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MEMORIE E DESIDERI DELLE MONTAGNE MINORI Tariffa … · Gita Sezionale Intergruppi al Rifugio Duca...

Date post: 17-Feb-2019
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SulMonte CAI - SEZIONE “MARIO FANTIN” BOLOGNA - NOTIZIARIO AI SOCI n° 1/2018 Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB - Bologna. Quota di abbonamento della pubblicazione euro 1,00 corrisposta dai destinatari con il rinnovo all’Associazione per l’anno in corso. ESCURSIONISMO INVERNALE sulla neve in sicurezza BOULDER arrampicare sui sassi MEMORIE E DESIDERI DELLE MONTAGNE MINORI
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SulMonteCAI - SEZIONE “MARIO FANTIN” BOLOGNA - NOTIZIARIO AI SOCI n° 1/2018

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ESCURSIONISMO INVERNALE

sulla neve in sicurezza

BOULDERarrampicare sui sassi

MEMORIE E DESIDERI DELLE MONTAGNE MINORI

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ISCRIZIONI AL CAI PER L’ANNO 2018

SI RICORDA CHE DAL 1 APRILE PER CHI NON AVESSE RINNOVATO PRECEDENTEMENTE, CESSA LA COPERTURA ASSICURATIVA RISERVATA AI SOCI

Memo sulle nostre coperture assicurative

Tutti i soci Cai hanno le seguenti coperture assicurative:

Soccorso alpino: rimborso di tutte le spese sostenute per le operazioni di ricerca, salvataggio e recupero da parte del soccorso alpino, elicottero compreso, in Italia e all’estero; la copertura è valida non solo in attività organizzata, ma anche in attività personale

Infortuni: valida esclusivamente in attività organizzate dal Cai.

Le coperture assicurative hanno efficacia per l’anno d’iscrizione in corso e fino al 31 marzo dell’anno successivo per consentire entro tale data il rinnovo della tessera

16 E 17 GIUGNO 2018USCITA SOCIALE AL CORNO ALLE SCALE

Gita Sezionale Intergruppi al Rifugio Duca degli Abruzzi

Quest’anno, per la prima volta, desideriamo ‘raddoppiare’ l’uscita sociale oltre alla classica di fine Agosto ai monti del Sella. Una buona occasione per unire le diverse anime e sottosezioni del Cai di Bologna: Cai Ovest, Est, Medio Reno, Castiglione dei Pepoli. Quattro gruppi distinti intraprenderanno sentieri diversi, ma con un unico punto d’incontro: il rifugio della nostra sezione, il “Duca Degli Abruzzi”.

Per ulteriori informazioni : Giorgio Trotter 348-2623041 mail: [email protected] o Segreteria CAI [email protected]

IL 25 E 26 AGOSTO: GITA SOCIALE CON TRAVERSATA DEL SELLA

Mantenetevi informati sul nostro sito e attraverso la segreteria.

LA FALESIA DIMENTICATA: UNA SQUADRA AL LAVORO

Il progetto di riapertura della falesia di San Lorenzo -Dorsino, che ha visto il sostegno della nostra sezione, sta prendendo forma. I lavori di pulizia e richiodatura sono iniziati e la palestra si sta rivelando bellissima, con roccia e tiri fantastici.

Per quest’estate saranno agibili 15 tiri di corda pronti da scalare e chiodati secondo le ultime normative e con ancoraggi inox resinati.

COMUNICAZIONI AI SOCISUL MONTENotiziario ai soci n. 1/2018 Club Alpino ItalianoSez. Mario Fantin, Bologna

Direttore ResponsabileLuca Calzolari

In redazionevia Stalingrado 105tel. 051 234856

Ezio Albertazzi Marino CapelliElisabetta Dell’OlioMarta FinSimone GrassiGiorgio TrotterElena Vincenzi

Foto di copertina:BoschillaPer articoli, foto, segnalazioni:[email protected]

StampaLitografia SABVia S. Vitale, 20/c - Budrio (BO)[email protected]. 051 692 0652

Registrazionec/o Tribunale di Bolognan° 4227 del 1972

CLUB ALPINO ITALIANOSezione Mario Fantin - BolognaVia Stalingrado, 105tel/fax: 051 234856e-mail: [email protected]/fax: 051 234856Martedì ore 9-13Mercoledì, Giovedì,Venerdì ore 16-19

Chiuso in redazioneil 30/3/2018

5 per mille

Nella tua Dichiarazione dei Redditi scegli di destinare il tuo 5x1000 alla nostra Associazione. Sotto la firma, nello spazio “codice fiscale del beneficiario” inserisci:

Codice fiscale: 80071110375La quota della tua imposta sul reddito contribuirà alle azioni del CAI di Bologna per la tutela della montagna, la sicurezza dei suoi frequentatori attraverso una formazione di alta qualità e la manutenzione dei percorsi escursionistici e dei rifugi.

Via Emilia Ponente, 9040133 Bologna - Tel. 051 [email protected]

Via Oberdan, 29/bBolognaTel e Fax 051 220983

Strada Maggiore, 1040125 BolognaTel. 051 220643 - [email protected]

PUNTI RINNOVO TESSERA ANNUALE

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IN QUESTO NUMERO4 In primo piano

RAGNATELEBoschilla

23 Un passo dopo l’altroLA VIA DELLA LANAE DELLA SETAMarco Tamarri

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ArrampicataARRAMPICARE SUI SASSIElisabetta Dell’Olio

ProtagonistiAlessandra Raggio e il BANFFElisabetta Dell’Olio

15 Osservatorio REERLe consulte territoriali Vittorio Monzoni

16 Vita di sezioneIL NOSTRO PRESIDENTEMarino Capelli

18 ApprofondimentoESCURSIONISMOINVERNALEGiorgio Trotter, Donato Papini

Sicuri e sereni

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Respirare aria pura, leggera, uscire dalla frenesia quotidiana, ascoltare il silenzio e il respiro degli alberi, seguire con lo sguardo il volo degli uccelli, rintracciare orme di ungulati e carnivori, raggiungere nuove mete, ripercorrere sentieri già conosciuti, tonifi care il corpo con sana fatica condividere sensazioni, rinsaldare amicizie. E altri motivi ancora ci portano in montagna e perché questa esperienza sia un piacere dobbiamo viverla con serenità : i rischi legati alle caratteristiche dell’ambiente, alle diffi coltà proprie di ogni terreno e percorso, alle variabili meteo, alla superfi cialità, all’improvvisazione e ovviamente alle condizioni psicofi siche, alle esperienze e competenze tecniche personali devono essere di volta in volta considerati per ridurre le probabilità che si tramutino in spiacevoli conseguenze per noi e per gli altri. Come Club Alpino abbiamo investito e continueremo a investire per formare frequentatori della montagna preparati e responsabili: lo facciamo nei corsi e durante le escursioni grazie all’impegno dei nostri accompagnatori e istruttori volontari. Ma a volte i reiterati inviti ad usare diligenza e prudenza sin dalla preparazione di un’uscita, dalla scelta dell’abbigliamento e dell’attrezzatura, dall’attenzione alle previsioni meteo sono accolti con disattenzione o addirittura insofferenza come una superfl ua ripetizione di cose ovvie e risapute. Siamo orgogliosi del fatto che nella casistica degli incidenti in montagna i soci CAI sono solo il 6 % ma questo non ci ferma dal ribadire che è sempre importante avere con se la cartina della zona, informare amici e famiglia del tipo di attività / escursione che andremo a fare, leggere le condizioni meteo / bollettini valanghe fi n dai 5 giorni prima della nostra uscita, informarsi dai rifugisti che sono sempre persone preparate, ottimi conoscitori del territorio e molto disponibili, avere l’attrezzatura adatta e specialmente durante il periodo invernale incominciare a pensare che un investimento in ARTVA, pala e sonda è importante per salvarci la vita. Non a caso come CAI sono già diversi anni che organizziamo giornate di aggiornamento su questi strumenti in quanto non basta dotarsene ma anche conoscerne l’uso corretto. È anche importante avere un telefonino acceso a portata di mano, magari in modalità aereo per risparmiare batteria, non usato per chattare ma disponibile in caso di necessità e istallare l’App GEORESQ che per tutti noi soci CAI da quest’anno è gratuita. Anche tra le mura domestiche gran parte degli infortuni è provocato da disattenzione e mancata osservanza di banali norme di comportamento. A questo in montagna si aggiunge spesso la sottovalutazione dell’ambiente che si va a frequentare e la sopravvalutazione delle proprie abilità tecniche, della preparazione fi sica e della capacità mentale ed emotiva di affrontare eventuali impreviste situazioni di diffi coltà e pericolo; rinunciare quando è prudente e necessario farlo non è indice di debolezza, ma la più elevata dimostrazione di senso di responsabilità. Rispetto della natura, conoscenza del territorio, preparazione teorica e pratica, consapevolezza dei rischi ci consentono di frequentare e vivere la montagna in sicurezza e serenità

Il presidente, Stefano Osti

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“Ragnatele” è stato un viaggio nella geografia dello spopolamento appenninico tra montagne minori e aree interne italiane che si è sviluppato e concentrato in 4 zone in particolare: Emilia-Romagna, Abruzzo, Campania e Calabria (ma che ha anche attraversato Marche e Basilicata). Il paesaggio e i suoi abitanti ci hanno raccontato il mutare delle loro comunità e del loro rapporto con il territorio, nel costante susseguirsi di disastri, migrazioni, abbandoni e ricostruzioni. Pensiamo di aver raccolto degli appunti utili a comprendere le articolate dinamiche di queste zone attraverso un viaggio che è andato alla scoperta non solo di una storia passata, ma anche di un presente sospeso e di prospettive future. La stessa pratica del camminare ha rappresentato per noi un potente mezzo di contaminazione che amplia le prospettive e stimola la ricerca, instaura canali comunicativi inediti e induce inevitabilmente al dialogo e all’ascolto. La lentezza del cammino produce anche un particolare sguardo sul territorio, permette di rendersene parte e di cogliere sfumature che la velocità trascura inevitabilmente. Genera per questo legami emotivi con paesaggi e abitanti costruendo una particolare geografia interiore che eccede il viaggio e le sue rotte.Attraverso le tappe biografiche delle persone incontrate, abbiamo ripercorso la storia recente di queste zone montane e del loro spopolamento, realtà composite e articolate ma con dei fili conduttori che le legano: ogni storia, ogni luogo, ogni personaggio si intreccia in una ragnatela in cui eventi e dinamiche simili uniscono territori anche molto distanti. Pastori e tagliapietre ci hanno descritto la crisi dei mestieri tradizionali e l’evoluzione del rapporto che le comunità montane intrattengono con l’ambiente circostante lamentando l’assenza di qualcuno che oggi

