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LoScrittore Campione e il - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2009/15022009.pdf · A...

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BARCELLONA L o incontro negli spogliatoi del Camp Nou di Barcello- na, uno stadio enorme, il terzo più grande del mondo. Dagli spalti invece Messi è una macchiolina, incon- trollabile e velocissima. Da vicino è un ragazzo min- gherlino ma sodo, timidissimo, parla quasi sussurrando una canti- lena argentina, il viso dolce e pulito senza un filo di barba. Lionel Messi è il più piccolo campione di calcio vivente. La Pulga, la pulce, è il suo soprannome. Ha la statura e il corpo di un bambino. Fu in- fatti da bambino, intorno ai dieci anni, che Lionel Messi smise di crescere. Le gambe degli altri si allungavano, le mani pure, la voce cambiava. E Leo restava piccolo. Qualcosa non andava e le analisi lo confermarono: l’ormone della crescita era inibito. Messi era af- fetto da una rara forma di nanismo. Con l’ormone della crescita, si bloccò tutto. E nascondere il pro- blema era impossibile. Tra gli amici, nel campetto di calcio, tutti si ROBERTO SAVIANO la memoria Geronimo, la leggenda pellerossa VITTORIO ZUCCONI spettacoli Sanremo, specchio dell’Italia che canta MICHELE SERRA i sapori Valli ladine, la cucina degli atleti LICIA GRANELLO, CAROLINA KOSTNER E ALEX SCHWAZER ILLUSTRAZIONE DI GIPI cultura Viaggio nell’altra metà del Futurismo DARIA GALATERIA l’attualità L’armata vaticana alla guerra dell’etica ILVO DIAMANTI e MARCO POLITI Campione Scrittore e il Lo Roberto Saviano, autore di “Gomorra”, e Lionel Messi, calciatore fuoriclasse Un incontro a Barcellona ha prodotto questo reportage- racconto che ripercorre la storia di un grande successo nato dal dolore accorgono che Lionel si è fermato: «Ero sempre il più piccolo di tut- ti, qualunque cosa facessi, ovunque andassi». Dicono proprio così: «Lionel si è fermato». Come se fosse rimasto indietro, da qualche parte. A undici anni, un metro e quaranta scarsi, gli va larga la ma- glietta del Newell’s Old Boys, la sua squadra a Rosario, in Argenti- na. Balla nei pantaloncini enormi, nelle scarpe, per quanto stretti i lacci, un po’ ciabatta. È un giocatore fenomenale: però nel corpo di un bimbetto di otto anni, non di un adolescente. Proprio nell’età in cui, intravedendo un futuro, ci sarebbe da far crescere un talento, la crescita primaria, quella di braccia, busto e gambe, si arresta. Per Messi è la fine della speranza che nutre in se stesso dal suo pri- missimo debutto su un campo da calcio, a cinque anni. Sente che con la crescita è finita anche ogni possibilità di diventare ciò che so- gna. I medici però si accorgono che il suo deficit può essere transi- torio, se contrastato in tempo. L’unico modo per cercare di inter- venire è una terapia a base dell’ormone “gh”: anni e anni di conti- nuo bombardamento che gli permettano di recuperare i centime- tri necessari per fronteggiare i colossi del calcio moderno. (segue nelle pagine successive) DOMENICA 15 FEBBRAIO 2009 D omenica La di Repubblica Repubblica Nazionale
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BARCELLONA

Lo incontro negli spogliatoi del Camp Nou di Barcello-na, uno stadio enorme, il terzo più grande del mondo.Dagli spalti invece Messi è una macchiolina, incon-trollabile e velocissima. Da vicino è un ragazzo min-

gherlino ma sodo, timidissimo, parla quasi sussurrando una canti-lena argentina, il viso dolce e pulito senza un filo di barba. LionelMessi è il più piccolo campione di calcio vivente. LaPulga, la pulce,è il suo soprannome. Ha la statura e il corpo di un bambino. Fu in-fatti da bambino, intorno ai dieci anni, che Lionel Messi smise dicrescere. Le gambe degli altri si allungavano, le mani pure, la vocecambiava. E Leo restava piccolo. Qualcosa non andava e le analisilo confermarono: l’ormone della crescita era inibito. Messi era af-fetto da una rara forma di nanismo.

Con l’ormone della crescita, si bloccò tutto. E nascondere il pro-blema era impossibile. Tra gli amici, nel campetto di calcio, tutti si

ROBERTO SAVIANO

la memoria

Geronimo, la leggenda pellerossaVITTORIO ZUCCONI

spettacoli

Sanremo, specchio dell’Italia che cantaMICHELE SERRA

i sapori

Valli ladine, la cucina degli atletiLICIA GRANELLO, CAROLINA KOSTNER E ALEX SCHWAZER

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cultura

Viaggio nell’altra metà del FuturismoDARIA GALATERIA

l’attualità

L’armata vaticana alla guerra dell’eticaILVO DIAMANTI e MARCO POLITI

CampioneScrittore

e ilLo

Roberto Saviano, autoredi “Gomorra”, e Lionel Messi,calciatore fuoriclasseUn incontro a Barcellonaha prodotto questo reportage-racconto che ripercorrela storia di un grande successonato dal dolore

accorgono che Lionel si è fermato: «Ero sempre il più piccolo di tut-ti, qualunque cosa facessi, ovunque andassi». Dicono proprio così:«Lionel si è fermato». Come se fosse rimasto indietro, da qualcheparte. A undici anni, un metro e quaranta scarsi, gli va larga la ma-glietta del Newell’s Old Boys, la sua squadra a Rosario, in Argenti-na. Balla nei pantaloncini enormi, nelle scarpe, per quanto stretti ilacci, un po’ ciabatta. È un giocatore fenomenale: però nel corpo diun bimbetto di otto anni, non di un adolescente. Proprio nell’età incui, intravedendo un futuro, ci sarebbe da far crescere un talento,la crescita primaria, quella di braccia, busto e gambe, si arresta.

Per Messi è la fine della speranza che nutre in se stesso dal suo pri-missimo debutto su un campo da calcio, a cinque anni. Sente checon la crescita è finita anche ogni possibilità di diventare ciò che so-gna. I medici però si accorgono che il suo deficit può essere transi-torio, se contrastato in tempo. L’unico modo per cercare di inter-venire è una terapia a base dell’ormone “gh”: anni e anni di conti-nuo bombardamento che gli permettano di recuperare i centime-tri necessari per fronteggiare i colossi del calcio moderno.

(segue nelle pagine successive)

DOMENICA 15 FEBBRAIO 2009

DomenicaLa

di Repubblica

Repubblica Nazionale

(seguedalla copertina)

Si tratta di una cura molto co-stosa che la famiglia non puòpermettersi: siringhe da cin-quecento euro l’una, da faretutti i giorni. Giocare a pallo-ne per poter crescere, cre-

scere per poter giocare: questa diviened’ora in avanti l’unica strada. Lionel, unmodo di guarire che non riguardi la pas-sione della sua vita, il calcio, non riescenemmeno a immaginarlo.

Ma quelle dannate cure potrà per-mettersele solo se un club di un certo li-vello lo prende sotto le sue ali e gliele pa-ga. E l’Argentina sta sprofondando nel-la devastante crisi economica, da cuifuggono prima gli investimenti, poi pu-re le persone, i cui risparmi si volatiliz-zano col crollo dei titoli di stato. Nipoti e

pronipoti di immigrati cresciuti nel be-nessere cercano la salvezza emigrandonei paesi di origine dei loro avi. In quel-la situazione, nessuna società argenti-na, pur intuendo il talento del piccoloMessi, se la sente di accollarsi i costi diuna simile scommessa.Anche se dovesse crescere qualche cen-timetro in più — questo è il ragiona-mento — nel calcio moderno ormaisenza un fisico possente non si è più nul-la. La pulce resterà schiacciata da unadifesa massiccia, la pulce non potrà se-gnare gol di testa, la pulce non reggeràagli sforzi anaerobici richiesti ai centra-vanti di oggi. Ma Lionel Messi continuaa giocare lo stesso nella sua squadra. Sadi doverlo fare come se avesse dieci pie-di, correre più veloce di un puledro, es-sere imbattibile palla a terra, se vuolesperare di diventare un calciatore vero,un professionista.

Durante una partita, lo intravede unosservatore. Nella vita dei calciatori gliosservatori sono tutto. Ogni partita cheguardano, ogni punizione che conside-

rano eseguita in modo perfetto, ogni ra-gazzino che decidono di seguire, ognipadre con cui vanno a parlare, significatracciare un destino. Disegnarlo nelle li-nee generali, aprirgli una porta: ma nelcaso di Messi, ciò che gli viene offerto,rappresenta molto di più. Non gli vienedata solo l’opportunità di diventare uncalciatore, ma la possibilità di guarire, diavere davanti una vita normale. Primadi vederlo, gli osservatori che sentonoparlare di lui sono comunque moltoscettici. «Se è troppo piccolo, non hasperanza, anche se è forte», pensano. Einvece: «Ci vollero cinque minuti per ca-pire che era un predestinato. In un atti-mo fu evidente quanto quel ragazzo fos-se speciale». Questo lo afferma CarlesRexach, direttore sportivo del Barcello-na, dopo aver visto Leo in campo. È cosìevidente che Messi ha nei piedi un ta-lento unico, qualcosa che va oltre il cal-cio stesso: a guardarlo giocare è come se

si sentisse una musica, come se in unmosaico scollato ogni tassello tornasseapposto.

Rexach vuole fermarlo subito:«Chiunque fosse passato di lì, l’avrebbecomprato a peso d’oro». E così fanno unprimo contratto su un fazzoletto di car-ta, un tovagliolo da bar aperto. Firmanolui e il padre della pulce. Quel fazzolettoè ciò che cambierà la vita a Lionel. Il Bar-cellona ci crede in quell’eterno bimbo.Decide di investire nella cura del male-detto ormone che si è inceppato. Ma percurarsi, Lionel deve trasferirsi in Spagnacon tutta la famiglia, che insieme a lui la-scia Rosario senza documenti, senza la-voro, fidandosi di un contratto stilato suun tovagliolo, sperando che dentro aquel corpo infantile possa esserci dav-vero il futuro di tutti. Dal 2000, per tre an-ni, la società garantisce a Messi l’assi-stenza medica necessaria. Crede che unragazzino disposto a giocare a calcio persalvarsi da una vita d’inferno abbia den-tro il carburante raro che ti fa arrivareovunque.

Le cure però spezzano in due. Haisempre nausea, vomiti anche l’anima. Ipeli in faccia che non ti crescono. Poi imuscoli te li senti scoppiare dentro, leossa crepare. Tutto ti si allunga, si dilatain pochi mesi, un tempo che avrebbedovuto invece essere di anni. «Non po-tevo permettermi di sentire dolore», di-ce Messi, «non potevo permettermi dimostrarlo davanti al mio nuovo club.Perché a loro dovevo tutto». La differen-za tra chi il proprio talento lo spende per

realizzarsi e chi su di esso si gioca tutto èabissale. L’arte diventa la tua vita nonnel senso che totalizza ogni cosa, ma chesolo la tua arte può continuare a farticampare, a garantirti il futuro. Non esi-ste un piano b, qualsiasi alternativa sucui poter ripiegare.

Dopo tre anni finalmente il Barcello-na convoca Lionel Messi e la famiglia sache se non sarà in grado di giocare comeci si aspetta, le difficoltà a tirare avantisaranno insormontabili. In Argentinahanno perso tutto e in Spagna non han-no ancora niente. E Leo, a quel punto, ri-cadrebbe sulle loro spalle. Ma quandoLa Pulce gioca, sfuma ogni ansia. Alle-nandosi duramente con il sostegno del-la squadra, Messi riesce a crescere nonsolo in bravura, ma anche in altezza, an-no dopo anno, centimetro dopo centi-metro spremuto dai muscoli, levigatonelle ossa. Ogni centimetro acquisitouna sofferenza. Nessuno sa davvero

quanto misuri adesso. Qualcuno lo dàappena sopra il metro e cinquanta,qualcuno al di sotto, qualche sito parladi un Messi che continuando a crescereè arrivato al metro e sessanta. Le stimeufficiali mutano, concedendogli via viaqualche centimetro in più, come se fos-se un merito, un premio conquistato incampo.

Fatto è che quando le due squadre so-no in riga prima del fischio iniziale, l’oc-chio inquadra tutte le teste dei giocatoripiù o meno alla stessa altezza, mentreper trovare quella di Messi deve scende-re almeno al livello delle spalle dei com-pagni. Per uno sport dove conta semprepiù la potenza e, per un attaccante, iquasi due metri di Ibrahimovic e il me-tro e ottantacinque di Beckham sono di-ventati la norma, Lionel continua a so-migliare pericolosamente a una pulce.Come dice Manuel Estiarte, il più fortepallanuotista di tutti i tempi: «È vero, bi-sogna calcolare che le probabilità cheMessi esca sconfitto da un impatto cor-po a corpo sono elevate, come elevato è

il rischio che venga totalmente travoltodai difensori. Ma solo a una condizio-ne… prima devono riuscire a raggiun-gerlo».

E infatti nessuno riesce a stargli die-tro. Il baricentro è basso, i difensori locontrastano, ma lui non cade, né si spo-sta. Continua a tenere la corsa, rimbalzapalla al piede, non si ferma, dribbla, sca-valca, sguscia, fugge, finta. È imprendi-bile. A Barcellona malignano che le stardella difesa del Real Madrid, RobertoCarlos e Fabio Cannavaro, non sonomai riusciti a vedere in faccia LionelMessi perché non riescono a rincorrer-lo. Leo è velocissimo, sfreccia via con isuoi piedi piccoli che sembrano maniper come riesce a tener palla, a control-larne ogni movimento. Per le sue finte,gli avversari inciampano nell’ingombroinutile dei loro piedi numero quaranta-cinque.

