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LEZIONE 6 DISTRETTI INDUSTRIALI E SISTEMI PRODUTTIVI...

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Facoltà di Economia Università di Roma "Tor Vergata" Anno accademico 2003/04 Secondo semestre Corso: Economia dell’innovazione Docente Prof. Riccardo Cappellin LEZIONE 6 DISTRETTI INDUSTRIALI E SISTEMI PRODUTTIVI LOCALI
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Facoltà di Economia Università di Roma "Tor Vergata"

Anno accademico 2003/04 Secondo semestre

Corso:

Economia dell’innovazione

Docente

Prof. Riccardo Cappellin

LEZIONE 6

DISTRETTI INDUSTRIALI E SISTEMI PRODUTTIVI LOCALI

1

L’evoluzione della struttura industriale in Italia La distribuzione degli occupati per dimensioni delle imprese industriali dimostra l’importanza delle piccole e medie imprese. In Italia gli addetti nelle imprese industriali con più di 250 addetti sono solo il 28,6%, contro il 62,5% in Germania, il 53,0% in Francia, il 55,5% in UK, il 63,4% in USA. Peraltro, tale percentuale è il 25,9% in Giappone e il 32,2% in Spagna. In particolare, le imprese fino a 9 addetti rappresentano il 23,3%: una percentuale largamente superiore a quella degli altri paesi (3-8%). L’evoluzione degli occupati per dimensione delle imprese industriali dimostra la continua diminuzione dell’occupazione nella grande impresa. Infatti, in Italia gli addetti nelle imprese industriali con più di 500 addetti sono diminuiti dal 24,0% nel 1971 al 13,0% nel 1991. La percentuale delle micro-imprese (<9 addetti) è prima diminuita dal 32,3% nel 1951 al 20,2 % nel 1971 e quindi è aumentata al 26,2% nel 1991. Comunque nel periodo 1951-1991 anche essa è diminuita. E’ invece aumentata la quota sull’occupazione delle piccole imprese (10-49 addetti) dal 14,1% nel 1951 al 31,6% nel 1991. Pertanto, nel lungo periodo si è assistito alla scomparsa delle imprese artigianali e allo sviluppo della piccola impresa subfornitrice.

Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell’Innovazione, Università di Roma "Tor Vergata".

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Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell’Innovazione, Università di Roma "Tor Vergata".

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Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell’Innovazione, Università di Roma "Tor Vergata".

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Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell’Innovazione, Università di Roma "Tor Vergata".

5

ADDETTI ALLE UNITÀ LOCALI IN ITALIA PER CLASSE DIMENSIONALE E SETTORE ( valori percentuali)

Classe dimensionale Settore

Anno Meno di 250 addetti 250 addetti e più Settori di specializzazione dei

distretti Atri settori

1971 66,5 33,5 62,0 38,0

1981 72,1 27,9 62,7 37,3

1991 79,8 20,2 64,8 35,2

1996 81,7 18,3 66,1 33,9

Fonte: elaborazioni su dati Istat, Censimenti 1971, 1981, 1991 e Censimento intermedio 1996.

Fonte: Iuzzolino, G., I distretti industriali nel censimento intermedio del 1996: dimensioni e caratteristiche strutturali, in Signorini, L.F. (a cura di), Lo sviluppo locale: un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali, Roma, Meridiana Libri 2000.

Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell’Innovazione, Università di Roma "Tor Vergata".

6

DIMENSIONE MEDIA DELLE IMPRESE PER CLASSE DI ADDETTI

medie semplici quota cumulata degli addetti

Classe di addetti non distretti distretti (1) distretti (2) non distretti distretti (1) distretti (2) Sud e Isole

1 1,0 1,0 1,0 4,8 2,8 1,9 9,6

2 2,0 2,0 2,0 9,0 6,3 5,1 16,7

3 -- 5 3,7 3,8 3,8 17,7 14,8 12,9 29,5

da 1 a 5 1,9 2,2 2,3 17,7 14,8 12,9 29,5

6 -- 9 7,2 7,3 7,3 25,3 24,3 22,4 39,5

10 -- 15 12,1 12,2 12,2 33,7 36,2 35,1 49,7

16 -- 19 17,3 17,3 17,4 38,0 43,0 42,5 54,7

20 -- 49 29,0 28,7 28,4 51,7 62,8 63,0 72,7

50 -- 99 69,2 69,7 69,8 59,4 74,0 74,7 80,9

100 -- 199 138,5 134,7 133,0 66,7 83,7 84,1 87,5

200 -- 250 222,8 221,1 219,6 69,0 86,3 86,6 89,0

da 6 a 250 19,4 19,8 19,7 51,3 71,5 73,7 59,6

251 -- 499 343,7 339,2 344,9 75,0 92,8 92,6 92,4

500 -- 999 701,0 661,6 668,0 80,8 96,0 96,0 94,7

1.000 e più 3194,4 1929,4 1770,1 100,0 100,0 100,0 100,0

oltre 250 972,9 526,2 542,3 31,0 13,7 13,4 11,0

Totale 8,4 9,5 10,7

Fonte: ISTAT, censimento intermedio 1996 (1) totale delle imprese localizzate nei distretti (2) sottoinsieme delle imprese operanti nei settori di specializzazione.

Fonte: Iuzzolino, G., I distretti industriali nel censimento intermedio del 1996: dimensioni e caratteristiche strutturali, in Signorini, L.F. (a cura di), Lo sviluppo locale: un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali, Roma, Meridiana Libri 2000.

Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell’Innovazione, Università di Roma "Tor Vergata".

7

ADDETTI ALLE UNITÀ LOCALI NEI SISTEMI DISTRETTUALI E NON DISTRETTUALI INDIVIDUATI NEL 1991

( migliaia di unità, valori e variazioni percentuali)

Settori manifatturieri Totale attività economiche (1)

Anno di Censimento sistemi non distrettuali

sistemi distrettuali peso dei distretti sul totale nazionale

Sistemi non distrettuali

sistemi distrettuali peso dei distretti sul totale nazionale

1951 2.345 1.154 33,0 4.904 1.853 27,4

1961 2.734 1.391 33,7 6.750 2.543 27,4

1971 3.078 1.773 36,5 7.766 3.173 29,0

1981 3.367 2.211 39,6 9.134 4.076 30,9

1991 (2) 3.028 2.201 42,1 9.110 4.243 31,8

1991 (3) 2.989 2.221 42,6 9.668 4.420 31,4

1996 2.683 2.172 44,7 9.356 4.437 32,2

Fonte: elaborazioni su dati Istat, Censimenti delle attività produttive dal 1951 al 1991 e Censimento intermedio 1996. (1) Sono esclusi i settori non rientranti nel campo di osservazione del 1951. (2) Dati omogenei con in precedenti censimenti. (3) Dati omogenei con il Censimento intermedio del 1996.

