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L’insegnante è un intellettuale? · entrare in classe. Perché riconsegniamo veriche corrette...

Date post: 17-Feb-2019
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( htp :/www . l a l eteraturaeno i . i t ) L’insegnante è un intellettuale? Scritto da Roberto Contu (/index.php/chi-siamo/indice-autori/120:roberto-contu.html) - 28 Giugno 2016 - Categoria: La scuola e noi (/index.php/scuola_e_noi.html) Una mattinata con Luperini È martedì mattina, il mio giorno libero a scuola e so che Romano Luperini verrà ad incontrare gli alunni del Liceo classico Properzio di Assisi. Decido senza dubbio di andarci, alle undici sono seduto in mezzo ai ragazzi in una grande aula luminosa, mi colpiscono i nestroni che guardano come fosse una cartolina la basilica di San Francesco. L'argomento proposto dalla scuola al relatore mi interessa: il ruolo degli intellettuali dalla loro comparsa a ne Ottocento no alla loro dipartita dalla scena pubblica italiana a metà anni Settanta. Inizia l’incontro. Luperini cita Zola, parla di Vittorini che discute con Togliatti, parla di Pasolini e Calvino e del delitto del Circeo. I ragazzi ascoltano in silenzio e io riconosco immediatamente la loro attenzione. Il tema è ostico, nessun insegnante riesce ad arrivare bene a quei temi nell’ultimo anno. Eppure l’ora scorre velocemente per tutti, io ascolto e imparo. Alla ne di quel viaggio fatto del racconto di scrittori che avevano licenza sociale di pronunciare il proprio “io so”, Luperini però mi sorprende. Chiude il discorso sollecitando i ragazzi sulla distinzione tra ruolo e funzione dell’intellettuale. Lo fa con parole semplici ma nette e parla della gura dell’insegnante. Distingue tra il ruolo di chi deve sapere riempire un registro e la funzione di chi attraverso il proprio mandato riesce ancora ad accendere la coscienza di un adolescente o a giusticare il “perché Dante” e non Folcacchiero dei Folcacchieri. Parla ai ragazzi degli insegnanti che lo hanno segnato, di quelli che li stanno segnando, spiega come loro stessi siano già in grado di distinguere tra ruolo e funzione degli insegnanti che ogni mattina incontrano, pur non essendone consapevoli. Dice inne che l’ultima isola dove è possibile oggi l’esistenza di un intellettuale inteso come tale, in quanto funzione, potrebbe essere proprio la Scuola, in un mondo dove la cultura viene oramai monopolizzata dalla gura dell’esperto. Sì proprio la Scuola, non l’Università, non i circuiti alti della circolazione della cultura. Gli intellettuali oggi, se esistono, possono abitare
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(http://www.laletteraturaenoi.it)

L’insegnante è un intellettuale?Scritto da Roberto Contu (/index.php/chi-siamo/indice-autori/120:roberto-contu.html) - 28 Giugno 2016 -

Categoria: La scuola e noi (/index.php/scuola_e_noi.html)

Una mattinata con Luperini

È martedì mattina, il mio giorno

libero a scuola e so che Romano

Luperini verrà ad incontrare gli

alunni del Liceo classico Properzio di

Assisi. Decido senza dubbio di

andarci, alle undici sono seduto in

mezzo ai ragazzi in una grande aula

luminosa, mi colpiscono i �nestroni

che guardano come fosse una

cartolina la basilica di San Francesco.

L'argomento proposto dalla scuola

al relatore mi interessa: il ruolo degli

intellettuali dalla loro comparsa a

�ne Ottocento �no alla loro dipartita

dalla scena pubblica italiana a metà

anni Settanta. Inizia l’incontro.

Luperini cita Zola, parla di Vittorini

che discute con Togliatti, parla di

Pasolini e Calvino e del delitto del Circeo. I ragazzi ascoltano in silenzio e io riconosco immediatamente la

loro attenzione. Il tema è ostico, nessun insegnante riesce ad arrivare bene a quei temi nell’ultimo anno.

