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l'Africa nella STAMPA

Date post: 23-Jan-2017
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l'Africa nella STAMPA Source: Africa: Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente, Anno 5, No. 10 (Ottobre 1950), pp. 252-253 Published by: Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO) Stable URL: http://www.jstor.org/stable/40761595 . Accessed: 15/06/2014 10:45 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO) is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Africa: Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.127.79 on Sun, 15 Jun 2014 10:45:19 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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l'Africa nella STAMPASource: Africa: Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africae l’Oriente, Anno 5, No. 10 (Ottobre 1950), pp. 252-253Published by: Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO)Stable URL: http://www.jstor.org/stable/40761595 .

Accessed: 15/06/2014 10:45

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

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Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO) is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extendaccess to Africa: Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente.

http://www.jstor.org

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252 AFFRICA

ERITREA ED ETIOPIA.

Un recente articolo di Roberto Cantalupo sul settimanale « Tempo » («Tutto sbagliato per l'Eritrea», di cui non avvalliamo tutte le argomen- tazioni, ma di cui condividiam il con- cetto centrale, riprende il tema di un articolo di Giuliano Cora da noi com- mentato in questa stessa rubrica, nello scorso numero di settembre: la stretta interdipendenza fra il nostro atteggiamento verso l'Etiopia e la soluzione della questione eritrea. Dell'articolo di Roberto Cantalupo

riportiamo integralmente la conclu- sione:

« Quanto alla tragica situazione delle ultime migliaia di italiani ri- masti in Eritrea, ed alle vessazioni che essi subiscono da cinque anni per opera degli inglesi, che chiudono gli occhi di fronte ai delitti dei banditi sciftà, essa è troppo nota perché io debba illustrarla. Debbo però rilevare che essa è infinitamente più dolorosa e più grave della situazione di cui fruiscono i settemila connazionali nostri rimasti in Etiopia. Debbo dire che gli italiani in Abissínia stanno relativamente bene, malgrado la pro- paganda e l'insistenza straniera pres- so il Negus per farli allontanare o ridurli all'impotenza sia quotidiana e tenace »

« L'imperatore, in realtà, rappre- senta l'unico potere che può protegge- re, ed effettivamente protegge, i no- stri settemila fratelli, poiché l'imposi- zione inglese è riuscita finora ad im- pedire la nomina di un nostro rappre- sentante consolare in Addis-Abeba. Nessuno può tutelare sul posto gli italiani rimasti, e solo la cordiale ospitalità del Negus da loro una tran- quillità per il presente e sia pur va- ghi affidamenti per il futuro: prote- zioni europee in Etiopia, i nostri con- nazionali non ne hanno certo, e per- tanto la stampa italiana farà bene a tener conto di questa condizione di larga tolleranza di cui essi godono per volontà del Negus, non solo per una giusta valutazione attuale, ma anche per l'ipotesi accentuata che gli stessi italiani di Eritrea debbano pri- ma o poi cadere in qualche misura sotto la giurisdizione del Negus. Il dovere di ogni italiano è quello di superare il pudore della sconfitta, e guardare crudamente le cose quali sono, nell'interesse stesso del Paese, perché questo parlarsi chiaro almeno tra di noi è anche l'unica maniera per affrontare la realtà e iniziare la opera di miglioria. Debbo a questo punto indicare l'errore massimo che abbiamo commesso: l'errore cioè di aver creduto possibile presentarsi al Negus, per la questione dell'Eritrea (che senza un accordo amichevole tra Roma ed Addis Abeba non poteva essere in alcun modo risolta con no- stro vantaggio) rafforzati da un ap- poggio inglese e americano, che do- vevamo sapere mai avremmo ottenu-

to, essendo i loro interessi africani costituzionalmente contrari ad un no- stro qualsiasi ritorno nel Continente Nero. E* stato l'errore di avere cer- cato l'accordo con i vincitori anglo- sassoni prima, per imporlo al Negus poi, invece di cercare il possibilissimo accordo con il Negus prima, per pre- sentarsi poi agli americani e agli in- glesi veramente così rafforzati, visto che l'Etiopia può ancora desiderare l'amicizia e la collaborazione dell'I- talia, per equilibrare sul proprio ter- ritorio il peso delle preponderanti influenze altrui.

« La strada per arrivare a Londra passava per Addis Abeba e ancora passa, mentre la strada per arrivare ad Addis Abeba è stata violentemente sbarrata, e ancora lo è, a Londra e a Washington. Qui abbiamo sbaglia- to, qui abbiamo perduto la partita, qui abbiamo rovinato noi in Est-A- frica e l'Eritrea per il suo futuro. Condividono equamente questa colpa, nella solidarietà negativa dell'azione diplomatica errata, il Presidente De Gasperi e il conte Sforza, che durante questi anni mai hanno voluto ricono- scere l'ostilità inglese come un fatto concreto e regolarsi in conseguenza, e infine il duca Gallarati-Scotti no- stro ambasciatore a Londra ».