Fonte: Iuzzolino, G., I distretti industriali nel censimento intermedio del 1996: dimensioni e caratteristiche strutturali, in Signorini, L.F. (a cura di), Lo sviluppo locale: un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali, Roma, Meridiana Libri 2000.

Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell’Innovazione, Università di Roma "Tor Vergata".

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IMPRESE MANIFATTURIERE E ADDETTI NEI DISTRETTI INDUSTRIALI NEL 1996:

PESO SUL TOTALE NAZIONALE PER CLASSE DI ADDETTI (valori percentuali)

Classe di addetti Intero sistema locale Solo settori di specializzazione

Imprese Addetti alle imprese Imprese Addetti alle imprese

1 31,6 31,6 8,8 8,8

2 39,0 39,0 14,6 14,6

3 – 5 43,1 43,3 16,3 16,4

6 – 9 48,7 49,0 20,1 20,3

10 – 15 52,2 52,3 22,8 22,9

16 – 19 55,2 55,2 25,0 25,0

20 -- 49 53,3 53,0 22,9 22,5

50 -- 99 52,9 53,1 22,7 22,9

100 -- 199 51,5 50,8 20,7 20,2

200 – 250 47,0 46,8 18,8 18,5

251 – 499 45,7 45,4 17,2 17,3

500 -- 999 31,7 30,5 13,5 13,1

1.000 e più 21,1 13,9 9,6 5,8

Totale 40,7 43,7 14,9 18,0

Fonte: elaborazioni su dati Istat, Censimento intermedio 1996.

Fonte: Iuzzolino, G., I distretti industriali nel censimento intermedio del 1996: dimensioni e caratteristiche strutturali, in in Signorini, L.F. (a cura di), Lo sviluppo locale: un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali, Roma, Meridiana Libri 2000.

Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell’Innovazione, Università di Roma "Tor Vergata".

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ADDETTI ALLE UNITÀ LOCALI NEI DISTRETTI

RIPARTITI PER SETTORE DI SPECIALIZZAZIONE E PERTINENZA ALLE REALTÀ DISTRETTUALI (numeri e valori percentuali)

Settori di specializzazione del distretto

numero di distretti

totale addetti quota dei settori di specializzazione del

distretto

quota della filiera (1)

quota dei settori di specializzazione di distretti

vicini

residuo

Alimentari 17 109.528 25,1 7,4 45,3 22,1

Tessili-Abbigliam. 69 733.514 38,3 2,8 41,6 17,3

Cuoio-Calzature 27 198.274 49,8 3,5 30,3 16,5

Legno-Mobili-Arredamento 39 377.384 33,3 4,8 34,1 27,9

Metallurgiche 1 2.354 29,4 ... 66,5 4,0

Meccanica 32 588.364 50,9 ... 31,6 17,5

Petrolchimica 4 65.508 23,2 ... 53,5 23,3

Carta-Editoria 6 17.534 24,0 0,6 33,1 42,4

Oreficeria-Strum. Mus.-Giocattoli 4 81.341 23,2 3,1 41,7 32,0

Totale 199 2.173.801 40,1 2,6 37,1 20,3

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Censimento intermedio 1996. (1) la quota non è calcolata per i settori metallurgici, meccanici e petrolchimici.

Fonte: Iuzzolino, G., I distretti industriali nel censimento intermedio del 1996: dimensioni e caratteristiche strutturali, in Signorini, L.F. (a cura di), Lo sviluppo locale: un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali, Roma, Meridiana Libri 2000.

Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell’Innovazione, Università di Roma "Tor Vergata".

10

UNITÀ LOCALI E ADDETTI NEI DISTRETTI INDUSTRIALI: PESO SUL TOTALE NAZIONALE PER SETTORE DI ATTIVITÀ

(valori percentuali)

Settori Unità locali Addetti alle unità locali

1991 1996 1991 1996

Industria estrattiva 26,3 25,2 19,7 20,2 Industria manifatturiera 41,7 40,5 42,6 44,7 Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco 27,8 26,8 32,8 33,8 Industrie tessili e dell'abbigliamento 55,8 55,2 62,1 62,8

Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle 63,7 61,1 66,1 66,2 Industria del legno e dei prodotti in legno 31,5 32,5 40,4 41,5 Fabbricazione di pasta-carta, carta e prodotti di carta; editoria 29,4 28,5 30,7 32,4 Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, combust. nucleari 19,9 17,6 6,9 8,4 Fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche 32,5 32,7 23,3 26,9 Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche 49,3 49,1 44,8 47,2

Fabbricazione di prodotti della lavoraz. di miner. non metalliferi 32,4 31,1 42,1 45,4 Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo 42,2 41,8 43,4 46,8 Fabbricazione macchine ed apparecchi meccanici 48,3 46,5 47,6 48,6 Fabbricazione macchine elettriche e apparecchiature elettriche 33,5 33,0 28,4 32,7 Fabbricazione di mezzi di trasporto 29,6 26,2 17,4 19,4 Altre industrie manifatturiere 47,2 47,3 57,5 57,8

Produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua 25,1 22,7 18,2 17,7 Costruzioni 36,2 32,3 29,9 30,6 Commercio ingrosso e dettaglio 25,2 25,0 26,2 27,0 Alberghi e ristoranti 23,9 23,9 23,4 23,2 Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni 31,3 27,5 18,6 19,0 Intermediazione monetaria e finanziaria 28,0 28,1 22,3 23,3

Attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, profess. 28,0 25,4 24,0 24,4 Totale 30,0 28,6 31,4 32,2 Fonte: elaborazioni su dati Istat, Censimento 1991 e Censimento intermedio 1996.

Fonte: Iuzzolino, G., I distretti industriali nel censimento intermedio del 1996: dimensioni e caratteristiche strutturali, in Signorini, L.F. (a cura di), Lo sviluppo locale: un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali, Roma, Meridiana Libri 2000.

Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell’Innovazione, Università di Roma "Tor Vergata".