continui a trasmettere quei saperi e quelle conoscenze. Gli ultimi abitanti rivelano la difficoltà di rimanere a vivere in paesi svuotati dalle migrazioni che, dal secondo dopoguerra ad oggi, ne hanno mutato radicalmente la fisionomia. Loro hanno scelto di restare diventando - consapevoli o meno - custodi delle memorie di questi luoghi tra contraddizioni interne e profondi legami. Chi ha lasciato il proprio paese racconta invece quanto sia importante tornare, anche a distanza di decenni, seppur per breve tempo: ogni abbandono conserva dei rimpianti e racconta di un’irresistibile voglia di altrove che si nasconde dietro ogni migrazione.Durante il secolo scorso la vita e le dinamiche interne alle comunità arroccate sull’Appennino si sono fatte sempre più insostenibili, mentre le seduzioni dall’esterno aumentavano sempre di più, in una dinamica di repulsione/attrazione che perdura ancora oggi. Il senso di questi luoghi è su queste montagne, ma si è anche e soprattutto spostato verso le città. Visioni interne e cambiamento esterno sono dimensioni che si intrecciano vicendevolmente in complessi ingranaggi di deprivazione culturale ed economica che interagiscono con le visioni locali del mutamento.Anche per questo, nel viaggio, abbiamo spesso raggiunto non solo paesi abbandonati o in via di spopolamento, ma anche paesi ricostruiti dopo un disastro naturale, come in Irpinia e nel nord della Calabria dove questo tema è stato centrale nei nostri incontri. Chi abita nei doppi ricostruiti, in seguito a terremoti, frane e alluvioni, ci ha spesso descritto questi nuovi luoghi dell’abitare come periferie anonime e senza storia, carenti di sacralità, di memoria. Nei doppi, queste comunità non sono in grado di riprodurre la loro economia e la loro cultura, avviando così processi di inevitabile disgregazione. Le montagne italiane, per

“Ragnatele” fra i paesi abbandonati dell’Appennino

di Boschilla

Appunti di viaggio

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quanto siano strutturalmente affette da questi mali, non hanno più gli strumenti per prevenirli e per curarsi: con lo spopolamento di questi luoghi si sono persi anche i ponti generazionali che consapevolizzavano le persone sul rapporto con il proprio territorio - e di conseguenza anche sui disastri. Ancora prima di poter tornare a casa, ci siamo resi conto, infatti, che i temi che avevamo incontrato appartenevano alla quotidiana drammaticità della vita in montagna. Le scosse che hanno colpito l’Italia centrale nell’agosto del 2016 - e le ricostruzioni che seguiranno – ri-attualizzano immediatamente le memorie che avevamo raccolto durante il viaggio.Seguendo il filo conduttore dell’abbandono, abbiamo colto le problematiche e le difficoltà di questi territori, cosa ha spinto a spopolarli, come hanno reagito comunità e istituzioni a catastrofi e disastri, quali opportunità e prospettive presenta ancora oggi la montagna. Ma abbiamo scoperto anche una potente relazione con il territorio, con l’ambiente e le sue risorse, e la necessità di ritrovare un rapporto sostenibile con quello che ci circonda, prendendocene cura e difendendolo. I saperi e le abitudini delle comunità montane rappresentano in questo senso non solo un passato distante e arcaico,

ma un patrimonio da recuperare necessariamente, da cui partire per ripensare la vita non solo in queste zone così fragili, ma anche a livello globale. L’abbandono è pericoloso quando è provocato dalla disattenzione, dalla non conoscenza del proprio territorio che genera il mancato rispetto degli equilibri ambientali. Ciò accade perché non ci si occupa più collettivamente di quella montagna, non se ne ha più a cuore la salute e la riproducibilità, rendendo queste aree interne spazi ai margini in cui è lecito inquinare e speculare. Tuttavia, abbiamo anche incontrato persone che hanno scelto di avviare un percorso di recupero dei borghi abbandonati appenninici, restituendoli agli ex-abitanti e a chiunque voglia passarci con l’obiettivo di tutelare il territorio e valorizzarlo attraverso un turismo sostenibile, consapevole e attento ai fragili equilibri naturali e culturali del territorio.Questi progetti di recupero, seppur rari e di difficile attuazione, rappresentano le prospettive più interessanti per queste montagne e spesso, come nei casi da noi incontrati, vengono spinti da voglie e desideri personali di condurre un’altra vita, su differenti tempi e ritmi, con altri suoni e odori, difficilmente ritrovabili nelle città.

localizzazione delle tappe attraverso i paesi abbandonati

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Dal progetto Ragnatele è nato anche un libro, che stiamo realizzando in collaborazione con Montura, che prova a tessere le storie dei paesi abbandonati dell’Appennino. Nella pagina del libro che presentiamo, si tratta in specifi co di una ragnatela calabrese… Cirella.

CirellaDurante il nostro viaggio attraverso lo spopolamento appenninico, abbiamo incontrato un antico caso di abbandono e distruzione la cui storia incrocia quella di uno dei più noti e infl uenti navigatori del Mediterraneo del ‘500, mare tra mondi in confl itto e ibridazione reciproca continua. Sono i ruderi di Cirella, provincia di Cosenza, un insediamento medievale defi nitivamente abbandonato all’inizio dell’800. Arroccato su una collina da cui si domina la costa tirrenica nord della Calabria, oggi è un suggestivo sito archeologico. Ci arriviamo il 25 agosto dello scorso anno mentre il sole sta calando sul mare, l’aria è limpida, e il vasto paesaggio sotto di noi si colora di una morbida luce arancione... Tra le tragedie che hanno colpito il borgo, c’è l’incursione dei corsari ottomani del 1557, al comando di Targhud Ali.Conosciuto come Dragut, Turghud Alì arrivò a Cirella quando era all’apice della sua carriera di corsaro e militare navale ottomano. A quell’epoca ricopriva le cariche di pasha di Tripoli e di comandante in capo dell’imponente fl otta dell’impero ottomano, dopo il ritiro di Khayr al-D�n “Barbarossa” nel 1544. Aveva già alle spalle una lunghissima lista di razzie ed incursioni in tutto il Mediterraneo. Temuto e rispettato, era considerato un navigatore e stratega militare tra i più abili del suo tempo. Sulle coste e sulle isole italiane non c’era paese o villaggio che non conoscesse il suo nome e la sua fama, in un’epoca in cui le invasioni “turchesche” spingevano intere comunità a cercare riparo verso l’interno e a costruire molti di quei “paesi fortezza” che oggi sono tra i borghi più belli d’ Italia.Dragut attaccò centinaia di insediamenti costieri durante la sua lunga attività, in particolare situati sulle coste ligure, toscana, calabrese, siciliana e pugliese. E poi fece incursioni in Corsica, Sardegna, Spagna, Nord Africa, Dalmazia e Albania. La sua potenza divenne tale che Carlo V in persona affi dò il compito di catturarlo alla fl otta genovese della famiglia nobiliare dei Doria, conosciuti dai musulmani dell’epoca con una fama non dissimile da quella di cui godeva Dragut presso i cristiani. Le imprese di Dragut sulle coste italiane hanno lasciato il segno, come testimoniano decine di storie, miti e toponimi la cui origine è riconducibile ad un’incursione della “spada vendicatrice dell’Islam”, come fu soprannominato. Durante il ‘500, gli attacchi dei mori spinsero i governanti di ogni regno della penisola a costruire decine di torri di avvistamento lungo le coste, molte delle quali sono ancora in piedi, a scrutare silenziose un mare ormai privo di queste insidie.

Anche vicino Cirella ce n’è una, sulla costa, costruita su un isolotto di roccia calcarea alto non più di 40 metri, separato da poche centinaia di metri d’acqua dalla costa antistante: una spiaggia di ciottoli grigio-neri perfettamente levigati dal mare. E’ una torre robusta, a pianta quadrata e con mura spesse, costruita in un ottimo punto di osservazione.Dalla sua sommità, guardando a est in un giornata limpida, è possibile vedere gran parte della costa tirrenica calabrese snodarsi in direzione nord-sud e le verdi montagne dell’entroterra nella riserva naturale del fi ume Argentino. Verso ovest, nient’altro che mare fi no alla Sardegna. Il 2 agosto 1557, nessun allarme partì dalla torre dell’isola e i corsari di Dragut occuparono il porto appena sbarcati, senza incontrare alcuna resistenza. Irruppero nel paese dalle tre porte che ne consentivano l’accesso dando inizio al saccheggio, mentre dai velieri le cannonate spianavano la strada per l’assalto via terra. Secondo la tradizione orale, i turchi non arrivarono subito in massa. Una piccola scialuppa con pochi uomini scivolò silenziosa fi no all’isola della torre, e la fi glia del guardiano fu rapita. Ricattato, l’uomo venne costretto a non dare l’allarme, permettendo ai corsari di sorprendere nel sonno il paese. La donna sarebbe stata risparmiata grazie ad un voto fatto alla Madonna dei fi ori di Cirella, ma la città fu devastata e 72 persone tra uomini e donne furono deportate e ridotte in schiavitù. I saraceni ripartirono, e i pochi sopravvissuti tornarono a Cirella. I campi furono riseminati e le case ricostruite, ma non fu né la prima né l’ultima calamità, naturale o umana, a colpire il paese. Quasi cent’anni dopo l’incursione di Dragut arriverà la peste, e più tardi ancora il terremoto. Il bombardamento del 1808 da parte della marina britannica contro l’avamposto francese stanziato nel paese segnò la fi ne del borgo, e gli abitanti ricostruirono un nuovo insediamento sulla costa. La storia travagliata di Cirella la fa apparire oggi come una sorta di archetipo dell’abbandono, un luogo in cui la storia in qualche modo si è accanita creando uno dei classici casi in cui l’uomo tende a vedere l’ombra di un fato ineluttabile.Non era destino per Cirella. Ma dietro questo destino apparentemente monolitico e inesorabile, così come dietro miti e tradizioni, ci sono i complessi processi storici che plasmano popolazioni e territori, culture e paesaggi.

Il libro

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Cirella è uno dei borghi più belli e suggestivi in abbandono, è quasi una sorta di cartellone di ingresso in Calabria per chi viene da Nord e quindi è anche una sorta di metafora di una terra di bellezze e di rovine.Sicuramente c’è un insediamento molto antico di epoca greco-romana, sicuramente ha avuto una bella storia nel medioevo, sicuramente è conosciuta come la città distrutta 3 volte e ricostruita 3 volte.La ricostruzione è andata avanti fino a quando poi la gente non è incominciata a scendere lungo le coste, quel fenomeno di doppio per cui si scende a Cirella Marina,

Diamante ecc. a seguito di un bombardamento degli inglesi a inizio ‘800 e quindi da quel momento si spopola definitivamente.Però è un luogo con una sua struttura urbanistica, architettonica interessante i ruderi sono anche molto belli quindi può essere guadagnata a percorsi turistici, credo che vengano fatti degli spettacoli, c’è un rapporto tra le popolazioni e questi luoghi abbandonati.

