MAZZONE E MAZZONARI
♦ ♦ ♦
Il desiderio di voler conoscere le nostre radici, sprona a esplorare accuratamente
vecchi documenti riguardanti gli accadimenti della vita e della società di Grazzanise;
sollecita a rivolgere l’attenzione verso i personaggi del tempo, siano essi noti o ignoti
e induce altresì a prendere in considerazione gli eventi storici e i racconti, le favole e
leggende narrate dagli anziani; invoglia a esaminare le testimonianze del tempo
connessi al susseguirsi degli eventi naturali responsabili delle modificazioni
ambientali. L’indagine sul passato è un percorso fantastico da cui si scoprono le
regole di vita delle passate generazioni caratterizzate da passioni, desideri, speranze e
quant’altro. E’ un tracciato che sprona la fantasia a immaginare singolari scenari della
natura e dell'ambiente. Molte documentazioni attestano che il nostro territorio,
nasceva come terreno paludoso nel quale le zanzare vessavano gli abitanti
trasmettendo la micidiale malaria. In questa zona, le acque stagnanti, putride e
puzzolenti rendevano la vita dei nostri avi dura e faticosa tanto da abbrutirli fino a
fargli assumere comportamenti impulsivi, inumani, talvolta violenti e crudeli.
Nonostante Capua ( situata a pochi chilometri da Grazzanise) nel periodo antico fosse
una delle più popolose e prospere città dell’epoca, nessun beneficio arrecò al casale
di Grazzanise. Il nostro piccolo villaggio era, purtroppo, destinato ad allignare in
quella zona depressa, al tempo scarsamente abitata essendo luogo di passaggio o di
rifugio provvisorio degli schiavi, che nell’epoca romana, disertando dall’Anfiteatro
della vecchia Capua, trovavano rifugio in questo territorio e nei luoghi viciniori. Gli
abitanti di questa terra, sovrastata dai pantani, alimentati dalle acque piovane e dallo
straripamento del Volturno, erano esposti ad alta percentuale di mortalità in quanto
vittime di malattie endemiche. Per centinaia di anni hanno combattuto contro la forza
della natura continuando a bonificare, a costruire argini, a difendersi dai malanni e
dai disastri causati dalle catastrofe naturali. Nonostante le opere di canalizzazione
avvenute nel XVI secolo, il territorio rimaneva comunque impervio e malsano.
Malgrado tutto, con ostinazione, i nostri progenitori seppero adattarsi e compresero
come far produrre i terreni acquitrinosi coltivandoli a pascolo e dedicandosi
decisamente all’allevamento del bestiame. Divenne così il nostro territorio, il regno
delle mucche, delle pecore, e in seguito delle bufale, quest’ultime, adatte a vivere in
un habitat fangoso che in gergo locale era definito “Caramone” ( A ufera freschea
dint’ o caramone = La bufala si rinfresca nel fango). Era questa, per lo più, la patria
dei “Mazzoni”, la patria dei pascoli. Terra inospitale che li ha sfiancati mettendo a
dura prova la loro tenacia e forza d’animo. In questo luogo tanto ostile, i nostri
antenati hanno lavorato come bestie trasferendosi dall’agglomerato abitativo
abbandonando moglie e figli per raggiungere le “Pagliare”. Si legge su un documento
dell’epoca, (risale al 1800) indirizzato alla Giunta Municipale di Grazzanise: - «La
mia dimora è quasi stabile in campagna, nella “Pagliara” del padre Francesco e per
tale ragione per lo più sono assente dal proprio letto, che perciò chiede in linea di
giustizia essere esentato di far parte della Guardia Nazionale». Le “Pagliare” erano
aziende rurali. I “Pagliarari” ( Massari, Butteri, Contadini, Minorenti, Pecorai,
Mantinenti, Guardiani di notte, Cambianti, Streppari, Saurari, Murenienti, Curatini,
Vuttari, Casigni, Porcari, bufarari ecc….) usufruivano di un giorno di riposo al mese
che generalmente capitava di lunedì. Mi è gradito riportare, una poesia d’epoca,
scritta da Salvatore Parente e Michele Petrella, che rende l’idea della vita nelle
“Pagliare”.