11

ADDETTI ALLE UNITÀ LOCALI NEI DISTRETTI PER SETTORI DI SPECIALIZZAZIONE (1)

(unità, valori e variazioni percentuali)

numero di distretti

Peso dei distretti sul totale nazionale del settore (%)

Variazione 1996 – 1991

Settori di specializzazione 1991 1996 non distretti Distretti

Alimentari 17 6,4 6,3 -4,7 -6,1

Tessili-Abbigliamento 69 38,8 39,4 -18,3 -12,1

Cuoio-Calzature 27 39,4 42,8 -10,6 2,7

Legno-Mobili-Arredamento 39 27,0 27,8 -4,9 -1,2

Metallurgia 1 0,3 0,7 -25,3 67,4

Meccanica 32 17,1 17,9 -1,7 3,9

Petrolchimica 4 3,1 3,5 -3,6 9,6

Carta-Editoria 6 1,6 1,6 -8,3 -5,4

Oreficeria-Strum. mus.-Giocattoli 4 27,4 29,6 -8,3 2,5

Totale 199 19,5 20,1 -6,6 -2,9

Fonte: elaborazioni su dati Istat, Censimento 1991 e Censimento intermedio 1996. (1) Per ogni distretto sono stati presi in considerazione solo gli occupati nel settore di specializzazione prevalente.

Fonte: Iuzzolino, G., I distretti industriali nel censimento intermedio del 1996: dimensioni e caratteristiche strutturali, in Signorini, L.F. (a cura di), Lo sviluppo locale: un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali, Roma, Meridiana Libri 2000.

Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell’Innovazione, Università di Roma "Tor Vergata".

12

PESO DEI DISTRETTI NELLE PROVINCE ITALIANE NEL 1996

Fonte: Iuzzolino, G., I distretti industriali nel censimento intermedio del 1996: dimensioni e caratteristiche strutturali, in Signorini, L.F. (a cura di), Lo sviluppo locale: un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali, Roma, Meridiana Libri 2000.

Peso dei distretti sugli addetti alle unità locali(valori percentuali)

90 a 100 (14)80 a 90 (3)70 a 80 (7)60 a 70 (2)50 a 60 (4)40 a 50 (4)30 a 40 (5)20 a 30 (6)10 a 20 (6)

0 a 10 (52)

Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell’Innovazione, Università di Roma "Tor Vergata".

13

ADDETTI ALLE UNITÀ LOCALI NEI DISTRETTI RIPARTITI PER AREA GEOGRAFICA E PERTINENZA ALLE REALTÀ DISTRETTUALI

(numeri e valori percentuali)

Area numero di distretti

totale addetti

quota dei settori di specializzazione

del distretto

quota della

filiera (1)

quota dei settori di specializzazione di

distretti vicini

Residuo

Nord Ovest 59 884.829 41,4 1,8 42,5 14,4

Piemonte 16 99.136 58,4 3,2 23,0 15,3

Lombardia 42 784.676 39,2 1,6 44,9 14,2

Liguria 1 1.017 22,3 1,6 44,5 31,6

Nord Est 65 832.717 36,0 2,8 39,1 22,1

Veneto 34 469.326 33,0 2,4 39,8 24,8

Trentino-A. A. 4 16.016 43,5 0,4 34,5 21,6

Friuli-V. Giulia 3 47.519 37,9 2,1 28,3 31,6

Emilia Romagna 24 299.856 39,9 3,5 39,9 16,6

Centro 60 399.633 45,2 4,1 23,8 26,9

Toscana 19 203.545 49,5 5,0 28,8 16,6

Umbria 5 20.755 26,8 1,4 35,0 36,8

Lazio 2 9.431 53,4 1,5 3,4 41,7

Marche 34 165.902 41,7 3,5 17,5 37,3

Sud 15 56.622 43,6 1,6 16,1 38,6

Campania 4 7.024 67,1 2,1 6,6 24,3

Puglia 3 20.339 51,8 2,4 13,7 32,2

Abruzzo 6 28.465 31,8 1,0 20,7 46,4

Calabria 2 794 48,1 1,1 0,0 50,8

Totale 199 2.173.801 40,1 2,6 37,1 20,3

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Censimento intermedio 1996. (1) la quota non è calcolata per i settori metallurgici, meccanici e petrolchimici.

Fonte: Iuzzolino, G., I distretti industriali nel censimento intermedio del 1996: dimensioni e caratteristiche strutturali, in in Signorini, L.F. (a cura di), Lo sviluppo locale: un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali, Roma, Meridiana Libri 2000.

Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell’Innovazione, Università di Roma "Tor Vergata".

14

ADDETTI ALLE UNITÀ LOCALI NEI DISTRETTI RIPARTITI PER AREA GEOGRAFICA E SETTORE DI SPECIALIZZAZIONE PREVALENTE

(valori percentuali)

Area Geografica Peso sul totale dei distretti

Distribuzione in base alla tipologia settoriale prevalente nei distretti

Alimen-tare Tessile e abbigliam.

Cuoio-Calzature Mobili-Arreda-mento

Metal-lurgia Mec-canica Petrol-chimica

Carto-tecni.

Orefice-ria e altri

Nord Ovest 40,7 3,1 37,4 0,0 10,3 0,3 41,4 7,4 0,2 0,0 Liguria 0,0 100,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Lombardia 36,1 2,8 36,2 0,0 10,9 0,3 41,4 8,3 0,0 0,0 Piemonte 4,6 4,7 47,1 0,0 5,3 0,0 41,6 0,0 1,4 0,0 Nord Est 38,3 8,4 27,5 7,0 25,8 0,0 26,5 0,0 0,1 4,7 Emilia Rom. 13,8 23,4 14,9 0,4 24,4 0,0 36,8 0,0 0,2 0,0 Friuli 2,2 0,0 0,0 0,0 91,2 0,0 8,8 0,0 0,0 0,0 Trentino. 0,7 0,0 17,9 10,0 0,0 0,0 72,1 0,0 0,0 0,0 Veneto 21,6 0,0 38,6 11,8 21,0 0,0 20,2 0,0 0,0 8,4 Centro 18,4 2,8 35,4 30,7 16,5 0,0 0,3 0,0 3,9 10,5 Lazio 0,4 0,0 0,0 0,0 58,0 0,0 0,0 0,0 42,0 0,0 Marche 7,6 6,5 24,5 36,1 20,3 0,0 0,0 0,0 0,0 12,6 Toscana 9,4 0,2 44,8 30,7 10,3 0,0 0,5 0,0 3,0 10,4 Umbria 1,0 0,0 46,0 0,0 27,2 0,0 0,0 0,0 26,8 0,0 Sud 2,6 1,4 57,6 34,0 7,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Abruzzi 1,3 0,0 80,3 8,8 10,9 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Calabria 0,0 100,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Campania 0,3 0,0 11,6 76,5 11,9 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Puglia 0,9 0,0 44,0 56,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Fonte: elaborazioni su dati Istat, Censimento intermedio 1996.

