertato a seguito di controlli in-crociati con l’Anagrafe Tributaria.In ogni caso, per i mancati o ritar-dati versamenti in autoliquidazio-ne sono sempre dovuti gli interes-si di mora, nella misura previstaper le imposte dirette.

La prescrizione

Un breve cenno merita anche, inquesto contesto, il tema della pre-scrizione dei contributi, già tratta-to varie volte su questa rivista.Qui si vuole ricordare che la CassaForense, allo stato, applica ancorail termine decennale di cui all’art.19, legge n. 576/1980, decorrentedall’effettivo invio del mod. 5.La nota giurisprudenza di Cassa-zione che ritiene applicabile alleCasse professionali le norme sul-la prescrizione previste dalla l.335/95 presenta, in realtà, alcuneproblematicità di non poco conto,di cui è bene essere consapevoliprima di imbarcarsi in contropro-ducenti contenziosi.E’ vero che, secondo la Giurispru-denza prevalente, dovrebbe appli-carsi il termine prescrizionalequinquennale, ma è altrettanto ve-ro che i contributi non versati perintervenuta prescrizione, preclu-derebbero, per l’iscritto, la vali-dità dell’anno (o degli anni) ai fi-ni previdenziali, fatto, questo, noncerto compensato dai risparmicontributivi conseguibili.La tesi della applicabilità allaCassa Forense del termine quin-quennale previsto dalla legge n.335/95, pertanto, rischia di dive-nire un boomerang, in terminiprevidenziali, per l’iscritto, che sivedrebbe impossibilitato a utiliz-zare l’anno (o gli anni) di iscri-zione a fini pensionistici, ancheper prescrizioni di somme di mi-nima entità, stante il principiodella irricevibilità da parte del-l’Ente del contributo prescritto,anch’esso sancito dalla legge n.335/95 e ribadito più volte dallagiurisprudenza di Cassazione.Questa è, purtroppo, la duplice

natura della prescrizione in cam-po previdenziale, che non ha, cer-to, i semplici effetti estintivi diuna contravvenzione stradale o diuna sanzione amministrativa!

■ ■ ■

Le oltre 30.000 contestazioni spe-dite dalla Cassa, a norma del re-golamento delle sanzioni, si tra-sformeranno in accertamenti defi-nitivi da iscrivere a ruolo, nel ca-so in cui, entro i successivi 60giorni, il professionista interessa-to non sollevi contestazioni. Intutti gli altri casi, l’iscrizione aruolo delle somme è sospesa finoall’esame delle contestazioni e aduna verifica accurata della posi-zione, anche al fine di eliminareeventuali errori.Analogo accertamento, sulle di-chiarazioni e sui versamenti con-nessi al mod. 5/2003, è stato stral-ciato, in questa fase, per evitareun ulteriore sovraccarico non ge-stibile degli uffici e rinviato allaprimavera 2008 (anche in questocaso si stimano circa 10.000 con-testazioni per omesso o ritardatoinvio del mod. 5 e circa 12.000contestazioni per omesso o ritar-dato versamento di contributi).La lotta all’evasione, volontaria osemplicemente frutto di errorimateriali, torna, così, dopo qual-che anno di stasi, a rivestire unruolo fondamentale nelle strategiedella Cassa.Anche questo sarà un modo per ri-chiamare l’attenzione degli iscrittisu una maggiore diligenza negliadempimenti previdenziali obbli-gatori previsti dalla legge e dai re-golamenti, per non incappare ininutili e, a volte, pesanti sanzionipecuniarie certamente evitabili.

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La continuità nell’esercizio profes-sionale costituisce uno dei requisitirichiesti dalla normativa previden-ziale forense per accedere al pen-sionamento.Difatti l’avvocato, per tutto il pe-riodo d’iscrizione alla Cassa deve:– aver assolto agli obblighi dichia-

rativi del reddito professionale edel volume di affari IVA;

– aver ottemperato al pagamentodei contributi;

– aver dimostrato l’esercizio conti-nuativo della professione in as-senza di situazioni d’incompati-bilità.

Quanto sopra si evince dal conte-nuto degli artt. 2, 3, 4, 5, 7 della l.n. 576/80, nonché nelle medesimenorme come modificate dalla leggen. 141/92, che disciplinano i tratta-menti pensionistici ove si trova –sempre ribadita – la dizione “effet-tiva iscrizione e contribuzione”.Effettiva iscrizione significa iscri-zione valida ai fini pensionistici(non solo assistenziali).Quando si ritiene che tale condizio-ne sia soddisfatta?Si considera che sussista l’effettivoesercizio della professione quandoi redditi dichiarati ai fini IRPEFoppure i volumi d’affari dichiaratiai fini IVA siano d’importo supe-riore, o equivalente, ai livelli appo-sitamente stabiliti con delibera daicompetenti organi dell’Ente (cfr.tabella).

Ricordo che tali limiti vengonoogni anno indicati nelle istruzioniper la compilazione del mod. 5 ol-tre che nel sito internet www.cas-saforense.it e nelle pubblicazionidell’Ente (vedi, da ultimo, n. 4/07de La Previdenza Forense).Essi costituiscono uno spartiacqueoltre il quale la legge (art. 22 l. n.576/80) impone l’obbligo d’iscri-zione alla Cassa di Previdenza Fo-rense, proprio per garantire agli av-vocati – iscritti negli Albi profes-sionali che esercitano la libera pro-fessione con continuità – una tutelaprevidenziale per la vecchiaia o l’i-nabilità in osservanza del dettatodella carta costituzionale (art. 38).La Cassa di Previdenza ed Assi-stenza Forense è destinata, sin dal-la sua istituzione, alla tutela del-l’avvocato che esercita effettiva-mente la professione (vedi artt. 80e 95 R.d.l. n. 954/40).L’esercizio saltuario dell’attivitàforense lascia l’avvocato liberonella scelta della propria tutela pre-videnziale e l’Ente esente dal for-nirla.A tal fine la Cassa ha sempre veri-ficato l’esistenza del requisito dellacontinuità professionale al momen-to del pensionamento sulla base deiredditi dichiarati dai professionististessi e/o dagli uffici fiscali.Limitatamente al periodo anterioreal 1985 era possibile fornire taleprova, in via sostitutiva o integrati-

va a quella reddituale, mediante lacertificazione di un certo numeroannuo di nuovi procedimenti iscrit-ti a ruolo.La legge n. 319/75 ha attribuito al-la Cassa Forense il potere/dovere dieffettuare periodiche revisioni circala sussistenza della continuità pro-fessionale dei propri iscritti in mo-do che questi siano edotti sulla lorosituazione previdenziale e l’istitutopossa effettuare previsioni miratesulla spesa pensionistica.Una prima revisione generale degliiscritti fu eseguita a seguito del-l’entrata in vigore della predettanormativa e riguardò il decennio1966/75. Per gli anni in cui la con-tinuità dell’esercizio professionalenon era dimostrata, il professioni-sta veniva sospeso dall’iscrizione(art. 3 l. n. 319/75).Successivamente alle modifichenormative introdotte dalla legge diriforma n. 576/80, gli anni per iquali non risulta dimostrato l’eser-cizio continuativo della professio-ne vengono dichiarati inefficacidalla Giunta Esecutiva ed il relativocontributo soggettivo (quello corre-lato all’IRPEF) può essere rimbor-sato, a richiesta dell’iscritto (art. 22l. n. 576/80 u.c.).Dopo la revisione del periodo1966/75, la Cassa ha proceduto al-l’esame delle dichiarazioni reddi-tuali pervenute con riferimento alperiodo 1976/2000 e, da ultimo,

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Continuità professionaleL’esercizio continuativo della professione è un requisito per ottenere l’iscrizionealla Cassa e acquistare il diritto alle prestazioni. Nel numero precedente della rivista è stato affrontato l’argomento delle ragioni per cui la legge impone questo requisito. In questo articolo vengono esposte questioni pratiche, in particolare per la prova che l’iscritto deve dare alla Cassa nel momento in cui chiede prestazioni.

