2 Il Sole 24 OreDomenica 23 Agosto 2015 N. 231
Mercati globaliLE RAGIONI DEL CROLLO
Il rialzo dei tassi UsaLa svalutazione dello yuan deprime i prezzi,gli investitori scommettono sul rinvio della stretta
Il prosciugamento dei petrodollariCon il tonfo del greggio i proventi della venditareinvestiti sui mercati sono stimati in calo
Maxi-storno in Borsa tra Cina, Fed e deflazioneI timori di rallentamento globale dietro la correzione dei listini, liquidità su bond e beni rifugio
Mario PlateroNEW YORK. Dal nostro corrispondente
pÈ stato l'uragano estivo. La turbolenza valutaria in arrivo dalla Cina, i dati preoccupanti per la tenuta della crescita hanno lanciato sfide macroeconomiche, hanno colpito le borse e propongono, dopo i dati in arrivo da Pechino una domanda di fondo: siamo davanti a un rallentamento cinese strutturale o di breve periodo? Come reagiscono le grandi aziende internazionali davanti a questo bivio suun mercato che ha alimentato, soprattutto nel settore del lusso, profitti stellari? Abbiamo girato le domande a Fabrizio Freda, amministratore delegato di Estee Lauder, che conosce a fondo il mercato cinese dove il suo gruppo ha avuto una forte
espansione negli ultimi anni, identificando nuove fasce di mercato e mettendo a frutto ottimi risultati finanziari. La risposta è prudente ma ottimista: «Abbiamo rivisto le nostre previsioni di crescita dei profitti per il 2016 proprio per tener conto dei recenti sviluppi sul piano economico internazionale e per adeguarci a situazioni che a noi sembrano di breve periodo. Per il medio lungo termine la Cina resta un mercato forte
e in crescita. E infatti in questoperiodo che si profila più complesso ne approfitteremo per continuare a investire, nel marketing, nella pubblicità, nei prodotti, nell’innovazione. Del resto è la strategia che abbiamo seguito quando ci sono state difficoltà in Europa, cosa che ci ha ampiamente ripagato».
In effetti nonostante le turbolenze di questi giorni – e se per questo degli ultimi dodici mesi sia in Europa con la crisi greca che in Asia con l’epidemia di maggio in Corea del Sud il titolo Estee Lauder resta al rialzo del 14% dall’inizio dell’anno contro un 5% medio per l’indiceStandard & Poor. E fino a lunedìscorso quando in chiusura d’anno, il gruppo ha adeguato leproiezioni di profitto al nuovo
contesto macroeconomico il rialzo era del 18 per cento.
Ma il messaggio più interessante di Freda in questi giorni diagitazione sui mercati riguarda proprio la continuità di interesse per il mercato cinese: «Resta la migliore opportunità di lungotermine e diventerà uno dei più importanti mercati del mondo –mi dice ancora Freda in questa chiaccherata con il Sole 24 Ore per questo schiereremo moltialtri brand in Cina, i profumi e ilmake up ad esempio avevano un appeal minore che in occidente, ma abbiamo proiezioni che indicano il contrario, abbiamo lanciato Jo Malone e Mac con grande successo, e siamo appena agli inizi». Per Freda il problema valutario non impatta necessariamente il consumo
all’interno di un paese. « Intantoin Cina abbiamo già ridotto del 4% i prezzi. Eppoi, l’unica preoccupazione è se l’indebolimento della valuta significa indebolimento dell’economia, ma in quel caso compensiamo attraverso nuovi brand e investimenti e entrando in nuove città. Guardi, quest’anno siamo entrati in 20 nuove città e ognuna ha una popolazione superiore ai 4 milioni di abitanti. Faccia iconti rispetto ai mercati di una opiù nazioni europee. Oggi distribuiamo in 100 città cinesi, ma ci sono altre 300 città dove i nostri prodotti potranno esseredistributi, per questo la nostra visione di lungo periodo per laprospettiva del mercato cinese è intatta». Per ciò che riguarda le prospettive per il 2016 Freda
fa un confronto con l’anno in corso, che per Estee Lauder si è chiuso il 30 di giugno sul piano fiscale con risultati molto soddisfacenti in termini nominali ma con una riduzione delle vendite in termini reali per l'impatto del cambio sfavorevole sul dollaro. «Anche il 2015 è stato unanno difficile: Russia, Brasile, Cina, Hong Kong, Macao hannoavuto problemi, in più l’epidemia Mers di maggio in Corea delSud ha portato via clienti cinesi e viaggiatori internazionali nei duty free. Eppure abbiamo avuto lo stesso riusltati molto buoniperché abbiamo modificato il portafoglio. Perché le strategie introdotte anni fa hanno pagatoed è questo su cui puntiamo guardando in avanti: abbiamo un portafoglio multiplo e canalimultipli di distribuzione dagliaeroporti alle navi da crociera. Pensi che il duty free oggi vale il1015% delle nostre venditecomplessive».