Vito Teti, professore di antropologia culturale dell’Università di Cosenza

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Dal progetto “Ragnatele” è stato realizzato anche il film documentario “Entroterra. Memorie e desideri delle montagne minori”, una produzione 2018 Boschilla e Caucaso. Sono centinaia i paesi, le borgate e le frazioni abbandonate e sparse lungo tutta la dorsale appenninica. Essi sono la traccia sul territorio della marginalità delle aree interne e insieme il simbolo dei cortocircuiti di univoci modelli di sviluppo che troppo spesso hanno condotto altrove chi vi abitava. Oggi, tuttavia, questa montagna minore è ancora vissuta. Il film-documentario, tratto da un’esperienza di viaggio e di ricerca, prova a ricostruire i recenti processi di spopolamento. Dall’Emilia alla Calabria, dalla Campania all’Abruzzo, storie, luoghi e personaggi si intrecciano in un’unica voce appenninica, in cui eventi e tendenze affini uniscono territori anche molto distanti fra loro, immaginando nuove prospettive e possibili radicamenti in alta quota.Il film esordirà a maggio al “Trento Film Festival” e a Bologna all’interno della rassegna “Le vie dei monti” al cinema Lumière.

Titolo: Entroterra. Memorie e desideri delle montagne minoriDurata: 58 minutiAutori/Regia: Andrea Chiloiro, Riccardo Franchini, Giovanni Labriola, Matteo RagnoMontaggio e supervisione: Enrico MasiAssistente al montaggio: Carlotta GuaraldoPost-produzione: Stefano CrociSuono: Jacopo Bonora Musiche: Zende Musicuna produzione Boschilla e Caucaso, 2018.

Il film

I paesi:

Toscana ed Emilia-Romagna San Pellegrino (FI)Casette di Tiara (FI) Castiglioncello (FI) Moradduccio (FI)Brento Sanico (FI)Alfero (FC)Castel d’Alfero (FC)

Marche Borgo Pace (PU)Parchiule (PU)Mozzano (AP)Cesano (AP)

Abruzzo Settecerri (TE)Laturo (TE)Valzo (TE) Olmeto (TE)

Valle Castellana (TE)Mattere (TE)Stivigliano (TE)Prevenisco (TE)Valle Pezzata (TE)Leofara (TE)Valle Enquina (TE)Serra (TE)San Biagio (TE)Rocca Santa Maria (TE)Padula (TE)Macchia Tornella (TE)Pietracamela (TE)Assergi (AQ)

Campania Apice Vecchia (BN)Apice Nuova (BN)Castel Poto (BN)Tocco Caudio (BN)Cautano (BN)Fondola (CE)

Croce (CE)Rocchetta (CE)Romagnano Nuova (SA)Romagnano Vecchia (SA)

Basilicata Aliano (MT)Aliano Vecchia (MT)Alianello (MT)Cirigliano (MT)

Calabria Verbicaro (CS)Cirella (CS)Cavallerizzo Nuova (CS)Cavallerizzo Vecchio (CS)Lorica (CS)Fantino (CS)Carello (CS)Patia (KR)Caccuri (KR)San Nicola da Crissa (VV)

I parchi e i paesiI parchi nazionali e regionali:

Parco nazionale dell’Appennino Tosco-EmilianoParco nazionale delle Foreste CasentinesiParco nazionale dei Monti della Laga e del Gran SassoParco nazionale della SilaParco naturale regionale del Taburno – CamposauroRiserva naturale regionale dell’Alpe della LunaRiserva statale Valle del Fiume Argentino

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Arrampicare sui sassidi Elisabetta Dell’Olio

Con termine boulder o “sassismo”, si intende una modalità di arrampicata dove il movimento è racchiuso, e talvolta trova la sua massima espressione, anche in scalate molto brevi di pochissimi metri, che non richiedono alcun tipo di equipaggiamento se non le scarpette da arrampicata, sacchetti di magnesite e materassoni chiamati crash pad. Inizialmente era stato concepito come un mezzo subordinato e propedeutico all’arrampicata in montagna, poi si è cominciato a pensare al bouldering come attività a se stante, molto impegnativa anche se ludica.Quella su boulder è un’arrampicata che ci mette di fronte a passaggi singoli e difficilissimi. Non servono doti di grande resistenza fisica, ma piuttosto di tecnica e di forza esplosiva. Appunto per questo, il termine è stato poi traslato nell’arrampicata sportiva e in montagna per indicare passaggi brevi e molto intensi.Una svolta molto importante la da Pierre Alain in Francia durante gli anni ‘40, inventando prima le scarpette a suola liscia cosiddette PA (che poi diverranno EB) e poi aprendo passaggi di 6, naturalmente ora sgradati, ma che all’epoca erano davvero impensabili. Personaggio importantissimo non solo nel bouldering, di cui fu uno dei primi assertori di disciplina indipendente, ma anche dell’alpinismo di alto livello sulle Alpi, Alain contribuirà alla nascita di alcuni tra i più importanti strumenti dell’arrampicatore moderno (imbrago, moschettoni moderni, ecc.). Negli anni 50-60 si va profilando quella che diverrà una delle più importanti scene dell’arrampicata libera moderna: lo Yosemite. Naturalmente questa è storia a parte, fatta anche e soprattutto di grandi salite in artificiale, ma anche qui il bouldering inizia a definirsi sia come allenamento sia come divertimento degli ‘abitanti’ del Camp 4, quando non erano impegnati sulle grandi big wall del Capitan, dell’Half Dome e delle alte cime della Sierra. Ma un personaggio sviluppa per sè, e in modo completamente indipendente sia da Bleau che dal Camp 4, una sua idea di bouldering: John Gill, definito in seguito ‘la mosca umana’ per le sue enormi capacità. Uno dei primi pensatori della metodica dell’allenamento moderno, di cui era assertore nel modo più completo, ribalta molte delle gestualità della ginnastica sull’arrampicata, contribuendo fra l’altro all’introduzione della magnesite.In Italia, l’arrampicata su sassi fu solo una delle forme in cui il sassismo vedeva la sua manifestazione, in quello che era un movimento ben più ampio sia come attività verticale, ma soprattutto nella cultura provocatoria, creativa, innovativa che lo caratterizzava e che rappresentava il gemello lombardo del Nuovo Mattino, nato invece in terra piemontese grazie a Gian Piero Motti e compagni.Goldrake e il Nipote di Goldrake sono stati due emblemi del lato boulderistico del sassismo e del suo principale interprete, Giuseppe “Popi” Miotti. Nell’articolo pubblicato sull’Annuario UP 2017, edito da Versante Sud, è possibile trovare la descrizione completa della storia e del contesto in cui queste gemme sono nate, oltre a qualche riflessione tra l’amaro e il sarcastico sul come si sia trasformato l’approccio al boulder nei tempi moderni.In territorio bolognese il sassismo si è diffuso grazie alla presenza di “sassi sparsi” e al lavoro di alcuni ragazzi appassionatissimi, che hanno creato delle aree preposte a questa attività.Ho intervistato uno di loro, Alberto Calesini, boulderista e grande motivatore!

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Quando hai cominciato a fare boulder? Cosa ti diverte di questa attività? ”Ho iniziato a scalare negli anni ’90 avvicinandomi in primis all’arrampicata sportiva. In seguito ho smesso per diversi anni e ricominciato nel 2008, scoprendo il boulder poco dopo grazie ad un caro amico che mi ha coinvolto e fatto conoscere questa disciplina. Mi ha subito affascinato per la sua semplice immediatezza. Non ci sono tempi morti, come spesso avviene nella corda. È possibile scalare un sasso di 2 metri o di 6 metri con eguale complessità di movimenti, non sono necessarie sovrastrutture (spit, rinvii, imbrago, etc.), il movimento è libero e istintivo come quando si arrampicava giocando da bambini. Mantiene le caratteristiche di uno sport individuale, ma lascia anche molto spazio alla condivisione e alla convivialità.La risoluzione dei problemi nel salire una linea ed è molto più coinvolgente perché spesso ci si trova a cercare una soluzione insieme.

Parlami delle zone boulder vicino Bologna e come sono state scoperte.Io, se pur anagraficamente datato, faccio parte dell’ultima ondata di appassionati che, con tantissimo entusiasmo e curiosità, hanno iniziato a guardarsi attorno cercando nuovi parchi giochi con cui confrontarsi.Parlo al plurale perché una grossa spinta in questo senso l’ ha avuta “Bo-ulder”, un progetto collettivo nato da un bel gruppo di amici nell’inverno 2012/13. Abbiamo sentito l’esigenza di unire le forze e l’entusiasmo per cercare, scoprire e valorizzare aree adatte a questo tipo di arrampicata, il cui prodotto finale è un sito internet che raccoglie tutte le aree da noi censite e si propone di fornire una piccola guida, sempre aggiornata, a disposizione di chiunque abbia voglia di scalare.La prima area è certamente Muschia, memoria storica del boulder bolognese. Scoperta nei primi anni 2000 si estende sulle colline di Labante, in più settori sparsi per il bosco con bellissimi sassi di arenaria ma, per anni, ha avuto il limite di trovarsi su un’area privata. Anello di congiunzione fra i primi illustri frequentatori e noi “rompiscatole” è stato l’instancabile e mai domo esploratore Giovanni Regazzi, che in questi anni ha rivitalizzato alcuni bellissimi settori e con il quale stiamo

collaborando per pubblicare le linee sul nostro sito.L’arrampicata è molto fisica ed esigente, richiede forza per comprimere questi svasi e piatte, e sensibilità per piedi inesistenti. In pratica non c’è quasi nulla di facile. La seconda è la Cava-Kripton, situata a Pietramala (Fi), nei pressi del Passo della Raticosa (850 metri slm). Questa zona boulder è in realtà una cava abbandonata a seguito di una frana del Monte Beni. Il paesaggio che offre è molto particolare, così come la roccia che la caratterizza (vulcanica sedimentaria, per la maggior parte serpentinite, con presenza di quarzo e basalto). Abbiamo saputo di questo sito da alcuni amici, anche qui c’è lo zampino di Giovanni, probabilmente la Cava era frequentata già dal 2010 ed erano note circa una ventina di linee. Oggi sono circa 120 quelle censite.L’arrampicata è varia, ma dominano le tacche….sempre finché non ti restano in mano! La terza area si trova proprio sugli appennini bolognesi a circa 70 km da Bologna, all’interno del Parco regionale del Corno alle Scale. Questa zona boulder, alla quale sono particolarmente legato, è caratterizzata da bellissimi massi di arenaria alpina (macigno) di grana splendida in un ambiente mozzafiato. Dopo una prima fase di scoperta e censimento fotografico dei settori iniziato nella primavera del 2011, è cominciato il lavoro sistematico di pulizia e apertura delle linee, portandole a circa 150. I settori si sviluppano fra i 1200 e i 1700 metri slm, con varie esposizioni, rendendoli visitabili dallo scioglimento della neve, fino al suo ritorno.Il prodotto di questa sistematicità è il nostro sito: www.bo-ulder.com