di Maria Caterina Neri Serneri

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anche alla revisione dei dati reddi-tuali del quinquennio 2001/05.Gli iscritti nei cui confronti sonostate rilevate annualità per le qualila continuità dell’esercizio profes-sionale non risulta provata hannoricevuto apposita comunicazionedella delibera di inefficacia dei pre-detti anni.Da quest’intensa attività di revisio-ne degli iscritti ai fini della verificadell’effettivo esercizio professiona-le emergono alcune costanti che sipossono mettere in evidenza peruna miglior amministrazione dellaposizione previdenziale da partedegli stessi professionisti.A tal fine giova prima ricordare chei criteri di prova prevedono dei li-miti “ordinari” di reddito e/o di vo-lume d’affari oltre i quali è ritenutoaccertato l’esercizio della profes-sione con carattere di continuitàanche facendo ricorso alla mediatriennale.Sono inoltre previste alcune “facili-tazioni” per i primi anni d’iscrizio-ne all’Albo: qualsiasi importo fat-turato nei primi tre anni d’iscrizio-ne coincidenti albo/cassa a dimo-strazione di aver iniziato la liberaprofessione mentre per gli anni dalquarto all’ottavo e per iscritti ultra-sessantenni sono sufficienti, per ilriconoscimento della continuità,dichiarazioni pari alla metà diquanto previsto ordinariamente.Il verificarsi di alcuni eventi, codi-ficati, rendono comunque valido,sotto questo profilo, l’anno d’iscri-zione alla Cassa e precisamente: lecariche politiche elencate nell’art.22 della l. n. 576/80 e la maternitàper un massimo di due anni.È inoltre previsto che la giunta ese-cutiva possa riconoscere l’efficaciadell’anno quando la mancanza direddito sufficiente alla prova dellacontinuità sia dovuta a malattia odaltro grave impedimento.

Per quanto sopra detto è importan-te che l’iscritto tenga conto, nellapropria organizzazione di studio,relativamente all’emissione annua-le delle fatture, anche dei criteriprevidenziali di efficacia dell’annospecie con riferimento alla possibi-lità di convalida con ricorso allamedia triennale.Tale facilitazione è stata recente-mente estesa anche agli anni conredditi o volumi d’affari pari a 0che potranno, quindi, essere media-ti con anni consecutivi di maggiorreddito tale da superare comunque,nel triennio, la somma degli impor-ti minimi di ciascuno dei tre annipresi in esame.Si fa inoltre presente che spesso lerichieste di convalida per malattia oaltro grave impedimento non ven-gono corredate di idonea documen-tazione impedendo così ai compe-tenti organi dell’Ente di poter valu-tare positivamente la richiesta.Al riguardo risulta quindi determi-nante che gli atti probanti la causadell’impedimento all’esercizio pro-fessionale, sulla cui base s’intendechiedere la convalida dell’anno invia discrezionale, siano raccoltitempestivamente ed in modo esau-stivo.Inoltre, per una buona gestione del-la propria posizione ai fini previ-denziali, si evidenzia l’assoluta ne-cessità per l’iscritto di comunicaretempestivamente i propri dati red-dituali accompagnati dal regolareversamento dei relativi contributi.Il mancato inoltro (ed il ritardo ri-spetto ai termini previsti dalla leg-ge) delle predette dichiarazioni odel versamento dei relativi contri-buti espongono il professionista:– alla difficoltà di ricostruire i pro-

pri dati reddituali indispensabiliper la determinazione dell’im-porto di pensione dal momentoche anche l’Agenzia delle entrate

non fornisce certificazioni oltre ilquinquennio;

– all’obbligo di pagamento di san-zioni ed interessi, talvolta d’im-porto così considerevole a causadei molteplici inadempimenti, daimpedire o ritardare il pensiona-mento essendo la “regolarità con-tributiva” l’altro requisito indi-spensabile per essere ammessi aitrattamenti previdenziali forensi.

Si evidenzia infine che la dichiara-zione di reddito o di volume d’affa-ri superiore ai limiti previsti per lavalidità dell’anno ai fini pensioni-stici e la delibera di revisione adot-tata sotto questo profilo non impe-disce all’Ente di procedere ad unriesame della posizione qualora ipredetti dati risultino difformi ri-spetto a quelli dichiarati al fiscooppure siano stati percepiti nell’e-sercizio di professione svolta in co-stanza di una delle situazioni d’in-compatibilità previste dall’art. 3del R.d.l. n. 1578/33.Si rimanda per un analitico esamedi quest’ultimo argomento ai mol-teplici articoli più volte pubblicatisu questa stessa rivista (n. 3/2004,pag. 252 e segg.; n. 1/2007, pag. 94e segg.; n. 3/2007, pag. 213 e segg.)con l’avvertenza che «in ogni casol’attività professionale svolta inuna delle situazioni d’incompatibi-lità … ancorché non sia stata ac-certata e perseguita dal consigliodell’ordine competente, precludesia l’iscrizione alla Cassa, sia laconsiderazione, ai fini del conse-guimento di qualsiasi trattamentoprevidenziale forense, del periododi tempo in cui l’attività medesimaè stata svolta» (comma 3 dell’art. 2della l. n. 319/75).Quindi gli organi collegiali delibe-rano la cancellazione dell’avvocatodalla Cassa per il periodo d’incom-patibilità seppur trascorso indipen-dentemente dal fatto – peraltro as-

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sai comune – che il professionistaabbia percepito proventi superioriai limiti di reddito utili per la provadell’esercizio continuativo ed abbiaquindi ottenuto, su tale presuppo-sto, comunicazione positiva in sededi revisione generale degli iscritti.Molteplici sono i collegamenti po-sti in essere tra gli Enti previden-ziali dai quali possono scaturire lenotizie di situazioni d’incompatibi-lità; si pensi ai sistemi informaticiper l’applicazione degli istituti del-

la ricongiunzione e della totalizza-zione dei periodi assicurativi, non-ché alla creazione del casellario ge-nerale dei pensionati e di quello de-gli iscritti al fine della redazionedell’estratto conto unificato.Ai sensi dell’art. 17, comma 8, leg-ge n. 576/80, la Cassa ha diritto inogni momento di ottenere daicompetenti uffici delle imposte di-rette e dell’iva le informazioni re-lative alle dichiarazioni dei propriiscritti dati dai quali emergono

proventi da altre attività, dipenden-ti e societarie.Al riguardo la legge non indicatermini di decadenza dalla possi-bilità di controllo delle situazionid’incompatibilità essendo la veri-fica quinquennale prevista per l’e-same dell’esistenza dei requisitidi continuità dell’esercizio pro-fessionale e la conseguente deli-bera d’inefficacia, sotto tale profi-lo, ai fini pensionistici (artt. 2 e 3l. n. 319/75).

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PERIODI CRITERI FISCALI

1952-1965 Iscrizione nei ruoli di ricchezza mobile categ. C1 di un reddito

1966-1973 professionale tassabile di qualsiasi importo

1974-1975 Reddito IRPEF di qualsiasi importo

REDDITO IRPEF NETTO VOLUME DI AFFARI IVA

euro lire euro lire

1976-1982 1.549,37 3.000.000 2.582,28 5.000.000

1983 1.466,74 2.840.000 2.200,11 4.260.000

1984 1.714,64 3.320.000 2.571,96 4.980.000

1985 2.453,17 4.750.000 3.679,76 7.125.000

1986 2.711,40 5.250.000 4.067,10 7.875.000

1987 3.532,57 6.840.000 5.298,85 10.260.000

1988 3.749,48 7.260.000 5.624,22 10.890.000

1989 3.935,40 7.620.000 5.903,10 11.430.000

1990 4.130,62 7.998.000 6.195,93 11.997.000

1991 4.400,21 8.520.000 6.600,32 12.780.000

1992 4.679,10 9.060.000 7.018,65 13.590.000

1993 4.988,97 9.660.000 7.483,46 14.490.000

1994 5.267,86 10.200.000 7.901,79 15.300.000

1995 5.484,77 10.620.000 8.227,16 15.930.000

1996 5.701,68 11.040.000 8.552,53 16.560.000

1997 6.042,55 11.700.000 9.063,82 17.550.000

1998 6.290,45 12.180.000 9.435,67 18.270.000

1999 6.383,41 12.360.000 9.575,11 18.540.000

2000 6.507,36 12.600.000 9.761,04 18.900.000

2001 6.600,32 12.780.000 9.900,48 19.170.000

2002 6.780,00 10.170,00

2003 6.960,00 10.440,00

2004 7.140,00 10.710,00

2005 7.320,00 10.980,00

2006 7.470,00 11.205,00

2007 7.590,00 11.385,00

2008 8.000,00 12.000,00

2009 9.000,00 13.500,00

2010 10.000,00 15.000,00

PROVA SOSTITUTIVA O INTEGRATIVA CON TRATTAZIONE DI AFFARI GIUDIZIARI

Tabella - Criteri per la prova dell’esercizio continuativo della professione

Dal 1985 in poi non è ammessa la prova integrativacon trattazione di affari giudiziari