E il lusso? Non c’è un rischioaggiuntivo per prodotti di alta qualità soprattutto in Cina? Sappiamo che il regime di Xi Jinping ha colpito duramente losfoggio di ricchezza di prodotti di lusso dalle auto alle stravaganze alla moda, se cambia l’umore di fondo nei confronti di consumi di qualità, non c’è unrischio anche per Estee Lauder?
Freda ha la risposta pronta.«Vero, conclude – ma la riduzione c’è stata nel lusso “visibile”, la crema che usi la sera in camera tua non ha certo lo stesso impatto degli orologi, delle vetture, del cachemere, se una crema è più cara di un’altra lo sai solo tu, non certo chi ti incontra per strada. Comunque sia i prezzi per i cosmetici sono molto a buon mercato rispetto diciamo a un orologio: se un rossetto costa dieci dollari in più non si tratta certo di lusso consumistico “aggressivo”.
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IMAGOECONOMICA
Al vertice. Fabrizio Freda
Controcorrente. Il ceo di Estée Lauder, Fabrizio Freda: «Nonostante le attuali turbolenze il Paese asiatico è un mercato interessante. Ne approfitteremo per investire ancora»
«In Cina con prudenza, ma resta un’opportunità»
PRUDENZA E OTTIMISMOIl manager: « Il gruppo ha rivisto le stime per il 201516 per tenere conto degli ultimi sviluppi che per noi sembrano di breve periodo»
L’ANALISI
AndreaFranceschi
E ora l’attivismodei fondi sovranipotrebbe subireuno stop
Con la crisi dei mutuisubprime e il collassodei mercati finanziari
globali del 2008 una categoria di investitori si è affermata sui mercati globali:quella dei fondi sovrani. Soggetti controllati da Stati in possesso di ingenti riserve in valuta forte derivanti dai proventi della vendita di petrolio (i Paesi arabi e la Norvegia) o da colossali surplus nella bilancia commerciale (Cina e India). Investitori molto liquidi che hanno approfittato di una situazione di estrema illiquidità dei mercati per rilevare a prezzo di sconto quote importanti di società quotate americane ed europee. A Piazza Affari sono stati molto attivi la Libia e il fondo Aabar di Abu Dhabi (tutt’oggi tra gli azionisti di maggior peso in Unicredit). Negli ultimi anni c’è stato l’exploit della Cina, che oggi detiene circa 6 miliardi di partecipazioni in big del listino come Eni, Enel, Unicredit e Intesa, Fca, Generali e Telecom. Il fondo sovrano norvegese, che è il più grande al mondo con 790 miliardi di attivi in gestione, di recente ha arrotondato le sue quote in aziende del listino milanese e, con 8 miliardi di azioni italiane in portafoglio, è il terzo maggior investitore estero di Piazza Affari.