In una pubblicità dove era stato invi-

tato a disegnare con un pennarello lasua storia, è divertente e malinconicovedere Messi ritrarre se stesso come unbimbetto minuscolo tra lunghissime fo-reste di gambe, perso lì tra palloni trop-po grandi che volano lontano. Ma quan-do toccano terra, lui veloce li aggancia epiccolo com’è riesce a passare tra legambe di tutti e andare in porta. Quan-do ci sono le rimesse laterali e gli avver-sari riprendono fiato, è proprio in quelmomento che lui schizza e li sorpassa,così quando si immaginavano, i marca-tori, di averlo dietro la schiena, se lo ri-trovano invece già cinque metri avanti.Il grande giocatore non è quello che si fafare fallo, ma quello cui non arrivi a ten-dere nessuno sgambetto.

Vedere Messi significa osservarequalcosa che va oltre il calcio e coincidecon la bellezza stessa. Qualcosa di simi-le a uno slancio, quasi un brivido di con-sapevolezza, un’epifania che permettea chi è lì, a vederlo sgambettare e gioca-re con la palla, di non riuscire più a per-cepire alcuna separazione tra sé e lo

28 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 FEBBRAIO 2009

la copertinaScrittore e campione

Saviano &

Un incontro negli spogliatoi del Camp Nou di BarcellonaDa una parte l’autore di “Gomorra” dalla vita blindata,cresciuto nel mito del Napoli di Maradona,dall’altra il minuscolo, formidabile attaccante argentinoche, a prezzo di grandi sofferenze personali, ha riportatol’epica di Davide e Golia in un calcio di giganti muscolari

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Intorno ai dieci anni Lionel smise di crescereLe gambe degli altri si allungavano, la vocecambiava. E lui restava piccolo. Le analisidissero che l’ormone della crescita era inibito

La differenza tra chi il talento lo spendeper realizzarsi e chi su di esso si gioca tutto

è abissale. L’arte diventa la tua vita, solo leiti garantisce il futuro, non esiste un piano b

‘‘Veloce e timidoDagli spalti dello stadio Messi è una macchiolina,

incontrollabile e velocissima. Da vicino è un ragazzomingherlino ma sodo, timidissimo. Parla quasi

sussurrando una cantilena argentina, il viso dolcee pulito senza un filo di barba

le copiedel librovendute

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i paesiin cui è statotradotto

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ROBERTO SAVIANO

la sua etàquando esceGomorra

26anni

Repubblica Nazionale

spettacolo cui sta assistendo, di confon-dersi pienamente con ciò che vede, tan-to da sentirsi tutt’uno con quel movi-mento diseguale ma armonico. In que-sto le giocate di Messi sono paragonabi-li alle suonate di Arturo Benedetti Mi-chelangeli, ai visi di Raffaello, alla trom-ba di Chet Baker, alle formulematematiche della teoria dei giochi diJohn Nash, a tutto ciò che smette di es-sere suono, materia, colore, e diventaqualcosa che appartiene a ogni elemen-to, e alla vita stessa. Senza più separa-zione, distanza. È lì, e non si può viveresenza. E non si è mai vissuti senza, soloche quando si scoprono per la primavolta, quando per la prima volta le si os-serva tanto da restarne ipnotizzati, lacommozione è inevitabile e non si arri-va ad altro che a intuire se stessi. A guar-darsi nel proprio fondo.

Ascoltare i cronisti sportivi che com-mentano le sue cavalcate basterebbe

per definire la sua epica di giocoliere.Durante un incontro Barcellona-RealMadrid, il cronista vedendolo assediatoda tentativi di fallo smette di descriverela scena e inizia solo un soddisfatto:«Non va giù, non va giù, non vagiuuuuuù». Durante un’altra sfida fra lestoriche arcirivali, l’ola estatica «Messi,Messi, Messi, Messi» riceve una “a” sup-plementare che gli rimarrà addosso:Messia. È questo l’altro soprannomeche La Pulce si è guadagnata con la gra-zia beffarda delle sue avanzate, con lostupore quasi mistico che suscita il suogioco. «L’uomo si fece Dio e inviò il suoprofeta», così dicono le scritte di un ser-vizio televisivo dedicato a El Mesias, e acolui che come incarnazione divina delcalcio lo precedette: Diego ArmandoMaradona.

Sembra impossibile ma Messi quan-do gioca ha in testa le giocate di Mara-dona, così come uno scacchista in undeterminato momento della partita,spesso si ispira alla strategia di un mae-stro che si è trovato in una situazione

analoga. Il capolavoro che Diego Ar-mando aveva realizzato il 22 giugno1986 in Messico, il gol votato il miglioredel secolo, Lionel riesce a ripeterlo pres-soché identico e quasi esattamentevent’anni dopo, il 18 aprile 2007, a Bar-cellona. Pure Leo parte da una sessanti-na di metri dalla porta, anche lui scartain un’unica corsa due centrocampisti,poi accelera verso l’aria di rigore, doveuno degli avversari che aveva superatocerca di buttarlo giù, ma non ci riesce. Siaccalcano intorno a Messi tre difensori,e invece di mirare alla porta, lui sgusciavia sulla destra, scarta il portiere e un al-tro giocatore… E va in gol. Dopo aver se-gnato, c’è una scena incredibile coi gio-catori del Barcellona pietrificati, con lemani sulla testa, si guardano intorno co-me a non credere che fosse possibile an-cora assistere a un gol del genere. Tuttipensavano che un uomo solo fosse ca-pace di tanto. Ma non è stato così.

La stampa si inventa subito il nomi-gnolo “Messidona”, ma c’è qualcosanella somiglianza dei due campioni ar-gentini che oltrepassa simili trovate emette i brividi. In uno sport che la faseepica sembra essersela lasciata allespalle, le prodezze di Messi somiglianoal reiterarsi di un mito, e non di un mitoqualsiasi, ma di quello che più forte-mente è in contrasto con il nostro tem-po: Davide contro Golia. Fisici minu-scoli, quartieri poveri, incapacità nel ve-dersi diversi da come quando giocava-no nei campetti, faccia sempre uguale,rabbia sempre uguale, come un’accidiache ti porti dentro. Teoricamente ave-vano tutto quanto bastava per sbaglia-re, tutto quanto bastava per perdere,tutto quanto bastava per non piacere anessuno e per non giocare. Ma le cosesono andate diversamente.

Messi, quando Maradona segnavaquel gol in Messico, non era neanchenato. Nascerà nel 1987. E la ragione percui io l’ho seguito a Barcellona, al puntodi volerlo incontrare, ha la sua origine

proprio in questo: l’essere cresciuto aNapoli nel mito di Diego Armando Ma-radona. Non dimenticherò mai la parti-ta dei mondiali del 1990, un destino ter-ribile portò l’Italia di Azeglio Vicini eTotò Schillaci a giocare la semifinalecontro l’Argentina di Maradona proprioal San Paolo. Quando Schillaci segna ilprimo gol, lo stadio gioisce. Ma si senteche nelle curve qualcosa non va. Dopo ilgol di Caniggia il tifo non napoletano —non autoctono — inizia a prendersela

con Maradona, e lì accade qualcosa chenon succederà mai più nella storia delcalcio e mai era successo sino ad allora:la tifoseria si schiera contro la proprianazionale di calcio. I tifosi della curvanapoletana iniziano a urlare: «Diego!Diego!». D’altronde erano abituati a far-lo, come biasimarli e come identificarsiin altri? Anche se dovrebbe essere cara lapropria squadra nazionale, in quel mo-mento è Maradona che rappresenta latifoseria del San Paolo più di una nazio-nale di giocatori provenienti da altrecittà d’Italia, da Roma, Milano, Torino.

Maradona era riuscito a sovvertire lagrammatica delle tifoserie. E a Romagliela fecero pagare durante la finale Ar-gentina-Germania, dove il pubblico pervendicarsi dell’eliminazione dell’Italiain semifinale e delle defezioni create al-l’interno della tifoseria, inizia a fischiarel’inno nazionale. Maradona aspetta chela telecamera, nella carrellata sui gioca-

tori, arrivi sulle sue labbra, per lanciareun «hijos de puta» ai tifosi che non ri-spettano neanche il momento dell’in-no. Una finale terribile, dove a Napoli sitifava tutti, ovviamente, per l’Argentina.Ma poi il momento del rigore assoluta-mente dubbio distrugge ogni speranza.La Germania chiaramente in difficoltàdeve però vincere e vendicare l’Italiabattuta. Un rigore dubbio per un fallo suRudi Voeller, lo realizza Andreas Breh-me. E il commento del cronista argenti-no fu: «Solo così fratello… solo così po-tevate vincere contro Diego».

Ricordo benissimo quei giorni. Avevoundici anni, e difficilmente tornerò maia vedere quel tipo di calcio. Ma qualco-sa sembra tornare, di quel tempo. Il goldel Messico contro l’Inghilterra, il gol ri-fatto dalla Pulce vent’anni dopo, segnauno dei momenti indimenticabili dellamia infanzia. Mi chiedo che meravigliae che vertigine sarebbe veder giocareMessi al San Paolo, lui, di cui lo stessoMaradona disse: «Vedere giocare Messiè meglio che fare sesso». E Diego, di en-

trambe le cose, se ne intende. «Mi piaceNapoli, voglio andarci presto», dice Lio-nel, «Starci un po’ dev’essere bellissimo.Per un argentino è come essere a casa».

Il momento più incredibile del mioincontro con Messi è quando gli dicoche quando gioca somiglia a Maradona— “somiglia”: perché non so comeesprimere una cosa ripetuta mille volte,anche se devo dirgliela lo stesso — e luimi risponde: «Verdad?», «Davvero?»,con un sorriso ancor più timido e con-tento. Del resto, Lionel Messi ha accet-tato di incontrarmi non perché sia unoscrittore o per chissà cos’altro, ma per-ché gli hanno detto che vengo da Napo-li. Per lui è come per un musulmano na-scere alla Mecca. Napoli per Messi, e permolti tifosi del Barcellona, è un luogo sa-cro del calcio. È il luogo della consacra-zione del talento, la città dove il dio delpallone ha giocato gli anni più belli, do-ve dal nulla è partito verso la sconfitta

delle grandi squadre, verso la conquistadel mondo.

Lionel appare il contrario di come tiaspetti un giocatore: non è sicuro di sé,non usa le solite frasi che gli consiglianodi dire, si fa rosso e fissa i piedi, o si met-te a rosicchiare le unghie dell’indice edel pollice avvicinandole alle labbraquando non sa che dire e sta pensando.Ma la storia della Pulce è ancora piùstraordinaria. La storia di Lionel Messi ècome la leggenda del calabrone. Si diceche il calabrone non potrebbe volareperché il peso del suo corpo è spropor-zionato alla portanza delle sue ali. Ma ilcalabrone non lo sa e vola. Messi conquel suo corpicino, con quei suoi piedipiccoli, quelle gambette, il piccolo bu-sto, tutti i suoi problemi di crescita, nonpotrebbe giocare nel calcio modernotutto muscoli, massa e potenza. Soloche Messi non lo sa. Ed è per questo cheè il più grande di tutti.

© Roberto Saviano 2009. Published byArrangement with Roberto

Santachiara Agenzia Letteraria

&Messi

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A CONFRONTOA sinistra,Lionel Messie Roberto Savianofotografatiinsiemenegli spogliatoidello stadioCamp Noudi BarcellonaIn basso,altre immaginidel campionee dello scrittore

Lionel fu invitato a disegnare la sua storiacon un pennarello. È divertente e malinconicovedere il ritratto che fece di se stesso:un bimbetto tra lunghissime foreste di gambe

Guardarlo giocare è qualcosa che va oltreil calcioe coincide con la bellezza stessaQuasi un’epifania che permette a chi è lì

di confondersi pienamente con ciò che vede

le presenzefinoranel Barcellona

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il totaledei golsegnati

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la sua etàall’esordionel Barça

17anni

‘‘Dolore negatoEro sempre il più piccolo di tutti,

qualunque cosa facessi, ovunque andassi...Ma non potevo permettermi di sentire dolore,

non potevo permettermi di mostrarlodavanti al mio nuovo club. Perché a loro dovevo tutto

REPUBBLICA TVI retroscena dell'incontrocon Lionel Messi,gli allenamentidi Maradona, le maildopo le frasidi Cannavarosu "Gomorra"Roberto Savianoracconta tuttoDa oggisu Repubblica TvA curadi Francesco Fasiolo

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 29DOMENICA 15 FEBBRAIO 2009

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Repubblica Nazionale

l’attualitàFede e potere

Come puòun potentato religiosoche condiziona solotra il tre e il cinqueper cento dei votidetenere la goldenshare del governodi centrodestra?Dalla vittorianel referendumsulla procreazioneassistita al casoEluana, ecco quantoconta la politicadella Chiesa cattolica

30 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 FEBBRAIO 2009

ROMA

Enigma e paradosso sono ilmarchio del potere dellaChiesa in Italia. Un potere avolte pesante, a volte impal-

pabile, alternativamente gridato e silen-zioso, evidente e nascosto. Capace di mo-bilitare e al tempo stesso privo di consen-so maggioritario. Ma quel che conta: unpotere che c’è.

L’ultima vittoria elettorale di Santa Ro-mana Chiesa si registrò alle elezioni re-gionali del Lazio nel 2000, quando il pre-sidente della Cei cardinale Camillo Ruinivolle punire la giunta ulivista di Piero Ba-daloni per aver tentato di regolamentarele coppie di fatto. Vinse, con l’appoggio dicongregazioni e parrocchie, il post-mis-sino Francesco Storace.

Otto anni dopo, la rivelazione clamo-rosa dell’impotenza ecclesiastica nell’o-rientare larghe masse alle elezioni politi-che del 2008: l’Udc prese poco più del cin-que per cento. Eppure, auspice sempre ilcardinale Ruini, il direttore dell’AvvenireDino Boffo si era speso a favore del parti-to di Casini, indicandolo come «presenzache fa esplicito riferimento alla dottrinasociale della Chiesa». In mezzo (anno2005) si colloca il trionfo nel referendumsulla procreazione assistita, che ha vistola Chiesa esibire dalla sua parte il vessillodel settantaquattro per cento di non vo-tanti.