20 nuovi procedimenti civili, amministrativi, penali, tri-butari o arbitrali

10 nuovi procedimenti civili, penali, amministrativi, tri-butari, arbitrali, oppure patrocinio in 5 nuove causeescluse quelle davanti al Conciliatore

4 nuove cause civili o penali

20 nuovi procedimenti, come sopra, purché sia stata rag-giunta almeno la metà dei livelli fissati per i criteri fiscali

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È ammessa la media tra redditio volumi di affari prodotti ai fi-ni IVA, relativi a tre anni conse-cutivi, e tra procedimenti trattatinell’ambito di tre anni consecu-tivi.

Per i praticanti con abilitazioneal patrocinio iscritti alla Cassa,non è richiesta la prova della con-tinuità dell’esercizio professiona-le essendo sufficiente, a tal fine, ilcertificato di abilitazione al patro-cinio dinanzi alle Preture, rila-sciato dal Consiglio dell’Ordinedi appartenenza.

Per la maternità, la madre èesonerata dalla prova dell’eserci-zio continuativo per due anni,compreso quello della nascita delfiglio se avvenuta dopo il 1983.

Nei casi comprovati di malattiao di altro grave impedimento, laGiunta Esecutiva può valutare,con giudizio discrezionale, lacontinuità e prevalenza dell’eser-cizio professionale, tenuto pre-sente ogni elemento fornito dal-l’interessato o comunque acquisi-to e sentito il parere del Consigliodell’Ordine di appartenenza.

LA PREVIDENZA FORENSE

Facilitazioni per la prova dell’e-sercizio continuativo della pro-fessione:– per i primi 3 anni di iscrizione al-

la Cassa, coincidenti con iscrizio-ne all’Albo, è sufficiente un red-dito professionale IRPEF o volu-me d’affari IVA di qualsiasi im-porto per ciascun anno successivoal primo;

– per i 5 anni successivi al triennioiniziale e, dopo il compimentodel 60° anno di età, i limiti direddito professionale indicatinei criteri fiscali (di cui alla no-ta 2) sono ridotti alla metà.

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La rivista torna ad occuparsi deirendimenti offerti dal sistema pre-videnziale forense. È parso inte-ressante infatti riproporre tale te-matica data l’attualità dell’argo-mento in una fase di cambiamen-to, come quella presente, che vedel’entrata in vigore di una riformaprevidenziale che comporterà pergli iscritti alla Cassa un aumentodell’onere contributivo e, conte-stualmente, la riduzione dell’im-porto medio delle pensioni dinuova decorrenza.Quest’anno, infatti, troverannoapplicazione le modifiche al siste-ma previdenziale forense conte-nute nella riforma approvata loscorso anno dai ministeri vigilan-ti (G.U. n. 30 del 06/02/07).In particolare, tra i vari interventiapprovati, il progetto di riformaha contemplato, in un’ottica diprevenzione di futuri squilibri,l’aumento della contribuzionesoggettiva dovuta dagli iscritti al-la Cassa e il progressivo amplia-mento a tutta la vita lavorativa delnumero dei redditi presi a baseper il calcolo delle pensioni. Talimodifiche, come tutte le riformeprevidenziali rivolte ad un aggra-vio di oneri per i contribuenti e aun contenimento dei benefici pen-sionistici, potrebbero produrre unclima di malcontento tra gli avvo-cati già iscritti alla Cassa o, co-munque, prossimi all’iscrizione e

indurli a ritenere più vantaggiosialtri prodotti assicurativi e finan-ziari presenti sul mercato.È quindi fondamentale che questiprofessionisti prendano piena co-scienza di quanto sia ancora mol-to remunerativo il particolare tipodi investimento rappresentato dalfinanziamento della propria pen-sione. La contribuzione alla Cas-sa, spesso tanto detestata dagli av-vocati, copre, infatti, soltanto po-co più della metà della promessapensionistica che viene garantitadall’ente previdenziale.In termini finanziari, ciò si tradu-ce in tassi di rendimento ricono-sciuti ai versamenti contributiviche si assestano su valori superio-ri a quelli mediamente consegui-bili sul mercato e soprattutto ga-rantiti indipendentemente dall’an-damento dei mercati finanziari.Pertanto, alla luce delle modifichenormative introdotte con la rifor-ma appena approvata, si è volutoquantificare, per un nuovo iscrittoalla Cassa, il “rendimento” offer-to dal sistema previdenziale fo-rense mediante il rapporto tracontribuzione versata e prestazio-ne pensionistica percepita.A tale scopo, sono stati presi inconsiderazione tre ipotetici avvo-cati iscritti alla Cassa Forense ca-ratterizzati da differenti progres-sioni del reddito professionale.Le simulazioni sono state effet-

tuate ipotizzando che gli ipoteticigiovani avvocati si iscrivano allaCassa nell’anno 2008 con un’etàanagrafica di 31 anni e che vi con-tribuiscano fino al pensionamentodi vecchiaia al compimento delsessantacinquesimo anno di età.Durante il periodo di iscrizionealla Cassa gli iscritti sono tenuti alversamento di una contribuzioneannua costituita da:– un contributo soggettivo pari al

12% del reddito professionaledichiarato ai fini IRPEF entro untetto (che per l’anno 2008 è paria 85.250 euro) più il 3% sullaquota di reddito oltre il tetto;

– un contributo integrativo parial 2% del volume d’affari di-chiarato ai fini IVA.

In particolare, le tre progressionidi carriera individuate si caratte-rizzano come segue:– Carriera reddituale piatta: il red-

dito professionale cresce me-diamente ad un tasso annuo rea-le del 5%;

– Carriera reddituale media: rap-presentativa della evoluzionemostrata in media dai redditidegli avvocati attualmenteiscritti alla Cassa e caratterizza-ta da tassi di crescita molto ele-vati nei primi anni di anzianità etassi di crescita più contenutinegli ultimi anni con redditi fi-nali pari al tetto contributivo;

– Carriera reddituale alta: caratte-

PLA PREVIDENZA FORENSE

Quanto l’iscritto finanzia la suapensioneAlla luce delle modifiche introdotte con la riforma recentemente approvata,l’investimento nella propria pensione costituisce ancora, per il nuovo iscritto alla Cassa Forense, un’operazione finanziaria vantaggiosa e priva di rischio assolutamente competitiva sui mercati finanziari e assicurativi.

di Antonella Menichetti

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rizzata da tassi di crescita supe-riori del 30% a quelli della car-riera reddituale media.

