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Maxi-storno in Borsa tra Cina, Fed e deflazione · Con la crisi dei mutui subprime e il collasso...

Date post: 15-Feb-2019
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LE BORSE La correzione delle Borse dai massimi del 2015. Variazioni percentuali LA MAPPA DEL CONTAGIO I rischi derivanti dal rallentamento cinese e dalla stretta sui tassi Usa Milano Ftse Mib DAL 20 LUGLIO -9,5 Londra Ftse 100 DAL 27 APRILE -12,9 Francoforte Dax DAL 10 APRILE -19,7 Shangai Shangai Composite DAL 12 GIUGNO -32,1 Tokyo Nikkei DAL 24 GIUGNO -6,8 Wall Street Dow Jones DAL 21 MAGGIO -7,5 Parigi Cac 40 DAL 5 AGOSTO -10,8 Borse emergenti DAL 28 MAGGIO -23,0 FRENATA CINESE Si svalutano le materie prime Cala la domanda Si svaluta lo Yuan Rallentano le economie dipendenti dalle commodity Cala l’export verso la Cina Paesi: Australia, Brasile e Cile Settori: auto tedesche e beni di lusso Paesi: Russia Sud Africa Settori: oil & gas Società minerarie Dollaro forte Rialzo dei tassi Paesi: Argentina, Russia e Indonesia Settori: società immobiliari cinesi RIPRESA AMERICANA Più difficile rimborsare il debito in dollari CAUSA EFFETTO 1 EFFETTO 2 CHI NE RISENTE Fonte: Rbs Macro Credit Research La correzione e le incognite sui mercati
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Page 1: Maxi-storno in Borsa tra Cina, Fed e deflazione · Con la crisi dei mutui subprime e il collasso dei mercati finanziari globali del 2008 una categoria di investitori si è ... Per

2 Il Sole 24 OreDomenica 23 Agosto 2015 ­ N. 231

Mercati globaliLE RAGIONI DEL CROLLO

Il rialzo dei tassi UsaLa svalutazione dello yuan deprime i prezzi,gli investitori scommettono sul rinvio della stretta

Il prosciugamento dei petrodollariCon il tonfo del greggio i proventi della venditareinvestiti sui mercati sono stimati in calo

Maxi-storno in Borsa tra Cina, Fed e deflazioneI timori di rallentamento globale dietro la correzione dei listini, liquidità su bond e beni rifugio

Mario PlateroNEW YORK. Dal nostro corrispondente

pÈ stato l'uragano estivo. La turbolenza valutaria in arrivo dalla Cina, i dati preoccupanti per la tenuta della crescita han­no lanciato sfide macroecono­miche, hanno colpito le borse e propongono, dopo i dati in arri­vo da Pechino una domanda di fondo: siamo davanti a un ral­lentamento cinese strutturale o di breve periodo? Come reagi­scono le grandi aziende interna­zionali davanti a questo bivio suun mercato che ha alimentato, soprattutto nel settore del lus­so, profitti stellari? Abbiamo gi­rato le domande a Fabrizio Fre­da, amministratore delegato di Estee  Lauder,  che  conosce  a fondo il mercato cinese dove il suo gruppo ha avuto una forte 

espansione  negli  ultimi  anni, identificando  nuove  fasce  di mercato e mettendo a frutto ot­timi risultati finanziari. La ri­sposta è prudente ma ottimista: «Abbiamo rivisto le nostre pre­visioni di crescita dei profitti per  il 2016 proprio per tener conto dei recenti sviluppi sul piano economico internaziona­le e per adeguarci a situazioni che a noi sembrano di breve pe­riodo. Per il medio lungo termi­ne la Cina resta un mercato forte

e in crescita. E infatti in questoperiodo che si profila più com­plesso ne approfitteremo per continuare  a  investire,  nel marketing, nella pubblicità, nei prodotti, nell’innovazione. Del resto è la strategia che abbiamo seguito quando ci sono state dif­ficoltà in Europa, cosa che ci ha ampiamente ripagato».

In effetti nonostante le turbo­lenze di questi giorni – e se per questo degli ultimi dodici mesi sia in Europa con la crisi greca che in Asia con l’epidemia di maggio in Corea del Sud ­ il tito­lo Estee Lauder resta al rialzo del  14%  dall’inizio  dell’anno contro un 5% medio per l’indiceStandard & Poor. E fino a lunedìscorso quando in chiusura d’an­no,  il  gruppo ha adeguato  leproiezioni di profitto al nuovo 

contesto  macroeconomico  il rialzo era del 18 per cento.