GLI ITALIANI IN EGITTO. In un articolo su « Italiani nel Mon-

do » del 10 ottobre, Tullio Pegna trat- ta la difficile situazione della colonia italiana d'Egitto; difficile, ma non di- sperata, in quanto il Pegna ricondu- ce molte delle difl&coltà ad una crisi generica di nazionalismo, che presto o tardi dovrà risolversi e trovare il suo equilibrio.

«Le colonie italiane d'Egitto - scrive il Pegna - sonó state fra le più prospere del Mediterraneo: da un piccolo nucleo d'italiani, recatosi colà circa un secolo fa, e a cui si erano aggiunti altri italiani immigrati nel periodo successivo, erano sorte colo- nie che facevano onore alla Madre Patria. Industriali, artigiani, profes- sionisti, banchieri, operai, commer- cianti, imprenditori di lavoro, essi si erano imposti in ogni campo d'atti- vità. Senza esservi assimilati al pas- se che li ospitava, essi, il cui numero si aggira oggi sui G0.00O, si erano in- tegrati nella vita dell'Egitto e conser- vavano - come tuttora conservano - le migliori relazioni sociali e di af- fari con gli egiziani e con gli stra- nieri di altre nazionalità». « Le scuole italiane, per l'alto pre- stigio di cui godevano, erano frequen- tate anche da non italiani; gli studi di avvocati, di medici, di ingegneri, attiravano clienti di ogni nazionali- tà: e la competenza e la correttezza dei magistrati italiani si erano affer- mate in stretta collaborazione con magistrati egiziani e di altre nazioni, nei Tribunali Misti, che per 75 anni furono un modello di giurisdizione ».

La reazione nazionalistica fra il 1936 e il 1939 e dal 1945 ad oggi ha fatto sentire acuto negli egiziani il desiderio di occupare tutte le leve di comando, e « così nuove leggi rese- ro impossibile l'immigrazione di ele- menti nuovi: soltanto singoli specia- listi possono ora venire dall'estero in Egitto, ed occorre un'autorizzazione del Ministero competente, difficile a ottenere; infine, i contratti di im- piego debbono essere di breve durata.

« Inoltre, nuove difficoltà sono sorte all'esercizio dell'attività degli stranieri che si trovano in Egitto e ai quali è riconosciuto il diritto di residenza, purché vi abbiano fissa dimora dal 1932, rinnovabile di anno in anno, a traverso formalità che sono lungi dal- l'essere agevoli.

« Infatti, con legge del 1947, il Go- verno egiziano ha decretato che, nel- le società anonime:

a) il 40 % dei membri del Consi- glio di Amministrazione deve essere egiziano;

b) il 75 % almeno degli impie- gati deve essere egiziano e ad essi deve spettare almeno il 65 % del to- tale degli stipendi ed indennità;

e) il 90% almeno degli operai de- ve essere egiziano e ad essi deve spettare almeno l'80% del totale dei salari ed indennità;

d) il 51 % delle azioni delle nuo- ve società anonime deve appartene- re ad egiziani, e così pure il 51 % delle azioni nuovamente emesse da società già costituite.

« Tre anni sono stati concessi per raggiungere, in tre tappe successive, le proporzioni indicate sotto b) e e): e questi tre anni scadono nel novembre 1950.

«Se le due prime tappe sono state raggiunte senza che le comunità ne risentissero troppo le conseguenze, la terza comporterà il licenziamento di molti stranieri, che difficilmente troveranno un'altra sistemazione.

«Inoltre, nell'ottobre 1949, hanno avuto fine i Tribunali Misti, con la conseguente perdita dell'impiego da parte di numerosi funzionari stra- nieri, la quasi cessazione dell'attività professionale di molti avvocati e il licenziamento del loro personale.

« L'infausta entrata in guerra della Italia segnò la decadenza della colo- nia italiana in quel Paese: da un giorno all'altro, numerosi italiani per- sero il loro impiego, senza aver di- ritto ad alcun indennizzo; gli uomi- ni dai 18 ai 45 anni furono internati; e i beni italiani furono sequestrati, e con quelli anche i beni delle società anonime egiziane in cui prevalessero interessi italiani.