In tutti i casi il reddito iniziale è

La pensione di vecchiaia decor-rerà pertanto al compimento del65° anno di età e, secondo lanormativa attualmente vigente,sarà calcolata sulla media deiredditi professionali dichiaratisull’intera vita lavorativa (esclu-

ti versati e il valore capitale dellaprestazione percepita, si assestasu valori ben inferiori all’unità,ciò implica che la contribuzioneversata non è sufficiente a finan-ziare pienamente la copertura pre-videnziale offerta dalla Cassa.In particolare i dati mostrano cheun individuo che presenta una cre-scita media del proprio reddito pro-fessionale, e che si iscrive oggi perla prima volta alla Cassa Forensepagando per trentacinque anni uncontributo soggettivo del 12% finoa un tetto di euro 85.000 e del 3%oltre tale tetto, e un contributo inte-grativo del 2% sull’intero volumed’affari dichiarato, in media finan-zia appena il 60% della coperturaprevidenziale promessa dalla Cas-sa. Ciò significa che il 40% dellaspesa sostenuta dall’ente previden-ziale per l’erogazione della rendita

pensionistica spettante all’iscritto eall’eventuale nucleo familiare su-perstite è offerto dal sistema!Nel caso di iscritto con una pro-gressione di carriera più dinamica,il tasso di copertura sale al 73% invirtù dei più alti livelli di redditoprodotti ai quali tuttavia non è pie-namente commisurato l’importodella pensione per la presenza, ai fi-ni pensionistici, del tetto reddituale.Se si considera poi che una partedella contribuzione versata dall’i-scritto (il contributo integrativo) in

realtà è corrisposta dal cliente, l’o-nere effettivamente sostenuto dalprofessionista si riduce e finanziameno della metà (circa il 47%)della promessa previdenziale.Volendo misurare poi la redditivitàdi questa particolare operazione fi-nanziaria, si può fare riferimento altasso interno di rendimento, ovve-ro al rendimento annuo ricono-sciuto in media ai contributi versa-ti alla Cassa per ottenere una ren-dita vitalizia reversibile di importopari alla pensione erogata.

si i peggiori cinque) e con un’an-zianità di iscrizione pari a trenta-cinque anni.Sulla base delle simulazioni effet-tuate, per i tre individui ipotizzati,si avrà quindi la seguente situa-zione:

stato imposto pari a 8.000 euro,mentre ovviamente il reddito rag-giunto al pensionamento risultaessere diverso, in particolare:

I risultati, come dimostra il pro-spetto che precede, evidenzianoche le somme versate alla Cassa atitolo contributivo e la conseguen-te erogazione da parte dell’enteprevidenziale della rendita pen-sionistica, spettante all’iscritto inquiescenza e all’eventuale nucleosuperstite, costituiscono per ilprofessionista un’operazione fi-nanziaria altamente redditizia.In generale, risulta infatti che, intutti i casi, qualunque sia l’evolu-zione reddituale e contributiva diun generico iscritto alla Cassa, ilgrado di copertura, ovvero il rap-porto tra il montante dei contribu-

LA PREVIDENZA FORENSE

Reddito Reddito iniziale al pensionamento

Iscritto con carriera reddituale piatta € 8.000 € 42.027Iscritto con carriera reddituale media € 8.000 € 96.580Iscritto con carriera reddituale alta € 8.000 € 192.668

Importo Valore Montante Grado diannuo capitale dei contributi copertura

di pensione della versati (rapporto trapensione (Soggettivo montante

+ Integrativo) contributi e valore c. pensione)

Iscritto con carriera reddituale piatta € 13.440 € 236.965 € 140.761 59,4%Iscritto con carriera reddituale media € 35.432 € 624.721 € 370.812 59,4%Iscritto con carriera reddituale alta € 41.318 € 728.511 € 534.407 73,4%

Importo Totale Tasso diannuo contributi rendimento

di pensione soggettivi annuoversati riconosciuto

ai contributi versati

Iscritto con carriera reddituale piatta € 13.440 € 85.986 5,10%Iscritto con carriera reddituale media € 35.432 € 228.640 5,10%Iscritto con carriera reddituale alta € 41.318 € 308.609 4,40%

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PPREVIDENZAgestione della Cassa

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PLA PREVIDENZA FORENSE

I valori confermano la singolareredditività del sistema previden-ziale forense, che garantisce ren-dimenti reali medi annui pari acirca il 5%.In altri termini, affinché l’opera-zione sia per la Cassa una opera-zione attuarialmente equa, l’entedovrebbe investire sui mercati fi-nanziari i contributi soggettiviversati dagli iscritti e ottenere,con un bassissimo livello di ri-schio, un rendimento reale pari acirca il 5% annuo.A ciò si aggiunge il beneficio de-rivante dalla piena deducibilità fi-scale della contribuzione soggetti-va versata dagli iscritti alla Cassache, comportando la riduzionedell’onere effettivamente sostenu-to, produce miglioramenti in ter-mini di tasso di rendimento.Sicuramente ai lettori più attentinon sarà sfuggito che, studi prece-denti sul rendimento offerto dallaCassa ai versamenti effettuati daipropri iscritti, avevano mostratouna remuneratività superiore ri-spetto a quella evidenziata nellapresente analisi. Le ragioni di talidifferenze vanno ricercate nellemodifiche alla normativa previ-denziale forense introdotte con larecente riforma.Le innovazioni previste dalla

riforma produrranno, infatti, unmiglioramento, in termini diequità, del rapporto tra contributiversati e prestazioni erogate, inquanto determineranno per unverso l’aumento della contribu-zione e per l’altro la riduzionedell’importo medio delle pensionidi nuova decorrenza. Pertanto, aigiovani avvocati, che stanno in-traprendendo oggi il loro percorsoprofessionale e previdenziale, nonpotrà essere riconosciuta la stessaredditività garantita ai loro “pa-dri”: infatti, l’iscritto che accedeal pensionamento di vecchiaia og-gi o nei prossimi anni, ottiene, suicontributi versati, un rendimentomedio annuo reale pari a circal’8% (v. “La cultura previdenzia-le e finanziaria degli avvocati”nel n. 4/2007), contro un rendi-mento del 5% che, sulla base del-la normativa attualmente vigente,verrà riconosciuto alla contribu-zione versata da un neoiscritto al-lorché, fra 30-35 anni maturerà ildiritto alla pensione di vecchiaia.Le modifiche introdotte hannoquindi parzialmente ridotto laredditività di questa particolareoperazione finanziaria che, al dilà della sua specifica funzione,che è quella di assicurare mezziadeguati per la vecchiaia attraver-

so il trasferimento di risorse dal-l’età attiva a quella inattiva, rima-ne comunque un investimentocompetitivo nella variegata molte-plicità dei prodotti finanziari of-ferti oggi sul mercato.D’altra parte i professionistiiscritti alla Cassa, oltre a un tratta-mento strettamente previdenziale,godono di una copertura assicura-tiva per il verificarsi di eventi dan-nosi quali l’invalidità e la morte,coperture che, in un contratto diassicurazione, comporterebberoun costo aggiuntivo per ottenere imedesimi benefici garantiti dallaCassa.Ciò rende i trattamenti previden-ziali e assistenziali erogati dallaCassa ai suoi iscritti molto van-taggiosi e sicuramente competiti-vi rispetto ad altri prodotti assi-curativi proposti sul mercato.È quindi fondamentale che il gio-vane avvocato prenda coscienzadi tali opportunità e sia, sin dal-l’atto dell’iscrizione alla Cassa,parte attiva nella costruzione delproprio cammino previdenzialeutilizzando tutti gli strumenti asua disposizione per migliorare,al momento del pensionamento, illivello di copertura garantito dallarendita pensionistica.