Dove sta il potere politico della Chiesae dove il suo tallone d’Achille? In che con-siste la sua capacità di pesare sul ceto po-litico italiano? Sono tramontati i tempiquando la gerarchia ecclesiastica, agen-do sull’associazionismo cattolico, i grup-pi professionali e sindacali bianchi, leparrocchie e le congregazioni religiose,riusciva a convogliare una parte notevo-le del voto sulla Democrazia cristiana.Dopo Tangentopoli e l’implosione dellaDc i credenti si sono divisi e frammentatie si è profilato sempre più chiaramentequello che Alessandro Castegnaro, diret-tore dell’Osservatorio Religioso Trivene-to, chiama il «doppio registro» dei catto-lici: «Da un lato c’è il riconoscimento del-l’utilità che la Chiesa formi le coscienze,dia indicazioni, inviti alla riflessione suivalori; e dall’altro, di fronte alle scelte divita, la stragrande maggioranza della po-polazione sostiene che riguardano lapropria coscienza. Fatta eccezione peruna minoranza di fedeli». In varie inchie-ste dove la domanda era “chi decide cosaè male?”, il novanta per cento ha risposto:la coscienza individuale. Altri, la legge diDio. Ultimi quelli per cui la Chiesa “può”dare l’indicazione decisiva. Nei giovani,sintetizza, la distinzione tra sfera etica edimensione religiosa è visibilissima.

E tuttavia nell’ultimo quindicennio lagerarchia ecclesiastica ha sempre dettol’ultima parola sulle leggi riguardanti irapporti di vita. Ha impedito l’introdu-zione del divorzio breve, ha voluto unalegge sulla fecondazione assistita cheprevede il divieto di scartare gli embrionimalati, ha bloccato una legge sulle coppiedi fatto e infine — sul caso Eluana — è riu-scita a trascinare Berlusconi, inizialmen-te riluttante, a sfiorare la crisi istituziona-le pur di impedire l’esecuzione della sen-tenza, che autorizzava l’interruzione delsuo calvario.

Una delle risposte sta nella fragilità del-la classe politica. La Chiesa non muovemolti voti, forse qualcosa tra il tre e il cin-que per cento. Però in un bipolarismo, incui il cambio di governo può dipendereda ventiquattromila voti (come nel 2006),i partiti sono ossessionati dalla paura di

avere contro la gerarchia ecclesiastica.«La parola d’ordine sotterranea è chenon conviene litigare con i preti», riassu-me ironicamente il sociologo ArnaldoNesti, che punta l’attenzione sulla retediscreta di personaggi ex democristianio provenienti dall’associazionismo cat-tolico, piazzati in provincia in posizionianche economicamente importanti. Simuovono in autonomia e al tempo stes-so hanno come riferimento ultimo il ve-scovo: specie nelle battaglie sulle «leggieticamente sensibili», in cui schierarsi

diventa mostrare bandiera pro o controil verbo della Chiesa. Tanto, aggiungeNesti, c’è la riserva mentale che «ognunonel privato fa ciò che vuole». Di pari pas-so, conclude, si manifesta l’atteggia-mento rinunciatario della cultura laica.

Castegnaro rovescia il discorso. Nel-l’indubbia debolezza del sistema politi-co, spiega, risalta la debolezza delle cul-ture secolari post-novecentesche. LaChiesa non trova più competitori comeun tempo: ad esempio, la sub-cultura del

Pci. E allora essa appare come l’istanzache «offre più informazioni, più opzioni,più indicazioni di valore». I laici parlanosolo di libertà individuale e tende a man-care nel loro discorso l’orizzonte dell’edi-ficazione di un tessuto solidale.

La strategia dell’istituzione ecclesiasti-ca è stata costruita negli anni Novanta dalcardinale Ruini, allora presidente dellaCei. Si basa su due assi. La pretesa di rap-presentare la visione antropologica «ve-ra», consona alla tradizione cristiana del-l’Italia, e al tempo stessa «retta» interpre-te della ragione e della natura, è il primo.Ne deriva la spinta a presentarsi come ilreferente autentico per la legislazione suitemi etici: dall’embrione alla famiglia,dalla pillola del giorno dopo alla ricercasulle staminali, al testamento biologico.Indispensabile a questo disegno è l’asso-luto centralismo della Cei, il cui vertice ri-verbera il volere del Papa, unito al silen-ziamento del dibattito tra i vescovi e nelmondo cattolico. Risultato raggiunto.Negli ambienti del laicato cattolico l’afa-sia è acuita dalla scomparsa di figure pre-stigiose come lo storico Pietro Scoppola,il sociologo Roberto Ardigò, lo studioso distoria della Chiesa Giuseppe Alberigo.

Il secondo elemento strategico è lacompatta utilizzazione dei media eccle-siastici per occupare la scena pubblica:l’Osservatore Romano, l’Avvenire, il Sir, isettimanali e le radio diocesane, i comu-

nicati della Cei. Non è un caso che DinoBoffo sia contemporaneamente diretto-re di Avvenire, della Tv dei vescoviSat2000 e del circuito radio della Cei. Aquesta rete, che nei momenti crucialimartella ossessivamente l’opinionepubblica e la classe politica — si tratti delno ai Dico, del referendum sulla procrea-zione assistita o del testamento biologicoo di Eluana — si aggiunge come alleatoesterno, di area laica, il Foglioche nel no-me dell’ideologia occidentalista teoconrilancia aggressivamente i comanda-menti del magistero ecclesiastico. Sulpiano sociale agiscono in primo piano igruppi più integralisti: l’AssociazioneScienza e Vita, il Movimento per la Vita, iCentri di aiuto alla vita, il Forum delle fa-miglie. Insieme a due movimenti che oc-chieggiano alle manifestazioni anti-Za-patero in Spagna: i neo-pentecostali diRinnovamento dello Spirito e i Neo-Ca-tecumenali. Sul piano parlamentare simuovono Cl e l’Opus Dei.

Alle associazioni tradizionali, cono-scendone il pluralismo interno di fatto, ivertici ecclesiastici chiedono solo il pub-blico allineamento nelle grandi occasio-ni. Dal Family Day al referendum sullaprocreazione artificiale, al contrasto del-le sentenze della magistratura favorevolia Beppino Englaro. Ai deputati cattolici,infine, la dottrina Ratzinger impone ub-bidienza nella legislazione sui valori

«non negoziabili».Su questa base la gerarchia ecclesiasti-

ca si presenta sulla scena come portavo-ce (presunto) della cattolicità e preme in-cessantemente sul fragile sistema politi-co, approfittando del fatto che nel cen-trodestra l’area liberal-socialista si ècompletamente allineata alle posizionidella Chiesa e che nel centrosinistra i teo-dem si ergono insistentemente comeunica «voce cattolica». Con una carta inpiù: la Chiesa interviene a tutto campo,ma se si levano voci di critica, allora rea-

gisce con vittimismo aggressivo lamen-tando il tentativo di imbavagliarla.

Eppure da anni nei sondaggi la grandemaggioranza della popolazione ribadi-sce che la Chiesa non deve interferire nel-la legislazione. Nell’ultima indagine Swgdell’estate scorsa, l’ottantadue per cento.Per questo al referendum del 2005 la pre-sidenza della Cei, incerta sulla consisten-za dei fedeli a proprio favore, giocò la car-ta dell’astensione. Teorema dimostratodall’audience televisiva la notte della

L’armata del Vaticanoalla battaglia dell’etica

MARCO POLITI

sono i preti diocesani:uno ogni 1.700 cattolici

33.400

i sacerdoti membridi congregazioni e ordini

17.400

sono gli anni in mediadei sacerdoti italiani

62

sono le suore, riunitein 627 congregazioni

81.723

i seminaristi censitinel 2006

5.825

le parrocchie italiane226 le diocesi

26.000

Dopo l’implosionedella Dc, i credentisi sono divisi

La nuova strategiaè sorta negli anniNovanta con Ruini

I GIORNALI DIOCESANISono circa 160 le testateaderenti alla Federazioneitaliana dei settimanalicattolici (Fisc) per oltreun milione di copie settimanali

L’OSSERVATORE ROMANOQuotidiano nato nel 1861per “confutare le calunnieche si scagliano contro di Romae del Pontificato Romano”,ha una tiratura di 24.500 copie

AVVENIREFondato nel 1968,è il quotidiano della Cei(tiratura 150.500 copie)e lo strumento principaledelle campagne dei vescovi

FAMIGLIA CRISTIANASettimanale nato nel 1931,conta tre milioni di lettoriHa assunto di recenteposizioni originali rispettoa temi civili e politici

COMUNICATI CEILa Conferenza EpiscopaleItaliana esprime posizionisu temi etici e politicidiffondendo i suoi documentisul suo sito Internet

SIRIl Servizio InformazioneReligiosa nasce nel 1988come agenzia di stampacon il sostegno della CeiDal 1995 ha un sito web

media numeri

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 31DOMENICA 15 FEBBRAIO 2009

morte di Eluana. Se otto milioni guarda-no il Grande Fratelloe solo quattro milio-ni Porta a Porta (mostrandosi nelle mailspaccati sul sì o sul no alla decisione di En-glaro), cos’è più conveniente se non ar-ruolare alla propria strategia gli otto mi-lioni che non vogliono porsi problemi?

Perché la comunità dei credenti èestremamente variegata. Sotto la cappadella linea ufficiale si possono incontraresuore che sbuffano perché «Santa MadreChiesa non si sta un po’ zitta», responsa-bili diocesani che esprimono «fatica perle posizioni attuali» e persino cardinaliche confessano: «Non parlo, perché sareieretico». La maggioranza dei fedeli nonha nascosto in queste settimane di staredalla parte di Eluana. Lo dicevano anchetanti pellegrini la domenica in piazza SanPietro. E dopo la sua morte (sondaggio diNando Pagnoncelli) il settantaquattroper cento sostiene ancora che sul testa-mento biologico debba decidere il sog-getto o, in caso di coma, la sua famiglia.

Riassume Angelo Bertani, direttoredell’agenzia Adistae già direttore di Segno(Azione cattolica) e caporedattore di Av-venire: «In Italia assistiamo all’incontro didue debolezze. La Chiesa ha bisogno dimezzi esterni… dello Stato… delle leggi,perché non possiede il linguaggio perconvincere. E la politica di centrodestra,incapace di unire il Paese, cerca una legit-timazione morale e un mantello sacrale».

Qualcuno si sorprende dell’influenzadella Chiesa nel dibattito pubblico inItalia. Dell’attenzione riservata, negli

ambienti politici, alle sue posizioni su que-stioni sociali e morali. Nonostante il sensibi-le declino della pratica religiosa e delle ade-sioni all’associazionismo confessionale. Icattolici praticanti sono, infatti, meno deltrenta per cento, concentrati nelle periferie emolto ridotti nei centri (urbani). Le iscrizio-ni alle associazioni cattoliche più importan-ti sono diminuite ormai da molti anni.

Inoltre, dal punto di vista elettorale, è fini-ta l’epoca dell’unità politica dei cattolici. In-sieme alla Dc e alla fine del comunismo. Alleelezioni politiche del 2008 il voto dei cattoli-ci praticanti si è distribuito in modo propor-zionale fra i partiti più importanti. Come mo-strano i dati di un’indagine (LaPolis-Univer-sità di Urbino) condotta nelle settimane suc-cessive al voto su un campione nazionale dioltre 3300 casi. Il trenta per cento di chi fre-quenta assiduamente la messa domenicaleha, infatti, votato per il Pd; il quarantuno percento Pdl. Rispettivamente, tre punti per-centuali in meno e in più rispetto al risultatoottenuto fra gli elettori nel complesso. Il chesignifica, calcolato in termini di voti validi,l’uno per cento. L’Udc — l’ultimo partito aesibire l’identità cattolica come bandiera —ha intercettato il dieci per cento degli eletto-ri cattolici (praticanti). Sul totale dei voti va-lidi: meno del quattro per cento.

Peraltro, larga parte dei cattolici pratican-ti e (a maggior ragione) non praticanti, pen-sa che la Chiesa si debba esprimere sui piùimportanti aspetti dell’etica personale epubblica. Anche se alla fine si affida alla pro-pria coscienza. E ritiene che i parlamentaridebbano fare lo stesso. Da ciò i dubbi, le per-plessità circa l’influenza della Chiesa sullapolitica italiana. In particolare, sulle sceltedei partiti, non solo di centrodestra, anche dicentrosinistra, come si è potuto verificarenella recente vicenda di Eluana. E come av-verrà in occasione del ddl sul testamentobiologico.

Tuttavia, l’influenza della Chiesa sulla so-cietà e sulla politica italiane non è misurabi-le in termini di “controllo elettorale”. Né at-traverso la quota dei “cattolici praticanti”.D’altra parte, quasi nove italiani su dieci si di-cono cattolici. Gran parte di essi intendequesta professione di fede come l’adesione auna comunità e a un sistema di valori. Unasorta di “religione pagana”, aggiungono al-cuni. Ma si tratta comunque di un sentimen-to di appartenenza, che conta in una societàafflitta da un profondo deficit di identità.Tanto che quasi otto su dieci tra i non prati-canti considera importante dare ai figli un’e-ducazione cattolica (Demos-Eurisko, feb-braio 2007). Non va trascurato che una lar-ghissima maggioranza delle famiglie destinal’otto per mille del proprio reddito alla Chie-sa cattolica e accetta che i figli a scuola fre-quentino l’ora di religione.

Peraltro, circa il sessanta per cento degliitaliani dice di provare fiducia nella Chiesa, euna quota di poco superiore nelle parroc-chie. Il che richiama un’altra importante ra-gione dell’influenza della Chiesa. Il suo radi-camento nella società e sul territorio. Attra-verso la sua struttura, la sua offerta di servizi,la sua rete associativa, il volontariato. Cheoperano in molti e diversi campi. Dall’edu-cazione al tempo libero, fino all’accoglienzaagli immigrati e all’assistenza caritativa aipiù poveri.

Senza dimenticare i media cattolici. Daigiornali — locali e nazionali — alle emittentiradiofoniche (che hanno una copertura am-pia e capillare) alle antenne satellitari. Allacomunicazione via internet. Naturalmentela Chiesa esprime anche valori e “contenuti”.Da qualche tempo, aggredisce le questionicritiche dell’etica pubblica e privata in modoaperto e diretto. Offre risposte magari discu-tibili e discusse, non importa. Contestate dasinistra, sui temi della bioetica. Ma anche dadestra, sui temi della pace e dell’immigrazio-ne. Tuttavia, esprime “certezze”. E ciò rassi-cura il suo popolo, anche il più tiepido e in-differente. Che ha bisogno di riferimenti evalori. Anche se, poi, ciascuno agisce secon-do coscienza. Cioè: fa a modo suo.