Più o meno, quanti sassisti ci sono tra Bologna e provincia?Gli appassionati del boulder fra Bologna e provincia iniziano a essere molti, soprattutto fra i giovani e i giovanissimi, ma si limitano ad un approccio “fitness”/indoor. Se però dovessi effettivamente quantificare quante persone frequentano aree boulder outdoor nel nostro territorio, direi qualche decina. Pensi che fare boulder sia più traumatico che arrampicare su corda? Sono fermo per un infortunio, questa volta serio, da fine

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agosto, e ogni anno ho avuto qualche problema con un dito, una spalla o gomito dolorante per qualche mese. Gli sforzi sono quasi sempre massimali, i passi spesso sono dinamici, con lanci e schiaffi che sollecitano al massimo le strutture. La corda, al contrario, ti permette di gestire meglio e con fluidità il movimento e lo sforzo. Comunque ho fatto un fioretto: fino ai 50 anni blocchi, poi completino Montura e falesia al sole! Come funziona la tracciatura su un sasso? Immaginiamo un sasso come una scultura naturale. Cerchiamo di adattarci e seguire la linea che la forma stessa suggerisce. Prima le più semplici, poi quelle che a prima vista sembravano inscalabili.Certe linee ti chiamano e ti colpiscono appena le vedi, non è questione di grado. Scoprire un sasso in un bosco, pulirlo, immaginarti i movimenti prima e poi legarli insieme, è un cerchio che si chiude.

A tuo parere, che differenza c’è tra scalare un sasso di granito, uno di calcare e uno di arenaria?Ogni arrampicatore conosce bene la differenza fra i vari tipi di roccia e quindi sa che varia molto anche il tipo di scalata.Le differenze sono immense fra un sasso e l’altro e ancor più fra un tipo di roccia e l’altra.

Cosa ne pensi della pratica indoor e relative gare?Personalmente il boulder indoor lo vivo come un puro momento di allenamento, sempre finalizzato alla preparazione fisica e all’uscita in ambiente. Per quanto riguarda la parte agonistica di qualunque tipo, invece, devo dire che non mi ha mai interessato particolarmente. A mio giudizio il boulder indoor ha pochissimo a che fare con tutto quello descritto sopra.

Quali sono le aree boulder alle quali hai lavorato e hai nuovi progetti in zona? Abbiamo lavorato in tutte le aree boulder citate in precedenza (Cava, Muschia e Corno alle Scale). Esse continueranno a essere i nostri principali progetti, mi auguro in continua evoluzione e sviluppo.

Etica e Boulder, ma anche etica in generale…Non possiamo praticare questo sport senza ricordare le regole principali, che si fondono con l’etica più profonda dell’arrampicata sportiva.Per noi questo è un tema molto importante e abbiamo sempre cercato di sensibilizzare i neofiti, ma anche chi arrampica da molti anni e a volte dimentica il corretto approccio alla roccia e alla natura. Il rispetto è il valore alla base del boulder, sia nei confronti dell’ambiente naturale che ospita l’area, sia verso i sassi stessi e anche verso gli altri arrampicatori che hanno tutto il diritto di ritrovare le linee pulite e in buone condizioni. Non si usano spazzole aggressive per evitare di rovinare la grana originale della roccia, non si scavano appigli, né si migliorano poiché l’idea stessa della disciplina è di affrontare i problemi così come natura li propone e non di plasmare la difficoltà in base alle capacità.Non si segnalano le partenze alla base dei blocchi con segni e pitture rupestri e si toglie la magnesite in

eccesso sulle prese perché anche individuare la linea e la propria maniera di salire fa parte di questo bellissimo gioco.Chi visiterà il nostro sito www.bo-ulder.com troverà foto dei singoli passaggi con indicate le mani di partenza per aiutare i ripetitori ad interpretare la linea.L’imperfezione della roccia è la sua ricchezza ed è ciò che spinge l’arrampicatore a migliorare costantemente la propria preparazione per affrontare problemi sempre più complessi.Vorrei fosse chiaro che non mi eleggo ad esperto di nessun tipo, ne posso parlare in vece di nessuno e ritengo che sulla storicità degli spot, Corno alle Scale escluso, c’è una marea di gente più informata ed esperta di me. Sono un Signor Nessuno, per giunta vecchio, ma con gli occhi di bimbo…Spero essere stato utile!

Ringrazio di cuore il nostro Alberto e spero che tanta gente possa appassionarsi a questa divertentissima disciplina!

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L’INCIDENTE DEL 7 APRILE A LA PILA IN VAL D’AOSTA

Non si vuole qui chiarire la dinamica dell’incidente; sono in corso le indagini e saranno gli inquirenti a stabilire a tempo debito come si è attivata la valanga e le eventuali responsabilità. Ci sono state due vittime e gli istruttori superstiti sono necessariamente indagati.Possiamo però confermare che gli istruttori di scialpinismo della scuola intersezionale Pietramora hanno curato l’organizzazione dell’uscita rispettando tutti i criteri di sicurezza prescritti dai canoni CAI. Il tracciato era conosciuto, erano state valutate preventivamente le condizioni meteo, era stato consultato il bollettino valanghe, che dava rischio medio-basso; ogni componente del gruppo aveva con sé il materiale obbligatorio di autosoccorso – ARTVA, pala, sonda. Oltretutto il programma dell’escursione, una uscita didattica del corso SA2, prevedeva anche l’esercitazione di ricerca di sepolti da valanga.E in effetti, una ricerca è stata condotta, ma era una amara e concitata realtà e non una esercitazione: infatti i due estratti vivi dall’ammasso di neve si sono salvati grazie all’immediato intervento dei compagni non coinvolti dalla valanga. Il terzo purtroppo è stato estratto già esanime, mentre per il quarto, fi nito nel lago di Chamolle, come sapete si è dovuto attendere l’arrivo dei sommozzatori dei Vigili del Fuoco.Conoscendo bene i criteri con cui operano gli istruttori CAI, mi sono subito sentito di dichiarare che non sono stati commessi errori né imprudenze; le affermazioni raccolte nei giorni successivi dai presenti hanno confermato la mia convinzione: se dovessero ripercorrere quella esperienza senza conoscere gli esiti che ha avuto, rifarebbero le stesse scelte. Dopo l’incidente ci siamo chiesti cosa fare per non lasciare soli, per quanto fosse possibile, i nostri soci colpiti dall’evento e le loro famiglie. Attivato il collegamento tra CAI centrale, Gruppo Regionale, Sezioni e Scuola Pietramora, abbiamo aperto le pratiche del sinistro presso l’assicurazione per gli infortunati e per i deceduti, abbiamo attivato la difesa legale degli indagati, coinvolgendo un socio avvocato di Firenze che ha già seguito casi simili. Tutto non prima di aver manifestato alle famiglie il cordoglio e la solidarietà di tutto il sodalizio, tramite un messaggio del Presidente Generale.Ora speriamo che non si riaprano le polemiche sulla “montagna assassina” e sulla necessità di regolamentarne l’accesso. La sicurezza non esiste neanche sui marciapiedi urbani e noi riteniamo che ognuno debba essere libero di fare le proprie scelte e di seguire le sue passioni, accettandone consapevolmente il rischio. I nostri corsi e tutto il nostro agire di Club Alpino sono volti proprio ad aumentare la consapevolezza dei pericoli della montagna e a ridurne il margine di rischio.

Vinicio Ruggeri, Presidente Cai Emilia-Romagna

Paolo Cognetti Le otto montagneEd. Einaudi 2016 - 18,50 euro

Vincitore del premio STREGA 2017, il libro è un romanzo intenso e appassionante, adatto a tutti, anche a chi non è amante della montagna come noi.

Libri&Co. a cura di Giorgio TrotterSi ringrazia la NUOVA LIBRERIA ACCURSIO in via Oberdan di Bologna che ha messo a disposizione i libri per la loro recensione

La storia racconta l’amicizia di due ragazzini, Pietro e Bruno, che si incontrano in montagna, crescono con i loro vissuti differenti e diventano adulti. Pietro che impara a conoscere la montagna dall’amore che ne hanno i suoi genitori. Bruno che invece nasce e vive sempre in montagna, che non conosce altro, che non ha voglia di abbandonarla e che ne fa la ragione della sua vita. Un padre, quello di Pietro, che ama andare in montagna per fare conquiste e che trova in Bruno il suo secondo fi glio e con lui condivide quello che non riesce a fare con il fi glio vero. Una madre, donna piena di risorse, che riesce a creare e a gestire le relazioni attorno a sé in modo eccezionale e che favorisce l’amicizia dei due ragazzi trasportandola fi no all’età matura. La storia è piena anche di altri contenuti: ci sono i viaggi di Pietro nel TIBET, da cui deriva il titolo del libro e ci sono le peripezie di Bruno nel voler portare avanti l’attività degli zii rilevando l’alpeggio e continuando la loro esperienza di pastorizia, sempre più diffi cile nell’era moderna. I dialoghi tra i due sono sempre interessanti e a volte poi emergono le differenze tra una montagna vissuta in modo più romantico (Pietro) e un’altra

vissuta in modo più pragmatica (Bruno). È la storia di due ragazzi selvaggi e solitari, che non usano le parole per comunicare ma i sentimenti e la montagna diventa il luogo ideale per esprimersi. Una storia di donne attente premurose che fanno immensi sacrifi ci, come a volte sappiamo solo loro sono capaci. Una storia di matrimoni carenti. Una storia di paternità diffi cili, di padri dall’apparenza forti e d’elezione, ma quasi sempre fragili e incapaci fi no in fondo di svolgere il loro ruolo. Di padri che hanno conosciuto a loro volta una paternità autoritaria e fanno fatica a cambiare le loro identità. Ma profondamente uomini e per questo imperfetti.E ancora una volta è la montagna il legame vero e assoluto di tutte queste storie: La montagna come luogo fi sico e ideale per unire tutti questi vissuti e Cognetti sa raccontarli benissimo.Un libro che si legge tutto d’un fi ato, con la voglia di arrivare in fondo.Non sono all’altezza di giudicare il linguaggio di Cognetti, posso solo dire che non mi sono mai accorto che la scrittura ceda a lungaggini o offra semplicistiche conclusioni e forse nemmeno a un perfetto lieto fi ne.