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PPREVIDENZA

gestione della Cassa

LA PREVIDENZA FORENSE

Dati numerici rivalutatia cura di Maria Caterina Neri Serneri

e Gennaro Florio

Tabella - I dati numerici della legge n. 576/80 rivalutati

Anno Coefficienti per il calcolo Contributo Contributo Tetto Minimo IRPEF Minimo IVAe indici della pensione soggettivo integrativo del contributo per la prova per la provadi rivalu- e scaglioni di reddito minimo minimo soggettivo al 10% dell’esercizio dell’eserciziotazione (1) (2) (art. 10, 1° comma) (art. 11) (oltre: 3%) continuativo continuativo

(3) (4) (5) della professione della professione(6) (6)

1,75 fino a L. 20.000.000 (€ 10.329,14)1982 1,50 fino a L. 30.000.000 (€ 15.493,71) 600.000 180.000 40.000.000 3.000.000 5.000.000

(+21,1) 1,30 fino a L. 35.000.000 (€ 18.075,99) (€ 309,87) (€ 92,96) (€ 20.658,28) (€ 1.549,37) (€ 2.582,28)1,15 fino a L. 40.000.000 (€ 20.658,28)

1,75 fino a L. 23.700.000 (€ 12.240,03)1983 1,50 fino a L. 35.000.000 (€ 18.385,87) 710.000 213.000 47.500.000 2.840.000 4.260.000

(+18,7) 1,30 fino a L. 41.500.000 (€ 21.432,96) (€ 366,68) (€ 110,01) (€ 24.531,70) (€ 1.466,74) (€ 2.200,11)1,15 fino a L. 47.500.000 (€ 24.531,70)

1,75 fino a L. 27.600.000 (€ 14.254,21)1984 1,50 fino a L. 41.400.000 (€ 21.381,32) 830.000 249.000 55.200.000 3.320.000 4.980.000

(+16,3) 1,30 fino a L. 48.300.000 (€ 24.944,87) (€ 428,66) (€ 128,60) (€ 28.508,42) (€ 1.714,64) (€ 2.571,96)1,15 fino a L. 55.200.000 (€ 28.508,42)

1,75 fino a L. 31.700.000 (€ 16.371,68)1985 1,50 fino a L. 47.600.000 (€ 24.583,35) 950.000 285.000 63.500.000 4.750.000 7.125.000(+15) 1,30 fino a L. 55.600.000 (€ 28.715,00) (€ 490,63) (€ 147,19) (€ 32.795,01) (€ 2.453,17) (€ 3.679,76)

1,15 fino a L. 63.500.000 (€ 32.795,01)

1,75 fino a L. 35.100.000 (€ 18.127,64)1986 1,50 fino a L. 32.600.000 (€ 27.165,63) 1.030.000 315.000 70.200.000 5.250.000 7.875.000

(+10,6) 1,30 fino a L. 61.400.000 (€ 31.710,45) (€ 542,28) (€ 162,68) (€ 36.255,27) (€ 2.711,40) (€ 4.067,10)1,15 fino a L. 63.500.000 (€ 36.255,27)

1,75 fino a L. 38.100.000 (€ 19.677,01)1987 1,50 fino a L. 57.100.000 (€ 29.489,69) 1.140.000 342.000 76.200.000 6.840.000 10.260.000(+8,6) 1,30 fino a L. 66.700.000 (€ 34.447,68) (€ 588,76) (€ 176,63) (€ 39.354,02) (€ 3.532,57) (€ 5.298,85)

1,15 fino a L. 76.200.000 (€ 39.354,02)

1,75 fino a L. 40.400.000 (€ 20.864,86)1988 1,50 fino a L. 60.600.000 (€ 31.297,29) 1.210.000 363.000 80.800.000 7.260.000 10.890.000(+6,1) 1,30 fino a L. 70.800.000 (€ 36.565,15) (€ 624,91) (€ 187,47) (€ 41.729,72) (€ 3.749,48) (€ 5.624,22)

1,15 fino a L. 80.800.000 (€ 41.729,72)

1,75 fino a L. 42.300.000 (€ 21.846,13)1989 1,50 fino a L. 63.500.000 (€ 32.795,01) 1.270.000 381.000 84.600.000 7.620.000 11.430.000(+4,6) 1,30 fino a L. 74.000.000 (€ 38.217,81) (€ 655,90) (€ 196,77) (€ 43.692,25) (€ 3.935,40) (€ 5.903,10)

1,15 fino a L. 84.600.000 (€ 43.692,25)

1,75 fino a L. 44.400.000 (€ 22.930,69)1990 1,50 fino a L. 66.700.000 (€ 34.447,68) 1.333.000 400.000 88.900.000 7.998.000 12.000.000(+5,0) 1,30 fino a L. 77.800.000 (€ 40.180,35) (€ 688,44) (€ 206,58) (€ 45.913,02) (€ 4.130,62) (€ 6.195,93)

1,15 fino a L. 88.900.000 (€ 45.913,02)

(segue)

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PPREVIDENZAgestione della Cassa

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PLA PREVIDENZA FORENSE

Anno Coefficienti per il calcolo Contributo Contributo Tetto Minimo IRPEF Minimo IVAe indici della pensione soggettivo integrativo del contributo per la prova per la provadi rivalu- e scaglioni di reddito minimo minimo soggettivo al 10% dell’esercizio dell’eserciziotazione (1) (2) (art. 10, 1° comma) (art. 11) (oltre: 3%) continuativo continuativo

(3) (4) (5) della professione della professione(6) (6)

1,75 fino a L. 47.400.000 (€ 24.480,06)1991 1,50 fino a L. 71.100.000 (€ 36.720,09) 1.420.000 426.000 94.800.000 8.320.000 12.780.000(+6,6) 1,30 fino a L. 82.900.000 (€ 42.814,28) (€ 733,37) (€ 220,01) (€ 48.960,11) (€ 4.400,21) (€ 6.600,32)

1,15 fino a L. 94.800.000 (€ 48.960,11)

1,75 fino a L. 50.300.000 (€ 25.977,78)1992 1,50 fino a L. 75.400.000 (€ 38.940,85) 1.510.000 453.000 100.600.000 9.060.000 13.590.000(+6,1) 1,30 fino a L. 88.000.000 (€ 45.448,21) (€ 779,85) (€ 233,95) (€ 51.955,56) (€ 4.679,10) (€ 7.018,65)

1,15 fino a L. 100.600.000 (€ 51.955,56)

1,75 fino a L. 53.500.000 (€ 27.630,44)1993 1,50 fino a L. 80.200.000 (€ 41.419,84) 1.610.000 483.000 107.000.000 9.660.000 14.490.000(+6,4) 1,30 fino a L. 93.600.000 (€ 48.340,37) (€ 831,50) (€ 249,45) (€ 55.260,89) (€ 4.988,97) (€ 7.483,46)

1,15 fino a L. 107.000.000 (€ 55.260,89)

1,75 fino a L. 56.400.000 (€ 29.128,17)1994 1,50 fino a L. 84.500.000 (€ 43.640,61) 1.700.000 510.000 112.800.000 10.200.000 15.300.000(+5,4) 1,30 fino a L. 98.700.000 (€ 50.974,30) (€ 877,98) (€ 263,39) (€ 58.256,34) (€ 5.267,86) (€ 7.901,79)

1,15 fino a L. 112.800.000 (€ 58.256,34)

1,75 fino a L. 58.700.000 (€ 30.316,02)1995 1,50 fino a L. 87.900.000 (€ 45.396,56) 1.770.000 531.000 117.300.000 10.620.000 15.930.000(+4) 1,30 fino a L. 102.600.000 (€ 52.988,48) (€ 914,13) (€ 274,24) (€ 60.580,39) (€ 5.484,77) (€ 8.227,16)

1,15 fino a L. 117.300.000 (€ 60.580,39)

1,75 fino a L. 61.100.000 (€ 31.555,52)1996 1,50 fino a L. 91.500.000 (€ 47.255,81) 1.840.000 552.000 122.100.000 11.040.000 16.560.000(+4,1) 1,30 fino a L. 106.800.000 (€ 55.157,60) (€ 950,28) (€ 285,08) (€ 63.059,39) (€ 5.701,68) (€ 8.552,53)

1,15 fino a L. 129.800.000 (€ 63.059,39)

1,75 fino a L. 64.600.000 (€ 33.363,12)1997 1,50 fino a L. 96.800.000 (€ 49.993,03) 1.950.000 585.000 129.200.000 11.700.000 17.550.000(+5,8) 1,30 fino a L. 113.600.000 (€ 58.359,63) (€ 1007,09) (€ 302,13) (€ 66.726,23) (€ 6.042,55) (€ 9.063,82)

1,15 fino a L. 129.300.000 (€ 66.726,23)