Ma il messaggio più interes­sante di Freda in questi giorni diagitazione sui mercati riguarda proprio la continuità di interes­se per il mercato cinese: «Resta la migliore opportunità di lungotermine e diventerà uno dei più importanti mercati del mondo –mi dice ancora Freda in questa chiaccherata con il Sole 24 Ore ­per questo schiereremo moltialtri brand in Cina, i profumi e ilmake up ad esempio avevano un appeal minore che in occi­dente, ma abbiamo proiezioni che indicano il contrario, abbia­mo lanciato Jo Malone e Mac con grande successo, e siamo appena agli inizi». Per Freda il problema valutario non impat­ta necessariamente il consumo 

all’interno di un paese. « Intantoin Cina abbiamo già ridotto del 4% i prezzi. Eppoi, l’unica pre­occupazione  è  se  l’indeboli­mento della valuta significa in­debolimento  dell’economia, ma in quel caso compensiamo attraverso nuovi brand e inve­stimenti e entrando in nuove città. Guardi, quest’anno siamo entrati in 20 nuove città e ognu­na ha una popolazione superio­re ai 4 milioni di abitanti. Faccia iconti rispetto ai mercati di una opiù nazioni europee. Oggi di­stribuiamo in 100 città cinesi, ma ci sono altre 300 città dove i nostri prodotti potranno esseredistributi, per questo la nostra visione di lungo periodo per laprospettiva del mercato cinese è intatta». Per ciò che riguarda le prospettive per il 2016 Freda

fa un confronto con l’anno in corso, che per Estee Lauder si è chiuso il 30 di giugno sul piano fiscale con risultati molto sod­disfacenti in termini nominali ma con una riduzione delle ven­dite in termini reali per l'impat­to del cambio sfavorevole sul dollaro. «Anche il 2015 è stato unanno difficile: Russia, Brasile, Cina, Hong Kong, Macao hannoavuto problemi, in più l’epide­mia Mers di maggio in Corea delSud ha portato via clienti cinesi e viaggiatori internazionali nei duty free. Eppure abbiamo avu­to lo stesso riusltati molto buoniperché abbiamo modificato il portafoglio. Perché le strategie introdotte anni fa hanno pagatoed è questo su cui puntiamo guardando in avanti: abbiamo un portafoglio multiplo e canalimultipli di distribuzione dagliaeroporti alle navi da crociera. Pensi che il duty free oggi vale il10­15%  delle  nostre  venditecomplessive».

E il lusso? Non c’è un rischioaggiuntivo per prodotti di alta qualità soprattutto in Cina? Sap­piamo  che  il  regime  di  Xi Jinping ha colpito duramente losfoggio di ricchezza di prodotti di lusso dalle auto alle strava­ganze  alla  moda,  se  cambia l’umore di fondo nei confronti di consumi di qualità, non c’è unrischio anche per Estee Lauder?

Freda ha la risposta pronta.«Vero, ­ conclude – ma la ridu­zione c’è stata nel lusso “visibi­le”, la crema che usi la sera in ca­mera tua non ha certo lo stesso impatto degli orologi, delle vet­ture, del cachemere, se una cre­ma è più cara di un’altra lo sai so­lo tu, non certo chi ti incontra per  strada.  Comunque  sia  i prezzi per i cosmetici sono mol­to a buon mercato rispetto di­ciamo a un orologio: se un ros­setto costa dieci dollari in più non si tratta certo di lusso con­sumistico “aggressivo”.

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IMAGOECONOMICA

Al vertice. Fabrizio Freda

Controcorrente. Il ceo di Estée Lauder, Fabrizio Freda: «Nonostante le attuali turbolenze il Paese asiatico è un mercato interessante. Ne approfitteremo per investire ancora»

«In Cina con prudenza, ma resta un’opportunità»

PRUDENZA E OTTIMISMOIl manager: « Il gruppo ha rivisto le stime per il 2015­16 per tenere conto degli ultimi sviluppi che per noi sembrano di breve periodo»