Tanto attivismo però potrebbe subire una battuta d’arresto alla luce dei nuovi equilibri dell’economia mondiale. I Paesi emergenti, che sembravano destinati a un’ascesa pressoché irresistibile, ora paiono giganti dai piedi d’argilla. Con le quotazioni del greggio in caduta libera (venerdì il Wti è sceso sotto i 40 dollari per la prima volta dal 2009), i produttori vedono prosciugarsi quella che fino a ieri pareva una fonte inesauribile di ricavi e la loro politica di investimento ne subirà inevitabilmente i contraccolpi. Secondo gli analisti di Rbs il crollo dei prezzi del greggio comporterà una contrazione dei flussi di petrodollari investiti ogni anno sui mercati da 700 a 280 miliardi di dollari. Quanto alla Cina la domanda è: avrà ancora voglia di fare shopping in Borsa o preferirà impegnare le sue risorse per tamponare le falle sempre più evidenti della sua economia?
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Andrea FranceschiFine estate decisamente caldo sui mercati finanziari. Dopo lacrisi greca greca è scoppiata la bolla sul mercato azionario cinese, segnale premonitore di un rallentamento della seconda economia che, a cascata, ha travolto materie prime e valute emergenti. La svalutazione a sorpresa dello yuan decisa lascorsa settimana da Pechino poiè stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Quello che era sono un timore è diventato una certezza: la Cina non corre più come un tempo e il rischio di un rallentamento globale ha portato gli investitori ha vendere pesantemente azioni inflazionate da anni di politiche ultraespansive.
Dopo anni di euforica ascesa ilistini mondiali iniziano quindia sperimentare sulla loro pellela forza di gravità registrando una brusca correzione di rotta.Dai massimi di giugno la Borsa
di Shanghai ha perso il 32,1% trascinandosi dietro tutti i listiniemergenti (l’indice Msci Emerging Markets dai picchi di fine maggio ha perso il 23%). A ruotahanno sofferto anche le piazze “sviluppate”. Il caso più eclatante è quello dell’indice Dax diFrancoforte che dai massimi diaprile ha perso quasi il 20 percento. Ma c’è anche Wall Streeta dare segnali di debolezza: l’indice S&P 500 ha archiviato la sua peggiore performance settimanale dal 2011 (6,2%) e dai massimi di aprile ha perso il 7,5per cento.
Per spiegare cos’ha causatoquesta pesente ondata di vendite e provare a capire quali saranno i possibili sviluppi di questa situazione riavvolgiamo il nastro a prima prima dell’estate.Allora un tema su tutti indirizzava le scelte degli investitori: quello della divergenza tra le politiche monetarie di Bce (nel pieno del suo Quantitative easing) eFed, alle prese con lo snodo cruciale del rialzo dei tassi di interesse. Questo quadro è stato turbato dallo scoppio della bolla speculativa alla Borsa di Shanghai e dalla frenata dell’economia cinese che Pechino è stata costretta ad affrontare conun’inattesa svalutazione della sua moneta. A seguito di questa mossa la fuga di capitali dai Paesiemergenti, iniziata a luglio inscia al rafforzamento del dollaroe al crollo del mercato delle materie prime, si è intensificata: nelle ultime sette settimane i fondi azionari specializzati in questi mercati hanno subito un’ondata di riscatti pari 26 miliardi di dollari netti.
La frenata delle economieemergenti e l’ondata di svalutazioni competitive che inevitabilmente ha innescato (e innescherà) la mossa cinese, combinati il recente crollo dei corsidelle materie prime (altro effetto collaterale di questa ingarbugliata situazione), potrebberoalimentare spinte deflattive nelle economie sviluppate.
Un ribasso dei prezzi può innescare una stagnazione duratura dell’economia (il casoscuola è il Giappone che nellatrappola della deflazione è rimasto impantanato per ben 20anni). Il mercato ha già messo inconto questo rischio. L’indicesulle aspettative di inflazionenell’area euro in questi giorni ècrollato ai livelli di marzo. Unacoincidenza visto che proprioin quel mese partiva l’operazione Quantitative easing della Bce il cui scopo era proprioquello di far fronte alla minaccia della deflazione.