1,75 fino a L. 67.100.000 (€ 34.654,26)1998 1,50 fino a L. 100.600.000 (€ 51.955,56) 2.030.000 610.000 134.200.000 12.180.000 18.270.000

(+3,9) 1,30 fino a L. 117.400.000 (€ 60.632,04) (€ 1.048,41) (€ 315,04) (€ 69.308,52) (€ 6.290,45) (€ 9.435,67)1,15 fino a L. 134.200.000 (€ 69.308,52)

1,75 fino a L. 68.200.000 (€ 35.222,36)1999 1,50 fino a L. 102.300.000 (€ 52.833,54) 2.060.000 620.000 136.500.000 12.360.000 18.540.000(+1,7) 1,30 fino a L. 119.400.000 (€ 61.664,95) (€ 1.063,90) (€ 320,20) (€ 70.496,37) (€ 6.383,41) (€ 9.575,11)

1,15 fino a L. 136.500.000 (€ 70.496,37)

1,75 fino a L. 69.400.000 (€ 35.842,11)2000 1,50 fino a L. 104.100.000 (€ 53.763,16) 2.100.000 630.000 139.000.000 12.600.000 18.900.000(+1,8) 1,30 fino a L. 121.500.000 (€ 62.749,51) (€ 1.084,56) (€ 325,37) (€ 71.787,51) (€ 6.507,36) (€ 9.761,04)

1,15 fino a L. 139.000.000 (€ 71.787,51)

1,75 fino a L. 70.500.000 (€ 36.410,21)2001 1,50 fino a L. 105.800.000 (€ 54.641,14) 2.130.000 640.000 141.200.000 12.780.000 19.170.000(+1,6) 1,30 fino a L. 123.400.000 (€ 63.730,78) (€ 1.100,05) (€ 330,53) (€ 72.923,71) (€ 6.600,32) (€ 9.900,48)

1,15 fino a L. 141.200.000 (€ 72.923,71)

1,75 fino a € 37.300 (L. 72.300.000)2002 1,50 fino a € 56.100 (L. 108.600.000) € 1.130 € 340 € 74.800 € 6.780 € 10.170(+2,6) 1,30 fino a € 65.400 (L. 126.600.000) (L. 2.190.000) (L. 660.000) (L. 144.900.000) (L. 13.140.000) (L. 19.710.000)

1,15 fino a € 74.800 (L. 144.900.000)

(continua)

(segue)

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LA PREVIDENZA FORENSE

Anno Coefficienti per il calcolo Contributo Contributo Tetto Minimo IRPEF Minimo IVAe indici della pensione soggettivo integrativo del contributo per la prova per la provadi rivalu- e scaglioni di reddito minimo minimo soggettivo al 10% dell’esercizio dell’eserciziotazione (1) (2) (art. 10, 1° comma) (art. 11) (oltre: 3%) continuativo continuativo

(3) (4) (5) della professione della professione(6) (6)

1,75 fino a € 38.3002003 1,50 fino a € 57.600 € 1.160 € 350 € 76.800 € 6.960 € 10.440(+2,7) 1,30 fino a € 67.150

1,15 fino a € 76.800

1,75 fino a € 39.2002004 1,50 fino a € 59.000 € 1.190 € 355 € 78.650 € 7.140 € 10.710(+2,4) 1,30 fino a € 68.750

1,15 fino a € 78.650

1,75 fino a € 40.2002005 1,50 fino a € 60.500 € 1.220 € 365 € 80.600 € 7.320 € 10.980(+2,5) 1,30 fino a € 70.450

1,15 fino a € 80.600

1,75 fino a € 41.0002006 1,50 fino a € 61.700 € 1.245 € 375 € 82.200 € 7.470 € 11.205(+2) 1,30 fino a € 71.850

1,15 fino a € 82.200

1,75 fino a € 41.7002007 1,50 fino a € 62.750 € 1.265 € 380 € 83.600 € 7.590 € 11.385(+1,7) 1,30 fino a € 73.050

1,15 fino a € 83.600

1,75 fino a € 42.5502008 1,50 fino a € 64.000 € 1.290 € 385 € 85.250 € 8.000 € 12.000(+2) 1,30 fino a € 74.500

1,15 fino a € 85.250

(continua)

Note alla tabella1) Secondo l’art. 2 della legge 576/80 lapensione si calcolava sulla media dei mi-gliori dieci redditi degli ultimi 15 annianteriori a quelli del pensionamento (ri-valutati secondo certi meccanismi): que-sto reddito medio viene moltiplicato peril numero di anni di anzianità di effettivaiscrizione alla Cassa e per coefficienti(vedi colonna 1) che sono variabili inmodo regressivo in funzione di determi-nati scaglioni del reddito medio stesso(vedi colonna 2). Tali scaglioni vengonorivalutati anno per anno per conservareil loro valore reale, sulla base delle rile-vazioni ISTAT.Con delibera del Comitato dei Delegatidel 19 gennaio 2001, approvata dai com-petenti Ministeri il 27 novembre 2001, ilperiodo di riferimento per il calcolo del-le pensioni con decorrenza dal 1° feb-braio 2002, è stato ampliato ai migliori20 anni sugli ultimi 25. L’applicazione diquesto maggior periodo di riferimentoavviene in modo progressivo, “pro rata”,

calcolandosi una prima quota di pensio-ne – corrispondente all’anzianità giàmaturata (al 31 dicembre 2001) – secon-do il previgente criterio, alla quale si ag-giunge una seconda quota – corrispon-dente all’ulteriore anzianità – calcolatasecondo i nuovi criteri. Per coloro che matureranno i requisitidal 1° gennaio 2008, la Riforma Previ-denziale, delibera del Comitato dei Dele-gati del 17 marzo 2006, approvata daiministeri vigilanti la pensione verrà cal-colata su tutti i redditi professionali di-chiarati dal professionista, antecedente-mente all’anno di decorrenza del tratta-mento, con l’esclusione dei peggiori 5anni. La media reddituale dovrà esserefatta in ogni caso su almeno 25 annua-lità.Nel rispetto dei diritti acquisiti anchequesto nuovo periodo di riferimento an-drà in vigore gradualmente; infatti percoloro che al 31 dicembre 2007, avrannomaturato almeno 40 anni di età e 5 annidi effettiva iscrizione e contribuzione,

l’importo di pensione verrà calcolatomediante la somma di 2 o 3 quote, le pri-me due quote, secondo quanto previstodalla delibera del Comitato dei Delegatidel 27 novembre 2001, sull’anzianitàmaturata fino al 31 dicembre 2007 e laterza con il nuovo periodo di riferimentoper l’anzianità dal 2008 in poi.Gli scaglioni indicati per il 2008 dovran-no essere utilizzati per il calcolo dellepensioni che matureranno nel corso del2009.Gli scaglioni di reddito previsti dalla leg-ge sono quattro.I coefficienti, per vari scaglioni, eranostati fissati nella legge 576/80, nella mi-sura, rispettivamente di: 1.50, 1.30, 1.15,1.00; con decreto ministeriale 25 settem-bre 1990 n. 258, i coefficienti erano giàstati così variati: 1.60, 1.39, 1.23, 1.07(l’efficacia di questa variazione si avevaa partire dal 1988); con legge n. 141/92,i coefficienti sono stati ulteriormente ele-vati, rispettivamente a 1.75, 1.50, 1.30,1.15, con effetto retroattivo fino al 1982.