✽✽✽
“ Fra dui cumpari pagliarari”
1
Ne cumpà ne saie niente
de lu sciopere e pagliare
pure a vvuie nu vve pare
che sti ccose annà cagnà
9
E li vuttari mmarissi
fanno comm’é purtinari
senza avé mai campagna
hanno solo i muorzi amari
2
Ma sicuro mò ve dico:
chi a tuorto e chi a ragione
sulamente chi cuglione
ccà nu vvede a verità
10
Tale a quale a Santo Pietro
nnanze e pporte u Paraviso
fanno appello ogni matina
senza pianto e senza riso
3
Ricurdate? Tutti quanti
tanta celebri affamati
camurristi furtunati
mò accellenza vonn’avé
11
Po ce stanno i curatini
notte e gghiuorno attuorno o fuoco
p’abbuscà pochi carrini
vanno priesto o santo luogo
4
Sti casigni annubeluti
che fatiche e chesti bracce
hannu fatte toste e ffacce
mo ve dico lu pecché
12
E passammocenne appriesso.
murunento e gguardiano
sempe mmiezo a nu pruciesso
sempe cu tibbotte mmano
5
E sapiti pecché chesto
pecché eramo rignuranti
e lu sango e tutti quanti
le facevomo zucà
13
E pecché sta vita amara
parrecchi li difesanti
che so l’arbo parassiti
da nui auti tutti quanti
6
Songo cose vergognose
pe stu secolo e prugresso
mò nisciuno cchiù e fesso
tutti quanti anna campà
14
Mieza a nuie ce vulerria
sulamente u sucialisto
che a giustizia comma a Cristo
ce veneva a prerecà
7
Ccà ce stanne i bufarari
truoni lampi acqua e viento
notte e gghiuorne che spaviento
é nisciuno n’à pietà
15
L’eguaglianza ( il diritto
Siamo liberi cittadini)
o pagate: o zitto zitto
mo sapimmo che amma fa
8
Cambianti assai cchiù peggio
nsieme e poveri streppari
i purcari i saurari
fanno proprio pietà
L’esteso territorio del bacino del Volturno, è stato definito “Campi Stellati”
raffigurandosi come immensa pianura boschiva colma di animali, caratterizzata da
una folta vegetazione e bagnata dallo stupendo corso d’acqua cristallina del locale
fiume Volturno. Un cielo ammantato di stelle completava quello scenario da paradiso
terrestre. Ma è solo una scena idilliaca perché in realtà, come già affermato, la vita
era dura. Il “Caramone”, purtroppo, ne declassava l’immagine. Esso è esistito fino
agli anni cinquanta e sino alla metà degli anni sessanta. Molti ricordano i “Caramoni”
della località terriera “Funno”, della zona “Coscienza”, del “Triucio” e così via. Gli
anziani raccontano che quando le mucche, indispensabili per arare i campi, trainare il
carro, produrre il latte e trascinare lo “ Straulo ” carico di “ Pascone ” ( Straulo =
slitta di legno. Pascone = piantine di granturco), spesso affondavano nel fango fino
alla pancia e dovevano essere rimorchiate da possenti buoi (I Vuoi ri Fusari – Erano i
buoi della famiglia Fusaro) per poterne uscire, altrimenti vi restavano prigioniere ed
erano destinate alla morte. La perdita di dette bestie era una grave rovina per la
famiglia, e specialmente per quel nucleo familiare numeroso e povero, che aveva
proliferato sulla base della filosofia “Meglio ricch’e sanghe ch’e sorde” (Meglio
essere contornati da figli che possedere denaro). Sì, perché in tempi passati, le
famiglie erano alquanto numerose e ciò contribuiva alla loro miseria, alla fame, a
dimorare in abitazioni tugurio, a vestire con cenci, a vivere di stenti. Esse non
potevano assicurare un avvenire ai figli, che, già in tenera età, collaboravano nelle
fatiche per il sostentamento del loro nucleo familiare. Si tramandavano così, di