L’ANALISI

AndreaFranceschi

E ora l’attivismodei fondi sovranipotrebbe subireuno stop

Con la crisi dei mutuisubprime e il collassodei mercati finanziari

globali del 2008 una categoria di investitori si è affermata sui mercati globali:quella dei fondi sovrani. Soggetti controllati da Stati in possesso di ingenti riserve in valuta forte derivanti dai proventi della vendita di petrolio (i Paesi arabi e la Norvegia) o da colossali surplus nella bilancia commerciale (Cina e India). Investitori molto liquidi che hanno approfittato di una situazione di estrema illiquidità dei mercati per rilevare a prezzo di sconto quote importanti di società quotate americane ed europee. A Piazza Affari sono stati molto attivi la Libia e il fondo Aabar di Abu Dhabi (tutt’oggi tra gli azionisti di maggior peso in Unicredit). Negli ultimi anni c’è stato l’exploit della Cina, che oggi detiene circa 6 miliardi di partecipazioni in big del listino come Eni, Enel, Unicredit e Intesa, Fca, Generali e Telecom. Il fondo sovrano norvegese, che è il più grande al mondo con 790 miliardi di attivi in gestione, di recente ha arrotondato le sue quote in aziende del listino milanese e, con 8 miliardi di azioni italiane in portafoglio, è il terzo maggior investitore estero di Piazza Affari. 

Tanto attivismo però potrebbe subire una battuta d’arresto alla luce dei nuovi equilibri dell’economia mondiale. I Paesi emergenti, che sembravano destinati a un’ascesa pressoché irresistibile, ora paiono giganti dai piedi d’argilla. Con le quotazioni del greggio in caduta libera (venerdì il Wti è sceso sotto i 40 dollari per la prima volta dal 2009), i produttori vedono prosciugarsi quella che fino a ieri pareva una fonte inesauribile di ricavi e la loro politica di investimento ne subirà inevitabilmente i contraccolpi. Secondo gli analisti di Rbs il crollo dei prezzi del greggio comporterà una contrazione dei flussi di petrodollari investiti ogni anno sui mercati da 700 a 280 miliardi di dollari. Quanto alla Cina la domanda è: avrà ancora voglia di fare shopping in Borsa o preferirà impegnare le sue risorse per tamponare le falle sempre più evidenti della sua economia?

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Andrea FranceschiFine estate decisamente caldo sui mercati finanziari. Dopo lacrisi greca greca è scoppiata la bolla sul mercato azionario cine­se, segnale premonitore di un rallentamento  della  seconda economia che, a cascata, ha tra­volto  materie  prime  e  valute emergenti.  La  svalutazione  a sorpresa dello yuan decisa  lascorsa settimana da Pechino poiè stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Quello che era sono un timore è diven­tato una certezza: la Cina non corre più come un tempo e il ri­schio di un rallentamento globa­le ha portato gli investitori ha vendere  pesantemente  azioni inflazionate da anni di politiche ultraespansive. 

Dopo anni di euforica ascesa ilistini mondiali iniziano quindia sperimentare sulla loro pellela forza di gravità registrando una brusca correzione di rotta.Dai massimi di giugno la Borsa

di Shanghai ha perso il 32,1% tra­scinandosi dietro tutti i listiniemergenti (l’indice Msci Emer­ging Markets dai picchi di fine maggio ha perso il 23%). A ruotahanno sofferto anche le piazze “sviluppate”. Il caso più ecla­tante è quello dell’indice Dax diFrancoforte che dai massimi diaprile ha perso quasi il 20 percento. Ma c’è anche Wall Streeta dare segnali di debolezza: l’in­dice S&P 500 ha archiviato la sua peggiore performance set­timanale dal 2011 (­6,2%) e dai massimi di aprile ha perso il 7,5per cento. 

Per spiegare cos’ha causatoquesta pesente ondata di vendi­te e provare a capire quali saran­no i possibili sviluppi di questa situazione riavvolgiamo il na­stro a prima prima dell’estate.Allora un tema su tutti indirizza­va  le  scelte  degli  investitori: quello della divergenza tra le po­litiche monetarie di Bce (nel pie­no del suo Quantitative easing) eFed, alle prese con lo snodo cru­ciale del rialzo dei tassi di inte­resse. Questo quadro è stato tur­bato dallo scoppio della bolla speculativa alla Borsa di Shan­ghai e dalla frenata dell’econo­mia cinese che Pechino è stata costretta  ad  affrontare  conun’inattesa  svalutazione  della sua moneta. A seguito di questa mossa la fuga di capitali dai Paesiemergenti,  iniziata a  luglio  inscia al rafforzamento del dollaroe al crollo del mercato delle ma­terie prime,  si è  intensificata: nelle ultime sette  settimane  i fondi  azionari  specializzati  in questi  mercati  hanno  subito un’ondata di riscatti pari 26 mi­liardi di dollari netti.