Occorre aggiungere, infine, che il cardinalRuini, per oltre quindici anni presidente del-la Cei, ha accentrato la guida — e il controllo— della gerarchia su questo mondo largo ecomplesso, che oggi si mobilita, come unmovimento o un gruppo di pressione, attra-verso campagne tematiche. A cui i partiti ita-liani, poveri di idee e lontani dalla società,spesso si adeguano. Magari senza troppaconvinzione. Fra molte polemiche. Ma, altempo stesso, senza troppa discussione.

Il vuoto dei partitiriempito

dalla dottrinaILVO DIAMANTI

gli italiani che siprofessano cattolici

86,4%

i favorevoli all’educazionecattolica per i figli

88,2%

quanti dicono di andarea messa la domenica

36,8%

i cattolici per cuiil divorzio è accettabile

55%

i cattolici che tolleranomoralmente l’aborto

23,4 %

I DATINumeri e dati sono trattidall’inchiesta Demos-Euriskoper Repubblica; dall’AnnuariumStatisticum Ecclesiae;dall’Usmi, da Euriskoe da clerus.org. Nelle foto,la proclamazionedi papa Benedetto XVI

SCIENZA E VITANata dal comitato promotoredella legge 40 del 2005sulla fecondazione assistita,si batte contro eutanasiae ricerca sugli embrioni

CENTRI AIUTO ALLA VITASono più di trecento i Cavattivi sul territorio nazionale,hanno come principaleobiettivo la prevenzionedell’aborto terapeutico

RINNOVAMENTONELLO SPIRITOÈ il movimentocarismatico il cuistatuto è statoapprovato nel 1995

PAPA BOYSNati nel 2000con la Giornatamondialedella gioventùa Roma

OPUS DEIFondata da JosemaríaEscrivá de Balaguer nel 1928è una prelatura personaledella Chiesa, conta novantamilamembri ufficiali nel mondo

COMUNIONE E LIBERAZIONEMovimento ecclesialefondato da Luigi Giussaniradicato tra i giovaniOgni anno organizzail Meeting di Rimini

MOVIMENTO DEI FOCOLARIFondato da Chiara Lubichnel 1943 è rivolto per lo piùa laici che scelgonodi consacrarsi. Due milionii focolarini nel mondo

NEOCATECUMENALIDiecimila le comunitàin Italia. Lo statutodel movimento, primaguardato con sospetto,è del 2008

ritiene importantile indicazioni della Chiesa

24,6%

associazioni & movimenti

MOVIMENTO PER LA VITAFondato nel 1975, ha 500 sedi. Nel 1981promosse il referendumper abrogare la leggesull’aborto

FORUM DELLE FAMIGLIE Nasce nel 1992Nel 2007 ha promossoil Family Day controil disegno di leggesulle coppie di fatto

Repubblica Nazionale

Cento anni fail Manifestodel Futurismoglorificava“il disprezzodella donna”Eppure, come oradocumenta un librodi Giancarlo Carpi,molto della pittura,scultura, danza,letteratura, cinemadi quel movimentod’avanguardiafu dovuto allacreatività femminile

32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 FEBBRAIO 2009

marzo 1912 Marinetti e Boccioni si ri-troveranno a sfilare «sottobraccio allepochissime suffragette carine» — uncorteo era passato sotto l’Hotel Savoy ei due futuristi erano scesi a unirsi alledonne in marcia — ma si erano infran-te alcune vetrine, e la polizia a cavalloera intervenuta verso Trafalgar Square;tra cariche e manganellate, aveva an-che sparato in aria; i due italiani eranofuggiti infilando un portone, ma le suf-fragette avevano poi applaudito le con-ferenze in francese di Marinetti — evi-dentemente, senza capirne una parola.L’«inferiorità assoluta della donna»(manifesto Contro l’amore e il parla-mentarismo) è radicata nell’educazio-

ne; «se la donna sogna oggidì di con-quistare i diritti politici, è perché, senzasaperlo, essa è intimamente convintadi essere, come madre, come sposa ecome amante, un cerchio ristretto, pu-ramente animale» (la donna è naturale,dunque abominevole, aveva già scritto,per dandysmo, il poeta Charles Baude-laire, mezzo secolo prima).

A Marinetti rispose nel 1912, con ilManifesto della donna futurista, unaparigina di Lione, Valentine de Saint-Point. Bella e inquieta, Anne ValentineDesglans de Cessiat Vercell era proni-pote di Lamartine, e aveva preso comepseudonimo il paesino della Loira doveriposava il prozio poeta; Marinetti ave-

va ospitato i suoi versi già nel 1906 nellarivista Poesia. Intanto Valentine avevatentato il romanzo (L’incesto) e la pittu-ra, posando nuda per i suoi maestriAlphonse Mucha e Auguste Rodin. Nel1912 aveva trentasette anni; a Parigi,sempre insieme a Ricciotto Canudo,l’intellettuale detto “le barisien” perchépugliese, era nota per i suoi immensicappelli. Con Marinetti, furono tre annidi amore «infuocato e intervallato» (di-ceva il pittore Severini: «Marinetti è ca-pace anche d’innamorarsi, se si tratta diaprire la strada al futurismo»).

Ciò che manca di più alle donne co-me agli uomini è la virilità, argomentòdunque Valentine nel Manifesto delladonna futurista. I modelli sono le Erin-ni, le Amazzoni, Giovanna d’Arco,Charlotte Corday, Cleopatra e Messali-na; e Caterina Sforza che, dai merli delcastello sotto assedio, al nemico cheminacciava di ucciderle il figlio, avevamostrato, sollevando le vesti, le inti-mità: «Ammazzatelo pure! Mi rimanelo stampo per farne altri». Riacquistidunque la donna la sua crudeltà e laviolenza: perché — fatto salvo il fem-minismo, portatore d’ordine, dunqueantifuturista — «nessuna rivoluzionedeve rimanerle estranea».

Si volantinò, a Parigi e a Milano, an-che il successivo Manifesto della lussu-ria: «La Lussuria è una forza», è ricercacarnale dell’ignoto: bisogna farneun’opera d’arte. «Cessiamo di scherni-re il Desiderio, questa attrazione di duecarni, qualunque sia il loro sesso». Ma-rinetti, «politimbrico», declamò il testonella sala Gaveau di Parigi mentre Va-lentine, sotto l’ombrello di una scintil-lante costruzione di aigrettes, e unanello che «invetrinava il più bel piededel mondo», mimava una danza «idei-sta». Ci fu una scazzottatura, a causa «dialcuni imbecilli che insieme ai futuristiprendevano sul serio tutto ciò senzaperò esser d’accordo, disgraziati»; ilpittore Severini era pronto a buttarsidal palco in sala per dare man forte, ma

DARIA GALATERIA

«Glorificare», intimail Manifesto delFuturismo del1909, «il disprezzodella donna».«Noi disprezzia-

mo la donna», ribadiva nel 1910 Mari-netti, «concepita come ninnolo tragi-co». A scherno, Arturo Martini aveva in-titolato Méprisez la femmeuna sua lito-grafia, nel 1912. A Torino, nel 1909,Poupés électriques — bambole elettri-che — col titolo italiano La donna è mo-bile metteva in scena fantocci elettro-meccanici sostitutivi della donna. Na-

turalmente, si rifiutava la femme fataledel decadentismo, il «guinzaglio im-menso» dell’Amore, la famiglia, «soffo-catoio delle energie vitali», il debilitan-te sentimentalismo femminile («Ladonna che avevo io, pretendeva di mo-nopolizzare il mio sesso, il quale è col-lezionista», si protesta con enfasi, sem-pre nel 1910, nella tragedia satirica LeRoi Bombance, il Re Baldoria).

Noi vogliamo combattere contro ilfemminismo, proclamava pure quelprimo Manifesto; però nel 1910 si valu-tavano le ricadute positive del movi-mento: «Se l’entrata aggressiva delledonne nei parlamenti… finirà per di-struggere il principio della famiglia,cercheremo di farne a meno». E del re-sto, in una spedizione a Londra nel

La marcia beffardacon le suffragetteper le vie di Londradei giovaniBoccioni e Marinetti

VELLUTO NERODall’alto: Alzira Braga,Ora di velluto nero, tavolaparolibera. Collezioneprivata, Milano, fotodi Luca CarràBenedetta CappaMarinetti, Viaggiodi Gararà. Romanzocosmico per teatro,1931, illustrazionedi Bruno MunariProprietàdella BibliotecaUniversitariaAlessandrina RomaMaria Ginanni, Montagnetrasparenti, 1917,illustrazione di ArnaldoGinna. Courtesy ArchivioScudieroBenedetta CappaMarinetti, Le forzeumane. Romanzoastrattocon sintesi grafiche,1924, illustrazionedell’autrice. Proprietàdella BibliotecaNazionale Centraledi Roma

Le donne e l’aerorivoluzione

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 15 FEBBRAIO 2009

era stato trattenuto dal colosso Cravan,boxeur pre-surrealista, nipote, si dice-va, di Oscar Wilde. Severini poteva pu-re pensare che fosse una réclame furi-bonda per della paccottiglia rancida,ma insomma il Futurismo era movi-mento. E la danza della Saint-Point, inparticolare la performance Metachorie(oltre la danza), antipsicologica, per-ché il volto era coperto da un velo neu-tro, con le sue singolari disposizioni astella — il corpo steso come una ranoc-chia, le braccia a squadro a toccare ledita del piede — stravolse il ballettoclassico, e finì, nel 1917, al Metropoli-tan di New York.

Misoginia a parte, la danza della

divertente) panorama di testi, e graziea un ampio corredo iconografico, testi-monia di questa importante presenzafemminile, dalle prime tavole paroli-bere di Maria Angelini, la cameriera diMarinetti, attraverso le grandi poetes-se e aeropittrici, fino ai coloratissimi ar-redi apprestati dalle figlie-vestali diBalla.

Agiografico il ritratto di Marinetti sti-lato nel 1916 dalla fantesca Marietta An-gelini, che aureolava di parole in libertàl’asta gigante di un “1”. Ironica invece latavola parolibera del 1919 di BenedettaMarinetti, dal titolo irriverente Benedet-ta fra le donne, e la dicitura «Spicologiadi 1 uomo» — non psicologia, ma «spi-co», spillo: i fili tesi tra gli spilli, come inun manufatto femminile, circondanoun cerchio con la scritta: «vuoto». Mari-netti nel ‘19 ha più di quarant’anni; nel-lo studio di Balla (si entrava perlopiù dalbalcone, saltando la ringhiera) ha vistoper la prima volta l’angelica e flessuosaBenedetta Cappa: lunghe trecce scure,padre ufficiale piemontese, madre val-dese; però, a diciannove anni e quattromesi, è già futurista. Parlano di Bergson,e i primi amori pestano, in un campo ol-tre Sant’Agnese extra-moenia, otto me-tri quadrati di erba: «Non avremo mai unletto così grande», sospira Benedetta; sisposeranno qualche anno dopo. Velo-cità di un motoscafo, già dal 1919, tradu-ce una scia in mare in una vibranteesplosione astratta di linee e triangoliblu e oro. Si orienterà poi su toni pastel-lo — e intimi, nella narrativa: L’ultimosogno di Astra, in Astra e il sottomarino(1935), evoca «una casa bianca. Astraespresse da sé quattro figlie e successi-vamente aperse un vano tondo senzaimposte nella facciata… Metodicamen-te il padre murò il tondo occhio». Il «ro-manzo chirurgico» Un ventre di donna(1919) racconta una laparotomia in«non diluiti», dinamici termini futuristi(«CORAGGIO + VERITÀ”). È inserita unalettera di Marinetti, che suggerisce unacura futurista: «Perfezionare il desiderio

di un oggetto». È Enif Robert, che con Rosa Rosà e

Fanny Dini collabora alla nuova rivistaItalia futurista, animata da Maria Gi-nanni. Enrica Piubellini firma tavoleparolibere ispirate alla guerra, mentresi prepara la pattuglia di aeropoetesse eaeropittrici (Zátková, Barbara, MarisaMori). Ma è l’aerodanza di GianninaCensi — in costume di lieve alluminiodisegnato da Prampolini, nelle splen-dide foto rivelate dalla studiosa di dan-za moderna Leonetta Bentivoglio —uno dei capolavori del futurismo. Sco-perta nel 1930 da Escodamé — pseudo-nimo di un “buttafuori” futurista —Giannina Censi, che ha studiato a Pari-

gi con la russa Ljubov Egorova (la gran-de maestra su cui stava cristallizzandola sua follia Zelda Fitzgerald) si preparaora con arditi voli aerei e realizza, supe-rando «le passatiste ondulazioni di co-sce montmartroises per forestieri», ladanza «disarmonica, sgarbata, anti-graziosa, asimmetrica, sintetica» pre-conizzata dal manifesto marinettianonel 1917. Tra le fotografe, Wanda Wulz,con Io+gatto, impressiona Marinetti, epassa alla storia. Nel 1930, Tina Corde-ro firma, con Guido Martina e PippoOriani, Velocità, il capolavoro del cine-ma futurista. Pulsazioni e battiti di luceanimano nel finale la scomposizione diun manichino metallico: «L’uomod’acciaio resta con la sua ombra, l’uni-ca cosa che ci appartiene».