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Anche quest’anno, il cinema Antoniano di Bologna ha ospitato il BANFF FILM FESTIVAL, arrivato alla sesta edizione. Il “tutto esaurito “ la dice lunga sul successo di questo appuntamento annuale che vede protagonista il mondo dell’outdoor in versione cinematografi ca: “un viaggio nei luoghi più remoti e affascinanti del pianeta per vivere straordinarie avventure insieme ad atleti, avventurieri ed esploratori. Alpinismo, arrampicata, MTB, kayak e action sport: ogni serata è un evento di oltre due ore di proiezione ad alto tasso di emozioni e divertimento.”Quest’anno ho voluto intervistare la bravissima Alessandra Raggio, direttrice e presentatrice del festival, nonche’ alpinista e donna innamorata delle montagne.

Alessandra, innanzitutto, complimenti per la tua professionalità e per la tua attività di direttrice del Banff. Quando è nata l’idea di fare il festival? L’idea di portare il festival in Italia è nata nel 2013. Da appassionata di fi lm outdoor, conoscevo la lunga tradizione e il prestigio del festival canadese e sapevo che l’Italia non era ancora tra i Paesi che ospitavano il World Tour. Mi è sembrato un’interessante opportunità per far conoscere nuovi fi lm al nostro pubblico e, al tempo stesso, far conoscere una manifestazione che in Canada da oltre 40 anni rappresenta il punto di incontro tra alpinisti, registi e scrittori.La fi lmografi a legata all’outdoor è sempre più interessante e varia, dal punto di vista registico davvero sorprendente. Che ne pensi?È vero: da una parte la tecnologia permette di raggiungere un livello di perfezione impensabile nel passato, dall’altra la voglia di condividere e di

raccontare le proprie avventure sta facendo nascere una nuova generazione di storyteller che non si limita al tradizionale “recit” della grande impresa, ma che riesce a trasmettere passione ed emozione anche raccontando piccole avventure.Quale è uno dei fi lm che più ti ha lasciato una traccia nel cuore?Diffi cile sceglierne uno solo. Ci sono capolavori come Valley Uprising – il fi lm che racconta la storia dell’arrampicata in Yosemite – che sono indimenticabili sia per l’epoca storica che documentano, sia per i luoghi, sia per il modo in cui sono girati. Ma ci sono altri fi lm per così dire minori – penso per esempio a The Frozen Road, in programma quest’anno – che raccontano anche di viaggi interiori, che rifl ettono sul signifi cato ultimo del mettersi alla prova in ambienti ostili e che riescono a restare nel cuore di chi li vede anche tempo dopo la proiezione.Cosa ti ha spinto a voler dirigere questo progetto? Di questo progetto mi è piaciuta soprattutto l’idea di creare una sorta di ponte tra il Canada e l’Italia, di unire realtà solo apparentemente lontane, e di creare una community basata sulla passioni e sui valori comuni, prima ancora che sulla lingua o l’appartenenza geografi ca. Negli anni, questa community la stiamo costruendo attorno alle serate: il BNFF è ormai un appuntamento fi sso per tante persone che traggono ispirazione da ciò che vedono, non tanto per imitare gli atleti, ma per dare forma ai propri progetti e ai propri sogni.Da quanti anni ti occupi di montagna, outdoor in genere? Prima del Banff, eri già attratta dall’idea di presentare dei fi lm dedicati alla nostra passione?

Concluso il Banff fi lm festival: sempre “tutto esaurito”, ne parla la direttrice Alessandra Raggiodi Elisabetta Dell’OlioPi

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BANFFMi occupo di montagna da circa 20 anni. A parte il cinema, ho lavorato a lungo nell’editoria e, oltre al lavoro, la montagna è una passione che da sempre è parte della mia vita.Da quanti anni vai in montagna? Come la vivi? Frequento la montagna fi n da quando ero bambina. Amo molto camminare in montagna, a volte anche senza l’obiettivo di raggiungere una cima, ma per il piacere di immergermi in un ambiente dove la bellezza, i colori e il silenzio mi aiutano a ritrovare la proporzione con la vita che conduco in città. Pratico lo sci e l’arrampicata, amo la montagna in tutte le stagioni e appena posso… la raggiungo con facilità dalla città di Milano, in cui vivo e lavoro!Che ruolo hanno le donne nelle attività sportive, una volta appannaggio quasi esclusivamente maschile? Le donne hanno un ruolo sempre più attivo nel panorama dell’outdoor. È diffi cile dire se esista un modo “femminile” di fare alpinismo, perché la montagna richiede a tutti le stesse fatiche e le stesse doti tecniche, ma senza dubbio la presenza femminile è sempre più rilevante in questo mondo. Per molte la montagna è uno strumento per prendere coscienza della propria forza e delle proprie capacità, per altre un luogo dove stare semplicemente bene, senza dubbio se guardiamo ai numeri, c’è ancora molta strada da fare, ma la porta è aperta. Progetti per il futuro? Tanti! Oltre al Banff Mountain Film Festival abbiamo iniziato lo scorso anno a portare in Italia l’Ocean Film

Festival, dall’Australia. Una serata dal format simile, ma completamente dedicata al mare e agli oceani, alla loro esplorazione, alla loro incredibile natura, e poi abbiamo tante altre idee che però è presto anticipare...Pensi che sarebbe bello poter portare nelle sale cinematografi che alcuni dei protagonisti dei fi lm che vediamo?È una cosa che a volte facciamo, compatibilmente con la logistica. Sentir raccontare dalla viva voce dei protagonisti le avventure che vediamo sullo schermo è senza dubbio qualcosa in più e, inoltre, serve ad avvicinarli al pubblico, a mostrare loro che si tratta di persone come noi, che hanno lavorato molto duro sull’allenamento, sulla determinazione e non hanno avuto paura di seguire i loro sogni.Che ne pensi del pubblico bolognese che, pur essendo pubblico di “pianura”, è interessato alla cultura della montagna?Il pubblico bolognese ci ha accolto con grande entusiasmo fi n dal primo anno e continua a esserci fedele. Di questo siamo felicissimi e ci sentiamo di ringraziarlo. E poi, quando si parla di montagna siamo soliti pensare soprattutto alle Alpi, ma non dobbiamo dimenticare gli Appennini, sono loro la vera “dorsale d’Italia”! Chissà quante storie si potrebbero raccontare su queste montagne, quanti luoghi ci sono ancora da esplorare...

Grazie , Alessandra! Buon lavoro ! Ci rivediamo l’anno prossimo a Bologna per un’altra edizione del festival.

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a cura di Vittorio Monzoni

OSSERVATORIORETE SENTIERIERISTICA(ESCURSIONISTICA)E LEGISLAZIONE

LA NOTA: LE CONSULTE TERRITORIALI di Vittorio Monzoni

La legge regionale 14/2013 prevede l’istituzione presso i Comuni e le Unioni di “Consulte territoriali” con “…compiti consultivi, propositivi e di supporto agli stessi,…”. Quindi,

organi importanti con compiti rilevanti.L’Unione Appennino Bolognese il 10 settembre 2016 ha costituito ufficialmente la propria Consulta territoriale che, coordinata da MarcoTamarri, dopo ampio e approfondito lavoro, ha prodotto un primo documento con analisi e proposte. Il documento è stato sottoposto alla Giunta dell’Unione, che ha discusso e approvato la delibera che sotto riportiamo integralmente.A quanto mi risulta, questa è l’unica Consulta territoriale formalmente costituita in tutta la regione. Pertanto è molto importante vedere quanto emerge dalla applicazione della legge regionale su un territorio particolarmente delicato come quello della Valle del Reno. Questi i Comuni che fanno parte dell’Unione: Camugnano, Castel d’Aiano, Castel di Casio, Castiglione dei Pepoli, Gaggio Montano, Grizzana Morandi, Lizzano in Belvedere, Marzabotto, Monzuno, San Benedetto Val di Sambro, Vergato.Ci auguriamo che le importanti decisioni prese in questa delibera vengano coerentemente portate avanti. Ne seguiremo con attenzione gli sviluppi e ne rendiconteremo ai nostri lettori.

DELIBERAZIONE  Nr.  5  22/01/2018 - VERBALE  DI  DELIBERAZIONE  DELLA  GIUNTA  DELL’UNIONE

OGGETTO:  PRESA  D'ATTO  DEI  LAVORI  DELLA  CONSULTA  DELLA  RETE  SENTIERISTICA

LA GIUNTA DELL’UNIONE

Vista la legge regionale del 26 luglio 2013 n° 14,nella quale veniva regolamentata l’utilizzo e la valorizzazione della rete escursionistica, con le relative attività.

Dato atto che: ! all’art. 10 della suddetta legge veniva sancita la necessità di istituire presso ciascun comune e unione competente, la Consulta territoriale della REER; ! l’Unione Appennino Bolognese ha costituto tale Consulta territoriale a partire dal 10 settembre del 2016; ! nel rispetto della normativa, la Consulta territoriale dell’Unione Appennino Bolognese ha garantito la presenza di rappresentanti del CAI, con particolare riferimento alle sezioni dell’Alto Reno e di Bologna, del Parco della Macroarea dell’Emilia Orientale, delle associazioni dei motociclisti, delle associazioni di categoria relative al mondo agricolo, delle associazioni ambientaliste ;

Considerato che: • in questi mesi il gruppo afferente alla Consulta territoriale, ha esaminato varie proposte tese a rendere operativo efficace ed

efficiente la fruizione della rete sentieristica; ( si riferisce alle due proposte di modifica della legge presentate rispettivamente da Alleva-Gibertoni e Taruffi n.d.r.)

• che solo in un'occasione dei diversi incontri ha partecipato un rappresentante degli enduristi, il quale ha ribadito il concetto che, in base alla legge regionale ed al codice della strada, loro si sentono autorizzati a transitare ovunque;

• in tutte le diverse occasioni di confronto è emersa la grande difficoltà, e per certi aspetti l’impossibilità, a considerare sullo stesso piano i camminatori a piedi in bici e a cavallo con i motociclisti;

• nei lavori della Consulta si è ribadita la difficoltà di considerare come escursionisti sia i camminatori a piedi che i motociclisti, o più genericamente chi utilizza mezzi motorizzati per percorrere la rete della REER;

• è stato posto come primo obiettivo del lavoro della Consulta il raggiungimento di una distinzione netta fra chi attraversa il nostro territorio a piedi in bici e a cavallo con chi lo fa con mezzi motorizzati . Evidenziando, le contraddizioni e i forti limiti, di una legge regionale ( L.R. 14/2013) che mette sullo stesso piano queste diverse tipologie.