Fonte: Iuzzolino, G., I distretti industriali nel censimento intermedio del 1996: dimensioni e caratteristiche strutturali, in Signorini, L.F. (a cura di), Lo sviluppo locale: un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali, Roma, Meridiana Libri 2000.

Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell’Innovazione, Università di Roma "Tor Vergata".

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Il peso dei distretti è decisamente crescente nel tempo ed in particolare negli anni settanta e ottanta. Se si definisce la soglia dimensionale della piccola impresa in 100 addetti (cfr. Brusco e Paba 1997), la quota dell’occupazione industriale nei distretti è triplicata passando dal 10% nel 1951 al 32% nel 1991. Questo fenomeno è dovuto a tre componenti: 1) la crescita del numero delle aree che possono essere definite come distretti, 2) la crescita/diminuzione dell’occupazione nei distretti sopravvissuti e infine 3) la scomparsa di taluni distretti. Tra i distretti attivi nel 1991, la percentuale dei più antichi, quelli che risultavano già nel 1951, è del 16%, pari a 37 distretti. Molti distretti esistenti negli anni ’50 sono successivamente scomparsi, rappresentando probabilmente delle mere aggregazioni di piccole imprese non efficienti, la gran parte delle localizzate nelle regioni meridionali del paese. Mentre gli addetti di tutta l’industria manifatturiera italiana dal 1981 al 1991 sono diminuiti del 10,36%, nello stesso periodo, l’occupazione manifatturiera nei distretti è aumentata. Inoltre il peso della grande impresa nei distretti è diminuito, dato che alcuni settori (meccanica), dove la grande impresa era prevalente nei primi decenni del dopoguerra, sono diventati via via dominati dalle piccole imprese. Oltre ai “distretti industriali“ in senso stretto possono essere individuate anche i cosiddetti “sistemi locali di industrializzazione leggera” (secondo la definizione di F. Sforzi ) , che rappresentano una quota molto elevata dell’occupazione manifatturiera e comprendono una superficie molto più vasta, in aree esterne ai grandi centri urbani, sia rurali che di montagna.

Riccardo Cappellin, Corso di Economia dell’Innovazione, Università di Roma "Tor Vergata".

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Il modello dei “distretti industriali” Secondo Becattini (1991), il distretto è il risultato dell’incontro di certi tratti socio-culturali di una comunità, di caratteristiche storico-naturalistiche di un’area geografica e di caratteristiche tecniche del processo produttivo e il risultato di un processo di integrazione dinamica (un circolo virtuoso) fra la divisione del lavoro nel distretto e l’allargamento del mercato dei suoi prodotti In particolare, il distretto industriale marshalliano è costituito da una popolazione di piccole e medie imprese indipendenti, tendenzialmente coincidenti con le singole unità produttive di fase, appoggiatisi ad una miriade di unità fornitrici di servizi alla produzione e di lavoratori a domicilio e a tempo parziale, orientate attraverso il mercato delle commesse da un gruppo aperto di imprenditori puri. Sebbene non esista una definizione univoca di “distretto industriale” nei moltissimi studi sia empirici che teorici, italiani ed esteri, dedicati a questa forma moderna di organizzazione territoriale delle imprese, sembra esistere un consenso ampio sulle seguenti caratteristiche di un “distretto industriale” (Garofoli 1991, Brusco e Paba 1997): ? un’alta specializzazione in uno specifico settore o comparto produttivo manifatturiero, ? un’elevata popolazione di piccole e medie imprese, ? una scomposizione dei processi produttivi in fasi differenti caratterizzate da dimensioni ottimali ridotte, ? presenza di economie esterne rispetto alla impresa singola ma interne rispetto al territorio locale, ? sviluppo di contratti di sub-fornitura e di comportamenti cooperativi tra le imprese locali, ? elevata mobilità tra la situazione di lavoratore dipendente e di lavoratore indipendente ed elevati tassi di

nascita e mortalità delle imprese, ? sviluppo di un know-how produttivo e organizzativo comune incorporato nelle competenze della forza

lavoro locale.

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Le caratteristiche di un distretto secondo Becattini: La definizione di distretto secondo Becattini presenta le seguenti caratteristiche fondamentali. ? L’unità di analisi deve cambiare: non può essere l’impresa piccola individuale, ma l’insieme dell’occupazione

di un distretto, composto da molte piccole imprese. Esiste pertanto una differenza sostanziale tra le piccole e medie imprese nei distretti e le piccole imprese al di fuori dei distretti.

? “Il distretto è il risultato dell’incontro di certi tratti socio-culturali di una comunità, di caratteristiche storico-naturalistiche di un’area geografica e di caratteristiche tecniche del processo produttivo e il risultato di un processo di integrazione dinamica (un circolo virtuoso) fra la divisione del lavoro nel distretto e l’allargamento del mercato dei suoi prodotti”.

? “Il distretto industriale marshalliano è costituito da una popolazione di piccole e medie imprese indipendenti, tendenzialmente coincidenti con le singole unità produttive di fase, appoggiatisi ad una miriade di unità fornitrici di servizi alla produzione e di lavoratori a domicilio e a tempo parziale, orientate attraverso il mercato delle commesse da un gruppo aperto di imprenditori puri”

? Il distretto non è solo un sistema produttivo, ma anche una comunità locale e un sistema dei valori (“l’etica del lavoro”).

? Il distretto è una popolazione di imprese specializzate e appartenenti ad uno stesso settore industriale definito in un senso particolarmente ampio (filiera o settore verticalmente integrato).

La tecnologia e la specializzazione settoriale nei distretti presentano le seguenti caratteristiche fondamentali: ? i processi produttivi sono scomponibili in fasi spazialmente e temporalmente separabili; ? le dimensioni tecniche ottime sono basse; ? esistono diversi distretti plurisettoriali; ? nel distretto si assiste allo sviluppo di specifici intermediari commerciali specializzati.