« Tuttavia, senza la prevalenza del nazionalismo, sarebbe stato forse re- lativamente facile ,a guerra finita, agli italiani - sulle cui qualità di operosità e sopportazione è superfluo insistere - di rimontare completa- mente la china e riprendere la si- tuazione morale, finanziaria e sociale che occupavano in passato. Ma nelle attuali condizioni, tale possibilità - se non definitivamente tramontata - è per lo meno enormemente ri- dotta, in ispecie per le nuove gene- razioni.

« Per di più le trattative in corso al Cairo fra il Governo italiano e quel-

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AFFRICA _______„ _???.

lo egiziano per la conclusione di un trattato di stabilimento, sono state interrotte: egualmente interrotte so- no state quelle con la Francia. Inol- tre sembra che le trattative con la Grecia (la cui colonia raggiunge le 100.000 anime), siano lungi dall'es- sere completate. Infatti, l'Egitto ha proposto delle condizioni meno favo- revoli di quelle di cui gli stranieri godono attualmente, e si rifiuta di tenere conto della situazione acqui- sita in Egitto dai numerosi stranieri e del beneficio indiscutibile che l'E- gitto medesimo ha tratto e può an- cora trarre dalla loro presenza. | « La sospensione delle trattative può avere, però, un effetto benefico: auto- revoli voci si sono fatte udire recen- temente in Egitto, che domandano, se non l'abolizione, almeno l'attenua- zione delle restrizioni che le leggi recenti hanno portate al lavoro e al capitale straniero,

« Non si deve quindi escludersi che, in un lontano avvenire, l'Egitto si inserisca nel grande piano della soli- darietà mondiale e, con opportuni provvedimenti legislativi interni e ac- cordi internazionali, permetta agli stranieri, che vìvono da tanti anni nel paese, di continuare, e più an- cora di riprendere, l'esercizio della loro attività, di cui l'Egitto ha ap- profittato in passato e può ancora approfittare in avvenire ».

L'ANNESSIONE DI FATTO DELLA AFRICA ORIENTALE EX-TEDE- SCA.

Riportiamo dalla rivista «Esten» del 30 settembre:

« Per la prima volta l'antica colonia tedesca del Sud-Ovest africano, tra- sformata nel 1920 in mandato della Società delle Nazioni, è stata chiama- ta ad eleggere dei deputati al Parla- mento dell'Unione Sud-Africana. Fino ad ora essa si limitava ad avere una piccola assemblea locale compo- sta di 18 membri. Il Governo sud- africano, quando era presieduto dal maresciallo Smuts, e l'Organizzazione delle Nazioni Unite prese il posto del- la Società delle Nazioni, rifiutò di riconoscere la commissione di tutela. Esso dichiarò che la decisione del trattato di Versailles, che aveva affi- dato all'Unione Sud-Africana il man- dato sul Sud-Ovest africano tedesco, non era più valida e non l'impegna- va affatto verso la nuova organizza- zione internazionale. La corte della Aja diede ragione al Governo sud- africano e soltanto decise che questo ultimo mandasse dei rapporti di tanto in tanto a Lake Succès. Il mare- sciallo Smuts, finché conservò il po- tere, non mancò mai di adempiere a questa formalità. Il dottor Malan, suo successore, capo del partito naziona- lista, invece si rifiutò. Lo stesso anno egli fece votare il South West Afri- ca Affairs Amendment Act, il quale stabilisce che 6 deputati e 4 mem- bri siano eletti dalla ex-colonia te- desca e mandati alle due Camere del- l'Unione. Questa decisione equivale- va praticamente ad una annessione del territorio. Malgrado questa an- nessione non sia stata proclamata ufficialmente, le elezioni hanno avuto luogo poche settimane fa.

I 26 mila bianchì della ex-colonia

(dato che i 300 mila negri non hanno il diritto di votare) hanno eletto i loro rappresentanti che siederanno quanto prima al parlamento di Preto- ria; essi appartengono tutti alla cor- rente nazionalista del dottor Malan, la cui maggioranza aumenta di 6 voti alla Camera e di 4 al Senato. Il dottor Malan per tal modo non solo organizza su basi nuove l'equili- brio dell'Unione, ma consolida anche la sua autorità e la sua posizione per- sonale. Ciò non mancherà di provo- care alcune reazioni all'estero, dove la sua politica razzista contìnua ad essere combattuta. Ma appunto per questo l'aumento della sua maggio- ranza in Parlamento avrà un valore prezioso. Esso conferma e sostiene la tanto discussa politica del pre- sidente. I nuovi elettori sono tutti di origine tedesca; ciò permetterà agli avversari di dire che il dottor Ma- lan vuole seguire le tendenze hitle- riane. Anzi lo si dice già. Ciò non toglie che la questione razziale nella Unione Sud-Africana sia una cosa as- sai più complessa e debba essere con- siderata in base ad elementi non puramente teorici, ma sopratutto pra- tici.