Visti i significativi investimenti pubblici fatti e le varie iniziative promozionali, a favore di uno sviluppo turistico della montagna basato su una. “ mobilità dolce” che poggia su cammini storici, devozionali, paesaggistici e naturalistici. Considerato che questa “rete di cammini” non può anche essere il paradiso dei mezzi motorizzati da fuoristrada. Cioè l’apertura della rete sentieristica ai mezzi motorizzati non è compatibile né con la tutela dell’ambiente, né con una nuova offerta turistica capace di sostenere i nostri territori. Dato atto che la presente proposta di deliberazione è corredata del solo visto di regolarità tecnica e di conformità ai sensi dell’art. 49 del D. Lgs. 267/2000 e successive modificazioni; VISTO: il Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;

Con voti unanimi delibera Di prendere atto dell'esito dei lavori della Consulta e conseguentemente: ! di proporre il divieto di transito ai mezzi motorizzati sulla rete escursionistica (la “rete di cammini”); • di individuare, compatibilmente con gli altri vincoli e norme della legislazione regionale, aree , non coincidenti con la rete

sentieristica, in cui poter praticare gli sport legati alle moto; • di dare atto che il divieto al passaggio dei mezzi motorizzati non riguarda i tratti della rete sentieristica coincidenti con strade

classificate e adibite all’usuale traffico veicolare motorizzato; • di attivare confronti con gli uffici tecnici dell’Unione per definire le aree di cui sopra. DI DICHIARARE, con voto favorevole unanime, espresso con separata votazione, la presente deliberazione immediatamente eseguibile, a causa dell’urgenza, ai sensi dell’art. 134 4° comma del T.U.E.L. n. 267/2000.

BANFF

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Presidente, parlaci di te e della tua famiglia.Non sono più giovane (è nato nel 1949, ndr), sono sposato e ho un figlio cha ha quasi quarant’anni. Vivo dalla nascita a Sasso Marconi. Adesso sono in pensione, dopo molti anni di lavoro come dirigente di azienda prima e come assicuratore poi. La mia area professionale è stata quella amministrativo-finanziaria. Quando hai cominciato ad andare in montagna?Per la verità ho cominciato a frequentare la montagna “tardi”, verso i trent’anni, facendo escursionismo

prima e ferrate poi nel gruppo del Brenta. Ho anche praticato il fondo. Mi dedico a ciclismo e podismo per tenermi in forma. Ho imparato da adulto a sciare in pista, sport che pratico ancora quando posso, senza poter raggiungere però l’abilità, per esempio, di mio figlio, che ha imparato a sciare da bambino. Il mio desiderio di vivere la montagna mi ha anche spinto a comprare una casetta nel nostro Appennino, a Vidiciatico, per poterlo frequentare più facilmente. Potrei autodefinirmi soprattutto un escursionista.

Il nostro presidente…che tipo è? Proviamo a conoscerlo

di Marino Capelli

Negli ultimi lustri i presidenti della nostra sezione si alternano alla guida del sodalizio ad un ritmo “accelerato” rispetto a tempi più remoti, anche senza tornare indietro nel tempo fino al 1875, anno della fondazione del Cai Bologna. Non ne siete convinti? Alla prima occasione di essere in sede, leggete la “tabella” che si trova a sinistra della porta di ingresso con la cronologia dei nostri presidenti. Vi domanderete il “perché” di questa accelerata alternanza: non ho una risposta sicura a questa domanda, ma temo che la ragione vada cercata nella incrementata complessità delle articolate attività che fanno capo al Consiglio direttivo e che quindi “il mestiere del presidente” sia divenuto molto più impegnativo e logorante del passato. La nostra sezione, infatti, conta ormai oltre 2.400 soci, molti dei quali non frequentano regolarmente la sede della sezione né tantomeno partecipano al sempre più ricco calendario di attività che viene annualmente proposto dai vari gruppi di appassionati soci, benché sia facile immaginare che frequentino i monti più o meno regolarmente. La redazione di “Sul Monte” ha allora creduto opportuno intervistare il nostro attuale presidente, Stefano Osti, rivolgendogli alcune domande che ci consentiranno di conoscerne meglio la storia, le passioni, e anche gli obbiettivi di mandato.

a cura di Marino Capelli

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Quando ti sei iscritto al CAI e perché?Mi sono iscritto nel 2009 frequentando un corso di escursionismo. Come ti ho detto prima, sono sempre andato così in montagna ma, nel tempo, gli amici storici con cui ho iniziato a frequentare la montagna hanno smesso, chi a causa di problemi fisici o chi per il venir meno della motivazione. Frequentando il CAI sono riuscito a ricostituire un gruppo di amici con cui condividere questa mia passione.Quali sono state le circostanze che ti hanno indotto ad assumere un ruolo nel sodalizio?Abito a Sasso Marconi dove vive anche Vinicio (Ruggeri, ndr) che conosco bene: è stato lui a propormi di collaborare come segretario della sezione conoscendo le mie attitudini. Quando “Gneo” ha deciso di non ricandidarsi, è stato indispensabile trovare un nuovo candidato alla presidenza: non c’è stata una “corsa alla presidenza” e quindi, avendo tempo a disposizione, ho accettato la candidatura pensando di poter mettere a disposizione della sezione le mie storiche capacità professionali “organizzative e relazionali”.Quanto ti impegna “fare il presidente”?Per inclinazione personale e professionale sono orientato a delegare. Cerco di farlo affinchè nelle attività della sezione vi sia, nei limiti del possibile, un “competente” alla guida di ogni settore di attività, sfruttando le capacità e le esperienze maturate in anni di attività sezionali. Ti posso comunque confermare che fare il presidente è quasi un lavoro, considerando il tempo impiegato in sede e quello impiegato nello scrivere, nell’esaminare documenti e in contatti telefonici ed e-mail.Quali sono gli obbiettivi di questo tuo mandato ?La nostra sezione, da alcuni anni, sta aumentando

il numero dei soci. Adesso i soci sono 2.427, ma possiamo e dobbiamo crescere ancora in rapporto alla popolazione della nostra area metropolitana. Oltre il 40 % dei soci ha più di cinquant’anni e dobbiamo diventare più attrattivi per i giovani. Da vecchio socio sai che sono i corsi l’elemento di maggiore attrazione per cercare di avvicinare nuovi giovani soci. Ho condiviso con il Consiglio l’orientamento di fare ogni sforzo per ringiovanire e ampliare la compagine degli istruttori e degli accompagnatori come primo passo per avvicinare i giovani al nostro club. Aumentando inoltre il numero di istruttori ed accompagnatori sarà possibile anche accrescere e differenziare l’offerta formativa: già oggi dobbiamo rifiutare iscrizioni ai corsi in quanto non abbiamo abbastanza istruttori.Il ruolo della scuola di alpinismo e scialpinismo e di quella di escursionismo e cicloescursionismo dovrà essere sempre più importante.Un altro obbiettivo è quello di aumentare il numero di soci attivi distribuendo meglio compiti e responsabilità per dare spazio a chi ha voglia di fare nuove esperienze ed evitare che poche persone carichino su di sé troppi impegni.Permettimi, Stefano, una domanda provocatoria: tutto qui ?No, non è tutto qui, anche se quanto ti ho illustrato è tutt’altro che semplice!L’altro aspetto su cui sto cercando di lavorare è fare crescere - nel nostro ambito territoriale, attraverso iniziative ed eventi pubblici - l’immagine del Cai e la conoscenza dei suoi valori affinché si possa più facilmente diffondere quella cultura dell’andare in montagna in modo consapevole e responsabile di cui, sono convinto, il Cai è il più coerente interprete.

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Si è appena concluso il 12° corso di escursionismo in ambiente innevato della nostra scuola di escursionismo e cicloescursionismo tenuto da Claudio Marchesi.Il corso, riservato a soci CAI, era rivolto a coloro che hanno ed avranno intenzione di frequentare gli ambienti innevati della montagna per conoscerla e viverla in sicurezza, riscoprendo un escursionismo integrale distante dalle località turisticamente note. Obiettivo del corso è stato fornire ai partecipanti una preparazione teorica e pratica per permettere a loro di: acquisire le basi delle tecniche di escursionismo su neve mediante l’utilizzo delle racchette da neve; conoscere i pericoli della montagna invernale; frequentare in sicurezza i percorsi di montagna innevata; organizzare correttamente ed in autonomia le proprie escursioni; conoscere gli aspetti dell’ambiente montano invernale che maggiormente interessano l’attività escursionistica. Al corso hanno partecipato 34 allievi, numero elevato anche se le domande pervenuteci erano ben di più. Le lezioni teoriche sono state undici e sono state svolte sia in sede CAI che presso i Rifugi, le uscite in ambiente sono state tre, di cui due di due giorni. Ma per parlare di quanto è stato importante il corso per i partecipanti abbiamo pensato di raccogliere le impressioni di alcuni di loro.

TRACCE BIANCHECORSO DI ESCURSIONISMO SULLA NEVE: CHE NE PENSANO I PARTECIPANTI?

a cura di Giorgio Trotter

Raffaella si racconta tutto d’un fiato: “Questa storia ha inizio un anno fa. Già da un po’ andavo per monti con vari gruppi di amici e non, in compagnia. La mia voglia di entrare un po’ più in confidenza con la montagna, mi spinge ad iscrivermi al CAI e con trepidazione attendo le prime uscite dell’anno, quindi in ambiente innevato (o quasi!). Conosco così Claudio e l’allegra compagnia del CAI di Bologna, che salgono subito in cima alla lista per professionalità e competenza. Durante l’escursione mi piazzo simpaticamente al fianco dell’uno e dell’altro e li inondo di domande, alle quali gli accompagnatori non si tirano indietro. La giornata trascorre in un lampo, tra la meraviglia dei boschi di faggio, la neve che ammanta ogni cosa rendendola ancora più magica, il sole che fa risplendere le cime dei monti attorno a noi... Nessuno poteva immaginare che quello sarebbe stato solo l’inizio di un anno intenso, fatto di impegno nella frequentazione dei

corsi di escursionismo base, avanzato e innevato, ma anche di tanta soddisfazione. L’impegno riguarda la partecipazione a lezioni didattiche in aula, che spaziano dalla meteorologia all’orientamento e lettura della carta, fino all’organizzazione di un’escursione e le uscite in ambiente, con lo scopo di rendere le persone autonome e maggiormente sicure nella frequentazione della montagna. Ma c’è anche tanta soddisfazione nel conoscere finalmente persone con la tua stessa passione, che come te hanno voglia di pestare sentieri vecchi e nuovi mettendo in gioco se stessi, sentirsi finalmente parte di un gruppo, ridere e scherzare, stupirsi insieme dell’incanto di un paesaggio appena innevato, fare un pupazzo di neve dopo vent’anni.. Grazie alla scuola di escursionismo e a tutti gli istruttori (volontari) che con costanza e pazienza, ci accompagnano lungo il nostro sentiero di crescita”.