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Il rapporto dei distretti con i mercati esterni è caratterizzato dai seguenti fattori: ? esiste una domanda finale differenziata e variabile nel tempo e nello spazio; ? lo sviluppo dei distretti è strettamente collegato con l’espansione delle vendite a scala internazionale; ? si assiste allo sviluppo di un’immagine del distretto sul mercato finale; ? sono forti i legami con i mercati internazionali delle materie prime; ? l’importanza del mercato è dimostrata dall’integrazione stretta tra la fase della commercializzazione del

prodotto finale e la attività di trasformazione industriale; ? il distretto non è chiuso in sé stesso ma forte è l’interscambio di individui tra il distretto e il mondo

circostante e la capacità di assimilazione. La divisione del lavoro tra imprese è caratterizzata dai rapporti di collaborazione. ? La collaborazione produttiva tra imprese non è il risultato di un mero processo di esternalizzazione di alcune

fasi produttive e viene sottolineata la distinzione tra il “fare” (make), il “far fare” (buy) e il “fare insieme” (che è quindi diverso dal mero acquistare).

? Nel distretto esiste un rapporto stretto tra concorrenza e cooperazione. ? La lotta per la sopravvivenza è temperata dalla solidarietà nell’ambito della comunità locale ? Piuttosto che una logica commerciale e speculativa prevale una relativa stabilità delle relazioni e dei prezzi

dei servizi e prodotti intermedi.

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Il mercato del lavoro e le risorse umane nei distretti presentano le seguenti caratteristiche. ? Nel distretto si crea una “atmosfera industriale” e si sviluppa la specializzazione delle competenze tecniche

dei lavoratori. ? Nel distretto la figura chiave è quella dell’”imprenditore puro” (impanatore pratese), che organizza il

lavoro di varie imprese con capacità diverse tra loro legate nel processo produttivo. ? E’ sviluppato il lavoro a domicilio e part-time, che integra il reddito familiare e rappresenta uno strumento

per l’addestramento professionale dei giovani. ? Possono esistere legami personali e relazioni di parentela tra i titolari delle imprese, che operano nelle

diverse fasi e sono diffusi comportamenti cooperativi. ? Lo sviluppo delle risorse umane è guidato da un meccanismo di penalizzazioni e incentivi, che spinge verso

una convergenza tra il lavoro desiderato e quello per cui si è oggettivamene più adatti. ? Prevale una logica di solidarietà a scala locale piuttosto che logica di conflitto di classe. ? Il distretto si caratterizza per la capacità di attrazione dei lavoratori più qualificati provenienti da altre aree.

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Le caratteristiche di un distretto secondo Garofoli: a) l’esistenza di una molteplicità di imprese piccole e medie e assenza di un’impresa dominante; b) una rilevante quota del mercato nazionale rispettivo; c) una consistente specializzazione produttiva a scala locale; d) lo sviluppo di interdipendenze produttive di tipo intra ed inter-settoriale; e) una spinta alla specializzazione produttiva crescente; f) la diffusione di rapporti “faccia a faccia” tra produttori ed utilizzatori di prodotti intermedi e di servizi alle

imprese; g) la progressiva formazione di un sistema informativo a livello d’area; h) l’esistenza di una diffusa professionalità dei lavoratori; i) gli elevati tassi di turnover dei lavoratori e di tassi di ricambio delle imprese; j) la flessibilità del mercato del lavoro e presenza di una diffusa “etica del lavoro”; k) la presenza di un elevato consenso sociale e di forme di regolazione sociale. I punti a) d) g) i) rappresentano un contributo aggiuntivo rispetto alla definizione di Becattini. Le tendenze in atto sembrano essere caratterizzate da: ? tendenza alla crescente integrazione intersettoriale; ? tendenza all’aumento della capacità di controllo del mercato finale; ? evoluzione dalla forma “area di specializzazione produttiva” a quella di “sistema produttivo locale” e

infine a quella di “area-sistema”. La crisi dei distretti industriali classici in altri paesi europei è in gran parte dovuta agli errori della politica industriale nazionale che ha privilegiato lo sviluppo della grande impresa

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Le analisi di Fabio Sforzi e dell’Istat L’analisi viene compiuta sulla base del censimento 1981 e porta ai seguenti risultati: 1. aree del mercato del lavoro locale : n. 955 2. aree di industrializzazione leggera : n. 161, 19,5% degli addetti dell’industria manifatturiera 3. i distretti industriali marshalliani : n. 61, 8,6% degli addetti dell’industria manifatturiera In sintesi, l’algoritmo per l’individuazione dei distretti utilizzato nell’analisi Sforzi-Istat sui dati del censimento 1981 si basa sull’individuazione delle aree che rispettano le seguenti 4 condizioni: a) la quota degli addetti nell’industria manifatturiera maggiore della media nazionale b) la quota degli addetti dell’industria manifatturiera in imprese con meno di 250 addetti maggiore della media

nazionale, c) una forte specializzazione settoriale, d) l’esistenza in almeno uno di questi settori di una quota degli addetti dell’industria manifatturiera in imprese

con meno di 250 addetti superiore alla media nazionale dello stesso settore La stessa analisi viene ripetuta a distanza di alcuni anni sulla base del censimento 1991.

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Fonte: L. Cannari e L. Federico Signorini, Nuovi strumenti per la classificazione dei sistemi locali, in Signorini, L.F. (a cura di), Lo sviluppo locale: un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali, Roma, Meridiana Libri 2000

Secondo le definizioni che si trovano in letteratura, l’elemento costitutivo fondamentale del distretto industriale consiste nell’interazione localizzata fra una comunità di persone (dotata di una identità storicamente definita e di particolari valori, regole, istituzioni), e una popolazione di (piccole) imprese manifatturiere, specializzate in un certo settore e organizzate in modo da realizzare, secondo regole in parte idiosincratiche, uno schema di divisione del lavoro per fasi che si traduce in una maggiore efficienza e flessibilità del processo produttivo. La metodologia Sforzi-Istat per la definizione dei distretti industriali tenta di approssimare questo intreccio di fattori socioeconomici distillandone l’essenza per mezzo di un limitato gruppo di variabili censuarie.