generazione in generazione, l’analfabetismo, l’ indigenza e la carestia. Tralasciando
l’aspetto dell’habitat e della condizione economica, culturale e sociale, è il caso di
soffermarsi sul temperamento dei Mazzonari. E’ dichiarato dalle più elementari
nozioni di psicologia che ogni essere vivente è in continuo rapporto con il suo
ambiente. Quando l’habitat è caratterizzato dal degrado: la sofferenza, il freddo, il
duro lavoro, la frustrazione, le paure, la fame, la miseria, lo sconforto e quant’altro,
genera nell’uomo una natura ostile che lo predispone alla difensiva. In esso
predomina l’istinto della sopravvivenza per cui i comportamenti diventano istintivi e
sdegnosi; ma è pur vero che gli si rafforza la capacità di far fronte agli aspetti
negativi dell’ambiente, per cui, adopera la propria ragione, il proprio ingegno, per
agire nel territorio di appartenenza riuscendo a mantenersi paziente e a combattere gli
eventi assumendo atteggiamenti concilianti anche nelle condizioni più penose. Il
continuo interagire con quell’ambiente inospitale, ha contribuito nel Mazzonaro a
determinare la sua crescita fisica e psicologica. Le esperienze positive e/o negative
vissute in tali condizioni, hanno concorso a modellare uomini valenti, intelligenti e
coraggiosi. In uno scritto del 1915 intitolato “ Il Mazzone nell’antichità e nei tempi
presenti”, il Prof. Alicandri, Primicerio della Chiesa Metropolitana di Capua,
sosteneva che non è facile definire l’indole ed il carattere degli abitanti del Mazzone:
- « il Mazzonese è leale, nemico della doppiezza, dell’adulazione e del servilismo che
altri malamente confonde con l’orgoglio….dall’altra parte ardito, sostenuto nella sua
opinione, spesso fino alla cocciutaggine, intollerante della sopraffazione, in un
ambiente proprio, chiuso nell’odio, a volte mal represso, vigliacco sempre nel
compiere la vendetta lungamente meditata”. Sostiene altresì il prof. Alicandri di
essere costretto a narrare fatti recenti, il cui racconto non potrà tornar gradito ad
alcuni dei miei conterranei, ma la storia è storia: la storia non mi permette di tacere o
alterare in alcun modo la verità. Fino a pochi anni fa, dunque, in tutte le campagne
del Mazzone imperversava un brigantaggio di nuovo genere. Uomini senza
coscienza, dall’istinto depravante, associati a delinquere, divisi in gruppi operanti
ciascuno per proprio conto, insidiosamente e alla macchia, per vendicare una pretesa
ingiuria per carpire un posto invidiabile, perché meglio retribuito, servendosi
dell’opera di giovanotti di malaffare, incoscienti, spesso alcolizzati, e a vil prezzo
condotti, danneggiavano in cento guise il prossimo, agitavano e contrastavano
l’animo dei buoni, turbavano la pubblica quiete, e mettevano in mala voce gli abitanti
tutti del luogo». Purtroppo col passar dei secoli il circondario ha conservato, in parte,
quest’aspetto negativo. Ne troviamo conferma nel discorso di Mussolini, tenuto
nell’aula di Montecitorio il 26 maggio del 1927 dedicato al problema della mafia; in
esso emerge il riferimento ai Mazzoni. (Si espone la parte che riguarda il nostro
territorio). Il testo dell’orazione di Mussolini (noto come ‘discorso dell’Ascensione’)
é tratto dagli Atti del Parlamento Italiano – Camera dei Deputati, Sessione 1924-
1928, XXVII Legislatura. Discussioni.Vol. VIII dal 26 maggio 1927 al 15 maggio 1928.