Si rifiutavanola femme fataledel decadentismo,l’amore-guinzaglioe la famiglia

“Disarmonica,sgarbata, sintetica,antigraziosa”. Cosìfu definita la danzadi Giannina Censi

IL LIBRO

Futuriste. Letteratura Arte Vita, di Giancarlo Carpi, pubblicatodalla Casa Editrice Castelvecchi (686 pagine con ampio apparatoiconografico, 35 euro, in libreria dal 18 febbraio) è un volume antologicosulle artiste futuriste: intellettuali e scrittrici, ma anche pittrici, fotografe,cineaste, danzatrici, artiste dalla vita anticonvenzionale. A cento anniesatti dalla pubblicazione su Le Figaro (20 febbraio 1909) del ManifestoFuturista di Filippo Tommaso Marinetti, ecco uno spaccato di vitadi donne che in quel movimento d’avanguardia videro la possibilitàdi sovvertire gli stereotipi femminili del tempo

ELICHE IN FESTAQui sopra: Ruzena Zátková,Autoritratto, 1901. Collezione privata,Milano, foto di Luca CarràIn alto nell’immagine grande:Leandra Angelucci Cominazzini,Eliche in festa, 1935Collezione privata

Saint-Point, la pittura polimaterica e lascultura cinetica di Ru�ena Zátková, ilruolo di Benedetta Marinetti nell’in-venzione del Tattilismo fanno del Fu-turismo uno dei movimenti d’avan-guardia con la maggiore partecipazio-ne femminile, afferma oggi GiancarloCarpi in Futuriste. Letteratura Arte Vi-ta, quasi settecento pagine di saggio eantologia del futurismo al femminile(Castelvecchi). Oltre le specifiche rico-gnizioni, negli anni Ottanta, di ClaudiaSalaris e Lea Vergine, e più recente-mente di Cecilia Bello Minciacchi, e poidi Mirella Bentivoglio e Franca Zoccoli— il bel saggio delle due studiose, Le fu-turiste italiane nelle arti visive, appro-da, ampliato, da New York alla De Lucaeditori d’arte —, Carpi nel vastissimo (e

Repubblica Nazionale

perlate seduti ai tavolini del Casinò.Ma soprattutto, nella secca brevità di ciascuna voce, si indovi-

nano le biografie di centinaia di italiani che ci hanno provato enon ce l’hanno fatta, e sono stati travolti dall’imponderabilequando già erano alle porte del successo, o si sono barcamenatiper anni nel limbo di una fama minima e spesso regionale, o han-no ritentato dopo la caduta ricadendo ancora. Un lungo elencodi artisti non-protagonisti, di italiani e italiane di provincia e dipaese che sognano di fare il cantante e addirittura, a centinaia, lofanno. Così fitto, così intenso, da farci capire come e quanto la“tentazione artistica”, in questo paese, sia un sogno, una scor-ciatoia e anche una dannazione da ben prima che la televisione,con i suoi reality, offrisse a tutti l’occasione o l’illusione di esibir-si in pubblico. Dalla lettura (entusiasmante: e lo dico senza sar-casmo) di questa lunghissima processione di aspiranti star, dimiracolati o mezzo-miracolati, molti dei quali si sono certa-mente rifatti una vita operosa e dignitosa non appena espulsi dalpalcoscenico, emerge un’Italia che nell’arte di campare includeanche la speranza di campare con l’arte. Si indovinano gli Api-cella di allora, ancora non gratificati dalla benevolenza del Pa-drone, i rocker e i punk fatti in tinello con la madre che cuce leborchie, le fatalone non abbastanza belle, gli imitatori e le imita-trici di modelli ahimè già tramontati non appena li si è faticosa-mente colti.

MICHELE SERRA

LA COPERTINASopra,il particolaredella copertinadi un opuscolocon i testidelle canzonidella terzaedizionedel Festivaldi Sanremo,quella del 1953

Basta sfogliare il librone, specie il poderoso Dizionario degliInterpreti e degli Autori che occupa la seconda metà dell’opera,e non ci si stacca più. Sentite, per esempio, quali epopee artisti-che o sub-artistiche, certamente umane, sottendono queste vo-ci, scelte quasi a caso tra le tante, che riporto qui sotto nella loroquasi integrità. Non per dileggio, sia ben chiaro, ma per parteci-pe considerazione delle fatiche, delle speranze, delle frustrazio-ni e dei brevi momenti di gloria.

«Miko, alias don Miko, all’anagrafe Pier Michele Bozzetti, sipresenta una prima volta a Sanremo nel ‘65 come don Miko, poinel ‘76 come Miko, nell’87 come Pier Bozzetti (nell’occasione di-chiara sei anni di meno, come i calciatori sudamericani in cercadi ingaggio, ndr), infine conclude la carriera come Miko Mis-sion».

«Padre Alfonso Maria Parente, frate cappuccino di Casalnuo-vo Monterotaro (Foggia), partecipa all’edizione del 2000 con lacanzone Che giorno sarà, nella categoria Giovani. Criticato daisuperiori, al suo ritorno abbandona il convento e si rifugia in fa-miglia, turbato da una crisi di vocazione ma soprattutto da pro-blemi legali: per essere ammesso tra i Giovani aveva dichiaratodi avere trentadue anni mentre ne ha già trentotto» (si veda co-me la categoria dei «bamboccioni» abbia preceduto di parecchianni la sua tardiva definizione a opera del ministro PadoaSchioppa).

«Stefano Remigi, figlio di Memo Remigi, presente a Sanremo‘96 con Non scherzare dai. Tenta di seguire le orme del padre chefin da bambino lo coinvolge nell’interpretazione in duetto dicanzoni struggenti come Torna a casa mamma e Dove sei ca-gnolino».

«Mimmo Politanò, cantante autore e conduttore radiofonicoe televisivo, partecipa nell’89 alla preselezione pomeridiana del-la sezione Emergenti senza venire ammesso al festival vero e pro-prio, ed è presente nel ‘90 con Una storia da raccontare. Nel 1998mette in musica le poesie del pontefice Karol Wojtyla affidando-ne l’interpretazione ai Cugini di Campagna».

Infine, impareggiabile nella sua brevità: «Sergio Denegale par-tecipa al festival del ‘70 suscitando qualche curiosità a causa delsuo impiego come portalettere». (Miglior fortuna ebbe il sardoVittorio Inzaina, detto «il muratorino» a causa del mestiere diprovenienza. La poetica dell’impiegato di Stato non è mai stataaccattivante come quella del lavoratore manuale, specie se pro-veniente da regioni a forte emigrazione).

L’elenco comincia con Mario Abbate, ex interprete di sceneg-giate napoletane e presente al Festival nel ‘62 e nel ‘63, seguito daMassimo Abbate, settimo figlio del precedente, passato a Sanre-mo nel ‘79 con Napule Cagnarràma senza l’onore di una sola in-quadratura televisiva. «Negli anni Ottanta abbandona l’attivitàmusicale», recita la sua breve voce nell’Almanacco, e in quellafrase secca c’è la minuscola Waterloo della speranza che coin-volge altre centinaia di militi ignoti o seminoti.

L’ultimo in elenco non è Zucchero, come il vostro disinfor-mato cronista avrebbe supposto. Dopo di lui ci sono ben cinquevoci, uno Zucchetti arrangiatore, uno Zulian autore di canzonireligiose e vincitore di uno Zecchino d’oro, uno Zullo dei Trilli(Trilli è il duo del quale fa parte), uno Zuppino autore e il gruppo«di rock leggero italo-brasiliano» Zurawski.

Deliziose finestrelle soddisfano le curiosità statistiche più

Sul Festival di Sanremo esiste una ormai sterminataproduzione critico-saggistica. Specie nella forma delcommento giornalistico, che nei decenni ha impe-gnato intellettuali, scrittori, polemisti e coloristi sen-za eccezione alcuna, o quasi. Questo accanimentocritico si è ingigantito mano a mano che il Festival, na-

to nel 1951 come intrattenimento per il dopocena dei clienti mi-lanesi e torinesi del Casinò di Sanremo, andava mutandosi inevento mediatico dell’anno, infine in Stati Generali della televi-sione con tutti gli annessi e connessi, la spropositata invadenza,la pomposa vaghezza di un medium che in sé è il nulla, e per vi-vere non può che fagocitare gli altri linguaggi.

Fumosa materia (ben più fumosa dell’onesto giornalismo mu-sicale), il dibattito sulla televisione e sul suo presunto “specifico”ha finito per ingoiare tutta intera la lunga storia della gara cano-ra, ovvero delle canzoni e dei cantanti, non altro. Molti ricordanochi ha condotto la scorsa edizione di Sanremo, pochissimi il can-tante e la canzone vincitori. Un po’ come se il giro d’Italia, o il cam-pionato di calcio, diventassero il trascurabile supporto di una tra-sformazione mediatica infinitamente più rilevante di loro, e nes-suno ricordasse la squadra che ha vinto lo scudetto dello scorsoanno, o il ciclista arrivato per primo sullo Stelvio.

A parziale risarcimento di questa immemore indigestionedella balena televisiva, che ha metabolizzato la miriade di can-tanti, autori, musicisti, produttori artistici, discografici che perquasi sessant’anni l’hanno nutrita, esce, per merito della pre-miata ditta Panini e del generoso curatore Eddy Anselmi, un Al-manacco del Festival che nella sua esemplare enciclopedizza-zione di Sanremo consente di fissare tutti i punti e i puntini chela spietata asfaltatura televisiva ha inglobato e cancellato. Nonsolo e non tanto le star, già messe al riparo dalla statura di eroi po-polari e dunque sopravviventi di luce propria, quanto l’esercitoformidabile dei comprimari, delle mezze tacche, delle meteore,degli oscuri e degli oscurissimi, che l’ordine alfabetico e la dili-gente confezione dell’opera consegnano finalmente alla me-moria dei posteri con pari dignità.

L’uguaglianza grafica connaturata all’Almanacco è l’esattocontrario della discriminazione critica. Persone e canzoni scor-rono tutte insieme con ammirevole pedanteria archivistica, co-me una folla sgomitante e in fin dei conti commovente. Una mi-serabile partecipazione nella più decaduta delle edizioni (anniSettanta, quando l’Italia volse le spalle a Sanremo perché avevaaltro da fare) consente di avere il nome in ditta tanto quanto lepiù notevoli sequele di vittorie, alla Modugno, alla Villa. Esatta-mente come negli albi Panini dei calciatori, il terzino di riserva diuna squadra perdente gode della stesso spazio segnaletico chespetta ai fuoriclasse.

Ne sortisce, specie per i lettori più tenaci — non necessaria-mente i maniaci: basta la curiosità umana in senso lato — unastraordinaria cavalcata nella memoria di tre generazioni alme-no. Magari per scoprire che il primo, costumato successo dellaPizzi, nell’Italia bacchettona del 1951, tanto costumato non era,visto che Grazie dei fiori alludeva a un amore incompiuto perprobabile illegittimità dello stesso, e portava le atmosfere quasilicenziose del tabarin in mezzo ai cumenda e alle matrone im-

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 FEBBRAIO 2009

1951La prima edizione,parte in sordina.

Tre interpreticantano le venti canzoni

in gara, tra spettatoridistratti che consumanola cena. Nilla Pizzi vince

con Grazie dei fiori

1955Arriva la tv e il prezzodel biglietto aumenta

del quaranta per centoNunzio Filogamo

viene escluso perchénon telegenico. Claudio

Villa si impone conBuongiorno tristezza

1959«Tua, fra le braccia tue»,intona Jula De Palma:

è il primo scandalo sexyDomenico Modugno,

che qualcuno diceabbia perso 200mila lireal casinò, sale sul podio

cantando Piove

1992Mario Appignani, detto

“Cavallo Pazzo”, irrompesul palco dicendo:

«Il Festival è truccato,vince Fausto Leali»

Baudo lo bloccaA classificarsi primoè Luca Barbarossa

1987Romina Power

è criticata perché troppoincinta per cantare

Fa scandalo l’inglesePatsy Kensit: le cade

la spallina durantel’esibizione. Vince il trioMorandi-Ruggeri-Tozzi

1978L’esordiente Anna Oxa

si esibisce vestita da uomo,volgendo le spalle alla platea

Rino Gaetanocon Gianna è il primo

a citare la parola “sesso”in un testo sanremeseVincono i Matia Bazar

1964La sedicenne Gigliola

Cinquetti vince con Non

ho l’età. Bobby Solo,diciannove anni, canta

in playback causalaringite. Per la stampa,Modugno e Paul Anka

evitano di parlarsi

1966I capelloni arrivano

anche a Sanremo. MikeBongiorno definisce

“capelluti” e “gallinacci”gli Yardbirds. Peppino

Gagliardi svieneVince la coppia

Cinquetti/Modugno

1968Pippo Baudo manda via

dal palco Louis Armstrong,colpevole di tirarla

troppo per le lunghecon la sua esibizioneI Giganti indossano

tutine all’ultimo gridoSergio Endrigo è primo

Siamo arrivati all’annuale appuntamento con il FestivalAlla vigilia della prima serata al Teatro Ariston, l’editorePanini pubblica un libro che raccoglie la storia di tutte

le edizioni: classifiche, interpreti, autori dal 1951 ad oggi. Da “Abate Renato”a “Zurawski”, una galleria straordinaria nella quale, accanto a nomi celebri,sono allineati centinaia di artisti applauditi una sola volta e poi dimenticati...

SPETTACOLI

UNA SETTIMANA DA SIGNÒ

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Repubblica Nazionale

perverse (ben tre canzoni sanremesi, per esempio, si sono inti-tolate, e volendo si intitolano ancora, Serenata: interpreti Villa,Cutugno e Marco Carena). E nel riquadro «Canzoni con titoli pri-vi di senso compiuto» compaiono Ci-ciu-ò, Anika Na-o, Samba-riò, Tulilemble, Turu turu, Para para Ra rara e la immortale Su-gli sugli bane bane.

L’esotismo sanremese, branca a parte che ha visto sul palco-scenico dell’Ariston cantanti stranieri scritturati per l’alto li-gnaggio (vedi Armstrong e Shirley Bassey) ma più spesso perchéincarnavano meravigliosamente il topos folcloristico del paesedi provenienza, toccò forse il suo apice nel ‘66 quando parteci-parono, con il brano Quando vado sulla riva, Los Paraguayos,che la fotina di complemento ci mostra come un gruppo di ma-riachi colti da spaesamento (noi e loro) perché attivi a latitudinimolto più meridionali del previsto.

Infine, e senza volere uscire da un dedalo nel quale vi suggeri-sco di sprofondare, riflettete meglio sulla voce, già riportata piùsopra, «Mimmo Politanò». Ha tradotto le poesie di papa Wojty-la per farle cantare ai Cugini di Campagna. È una folgorante sin-tesi dello spirito di Sanremo e forse dello spirito popolare italia-no, capace di scavalcare gli impicci del merito, e le gerarchie del-la logica, con una disinvoltura così straordinaria che ancora noncapiamo, sessant’anni dopo Nilla Pizzi, quanto ci sia di rovinosaimpudenza, e quanto di invincibile vitalità.