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Interpelliamo altre due partecipanti: Francesca e a Marinella.Cosa vi ha motivato a frequentare il corso? Avevate già fatto escursionismo estivo? Francesca: “La motivazione è stata quella di scoprire una dimensione e aspetti diversi dell’escursionismo e della montagna in inverno. In passato ho avuto l’opportunità di frequentare diverse volte l’ambiente montano in inverno senza mai sperimentare l’escursionismo: questa esperienza mi ha consentito di guardare alla montagna da una prospettiva completamente diversa. In estate, da alcuni anni dedico parte del mio tempo a camminare in montagna, ma non solo, anche i dintorni e i luoghi in prossimità della città offrono spazi da scoprire camminando. E ci vuole veramente poco! Un paio di scarpe adatte, una mappa, una buona dose di curiosità e si può partire: spesso le sorprese si nascondono dietro le porte di casa. ... dimenticavo: lo scorso anno ho avuto l’opportunità di frequentare il corso di escursionismo base: anche quella una bella esperienza che mi ha consentito di avvicinarmi al mondo del CAI.Marinella: “Pratico escursionismo con il CAI (treno trekking e gite sezionali) da 9 anni: mi sono sempre trovata molto bene e divertita tantissimo. Ho sempre fatto escursioni in primavera/estate, senza alcuna esperienza nella neve: e quindi ho deciso di colmare questa lacuna iscrivendomi al corso di escursionismo invernale”.Come vi siete trovate al corso? Avete frequentato con assiduità (sia le lezioni teoriche che le uscite in ambiente)? Avete trovato le uscite interessanti sia sul piano didattico che su quello ambientale?Francesca: “Mi sono trovata molto bene ...anche se, mio malgrado, non sono riuscita a frequentare

come avrei desiderato le lezioni sul campo: una serie di impegni concomitanti, legati ad alcuni progetti a cui mi sto dedicando, non mi hanno consentito di partecipare ad alcune uscite. Mi è dispiaciuto... ci tenevo molto a “vivere” insieme ai miei compagni d’avventura l’uscita in programma, avevo addirittura stampato la cartina plastificata! Comunque, nonostante la pioggia, quel giorno ho deciso di uscire di buona mattina e dedicare un po’ del mio tempo al camminare tra il fango e sotto la pioggia: 25 Km, una bella sensazione di libertà, un’ immersione nella natura che, come dice una cara amica, Agatha Gillet, noi “uomini e donne di appartamento” dovremmo sperimentare più spesso. Le lezioni, così come le uscite che ho potuto sperimentare, hanno offerto spunti interessanti e non nego che mi sarebbe piaciuto approfondire alcuni argomenti.. anche se, sono certa, in futuro non mancheranno altre occasioni per farlo. Insieme ad alcune ragazze stiamo pensando di proporre al CAI di integrare la formazione con alcuni temi: siete curiosi di sapere di che cosa si tratta? Ve lo sveleremo presto! Concludo dedicando due parole a due temi, affrontati in entrambi i corsi di escursionismo: l’osservazione e l’orientamento. In un momento in cui si va sempre di corsa, guardare l’ambiente e gli spazi che si attraversano con occhi non distratti è un’esperienza bellissima. E’ un’opportunità che, citando le parole di un testo letto diverso tempo fa, trasforma il camminare in un’opportunità per “scoprire l’invisibile delle cose incontrate”. Marinella: “Ho partecipato con interesse e mi sono trovata bene al corso: i docenti sono preparati, pieni di passione e disponibili a fornire chiarimenti. Ho frequentato il 73% delle lezioni: tutte dense di spunti e indicazioni pratiche. Ho imparato a porre attenzione a dettagli (la lettura

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della cartina e l’osservazione del territorio) che rendono “attivo” un partecipante. Le uscite in ambiente sono state un momento utilissimo per raccordare la teoria con la pratica, e mettersi alla prova in un ambiente nuovo!

Come è andata con i compagni di corso? Continuerete a fare uscite con loro o avete già un vostro gruppo? Intendete partecipare alle gite sezionali? Conoscete la mailing list del CAI Bologna e, se sì, siete iscritte?Francesca: “Entrambe le esperienze, questa del corso di escursionismo innevato e quella precedente di escursionismo base, hanno rappresentato un’occasione per conoscere nuovi compagni di avventura e per consolidare rapporti già esistenti. Una delle componenti più belle dell’escursionismo è proprio la “balotta”, il sentirsi parte di un gruppo, ognuno con il proprio “passo”. Mi è già capitato di sperimentare uscite insieme ad alcuni compagni di corso sia in ambienti naturali che davanti a un bel bicchiere di vino! Ho già partecipato ad alcune gite sezionali e non escludo in futuro di partecipare ad altre escursioni. E, per concludere: sì, in quanto iscritta al CAI, ricevo periodicamente CAI news.” Marinella: “Mi sono trovata bene con i compagni e, se ci sarà occasione, ci ritroveremo in altre escursioni, anche al di fuori del corso. Non ho un gruppo di riferimento, di solito faccio escursioni con amici oppure mi unisco alle uscite proposte dal CAI. Sono iscritta e ricevo regolarmente CAI news: una “finestra” utilissima sugli eventi prossimi e imminenti organizzati dalla sezione.

Perché avete scelto il CAI per la vostra preparazione? Ora, dopo il corso, vi sentite in grado di affrontare una escursione da sole?Francesca: “Negli ultimi anni l’escursionismo, il camminare in genere, ha occupato un ruolo sempre più importante: una passione ...o meglio,

una necessità! Un’esperienza che piano piano ha completamente modificato il mio stile di vita, un vero e proprio “agente del cambiamento”. E’ nata da qui l’esigenza di approfondire certi temi: un percorso iniziato l’anno scorso che, anche grazie alle esperienze positive maturate, ho intenzione di proseguire. Conoscevo il CAI per la sua storia prestigiosa, ma il primo contatto con la sezione è avvenuto quasi per caso: ero alla ricerca di un piccolo sentiero, inaugurato qualche anno fa, che, partendo poco distante da casa mia, risaliva la collina per arrivare all’Osservanza. Non riuscendo a trovarlo, ho contattato la sezione di Bologna, scoprendo che purtroppo il sentiero, per questioni legali, non è più operativo. Peccato: il percorso offriva l’opportunità di godere di una meravigliosa vista della città, immersi in un bellissimo uliveto.Ho già avuto l’occasione di affrontare escursioni da sola: sicuramente l’esperienze formative a cui ho partecipato mi hanno reso più consapevole e attenta a certi temi. Mi è capitato di sbagliare strada, ma ho trovato soluzioni per ritrovare il mio percorso o per giungere al punto di arrivo attraverso altre vie. Diversi istruttori - incontrati sui miei passi - hanno sempre ribadito: “anche se ci perdiamo, l’importate è riconoscere dove siamo! “Marinella: “Da CAI news ho appreso argomento e date dei corsi 2017-18. Ho scelto il CAI perché mi dà sicurezza (per l’organizzazione e la preparazione di accompagnatori/docenti) e per l’esperienza positiva che ho maturato in questi anni di escursioni. Ora, a fine corso, ho imparato a muovermi in un ambiente che non conoscevo (la neve) e mi sento consapevole di tanti aspetti (dall’organizzazione di una uscita alla sicurezza) e mi muovo con una nuova sensibilità: è una grandissima soddisfazione per me! Mi sento in grado di “elaborare” una escursione, ma preferisco camminare in gruppo (amici/CAI), per il piacere di vivere assieme ad altri questi momenti”.

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ESCURSIONI IN MONTAGNE INNEVATE: CONOSCERE LA NIVOLOGIA, ADDESTRARSI, AVERE EQUIPAGGIAMENTO E STRUMENTI ADATTI Di Donato Papini

La neveNeve che turbini in alto e avvolgile cose di un tacito manto.Neve che cadi dall’alto e noi copricoprici ancora, all’infi nito: imbiancala città con le case, con le chiese,il porto con le navi,le distese dei prati…Umberto Saba

La neve è poesia ma è anche un fenomeno fi sico che l’escursionista e l’alpinista devono conoscere anche con la ragione e non solo sentire col cuore: come tutti i fenomeni della natura - seppur stupendi - la neve può comportare rischi che vanno valutati e gestiti.La branca specialistica della scienza metereologica che studia la formazione, la deposizione e la trasformazione della neve si chiama nivologia.La neve si forma nelle nubi, quando esistono particolari condizioni meteorologiche di temperatura e umidità, attraverso due principali meccanismi: la sublimazione inversa (ovvero il passaggio del vapore acqueo allo stato solido) attorno a minuscoli corpuscoli di ghiaccio o pulviscolo e la “cattura” e congelamento di minuscole gocce d’acqua durante la caduta del cristallo. La neve appena caduta è formata da cristalli dendritici dai contorni molto frastagliati, si presenta soffi ce per la notevole percentuale di aria inclusa e presenta un elevato grado di coesione (avrete senz’altro visto che la neve fresca aderisce anche sulle pareti verticali delle case). Col passare dei giorni avvengono dei fenomeni di trasformazione, detti metamorfi smi: i cristalli tendono a modifi care la forma e la neve appare più compatta. A seconda del tipo di trasformazione la neve può diventare poco stabile e possono manifestarsi, nei casi più estremi, distacchi spontanei. Da qui inizia il pericolo per l’escursionista. Il tipo di metamorfi smo dipende dei vari fattori: temperatura, gradiente termico, vento, carico. Particolarmente pericoloso è l’accumulo di neve fresca su vecchi strati di neve. La quantità ed il tipo di neve depositata, le caratteristiche degli strati profondi e i carichi esercitati sono i principali fattori che possono portare allo scarico. Il pericolo principale è il distacco di fonti nevosi (valanghe e slavine) che, persa coesione, possono slittare velocemente a valle, con il pericolo di travolgimento e sommersione.Senza entrare nel dettaglio illustriamo alcuni elementi base per limitare il rischio.Uno dei metodi “storici” per valutare il rischio è quello proposto da Werner Munter, sviluppato negli anni ’90, il cosiddetto metodo “3×3” perché prende in considerazione da un lato 3 “fi ltri dimensionali” (regionale, locale, zonale) e 3 fattori di valutazione (condizioni della neve, terreno e fattore umano) per ciascuna dimensione di valutazione. I “fi ltri dimensionali” vanno immaginati a livello concettuale come una serie di punti di controllo progressivi: il rischio iniziale viene quindi ridotto fi no alla parte considerata umanamente accettabile. Ogni passo del processo procede quindi su due piani: seguendo “dimensioni geografi che” sempre più piccole e per ciascuna dimensione valutando i fattori di pericolo rilevanti. Più in dettaglio, si parte osservando le condizioni su scala regionale consultando i bollettini nivologici e le condizioni morfologiche dell’area ed il fattore umano (numero partecipanti, esperienza). Si passa poi all’analisi della situazione locale valutando il rischio legato alla morfologia dei percorsi che si intendono affrontare consultando mappe e conoscendo le caratteristiche del terreno. Tramite osservazioni dirette, si valutano le condizioni della neve e la situazione valanghiva del momento. E’ opportuno valutare percorsi diversi, dotarsi della strumentazione idonea ( ARTVA e equipaggiamento) e verifi care le condizioni del gruppo. A livello locale la tattica prevede di evitare i singoli pendii più pericolosi (ad esempio quelli con pendenza maggiore di 30°, assenza di bosco, presenza di ripidi pendii a monte), tenendo conto della visibilità e della estensione del pendio. Al termine della applicazione dei tre fi ltri si può arrivare alla decisione di “no go”, ovvero decidere che il rischio residuo non è accettabile con la conseguente decisione di rinuncia precauzionale.In ogni caso l’escursionista deve conoscere le manovre di autosoccorso, in quanto esiste sempre un rischio residuo di essere travolti e, in questo caso sfortunato, visti i tempi ridotti di sopravvivenza sepolti dalla neve, misurabili in minuti, l’unica possibilità concreta di essere salvati è essere estratti da un compagno di gita. Per questo motivo è raccomandato e talora necessario essere equipaggiati con ARTVA, pala e sonda. L’ ARTVA è un dispositivo elettronico ricetrasmittente che può essere commutato facilmente in trasmissione e ricezione. Ciascun partecipante indossa un ARTVA in modalità trasmissione, nel caso di valanga i compagni di gita cambiano subito la modalità del proprio dispositivo mettendolo in ricezione e, organizzati in squadre, si mettono alla ricerca dei malcapitati. L’ARTVA è in grado di indicare distanza e direzione del travolto facilitando il ritornamento. Una volta in prossimità, si procede con la sonda (un bastone estensibile di alluminio) fi no a trovare il corpo, che poi viene estratto scavando con la pala.Detta così pare abbastanza facile, ma l’utilizzo di tali strumenti richiede conoscenza, allenamento e coordinamento, per cui è essenziale l’addestramento. Prima di avventurarsi in escursioni in ambiente innevato si consiglia quindi di seguire un corso specifi co nel quale sono approfonditi tutti gli argomenti qui accennati.