…Omissis… - «Veniamo ai Mazzoni. I Mazzoni sono una plaga che sta tra la
provincia di Roma e quella di Napoli, ex-Caserta: terreno paludoso, stepposo,
malarico, abitato da una popolazione che fin dai tempi dei romani aveva una
pessima reputazione, ed era chiamata popolazione di latrones. Vi do un'idea della
delinquenza di questa plaga. Nei cinque anni che vanno dal 1922 al 1926, furono
commessi i seguenti delitti principali, trascurando i minori: oltraggi alla forza
pubblica 171; incendi 378; omicidi 169; lesioni 918; furti e rapine 2.082;
danneggiamenti 404. Questa è una parte di quella plaga. Veniamo all'altra parte,
quella dell'Aversano: oltraggi 81; incendi 161; omicidi 194; lesioni 410; furti e
rapine 702; danneggiamenti 193. Ho mandato un maggiore dei Carabinieri con
questa consegna: Liberatemi da questa delinquenza col ferro e fuoco! Questo
maggiore ci si è messo sul serio. Difatti, dal dicembre ad oggi, sono stati arrestati,
per delitti consumati e per misure preventive, nella zona dei Mazzoni 1.699 affiliati
alla malavita, e nella zona di Aversa 1.278. I podestà di quella regione sono
esultanti, i combattenti di quella regione altrettanto. Io ho qui un plico di
telegrammi, di lettere, di ordini del giorno, documenti con i quali la parte sana di
quella popolazione ringrazia le autorità costituite, le autorità del regime fascista per
l'opera necessaria di igiene che sarà continuata fino alla fine». Volendo risalire
all’origine del termine Mazzonari va evidenziato che essi sono gli abitanti del
territorio denominato Mazzone. Il termine Mazzoni non caratterizza solo il territorio
di Grazzanise, bensì si estende a tutto il circondario che comprende i paesi della
provincia di Caserta: Santa Maria La Fossa, Brezza, Cancello ed Arnone,
Castelvolturno, Lago Patria, Villa Literno e Grazzanise stesso, quest’ultimo, è
definito il cuore dei Mazzoni. Diverse sono le ipotesi formulate riguardo all’origine
del termine Mazzone. E’ stato affermato che l’appellativo di Mazzone nasce dalla
“Muzzarella mpagliata o: “U Mazz’ e mozzarella”. Già alla fine del settecento e
inizio dell’ottocento si produceva nei territori locali la mozzarella ricavata dal latte di
bufala. Ciò avveniva in poche tenute terriere (In gergo – Pagliare -). Le Pagliare
appartenevano a nuclei familiari benestanti e alcuni caratterizzati da titolo nobiliare.
In queste aziende si confezionava la mozzarella in modo del tutto particolare. Era
consuetudine, avvolgere la mozzarella nelle guglie raccolte sui cigli dei fossi e
sistematala in esse, le stesse si legavano all’estremità superiore e inferiore. Si
presentava così la composizione che assumeva la denominazione di: “U mazzo e
Mozzarella”. Da ciò sarà scaturito “Mazzone” vale a dire accrescitivo di “mazzo”.
Un’altra teoria fa risalire il termine di Mazzonari al bastone del pastore. Ricordando
che all’epoca era molto diffuso il pascolo ovino; si è associato il termine al bastone-
mazza del pastore che pascolava il gregge, e poiché tale bastone-mazza era in parte
grosso ( di conseguenza mazza grossa cioè mazzone), è stata coniata la definizione di
Mazzone. Mazzone è anche stato associato a un sottile arnese con punta di ferro che
era utilizzato dal bufalaio (in gergo “Ufararo”), attrezzo di cui si serviva a cavallo per
gestire la mandria. Inoltre, la denominazione "Mazzone" è stata assimilata a:
“Mazzone delle rose” essendo il territorio ricco di rose. "Mazzone" corrisponderebbe
persino alla trasformazione delle parole Massa, Maison (casa) o mansiones
richiamando le abitazioni abbandonate del tempo che servivano ad accogliere i
viaggiatori. Le diverse definizioni, purtroppo, non sono convalidate da alcun
documento dimostrativo. Un appellativo più o meno attendibile possiamo dedurlo da
un documento di studio del Dott. Giovanni Parente che si riporta integralmente.
✽✽✽
“ Una più oculata ricerca ci conduce agli atti della tornata (1889) della Regia
Commissione Conservatrice dei monumenti ed oggetti di antichità e delle arti della
provincia di Terra di Lavoro intorno alla Epigrafe Ebraica in ricordo della Signora
Ester, madre di Abramo e figlia di Beniamino scoperta in Castel Volturno. Ester
apparteneva ad una famiglia stimata in quanto Abramo e Beniamino erano Rabbini.