La  frenata  delle  economieemergenti e l’ondata di svaluta­zioni competitive che inevita­bilmente ha innescato (e inne­scherà) la mossa cinese, combi­nati il recente crollo dei corsidelle materie prime (altro effet­to collaterale di questa ingarbu­gliata  situazione),  potrebberoalimentare spinte deflattive nel­le economie sviluppate. 

Un ribasso dei prezzi può in­nescare una stagnazione dura­tura  dell’economia  (il  caso­scuola è il Giappone che nellatrappola della deflazione è ri­masto impantanato per ben 20anni). Il mercato ha già messo inconto questo rischio. L’indicesulle aspettative di inflazionenell’area euro in questi giorni ècrollato ai livelli di marzo. Unacoincidenza visto che proprioin quel mese partiva l’operazio­ne  Quantitative  easing  della Bce  il  cui  scopo  era  proprioquello di far fronte alla minac­cia della deflazione. 

I recenti contraccolpi sui mer­cati e le possibili ripercussionidella frenata cinese sulla dina­mica inflazionistica sono guar­dati con molta attenzione anche dalla Federal Reserve. Nei ver­bali dell’ultima riunione pubbli­cati mercoledì è emersa una cer­ta  preoccupazione  in  questo senso e la retorica sorprenden­temente espansiva della Fed è stata letta come un indizio della volontà dei banchieri centrali di prendere ancora tempo per una mossa sui tassi. Se prima il mese di settembre veniva indicato co­me il più probabile per il rialzo del costo del denaro ora sono sa­lite le quotazioni di dicembre. 

Ciò tuttavia non ha avuto al­cun riflesso positivo sui merca­ti . Gli investitori hanno prefe­rito guardare al bicchiere mez­zo  vuoto  del  rischio  frenatadell’economia  globale  che  aquello mezzo pieno di qualchemese in più a tassi zero. Gli in­vestitori hanno venduto azionie si sono riposizionati sulle ob­bligazioni che in genere bene­ficiano di un contesto espansi­vo di politica monetaria. 

Dalla Gran Bretagna all’Au­stralia, dagli Stati Uniti all’Euro­pa si è visto un generale ribasso dei tassi. La scommessa eviden­temente è che il rischio deflazio­ne alla fine costringa la Fed (e di riflesso anche  le altre banche centrali) a mantenere un orien­tamento espansivo ancora a lun­go. In questo senso si inquadra anche il recentemente rafforza­mento dell’euro­dollaro che, so­prattutto in ragione della forza di quest’ultimo, nell’ultimo me­se ha recuperato il 3,8 per cento. 

Per inquadrare meglio la si­tuazione e capire quale potrebbeessere l’orientamento dei ban­chieri centrali in questo mutato contesto globale sarà cruciale monitorare le dichiarazioni che usciranno dall’annuale simpo­sio dei banchieri centrali di tuttoil mondo che si terrà il prossimo week­end a Jackson Hole, sulle montagne del Wyoming. 

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LE BORSELa correzione delle Borse dai massimi del 2015. Variazioni percentuali

LA MAPPA DEL CONTAGIOI rischi derivanti dal rallentamento cinese e dalla stretta sui tassi Usa

MilanoFtse Mib

DAL 20 LUGLIO

−9,5

LondraFtse 100

DAL 27 APRILE

−12,9

FrancoforteDax

DAL 10 APRILE

−19,7

ShangaiShangai Composite

DAL 12 GIUGNO

−32,1

TokyoNikkei

DAL 24 GIUGNO

−6,8

Wall StreetDow Jones

DAL 21 MAGGIO

−7,5

ParigiCac 40

DAL 5 AGOSTO

−10,8

Borseemergenti

DAL 28 MAGGIO

−23,0

FRENATACINESE

Si svalutanole materie prime

Cala ladomanda

Si svalutalo Yuan

Rallentano leeconomie dipendentidalle commodity

Cala l’exportverso la Cina

Paesi:Australia, Brasilee Cile

Settori:auto tedeschee beni di lusso

Paesi:RussiaSud Africa

Settori:oil & gasSocietà minerarie

Dollaroforte

Rialzodei tassi

Paesi:Argentina, Russiae Indonesia

Settori:società immobiliaricinesi

RIPRESAAMERICANA

Più difficilerimborsare il debitoin dollari

CAUSA EFFETTO 1 EFFETTO 2 CHI NE RISENTE

Fonte: Rbs Macro Credit Research

La correzione e le incognite sui mercati

Maximilian Cellino

pSe sui listini valutari è davvero in atto una guerra per guadagnare competitività sui mercati globali, i Paesi emergenti non avrebbero molto da lamentarsi se la svaluta­zione dello yuan affossa anche le loro monete nazionali. La realtà pe­rò non è purtroppo così semplice, né favorevole e il primo motivo è diimmediata  comprensione:  per­dendo posizioni, real, lira, ringgit e soci rendono anche più pesante il fardello del debito in valuta pesan­te (soprattutto dollaro) contratto da stati e aziende e mettono a re­pentaglio le già traballanti finanze pubbliche e private.