Eppure l’ora scorre velocemente per tutti, io ascolto e imparo. Alla �ne di quel viaggio fatto del racconto di

scrittori che avevano licenza sociale di pronunciare il proprio “io so”, Luperini però mi sorprende. Chiude il

discorso sollecitando i ragazzi sulla distinzione tra ruolo e funzione dell’intellettuale. Lo fa con parole

semplici ma nette e parla della �gura dell’insegnante.

Distingue tra il ruolo di chi deve sapere riempire un registro e la funzione di chi attraverso il proprio

mandato riesce ancora ad accendere la coscienza di un adolescente o a giusti�care il “perché Dante” e non

Folcacchiero dei Folcacchieri. Parla ai ragazzi degli insegnanti che lo hanno segnato, di quelli che li stanno

segnando, spiega come loro stessi siano già in grado di distinguere tra ruolo e funzione degli insegnanti che

ogni mattina incontrano, pur non essendone consapevoli. Dice in�ne che l’ultima isola dove è possibile oggi

l’esistenza di un intellettuale inteso come tale, in quanto funzione, potrebbe essere proprio la Scuola, in un

mondo dove la cultura viene oramai monopolizzata dalla �gura dell’esperto. Sì proprio la Scuola, non

l’Università, non i circuiti alti della circolazione della cultura. Gli intellettuali oggi, se esistono, possono abitare

Simone
Evidenziato
Simone
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solo in quella specie di riserva indiana chiamata Scuola e sono proprio loro, gli insegnanti. Luperini termina il

suo intervento e i ragazzi fanno qualche domanda, ma io non li sento. Mi sto ancora domandando se sia

vero quello che ho appena ascoltato.

 Perché no

Mi dico no, l’insegnante non merita di essere detto intellettuale. Per una serie di motivazioni che non riesco

a non ammettere. Motivazioni che non riguardano, per lo meno in questo momento, ciò di cui l’insegnante è

vittima, ma riguardano la funzione di cui troppo spesso è carne�ce. È vero, l’insegnante è vessato da riforme

contraddittorie, svilito e sottopagato, precarizzato e burocratizzato, appiattito su modelli di valutazione

miopi. Di questo tutti parlano, tutti parliamo ogni santo giorno. Ma per un attimo, sollecitato da Luperini,

non trattengo un pensiero segreto e lascio da parte le colpe degli altri, per quanto legittimo sia il pensare

siano quelle decisive. Mi dico che no, noi insegnanti non ci meritiamo di essere detti intellettuali. Perché

entriamo in classe in ritardo. Perché riconsegniamo veri�che corrette dopo due mesi. Perché a volte non le

facciamo proprio così abbiamo meno lavoro a casa. Perché diamo sempre la colpa ad altri: al collega, al

dirigente, al ministro, al sistema. Perché diamo colpa ai ragazzi, alle loro famiglie, alla loro provenienza.

Perché non sappiamo usare un pc e anche di questo incolpiamo il sistema. Perché riusciamo a dire che

anche un registro elettronico è troppo complicato e che pure in questo caso la colpa è tutta sua. Perché

lavoriamo bene se ne abbiamo voglia, ma se non ci va (e può non andarci per un anno intero, per anni interi,

per una vita intera) riusciamo a parcheggiare classi difronte a ore di �lm senza senso sulla LIM o a fargli

produrre presentazioni in Ppt tanto al chilo. Perché improvvisiamo lezioni svuotando di senso l’unica

occasione di crescere concessa a tanti ragazzi. Perché scodelliamo valutazioni umorali senza avvertire il peso

di squadrare l’informe di una persona che inizia a vivere. Perché non sappiamo parlare. Perché non ci piace

quelle che insegniamo. Perché ci annoia quello che insegniamo. Perché non leggiamo un libro da anni.

Perché abbiamo smesso di studiare. Perché siamo ignoranti. Perché tutte queste a�ermazioni generano

solo fastidio e nessuna domanda. Perché «come ti permetti, parla per te».