Dalla scritta in ebraico, tradotta in versione latina e quindi italiana, si evince il
soffermarsi dei Masoreti prima della venuta di Cristo nei nostri territori. I Masoreti
(eruditi e scribi ebrei) abbandonando la propria terra a seguito della Prammatica
Sanzione. Essi abitarono Capua ed, errando nei dintorni, si estesero fino ai terreni
prossimi al mare non oltre il confine territoriale di Castel Volturno. La testimonianza
dell’esistenza della lapide è confermata dall’Arcivescovo di Lanciano Mons. A. della
Cioppa, che esperto in lingua ebraica, fu incaricato di decifrarne il significato di
seguito riportato.
- Cippo sepolcrale pietoso….tributo ad Ester, madre di me Abramo, figlio di
Beniamin. La memoria del giusto in benedizione di platza?.
Altra versione fu quella del Chiarissimo Senatore del Regno Prof. Di glottologia nella
Regia Università di Milano Graziadio Ascoli.
- Stela sepolcrale della Pia donna la Signora Ester…..di Abramo, figlia di
Beniamino (di pia memoria), questa sia in benedizione da P(F)tza?) ;
Differente versione fu quella del Prof. Ignazio Guidi
- Lapide sepolcrale della Signora Ester madre di Abramo, figlia di Beniamino.
La memoria del giusto sia in benedizione di Palza o Falza ? .
Fu anche incaricato il nostro compaesano Dott. Giovanni Parente esperto calligrafo e
dotto in lingua latina, greca ed ebraica. Egli presenta la sua conclusione monitoria nel
modo seguente:
1°- Lezione Ebraica – “hatzadakth Keburath matzabhath abraham immi hester maret
librachah zecher benjamin rabbi bar muplatz”.
2°- Traduzione Latina –“ Locus hic sepulturae hujus (Hic jacet) que justa fuit – Aliter
in codice, sed vive Philotogicon. Domina Hester meter mei Habraham qui Filius
magisteri Beniamjn, memoria justae. De beneditionem . Me tremore confectum ab
nimium dolorem valde miserum”.
3° - Versione Italiana – “ Questo è il luogo della sepoltura di costei , che fu giusta.
(Altrimenti nel sacro codice, ma vedi il filologicon) La Signora Ester madre di me
Abramo. Figliuolo del Rabbino Beniamin, la memoria della Pia andrà di benedizione
in benedizione. O me del dolore convulso!”.
Gli interpreti sottolineano che la presenza dei Masoreti è confermata dall’epigrafe che
era scritta in Ebraico la quale presentava i loro segni consonantici. Nella stessa
scritta si trova la conferma che la lapide è stata posta dal suddetto popolo ( statio
lucus). I Masoreti lasciarono a noi il nome di Mazzone, proveniente dal loro
vocabolo(ebraico מ ז ח ), tradotto in mezach, vives, robur, che descriveva la forza
degli abitatori delle campagne; o altra estrazione come ebraico צ tradotto) ,( מ ח
in machatz percussit, vulneravit), che in effetti evidenziava una certa tendenza
degli abitatori di quel tempo ad esercitare una certa violenza quasi sempre con
sistemi traditori e crudeli molto spesso favoriti dalla boscaglia e dai nascondigli
che il territorio per la sua configurazione naturale, consentiva. E’ da ritenersi che questi ultimi riferimenti rendono più affidabile l’ipotesi
sull’origine dell’appellativo “Mazzoni”.
L’ANTICA ISCRIZIONE - Libera dai punti, ed altri ritrovati Masoretici; e munita dei segni
rabbinici, così come giace. La lapide sulla quale era incisa l’epigrafe presentava le seguenti
dimensioni: larghezza cm. 60 - altezza cm.35 - spessore cm.10.