La storia infinitadell’Italia che canta

IL LIBRO

L’editore Panini mandanelle librerie questo martedì17 febbraio il librodi Eddy Anselmi Festival

di Sanremo. Almanacco

illustrato della canzone

italiana (960 pagine, 19,90euro). Nella seconda parteil volume contieneun dettagliatissimo Dizionario

degli Interpreti e degli Autori

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 15 FEBBRAIO 2009

2001Ospiti stranieri molesti

per la conduttriceRaffaella Carrà. Sotto

accusa il rapperEminem per i suoi testiIl leader dei Placebosfascia una chitarraVince Elisa con Luce

1971Antoine prova a portare

sul palco il suo caneLucio Dalla, terzo

con 4/3/1943, riceveun telegramma da unaragazza madre. PrimiNada e Nicola Di Bari(Il cuore è uno zingaro)

1960La stampa paragona

i “rivali” Renato Rascele Modugno a Krusciov

e Eisenhower;la spunta il primo,con Romantica

Si fa notare una giovanedi Cremona: Mina

guccinifrancesco

Per la prima volta in edicola la collezione completa

Colto, ironico, geniale, graffi anteuno dei simboli della canzone italiana d’autore

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Repubblica Nazionale

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 FEBBRAIO 2009

la memoriaUomini e leggende

Cento anni fa, il 17 febbraio 1909, moriva l’ultimo capoapache. Per decenni aveva sfidato l’esercito statunitense,divenendo protagonista dell’estremo capitolo dell’epopeawestern. Oggi, il suo nome - per un paradosso della storia -è cucito sulla giubba di un reggimento di parà americani

WASHINGTON

Se “Colui che Sbadiglia”potesse vedere il pro-prio nome cucito oggi,cento anni dopo la sua

morte, sulla manica di un reggi-mento di parà americani, il 501esi-mo, potrebbe sorridere, forse diamarezza e forse di orgoglio. Propriolui, “Colui che Sbadiglia” sopranno-minato Geronimo, l’ultimo dei guer-rieri Apache, il più indomito capo del-le bande degli indiani del Sud Ovestche cinquemila giubbe blu a cavallo ecinquecento mercenari con artiglieriadovettero inseguire per cinque mesi eper tremila chilometri tra i canyon del-l’Arizona e del Messico prima di cattu-rarlo con appena trentacinque guerrie-ri superstiti, è divenuto il grido di batta-glia dell’esercito che lo annientò. “Gero-nimo”, era l’urlo lanciato dai parà perdarsi coraggio quando si lanciavano sul-la Normandia, non potendo gridare, opronunciare, il suo vero nome, “Goyath-lay”, colui che sbadiglia, scelto dalla ma-dre quando lo mise al mondo nel canyondi No-dohyon, alle foci del fiume Gila, enotò quanto quel neonato sbadigliasse.

Neppure la mamma, pur donna di unanazione di guerrieri come erano i suoi Be-dohonke, una tribù della nazione Apache,che cullava e avvolgeva nelle pelli di lupoquell’infante sonnacchioso, avrebbe potutoimmaginare che lui sarebbe divenuto appe-na sedici anni più tardi, quando fu ammessonel circolo dei guerrieri, uno di quegli “sparta-ni” del West, di quegli eroi irriducibili e votatial massacro il cui nome avrebbe risuonato persempre nell’ammirazione e nel terrore dell’in-vasore europeo. Soltanto pochissimi uominilontani, sparpagliati nell’immensità del conti-nente che i soldati blu implacabilmente conqui-stavano, dal Nord delle Praterie alle paludi dellaFlorida, dai canyon assetati dell’Arizona alle fo-reste impenetrabili dei Mohicans, avrebberoraggiunto la statura superstiziosa e storica di Ge-ronimo: Toro Seduto e Cavallo Pazzo dei LakotaSioux, Osceola dei Seminole della Florida, l’uni-ca nazione indiana a non essersi mai arresa, Te-cumseh degli Shawnee, uno dei primi martiridell’invasione, caduto nelle prime “guerre in-diane” del 1812, dopo che gli inglesi avevano giàucciso suo padre.

Ma anche “Goyathlay” Geronimo, come tuttigli altri eroi della vana resistenza indiana, fu uneroe involontario, un guerriero qualsiasi, co-me tutti i maschi abili delle tribù diventavanoa diciassette anni, convinto di dover dedicarela propria esistenza alla caccia, perché gli Apa-che, come i Sioux, gli Cheyenne, i Corvi, eranonomadi, dedicati alle reciproche, spesso sim-boliche schermaglie con le bande vicine, perrubarsi cavalli, per commerciare, per estende-re il territorio di caccia, per semplice ambizio-ne e voglia di farsi belli con le donne e gli anzia-ni. Come tutti loro, anche “Colui che Sbadiglia”fu scosso brutalmente dal sogno della tradizio-ne che durava da diecimila anni, da quando iprimi di loro avevano raggiunto dall’Asia le ter-re che oggi sono al confine tra l’Arizona e ilMessico, dall’incontro con la ferocia, la ingor-digia e la doppiezza di uomini dalla pelle roseae dagli occhi chiari che non aveva mai visto pri-ma e non capiva che cosa volessero. La storiadelle “guerre indiane”, la saga che anni dopo ilcinema avrebbe raccontato per invertire la sto-ria illustrando bande feroci di “pellerossa” ac-caniti contro inermi carovane circondate aFort Apache e destinate allo scotennamentosenza l’arrivo della cavalleria, è esattamentequello che accadde, ma al contrario.

Mentre Cavallo Pazzo nel Grande Nord assi-steva al massacro sistematico dei villaggi Lakotae Cheyenne, mentre Tecumseh vedeva il padree la madre cacciati e abbattuti come selvagginain quello che oggi è l’Ohio dai mercenari tede-schi di Lord Dunmore nel 1774, Geronimo si pre-parava all’evento che avrebbe cambiato la suavita, negli anni attorno al 1850. Fu allora che rien-trando al proprio villaggio dopo una giornatatrascorsa lontano a contrattare commerci e ac-cordi con un altro villaggio, Geronimo trovò lamadre, la moglie, i tre figli piccoli massacrati.Erano state le truppe messicane, non i “soldatiblu”, a compiere la strage, ma anche i federalesmessicani erano al servizio del colonialismo

bianco. Da quelgiorno di dispera-zione, colui che sba-diglia divenne coluiche ruggisce. Si unì auna banda di Apachevotati alla resistenzaarmata contro tutti gliestranei nelle proprieterre, i Chiricauas, e fuguerra senza quartie-re, interrotta da trattatisolenni che i bianchiignoravano e tradivanoprima che l’inchiostro siseccasse.

Per più di trent’anni,giocando al gatto e al to-po nel terreno selvaggio eduro dei canyon, dei de-serti, della polvere, dellasete, a cavallo tra i territorisenza frontiera del Messi-co e degli Stati Uniti, inse-guito ora dai federales mes-sicani, ora dai dragoni dellacavalleria Usa, Geronimodivenne, prima che un for-midabile “bandido”, un im-placabile “desesperado” (Je-rome, poi divenuto Geroni-mo, era il nomignolo affibbia-togli dai messicani), un mitodestinato a sopravvivere persecoli. Dopo la guerra civile del1861, Washington gli mandòcontro il meglio e il peggio delproprio arsenale, i generali re-duci dal massacro dei LakotaSioux nel Nord, quelli che aveva-no soppresso le grandi tribù deicacciatori di bufali senza maidavvero sconfiggerle sul campo,

ma soffocandone i territori vitali, pagando e fa-cendo pagare prezzi terribili, al Little Big Horn,con la strage del settimo cavalleria guidato dal-l’incosciente Custer.

Fu il generale Crook, che come colonnelloaveva subito una sonora sconfitta da CavalloPazzo presso il fiume Rosebud anni prima, acondurre la spedizione punitiva finale. InseguìGeronimo, ridotto a guidare una miserabilebanda di trentacinque guerrieri macilenti ac-compagnati da centonove vecchi, donne, bam-bini, per quasi tremila miglia, con un’armata peri tempi imponente, cinquemila soldati regolari,centinaia di ausiliari indiani, pezzi di artiglieria ele prime mitragliatrici Gatling sperimentatevent’anni prima nella guerra civile. Geronimo fucircondato tra i Monti di Sonora, in Messico, e siarrese. Era il 1886. L’Italia era un regno unificatoda venticinque anni, Roma la capitale da ormaisedici, mentre l’Ultimo Apache si arrendeva. Fuchiuso in un campo di concentramento per in-diani riottosi. Ne fuggì. Fu di nuovo inseguito ecatturato. Lo rinchiusero nel forte militare diFort Sill, in Oklahoma, ancora oggi sede dellascuola di artiglieria dell’esercito, costretto a fareil contadino, a coltivare un orto, sotto i fucili deisoldati. Addomesticato e vecchio, a settantaseianni, fu trascinato a Washington, nel 1905, persfilare, come i sovrani barbari nei trionfi impe-riali romani, nella parata inaugurale dietro aTheodore Roosevelt, tra gli uh, ah, oh del pub-blico che finalmente vedeva, sdentato e inoffen-sivo, l’Apache del terrore, il “feroce” Geronimo.Tirò il suo ultimo sbadiglio nel 1909, soffocatodalla polmonite.

Eppure, la sua storia non finì con la sepolturanel cimitero di Fort Sill. Per un secolo, e ancoradue anni or sono, qualcosa di lui è tornato ad agi-tare la memoria e la cattiva coscienza dei con-quistatori bianchi. La sua tomba fu violata. Il suoteschio asportato da Samuel Prescott Bush, stu-dente a Yale e tra i fondatori della società segreta“Teschio e Ossa” in quella università, e trafuga-to. Samuel Prescott Bush era il padre di GeorgeH Bush e il nonno di George W Bush, entrambimembri della società del teschio. Una leggenda,probabilmente, che di tanto in tanto riaffiora,ma che nessuno ha mai confermato o smentitoin maniera convincente, perché i miti esisteran-no per sempre e il nome dell’ultimo spartano ar-reso allo strapotere del nuovo impero d’occi-dente non morirà mai. Di lui, e del suo nome, co-me dei nomi di quelle nazioni guerriere divenu-te sistemi d’arma nell’esercito Usa — “Apache”è il nome del più formidabile elicottero militare— si sono ormai appropriati i vincitori. Cucitosulla giubba di chi lo sconfisse.

Quando nacque, nel 1829,la madre lo battezzò

Goyathlay, che significa“colui che sbadiglia”

Vecchio e inoffensivo,fu trascinato a Washingtonper sfilare all’insediamento

di Theodore Roosevelt

Un mito chiamato Geronimo

RITRATTIGeronimo nel 1886 subito dopo la resa e, a destra, in un dipinto del 1895

VITTORIO ZUCCONI

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 15 FEBBRAIO 2009

le tendenzeInutili e dilettevoli

Dentro, al massimo, ci stanno rossetto e cellulare,nient’altro. Sono la negazione della praticità,ma non importa: le piccole borse nate negli anni Venticome simbolo di ribellione delle donne sono tornateModificate, sofisticate e adattate ai tempi

MADAMA BUTTERFLYLa grazia di una farfallache prende il voloe si posa quasi per casoè il motivo-decorodella pochette da seradi Casadei. Perfettaper chi vuole stupirecon un tocco di colore

COLORE VIOLAÈ nel colore che hadominato la modadell’inverno la pochetterigida di Louis VuittonIl logo della maisonè ricamato sul tessutoviola per quel toccodi eleganza in più

MASTRO ARTIGIANOÈ il frutto raffinatodi una meticolosalavorazione artigianalela serie di tagli sulla pelledella borsa a mezzalunafirmata AlidiomichelliPer un’eleganzad’altri tempi

POLITICALLY CORRECTÈ realizzata con tessutiriciclati, ad esempioi vecchi divanie le tappezzeriedella nonna, la mini borsadi Carmina CampusPiacerà a modaiolee ambientaliste

MARE D’INVERNOPochette in vernice turchese, coloredel mare, per rallegrare le tristi seratedell’inverno. Chiusura a pressioneper questo modello della collezioneJust Cavalli

DIRLO CON UN FIOREIndicata per le serate elegantima anche per impreziosire un paiodi jeans la pochette Marni, con chiusuramodello borsellino e un fiore applicatosul davanti

MULTICOLORÈ decisamente all’ultima moda la bustaglitter di Renè Caovilla. Coloriin contrasto e lavorazione quasi etnicaper un accessorio unicoe destinato a non passare inosservato

DOPO IL TRAMONTOPuò essere indossatasolo dalle diecidi sera in poila pochetteSwarovski. Tessutolucente e chiusuracon fioccotempestatadi brillanti,per un capoda gran sera YELLOW SUBMARINE

Un insolito abbinamentotra la fantasia pitone e la tinta giallouovo per la pochette VersaceAllegra e colorata, può essereindossata anche durante il giorno

BIANCO E NEROAnticipa la mania per le righe

della prossima estate la pochette opticaldella collezione Cruise firmata Chanel

Un super classico rivisitatoin morbido tessuto

PIETRE PREZIOSERicorda le seratenei teatri fumosidegli anni Trentala borsa neratempestatadi pietre duredi Giorgio ArmaniIl motivo-decoroè rappresentatoda una mezzalunaricamata

MANETTECandy box gioiello,in edizione limitata,creata da AntonioMarras per l’aperturadella nuova boutiquedi Kenzo a MilanoPiaceràalle più distrattela chiusura-braccialeda indossareattorno al polso

VERDE FLUOUna lucente busta color verde acidoper la proposta Victor&Rollf. Una medagliacon logo è il segno di riconoscimento del duo

MINI BAULETTORettile pregiatoper la borsa disegnatacome un mini baulettoda Givenchy. Lo spazioè contenutoma la classeè assicurataIl colore indefinitoè una delicatasfumatura tra il cipriae il glicine

Lo stretto non necessarioIRENE MARIA SCALISE

Il termine è francese ma la traduzione è universale. È amata perché bella, odiata perché scomoda, venerataperché chic. È la pochette. Vocabolo che, in codice fashion, indica una borsa piccola, elegante e rigorosamentesenza manico. Insomma, la negazione della praticità. Il nome risale al Settecento, periodo in cui le tasche (infrancese poches) non erano cucite sugli abiti ma sostituite da piccoli sacchetti da appendere alla vita. Ma il ve-ro successo, per la pochette, arriva a cavallo tra gli anni Venti e Trenta del Novecento. Solo allora diventa uncapo irrinunciabile, il vezzo all’ultima moda e, soprattutto, il simbolo del cambiamento. Perché fu proprio in

quel periodo che la rivoluzione modificò per sempre l’immagine femminile. Non più corsetti vittoriani ma abiti fa-scianti e leggeri. Niente capelli legati in rigidi chignon ma zazzere corte e sbarazzine. Era il momento delle donne de-finite “flappers”. Delle maschiette che sconvolsero il costume, indifferenti allo sguardo dei benpensanti e allegra-mente compiaciute del rumore sollevato con abitudini scandalose come fumare e bere in pubblico. Non più suc-cubi degli uomini ma compagne di vita. E proprio la loro ribellione creò nuovi miti: quelli dei cosmetici, del rayon edella seta, delle sigarette, delle trasparenze e appunto delle pochette. Influenzarono la storia e l’industria.