Perché sì

Mi giro e guardo i ragazzi. Sono belli i ragazzi, sono tutti belli i ragazzi dentro la Scuola. È vero, la Scuola è un

posto particolare. Provo a ridomandarmi se qui dentro l’”io so” abbia ancora cittadinanza. Se qui dentro

abbia ancora senso parlare di destini generali, se qui dentro abbia ancora senso parlare di futuro, se abbia

senso parlare della funzione di noi insegnanti. Inizio a fantasticare. Se davvero come negli anni Settanta

potessi oggi entrare nella mia classe e pronunciare il mio editoriale a voce sul fatto del giorno, questo

muoverebbe le coscienze dei ragazzi? Certo che lo farebbe. Lo ha fatto tantissime volte solo quest’anno

appena trascorso. E non ci sarebbe nemmeno necessità di scomodare chissà quale Processo alla classe

politica di turno o analisi sulla contemporanea mutazione antropologica. No, all’insegnante potrebbe

bastare raccontare il Medioevo. O risolvere una disequazione, sì, risolvere una disequazione. Perché poi è

vero che noi insegnanti ci meritiamo di essere detti intellettuali. Perché continuiamo nonostante tutto ad

entrare in classe. Perché riconsegniamo veri�che corrette sapendo quanto è importante. Perché a volte lo

facciamo tirando la notte �no a tardi. Perché non diamo solo la colpa al collega, al dirigente, al ministro, al

sistema. Spesso la diamo a noi stessi. Perché vediamo il mistero dei ragazzi, delle loro famiglie, della loro

provenienza. Perché sappiamo usare un pc anche se ci basterebbe giusto la parola. Perché lavoriamo bene,

perché facciamo di tutto per farlo. Perché rincorriamo da una vita la lezione perfetta, portando

continuamente secchiate di senso all’unica occasione di crescere concessa a tanti ragazzi. Perché tremiamo

Simone
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difronte alle valutazioni avvertendo il peso di squadrare l’informe di una persona che inizia a vivere. Perché

sappiamo parlare, soprattutto sappiamo ascoltare. Perché ci piace quelle che insegniamo. Perché non ci

annoia quello che insegniamo. Perché leggiamo montagne di libri e non abbiamo mai smesso di studiare.

Perché vogliamo conoscere e vogliamo far conoscere. Perché tutte queste a�ermazioni generano voglia di

tornare immediatamente in classe e aprire il manuale. Perché «permettiti pure, parla per noi».

Ritorno a casa

Ho salutato Luperini. Ho visto qualche ragazzo farsi autografare il manuale. Del resto in questi tre anni

quello è forse il libro che più di ogni altro hanno letto. In auto verso Perugia ripenso all’incontro, poi

all’improvviso dal bagaglio della memoria mi torna in mente un ricordo vecchio quindici anni. Il mio primo

anno da insegnante, un istituto professionale, proprio ad Assisi. Una scuola di�cile, classi terribili. Conobbi

un’insegnante veneta ad un anno dalla pensione. Per vent’anni era rimasta in quella scuola. Vent’anni. Una

persona mite, dal tono di voce pacato, molto riservata. Una signorilità d’altri tempi. Eppure era famosa

perché riusciva a mantenere la calma in classi davvero fuori controllo in altre ore. Io l’avevo ammirata,

stralunato e da lontano, per mesi. Alla �ne dell’anno ruppi gli indugi e le feci la domanda che mi ero portato

dietro tutto l’anno.

«Ma scusa Anna. Avrai un punteggio altissimo. Ma perché non ti se fatta trasferire da un pezzo al Liceo? Chi

te lo fa fare di rimanere qui?».

Lei mi regalò un sorriso, questo lo ricordo nitidamente. Ricordo anche che disse che era stata una scelta

consapevole che avrebbe rifatto mille volte. E poi, sarà la suggestione della mattinata con Luperini, sarà

l’emozione del ricordo, ma a me a distanza d’anni pare proprio che ad un certo punto concluse con queste

parole «e poi, ricordalo, siamo intellettuali e ci dobbiamo comportare come tali».

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Fotogra뜀媫a: G. Biscardi, Busto di gesso

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