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PPREVIDENZAgestione della Cassa

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Questi ultimi coefficienti si applicanoper tutte le pensioni maturate dopo il 1°gennaio 1982 e cioè a tutte le pensioniper le quali si applica la disciplina pre-videnziale prevista nella riforma del1980 (e perciò anche alle pensioni matu-rate anteriormente e per le quali sia sta-to tempestivamente richiesto il “ricalco-lo” secondo l’art. 28 della legge n.576/80).Si deve tenere presente che, per le pen-sioni liquidate con decorrenza sino al 31dicembre 1992, si applicano i coefficien-ti che erano in vigore nell’anno di matu-razione del diritto a pensione e, a parti-re dal 1° gennaio 1993, i nuovi coeffi-cienti introdotti dalla l. n. 141/92. Peruna informazione rispetto ai coefficientidel passato, rinviamo alla pubblicazionedelle precedenti tabelle e, da ultimo, al n.1/92 della nostra rivista, a pag. 73.2) L’art. 50 del Regolamento Generaleha determinato l’importo minimo di pen-sione, per l’anno 2007, in € 9.960,00 edha previsto che venga annualmente riva-lutato in proporzione alla variazione me-dia dell’indice annuo dei prezzi al con-sumo per le famiglie di operai ed impie-gati calcolato dall’ISTAT.Il Consiglio di Amministrazione, nellaseduta dell’11 gennaio 2008, vista la de-libera del maggio 2007 con cui venivastabilito l’indice di rivalutazione da ap-plicare agli importi di pensione dal 1°gennaio 2008 (2%) ha stabilito che perl’anno 2008 l’importo minimo di pensio-ne sia pari ad € 10.160,00.Con norma, di rilevante contenuto soli-daristico, nessuna pensione erogata dal-la Cassa può essere inferiore all’ammon-

tare della pensione minima, calcolatacome sopra esposto. 3) Il contributo soggettivo (vedi colonna3) minimo è dovuto da tutti gli iscritti al-la Cassa, indipendentemente dall’entitàdel loro reddito, col beneficio della ridu-zione alla metà per gli avvocati che ini-ziano la professione e che si iscrivonoper la prima volta alla Cassa prima diavere compiuto i 35 anni di età, nonché ipraticanti abilitati che si iscrivono per laprima volta alla Cassa prima di avercompiuto i 30 anni di età (dal 1° gennaio2008 il requisito anagrafico previsto peri praticanti, per la riduzione del contri-buto minimo, è equiparato a quello degliavvocati – 35 anni). Tale beneficio di ri-duzione alla metà del solo contributosoggettivo minimo opera per il primo an-no di iscrizione e per i due anni succes-sivi. Dal 1° gennaio 1993 i pensionati divecchiaia sono esonerati dal pagamentodel contributo soggettivo e di quello inte-grativo minimo e sono tenuti a versaresolo i contributi in misura percentuale.A decorrere dal 1° gennaio 2008 (mod.5/2009) i pensionati, che rimangonoiscritti agli albi, sono tenuti, dal 6° annosuccessivo al pensionamento, a corri-spondere sul reddito professionale, di-chiarato ai fini IRPEF, il contributo disolidarietà nella misura del 4% (in luogodel 3% in precedenza applicato) fino altetto reddituale e del 3% sulla parte ec-cedente il tetto. 4) Si evidenzia che dal 1° gennaio 2008,l’aliquota del contributo soggettivo variadal 10% al 12%.Il contributo soggettivo minimo viene pa-gato in quattro rate (mediante bollettini

MAV dal 2004) nel corso dello stesso an-no di competenza, mentre il contributo perla misura eccedente l’ammontare minimoè pagato in autotassazione, per una metàentro il 31 luglio dell’anno successivo aquello di produzione del reddito, e perl’altra metà entro il 31 dicembre dellostesso anno, come da nuovo Regolamentodei contributi deliberato dal Comitato deiDelegati dell’11 febbraio 2002, approvatodai ministeri vigilanti il 7 febbraio 2003.Il contributo soggettivo eccedente il mi-nimo è dovuto per intero anche da colo-ro che possono beneficiare della riduzio-ne alla metà del contributo minimo, co-me sopra indicato. 5) Il contributo integrativo è dovuto datutti gli iscritti agli albi, anche se noniscritti alla Cassa. Esso è fissato nellamisura del 2% sul volume complessivo diaffari dichiarato dall’iscritto ai fini del-l’IVA.Si ricorda che, per la legge 335/95 e suc-cessive modificazioni apportate dalleleggi n. 449/97 e n. 488/99, ogni redditoda lavoro autonomo è soggetto a contri-buzione previdenziale; per cui le even-tuali entrate non assoggettate a contri-buzioni a favore della Cassa Forensedebbono essere assoggettate al contribu-to a favore della gestione separata INPS.Nella tabella ora pubblicata viene indi-cata la misura del contributo integrativominimo (vedi colonna 4) che è dovuto datutti gli iscritti alla Cassa a pieno titoloe solo da costoro (infatti gli avvocati so-lo iscritti agli Albi sono obbligati al pa-gamento del contributo integrativo nellamisura del 2%, ma non del contributominimo).

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Luci ed ombre del nuovoregime fiscale dei contri-buenti minimi: un’ipotesidi concorrenza sleale exlege?Il regime dei contribuenti minimi,introdotto dall’art. 1, commi da96 a 117, della legge 24 dicembre2007 n. 244 (Legge Finanziariaper il 2008) prevede rilevantisemplificazioni per i contribuentiche abbiano realizzato nell’anno2007 compensi di importo non su-periore a € 30.000,00: è infattiprevista la possibilità di non ap-plicare, versare e detrarre l’IVA,con esonero di tutti gli adempi-menti connessi, nonché l’esonerodall’IRAP, e l’applicazione sulreddito di un’imposta sostitutivapari al 20%, con valenza ai finiIRPEF e per le addizionali regio-nali e comunali.Nonostante l’apparente conve-nienza fiscale di questo nuovo re-gime, per i professionisti il van-taggio della tassazione sostitutivaviene di fatto vanificato dal persi-stente obbligo di subire la ritenu-ta fiscale del 20% su ogni fatturaemessa nei confronti di soggettinon privati, generandosi in talmodo un credito d’imposta chenon potrà essere compensato connessuna altra imposta, stante l’e-senzione IVA e IRAP prevista dalregime stesso, e la natura onni-comprensiva dell’imposta sostitu-tiva del 20%.L’esenzione dall’IRAP, d’altron-de, si traduce in un beneficio co-munque spettante, visto che i con-tribuenti minimi non devono ave-re dipendenti o collaboratori, enon devono utilizzare beni stru-mentali di rilevante entità.

Illusorio si presenta l’esonero dal-la tenuta delle scritture contabili,in quanto, in caso di superamentoin corso d’anno del limite di €

45.000,00 nei compensi, è dovutal’IVA sulle prestazioni effettuatenell’intero anno solare, salvo ildiritto alla detrazione sugli acqui-sti relativi al medesimo periodo,con conseguente obbligatorietàdel regime ordinario di determi-nazione del reddito per tre anni.È ovvio che se nel corso dell’an-no non sono state tenute le scrittu-re contabili, si rende estremamen-te difficile o oneroso ricostruire leliquidazioni dell’IVA e determi-nare il reddito secondo le regoleordinarie: in definitiva, nell’incer-tezza sui compensi effettivamentepercepibili nell’anno in corso, èopportuno mantenere le scritturecontabili.Quanto al risparmio fiscale, è sta-to dimostrato (cfr. M. Longoni, Iminimi girano al minimo, in ItaliaOggi del 28/1/2008) che la perdi-ta delle detrazioni connessa allamancata partecipazione alla de-terminazione del reddito com-plessivo del reddito professionale“minimo” fa sì che il regime deiminimi sia effettivamente conve-niente solo per contribuenti conredditi alti che affiancano al red-dito di lavoro dipendente o dipensione ricavi di lavoro autono-mo inferiori a € 30.000,00.La novità più rilevante del regimeconsiste nella possibilità di emet-tere fatture senza addebito di IVA,a fronte dell’impossibilità di de-trarre l’IVA esposta nelle fatturerelative agli acquisti effettuati nel-l’esercizio della professione.Tale situazione è potenzialmente

lesiva del mercato professionale,in quanto, a fronte di professioni-sti c.d. ordinari che maggiorano illoro compenso del contributo pre-videnziale, e quindi dell’IVA al20%, coesisterebbero professioni-sti c.d. minimi che, pur conti-nuando, anche in assenza di volu-me d’affari (stante l’introdotto re-gime di esonero dell’IVA) ad ap-plicare il contributo integrativodella cassa previdenziale a titolodi rivalsa (come ha precisato ilPresidente della Cassa Forensesull’inserto di Italia Oggi di gen-naio 2008 Modello 5), non appli-cherebbero l’IVA, con un rispar-mio per il contribuente persona fi-sica pari esattamente all’importodell’IVA, e cioè del 20%.Ciò legittima la presunzione chela prestazione del professionistaminimo “costi” meno di quelladel professionista ordinario. Inrealtà la circolare esplicativa n.73/E del dicembre 2007 precisache, in caso di superamento incorso d’anno del limite di €