E adesso, in un’epoca in cui gli uomini soffrono l’indipendenza delle donne e stentano a riconoscerle perché trop-po aggressive, le pochette ritornano. Potenti oggetti del desiderio capaci di spingere a inauditi compromessi con lacomodità. All’interno lo spazio solo per un rossetto e il cellulare ma pazienza, la classe non è acqua. Come i gioiellipiù preziosi, anche le pochette fanno la loro apparizione dopo il tramonto. Perfette con abiti da sogno, valorizzanole mise più eleganti. In velluto, pelle lavorata, coccodrillo, satin lucente o pitone. Non c’è limite alla creatività quan-do si tratta di mandare in passerella queste piccole buste deliziose. Nella stagione invernale sono riuscite in quellache sembrava un’impresa impossibile: hanno relegato in soffitta le maxi bag e per l’estate, preannunciano gli esper-ti, saranno ancora più presenti. Magari modificate con qualche piccolo accorgimento come la catena che le trasfor-ma in mini tracolle e lascia le mani libere. Per chi può permetterselo, e sono veramente in pochissime, la pochettepuò diventare anche un lusso da parecchi zeri. Louis Vuitton ha lanciato Minaudiere, una sorta di lingotto d’oro rea-lizzato dai maestri artigiani con trecento ore di lavorazione. Naturalmente in edizione limitata, questa pochette deisogni costa più di duecentomila euro.

Decisamente più abbordabili, e ugualmente in poche copie, sono le “candy box” gioiello create da Antonio Mar-ras per l’inaugurazione della boutique Kenzo a Milano. Materiali preziosi e design raffinato per le proposte di Ar-mani, Swarovsky e Versace. E poi ancora la leggerezza della busta griffata da Chanel per la collezione Cruise. La gra-zia di una farfalla o di un fiore ricamati sui modelli Marni e Casadei. La lavorazione artigianale di Alidiomichelli. Lamagia glitter di René Caovilla. Non è tutto. La pochette, volendo, riscopre anche un’anima equa e solidale: è il casodella coloratissima Carmina Campus, ideata da Ilaria Venturini Fendi e lavorata dalle donne del Camerun. Insom-ma, ce n’è per tutti i gusti, pur di riuscire ad accontentare le nuove flappers del 2009. Apparentemente molto più com-plicate rispetto alle loro nonne di quasi un secolo fa, sanno ugualmente entusiasmarsi per la stessa eleganza.

Repubblica Nazionale

utriente, sostan-ziosa, povera, di sta-gione. E naturalmen-te a km zero: non persensibilità ecologica,ma per impossibilità diapprovvigionamenti a di-stanza. La cucina ladinad’antàn è questo e molto al-tro. Lo strepitoso compren-sorio sciistico, le ferrate estivesui costoni dolomitici, le pas-seggiate nei silenzi innevati o suipascoli inondati di sole, oggi rega-lano una cartolina molto diversa,pregiata, fiabesca. Così ambiziosada fare di San Cassiano in Badia ilcuore dell’alta cucina invernale, con laChef’s Cup organizzata ogni gennaioda Norbert Niederkofler, chef bi-stella-to.

Ma nelle cinque valli della terra ladina —retaggio di luoghi e di tempi in cui lingua ecultura latina e retica si intrecciarono persempre — i menù tradizionali raccontano unastoria gastronomica molto più ruvida, eppuregolosa. Storia di privazioni e durezze, di altezzee solitudini che permettevano pochi voli di fanta-sia alimentare e obbligavano a inventare piatti ilpiù possibile appetitosi e calorici a partire dalle ma-terie prime di madre montagna. Per fortuna, là dovegli orti non brillano per opulenza (poche verdure, so-prattutto erbe selvatiche e tuberi; poca frutta, dato chepere e mele crescono più a sud) e dove anche i cereali siadeguano alla severità del paesaggio (segale, orzo, ave-na), mucche e pecore vivono libere e felici. Così, le farinecaratterizzano sapore e consistenza di goduriose misceledi latte, uova e burro, grazie alle ricette che hanno nutritogenerazioni di bambini nati e cresciuti con le Dolomiti ne-gli occhi.

Non è una storia a tinte pastello, quella della gente ladi-na, costretta da uno sciagurato accordo tra Hitler e Musso-

lini — era il 21 ottobre 1939 — a scegliere entro la fine diquell’anno se emigrare nella Germania nazista, con la pro-messa di mantenere la proprietà di case e campi, o restarein Italia perdendo lo status di minoranza linguistica e sot-to la minaccia di essere spostata a forza nel sud Italia, sen-za casa né lavoro. Il tutto, con l’obiettivo di eliminare “lamacchia grigia”, come Mussolini aveva battezzato i ladini.La legge “Option für Deutschland” diede i suoi frutti: oltrel’85 per cento dei ladini — 75mila persone — emigrò a nord,e lì rimase, causa lo scoppio della Seconda guerra mondia-le. Senza fortuna anche il destino di chi rimase in Italia: lacomunità originaria venne frammentata in due regioni, treprovince e una manciata di comuni, sparsi soprattutto nelBellunese: oggi, Cortina e Fodom (Livinallongo) con Colledi Santa Lucia appartengono alla provincia di Belluno, Fas-sa alla provincia di Trento, Gardena e Badia a quella di Bol-zano.

Ma dove la politica divide, la cucina sa unire. E i 35milaladini che vivono tra Cortina d’Ampezzo e la Val Badia, an-cora si riconoscono in un ventaglio di piatti senza tempo,soprattutto nelle zone dove la cultura montana ha saputomeglio contenere e armonizzare i flussi turistici, secondoquella che il ladino doc Michil Costa definisce «la coscien-za del limite». Sua l’idea del progetto “Quo Vadis”: nei lo-cali associati, che praticano controllo di filiera e km zero, imenù propongono il meglio della tradizione ladina, com-presa la sana abitudine di mettere la casseruola in mezzoal tavolo per mantenere vivo il senso della condivisione:zuppe di farina tostata, polenta, qualche stufato, infusid’erbe, distillati, dolci ingentiliti da marmellate strepitose.

Se siete in zona, sconfinate verso Sappada, minuscolaenclave di origine germanica, dove due famiglie di gastro-nomi straordinari — i Meroi del ristorante “Laite” e i Ca-sciaro della “Bottega di Sappada” — vi faranno scoprire lemeraviglie della cucina ladina-non ladina. Un distillato disambuco chiuderà al meglio la giornata.

i saporiIn montagna

Siamo in piena stagionedi “settimane bianche”L’occasione perfettaper chi sceglie le Dolomitidi conosceretradizioni e gastronomiadi una straordinariaenclave etnico-linguistica

Nel regnodei piattipoverima buoni

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 FEBBRAIO 2009

LICIA GRANELLO

N

CucinaLadina

Repubblica Nazionale

Carolina e Alexdieta da campioni

CAROLINA KOSTNER E ALEX SCHWAZER

Siamo cresciuti, io e Alex, con la cucina altoate-sina, siamo diventati atleti conciliando la no-stra passione per i piatti tipici con la dieta de-

gli sportivi. Abbiamo dovuto fare rinunce, ma nontroppe, perché il cibo nelle nostre valli ha cresciutotanti campioni: nello sci, nello slittino, nel patti-naggio artistico che io pratico sin da bambina, nel-la marcia che ha fatto di Alex un campione olimpi-co a Pechino. Dunque parliamo di quella cucina checi riporta ai ricordi d’infanzia e ai profumi della no-stra terra: una nostalgia che prende soprattutto me,che sono ladina ma vivo in Baviera, a Oberstdorf, espesso vorrei addentare i canederli, o i krafuncin,una specie di raviolo con gli spinaci che nella manidella zia Margherita diventa un’opera d’arte. Inquesto sono lontana da Alex, che è assolutamentenegato ai fornelli ma da bravo buongustaio adora lacucina altoatesina e tra i tanti, troppi, piatti che glipiacciono preferisce il riso al latte.

Quei sapori ci sono rimasti dentro sin da quandoli abbiamo conosciuti la prima volta: Alex da picco-lo faceva scorpacciate di latticini e di formaggio Zi-gher, fatto con quel latte gustoso che viene dai ma-si d’alta montagna; io preferivo la mosa con burrofuso, una specie di semolino con latte, farina, acquae sale. In una famiglia di futuri sportivi le abitudinierano le stesse, anche se una bambina prometten-te sui pattini dovrebbe mangiare in un modo diver-so dai fratelli, soprattutto da Simon che è diventatogiocatore di hockey. Invece no, a tavola noi fratelli-ni Kostner facevamo grandi abbuffate di wiener-schnitzel con patatine fritte. Una golosità che hodovuto presto abbandonare, man mano che cre-scevo e diventavo atleta: grasso e burro sono pro-prio incompatibili con la dieta ferrea delle pattina-trici. Ma anche dei marciatori: una medaglia d’oroval bene qualche privazione. Anche se io continuoad apprezzare i canederli con i fagioli e i crauti, ba-sta che non siano troppo conditi con lo speck, men-tre Alex ha maturato una convinzione che mette-rebbe d’accordo tutti i medici: bisogna solo impa-rare a condire meno le cose, ecco la sua massima atavola. Saggio e avveduto, quanto incapace in cuci-na, pronto a lasciar fare tutto a me, che ad Oberst-dorf riservo sempre una sorpresa ai miei ospiti: noncanederli, né krafuncin, ma pizza e spaghettate chepreparo per gli amici e i membri del team.

So che deludo chi si aspetta esibizioni di cucinaladina ma il problema è questo: chi ha assaggiato,come noi, un piatto tipico delle valli cucinato conamore ed esperienza, come fanno le nostre mammePatrizia e Maria Luisa, non se la sente di improvvi-sare. Molto più facile affidarsi alla fiera del carboi-drato, o ai dolci, a una torta al cioccolato che io e Alexsiamo riusciti a preparare insieme per il complean-no di Laura, la mia maestra di danza, grazie a un pic-colo trucco: a guidarci al telefono da Ortisei c’eramamma Patrizia. E poi va detto che c’è ladino e la-dino: ogni valle ha i suoi piatti forti. Io per esempionon mangio le frittelle tipiche di Castelrotto, le for-taies, e nemmeno i buchteln che vanno tanto di mo-da. Stesso discorso per la jopa arestida, la minestradi farina bruciata. Invece dico sì alla crema che chia-miamo jüfa, alla zuppa d’orzo panicia con carota esedano, alla omelette pösl, e impazzisco, sul serio,per le mele fritte: preparo una pastella densa conlatte, farina, zucchero; taglio a fette le mele; le fac-cio friggere, poi le cospargo con una nevicata di zuc-chero a velo. Una debolezza, ma in fondo sono vice-campionessa del mondo: posso essere perdonata?