LIB» THE WORLD OF ARABS (U Mondo

degli Arabi) di E. J. Byng, ed. Lit- tle, Brown & C, Boston 1944, rive- duto ed aggiornato nel 1950.

E' un libro strano, che sulle prime lascia perplessi per la sua apparen- te mancanza di omogeneità, e so- pratutto per certo suo tono apolo- getico, per certe prese di posizione da neofita, per certe tesi sventolate a glorificazione di un'idea. Un tono al quale siamo tanto assuefatti dal- la propaganda quotidiana, che si vorrebbe non ritrovarne la eco in un libro di cultura.

Poiché libro di cultura è, malgra- do tutto, quest'opera del Byng. Non si fermi il lettore alla postulazione della tesi (superiorità della cultura islamica sulle culture con le quali il suo moto espansionistico la portò in conflitto: superiorità nel complesso, e specie nglei aspetti etici e politici), ma cerchi piuttosto quella che è la giustificazione vera del libro: neces- sità che l'Occidente si liberi dalla sua tradizionale ignoranza della cul- tura islamica, che pur tanto contri- buì a formare la sua stessa cultura.

Qui risiede il valore vero del li- bro, che, nella sua apparente etero- geneità, riesce ad individuare e a mettere in luce le forze vive della cultura islamica e a seguirla nel cor- so della loro tormentata storia, per

ritrovarle nella vita politica d'oggi. E' una miniera d'informazione,

non sempre esatta e non sempre imparziale, ma spesso rara, e sgor- gante da un sincero desiderio di co- noscenza e di comprensione umana.

Chiunque si occupi d'Affrica non può ignorare la grandiosa eredità della cultura islamica, che ancor oggi forma il nucleo più vivo e vi- tale di tante comunità affricane.

Là dove l'autore esce dal pelago delle esemplificazioni e tira le fila del suo pensiero, il libro acquista una formidabile coerenza e proietta davanti agli occhi del lettore un qua- dro profetico dell'importanza che il blocco asiatico (di cui il blocco mu- sulmano è parte) va acquistando nella storia del mondo moderno, co- me forza equilibratiche e spianatri- ce del conflitto Russia-Occidente.

Dalla lunga analisi delle caratteri- stiche attuali dell'Oriente egli trae la convinzione che l'Oriente stesso accetterà sempre meno di aderire al- l'una o all'altra delle due parti in conflitto, ma si inserirà fra di esse come un cuneó, rendendo il conflitto impossibile.

E in verità l'Oriente, le cui propag- gini si affondano nel cuore dell'Af- frica, ha tutto il peso di uomini, di ricchezze e di saggezza politica per far questo. «E' mia ferma opinione - conclude l'A. - che il sistematico rifiuto del nuovo blocco asiatico ad affiancarsi apertamente alla Russia o all'Occidente, sia una vera benedi- zione per la stabilità della pace mon- diale, forse il più gran dono che il Fato abbia elargito agli uomini del- la nostra generazione, oppressi dalla paura ».

E fa piacere trovare in un libro, che con talvolta partigiana veemen- za denuncia la brutalità dell'offen- siva colonialista europea in Affrica e in Oriente, fa piacere, dico, tro- varvi il riconoscimento che - per- lomeno in un periodo della storia coloniale di una Nazione europea, l'Italia - vi fu il sincero proposito di comprendere le esigenze cultura« dei nativi e di collaborare con essi. Citando un suo colloquio con Italo Balbo, allora ministro dell'aeronau- tica, il Byng scrive: « Balbo disse che egli non aveva mai avuto occasione di lavorare in un paese mussulmano, ma che, se tale occasione gli si fosse presentata, avrebbe sinceramente cercato di collaborare con i nativi. E in verità, quando assunse il go- vernatorato della Libia, tenne fede a questo principio ».

In un altro punto del libro l'A. mette in bella evidenza il compito civilizzatore che le due grandi so- relle latine, Italia e Francia, sono an- cora chiamate a svolgere nel Medi- terraneo e in Affrica.

Pare che il libro del Byng non tar- derà ad uscire in traduzione italiana a cura di una importante casa édi- trice milanese. Dopo averne rilevato ì difetti, non esitiamo a segnalarlo a quanti sentono il bisogno di libe- rarsi dalla tradizionale crosta di ignoranza che ha spesso impedito e impedisce la comprensione e la col- laborazione con i popoli di cultura islamica.

Sereno Gaddi

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