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IN MONTAGNA D’INVERNO: ESCURSIONI RISPETTANDO GLI ANIMALIdi Giorgio Trotter

Sulla terra ci sono paesaggi naturali e paesaggi antropici. I paesaggi naturali sono formati soltanto da elementi naturali: il terreno, la flora (piante che crescono spontaneamente) e la fauna (gli animali selvatici). I paesaggi sono antropici quando l’uomo modifica il paesaggio naturale per adattarlo alle proprie esigenze: abbatte gli alberi per ricavare la terra per le coltivazioni; scava canali per portare l’acqua nei campi; costruisce città, case, strade.Quando andiamo in montagna d’inverno di fatto assumiamo un comportamento di tipo antropico e tutto questo crea disagio alla fauna presente. Sappiamo quanto a volte sia veramente difficile se non impossibile seguire, per gli escursionisti, il tradizionale sentiero estivo, un po’ per i pericoli insiti nei pendii innevati sovrastanti, un po’ perché non vi è possibilità di conoscere la traccia coperta dalla neve, e poi …come è bello andare sulla neve fresca e non battuta con gli sci.È nostro compito, specialmente come soci CAI, avere un comportamento il meno invasivo possibile.

Gli animali e la fatica dell’inverno, gli escursionistiEcco un suggerimento per costruirci un diverso obiettivo mentre andiamo in montagna d’inverno.Proviamo a occuparci non solo dell’attenta valutazione delle condizioni meteo climatiche e nivologiche dei pendii sopra di noi, ma anche di guardare a fianco e per terra per leggere e interpretare le tracce che gli animali lasciano nel camminare sulla neve.Prima di tutto prendiamo coscienza che la stagione fredda rappresenta un periodo molto problematico per la fauna: freddo equivale a scarsità di cibo. Pertanto gli animali devono, obtorto collo, muoversi per trovarlo e gli sport invernali possono scontrarsi con le esigenze degli animali. Il nostro disturbo antropico, sommato a neve, freddo e poco cibo, influisce pesantemente sui grandi sforzi che gli animali sono costretti a fare per procurarsi da mangiare e per la termoregolazione. In questo periodo, per la loro sopravvivenza, gli animali riducono al minimo gli spostamenti, non sempre possono farlo, e sicuramente cercano cibo lontano dall’uomo che invece a volte invade pesantemente il loro territorio. La presenza dell’uomo provoca, quindi, una fuga improvvisa con ulteriore dispendio di energie, a volte fatale per la sopravvivenza degli animali più deboli e provati.La sensibilità al disturbo e l’impatto umano risultano particolarmente negativi per gli animali che richiedono condizioni precise per lo svernamento (ad esempio, gli animali che hanno un basso livello di tolleranza del disturbo antropico, disturbi non localizzati e non prevedibili, a volte gli stessi che provochiamo con il nostro escursionismo invernale). Eccoli adottare delle precise strategie di sopravvivenza come la migrazione (ad esempio, il falco pecchiaiolo e la rondine), oppure di quiescenza invernale entro cavità in uno stato di limitato metabolismo (anfibi e rettili a sangue freddo), oppure di letargo in una tana protetta, come alcuni mammiferi (orso, sonno leggero, oppure riccio, moscardino, marmotta con la riduzione drastica dell’attività, con il cuore che passa da 250 a 1 battito/min).Esistono, invece, diversi animali che affrontano l’inverno con strategie di adattamento. Sono le specie in attività (ungulati, canidi) che ricorrono a forme di adattamento come l’aumento dello strato di grasso per protezione dal freddo e riserva, oppure con spostamenti limitati al minimo e pelo più folto e scuro per minimizzare la dispersione termica e avere il massimo assorbimento solare (ad esempio, il camoscio), oppure strategie di mimetismo attraverso un manto bianco nella neve (lepre, pernice bianca, ermellino).Altra cosa di cui dobbiamo tenere conto è che gli animali preferiranno le aree assolate e più basse dove avranno possibilità di trovare meno neve e più cibo (ungulati).Tutto questo per dire che non siamo assolutamente soli in ambiente e lo possiamo vedere dalle varie impronte lasciate sulla neve. Rispettiamo questi passaggi e non inseguiamoli, se non necessario, in modo da lasciarli affrontare il territorio nel migliore dei modi.Per concludere, occorre ricordare che l’inverno è una risorsa fondamentale per la fauna in quanto, durante questo periodo, avviene una selezione naturale delle popolazioni (es. ungulati) con il conseguente riequilibrio di risorse verso un numero più adatto, con l’eliminazione di individui deboli e malati e quindi maggior cibo per gli altri. Tutto ciò ai fini della sopravvivenza.

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LA VIA DELLA LANA E DELLA SETA

In questo numero di Sul Monte ritorno ad un tema caro alla mia rubrica : i cammini. Sono infatti convito che quella degli itinerari a piedi sia la formula più adatta per valorizzare la nostra montagna. Queste proposte hanno il merito di non consumare il territorio, di rispettare l’ambiente; rappresentano il vero turismo sostenibile, da molti promosso, ma da pochi realizzato nella pratica. Il nuovo cammino, progettato da Vito Paticchia, si chiama Via della Lana e della Seta. Il prodotto turistico legato a questa nuova proposta è stato ufficialmente presentato grazie alla firma di un protocollo avvenuta di recente a Castiglione dei Pepoli, fra il Sindaco Metropolitano Viriginio Merola e il Sindaco di Prato Matteo Biffoni.Il progetto coinvolge innumerevoli soggetti istituzionali: la Città Metropolitana di Bologna, i Comuni di Prato, Castiglione dei Pepoli, Vernio, Vaiano, l’Unione dei Comuni dell’Appennino Bolognese, ovviamente, il Cai di Bologna e il Cai di Prato.Il percorso corre parallelo alla Via degli Dei, il fortunato itinerario che collega Bologna a Firenze, che in questi anni ha portato migliaia di camminatori lungo questo affascinante tragitto. La Via della lana e della Seta,cosi denominata in riferimento alle lavorazioni della seta, tipica del bolognese, e a quella della lana, tipica del territorio di Prato, diventerà una proposta che ben si affiancherà, con una sua forte originalità, alla Via degli Dei. Sarà anche possibile, una volta arrivati a Firenze da Bologna, percorrendo la Via Degli Dei, attraversare un sentiero, la Via del Rinascimento, che, senza percorrere un metro di asfalto, permetterà di passare da parco a parco fino a Prato e da qui risalire, lungo la Via della Lana e della Seta, fino a raggiungere Bologna.

di Marco Tamarri

UN PASSO DOPO L’ALTRO

Il tragitto della Via della Lana e della Seta è affascinante e ci permette di visitare alcuni luoghi di assoluto valore ambientale e storico a partire dai monti della Calvana sopra a Prato, con le loro meravigliose praterie piene di cavalli, ai paesaggi morandiani a Grizzana, al parco storico di Monte Sole, o agli insediamenti etruschi di Kainua.Il Comune di Castiglione dei Pepoli sarà, insieme a tutti i soggetti istituzionali sopracitati, il coordinatore del tavolo che promuoverà questo nuovo prodotto turistico. In particolare il Comune di Prato finanzierà la segnaletica che verrà collocata facendo tesoro di quanto il CAI ha già posizionato lungo questo tragitto, mentre Bologna Welcome, in accordo con le istituzioni emiliane, si occuperà di finanziare la carto guida, a cui sta lavorando da tempo il progettista Vito Paticchia, e più in generale finanzierà tutti gli aspetti promozionali connessi alla Via della Lana e della Seta. Il tour operator Appennino Slow venderà il prodotto turistico, La Via della Lana e della Seta, nel mercato di prossimità e all’estero.Il solito gruppo di amici camminatori, di cui parlo spesso nei miei “pezzulli”, ha di recente attraversato la parte toscana di questa via. Le emozioni sono state davvero tante a cominciare dall’accoglienza trovata nei diversi punti tappa: come non ricordare la squisita accoglienza avuta, in una serata piovosa, al circolo arci Stella Rossa di Vernio.

Ecco di seguito le tappe del percorso :1 tappa Prato Calvana Vaiano 23 km disl +1100m 8 ore2 tappa Vaiano Calvana Vernio 24 km disl +750 8 ore3 tappa Vernio Castiglione dei Pepoli 20 km disl+1000m -600m 6 ore4 tappa Casitglione dei Pepoli Grizzana Morandi 25 km disl+700m -750m 8 ore5 tappa Grizzana Morandi Parco di Monte Sole 13,5 km disl +300m -400m 4 ore6 tappa Parco di Monte Sole Sasso Marconi 17 km disl +400m -650m 6 ore7 tappa Sasso Marconi Bologna 23,2 km disl+210m - 250m 7 ore.3 tappa Vernio Castiglione dei Pepoli 20 km disl+1000m -600m 6 ore4 tappa Casitglione dei Pepoli Grizzana Morandi 25 km disl+700m -750m 8 ore5 tappa Grizzana Morandi Parco di Monte Sole 13,5 km disl +300m -400m 4 ore6 tappa Parco di Monte Sole Sasso Marconi 17 km disl +400m -650m 6 ore7 tappa Sasso Marconi Bologna 23,2 km disl+210m - 250m 7 ore.

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