(Testo raccolto da Mattia Chiusano)

Fortaies Gli strauben, superclassiche frittelle

di Carnevale preparate con farina, latte, burro,

uova e grappa, vengono colate nell’olio

bollente di cottura per mezzo di un imbuto

Si servono cosparse di zucchero a velo,

insieme a frutta sciroppata o purea di mele

PöslDoppia dizione (kaiserschmarrn) per

l’omelette dolce “spezzata”, con marmellata

di mirtilli rossi. Alla pastella di latte, tuorli

e farina, si aggiungono bianchi a neve e uva

passa. Cottura in padella col burro, rifinitura

in forno e abbondante zucchero a velo

PüciaSi impastava nella “stua” e si cuoceva

due volte l’anno, a inizio e fine inverno –

e solo con luna crescente! – il pane di segale

e frumento, destinato a durare per mesi

Tra gli ingredienti, oltre al lievito madre,

semi di cumino, sale e trigonella di prato

BuchtelnMorbide e invitanti, le paste dolci farcite

con marmellata di frutti rossi. Impasto

con farina, latte, burro, zucchero e scorza

di limone, cottura al forno fino a doratura

Si servono accompagnate da una crema

d’uovo, latte e vaniglia, passata al setaccio

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 15 FEBBRAIO 2009

Michil Costa è un’anima coltadella terra ladina. Gestiscecon la famiglia l’hotel“La Perla” di Corvara,

con ristorante stellato, dove l’ospitalitàè all’insegna del turismo responsabile:alimenti bio e a km zero, bioarchitettura,strenua difesa dell’ambiente

DOVE DORMIRE

HOTEL FONTANAStrada De Valongia 36 38039 Vigo di Fassa (TN) Tel. 0462-769090Mezza pensione da 75 euro

ALPENHOTEL RAINELL Via Vidalong 19 Ortisei Tel. 0471-796145Camera doppia da 70 euro con colazione

LA SIRIOLAStrada Prè de Vì 31Località ArmentarolaTel. 0471-849445Camera doppia da 170 euro,colazione inclusa

HOTEL MACIACONISelva di Val GardenaTel. 0471-793500Doppia da 90 euro, colaz. inclusa

CALDARA B&BVia Faloria 46/aCortina d’AmpezzoTel. 348-2668378Camera doppia da 65 euro

DOVE MANGIARE

LA STÜA DI MICHILStrada Col Alt 105 Corvara Tel. 0471-831000

Chiuso lunedì, menù da 50 euro

MALGA PANNAVia Costalunga 56Moena (Trento)Tel. 0462-573489

Menù da 30 euro

LOCANDA MASO RUNCHLocalità Runch 11Pedraces (Bolzano)Tel. 0471-839796Menù da 30 euro

OSTERIA L’MURIN Strada Col Alt 105Corvara (Bolzano)Tel. 0471-831000Menù da 25 euro

ST. HUBERTUSStrada Micura de Rü 2San Cassiano in BadiaTel. 0471-849500Menù da 80 euro

DOVE COMPRARE

MACELLERIA BOCARIACRAFFONARAZwischenwasser 14MareoTel. 0474-503642

AGRITURISMO LÜCH DA PCËI Strada Pecei 17 San Cassiano Tel. 0471-849286

PANIFICIO COSTNERStrada Pedraces 35PedracesTel. 0471-83961

PASTICCERIA ALVERÀCorso Italia 191Cortina d’AmpezzoTel. 0436-862040

MALGA CIAUTA Località Ciauta Vodo di Cadore Tel. 336-400603

itinerari

Jopa arestidaLa minestra di farina bruciata, conosciuta

anche come brennsuppe o bro brusà,

è tipica di molte valli dell’Alto Adige

Fatta con burro, farina e acqua,

è la zuppa della colazione. Dentro,

anche pane duro grattugiato

Jüfa Una crema golosa, realizzata con latte,

acqua e farina di grano saraceno

La versione “baby”, zuccherata, jüfa da pop,

ha consistenza semi-liquida (deve passare

nel biberon). Gli adulti la consumano

attingendo dalla pentola, in mezzo alla tavola

Panicia È un sostanzioso piatto unico, la zuppa d’orzo

con stinco di maiale dalla cottura lentissima

Soffritto lo speck a dadini, si aggiungono

verdure dell’orto (cipolle, patate, porri,

carote, sedano, tagliate a listarelle),

carne affumicata e orzo lavato

Zigher Forma conica o a pera, per il formaggio

d’alpeggio “grigio”, di origine celtica,

il cui nome deriva dal tedesco ziege, capra

Ha pasta tenera, aromatizzata con pepe

ed erba cipollina, e molto odorosa. Resistono

nella produzione un paio di latterie cooperative

i km quadratidel territorio

1.200

i metri di altitudinedella Marmolada

3.343

gli abitantiladini

35.000

le valli: Fassa, Gardena,Badia, Cortina e Fodom

5

Repubblica Nazionale

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 15 FEBBRAIO 2009

l’incontro

‘‘

‘‘Outsider

2000); che con Un lupo mannaro ame-ricano a Londra ha reso credibile l’in-crocio ad alto rischio tra horror e com-media.

Ma guai a considerarlo un’icona vi-vente. «Sono perennemente insoddi-sfatto della mia carriera», confessa, «al-tro che mito… Diciamo che condividola frase di John Huston, secondo cui leprostitute, i palazzi e i registi sono le uni-che tre cose che il tempo rende più au-torevoli. Soprattutto in un Paese giova-ne come il mio, in cui le cose non ven-gono viste in prospettiva. La realtà è chela magia del mio mestiere è proprio nelsuo enorme difetto: fare un film è ungrande compromesso. Perché mentrestai girando devi tenere conto di tutto,dalle mestruazioni dell’attrice ai pro-blemi coniugali dell’attore. Le cose so-no più prosaiche di quanto si immagi-na».

Piccoli, grandi drammi da set. A cui haassistito fin da ragazzino. «Ho comin-ciato quando c’erano ancora i tempid’oro», racconta. «Avevo appena dicias-sette anni, venivo da Chicago: volevo fa-re l’attor giovane, mi sono ritrovato al-l’ufficio posta della 20th Century Fox.Fattorino, insomma. Un luogo di osser-vazione privilegiato: ho potuto incro-ciare leggende come Alfred Hithcock,gente che ha inventato il linguaggio delcinema. E lì, su quei set, ho capito il me-todo di lavoro che in precedenza aveva-no utilizzato gli autori della vecchiascuola: Frank Capra, Billy Wilder. Unasplendida gavetta».

Il colloquio si interrompe per unistante, uno dei camerieri porta al tavo-lo i «litri di acqua minerale ghiacciata»richiesti. Landis ne beve qualche sorsa-ta, poi riprende il filo dei ricordi: «E cosìquasi per caso, dopo aver assorbito co-me una spugna da quei maestri, mi so-no ritrovato a fare il loro stesso mestie-re». L’esordio avviene nel 1973 con ilfantastico-horror Schlock. E negli annisuccessivi arrivano i grandi film: milio-ni di spettatori li hanno visti e rivisti, necitano battute e gag. «Non sono entu-siasta dei miei cosiddetti cult», mini-mizza lui, «diciamo che ne salvo alcunisingoli momenti, alcune sequenze. For-se il problema è che, nella mente, tendoa confondere il valore dell’opera col di-vertimento maggiore o minore che hoprovato realizzandola. Ad esempio Spiecome noi, che non è un granché, lo ado-ro: lo girammo tra Europa e Marocco, fufantastico. Ma i film che ho diretto perme sono tutti come figli». Nessun rim-pianto, però, per i successi del passato.Anche se, con un pizzico di orgoglio, luistesso ricorda che «Blues Brothers fu laprima pellicola americana a incassarepiù nel resto del mondo che in patria: ot-tanta milioni di dollari negli Usa, tre-cento all’estero».

La citazione è uno dei pochissimi vez-zi “numerici” che si concede. Perché poiLandis si dichiara nemico mortale della

può suonare ipocrita. Ma Landis, di-ventato un outsider, ha il diritto di spa-rare a zero. «Del resto a me i soldi per fa-re un film non li darebbero mai», sotto-linea con un sorriso ironico, «e infatti èalla Gran Bretagna che mi sono rivolto,per la mia prossima fatica cinematogra-fica: una black comedy su due ladri chenel Diciannovesimo secolo avviano unbusiness redditizio, vendendo cadaverialla scuola di medicina di Edimburgo».La pellicola, al momento, è in fase dipre-produzione. «Negli Usa avevo an-che un’altra sceneggiatura ottima, giàpronta, Epic Proportions: ci siamo are-nati sui finanziamenti. Comunque pre-ferisco non fare film che accettare di far-ne di brutti, di banali».

Parole chiare. E senza reticenze sonoanche le opinioni sulle star attuali, quel-le che sfondano i botteghini. «Ben Stil-ler è bravo, ma solo in alcuni film: Tuttipazzi per Mary, o recentemente TropicThunder. Stesso discorso per JackBlack: in certe pellicole mi convince, inaltre no. Dipende molto dal prodotto.Ogni volta la gente si stupisce per la bra-vura di questo o quel divo. PrendiamoJim Carrey: quando esplose tutti eranoin estasi, dimenticando il suo debitoverso gente come Bob Hope, JerryLewis, Steve Martin. Tornando al pre-sente, tra le attrici adoro Marisa Tomei,Gwyneth Paltrow, Cameron Diaz. Tra iregisti attuali, invece, i miei preferiti so-no Spike Jonze, i fratelli Coen, Wes An-derson».

Autori importanti, tutti votati in qual-che modo allo humour intelligente. Marispetto a loro Landis ha qualcosa di di-verso, forse di più: un amore specialeper gli attori brillanti. E infatti al centrodella sua comicità ci sono sempre gli in-terpreti. A partire dal più geniale che luiabbia mai diretto: John Belushi. Un ta-lento straordinario che — se fosse so-pravvissuto ai suoi eccessi — avrebbeappena compiuto sessant’anni. «Eraunico», ricorda, «aveva la capacità didarsi completamente: la voce, il corpo,le parole. Sapeva fare tutto, e far rideredi tutto. Una forza della natura, un tra-scinatore. Ogni tanto, nel corso del tem-po, ho sentito dire di questo o quell’at-tore: “È il nuovo Belushi”. Ma non è ve-ro, è solo propaganda. Perché sappia-mo tutti che uno come lui non ci saràmai più. Specie in un cinema comequello attuale».

E forse questa sfiducia reciproca traLandis e il sistema hollywoodiano è an-che tra le cause del suo deviare, negli an-ni appena trascorsi, verso l’attività tele-visiva: «Qui in Italia ho partecipato alprogetto collettivo Masters of horror, in-sieme a Dario Argento; negli Stati Unitine ho fatto uno analogo, Fear Itself; hoanche realizzato una serie per la Hbo,Dream on». Anche perché i prodotti dapiccolo schermo hanno un altro pregio:la mancanza di snobismo verso la com-media, «che invece cinematografica-

dittatura del botteghino che impera aHollywood. «Quando decisi di realizza-re Animal House», spiega, «potevo an-dare a proporre il progetto al boss dellaColumbia, o della Universal, o della Pa-ramount. Così, semplicemente: seder-mi davanti a questi appassionati di ci-nema e illustrare il progetto. Oggi inve-ce a dettare le regole del gioco sono i gi-ganti, le multinazionali, coi loro anoni-mi executive. Major che spendono ven-ti milioni di dollari solo per promuovereuna pellicola non degnerebbero di unosguardo Animal House, che ne è costatimeno di due. Non a caso, puntano sullesaghe che sfondano il box office: LaMummia, Batman, 007. O comunquesu kolossal tutti uguali, coi loro traileridentici a base di esplosioni: Iron Man,Transformers. E l’elenco potrebbe con-tinuare».

Giudizi negativi sulla Hollywood do-minata dai colossi finanziari planetariche spesso si sentono pronunciare an-che dalle grandi star, quelle che sull’in-dustria del cinema ci campano. Il che

mente è una Cenerentola, sottovaluta-ta ai festival e dagli Oscar». Risultato: «Lemigliori commedie recenti si sono vistetutte sul piccolo schermo: Simpson,South Park. E Ali G Indahouse, con Sa-cha Baron Cohen». E oltre la tv c’è la re-cente passione per il documentario:«Ne ho girato uno, si chiama MrWarmth ed è dedicato a Don Rickles,cantante ottantaduenne di Las Vegas,un ex membro del Rat Pack di Frank Si-natra. In futuro ne produrrò altri».

Progetti, idee, iniziative. Landis nonsembra voler fare il padre nobile, e pen-sionato, del cinema brillante. Anche seva detto che a riportare il suo nome allaribalta, negli ultimi giorni, è stata unanotizia di genere assai diverso: la deci-sione di citare in tribunale MichaelJackson, che ha diretto nel celeberrimovideoclip di Thriller, considerato datanti critici il più bello della storia dellamusica. Secondo gli avvocati del regi-sta, la popstar non ha versato i proventiche gli spettavano. Ed è forse a causa diquesto problema legale irrisolto che sulcantante Landis taglia corto: «Michaelera un grande, ora è un personaggio tra-gico». Stop.

Nessun problema, invece, a parlaredella vita privata. E in particolare del suoamore per la moglie, l’attrice DeborahNadoolman, con cui è sposato dal 1980,e da cui ha avuto due figli. Lui è orgo-glioso di lei al punto da mostrarne unafoto sul telefonino che ha con sé: «L’hoscattata qualche notte fa», racconta, «hoavuto un piccolo incidente, sono cadu-to, così siamo andati al pronto soccorso.E questa», dice, porgendo il cellulare, «èDeborah in ospedale: dormiva quasi inpiedi, mentre io venivo medicato». Lavoce è piena d’affetto e di ironia, l’im-magine di questa donna stremata che ri-posa su uno scomodo sgabello sembra ilfotogramma di un suo film.

Ogni tanto ho sentitodire di questoo quell’attore:“È il nuovo Belushi”Ma non è veroSappiamo tuttiche uno come luinon ci sarà mai più

Cominciò da ragazzo come fattorinoalla 20th Century FoxPoi ha diretto pellicole leggendarie,da “Blues Brothers” a “AnimalHouse”. Ha lanciato star comiche

assolute. Ha innovatoincrociando horrore commediaA cinquantotto annisi concede il lussodi sparare controHollywood: “Fannokolossal tutti uguali,

con trailer identici a basedi esplosioni. A me i soldiper un film non li darebbero mai”

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CLAUDIA MORGOGLIONE

John Landis

VENEZIA

Incontrare John Landis è come es-sere catapultati sul set di un film.Di cui lui è insieme regista, sce-neggiatore e protagonista. Ogni

frase viene recitata, più che detta. Ogniracconto è illustrato da una mimica ir-resistibile. Ogni opinione, anche seria,suona come una battuta. Un interlocu-tore mai noioso. E involontariamentebuffo quando, parlando della sua pas-sione per il nostro grande Totò, ne pro-nuncia il nome in maniera strascicata, esenza accento finale: «I love Tooooto…».Messo di fronte all’errore di dizione, ri-de di gusto. Ma subito riprende il filo deldiscorso, elencando le altre divinità delsuo personale Pantheon comico: «Cisono geni assoluti come i fratelli Marx,Charlie Chaplin, Jacques Tati; registidella vecchia Hollywood come HowardHawks; attori come Fernandel e il mioamico Vittorio Gassman... Vittorio erafantastico, nei Soliti ignoti lo adoro.Peccato che ci abbia lasciati». E qui il suovolto si fa malinconico, l’espressionetriste.

Solo per un attimo, però. Perché, nelcorso del lungo colloquio — seduti a untavolino appartato del bar di un hotelveneziano — il cinquantottenne Lan-dis, con i suoi occhiali poco trendy e labarba anni Settanta, è sempre rilassato,istrionico, ironico. Un approccio chenon sorprende, se ricordiamo che ha di-retto pellicole leggendarie come BluesBrothers e Animal House; che ha lancia-to star come John Belushi, ma ancheDan Aykroyd ed Eddie Murphy (Unapoltrona per due); che ha lavorato contalenti brillanti come Chevy Chase (Spiecome noi), Steve Martin (Los tres ami-gos), John Goodman (Blues Brothers

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