I recenti contraccolpi sui mercati e le possibili ripercussionidella frenata cinese sulla dinamica inflazionistica sono guardati con molta attenzione anche dalla Federal Reserve. Nei verbali dell’ultima riunione pubblicati mercoledì è emersa una certa preoccupazione in questo senso e la retorica sorprendentemente espansiva della Fed è stata letta come un indizio della volontà dei banchieri centrali di prendere ancora tempo per una mossa sui tassi. Se prima il mese di settembre veniva indicato come il più probabile per il rialzo del costo del denaro ora sono salite le quotazioni di dicembre.
Ciò tuttavia non ha avuto alcun riflesso positivo sui mercati . Gli investitori hanno preferito guardare al bicchiere mezzo vuoto del rischio frenatadell’economia globale che aquello mezzo pieno di qualchemese in più a tassi zero. Gli investitori hanno venduto azionie si sono riposizionati sulle obbligazioni che in genere beneficiano di un contesto espansivo di politica monetaria.
Dalla Gran Bretagna all’Australia, dagli Stati Uniti all’Europa si è visto un generale ribasso dei tassi. La scommessa evidentemente è che il rischio deflazione alla fine costringa la Fed (e di riflesso anche le altre banche centrali) a mantenere un orientamento espansivo ancora a lungo. In questo senso si inquadra anche il recentemente rafforzamento dell’eurodollaro che, soprattutto in ragione della forza di quest’ultimo, nell’ultimo mese ha recuperato il 3,8 per cento.
Per inquadrare meglio la situazione e capire quale potrebbeessere l’orientamento dei banchieri centrali in questo mutato contesto globale sarà cruciale monitorare le dichiarazioni che usciranno dall’annuale simposio dei banchieri centrali di tuttoil mondo che si terrà il prossimo weekend a Jackson Hole, sulle montagne del Wyoming.
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LE BORSELa correzione delle Borse dai massimi del 2015. Variazioni percentuali
LA MAPPA DEL CONTAGIOI rischi derivanti dal rallentamento cinese e dalla stretta sui tassi Usa
MilanoFtse Mib
DAL 20 LUGLIO
−9,5
LondraFtse 100
DAL 27 APRILE
−12,9
FrancoforteDax
DAL 10 APRILE
−19,7
ShangaiShangai Composite
DAL 12 GIUGNO
−32,1
TokyoNikkei
DAL 24 GIUGNO
−6,8
Wall StreetDow Jones
DAL 21 MAGGIO
−7,5
ParigiCac 40
DAL 5 AGOSTO
−10,8
Borseemergenti
DAL 28 MAGGIO
−23,0
FRENATACINESE
Si svalutanole materie prime
Cala ladomanda
Si svalutalo Yuan
Rallentano leeconomie dipendentidalle commodity
Cala l’exportverso la Cina
Paesi:Australia, Brasilee Cile
Settori:auto tedeschee beni di lusso
Paesi:RussiaSud Africa
Settori:oil & gasSocietà minerarie
Dollaroforte
Rialzodei tassi
Paesi:Argentina, Russiae Indonesia
Settori:società immobiliaricinesi
RIPRESAAMERICANA
Più difficilerimborsare il debitoin dollari
CAUSA EFFETTO 1 EFFETTO 2 CHI NE RISENTE
Fonte: Rbs Macro Credit Research
La correzione e le incognite sui mercati
Maximilian Cellino
pSe sui listini valutari è davvero in atto una guerra per guadagnare competitività sui mercati globali, i Paesi emergenti non avrebbero molto da lamentarsi se la svalutazione dello yuan affossa anche le loro monete nazionali. La realtà però non è purtroppo così semplice, né favorevole e il primo motivo è diimmediata comprensione: perdendo posizioni, real, lira, ringgit e soci rendono anche più pesante il fardello del debito in valuta pesante (soprattutto dollaro) contratto da stati e aziende e mettono a repentaglio le già traballanti finanze pubbliche e private.