Il Mazzonaro è riportato come figura di
uomo a cavallo, forte, di costituzione
prestante e corpulenta, vestito con pantaloni
alla zuava, camicia bianca, gilet, mantello di
cencio di cerreto ( Mantiell’ a rota), stivali
lunghi di cuoio e un grosso cappello. E’ da
precisare che non tutti, ovviamente
corrispondevano alle suddette caratteristiche
fisiche. I Mazzonari, indipendentemente
dalla visione romanzesca di cavalieri
vigorosi e indomabili, erano personaggi
comuni, costretti a vivere di lavoro
massacrante, di patimenti e, considerato il
misero salario, di privazioni. Per secoli gli
abitanti dei Mazzoni hanno dovuto fare i
conti, come già affermato, con i disagi
causati dal territorio, ma anche con le
calamità naturali. Si legge in una conferenza
del Dott. Giovanni Parente, tenuta nelle sala
dell’Asilo infantile di Grazzanise il 1°
Settembre dell’panno 1901 – “Omissis…« E
per queste lontane ragioni e per le
presentissime della continuata colmata dei
terreni, chiusi fra gli argini, prodotta dalle
acque piovane, e per le frane fattevi
lateralmente a cagione dei pascoli abusivi
lasciati in loro balia; o per l’impeto della
corrente delle grandi piene, che muta la direzione si fondono; ed ecco che, (foglio
strappato..?) acqua fuori aspettativa, specialmente di notte (foglio strappato….?) ad
affogare miseramente uomini, animali, masserizie, tutto come avviene spessissimo
e come avvenne quattro anni or sono il dilagamento nello abitato nel periodo di
decrescenza della fiumana. Di ciò fui testimone oculare perché fui chiamato con
grande insistenza a curare un ammalato di perniciosa pneumonica. Vi andai, a metà
di strada dopo 4 kilometri le acque alluvionali, che avevano allagata tutta quella
campagna fino a vista d’uomo, avevano invaso ancora il capo strada.
Fu indescrivibile lo spavento
cagionato dal fragore fatto dal
rigurgito delle acque correnti…
Come a Dio piacque arrivai al
tugurio dello infelice. E la
melma, alta quasi 20 centimetri
depositatasi dalla inaspettata
alluvione era anche sotto la
lettiera del giaciglio dello
infelice presso il quale fui
portato sulle braccia di due
robusti giovani, come è a
vedersi per gli scavi dei pozzi
artesiani ». Appare abbastanza
dettagliata la descrizione delle
condizioni di vita degli abitanti
dell’epoca. Riferendoci poi al
termine: “lettiera” dobbiamo
precisare che essa null’altro era
che un letto formato da due
scanni di ferro sui quali erano
appoggiate delle tavole con
sopra un materasso, all’epoca
definito “U saccone” ripieno di
foglie di granturco, in gergo “
Preglie”. Che dire ancora dello
svolgersi della vita quotidiana in
famiglia. Le donne impegnate
nelle faccende domestiche,
usavano lavare i panni
all’aperto, soggette ai danni
causati dagli agenti atmosferici.
Esse utilizzavano il lavatoio, in
gergo “U Lavaturo”. Il pozzo
spesso era prossimo al lavatoio
e dallo stesso, l’acqua era tirata
su con il sistema del “Vinnulo”
al quale era avvolta una catena
che terminava con un gancio a cui si attaccava un pesante secchio di zinco per
attingere l’acqua. D’estate, nell’acqua all’interno, del pozzo, si calava in gergo, “ U
Ceceno” corrispondente ad un’anfora nella quale era contenuta acqua potabile
generalmente prelevata dal locale fiume
Volturno, oppure il fiasco di vino,
un’anguria, o quant’altro si riteneva dover
tenere al fresco. Sia il lavatoio che il
pozzo, in molte famiglie erano in comune
di solito collocati nel cortile di casa. Il
pane era prodotto in casa ed anche il
forno “U Furno” in molti casi si
condivideva sia per la produzione del
pane, sia per altri alimenti. Non tutte le
famiglie, tranne qualcuna benestante,
all’epoca possedevano un forno. Esso, era
generalmente presente nel vicinato ed era
utilizzato da tutti i nuclei familiari dello
stesso abitualmente ogni quindici giorni
per le“fatte di pane”, ma anche nelle
ricorrenze delle festività Natalizie,
Pasquali e altre occasioni. Ogni famiglia,
presi i comuni accordi con il proprietario
del forno, infornava il pane in un giorno
stabilito e quasi tutti erano coinvolti. La
mattina presto, circa alle ore due, lo si
preparava e quando la sua temperatura
raggiungeva il giusto grado di calore, si
infornava la pasta che precedentemente
era stata preparata impastando farina, sale,
acqua e con l’aggiunta del caglio, in gergo
“Criscimonio” fino ad ottenere la quantità
desiderata. La pasta era conservata
all’interno della madia, in gergo
“Matrone” ed era ricoperta con un telo.