La metodologia Sforzi-Istat per la definizione dei distretti industriali consta di due passaggi distinti. Nel primo passaggio, il territorio italiano viene diviso in un certo numero di sistemi locali del lavoro (SLL), definiti sulla base dei movimenti pendolari giornalieri. Nel secondo passaggio, un sottoinsieme di SLL viene classificato come distretto industriale sulla base di un insieme di caratteristiche della sua struttura economica. Tutta la procedura è basata su dati dei censimenti della popolazione e dell’industria. Una prima versione fu sperimentata sui dati dei censimenti del 1981; la versione più recente, a cui si fa riferimento di regola nei saggi compresi in questa raccolta, è basata sui dati dei censimenti del 1991.

Un SLL, idealmente, è un’area autocontenuta dal punto di vista dei tragitti giornalieri da casa al lavoro. In pratica, l’algoritmo Sforzi/Istat individua i SLL prendendo come unità di base i confini amministrativi dei comuni, e aggregando i comuni in modo tale che una quota sufficientemente piccola dei residenti nei comuni appartenenti a un certo SLL si spostino quotidianamente per motivi di lavoro in comuni appartenenti a un altro SLL. L’algoritmo si basa sui dati riferiti agli spostamenti giornalieri rilevati con il censimento della popolazione.

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Secondo le parole di Sforzi (1990), il SLL “identifica lo schema tempo-spazio della vita quotidiana per la popolazione residente, ove si innesta la gran parte delle relazioni sociali ed economiche”. Nella versione riferita al censimento del 1991, l’algoritmo Sforzi-Istat identifica 784 SLL. Nella versione precedente i SLL erano in numero maggiore (955); la riduzione del numero di aree (cioè l’incremento della loro dimensione media) riflette un ampliamento del raggio degli spostamenti giornalieri dovuto alla crescente mobilità della popolazione.

Il secondo passaggio si basa sull’idea che un distretto industriale marshalliano sia semplicemente un SLL che possiede determinate caratteristiche strutturali. Più specificamente, tra i 784 SLL del 1991 vengono classificati distretti industriali quei sistemi locali che soddisfano le seguenti condizioni:

1. la quota degli addetti all’industria manifatturiera sul totale degli occupati non agricoli deve essere maggiore di quella media nazionale;

2. la quota degli occupati nell’industria manifatturiera in imprese con meno di 250 addetti deve essere maggiore di quella media nazionale;

3. supponendo che in una o più branche dell’industria manifatturiera la quota degli occupati sul totale degli occupati manifatturieri sia maggiore della media nazionale (condizione sempre verificata al di fuori di casi limite), almeno in una di tali branche la quota di occupati in imprese con meno di 250 addetti deve essere maggiore di quella media nazionale.

Sulla base di questi criteri vengono individuati, con riferimento al 1991, 199 distretti industriali, con un’occupazione manifatturiera complessiva pari al 42,5% del totale italiano.

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Come si è detto, e come è inevitabile, la classificazione di Sforzi e Istat contiene elementi di arbitrarietà nella selezione degli indicatori e dei relativi valori soglia (Brusco-Paba, 1997). Per esempio, il limite dei 250 addetti - fondato su definizioni statistiche comunitarie - non ha una particolare giustificazione a priori; potrebbe anzi apparire troppo alto rispetto alla realtà dei sistemi produttivi locali italiani. Per fare un altro esempio, la misura della specializzazione settoriale dipende dallo schema di classificazione settoriale adottato: perciò, a seconda che si scelga di operare all’uno o all’altro livello di disaggregazione, la tassonomia dei sistemi locali risulterà in generale diversa. I criteri adottati implicano inoltre che un distretto industriale Sforzi-Istat possa avere più di una specializzazione, e che la/le specializzazioni individuate possano non coincidere con il settore industriale più importante del distretto in termini quantitativi.

Il problema dell’arbitrarietà della procedura di classificazione assume particolare rilievo perché la tassonomia Sforzi-Istat è rigorosamente dicotomica: un’area, o è un distretto, o non lo è. Queste considerazioni hanno indotto a ricercare proposte alternative non tanto in un ripensamento radicale dei criteri, quanto in una attenuazione del carattere dicotomico della classificazione, che vi introducesse qualche elemento di gradualità e di multidimensionalità.

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Le analisi di Brusco e Paba La base dati dei 5 censimenti dal 1951 al 1991 è analizzata con il seguente metodo di analisi: ? solo 14 attività/settori, ? soglia dimensionale a 100 addetti per la grande impresa, ? confini amministrativi tenuti costanti al 1991. I risultati: ? la quota dell’occupazione industriale nei distretti aumenta dal 10% nel 1951 al 32% nel 1991, ? molti distretti hanno cambiato il settore dominante, ? molti distretti vedono un aumento della loro diversificazione settoriale. Il ruolo dei sistemi di piccola impresa è importante anche fuori dai distretti, come è evidenziato dalle aree che presentano le seguenti combinazioni delle 4 condizioni definite nello studio di Sforzi: A B C 1) addetti nell’industria manifatturiera no no si 2) addetti dell’industria manifatturiera in piccole imprese no si si 3) la specializzazione settoriale si si si 4) l’esistenza in questi settori di piccole imprese si si si La loro quota prima diminuisce e poi aumenta dopo il 1981 L’origine di un distretto può essere ricondotta a due fenomeni: ? l’evoluzione dell’artigianato tradizionale ed il processo di selezione e concentrazione a scala nazionale ? il decentramento produttivo della grande impresa

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Le caratteristiche economiche e sociali di un distretto secondo Brusco e Paba: a) comunità di persone e di imprese che opera in un mercato limitato, b) presenza di economie esterne alle imprese ma interne al territorio, c) sviluppo di un apparato produttivo specializzato, d) le imprese minori hanno un ruolo assai rilevante, e) un forte orientamento al mercato nazionale e internazionale, f) una forte condivisione di valori e saperi da parte della comunità locale, g) lo sviluppo di comportamenti cooperativi tra le imprese, h) lo sviluppo di comportamenti cooperativi tra lavoratori ed imprenditori, i) la mobilità dal lavoro dipendente a quello indipendente e viceversa è elevata, j) un’intensa cooperazione a scala verticale tra fornitore e utente, k) ruolo delle istituzioni locali importante nella crescita dei caratteri della comunità, l) lo sviluppo dei “servizi reali” forniti da istituzioni locali, m) talune imprese producono per un mercato finale, n) altre imprese sono “monofase” o sub-fornitrici, o) altre imprese operano in altri settori produttivi, anche se appartengono allo stesso settore verticalmente

integrato. I punti f) i) j) k) l) m) n) o) qualificano il contributo di Brusco e Paba rispetto a quello di Becattini.