Ma anche a toccare il tema stesso della concorrenza si scopre che in realtà i benefici di una svalutazione restano teorici e tutt’altro che tangibili. In primo luogo perché la perdita di valore è finora piuttosto accentuata nei confronti del dollaro (18% in media da quando due anni e mezzo fa negli Stati Uniti si è iniziato a parlare di exit strategy dalla politica dei tassi zero) e lo è molto meno (8%) quando si considera un paniere di valute
pesate secondo la bilancia commerciale.
Ma soprattutto perché la granparte dei ricavi degli emergenti viene realizzata all’interno dei confini nazionali o proviene dagli altri Paesi emergenti, che soffrono (o si avvantaggiano, dipende dai punti di vista) dello stesso deprezzamento della valuta. In media, secondo i calcoli di Goldman Sachs, soltanto l’8% dei ricavi deriva da vendite di beni verso i Paesi avanzati, mentre il 55% è legato al commercio interno o fra emergenti e unaltro 34% riguarda le materie prime. Naturalmente il panorama è piuttosto variegato fra i singoli stati: c’è chi è più «aperto» alle economie avanzate come Taiwan e Corea (che non a caso alcuni analisti non considerano neanche più emergenti) e chi invece ha un’esposizione quasi nulla. Fra questi ultimi sorprende forse incontrare la Cina con una quota di appena il 2% (a fronte di un 59% verso il proprio Paese o gli altri emergenti), un dato che la dice probabilmente lunga su quale fosse il reale bersaglio delle mosse di Pe
chino della scorsa settimana.Ancora più interessante è forse
il confronto a livello temporale: sempre Goldman Sachs nota che dalla precedente crisi finanziaria asiatica le esportazioni verso i Paesi avanzati sono diminuite dal 13% del Pil all’8%, mentre nello stesso lasso di tempo il commerciofra gli emergenti è balzato al 15% dal6 per cento. Anche qui la ragione è abbastanza comprensibile, quando si tiene conto dell’arrembante crescita delle nuove economie e della concomitante stagnazione o quasi di quelle avanzate, Europa in primis: in fondo ci si è mossi dove ladomanda era più dinamica.
Le conseguenze però sono potenzialmente esplosive, perché in questo modo il mondo emergente è molto più interconnesso e anche molto più vulnerabile a una crisi globale come quella che si profila minacciosamente all’orizzonte. Il rischio domino è quindi in teoria molto più accentuato adesso di quanto non lo fosse nel 1998, e questo non è certo un motivo per dormire sonni tranquilli.
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Scenari. Si teme per i maggiori oneri sul debito «in valuta pesante» Il 55% dei ricavi resta legato al commercio interno o fra Paesi dell’area
Emergenti, salgono i rischi per l’effetto domino
LO SPETTRO DEFLAZIONEIl crollo dei prezzi delle materie prime e le svalutazioni degli emergenti rischiano di innescare un’ondata deflattiva globale
L’esposizione dei Paesi emergenti
Valori in percentuale
Paese
Provenienza dei ricavi
Nazionali overso altriemergenti
Economieavanzate
Ricavi damaterie
prime AltroTaiwan 55 27 13 5Corea 53 16 28 3Messico 72 10 14 4India 42 10 41 7Sudafrica 60 9 27 3Malesia 75 9 13 3Filippine 86 7 0 7Brasile 56 6 37 1Turchia 78 5 16 1Cina 59 2 36 2Cile 69 2 29 0Tailandia 22 2 75 0Polonia 59 2 39 1Indonesia 88 0 12 0Russia 16 0 83 1Mercati emergenti 55 8 34 3
Fonte: FactSet, Goldman Sachs