45.000,00, l’imposta è dovuta sututte le operazioni effettuate nelcorso dell’intero anno solare, edeve essere determinata con laprocedura dello scorporo.Quello che era chiaro diventaoscuro: se ad una prima lettura deltesto normativo sembrava eviden-te che la prestazione del profes-sionista minimo dovesse costaremeno, in virtù della mancata ap-plicazione dell’IVA, di quella delprofessionista ordinario, l’intro-duzione del procedimento delloscorporo fa al contrario presume-re che nella pratica si assisterà adun ribaltamento occulto dell’im-posta, con prestazioni maggiora-

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te, pur in mancanza di IVA, soloper evitare il rischio di dovere, alsuperamento del limite per la per-manenza nel regime, scorporare equindi versare l’IVA sui compen-si incassati.Va altresì sottolineato, per ulte-riormente rimarcare una valuta-zione problematica su detto nuo-vo regime, che esso si pone inprobabile contrasto con la norma-tiva comunitaria, in quanto la Di-rettiva CE 28 novembre 2006, n.2006/112, concede agli Statimembri la facoltà di introdurresemplificazioni per i contribuentiminimi, purché le semplificazioninon determinino una riduzionedell’imposta, nel rispetto del prin-cipio della proporzionalità e dellanon distorsione (cfr. P. Centore,Legittimità (minima) del regimedei minimi, in Corr. Trib. n.6/2008, p. 427).In concreto, il limite di €

30.000,00 introdotto dalla LeggeFinanziaria per il 2008 si presentatroppo alto per evitare censure insede comunitaria, per gli effettidistorsivi sul mercato professio-nale che potenzialmente si verreb-bero a creare.

Silvia A. Zenati

La lettera scritta da Silvia Zenati,avvocato e dottore commercialistain Verona, ci sembra molto interes-sante, sia dal punto di vista fiscale,sia per le implicazioni che ci pos-sono essere per la previdenza.Va ricordato che il sistema dellecontribuzioni della nostra Cassasi fonda sui dati risultanti delledichiarazioni fiscali: il redditoprofessionale per il contributosoggettivo e il volume d’affari peril contributo integrativo.Se cambia il regime fiscale, disco-standosi da quello delle dichiara-zioni considerate con la legge 20settembre 1980, n. 576, si aprono

numerose incognite sugli effettiche le innovazioni possono deter-minare sulle dichiarazioni, che gliiscritti agli albi e alla Cassa de-vono inviare.Il livello di 45.000 euro per il vo-lume d’affari è molto elevato, te-nendo conto di quanto dichiaratofinora dagli avvocati iscritti al-l’albo o alla Cassa.Quanti tra i contribuenti minimisi avvarranno della nuova legge?È il quesito che pone l’avvocatoSilvia Zenati.La risposta verrà con la presen-tazione delle prossime dichiara-zioni.Nel frattempo, è necessario che laCassa adotti regole precise perl’accertamento degli imponibilicontributivi.

d.d.

Ho letto con molto interesse l’ar-ticolo di Dario Donella inerentel’aggiornamento della prova del-l’esercizio continuativo della pro-fessione (pag. 358 del trimestraleLa Previdenza Forense n. 4 di ot-tobre-dicembre 2007).Il lungo excursus dell’autore siferma alle categorie dei G.o.t. edei Giudici di pace per i quali –dice l’autore – «valgono regoleparticolari per la loro previden-za».Poiché sono iscritto alla Cassa dal1983 e da cinque anni svolgo laprofessione forense solo part-timein quanto confermato nell’incari-co di G.d.p. per la sede di Napoli-Barra, gradirei conoscere da Da-rio Donella e/o dalla Vostra reda-zione quali sono le regole partico-lari accennate al termine dell’arti-colo di cui sopra. Grato per una esauriente risposta,porgo distinti saluti.

Nicola Alonzo

In realtà il problema della tutela

previdenziale dei Giudici di Paceè ancora oggi irrisolto, nonostan-te vari disegni di legge abbianocercato di colmare questa lacunanella normativa previdenziale.Mentre, infatti, per quanto ri-guarda i G.O.A. esistono precisenorme di legge che equiparano icompensi percepiti al reddito pro-fessionale consentendo di mante-nere l’iscrizione alla Cassa diPrevidenza Forense, norme di co-ordinamento di tal genere nonesistono per i Giudici di Pace.Il legislatore dovrà farsi carico diapprestare strumenti legislativiche prevedano la tutela previden-ziale del Giudice di Pace con pos-sibilità di far valere il periodo dilavoro esplicato come GiudiceOnorario ai fini della iscrizionealle Casse Professionali, allastessa stregua di quanto oggi av-viene per alcune funzioni pubbli-che e parlamentari.Se un avvocato sceglie, nell’ambi-to del proprio lavoro, di diversifi-care la propria attività svolgendo,spesso alternativamente, la pro-fessione forense e la funzione diGiudice di Pace, con particolareriferimento alle proprie capacitàe competenze, derivanti dall’i-scrizione all’albo di avvocato,non può essere penalizzato, inquanto la diversa attività che eglisvolge nel tempo è sempre riferi-bile alla medesima professionali-tà posseduta.Le soluzioni possibili sono stateesplicitate in vari disegni di leggeche, si spera, possano essere ri-presentati nel corso della prossi-ma legislatura.In tali disegni di legge si prevede-va, in particolare, l’equiparazio-ne, ai fini previdenziali, delle in-dennità corrisposte ai Giudici diPace, al reddito professionale,con conseguente pagamento dei

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contributi previdenziali (nel casodegli avvocati alla Cassa Foren-se) e successivo rimborso da par-te del Ministero della Giustiziaanalogamente a quanto già previ-sto per i Giudici Onorari aggre-gati.Si conta sulla sensibilità dellaclasse politica per dare finalmen-te una soluzione equa e razionalead un problema che riguarda or-mai migliaia di professionisti cuiviene, di fatto, ingiustamente sot-tratta ogni tutela previdenziale, afronte di una attività di così eleva-to rilievo sociale e istituzionale.

m.p.

Gradirei conoscere per quale mo-tivo non ricevo più, da parecchimesi, la rivista trimestrale “La

Previdenza Forense” e la pubbli-cazione “Modello 5”, supplemen-to di Italia Oggi, nonostante siasempre regolarmente iscritto al-l’Ordine di Arezzo ed alla Cassadi Previdenza.In attesa di riscontro, invio i mi-gliori saluti.

Vincenzo Belloni

La richiesta dell’Avv. Belloni e dialtri pensionati ci consente di fa-re una doverosa precisazione ainostri lettori in ordine alle moda-lità di spedizione della rivista.In effetti, negli ultimi anni, le cre-scenti spese postali e di stampadella nostra rivista e l’esponen-ziale aumento del numero degliiscritti ci hanno costretto, per mo-tivi di budget, a limitare la spedi-

zione gratuita ai soli iscritti allaCassa, con esclusione cioè, degliavvocati pensionati.Va considerato che, pur con que-ste limitazioni, la spedizione ri-guarda ormai oltre 125.000 avvo-cati e che la platea degli iscritti èquella, certamente, più diretta-mente interessata alle varie pro-blematiche previdenziali trattate.Tuttavia, qualora vi fossero ri-chieste di singoli pensionati cheabbiano interesse a ricevere an-cora il nostro periodico, si prov-vederà, nei limiti del possibile, avenire incontro a tali richieste,che vanno espressamente formu-late alla nostra redazione, comenel caso dell’avv. Belloni.

m.p.

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