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Fasi dello sviluppo dei distretti industriali Lo sviluppo dei distretti in Italia è strettamente collegato con le fasi congiunturali dell’economia complessiva e al processo di evoluzione di lungo termine della industria italiana. Anni 60 ? Fase di crescita della economia complessiva, ? Nascita di nuove imprese operanti nello stesso settore, ? Crescita estensiva dei distretti industriali, Anni 70 ? Forte inflazione e necessità di riduzioni dei costi di produzione e di ristrutturazioni, ? Diffusa adozione di innovazioni di processo, ? Processi di selezione e di sviluppo di tipo “intensivo” (sviluppo senza creazione di nuova occupazione). Anni 80 ? Ripresa economica e recupero della grande impresa, ? Processi di concentrazione finanziaria, ? Crescente integrazione con i servizi interni ed esterni. Anni 90 ? Processi di internazionalizzazione, ? Riqualificazione, focalizzazione delle produzioni e crescente divisione del lavoro tra le imprese, ? Creazione di gruppi e di reti di imprese a scala interregionale, ? Sviluppo di sistemi di logistica integrata.

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L’evoluzione dei distretti industriali nelle regioni più sviluppate Un sistema produttivo locale moderno non si caratterizza tanto per la concentrazione territoriale di molte imprese specializzate nello stesso settore, quanto per la specializzazione diversa e la complementarietà delle diverse imprese anche con imprese esterne. Aumentano i settori di specializzazione dei singoli sistemi produttivi locali e quindi aumenta la loro diversificazione settoriale. Il “distretto industriale” monosettoriale tradizionale si è trasformato in un “sistema produttivo locale” integrato a scala intersettoriale. I sistemi produttivi territoriali in molti paesi sono evoluti dallo stadio nel quale essi erano semplici concentrazioni di imprese simili, che lavoravano nello stesso settore produttivo ma tra loro concorrenti, allo stadio di reti di imprese specializzate e complementari. La creazione di forme di integrazione verticale, come le filiere, permette al sistema produttivo locale di alimentare l’evoluzione continua del know-how produttivo, dal cui controllo quale dipende la possibilità di mantenere un vantaggio competitivo sostenuto nel tempo, come anche di assicurarsi un accesso sempre più immediato al mercato finale, che determina il valore aggiunto totale del ciclo produttivo complessivo. Si sviluppano le relazioni a scala regionale e interregionale con la creazione di “network territoriali” o di “reti di sistemi produttivi locali” a scala regionale o anche interregionale.

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Nei sistemi produttivi locali di PMI delle regioni con maggiori tradizioni industriali (Lombardia, Emilia Romagna, Veneto) emergono meccanismi che sono diversi da quelli tipici dei “distretti industriali” tradizionali. Il modello tradizionale dei “distretti industriali” sembra di fatto corrispondere all’esperienza dello sviluppo dei sistemi produttivi locali nelle regioni di maggiore industrializzazione durante gli anni ’60, ma si rivela del tutto inadeguato a interpretare la struttura industriale attuale di queste regioni. Infatti, se da un lato sono chiaramente individuabili anche in queste regioni diversi “sistemi produttivi” a scala locale o provinciale, caratterizzati da strutture e specializzazioni produttive sostanzialmente differenti tra loro e fortemente radicati nel loro rispettivo territorio. Dall’altro, i sistemi produttivi territoriali moderni differiscono dal modello tradizionale del “distretto industriale”, basato su un modello di sviluppo “endogeno” e fortemente specializzato in un settore specifico, almeno per le seguenti caratteristiche: a) un’elevata e crescente apertura internazionale non solo in termini di esportazioni, ma anche di investimenti,

sia dall’estero che anche sempre più verso l’estero, e di accordi di cooperazione commerciale, produttiva e tecnologica a scala internazionale,

b) un’elevata e crescente diversificazione delle produzioni locali, c) un allargamento del know-how produttivo locale e un’elevata diversità e complementarità delle tecnologie

adottate nelle singole imprese dei sistemi produttivi locali considerati. Queste caratteristiche sono il risultato di un processo graduale di evoluzione dei sistemi produttivi locali dal modello dei “distretti industriali” a quello dei “network territoriali”.

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La legge 317/91 sui “distretti industriali” La legge 5 ottobre 1991 n. 317 per prima ha dato rilevanza normativa al fenomeno dei distretti industriali (art.36) e li identifica in base a cinque criteri caratteristici, tutti senza eccezione necessari al riconoscimento del distretto e definiti quantitativamente a livello nazionale (con d.m. 21 aprile 1993): ? industrializzazione (quota di addetti all’industria manifatturiera sugli addetti totali superiore di almeno il 30%

a quella media nazionale), ? localizzazione/imprenditorialità (quota di unità locali manifatturiere sulla popolazione superiore a quella

media nazionale), ? specializzazione (quota di addetti in una attività economica (codice Istat a 2 cifre) sugli addetti manifatturieri

superiore di almeno il 30% a quella media nazionale), ? concentrazione (quota di addetti all’attività di specializzazione sugli addetti manifatturieri superiore al 30%), ? piccola dimensione (quota di addetti in unità locali con meno di 200 addetti sugli addetti totali all’attività di

specializzazione superiore al 50%).

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Il decreto 11 maggio 1999 n.140, che all’art.6 riforma la precedente definizione dei distretti, introduce svariate innovazioni. In primo luogo amplia il campo di applicazione delle politiche a tutti i sistemi produttivi locali, di cui i distretti industriali costituiscono un sottogruppo. In secondo luogo adotta un numero di criteri più limitato, sia per i sistemi produttivi locali che per i distretti industriali. In terzo luogo non prevede una definizione centrale degli indicatori e delle loro soglie quantitative. I criteri sono: ? per i sistemi produttivi locali, intesi come contesti produttivi omogenei, la elevata concentrazione di piccole e

medie imprese e la peculiare organizzazione interna, ? per i distretti industriali, in aggiunta, la concentrazione di imprese industriali e la specializzazione produttiva

di sistemi di imprese.