Ma anche a toccare il tema stes­so della concorrenza si scopre che in realtà i benefici di una svaluta­zione restano teorici e tutt’altro che tangibili. In primo luogo per­ché la perdita di valore è finora piuttosto accentuata nei confronti del dollaro (18% in media da quan­do due anni e mezzo fa negli Stati Uniti si è iniziato a parlare di exit strategy dalla politica dei tassi ze­ro) e lo è molto meno (8%) quando si considera un paniere di valute 

pesate secondo la bilancia com­merciale.

Ma soprattutto perché la granparte dei ricavi degli emergenti viene  realizzata  all’interno  dei confini nazionali o proviene dagli altri Paesi emergenti, che soffrono (o si avvantaggiano, dipende dai punti di vista) dello stesso deprez­zamento della valuta. In media, se­condo i calcoli di Goldman Sachs, soltanto l’8% dei ricavi deriva da vendite di beni verso i Paesi avan­zati, mentre il 55% è legato al com­mercio interno o fra emergenti e unaltro 34% riguarda le materie pri­me. Naturalmente il panorama è piuttosto variegato fra i singoli sta­ti: c’è chi è più «aperto» alle econo­mie avanzate come Taiwan e Co­rea (che non a caso alcuni analisti non  considerano  neanche  più emergenti)  e  chi  invece  ha un’esposizione  quasi  nulla.  Fra questi ultimi sorprende forse in­contrare la Cina con una quota di appena il 2% (a fronte di un 59% verso il proprio Paese o gli altri emergenti), un dato che la dice pro­babilmente lunga su quale fosse il reale bersaglio delle mosse di Pe­

chino della scorsa settimana.Ancora più interessante è forse

il  confronto  a  livello  tempora­le: sempre Goldman Sachs nota che dalla precedente crisi finanzia­ria asiatica le esportazioni verso i Paesi avanzati sono diminuite dal 13% del Pil all’8%, mentre nello stesso lasso di tempo il commerciofra gli emergenti è balzato al 15% dal6 per cento. Anche qui la ragione è abbastanza comprensibile, quan­do si tiene conto dell’arrembante crescita delle nuove economie e della concomitante stagnazione o quasi di quelle avanzate, Europa in primis: in fondo ci si è mossi dove ladomanda era più dinamica. 

Le conseguenze però sono po­tenzialmente esplosive, perché in questo modo il mondo emergente è molto più interconnesso e anche molto più vulnerabile a una crisi globale come quella che si profila minacciosamente all’orizzonte. Il rischio domino è quindi in teoria molto più accentuato adesso di quanto non lo fosse nel 1998, e que­sto non è certo un motivo per dor­mire sonni tranquilli.

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Scenari. Si teme per i maggiori oneri sul debito «in valuta pesante» ­ Il 55% dei ricavi resta legato al commercio interno o fra Paesi dell’area

Emergenti, salgono i rischi per l’effetto domino

LO SPETTRO DEFLAZIONEIl crollo dei prezzi delle materie prime e le svalutazioni degli emergenti rischiano di innescare un’ondata deflattiva globale

L’esposizione dei Paesi emergenti

Valori in percentuale

Paese

Provenienza dei ricavi

Nazionali overso altriemergenti

Economieavanzate

Ricavi damaterie

prime AltroTaiwan 55 27 13 5Corea 53 16 28 3Messico 72 10 14 4India 42 10 41 7Sudafrica 60 9 27 3Malesia 75 9 13 3Filippine 86 7 0 7Brasile 56 6 37 1Turchia 78 5 16 1Cina 59 2 36 2Cile 69 2 29 0Tailandia 22 2 75 0Polonia 59 2 39 1Indonesia 88 0 12 0Russia 16 0 83 1Mercati emergenti 55 8 34 3

Fonte: FactSet, Goldman Sachs

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