Era consuetudine ricavare il pane oltre che
dalla farina di grano, anche da quella del
granoturco che era posto ad essiccare appendendolo presso la propria abitazione. A
fronte di tanti patimenti e afflizioni, é legittimo chiedersi: i Mazzonari, sono stati e
sono unicamente uomini inclini a esercitare una certa violenza spesso con sistemi
traditori e crudeli? In merito avrei
rilevanti perplessità. Se i ricercatori
si fossero preoccupati di indagare
più a fondo, se avessero seguito
meglio, in ogni suo aspetto, il
percorso storico caratterizzante la
realtà di vita di queste persone, di
sicuro, liberata la mente da
suggestioni leggendarie e da
pèregiudizi, si sarebbero accorti
che il modo di agire di queste
persone è stato ed è, nel bene e
nel male, uguale a tutti gli altri
popoli della terra. Osservandoli e
esaminando più da vicino, i loro costumi di vita, le loro passioni, le debolezze, la
sfera affettiva, ci si rende conto come appaiono cordiali e gentili, amichevoli,
affezionati e disponibili, ma anche determinati a non subire prevaricazione o
prepotenze. Mi è gradito riportare il pensiero di Don Angelo Florio che nel suo testo
“La mia terra, i suoi Grandi” dichiarava: Omissis…….«Il Mazzonaro è nemico della
doppiezza e dell’ipocrisia, espansivo, ospitale, generoso, benigno, sociale,
intelligente: quindi portato naturalmente al sentimentalismo, all’entusiasmo,
all’affetto eccessivo, all’emotività, alle soddisfazioni spirituali, morali e materiali e,
di conseguenza, alle reazioni in difesa del pane e dell’onore».
Alcune notizie sono state tratte da:
Don Angelo Florio, La mia terra, i suoi Grandi,
Atti del Parlamento Italiano – Camera dei Deputati, Sessione 1924-1928, XXVII Legislatura.
Discussioni.Vol. VIII dal 26 maggio 1927 al 15 maggio 1928.
I toponimi Terra dei Mazzoni ed i Mazzonari (alcuni ricavati da Internet)
Testo poetico in vernacolo di Salvatore Parente e Michele Petrella
Scritto del 1915 intitolato “ Il Mazzone nell’antichità e nei tempi presenti”del Prof. Alicandri,
Primicerio della Chiesa Metropolitana di Capua (tratto da internet)
Atti della tornata (1889) della Regia Commissione Conservatrice dei monumenti ed oggetti di
antichità e delle arti della provincia di Terra di Lavoro intorno alla Epigrafe Ebraica: Arcivescovo di
Lanciano Mons. A. della Cioppa, Chiarissimo Senatore del Regno Prof. Di glottologia nella Regia
Università di Milano Graziadio Ascoli. Prof. Ignazio Guidi Dott. Giovanni Parente
Cicerone - Orazione contro la Legge Agraria di Rullo XXXI …..Omissis: ager Campanus colitur et
possidetur a plebe, et a plebe optima et modestissima; hominum optime moratum, optimorum et
aratorum et militum¹,
¹il suolo campano è coltivato e posseduto dalla gente comune, da persone eccellenti e senza pretese; uomini
di carattere lodevole ed i migliori agricoltori e soldati……
…Omissis : adiungit Stellatem campum agro Campano et in eo duodena discribit in singulos homines
iugera².
²Aggiunge agro campano di stelle e da lui diviso i dodici ettari a ciascuno dei suoi uomini……..
Ricerca Prof. Francesco Parente