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Sono opportune alcune osservazioni critiche riguardo all’utilizzo dei criteri menzionati nella normativa per le politiche regionali di sostegno: ? un vincolo rigido di industrializzazione complessiva comporta il rischio di favorire l’ossificazione della

divisione territoriale del lavoro, con distorsione della ripartizione della imprenditorialità fra attività manifatturiere e attività terziarie;

? la concentrazione ossia il peso di un settore sull’economia locale, non è rilevante per la competitività e per la

performance né del settore né del territorio, né offre indicazioni univoche sulla strategia pubblica da seguire (oltre a risentire di effetti impropri indotti dalle modalità di classificazione statistica);

? se la specializzazione è segno di vantaggio competitivo, diversificare le specializzazioni, ossia godere di una

pluralità di esse, è di fatto possibile ed è un bene per la stabilità del sistema locale, per cui è opportuno non identificare con un solo settore i territori e le politiche a loro favore;

? soprattutto, quanto maggiore è il numero di criteri di identificazione di un distretto, tanto meno prudente è la

pretesa che ciascuno di essi debba essere rispettato: il fenomeno distrettuale è talmente multiforme che in questo o quel sistema locale può ben mancare il rispetto di questo o quel criterio, senza che ciò infici la sua natura di distretto.

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Al di là delle obiezioni suddette, tuttavia, si nota, sia nella legge del 1991 che nel decreto del 1999, un altro aspetto discutibile: i criteri indicati sono statici e descrittivi del sistema delle imprese. Ai fini delle politiche di sostegno manca qualsiasi previsione di indicatori della performance dei sistemi produttivi locali e dei distretti industriali (in termini di variazioni temporali assolute e/o relative), pur necessaria a stabilire le priorità territoriali di intervento in un contesto di fondi pubblici limitati. Manca inoltre qualsiasi previsione di indicatori della dotazione di fattori di competitività anche esterni al sistema delle imprese produttive in senso stretto, previsione che sarebbe utile a riconoscere le tipologie di intervento prioritarie. In definitiva, occorrerà raffrontare i diversi sistemi locali a una griglia più ricca e al tempo stesso meno stringente di criteri. In presenza dei dati necessari, le aree non saranno riferite prevalentemente a specializzazioni settoriali, bensì a elementi (trasversali) di forza o debolezza strutturale, una tipologia più rilevante per le politiche di sostegno.

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Altre letture di riferimento: Becattini, G. (1991), Il distretto industriale marshalliano come concetto socio-economico, in Pycke, F., Becattini, G. E Sengenberger (a cura di), Distretti industriali e cooperazione tra imprese in Italia. Firenze : Banca Toscana, Studi e Informazioni, pp. 51-65. Brusco, S. e Paba, S. (1997), Per una storia dei distretti produttivi italiani dal secondo dopoguerra agli anni novanta, in F. Barca (a cura di), Storia del capitalismo italiano dal dopoguerra a oggi. Roma : Donzelli Editore. Cannari, L. e Federico Signorini, L., Nuovi strumenti per la classificazione dei sistemi locali, in Signorini, L.F. (a cura di), Lo sviluppo locale: un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali, Roma, Meridiana Libri 2000. Cappellin, R. (1983), Osservazioni sulla distribuzione inter ed intraregionale delle attività produttive, in G. Fuà e C. Zacchia (a cura di), Industrializzazione senza Fratture. Bologna: Il Mulino. Cappellin, R. (1998), The transformation of local production systems: international networking and territorial competitiveness, in M. Steiner (a cura di), From Agglomeration Economies to Innovative Clusters. London: Pion Editor. Cappellin, R. (1999),Caratteristiche dei sistemi produttivi locali in Lombardia e confronto con le esperienze internazionali, in Cappellin, R. (a cura di), Criteri di definizione dei distretti industriali e strategie di politica industriale in Lombardia, rapporto finale del progetto di ricerca per la Regione Lombardia e il LIUC - Libero Istituto Universitario di Castellanza-Varese, dicembre, pp. 2-4. Cappellin, R. (2000c) Le reti di imprese ed i rapporti di subfornitura, in Cappellin, R. (a cura di), Sistemi di Produzione Locale, Cambiamento Tecnologico ed Organizzativo ed Implicazioni per il Mercato del Lavoro”. Milano: Formaper - Rapporto di ricerca per Iniziativa Adapt II Fase (1997-1999), pp. 25-35. Cappellin R. e Pompili , T. (2000) The borders of “industrial districts” in an international competitive environment, relazione presentata al 40° Congresso della European Regional Association, Barcelona, Spagna, 29 agosto– 1 settembre. Ciciotti, E. (1993), Competitività e territorio. Roma: La Nuova Italia Scientifica. Cossentino, F., Pycke, F. and W. Sengenberger (1996) (eds.), Local and regional response to global pressure: the case of Italy and its industrial districts. Geneva: International Institute for Labour Studies, ILO.

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Garofoli, G. (1989), Modelli locali di sviluppo: i sistemi di piccola impresa, in G. Beccattini, Modelli locali di sviluppo. Bologna: Il Mulino, pp. 75-90. Garofoli, G.(1991), Modelli locali di sviluppo. Milano: Franco Angeli. Garofoli, G. (2000), Distretti industriali e processo di globalizzazione: trasformazioni e nuove traiettorie, relazione al convegno “Globalizzazione, divisione del lavoro e nuove regole dell’economia internazionale”, Formas-Ville Ponti, Varese, 29-30 settembre. Iuzzolino, G., I distretti industriali nel censimento intermedio del 1996: dimensioni e caratteristiche strutturali, in in Signorini, L.F. (a cura di), Lo sviluppo locale: un’indagine della Banca d’Italia sui distretti industriali, Roma, Meridiana Libri 2000. Pycke, F., Becattini, e W. Sengenberger (1990), a cura di, Industrial districts and inter-firm co-operation in Italy. Geneva: International Institute for Labour Studies, ILO. Sforzi, F., I distretti industriali marshalliani nell’economia italiana, in Distretti industriali e cooperazione fra imprese in Italia,, a cura di F. Pycke, G. Becattini e W. Sengengerger, Quaderni di Studi e Informazione, n. 34, 1991. Scott, A.J. e Storper, M. (1990), Regional development reconsidered. The Lewis Center for Regional Policy Studies, University of California at Los Angeles, Working Paper n. 1. Storper, M. (1997), The Regional World: Territorial Development in a Global Economy, New York, Guilford Press.


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